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PUGLIA Life SOCIETA’ PUGLIA LIFE S.R.L. MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO PARTE GENERALE ADOTTATO AI SENSI DEL D. LGS. 8 GIUGNO 2001 N. 231 E SUCCESSIVE MODIFICHE ED INTEGRAZIONI 1

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PUGLIA

Life

SOCIETA’ PUGLIA LIFE S.R.L.

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO

PARTE GENERALE

ADOTTATO AI SENSI DEL D. LGS. 8 GIUGNO 2001 N. 231 E SUCCESSIVE MODIFICHE

ED INTEGRAZIONI

1

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INDICE

1. PREMESSA

1.1 STRUTTURA DEL DOCUMENTO

1.2. I DESTINATARI

2. IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

2.1 IL REGIME DI RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA PREVISTO A CARICO DELLE PERSONE

GIURIDICHE

2.2 LE FATTISPECIE DI REATO

2.3 LE SANZIONI PREVISTE

2.4 VICENDE MODIFICATIVE DELL’ENTE

2.5 LA CONDIZIONE ESIMENTE: I MODELLI DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO

2.6 CODICI DI COMPORTAMENTO PREDISPOSTI DALLE ASSOCIAZIONI RAPPRESENTATIVE DI

CATEGORIA

3. IL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO DELLA SOCIETA’

3.1 CENNI GENERALI

3.2 LA GOVERNANCE SOCIETARIA

4. METODOLOGIA SEGUITA PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE ATTIVITA’ SENSIBILI E LA COSTRUZIONE

DEL MODELLO

4.1 INDIVIDUAZIONE DELLE ATTIVITA’ SENSIBILI

4.2 EFFETTUAZIONE DEL GAP ANALYSIS E PREDISPOSIZIONE DEL MODELLO

4.3 LE PROCEDURE DI ADOZIONE, AGGIORNAMENTO E ADEGUAMENTO DEL MODELLO

5. L’ORGANISMO DI VIGILANZA

5.1 REQUISITI, STRUTTURA E COMPOSIZIONE DELL’ORGANISMO DI VIGILANZA

5.2 FUNZIONI E POTERI DELL’ORGANISMO DI VIGILANZA

5.3 BUDGET DELL’ORGANISMO DI VIGILANZA

6. IL SISTEMA DISCIPLINARE E SANZIONATORIO

6.1 DEFINIZIONI E LIMITI DELLA RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE

6.2 SOGGETTI

6.3 PRINCIPI GENERALI ED APPLICAZIONE DELLE SANZIONI

6.4 SANZIONI NEI CONFRONTI DEI DIPENDENTI

6.5 SANZIONI NEI CONFRONTI DEI DIRIGENTI

6.6 MISURE NEI CONFRONTI DEI SOGGETTI IN POSIZIONE APICALE

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6.7 MISURE NEI CONFRONTI DI COLLABORATORI ESTERNI E PARTNER

7. DIFFUSIONE DEL MODELLO

7.1 PREMESSA

7.2 LA COMUNICAZIONE

7.3 FORMAZIONE AI DIPENDENTI

7.4 INFORMAZIONE AI PARTNER COMMERCIALI, CONSULENTI E COLLABORATORI ESTERNI

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1. PREMESSA

L’entrata in vigore del D. Lgs. 231/2001, emanato in attuazione della delega di cui all’art. 11 della

Legge 29.09.2000 n. 300, ha introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa

delle persone giuridiche quale conseguenza della commissione di determinati reati da parte di

soggetti apicali o sottoposti, sempre che tali fatti siano messi in atto nell’interesse o a vantaggio

dell’ente stesso.

Tale responsabilità è stata successivamente estesa a nuove fattispecie di reato con la L. 146/06,

relativa ai soli delitti transazionali, e con il D. lgs. 152/06 in materia ambientale.

L’inosservanza della disciplina normativa summenzionata, come meglio si avrà modo di osservare

nel proseguo, può comportare per l’ente sanzioni che possono arrivare fino all’interdizione

dall’esercizio dell’attività, anche in via definitiva.

Tuttavia, nel caso in cui l’organo dirigente dell’ente provi, tra l’altro, di aver adottato ed

efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un modello di organizzazione e di

gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi, l’ente non risponde per la

responsabilità amministrativa.

1.1. STRUTTURA DEL DOCUMENTO

Puglia Life s.r.l. (d’ora in poi, per brevità, “la Società”) facendo riferimento alle linee guida

predisposte da Confindustria ed approvate dal Ministero della Giustizia, ha provveduto ad

elaborare il presente Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo ai sensi del D.Lsgs.

231/2001 che si compone di:

“Parte Generale” – essa contiene

o le regole ed i principi generali del Modello;

o le norme che disciplinano la costituzione e l’attività dell’Organismo di Vigilanza;

o l’informazione e la formazione del personale;

o la selezione ed informazione di consulenti e partner;

o il Sistema disciplinare;

“Parte Speciale” – essa contiene:

o la Mappatura delle Aree di Rischio, il cui obiettivo è quello di:

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- individuare le aree aziendali, le attività ed i processi nel cui ambito potrebbero

potenzialmente avverarsi le condizioni per la consumazione dei reati previsti dal

Decreto 231/2001;

- analizzare le possibili modalità di realizzazione dei reati nell’ambito delle diverse

aree aziendali ritenute a rischio;

o i Presidi di controllo: regolano, nel dettaglio, la dinamica dei processi e dei sistemi di

controllo ad essi applicati, tenendo conto dell’esito dell’analisi in relazione alle possibili

modalità di realizzazione. Negli stessi, coerentemente alle esigenze di periodo dell’area,

sono previste diverse tipologie di verifiche e controlli da svolgere.

“Codice Etico” – esso contiene:

o i principi etici e di comportamento che devono informare le attività aziendali ed ai quali

devono ispirarsi i componenti del Consiglio di Amministrazione, tutti i dipendenti e coloro

che intrattengono rapporti di collaborazione con la società.

1.2 I DESTINATARI

Le regole e le disposizioni contenute nel Modello e nei suoi allegati si applicano e devono essere

rispettate da coloro che svolgono, anche di fatto, funzioni di gestione, amministrazione, direzione

o controllo della Società, dai dipendenti, nonché da coloro i quali, pur non appartenendo alla

Società, operano su mandato della medesima.

Sono quindi “destinatari” del presente Modello:

gli organi sociali (compresi i membri del Consiglio di Amministrazione) nonché i titolari di

qualifiche formali (di direzione, gestione e controllo della Società o di una sua unità

organizzativa) riconducibili alle definizione di “soggetti apicali”;

i soggetti che esercitano tali funzioni (di direzione, gestione e controllo) anche solo di fatto;

tutto il personale della Società, in forza di qualsiasi tipo di rapporto contrattuale (ancorché

distaccati all’estero);

chiunque agisca in nome e per conto della Società sotto la sua direzione e vigilanza.

Ai collaboratori esterni, consulenti, agenti, intermediari, fornitori, partner commerciali e altre

controparti contrattuali, la Società richiede il rispetto delle prescrizioni dettate dal Decreto e dei

principi etici adottati dalla Società, tramite la sottoscrizione di specifiche clausole contrattuali che

assicurino l’impegno al rispetto delle norme di cui al D.Lgs. 231/2001, dei principi etici e delle linee

di condotta adottati dalla Società

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2. IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

2.1 IL REGIME DI RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA PREVISTO A CARICO DELLE PERSONE

GIURIDICHE

In data 4 luglio 2001, in esecuzione della delega di cui all’art. 11 della Legge 29 settembre 2000, n.

300, è entrato in vigore il Decreto Legislativo dell’8 giugno 2001 n. 231 1, recante le disposizioni

normative concernenti la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche,

delle Società e delle Associazioni anche prive di personalità giuridica”.

In particolare, l’articolo 5, comma 1, sancisce la responsabilità della Società qualora determinati

reati siano stati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione

della Società o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale,

nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo della stessa

(ad esempio, Amministratori);

da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al

precedente punto (ad esempio, Dipendenti).

Pertanto, nel caso in cui venga commesso uno dei reati specificatamente indicati, alla

responsabilità penale della persona fisica che ha realizzato materialmente il fatto, si aggiunge

anche la responsabilità “amministrativa” della Società, salvo che il soggetto abbia agito

nell’interesse esclusivo, proprio o di terzi, oppure che la Società provi di aver adottato ed

efficacemente attuato un Modello di Organizzazione conforme ai precetti dell’art. 6.

In questo modo, quindi, l’Ente può essere dichiarato responsabile anche se la persona fisica che ha

commesso il reato non è imputabile o non è stata individuata, posto che la responsabilità

amministrativa degli enti è autonoma rispetto alla responsabilità penale della persona fisica che ha

commesso il reato.

Il D. Lgs. 231/2001 prevede, inoltre, la procedibilità in Italia nei confronti dell’ente per reati

commessi all’estero da Apicali o Sottoposti dell’ente, nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso:

se l’ente ha la propria sede principale nel territorio dello stato italiano;

se sussiste la procedibilità in Italia nei confronti della persona fisica autore del reato;

se nei confronti dell’ente non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto2.

1 Il D. Lgs. 231/2001 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 19.06.2001 n. 140; la L. 300/2000 sulla Gazzetta Ufficiale (suppl. ord.) del 25.10.2000 n. 250).

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2.2. LE FATTISPECIE DI REATO

Le fattispecie di reato suscettibili di configurare la responsabilità amministrativa dell’ente – per

comodità espositiva riconducibili alle seguenti categorie - sono:

- reati commessi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione (artt. 24 e 25);- delitti informatici e trattamento illecito di dati (art. 24-bis);- delitti di criminalità organizzata (art. 24-ter);- falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di

riconoscimento (art. 25-bis);- delitti contro l’industria e il commercio (art. 25-bis.1);- reati societari (art. 25-ter);- delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (art. 25-quater);- pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art.25-quater.1);- delitti contro la personalità individuale (art. 25-quinquies);- abusi di mercato (art. 25-sexies); - omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme sulla tutela

della salute e sicurezza sul lavoro (art. 25-septies);- ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 25-

octies);- delitti in materia di violazione del diritto d’autore (art. 25-novies);- induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria

(art. 25- decies); - reati ambientali (art. 25-undecies);- impiego di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (art. 25-duodecies);- corruzione tra privati (reato introdotto dalla Legge 6 novembre 2012, n. 190 e incluso tra i

reati societari di cui all’art. 25-ter del Decreto);- reati transnazionali (art. 10 Legge 16 Marzo 2006, n. 146).

2.3 LE SANZIONI PREVISTE

Le sanzioni previste a carico degli enti a seguito della commissione o della tentata commissione dei

reati comportanti la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, possono essere di

natura pecuniaria oppure interdittiva.

2 Art. 4 del D. Lgs. 231/2001: “1) Nei casi ed alle condizioni previsti dagli articoli 7,8,9 e 10 del codice penale, gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale, rispondono anche in relazione ai reati commessi all’estero, purché nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto. 2) Nei casi in cui la legge prevede che il colpevole sia punito a richiesta del Ministro della giustizia, si procede contro l’ente solo se la richiesta è formulata anche nei confronti di quest’ultimo”.

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Le sanzioni pecuniarie sono comminate dal giudice penale tenendo conto della gravità dell’illecito

e del grado di responsabilità dell’ente, nonché dell’attività svolta per eliminare ovvero attenuare le

conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.

Le sanzioni interdittive, applicabili anche come misure cautelari, consistono in:

interdizione dall’esercizio dell’attività;

sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze, concessioni funzionali alla commissione

dell’illecito;

divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le

prestazioni di un pubblico servizio;

esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli

già concessi;

divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Con la sentenza di condanna nei confronti dell’ente è sempre disposta la confisca del prezzo o del

profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Nel caso in cui

vengano irrogate sanzioni interdittive, può essere disposta, come pena accessoria, la

pubblicazione della sentenza di condanna.

2.4 VICENDE MODIFICATIVE DELL’ENTE

Il D. Lgs. 231/2001 disciplina, altresì, il regime della responsabilità patrimoniale dell’ente per le

sanzioni irrogate con riferimento a vicende modificative, quali la trasformazione, la fusione, la

scissione e la cessione d’azienda.

In particolare, in caso di trasformazione, l’ente “trasformato” rimane responsabile anche per i

reati commessi anteriormente alla data in cui la trasformazione ha avuto effetto.

Per quanto concerne la fusione, anche per incorporazione, l’ente risultante dalla fusione risponde

anche dei reati di cui erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione stessa.

In linea generale, nel caso di scissione parziale, la società scissa rimane responsabile per i reati

commessi anteriormente alla data in cui la scissione ha avuto effetto. Gli enti beneficiari della

scissione diventano solidalmente responsabili per il pagamento delle sanzioni pecuniarie irrogate

dall’ente scisso, nel limite del valore effettivo del patrimonio netto trasferito.

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Per quanto riguarda le fattispecie di cessione e conferimento di azienda, il D.Lgs. 231/2001

prevede una disciplina unitaria. In particolare, nel caso di cessione d’azienda, il cessionario è

solidalmente responsabile con il cedente per le sanzioni pecuniarie irrogate in relazione ai reati

commessi nell’ambito dell’azienda ceduta, nel limite del valore trasferito e delle sanzioni risultanti

dai libri contabili obbligatori ovvero delle sanzioni dovute ad illeciti dei quali il cessionario era

comunque a conoscenza. È in ogni caso fatto salvo il beneficio della preventiva escussione

dell’ente cedente.

2.5 LA CONDIZIONE ESIMENTE: I MODELLI DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO

Il D. Lgs. 231/2001 agli artt. 6 e 7 prevede che sia esclusa la responsabilità dell’Ente disciplinata

nell’art. 5, se questo sia in grado di provare di aver adottato ed efficacemente attuato modelli di

organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire la realizzazione di reati della specie di

quello verificatosi.

Tali modelli di natura prettamente volontaria, possono fungere da esimenti della responsabilità

amministrativa dell’Ente stesso. La mera adozione di modelli non risulta, infatti, misura sufficiente

ad esonerare l’Ente dalla responsabilità a lui imputabile, è infatti necessario che il Modello sia

efficace ed effettivo.

La responsabilità dell’Ente è esclusa, e quindi l’Ente stesso non risponde dei reati commessi, se

dimostra che:

l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del

fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello

verificatosi;

il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli nonché di curare il loro

aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’Ente dotato di autonomi poteri di

iniziativa e di controllo;

le persone hanno commesso il fatto eludendo fraudolentemente i modelli di

organizzazione e di gestione;

non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo.

Pertanto, nel caso di reati commessi da soggetti in posizione apicale, sussiste in capo all’Ente una

presunzione di responsabilità da ricondurre al fatto che tali soggetti esprimono e rappresentano la

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volontà dell’Ente stesso. Tale presunzione, tuttavia, può essere superata se l’Ente riesce a

dimostrare la sussistenza delle condizioni sopra elencate.

Allo stesso modo l’art. 7 del D.Lgs. 231/2001 sancisce la responsabilità amministrativa dell’Ente

per i reati commessi dai Sottoposti, se la loro commissione è stata resa possibile dall’inosservanza

degli obblighi di direzione e vigilanza.

In ogni caso l’inosservanza di detti obblighi è esclusa se l’Ente dimostra di aver adottato ed

efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un modello organizzativo idoneo a

prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi. Vale a dire che, nell’ipotesi prevista

dall’art. 7, l’adozione del modello di organizzazione e gestione da parte dell’Ente, costituisce una

presunzione in favore del medesimo, con inversione dell’onere della prova, che va a carico

dell’accusa, che dovrà, quindi, dimostrare la inidoneità del modello ovvero la inefficace attuazione

del medesimo.

Il D. Lgs. 231/01 specifica inoltre che il Modello deve avere due ulteriori requisiti: l’efficacia e

l’effettività.

Con riferimento al primo il Legislatore specifica all’art. 6 comma 2 che i Modelli devono rispondere

alle seguenti esigenze:

individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati (cosiddetta

“mappatura” delle attività a rischio);

prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle

decisioni dell’Ente in relazione ai reati da prevenire;

individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la

commissione dei reati;

prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul

funzionamento e l’osservanza dei modelli.

La seconda caratteristica dell’effettività voluta dal Legislatore è legata alla sua “efficace

attuazione” che, a norma dell’art. 7, comma 4, del D. Lgs. 231/01, richiede i seguenti requisiti:

una verifica periodica e l’eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte

significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti

nell’organizzazione o nell’attività (aggiornamento del Modello);

un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel

Modello.

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Di conseguenza, per garantire idoneità ed efficacia al Modello, si deve prevedere:

l’attribuzione ad un Organismo di Vigilanza, interno alla struttura aziendale, del compito di

vigilare sull’idoneità del Modello a prevenire il rischio di reato (efficacia), sulla sua

attuazione (effettività), anche attraverso il monitoraggio dei comportamenti aziendali;

l’obbligo di comunicare al citato Organismo ogni utile informazione sulle attività rilevanti ai

fini del D. Lgs. 231/01;

l’attribuzione delle competenze in merito alla verifica sul funzionamento del Modello, con

conseguente aggiornamento periodico (controllo ex post);

l’attività di sensibilizzazione e diffusione a tutti i livelli aziendali delle regole

comportamentali e delle procedure istituite;

un’adeguata attività di formazione e aggiornamento differenziata, nei contenuti e nelle

modalità di erogazione, in funzione della qualifica dei destinatari, del livello di rischio

dell’area in cui operano, nonché dell’avere o meno funzioni di rappresentanza della

Società, che illustri le ragioni di opportunità, oltre che giuridiche, che ispirano le regole e la

loro portata concreta.

2.6 CODICI DI COMPORTAMENTO PREDISPOSTI DALLE ASSOCIAZIONI RAPPRESENTATIVE DI

CATEGORIA

L’art. 6 co. 3 del D.Lgs. 231/2001 prevede che “i modelli di organizzazione e di gestione possono

essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento

redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della Giustizia che, di

concerto con i Ministeri competenti, può formulare entro trenta giorni osservazioni sulla idoneità

dei modelli a prevenire reati”.

Il presente Modello è stato redatto tenendo conto delle indicazioni espresse dalle linee guida

elaborate da Confindustria e approvate dal Ministero della Giustizia.

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3. IL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE GESTIONE E CONTROLLO DELLA SOCIETA’

3.1. CENNI GENERALI

Puglia Life s.r.l., è stata costituita nel 1999 dall’unione e dalla collaborazione di aziende con

pluriennale esperienza nel settore della Ossigenoterapia in Puglia, nonché dalla volontà del

Gruppo SAPIO di conseguire la leadership sul mercato attraverso il coordinamento e la

razionalizzazione dei servizi sul piano regionale.

Obbiettivo principale di Puglia Life s.r.l. è quello di essere al servizio dei propri clienti diretti ed

indiretti del settore sanitario, analizzando le loro esigenze e rispondendo con puntualità, qualità ed

affidabilità alle richieste, nel pieno rispetto di uno sviluppo sostenibile e per il miglioramento della

qualità di vita di tutte le parti interessate.

La Società ha sede legale ed operativa in Bari alla via Nickmann n. 19, in cui sono siti gli uffici e la

sede produttiva è in Mesagne (BR) in zona industriale Via Murri, 6.

La Società svolge attività di:

Ossigenoterapia domiciliare;

Ventiloterapia domiciliare;

Fornitura di apparecchiature per il monitoraggio domiciliare ed ospedaliero delle apnee

ostruttive del sonno;

Fornitura di attrezzatura ed accessori per la aerosolterapia;

Fornitura di attrezzatura per il monitoraggio domiciliare di neonati a rischio;

Fornitura di miscele nutrizionali artificiali

3.2 LA GOVERNANCE SOCIETARIA

La Società adotta un sistema di governance che si caratterizza per la presenza:

dell’Assemblea dei Soci, a cui spettano le decisioni sui supremi atti di governo della Società,

secondo quanto previsto dalla legge e dallo Statuto;

del Consiglio di Amministrazione (CdA), incaricato di gestire l’impresa sociale;

della Società di Revisione, a cui è affidata l’attività di revisione legale dei conti ed il giudizio

sul Bilancio, ai sensi della legge e dello Statuto.

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I principali strumenti organizzativi, di governance e di controllo interno di cui la Società è dotata e

di cui si è tenuto conto nella predisposizione del presente Modello sono:

lo Statuto, che definisce le regole di governo, gestione ed organizzazione della Società;

l’organigramma aziendale, che definisce le linee di dipendenza gerarchica ed i legami

funzionali tra le diverse unità organizzative nei quali si articola la Società;

Si precisa, altresì, che la Società si è dotata di un sistema di controllo preventivo composto da:

principi etici che tendono a prevenire o ridurre i rischi di commissione di reato previsti dal

D.Lgs. 231/01 (Codice Etico);

responsabilità, poteri autorizzativi e dipendenze gerarchiche chiaramente definite;

deleghe e procure formalizzate;

procedure formalizzate che garantiscano una separazione di ruoli e funzioni, la verificabilità

e la documentazione dei controlli sulle transazioni;

poteri autorizzativi e di firma coerenti con le responsabilità assegnate;

sistemi e metodologie di comunicazione e formazione del personale in merito ai principi

etici, alle procedure, ai flussi di informazione e tutto ciò che contribuisce a dare maggiore

trasparenza all’operatività quotidiana.

Inoltre, il presidio dell’adeguatezza e dell’affidabilità del Sistema dei Controlli Interni dell’azienda è

affidato all’Organismo di Vigilanza che verifica l’adeguatezza del Modello.

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4. METODOLOGIA SEGUITA PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE ATTIVITA’ SENSIBILI E LA

COSTRUZIONE DEL MODELLO

Il presente Modello è stato redatto partendo da una serie di attività preparatorie che hanno

portato la Società alla costruzione di un sistema di prevenzione e gestione dei rischi che tiene

conto della realtà operativa aziendale e delle concrete modalità di commissione dei reati,

conformemente con le disposizioni del D.Lgs. n.231/200.

Di seguito, pertanto, si descrive la metodologia utilizzata per la redazione del presente Modello,

sviluppatasi in diversi step operativi.

In particolare si è proceduto, dapprima, alla individuazione delle cosiddette “aree sensibili” o “a

rischio”, cioè di quei processi e di quelle attività aziendali in cui potrebbe determinarsi il rischio di

commissione di uno dei reati espressamente richiamati dal D. Lgs. 231/2001, ovvero dai successivi

interventi legislativi. A tal fine si è analizzata la realtà operativa aziendale nelle diverse aree e/o

settori aziendali in cui è possibile la commissione di reati, evidenziando i momenti ed i processi

maggiormente rilevanti.

Tale attività è stata condotta sia mediante l’esame della documentazione aziendale disponibile

(organizzazione della società, sistema di poteri e deleghe, comunicazioni e regolamenti interni) sia

mediante interviste con i soggetti coinvolti, tramite i quali si sono potuti identificare, per ogni

attività sensibile individuata, i processi di gestione e gli strumenti di controllo esistenti a presidio.

Dall’unione delle informazioni ottenute è stata quindi elaborata la mappatura dei processi e delle

procedure e, in maniera preliminare, sono state identificate le principali aree sensibili ed a rischio

di commissione di reati.

Parallelamente, è stata condotta un’indagine sugli elementi costitutivi dei reati in questione, allo

scopo di identificare le condotte concrete che, nel contesto aziendale, potrebbero realizzare le

fattispecie delittuose.

