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Gv 1, 35-42Riconosciamo chiaramente un’unità letteraria anzitutto

perché il v. 35 e il v. 43 si aprono entrambi con l’indicazione cronologica “il giorno dopo”, ma anche per l’inclusione letteraria: “fissato lo sguardo”. Giovanni fissa Gesù, Gesù fissa Simone. E con questo siamo rimandati a una rilevanza particolare dei verbi di vedere in questa pagina. Ma procediamo con ordine.

Pensiamo di essere noi i reporter di questa scena, ma dei reporter casarecci degli anni ’60: abbiamo a disposizione o un registratore che ci dà solo parole o una cinepresa a passo otto che ci dà solo immagini, per altro senza la possibilità di “zumare”: ci sfuggono i primi piani. Proviamo a vedere cosa riusciamo a riportare.

COL REGISTRATORE1) Ascoltiamo la voce di Giovanni che comanda: “Guarda

l’agnello di Dio!” – ma a quest’invito di carattere contemplativo: “Guarda!” segue un rumore di passi: i due discepoli, anziché guardare, si mettono a camminare.

2) Andiamo avanti e sentiamo la voce di Gesù che chiede: “Che cercate?” – invece di rispondere “Cerchiamo questo o quello”, i discepoli fanno a loro volta una domanda: “Rabbì, dove abiti?” – invece di rispondere “abito qui o là”, Gesù fa un invito: “Venite”.

3) Sentiamo infine la voce di Andrea che dice: “Abbiamo trovato il Messia” – quindi la voce di Gesù: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni, ti chiamerai Pietro”.

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Sono parole “trampolino”: mettono in moto. - Guarda! – e tu non ti limiti a guardare: segui.- Che cerchi? – non te lo dico; però appena incontro mio fratello gli dico che l’ho trovato. - Dove? non te lo dico dove, ti ci porto. Tu ci porti me, io ci porto mio fratello.Comunicazione verbale decisamente spiazzante: parole che rimandano alle azioni! Siamo rimandati al non-verbale.

CON LA CINEPRESA SENZA ZOOM1) Situazione estatica di Giovanni: “Stava” – “Fissò”.

Condizione dinamica di Gesù: “Camminava”. I discepoli passano dalla stasi alla sequela dinamica.

2) La sequela però, dopo un breve tratto, si trasforma in una nuova stasi: i due si fermano nella dimora di Gesù. Sembra raggiunto un nuovo equilibrio, un’estasi più profonda.

3) Però non è una quiete perfetta, perché Andrea esce, trova Simone, lo porta da Gesù: tutto è dinamico, salvo il nome (abbiamo sentito la registrazione!) Kefas, Roccia, che rimanda alla staticità.

Allora è un movimento che parte da una condizione di stabilità (Giovanni) e conduce a una nuova stabilità (Pietro) che però non è immobilità, non è stasi. Che cos’è? Siamo rimandati ad un non-verbale più intimo: lo sguardo.

ANDIAMO SUI PRIMI PIANIGiovanni può dire “Vedi!” perché ha “fissato lo sguardo”,

lui per primo. La parola interpreta lo sguardo, pertanto è diversa dalla chiacchiera.

In greco il verbo è légô da cui lógos (= parola), che significa originariamente “legare, raccogliere, mettere insieme, unire”.

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La parola infatti lega l’uomo alla realtà e gli uomini tra di loro. Ma anche i nostri verbi “dire” e “parlare” sono significativi: il primo è forse dalla radice di deíkô, che significa mostrare, manifestare, mentre il secondo viene da parabállô (da cui viene anche “parola” e “parabola”) che significa mettere, porre, gettare davanti, porgere, offrire, dare, consegnare. Chi parla, si dice e si espone: con la parola mostra e porge ciò che ha di più intimo. La parola di Giovanni è efficace (i discepoli si mettono in movimento), così lo sarà la parola di Andrea e degli altri discepoli, perché è frutto dell’aver fissato lo sguardo su Gesù: il programma dei frati predicatori è contemplata aliis tradere. Pretendere di avere una parola efficace che non nasca da uno sguardo come quello di Giovanni, o da un dimorare con Gesù come quello di Andrea, è controfattuale.

Se accogliamo la parola, se accettiamo di fissare lo sguardo su Gesù e cominciamo a seguirlo, scopriamo il tesoro nascosto della contemplazione: esso è tanto che noi guardiamo lui, quanto piuttosto che lui si volta verso di noi, ci guarda e ci rivolge la domanda della verità: “Che cercate?” – così nel Getsemani: “Chi cercate?” (18, 4.7), così alla Maddalena nel giardino della risurrezione: “Chi cerchi?” (20, 15). Nella contemplazione, il primo modo in cui Gesù si rivolge a noi non è fatto di affermazioni o comandi, ma anzitutto di interrogativo che ciascuno deve porsi: “Cosa veramente cerco nella mia vita, nel mio lavoro, nelle mie relazioni?”. Se cerchiamo la dimora di Gesù, ossia la Verità, la Via della Vita, allora accogliamo la sua comunicazione (non più quella di Giovanni o di Andrea, ma quella di Gesù in persona): Venite e vedrete.

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“Venire a Gesù” significa aderire a lui, fare il suo stesso cammino. Chi viene a lui non sarà respinto: vedrà il Figlio e avrà la vita eterna (cfr. 6, 37-40). Egli ci invita ad andare a lui per essere anche noi là dove lui è da sempre: presso il Padre. Chi viene a Gesù, poi vede: Vedere è l’illuminazione di chi conosce il Figlio dell’uomo, il mistero di Dio e dell’uomo, dove Dio è di casa con l’uomo e l’uomo con Dio.

IL NON DETTOSoffermiamoci infine, per un istante, sulla comunicazione

che l’evangelista attua nei nostri confronti. In essa ciò che è più importante non è tanto il verbale (le parole) o il non verbale (azioni, sguardi) quanto il non detto. Abbiamo due discepoli, all’inizio: uno di essi è Andrea, fratello di Simone; dell’altro non ci viene detto il nome. Perché? Perché ogni lettore è chiamato ad identificarsi in lui! Al v. 39 si dice che “andarono e videro dive dimorava”. Noi ci chiediamo: sì, ma cosa videro? Il Vangelo non lo di ce: suscita la curiosità, per stimolare la voglia di cercare, di vedere anche noi ciò che essi videro.

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