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Osservazioni e commenti ADELMO MANNA (1) Caro Paolo, ho letto l'interessante testo normativo sulla relazione terapeutica e mi permetto soltanto di effettuare alcuni rilievi critici sul paragrafo 11, avente ad oggetto lo stato di necessità in materia sanitaria, in quanto, almeno nella dottrina penalistica, sono state da tempo mosse fondate critiche sull'uso di tale scriminante in materia di trattamenti medici, in quanto con lo stato di necessità si rischia che il medico diventi sostanzialmente "arbitro" della salute del paziente così rischiando di mettere in secondo piano la volontà del paziente medesimo. E' vero che utilizzi lo stato di necessità proprio nelle ipotesi in cui non sia nota la volontà della persona o comunque non sia facilmente gestibile o acquisibile il consenso ma, proprio per queste ragioni, riterrei preferibile che fosse utilizzata la scriminante non codificata o comunque l'istituto del c.d. consenso presunto, perché in tal modo mi sembra si possa rispettare maggiormente la volontà, seppur ipotetica, del paziente nel senso che in mancanza del consenso, o espresso oppure tacito, è possibile ricorrere alla ragionevole presunzione che, se il paziente era in grado di esprimere un consenso sicuramente lo avrebbe fatto. In tal senso si sono anche orientati taluni dei più recenti progetti di riforma del codice penale. MAURIZIO DI MASI In particolare al secondo comma dell'art. 1 inserirei un riferimento alla dignità umana, la quale mi sembra

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Osservazioni e commenti

ADELMO MANNA (1)

Caro Paolo,ho letto l'interessante testo normativo sulla relazione terapeutica e mi permetto soltanto di effettuare alcuni rilievi critici sul paragrafo 11, avente ad oggetto lo stato di necessità in materia sanitaria, in quanto, almeno nella dottrina penalistica, sono state da tempo mosse fondate critiche sull'uso di tale scriminante in materia di trattamenti medici, in quanto con lo stato di necessità si rischia che il medico diventi sostanzialmente "arbitro" della salute del paziente così rischiando di mettere in secondo piano la volontà del paziente medesimo.E' vero che utilizzi lo stato di necessità proprio nelle ipotesi in cui non sia nota la volontà della persona o comunque non sia facilmente gestibile o acquisibile il consenso ma, proprio per queste ragioni, riterrei preferibile che fosse utilizzata la scriminante non codificata o comunque l'istituto del c.d. consenso presunto, perché in tal modo mi sembra si possa rispettare maggiormente la volontà, seppur ipotetica, del paziente nel senso che in mancanza del consenso, o espresso oppure tacito, è possibile ricorrere alla ragionevole presunzione che, se il paziente era in grado di esprimere un consenso sicuramente lo avrebbe fatto.In tal senso si sono anche orientati taluni dei più recenti progetti di riforma del codice penale.

MAURIZIO DI MASI

In particolare al secondo comma dell'art. 1 inserirei un riferimento alla dignità umana, la quale mi sembra richiamata esplicitamente solo all'art. 19. 

Un'altra proposta riguarda il lessico: forse utilizzerei il termine benessere al posto di "bene"; mi pare eticamente meno connotato, mentre nell'ambito sanitario "benessere" richiama proprio lo stato di buona salute psico-fisica e sociale prospettato dall'OMS.

All'articolo 9 e 14 invece azzardo un tantino, poiché propongo di sostituire il termine "bene" con "volontà presunta" del paziente. Il che dovrebbe consentire, a mio avviso, di recepire le indicazioni

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giurisprudenziali del Caso Englaro e, nello stesso tempo, di risolvere il problema della ricostruzione della volontà del paziente in tutti quei casi - che nella pratica dovranno comunque ipotizzarsi come la regola - in cui il paziente non abbia espresso dichiarazioni anticipate, ovvero nel caso di disaccordo sulle stesse tra medico e fiduciario/amministratore di sostegno. Ciò dovrebbe anche consentire di ricorrere alla prova per testi dinanzi al giudice, in mancanza di uno scritto dell'interessato. 

