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1 RICERCA SULL’INTELLETTO UMANO David Hume, 1777 I. LE DIFFERENTI SPECIE DI FILOSOFIA H. distingue fra una filosofia tesa a migliorare l’uomo, che potremmo chiamare “facile” e un’altra, “profonda”, che assume l’uomo come essere ragionevole, improntato a coltivare il suo intelletto, più che i suoi costumi. La seconda non solo ha meno successo della prima, ma è anche più facile che prenda grosse cantonate, perché astratta e lontana dal senso comune. La prima è facilmente applicabile, mentre la seconda si scioglie come neve al sole di fronte alla vita. Sembrerebbe quindi che la metafisica andrebbe boicottata. H. si impegna a mostrare il contrario. In primo luogo la prima filosofia senza la seconda sarebbe difficile, poiché ogni arte presuppone una conoscenza del mondo. In secondo luogo, coltivare il rigore ha un valore formativo. Inoltre la filosofia profonda soddisfa la nostra curiosità: Were there no advantage to be reaped from these studies, beyond the gratification of an innocent curiosity, yet ought not even this to be despised; as being one accession to those few safe and harmless pleasures, which are bestowed on human race. The sweetest and most inoffensive path of life leads through the avenues of science and learning; and whoever can either remove any obstructions in this way, or open up any new prospect, ought so far to be esteemed a benefactor to mankind. Un sentiero dolce e inoffensivo. Tuttavia, nonostante questi vantaggi, sembra che la metafisica porti nell’oscurità e nell’incertezza, che di certo non fanno bene agli uomini. E’ proprio per questo che bisogna premettere alla metafisica una seria indagine sui limiti e le capacità dell’intelletto umano [lo aveva già detto Locke all’inizio del suo Saggio]. In questo modo ci si affranca da quel pernicioso miscuglio di linguaggio incomprensibile che ha l’apparenza della scienza:

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RICERCA SULL’INTELLETTO UMANODavid Hume, 1777

I. LE DIFFERENTI SPECIE DI FILOSOFIAH. distingue fra una filosofia tesa a migliorare l’uomo, che potremmo chiamare “facile” e un’altra, “profonda”, che assume l’uomo come essere ragionevole, improntato a coltivare il suo intelletto, più che i suoi costumi. La seconda non solo ha meno successo della prima, ma è anche più facile che prenda grosse cantonate, perché astratta e lontana dal senso comune. La prima è facilmente applicabile, mentre la seconda si scioglie come neve al sole di fronte alla vita. Sembrerebbe quindi che la metafisica andrebbe boicottata. H. si impegna a mostrare il contrario. In primo luogo la prima filosofia senza la seconda sarebbe difficile, poiché ogni arte presuppone una conoscenza del mondo. In secondo luogo, coltivare il rigore ha un valore formativo. Inoltre la filosofia profonda soddisfa la nostra curiosità:

Were there no advantage to be reaped from these studies, beyond the gratification of an innocent curiosity, yet ought not even this to be despised; as being one accession to those few safe and harmless pleasures, which are bestowed on human race. The sweetest and most inoffensive path of life leads through the avenues of science and learning; and whoever can either remove any obstructions in this way, or open up any new prospect, ought so far to be esteemed a benefactor to mankind.

Un sentiero dolce e inoffensivo.Tuttavia, nonostante questi vantaggi, sembra che la metafisica porti nell’oscurità e nell’incertezza, che di certo non fanno bene agli uomini. E’ proprio per questo che bisogna premettere alla metafisica una seria indagine sui limiti e le capacità dell’intelletto umano [lo aveva già detto Locke all’inizio del suo Saggio]. In questo modo ci si affranca da quel pernicioso miscuglio di linguaggio incomprensibile che ha l’apparenza della scienza:

Accurate and just reasoning is the only catholic remedy, fitted for all persons and all dispositions; and is alone able to subvert that abstruse philosophy and metaphysical jargon, which, being mixed up with popular superstition, renders it in a manner impenetrable to careless reasoners, and gives it the air of science and wisdom.

Dobbiamo quindi innanzitutto coltivare questa geografia della mente, in modo da scongiurare I malintesi. Cioè dobbiamo fare una classificazione delle operazioni della mente. H. è sicuro che tale scienza [la psicologia] si possa mettere a punto, così come Newton ha trovato la scienza dei pianeti. E’ molto difficile, ma l’impresa va tentata. [Rispetto alla possibilità di una psicologia scientifica, storicamente sono state proposte tre importanti obbiezioni: 1. (Kant) è difficile quantificare i fenomeni mentali; 2. (Comte) in psicologia l’osservatore e l’osservato coincidano, per cui vi è un’inevitabile interferenza fra i due; 3. (Wittgenstein) non è possibile trovare un linguaggio che descriva i nostri stati mentali, che sono privati, in quanto ogni espressione è pubblica e condizionata dalle regole d’uso.]

