Territori 21

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Periodico dell'Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Frosinone. Magazine of the Architects in Province of Frosinone (Italy) directed by Giovanni Fontana. Special issue dedicated to Giovanni Jacobucci (1895-1970). Contributions by Giovanni Fontana, Antonio Abbate, Luigi Bevacqua, Alessandro M. Tarquini, Giorgios Papaevangeliu, Massimo Terzini, Alessandra Digoni, Wilma Laurella, Francesco M. De Angelis and others. Graphic design: D'Amico Graphic Studio

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L’ARCHITETTURA IN PUNTA DI MATITA

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S O M M A R I O

EDITORIALEFesta delle biblioteche, dei musei e degli archivi del LazioUn’occasione per rivitalizzare la memoria storica Giovanni Fontana pag. 2

L’Archivio Storico Provinciale Antonio Abbate pag. 3

GIOVANNI JACOBUCCI ARCHITETTO 1895-1970Giovanni Jacobucci. L’architettura come mestiere Giovanni Fontana pag. 4

Giovanni Jacobucci classico e anticlassicoTradizione e modernismo nella definizione dell’immagine del capoluogo Luigi Bevacqua pag. 17

Strutture nascoste nell’architettura italianadegli anni trenta Alessandro M. Tarquini pag. 24

Giovanni Jacobucci: “romano” nella realizzazione, “italiano” nella rappresentazioneLe architetture dal ’21 al ’40: tra “barocchetto” e “stile littorio” Giorgios Papaevangeliu pag. 26

Disegno & disegnoVersatilità ed esuberanza grafica nell’architettura di Giovanni Jacobucci Massimo Terzini pag. 32

La ricostruzione del palazzo del governoL’architettura celebrativa e gli interventi postbellici Alessandra Digoni

Wilma Laurella pag. 39

Jacobucci urbanista: l’esempio di Frosinone Francesco M. De Angelis pag. 43

Giovanni JacobucciA quaranta (o quattrocento) anni dalla morte Massimo Terzini pag. 47

Hanno collaborato a questo numero: Daniele Baldassarre, fotografie - Luigi Bevacqua, testi - Francesco M. De Angelis, testi - Alessandra Digoni, testi - Giovanni Fontana,testi, web screening - Wilma Laurella, testi, ricerche d’archivio, web screening - Giorgios Papaevangeliu, testi, ricerche bibliografiche- Maurizio Pofi, fotografie, ricerche documentarie - Alessandro M. Tarquini, testi - Massimo Terzini, testiSi ringraziano: la Signora Ida Jacobucci, Supino - Benedetto Volpe, Assessorato alla Cultura della Provincia di Frosinone - Francesca Di Fazio, ArchivioStorico Provinciale, Frosinone - Viviana Fontana, Direttore Archivio di Stato, Frosinone - Onorina Ruggeri, Archivio di Stato, Frosinone

Quadrimestrale dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Frosinone Reg. Tribunale di Viterbo n. 408 del 31/05/1994 settembre-dicembre 2009 - anno XVI - n. 21

In copertina: G. Jacobucci, Prospettiva del Palazzodell'Amministrazione Provinciale, 1930Direttore responsabileGiovanni FontanaComitato Scientifico RedazionaleDaniele BaldassarreLuigi BevacquaFrancesco Maria De AngelisAlessandra DigoniGiovanni FontanaWilma LaurellaStefano Manlio ManciniGiorgios PapaevangeliuMaurizio PofiAlessandro M. TarquiniMassimo TerziniResponsabile DipartimentoInformazione e ComunicazioneFrancesco Maria De AngelisSegreteria di redazioneAntonietta DrogheiSandro LombardiImpaginazione e graficaGiovanni D’AmicoCoordinamento pubblicitàD’Amico Graphic Studio03100 Frosinone - via Marittima, 225tel. e fax 0775.202221e-mail: [email protected] StampaTipografia Editrice Frusinate03100 Frosinone - via Tiburtina, 123

ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTIE CONSERVATORI DELLA PROVINCIADI FROSINONE

Presidente: Bruno Marzilli Vice Presidente: Alessandro Tarquini Vice Presidente: Giulio Mastronardi Segretario: Francesco Maria De Angelis Tesoriere: Dario Giovini Consiglieri: Lucilla Casinelli

Laura CoppiMaurizio Ciotoli Felice D'Amico Roberto De Donatis

Consigliere Junior: Adamo Farletti

Segreteria dell’Ordine03100 Frosinone - piazzale De Matthaeis, 41Grattacielo L’Edera 14o pianotel. 0775.270995 - 0775.873517fax 0775.873517sito Internet: www.fr.archiworld.ite-mail: [email protected]

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’anno scorso l’Assessorato alla Cultura della Regione Lazioha istituito la “Festa delle Biblioteche, dei Musei e degliArchivi del Lazio”, una manifestazione che si prefigge lo

scopo di valorizzare il patrimonio culturale regionale, promuoven-done l’immagine e il significato attraverso le principali strutturedi servizio del settore, che, per l’occasione, rivolgono al territorioparticolari opportunità di approfondimento e intensificano loscambio di esperienze e conoscenze con altri organismi culturalie con differenti realtà di servizio. Quest’anno, l’iniziativa coinvol-ge tutte le provincie del Lazio dal 18 al 21 febbraio con l’inten-zione di sollecitare l’attenzione del pubblico e dei media sull’im-portanza dei servizi culturali laziali e sulla qualità del loro lavoro. In quest’ambito, l’Amministrazione Provinciale di Frosinonepunta principalmente sulla valorizzazione del proprio Archivio,che inizia ormai ad assumere rilevante spessore storico. L’Enteha iniziato già da qualche tempo a lavorare per organizzarne ecatalogarne la documentazione in prospettiva dell’apertura di unpubblico servizio di consultazione. Questa circostanza è sembra-ta quella giusta per esporre preziosi materiali riguardanti la rea-lizzazione del Palazzo Provinciale, progettato e diretto daGiovanni Jacobucci, architetto supinese del quale quest’annocade il quarantesimo anniversario della morte, un anniversarioche, da una parte, offre lo spunto per ricordare una singolarefigura professionale del secolo scorso e, dall’altra, per portare aconoscenza del grande pubblico interessanti e rari documentiche riguardano un momento fondamentale nella vitadell’Amministrazione. L’architetto Giovanni Jacobucci, a partiredagli anni Venti, ha intrecciato, nel suo percorso professionale,classicismo e modernismo e ha lasciato una forte impronta sulterritorio ciociaro, specialmente a Frosinone, città che accoglie lasua prima opera importante: il Palazzo dell’AmministrazioneProvinciale, un edificio che reca i segni della sua formazioneaccademica, ma che si annoda alle nuove tecnologie costruttiveche vanno affermandosi in quei primi decenni del secolo.Jacobucci imprime all’edificio il carattere che ritenne più adegua-to a rappresentare l’importanza della nuova istituzione, in unacittà che doveva dignitosamente affacciarsi sul territorio daamministrare con un’immagine che potesse comunicare conimmediatezza ed efficacia l’importanza del ruolo che il nuovoente doveva svolgere. Da questa esigenza scaturisce il taglio sti-listico dell’intervento, che non trascura il rapporto con unadimensione artigianale, per alcuni versi criticata, ma, per altriaspetti, oggi fortemente rivalutata da illustri opinionisti, studiosie professionisti. Potrà sembrare strano, ma per Renzo Piano, adesempio, lo studio dell’architetto deve essere come una bottegaartigiana, dove persone, strumenti e materiali rivestono la

medesima importanza delle idee: perché “fare è pensare”.1

Quasi per caso, non più di qualche settimana fa, l’incontro tral’Arch. Alessandro M. Tarquini, redattore di questa rivista, e ilDott. Benedetto Volpe, responsabile del Servizio PromozioneBeni, Servizi ed Attività culturali della Provincia, ha acceso lascintilla da cui è scaturita la possibilità di un coinvolgimento,nella manifestazione, dell’Ordine degli Architetti e di questatestata, che ormai dal 1994 offre un ampio servizio, non solodi informazione tecnica, ma più ampiamente culturale, indirizza-ta a larghi strati di pubblico, con diffusione in ambito regionalee nazionale. L’ipotesi era che la rivista “Territori” avrebbe potu-to occuparsi della figura di Giovanni Jacobucci in uno specialenumero monografico e l’Amministrazione Provinciale avrebbepotuto, per questa pubblicazione, mettere a disposizione i piùsignificativi elaborati grafici di progetto conservati in archivio,che, come già previsto, sarebbero stati esposti in una mostraappositamente ideata per la “Festa delle Biblioteche, dei Museie degli Archivi del Lazio”. L’idea è stata immediatamente sotto-posta, da una parte, al Consiglio dell’Ordine e al comitato diredazione, dall’altra, all’Assessore alla Cultura Arch. AntonioAbbate. Tutti hanno accolto con entusiasmo la proposta.L’Assessore si è dimostrato particolarmente sensibile alla colla-borazione nell’ottica di rivitalizzare e consolidare la memoriastorica, l’Ordine ha subito considerato l’importanza della risco-perta di un architetto che ha inciso così profondamente sull’im-magine del capoluogo; al Comitato di redazione, che ha condi-viso in pieno tali posizioni, non è rimasto che rimboccarsi lemaniche. Come si può ben immaginare, infatti, non è stato faci-le in pochi giorni fare le necessarie indagini bibliografiche, lericerche d’archivio, recuperare progetti, mappe e documenti,individuare e fotografare i fabbricati, scrivere i testi, montaregraficamente la rivista, per poter essere pronti all’appuntamen-to prefissato, nelle date già ricordate, con i fascicoli stampati erilegati. Inutile dire che tutti si sono attivati con le migliori inten-zioni. Da segnalare, in proposito, alcuni fondamentali aiuti ester-ni al Comitato di redazione: collaborazioni preziose sono arriva-te da Francesca Di Fazio, funzionaria dell’Archivio Provinciale,che ha individuato, ordinato e fornito gli atti relativi alla realiz-zazione del Palazzo Provinciale, e dagli architetti VivianaFontana e Onorina Ruggeri, rispettivamente direttrice e funzio-naria dell’Archivio di Stato di Frosinone (con le quali, per altriversi, è stato avviato un proficuo progetto di cooperazione cheavrà carattere continuativo), che ci hanno messo a disposizioneulteriori preziose carte.

1. Intervento al Convegno Cersaie, Bologna 2009

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di Giovanni Fontana

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L’Archivio Storico

ProvincialeGli archivi come

strumenti per la

scoperta delle

memorie e delle

identità che

affianchino alla

propria funzione

tradizionale una

concezione più

aperta di "strumento

della storia e

della memoria

collettiva" a servizio

del cittadino

Condividendo pienamente questi obiettivi, laProvincia di Frosinone organizza la Festa degliArchivi nell’ambito della seconda “Festa delleBiblioteche, dei Musei e degli Archivi delLazio” promossa dall’assessorato alla Culturaregionale. La manifestazione, che si tiene nel palazzodella Provincia dal 20 febbraio al 5 marzo

2010, è l’occasione per far conoscere le attività svolte dagliarchivi storici, spesso offuscate dai servizi culturali più noti delterritorio, quali biblioteche e musei.L’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conser-vatori della provincia di Frosinone ha voluto aderire alla mani-festazione dedicando un numero della loro rivista Territori aGiovanni Jacobucci. A quarant’anni dalla morte, l’opera dell’ar-chitetto nativo di Supino viene analizzata in questa monogra-fia grazie a scrupolose ricerche effettuate nell’Archivio di Statodi Frosinone, nell’Archivio Storico della Provincia e in altriarchivi che hanno messo a disposizione il loro ricco patrimoniodocumentale. In particolare, viene analizzato il ruolo che le sue realizzazio-ni architettoniche hanno avuto nello sviluppo della città diFrosinone, all’indomani della sua elevazione a capoluogo diProvincia. A partire dal palazzo dell’Amministrazione Provinciale, proget-tato nel 1930, i suoi interventi rappresentano tracce significa-tive della trasformazione urbanistica della città dopo gli am-pliamenti di fine ’800. Attingendo all’inedito patrimonio custodito nell’Archivio Sto-rico, l’Amministrazione Provinciale di Frosinone espone carto-grafie, carteggi e documenti vari relativi alla costruzione delpalazzo della provincia, in parte pubblicati su questo numero,ad affiancare la mostra, a mo’ di catalogo.Dopo decenni di “conservazione passiva” della propria docu-mentazione archivistica, questa Amministrazione ha volutooperare scelte indirizzate all’organizzazione dell’archivio stori-co, con l’obiettivo di salvaguardare e valorizzare il patrimonioarchivistico quale servizio culturale a disposizione di cittadini,studenti, ricercatori del territorio.Gli archivi devono essere sempre pronti a lasciarsi interroga-re affinché il lungo processo della storia venga svelato il piùpossibile.

Arch. Antonio AbbateAssessore provinciale alla Cultura

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iovanni Jacobucci, archi-tetto-artista-artigiano,

apre nel 1921 uno studio aRoma in via delle Marmorelle.Ha appena 26 anni e poca espe-rienza professionale, ma haacquisito un certo mestiere nelleofficine delle scuole d’arte enelle aule di accademia, tantoda farsi apprezzare come deco-ratore intervenendo, in collabo-razione con altri giovani diplo-mati, sulle facciate dei nuoviedifici romani. Dal 1919 avevacominciato a lavorare con Vit-

1920 al ’23 Giovanni Jacobuccilavora in qualità di direttore tec-nico ed artistico anche allacostruzione di venti fabbricatinell’ambito della Cooperativa“Voluntas et labor” in viaSalaria, sotto la guida dell’Ing.Francesco Galassi.Tuttavia Jacobucci, che respirògiovanissimo l’aria della capita-le con l’intenzione di stabilirviun funzionale tessuto di relazio-ni, non tagliò mai il cordoneombelicale che lo teneva legatoalla sua terra. Nel ’20 aveva

realizzato lo stemma comunaledel suo paese, ma la prima com-messa di un certo rilievo, aSupino, dove era nato nel1895, arrivò l’anno seguente,

quando fu incaricato per la pro-gettazione e realizzazione di unmonumento ai caduti dellaGrande Guerra. Nello studioromano di via delle MarmorelleJacobucci si dedicava, infatti,oltre che alla progettazione edesecuzione di decorazioni e dilavori di plastica ornamentale,anche alla scultura vera e pro-pria. Il monumento, ritenutointenso ed ispirato, carico “diasciutto dinamismo e di fortevolitività”,1 raffigura un soldatoche stringe un vessillo nella

mano sinistra e una bomba amano nella destra; l’opera, dibuona fattura, è realizzata inbronzo, ma, pur apprezzatadalla comunità locale, non pre-

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di Giovanni Fontana G

torio Ballio Morpurgo per le casedella Cooperativa dei FerrovieriItaliani. La collaborazione duròfino al ’23 e sarà molto utile perl’apprezzamento della pratica dicantiere. Morpurgo aveva cin-que anni più di lui ed aveva giàiniziato a farsi spazio nel mondodell’architettura, mettendosi inluce, però, solo nel ’35 con ilprogetto del palazzo per la sederomana del Partito NazionaleFascista, concepito con DelDebbio e Foschini (oggi “La Far-nesina”), e con la sistemazio-ne, nel ’38, di piazza AugustoImperatore e con la conseguen-te realizzazione della tecadell’Ara Pacis, demolita nel2003 per fare spazio al discuti-bile intervento di Meier. Dal

Dai tavoli della Regia

Accademia ai laboratori

del Museo Artistico

Industriale: una formazione

professionale valorizzata

sul campo, permeata

di manualità e di sapiente

artigianalità

GIOVANNI JACOBUCCIL’ARCHITETTURA COME MESTIERE

G I O V A N N I J A C O B U C C I A R C H I T E T T O1 8 9 5 - 1 9 7 0

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fondi. Solo nel1919 - 1920 (conRegio Decreto 31ottobre 1919, n.2593) venne istitui-ta la Regia ScuolaSuperiore di Archi-tettura dell’Universi-tà “La Sapienza” diRoma, per l’insegna-mento congiunto diedilizia, restauro eurbanistica, che, finalmente,diventò Facoltà di Architetturanel 1935. Ma nel ’20 GiovanniJacobucci era già alle soglie deldiploma tradizionale, e ottene-va nel ’21 il titolo accademicoin disegno architettonico, di-stinguendosi anche come vinci-tore del concorso “Montiroli”.

