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Gian Paolo GuarnieriTUTOR: Prof. Massimo ProtoTITOLO TESI: “Gruppi di società e insolvenza transfrontaliera: nuovo assetto normativo e nuove prospettive applicative alla luce del regolamento UE 2015/848”XXXI Ciclo
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CORSO DI ECCELLENZA
“Crisi sistemiche dell’economia globale”
UNIVERSITÀ DELLA TUSCIA
11-12 OTTOBRE 2016DOTT. GIAN PAOLO GUARNIERI
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1. Riflessioni comparatistiche sui mandati di FED e ECB; riflessi sui rispettivi strumenti di politica monetaria e sul ruolo delle banche centrali nelle crisi finanziarie.
La Banca Centrale Europea (BCE o ECB) è l’organismo istituito dal Trattato CE e, tra le funzioni ad essa delegate, vi è l’attuazione della politica monetaria dell’Unione Europea.
Tale finalità istituzionale è, come noto, ai sensi dell’art. 105 par. 1 del Trattato, la preservazione della “stabilità dei prezzi” attraverso strategie di politica monetaria finalizzate a stabilizzare l’andamento dei prezzi ovvero, in altri termini, a contenere il tasso d’inflazione. Funzione, questa, analoga a quella svolta dal corrispondente organo statunitense, la Federal Reserve (FED), seppur tale compito è mediato rispetto agli altri che le sono attribuiti. Invero, come previsto nella sezione 2A del Federal Reserve Act, la FED ha molteplici attribuzioni gerarchicamente ordinate – rectius finalizzate – che vedono al primo posto il perseguimento della piena occupazione ed a seguire il mantenimento di un sostenuto un tasso di crescita dell’attività economica, la stabilità del sistema finanziario, la riduzione della volatilità dei tassi di interesse e la stabilità del mercato valutario.
Tali differenze di funzioni tra BCE e FED determinano una differente tipologia di capacità di intervento in termini di politiche economiche,
specialmente in situazioni di crisi finanziaria. Infatti la BCE, anche in presenza di crisi tali da suggerire un intervento di politica economica espansiva, non potrà porre in essere politiche monetarie tali da generare un discostamento dal fine istituzionale di contenimento dell’inflazione.
Al contrario, la FED, avendo la funzione di favorire la piena occupazione ed essendo il contenimento dell’inflazione una priorità mediata, ha, tra gli strumenti a sua disposizione, il potere di attivare le strategie di economia espansiva reputate più idonee per il perseguimento del fine istituzionale (come ad esempio, l’immissione di liquidità nel mercato); anche se ciò abbia come effetto collaterale quello di generare un aumento del tasso inflazionistico.
2. Riflessione sulla gestione dei rischi del sistema bancario, dallo “stress test” allo “scudo”
per il sistema bancario italiano, 2016; in particolare: discussione sull’impatto e sulle
implicazioni della Direttiva 2014/59/EU (Direttiva c.d. “bail-in”).
Tra le molteplici attività poste in essere dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti per
fronteggiare le crisi economiche degli ultimi anni – e per prevenire situazioni analoghe che
dovessero presentarsi – devono annoverarsi i cosiddetti “stress test”. Trattasi di un
‘programma di valutazione’ della situazione patrimoniale degli enti creditizi posto in essere
dall’Autorità Bancaria Europea (European Banking Authority – EBA) ovvero dalla Federal
Reserve le quali, attraverso una serie di test, verificano lo stato economico degli enti creditizi
al fine di prevenire eventuali situazioni di crisi che possano impattare in misura sistemica sul
complesso bancario. In particolare, tale sistema di controlli prevede che, in presenza di
eventuali riscontri dell’EBA o della FED tali da ritenere non consistente solidità finanziaria di
un ente creditizio, le Autorità provvedano a suggerire interventi idonei a ripristinarne il
benessere economico, così da evitare che una situazione di difficoltà temporanea possa
tramutarsi in una vera e propria crisi finanziaria.