II. L’ORIGINE DELLE IDEE

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H. distingue nella nostra vita mentale le “impressioni” e le “idee”: tutte le prime sono più vivide delle seconde. Le prime sono il nostro vissuto: amiamo, udiamo, abbiamo paura, tocchiamo ecc.; le seconde sono dovute all’immaginazione, alla memoria e alla riflessione. [Questa tesi è stata criticata per diversi motivi: 1. (Spinoza) la differenza fra una sensazione e una immagine mentale è qualitativa e non solo quantitativa; 2. (Reid) le sensazioni non sono impressioni, ma percezioni di cose; 3. (Husserl) la vera classificazione è fra vissuti intenzionali e non intenzionali.]H. sostiene poi la tesi secondo cui tutte le idee derivano dalle impressioni. Le idee sono impressioni composte, trasposte, aumentate e diminuite. Troviamo che tutte le nostre idee, quando le esaminiamo, derivano da idee semplici che a loro volta vengono da impressioni. [Difficile sostenere questo quando si pensa alla matematica. H. però sosteneva che gli oggetti della matematica non sono idee, ma relazioni fra idee. Ad esempio, l’infinito attuale di Cantor, che ha cardinalità C, sembra essere un’idea che non ha origine dalle impressioni]. In secondo luogo, se qualcuno non ha un senso, allora non avrà neanche le idee corrispondenti. [Questo però prova che molte idee derivano da impressioni, non tutte. Lo stesso H. si rende conto subito dopo della debolezza di questo argomento, con l’esempio del Tizio che non ha mai percepito l’azzurro e gli si presenta una serie di tonalità di azzurro in cui una viene saltata e lui riesce a immaginarsi quella che manca.]

When we entertain, therefore, any suspicion that a philosophical term is employed without any meaning or idea (as is but too frequent), we need but enquire, from what impression is that supposed idea derived? And if it be impossible to assign any, this will serve to confirm our suspicion. By bringing ideas into so clear a light we may reasonably hope to remove all dispute, which may arise, concerning their nature and reality.

III. L’ASSOCIAZIONE DELLE IDEEH. sostiene che le idee sono dominate da una forza di attrazione reciproca, che si basa su tre principi: somiglianza, contiguità spazio-temporale e causalità. [Sembra si tratti di connessioni empiriche che avvengono per lo più. H. non è preciso. La scuola di Brentano, contrariamente a quella di Wundt, ha rifiutato questo modo troppo impreciso di trattare le idee. Le idee (rappresentazioni) stanno anzitutto in rapporti mereologici di parte e tutto. Poi ci sono parti che sono solo distinguibili da un tutto. Infine parti di un tutto che sono fra loro solo distinguibili, oppure separabili. Abbiamo quindi tre tipi diversi di rapporto fra le idee: distinzionale, separabile monolaterale e separabile bilaterale.]

IV. DUBBI SCETTICI SULLE OPERAZIONI DELL’INTELLETTOLa ricerca umana può raggiungere solo due tipi di verità: quelle basate su “relazioni fra idee” e quelle basate su “materia di fatto”. Le prime si possono scoprire solo con il pensiero, senza accertare nessun tipo di esistenza di qualcosa. Le materie di fatto invece sono tali che non abbiamo problemi a concepire il contrario: il sole sorgerà domani, il sole non sorgerà domani. [La definizione è di tipo epistemico, cioè si basa sulle nostre capacità e non su come stanno le cose. La definizione ontologica potrebbe essere: un enunciato analitico è vero se e solo se una certa relazione fra idee vale; un enunciato sintetico è vero se e solo se abbiamo certe impressioni. Si tenga

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presente che le definizioni di Kant saranno di tipo concettuale: un giudizio è analitico quando il predicato è contenuto nel soggetto, altrimenti sintetico.]H. sostiene che tutte le materie di fatto si basano sul rapporto causa ed effetto. Solo questo tipo di inferenza ci consente di andare al di là dell’evidenza dei sensi. Il principio generale sembra essere “a cause simili seguono effetti simili”. [Questo principio è basato sulle leggi di attrazione reciproca delle idee che abbiamo visto prima. In realtà l’esperienza, come notato dalla scuola di Brentano, presenta vincoli molto più forti di quelli esplicitati da Hume.] Dopo di che H. sostiene che solo l’esperienza ci fa scoprire i nessi causa effetto, mai a priori [Tesi difficile da contestare.] La domanda allora diventa: in quale modo possiamo proiettare al futuro ciò che abbiamo esperito in passato? Si potrebbe sostenere che è l’esperienza stessa che ci suggerisce di estendere le regolarità tratte dal passato al futuro. Ma, ci chiediamo, su che cosa si basa questa pratica inferenziale? Ci muoviamo in circolo.