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senta, per la verità, caratteristi-che di particolare pregio artisti-co, riprendendo e riproponendoun modello realistico utilizzatoin tanti monumenti sorti in que-gli anni in po’ in tutta la peniso-la, quando quasi ogni comunepiangeva ancora le giovani vitesacrificate sul fronte di quellarovinosa guerra di posizione.Un paio di anni dopo realizzavaun monumento a Valmontoneche raffigurava una vittoriaalata. Giovanni Jacobucci, chepure aveva vissuto in prima per-sona quei tragici momenti comecombattente, cadde in quell’oc-casione nella trappola della reto-rica. Del resto pesava fortemen-te sulla sua formazione l’espe-rienza degli studi effettuati in

strutture che non erano neppurestate sfiorate dalle istanzemoderniste. Il futurismo, cheaveva lanciato il suo messaggiorivoluzionario nel 1909, nonaveva potuto minimamenteintaccare la scorza classicistadelle istituzioni accademiche,che, roccaforti della tradizione,dominavano il campo impertur-babili e imperturbate. Jacobucciaveva studiato all’Istituto d’Artedi Velletri. Poi aveva frequenta-to istituti superiori: la RegiaAccademia di Belle Arti e il MAI,Museo Artistico Industriale.L’Accademia di Belle Arti in que-gli anni si muoveva ancora nel-l’ambito di un eclettismo anacro-nistico, talora addirittura pateti-co; il Museo Artistico Industriale,

invece, tendeva, senza genialiilluminazioni, a formare decoro-si artigiani per l’industria edili-zia. In un momento in cui l’ar-chitettura richiedeva rinnova-menti radicali, se non altro perl’offerta di nuove tecnologie e dinuovi materiali da parte dellerealtà produttive, si insisteva nelrecupero di forme e di stili dalpassato.D’altra parte le scuole di archi-tettura attraversarono in queltempo vicende molto travaglia-te. Nell’anno accademico 1914-15 furono istituite scuole supe-riori di architettura presso i RegiIstituti di Belle Arti di Roma,Firenze e Venezia; ma ebberovita effimera: l’esperimento noncontinuò per mancanza di

G. Jacobucci, progettoper il Palazzodell'AmministrazioneProvinciale di Frosinone.Prospetto laterale.Sullo sfondo: planimetriagenerale con le quote discavo. (Documentiriprodotti perconcessione dell'ArchivioStorico Provinciale diFrosinone - Divieto diulteriore riproduzione)

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tive di interni ed esterni, cometestimoniano molte tavole ese-guite durante gli studi e conser-vate oggi all’Accademia di SanLuca nella “Collezione dei dise-gni di architettura” costituita daun corpus di circa 4000 opere,principalmente relative ai con-corsi e ai saggi scolastici tenutiall’interno dell’istituzione esolo in parte provenienti daaltre raccolte, dal XVII secolofino agli anni ’30.Al Museo Artistico Industriale,sempre nel ’21, Jacobucci sidiploma con il massimo dei votiin storia dell’arte e in decorazio-ne plastica e architettonica. IlMuseo era nato a Roma nel1874 per iniziativa del principeBaldassarre Odescalchi e del-l’orafo Augusto Castellani comeraccolta di manufatti dall’anti-chità al XVIII secolo, ma anchecome scuola di formazione perartigiani specializzati, un po’

secondo il modello inglese.All’origine si poneva comeun’istituzione di tipo piuttostoavanzato, in linea con importan-ti esperienze analoghe inEuropa, nonostante alcune con-traddizioni legate alla valorizza-zione delle manifatture tradizio-nali piuttosto che al rinnova-mento della produzione indu-striale. Uno dei modelli fu ilmuseo South Kensington diLondra, nato nel 1857 per pro-muovere gli studi di arte e didesign con riferimento alla cultu-ra neomeccanica inglese, doveun tale progetto di rinnovamen-

I concorsi rappresentavano unadelle attività più importantidell’Accademia di San Luca. Ifondi erano messi a disposizio-ne dal Vaticano o da privati, perlo più da antiche famiglie patri-zie. Il concorso di architettura“Giovanni Montiroli” (architet-to nato a Spoleto al quale sideve l’assetto attuale del tea-tro Caio Melisso in quella città)fu istituito nel 1887-88 e siaggiunse ad altri concorsi diarchitettura dell’Accademia,quali il concorso “Luigi Poletti”,istituito nel 1859, e il “PremioGiorgio Lana”, istituito nel1878, che imponeva cometema d’esame la composizionedi edifici in stile classico greco oromano (!). La prova del con-corso “Montiroli” consisteva,invece, in un ex-tempore e nelrelativo sviluppo progettualesenza vincoli stilistici. Il primopremio dava diritto ad un pen-sionato triennale. GiovanniJacobucci, alle prese con un“progetto per un edificio perrappresentazioni cinematografi-che”, si distinse probabilmenteper la sua padronanza delsegno e per la facilità con laquale tracciava efficaci prospet-

to veniva fortemente sentito eperseguito. Lo spirito originario del MAI,invece, era quello di risollevarel’artigianato e la piccola indu-stria manifatturiera messi in crisidalla politica industriale che con-centrava l’attenzione al nordfavorendo lo sviluppo economi-co e infrastrutturale soltanto inquella realtà. Nonostante la

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la dimensione tecnica. In ognimodo il Museo, sia pure con dif-ficoltà, contribuì notevolmentealla formazione di nuclei di arti-sti-artigiani che svolsero dignito-samente un ruolo piuttostoimportante nel panorama roma-no. L’istituzione ebbe una vitadifficile per mancanza di fondi eper i continui spostamenti disede, tanto che il settore esposi-tivo (il MAI disponeva, infatti, diinteressanti e pregevoli collezio-ni) fu spesso penalizzato.Tuttavia l’insegnamento con-giunto di teoria e pratica in

apposite officine-laboratorio fudeterminante; sia pure con note-vole ritardo rispetto alle consimi-li esperienze europee e certa-mente con minore efficacia,segnò, tuttavia, una svolta signi-ficativa per lo sviluppo delle artiapplicate secondo orientamentipiù adeguati ai tempi. Ci sicominciò ad allontanare dallo

distanza tra Roma e il nordimprenditoriale e, quindi, lamancanza di collegamenti diret-ti tra l’idea di arte applicata el’industria, si pensava a vere eproprie università del lavoro. Iprimi corsi prevedevano l’inse-gnamento della tecnica dellosmalto su metallo, la modella-zione in cera, la decorazione pit-torica. Fu istituito successiva-mente un corso di storia dell’ar-te per sostenere culturalmente

studio dei modelli classici e dellatradizione, anche se la ventatadi rinnovamento, che in Inghil-terra aveva preso le mosse dalmovimento “Arts and Crafts”,arrivò sul territorio nazionalepiuttosto indebolita. L’Italia fuuno degli ultimi paesi ad acco-gliere le istanze innovative deglioperatori internazionali del set-tore, con conseguenze piuttostogravi nella cultura architettoni-ca. Come è stato più voltemesso in evidenza, infatti,l’evoluzione del gusto trova unveicolo privilegiato nell’artigia-nato piuttosto che nell’architet-tura. Una delle classiche inter-pretazioni sulla trasformazionedel gusto, come rileva BrunoZevi nella sua fondamentale“Storia dell’architettura moder-na”,2 è proprio fondata sulla tesiche “tende a stabilire una prece-denza dell’artigianato sull’archi-

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tettura. Si osserva la bellezzasemplice e immediata dei piùumili utensili da lavoro dellaprima metà dell’Ottocento, se-die, scaffali o divani-letto: làdove non ha incontrato ostacoliin pregiudizi culturalistici, l’evo-luzione del gusto si è espressain senso semplificatore e pro-gressivamente antidecorativo”.Nel contesto romano il respiro diun grande movimento che riaf-fermasse tutto il valore culturalee sociale dell’arte applicata, con-tro l’idealismo estetico, non riu-scì ad essere perfettamenteaccolto per la mancanza di unserio collegamento all’organiz-zazione produttiva. Agli inizi delNovecento era ormai consolidatasolo la tendenza a formare arti-giani per l’industria edilizia tradi-zionale che in quel momento sipresentava come un settore trai-nante nell’economia. Del resto,a Roma, quello era l’unico tipodi industria praticabile. Permigliorare gli esiti formativi, aicorsi di stucco, intaglio, cerami-ca, pittura su vetro, decorazionesi affiancarono corsi di storia del-l’arte applicata all’industria, digeometria e di architettura. Ma iprimi anni Venti segnarono unmomento di forte crisi del MAI.Ormai il mondo dell’ediliziastava cambiando radicalmente.Il classicismo aveva il respirocorto, non otteneva più spazi difacile accoglienza. Il moderni-smo cominciava a giocare seria-mente le sue carte.Jacobucci si trova a vivere in

pieno questo momento di crisi.Solo qualche anno dopo il suodiploma, precisamente nel ’28,il commissario straordinario delMuseo progettava di rilanciarela scuola pensando di poter arri-vare a definire un vero e proprioIstituto Superiore per le Indu-strie Artistiche. Al centro dell’at-tenzione veniva posta l’architet-tura e si cominciava ad avereriguardo verso i concetti di fun-zionalità e razionalità. Del resto,se tutto l’Ottocento e i primiventi anni del Novecento furonoin Italia culturalmente anacroni-stici, bisognava in qualchemodo porre rimedio, soprattuttoper contrastare la mancanza direale espressività poetica e divalida sperimentazione. Jaco-bucci per motivi anagrafici nonriuscì a galoppare il cavallo diquesto rinnovamento, ma sep-pure in un momento così critico,il rapporto con l’ambiente delMAI gli aveva fornito utili stru-menti per orientarsi nel mondodel lavoro e per avere contattipreziosi alla sua formazione cul-turale. Il MAI aveva accoltocome studenti, e poi come do-centi, figure come Duilio Cam-bellotti e Adolfo De Carolis,mentre artisti come Basilio Ca-scella e Arturo Martini vi lascia-rono impronte importanti.Appena diplomato il giovaneJacobucci frequenta assidua-mente gli ambienti romani e siconfronta con artisti ed artigianinelle botteghe che in queglianni riprendono a vivere mo-

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G. Jacobucci, Palazzodell'AmministrazioneProvinciale di Frosinone.Prospetto posteriore esezione trasversale.Nelle pagine precedenti:visione prospettica delfronte principale.(Documenti riprodottiper concessionedell'Archivio StoricoProvinciale di Frosinone -Divieto di ulterioreriproduzione).Collaborarono agliesecutivi strutturali gliingegneri Paolo Carcanoe Carmine Moscati degliuffici tecnici dell'Ente.

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menti piuttosto dinamici, siapure in un clima di disarticolatacoerenza e di incertezze. Il fattoè che il dubbio, di fronte alle dif-ficoltà economiche, fa orientarel’ago della bilancia lì dove ilpiatto basculante è pieno e spin-ge ad evitare, invece, ogni av-venturosa incognita.

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Se in Italia l’Ottocento si eraprolungato fino alla fine dellaPrima Guerra Mondiale, i diecianni successivi furono determi-nanti per lo sviluppo di unacoscienza critica nel mondo del-l’architettura; ma non furono inmolti a capire che le cose stava-no cambiando. I professionisti

più avvertiti furono spinti a privi-legiare nel progetto le valenzedi tipo tecnico in stretto collega-mento con i criteri funzionalisticilegati a quelle finalità socio-eco-nomiche che erano ormai impo-ste dalle nuove realtà meccanici-stiche, industriali ed urbanisti-che. Bisognava rifuggire dall’in-canto insulso delle sirene ana-cronistiche del classicismo.Tuttavia, riconsiderando nel qua-dro formativo le carenze delpiano didattico accademico, sipuò ben comprendere come siastato più facile, per coloro chehanno avuto l’opportunità[mancata a Jacobucci] di utiliz-zare le nuove strutture universi-tarie, formulare, con lucidità econsapevolezza critica, incisivipercorsi di rinnovamento. È nel1926 che, con Adalberto Libera,Figini, Pollini, Rava, Terragni edaltri giovani architetti, nasce ilrazionalismo italiano, fenomenodi matrice più milanese cheromana. I primi atti del grupponon hanno molta risonanza, fin-ché Adalberto Libera non spingeaffinché si organizzi a Romauna mostra al Palazzo delleEsposizioni: la “Prima Espo-sizione Italiana di ArchitetturaRazionale”. L’evento fu mini-mizzato dai media del tempo edalle istituzioni e classificatocome risultato di esuberanzagiovanile. Ma la determinazionedel gruppo, che intanto si eraallargato, portò nel 1931 aduna “Seconda Mostra di Ar-chitettura Razionale”, sempre aRoma, nella galleria Bardi di ViaVeneto. Molto probabilmentequeste occasioni furono perJacobucci importanti veicoli diconoscenza e di aggiornamentosul piano tecnico e poetico.Egli aveva da qualche annocominciato a battere con mag-giore determinazione la strada

In alto: Palazzodell'AmministrazioneProvinciale di Frosinone,planimetria generale,nella quale sono riportati i binari delleFerrovie vicinali e laStazione di Sant'Antonio,che insisteva sull'areadell'attuale chiesaomonima.In basso: pianta dellacopertura.(Documenti riprodottiper concessionedell'Archivio StoricoProvinciale di Frosinone- Divieto di ulterioreriproduzione)

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dell’architettura, anche senzaabbandonare il lavoro di decora-tore che tuttavia andrà ricopren-do un ruolo sempre meno impor-tante nella sua attività professio-nale. In ogni modo, per Jaco-bucci, il lavoro dell’architetto èun vero e proprio mestiere, con-dizionato dalla capacità di osser-vazione, permeato di esperienzesul campo, di manualità, di verae propria artigianalità, essendostate da sempre richieste compe-tenze specifiche nel campo delladecorazione: un mestiere cheagli inizi del secolo riflettevaancora tutto l’universo stilisticoclassico, sia pure con la media-zione delle esperienze illumini-stiche che erano servite a disci-plinare gli stili in un’ottica talo-ra simbolica, talora para-funzio-nale, e che offriva opportunità dioccupazione specialistica proprionell’ambito ornamentale.Nel 1925 apre il suo primo stu-dio di architettura in via degliZingari, affiancandolo a quellodi via delle Marmorelle dovecontinuerà ad esercitare l’attivi-tà di scultore e decoratore. Invia degli Zingari opererà fino al1932, anno in cui si trasferiscein via G.B. Vico, mentre lo stu-dio di via delle Marmorelle, chescompare a seguito delle demo-lizioni per la realizzazione di viadei Fori Imperiali, si sposta a Viadi Passeggiata di Ripetta.Gli anni Venti sono quelli cheportano alla fondazione del-l’ENAPI, Ente Nazionale Artigia-nato e Piccole Industrie, chenasce nel 1925 a giustificarel’attenzione del governo perl’artigianato. Il programma sa-rebbe stato quello di affiancarele energie di artisti e progettistia quelle di capaci artigiani perottenere manufatti che espri-messero nuovi contenuti. E arti-sti e progettisti sono sollecitati

per fornire nuove idee alle indu-strie nazionali. Tramite l’ente siinviano progetti a ditte del nord.Ma si registrano difficoltà neirapporti tra l’ente ed il mondodella produzione; in realtà all’ar-tigianato viene riservato unruolo minoritario visto che ilmiraggio del posto fisso andavaguadagnando spa-zio. Il governo, infat-ti, stava favorendolo smantellamentodei presupposti so-ciali che ancora ali-mentavano le tradi-zioni artigiane.Agli operatori delsettore non restache alimentare il dibattito tecni-co-culturale per destare l’atten-zione del mercato. Ci si racco-glie spesso in gruppi tempora-nei di lavoro all’interno dei qualile singole specializzazioni trova-no occasioni di scambio multidi-sciplinare.Jacobucci, che confida ancoranei valori dell’artista-artigiano,nel 1927 viene nominatoDirettore artistico dell’Ente, dicui è responsabile per le operein ferro e altri metalli. Ma ormaila sua professione principaleruota intorno all’architetturavera e propria. In base alledisposizioni transitorie dellalegge 24/06/1923 n. 1395,in vantaggio dei diplomati degliIstituti di Belle Arti per l’eserci-zio della professione di architet-to, partecipa al concorso perl’accesso all’Ordine e nel 1928si iscrive finalmente all’Albodegli Architetti.Quando nel 1930 assume l’in-carico per la realizzazione delPalazzo dell’AmministrazioneProvinciale di Frosinone, Jaco-bucci è un trentacinquenne conuna buona esperienza tecnica epratica che, però, non è ancora

Piante del Palazzo.Rispettivamente: pianoterreno, primo e secondopiano. (Documentiriprodotti perconcessione dell'ArchivioStorico Provinciale diFrosinone - Divieto diulteriore riproduzione)

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riuscito a condividere i principidella nuova architettura. Si tro-va da solo di fronte al suo primoprogetto importante, da solo,sia pure con la collaborazionedegli Uffici Tecnici interni al-l’Amministrazione, di fronte allasua prima importante sceltastrutturale e da solo di fronte aduna sicura pressione dell’istitu-zione per quanto concerne l’im-magine dell’edificio. E quest’ul-timo aspetto non è secondario.Del resto l’eclettismo è ancoravivo e bisogna ricordare che unodei principi di quel movimento èproprio quello secondo il qualein base alle richieste della com-mittenza si possa attingere adun repertorio della tradizione.Concetto diffuso, per esempio,da architetti come Gino Coppedèche agli influssi dell’Art Nouveaufonde modelli medievali emanieristici. Le sue costruzioniin via Po sono del 1921. Annoin cui Jacobucci consegue il suodoppio diploma e in cui già lavo-ra sulla via Salaria.L’assuefazione al repertorio cor-rente e l’abitudine alla manuali-tà accademica, nonché l’esigen-za della committenza di sottoli-neare secondo canoni consolida-ti l’ufficialità della nuova istitu-zione pubblica [la Provincia diFrosinone è stata istituita for-malmente con il RDL n. 1 del 2gennaio 1927], condizionanofortemente il progetto.Il 1930 inaugura in Italia undecennio conflittuale per l’archi-tettura, carico di eventi impor-

tanti e significativi, da un lato,e, dall’altro, ricco di manovremonumentalistiche che condur-ranno all’asfissia delle intelli-genze innovatrici. Scriveva Giu-seppe Pagano nel n. 123 di“Casabella” (anno X, marzo1938): “Anche le persone ap-parentemente più serie discuto-no di monumentalità; si preoc-cupano di atteggiamenti forma-li; vanno ricercando volentieri icaratteri di nuove rettoriche e sirassegnano persino a non consi-derare necessario l’indispensabi-le, pur di veder soddisfatta l’ap-parenza ‘monumentale’ […]Chi crede in questa monumenta-lità è irrimediabilmente fuoridella realtà della vita e della sto-ria, anche se ha molta fortunanel mondo delle convenzioni edei compromessi. Gli architettimoderni combattono questa fis-sazione assurda, non per partitopreso contro la monumentalitàma proprio perché credono inuna possibilità monumentaleche non consiste nell’uso diforme archeologiche ma in qual-che cosa che è forma e spirito aun tempo, idea e viva rappre-sentazione di questa idea, mas-sima espressione di attività arti-stica e non prodotto da laborato-rio calcografico”. Giovanni Jacobucci, che raggiun-gerà la piena maturità da qui aqualche anno in alcuni interes-santi progetti di edifici pubblici,non ancora indipendente nellescelte stilistiche, cede al modelloclassico. Il palazzo, sia pure rigo-

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Palazzodell'AmministrazioneProvinciale di Frosinone,prospetto laterale esezione longitudinale.(Documenti riprodottiper concessionedell'Archivio StoricoProvinciale di Frosinone -Divieto di ulterioreriproduzione)

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rosamente composto e propor-zionato nelle sue membrature,non denuncia all’esterno alcunsegno di novità. Rimescola, siapure con sobrietà, i caratteri stili-stici della tradizione e non di-chiara la scelta strutturale.L’edificio, infatti, nasconde la suaossatura in cemento armato,

che, invece svolge un ruoloimportante nel quadro compositi-vo, perché ne condiziona il di-mensionamento, consentendo ladefinizione degli spazi interni piùimportanti. In effetti, tale struttu-ra, appena intuibile all’esterno, èpiù leggibile all’interno nelleopere che consentono la realizza-

zione degli ampi spazi dell’atrio,della scala e del salone di rappre-sentanza. L’edificio si pone per-tanto controcorrente rispetto aquanto propugnato dagli architet-ti delle scuole tecnicistiche cheesaltano la struttura o che,comunque, la denunciano chiara-mente, per sottolineare la dipen-

denza delle forme architettoni-che dai materiali e dalle tecnolo-gie adottate. In realtà il proble-ma è di tipo essenzialmente cul-turale, legato, come abbiamovisto, agli insegnamenti impartitie al taglio dei corsi frequentatidall’architetto. Nel periodo dellaformazione scolastica ed accade-

mica di Jacobucci, così come nonsi registrano segni di contrastoverso il vocabolario della tradizio-ne figurativa, non si leggono isegni di una nuova coscienzastrutturale. Eppure Henry Van deVelde aveva gridato che “i crea-tori della nuova architettura sonogli ingegneri”, quando Giovanni

Jacobucci non andava ancora alleelementari. Ma, per dirla conBruno Zevi, “la realtà è che làdove un artista anche di temprarobusta non trova un humus cul-turale che lo stimoli, ma solo pre-concetti autoritari, piatte regole,conformismo, per forza appassi-sce e si umilia: il rapporto tra lasituazione consolidata e l’ele-mento di novità che egli apportaè troppo a vantaggio del primotermine”.I disegni di Jacobucci, per laverità tutti di buona fattura,accurati nel tratto, efficaci dalpunto di vista della resa prospet-tica e chiaroscurale, sono moltolontani dalle nuove forme di lin-guaggio architettonico e ignora-no completamente il vocabola-rio delle avanguardie. Il futuri-smo nel ’30 ha già vissuto il suoperiodo eroico. Antonio Sant’Elia è già morto daquattordici anni. Il suo Ma-nifesto dell’Architettura futuristaera del 1914. Cubismo, neopla-sticismo, costruttivismo hannogià da tempo lasciato le loroimpronte sugli spazi, i volumi, lesuperfici dell’architettura euro-pea. Ma Jacobucci non è coin-volto nella nuova cultura figura-tiva. Ciò che viene osservata èancora la regola ottocentescache si fonda sulla solidità dellacassa muraria, sulla massa, sulmonumentalismo schiavo dellasimmetria e delle partizioniregolari, sull’importanza di unfronte privilegiato come voltoistituzionale rivolto allo spaziourbano. In realtà ciò che mancaè una seria presa di coscienzadel rapporto tra l’architettura e ilmondo che cambia, la città checambia, l’uomo che cambiasulla scorta di nuovi modi divivere e di relazionarsi, nuovimodi di comunicare e di utilizza-re lo spazio urbano.