In breve il processo adottato per la predisposizione del presente Modello si è snodato secondo il

seguente iter:

Presentazione del progetto al management della Società;

Analisi del quadro generale di controllo della Società (statuto, organigramma, sistemi di

poteri e deleghe ecc..);

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Analisi dell’operatività aziendale al fine di individuare le attività a rischio e le unità aziendali

coinvolte (mappatura delle aree a rischio);

Analisi e valutazione dell’effettiva esposizione al rischio di commissione dei reati e delle

procedure e controlli già in essere;

Costruzione di appositi Presidi di controllo (uno per ogni attività a rischio) per descrivere i

controlli sul processo di formazione ed attuazione delle decisioni della Società atte a

prevenire la commissione dei reati, nonché a disciplinare le modalità di gestione delle

risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;

Istituzione dell’Organismo di Vigilanza e definizione dei flussi informativi nei confronti del

medesimo e tra questo, il Consiglio di Amministrazione e gli altri organi della Società;

Introduzione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto del

Modello/Presidi di controllo;

Redazione del documento finale;

Approvazione da parte dell’organo amministrativo;

Presentazione al management ed ai dipendenti.

4.1 INDIVIDUAZIONE DELLE ATTIVITA’ SENSIBILI

Con riferimento alle fattispecie di reato precedentemente indicate (cfr. pag. 2.2.) e suscettibili di

configurare la responsabilità amministrativa della Società, sono state identificate le diverse attività

“sensibili”, ovvero quelle più esposte al rischio di commissione di reati ex D. Lgs. 231/2001.

In particolare, anche a mezzo di attività di audit del management della Società, della realtà

operativa aziendale nelle aree in cui è possibile la commissione delle fattispecie di reato

precedentemente elencate e suscettibili di configurare la responsabilità amministrativa dell’Ente,

si è proceduto alla individuazione delle diverse tipologie di reato che potenzialmente potrebbero

consumarsi all’interno delle diverse aree/funzioni nelle quali si articola la Società.

Ciò posto, dall’analisi anzidetta, si è potuto rilevare che sono attività potenzialmente “sensibili”

quelle relative a:

1. gestione dei rapporti e degli adempimenti con la Pubblica Amministrazione (P.A.), anche in

occasione di visite ispettive;

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2. selezione, assunzione, gestione del personale, svolgimento dei connessi adempimenti nei

confronti della P.A. e rapporti con i sindacati;

3. gestione dei sistemi informativi;

4. tenuta della contabilità, predisposizione di bilanci, relazioni, comunicazioni sociali in

genere, elaborazione documentazione nonché adempimenti di oneri informativi

obbligatori per legge o per disposizioni delle autorità di vigilanza;

5. flussi monetari e finanziari;

6. gestione dei finanziamenti agevolati;

7. rapporti con sindaci, revisori, soci;

8. gestione delle operazioni societarie straordinarie;

9. gestione delle attività finalizzate alla tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro

(sessioni di formazione del personale, svolgimento dei connessi adempimenti,

aggiornamento DVR);

10. approvvigionamento di beni e servizi;

11. gestione di consulenze ed incarichi professionali;

12. gestione delle attività di vendita sia tramite gara sia tramite offerta diretta (clientela

pubblica e privata);

13. gestione della rete agenziale ed altri procacciatori d’affari;

14. gestione della partecipazione a convegni e congressi;

15. erogazioni contributi/liberalità/sponsorizzazioni nei confronti di soggetti nazionali e/o

internazionali;

16. gestione dei contenziosi e/o procedimenti giudiziali e/o procedimenti arbitrali;

17. gestione degli adempimenti in materia ambientale;

18. gestione dei rapporti con gli enti certificatori

4.2 EFFETTUAZIONE DEL GAP ANALYSIS E PREDISPOSIZIONE DEL MODELLO

Sulla base della situazione accertata, tenuto conto delle previsioni e delle finalità del D. Lgs.

231/01, sono stati individuati i requisiti organizzativi essenziali per la definizione di un Modello di

Organizzazione adeguato ai precetti del Decreto.

Si è, quindi, proceduto alla predisposizione del Modello costituito da:

“Parte Generale”: essa contiene

1) le regole ed i principi generali del Modello;16

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2) le norme che disciplinano la costituzione e l’attività dell’Organismo di Vigilanza;

3) le norme che disciplinano l’informazione e la formazione del personale;

4) le norme che disciplinano la selezione e l’informazione di consulenti e partner;

5) il Sistema disciplinare che regola la comminazione delle sanzioni;

6) il Codice Etico che enuclea i principi a cui devono ispirarsi i comportamenti

quotidiani di organi sociali, dipendenti, consulenti e partner della Società.

“Parte Speciale”: essa si compone di:

Mappatura delle Aree di Rischio, il cui obiettivo è quello di:

o individuare le aree che risultano interessate dalle casistiche di reato indicate nel D.

Lgs. 231/01;

o verificare le modalità di gestione delle risorse finanziarie;

o analizzare le possibili modalità di realizzazione dei reati nell’ambito delle diverse

aree aziendali ritenute a rischio;

Presidi di controllo: regolano, nel dettaglio, la dinamica dei processi e dei sistemi di

controllo ad essi applicati, tenendo conto dell’esito dell’analisi in relazione alle

possibili modalità di realizzazione. Negli stessi, coerentemente alle esigenze di

periodo dell’area, sono previste diverse tipologie di verifiche e controlli da svolgere.

4.3. LE PROCEDURE DI ADOZIONE, AGGIORNAMENTO E ADEGUAMENTO DEL MODELLO

Sebbene l’adozione del Modello sia prevista dal Decreto come facoltativa e non obbligatoria, la

Società, in conformità alle sue politiche aziendali, ha ritenuto necessario procedere alla sua

adozione nonché all’istituzione dell’Organismo di Vigilanza, con la determinazione dei relativi

poteri.

Essendo il Modello un “atto di emanazione dell’Organo Dirigente”, in conformità alle prescrizioni

dell’art. 6, comma 1, lettera a), del D. Lgs. 231/01, le valutazioni e l’approvazione delle successive

modifiche ed integrazioni di carattere sostanziale sono rimesse alla competenza del Consiglio di

Amministrazione della Società.

Sono da intendersi come “sostanziali” quelle modifiche ed integrazioni che si rendono necessarie a

seguito dell’evoluzione della normativa di riferimento o che implicano un cambiamento nelle

regole e nei principi comportamentali contenuti nel Modello, nei poteri e doveri dell’Organismo di

Vigilanza e nel sistema disciplinare.

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Per modifiche diverse da quelle sostanziali, il Consiglio di Amministrazione delega gli

Amministratori, nel rispetto dei limiti imposti dallo Statuto, dai regolamenti di funzionamento degli

organi societari, dalle deleghe e dalla normativa civilistica e di vigilanza vigenti per tempo.

Tali modifiche verranno comunicate al Consiglio di Amministrazione con cadenza semestrale e da

questi ratificate o eventualmente integrate o modificate con apposita delibera.

La pendenza della ratifica non priva di efficacia le modifiche nel frattempo adottate.

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5. L’ ORGANISMO DI VIGILANZA AI SENSI DEL D. LGS. 231/2001

In base alle previsioni del d.lgs. 231/2001 – art. 6, comma 1, lett. a) e b) – l’ente può essere

esonerato dalla responsabilità conseguente alla commissione di reati da parte dei soggetti

qualificati ex art. 5 del d.lgs. 231/2001, se l’organo dirigente ha, fra l’altro:

– adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a

prevenire i reati considerati;

– affidato il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello e di curarne

l’aggiornamento ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo.

L’affidamento dei suddetti compiti ad un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e

controllo, unitamente al corretto ed efficace svolgimento degli stessi rappresentano, quindi,

presupposti indispensabili per l’esonero dalla responsabilità dell’ente prevista dal d.lgs. 231/2001.

L’art. 7, co. 4, ribadisce, infine, che l’efficace attuazione del Modello richiede, oltre all’istituzione di

un sistema disciplinare, una sua verifica periodica, evidentemente da parte dell’organismo a ciò

deputato.

Da quanto sopra sinteticamente richiamato, si rileva l’importanza del ruolo dell’Organismo,

nonché la complessità e l’onerosità dei compiti che esso deve svolgere.

Per una corretta configurazione dell’Organismo è necessario valutare attentamente i compiti ad

esso espressamente conferiti dalla legge, nonché i requisiti che esso deve avere per poter svolgere

in maniera adeguata i propri compiti.

5.1 REQUISITI, STRUTTURA E COMPOSIZIONE DELL’ORGANISMO DI VIGILANZA

Secondo le disposizioni delle Linee Guida di Confindustria, del D. Lgs. 231/2001 (art. 6 e 7) e le

indicazioni contenute nella Relazione di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001 l’Organismo di

Vigilanza (per brevità d’ora in poi OdV) deve possedere i seguenti requisiti:

autonomia ed indipendenza : come sottolineato nelle disposizioni delle Linee Guida di

Confindustria la posizione dell’OdV, nell’ambito dell’ente, deve garantire l’autonomia

dell’iniziativa di controllo da ogni forma d’interferenza e/o di condizionamento da parte di

qualunque componente dell’ente (e in particolare dell’organo dirigente). L’OdV non dovrà,

pertanto, essere coinvolto in alcun modo in attività operative3, né dovrà essere partecipe di

3 Come sottolineato nelle disposizioni delle Linee Guida di Confindustria per assicurare la necessaria autonomia di iniziativa e l’indipendenza è indispensabile che all’Odv non siano attribuiti compiti operativi che, rendendolo partecipe di decisioni ed attività operative, ne minerebbero l’obiettività di giudizio nel momento delle verifiche sui comportamenti e sul Modello.

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attività di gestione. L’OdV dovrà svolgere il proprio ruolo senza condizionamenti diretti o

indiretti da parte dei soggetti controllati. Le attività poste in essere dall’OdV non potranno

essere sindacate da alcun altro organo o struttura aziendale;

professionalità : l’OdV deve possedere idonee capacità tecnico – professionali adeguate

alle funzioni che è chiamato a svolgere. Si richiedono, pertanto, competenze di natura

giuridica, contabile aziendale ed organizzativa, anche al fine di garantire la dinamicità del

Modello medesimo mediante proposte di aggiornamento da sottoporre al management

aziendale;

continuità d’azione : per poter dare la garanzia di efficace e costante attuazione del

Modello, l’OdV opera senza soluzione di continuità. L’OdV, pertanto, nelle soluzioni

operative adottate garantisce un impegno prevalente, anche non se non necessariamente

esclusivo, idoneo comunque ad assolvere con efficacia e efficienza i propri compiti

istituzionali. Esso, pertanto, è chiamato a vigilare costantemente sul rispetto del Modello, a

promuoverne il continuo aggiornamento, a costituire punto di riferimento costante per

ogni soggetto che presti attività lavorativa per la Società.

Relativamente alla struttura e composizione dell’OdV è bene precisare come la disciplina in esame

non fornisca indicazioni circa la composizione dell’OdV.

Ciò consente di optare per una composizione sia mono che plurisoggettiva.

Nella composizione plurisoggettiva possono essere chiamati a far parte dell’Odv componenti

interni ed esterni all’ente, purché ciascuno di essi abbia i requisiti di cui tra breve si dirà.

Sebbene in via di principio la composizione sembri indifferente per il legislatore, la scelta tra l’una

o l’altra soluzione deve tenere conto delle finalità perseguite dalla legge e, quindi, deve assicurare

il profilo di effettività dei controlli in relazione alla dimensione ed alla complessità organizzativa

dell’ente.

Questa impostazione è stata confermata dalla giurisprudenza, che ha ribadito l’esigenza di

scegliere il tipo di composizione anche in relazione alle dimensioni aziendali.

Pertanto, nelle realtà di piccole dimensioni che non si avvalgano della facoltà di cui al comma 4

dell’art. 6, la composizione monocratica ben potrebbe garantire le funzioni demandate

all’Organismo, mentre in quelle di dimensioni medio-grandi sarebbe preferibile una composizione

di tipo collegiale. Ciò al fine di garantire una maggiore effettività dei controlli demandati dalla

legge.

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Qualunque sia la scelta effettuata, è opportuno che l’atto di nomina sia formalizzato, motivi

l’opzione adottata e provveda alle integrazioni organizzative necessarie.

Ad ogni buon fine, i componenti dell’OdV:

non rivestono incarichi esecutivi o delegati nel Consiglio di Amministrazione della Società;

non svolgono funzioni esecutive per conto della Società;

non intrattengono, direttamente o indirettamente, significative relazioni economiche con la

Società, salvo il preesistente rapporto di lavoro subordinato, né intrattengono significativi

rapporti di affari con gli Amministratori esecutivi, di rilevanza tale da condizionarne

l'autonomia di giudizio, valutata anche in relazione alla condizione patrimoniale soggettiva

della persona fisica in questione;

non sono stati dichiarati interdetti, inabilitati e falliti;

non soni stati condannati con sentenza divenuta irrevocabile:

per fatti connessi allo svolgimento del loro incarico;

per fatti che incidano significativamente sulla loro moralità professionale;

per fatti che comportino l’interdizione dai pubblici uffici, dagli uffici direttivi delle

imprese e delle persone giuridiche, da una professione o da un’arte nonché

incapacità di contrattare con la P.A.;

per aver commesso uno dei reati di cui al D. Lgs. 231/2001.

All’atto del conferimento dell’incarico, il soggetto designato a ricoprire la carica di componente

dell’OdV deve rilasciare una dichiarazione nella quale attesta l’assenza di una delle condizioni

innanzi specificate che ne impediscono l’eleggibilità.

La nomina deve prevedere la durata dell’incarico, che è a tempo determinato e normalmente di

durata triennale dalla data della nomina stessa, con possibilità di essere rieletti.

Nel caso di presenza di dipendenti della Società tra i membri dell’OdV, la cessazione del relativo

rapporto di lavoro comporta la decadenza anche da tale carica.

L’OdV cessa per scadenza del termine del periodo stabilito in sede di nomina, pur continuando a

svolgere ad interim le proprie funzioni fino a nuova nomina dei componenti dell’Organismo stesso

che deve essere effettuata nel primo Consiglio di Amministrazione utile.

La nomina deve, altresì, prevedere un compenso per l’incarico che è comunque stabilito, per tutta

la durata del mandato, dal Consiglio di amministrazione.

I membri dell’OdV cessano il proprio ruolo per rinuncia, sopravvenuta incapacità, morte o revoca.

I membri dell’Organismo di Vigilanza possono essere revocati:

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in caso di inadempienze reiterate ai compiti o inattività ingiustificata;

in caso di intervenuta irrogazione, nei confronti della Società, di sanzioni interdittive, a

causa dell’inattività del o dei componenti;

quando siano riscontrate violazioni del Modello da parte dei soggetti obbligati e vi sia

inadempimento nel riferire tali violazioni e nella verifica dell’idoneità ed efficace attuazione

del Modello al fine di proporre eventuali modifiche;

qualora subentri, dopo la nomina, qualsiasi delle cause di ineleggibilità di cui sopra.

La revoca è deliberata dal Consiglio di Amministrazione.

In caso di rinuncia, sopravvenuta incapacità, morte o revoca di un membro effettivo dell’OdV, il

Presidente dell’OdV ne darà comunicazione tempestiva al Consiglio di Amministrazione il quale

provvederà alla sostituzione con propria delibera. Fino alla nuova nomina l’OdV opera con i soli

componenti rimasti in carica.

In caso di rinuncia, sopravvenuta incapacità, morte o revoca del Presidente dell’OdV, subentra a

questi il membro effettivo più anziano, il quale rimane in carica fino alla data in cui il Consiglio di

Amministrazione abbia deliberato la nomina del nuovo Presidente dell’OdV.

I componenti dell’Organismo di Vigilanza devono essere sospesi dalla carica, allorquando nei loro

confronti si accerti:

la condanna con sentenza non passata in giudicato per uno dei reati previsti tra le cause di

ineleggibilità innanzi indicate;

l’applicazione su richiesta delle parti di una delle pene previste tra le condizioni di

ineleggibilità precedentemente indicate;

l’applicazione di una misura cautelare personale;

l’applicazione provvisoria di una delle misure di prevenzione previste dall’art. 10, comma 3,

della Legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall’art. 3 della Legge 19 marzo 1990,

n. 44, e successive modificazioni.

5.2 FUNZIONI E POTERI DELL’ORGANISMO DI VIGILANZA

L’Organismo di Vigilanza svolge i compiti previsti dagli articoli 6 e 7 del D. Lgs. 231/01 e in

particolare svolge:

attività di vigilanza e controllo;

attività di monitoraggio con riferimento all’attuazione del Codice Etico;

attività di adattamento ed aggiornamento del Modello;

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reporting nei confronti degli organi societari;

attività di gestione del flusso informativo.

Per lo svolgimento dei compiti sopraelencati l’OdV, anche avvalendosi delle risorse allocate dalla

Società per eventuali controlli interni e della collaborazione delle diverse strutture aziendali, ha il

potere di:

colloquiare, senza vincoli di subordinazione gerarchica che possano limitarne la sfera di

operatività e/o condizionarne l’autonomia di giudizio, con ogni struttura aziendale;

acquisire informazioni e documenti da ogni struttura aziendale, a qualsiasi livello;

accertare fatti e condotte integrative di potenziali violazioni ed, in generale, non in linea

con i principi fissati nel Modello organizzativo.

L’OdV potrà avvalersi, sotto la sua diretta sorveglianza e responsabilità, anche di professionisti e

consulenti esterni, ai quali affidare l’incarico di effettuare verifiche periodiche sul rispetto e

l’efficacia del Modello, mediante svolgimento di attività di carattere tecnico, con obbligo di report

scritto all’OdV.

Resta fermo che l’affidamento di siffatta delega operativa non elide la responsabilità dell’OdV in

ordine alle funzioni ad esso conferite dalla legge.

Attività di vigilanza e controllo:

Si tratta della funzione primaria dell’OdV. Più in particolare l’OdV vigila sull’osservanza delle

prescrizioni del Modello da parte dei destinatari in relazione alle diverse tipologie di reati

contemplate dal Decreto Legislativo nonché sulla reale efficacia del Modello in relazione alla

struttura aziendale ed alla effettiva capacità di prevenire la commissione dei reati di cui al Decreto

Legislativo.

Al fine di svolgere adeguatamente tale importante funzione, l’OdV deve effettuare un controllo

periodico delle singole aree valutate come sensibili, verificandone:

l’effettiva adozione e corretta applicazione dei protocolli;

la predisposizione e la regolare tenuta della documentazione prevista nei protocolli stessi;

l’efficienza e la funzionalità delle misure e delle cautele adottate nel Modello rispetto alla

prevenzione ed all’impedimento della commissione dei reati previsti dal D. Lgs. 231/01.

A tal fine l’OdV:

effettua periodiche verifiche mirate su determinate operazioni o atti specifici posti in

essere, soprattutto, nell’ambito delle attività sensibili, i cui risultati vengono riassunti in una

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apposita relazione il cui contenuto verrà esposto nell’ambito delle comunicazioni agli

organi societari;

raccoglie, elabora e conserva le informazioni rilevanti in ordine al rispetto del Modello;

monitora le iniziative per la diffusione della conoscenza e della comprensione del Modello;

cura che sia predisposta dalla Direzione della società la documentazione contenente le

istruzioni, i chiarimenti o gli aggiornamenti eventualmente necessari al fine del

funzionamento operativo del Modello;

si coordina con le altre funzioni aziendali (anche attraverso apposite riunioni) per il miglior

monitoraggio delle attività in relazione ai principi di comportamento e ai protocolli di

controllo stabiliti nel Modello, anche al fine di acquisire eventuali ulteriori elementi di

indagine.

Attività di monitoraggio con riferimento al Codice Etico

L’OdV opera il monitoraggio dell’applicazione e del rispetto del Codice Etico.

L’OdV intraprende le opportune iniziative per promuovere all’interno ed all’esterno della Società

la diffusione e la conoscenza del Codice Etico.

L’ Organismo di Vigilanza propone al Consiglio di Amministrazione gli eventuali aggiornamenti del

Codice Etico.

Attività di adattamento e aggiornamento del Modello

L’OdV svolge un importante ruolo di natura propulsiva, propositiva e di critica costruttiva, poiché

valuta e determina tecnicamente le variazioni da apportare al Modello, formulando adeguate

proposte al Consiglio di Amministrazione che si dovessero rendere necessari in conseguenza di:

significative violazioni delle prescrizioni del Modello adottato;

significative modificazioni dell’assetto interno della Società, ovvero delle modalità di

svolgimento delle attività aziendali;

modifiche normative, in primis a seguito di integrazione legislativa del numerus clausus dei

reati presupposti.

In particolare, l’OdV ha il compito di:

condurre ricognizioni dell’attività aziendale ai fini dell’aggiornamento della mappatura

delle attività sensibili;

coordinarsi con il responsabile di funzione per i programmi di formazione per il personale;

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interpretare la normativa rilevante in materia di reati presupposti, nonché le Linee Guida

eventualmente predisposte, anche in aggiornamento a quelle esistenti, e verificare

l’adeguatezza del sistema di controllo interno in relazione alle prescrizioni normative o

relative alle Linee Guida;

verificare le esigenze di aggiornamento del Modello.

Reporting nei confronti degli organi societari

Al fine di garantire la piena autonomia e indipendenza nello svolgimento delle proprie funzioni,

l’OdV riferisce direttamente al Consiglio di Amministrazione della Società:

quando necessario, in merito alla formulazione delle proposte per gli eventuali

aggiornamenti ed adeguamenti del Modello adottato, da realizzarsi mediante le modifiche

e le integrazioni che si dovessero rendere necessarie;

immediatamente, in merito alle violazioni accertate del Modello adottato, nei casi in cui tali

violazioni possano comportare l’insorgere di una responsabilità in capo alla Società,

affinché vengano presi opportuni provvedimenti. Nei casi in cui sia necessario adottare

opportuni provvedimenti nei confronti degli amministratori, l’OdV è tenuto a darne

comunicazione all’Assemblea dei Soci ed al Collegio Sindacale;

periodicamente, in merito ad una relazione informativa, su base almeno semestrale in

ordine alle attività di verifica e controllo compiute ed all’esito delle stesse, nonché in

relazione ad eventuali criticità emerse in termini di comportamenti o eventi che possono

avere un effetto sull’adeguatezza o sull’efficacia del Modello stesso.

L’OdV potrà essere convocato in qualsiasi momento dai suddetti organi o potrà a propria volta

presentare richiesta in tal senso, per riferire in merito al funzionamento del Modello o a situazioni

specifiche.

Attività di gestione del flusso informativo

Al fine di agevolare le attività di controllo e di vigilanza dell’OdV, è necessario che siano attivati e

garantiti flussi informativi verso l’OdV.

È pertanto necessario che l’OdV sia costantemente informato di quanto accade nella Società e di

ogni aspetto di rilievo.

Gli obblighi di informazione verso l’OdV garantiscono un ordinato svolgimento delle attività di

vigilanza e controllo sull’efficacia del Modello e riguardano, su base periodica, le informazioni, i

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dati e le notizie specificate nel dettaglio delle Parti Speciali, ovvero ulteriormente identificate

dall’OdV e/o da questi richieste alle singole funzioni della Società.