You say that the one proposition is an inference from the other. But you must confess that the inference is not intuitive; neither is it demonstrative: Of what nature is it, then? To say it is experimental, is begging the question. For all inferences from experience suppose, as their foundation, that the future will resemble the past, and that similar powers will be conjoined with similar sensible qualities. If there be any suspicion that the course of nature may change, and that the past may be no rule for the future, all experience becomes useless, and can give rise to no inference or conclusion. It is impossible, therefore, that any arguments from experience can prove this resemblance of the past to the future; since all these arguments are founded on the supposition of that resemblance. V. SOLUZIONE SCETTICA DI QUESTI DUBBIIl capitolo inizia con una pagina splendida nella quale H. stigmatizza il filosofo genericamente stoico che passa il tempo a condannare il mondo, la vita, i sensi, le passioni ecc. Forse egli non sta facendo altro che trovare una giustificazione teorica alla sua naturale indolenza. Molto meglio la filosofia accademica o scettica, che non sollecita nessuna passione e quindi ha pochi partigiani. Questa filosofia comanda di dare l’assenso sempre con estrema circospezione e si basa sull’unico sentimento dell’amore della verità, che di certo non può causare grandi scompensi.

While we study with attention the vanity of human life, and turn all our thoughts towards the empty and transitory nature of riches and honours, we are, perhaps, all the while flattering our natural indolence, which, hating the bustle of the world, and drudgery of business, seeks a pretence of reason to give itself a full and uncontrolled indulgence.

The academics always talk of doubt and suspense of judgement, of danger in hasty determinations, of confining to very narrow bounds the enquiries of the understanding, and of renouncing all speculations which lie not within the limits of common life and practice. Nothing, therefore, can be more contrary than such a philosophy to the supine indolence of the mind, its rash arrogance, its lofty pretensions, and its superstitious credulity. Every passion is mortified by it, except the love of truth; and that passion never is, nor can be, carried to too high a degree.

Poi H. sostiene che tutte le nostre inferenze dall’esperienza sono basate sull’abitudine. Cioè noi ci aspettiamo qualcosa a partire dall’impressione di

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qualcos’altro solo sulla base dell’abitudine. [In realtà le cose non stanno così. Innanzitutto notiamo che molte nostre percezioni sono accompagnate da un senso di necessità. Come notato da Husserl, e poi provato sperimentalmente da Michotte, noi percepiamo la causalità. Quindi, come aveva già mostrato Meinong nelle sue giovanili Hume-Studien, la mera consuetudine non è sufficiente a rendere conto di questa sensazione di necessità. In un certo senso noi intuiamo la necessità nell’esperienza. Ad esempio che una superficie non possa essere di due colori diversi nello stesso tempo non è un fatto meramente contingente. I filosofi razionalisti, da Descartes fino a molti fisici contemporanei, ritengono che le sensazioni siano sempre illusorie, per cui questa sensazione di necessità che percepiamo potrebbe non essere un buon fondamento cognitivo. Questo è vero, però, in una prospettiva empirista, come quella di Hume, l’onere della prova spetta a chi vuole mostrare che un’impressione è illusoria. Fino a quel momento dobbiamo prendere per buoni i contenuti sensibili, altrimenti non potremmo iniziare nessuna attività cognitiva, come aveva già notato il razionalista Democrito.]H. nella seconda parte di questo capitolo discute della credenza. Notando che essa è un sentimento che distingue i contenuti dell’immaginazione dagli altri. Quando diamo l’assenso questo sentimento è più forte che quando non lo diamo. Questo sentimento non riguarda il contenuto, ma la maniera in cui lo viviamo. Non è possibile definire con esattezza in che cosa consista questo sentimento e non è in nostro potere sollecitarlo. [Sollecitare la credenza rispetto a certi giudizi un po’ astratti forse è possibile. Alcuni, come ad esempio Brentano e James, definiscono la fede, come la volontà di credere.]Poi H. prende in considerazione il fatto che alcune connessioni fra idee sono più forti, sia nel caso della somiglianza, che in quelli della contiguità e della causalità. Tale forza, però, presuppone la credenza. Se vedo il ritratto di un amico, penso all’amico e c’è una connessione molto forte, che però presuppone che io creda che l’amico sia esistito. Lo stesso vale per la causalità. [Ma secondo la psicologia della percezione moderna noi percepiamo la causalità.]H. finisce il capitolo con una sorta di analisi di psicologia proto evoluzionista. Le nostre associazioni di idee sono abbastanza azzeccate rispetto a quello che accade in natura. Anche se quest’ultimo resta a noi nascosto. Questo non vuol dire che ci sia una causa finale, ma certo le cose sembrano stare così.

ll belief of matter of fact or real existence is derived merely from some object, present to the memory or senses, and a customary conjunction between that and some other object.

But as it is impossible that this faculty of imagination can ever, of itself, reach belief, it is evident that belief consists not in the peculiar nature or order of ideas, but in the manner of their conception, and in their feeling to the mind. I confess, that it is impossible perfectly to explain this feeling or manner of conception.