Un ulteriore spunto potrebbe essere dato, infine, da un eventuale coordinamento con la legge n. 38/2010 recante "Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore", che nel triste panorama normativo in materia mi pare una legge all'avanguardia e pienamente conforme all'autodeterminazione ed alla dignità del malato, quantomeno a livello declamatorio.Il legislatore, difatti, in questa legge riconosce il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative ed alla terapia del dolore, ed afferma che l’accesso del malato a tali cure e terapie è tutelato e garantito al fine di “assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze” (art. 1, secondo comma). Apertura davvero innovativa che colloca finalmente il paziente in una dimensione relazionale, tutelando non solo il malato, ma anche il suo nucleo familiare.

ADELMO MANNA (2)

Caro Paolo,ho letto le critiche che hai rivolto al collega Di Masi circa il Tuoatteggiamento contrario a fare riferimento alla volontà presunta dellapersona, in quanto non Ti sembra limpida e indifendibile l'operazione di costruire una volontà presunta da tutelare in nome dell'autonomia.Mi permetto di dissentire, non solo rilevando come, l'istituto dl consenso presunto è ampiamente utilizzato nel diritto penale tedesco ed anche da noi è affermato non tanto da chi scrive quanto autorevolmente dallo stesso Mantovani che giustamente rileva come, al contrario, l'utilizzazione dello stato di necessità, o addirittura la c.d. necessità medica, in relazione cioè a pericoli futuri, renda sostanzialmente "arbitro" della salute del paziente lo stesso medico, mentre così non avviene se il sanitario medesimo è

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obbligato a ricercare, attraverso una ragionevole presunzione, quale sarebbe stata la volontà del paziente, sol che avesse potuto quest'ultimo acconsentire.A me non sembra quindi un terreno scivoloso perché legato, per l'appunto, ad una "ragionevole presunzione", che si può basare su massime di esperienzache si basano com'è noto anche sul criterio dell'id quod plerumque accidit. In tal modo mi sembra, in conclusione, che il consenso presunto non dia luogo ad una scriminante soggettiva, ciò che costituirebbe in vero un ossimoro giuridico, ma una causa di giustificazione o comunque una causa di liceità che si basa anche su di un dato oggettivo e quindi per questo più facilmente verificabile, come in effetti è avvenuto anche nel caso Englaro, che alla fine ha avuto quel doveroso e giusto riconoscimento giuridico da parte sia della Cassazione civile che del giudice penale, che in fatti ha archiviato la posizione del medico che ha staccato i presidi di alimentazione e idratazione proprio in base al consenso presunto della povera Eluana.Cordiali salutiAdelmo Manna

MAURO BARNI

Solo due grosse preoccupazioni personali (da medico legale):

Art. 14, II comma:  sono per me da eliminare i punti b e c, abbastanza inverosimili in condizione di emergenza prevalendo in questi casi la posizione di garanzia del medico.

Artt. 17-22: il parere del comitato etico è chimerico e improponibile per ragioni di incompetenza, di privacy, di tempo (convocazione ad horas?), di praticabilità (operando nel 90% degli ospedali italiani solo i comitati per la sperimentazione dei farmaci). Ed anche il ricorso a esperti esterni sembra lesivo della dignità del curante: allora decida il giudice tutelare (come ormai avviene comunemente!).

STEFANO ROSSI Proposte di ‘emendamenti’ al testo base di discussione.Quanto all’art. 1, 1° co, che sancisce “L’intangibilità del corpo è diritto inviolabile di ogni essere umano”, si propone di sostituirlo