Tali informazioni devono essere trasmesse nei tempi e nei modi che sono definiti nel dettaglio

delle Parte Speciali o che saranno definiti dall’OdV (cosiddetti flussi informativi).

Gli obblighi di informazione verso l’OdV riguardano altresì, su base occasionale, ogni altra

informazione, di qualsivoglia genere, attinente l’attuazione del Modello nelle aree di attività

sensibili nonché il rispetto delle previsioni del Decreto, che possano risultare utili ai fini

dell’assolvimento dei compiti dell’OdV (cosiddette segnalazioni) e in particolare, in maniera

obbligatoria:

le notizie relative all’effettiva attuazione, a tutti i livelli aziendali, del Modello, con evidenza

delle eventuali sanzioni irrogate, ovvero dei provvedimenti di archiviazione dei

procedimenti sanzionatori, con relative motivazioni;

l’insorgere di nuovi rischi nelle aree dirette dai vari responsabili;

i rapporti o le relazioni eventualmente predisposte dai vari responsabili nell’ambito della

loro attività di controllo, dai quali possono emergere fatti, atti od omissioni con profili di

criticità rispetto all’osservanza delle norme del Decreto o delle prescrizioni del Modello;

le anomalie, le atipicità riscontrate o le risultanze da parte delle funzioni aziendali delle

attività di controllo poste in essere per dare attuazione al Modello;

i provvedimenti e/o notizie provenienti da organi di polizia giudiziaria, o da qualsiasi altra

Autorità pubblica, dai quali si evinca lo svolgimento di attività di indagine per i reati di cui al

Decreto, avviate anche nei confronti di ignoti;

l’istituzione di commissioni di inchiesta o relazioni interne dalle quali emergano

responsabilità per le ipotesi di reato;

le segnalazioni o le richieste di assistenza legale inoltrate alla Società da soggetti apicali o

sottoposti ad altrui direzione in caso di avvio di procedimento giudiziario a loro carico per

uno dei reati previsti dal Decreto;

le segnalazioni da parte di soggetti apicali o sottoposti ad altrui direzione di presunti casi di

violazioni ed inadempimenti di specifici precetti comportamentali, ovvero di qualsiasi

atteggiamento sospetto con riferimento ai reati presupposti dal Decreto;

le segnalazioni da parte dei collaboratori, degli agenti e dei rappresentanti, dei consulenti e

in generale i soggetti che svolgono attività di lavoro autonomo, da parte dei fornitori e dei

partner (anche sottoforma di associazione temporanea di imprese, nonché di joint-

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venture), e più in generale, da parte di tutti coloro che, a qualunque titolo, operano

nell’ambito delle aree di attività cosiddette sensibili per conto o nell’interesse della società.

L’OdV non ha obbligo di verifica puntuale e sistematica di tutti i fenomeni rappresentati; non ha

pertanto obbligo di agire ogni qualvolta vi sia una segnalazione, essendo rimessa alla

discrezionalità e responsabilità dell’OdV la valutazione degli specifici casi nei quali sia opportuno

attivare verifiche ed interventi di maggiore dettaglio.

Con riferimento alle modalità di trasmissione delle segnalazioni da parte di soggetti apicali o

sottoposti ad altrui direzione si sottolinea che l’obbligo di informare il datore di lavoro di eventuali

comportamenti contrari al Modello adottato rientra nel più ampio dovere di diligenza ed obbligo

di fedeltà del prestatore di lavoro.

Di conseguenza il corretto adempimento all’obbligo di informazione da parte del prestatore di

lavoro non può dare luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari. Per contro, ogni informativa

impropria, sia in termini di contenuti che di forma, determinata da una volontà calunniosa sarà

oggetto di opportune sanzioni disciplinari.

In particolare valgono le seguenti prescrizioni:

le informazioni e segnalazioni da chiunque pervengano, comprese quelle attinenti ad ogni

violazione o sospetto di violazione del Modello, dei suoi principi generali e dei principi

sanciti nel Codice Etico, devono essere effettuate per iscritto e in forma anche anonima.

L’OdV agisce in modo da garantire gli autori delle segnalazioni contro qualsiasi forma di

ritorsione, discriminazione o penalizzazione o qualsivoglia conseguenza derivante dalle

stesse, assicurando loro la riservatezza circa la loro identità, fatti comunque salvi gli

obblighi di legge e la tutela dei diritti della Società o delle persone accusate erroneamente

e/o in mala fede;

le informazioni e segnalazioni devono essere inviate ad opera dell’interessato direttamente

all’OdV;

l’OdV valuta le segnalazioni ricevute; tutti i soggetti destinatari degli obblighi informativi

sono tenuti a collaborare con l’Organismo stesso, al fine di consentire la raccolta di tutte le

ulteriori informazioni ritenute necessarie per una corretta e completa valutazione della

segnalazione.

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I flussi informativi e le segnalazioni sono conservate dall’OdV in una apposita banca dati di natura

informatica e/o cartacea. I dati e le informazioni conservate nella banca dati sono poste a

disposizione di soggetti esterni all’OdV previa autorizzazione dell’Organismo stesso, salvo che

l’accesso sia obbligatorio ai termini di legge. Questo ultimo definisce con apposita disposizione

interna criteri e condizioni di accesso alla banca dati, nonché di conservazione e protezione dei

dati e delle informazioni, nel rispetto della normativa vigente.

I principali poteri dell’OdV sono:

• di auto-regolamentazione e di definizione delle procedure operative interne;

• di vigilanza e controllo.

Con riferimento ai poteri di auto-regolamentazione e di definizione delle procedure operative

interne, l’OdV ha competenza esclusiva in merito:

alle modalità di convocazione;

alle modalità di organizzazione delle riunioni, incluso il calendario delle stesse;

alle modalità di deliberazione e verbalizzazione delle riunioni, o della partecipazione a

riunioni con il Consiglio di Amministrazione;

alle modalità di comunicazione e rapporto diretto con ogni struttura aziendale, nonché di

acquisizione di informazioni, dati e documentazioni dalle strutture aziendali;

alle modalità di coordinamento con il Consiglio di Amministrazione e di partecipazione alle

riunioni di detti organi, per iniziativa dell’Organismo stesso;

alle modalità di organizzazione delle proprie attività di vigilanza e controllo, nonché di

rappresentazione dei risultati delle attività svolte.

Con riferimento ai poteri di vigilanza e controllo, l’OdV:

ha accesso libero e non condizionato presso tutte le funzioni della Società – senza necessità

di alcun consenso preventivo – al fine di ottenere ogni informazione o dato ritenuto

necessario per lo svolgimento dei compiti previsti dal Decreto;

può disporre liberamente, senza interferenza alcuna, del proprio budget iniziale e di

periodo, al fine di soddisfare ogni esigenza necessaria al corretto svolgimento dei compiti;

può, se ritenuto necessario, avvalersi – sotto la sua diretta sorveglianza e responsabilità –

dell’ausilio di tutte le strutture della Società;

allo stesso modo può, in piena autonomia decisionale e qualora siano necessarie

competenze specifiche ed in ogni caso per adempiere professionalmente ai propri compiti,

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Page 29:  · Web view2018/11/27  · allo stesso modo può, in piena autonomia decisionale e qualora siano necessarie competenze specifiche ed in ogni caso per adempiere professionalmente

avvalersi della collaborazione di particolari professionalità reperite all’esterno della

Società, utilizzando allo scopo il proprio budget di periodo. In questi casi, i soggetti esterni

all’OdV operano quale mero supporto tecnico-specialistico di rilievo consulenziale;

può, fatte le opportune indagini ed accertamenti e sentito l’autore della violazione,

segnalare l’evento secondo la disciplina prevista nel Sistema Disciplinare adottato ai sensi

del Decreto, fermo restando che l’iter di formale contestazione e l’irrogazione della

sanzione è espletato a cura del datore di lavoro.

L’OdV adotta un proprio Regolamento ove si prevedono, tra l’altro, la calendarizzazione e le

modalità di svolgimento delle adunanze e delle procedure di voto, nonché la procedura seguita

per il trattamento delle segnalazioni.

Tutti i componenti dell’OdV sono tenuti al vincolo di riservatezza rispetto a tutte le informazioni di

cui sono a conoscenza in ragione dell’incarico svolto.

La divulgazione di tali informazioni può essere effettuata solo a soggetti e con le modalità previste

dal presente Modello.

5.3 IL BUDGET DELL’ORGANISMO DI VIGILANZA

Al fine di rafforzare ulteriormente i requisiti di autonomia ed indipendenza, l’OdV è dotato di un

adeguato budget iniziale e di periodo preventivamente deliberato dal Consiglio di

Amministrazione.

Di tali risorse economiche l’OdV potrà disporre in piena autonomia, fermo restando la necessità di

rendicontare l’utilizzo del budget stesso almeno su base annuale, nonché di motivare la

presentazione del budget del periodo successivo, nell’ambito della relazione informativa periodica

al Consiglio di Amministrazione.

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6. IL SISTEMA DISCIPLINARE E SANZIONATORIO

Ai sensi dell’ art. 6, co. 2, lett. e), e dell’art. 7, co. 4, lett. b) del Decreto, i modelli di organizzazione,

gestione e controllo, la cui adozione ed attuazione (unitamente alle altre situazioni previste dai

predetti articoli 6 e 7) costituisce condizione sine qua non per l’esenzione di responsabilità della

Società in caso di commissione dei reati di cui al Decreto, possono ritenersi efficacemente attuati

solo se prevedano un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure in

essi indicate.

L’applicazione delle sanzioni disciplinari prescinde dall’avvio o dall’esito di un eventuale

procedimento penale, in quanto il Modello e il Codice Etico costituiscono regole vincolanti per i

Destinatari, la violazione delle quali deve, al fine di ottemperare ai dettami del citato Decreto

Legislativo, essere sanzionata indipendentemente dall’effettiva realizzazione di un reato o dalla

punibilità dello stesso.

6.1 DEFINIZIONI E LIMITI DELLA RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE

La presente sezione del Modello identifica e descrive i soggetti destinatari, le infrazioni rilevanti ai

sensi del D.Lgs. 231/2001 e successive modifiche, le corrispondenti sanzioni disciplinari irrogabili e

la procedura diretta alla relativa contestazione.

La società, conscia della necessità di rispettare le norme di legge e le disposizioni pattizie vigenti in

materia, assicura che le sanzioni irrogabili ai sensi del presente codice sono conformi a quanto

previsto dai contratti collettivi nazionali del lavoro applicabili al settore, nella fattispecie dal CCNL

per gli addetti all’industria chimica, chimico-farmaceutica, delle fibre chimiche e dei settori

ceramica, abrasivi, lubrificanti e gpl nonché dal CCNL per i dirigenti dell’industria e dalla

contrattazione aziendale integrativa, nonché delle eventuali future integrazioni e modifiche;

assicura, altresì, che l’iter procedurale per la contestazione dell’illecito e per l’irrogazione della

relativa sanzione è in linea con quanto disposto dall’art 7 della Legge 30 maggio 1970, n. 300 (c.d.

“Statuto dei lavoratori”).

Per i Destinatari che sono legati da contratti di natura diversa da un rapporto di lavoro dipendente

(amministratori e in generale i soggetti terzi) le misure applicabili e le procedure sanzionatorie

devono avvenire nel rispetto della legge e delle condizioni contrattuali.

6.2 SOGGETTI

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Sono assoggettati al sistema sanzionatorio, tutti i lavoratori dipendenti, gli amministratori, i

sindaci, collaboratori di Puglia Life s.r.l. nonché tutti coloro che abbiano rapporti contrattuali con

essa.

Il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni di cui al presente Capitolo tiene conto delle

particolarità derivanti dallo status giuridico del soggetto nei cui confronti si procede.

L’Organismo di Vigilanza cura che venga data informazione a tutti i soggetti sopra previsti, sin dal

sorgere del loro rapporto con la Società, circa l’esistenza ed il contenuto del presente apparato

sanzionatorio.

Tutti i destinatari hanno l’obbligo di uniformare la propria condotta ai principi sanciti nel Codice

Etico, a tutti i principi e misure di organizzazione e gestione delle attività aziendali definite nel

Modello.

Ogni eventuale violazione dei suddetti principi, misure e procedure (di seguito indicate come

“Infrazioni”), rappresenta, se accertata:

nel caso di dipendenti e dirigenti, un inadempimento contrattuale in relazione alle

obbligazioni che derivano dal rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2104 cod. civ. e dell’art.

2106 cod. civ.;

nel caso di amministratori, l’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dallo

statuto ai sensi dell’art. 2392 cod. civ.;

nel caso di soggetti esterni, costituisce inadempimento contrattuale e legittima a risolvere il

contratto, fatto salvo il risarcimento del danno.

Il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni di cui nel seguito tiene dunque conto delle

particolarità derivanti dallo status giuridico del soggetto nei cui confronti si procede.

In ogni caso, l’Organismo di Vigilanza deve essere coinvolto nel procedimento di irrogazione delle

sanzioni disciplinari.

6.3 PRINCIPI GENERALI ED APPLICAZIONI DELLE SANZIONI

Le sanzioni irrogate a fronte delle infrazioni devono, in ogni caso, rispettare il principio di

gradualità e di proporzionalità delle medesime sanzioni rispetto alla gravità delle violazioni

commesse.

La determinazione della tipologia, così come dell’entità della sanzione irrogata a seguito della

commissione di infrazioni, ivi compresi illeciti rilevanti ai sensi del D.Lgs 231/2001, deve essere

improntata al rispetto e alla valutazione di quanto segue:

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l’intenzionalità del comportamento da cui è scaturito la violazione;

la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia dimostrate dall’autore in sede di commissione

della violazione, specie in riferimento alla effettiva possibilità di prevedere l’evento;

la rilevanza ed eventuali conseguenze della violazione o dell’illecito;

la posizione del Destinatario all’interno dell’organizzazione aziendale specie in

considerazione delle responsabilità connesse alla sue mansioni;

eventuali circostanze aggravanti e/o attenuanti che possano essere rilevate in relazione al

comportamento tenuto dal Destinatario, tra le circostanze aggravanti, a titolo

esemplificativo, sono considerate le precedenti sanzioni disciplinari a carico dello stesso

Destinatario nei due anni precedenti la violazione o l’illecito;

il concorso di più Destinatari, in accordo tra loro, nella commissione della violazione o

dell’illecito.

6.4 SANZIONI NEI CONFRONTI DEI DIPENDENTI

Le violazioni delle disposizioni e delle regole comportamentali previste dal Modello e dai suoi

Allegati da parte dei dipendenti della Società costituiscono inadempimento contrattuale.

Ne consegue che la violazione delle singole disposizioni e regole comportamentali previste dal

Modello e dai suoi Allegati da parte dei dipendenti della Società può comportare l’adozione di

sanzioni disciplinari, nei limiti stabiliti dai Contratti Collettivi Nazionali Lavoro (“CCNL”) applicabili.

I provvedimenti disciplinari irrogabili nei confronti dei lavoratori dipendenti della Società,

conformemente a quanto previsto dall’art. 7 della legge 20 maggio 1970 n. 300, sono quelli

previsti dalle norme disciplinari di cui al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per gli addetti

all'industria chimica, chimico-farmaceutica, delle fibre chimiche e dei settori ceramica, abrasivi,

lubrificanti e gpl e del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per il Commercio (di seguito CCNL),

in particolare:

- richiamo verbale;

- ammonizione scritta;

- multa non superiore a 3 ore;

- sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino a tre giorni lavorativi;

- licenziamento.

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La tipologia e l’entità della sanzione è definita tenendo conto della gravità e/o recidività della

violazione e del grado di colpa, più precisamente:

- intenzionalità del comportamento;

- presenza di circostanze aggravanti o attenuanti;

- rilevanza degli obblighi violati;

- entità del danno derivante alla Società;

- ruolo, livello di responsabilità gerarchica e autonomia del dipendente;

- eventuale condivisione di responsabilità con altri soggetti che abbiano concorso a determinare

la mancanza;

- eventuali simili precedenti disciplinari.

A titolo esemplificativo, in caso di violazione delle regole previste dal Modello e dai suoi Allegati o

da questi richiamate e in caso di commissione (anche sotto forma di tentativo) di qualsiasi illecito

penale per cui è applicabile il d.lgs. 231/2001, si applicano i provvedimenti sotto riportati.

- Incorre nei provvedimenti di richiamo verbale, ammonizione scritta, multa o sospensione, il

dipendente che violi le procedure interne previste o richiamate dal presente Modello - ad

esempio non osservi le procedure prescritte, ometta di dare comunicazione all’Organismo di

Vigilanza delle informazioni prescritte, ometta di svolgere i controlli di competenza, ometta di

segnalare al Servizio Prevenzione e Protezione eventuali situazioni di rischio inerenti alla

salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, non faccia uso o faccia un uso inadeguato dei Dispositivi

di Protezione Individuali o adotti, nell’espletamento di attività sensibili, un comportamento

non conforme alle prescrizioni del Modello stesso. La sanzione sarà commisurata alla gravità

dell’infrazione e alla reiterazione della stessa.

Costituiscono comunque grave trasgressione, ove non si configuri un comportamento

sanzionabile con uno dei provvedimenti di cui ai punti successivi, i seguenti comportamenti:

l’inadempimento degli obblighi di “segnalazione” e di “informazione” nei confronti

dell’Organismo di Vigilanza ed il mancato rispetto dell’obbligo di tutela dei segnalanti così

come introdotto dalla Legge c.d. “whistleblowing” Disposizioni per la tutela degli autori di

segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto

di lavoro pubblico o privato”.

Costituiscono altresì grave trasgressione:

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la violazione della riservatezza e dell’identità dei segnalanti;

▪ la non giustificata o sistematica mancata partecipazione alle iniziative di formazione in

tema 231, promosse dalla Società;

▪ il mancato rispetto delle regole di condotta previste dal Codice Etico;

▪ il mancato rispetto delle procedure e di altri presidi di controllo previsti per le attività

sensibili nella Parte Speciale del presente Modello.

- Incorre nel provvedimento di licenziamento con preavviso, il dipendente che adotti,

nell’espletamento delle attività sensibili, un comportamento non conforme alle prescrizioni

del Modello o del Codice Etico e diretto in modo univoco al compimento di un reato

sanzionato dal d.lgs. 231/2001 oppure, con riferimento specifico alle tematiche di salute e

sicurezza, i) non esegua in via continuativa l’attività di vigilanza prescritta ai sensi del Testo

Unico n. 81/2008 in materia di salute e sicurezza sul lavoro; ii) metta in atto comportamenti

ostruzionistici nei confronti dell’OdV oppure dei soggetti responsabili nell’ambito del sistema

di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (ad esempio: Datore di Lavoro, RSPP e Preposti).

- Incorre infine nel provvedimento di licenziamento senza preavviso il dipendente che adotti,

nell’espletamento delle attività sensibili, un comportamento palesemente in violazione delle

prescrizioni del Modello o del Codice Etico, tale da determinare la concreta applicazione a

carico della Società di misure previste dal d.lgs. 231/2001, oppure, con riferimento specifico

alle tematiche di salute e sicurezza, manometta in via ripetuta i macchinari e/o attrezzature

e/o i Dispositivi di Protezione Individuale, causando in tale modo pericolo per sé o per gli altri.

Ad ogni notizia di violazione del Modello, verrà promossa un’azione disciplinare finalizzata

all’accertamento della violazione stessa. Una volta accertata la violazione, sarà comminata

all’autore una sanzione disciplinare proporzionata alla gravità della violazione commessa ed

all’eventuale recidiva.

Resta inteso che saranno rispettate le procedure, le disposizioni e le garanzie previste dall’articolo

7 dello Statuto dei Lavoratori, in materia di provvedimenti disciplinari. In particolare:

- non potrà essere adottato alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza

avergli previamente contestato l’addebito e senza aver ascoltato quest’ultimo in ordine alla

sua difesa;

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- per i provvedimenti disciplinari più gravi del richiamo o del rimprovero verbale dovrà essere

effettuata la contestazione scritta al lavoratore con l’indicazione specifica dei fatti costitutivi

dell’infrazione;

- il provvedimento disciplinare non potrà essere emanato se non trascorsi 8 giorni da tale

contestazione nel corso dei quali il lavoratore potrà presentare le sue giustificazioni. Se il

provvedimento non verrà emanato entro gli 8 giorni successivi, tali giustificazioni si riterranno

accolte;

- il provvedimento dovrà essere emanato entro 16 giorni dalla contestazione anche nel caso in

cui il lavoratore non presenti alcuna giustificazione;

- nel caso in cui l’infrazione contestata sia di gravità tale da poter comportare il licenziamento, il

lavoratore potrà essere sospeso cautelativamente dalla prestazione lavorativa fino al

momento della comminazione del provvedimento, fermo restando per il periodo considerato

il diritto alla retribuzione;

- la comminazione dell’eventuale provvedimento disciplinare dovrà essere motivata e

comunicata per iscritto;

- -il lavoratore potrà presentare le proprie giustificazioni anche verbalmente.

L’accertamento delle suddette infrazioni (eventualmente su segnalazione dell’Organismo di

Vigilanza e/o del Datore di Lavoro nel caso di infrazioni al sistema della salute e sicurezza sul

lavoro), la gestione dei provvedimenti disciplinari e l’irrogazione delle sanzioni stesse sono di

competenza della Direzione Risorse Umane con il supporto del management di riferimento.

Ogni atto relativo al procedimento disciplinare dovrà essere comunicato all’Organismo di Vigilanza

per le valutazioni ed il monitoraggio di sua competenza.

6.5 SANZIONI NEI CONFRONTI DEI DIRIGENTI

Quando la violazione delle procedure interne previste dal presente Modello o l’adozione,

nell’espletamento di attività nelle aree a rischio di un comportamento non conforme alle

prescrizioni del Modello stesso, è compiuta da dirigenti, si provvederà ad applicare nei confronti

dei responsabili la misura ritenuta più idonea in conformità a quanto previsto dal Codice Civile,

dallo Statuto dei Lavoratori e dalla normativa pattizia prevista dalla contrattazione collettiva, ivi

compresa la risoluzione del rapporto di lavoro quando la violazione commessa ed accertata sia tale

da ledere e compromettere il vincolo fiduciario sottostante il rapporto di lavoro.35

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Quale sanzione specifica, l’Organismo di Vigilanza potrà proporre anche la sospensione delle

procure eventualmente conferite al dirigente stesso.

Viene previsto il necessario coinvolgimento dell’Organismo di Vigilanza nella procedura di

irrogazione delle sanzioni ai dirigenti per violazione del Modello, nel senso che non potrà essere

irrogata alcuna sanzione per violazione del Modello ad un dirigente senza il preventivo

coinvolgimento dell’Organismo di Vigilanza.

In particolare l’OdV, ricevuta la segnalazione di potenziali violazioni delle regole di comportamento

e delle procedure imposte dal Modello e dal Codice Etico, che non coinvolga il Responsabile delle

Risorse Umane, ne informa quest’ultimo, il quale sarà tenuto ad attivare il relativo procedimento

disciplinare, avvalendosi del supporto tecnico delle strutture aziendali competenti.

Nel caso in cui all’esito delle verifiche e degli accertamenti condotti, venga accertata la violazione

del Modello, all’autore/i delle violazioni vengono applicate dal Responsabile delle Risorse Umane,

ovvero dagli altri soggetti competenti secondo l’organigramma aziendale, nel rispetto del

regolamento disciplinare e nel rispetto, altresì, delle garanzie previste dalla legge e dal CCNL, le

sanzioni previste.