Palazzodell'AmministrazioneProvinciale di Frosinone,progetto dell'impianto diparafulmine e particolaricostruttivi degli infissi.(Documenti riprodottiper concessionedell'Archivio StoricoProvinciale di Frosinone- Divieto di ulterioreriproduzione)

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Nella fattispecie l’immagine del-l’edificio non è supportata da uncontesto significativo, né, percontro, l’edificio è realizzato percondizionare e definire lo spaziourbano, se non secondo la logi-ca più elementare. Il palazzo èisolato in un ambito dove l’uni-ca preesistenza è la stazionedelle ferrovie vicinali, pocodistante. Qui, la realtà della pro-vincia, in particolare di questanuova provincia, essenzialmen-te agricola e lontana dal pulsareritmico delle grandi città, vivesolo di riflesso i segni della rivo-luzione sociale in atto, così pro-fonda in quegli anni, e prende ilsopravvento indicando, appun-to, un modello “provinciale”.C’è qui ancora la nostalgia delpassato, di un passato che siritiene ancora giustificabile nelle

forme delle sue architetture, main realtà vertiginosamente risuc-chiato e digerito da molteplicieventi culturali. È solo dopo qualche anno chel’architetto Giovanni Jacobucciprende coscienza di ciò che èavvenuto intorno al suo mondodi artigiano-decoratore. Le nuo-ve realtà territoriali conseguentialle trasformazioni sociali, inalcuni casi addirittura radicali, ilvertiginoso addensamento urba-no e le rivoluzioni linguistiche,che traducono in nuove forme leistanze degli intellettuali, creanonuovi varchi nel modo di sentirel’architettura.In realtà mancò la percezionedell’importanza fondamentaledi connettere le ragioni dellacontemporaneità con l’arte,come era mancata ai tempi del

MAI la percezione chiara del-l’eco delle trasformazioni delgusto, che nel mondo anglosas-sone avevano preso piede gra-zie alla determinazione di in-tellettuali come William Morris eche avevano dato impulso conle Arts and Crafts ad un vero eproprio movimento rivoluziona-rio; da lì sarebbe scaturito ilcosiddetto “linearismo funziona-le” dell’Art Nouveau, che, nel-l’accezione italiana del Liberty,lo studente Jacobucci riesce adapprezzare in lavori come il“progetto per un cinematogra-fo” del 1918, dove si esprimecon buona mano e con sapien-za distributiva. Poi, però, pur-troppo lascia che la sua espe-rienza scorra ancora sul reperto-rio classico. Jacobucci aggance-rà il treno del razionalismo con

Tipologie degli infissi.(Documenti riprodottiper concessionedell'Archivio StoricoProvinciale di Frosinone -Divieto di ulterioreriproduzione)

molto ritardo, e, quando nel’30 progettava il Palazzo dellaProvincia, a dar segnali di rinno-vamento a quel razionalismo,già si affacciava sull’orizzonteinternazionale l’architettura or-ganica.C’è quindi una sfasatura costan-te nella percezione delle istanzeinnovative, che, comunque, nelbilancio complessivo della suaopera, non invalida mai la pro-fessionalità e il mestiere, comesi evince da progetti come la Co-lonia marina di Serapo-Gaeta,realizzata in soli settanta giornie distrutta nella Seconda GuerraMondiale, o il Palazzo della Ca-mera di Commercio Industria eArtigianato di Frosinone. Questiedifici, progettati tra il ’31 e il’32, presentano caratteristichestilistiche omogenee, e lanciano

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Jacobucci si esprime con legge-rezza ed eleganza offrendo unadelle sue opere migliori. Un solorammarico: purtroppo oggi l’ope-ra, che ha perduto da tempo lasua originaria funzione, risultacompletamente manomessa edeturpata da tompagnature esuperfetazioni diverse.

Anche il progetto della Casadella Madre e del Bambino aFrosinone, del ’38, si presenta-va interessante. Nell’originariaversione progettuale, che nonfu fedelmente realizzata, ivolumi orizzontali ricercavanouna funzionale osmosi tra inter-no ed esterno attestandosi sulblocco del corpo scala che svol-geva, seppure asimmetrica-mente, funzione baricentrica.

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segnali di maggiore sobrietà ri-spetto alla precedente esperien-za dell’Amministrazione Pro-vinciale. Ma ecco che a segnareuna fondamentale svolta stilisti-ca è il Palazzo del Laboratorio diIgiene e Profilassi di Frosinone.L’edificio è progettato con unageometria nuova che offre una

singolare soluzione d’angolo,che collega le due ali facendoleconvergere sul fronte di ingres-so, modellato plasticamente condue grandi semicilindri; all’inter-no di questi è incassato il porta-le d’ingresso coronato da unampio fascione. Si può perfetta-mente condividere con Gian-nandrea Jacobucci che si trattadi un “progetto originale e digrande forza espressiva”.3

A seguire, nel 1936, Jacobuccirealizza la stazione delle autoli-nee a Sabaudia, un piccolo e pre-gevole edificio, con pensiline for-temente aggettanti e ampievetrate, in perfetta sintonia conlo stile della città progettata daPiccinato, Cancellotti, Montuori eScalpelli nel ’33, che dichiara

con taglio funzionale e antiretori-co un modo di concepire l’urbani-stica a dimensione umana, inarmonia con la nuova coscienzaorganica dell’architettura. Qui

N O T E1. Giannandrea Jacobucci, Giovan-ni Jacobucci Architetto, EdizioniKappa, Roma 19962. Bruno Zevi, Storia dell’architet-tura moderna, Einaudi, Torino,19613. Giannandrea Jacobucci, cit.4. Ibidem

Il prospetto principaledel Palazzodell'AmministrazioneProvinciale di Frosinone.Nella foto: l'architettoJacobucci e alcunicollaboratori di fronte al nuovo edificio.

Questa tipologia edilizia apparecongeniale al progettista che lapropone con grande libertà ebuoni risultati compositivi indiverse occasioni. Oltre all’edi-ficio di Frosinone, ne progettaa Roma, alla Garbatella e aPrimavalle, a Pontecorvo, aSan Nicola di Lecce. Si tratta diinterventi tra i più interessantinella produzione degli anni ’30e ’40; a questi si aggiungonoaltre opere che, salvo alcuneeccezioni, respirano ormai l’at-mosfera del modernismo,come il Palazzo dell’INAIL aFrosinone che verrà realizzatonel 1937 con linee rigorosa-mente geometriche proprio nel-l’area antistante il Palazzodell’Amministrazione Provincia-le. Tra i numerosi progetti è dasegnalare anche la ricostruzio-ne del Palazzo del Governo,bombardato nel ’44, e ripreso,però, facendo un salto a ritrosoche rispolvera la classicità enon rinuncia agli aspetti cele-brativi.Si tratta, in ogni modo, di unulteriore tassello aggiunto al pro-cesso di riorganizzazione del ter-ritorio comunale che vedeGiovanni Jacobucci artefice delPiano di ricostruzione, nel1948, e, nel 1953, vincitoredel concorso per la redazionedel Piano Regolatore Generaledella città, rimasto però inattua-to. Con una così cospicua offertadi interventi, sia prima che dopola Seconda Guerra Mondiale,l’architetto contribuisce forte-mente alla nuova immaginedella città. Secondo Giannan-drea Jacobucci “fu proprio luiuno dei promotori dello sviluppoarchitettonico ed urbanistico diFrosinone realizzando una seriedi importanti opere, ma ancorpiù sostenendolo come cittadinoillustre e ciociaro”.4

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vocare oggi la figura diGiovanni Jacobucci, apprezza-to scultore-architetto, a distan-za di ben quarant’anni dallasua morte, credo sia un attodovuto, per interrompere lostato di oblio al quale, immeri-tatamente, è stato destinato,dal momento che ha contribui-to, a pieno titolo, con le sue

uno studio di scultura e decora-zione in via delle Marmorelle.In tale periodo produce moltissi-mo, “lo testimoniano le numero-se decorazioni e gli ornamentidelle facciate di molti fabbricatidi Roma ancora all’insegna dellostile liberty […]. Intorno allaboratorio di decorazione ruota-no moltissimi artisti, artigiani ma

dienti fondamentali per un arti-sta”.2

Nel 1928 si iscrive all’OrdineNazionale degli Architetti in virtùdella legge n. 1395/1923(Calza Bini), dopo aver superatoil concorso.3

Successivamente, nel 1930,ormai noto più per il suo lavorodi “bottega d’arte” che di archi-

GIOVANNI JACOBUCCICLASSICO E ANTICLASSICO

opere, alla crescita e alla rico-struzione della città di Frosi-none, ininterrottamente e conscrupolosa professionalità dal1930 al 1950.1

In questo lungo periodo operaanche in diversi comuni dellaprovincia di Frosinone e fuoridalla sua terra natia, soprattuttoa Roma, la sua città adottiva,dove in effetti approda giovanis-simo, nell’anno 1921, aprendo

soprattutto amici, legati tra lorodalla passione per l’arte […].Escono di lì: bozzetti, gessi,decorazioni, sculture di legno edi bronzo, per committenti priva-ti […]. In una Roma, oggi spa-rita, la materia delle sue scultu-re, delle sue decorazioni, sifonde, con i rumori ed i suonidella suburra romana […]. LaRoma dei papi è solare, sornio-na, sguaiata, indolente, ingre-

tetto, ottiene il prestigioso inca-rico di progettazione del Pa-lazzo dell’Amministrazione Pro-vinciale di Frosinone. In verità,la città di Frosinone è statamolto generosa nei suoi con-fronti; basti citare, in ordine ditempo, i successivi incarichi perla costruzione di numerosi edifi-ci pubblici e privati tra i qualiricordiamo, in particolare, l’edi-ficio della Camera di Commercio

di Luigi Bevacquafoto di Daniele Baldassarre

Tradizione emodernismo

nella definizionedell’immaginedel capoluogo

1. Il Palazzodell'AmministrazioneProvinciale di Frosinonein una vecchia fotografia(collezione Nanni DePersiis - Norma Orci).

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G I O V A N N I J A C O B U C C I A R C H I T E T T O1 8 9 5 - 1 9 7 0

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Industria, Artigianato e Agricol-tura (la sopraelevazione è avve-nuta nell’anno 1960) e l’edifi-cio di Igiene e Profilassi, oradestinato ad Accademia di BelleArti (1932); le sedi della CassaMutua e dell’I.N.A.I.L (1937);la Casa della Madre e del Bam-bino, O.N.M.I (1940); il Pa-

lazzo del Governo (ristruttura-zione ed ampliamento) ed il Pa-lazzo degli Industriali (1949);la Caserma dei Carabinieri(1950).Grazie a questi importanti e mi-rati interventi, il modesto nu-cleo urbano di Frosinone haacquistato una sua nuova iden-

tità e un iniziale decoroso asset-to urbanistico.È pur vero che gran parte degliedifici realizzati negli anniTrenta e Quaranta sono statilocalizzati in assenza di unpiano organico, anche perchénon era ancora avvertita l’esi-genza di una programmazione

dello sviluppo dello spazio urba-no, vale a dire di una disciplina(l’urbanistica) che governasse ilterritorio.4 L’esigenza dell’urba-nistica, come scienza moderna,“è nata dalla necessità di af-frontare con metodo i graviproblemi determinati dal muta-mento del fenomeno urbano acausa della ‘rivoluzione indu-striale’ e della conseguente tra-sformazione della strutturasociale, dell’economia, delmodo di vita”.5 L’Urbanisticamoderna “è la prima e più si-

2 e 3. Palazzodell'AmministrazioneProvinciale di Frosinone

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gnificativa espressione delle esi-genze collettive della societàcontemporanea, che impongo-no condizioni più adeguate divita, e cioè luce, igiene, abitabi-lità, in ogni dimora urbana”.6

L’architetto Jacobucci, però, purnon essendo urbanista, intuitiva-mente riesce a fare delle ottimescelte di localizzazione degliinterventi, probabilmente coadiu-vato dalle Autorità locali, ancheperché guidato, in cuor suo, dallanecessità intima di valorizzare almassimo il territorio, a comincia-re dai servizi indispensabili edalle infrastrutture necessarie edi salvaguardarne alcuni aspettipeculiari. “ Le bellezze naturalied artistiche di Frosinone eProvincia hanno trovato in lui unconvinto propugnatore ed unestremo difensore durante la suapermanenza in qualità di mem-bro dell’apposita commissioneedilizia del capoluogo”.7

Le premesse, dunque, per unosviluppo organico della città diFrosinone, nell’interesse e a dife-sa delle sue bellezze naturali epaesaggistiche, l’architetto Jaco-bucci (e di questo ha grandemerito) le pone già in essere inmodo perentorio, sostenute edavvalorate in seguito con la reda-zione del Piano di Ricostruzionedel 1948 e successivamente conla redazione del P.R.G. del 1953,in qualità di vincitore del concor-so nazionale bandito dal Comunedi Frosinone.“Certo è che gradualmente, almonumento singolo ed alla suastrada, si sostituiscono ‘zoneurbanistiche’[…]. In questeplanimetrie e nella composizio-ne dei volumi architettonici,cioè nella ‘creazione ambienta-le’, ha possibilità di espressionela personalità e la fantasia del-l’artista”.8

Le indicazioni e prescrizioni di

detto piano sicuramente saran-no state ritenute troppo restritti-ve dai responsabili del governodella città, non ad uso e consu-mo delle esigenze “effettive”,dal momento che ad esso èsubentrato il nuovo piano regola-tore generale, adottato dalComune di Frosinone nel 1972:

un piano, a tutt’oggi in vigore,con una previsione di crescitaassurda, fuori misura (120.000abitanti!),9 che ha determinatoe giustificato un’accelerazioneincontrollata della speculazionedel suolo e dei fabbricati urbanie, come si sa, il conseguentedegrado progressivo della quali-

tà della vita dei cittadini. La storia della crescita della cittàdi Frosinone è un fatto acquisito.Cito solo due esempi emblema-tici: via Firenze e viale Roma. Invia Firenze migliaia di metri cubidi cemento hanno invaso e can-cellato in pochi anni la panorami-ca e verdeggiante collina; in via-

Palazzodell'AmministrazioneProvinciale di Frosinone.4. Scalone d'ingresso.5. Dettaglio dellafinestra centrale delsalone dirappresentanza.6. Salone dirappresentanza.Particolare del soffitto a cassettoni.

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le Roma, sulle preziosissime ve-stigia archeologiche dell’Anfi-teatro romano, è stato realizza-to un insediamento residenzialedi vaste proporzioni, oggi utiliz-zato in buona parte per istitutiscolastici. Crescita del territorio della cittàdi Frosinone, dunque, in netta

contrapposizione con i pregevolimodelli insediativi e istituzio-nalmente rappresentativi previstidall’architetto Jacobucci.Tuttavia, nell’architettura il no-stro si ispira prevalentemente ai

modelli classici. GiannandreaJacobucci ricorda che i “suoi pro-getti furono determinati edinfluenzati dall’estetica di quelperiodo (fine prima guerra mon-diale, periodo fascista, secondaguerra, ricostruzione […]. In-naturale quindi, oltre che impos-sibile, sarebbe stato separarne

le forme dai contenuti, la fisicitàdelle cose da lui fatte dalla reto-rica ideologica del tempo”.10

È, comunque, l’epoca in cui “gliarchitetti cessarono di occuparsidi architettura, limitandosi a

disegnarla”.11 Il lessico del mo-dello classico s’impone con tuttala sua virulenza, con la simme-tria, con il parallelismo dellelinee (l’asimmetria e l’antiparal-lelismo sono ormai codificaticome invarianti del linguaggiomoderno); prevalgono la rappre-sentazione aulica, sovrastruttu-rale, i tracciati ortogonali, gli alli-neamenti orizzontali e verticali;il modulo finestra, ripetitivoanche se gerarchizzato, concor-re a disegnare la facciata “bidi-mensionale”, determina i rap-porti tra vuoti e pieni e trascural’esigenza dell’alternatività del-l’illuminazione diretta negliambienti interni, in rapporto allenecessità specifiche dell’utenza,non ultima il recupero di collega-menti visivi qualificati conl’esterno (paesaggio).Insomma, “Il risorto classicismo,imperniato sulla prospettiva,depauperò drasticamente il lin-guaggio architettonico. Non siinventarono più gli spazi per lavita umana, si disegnarono gliinvolucri che l’impacchettano.Non più l’architettura, ma il suocontenitore dominò con la pro-spettiva”.12

Giovanni Jacobucci, dunque, si-curo di sé procede per questastrada e si serve degli strumenti(riga a T e squadra) con cui, se-condo Bruno Zevi, si concepisco-no soltanto architetture scatolari.Forse si lascia condizionare, per“obbedienza”, dagli accadimen-ti politici e sociali del tempo. Stento a credere, infatti, che,considerati i suoi studi di storiadell’arte al Museo Artistico In-dustriale, abbia potuto sottova-lutare o ignorare i preziosi segnidi rinnovamento archiviati nellamemoria storica dell’Architet-tura.13 E su un opposto versan-te, occorre anche dire che a Ro-ma, come in tutta Europa, le

7. 8. 9 .G. Jacobucci,Caserma dei Carabinieria Frosinone.