Here, then, is a kind of pre-established harmony between the course of nature and the succession of our ideas; and though the powers and forces, by which the former is governed, be wholly unknown to us; yet our thoughts and conceptions have still, we find, gone on in the same train with the other works of nature. Custom is that principle, by which this correspondence has been effected; so necessary to the subsistence of our species, and the regulation of our conduct, in every circumstance and occurrence of human life. Had

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not the presence of an object, instantly excited the idea of those objects, commonly conjoined with it, all our knowledge must have been limited to the narrow sphere of our memory and senses; and we should never have been able to adjust means to ends, or employ our natural powers, either to the producing of good, or avoiding of evil. Those, who delight in the discovery and contemplation of final causes, have here ample subject to employ their wonder and admiration.

VI. DELLA PROBABILITA’Per Hume non esiste il caso, ma l’ignoranza ci fa credere in eventi solo probabili. Egli definisce la probabilità come frequenza relativa: casi favorevoli diviso casi osservati. Il caso per H. è solo l’ignoranza. Un dado, prima di lanciarlo, ha l’uscita di tutte le facce equiprobabile. Mano a mano che lo lanci, si istaura la credenza a partire dalla frequenza relativa. Alcune cause si presentano sempre, ma altre solo più irregolari ed incerte. H. enuncia il principio principale di Lewis: attribuiamo le probabilità epistemiche sulla base delle frequenze relative. Il tema meriterebbe maggiore studio da parte dei filosofi.

VII. DELL’IDEA DI CONNESSIONE NECESSARIALe scienze matematiche trattano idee definibili con precisione, mentre quelle morali hanno a che fare con idee sfuggenti e ambigue. Le prime però hanno inferenze lunghe e complicate, mentre le seconde brevi. Il fatto che finora le scienze matematiche sono andate bene, mentre quelle morali male indica che la difficoltà maggiore sta nelle seconde.H. cerca di comprendere la nozione di forza, potere, energia o connessione necessaria. Se un’idea complessa la riconduciamo a idee semplici abbiamo una sua definizione, ma se l’idea semplice la riconduciamo all’impressione da cui deriva abbiamo fatto un ulteriore passo avanti. H. osserva che nell’ambito dell’esperienza esterna non troviamo alcuna impressione della necessità [Dopo Michotte sappiamo che questo non è vero.]. Si chiede allora se la necessità sia un’idea della riflessione, cioè dell’esperienza interna. Esamina i movimenti volontari. Qui sembra che abbiamo l’impressione di una connessione necessaria. H. lo nega, perché considera il legame fra mente e corpo del tutto misterioso:

For first; is there any principle in all nature more mysterious than the union of soul with body; by which a supposed spiritual substance acquires such an influence over a material one, that the most refined thought is able to actuate the grossest matter? Were we empowered, by a secret wish, to remove mountains, or control the planets in their orbit; this extensive authority would not be more extraordinary, nor more beyond our comprehension. But if by consciousness we perceived any power or energy in the will, we must know this power; we must know its connexion with the effect; we must know the secret union of soul and body, and the nature of both these substances; by which the one is able to operate, in so many instances, upon the other.

In secondo luogo noi non siamo in grado di muovere tutti gli organi del corpo: perché possiamo muovere le dita, ma non il fegato? [Oggi noi sappiamo molto di più sulle vie nervose che spiegano queste differenze, ma restiamo sostanzialmente all’oscuro del legame con gli aspetti mentali.] La mente vuole che alzo il braccio, il braccio si

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alza. Quale sarebbe l’impressione di necessità? Non deriva da qui la nostra idea di necessità.Forse che abbiamo l’idea di causalità a partire dall’esperienza di suscitare una nuova idea? La causa è qui avvolta nel più fitto mistero. Inoltre anche il controllo della mente su se stessa è limitato e noi non conosciamo le ragioni di questi limiti. Infine la mattina abbiamo più controllo della sera ecc. Perché?

But philosophers, who carry their scrutiny a little farther, immediately perceive that, even in the most familiar events, the energy of the cause is as unintelligible as in the most unusual, and that we only learn by experience the frequent Conjunction of objects, without being ever able to comprehend anything like Connexion between them.

Poi Hume esamina l’occasionalismo, secondo cui è sempre Dio che fornisce di volta in volta l’energia per le connessioni causali. In realtà questa sembra essere un aumento della potenza divina, mentre invece ne è un indebolimento, perché Egli non sarebbe in grado di delegare almeno una parte della potenza. H. nota anche che la vis inertiae di Newton è solo un elemento per spiegare il movimento e non qualcosa che percepiamo.Dunque secondo H. non abbiamo nessuna idea di connessione necessaria. Due eventi sembrano connessi e invece sono solo congiunti.

The first time a man saw the communication of motion by impulse, as by the shock of two billiard balls, he could not pronounce that the one event was connected: but only that it was conjoined with the other. After he has observed several instances of this nature, he then pronounces them to be connected. What alteration has happened to give rise to this new idea of connexion? Nothing but that he now feels these events to be connected in his imagination, and can readily foretell the existence of one from the appearance of the other.