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con la previsione “L’inviolabilità del corpo è diritto fondamentale di ogni essere umano”Tale proposta di modifica trova giustificazione sotto tre profili: in primo luogo l’uso del concetto di inviolabilità, anziché intangibilità, riferito al corpo consente di qualificare le intrusioni, non autorizzate, nella sfera fisica dell’individuo quali violazioni; in via ulteriore, l’utilizzo del termine ‘inviolabilità’ consente di tutelare i diritti sul corpo anche nei confronti di condotte aventi carattere omissivo (in particolare quelle che configurano azioni mediante omissione).In terzo luogo, per quanto la dizione originale richiami suggestivamente la connessione esistente tra l’art. 2 e l’art. 13 Cost., essa potrebbe prospettarsi, alla luce della migliore dottrina costituzionalistica, come un’espressione sinonimica, nella misura in cui i diritti inviolabili sono già di per sé «intangibili», potendo peraltro essere bilanciati con beni pariordinati, purché, per un verso, il loro contenuto essenziale non risulti intaccato e, per altro, venga rispettato il criterio della ragionevolezza (A. Baldassarre, voce «Diritti inviolabili», in Enc. Giur. Treccani, XI, Roma, 1989, 25 ss.). La dizione proposta, invece, intende – riprendendo la consolidata giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 471/1990) – affermare il carattere di diritto fondamentale dell’habeas corpus, inteso in una versione proattiva, ovvero quale “sfera di esplicazione del potere della persona di disporre [in via esclusiva] del proprio corpo”.Peraltro la qualificazione di tale condizione del corpo, quale diritto fondamentale, consente, da un lato, di rinnovare quel circolo ermeneutico virtuoso tra gli artt. 2, 13 e 32 Cost., sancito dalla sentenza n. 438/2008 e, dall’altro, di sostanziare i caratteri del diritto che viene ad essere formalizzato, caratteri integranti una forma universale, inalienabile, indisponibile e costituzionale volta a garantire ciò che si ritiene fondamentale in un paese (“ossia quei bisogni sostanziali la cui soddisfazione è condizione della convivenza civile e insieme causa o ragione sociale di quell’artificio che è lo Stato” cfr. L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, in Teoria politica, 1998, 2, 3 ss.).Nel contempo la qualificazione ‘fondamentale’ data alla situazione giuridica in commento ne pone in rilievo la capacità di coagulare posizioni molecolari, complesse, che contengono sia elementi “positivi” che “negativi” (L. Ferrajoli, Principia iuris, I, Laterza, Roma-Bari, 2007, 325, 327, 643): raramente, infatti, un certo diritto fondamentale è esclusivamente un diritto di libertà “di”, o di libertà “da”, o diritto sociale, o diritto di autonomia, più spesso esso definisce una posizione dinamica e complessa.

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§§§

Quanto all’art. 1, 2° co., nel quale si prevede che “Qualsiasi condotta che implichi intromissione nella sfera corporea altrui è lecita solo se consentita dall’interessato o da chi può decidere per lui, ovvero quando sia giustificata da condizioni di necessità e urgenza” si propone di integrare/modificare la disposizione nel senso seguente: “Qualsiasi condotta, avente carattere o finalità terapeutica, che implichi intromissione nella sfera corporea altrui è lecita esclusivamente se consentita dall’interessato o, in caso di incapacità di quest’ultimo, da suo rappresentante ovvero quando sia giustificata da condizioni di necessità ed urgenza, che operano, quali esimente, nei limiti di cui all’art. 14”.

§§§Quanto all’art. 2, che recita “Ciascuno ha diritto a perseguire la propria salute quale benessere fisico e psichico secondo la propria esperienza e concezione di vita, e a ricevere a tal fine le prestazioni sanitarie adeguate e la collaborazione del personale sanitario con il quale si trovi in relazione terapeutica” si propone una modifica nel senso seguente “Ciascuno è libero di autodeterminarsi in ordine al proprie scelte in materia di salute, intesa quale…”.