Qualora le violazioni siano imputabili al Responsabile delle Risorse Umane, l’OdV ne informa il CdA

per l’adozione dei provvedimenti opportuni.

All’Organismo di Vigilanza dovrà essere data parimenti comunicazione di ogni provvedimento di

archiviazione inerente i procedimenti disciplinari di cui al presente capitolo.

6.6 MISURE NEI CONFRONTI DEI SOGGETTI IN POSIZIONE APICALE

Alla notizia della violazione delle disposizioni e delle regole di comportamento del presente

Modello da parte di membri del Consiglio di Amministrazione, l’OdV dovrà prontamente informare

dell’accaduto il Consiglio di Amministrazione il quale, provvederà ad assumere i provvedimenti

ritenuti più idonei ed opportuni tra cui, ad esempio, la convocazione dell’Assemblea dei Soci ai fini

della deliberazione delle opportune iniziative previste dalla normativa e, ove necessario, alla

revoca del mandato.

Alla notizia della violazione delle disposizioni e delle regole di comportamento del presente

Modello, l’OdV dovrà prontamente informare dell’accaduto il Consiglio di Amministrazione che,

valutata la fondatezza della segnalazione ed effettuati i necessari accertamenti, potranno

assumere, secondo quanto previsto dalla legge, gli opportuni provvedimenti tra cui, ad esempio, la

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convocazione dell’Assemblea dei Soci, ai fini della deliberazione delle opportune iniziative previste

dalla normativa e, ove necessario, alla revoca del mandato.

Ogni atto relativo al procedimento sanzionatorio dovrà essere comunicato all’OdV per le

valutazioni ed il monitoraggio di sua competenza.

6.7 MISURE NEI CONFRONTI DI COLLABORATORI ESTERNI E PARTNER

I comportamenti in contrasto con le norme deontologiche e con le prescrizioni del Modello posti in

essere da Collaboratori esterni (consulenti, lavoratori a progetto, collaboratori coordinati

continuativi, agenti, procacciatori d’affari, etc.) e dai Partner e tali da comportare il rischio di

irrogazione delle sanzioni previste dal Decreto a carico della Società potrà determinare, in base a

quanto previsto dalle specifiche clausole contrattuali, inserite nelle lettere di incarico o nei

contratti, la risoluzione del rapporto contrattuale, ovvero il diritto di recesso dal medesimo, fatta

salva l’eventuale richiesta di risarcimento qualora da tale comportamento derivino danni alla

società, come, a puro titolo di esempio, nel caso di applicazione, anche in via cautelare, delle

sanzioni previste dal Decreto a carico della società.

L’Organismo di Vigilanza, in coordinamento con l’ufficio di riferimento, verifica che siano adottate

procedure specifiche per trasmettere ai Collaboratori esterni ed alle controparti contrattuali i

principi e le linee di condotta contenute nel presente Modello e nel Codice Etico e verifica che

vengano informati delle conseguenze che possono derivare dalla violazione degli stessi.

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7. DIFFUSIONE DEL MODELLO

7.1 PREMESSA

Puglia Life s.r.l. garantisce una corretta divulgazione del Modello ed una piena pubblicità, per

consentire a tutti i destinatari la piena consapevolezza di quelle disposizioni aziendali che sono

tenuti a rispettare per adempiere correttamente alle proprie mansioni.

La Società assicura le iniziative per la diffusione, la formazione e la conoscenza del Modello, anche

con riferimento agli aggiornamenti ed alle integrazioni successive.

7.2 LA COMUNICAZIONE

L’adozione del presente Modello e di ogni sua versione aggiornata è comunicata ai componenti

degli organi sociali e a tutto il personale dirigente e non dirigente tramite: a) e – mail a cui è

allegata copia elettronica del Modello e dei relativi allegati; b) affissione di una copia della parte

generale del Modello nelle bacheche aziendali e sul sito Internet della Società.

7.3 FORMAZIONE AI DIPENDENTI

Il sistema di informazione e formazione è supervisionato ed integrato dall’Organismo di Vigilanza

in collaborazione con il Responsabile della Direzione Risorse Umane.

L’attività di formazione è obbligatoria e differenziata, nei contenuti e nelle modalità di erogazione,

in funzione della qualifica dei destinatari, del livello di rischio dell’area in cui operano nonché

dell’avere o meno funzioni di rappresentanza.

A tal fine la Società elaborerà livelli diversi di informazione e formazione, attraverso idonei

strumenti di diffusione, diretti:

ai Soggetti Apicali ed ai Responsabili di direzione e di funzione (predisposizione di specifici

moduli formativi e informativi riferiti ai responsabili di funzione, ai quali verranno illustrati i

principi cardine del Modello e fornita una prima informazione sull’argomento da rivolgere

a propri Collaboratori);

al Personale Dipendente non Responsabile di funzione ed ai Collaboratori (particolare

attenzione verrà conferita ai Collaboratori che, per le mansioni assegnate e per il ruolo

aziendale, sono risultati maggiormente coinvolti nelle aree a rischio);

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la Società garantisce l’informazione alle nuove risorse attraverso le giornate di “formazione

neoassunti”; l’adozione del presente Modello è comunicata a tutti i Destinatari al momento

dell’adozione stessa.

La Società darà tempestiva comunicazione per aggiornare i destinatari circa le eventuali modifiche

apportate al Modello.

Ciascun destinatario è tenuto alla conoscenza e osservanza dei principi contenuti nel presente

documento.

7.4 INFORMAZIONE AI PARTNER COMMERCIALI, CONSULENTI E COLLABORATORI ESTERNI

I partner commerciali, Consulenti e collaboratori esterni sono informati, all’atto dell’avvio della

collaborazione, dell’adozione, da parte della Società, del Modello e del Codice Etico e dell’esigenza

che il loro comportamento sia conforme alle prescrizioni di cui al D.Lgs. 231/2001, nonché ai

principi etici e alle linee di condotta adottate da Puglia Life tramite il Codice Etico e deve essere

consegnato loro, a cura del Responsabile di direzione o di funzione con il quale intrattengono i

contatti, copia del Modello e del Codice Etico.

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PUGLIA

Life

SOCIETA’ PUGLIA LIFE S.R.L.

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO

PARTE SPECIALE

ADOTTATO AI SENSI DEL D. LGS. 8 GIUGNO 2001 N. 231 E SUCCESSIVE MODIFICHE

ED INTEGRAZIONI

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INDICE

8. PREMESSA

9. IL SISTEMA IN LINEA GENERALE

9.1 IL SISTEMA DI DELEGHE E PROCURE

9.2 I PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO

9.3 I PRINCIPI GENERALI DI CONTROLLO

10. RELAZIONI CON LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

10.1 AMBITO DI APPLICAZIONE

10.2 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DEI RAPPORTI E DEGLI ADEMPIMENTI CON LA P.A. E DELLE VISITE ISPETTIVE

10.3 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DEL CONTENZIOSO

11. AMMINISTRAZIONE E FINANZA

11.1 AMBITO DI APPLICAZIONE

11.2 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

TENUTA DELLA CONTABILITA’ E PREDISPOSIZIONE DEL BILANCIO DI ESERCIZIO;

11.3 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DELLA ATTIIVTA’ RELATIVE AI FLUSSI MONETARI E FINANZIARI

11.4 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO DA ADOTTARE NEI RAPPORTI CON SINDACI E

REVISORI

12. GESTIONE SICUREZZA, QUALITA’ ED AMBIENTE

12.1 AMBITO DI APPLICAZIONE

12.2 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE IN

MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO

12.3 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE IN

MATERIA AMBIENTALE

12.4 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NEI

RAPPORTI CON GLI ENTI CERTIFICATORI

13. ACQUISTO DI BENI E SERVIZI

13.1 AMBITO DI APPLICAZIONE

13.2 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DELLE ATTIVITA’ DI APPROVIGIONAMENTO DI BENI E SERVIZI

13.3 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DI CONSULENZE ED INCARICHI PROFESSIONALI

14. GESTIONE DEI RAPPORTI COMMERCIALI

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14.1 AMBITO DI APPLICAZIONE

14.2 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DELLE ATTIVITA’ DI VENDITA TRAMITE GARA E OFFERTA DIRETTA (CLIENTELA

PUBBLICA E PRIVATA)

15. GESTIONE DEL PERSONALE

15.1 AMBITO DI APPLICAZIONE

15.2 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DELLE ATTIVITA’ DI SELEZIONE, ASSUNZIONE E GESTIONE DEL PERSONALE

15.3 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DEI RIMBORSI SPESE

15.4 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NEI

RAPPORTI CON I SINDACATI

15.5 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DI OMAGGI E LIBERALITA’

16. GESTIONE DEI SISTEMI INFORMATIVI

16.1 AMBITO DI APPLICAZIONE

16.2 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DEI SISTEMI INFORMATIVI

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1. PREMESSA

Obbiettivo della presente “Parte Speciale” è quello di far sì che tutti i destinatari, così come

individuati nella “Parte Generale”, adottino regole di condotta conformi a quanto in essa

prescritto, al fine di prevenire il verificarsi dei reati, presupposto per l’applicazione delle sanzioni

previste nel D.Lgs. 231/01.

Nello specifico, la presente “Parte Speciale” ha lo scopo di:

indicare i principi generali di comportamento cui tutto il Personale, i Consulenti ed i Partners di

Puglia Life s.r.l. sono tenuti ad uniformarsi e rispettare ai fini della corretta applicazione del

Modello;

fornire all’Organismo di Vigilanza, ai Soggetti Apicali ed ai Responsabili di direzione e di funzione

che cooperano con esso, gli strumenti esecutivi per esercitare le attività di controllo, monitoraggio

e verifica.

Dall’analisi del contesto aziendale, svolta al fine di individuare le aree di rischio rilevanti ex D.Lgs.

231/01, allo stato, è emerso che i reati di maggiore rischio di perpetrazione sono:

reati commessi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione (artt. 24 – 25 D. Lgs.

231/2001);

delitti informatici e trattamento illecito dei dati (art. 24 – bis D. Lgs. 231/2001);

reati di criminalità organizzata (art. 24 – ter D.Lgs. 231/2001);

reati di falso nummario (art. 25-bis D.Lgs. 231/2001);

delitti contro l’industria ed il commercio (art. 25-bis 1 D.Lgs. 231/2001);

reati societari (art. 25 – ter D. Lgs. 231/2001);

reati contro la personalità individuale (art. 25 – quinquies D.Lgs. 231/2001);

reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con

violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul

lavoro (art. 25 – septies D. Lgs. 231/2001);

reati di ricettazione, riciclaggio, auto riciclaggio e impiego di danaro, beni ed utilità

di provenienza illecita (art. 25 – octies D. Lgs. 231/2001);

delitto di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci

all’A.G. (art. 25 – decies D.Lgs. 231/2001);

reati ambientali (art. 25 – undecies D.Lgs 231/2001);

impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (art. 25 duodecies

D.Lgs. 231/2001);

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La struttura di tali reati – vale a dire quelli a cui la Società risulta esposta – sarà analizzata nel

prosieguo, prima di procedere alla descrizione dei singoli protocolli.

Tuttavia è bene sin da ora precisare che l’Organismo di Vigilanza ha il potere di individuare

ulteriori ipotesi di rischio che, a seconda dell’evoluzione legislativa o dell’attività della Società o dei

mutamenti che potrebbero interessare la sua organizzazione o le sue attività, dovranno essere

valutate ai fini della ricognizione delle “attività sensibili”.

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2.IL SISTEMA IN LINEA GENERALE

Nello svolgimento di tutte le operazioni attinenti alla gestione sociale, oltre alle regole di cui al

presente Modello, tutto il Personale di Puglia Life s.r.l. (oltre ai Consulenti, nella misura necessaria

alle funzioni dagli stessi svolte), deve, in generale, conoscere e rispettare:

i principi etici a cui Puglia Life s.r.l. si ispira;

il Codice Etico;

la documentazione e le disposizioni inerenti la struttura gerarchico – funzionale ed

organizzativa della Società;

il sistema delle deleghe e delle procure;

procedure formalizzate che garantiscano una separazione di ruoli e funzioni, la verificabilità

e la documentazione dei controlli sulle transazioni;

poteri autorizzativi e di firma coerenti con le responsabilità assegnate;

il sistema di controllo di gestione;

le norme inerenti il sistema amministrativo, contabile, finanziario e di reporting;

la normativa italiana e quella straniera applicabile;

Le procedure interne devono essere caratterizzate dai seguenti elementi:

massima separazione possibile, all’interno di ciascun processo, tra il soggetto che lo inizia

(impulso decisionale), il soggetto che lo esegue e lo conclude ed il soggetto che lo controlla;

traccia scritta di ciascun passaggio rilevante del processo;

adeguato livello di formalizzazione.

2.1 IL SISTEMA DI DELEGHE E PROCURE

In linea di principio il sistema delle deleghe e delle procure deve consentire la gestione efficiente

dell’attività aziendale e deve essere caratterizzato da elementi di “sicurezza” al fine di prevenire la

commissione di reati.

Nello specifico si intende:

per “delega” quell’atto interno di attribuzioni di funzioni e compiti, riflesso nel sistema delle

comunicazioni organizzative;

per “procura” il negozio giuridico unilaterale con cui la Società attribuisce dei poteri di

rappresentanza nei confronti di terzi.

Ai titolari di una funzione aziendale che necessitano, per lo svolgimento dei loro incarichi, di poteri

di rappresentanza, viene conferita una “procura generale funzionale” di estensione adeguata e

coerente con le funzioni ed i poteri di gestione attribuiti al titolare attraverso la “delega”.

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L’Organismo di Vigilanza verifica periodicamente, con il supporto delle funzioni competenti, il

sistema delle deleghe e delle procure in vigore e la loro coerenza con tutto il sistema delle

comunicazioni organizzative (tali sono quei documenti interni all’Azienda con cui vengono

conferite le deleghe) raccomandando eventuali modifiche nel caso in cui il potere di gestione e/o

la qualifica non corrispondano ai poteri di rappresentanza conferiti al procuratore o vi siano altre

anomalie.

2.2. I PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO

I seguenti principio di carattere generale si applicano:

direttamente a tutto il Personale di Puglia Life s.r.l.;

in forza di apposite clausole contrattuali, se concordate, ai Consulenti ed ai Partners, in

relazione alle attività dagli stessi svolte.

La presente “Parte Speciale” prevede l’espresso obbligo a carico dei soggetti sopra indicati di:

tenere comportamenti corretti, nel rispetto delle norme di legge e delle procedure

aziendali interne;

fornire al proprio Personale dipendente ed ai propri Collaboratori direttive sulle modalità di

condotta operativa da adottare nei rapporti formali ed informali intrattenuti con i diversi

interlocutori con cui la Società entra in contatto;

svolgere adeguata attività di informazione e formazione in ordine agli aspetti normativi e

agli ambiti di rischio – reato afferenti i contesti operativi;

prevedere adeguati meccanismi di tracciabilità dei flussi informativi;

verificare che gli eventuali incarichi conferiti a soggetti esterni siano assegnati in modo

formale e prevedano una specifica clausola che vincoli all’osservanza dei principi etico –

comportamentali adottati dalla Società;

prevedere adeguati meccanismi di tracciabilità delle operazioni e delle attività aziendali

sensibili;

raccomandare al Personale Dipendente ed ai Collaboratori di segnalare all’Organismo di

Vigilanza ogni violazione o sospetto di violazione del Modello Organizzativo.

Tutto il Personale è espressamente obbligato a segnalare all’Organismo di Vigilanza, tramite e-mail

dedicata, i comportamenti a rischio di reato ex D.Lgs. 231/01, inerenti ai processi operativi di

competenza, di cui sia venuto a conoscenza in via diretta o per il tramite di informativa ricevuta

dal proprio Personale Dipendente, dai propri Collaboratori, dai Consulenti e dai Partners.

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2.3. I PRINCIPI GENERALI DI CONTROLLO

Ai fini dell’attuazione delle regole e dei divieti illustrati nei successivi capitoli, devono rispettarsi i

principi di controllo qui di seguito descritti, oltre alle regole ed ai principi contenuti nella “Parte

Generale” del presente Modello.

Le regole, di seguito descritte, devono essere rispettate sia nell’esplicazione dell’attività della

Società in territorio italiano sia all’estero.

I documenti devono essere redatti in base alle specifiche procedure aziendali esistenti che, al

riguardo:

determinano con chiarezza e completezza i dati e le notizie che ciascuna funzione deve

fornire e la tempistica per la loro consegna alle funzioni responsabili;

prevedono la trasmissione di dati ed informazioni alla funzione responsabile attraverso un

sistema (anche informatico) che consenta la tracciabilità dei singoli passaggi e

l’identificazione dei soggetti che inseriscono i dati nel sistema.

garantiscono la rispondenza al vero dei fatti materiali esposti;

La stipulazione di contratti/accordi e convenzioni deve essere condotta in conformità ai principi, ai

criteri ed alle disposizioni dettate dalle procedure aziendali.

In relazione ad alcune attività particolarmente “sensibili”, così come individuate dall’Organismo di

Vigilanza, l’inizio delle stesse dovrà essere tempestivamente comunicato a cura del Responsabile

di direzione o di funzione competente, all’Organismo di Vigilanza stesso.

Gli incarichi esterni, compresi i servizi di fornitura di beni e servizi, sono attribuiti a controparti di

provata affidabilità. È garantita la tracciabilità dell’attività di selezione nonché dei criteri di

selezione utilizzati.

I corrispettivi riconosciuti ai Fornitori di beni e servizi sono proporzionati all’attività svolta e in linea

con le tariffe di mercato o di legge, ove applicabili.

I contratti tra Puglia Life s.r.l., i Consulenti ed i Partners devono essere definiti per iscritto in tutte

le loro condizioni e termini e rispettare quanto indicato nei successivi punti.

Il potere di intrattenere rapporti per conto della Società deve essere formalmente conferito ai

Consulenti ed ai Partners con apposita previsione contrattuale. Ove sia necessaria, sarà rilasciata ai

soggetti predetti, specifica procura scritta che rispetti tutti i principi, i criteri e le regole di condotta

indicati nel presente Modello e nel Codice di Comportamento.

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Di qualunque criticità o conflitto di interesse che sorga nell’ambito dell’attività svolta, deve essere

informato con nota scritta, anche servendosi della e-mail dedicata, l’Organismo di Vigilanza.

I contratti con i Consulenti e con i Partners devono contenere apposita dichiarazione dei medesimi

in cui si affermi di:

essere a conoscenza e di impegnarsi al rispetto della normativa di cui al D.Lgs. 231/01 e

delle sue implicazioni per la Società;

non essere mai stati implicati in procedimenti giudiziari relativi ai reati rilevanti ai fini del

D.Lgs. 231/01 (se lo sono stati hanno comunque l’obbligo di dichiararlo ai fini di una

maggiore attenzione da parte della Società, nel caso in cui si addivenga all’instaurazione di

un rapporto di consulenza o partnership);

impegnarsi a comunicare se, nel corso del rapporto, anche per fatti concernenti terzi, siano

a qualsiasi titolo coinvolti nell’ambito di procedimenti giudiziari riguardanti ipotesi di reato

rilevanti ai fini del D.Lgs. 231/01.

I contratti con i Consulenti ed i Partners devono contenere apposita clausola che regoli le

conseguenze della violazione da parte degli stessi delle norme di cui al D.Lgs. 231/01 (ad esempio

clausole risolutive espresse, penali ecc..).

Nessun pagamento oltre € 1.000,00 può essere effettuato in contanti, né possono essere operati

pagamenti frazionati che comportino una violazione al D.Lgs. 231/07.

L’Organismo di Vigilanza dovrà essere prontamente informato del coinvolgimento del personale in

fatti rilevanti per l’Autorità Giudiziaria, mediante apposita comunicazione interna inviata a cura del

soggetto coinvolto o del soggetto che ha segnalato il fatto. Analoga comunicazione dovrà essere

effettuata nei confronti dell’Organismo di Vigilanza, dai Consulenti e dai Partners qualora gli stessi

siano coinvolti in fatti rilevanti per l’Autorità Giudiziaria in cui risulti, direttamente o

indirettamente, coinvolta o interessata la Società.

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3.RELAZIONI CON LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Le attività che la Società considera rilevanti nel processo di Gestione delle relazioni con la Pubblica

Amministrazione sono:

a) gestione dei rapporti e degli adempimenti con la Pubblica Amministrazione anche in

occasione di visite ispettive;

b) gestione del contenzioso;

I reati che potenzialmente possono verificarsi nello svolgimento delle anzidette attività sono: a) i

reati verso la Pubblica Amministrazione richiamati dagli artt. 24 e 25 del D.Lgs. 231/2001.

Invero il D.Lgs. 231/01 negli art. 24 e 25 individua i reati che soggetti in posizione apicale possono

commettere nei rapporti con la Pubblica amministrazione, con danno di questa e vantaggio per

l’ente.

L’art. 24 del D.Lgs. 231/2001 individua una serie di reati finalizzati a percepire indebite erogazioni

pubbliche mediante frode (anche informatica) o truffa, previsti e puniti dagli artt. 316 – bis, 316 –

ter, 640 comma 2 n. 1, 640 – bis e 640 – ter del codice penale.

L’art. 25 del D.Lgs. 231/2001 è dedicato ai delitti contro la Pubblica Amministrazione di corruzione

e concussione, previsti e puniti ai sensi degli artt. da 317 a 322 – bis del codice penale.

Trattasi, per entrambi i gruppi, di reati posti a presidio del regolare funzionamento, buon

andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione (di seguito P.A.) nonché a tutela del

patrimonio pubblico.

Invero, il legislatore mira a colpire quei comportamenti finalizzati ad ottenere illeciti pagamenti,

favori o vantaggi dalla P.A., mediante immutazione del vero in richieste formalmente legittime

presentate alla P.A. stessa, o mediante l’offerta di danaro, favori o altre utilità provenienti

spontaneamente (corruzione) o coattivamente (concussione) in cambio di atti legittimi o illegittimi

dalla P.A.

Preliminare all’analisi dei delitti commessi nei confronti della P.A. è la delimitazione delle nozioni

di Pubblica Amministrazione (di seguito, per brevità, P.A.), di Pubblico Ufficiale (di seguito P.U.), e

di Incaricato di Pubblico Servizio (di seguito IPS).

Per P.A. viene comunemente considerata qualsiasi persona giuridica che abbia o curi un interesse

pubblico e che svolga, in forza di norme di diritto pubblico e di atti autoritativi, un’attività

legislativa, giurisdizionale o amministrativa.

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Infine, si richiama l’art. 1, comma 2, D. Lgs. 165/01, in tema di ordinamento del lavoro alle

dipendenze delle Amministrazioni pubbliche, il quale definisce come Amministrazioni pubbliche

tutte le Amministrazioni dello Stato.

La nozione di P.U. è fornita direttamente dal legislatore. Infatti ai sensi dell’art. 357, comma 1, c.p.,

è considerato Pubblico Ufficiale, “agli effetti della legge penale”, colui il quale esercita “una

pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa”.

Il secondo comma definisce la nozione di “pubblica funzione amministrativa” (ma non quella

“legislativa” e “giudiziaria”, la cui individuazione non ha di solito dato luogo a particolari problemi

o difficoltà), precisando che, agli effetti della legge penale “è pubblica la funzione amministrativa

disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e

dalla manifestazione della volontà della Pubblica Amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di

poteri autoritativi o certificativi”.