[la premessa di questo ragionamento è sbagliata. Noi abbiamo una percezione della necessità.]Per H. l’origine della nostra sensazione di necessità legata a un nesso causale è la ripetizione. Questo è il riassunto proposto da H. di questo capitolo:

Every idea is copied from some preceding impression or sentiment; and where we cannot find any impression, we may be certain that there is no idea. In all single instances of the operation of bodies or minds, there is nothing that produces any impression, nor consequently can suggest any idea of power or necessary connexion. But when many uniform instances appear, and the same object is always followed by the same event; we then begin to entertain the notion of cause and connexion. We then feel a new sentiment or impression, to wit, a customary connexion in the thought or imagination between one object and its usual attendant; and this sentiment is the original of that idea which we seek for.

[Un altro errore che bisogna evitare quando si discute di causalità è pensare che esista una nota comune a tutti i casi in cui una legge determina una successione di eventi. Direi così: noi parliamo di causalità tutte quelle volte che le nostre teorie giustificano la credenza che nella ripetuta connessione fra due tipi di eventi ci sia qualcosa in più che una mera congiunzione. Questo qualcosa in più non è sempre dello stesso genere,

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ma le teorie scientifiche ci aiutano di volta in volta a individuarlo. Non me la sento neanche di seguire Kant, Cassirer ecc. che sostengono che la causalità si riduce a una pura connessione funzionale. Sarebbe confondere il piano epistemico con quello ontologico. E’ chiaro che noi scopriamo i nessi causali mediante lo stabilimento delle leggi scientifiche, ma queste ultime fanno parte della teoria. Esse, appunto, sono leggi, e non coincidenze, perché noi supponiamo che nel mondo ci sia qualcosa che le renda più di una mera connessione costante. L’origine precategoriale di questa causalità è comunque nella nostra esperienza. Già Husserl lo aveva notato.]

VIII. LIBERTA’ E NECESSITA’Il capitolo inizia con una forte istanza antimetafisica:

It is true, if men attempt the discussion of questions which lie entirely beyond the reach of human capacity, such as those concerning the origin of worlds, or the economy of the intellectual system or region of spirits, they may long beat the air in their fruitless contests, and never arrive at any determinate conclusion.

Dopo di che H. nota la realtà del concetto di Natura Umana:

It is universally acknowledged that there is a great uniformity among the actions of men, in all nations and ages, and that human nature remains still the same, in its principles and operations. The same motives always produce the same actions. The same events follow from the same causes.

L’umanità è sempre la stessa, in ogni luogo e in ogni tempo. [Questa tesi in un certo senso, è stata confermata e falsificata dalla scienza degli ultimi 100 anni. Dal punto di vista genetico è vera, nel senso che le differenze macroscopiche fra gli uomini di diversi luoghi e diversi tempi (Ultimi 100.000 anni) sono dovute più a fattori climatici che a profonde diversità. D’altra parte l’ambiente gioca un ruolo decisivo. E’ molto importante, cioè, il fattore epigenetico. Da qui derivano le diverse culture. In altre parole, quando si parla di natura umana si ha a che fare solo con disposizioni, non con situazioni effettive, perché la stessa struttura genetica può dare origine a risultati diversi in contesti differenti.]H. prosegue notando che anche i comportamenti umani, come quelli della materia, sono dominati da regolarità. Queste regolarità hanno eccezioni, ma queste eccezioni sono dovute per lo più ad altre cause nascoste. Dove per causa si deve sempre intendere solo regolarità. Per libertà non possiamo intendere ciò che è al di fuori di queste regolarità, cioè il caso. In questo senso la libertà non esiste. La libertà è quella di agire conformemente alla propria volontà e questo, se non siamo incatenati, è possibile. [In pratica Hume è un compatibilista, con la terminologia di van Inwagen. Cioè essere libero significa essere determinato da se stesso. Il suo compatibilismo, però, è di tipo particolare, perché la necessità è solo mera congiunzione. Qui infatti si infilerà Kant, mettendo la libertà nel noumeno.]Nella seconda parte H. cerca di mostrare che la sua concezione della libertà non va contro la morale comune. Egli, però, inizia con questo splendido avvertimento metodologico:

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There is no method of reasoning more common, and yet none more blameable, than, in philosophical disputes, to endeavour the refutation of any hypothesis, by a pretence of its dangerous consequences to religion and morality. When any opinion leads to absurdities, it is certainly false; but it is not certain that an opinion is false, because it is of dangerous consequence. Such topics, therefore, ought entirely to be forborne; as serving nothing to the discovery of truth, but only to make the person of an antagonist odious.

