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100 pagine per ripercorrere il lunghissimo "secolo breve" "Lascia che il mare entri" Barbara BAlzerani ed. Derive & Approdi Silvia De Bernardinis 100 pagine per ripercorrere il lunghissimo “secolo breve”. 100 pagine che sembrano molto più numerose per la densità della scrittura, per la profondità dell ´interrogarsi lungo gli snodi di un viaggio alla ricerca di origini, alla ricerca di significato da opporre all ´insensatezza della sconfitta di generazioni schiacciate dall´indifferenza della Storia, esposte al rischio dell ´oblio, quelle verso le quali la Storia ufficiale non volge lo sguardo.Dal periodo che precede la prima Grande guerra nelle valli venete, passando per la pianura laziale, durante i due conflitti mondiali e le grandi trasformazioni che ne seguono, fino ad arrivare alla Roma degli anni Settanta, nell´ultimo tentativo di assalto al cielo del Ventesimo secolo, nelle forme che quel secolo ha conosciuto. Un panorama che si allarga riportando gli echi degli sconvolgimenti che attraversano il mondo. Un tempo che si intreccia e si confronta attraverso la ricostruzione di un dialogo tra tre donne: la prima, quella della “progenie delle donne di ferro”, che paiono “solide ed eterne come le querce”, una bisnonna conosciuta attraverso racconti tramandati da madre a figlia. Una donna che appartiene alla millenaria civiltà contadina, con i suoi tempi lunghissimi da sembrare quasi immobili, che conosce e sa come vivere in un ambiente ostile, duro, ma non nemico, e che rimane muta davanti all´indicibile della Prima guerra, priva di parametri e di memoria che la aiutino a comprendere. La seconda generazione, quella della madre dell´autrice, delle donne schiacciate tra due guerre, che hanno il tempo di conoscere il vecchio mondo contadino prima di essere

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100 pagine per ripercorrere il lunghissimo "secolo breve""Lascia che il mare entri" Barbara BAlzerani ed. Derive & Approdi

Silvia De Bernardinis100 pagine per ripercorrere il lunghissimo “secolo breve”. 100 pagine che sembrano molto più numerose per la densità della scrittura, per la profondità dell´interrogarsi lungo gli snodi di un viaggio alla ricerca di origini, alla ricerca di significato da opporre all´insensatezza della sconfitta di generazioni schiacciate dall´indifferenza della Storia, esposte al rischio dell´oblio, quelle verso le quali la Storia ufficiale non volge lo sguardo.Dal periodo che precede la prima Grande guerra nelle valli venete, passando per la pianura laziale, durante i due conflitti mondiali e le grandi trasformazioni che ne seguono, fino ad arrivare alla Roma degli anni Settanta, nell´ultimo tentativo di assalto al cielo del Ventesimo secolo, nelle forme che quel secolo ha conosciuto. Un panorama che si allarga riportando gli echi degli sconvolgimenti che attraversano il mondo. Un tempo che si intreccia e si confronta attraverso la ricostruzione di un dialogo tra tre donne: la prima, quella della “progenie delle donne di ferro”, che paiono “solide ed eterne come le querce”, una bisnonna conosciuta attraverso racconti tramandati da madre a figlia. Una donna che appartiene alla millenaria civiltà contadina, con i suoi tempi lunghissimi da sembrare quasi immobili, che conosce e sa come vivere in un ambiente ostile, duro, ma non nemico, e che rimane muta davanti all´indicibile della Prima guerra, priva di parametri e di memoria che la aiutino a comprendere. La seconda generazione, quella della madre dell´autrice, delle donne schiacciate tra due guerre, che hanno il tempo di conoscere il vecchio mondo contadino prima di essere scaraventate nel mirabile nuovo mondo e nuovo tempo, quello della velocità, del progresso, dell´illusione di un benessere finalmente alla portata dei subalterni. L´abbandono dei campi con un biglietto di sola andata, per affrancarsi dalla fatica e dalla povertà. L´emigrazione e la fabbrica per trovare, al posto della liberazione promessa, un nuovo tipo di schiavitù, quella che produce “tossici, dipendenti da bisogni inimmaginabili”. Ed infine la generazione che scorge la rivoluzione possibile, quella dell´autrice, che sembra arrivata al momento giusto nel posto giusto per riscattare i tradimenti e le sconfitte subite dalle generazioni precedenti. Un dialogo fra tre donne apparentemente distanti, che vivono slanci e lacerazioni profonde, proprie dei tempi che ognuna