L’art. 358 c.p. definisce la categoria di “soggetti incaricati di un pubblico servizio […] coloro i quali,

a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un'attività

disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri

tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della

prestazione di opera meramente materiale”.

3.1 AMBITO DI APPLICAZIONE

La gestione delle relazioni con la P.A. riguarda tutte le funzioni aziendali che possano entrare in

contatto con esponenti delle amministrazioni pubbliche in particolare nell’espletamento degli

adempimenti richiesti ex lege ed in occasione di visite ispettive il più delle volte finalizzate a

verificare la conformità degli stessi alla legislazione vigente.

I successivi principi di comportamento e presidi di controllo si applicano a tutti gli esponenti

aziendali coinvolti nelle attività di gestione dei rapporti e degli adempimenti con la P.A. e delle

visite ispettive e, in particolare, ma non esclusivamente a:

Amministratore con poteri;

Responsabile Amministrazione Finanza e Controllo;

Responsabile Contabilità, Clienti e Fornitori;

Responsabile Commerciale;

Responsabile Logistica;

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Responsabile Magazzino;

Responsabile Qualità, Sicurezza ed Ambiente

a) gestione dei rapporti e degli adempimenti con la P.A. e delle visite ispettive

3.2 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DEI RAPPORTI E DEGLI ADEMPIMENTI CON LA P.A. E DELLE VISITE ISPETTIVE

Gli esponenti aziendali che, in ragione del proprio incarico o della propria funzione, siano coinvolti

nell’ambito delle attività in oggetto, devono:

Intrattenere rapporti corretti, trasparenti, imparziali e collaborativi con i funzionari della P.A..

Espletare diligentemente e tempestivamente tutti gli adempimenti richiesti dalla

normativa/regolamentazione pubblica applicabile nell’ambito della propria attività;

Assicurare che la documentazione inviata e condivisa con la P.A. predisposta sia internamente che

con il supporto di collaboratori e consulenti, sia completa, veritiera e corretta;

Segnalare, senza ritardo, al proprio responsabile gerarchico eventuali tentativi di richieste indebite

da parte di funzionari della P.A.,volti, ad esempio, ad ottenere favori, elargizioni illecite di denaro o

altra utilità, anche nei confronti di terzi, nonché qualunque criticità o conflitto di interesse sorga

nell’ambito dei rapporti con la P.A.;

Fornire ai propri collaboratori (interni ed esterni) adeguate direttive sulle modalità di condotta da

adottare nei contatti formali ed informali con soggetti della P.A.;

Prestare completa ed immediata collaborazione ai funzionari della P.A. durante le ispezioni,

fornendo puntualmente ed esaustivamente tutta la documentazione e le informazioni richieste.

È fatto, inoltre, divieto di:

promettere o effettuare erogazioni in danaro per finalità diverse da quelle

istituzionali e di servizio in favori di rappresentanti della P.A. italiana o straniera;

accordare vantaggi di qualsiasi natura (promesse di assunzioni di parenti od amici

ecc..) in favore di rappresentanti della P.A. italiana o straniera;

distribuire omaggi e regali a funzionari pubblici italiani ed esteri o a loro familiari, al

di fuori di quanto previsto dalla prassi aziendale, che possano in qualsivoglia modo

influenzare l’indipendenza del giudizio o indurre ad assicurare un qualsiasi

vantaggio per l’azienda. Gli omaggi consentiti devono essere sempre di modico

valore o perché volti a promuovere iniziative di carattere benefico e/o culturale o la

brand image della Società. I regali offerti, salvo quelli di modico valore, devono

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essere sempre documentati in modo adeguato per consentire le opportune

verifiche da parte dell’OdV;

fornire o promettere di fornire informazioni e/o documenti riservati;

effettuare prestazioni in favore delle Società di Service, dei Consulenti e dei Partner

che non trovino adeguata giustificazione nel contesto del rapporto contrattuale

costituito con gli stessi;

destinare contributi e/o sovvenzioni e/o finanziamenti pubblici a finalità diverse

rispetto a quelle per cui sono stati ottenuti;

presentare dichiarazioni e/o documenti falsi o attestanti cose non vere ovvero

omettere informazioni dovute ad organismi pubblici nazionali, comunitari o

sovranazionali al fine di conseguire erogazioni pubbliche e/o contributi e/o

finanziamenti agevolati;

abusare dell’incaricato di pubblico servizio per ottenere utilità a vantaggio

dell’azienda;

acquistare, ricevere ed occultare danaro, beni o altre utilità di cui si possa anche

solo supporre la provenienza illecita;

svolgere funzioni di intermediario nell’acquisto, ricezione od occultamento di

danaro, beni o altre utilità di cui si possa anche solo supporre la provenienza

illecita;

sostituire e/o trasferire danaro, beni o altre utilità di cui si possa anche solo

supporre la provenienza illecita;

svolgere funzioni di intermediario nell’attività di sostituzione e/o trasferimento di

danaro, beni o altre utilità di cui si possa anche solo supporre la provenienza

illecita;

utilizzare nello svolgimento dell’attività della Società danaro, beni o altre utilità di

cui si possa anche solo supporre la provenienza illecita;

omettere di effettuare, con la dovuta completezza, accuratezza e tempestività, tutte

le segnalazioni periodiche previste dalle leggi e dalla normativa applicabile nei

confronti delle autorità di vigilanza cui è soggetta l’attività aziendale, nonché la

trasmissione dei dati e documenti previsti dalla normativa e/o specificamente

richiesti dalle predette autorità;

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esporre nelle predette comunicazioni e trasmissioni fatti non rispondenti al vero,

ovvero occultare fatti rilevanti relativi alle condizioni economiche, patrimoniali o

finanziarie della società;

alterare in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico e/o

telematico;

intervenire in qualsiasi modo su dati, informazioni o programmi contenuti in un

sistema informatico e/o telematico o ad esso pertinenti.

In caso di tentata concussione da parte di un Pubblico Funzionario nei confronti del Personale,

sono da adottare i seguenti comportamenti:

non dare seguito alla richiesta;

fornire informativa tempestiva al proprio superiore;

attivare formale informativa verso l’Organismo di Vigilanza

E’ stabilito che:

agli incontri con funzionari pubblici devono sempre partecipare l’Amministratore con

poteri ed il Responsabile della Funzione Amministrazione, Finanza e Controllo ovvero

almeno due esponenti aziendali espressamente delegati;

in occasione di ciascun contatto con la P.A. gli esponenti aziendali presenti redigono e

sottoscrivono apposita relazione con: indicazione dei partecipanti interni ed esterni

all’incontro, descrizione delle attività e delle risultanze emerse, informazioni verbali

richieste e fornite, elenco dei documenti richiesti e consegnati. Le relazioni così redatte

devono essere archiviate a cura della funzione aziendale coinvolta e da questa trasmesse e

tenute a disposizione dell’OdV;

in occasione della trasmissione di domande, istanze, atti, dichiarazioni, rendiconti, contratti

o altra documentazione richiesta dalla P.A., i Responsabili delle Funzioni aziendali coinvolte

verificano preventivamente la completezza, correttezza e veridicità della documentazione;

la documentazione da inviare alla P.A. deve essere sottoscritta dall’Amministratore con

poteri e da questi inviata;

ogni e qualsivoglia comportamento anomalo che dovesse essere ravvisato nello

svolgimento di attività che abbiano come contraddittore la P.A. da parte di organi sociali,

dipendenti, consulenti e partner, deve essere tempestivamente segnalato all’OdV per

iscritto;

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l’OdV è tenuto a controllare periodicamente, a campione, la regolarità delle attività

intraprese con la P.A. attraverso l’acquisizione di tutta la documentazione afferente;

qualora la società si avvalga della consulenza di società esterne o anche di singoli

professionisti per l’espletamento delle attività summenzionate, i contratti con tali società

e/o singoli professionisti devono contenere apposita dichiarazione da parte dei medesimi

in cui si affermi:

di essere a conoscenza e di impegnarsi al rispetto della normativa di cui al D.Lgs.

231/01 e delle sue implicazioni per la Società;

di non essere mai stati implicati in procedimenti giudiziari relativi ai reati rilevanti ai fini

del D.Lgs. 231/01 (ove lo fossero stati, devono dichiararlo ai fini di una maggiore

cautela da parte della società, nel caso in cui si addivenga all’instaurazione di un

rapporto di consulenza o partnership);

di impegnarsi a comunicare se, nel corso del rapporto, anche per fatti concernenti terzi,

siano a qualsiasi titolo coinvolti nell’ambito di procedimenti giudiziari riguardanti

ipotesi di reato rilevanti ai fini del D.Lgs. 231/01;

i contratti con i consulenti devono contenere apposita clausola che regoli le conseguenze

della violazione da parte degli stessi delle norme di cui al D.Lgs. 231/01 (ad es. clausole

risolutive espresse, penali ecc..);

tutta la documentazione prodotta, inviata e ricevuta nei rapporti con la P.A. deve essere

archiviata a cura della funzione aziendale interessata.

In ordine alla:

gestione delle visite ispettive:

E’ stabilito che:

i rapporti con funzionari pubblici in occasione di visite ispettive devono essere sempre

gestiti presso la sede della Società dall’Amministratore con poteri Nel caso in cui questi non

sia disponibile, i rapporti dovranno essere gestiti dal Responsabile della funzione

Amministrazione, Finanza e Controllo o, in mancanza, dal dipendente più esperto presente

in sede in quel momento;

alle visite ispettive effettuate da parte dei funzionari pubblici incaricati devono sempre

presenziare l’Amministratore con poteri ed il Responsabile della Funzione

Amministrazione, Finanza e Controllo ovvero da almeno due esponenti aziendali

espressamente delegati;

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in occasione di una visita ispettiva, la portineria/segreteria competente che accoglie

l’ispettore deve annotare in un registro il nominativo del funzionario, l’ente pubblico di

appartenenza, il motivo della visita, data ed ora di ingresso e uscita. Questo registro deve

essere archiviato a cura della portineria/segreteria competente;

in occasione di ciascuna visita ispettiva gli esponenti aziendali presenti redigono e

sottoscrivono apposita relazione con: indicazione dei partecipanti interni ed esterni

all’incontro, descrizione delle attività e delle risultanze emerse, informazioni verbali

richieste e fornite, elenco dei documenti richiesti e consegnati, eventuali comportamenti

da parte del funzionario pubblico non aderenti alle indicazioni del Codice Etico e del

presente Modello. Le relazioni così redatte devono essere archiviate cura delle funzione

aziendale coinvolta e, quindi, da questa trasmesse e tenute a disposizione dell’OdV.

b) gestione del contenzioso

3.3 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DEL CONTENZIOSO

Gli esponenti aziendali che, in ragione del proprio incarico o della propria funzione, siano coinvolti

nell’ambito delle attività in oggetto, devono:

intrattenere rapporti trasparenti ed imparziali con i rappresentanti dell’A.G.;

prestare completa, trasparente ed immediata collaborazione all’A.G., fornendo

puntualmente ed esaustivamente la documentazione e le informazioni richieste;

rendere sempre all’A.G. dichiarazioni veritiere, complete, corrette e rappresentative dei

fatti;

esprimere liberamente le proprie rappresentazioni dei fatti, se indagati o imputati in

procedimenti penali;

avvertire tempestivamente il proprio responsabile gerarchico e/o l’Amministratore con

poteri di ogni minaccia, pressione, offerta o promessa di danaro o altra utilità, ricevuta al

fine di alterare le dichiarazioni da utilizzare in procedimenti penali.

È , inoltre, fatto divieto di:

porre in essere (direttamente o indirettamente), qualsiasi attività che possa favorire o

danneggiare una delle parti in causa, nel corso di procedimenti civili, penali o

amministrativi;

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condizionare o indurre, in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, la volontà di soggetti

chiamati a rispondere all’A.G. al fine di non rendere dichiarazioni o dichiarare fatti non

rispondenti al vero;

accettare denaro o altra utilità, anche attraverso terzi esterni alla Società, se coinvolti in

procedimenti civili, penali o amministrativi;

promettere o offrire denaro, omaggi o altre utilità a soggetti coinvolti in procedimenti civili,

penali o amministrativi o a persone a queste vicini.

Nella gestione delle attività in oggetto:

tutti i poteri in materia di contenzioso (quali ad esempio i poteri di rappresentare la Società

in giudizio, di conferire e revocare mandati ad avvocati e a consulenti tecnici, di transigere)

sono in capo esclusivamente all’Amministratore con poteri;

i rapporti con l’A.G. in occasione di procedimenti giudiziari devono essere gestititi da legali

esterni il cui conferimento di incarico deve avvenire attraverso il rilascio (mediante

sottoscrizione) di un mandato alle liti per la rappresentanza in giudizio autorizzato

dall’Amministratore con poteri;

l’Amministratore con poteri deve avvertire tempestivamente l’OdV di ogni atto, citazione a

testimoniare e procedimento giudiziario (civile, penale o amministrativo) che veda

coinvolta la Società;

la definizione della strategia difensiva in sede processuale e la selezione di testimoni è

effettuata da parte dell’Amministratore con poteri;

solamente i legali incaricati possono interfacciarsi con i soggetti coinvolti in procedimenti

giudiziari o che sono chiamati a rendere dichiarazioni all’A.G.;

la documentazione da trasmettere all’A,G. (mezzi probatori, atti di causa, scritti difensivi

ecc..), è verificata, in termini di correttezza ed accuratezza, dall’Amministratore con poteri

e da questi sottoscritta;

l’Amministratore con poteri, in occasione delle chiusure periodiche del bilancio, comunica

al Responsabile della funzione Amministrazione, Finanza e Controllo lo stato dei

contenziosi in essere al fine di poterne dare la dovuta informativa in bilancio e calcolare

l’accantonamento al relativo fondo rischi;

le lettere di incarico stipulate con legali e/o consulenti che possono gestire rapporti diretti

con l’A.G. in nome e per conto della Società devono contenere apposita dichiarazione da

parte dei medesimi in cui si affermi:

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di essere a conoscenza e di impegnarsi al rispetto della normativa di cui al D.Lgs.

231/01 e delle sue implicazioni per la Società;

di non essere mai stati implicati in procedimenti giudiziari relativi ai reati rilevanti ai fini

del D.Lgs. 231/01 (ove lo fossero stati, devono dichiararlo ai fini di una maggiore

cautela da parte della società, nel caso in cui si addivenga all’instaurazione di un

rapporto di consulenza o partnership);

di impegnarsi a comunicare se, nel corso del rapporto, anche per fatti concernenti terzi,

siano a qualsiasi titolo coinvolti nell’ambito di procedimenti giudiziari riguardanti

ipotesi di reato rilevanti ai fini del D.Lgs. 231/01;

le conseguenze della violazione da parte degli stessi delle norme di cui al D.Lgs. 231/01

(ad es. clausole risolutive espresse, penali ecc..);

tutta la documentazione relativa ai contenziosi (atti, pareri, memorie, sentenze ecc..) è

archiviata a cura dell’Amministratore con poteri per mezzo della sua segreteria.

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4. AMMINISTRAZIONE E FINANZA

Le attività che la Società considera rilevanti nel processo di Gestione delle attività relative ad

Amministrazione e Finanza sono:

a) tenuta della contabilità e predisposizione del bilancio di esercizio;

b) flussi monetari e finanziari;

c) rapporti con i revisori;

I reati che potenzialmente possono verificarsi nello svolgimento delle anzidette attività sono: a) i

reati societari richiamati dall’art. 25 – ter del D.Lgs. 231/2001.

Invero il D.Lgs. 61/2002 ha modificato il D.Lgs. 231/2001 aggiungendo l’art. 25 – ter che annovera,

tra i reati per i quali gli enti rispondono direttamente degli illeciti commessi con loro vantaggio da

soggetti in posizione apicale, i reati in materia societaria previsti dal codice civile.

Le sanzioni applicabili all’ente variano a seconda della fattispecie e possono essere aumentate di

un terzo qualora il profitto ricavato dalla società, in conseguenza della commissione di un reato

societario, sia di rilevante entità.

Trattasi di reati propri in quanto sono suscettibili di commissione solo da parte di quei soggetti che

ricoprono, all’interno dell’ente, precisi incarichi (amministratori, direttori generali, liquidatori ecc.).

Il Legislatore ha tipizzato ed apprestato tutela penale a tutta una serie di condotte che vengono

tenute da soggetti al vertice in occasione di attività specifiche nei confronti dei soci e nell’ambito

dei rapporti con e tra i soci.

4.1. AMBITO DI APPLICAZIONE

I successivi principi di comportamento e presidi di controllo si applicano a tutti gli esponenti

aziendali coinvolti nelle attività relative alla tenuta della contabilità e predisposizione del bilancio

di esercizio, flussi monetari e finanziari, rapporti con i sindaci e i revisori e, in particolare, ma non

esaustivamente a:

Amministratore con poteri;

Responsabile Amministrazione Finanza e Controllo;

Responsabile Contabilità, Clienti e Fornitori;

Responsabile Commerciale;

Responsabile Logistica;

Responsabile Magazzino;

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a) tenuta della contabilità e predisposizione del bilancio di esercizio

4.2 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

TENUTA DELLA CONTABILITA’ E PREDISPOSIZIONE DEL BILANCIO DI ESERCIZIO

Gli esponenti aziendali che, in ragione del proprio incarico o della propria funzione, siano coinvolti

nell’ambito delle attività in oggetto, devono:

assicurare il pieno rispetto delle norme di legge e regolamentari, dei principi contabili

adottati (principi contabili italiani) nonché delle procedure aziendali nello svolgimento delle

attività finalizzate alla formazione del bilancio, delle situazioni contabili periodiche e delle

altre comunicazioni sociali, al fine di fornire un’informazione veritiera e appropriata sulla

situazione economica, patrimoniale e finanziaria della Società e del Gruppo;

osservare le regole di corretta, completa e trasparente registrazione contabile, secondo i

criteri indicati dalla legge e dai principi contabili adottati;

garantire la tempestività, l’accuratezza e il rispetto del principio di competenza

nell’effettuazione delle registrazioni contabili;

assicurare che ogni operazione sia, oltre che correttamente registrata, anche autorizzata,

verificabile, legittima e coerente con la documentazione di riferimento; rispettare i criteri di

ragionevolezza e prudenza nella valutazione e registrazione delle poste contabili, anche

valutative/estimative, tenendo traccia dei parametri di valutazione e dei criteri che hanno

guidato la determinazione del valore;

garantire la completa tracciabilità dell’iter decisionale, autorizzativo e di controllo svolto

nel processo di chiusura contabile e di predisposizione del bilancio;

tenere un comportamento corretto e trasparente in tutte le attività finalizzate alla

formazione del bilancio e delle altre comunicazioni sociali, al fine di fornire ai Soci ed ai

terzi un’informazione veritiera e corretta sulla situazione economica, patrimoniale e

finanziaria della Società;

È fatto, inoltre, divieto di:

rappresentare o trasmettere per l’elaborazione e la rappresentazione in bilanci, relazioni o

altre comunicazioni sociali, dati falsi, lacunosi o, comunque, non rispondenti alla realtà,

sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della Società;

omettere dati ed informazioni imposti dalla Legge sulla situazione economica, patrimoniale

e finanziaria della Società;

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occultare o falsificare informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o

finanziaria della Società;

restituire conferimenti ai Soci o liberare gli stessi dall’obbligo di eseguirli, al di fuori dei casi

di legittima riduzione del capitale sociale;

ripartire utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva;

omettere di effettuare, con la dovuta completezza, accuratezza e tempestività, tutte le

segnalazioni periodiche previste dalle Leggi e dalla normativa applicabile, nei confronti

delle Autorità di vigilanza cui è soggetta l’attività aziendale, nonché la trasmissione dei dati

e dei documenti previsti dalla normativa e/o specificamente richiesti dalle predette

Autorità;

esporre nelle predette comunicazioni fatti non rispondenti al vero, ovvero occultare fatti

rilevanti relativi alle condizioni economiche, patrimoniali o finanziarie della Società;

porre in essere qualsiasi comportamento che sia di ostacolo all’esercizio delle funzioni di

vigilanza anche in sede di ispezione da parte delle Autorità pubbliche di vigilanza (espressa

opposizione, rifiuti pretestuosi o anche comportamenti ostruzionistici o di mancata

collaborazione, quali ritardi nelle comunicazioni o nella messa a disposizione di

documenti);

porre in essere attività e/o operazioni volte a creare disponibilità extracontabili o

finalizzate alla creazione di fondi neri o contabilità parallele;

determinare o influenzare le deliberazioni assembleari, ponendo in essere atti simulati o

fraudolenti finalizzati ad alterare il regolare procedimento di formazione della volontà

assembleare;

attribuire incarichi di consulenza alla società che svolge revisione contabile ovvero ad altre

Società appartenenti al medesimo Network;

garantire la tutela dell’integrità e dell’effettività del capitale sociale;

effettuare riduzioni del capitale sociale, fusioni con altre società o scissioni tali da cagionare

un danno ai creditori;

in caso di liquidazione, ripartire beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori

sociali o dell’accantonamento delle somme necessarie per soddisfarli;

pubblicare o divulgare notizie false o porre in essere operazioni simulate o altri

comportamenti fraudolenti o ingannevoli aventi ad oggetto strumenti finanziari, quotati e

non quotati, allo scopo di alterarne sensibilmente il prezzo;

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corrispondere od offrire/promettere pagamenti o elargizioni di denaro o altra utilità a

pubblici funzionari, incaricati di pubblico servizio o altre controparti terze con cui la società

intrattenga rapporti di business (o persone a questi vicini) per assicurare vantaggi di

qualunque tipo alla Società;

Nella gestione delle attività in oggetto, tutti i referenti coinvolti dovranno assicurare che siano

formalmente tracciabili e documentati i seguenti presidi di controllo ritenuti maggiormente

rilevanti al fine di mitigare potenziali rischi – reato ai sensi del D.Lgs. 231/2001:

gestione del sistema contabile e del piano dei conti

le registrazioni contabili devono essere effettuate esclusivamente attraverso l’applicativo

dedicato (“Oracle”) che garantisce la tracciabilità delle operazioni e l’esecuzione

automatica di controlli contabili preimpostati;

l’accesso all’applicativo deve essere consentito esclusivamente agli utenti autorizzati

tramite UserID e Password personali, assegnate dal Responsabile dei Sistemi Informativi

facente funzione sulla base delle richieste effettuate via e – mail dal Responsabile della

funzione Amministrazione, Finanza e Controllo, previa autorizzazione dell’Amministratore

con poteri, tenendo conto dei compiti e delle responsabilità attribuite ai singoli utenti;

tenuta della contabilità

ai fini della registrazione dei costi per beni e servizi, le relative fatture ricevute devono

essere preliminarmente verificate dagli addetti della Contabilità, Clienti e Fornitori in

termini di correttezza, abbinandole ai corrispondenti ordini di acquisto. In caso di

discordanze, il Responsabile della funzione Contabilità, Clienti e Fornitori deve effettuare le

necessarie verifiche coinvolgendo i referenti aziendali di volta in volta competenti;

il Responsabile della Contabilità, Clienti e Fornitori deve verificare la completezza e

tempestività delle registrazioni contabili relative a tutte le fatture;

tutta la documentazione di supporto relativa alla tenuta della contabilità è archiviata a cura

della funzione aziendale di volta in volta competente;

gestione delle chiusure contabili

il Responsabile della Funzione Amministrazione, Finanza e Controllo predispone

annualmente un calendario di chiusura con l’elenco delle attività e delle relative scadenze e

lo invia via e-mail a tutti i referenti aziendali coinvolti in attività di chiusura;

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gli stanziamenti, gli accantonamenti, le scritture di rettifica e relative a poste

estimative/valutative devono essere sempre verificati per ragionevolezza dal Responsabile

della funzione Amministrazione, Finanza e Controllo;

tutte le scritture di rettifica superiori a 50 mila euro devono essere riepilogate in

un’apposita tabella e formalmente approvate da parte dell’Amministratore con poteri;

il Responsabile della Funzione Amministrazione, Finanza e Controllo verifica annualmente il

valore e la capitalizzabilità delle immobilizzazioni iscritte a bilancio nonché l’eventuale

necessità di effettuare svalutazioni;

annualmente il Responsabile del Magazzino deve effettuare un inventario dei magazzini ed

eventuali differenze inventariali devono essere verificate dal Responsabile della Funzione

Amministrazione, Finanza e Controllo;

il calcolo delle imposte e lo stanziamento ai relativi fondi devono essere verificati dal

Responsabile della Funzione Amministrazione, Finanza e Controllo ed approvati

dall’Amministratore con poteri;

predisposizione del bilancio di esercizio

il Responsabile della Funzione Amministrazione, Finanza e Controllo garantisce l’adeguata

collaborazione con la Società Capogrupppo nella redazione dei bilanci gestionali e

consolidato la cui predisposizione è, in ogni caso, di competenza di Sapio Life s.r.l.;

il Consiglio di Amministrazione verifica ed approva la bozza del progetto di bilancio;

il bilancio civilistico è approvato dall’Assemblea dei Soci;

nei contratti/lettere di incarico stipulati con consulenti e/o collaboratori che possono

gestire attività amministrativo – contabili deve essere inserita un’apposita dichiarazione da

parte dei medesimi con la quale si affermi:

di essere a conoscenza e di impegnarsi al rispetto della normativa di cui al D.Lgs.