IX. DELLA RAGIONE DEGLI ANIMALITutti i nostri ragionamenti sulle questioni di fatto sono basati su una sorta di analogia. Quando l’analogia è totale, cioè le cause sono identiche, non ci sono problemi nel giungere alla conclusione sugli stessi effetti. La similitudine può però essere solo parziale e allora la conclusione è meno certa. H. vuole vedere se le teorie che valgono per la psicologia dell’uomo, valgono anche per quella degli animali. Se fosse così, l’ipotesi sarebbe corroborata.In effetti gli animali imparano dall’esperienza, o naturalmente o sollecitati dall’uomo. E questo apprendimento, esattamente come per gli uomini, quando non riflettono come i filosofi, è spontaneo. Anche per gli animali è la consuetudine a guidarli. Essi hanno anche molte conoscenze per natura, cioè non acquisite, che H. chiama “istinti”. D’altra parte anche il nostro ragionare per analogia è istintivo. H. si chiede poi come mai la conoscenza dei fatti negli uomini è così superiore a quella degli animali. Per rispondere, osserva che anche fra gli uomini ci sono grandi differenze e queste dipendono dalle capacità di memoria, attenzione e altri fattori psicologici che rendono alcuni più adatti di altri. Lo stesso vale fra uomini e animali. [Quindi differenza di quantità e non di qualità.]

X. DEI MIRACOLIL’evidenza dei sensi è sempre più forte dell’evidenza di una testimonianza, per cui la seconda non può distruggere la prima. Infatti un uomo saggio proporziona la sua credenza all’evidenza. [Questi principi radicalmente empiristici vanno messi in discussione. Se i fisici sperimentali e teorici mi dicono che questo tavolo, contrariamente alle apparenze sensibili, è composto di particelle, non posso applicare il principio di dare più credito alle evidenze sensibili che alle testimonianze. Perché dietro a quelle testimonianze ci sono ipotesi teoriche altamente confermate. Oggi diremmo che Hume è uno strumentalista relativamente alle teorie scientifiche. Senza abbracciare il platonismo realista di molti fisici, si può dire che nel caso di un conflitto fra le evidenze sensibili e quelle teoriche, occorre un’adeguata discussione per stabilire a chi dare credito. A mio avviso vale il seguente principio: dare ragione alle evidenze sensibili a meno che non ci sia una buona spiegazione di perché noi percepiamo così e non come la teoria afferma.] Questo porta H. a dare poco credito a tutti i miracoli riferiti.Inoltre un miracolo è qualcosa che accade contro la consuetudine dell’esperienza. Ma la consuetudine dell’esperienza è una prova, quindi una prova contro i miracoli.

That no testimony is sufficient to establish a miracle, unless the testimony be of such a kind, that its falsehood would be more miraculous, than the fact, which it endeavours to establish; and even in that case

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there is a mutual destruction of arguments, and the superior only gives us an assurance suitable to that degree of force, which remains, after deducting the inferior.

Ci sono molte ragioni perché noi uomini diamo troppo credito ai miracoli:

The passion of surprise and wonder, arising from miracles, being an agreeable emotion, gives a sensible tendency towards the belief of those events, from which it is derived. And this goes so far, that even those who cannot enjoy this pleasure immediately, nor can believe those miraculous events, of which they are informed, yet love to partake of the satisfaction at second-hand or by rebound, and place a pride and delight in exciting the admiration of others.

But if the spirit of religion join itself to the love of wonder, there is an end of common sense.

Eloquence, when at its highest pitch, leaves little room for reason or reflection; but addressing itself entirely to the fancy or the affections, captivates the willing hearers, and subdues their understanding.

E’ più facile che una falsa credenza si diffonda in un popolo ignorante. Poi arriva alle orecchie di un popolo più evoluto, ma i saggi non si occupano tanto di confutare questa opinione, mentre gli sciocchi contribuiscono a diffonderla. Così una falsa credenza può acquistare credito.

Upon the whole, then, it appears, that no testimony for any kind of miracle has ever amounted to a probability, much less to a proof; and that, even supposing it amounted to a proof, it would be opposed by another proof; derived from the very nature of the fact, which it would endeavour to establish.

No human testimony can have such force as to prove a miracle, and make it a just foundation for any such system of religion.

Our most holy religion is founded on Faith, not on reason; and it is a sure method of exposing it to put it to such a trial as it is, by no means, fitted to endure.

[Questa posizione fideistica di Hume può essere letta come una concessione alle autorità religiose del tempo, ma anche come una presa di posizione che si colloca nella tradizione francescana di Occam e Roger Bacon.]

Christian Religion not only was at first attended with miracles, but even at this day cannot be believed by any reasonable person without one. Mere reason is insufficient to convince us of its veracity: And whoever is moved by Faith to assent to it, is conscious of a continued miracle in his own person, which subverts all the principles of his understanding, and gives him a determination to believe what is most contrary to custom and experience.