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21TERRITORI

avanguardie artistiche erano giàuna realtà.14

Il mondo era in fermento, incontinua evoluzione, rivoluzio-nario, ribelle, tutto proteso al rin-novamento degli ismi figurativiche si impongono all’attenzioneinternazionale. In architetturaSant’Elia (1888-1916), con ilsuo “Manifesto dell’Architetturafuturista” (1914) determinauna soluzione di continuità traottocento e novecento. Egli con-clama che l’architettura moder-na “è lo sforzo di armonizzarecon libertà e con grande audacial’ambiente con l’uomo, cioè direndere il mondo delle cose unaproiezione diretta del mondodello spirito”15. La prematuramorte, avvenuta in guerra, gli

impedisce di realizzare il suo so-gno della Città futura. In ogni modo, nel campo dell’ar-chitettura si vanno decisamentecreando le basi del linguaggiomoderno, basti citare alcuniarchitetti che si distinguono perla loro forza innovativa ed ilcoraggio di far valere le proprieidee: Wright, in America, con lasua architettura organica; LeCorbusier, in Francia, con la suaricerca formale ed estetica;Gropius, che nel Bauhaus di Des-sau (Germania) scompone ivolumi dichiaratamente disso-nanti ed antiprospettici; Mendel-sohn con la sua Torre Einsteinespressionista a Postdam; Lu-dwig Mies Van de Rohe che perl’esposizione di Barcellona del

1929 progetta il padiglione te-desco con l’adozione di piani(setti) sfalsati che, anche seortogonali e paralleli, determina-no la scomposizione del volumecontenitore e dinamizzano lospazio, ecc; in Italia, nel 1926,la scuola funzionalista di Giu-seppe Terragni (è sua la “Casadel popolo” del 1932); il mo-derno funzionalismo perseguitoda P. L. Nervi, ecc. E come trala-sciare di ricordare i giovani archi-tetti-urbanisti Cancellotti, Mon-tuori, Scalpelli e Piccinato, auto-ri del progetto per la realizzazio-ne, tra il 1933 ed il 1934, dellaSabaudia razionalista?Sono tutti, in effetti, i precursoridel linguaggio moderno, ormaicodificato nelle famose sette

invarianti: “elenco come meto-dologia progettuale, asimmetriae dissonanza, tridimensionalitàantiprospettica, sintassi dellascomposizione quadridimensio-nale, strutture in aggetto gusci emembrane, temporalità dellospazio, reintegrazione edificiocittà territorio”.16

“Scriveva Schönberg che le dis-sonanze non vanno consideratepiccanti condimenti di suoni insi-pidi. Sono componenti logiche diun nuovo organismo che vive,con la stessa vitalità dei prototi-pi del passato, nelle sue frasi enei suoi motivi. Egli scoprì cheuna musica non più riferita auna tonica, a un centro armoni-co, era pienamente comprensibi-le e capace di suscitare emozio-

Edifici di G. Jacobucci a Frosinone.10. Camera diCommercio, Industria e Artigianato.11. Edificio di Igiene e profilassi.12. Cassa mutua.13. Palazzo dellaPrefettura, già Palazzodel Governo.

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ni. Tonalità sta per simmetria,proporzione, consonanza geo-metrica. Gli architetti non l’han-no ancora scoperto”.17

Ebbene, oggi è difficile “parlare”Architettura, ma diventa impos-sibile se l’architetto trascura ilricorso alle dette sette invarianti(secondo B. Zevi se ne possono

aggiungere altre, a volontà, pur-ché non siano in contrasto con leprecedenti), vale a dire ad unlinguaggio codificato moderno,in netta contrapposizione al lin-guaggio degli archetipi Beaux-Arts, ovvero del classicismo.Nelle prime opere di Jacobucci,dunque, prevale il lessico classico

degli anni ’30 che d’altronde siriscontra in gran parte degli edifi-ci realizzati in epoca fascista.Il Palazzo dell’AmministrazioneProvinciale, in effetti, è l’operapiù importante, in assoluto, diJacobucci. “Una miscellanea distili caratterizza l’aspetto este-riore: ben visibile appare il lin-

guaggio che si andava alloradiffondendo, soprattutto nellelesene e nel rivestimento in tra-vertino. Elementi classici, rivisi-tati in ‘chiave barocca’ sonofacilmente individuabili nellaparte centrale del prospettoanteriore e nei timpani dellefinestre delle facciate laterali”.18

L’edificio è pensato secondo icanoni classici:- impostazione simmetrica ri-spetto all’asse centrale (in corri-spondenza dell’ingresso princi-pale) su cui si innestano il gran-de atrio al piano terra, il grandesalone di rappresentanza (adoppia altezza), al piano primo,e la rampa di accesso al pianoprimo (ampia rampa centrale edue comode rampe laterali);- impostazione simmetrica ri-spetto al controasse, in corri-spondenza dell’ingresso secon-dario del prospetto laterale, di

discrete proporzioni, al quale siaccede da un ampio terrazzosorretto da muri moderatamentestrombati, il cui profilo è definitodalla pendenza del terreno;- distribuzione degli ambientiinterni lungo il perimetro esterno;- collocazione dei corridoi lungoil perimetro interno che delimita

14. 15. 16. G. Jacobucci, sededell'I.N.A.I.L. aFrosinone.

14 15

16

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N O T E1. Nel 1996 Giannandrea Jacobucci, nipote di Giovanni Jacobucci, pub-

blica la monografia Giovanni Iacobucci Architetto, Edizioni Kappa,

Roma 1996.

2. G. Jacobucci, Giovanni Iacobucci Architetto, cit.

3. Nel 1916/21 frequenta il Regio Museo Artistico Industriale e con-

segue il diploma in Storia dell’Arte, decorazione plastica e architettoni-

ca nel 1921.

4. La legge urbanistica è stata approvata il 17 Agosto 1942

(n. 1150).

5. G. Carlo Argan, L’arte moderna. Storia dell’arte classica e italianadiretta da G. C. Argan, Il modernismo, Ed. Sansoni, Firenze 1980.

6. P. D’Ancona, F. Wittgens, M. Gengaro, Storia dell’Arte Italiana,

Vol. III, Dal Cinquecento all’arte contemporanea, Ed. Bemporad-

Marzocco, Firenze 1954.

7. G. Jacobucci, op. cit.

8. D’Ancona, Wittgens, Gengaro, op. cit.

9. I cittadini residenti a Frosinone, allo stato attuale, sono circa

48.000.

10. G. Jacobucci, op. cit.

11. B. Zevi, Il linguaggio Moderno dell’Architettura. Guida al codiceanticlassico, Einaudi, Torino 1973.

12. Ibidem

13. Credo valga la pena citarne alcuni: la geniale soluzione michelan-

giolesca di piazza del Campidoglio (un rettangolo che diventa un tra-

pezio invertito rispetto a quello prospettico e che nega il parallelismo

ai due palazzi che si fronteggiano e delimitano il grande spazio); i dise-

gni, sempre di Michelangelo, per le fortificazioni fiorentine del 1529,

altra geniale invenzione che contesta la prospettiva centrale ed aggre-

disce lo spazio con possenti ed articolate strutture, o ancora l’espe-

rienza di Ferrara (la prima città moderna europea), città che ha visto

sorgere nel 1916 la pittura metafisica di De Chirico e Carrà, costruita,

senza essere disegnata, ad opera di Biagio Rossetti .

14. Nel campo delle arti figurative, in Francia, sullo scorcio dell’800,

si afferma l’Impressionismo con Manet e Monet; Cézanne medita una

pittura intellettuale che lo conduce alla scoperta del cubismo e sanci-

sce il superamento dell’Impressionismo; Van Gogh e Gauguin aprono

al movimento novecentesco dei Fauves. In Italia non si è da meno:

Morandi si distingue con le sue magiche, metafisiche nature morte;

Modigliani a Parigi nel 1906, con Picasso, si dedica allo studio dei

feticci negri e del colore dei “Fauves” e produce, tra il 1916 e il 1919,

capolavori di raffinata ed esotica bellezza; De Chirico, tra il 1911 e il

1915, scopre una pittura che trascende la realtà (metafisica) e tanti

altri artisti impegnati, coraggiosamente e con grandi difficoltà esisten-

ziali, scrivono “pagine” nuove nel variegato mondo dell’arte, come De

Pisis, Campigli, Rosai, Soffici, Sironi, Gemito, Marini, Martini e

Marinetti, che da Parigi lancia, nel 1909, il suo “Manifesto del

Futurismo” a cui segue il “Manifesto della pittura futurista” sottoscrit-

to nel 1910, da Balla, Boccioni, Carrà, Russolo e Severini.

15. In D’Ancona-Wittgens, Gengaro, cit.

16. B. Zevi, cit.

17. Ibidem

18. G. Jacobucci, cit.

23TERRITORI

il grande cortile centrale;- reiterazione gerarchizzata delmodulo finestra per la definizio-ne del disegno dei prospetti;- distribuzione degli ambientiinterni subordinata alla reiterazio-ne del modulo finestra e al ritmodi paraste disposte ad interassiregolari; da ciò deriva la possibilepercezione di detti ambienti dal-l’esterno (gli ambienti interni siproiettano verso l’esterno), so-prattutto in corrispondenza delprospetto principale (si distinguenettamente l’atrio con aperturead archi a tutto sesto e la doppiaaltezza del salone di rappresen-tanza).La linearità dei prospetti e dellapianta è interrotta dal piccoloportico con soprastante loggiaretta da due colonne e due pila-stri sovradimensionati, rispetti-vamente abbinati, posizionatoin corrispondenza dell’ingressodel prospetto principale.La copertura dell’edificio è risoltain parte a tetto con capriate ed inparte a terrazzo; il prospettoposteriore presenta un quartolivello (scantinati) con ingressoautonomo; il basamento risultaimpreziosito in travertino grezzo.Sui prospetti si percepisconoeffetti chiaroscurali di intensitàvariabile, dovuti agli aggettidelle modanature, alla parzialepregevole cornice di coronamen-to e soprattutto all’alternarsi ser-rato tra pieni e vuoti.L’edificio è stato realizzato incemento armato e muratura por-tante; di recente ha subìto dellealterazioni di non poco conto;- è stata realizzata una discutibi-le sopraelevazione, per fortunain corrispondenza delle paretiche affacciano sul cortile, quindinon visibile dall’esterno;- a ridosso del cortile sono statirealizzati due ascensori conmateriale trasparente;

- la pavimentazione del porticatoha subìto dei rimaneggiamenti.Si discostano in parte dalla rigo-rosa impostazione classica, ilpalazzo dell’I.N.A.I.L., il palazzodella Camera di CommercioIndustria, Artigianato e Agricol-tura (di cui è in atto un interven-to di ristrutturazione che preve-de l’inserimento di una cupolatrasparente in corrispondenzadel solaio di copertura ed unamodifica sostanziale della distri-buzione interna, non so fino ache punto coerente con l’archi-tettura di Jacobucci) ed in misu-ra maggiore il palazzo di Igienee Profilassi, oggi destinato adAccademia di Belle Arti .Di quest’ultimo edificio, il conte-sto suggerisce all’architettoJacobucci una soluzione d’ango-lo del tutto innovativa, con ilricorso ad un’articolazione deivolumi più complessa, determi-nata da uno scatto creativo dinotevole entità che prelude adalcune future proposte proget-tuali più innovative, non rinun-ciando peraltro ad un ingressomonumentale, aulico, ottenutocon l’adozione di due semicilin-dri disposti, a tutta altezza, ailati della gradinata d’ingresso.L’architetto recupera qui il “dirit-to” a far esplodere finalmente lasua fantasia in chiave antiacca-demica.Si avverte, alternativamente,ma in misura maggiore negliultimi lavori di Jacobucci, l’an-sia, se non l’esigenza, di svinco-larsi dagli schemi convenzionali,che hanno caratterizzato gli annidella sua formazione e granparte della sua pur notevole pro-duzione, e forse anche, senzariuscirvi appieno, di farsi coinvol-gere dalle istanze innovative edi libertà creatrice di tanti artistied architetti italiani ed europei.Frosinone 29.01.2010

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24 TERRITORI

el campo delle opere edi-lizie pubbliche, le richieste di unanuova monumentalità avanzatadal regime portano ad affrontareformalmente e costruttivamenteil problema della copertura digrandi spazi; si verifica così, in unprimo momento, una trasposizio-ne in ambito edile di tipologiestrutturali prese in prestito dalle“opere speciali” proprie dell’in-gegneria civile (ponti, coperturedi impianti industriali, dighe edaltre opere idrauliche e maritti-me), operando coraggiose incur-sioni nel campo di strutture amolte iperstatiche. La concezione

di queste opere edili si presentaquindi ibrida: alle parti risoltesecondo la consueta organizza-zione in pilastri, travi e solette, siaffiancano episodi strutturali –coperture a telaio e a travi retico-lari di grande luce, solai a fungoe ad ordito multiplo – che richie-dono al progettista sia particolaricognizioni meccaniche e mate-

matiche, sia spiccate doti d’intui-to strutturale, mentre all’impresaè richiesta una speciale organiz-zazione del cantiere.Innestata nel corpo del fabbrica-to, l’ossatura di cemento arma-to si limita tuttavia a svolgereuna funzione gregaria nei con-fronti dell’ossatura muraria edeve integrarsi con essa per nonmutarne le regole espressive,così da consentire arditezze sta-tiche senza sconvolgerne l’orga-nizzazione strutturale. La defini-zione dello scheletro portantenon viene ancora vista, quindi,come una variabile indipenden-

te capace di rinnovare la conce-zione del progetto architettoni-co, ma come una mera incom-benza tecnica da affidare avolte anche all’impresa.Il concepimento dell’opera dellasede dell’Amministrazione Pro-vinciale si pone alla fine del trien-nio tra il 1928 ed il 1932, com-preso tra la prima e secondamostra del MIAR, nella quale sistavano muovendo i primi passiverso il dibattito sull’architetturamoderna. L’Italia, in quegli anni,viveva i primi sintomi di una pos-sibile apertura del regime all’af-fermazione di un linguaggio mo-derno dell’architettura, sia pur

conservando stilemi e canonicompositivi, dimensionali edestetici, attinti dall’epoca impe-riale romana. In questo periodo storico gli ar-chitetti italiani danno così un’in-terpretazione variegata nellacomposizione progettuale delleopere adottando in pieno il lin-guaggio neoclassico per edificidi rappresentanza, come nelnostro caso della sede dell’Am-ministrazione Provinciale, pro-vando, timidamente e compati-bilmente con le direttive emana-te dal regime, ad inserire neiloro lavori canoni e stilemi propridella nascente moderna archi-tettura razionalista. Questi pas-saggi sono ben evidenti anchenelle opere eseguite a Frosinoneed in provincia dall’ArchitettoGiovanni Jacobucci. Come è noto, nell’archeologial’accumulo in senso verticalecontiene stratificazioni apparte-nenti a diversi periodi ed eventistorici, così anche in architetturaesistono e si possono notare fasistratigrafiche legate ai diversiperiodi ed eventi storici, ma inquesto caso la lettura va compiu-ta in senso orizzontale. Tale pre-messa mi è parsa d’obbligo permeglio definire e descrivere lerealizzazioni di Jacobucci conte-nute nel tessuto urbano di Fro-sinone, in un raggio di soli cin-quecento metri a far centro dalpalazzo di Piazza Gramsci, e chesono: l’Edificio di Igiene eProfilassi del 1932, ora sededell’Accademia di Belle Arti, la

Ndi Alessandro M. Tarquini

STRUTTURE NASCOSTENELL’ARCHITETTURA ITALIANA

DEGLI ANNI TRENTAIl calcestruzzo

armato nel palazzodell’Amministrazione

Provinciale

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sede del Consiglio Provincialedelle Corporazioni ora Camera diCommercio, del 1933, ed ilPalazzo dell’I.N.A.I.L, del 1937. Ad un primo esame comparati-vo gli edifici sembrerebberoessere stati costruiti in periodistorici diversi e concepiti da pro-gettisti diversi, ma come abbia-mo visto essi hanno un’unicapaternità e sono stati concepitie realizzati dall’Architetto Jaco-bucci nell’arco di un quinquen-nio. Un altro denominatore co-mune nella realizzazione degliedifici è rappresentato dall’im-piego di strutture intelaiate incalcestruzzo armato realizzatoin opera e muratura, perimetra-le ed interna, collaborante; ilcalcolo di dette strutture fu ese-guito secondo le norme antisi-smiche che erano da poco entra-te in vigore con il R.D.L. n.6882 del 13 Aprile 1930.Dall’esame degli elaborati tecni-ci di progetto si sono potuteesaminare puntualmente tuttele scelte progettuali esecutiverelative alla struttura in cemen-to armato. A quota delle fonda-zioni è stato utilizzato un siste-ma a travi doppie: al primo,posto direttamente a terra, ven-gono affidate le sollecitazioniesercitate dal peso proprio equelle del tipo sussultorio, men-tre il secondo, speculare, postoa livello d’imposta del primosolaio, assolve alle sollecitazio-ni ondulatorie. Tutti gli orizzon-tamenti di piano (solai) sonostati eseguiti con sistema misto

Beton-Eternit e speciali tavellonidi lunghezza variabile, che as-solvono al compito di alleggeri-mento e nello stesso tempo

svolgono il ruolo di casseformeper il getto in opera. Per lacopertura della grande sala dirappresentanza (12m x 28m)

furono eseguite ca-priate in c.a. com-pletamente celateda un controsoffittoa cassettoni adampi riquadri, comeera consuetudinefare in quel periodoanche in altre realiz-zazioni di rilevanteentità strutturale, una fra tuttela sala della grande palestradell’Accademia di EducazioneFisica a Roma.

Palazzodell'AmministrazioneProvinciale di Frosinone,elaborati tecnicistrutturali. (Documentiriprodotti perconcessione dell'ArchivioStorico Provinciale diFrosinone - Divieto diulteriore riproduzione).