231/01 e delle sue implicazioni per la Società;

di non essere mai stati implicati in procedimenti giudiziari relativi ai reati rilevanti ai

fini del D.Lgs. 231/01 (ove lo fossero stati, devono dichiararlo ai fini di una maggiore

cautela da parte della società, nel caso in cui si addivenga all’instaurazione di un

rapporto di consulenza o partnership);

di impegnarsi a comunicare se, nel corso del rapporto, anche per fatti concernenti

terzi, siano a qualsiasi titolo coinvolti nell’ambito di procedimenti giudiziari

riguardanti ipotesi di reato rilevanti ai fini del D.Lgs. 231/01;

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le conseguenze della violazione da parte degli stessi delle norme di cui al D.Lgs.

231/01 (ad es. clausole risolutive espresse, penali ecc..);

tutta la documentazione di supporto relativa a scritture contabili di chiusura, poste

estimative/valutative e ad operazioni, calcoli, quadrature e verifiche effettuate è archiviata

a cura della Funzione competente.

b) gestione delle attività relative ai flussi monetari e finanziari

4.3 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DELLE ATTIVITA’ REALTIVE AI FLUSSI MONETARI E FINANZIARI

Gli esponenti aziendali che, in ragione del proprio incarico e della propria funzione, siano coinvolti

nell’ambito delle attività in oggetto, devono:

operare nel rispetto della normativa vigente in materia di strumenti di incasso e

pagamento, tracciabilità dei flussi finanziari e antiriciclaggio;

utilizzare in via preferenziale il canale bancario nell’effettuazione delle operazioni di

incasso e pagamento derivanti da rapporti di acquisto o vendita di beni o servizi, da

operazioni di tesoreria, da operazioni su titoli e partecipazioni o da operazioni infragruppo.

L’utilizzo di pagamenti in contanti deve essere limitato ai soli casi espressamente

consentiti, nei limiti delle necessità aziendali e comunque per importi di modico valore e

nel rispetto dei limiti previsti dalla normativa vigente in materia di strumenti di pagamento;

consentire la tracciabilità dell’iter decisionale e autorizzativo e delle attività di controllo

svolte nell’ambito del processo di gestione dei pagamenti e degli incassi, delle casse e delle

altre operazioni finanziarie;

disporre pagamenti congrui con la documentazione sottostante (es. fattura autorizzata) e

sul conto corrente segnalato dal fornitore;

custodire sempre il fondo cassa all’interno delle casseforti dove non devono essere mai

conservate somme eccessive di denaro;

conservare la documentazione giustificativa a supporto degli incassi e dei pagamenti e dei

movimenti di cassa;

E’ fatto divieto di:

effettuare pagamenti non adeguatamente documentati, giustificati ed autorizzati;

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re-immettere nel circuito monetario banconote o monete falsificate, o anche

semplicemente sospette di falsificazione. Tali banconote devono essere trattenute e

consegnate ad un Istituto di credito;

approvare fatture passive a fronte di prestazioni inesistenti in tutto o in parte;

trasferire a qualsiasi titolo denaro contante o libretti di deposito bancari o postali al

portatore o titoli al portatore in euro o in valuta estera, quando il valore dell'operazione,

anche frazionata, sia complessivamente pari o superiore alla soglia indicata dalla normativa

vigente;

aprire conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia e utilizzare

quelli eventualmente aperti presso paesi esteri;

emettere assegni bancari o postali che non rechino l’indicazione del nome o della ragione

sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità;

effettuare bonifici, anche internazionali, senza indicazione esplicita della controparte;

disporre pagamenti o incassare denaro verso/da Paesi inseriti nelle principali black list

internazionali.

Nella gestione delle attività in oggetto, tutti i referenti coinvolti dovranno assicurare che siano

formalmente tracciabili e documentati i seguenti presidi di controllo ritenuti maggiormente

rilevanti al fine di mitigare potenziali rischi – reato ai sensi del D.Lgs. 231/2001:

attività di tesoreria

l’attività di tesoreria è di competenza esclusiva della Funzione Amministrazione, Finanza e

Controllo;

i flussi finanziari devono essere regolati esclusivamente attraverso bonifici e ricevute

bancarie; per soddisfare specifiche richieste o necessità si può ricorrere all’emissione di

assegni circolari o bancari non trasferibili;

tutte le operazioni di tesoreria devono essere gestite tramite primari Istituti di Credito

nazionali ed internazionali;

tutta la documentazione relativa alla gestione delle operazioni bancarie deve essere

tracciata e archiviata a cura di Amministrazione, Finanza e Controllo.

gestione delle casse contanti

l’Amministratore con poteri è responsabile di cassa i cui valori (contanti, valori bollati,

assegni) devono essere custoditi in cassaforte ovvero in altro luogo sicuro e sottochiave a

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cura del medesimo Responsabile al quale è concesso, in via esclusiva, l’accesso alla

cassaforte o al luogo suddetto;

tutte le movimentazioni di cassa devono essere documentate da appositi giustificativi ed

autorizzate dal Responsabile Amministrazione, Finanza e Controllo;

il Responsabile di cassa, verificata l’autorizzazione del Responsabile Amministrazione,

Finanza e Controllo e la presenza della documentazione giustificativa, esegue l’operazione

e registra tempestivamente la movimentazione nel registro di cassa; il Responsabile di

cassa è inoltre responsabile di comunicare tutte le movimentazioni della cassa ad

Amministrazione, Finanza e Controllo che ha il compito di effettuare le relative registrazioni

contabili;

al termine di ogni giornata lavorativa nella quale è avvenuta una movimentazione, il

Responsabile della cassa effettua la conta fisica della cassa stessa per la quadratura del

saldo in contanti con il saldo del registro e la riconciliazione di quest’ultimo rispetto ai

singoli giustificativi;

l’ultimo giorno lavorativo del trimestre, il Responsabile della cassa, dopo aver effettuato la

quadratura mensile, deve compilare un modulo con l’inventario di cassa (Modulo

Situazione Cassa), firmato dal Responsabile stesso;

il Responsabile della cassa deve, inoltre, inviare trimestralmente iI Modulo Situazione

Cassa, segnalando eventuali posizioni in sospeso, alla Società di revisione esterna che ha il

compito di effettuare una verifica di coerenza / corrispondenza rispetto alle registrazioni

contabili;

la riconciliazione tra registro di cassa e registrazione contabile viene verificata

trimestralmente da parte del Responsabile di Amministrazione, Finanza e Controllo;

tutta la documentazione inerente le movimentazioni di cassa e i relativi giustificativi deve

essere archiviata a cura di Amministrazione, Finanza e Controllo.

gestione dei flussi finanziari: pagamenti

Il Responsabile della Funzione Amministrazione, Finanza e Controllo, a cui fa capo l’attività

di tesoreria, verificata l’avvenuta esecuzione della prestazione, previa comunicazione da

parte della funzione aziendale interessata, nonché la congruità dell’importo, autorizza il

pagamento;

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il Responsabile della Funzione Contabilità, Clienti e Fornitori, verifica che le coordinate

bancarie presenti in anagrafica fornitori coincidano con quelle riportate sulle fatture e che i

dati per i bonifici riportino sempre chiara identificazione della controparte;

Amministrazione, Finanza e Controllo verifica puntualmente la destinazione dei pagamenti

al fine di assicurare la coerenza tra c/c bancario indicato dal beneficiario e riferimenti legali

della società. Effettuate tali verifiche Amministrazione, Finanza e Controllo predispone

l’elenco dei bonifici bancari e dei relativi mandati di pagamento che devono essere

debitamente autorizzati nel rispetto dei poteri e delle procure vigenti;

Amministrazione, Finanza e Controllo individua la banca con cui effettuare l’operazione e

stabilisce la valuta con la quale viene effettuato l’esborso, quindi inoltra gli ordini di

bonifico agli Istituti di Credito ed, infine, controlla tutte le operazioni transitate sui conti

correnti al fine di verificare l’inerenza e l’accuratezza dell'esecuzione delle operazioni e

l’aggiornamento tempestivo della registrazione delle operazioni di pagamento;

eccezionalmente, quando per modesti importi il pagamento finale non può essere fatto che

in contanti il Responsabile di Amministrazione, Finanza e Controllo predispone un mandato

a prelevare per l’esatto importo del pagamento, nel rispetto dei poteri e delle procure

vigenti. A tal fine Amministrazione, Finanza e Controllo verifica a posteriori l’effettività del

pagamento;

tutta la documentazione relativa ai pagamenti effettuati deve essere archiviata a cura di

Amministrazione, Finanza e Controllo.

gestione dei flussi finanziari: incassi

La Funzione aziendale di competenza comunica preventivamente i termini (previsioni)

dell’incasso ad Amministrazione, Finanza e Controllo, che ne verifica l’esecuzione;

Amministrazione, Finanza e Controllo contabilizza le operazioni finanziarie realizzate

effettuando riconciliazione tra contabilità e estratti conto bancari di cui rimane traccia;

nel caso di eventuali incassi in contanti Amministrazione, Finanza e Controllo è tenuta a:

verificare l’identità e il ruolo della persona fisica che consegna il contante

(attraverso copia di idoneo documento d’identità);

far firmare una dichiarazione che attesti la causale dell’incasso.

tutta la documentazione relativa agli incassi ricevuti deve essere archiviata a cura di

Amministrazione, Finanza e Controllo.

gestione dei rapporti con le banche

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esclusivamente l’Amministratore con poteri può aprire conti correnti bancari, effettuare

operazioni di copertura, stipulare contratti di apertura di credito bancario, di factoring, di

anticipazione bancaria, di sconto bancario, fidi bancari, finanziamenti bancari;

tutta la documentazione relativa ai rapporti con gli intermediari finanziari è archiviata a

cura di Amministrazione, Finanza e Controllo.

c) rapporti con i i revisori

4.4 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO DA ADOTTARE NEI RAPPORTI CON REVISORI

Gli esponenti aziendali che, in ragione del proprio incarico o della propria funzione siano coinvolti

nell’ambito delle attività in oggetto, devono:

mantenere, nei confronti dell’attività di controllo attribuita agli organi sociali, di controllo

ed alla Società di revisione, un comportamento corretto, trasparente e collaborativo tale

da permettere e agli stessi l’espletamento della loro attività istituzionale;

fornire ai revisori libero e tempestivo accesso ai dati ed alle informazioni richieste;

fornire ai revisori informazioni accurate, complete, fedeli e veritiere;

assicurare il regolare funzionamento della Società e degli organi sociali, garantendo ed

agevolando ogni forma di controllo interno sulla gestione sociale.

È fatto divieto di:

porre in essere comportamenti che impediscano materialmente o ostacolino, mediante

l’occultamento di documenti o l’uso di altri mezzi fraudolenti, lo svolgimento dell’attività di

controllo e di revisione da parte della Società di Revisione incaricata.

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5. GESTIONE SICUREZZA, QUALITA’ ED AMBIENTE

Le attività che la Società considera rilevanti nel processo di Gestione Sicurezza, Qualità ed

Ambiente sono:

a) gestione degli adempimenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro;

b) gestione degli adempimenti in materia ambientale;

c) gestione dei rapporti con gli enti certificatori.

I reati che possono potenzialmente impattare nello svolgimento delle anzidette attività sono: a) i

reati di omicidio colposo e lesioni gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla

tutela della salute e sicurezza sul lavoro richiamati dall’art. 25-septies del D.Lgs. 231/2001; b) reati

in materia ambientale richiamati dall’art. 25-undecies del D.Lgs. 231/2001; c) reato di corruzione

tra privati richiamato dall’art. 25 – ter del D.Lgs. 231/2001 già analizzato nel paragrafo 4.1.1. della

presente Parte Speciale.

5.1 AMBITO DI APPLICAZIONE

I successivi principi di comportamento e presidi di controllo si applicano a tutti glie esponenti

aziendali e, in particolare, ma non limitatamente a:

Amministratore con poteri;

Dirigenti Delegati e subdelegati;

Responsabili del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP);

Addetti del Servizio di Prevenzione e Protezione; (ASPP);

Medico competente nominato ed incaricato con accettazione formale e contratto;

Preposti alla Sicurezza e Salute del Lavoro;

Addetti delle squadre di emergenza (primo soccorso, antincendio) nominati ed addestrati

periodicamente;

Responsabile Sicurezza, Qualità ed Ambiente;

Altri Responsabili di Direzione e Funzione competenti;

Tutti lavoratori (i dipendenti ed i collaboratori di Puglia Life) che prestano la propria attività

lavorativa presso la sede della Società o presso le sedi/unità operative di clienti;

I lavoratori (dipendenti e collaboratori) di società terze le cui attività presentano rischi per

la sicurezza e salute interferenti presso la sede della Società o presso le sedi/unità

operative di clienti.

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a) gestione degli adempimenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro

5.2 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE IN

MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO

È fatto divieto di porre in essere, collaborare o dare causa alla realizzazione di comportamenti tali

che, presi individualmente o collettivamente, integrino le fattispecie di reato di cui all’art. 25 –

septies D.Lgs. 231/01.

Nell’ambito dei suddetti comportamenti è fatto divieto, in particolare, di:

rappresentare situazioni non veritiere o comunicare alle Autorità competenti dati falsi,

lacunosi o, comunque, non rispondenti alla realtà, sullo stato delle misure

antinfortunistiche ed a tutela dell’igiene e della salute sul posto di lavoro assunte dalla

Società;

omettere dati ed informazioni imposti dalla legge sulle misure antinfortunistiche ed a

tutela dell’igiene e della salute sul posto di lavoro assunte dalla Società.

Più in particolare la Società, costantemente impegnata nella tutela della salute, della sicurezza e

dell’igiene sul luogo di lavoro, si impegna al:

rispetto della legislazione e degli accordi applicabili in materia di sicurezza ed igiene sui

luoghi di lavoro;

a coinvolgere nella gestione attiva della sicurezza, l’intera organizzazione aziendale, dal

datore di lavoro ai singoli lavoratori, tenendo conto delle specifiche attribuzioni e

competenze;

a fornire le risorse umane e strumentali necessarie;

a far sì che i lavoratori siano sensibilizzati e formati per svolgere i loro compiti e per

assumere le loro responsabilità in materia, favorendo il coinvolgimento e la consultazione

anche attraverso i loro rappresentanti;

a riesaminare periodicamente l’organizzazione interna.

Al riguardo si ricorda che il datore di lavoro è tenuto – in conformità al generale obbligo posto

dall’art. 2087 c.c. nonché al T.U. ex D.Lgs. 81/08 – ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure

che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare

l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, con specifico riguardo a quelle

finalizzate a limitare eventi lesivi che – in base al generale criterio di prevedibilità – si ha ragione di

ritenere possano verificarsi.

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Pertanto sull’imprenditore grava l’obbligo di adottare tutte le cautele antinfortunistiche prescritte

dalla migliore tecnologia a disposizione al momento, indipendentemente dai costi.

Nel caso di impossibilità di garantire la sicurezza e l’igiene, il datore di lavoro è tenuto ad

interrompere l’esercizio dell’attività o l’uso delle attrezzature che determinino la situazione di

pericolo. Sull’imprenditore grava, inoltre, un puntuale dovere di informazione dei lavoratori in

merito alle situazioni di pericolo esistenti nei luoghi di lavoro e le cautele necessarie a prevenirli.

In tale contesto la società si impegna, altresì, a prevenire e reprimere comportamenti e pratiche

che possano avere come effetto la mortificazione del dipendente nelle sue capacità e aspettative

professionali, ovvero che ne determinino l’emarginazione nell’ambiente di lavoro, il discredito o la

lesione della sua immagine.

Ai fini dell’attuazione delle regole e dei divieti elencati precedentemente, è fatto obbligo di

rispettare le procedure di seguito descritte, oltre alle Regole ed ai Principi Generali già contenute

nella Parte Generale del Modello.

Tali norme devono essere rispettate nell’esplicazione dell’attività di Puglia Life s.r.l. sia in territorio

italiano che all’estero.

In ogni caso tali procedure specifiche costituiscono parte integrante e insieme strumento di sintesi

del DVR (documento di valutazione dei rischi) adottato da Puglia Life s.r.l. ex D.Lgs. n. 81/2008 il

cui contenuto deve intendersi in detta sede integralmente richiamato, costituendo il suddetto

documento parte integrante e sostanziale del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo ex

D.Lgs. 231/01.

Sul punto devesi, infatti, registrare l’orientamento della giurisprudenza di merito, tesa ad

evidenziare una diversità dei due modelli, uno redatto ai sensi degli artt. 26 e 28 del D.Lgs.81/08,

l’altro (il modello di organizzazione, gestione e controllo del D.Lgs. 231/01), contemplato dall’art.

30 del D.Lsg. 81/08.

Le due normative perseguono finalità distinte: una, quella organizzativa, orientata a alla

mappatura ed alla gestione del rischio specifico nella prevenzione degli infortuni, l’altra, quella di

controllo sul sistema operativo, tesa a garantire la continua verifica ed effettività. Destinazione

diversa, altresì, sul piano funzionale e giuridico4.

Il DVR redatto secondo la normativa in materia di prevenzione vigente, contempla i seguenti

fattori di rischio:

rischio connesso alle vie di fuga, evacuazione locali;

4 Cfr. Tribunale di Trani – sez. distaccata di Molfetta sentenza dell’11.1.201070

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rischio di incendio;

rischio connesso all’uso dell’energia elettrica, elettrocuzione;

rischio derivante da campi elettromagnetici;

rischio di lesioni connesso all’uso di attrezzi manuali;

rischio di taglio, schiacciamento, lesioni;

rischio di caduta, scivolamento, inciampo ed urto;

rischio connesso alla movimentazione manuale dei carichi;

rischio connesso all’esposizione a fattori microclimatici;

rischio connesso all’uso di apparecchiature munite di VDT;

rischio connesso stress – lavoro;

rischio derivante da ROA “radiazioni ottiche artificiali”.

In particolare con riferimento alle attività sensibili sopra elencate, sono individuati i seguenti

principi organizzativi e di controllo.

L’Amministratore con poteri provvede a:

effettuare la valutazione di tutti i rischi, con conseguente elaborazione del Documento di

Valutazione dei Rischi (DVR) redatto in conformità delle normative vigenti;

designare il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dai rischi;

l’Amministratore con poteri in ragione dei requisiti di professionalità ed esperienza in relazione

alle funzioni attribuite, esercita i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla

specifica natura delle mansioni delegate, oltre ad un autonomo potere di spesa. In particolare

l’Amministratore con poteri:

nomina il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria;

designa preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione

incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed

immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza;

affida i compiti ai lavoratori tenendo conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in

rapporto alla loro salute e alla sicurezza;

fornisce ai lavoratori i necessari ed idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il

responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove

presente;

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prende le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate

istruzioni e specifico addestramento accedano alle zone che li espongono ad un rischio

grave e specifico;

richiede l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle

disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di

protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione;

invia i lavoratori a visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza

sanitaria e richiede al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico

nel presente decreto;

adotta le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e fornisce

istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile,

abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;

informa il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave ed

immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di

protezione;

adempie agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli artt. 36 e 37

del D.Lgs. 81/08,

si astiene, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e

sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro

in cui persista un pericolo grave ed immediato;

consente ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante dei lavoratori per la

sicurezza, l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute;

prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano

causare rischi per la salute della popolazione o deteriore l’ambiente esterno, verificando

periodicamente la perdurante assenza di rischio;

tramite la struttura organizzazione/legale comunica in via telematica all’INAIL nonché, per

suo tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro, entro

48 ore dalla ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le

informazioni relativi agli infortuni sul lavoro che comportino l’assenza dal lavoro di almeno

un giorno, escluso quello dell’evento e, ai fini assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul

lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni; l’obbligo di

comunicazione degli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore ai

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tre giorni, si considera comunque assolto per mezzo della denuncia di cui all’art. 53 del

decreto del Presidente della Repubblica 30.06.1965 n. 1124;

consulta il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nelle ipotesi di cui all’art. 50 del

D.Lgs. 81/08;

adotta le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e della evacuazione dei luoghi

di lavoro, nonché per il caso di pericolo grave ed immediato, secondo le disposizioni di cui

all’art. 43. Tali misure devono essere adeguate alla natura dell’attività, alle dimensioni

dell’azienda o dell’unità produttiva e al numero delle persone presenti;

aggiorna le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che

hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro o in relazione al grado di

evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione;

comunica per via telematica all’INAIL nonché, per suo tramite, al sistema informativo

nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro, in caso di nuova elezione o designazione,

i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; in fase di prima applicazione

l’obbligo di cui alla presente lettera, riguarda i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori

già eletti o designati;

vigila affinché i lavoratori per i quali vige l’obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti

alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità;

in riferimento alle attività indicate dal Testo Unico per la Sicurezza, i Preposti5, secondo le loro

attribuzioni e competenze devono:

sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori degli obblighi di

legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso

dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro

disposizione e, in caso di persistenza dell’inosservanza, informare i loro superiori diretti;

verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano

alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;

richiedere l'osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di

emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed

inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;

5 Ossia le persone designate dal datore di lavoro che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferito loro, sovraintendono alla attività lavorativa e garantiscono l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa.