XI. DI UNA PARTICOLARE PROVVIDENZA E DI UNO STATO FUTUROH. spezza una lancia contro quelli che tentano di fondare la religione sulla ragione, i quali fomentano più dubbi che certezze.Principio:

When we infer any particular cause from an effect, we must proportion the one to the other, and can never be allowed to ascribe to the cause any qualities, but what are exactly sufficient to produce the effect.

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[Questo principio è OK, salvo il fatto che dopo H. sappiamo che il nesso causa-effetto non è altro che una connessione regolare fra tipi di eventi. Questa regolarità, però, è formulata nelle teorie scientifiche, che a volte ci dicono sulla causa più di quello che vediamo nell’effetto. Ad esempio, il campo magnetico formato dagli atomi di ferro è la causa dell’effetto calamita che attrae il ferro. Ma sul campo magnetico le equazioni di Maxwell ci dicono molto di più del semplice fatto che il ferro è attirato.]Dunque se deduciamo l’esistenza di Dio dal mondo, non possiamo che attribuire a Dio ciò che troviamo del mondo. Anche perché non abbiamo altra conoscenza di Dio che quella del mondo. Si potrebbe obbiettare che dall’impronta sulla sabbia possiamo inferire il passaggio dell’uomo, che è molto di più della sola impronta. Ma nel caso dell’impronta noi abbiamo altre conoscenze che ci aiutano ad andare oltre ciò che è contenuto nell’effetto, cosa che non accade nel caso di Dio che conosciamo solo attraverso il mondo. [Il ragionamento di H. oggi sarebbe incompleto, a meno che non si è strumentalisti. Il punto è invece che se introduciamo Dio come ente teorico delle nostre teorie, oltre alle forze, i campi magnetici ecc. non aggiungiamo nulla al nostro potere esplicativo, perché non ci permette di fare nuove previsioni inaspettate, né abbiamo altri tipi di conferme.]

If they tell me, that they have mounted on the steps or by the gradual ascent of reason, and by drawing inferences from effects to causes, I still insist, that they have aided the ascent of reason by the wings of imagination.

Il fatto che esista un Dio che premia i buoni e punisca I cattivi non in questa vita, dove palesemente non succede, ma nell’altra, non sembra necessario alla morale, perché la virtù è accompagnata da maggior pace della mente che non il vizio e incontra una migliore accoglienza da parte del mondo. Inoltre l’amicizia è la principale gioia della vita umana e la moderazione è l’unica fonte di tranquillità e felicità. [H. propone un fondamento utilitaristico della morale.]In generale quando una causa è nota solo per i suoi effetti è impossibile inferire da essa altri effetti. [Questo è un principio eccessivamente empiristico. Tuttavia, anche se lo allarghiamo, non riusciamo a dimostrare l’esistenza di Dio. ]H. nota che noi possiamo inferire dall’effetto alla causa solo perché l’effetto è di un certo tipo, non certo per la sua assoluta singolarità. [Questo sembra corretto.]

XII. DELLA FILOSOFIA ACCADEMICA O SCETTICA

Dal dubbio cartesiano non si esce, poiché non vi è un principio originario assolutamente evidente. Il dubbio moderato è però un buon metodo.

To begin with clear and self-evident principles, to advance by timorous and sure steps, to review frequently our conclusions, and examine accurately all their consequences; though by these means we shall make both a slow and a short progress in our systems; are the only methods, by which we can ever hope to reach truth, and attain a proper stability and certainty in our determinations.