§§§

Quanto all’art. 3, che prescrive “La relazione terapeutica è diretta esclusivamente al bene del malato, che si individua nella collaborazione tra medico e paziente secondo le rispettive competenze e la cui ultima determinazione è prerogativa della persona malata. Essa è retta dal principio della consensualità. La consensualità delle decisioni terapeutiche vale anche per la persona minore o legalmente incapace che ha diritto alla valorizzazione delle sue capacità e al rispetto di aspirazioni e bisogni” si propongono le seguenti modifiche:“La relazione terapeutica è diretta esclusivamente al perseguimento del miglior interesse del malato, che si definisce nel rapporto dialogico tra medico e paziente secondo le rispettive competenze e la cui ultima determinazione è prerogativa esclusiva della persona malata. Essa è retta dal principio della consensualità. La consensualità delle decisioni terapeutiche è principio anche nella relazione con la persona minore o legalmente incapace che ha

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diritto alla valorizzazione delle proprie capacità e al rispetto della propria identità, espressiva di aspirazioni e bisogni”.

La modifica si fonda sulla perplessità nell’utilizzo del concetto di ‘bene’ nell’ambito di un testo legislativo, laddove le nostre società pluraliste si fondano necessariamente su di un accordo non coercitivo tra visioni diverse del bene e quindi della morale; quindi, forse, il più laico concetto di ‘miglior interesse’ (best interest anglosassone) potrebbe risultare funzionale a rappresentare l’esito di quel processo circolare di informazione, confronto e espressione del consenso/dissenso che dovrebbe caratterizzare la relazione terapeutica. Si propone poi di integrare l’ultimo capoverso dell’art. 3 introducendo il limite/vincolo del rispetto dell’identità del paziente, specie di quello incapace, nella misura in cui la scelta terapeutica si fonda su un giudizio di compatibilità tra la proposta medica e l’immagine o l’idea che ognuno ha di se stesso.

§§§

Quanto all’art. 16 che prevede: “Nel caso di programmazione anticipata e condivisa delle cure, le decisioni relative alla accettazione o all’esclusione di cure e trattamenti sono documentate per iscritto nella cartella clinica o in altro strumento scritto e sottoscritto dal medico e dal paziente, ovvero con altri mezzi proposti o accettati dal paziente ed idonei a dare adeguata certezza delle scelte programmate, come verbali di incontri o registrazioni audio e video” si propone di integrarlo con un comma 2° del seguente tenore:“Il medico che collabora con il paziente, in vista della programmazione anticipata e condivisa delle cure, deve attestare, con propria firma e con indicazione delle proprie generalità, l’avvenuta informazione del paziente sulle conseguenze connesse a tali scelte e la sussistenza, al momento dell’atto dispositivo, della capacità di intendere e di volere del paziente stesso”.

§§§

Quanto all’art. 19, 2° co., che prevede “Essa può altresì esprimere la propria volontà di essere trattata secondo più generali criteri con riguardo alla applicazione di modalità di intervento che implichino rischi o condizioni vitali da lei ritenuti non accettabili. In particolare, essa può escludere le pratiche di nutrizione artificiale e di idratazione per vena di trattamento non può invece essere diretta al

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rifiuto di misure di accudimento indispensabili per esigenze di dignità della persona, come ad esempio la pulizia e la cura delle piaghe” si propone la seguente modifica: “Essa può altresì esprimere la volontà di non essere sottoposta a determinati interventi o trattamenti sanitari, che implichino rischi o condizioni vitali ritenute non accettabili, individuati sulla base di principi generali e criteri orientativi, del cui rispetto si farà onere il fiduciario o l’amministratore di sostegno. In particolare, il paziente può escludere le pratiche di nutrizione artificiale e di idratazione per vena. La disposizione anticipata di trattamento non può invece essere diretta al rifiuto di misure di assistenza e accudimento indispensabili al fine di garantire la dignità della persona, come ad esempio l’assistenza ai pasti, la cura dell’igiene personale, la deambulazione e la prevenzione di piaghe da decubito”

§§§

Quanto all’art. 20 che prescrive: “Le disposizioni anticipate possono contenere l’indicazione di un fiduciario con i compiti di cui all’art. 6. Ove tale indicazione manchi, si provvede alla nomina di un amministratore di sostegno” si propone la seguente modifica:“…Ove tale indicazione manchi, si provvede alla nomina di un amministratore di sostegno ai sensi dell’art. 404 ss. del codice civile.. L’art. 405 del codice civile viene integrato dal comma 5 bis del seguente tenore: ‘In presenza di disposizioni anticipate di trattamento, il Giudice tutelare è vincolato, nell’adottare il decreto di nomina, a quanto disposto nelle stesse in ordine all’oggetto dell’incarico dell’amministratore e agli atti che l’amministratore stesso può compiere in nome e per conto del beneficiario, potendo tuttavia integrarle ove necessario”.