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informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e

immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di

protezione;

astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere

la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato;

segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e

delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra

condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla

base della formazione ricevuta;

frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall'articolo 37 del Testo

Unico per la Sicurezza.

Il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione incaricato dalla società (di seguito per

brevità anche solo RSPP), è stato formato nel rispetto delle modalità prescritte dalla normativa

vigente in materia (cioè mediante la frequenza di specifici corsi in materia di prevenzione e

protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e psicosociale). I compiti cui è preposto

consistono, a titolo esemplificativo, nell’individuare le misure preventive, nel proporre i

programmi di informazione e formazione dei lavoratori. In particolare l’ RSPP e il Servizio di

prevenzione e protezione (di seguito, anche, SPP) che è la struttura preposta alla prevenzione e

protezione dai rischi, provvedono:

all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi ed alla individuazione delle

misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti lavorativi, nel rispetto delle norme

vigenti ed in base alla conoscenza dell’organizzazione interna;

ad elaborare, in base alle specifiche competenze, le misure preventive e protettive

richiamate nel DVR, nonché i sistemi di controllo di tali misure;

ad elaborare i sistemi di controllo e le procedure di sicurezza per le attività aziendali;

a proporre al datore di lavoro i programmi di informazione e coinvolgimento dei lavoratori,

al fine di fornire adeguata informativa: sui rischi generali per la salute e sicurezza connessi

alle attività aziendali; sui rischi specifici a cui i lavoratori sono esposti in relazione alle

attività esercitate; sulle normative e disposizioni aziendali in materia di sicurezza e salute

sul lavoro; sulle procedure di primo soccorso, lotta antincendio, evacuazione dei luoghi di

lavoro, divulgazione dei nominativi degli addetti della sicurezza, del RSPP e del medico

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competente; sui rischi connessi all’uso delle sostanze e preparati pericolosi; sulle misure di

protezione e prevenzione adottate;

a suggerire al datore di lavoro le necessarie attività di formazione ed addestramento dei

lavoratori, al fine di assicurare l’erogazione di una adeguata formazione in materia di

sicurezza e salute sul lavoro con riguardo ai concetti di rischio, prevenzione, protezione,

organizzazione della prevenzione, diritti e compiti dei soggetti operanti nella struttura

prevenzionistica, organi di controllo e vigilanza; ai rischi collegati alle mansioni, nonché ai

danni ed alle misure di prevenzione e protezione tipici del settore in cui opera la società;

a partecipare alle consultazioni in materia di sicurezza e salute sul lavoro e alla riunione

periodica di cui all’art. 35 del D.Lgs. 81/2008;

a monitorare costantemente l’evoluzione del quadro normativo in materia di sicurezza e salute sul

lavoro;

a fornire ai lavoratori le informazioni relative:

ai rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alla attività della impresa in

generale;

alle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione

dei luoghi di lavoro;

ai nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di primo soccorso e di

prevenzione incendi;

ai nominativi del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e

protezione, e del medico competente;

ai rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di

sicurezza e le disposizioni aziendali in materia;

ai pericoli connessi all’uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle

schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona

tecnica;

alle misure e le attività di protezione e prevenzione adottate.

il Medico competente, ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. 81/08, specialista in medicina del lavoro,

designato dalla società, svolge le seguenti attività:

collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla

valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della

sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della

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salute e della integrità psico - fisica dei lavoratori, all’attività di formazione e informazione

nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza, e alla organizzazione del servizio di

primo soccorso considerando le peculiari modalità organizzative del lavoro; collabora,

inoltre, all’attuazione e valorizzazione di programmi volontari di promozione della salute,

secondo i principi della responsabilità sociale;

programma ed effettua la sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari definiti in

funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati;

istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di

rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria: tale cartella è conservata

con salvaguardia del segreto professionale e, salvo il tempo strettamente necessario per

l’esecuzione della sorveglianza sanitaria e la trascrizione dei relativi risultati, presso il luogo

di custodia concordato al momento della nomina del medico competente; consegna al

datore di lavoro, alla cessazione dell’incarico, la documentazione sanitaria in suo possesso,

nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo del 30 giugno 2003, n. 196, e con

salvaguardia del segreto professionale;

consegna al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria

e di rischio, e gli fornisce le informazioni necessarie relative alla conservazione della

medesima: l’originale della cartella sanitaria e di rischio va conservata, nel rispetto di

quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, da parte del datore di

lavoro, per almeno dieci anni, salvo il diverso termine previsto da altre disposizioni del

presente decreto;

fornisce informazioni ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono

sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di

sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione della attività che comporta

l’esposizione a tali agenti: fornisce altresì, a richiesta, informazioni analoghe ai

rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

informa ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria e, a richiesta

dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria;

comunica per iscritto, in occasione delle riunioni, al datore di lavoro, al responsabile del

servizio di prevenzione protezione dai rischi, ai rappresentanti dei lavoratori per la

sicurezza, i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata e fornisce

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indicazioni sul significato di detti risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela

della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori;

visita gli ambienti di lavoro almeno una volta all’anno o a cadenza diversa che stabilisce in

base alla valutazione dei rischi; la indicazione di una periodicità diversa dall’annuale deve

essere comunicata al datore di lavoro ai fini della sua annotazione nel documento di

valutazione dei rischi;

partecipa alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori i cui risultati gli

sono forniti con tempestività ai fini della valutazione del rischio e della sorveglianza

sanitaria;

comunica, mediante autocertificazione, il possesso dei titoli e requisiti previsti ex lege al

Ministero della salute.

Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza designato ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. 81/2008, ha

precise prerogative e diritti di partecipazione/consultazione nell’ambito dei più rilevanti processi

decisionali in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro e svolge funzioni di controllo circa le

iniziative assunte in questo ambito dall’Azienda. A tal fine, il Rappresentante dei Lavoratori per la

Sicurezza:

è consultato, preventivamente, in ordine alla valutazione dei rischi, all’individuazione,

programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione in azienda;

è consultato in merito alla designazione del responsabile e degli addetti al servizio

prevenzione e protezione, all’attività di prevenzione incendi, al pronto soccorso,

all’evacuazione dei lavoratori;

partecipa alle riunioni indette per discutere le problematiche inerenti la prevenzione e la

protezione dai rischi;

Il sistema di controllo dei rischi per la sicurezza e salute sul lavoro in Puglia Life è integrato con la

gestione dei processi e delle attività aziendali. In particolare, la Società ha implementato specifici

protocolli procedurali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, predisposti secondo la normativa

prevenzionistica vigente. Ai fini della predisposizione di tali protocolli, la Società ha rivolto

attenzione all’esigenza di assicurare il rispetto dei principi di seguito esposti:

identificazione e tracciabilità, mediante ordini di servizio e deleghe rilasciate dai soggetti

competenti, delle responsabilità in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con particolare

riferimento al datore di lavoro, al RSPP, agli addetti del pronto intervento, delle

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emergenze, del primo soccorso ed al RLS. Tali responsabilità sono tempestivamente

divulgate ai terzi interessati nei casi previsti (ad esempio, ASL, Ispettorato del Lavoro, ecc);

nomina espressa del medico competente, il quale deve accettare formalmente l'incarico;

strutturazione ed adeguamento dei flussi informativi verso il medico competente in

relazione ai processi ed ai rischi connessi alle attività aziendali;

identificazione e valutazione dei rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori da parte

del datore di lavoro (anche mediante l’ SPP), tenendo in adeguata considerazione la

struttura aziendale, la natura dell'attività, l'ubicazione dei locali e delle aree di lavoro,

l’organizzazione del personale, le specifiche sostanze, i macchinari, le attrezzature e gli

impianti impiegati nelle attività e nei relativi cicli di protezione. La valutazione dei rischi

viene documentata attraverso l’elaborazione, ai sensi della normativa prevenzionistica

vigente, di un documento di valutazione dei rischi;

definizione delle modalità di interazione del SPP con i rappresentanti dei lavoratori per la

sicurezza e documentazione delle stesse; adozione di un adeguato sistema ai fini della

prevenzione degli incendi e dell'evacuazione dei lavoratori, che prevede:

- lo svolgimento e la documentazione di periodiche prove di evacuazione;

- la predisposizione ed aggiornamento di apposito documento per la

regolamentazione dei comportamenti in caso di incendio;

- effettuazione di indagini analitiche ambientali a carattere chimico, fisico e biologico

al fine di:

1) adempiere alle previsioni normative riguardanti la protezione dei Lavoratori

contro i rischi derivanti dall'esposizione ad agenti chimici, fisici, biologici

durante il lavoro;

2) accertare la situazione ambientale e l'esposizione professionale agli inquinanti

di tipo chimico correlati alle lavorazioni esistenti; esaminare la situazione degli

impianti sotto l'aspetto delle misure di prevenzione adottate;

predisposizione di un piano sanitario aziendale volto ad assicurare l’implementazione delle

misure necessarie a garantire la tutela della salute dei lavoratori;

definizione, implementazione di un programma di formazione, informazione e

coinvolgimento in materia di salute e sicurezza sul lavoro;

implementazione di un sistema di flussi informativi che consenta la circolazione delle

informazioni all’interno dell’azienda per favorire il coinvolgimento e la consapevolezza dei

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destinatari, ed assicurare la tempestiva evidenza di eventuali carenze o violazioni del

Modello;

con riguardo alla gestione del primo soccorso e degli infortuni, chiara identificazione dei

compiti e dei doveri di tutti i dipendenti qualora si verifichino degli incidenti e/o infortuni o

siano riscontrate carenze strutturali e organizzative che possano avere un impatto sulla

sicurezza

previsione di un sistema di registrazione cronologica degli eventi infortunistici e/o incidenti

accaduti;

formalizzazione e pubblicizzazione del divieto di fumare in tutti gli ambienti di lavoro, con

esclusione delle aree appositamente dedicate;

formalizzazione e pubblicizzazione del divieto per i lavoratori, che non abbiano ricevuto al

riguardo adeguate istruzioni o autorizzazioni, di accedere a zone che espongano a rischi

gravi e specifici;

formalizzazione e pubblicizzazione del divieto di richiedere ai lavoratori, salvo eccezioni

debitamente motivate, di riprendere la loro attività in situazioni di lavoro in cui persistono

pericoli gravi e immediati;

nei trasferimenti interni ed esterni, sia con mezzi propri che aziendali, osservanza di tutte le

precauzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro (ad esempio, verifica della regolare

manutenzione degli automezzi, rispetto della segnaletica stradale, verifica della regolare

copertura assicurativa, utilizzo di dispositivi di protezione individuali o collettivi, ecc.);

garanzia della manutenzione ordinaria e straordinaria del dispositivi di sicurezza aziendale.

Gli ambienti, gli impianti, i macchinari e le attrezzature generiche e specifiche devono

essere oggetto di manutenzioni ordinarie programmate, con particolare riguardo ai

dispositivi di sicurezza, in conformità alle indicazioni dei fabbricanti e deve essere data

evidenza documentale degli interventi effettuati;

nell'attività di selezione dei fornitori (in particolare degli appaltatori e dei fornitori d’opera)

richiesta e valutazione dei costi per la sicurezza sul lavoro: tale voce di spesa deve essere

indicata specificamente nei contratti e non deve essere oggetto di ribasso;

l’assegnazione, la verifica e la gestione degli appalti, anche senza cantiere, deve essere

effettuata e monitorata sulla base e nel rispetto di specifiche regole interne formalizzate.

Nelle attività di assegnazione di un appalto, le procedure interne devono prevedere che,

ove ritenuto opportuno dall’ SPP in funzione dei rischi derivanti dall’appalto, prima

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dell'esecuzione dell'ordine sia verificato in via preventiva che la documentazione e le

eventuali attività previste per la definizione dell'allegato sulla sicurezza del contratto,

presentato nel capitolato di sicurezza, siano conformi alle previsioni normative ed ai

regolamenti vigenti e che siano stati ottemperati tutti gli adempimenti previsti dalla

normativa, dai regolamenti vigenti e dalle procedure aziendali in materia di sicurezza;

Il complesso dei protocolli procedurali vigenti è posto a presidio di tutte le attività aziendali, con

particolare riguardo a:

organizzazione del lavoro e delle postazioni di lavoro;

manutenzione normale e straordinaria;

assunzione e qualificazione del personale;

acquisizione di beni e servizi impiegati dall’azienda e comunicazione delle

opportune informazioni a fornitori ed appaltatori;

qualificazione e scelta dei fornitori e degli appaltatori;

gestione delle emergenze;

procedure per far fronte ad eventuali difformità rispetto agli obiettivi fissati ed alle

regole del sistema di controllo;

definizione ruoli, compiti e responsabilità dei RLS, tenendo altresì conto delle

modalità di interazione con il SPP ed i lavoratori;

gestione della documentazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con

particolare riguardo alla sorveglianza sanitaria;

gestione del pronto soccorso;

gestione degli incidenti/infortuni;

gestione della formazione ed informazione in materia di sicurezza e salute sul

lavoro;

gestione della comunicazione in materia di sicurezza e salute sul lavoro;

gestione degli aspetti relativi alla sicurezza e salute sul lavoro nei casi di ricorso a

contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione;

I documenti più rilevanti in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro adottati dalla società

sono:

- Documento di valutazione dei rischi (DVR art. 28, comma 2, D. Lgs. 81/08). Esso

comprende:

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una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il

lavoro;

l’individuazione delle misure prevenzionali e di protezione;

la programmazione delle misure ritenute opportune al fine di assicurare il

miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza.

- Piano di intervento e di evacuazione in emergenza (art. 43, comma 1, lett. d, D. Lgs.

n.81/08).

Esso comprende:

le disposizioni relative al concorso di personale e mezzi in occasione di sinistri (ad

es. incendio, atto terroristico, scoppio, fuoriuscita di gas, etc.) ed eventi naturali (ad

es. alluvione, terremoto etc.). Esso reca le procedure che devono essere

tassativamente seguite e, quindi, formalizza i comportamenti da porre in essere

(dalla segnalazione dell’emergenza alla soluzione della medesima) a seconda della

differente tipologia di evento occorso.

Al fine di garantire la massima sicurezza sul posto di lavoro, è strettamente necessario procedere

a:

riunioni periodiche di prevenzione e protezione dai rischi . Tali riunioni devono

essere convocate almeno una volta l’anno dall’Amministratore con poteri – Datore

di Lavoro – direttamente oppure dal Responsabile del servizio di prevenzione e

protezione incaricato dalla società. A tali riunioni devono necessariamente

partecipare, oltre al Responsabile del servizio di prevenzione e protezione

incaricato dalla Società, il Medico delegato ed i Rappresentanti dei lavori per la

sicurezza designati. Nel corso della riunione, all’esame dei partecipanti viene

sottoposto il DVR e si procede ad una condivisione delle problematiche e ad una

pianificazione degli interventi preventivi e protettivi;

prove di evacuazione dell’edificio. Devono essere effettuate periodicamente al fine

di testare le procedure adottate nel piano d’emergenza per l’evacuazione di tutte le

persone presenti negli uffici della società (lavoratori dipendenti, consulenti, stagisti,

ospiti, lavoratori di imprese esterne, etc.);

analisi ambientali periodiche. Ove ritenute opportune devono essere effettuate

analisi ambientali volte a valutare le condizioni microclimatiche ed ambientali;

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sopralluogo negli Uffici (art. 25, comma 1, lettera l, D. Lgs. n. 81/08). Almeno una

volta l’anno il RSSP visita gli ambienti di lavoro. Almeno una volta all’anno, o con

cadenza diversa che stabilisce in base alla valutazione dei rischi, il medico

competente visita gli ambienti di lavoro;

aggiornamento del DVR e del Piano per la gestione delle emergenze. Il DVR ed il

Piano d’emergenza vengono modificati ogni volta che si verificano cambiamenti di

carattere strutturale/organizzativo che possono determinare significative variazioni

delle condizioni di esposizione al rischio e, quindi, avere riflessi sulla sicurezza e

salute dei lavoratori;

individuazione di incaricato per la vigilanza sul rispetto della normativa antifumo.

Tra i compiti del preposto si segnalano: 1) la vigilanza sull’applicazione del divieto di

fumare in azienda; 2) l’accertamento delle violazioni, in relazione alle quali sono

previste dalle legge sanzioni amministrative (pecuniarie) a carico dei trasgressori, e,

nei casi più gravi, provvedimenti disciplinari ai sensi del CCNL applicabile; 3) la

redazione dei verbali di contestazione, con relativa notifica degli stessi alle autorità

competenti.

Ogni trasmissione di dati, informazioni e notizie in ordine alle attività ed ai controlli che hanno

correlazione con le disposizioni del D.Lgs. 231/01 nel processo di gestione delle attività finalizzate

alla tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, deve essere effettuata in via informatica in

modo che restino tracciati i vari passaggi e l’identificazione dei soggetti che inseriscono dati nel

sistema.

I verbali delle riunioni periodiche di prevenzione e protezione dai rischi, delle prove di evacuazione

dell’edificio, delle analisi ambientali periodiche espletate e dei sopralluoghi di edifici così redatti

devono essere archiviati e tenuti a disposizione dell’OdV.

b) gestione degli adempimenti in materia ambientale

5.3. PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE IN

MATERIA AMBIENTALE

L’Amministratore con poteri deve:

perseguire l’obbiettivo “nessun danno alle persone ed all’ambiente”;

richiedere ed acquisire in via preventiva tutte le autorizzazioni ambientali prescritte ex lege

per lo svolgimento dell’attività di impresa;

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diffondere ad ogni livello aziendale i principi della buona pratica ambientale;

Il Responsabile della Qualità Sicurezza ed Ambiente deve:

assicurare su base continuativa il corretto funzionamento dei presidi tecnici, adottando le

azioni necessarie per assicurare il rispetto della normativa ambientale;

valutare su base almeno annuale che i presidi tecnici risultano essere adeguati, stante le

migliori tecniche disponibili, per poter permettere di rispettare le leggi, i regolamenti e le

autorizzazioni ambientali esistenti;

valutare su base almeno annuale il corretto funzionamento dei presidi tecnici;

comunicare, senza indugio all’Amministratore con poteri e all’OdV situazioni di anomalia o

malfunzionamenti che possono creare una condizione di rischio ai fini del D.Lgs. 231/2001;

fornire a chiunque ne faccia richiesta (dipendente, collaboratore ecc..) direttive sulle

modalità di condotta operativa, anche qualora si sottopongano ipotesi di dubbio o casi di

particolare criticità;

organizzare e gestire sessioni formative di addestramento del personale sui rischi per

l’ambiente;

Tutti i lavoratori (dipendenti e collaboratori) della Società devono:

segnalare ogni anomalia, situazione di rischio per l’ambiente al Responsabile Qualità,

Sicurezza ed Ambiente;

partecipare alle sessioni formative e di addestramento organizzate dalla Società sui rischi

per l’ambiente;

osservare le indicazioni aziendali atte a garantire la prevenzione dell’inquinamento e la

pronta risposta alle esigenze ambientali.

gestione dei rifiuti

Per la gestione dei rifiuti e' previsto l'obbligo di:

attenersi delle disposizioni previste dalla leggi, dai regolamenti e dalle Autorizzazioni

integrate ambientali per quanto attiene la classificazione e lo smaltimento di rifiuti

pericolosi e non pericolosi;

identificare le aree aziendali da utilizzare come deposito temporaneo dei rifiuti prodotti nel

rispetto della normativa;

verificare che la movimentazione dei rifiuti avvenga in condizione di massima prevenzione

ambientale;

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supervisionare il volume ed il tempo di giacenza dei rifiuti collocati nei depositi

temporanei;

supervisionare la corretta collocazione dei rifiuti stoccati al fine di evitarne la miscelazione;

assicurarsi che nel caso di ricorso ad aziende esterne per lo smaltimento dei rifiuti le stesse

dispongano della autorizzazioni necessarie. In caso dubbio non procedere alla operazione

di consegna dei rifiuti;

compilare accuratamente la documentazione richiesta dalla normativa per procedere allo

smaltimento dei rifiuti;

procedere alla bonifica di siti inquinati assicurando il rispetto delle disposizioni di legge e

adempiendo agli obblighi di comunicazione imposti dalla normativa;

adottare i mezzi tecnici necessari (es. materiale assorbente) per far fronte allo sversamento

accidentale dei prodotti utilizzati nei processi produttivi;

verificare che i contratti sottoscritti con i fornitori dei servizi di smaltimento dei rifiuti

contengano idonee clausole 231 atte a manlevare la Società qualora il fornitore del servizio

non si adegui ai principi di comportamento della Società;

verificare la correttezza dei dati registrati nella dichiarazione annuale dei rifiuti (MUD)

prima di sottoscriverlo e di inviarlo agli enti preposti.

Gestione degli scarichi idrici industriali – gestione e prevenzione degli inquinamenti del

suolo e sottosuolo, falda superficiale e sotterranea

scarichi di acque reflue industriali e domestiche in pubblica fognatura e per gli scarichi di acque

reflue industriali e domestiche in acque superficiali:

è fatto obbligo di:

dotarsi di impianti adeguati per ridurre gli impatti ambientali, scegliendo le soluzioni

migliori alla luce delle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico. In ogni caso deve

essere assicurato il rispetto di quanto previsto dall'AIA. A tal fine, la società s'impegna, nei

limiti dei mezzi finanziari complessivamente disponibili, ad individuare annualmente una

dotazione di risorse da destinare alla realizzazione degli investimenti;

operare affinché gli impianti siano tenuti in ottime condizioni di efficienza, assicurando la

necessaria manutenzione, che potrà essere svolta anche attraverso il ricorso ad aziende

esterne specializzate. La società s'impegna, nei limiti dei mezzi finanziari complessivamente

disponibili, ad individuare annualmente una dotazione di risorse da destinare alla

realizzazione degli interventi di manutenzione;

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realizzare le opere necessarie (es. pozzetti per scarichi refllui domestici non in fognatura)

per consentire i prelievi di campioni;

attenersi al rispetto dei limiti e delle prescrizioni previste dalla leggi, dai regolamenti e dalle

Autorizzazioni integrate ambientali;

interrompere lo scarico idrico qualora vi ravvisino le necessità dovute a titolo di esempio a

lavori, guasti e ripristini;documentare i controlli svolti negli appositi registrati ed archiviare

la documentazione dei controlli svolti in luogo sicuro ed accessibile soltanto ai soggetti

autorizzati;

effettuare le comunicazioni prescritte dall'Autorizzazione integrata ambientale all'autorità

competente assicurando la veridicità dei dati trasmessi;adottare le soluzioni tecniche

necessarie per assicurare che il trattamento delle acque di prima pioggia e di dilavamento

avvenga nel rispetto della normativa regionale;

assicurare che serbatoi/ contenitori/vasche utilizzate per lo stoccaggio di sostanze liquide

pericolose /rifiuti pericolosi possiedano adeguati requisiti di resistenza in relazione alle

proprietà chimico/fisiche delle sostanze ivi contenute e che siano funzionanti e ben

mantenuti i presidi di controllo;

garantire il rispetto delle tempistiche e modalità nell’esecuzione delle verifiche dei serbatoi

interrati e delle vasche interrate ove presenti;

assicurare che la movimentazione delle sostane inquinanti venga fatta nel rispettivo della

normativa vigente al fine di prevenire eventuali sversamenti o eventi accidentali che possa

arrecare inquinamento del suolo, sottosuolo o acque sotterranee;

assicurare che in caso di eventi inquinanti, venga attuato quanto previsto dalle procedure

di emergenza, ivi incluse modalità e tempistica di comunicazione agli Enti preposti.

c) gestione dei rapporti con gli enti certificatori

Il reato che la Società ritiene potenzialmente applicabile nell’ambito della conduzione delle attività

in oggetto è il reato di corruzione tra privati richiamato dall’art. 25-ter del d.lgs. 231/2001 e già

oggetto di analisi al punto 4.1.1. della presente parte speciale.