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Non possiamo fare affidamento sui sensi, che producono illusioni, le quali vanno corrette con la ragione. Ma fin qui è facile. Il vero problema è che i sensi non ci mettono in contatto con le cose, ma con immagini delle cose, perché altrimenti come si spiegherebbe che questo tavolo, mano a mano che mi muovo, cambia di apparenza? E’ una questione di fatto se i sensi producono in noi immagini che sono simili agli oggetti esterni. Questione che però non può essere risolta, perché l’esperienza nulla ci dice. [Tradizionalmente ci sono tre argomenti a favore della teoria secondo cui noi percepiamo immagini delle cose e non cose: 1. Le percezioni illusorie; 2. La diversa prospettiva degli oggetti (l’argomento di Hume), 3. I risultati della scienza moderna che sconfessano i contenuti percettivi. Credo che 1. e 2. si spiegano così: se H2O entra in contatto con NaCl quest’ultimo si scioglie, se invece entra in contatto con Na si infiamma. Questo comportamento potrebbe essere riassunto dicendo che H2O ha due proprietà disposizionali rispetto all’entrare in contatto con NaCl o con Na. In realtà noi sappiamo più o meno perché l’acqua si comporti così, per cui queste proprietà disposizionali sono identiche ad alcune proprietà categoriche dell’acqua del sale e del sodio. Il fatto che siano identiche non significa che siano state eliminate, ma solo che sono state ridotte. Un oggetto posto a una certa distanza da me occupa una parte più piccola del campo visivo rispetto a quando è più vicino. Questa è una proprietà disposizionale dell’oggetto che può essere ricondotta però alla sua lunghezza oggettiva e alla sua distanza da me. Il fatto che il tavolo mi compaia rosso e non verde può essere spiegato sulla base del fatto che la sua superficie respinge certe onde elettromagnetiche e non altre e così via. E’ vero che non abbiamo la possibilità di spiegare tutte le proprietà disposizionali degli oggetti esterni. Perché il rosso appare rosso? Cioè perché la luce elettromagnetica di lunghezza d’onda 4000 Angstrom appare rossa? Qui manca la spiegazione, ma non mi sembra il caso che valga la pena di introdurre strani enti come le immagini delle cose per spiegare questo. Tanto più che esse non spiegherebbero nulla: perché quell’oggetto esterno dovrebbe produrre in me proprio quell’immagine? E poi, soprattutto, come fa uno stimolo fisico a produrre un’immagine? Il terzo argomento, a partire dalla scienza, va indagato alla luce del fatto che noi percepiamo gli oggetti come esterni, quindi se non abbiamo buoni argomenti che confutino questa percezione dobbiamo mantenere l’idea che noi percepiamo oggetti esterni e non immagini di essi. Non credo si possa attribuire realtà all’immagine scientifica del mondo, a meno che non esista una spiegazione del perché essa è in contrasto con quella manifesta. Nell’ultimo caso, allora, non c’è bisogno di introdurre enti intermedi per spiegare perché noi vediamo il mondo in modo diverso da come la scienza lo rappresenta. Credo dunque che il punto di vista di Hume sia del tutto sbagliato.]H. poi riprende l’argomento di Berkeley secondo cui se noi togliamo realtà alle qualità secondarie, dobbiamo toglierla anche alle primarie. In effetti come possiamo concepire un’estensione senza colore? L’argomento di H. contro l’idealismo è questo: se tutte le proprietà che percepiamo fossero nella mente e non nell’oggetto, allora l’oggetto diventerebbe una sorta di

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qualcosa sconosciuto e inesplicabile, il che non è ragionevole. [Argomento molto debole.]Nella parte seconda H. affronta il problema della infinita divisibilità dello spazio e del tempo. H. sostiene che spazio e tempo non possono essere divisibili all’infinito. [Qui a H. mancano gli strumenti messi a punto da Cantor.]

The great subverter of Pyrrhonism or the excessive principles of scepticism is action, and employment, and the occupations of common life. These principles may flourish and triumph in the schools; where it is, indeed, difficult, if not impossible, to refute them. But as soon as they leave the shade, and by the presence of the real objects, which actuate our passions and sentiments, are put in opposition to the more powerful principles of our nature, they vanish like smoke, and leave the most determined sceptic in the same condition as other mortals.

Di fatto H. sostiene che solo l’azione può sovvertire lo scetticismo radicale. [Egli riesce ad andare oltre Cartesio, nel rendersi conto che non vi è l’ubi consistam della conoscenza, ma non si accorge che può esserci un sapere senza fondamenti, cioè sempre rivedibile. L’aveva capito bene Aristotele negli Analitici secondi: un conto è che il sapere ha bisogno di un ubi consistam, un conto il fatto che noi di fatto prendiamo le mosse da principi sempre rivedibili.]

To hesitate or balance perplexes their understanding, checks their passion, and suspends their action. They are, therefore, impatient till they escape from a state, which to them is so uneasy: and they think, that they could never remove themselves far enough from it, by the violence of their affirmations and obstinacy of their belief. But could such dogmatical reasoners become sensible of the strange infirmities of human understanding, even in its most perfect state, and when most accurate and cautious in its determinations; such a reflection would naturally inspire them with more modesty and reserve, and diminish their fond opinion of themselves, and their prejudice against antagonists.

H. nota che spesso noi prendiamo ostinatamente un’opinione per la fatica psicologica di restare nel dubbio. Un po’ di pirronismo fa bene anche a chi acquisisce troppa arroganza per la sua maggiore saggezza, che lo lascia comunque del tutto inadatto rispetto a un sapere completo. Inoltre, considerando la debolezza dell’intelletto umano è meglio occuparsi di problemi limitati, evitando ricerche grandiose. Solo quantità e numero sono oggetti del tutto appropriati della conoscenza e della dimostrazione. Tutte le altre cose possono essere e non essere e quindi non vi è dimostrazione.

When we run over libraries, persuaded of these principles, what havoc must we make? If we take in our hand any volume; of divinity or school metaphysics, for instance; let us ask, Does it contain any abstract reasoning concerning quantity or number? No. Does it contain any experimental reasoning concerning matter of fact and existence? No. Commit it then to the flames: for it can contain nothing but sophistry and illusion.

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Questa conclusione anti-metafisica è célèbre. [Mi sembra che Hume sia fortemente cartesiano; cioè ha capito che il sistema cartesiano non funziona, ma non riesce a uscire da quello schema, da questo deriva il suo scetticismo.]