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l periodo che va dal1921, quando Giovanni Jaco-bucci vince il primo premio nelconcorso bandito dall’Acca-demia di San Luca per un Edifi-cio per rappresentazioni cine-matografiche, al 1940, quandorealizza il Monumento Ossarioper i caduti per la difesa diRoma del 1848 e per la sualiberazione del 1870 al Giani-colo, comprende la produzionepiù significativa dell’architettociociaro, soprattutto in relazionecon le trasformazioni dell’archi-tettura che avvenivano nell’am-bito romano e nazionale. Lospazio temporale a cui qui ci si

riferisce non è stato ancora esa-minato in maniera del tuttooggettiva, nonostante gli ultimitentativi di darne una sintesidefinitiva; anzi a volte è statoterreno di scontro ideologico espesso è stato completamenteignorato dalla storiografia uffi-

ciale. Risulta, invece, interes-sante valutare anche figurecome Giovanni Jacobucci, sicu-ramente meno incisive sul pianodella produzione di esempiemergenti dal punto di vista del-l’innovazione dell’architettura,ma al contrario legate da conti-nuità con la considerevole pro-duzione edilizia che ha formatola gran parte della città del’900. Il periodo, che si vuole analizza-re, è stato connotato da notevo-le “complessità” per una plura-lità di mutamenti che l’Italiarisentiva con ritardo rispetto adaltre nazioni europee ed anche

con un grado di significativa“contraddizione” nel tentare dimettere insieme, da una parte,l’eredità grave di un passatosempre presente e rilevante,dall’altra, nell’accogliere, connotevole ritardo, le innovazionie sperimentazioni che venivanoda paesi come Francia, Ger-mania, Austria, Olanda.Giovanni Jacobucci ha dovutosubito confrontarsi con il proble-ma dello “stile nazionale”,sempre presente e mai risolto,con la differente committenza,borghese prima e del regime

fascista dopo, con la formazio-ne “artigianale”, ultimo residuodi un “modus operandi” distampo tradizionale, con le di-verse tecniche costruttive, conl’introduzione di nuovi materialicome il cemento armato, e, inmodo particolarmente significa-tivo, con le generazioni di archi-tetti che lo hanno preceduto esucceduto, entrambe differentiper formazione e per obiettivi.Nato dopo i “maestri dell’eclet-tismo” (come Francesco Azzur-ri, Pietro Carnevali, Antonio Ci-polla, Gaetano Koch, GiulioMagni, Giulio De Angelis, PioPiacentini, riconosciuti come

una “classe professionale diformazione culturale omoge-nea” che aveva dato il “nuovovolto” della Roma umbertinaobbedendo a “gusti e scopiconvergenti”)1 e prima di LuigiPiccinato, Giuseppe Vaccaro,Gaetano Minnucci, Alberto Sa-monà, Mario De Renzi, AngioloMazzoni, Bruno La Padula,Adalberto Libera (”architettiintegrali” preparati sia in mate-rie tecniche che artistiche,2 for-matisi nella neonata ScuolaRomana di Architettura),3 Gio-vanni Jacobucci, insieme alla

di Giorgios Papaevangeliu

GIOVANNI JACOBUCCI:“ROMANO” NELLA REALIZZAZIONE,

“ITALIANO” NELLA RAPPRESENTAZIONE

26 TERRITORI

Le architetture dal ’21 al ’40:

tra “barocchetto” e “stile littorio”

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27TERRITORI

sua generazione (che compren-deva architetti come VincenzoFasolo, Clemente Busiri-Vici,Innocenzo Sabbatini, QuadrioPirani, Alessandro Limongelli,Enrico Del Debbio, ArnaldoFoschini, Marcello Piacentini),dovette, vivendo in un periodod’incertezza artistica e sociale,prima relazionarsi con la gene-razione precedente (che rap-presentava con lo “stile ecletti-co” la borghesia amministrati-va romana), successivamente,con l’avvento del fascismo,cambiare repentinamente riferi-

menti per seguire lo “stile diregime”, introdotto dalla gene-razione più giovane.La generazione di Giovanni Ja-cobucci, pertanto, nonostante laproduzione consistente, non èstata determinante nella storiadell’architettura, per non averdialogato con la generazionesuccessiva, che aveva avuto al-tri riferimenti. Questi architetti non facendo fon-damento su principi certi, néaffermandosi a livello teorico,non imposero le loro idee, néprima, con l’”eclettismo”, né

dopo, con lo “stile di regime”.Tranne casi rari (come MarcelloPiacentini, direttore della rivistaArchitettura e Arti Decorative,prima, e poi in qualità di Sovrin-tendente all’architettura del regi-me fascista), si trovarono ad in-seguire gli stili più alla moda e diconvenienza, limitandosi a pro-durre, però, secondo regole di“concretezza costruttiva” e incontinuità con la tradizione.In questa navigazione nell’arci-pelago di “stili”, a Giovanni Ja-cobucci verrà di aiuto, per proce-dere nel lavoro, la notevole

1. G. Jacobucci, studio architettonico a china acquarellata,1921 (Accademia di S. Luca, Roma).

capacità di rappresentazione,avendo acquisito padronanzadel disegno nella sua formazio-ne accademica. In questo setto-re, infatti, egli affermerà la suapersonalità, che incarnata nelsicuro segno della matita, senzamostrare alcuna incertezza, siespresse in una costante “ricer-ca scenografica” dell’immaginedi architettura.Le possibilità per gli architetticoetanei di Jacobucci di avereriferimenti esterni all’ambitonazionale sono state rare; tran-ne la Secessione viennese,

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28 TERRITORI

serie di “stili” (“barocco”, “ro-manico”, “gotico” ecc.) da cuiattingere, per poi ibridare e ri-comporre liberamente.La situazione romana, per quan-to riguarda la committenza, eraabbastanza particolare rispetto aipaesi centroeuropei. LudovicoQuaroni descrive chiaramente

con quali referenti si dovesse rap-portare l’architetto: “Roma man-cava assolutamente di una clas-se nuova, una committenza chechiedesse qualcosa di nuovo.Nella classe aristocratica, che era

conosciuta dai più colti, gliesempi di riferimento furonolimitati ad alcune pubblicazioni,come quella di Giulio Magni (Ba-rocco a Roma nella scultura enella Pittura decorativa 1911-

1913), che servirà soprattuttocome “catalogo di dettagli edelementi di ornato”4 da copiare,o ad una “visita occasionale almuseo appena aperto o alla gip-soteca scolastica dell’istitutoprofessionale”.5

Non secondario, nella sceltadello “stile” da adottare, fu il

ruolo della committenza pubbli-ca, privata, o religiosa, perchéera proprio questa che lo orien-tava o lo determinava; mentreall’architetto si presentava, inmaniera tassonomica, tutta una

l’unica ad avere qualche residuodi cultura non era possibile averequalcosa di non antico, un mobi-le non antico”.6 Similmente allaquestione linguistica e alla gran-de frammentazione dialettaleitaliana, dopo la proclamazionedi Roma capitale, si pose l’esi-genza di avere uno “stile nazio-nale”, per avere un’uniformitànell’immagine degli edifici di rap-presentanza. Questione fonda-mentalmente mai risolta, nono-stante l’intervento da una partedi Camillo Boito, Giosuè Car-ducci, Ugo Ojetti a favore dell’“unico stile italiano” e dall’altradi personaggi come Calderoni eBasile a favore di uno “stile re-gionale”. La conseguenza fu diindividuare nello “stile barocco”il linguaggio che nello stessotempo fosse adatto agli edificiistituzionali e contemporanea-mente rappresentasse anche il“carattere della città”.Giovanni Jacobucci espresse, inconsonanza con il periodo, i ri-mandi al barocco e ai propri sti-lemi, dal concorso per unEdificio per rappresentazioni ci-nematografiche del 1921 (do-

ve fu premiato), nel progettoper l’Ingresso per la Passeg-giata archeologica, dello stes-so anno, sino al progetto peril Palazzo dell’Amministrazio-ne della Provincia di Frosino-

G. Jacobucci2. Monumento OssarioGianicolense, Roma,1941; 3. Colonia marina diSerapo, Gaeta, 1931(distrutta nella SecondaGuerra Mondiale);4. Prospetto del Palazzodella Camera diCommercio, Frosinone,1932.

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29TERRITORI

ne, del 1930, ultimo eco delcosiddetto “barocchetto”.Il “barocchetto” non si sviluppòcompletamente negli edifici isti-tuzionali; si espresse maggior-mente per rappresentare la clas-se emergente della borghesiaromana, che, non avendo raffi-nate esigenze culturali, si ac-contenterà di una rilettura me-taforica di superficie del lin-guaggio “seicentesco” romano,da cui, appunto, il “barocchet-to” si sviluppò.7 Con questo“stile” gli architetti della gene-razione di Giovanni Jacobucci,consapevoli di non avere più“ruoli storici” da perseguire, sidilettarono a cercare la “compli-cità dell’osservatore”, traducen-do in teatralità stilemi “seicen-teschi” pieni di “allusioni” e“rimandi”.Nel Concorso per villini ad Anzio(1921), come nel Concorso perle case dei dipendenti delComune di Roma (1925) glistilemi del “barocchetto” (co-me nicchie, volute, pinnacoli,anfore ed altri giochi ottici chefanno da contorno alle bucatu-re), puntano più sul “decoro” ela “dignità”, che sulla spazialitàdel “barocco”, che densa di gio-chi di luce e spostamenti dimasse strutturava lo spazio in-terno ed esterno.Lo stile “romanico”, invece, as-solse il compito di esprimerel’immagine dell’edilizia religio-sa, come nel Concorso per tipidi chiesette rurali nel suburbiodi Roma (1922), dove Gio-vanni Jacobucci come parecchialtri partecipanti al concorso,riprese vari temi medievali ri-componendoli liberamente. Quiè da sottolineare come il porticosia esplicitamente una citazionedella medievale abbazia bene-dettina di Pomposa.Nella Chiesa del Monastero

delle suore Clarisse in Libano(1921), invece, Giovanni Ja-cobucci usò il “gotico”, unostile insolito nell’ambiente ro-mano; non a caso il progetto fudestinato a essere costruito

fuori dai confini nazionali.Questo progetto rimase un casounico nella sua produzione. Ecostituì una rarità anche nel-l’ambiente romano, dove il“neogotico” non attecchì per-

G. Jacobucci:5. Progetto di una chiesarurale, vedutaprospettica, 1922;6. Chiesa rurale, pianta;7. Casa unifamiliare adue piani, 1921;8. Concorso per le casedei dipendenti delComune di Roma, viaOrvieto, 1925 (conMartini).

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ché identificato con la tradizio-ne protestante. Gli si preferì,infatti, lo “stile romanico” peressere più radicato nella tradi-zione locale. Le tematiche medievaliste com-

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30 TERRITORI

paiono anche in due concorsisempre del 1921: il Concorsoper villini e la Mostra di proget-ti di casette economiche, doveGiovanni Jacobucci (nell’inter-pretare la casa operaia unifami-liare, inserita nella Città giardi-no, che allora veniva espressadalla tipologia del villino)assemblò liberamente elementidecorativi del barocco con quel-li medievali e modernisti.Per un decennio si alternarononelle opere e nei progetti diGiovanni Jacobucci e della suagenerazione i più diversi “stili”,finché lo scioglimento delM.I.A.R. (Movimento italianoper l’architettura razionale), nel1932, e il “compromesso” dei

razionalisti con la politica “tra-dizionalista” di Marcello Piacen-tini fecero in modo che da allo-ra il regime fascista adottasselo “stile novecento”8 per lenumerose opere pubbliche dipropaganda che si andavanocostruendo in tutta la nazione.Con una politica ecumenica,

Piacentini riunì architetti “cultu-ralisti” e “razionalisti” modera-ti e li fece convivere coinvolgen-doli nel “compromesso”, facen-do, così, scomparire di colpol’eclettismo.9

La figura di Giovanni Jacobucci,“architetto culturalista”10, se-condo la definizione polemicadata da Pietro Maria Bardi (co-me tutti quegli architetti che for-mati professionalmente “dapadre eclettico e da madreaccomodatutto”, con il “latte dicento balie” e con le “lezioni dicento precettori”),11 si inserìbene nel “compromesso” pia-centiniano, dove molti architettiprovenienti dalle più disparateesperienze si adattarono.

G. Jacobucci:9. Casa della Madre edel Bambino (O.N.M.I.),Frosinone, 1940.Per concessionedell'Archivio di Stato diFrosinone - Riproduzionevietata; 10. 11. Studiarchitettoniciacquarellati, 1921(Accademia di San Luca,Roma).

Roma […]. Nacque verso queltempo il falso moderno. […]Fu messo da parte il Mignola;fu messo da parte un Mignoladella falsa modernità. Piacen-tini passò dalle scimmiottaturealla Beherens a un ippopotamoa pareti lisce, al palazzo di giu-stizia di Milano. Fu inaugurato

il regime dello ‘stile novecen-to’. I mobilieri diventarono no-vecentisti”.Il passo spiega, chiaramente,come nel giro di due anni, dopoil 1930, Giovanni Jacobucci siapassato con disinvoltura da uno“stile eclettico” allo “stile nove-cento”, che alludeva al raziona-lismo, sgonfiato però della suainiziale carica ideologica.Ma questi eventi descritti nonspiegano da soli l’improvvisocambiamento, senza considera-re che la “modernità”, intesanell’ambiente romano comesemplificazione graduale del lin-guaggio eclettico, fu permessadal “distacco dalle ragionicostruttive” del registro stilistico

Giovanni Jacobucci, con la na-scita del nuovo “stile novecen-to”, volse tranquillamente lespalle all’ “eclettismo”, aggior-nando con abilità il suo codicelinguistico e il suo repertoriodecorativo.12

Ancora le parole di Pietro MariaBardi sono significative, in que-

sta sede, per comprendere co-me, successivamente al “com-promesso” con i razionalisti, gli“eclettici” più elastici, quelli piùdisponibili ad immedesimarsinelle poetiche più distanti, sifossero riciclati nel nuovo “stilenovecento”: “La Città Univer-sitaria di Roma è il frutto di que-sto compromesso. Piacentini sifece forte del connubio, e andòin giro a raccontare […]: -ecco i miei ragazzi, facciamomoderno, facciamo razionale,facciamo nuovo. E fece; anzista costruendo la città universi-taria: che è la sua antica archi-tettura senza mascherate (peresempio tipo Arco dei Caduti diGenova, Hotel Ambasciatori di

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N O T E1. P. Portoghesi, L’Eclettismo a Roma, De LucaEditore.2. La Scuola di Architettura di Roma, PaoloCremonese Editore, 1932, in 3. In realtà alcuni professionisti presenti in questoelenco, come Gaetano Minnucci, si diplomaronopresso la Regia Scuola di Ingegneria, ma per l’am-biente in cui operarono possono essere compresiall’interno della Scuola Romana di Architettura. VediG. Duranti, B. Todaro (a cura di), Scuola Romana diArchitettura, tracce 1919-1980, Edizioni Kappa,Roma, 2006. La “Scuola di Architettura di Roma”fu fondata il 18 dicembre 1920.4. P. Portoghesi, op. cit.5. G. Muratore, Roma Novecento. I volti dell’archi-tettura, Ed. Clear, 1983.6. L. Quadroni in Pietro Aschieri architetto, numerospeciale del “Bollettino della Facoltà di Architetturadi Roma”, 1977.7. G. Muratore, op.cit.8. G. Ragazzini, Dizionario di architettura, Hoepli1936, voce Novecento: “Novecento, o stile raziona-le, è lo stile dell’architettura contemporanea che,specialmente in Italia, si è affermata potentementecoma espressione artistica del Regime fascista, essoha come canone che l’architettura va intesa comemassa e non come esempio decorativo e che ognielemento architettonico deve concorrere ad un finepratico ed utilitario […]. Suoi caratteri sono lepiante mosse e studiate per corrispondere allenecessità più intime dell’edificio, il pilastro preferitoalla colonna, l’uso di arditissimi balconi, grandi aper-ture per dare aria e luce agli ambienti, assenza tota-le o quasi di ogni decorazione applicata.”9. P. M. Bardi, Libro verde della polemica dell’archi-tettura italiana, citato da F. Brunetti, Architetti eFascismo, Alinea editrice, Firenze, 1993.10. L’ “architetto culturalista” fu denigrato da PietroMaria Bardi, nel tavolo degli orrori, selezione dellearchitetture tardoeclettiche, presentato alla SecondaEsposizione dell’Architettura Razionale Italiana nel1931, alla presenza di Benito Mussolini.11. F. Brunetti, Architetti e Fascismo, Alinea editrice,Firenze, 1993.12. Da notare che Marcello Piacentini escluse per laCittà Universitaria di Roma Accademici come CesareBazzani e Armando Brasini per non essere aggiorna-ti ed estranei al rinnovamento architettonico.Jacobucci con la sua versalità del disegno restòcomunque a galla.13. G. Strappa (a cura di), Tradizione e innovazio-ne nell’architettura di Roma Capitale, 1870/1930,Edizioni Kappa, Roma, 1989, p. 5014. G. Ragazzini, Dizionario di architettura, Hoepli,Milano, 1936, voce Novecento.15. F. Brunetti, op. cit., p. 27016. Cfr. G. Jacobucci, Giovanni Jacobucci Architetto1895-1970, Edizioni Kappa, Roma, 1996. Regestodelle opere e dei progetti. L’autore non riporta lapartecipazione di Jacobucci al concorso nonostantepartecipassero più di cento gruppi.

voleva diffondere i progetti delconcorso, ma soprattutto “conintento che va oltre, e, precisa-mente, con quello di ‘afferma-re’ (e il titolo ne è una confer-ma assai chiara) che si è rag-giunto ormai un punto d’arrivonella ricerca dello stile dell’ar-chitettura italiana e fascista”.15

Giovanni Jacobucci non parteci-pò al concorso,16 ma dello“stile littorio” raccolse diretta-mente o indirettamente leistanze che portarono ad unincremento della “monumenta-lità” e della “tradizione roma-na”, come è evidente nel Mo-numento per i caduti per la di-fesa di Roma del 1940, ibrida-zione compositiva che ha nelrecinto e nell’arco di trionfo isui archetipi e nel Monumentoai Caduti di Bolzano di MarcelloPiacentini (1928) un suo ante-cedente.Giovanni Jacobucci, per forma-zione culturale ma anche per lacollocazione geografica deisuoi preminenti interessi, si

e della decorazione.13 Infatti,nel Palazzo dell’Amministra-zione della Provincia di Frosi-none, il nesso ormai esauritotra “atto costruttivo” e “attoespressivo” fa in modo che ele-menti del repertorio stilistico difacciata ancora legati al “baroc-chetto” (come nell’ingressodella facciata principale, sor-montato da un chiaro richiamoall’Oratorio dei Filippini diBorromini, oltre ai timpanispezzati della facciata laterale)scompaiano definitivamentenelle successive realizzazionidel 1932, soprattutto perché lalogica che li legava in origine siera ormai ridotta a semplicedecorazione, slegata da ragionicostruttive. In realtà, con le opere successi-ve (Palazzo della Camera diCommercio e Palazzo Igiene eProfilassi, del 1932, Stazionedelle autolinee a Sabaudia, del1936, Palazzo INAIL di Fro-sinone, del 1937, Casa dellamadre e del bambino a Fro-sinone, del 1938), i gradi disemplificazione formale arriva-rono al compimento potendocosì dare spazio allo “stile diregime”. Queste opere di Gio-vanni Jacobucci, come tantealtre di quel periodo, ebberocome canone la volontà di fareemergere un’idea dell’architet-tura “intesa come massa e noncome esempio decorativo”,dove “ogni elemento architetto-nico deve concorrere ad un finepratico ed utilitario” e dove sus-siste l’ “assenza o quasi di ognidecorazione applicata.”14

Un nuovo assestamento dello“stile”, che riguardò tutta laproduzione nazionale, ci fu do-po il Concorso del PalazzoLittorio (1934) con la pubblica-zione del Il nuovo stile littorio(1936). Questa pubblicazione

mantenne sufficientementelontano, tanto dal dibattito cul-turale quanto dalle realizzazio-ni più di “avanguardia” nelcampo nazionale. Fu lontanodal tema razionalista dell’unio-ne tra “pragmaticità“ e “medi-terraneità”, lontano dalle teo-rie di Edoardo Persico, lonta-no, geograficamente, dallepoetiche razionaliste che trova-rono pratica attuazione al nord,come la Casa del Fascio diComo (1932-1936), e dacostruzioni ingegneristiche, co-me lo Stadio comunale di Fi-renze (1930-32) di Pier LuigiNervi, altrettanto lontano dal-l’ideologia “sansimoniana” diAdriano Olivetti. In ogni modo, nonostante limitie contraddizioni, Giovanni Ja-cobucci fece uscire dalla suasicura mano progetti e realizza-zioni notevoli per il modo diintendere l’architettura in conti-nuità con le tradizioni costrutti-ve e con le logiche di formazio-ne del tessuto urbano.Soprattutto devono essere con-siderati due elementi fonda-mentali: primo, che l’intera suaopera è stata realizzata in con-tinuità con l’eredità della tradi-zione costruttiva romana, sianel “costruire organismi edili-zi”, che “nel formare organismiurbani”; secondo, che il filoconduttore della sua opera si èespresso tramite il disegno, manon dell’oggetto rappresentato,sempre differente e incoerentenell’immagine, quanto nell’ideadi trasferire sull’oggetto archi-tettonico una volontà scenogra-fica, tipicamente italiana per ilmodo di intendere l’architetturae la città.In questo senso Giovanni Jaco-bucci è “romano” nelle realiz-zazioni e “italiano” nelle rap-presentazioni.