A latere di tale intervento si pone anche la direttiva 2015/59/UE (Banking Recovery
and Resolution Directive – c.d. direttiva “bail in”) che ha istituito un nuovo ‘meccanismo di
salvataggio’ delle banche in crisi.
Tale sistema – in antitesi con le politiche che hanno caratterizzato in passato la
gestione delle crisi bancarie e che vedevano il ricorso ad un meccanismo di risanamento
esterno (bail out) mediante intervento statale – prevede che in caso di gravi difficoltà
finanziarie dell’ente creditizio a dover contribuire economicamente al risanamento delle casse
siano gli stessi correntisti, gli azionisti e gli obbligazionisti della medesima.
Ad integrare tale intervento legislativo è sopraggiunto, inoltre, l’assenso della
Commissione Europea al c.d. “scudo”. A fronte delle pressanti richieste del governo italiano,
la Commissione ha infatti espresso parere favorevole allo stanziamento di liquidità per poter
assicurare garanzie pubbliche alle banche che si trovino in stato di difficoltà finanziaria.
Benché tale ultimo intervento si stato classificato come di natura meramente
‘precauzionale’, resta comunque il dubbio della motivazione che ha spinto il governo italiano
a chiedere siffatta autorizzazione. In tal senso viene naturale chiedersi se – anche all’esito
degli ultimi stress test secondo i quali il sistema creditizio italiano sembrerebbe
sufficientemente affidabile – tale misura debba ascriversi al timore di un prossimo default di
qualche ente creditizio (timore che viene ancor di più alimentato dal limitato frangente
temporale intercorso tra la direttiva 2015/59/UE ed appunto tale “scudo”) e se tali interventi
non siano stati ritenuti necessari in considerazione dell’infruttuosità del sistema degli stress
test.
A ciò si aggiunga, inoltre, che il recepimento della direttiva “bail in” sembrerebbe
prospettare delle problematiche in termini di identità dell’ente creditizio. Invero, secondo il
meccanismo di ‘risanamento interno’ previsto dalla predetta direttiva, l’ente creditizio
rimarrebbe comunque un soggetto formato da capitali privati – ed in quanto tale esposto ad
una svalutazione degli stessi a danno dei soggetti partecipanti in situazioni di crisi; a ciò si
aggiunge, inoltre, la possibilità che tali capitali siano oggetto di interventi di governance
pubblica.
3. L’indipendenza delle Autorità monetarie: ECB e FED a confronto.
Le Autorità monetarie dovrebbero, sia per natura che per funzione, essere delle
istituzioni autonome e indipendenti.
Benché tanto la FED quanto l’ECB si dichiarino statutariamente soggetti indipendenti
vi sono elementi che paiono orientarsi in senso contrario.
L’ECB risulta, infatti, come un ente bancario sovranazionale dotato di indipendenza
politica, giuridica e decisionale che le permette di operare con indipedenza di obiettivi e di
mezzi; tale indipendenza è sancita all’interno del Trattato sull’Unione Europea il cui art. 107
così cita: “Nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti
dal presente trattato e dallo Statuto del SEBC, ne la BCE ne una Banca centrale nazionale ne
un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle
istituzioni o dagli organi comunitari, dai Governi degli Stati membri ne da qualsiasi altro
organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonche i Governi degli Stati membri si
impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi
decisionali della BCE o delle Banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti”.
Parimenti la FED, pur nascendo come una branca del governo, risulta ad oggi
tecnicamente – rectius giuridicamente – indipendente.
L’indipendenza della FED, però, non parrebbe assoluta giacché la stessa sembra legata
tanto al potere esecutivo quanto al potere legislativo. Da un lato, infatti, il presidente degli
Stati Uniti provvede alla nomina dei membri del Board of Governors; dall’altro lato, invece,
la legislazione di riferimento è emanata dal Congresso e, pertanto, è soggetta a modificazioni
in qualsiasi momento.
In tal senso sarebbe interessante approfondire l’eventuale sussistenza di ripercussioni
sull’attività della FED originate dalle ingerenze degli altri poteri istituzionali statunitensi ed in
che misura tali intromissioni si traducano sulla politica economica.