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Il mito di Apollo e Marsia (canto I) Marsia, figlio di Eagro, era un sileno, dio del fiume Marsia, affluente del Meandro in Anatolia. Pindaro narra di come la dea Atena, una volta inventato l'aulos, lo gettò via, infastidita del fatto che le deformasse le gote quando lo suonava. Marsia lo raccolse, causando il disappunto di Atena, che lo percosse. Non appena Atena si fu allontanata Marsia riprese lo strumento ed iniziò a suonarlo con tanta grazia che tutto il popolo ne fu ammaliato, affermando che avesse più talento anche di Apollo. Marsia, orgoglioso, non li contraddisse, finché un giorno la sua fama arrivò ad Apollo, che lo sfidò (secondo altre versioni fu lo stesso Marsia a sfidarlo). Al vincitore, decretato dalle Muse, sarebbe stato concesso di far ciò che volesse dello sconfitto. Dopo la prima prova, le Muse assegnarono un pareggio. Così, Apollo invitò Marsia a rovesciare il suo strumento e a suonare: Apollo, logicamente, riuscì a rovesciare la cetra e a suonarla, ma Marsia non poté fare altrettanto con il suo flauto. Il dio decise di punire Marsia per la sua superbia e, legatolo ad un albero, lo scorticò vivo. Il mito di Glauco (canto I) Glauco, pescatore della Beozia, notò che i pesci, anche se catturati, se riuscivano a mangiare una particolare erba, subito riprendevano vitalità e fuggivano in acqua. Incuriosito, volle assaggiare l'erba misteriosa: subito avvertì una trasformazione ed in breve si tuffò nell'acqua, trasformato in divinità marina. Dante poteva leggere il mito di Glauco in Ovidio Piccarda Donati (canto III) Figlia di Simone Donati, Piccarda è sorella di Forese, amico di gioventù del poeta, e di Corso, il violento capo della parte Nera fiorentina, nonchè cugina della moglie di Dante, Gemma Donati. La monacazione della fanciulla, particolarmente bella, colpì il poeta. Corso, probabilmente fra il 1283 ed il 1293, periodo in cui ricoprì varie cariche pubbliche a Bologna, costrinse la sorella a sposare Rossellino della Tosa, stringendo, così, una parentela vantaggiosa per gli interessi della famiglia e per la personale carriera politica.

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Il mito di Apollo e Marsia (canto I)

Marsia, figlio di Eagro, era un sileno, dio del fiume Marsia, affluente del Meandro in Anatolia. Pindaro narra di come la dea Atena, una volta inventato l'aulos, lo gettò via, infastidita del fatto che le deformasse le gote quando lo suonava. Marsia lo raccolse, causando il disappunto di Atena, che lo percosse. Non appena Atena si fu allontanata Marsia riprese lo strumento ed iniziò a suonarlo con tanta grazia che tutto il popolo ne fu ammaliato, affermando che avesse più talento anche di Apollo. Marsia, orgoglioso, non li contraddisse, finché un giorno la sua fama arrivò ad Apollo, che lo sfidò (secondo altre versioni fu lo stesso Marsia a sfidarlo). Al vincitore, decretato dalle Muse, sarebbe stato concesso di far ciò che volesse dello sconfitto. Dopo la prima prova, le Muse assegnarono un pareggio. Così, Apollo invitò Marsia a rovesciare il suo strumento e a suonare: Apollo, logicamente, riuscì a rovesciare la cetra e a suonarla, ma Marsia non poté fare altrettanto con il suo flauto. Il dio decise di punire Marsia per la sua superbia e, legatolo ad un albero, lo scorticò vivo.

Il mito di Glauco (canto I)

Glauco, pescatore della Beozia, notò che i pesci, anche se catturati, se riuscivano a mangiare una particolare erba, subito riprendevano vitalità e fuggivano in acqua. Incuriosito, volle assaggiare l'erba misteriosa: subito avvertì una trasformazione ed in breve si tuffò nell'acqua, trasformato in divinità marina. Dante poteva leggere il mito di Glauco in Ovidio

Piccarda Donati (canto III)

Figlia di Simone Donati, Piccarda è sorella di Forese, amico di gioventù del poeta, e di Corso, il violento capo della parte Nera fiorentina, nonchè cugina della moglie di Dante, Gemma Donati. La monacazione della fanciulla, particolarmente bella, colpì il poeta.

Corso, probabilmente fra il 1283 ed il 1293, periodo in cui ricoprì varie cariche pubbliche a Bologna, costrinse la sorella a sposare Rossellino della Tosa, stringendo, così, una parentela vantaggiosa per gli interessi della famiglia e per la personale carriera politica.