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er un architetto il disegnoequivale ad una calligrafia, chenon è stile o maniera, ma segnodistinguibile che lo connota.Nessun’altra forma d’arte è piùmediata dell’architettura, per-ché questa colloca necessaria-mente il disegno come ponte tral’Idea e l’Opera. Non possiamoquindi prescindere da questacondizione imposta, che se daun lato ci costringe ad accettareuna umiliante castrazione, dal-l’altro ci spinge a rendere il piùvirtuoso possibile questo pas-saggio obbligato. È pensando a questo che gli ar-chitetti di ogni epoca hannonobilitato questa trafila burocra-tica della mente, questa coerci-zione cui viene sottoposta lafantasia e che ci costringe adappiattire su fogli di carta o sulloschermo di un computer qualco-sa che la nostra immaginazionevede invece ora spigolosa orapiana, ora convessa ora conca-va, ora ruvida ora liscia, ora con-tratta ora distesa e mutevole

sotto la luce e rarefatta dentrouna nebbia e scintillante sottouna pioggia e viva solo quandoun uomo la guarda a grandezzanaturale, e ci cammina dentro,

e la tocca con le mani, e ci in-contra i suoi simili.Tuttavia, benché l’architetturacostruita (mi si perdoni la tauto-logia) sia altra cosa rispetto aldisegno che la rappresenta, es-sa lascia su quei fogli – a parti-re da quelli dello stesso Jaco-bucci – gran parte della propriasuggestione, nel senso che essi,pur trattenuti nell’ambito delsimulacro, ci convincono di unacorrispondenza formale che tal-volta, nei casi più felici, sfiora lasovrapponibilità.Il disegno di architettura sfruttaappieno la connaturata ambigui-tà tipica di ogni metalinguaggioe pur conoscendo bene i proprilimiti non se ne lascia intimidire.Essa seduce sempre i nostriocchi e ci condanna a partecipa-re al suo bluff. Che si tratti di unideogramma tracciato su tavoled’argilla o di una immagine vet-toriale restituita attraverso com-plicati algoritmi, rispondiamosempre affermativamente alladomanda che ci chiede se quel-

lo che stiamo guardando sia “ar-chitettura”.Giovanni Jacobucci conoscevabene le regole di questo gioco,questo ce lo dicono i suoi dise-

gni e la passione che traspareda ogni tratto: dalla meticolositàcon cui rappresenta i conci ditravertino da applicare su unparamento murario alla fiduciache ripone nelle regole dellageometria descrittiva, dall’esat-tezza con cui rappresenta “amano” il dettaglio di un infisso

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di Massimo Terzini

G I O V A N N I J A C O B U C C I A R C H I T E T T O1 8 9 5 - 1 9 7 0

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Versatilità ed esuberanza graficanell’architettura di Giovanni Jacobucci

DISEGNO & DISEGNO

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notazioni etiche talida poter prevalere didiritto sulle altre.Se dobbiamo crede-re che l’ambienteculturale romanopossa aver esercita-to davvero una qualche in-fluenza sulla sintassi compositi-va del giovane Jacobucci, lodobbiamo fare in relazione al-l’ipotesi che egli abbia potutoavere avuto modo di entrare in

alla freschezza con la quale ap-punta a margine di una letteralo schizzo di dettaglio di unagronda.Dalle testimonianze dirette rac-colte dai suoi biografi, che oltrea rappresentarcene l’indole cidocumentano le attitudini crea-tive dell’architetto (prima anco-ra di potersi ufficialmente fre-giare di questo titolo), si intui-sce che egli considera il disegnocome lo strumento in grado di

permettergli di memorizzare,inventare e catalogare delle for-me da sovrapporre a quelle chein futuro sarebbero state le suearchitetture. Del resto, il vivace ambienteromano in cui Jacobucci si trovòad operare durante i primi annidel secolo scorso, non potevanon risentire degli indirizzi cultu-rali dei capiscuola, primo fratutti del romantico WilliamMorris che appena qualche de-

cennio prima, in uno scritto del1881 teorizzava: “Il mio con-cetto di Architettura è nell’unio-ne e nella collaborazione dellearti, in modo che ogni cosa siasubordinata alle altre e con essein armonia”.1

Atteggiamento assai diffuso inquell’epoca, ed ampiamenteassorbito negli ambienti artisticidi tutta Europa, allorché si pen-sava che nessuna delle arti pla-stico-figurative avesse in sé con-

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1. G. Jacobucci, Infissiinterni del Palazzodell'AmministrazioneProvinciale di Frosinone,1930 (Archivio StoricoProvinciale).

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contatto con quanto prodotto,fino a qualche anno prima, dagliarchitetti d’oltralpe ospiti aRoma dell’Accademia di Fran-cia, che assai più di chiunquealtro, si erano occupati con pas-sione di trasferire diligentemen-te sugli album da disegno quan-to gli archeologi andavano ripor-

tando alla luce tra il foro di Au-gusto e il Porto di Ripetta . Quei fregi, quelle trabeazioni,quegli archi, benché mutilati espesso ridotti a frammento, con-

tenevano una suggestione po-tente che la datazione, compu-tabile in millenni, accresceva adismisura. Il fatto di recuperarlie di esporli nuovamente allaluce del sole ne attualizzava ilsignificato e li rendeva disponibi-li per riformulare se non unnuovo vocabolario, quantomeno

una grammatica rivisitata. All’epoca in cui operò Jacobuccinon era dunque pensabile esse-re architetto senza essere,prima, ottimo disegnatore, per

cui una fase propedeutica aquella che sarebbe stata unacarriera professionale da costrut-tore doveva necessariamenteincludere un lungo tirocinio altavolo da disegno, misurandosinon solo con tutto ciò che potes-se avere una attinenza discipli-nare con l’architettura ma, perestensione, con qualsiasi formache potesse essere rappresenta-ta su carta, quasi a sostenereche non si potesse progettare lapianta di un edificio se non sifosse stati in grado di disegnarela coda di un cavallo. Sui suoi blocchi da viaggio, suglialbum, sugli innumerevoli lucidiconservati tra i documenti che cirestano di lui, appaiono magnifi-ci scorci di Roma, bozzetti persteli commemorative, elegantiinquadrature prospettiche diinterni, ma anche tralci d’alloroavviluppati a gladi romani, testedi rapaci in semplice chiaroscu-ro, ghirlande, panneggi, ma-schere, leoni… Un campiona-rio di soggetti che egli diligente-mente raccoglie e conservasenza discriminazioni o pregiudi-zi e che, come scrive suo nipoteGiannandrea in una recente bio-grafia, costituisce un “vocabola-rio formale … un abaco, dausare poi saggiamente durantetutta la sua professione”.2

Da ciò se ne deduce che perJacobucci l’architettura, che eglipraticherà con una certa continui-tà a partire dagli anni ’30, con-serva in sé un debito nei confron-ti della scultura e del disegno, aiquali l’architetto riconosce paridignità e senza i quali l’architet-tura stessa, da sola, sarebbe ina-deguata ad esprimere per interoil senso di un edificio. Adolf Loos, proprio in queglianni, intravedendo nel gusto perl’ornamento i segnali di una pe-ricolosa deriva dell’ortodossia

G. Jacobucci:2. 3. Vedute di Roma,disegni a matita;4. Concorso per un arcodi trionfo da erigersi inuna piazza Romana,1925 circa.

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costruttiva, stava formalizzandoin favore dell’architettura unateoria in certa misura dirimentesulla quale Jacobucci non sareb-be probabilmente stato d’accor-do. Amante delle dichiarazioniad effetto, l’architetto vienneseebbe a scrivere: “L’architetturanon sarebbe da annoverare trale arti? Proprio così. Soltantouna piccolissima parte dell’archi-tettura appartiene all’arte: iltumulo e il monumento. Tutto ilresto che è al servizio di unoscopo deve essere escluso dalregno dell’arte”.3

Efficacemente espresso daltono apodittico del-l’affermazione,egli stabilisceuna discrimi-

nante categorica tra due momen-ti progettuali che pur operandoall’interno di ambiti contigui, pro-pongono nei confronti dell’operae della sua ideazione atteggia-menti affatto differenti: l’unoimprontato alla massima libertàcreativa e pertanto “artistica”sarà speso in favore di apparatiper così dire “celebrativi”, se nonpropriamente “scenografici”,l’altro, al contrario, sottomessoalle rigorose leggi di necessità,sarà appannaggio dell’autenticoarchitetto e non dovrà mostra-re alcun segno di concilia-

zione con il superfluo.Jacobucci non arrivò mai a que-sto rigore, ma è pur vero che leforme alle quali più volentierisembrò dedicare il suo lavorosono proprio quelle a caratterecommemorativo, sebbene i suoidisegni mostrino con quantadisinvoltura applicasse oral’uno, ora l’altro precetto,senza considerare peraltro ildisegno dei tumuli e dei monu-menti un esercizio declassante,così come velatamente sottinte-

so nella

G. Jacobucci:5. 6. Progetto per unsacrario-ossario, sezionee prospetto;7. 8. Disegni a matitarealizzati per decorazioniplastiche, 1925-30;9. Studio a matita,1920.

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dichiarazione di Loos. Per Jacobucci l’architetto devepoter attingere agli stili come fail pittore con i colori dispostisulla tavolozza, ed in questosenso i tanti disegni realizzatida giovane costituiscono il veroe proprio archivio dal qualecaso per caso la memoria puòrecuperare elementi utili. Egliapplica un lessico ed una coe-renza a seconda della richiestadella committenza e del pro-gramma, capaci di sostenereuna logica formale tutta internaall’opera cui si sta dedicando,ma insufficiente a costituire ilpresupposto per fissare le basi diun precetto più vasto, più uni-

versale. I suoi progetti, conti-nuando ad intendere con que-

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sto termine l’intero corpus deisuoi disegni, risultano spiazzan-ti perché non sono afferrabiliall’interno di una continuità stili-stica coerente. Rigore e coerenza sono presen-ti, ma come beni effimeri,azzerabili di volta in volta. Nonsembra essere lo spazio zevia-

no il vero oggetto di interesseper Jacobucci, ma la tipologia:una certa aderenza a modelliche conosce bene e che aseconda dei casi vanno applica-ti. La sua produzione non sidivide in periodi, ma, purpotendo cogliere un naturalepercorso evolutivo dato da unprogressivo affinamento dellatecnica, tutto sembra coe-

sistere in una parvenza di disin-volta acriticità stilistica, in unesercizio della professioneapparentemente distante daogni presa di posizione definiti-va e consapevole. Lascia adaltri il compito di codificaremodelli, egli li applica diligente-mente limitandosi a verificare

che ci sia una corrispondenzatra questi e la richiesta del com-mittente. Non deve apparirestrano, a tal proposito, chementre lavori ad un villino liber-ty, disegni chiese neogotiche oun ossario sul quale apparec-chia libera-mente l’inte-

ro campionario della retoricacelebrativa del ventennio, recu-perata a sua volta da Fidia e daApollodoro.Un esempio illuminante di quan-to potesse essere ampia l’oscil-lazione dei suoi riferimenti èdato proprio dall’edificio dellaProvincia di Frosinone (1931),allorché si metta a confrontocon la vicinissima Sede di Igienee Profilassi (1932), distantissi-mi da un punto di vista tipo-mor-fologico, ma temporalmentecontigui.Oggi per noi è piuttosto sempli-ce misurare quale scarto ci fossetra le forme che Jacobucci anda-va disegnando sui suoi quadernidi studio e le architetture chel’Europa cominciava a sperimen-tare in quegli anni. Certe inge-nuità, certe repentine inversionidi marcia, vanno tuttavia lette,a distanza, con una benevoladose di indulgenza, consideran-do quante e quali interferenzeartistiche convivevano sovrappo-ste all’inizio e per buona metàdel secolo scorso. Del restoerano, quelli, anni di forti oscil-lazioni stilistiche tra il monu-mentalismo celebrativo di coloroche trattenevano l’architetturasaldamente ancorata ad un pas-sato assai remoto e le prime leg-gerezze formali di chi comincia-va a sperimentare un’architettu-ra liberata dagli orpelli delladecorazione. Se è vero che damolti dei suoi disegni risalentiai primi anni della carriera tra-

spare una forte sug-gest ione

G. Jacobucci:10. Concorso per il Cimiteo militare di Tirana, Mausoleo ai Caduti, sezione del Sacrario, 1930;11. Colonia marina di Serapo, Gaeta,prospettiva, 1931.

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per la monumentalità, in altri,soprattutto in quelli riferibili aprogetti di concorso (nei quali èpiù morbida la pressione dellacommittenza), si possono age-volmente recuperare delle con-sonanze formali, se non unaconvinta adesione, con le avan-guardie artistiche dell’epoca, sianazionali che internazionali.Ovviamente ci sembrano que-sti, oggi, i progetti migliori,quelli cioè attraverso i quali siintravede uno squarcio, unafrattura con l’ortodossia dellaretorica fascista dentro laquale Jacobucci si era calatocon una certa naturale disin-voltura all’inizio del-la carriera e cheprobabilmente gliavevano procuratogli incarichi profes-sionali più gratifi-

canti, a cominciare proprio dalprogetto del Palazzo dellaProvincia di Frosinone. Sonoprogetti spesso non realizzati(e quindi “solo” disegni) chedenotano un certo allineamentoculturale con quei giovani archi-tetti della generazione raziona-lista i quali tendevano a ripristi-nare un azzeramento di codi-ci rispetto a quelli propo-sti dalle Accademie,pertanto a stabilireuna distanza difficil-mente colmabile con

l’altra metà dell’ani-mo di Jacobucci,

incline a preser-vare una certa

dipendenza da tutti gli antece-denti culturali di un mestiereche egli continuava a considera-re radicato, nelle forme e nellesuggestioni, alla Roma antica.Ci riferiamo al concorso per ilPalazzo della Provincia di Lati-na, a quello per il Palazzo della

Provin-

cia di Ancona, all’edificio (rea-lizzato) di Igiene e Profilassi aFrosinone, ora sede dell’Acca-demia di Belle Arti, ai vari pro-getti per la Casa della mammae del bambino, ma soprattuttoal progetto di residenze previsteper il Piano Regolatore di Frosi-none del 1953, chiara deriva-zione delle “stecche” di Miesall’interno del Weissenhof diStoccarda del 1927.Eccetto quest’ultimo caso, relati-vamente tardo rispetto alla pro-duzione di Giovanni Jacobucci,tutti gli altri edifici risultano stra-namente alternati e sovrappostitemporalmente ad altri di indub-bia matrice retorica, segno evi-dente di una elasticità culturalepropria di ogni ricerca artistica,ma segno anche che egli nonaderì mai del tutto alle nuovedottrine che imponevano agliarchitetti di proclamare dissoltoil dogma accademico dell’imita-zione degli stili. Da un punto divista squisitamente filologico,quello che ci sorprende, oggi,nella lettura dei disegni diJacobucci e che tende a spiaz-zarci, sta forse proprio in questaversatilità eccessiva, in questaesuberanza di segni dissonantitra loro e che a voler ricucire ciinformano di un’indole combat-tuta, disposta alle nuove espe-rienze ma sempre procedendocon cautela. Un esegeta severo potrebbeavere voglia di leggere questiindizi promiscui come segnali diuna certa ambiguità di fondo,ma quale artista attraversa lapropria vita con coerenza? Tutto questo, probabilmente,ce ne rende difficile il giudizio,ma a pensarci bene è un giudi-zio che

G. Jacobucci:12. Concorso per ilPalazzo della Provinciadi Ancona;13. Progetto di "Casadel Fascio" per piccolicentri rurali e di confine;14. Concorso per ilCimiteo militare diTirana, Mausoleo aiCaduti, prospettiva delSacrario, 1930.

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non ci sentiamo in diritto diesprimere, tanta è la distanzatra lui e noi, architetti di oggi,ormai disincantati di fronte atutte le “mode”, agli stili, agli“ismi” che a ciclo continuo cipropongono la “soluzione buo-na” ma solo per il temponecessario a produrre la suc-cessiva, accolta ogni volta con

rinnovato entusiasmo. Il Razionalismo, l’architetturaorganica, il nuovo eclettismoricontestualizzato dal Postmo-dern, le recenti sperimentazionidecostruttiviste, un certo classi-cismo mai abbandonato, vivo epraticato benché sotterraneo, ilsempre più spinto esibizioni-smo delle archistar ci hannoconvinto che nell’arte non vi èprogresso, né esistono poetichetanto coinvolgenti da soppian-tare in maniera definitiva tuttele altre.In questo senso possiamo pro-vare a sostenere la tesi secon-

do cui Giovanni Jacobucci abbiapreferito rimanere un architettocólto, piuttosto che un architet-to impegnato; un artista la cuiricerca non resta imprigionatain un processo evolutivo linea-re, ma si espande senza pre-giudizi in tutte le direzioni.Quello che ci possono insegna-re oggi i suoi disegni non sonotanto i segreti e le raffinatezzedi una tecnica, poiché lo scolla-mento avvenuto nel frattempotra disegno di architettura edisegno tout-court non prevedericonciliazioni, quanto piuttostoa guardare con diffidenza qual-siasi forma di supponente auto-referenzialità, che fatalmenteconduce la professione sui terri-

tori effimeri della creatività fir-mata, condannando l’architetto– tramutato finalmente e defi-nitivamente in Autore – a dise-gnare per una vita lo stessomattone o, preoccupato di pre-servare inalterato il poterecontrattuale della propriagriffe, ad applicare adogni latitudine la medesi-ma lastra di titanio. Ci piace pensare che siaproprio questa la lezioneche, attraverso la letturadella sua calligrafia diffor-me, ci viene suggeri-to di imparare.

Una testimonianzaevidente di quantopotesse essereomologante la formazioneartistica di derivazioneBeaux Art agli inizi delsecolo scorso, può esseretratta osservando i disegnidel giovane Charles-Edouard Jeanneretrealizzati tra il 1905 e il1908 riferiti a tre progettiper abitazioni unifamiliaricommissionatigli mentre(ancora diciottenne!)frequentava i CoursSupérieurs de Décorationdopo aver affinato la suavocazione creativaseguendo per quattro annii corsi di incisore ecesellatore nella Scuolad’Arte applicata di LaChaux.de-Fonds.Al di là del precocetalento del giovanissimoLe Corbusier, che già daquesti primi edifici mostradi voler trattare con unacerta prudenza isovraccarichi del Liberty, ilsegno grafico con cuivengono “raccontati” èperfettamente in sintoniacon la calligrafia degliarchitetti romani dellagenerazione di Jacobucci,i quali sono stati educati apensare che il linguaggiodell’architettura non simuove in un territorioseparato, esclusivo elibero da contaminazioni,ma nasce e conserva deipunti di contatto con ognigenere di arte applicata.m.t.