Si ritiene necessaria tale modifica in quanto sarebbe irrazionale che le disposizioni anticipate fossero ‘vincolanti’ per i sanitari e non per il Giudice tutelare che deve provvedere alla nomina del soggetto che di tali direttive dovrebbe curare l’osservanza. Per quanto un importante orientamento giurisprudenziale (Trib. Modena per tutti) abbia già fatto propri tali principi valorizzando le istanze proposte in ricorso dai beneficiari, vi sono altri giudici che, ancor oggi, in ossequio all’assurda applicazione del principio di attualità della volontà, inteso in senso cronologico e non logico, escludono la possibilità che l’amministrazione di sostegno possa fungere da strumento di attuazione delle direttive anticipate.

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§§§

Quanto all’art. 21, 1° co., esso prevede che “Il personale sanitario è tenuto al pieno rispetto delle disposizioni anticipate, secondo gli stessi principi e criteri che valgono per le manifestazioni di volontà o di desiderio, o per le convinzioni e inclinazioni espresse o comunque manifestate in attualità dal paziente” se ne propone la modifica nel senso seguente:“La struttura sanitaria e la casa di cura, sia essa pubblica, convenzionata o di diritto privato, e il personale sanitario che vi opera sono obbligati al pieno rispetto delle disposizioni anticipate, secondo gli stessi principi e criteri che valgono per le manifestazioni di volontà o di desiderio, o per le convinzioni e inclinazioni espresse o comunque manifestate nel pieno delle proprie capacità e in attualità dal paziente”

In forza della natura contrattuale del rapporto che si viene ad instaurare tra personale medico, struttura sanitaria e paziente, si viene a configurare il rispetto delle direttive anticipate come un obbligazione (di protezione), la cui violazione dovrebbe comportare (come nel caso di violazione del consenso informato) ricadute risarcitorie.

§§§Quanto all’art. 21, 2° co., che prescrive “L’interpretazione e la concretizzazione delle disposizioni è affidata all’intesa tra medico e fiduciario/amministratore di sostegno. In caso di dissenso, si ricorre al parere del Comitato etico della struttura sanitaria, ove presente, o ad esperti nominati dalla struttura stessa, che suggeriscono una soluzione; se il dissenso permane si ricorre al giudice“ si propone di integrare la disposizione nel modo seguente:“…se il dissenso permane è possibile proporre ricorso al Giudice tutelare del luogo di residenza e/o domicilio del disponente. Legittimati al ricorso sono il fiduciario, l’amministratore di sostegno o il coniuge, il convivente, i discendenti, gli ascendenti e i fratelli del disponente”

Tale modifica ha efficacia anche per quanto concerne il disposto dell’art. 17, 3° co.

§§§

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Quanto all’art. 22 che prevede: “Le disposizioni anticipate di trattamento sono valide quando espresse in forma scritta con firma autenticata o con atto scritto e sottoscritto e depositato dal disponente presso le strutture di assistenza medica di base …” si propone di integrare il disposto nel senso seguente:“Le disposizioni anticipate di trattamento sono valide quando espresse in forma scritta con firma autenticata o con atto scritto e sottoscritto e depositato dal disponente presso le strutture di assistenza medica di base o presso il Comune di residenza, qualora sia stato istituito l’apposito registro. Con decreto del Ministero della salute verranno definite le modalità e i criteri per il deposito e la conservazione di tali dati in conformità con quanto disposto dal d.lgs. n. 196/2003”