I primi commentatori riferiscono una leggenda secondo cui Piccarda ottenne di conservare la verginità, ammalandosi di lebbra e morendo in pochi giorni, ma Dante lo esclude, se pure stende un velo sulla vita di Piccarda successiva al rapimento.

Costanza d'Altavilla (canto III)

Ultima figlia di Ruggero II e della terza moglie, Beatrice di Rethel, nacque nel 1154, quando il padre era già morto di malattia. Dopo la morte dei fratelli maggiori e del nipote Guglielmo II, Costanza divenne l'ultima discendente della famiglia Altavilla e

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l'unica erede del regno di Sicilia e di Puglia. Nel 1186 sposò Enrico VI di Svevia, figlio di Federico I Barbarossa ed erede del titolo di imperatore del Sacro Romano Impero.

Enrico, nato nel 1165, aveva quindici anni meno della sposa, che, a trentuno anni, aveva superato da tempo l'età usuale per il matrimonio. Per Federico I Barbarossa questo matrimonio rappresentò la possibilità di riportare nell'impero l'Italia meridionale.

Nel 1194, quando Costanza aveva già quarant'anni, nacque a Jesi il primogenito Federico, che dal padre ereditò la corona imperiale e dalla madre la corona di Sicilia. Sul finire del 1189, infatti, Guglielmo II il Buono era morto senza figli e solo sei mesi più tardi era morto in Cilicia anche Federico Barbarossa.

Morto il marito nel 1197, Costanza assunse la reggenza per il figlio, ma, sentendosi vicina alla morte, già l'anno successivo, pose il figlio di quattro anni sotto la tutela del papa Innocenzo III.

Il partito guelfo, per avvalorare l'identificazione di Federico II con l'Anticristo, diffuse la leggenda della giovanile monacazione forzata di Costanza, in vecchiaia poi tratta dal convento per generare un figlio contro ogni legge morale e naturale. In realtà Costanza non prese mai il velo, anche se fu allevata in convento, e condusse una vita molto ritirata finché le necessità di Stato la riportarono alla ribalta.

Dante accetta la leggenda della monacazione, ma rigetta tutti gli aspetti negativi attribuiti ad essa dalla propaganda guelfa.

Santa Chiara (canto III)

Santa Chiara (Assisi, ca. 1193–1253), nata da famiglia altolocata, fu destinata ad un matrimonio combinato, ma la sera della domenica delle Palme del 1211, quando aveva solo diciotto anni, fuggì dalla casa paterna per raggiungere Francesco d'Assisi e i frati minori presso la chiesetta di Santa Maria degli Angeli, la Porziuncola. Francesco la fece entrare in diversi monasteri benedettini per metterla al riparo dalle ire del padre, finché Chiara prese dimora nel fabbricato annesso alla chiesa di San Damiano, restaurata da Francesco. Qui fu raggiunta dalle sorelle e dalla madre Ortolana, oltre che da altre donne, con le quali diede vita a una famiglia di claustrali povere, note come Clarisse. La povertà fu il tema centrale della sua esperienza mistica e il privilegio richiesto da lei a due papi, Gregorio IX e Innocenzo IV. Vi trascorse quarantadue anni, di cui ventinove in malattia. Esponendo l'ostensorio alla finestra, avrebbe salvato il convento dai Saraceni nel 1240.

Federico II di Svevia (canto III)

Federico II di Svevia (Jesi, 1194- Castel Fiorentino, 1250), figlio di Enrico VI e di Costanza d'Altavilla, fu re di Sicilia dal 1196, dapprima sotto la tutela di papa Innocenzo III. Eletto in opposizione ad Ottone di Brunswick, ottenne la corona imperiale da papa Onorio III nel 1220, nonostante l'ostilità dello stato pontificio all'unione delle corone di Sicilia e Germania.

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La tregua con il papato si infranse, quando Federico lasciò cadere nel vuoto gli appelli alla crociata e, nel 1226, fu scomunicato, riscattandosi, però, con una spedizione in Terra Santa dove conquistò Gerusalemme. Federico II concentrò la sua attività politica in Sicilia, cui diede un corpo legislativo (Costituzioni Melfitane) e la cui corte fu un centro culturale. Si pose, così, alla testa dei ghibellini, sostenendo un lungo scontro con il papa e i comuni guelfi. Deposto da Innocenzo IV, Federico morì a Castel Fiorentino.

Pur ammirandolo, Dante condivide l'opinione comune al suo tempo. La propaganda guelfa, infatti, accusava, per ragioni politiche, l'imperatore di eresia e di epicureismo.