16. Le Corbusier:Casa Fallet, 1905;Casa Stotzer, 1908;Casa Jacquemet, 1908.17. G. Jacobucci,Concorso per chieserurali nel suburbio di Roma (3o premio),1923.

G. Jacobucci:15. Monumento OssarioGianicolense, Roma,1941.

N O T E1. William Morris, “Prospect of Ar-chitecture in Civilization” (1881),in Architettura e socialismo, Ed.Laterza, Bari, 19632. Giannandrea Jacobucci, Giovan-ni Jacobucci architetto, Ed. Kappa,Roma,19963. Adolf Loos, “Trotzdem” (1909),in “Casabella” n. 233, Novembre1959

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a ricostruzioneL’esperienza lavorativa di Gio-vanni Jacobucci si snoda attra-verso i decenni che vanno dal1920 al 1960, scandita dai duegrandi eventi bellici che segna-rono l’Italia e l’Europa intera.L’architetto muove i primi passinell’ambiente artistico attornoagli anni che seguirono la finedella Grande Guerra e concludela propria carriera negli anni’60, in piena ricostruzione postbellica. Forse l’aver vissuto, nelpieno della propria vita produtti-va, i due conflitti mondiali è unadelle motivazioni che lo spinse-ro a dedicarsi maggiormente a

temi commemorativi e a svilup-pare una spiccata tendenza“celebrativa” che si rintracciasin dai primi lavori: non a casotra le sue prime opere troviamosia il Monumento ai caduti dellaGrande Guerra di Supino(1921), sia quello di Valmon-tone (1923); a queste realizza-zioni si possono aggiungere ilconcorso per il progetto per ilCimitero Militare di Tirana(1930), il Monumento dedicatoa tre ufficiali caduti durante lapresa di Roma (1940), l’Os-sario Gianicolense per i caduti

per Roma (1941) e la Stele aricordo dei caduti umbri nellapresa di Roma (1941). Il settore celebrativo occupasicuramente un rilevante postonell’esperienza professionale diJacobucci ed è per la sua “fami-liarità” con la tematica bellicache è interessante analizzarel’interpretazione che ha saputodare alla problematica dellaricostruzione delle città colpitedalla guerra. Tale problematicatravalica le dissertazioni sempli-cistiche sul restauro o sulla con-servazione degli edifici e inve-ste, invece, le sfere più profon-de della coscienza collettiva; e

riguarda soprattutto quel sensodi comunità che la guerra da unlato accentua, facendo indiscri-minato scempio di un popolo edi un territorio, ma annienta,distruggendo intere città o co-stringendo popolazioni alla fugadalla propria terra. Affrontare iltema della ricostruzione signifi-ca in qualche modo affrontarequello più universale e vasto deldolore, concepito come lacera-zione psicologica di un’interacomunità.Jacobucci venne incaricato del-la ricostruzione di Frosinone,

città che era stata già segnata,negli anni ’30, dalla sua prolifi-ca mano, che progettò gli edifi-ci più rappresentativi quando il“paesone” ciociaro divennecapoluogo di provincia e neces-sitava di scrollarsi di dossol’aspetto rurale che lo connota-va, per assumerne uno più si-gnorile e cittadino.

Frosinone perse nella SecondaGuerra Mondiale l’85% del-l’abitato, distrutto sotto i bom-bardamenti dei primi mesi del1944. Ai canadesi che la libera-rono il 31 maggio 1944 lacittà apparve devastata, con lestrade completamente ingom-bre di macerie e con notevolidanni negli edifici più importan-ti, come la Cattedrale di SantaMaria e il campanile, la caser-ma dei Carabinieri (localizzatadove oggi sorge l’edificio del-l’ex Banca d’Italia) il Palazzodel Governo (attuale sede della

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di Alessandra Digoni e Wilma Laurella

L’architettura celebrativae gli interventi postbellici

LA RICOSTRUZIONE DELPALAZZO DEL GOVERNO

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il risultato non è molto differen-te dall’originale: anche l’impo-stazione planimetrica rettango-lare con cortile centrale è rima-sta inalterata.Non si poteva certo considera-re il Palazzo del Governo unvero e proprio monumento,che avesse quindi un valoreartistico o architettonico rile-vante, e forse tanta fedeltàall’originale profusa da Jaco-bucci potrebbe sembrare fuoriluogo o frutto di una progetta-zione troppo semplicistica esbrigativa: si tratta invece diuna scelta che denota una sen-sibilità quasi “civica”, rispetto-sa del sentire di una popolazio-ne che in quegli anni faticosa-mente si stava liberando dalpeso delle macerie. Al di là di qualsiasi considera-zione di tipo progettuale, sipuò ipotizzare che l’architettosi sia anche dovuto scontrarecon la cruda e ancor più nudarealtà: egli si ispirò forse alfamoso principio di “fare dinecessità, virtù”, trovandosi adoperare in una situazione eco-nomica che non permettevagrandi spese pubbliche; imezzi limitati non gli avrebbe-ro consentito grandi sconvolgi-menti: si doveva recuperarequello che si poteva, per far sìche la vita cittadina tornassealla normalità.La ricostruzione del Palazzodel Governo rivestiva grandeimportanza per la popolazionefrusinate, e prova ne fu il fattoche una parte della cittadinan-za si mosse per opporsi allacostruzione di un imponentemuraglione di sostegno, previ-sto nel progetto di Jacobucci,che sarebbe servito a colmareil forte dislivello che si era crea-to tra la quota, notevolmentepiù bassa, di piazza Vittorio

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Prefettura), l’Ufficio delle Postee Telegrafi e il Municipio. Con il passare dei mesi, oltreall’esigenza di restituire untetto a gran parte della popola-zione, cominciava a farsi senti-re prepotente anche il bisognodi rendere di nuovo operative lestrutture pubbliche; il Palazzo

del Governo era sicuramente trai primi edifici da ripristinare:basti pensare che al suo internoerano ospitati la Prefettura, ilTribunale, il Carcere, l’Ufficiodel Registro, la Procura ed ilvecchio Catasto. Le condizioniin cui versava erano abbastan-za gravi, anche se la strutturanon era completamente distrut-ta: “del palazzo del Governo èin rovina tutto il piano della Pre-fettura, del Tribunale e dellaProcura mentre è ancora inpiedi solamente il piano terra ela parte occupata dal carceregiudiziario”.1

Jacobucci fu nominato, nel1946, consulente artistico peri lavori di ristrutturazione edampliamento del Palazzo delGoverno diretti dal GenioCivile, divenendone, di fatto,l’unico progettista. Il progettogenerale per il ricollocamentodegli uffici della Prefettura edella Questura seguì le indica-zioni fornite dallo stessoJacobucci nel Piano di Rico-struzione di Frosinone (redat-to con gli ingegneri MarinoMarini, Armando Vona ed Ed-gardo Vivoli), approvato il 13settembre 1946, che prevede-va di dotare il centro storico diun’ampia piazza (l’attualepiazzale Vittorio Veneto) adiretto affaccio sulla valle: ilPalazzo sarebbe stato quindiricostruito escludendo i corpioccupati dagli uffici del Tri-bunale e dal Carcere giudi-ziario. L’intervento di Jacobucci sulPalazzo del Governo fu fattoquasi “in punta di piedi”, conestrema delicatezza, ricostruen-do l’edificio tal quale era, adeccezione del piccolo frontoneche ospitava l’orologio, chevenne rimosso. L’unico tratto didifferenziazione nei prospetti siritrova nella semplificazionedelle forme. Nel settore centra-le della facciata principale lelesene che erano presenti nellaparte alta sono state sostituiteda fasce lineari prive di capitel-li, che conservano, però, lastessa partitura del prospettooriginale; anche le finestre delpiano nobile che avevano, oltrela cornice, una trabeazione sor-retta da due mensole laterali,sono state ricostruite adornesoltanto della cornice. All’edifi-cio attuale è stato conferito unaspetto più austero e linearenei prospetti, ma nella sostanza

1. Il Palazzo del Governoprima dei bombardamentidella Seconda GuerraMondiale.Nel progetto diricostruzione l'architettoJacobucci elimina ilpiccolo frontone conl'orologio ed apportamodeste varianti neglielementi decorativi.2. Papa Pio IX, in visitaa Frosinone, benedice la folla dalla balconatadel Palazzo del Governoil 14 maggio 1863.3. G. Jacobucci, progetto di ricostruzionedel Palazzo del Governo,fronte prospiciente piazza Vittorio Veneto,prospettiva che include la prima versione del porticato, 1949.

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all’importanza e centralità delpiazzale stesso, fossero ricava-ti in fregio al muraglione unporticato e qualche vano dadestinare ad ufficio turistico,locale pubblico di sosta e diristoro”.2 Jacobucci assecondòla volontà della popolazione estudiò alcune soluzioni per il

fronte prospettante piazzaleVittorio Veneto, tra le qualivenne scelta quella definitiva. Dietro una così accorata parte-cipazione della cittadinanza si

può leggere il desiderio e l’esi-genza di riportare in vita ciòche il mortale soffio dellaguerra aveva travolto, coglien-do l’opportunità di cambia-mento che la situazione offri-va attraverso una rilettura del-l’esistente. La ricostruzioneviene vista comunque come

un’operazione della contem-poraneità che, seppure agiscesul passato, è rivolta principal-mente al futuro. Resta il fatto che, attraversouna ricostruzione condotta conl’intento di ripristinare l’esisten-te, si è restituito alla popolazio-ne un luogo identitario dellacittà: gesto, questo, che assu-me un significato ancora piùimportante se applicato ad uncentro come Frosinone che, dalpunto di vista architettonico,già prima della guerra non con-servava molto del suo passatopiù antico. Possiamo citare in

proposito il pensiero del poetae scrittore frusinate GiulioCelletti (fondatore, nel 1953,della “Gazzetta Ciociara”) che,intorno agli anni Trenta, così siesprimeva in merito: “Si correrebbe il rischio di es-sere incolpati di soverchioamore pel nostro altissimo e

magnifico campanile se dices-simo che Frosinone è una bellacittadina dai begli edifici esplendida di monumenti. No!In omaggio alla verità noi dob-biamo affermare che, trannepochi edifici privati e pubblici,manca un grande decoro edili-zio alla nostra città la quale ècomposta, nella quasi totalità,da modeste casette di artigianie agricoltori, vissuti, fino apochi anni or sono, tra la piùdeplorevole indifferenza deigoverni passati, dimenticati daogni ordine di autorità. Né lerestano, a testimonianza degli

Veneto e la quota del Palazzo.Infatti, una volta che i lavorivennero suddivisi in lotti eappaltati, si procedette all’ese-cuzione, ma, come è riportatosulla relazione dell’IngegnereCapo del Genio Civile, CesareZoppi, “quando si stava per ini-ziare la costruzione del mura-

glione di sostegno sul Piazzalesi determinarono vibrate resi-stenze da parte di alcune rap-presentanze locali ed anchecon articoli sui quotidianivenne paventato che con lacostruzione del previsto mura-glione l’edificio sul fronte delpiazzale in parola avrebbeassunto l’aspetto di una fortez-za, deturpando la prospettivadi quella località cui con ilPiano di Ricostruzione si erainteso attribuire una monu-mentale bellezza architettoni-ca. Inoltre veniva prospettatala necessità che in relazione

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La scelta di farrivivere l’edificionel suo aspettooriginario qualedocumentotangibile di un passato degnodi memoria

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G. Jacobucci, Schizzoprospettico dellasistemazione di piazzaVittorio Veneto aFrosinone, con laseconda versione delporticato del Palazzo del Governo el'inserimento di unmonumento sulla vallata.

antichi fasti e delle passateglorie, vestigia degne di men-zione, ché attraverso i secolinessuno dei saccheggiatoriebbe pietà di lei; e Goti eBizantini e Longobardi e Sara-ceni ed infine gli Svevi, gliAngioini, i Baroni romani e per-sino gli stessi Papi, tutti contri-buirono alla distruzione del-l’antica colonia romana, giàsplendida e fiorente”.3

Da queste parole, allora, pos-siamo forse meglio compren-dere lo spirito che deve averanimato Jacobucci quando fuchiamato ad intervenire suiresti del Palazzo del Governo.Esso probabilmente rappresen-tava per l’epoca uno di quei“pochi edifici” di cui parlavaGiulio Celletti che contribuiva-

no al decoro alla città: un edi-ficio-simbolo con una propriastoria alle spalle (ricordiamoche la sua costruzione – nelluogo dell’antica rocca diFrusino – ebbe inizio nel1825 su progetto dell’architet-to Mazzarini per la Sede dellaDelegazione apostolica); eranecessario, pertanto, non stra-volgerne le forme ormai conso-lidate e acquisite alla memoriadei cittadini, quanto piuttostofarle rivivere nel loro aspettooriginario quale documentotangibile di un passato degnodi essere ricordato e tramanda-to alle generazioni future. Del resto il ricostruire fedelmen-te gli edifici distrutti che abbia-no un significato per la colletti-vità sembra essere stata un’esi-

genza di tutti i popoli e lenazioni investite da eventi trau-matici, quali i conflitti bellici,indifferente ai limiti geografici.Basti pensare al caso, nonmolto distante da Frosinone,dell’Abbazia di Montecassino,complesso dal grandissimovalore sia architettonico sia reli-gioso, riedificata esattamentecome era prima che fosseabbattuta dai bombardamenti,oppure, per allargare lo sguardoall’Europa, al caso di Varsavia,dove si volle ripristinare, oltre aimonumenti, l’intero centro sto-rico (la “città alta”) con il ca-stello, o anche al caso di Co-lonia, in cui le chiese violate edilaniate furono ricompostenelle loro originarie forme. Al di fuori di Frosinone, la

maggior parte delle altre rico-struzioni operate dall’architet-to Jacobucci si trovano aPontecorvo (FR), dove, nel1951, progettò le ricostruzio-ni della Chiesa Parrocchialedella SS. Annunziata, delSantuario della Madonna delleGrazie e del Palazzo sededelle Curia Vescovile. Anche in

questi casi il principio adottatofu quello di mantenere l’archi-tettura delle precedenti strut-ture epurandole, dove possibi-le, delle superfetazioni (comenel caso della Chiesa della SS.Annunziata).Le esperienze legate alla ri-costruzione ci suggeriscono undato molto importante per lalettura dell’intera opera di Ja-cobucci. La sicurezza con cuioperò non nasconde, infatti, uncerto appagamento dal puntodi vista professionale: dopo ilperiodo fascista, in cui – nel-l’ambito della produzione exnovo – egli si era visto“costretto” ad aderire pursenza convinzione alla corren-te razionalista del tempo, chegli imponeva un purismo for-

male non del tutto in linea conle sue inclinazioni stilistiche –rivolte per lo più a modelli set-tecenteschi e classici –, gliinterventi di ricostruzione post-bellica gli consentirono, para-dossalmente, di ritrovare quel-l’espressività formale cheaveva caratterizzato le operedei suoi esordi.

N O T E1. M. Federico, C. Jadecola, Lacittà è vuota e in rovina! La guer-ra a Frosinone 1943-44, Frosino-ne, 2005.2. Archivio di Stato di Frosinone,Genio Civile di Frosinone, serieOpere Pubbliche - Danni di guerra,b.n. 262.3. M. Federico, C. Jadecola, cit.

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nizia così una fase di impor-tante ripresa e di forte sviluppo,che negli anni successivi andrà adelinearne positivamente l’appa-rato complessivo. Nuove centrali-tà e nuove funzioni intervengononella vita economica e ammini-strativa della Città ed alcuneimportanti realizzazioni (i palaz-zi della Camera di Commercio edell’Amministrazione Provinciale,l’imponente edificio delle scuole

elementari “Pietro Tiravanti” el’acquedotto consorziale delSimbrivio) guidano architettoni-camente e urbanisticamente ilconsolidarsi del nuovo assetto. L’illusione di una crescita metro-politana è destinata però benpreso a svanire: 56 bombarda-menti alleati, protrattisi dall’11settembre 1943 al maggio1944, distrussero completamen-te la città, che alla fine della guer-ra risulta il Capoluogo di Provinciapiù devastato in rapporto alnumero di abitanti e al patrimo-nio edilizio.

In un censimento del 1945, si re-gistrarono 3.050 vani completa-mente distrutti e 4.880 grave-mente danneggiati; ben 8.500persone rimasero senza tetto.

Il raccapricciante scenario dellacittà Capoluogo è comune a granparte dei paesi della Provincia. Inquesto contesto prende iniziol’attività di Jacobucci urbanista,trovandosi ad essere chiamato aconfrontarsi con la redazione deipiani di ricostruzione dei Comunidi Sant’Andrea sul Garigliano,Arnara e Frosinone stessa.Attività particolarmente ardua,dovendosi commisurare conti-nuamente con una realtà, quellasuccessiva ad un evento bellico,in cui si riflettono aspetti straordi-

nari che implicano unconcetto di pianificazio-

ne ove, rispetto alle pro-blematiche funzionali, diprogrammazione e di politi-ca territoriale, il tema della

re-identificazione socia-le e individuale (o, in

di Francesco M. De Angelis

G I O V A N N I J A C O B U C C I A R C H I T E T T O1 8 9 5 - 1 9 7 0

I 1926: Frosinone viene designata Capoluogodi Provincia

contrapposizione, di una nuovaidentità) va ad assumere la pre-dominanza.La ricucitura delle lacerazioniinflitte agli edifici (e alle coscien-ze) diviene, nel processo di pro-gettazione a scala urbana, l’ele-mento cardine per operare su untessuto ridotto per la maggiorparte ad un cumulo di macerie.A redigere il Piano di Ricostru-zione, assieme all’architetto Ja-

cobucci, sono gli Ingegneri Ed-gardo Vivoli, Marino Marini edArmando Vona. Il piano è adotta-to con delibera di giunta comuna-le n. 90 del 26 ottobre 1945. Iprogettisti si prefiggono di esami-nare volta per volta, nelle diversecomponenti che partecipano ariformare un ordito edilizio, il va-lore di ogni singolo ambiente ur-bano, nei suoi termini di esisten-za o assenza, e interpretano laricostruzione, non tanto come lariproposizione fedele di ciò cheera, ma intervenendo in terminidi ricostituzione degli aspettiambientali.Un atteggiamento, quindi, di ri-spetto della natura del luogo,viene evidenziato nel manteni-mento delle caratteristiche delpaesaggio visibile, nel riordinodel tessuto urbano in aderenza

JACOBUCCI URBANISTA:L’ESEMPIO DI FROSINONE

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alla tipologia di quello preesi-stente, attenendosi comunque aquei principi di “diradamento”(tanto in voga all’epoca per ilrisanamento dei quartieri igieni-camente meno felici dei centristorici) laddove era più fitto l’ag-glomerato urbano e la distru-zione aveva, paradossalmen-

te, aperto nuovi punti di vista.È quanto accade nella zona checomprende le strade Via Moccia,Vicolo Moccia, Via Campagiorni,Vicolo Campagiorni, Via Angeloni

e l’attuale Corso della Repubblica(prima Corso Vittorio Emanuele),in cui si è seguito il metodo di rico-struire parzialmente, lasciandoslarghi e piazzette di “polmone”,così come avviene demolendo ilsoffocante edificato attestante lacattedrale di S. Maria, che vienead essere in tal modo dotata,

nella parte antistante la scalinata,di una piazza–sagrato. Stesso cri-terio è utilizzato nella riconfigura-zione della zona in cui si colloca-no il Palazzo della Prefettura e

delle Poste, ove la trama compat-ta (parzialmente distrutta daibombardamenti e completamen-te demolita per scelta) lascia spa-zio a più ampio respiro per gli edi-fici rappresentativi, consentendoanche di formulare un assettodefinitivo dell’attuale piazza Vit-torio Veneto, prospiciente il Belve-dere, valorizzandone le potenzia-lità panoramiche.Nella stesura del piano di rico-struzione, in aggiunta alla previ-sione dei fondamentali rifaci-menti (palazzi della Prefettura,della Banca d’Italia, di Giustizia,degli Uffici delle Poste e Teleco-municazioni, della Camera diCommercio), alcune grandi op-ere intervengono nel disegno deltessuto urbanistico cittadino: lecase popolari, l’Ospedale Civile,il campo sportivo comunale,l’ampliamento della rete strada-le urbana ed extraurbana. In par-ticolare dalla Casilina nord (chesi inerpica nella sua naturale pro-secuzione in Via Roma verso ilcentro storico della Città e locosteggia fino a sfociare dallaparte opposta del nucleo urba-no, orientandosi verso i Paesi asud del territorio provinciale), sidiparte, all’altezza del nodo “DeMatthaeis”, la viabilità di unnuovo insediamento a carattereresidenziale, industriale e com-merciale, quasi a rappresentarel’embrione di una nuova città.Tale nuovo spazio insediativo,ubicato nella valle del fiumeCosa, viene a configurarsi neitermini di un evidente distaccodall’insediamento originario(rafforzando i primordi dello svi-luppo dicotomico “Frosinonealta” e “Frosinone bassa” anco-ra presente ai giorni nostri), det-tato dalle scarse possibilità diampliamento che si offrono nel-l’immediata periferia del centro,situato sulle linee di cresta della

Giovanni Jacobucci (con gli igegneri EdgardoVivoli, Marino Marini e Armano Vona), Pianodi ricostruzione diFrosinone, 1945.Nella foto: Frosinonedopo i bombardamentidella II Guerra MondialeNella pagina precedente:architetti Jacobucci eMalpeli, schizzo di unadelle zone di espansionenel concorso per il PRG di Frosinone.