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di esse attraversa. Un dialogo che è una forma di ribellione e di resistenza all´attuale polverizzazione di senso ed una forma di sottrarsi ad essa, che prende corpo attraverso una memoria che si tramanda, e che schiude la possibilità di trasmissione di un sapere condiviso e collettivo, che si pone e si propone come costruzione di senso.Una riflessione ed un interrogarsi quanto mai necessari, oggi che non solo gli sconfitti ma anche i vincitori non possono sentirsi al sicuro di fronte ai danni irreparabili prodotti da un modello di produzione che pone in scacco la sopravvivenza della specie. Oggi che è venuta ormai meno la certezza che il futuro sarà meglio del presente, che è venuta meno la fiducia nello sviluppo illimitato delle forze produttive, la stessa che ha alimentato le lotte di molti per una società più giusta – propria di una lettura depauperata e positivistica del marxismo, ma che è stata quella che ha dominato nella gran parte della sinistra non solo nostrana. Non a caso il dialogo tra le tre protagoniste trova il suo momento di incontro in un luogo carico di simbolismo, Scilla, ma che in fondo può essere qualsiasi luogo in cui si scorga la “paziente ricucitura di comunanza tra gli umani” e la terra, quella comunanza che è appartenuta alla prima generazione di donne raccontate, prima della grande depredazione capitalistica.Lascia che il mare entri è il quinto romanzo di Barbara Balzerani, il più maturo finora dal punto di vista letterario. La categoria romanzo sembra immediatamente troppo stretta, l´Angelo benjaminiano evocato già nella prima pagina, e che fa da guida durante tutto il racconto, ne dilata i confini ponendolo su un piano di costante riflessione filosofica. Ma sarebbe d´altra parte un torto sottrarlo a tale categoria, perché il piano letterario e narrativo che prende forma attraverso la scrittura è tutt´altro che secondario. Ed infatti proprio il medium, la scrittura, è il vero protagonista. Una scrittura che non concede cedimenti all’attenzione. E se da un lato la sua tensione spingerebbe a leggere il libro tutto d´un fiato, dall´altro la densità ne esige una costante riflessione. Essenziale e tagliente, con un linguaggio che attinge al quotidiano rievocandone la sua mercificazione e che sa farsi allo stesso tempo poetico. Non una sola frase gratuita, non un solo termine al di là del necessario. È una scrittura che scava fino in fondo, e non potrebbe fare altrimenti, se vuole cercare di ritrovarsi in mezzo alla perdita di senso, “in mezzo agli ingorghi di lamiere”, “ai cimiteri di fabbriche chiuse”, all´”anima venduta in cambio di un frigorifero”. Scavare fino in fondo significa mettere a nudo le debolezze, gli errori, la ricchezza e la generosità, la rivendicazione del diritto al bello oltre che al giusto, di chi è diviso tra la rassegnazione e la rivolta – racchiuse nei “lampi indocili negli occhi

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svegli” della madre dell´autrice – alla condizione di una subalternità impotente. Una scrittura che ricostruisce nessi, traccia una memoria che è autobiografica e al tempo stesso collettiva, che trova la capacità di tramandare, unica forma per contrastare la macchina distruttiva delle classi dominanti, che ieri come oggi lavorano per cancellare qualsiasi traccia di memoria, per estirpare radici e lasciare al loro posto sogni illusori che tritano tutto, che schiacciano tutto in un eterno presente immemore. Che fanno dell´oblio, del conformismo imposto sul passato, come sottolineava Benjamin, lo strumento di un dominio totale, più letale di qualsiasi sconfitta. Dalle tracce di questa memoria si può restituire una storia a chi la Storia la fa e la subisce senza apparire nei libri di storia, a chi soprattutto deve permanentemente contrastarne i tentativi di esproprio. Scrivere una storia collettiva, dal basso e dalla parte di chi ha perso, e farlo attraverso un linguaggio poetico è impresa ardua e in questo caso pienamente riuscita.