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dell’urbanistica moderna, specieper quanto riguarda la direzionedelle strade, l’allineamento,l’orientamento e la densità degliedifici: e pertanto il suo progettodovrebbe essere migliorato”.Data l’indole del luogo, nello svi-luppo del disegno del piano, par-ticolare attenzione è stata rivol-ta alla tutela paesistica, soprat-tutto per la presenza della sug-gestiva conca verde a sud dellacittà degradante verso il fiumeCosa, che suggeriva di evitare lacompromissione panoramica congrandi edifici, così come vienecontemplato nell’edificato previ-sto lungo i tornanti di VialeMazzini (prima Viale Principe diPiemonte) e nella scelta localiz-zativa e dimensionale del nuovoospedale. Forte delle esperienze del pianodi ricostruzione, l’architetto Ja-cobucci (con l’architetto Malpeli)vince il concorso nazionale per lastesura del Piano regolatoregenerale di Frosinone, promossodall’Amministrazione Ferrante. IlPiano, contraddistinto dal motto“Frusino ‘52”, ha rappresentatoin assoluto il primo vero e propriostrumento di programmazioneurbanistica per la città; essoesprime l’evoluzione che segnauna nuova concezione urbana el’emergere di un nuovo approc-cio alla pianificazione, dove èevidente l’influenza della corren-te razionalista.La nuova natura dello strumen-

to riflette, infatti, in manierapalese, la volontà di ricon-

durre l’azione ad alcuniprincipi, che trovano il

loro spunto in quellienunciati in particolare

nella “Carta di Atene”, docu-mento che viene pubblicatonel 1943 a cura di Le

Corbusier e che riassume lediscussioni condotte in occasio-

collina. Dalla soluzione propostaemerge in maniera evidente laformazione di Jacobucci, legataad un concetto urbanistico pret-tamente ottocentesco, che trac-cia le linee della futura espansio-ne per elementi, ove le strade,organizzate in genere a scac-chiera, assumono il valore diprincipio generatore e ordinatoredello sviluppo urbano, lasciandoad intendere le successive esten-sioni con le stesse rigide regolemorfologiche.Il tipo di impostazione del nuovonucleo espansivo, soprattutto inun momento storico in cui isegni di Le Corbusier incalzava-no nel disegno delle città, nontrova il consenso da parte delConsiglio Superiore dei LavoriPubblici, ragione per la quale ilpiano di ricostruzione vieneapprovato in definitiva limitata-mente alla parte riguardante ilcentro urbano. Nel parereespresso viene infatti precisatoche “…la zona individuatapresso il nodo stradale DeMatthaeis per la costruzione diun nuovo quartiere residenziale,commerciale ed industriale,mentre è per ragioni urbanisti-che bene ed opportunamenteindividuata ed ubicata, apparetroppo estesa e sproporzionataai prevedibili bisogni attuali efuturi immediati e male imposta-ta; il dispositivo stradale ed edi-lizio è eccessivamente monoto-no e non rispon-de alle buoneregole

pone al centro della progettazio-ne urbanistica, nel piano dellanuova Frosinone risaltano le fun-zioni che la città deve assolvere,e che vanno a corrispondere ai

ne del Congresso Internazionaledi Architettura Moderna (CIAM)tenuto nel 1933. A differenzadel piano di ricostruzione, in cuila ricerca di un’identità storica si

Architetti Jacobucci e Malpeli, tavole delconcorso per il nuovoPRG di Frosinone e schizzo di una dellezone di espansione.A fianco: G. Jacobucci(con gli igegneri EdgardoVivoli, Marino Marini e Armano Vona), tavola del Piano di ricostruzione diFrosinone.

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G. Jacobucci, propostadi riassetto di piazzaGaribaldi nel concorsoper il PRG di Frosinone

bisogni ed ai comportamenti del-l’uomo, individuati proprio nella“Carta di Atene” in: abitare, lav-orare, circolare, ricrearsi.Ma non è solo questa precisa in-dicazione delle funzioni checomporta un’innovazione nellaredazione di “Frusino ‘52”,quanto la messa a punto dellostrumento dello zoning, che nel-le esperienze razionaliste vieneportato alle conseguenze estre-me. Ai bisogni dell’uomo e allefunzioni stabilite per la città cor-risponde l’individuazione, congrande precisione, di aree diver-se destinate ciascuna a ricoprireuna funzione, per la quale veni-vano indicate le modalità edifi-catorie.Questo approccio rifletteva, perla prima volta, l’esigenza di defi-nire un nuovo equilibrio tra ini-ziativa privata e azione pubblica,vedendo tuttavia un nuovo ruolodella pubblica amministrazione,che diventava il soggetto princi-pale dell’azione urbanistica.Dal punto di vista della forma, si

assumeva quindi quella delpiano per aree (le zone), la cuiampia definizione dimensionalee la poco dettagliata articolazio-ne normativa richiedevano unaulteriore specificazione attraver-so strumenti di dettaglio. Ilpiano generale così costruitodoveva quindi essere reso opera-

tivo attraverso piani attuativi ri-guardanti le singole aree.Le implicazioni di questo meto-do sono relative alla necessità dicondurre indagini preliminari alpiano (conoscere e prevedereper decidere) e al fattore tempo,in quanto la sua attuazione sisvolge nel corso degli anni attra-verso momenti successivi di pia-nificazione.Nella relazione allegata alpiano, sono, infatti, ben descrittii criteri sulla base dei quali veni-va determinato l’incremento de-mografico posto a base dellaquantificazione dell’espansione:alla popolazione cittadina resi-dente nell’anno 1951, pari a13.803 abitanti, viene applica-to, considerando in 25 anni lavalidità del piano, un incrementodemografico di 11.100 abitanti. Riporta la relazione: “volendodistribuire questa popolazionesecondo i moderni criteri d’igie-ne con un grado di densità di unabitante ogni 50 mq, il pianodeve poter disporre di nuove

zone per la estensione comples-siva di 55 ettari”.Nel rispetto delle analisi svolte edella proposta localizzativa delnuovo insediamento formulatenel piano di ricostruzione,“Frusino ‘52” va a confermarela prevalente espansione dellaCittà futura al di là del fiumeCosa rispetto al nucleo origina-rio, nella conca posta a sud: “Laspeciale caratteristica del crinaleove sorge Frosinone, che rendeimpossibile ogni ulteriore amplia-mento alla città per diffusionenei sobborghi, e la posizionenella sottostante pianura dellaferrovia, e dei centri agricoli, dicommercio e di traffico rendonofatale lo spostamento a valle, oper meglio dire lo sdoppiamentodel centro urbano. Ciò è già pro-vato dalla naturale tendenzamanifestatasi da più di un decen-nio, e confermata dalle previsio-ne del vigente piano di ricostru-zione della città per quanto ri-guarda il nuovo quartiere resi-denziale, e infine dalle richiestedello stesso bando di concorsoche individua con precisione lezone per i nuovi quartieri”.I quartieri, quindi, individuati dalbando e – conseguentemente –dalla proposta urbanistica, anda-vano ad interessare la zona DeMatthaeis, all’epoca a carattereeminentemente commerciale,alla quale occorreva fornire uncoordinamento e aggiungere lazona residenziale verso Madonnadella Neve, il quartiere residenzia-le della zona del Campo Sportivo(che era già in atto con le costru-zioni dell’INA-CASA) ed il quartie-re dello Scalo ferroviario (che eraa carattere prevalentemente indu-striale e che presentava la neces-sità di essere integrato con lazona residenziale).I tre quartieri, per quanto enun-ciati dal bando in termini di ele-menti separati, vengono inter-

pretati da Jacobucci e Malpeli aformare un unico grande agglo-merato che si snoda lungo la ViaMarittima, dalla Madonna dellaNeve allo Scalo, gravitando inmaggior misura sul nodo DeMatthaeis e sullo Scalo. Nel disegno complessivo delpiano sono presenti poi due altrepiù modeste zone di espansione:una vicina al vecchio centro, aEst della provinciale per Gaeta ea Sud del palazzo della Pro-vincia, attraversata dalla ViaCisterna, destinata a poche co-struzioni di tipo estensivo medio,e l’altra a Ovest del piazzale DeMatthaeis, destinata a nuove co-struzioni di tipo estensivo basso,da considerarsi più che altrocome zona di ampliamento futu-ro, di riserva.Limitate invece risultano esserele previsioni riguardo la sistema-zione del vecchio centro urbano,poiché la redazione del pianointerviene nel momento in cui ilpiano di ricostruzione era incorso di attuazione. Lo studio, intale ambito, viene così ad essereristretto alle sistemazioni strada-li e alle soluzioni viarie, subordi-nando a queste le previsioni de-gli edifici di cui diventano direttaconseguenza.È difficile oggi formulare un giu-dizio sulla validità delle ipotesiurbanistiche di Giovanni Jaco-bucci che hanno interessatoFrosinone, poiché non hanno tro-vato un vero e proprio momentoattuativo. Infatti, malgrado egline abbia solcato il caratteregenerale nello sviluppo urbanoe, di risvolto, in quello sociale eproduttivo, i suoi postulati sonostati offuscati nel corso dellevicende della storia recente, con-notata costantemente da unaspeculazione che ha prevaricatoindistintamente gli aspetti dellaconoscenza, della vocazione edella natura del luogo.

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ra il Pulpito del Battistero diPisa di Nicola Pisano e quelloper il Battistero di Pistoia di suofiglio Giovanni le differenzequasi non esistono, benché tral’uno e l’altro siano trascorsi pre-cisamente quaranta anni: quelliche vanno dal 1260 al 1300.

Identico l’apparato, invariati imateriali e le corrispondenzeiconografiche, ma anche le lavo-razioni e gli strumenti usati pereseguirli. Quaranta anni possono sembra-re pochissimi se le strutturesociali di riferimento non subi-scono alterazioni clamorose, se icodici ed i segni che si usano percomunicare i linguaggi sonoancora in grado di essere lettisenza dover essere preventiva-mente trasferiti su nuovi pat-tern, se la scena in cui l’azionecomplessiva si svolge non èstata nel frattempo smantellataalle nostre spalle.Dalla data della morte di Gio-vanni Jacobucci ad oggi, mo-mento in cui noi lo ricordiamo, èpassato lo stesso lasso di tem-po, ma se ci soffermiamo a con-siderare le analogie tra questidue poli temporali avvertiamoun disagio, una specie di vertigi-ne, come se un inciampo delleore avesse prodotto una fratturanon più sanabile nella lineare

continuità degli anni, tanto dadeterminare uno slittamento dipiani che ci deforma l’intera pro-spettiva.Questo scarto ce lo allontana elo pone ad una distanza tale chel’immagine che ci restituisce dilui lo ritrova appiattito su uno

sfondo di riferimento con ilquale sentiamo di non avere piùcorrispondenze comuni. Guar-diamo in direzione del nostrocollega come se avessimodavanti agli occhi un binocolorovesciato, come se gli anni checi separano da lui non fosseroquaranta, ma quattrocento,quando non era ancora statascalfita la convinzione che l’ar-chitettura “si fa a bottega”, la-vorando a contatto di gomitocon l’artigiano che inciderà lapietra e il capomastro che gette-rà le fondazioni. Un luogo dovele gerarchie non erano discrimi-nanti ed il lavoro di ciascunoveniva svolto a beneficio di unacomunità e non per sottometter-si alle logiche speculative diquell’ingorda e sterminata piat-taforma immobiliare che, di lì apoco, sarebbe diventata la cittàmoderna. Un luogo nel quale la parola pia-nificazione non veniva ancorapronunciata perché un’esperien-za secolare dava la consapevo-

lezza che la città cresce con unsano grado di incoerenza attor-no a poche emergenze social-mente utili: una chiesa, un mer-cato, un edificio pubblico e nonper indotta obbedienza ad unpolicromatico masterplan cuiingenuamente affidiamo il com-

pito di disciplinare in un unicosalvifico gesto creativo il futurodi milioni di individui. Un luogo quasi sacro ai nostriocchi, che collochiamo con rim-pianto in un tempo mitologicoin cui ci piace pensare all’archi-tettura non solo come arte, mainnanzitutto come “mestiere”,nell’accezione più nobile di que-sta parola, come ad indicare unprocesso creativo in cui l’artistanon stacca mai del tutto la pro-

GIOVANNI JACOBUCCI A QUARANTA(O QUATTROCENTO) ANNI DALLA MORTE

di Massimo Terzinifoto di Daniele Baldassarre

G I O V A N N I J A C O B U C C I A R C H I T E T T O1 8 9 5 - 1 9 7 0

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Come in un binocolo rovesciato il mestiere di architetto e gli strumentitecnici di un’epoca ormai consegnata agli archivi

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pria mano dall’ope-ra che si sta realiz-zando; una attivitàdisciplinata da pre-cetti secolari in

grado di mantenere un contattofisico rispettoso tra l’uomo el’ambiente in cui vive. Un luo-go dove gli stili, le teorie, leavanguardie, le mode, se vistiin quest’ottica, appaiono quasicome dei plusvalori sovrastrut-turali rispetto al semplice co-struire e dove etica ed esteticacoincidevano; un’epoca in cuila dimensione intellettuale diuna professione d’élite era me-

diata da una certa rusticità deigesti, come a rilegare, in uncortocircuito virtuoso, l’architet-tura alla terra.

Un’epoca ormai consegnataagli archivi, nella quale le casedelle persone non erano ancoradiventate alloggi e sui manualidegli ingegneri i ponti e le stra-de non erano ancora stati sosti-tuiti dalle infrastrutture; un’epo-ca relativamente recente semisurata con il metro deglianni, ma spinta indietro di seco-li, se misurata comparando letecniche che affiancano qualsia-si lavoro.Un tempo coniugabile solo alparticipio passato in cui tecni-grafi, lucidi, tavoli da disegno,righe a T e balaustrini, costitui-

vano i sacri arredi di una profes-sione che i migliori di noi eserci-tavano al pari di una liturgia eche oggi osserviamo da spazi

sempre un po’asettici, dai qualiquelle utili suppel-lettili sono stateespulse, sostituiteda “macchine” chefanno di tutto peralleggerire la no-stra mano (e sem-pre più spesso an-che il nostro cervel-lo) ed alle qualigià non sappiamopiù rinunciare.

Non si spiega altrimenti lo stu-pore che ci prende quando,accecati dal bagliore dei pixelche ci restituiscono iperrealisti-che simulazioni dei nostri lavo-ri, osserviamo con ammiratanostalgia le prospettive in puntadi matita tra gli originali diJacobucci. Oggi che quel tipo dioriginale non esiste più e chetutto è copia da copia riprodot-to da un originale perenne-mente modificabile attraversooperazioni che non costano fati-ca, subiamo la suggestione diquei fogli di carta ingiallita coni quali noi stessi, fino a qualche

anno fa, abbiamo pur avutouna certa dimestichezza. Il salto evolutivo dentro il qualeci sentiamo coinvolti e che ci

ostiniamo a consi-derare coincidentecon un’idea di pro-gresso, produce innoi un contraccol-po emotivo ognivolta che ci capitadi buttare l’occhiosu una planimetriaad inchiostro dichina o sul detta-glio di un infissoritoccato a sangui-gna. Osservando iltratto dei disegnidi Jacobucci questosenso di distanza

aumenta ancora un pochino,laddove si immagina quel se-gno tracciato dalla mano di unuomo, segno che dilata enor-memente la frattura tra lui enoi, tra i suoi fogli squadrati conriga e compasso e i nostri plot-taggi a getto d’inchiostro.Quelle immagini contengono ilfascino di una manualità lentada acquisire e dietro la qualenon era possibile nascondersi,un’abilità ormai difficile darecuperare per tutti noi, felice-mente occupati a celebrare ilmito della rapidità dei gesti edelle azioni con le dita intorpidi-te sulla rotellina del mouse inuna perenne quotidiana ansia discoprire quale grado di contor-sionismo formale ci consentiràl’ultima versione del software dimodellazione di solidi. Un contraccolpo emotivo che ciinduce a sperare che almeno unpoco dello spirito di quella bot-tega si sia trasferito anche tra lenostre macchine, in modo dasentirci tutti ancora un po’ figlidi quel tempo così vicino eppu-re così diverso.

Giovanni Jacobucci:fontana della piazzettadella Collegiata, Supino,1930;ingresso del Cimitero di Ceccano, 1928;chiesa parrocchiale e canonica in localitàRoana, Ferentino.In seconda di copertina:Prospettiva a matita del Palazzodell'AmministrazioneProvinciale.In quarta di copertina:Giovanni con sua madre Teresa;Decreto di iscrizioneall'Albo degli Ingegneried Architetti dellaProvincia di Roma,marzo 1928.

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