5.4 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NEI

RAPPORTI CON GLI ENTI CERTIFICATORI

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Gli esponenti aziendali che, in ragione del proprio incarico o della propria funzione, siano coinvolti

nell’ambito delle attività in oggetto, devono:

- intrattenere rapporti corretti, trasparenti, imparziali e collaborativi con i rappresentanti degli enti

certificatori;

- segnalare, senza ritardo, all’OdV eventuali tentativi di richieste indebite da parte di

rappresentanti degli enti certificatori, rivolti, ad esempio, ad ottenere favori,

elargizioni illecite di denaro od altre utilità, anche nei confronti dei terzi, nonché qualunque

criticità sorga nell’ambito del rapporto con essi;

prestare completa e immediata collaborazione ai rappresentanti degli enti certificatori durante le

ispezioni, fornendo puntualmente ed esaustivamente la documentazione e le informazioni

richieste.

È, inoltre, fatto divieto di:

-corrispondere od offrire, direttamente o indirettamente, anche sotto forme diverse di aiuti o

contribuzioni (ad esempio sponsorizzazioni e liberalità), pagamenti o benefici materiali ai

rappresentanti degli enti certificatori o a persone a questi vicini, per influenzare il loro

comportamento ed assicurare vantaggi di qualunque tipo alla Società;

- cedere a raccomandazioni o pressioni provenienti dai rappresentanti degli enti certificatori;

- tenere condotte ingannevoli nei confronti dei rappresentanti degli enti certificatori tali da indurli

in errori di valutazione.

Nella gestione delle attività in oggetto:

Agli incontri con i rappresentanti degli enti certificatori devono partecipare

l’Amministratore con poteri o un suo delegato ed il Responsabile Qualità, Sicurezza ed

Ambiente;

gli esponenti aziendali coinvolti in occasione delle attività di verifica svolte dai

rappresentanti degli enti certificatori devono verbalizzare la visita e le relative verifiche da

essi effettuate e devono immediatamente riportare all’OdV eventuali comportamenti da

parte dei rappresentanti degli enti certificatori non aderenti alle indicazioni del Codice

Etico e del presente Modello;

tutta la documentazione prodotta, inviata e ricevuta a seguito dell’attività svolta dai

rappresentanti degli enti certificatori è archiviata a cura del Responsabile Qualità, Sicurezza

e Ambiente.

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6.ACQUISTO DI BENI E SERVIZI

Le attività che la Società considera rilevanti nel processo di acquisto di beni e servizi sono:

a) approvvigionamento di beni e servizi;

b) gestione delle consulenze ed incarichi professionali

I reati che possono potenzialmente verificarsi nello svolgimento delle anzidette attività sono: a) i

reati di ricettazione, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di danaro, beni o utilità di provenienza

illecita richiamati dall’art. 25 – octies del D.Lgs. 231/2001; b) i reati di criminalità organizzata

richiamati dall’art. 24-ter del D.Lgs. 231/2001; c) i reati verso la Pubblica Amministrazione

richiamati dagli artt. 24 e 25 del D.Lgs. 231/2001 già analizzati nei paragrafi 3.1, 3.1.1., 3.2., 3.2.1

della presente Parte Speciale; d) il reato di corruzione tra privati richiamato dall’art. 25 – ter del

D.Lgs. 231/2001 già analizzato nel paragrafo 4.1.1. della presente Parte Speciale.

6.1 AMBITO DI APPLICAZIONE

I successivi principi di comportamento e presidi di controllo si applicano a tutti gli esponenti

aziendali coinvolti nell’attività di approvvigionamento di beni e servizi nonché nella gestione delle

consulenze e degli incarichi professionali e, in particolare, ma non esaustivamente a:

Amministratore con poteri;

Responsabile Amministrazione, Finanza e Controllo;

Responsabile Contabilità, Clienti e Fornitori;

Responsabile Logistica;

Responsabile Magazzino;

a) approvvigionamento di beni e servizi

6.2. PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DELLE ATTIVITA’ DI APPROVIGIONAMENTO DI BENI E SERVIZI

I soggetti che, in ragione del proprio incarico o della propria funzione, siano coinvolti nell’ambito

delle attività in oggetto, devono:

utilizzare sempre la forma scritta per l’affidamento di forniture, lavori e servizi;

assicurare che la scelta dei fornitori avvenga a cura delle funzioni competenti e sia

effettuata sulla base di requisiti di qualità, professionalità, affidabilità ed economicità;

assicurare la tracciabilità delle fasi del processo di individuazione e selezione del fornitore;

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verificare preventivamente le informazioni disponibili sui fornitori al fine di instaurare

rapporti unicamente con soggetti finanziariamente solidi, di cui sia certa l’identità, che

godano di buona reputazione, che siano impegnati solo in attività lecite e la cui cultura

etica aziendale sia comparabile a quella della Società;

effettuare controlli specifici in presenza di offerte di fornitura di beni a prezzi

significativamente inferiori a quelli di mercato, volti ad appurare, ove possibile, l’effettiva

provenienza della merce;

verificare, prima del pagamento delle fatture, che i beni o le prestazioni siano stati

effettivamente ricevuti in rispondenza a quanto pattuito contrattualmente.

È, inoltre, fatto divieto di:

acquistare, ricevere ed occultare danaro, beni o altre utilità di cui si possa anche solo

supporre la provenienza illecita;

svolgere funzioni di intermediario nell’acquisto, ricezione od occultamento di danaro, beni

o altre utilità di cui si possa anche solo supporre la provenienza illecita;

sostituire e/o trasferire danaro, beni o altre utilità di cui si possa anche solo supporre la

provenienza illecita;

svolgere funzioni di intermediario nell’attività di sostituzione e/o trasferimento di danaro,

beni o altre utilità di cui si possa anche solo supporre la provenienza illecita;

utilizzare nello svolgimento dell’attività della società danaro, beni o altre utilità di cui si

possa anche solo supporre la provenienza illecita;

effettuare acquisti che non trovino riscontro in una specifica e motivabile esigenza della

Società;

assegnare incarichi di fornitura a persone o società in assenza dei necessari requisiti di

qualità e convenienza dell’operazione di acquisto;

approvare fatture passive a fronte di prestazioni inesistenti in tutto o in parte;

effettuare pagamenti in favore di fornitori, in assenza di adeguata giustificazione;

riconoscere compensi e rimborsi spese a fornitori che non trovino giustificazione in

relazione al tipo di incarico da svolgere ed ai prezzi di mercato.

E’ stabilito che:

l’Amministratore con poteri è responsabile della definizione della capienza di budget ai fini

dell’acquisto di beni e/o servizi – in linea con la politica di gestione aziendale definita dal

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C.d.A. – nonché della verifica dell’effettiva necessità della spesa e della definizione dei

requisiti da rispettare nella scelta del/i fornitore/i;

il Responsabile di Amministrazione, Finanza e Controllo verifica la congruità tra onere

sostenuto, prestazione ricevuta e giustificativo (fattura, parcella);

il Responsabile della funzione Contabilità, Clienti e Fornitori è tenuto alla costante verifica

delle proposte di acquisto, dei fornitori, dell’emissione degli ordini di acquisto, delle

conferme del ricevimento della merce, nonché della veridicità dei dati, informazioni e

documenti relativi sempre alle attività di acquisto di beni e/o servizi;

qualunque transazione finanziaria deve presupporre la conoscenza del beneficiario,

quantomeno diretto, della relativa somma;

nella gestione delle entrate o degli acquisti di beni aziendali o comunque di ogni

operazione di mercato che comporti un successivo riutilizzo del denaro di cui si possa

supporre la provenienza illecita nonché nell’ambito di operazioni mobiliari, immobiliari,

finanziarie o di altro genere che abbiano ad oggetto beni o danaro è fatto obbligo di tenere

conto dei cosiddetti indicatori di anomalia, indici sintomatici di fenomeni di riciclaggio ecc.,

i quali sono raggruppabili nelle seguenti macro categorie:

indicatori di anomalia relativi a comportamenti del cliente o più in generale

dell’interlocutore commerciale;

indicatori di anomalia relativi all’operazione effettuata;

indicatori di anomalia connessi con i mezzi e le modalità di pagamento;

relativamente a qualsiasi operazione di natura commerciale e finanziaria derivante sia da

rapporti continuativi che occasionali con soggetti terzi è fatto obbligo di procedere ad

un’adeguata attività di verifica volta ad accertare l’assenza del rischio di coinvolgimento

nella commissione di reati di cui all’art. 25-octies D.Lgs. 231/01, procedendo alla:

esatta identificazione dell’interlocutore commerciale : a tal fine devono essere

qualificate come anomale quelle fattispecie nelle quali il fornitore e/o cliente: 1) si

mostra riluttante e/o restio a fornire informazioni circa la propria identità, lo scopo e la

natura del rapporto, l’attività esercitata, la propria situazione economica e finanziaria;

2) fornisce informazioni false o significativamente difformi da quelle tratte da fonti

affidabili ed indipendenti (archivi camerali, albi, elenchi ecc..); 3) rinuncia ad avviare il

rapporto commerciale ovvero ad eseguire la prestazione; 4) rilascia deleghe e procure a

terzi in modo frequente e del tutto incoerente con l’attività svolta; 5) pone ripetuti

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quesiti in ordine alle modalità di applicazione della normativa antiriciclaggio; 6) cerca di

stabilire relazioni particolarmente o prematuramente confidenziali; 7) si ostina in

qualsiasi modo a voler effettuare in contanti operazioni di significativo ammontare o

con modalità del tutto inusuali;

accertamento dello scopo, della natura e del valore dell’operazione: a tal fine devono

essere considerate sospette: 1) operazioni commerciali e/o finanziarie che si

configurano come palesemente illogiche, perché economicamente svantaggiose o non

risultanti in alcun modo giustificate ovvero inusuali rispetto alla prassi corrente di

mercato (ex operazioni di acquisto o vendita di significativo importo ma a prezzi

palesemente sproporzionati rispetto ai correnti valori di mercato o al loro prevedibile

valore di stima; frequenti richieste di operazioni di qualsiasi genere da parte di aziende

notoriamente in perdita ovvero in difficoltà finanziaria);

effettuazione dei pagamenti e degli incassi per mezzo di bonifico bancario o postale: a

tal fine sono considerati anomali i casi di impiego di danaro contante soprattutto di

elevato taglio e per importi rilevanti;

relativamente a qualsiasi operazione di natura commerciale e finanziaria è fatto divieto di:

accettare mezzi di pagamento diversi da quelli che transitano su normali canali

bancari, provenienti da soggetti diversi dal cliente e/o fornitore con il quale si

intreccia il rapporto commerciale;

effettuare operazioni di acquisto o vendita d’importo significativo a prezzi

palesemente sproporzionati rispetto ai correnti valori di mercato o al loro

prevedibile valore di stima;

eseguire pagamenti o incassi in contanti per un ammontare superiore a quello

consentito dalla legge;

nella gestione dell’attività di acquisto di beni e servizi è fatto obbligo di:

definire il budget delle principali spese amministrative;

definire un processo competitivo e tracciabile di selezione del fornitore. In

particolare la selezione dei fornitori deve seguire il seguente iter operativo: 1)

l’azienda che vuole proporsi come fornitore della società si registra nell’area

fornitori della società; 2) il Responsabile della funzione Contabilità, Clienti e

Fornitori analizza le informazioni sociali, commerciali ed economiche del fornitore

(dichiarazione dei carichi pendenti, certificato del casellario giudiziale, visura

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camerale, copia dell’ultimo bilancio ed una dichiarazione scritta sull’esistenza di

eventuali conflitti di interesse con i dirigenti e/o amministratori della Società, se

trattasi di fornitore estero eventuale inclusione nella Liste di Riferimento contro il

terrorismo) e, dopo una analisi dei principali elementi rilevati, qualora l’azienda sia

stata positivamente valutata, procede al censimento nell’anagrafe fornitori che

costituisce condizione essenziale per eventuali trattative commerciali. Sempre il

Responsabile Contabilità, Clienti e Fornitori è deputato all’aggiornamento ed alla

modifica delle informazioni (ad esempio ragione sociale, partita IVA, coordinate

bancarie) del fornitore censito nell’anagrafe.

definire il processo di acquisto. In particolare la fase di acquisto segue il seguente

iter operativo: 1) l’Amministratore con poteri formalizza la proposta di acquisto,

richiedendo sempre almeno due preventivi a fornitori operanti nello stesso settore

(fra coloro i quali si siano registrati e siano stati positivamente valutati),

concludendo la trattativa con il fornitore ritenuto più idoneo, tenendo conto dei

seguenti criteri: distanza dall’unità operativa, prezzo, condizioni di pagamento,

referenze. I Risultati della selezione devono essere formalizzati in un report che

contenga i dati identificativi dell’offerta, le ragioni della scelta del fornitore; 2) il

Responsabile della Funzione Amministrazione, Finanza e Controllo a capo della

Tesoreria autorizza il pagamento delle fatture, previa accettazione

dell’Amministratore con poteri; 3) il Responsabile della Funzione Contabilità, Clienti

e Fornitori procede alla registrazione delle fatture e provvede al loro materiale

pagamento; 4) l’intera documentazione afferente la transazione commerciale

conclusa è quindi archiviata dal funzione Contabilità, Clienti e Fornitori; 5) almeno

una volta l’anno l’Amministratore con poteri deve valutare (attraverso l’attribuzione

di un giudizio) il mantenimento dei requisiti verificati in fase di selezione e la qualità

dei beni /servizi prestati; 6) se un fornitore qualificato non è utilizzato per un

periodo superiore a 24 mesi deve essere effettuata una nuova procedura di

valutazione e qualificazione nel momento in cui questo fornitore debba

nuovamente fornire prodotti alla Società;

formalizzare ogni contratto/ordine di acquisto sulla base di un format standard

predisposto ed aggiornato dall’ufficio legale della società capogruppo; tutti i

contratti e gli ordini di acquisto devono essere firmati dall’Amministratore con

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poteri; in tutti contratti/ordini di acquisto (condizioni generali di acquisto) deve

essere inserita un’apposita clausola che preveda: 1) un’espressa dichiarazione da

parte del fornitore di essere a conoscenza e rispettare la normativa di cui al d.lgs.

231/2001; 2) di non essere mai stato implicato in procedimenti giudiziari relativi a

reati nello stesso contemplato e di impegnarsi al rispetto del Codice Etico adottato

dalla Società; 3) le conseguenze per il fornitore in caso di violazione di quanto

dichiarato;

definire le attività di ricevimento della merce/prestazione del servizio. A tal fine: 1)

il ricevimento di beni deve essere effettuato dal gestore del magazzino presso cui i

prodotti vengono consegnati, mentre il ricevimento dei servizi deve essere

effettuato dal richiedente o da persona da esso delegata; 2) in fase di ricezione di

un bene, il gestore del magazzino o il responsabile tecnico deve controllare

l'integrità dell'imballo, del numero di colli, della presenza e della completezza della

documentazione accompagnatoria richiesta nell'ordine; 3) per i servizi, la

validazione della conformità del servizio reso deve essere formalizzata dal soggetto

che riceve il servizio e validata dal responsabile della Funzione ricevente; 4)

eventuali non conformità devono essere formalizzate attraverso la compilazione di

un modulo specifico da parte della persona che rileva l'anomalia; 5)

successivamente, la non conformità deve essere notificata al fornitore dalla

funzione Contabilità, Clienti e Fornitori che deve assicurarsi che il fornitore compili il

modulo specifico per il trattamento e la definizione delle relative azioni correttive

atte ad evitare che il problema si ripresenti in futuro;6) le richieste di risarcimento

danni devono essere gestite dall’Amministratore con poteri;

b) gestione di consulenze ed incarichi professionali

6.3. PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DI CONSULENZE ED INCARICHI PROFESSIONALI

I soggetti che, in ragione del proprio incarico o della propria funzione, siano coinvolti nell’ambito

delle attività in oggetto, devono:

utilizzare sempre la forma scritta per l’affidamento di servizi di consulenza e incarichi

professionali;

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assicurare che la scelta di consulenti e professionisti avvenga a cura delle funzioni

competenti e sia effettuata sulla base di requisiti di qualità, professionalità, affidabilità ed

economicità;

assicurare la tracciabilità delle fasi del processo di individuazione e selezione del

consulente o professionista;

verificare, prima del pagamento delle fatture, che le consulenze o prestazioni professionali

siano state effettivamente ricevute in rispondenza a quanto pattuito contrattualmente.

È, inoltre, fatto divieto di:

richiedere consulenze e attribuire incarichi professionali che non trovino riscontro in una

specifica e motivabile esigenza della Società;

assegnare incarichi di consulenza a persone o società in assenza dei necessari requisiti di

qualità e professionalità;

approvare fatture passive a fronte di prestazioni inesistenti in tutto o in parte;

effettuare pagamenti in favore di consulenti e professionisti, in assenza di adeguata

giustificazione;

riconoscere compensi e rimborsi spese che non trovino giustificazione in relazione al tipo di

incarico da svolgere ed ai prezzi di mercato.

Nella gestione delle attività in oggetto:

l’Amministratore con poteri è responsabile della definizione della capienza di budget ai fini

dell’attribuzione dell’incarico – in linea con la politica di gestione aziendale definita dal

C.d.A. – nonché della verifica dell’effettiva necessità della spesa e della definizione dei

requisiti da rispettare nella scelta del consulente;

l’Amministratore con poteri è responsabile, altresì, della verifica della correlazione tra

onere sostenuto, prestazione ricevuta e giustificativo (ex fattura, parcella) ed, infine, della

decisione finale di spesa che innesca il processo di acquisto mediante autorizzazione;

qualunque transazione finanziaria deve presupporre la conoscenza del beneficiario, quantomeno

diretto, della relativa somma;

la fase di conferimento dell’incarico segue il seguente iter operativo: 1) l’Amministratore

con poteri formalizza la proposta di conferimento dell’incarico, richiedendo sempre

almeno due preventivi, concludendo la trattativa con il consulente ritenuto più idoneo,

tenendo conto dei seguenti criteri: prezzo, condizioni di pagamento, referenze. I Risultati

della selezione, previa richiesta ed analisi di documentazione quale, a titolo di esempio,

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visura camerale, certificato antimafia, dichiarazione dei carichi pendenti, devono essere

formalizzati in un report che contenga i dati identificativi dell’offerta, le ragioni della scelta

del consulente; 2) l’assegnazione dell’incarico deve sempre avvenire in forma scritta,

mediante contratto o lettera di incarico che deve contenere un’apposita clausola che

preveda: a) un’espressa dichiarazione da parte del fornitore di essere a conoscenza e

rispettare la normativa di cui al d.lgs. 231/2001; b) di non essere mai stato implicato in

procedimenti giudiziari relativi a reati nello stesso contemplato e di impegnarsi al rispetto

del Codice Etico adottato dalla Società; c)le conseguenze per il fornitore in caso di

violazione di quanto dichiarato; 3) il Responsabile della Funzione Amministrazione, Finanza

e Controllo a capo della Tesoreria autorizza il pagamento delle fatture/parcelle, previa

accettazione dell’Amministratore con poteri e verifica dell’effettivo espletamento

dell’incarico; 3) il Responsabile della Funzione Contabilità, Clienti e Fornitori procede alla

registrazione delle fatture e provvede al loro materiale pagamento; 4) l’intera

documentazione afferente la transazione commerciale conclusa è quindi archiviata dal

funzione Contabilità, Clienti e Fornitori.

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7.GESTIONE DEI RAPPORTI COMMERCIALI

Le attività che la Società considera rilevanti nella gestione dei rapporti commerciali sono:

a) gestione delle attività di vendita tramite gara e offerta diretta (clientela pubblica/privata);

b) gestione della rete agenziale;

I reati che potrebbero verificarsi nello svolgimento delle suddette attività sono: a) reati verso la

P.A. richiamati dagli artt. 24 e 25 del D.Lgs. 231/2001; b) reato di corruzione tra privati richiamato

dall’art. 25-ter del D.Lgs. 231/2001; c) reati di criminalità organizzata richiamati dall’art. 24 – ter

del D.Lgs. 231/2001, per la cui analisi si rimanda ai paragrafi 3.1., 3.1.1., 3.2., 3.2.1, 4.1.1. e 6.2

della presente Parte Speciale; d) reati di falso nummario richiamati dall’art. 25-bis del D.Lgs.

231/2001; e) reati contro l’industria ed il commercio richiamati dall’art. 25 – bis 1 del D.Lgs.

231/2001;

7.1. AMBITO DI APPLICAZIONE

I successivi principi di comportamento e presidi di controllo si applicano a tutti gli esponenti

aziendali coinvolti nelle attività di vendita tramite gara e offerta diretta e, in particolare, ma non

esclusivamente a:

Amministratore con poteri;

Responsabile Funzione Commerciale;

Responsabile Amministrazione, Finanza e Controllo;

Responsabile Logistica;

Responsabile VTD – Magazzino;

Responsabile Contabilità, Clienti e Fornitori;

Responsabile OTD.

a) gestione delle attività di vendita tramite gara e offerta diretta (clientela pubblica e privata)

7.2. PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DELLE ATTIVITA’ DI VENDITA TRAMITE GARA E OFFERTA DIRETTA (CLIENTELA PUBBLICA

E PRIVATA).

Gli esponenti aziendali che, in ragione del proprio incarico o della propria funzione, siano coinvolti

nell’ambito delle attività in oggetto, devono:

-operare nel rispetto delle leggi antitrust e di tutela della concorrenza;

- utilizzare sempre la forma scritta per la vendita di beni e servizi;

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- assicurare che la definizione e applicazione dei prezzi sia effettuata secondo principi di

correttezza, trasparenza ed imparzialità;

- improntare il proprio comportamento a criteri di onestà, cortesia, trasparenza e collaborazione,

fornendo informazioni adeguate e complete, evitando di incorrere in pratiche elusive o corruttive

o a minacce e violenze finalizzate a influenzare il comportamento dei clienti;

- assicurare che la scelta dei clienti avvenga a cura delle funzioni competenti, affinché siano

effettuate transazioni con controparti contrattuali che possano garantire integrità, onestà ed

affidabilità nella gestione dei rapporti commerciali, nonché solidità patrimoniale e finanziaria;

- assicurare che ogni operazione di vendita sia correttamente autorizzata, verificabile e legittima;

- assicurare che tutto il processo di fatturazione verso i clienti sia gestito in modo da garantire la

coerenza, la correttezza e la congruità degli importi fatturati;

- comunicare, senza ritardo, al proprio responsabile gerarchico eventuali comportamenti posti in

essere da persone operanti nell’ambito della controparte, rivolti ad ottenere favori, elargizioni

illecite di denaro od altre utilità, anche nei confronti dei terzi, nonché qualunque criticità o

conflitto di interesse sorga nell’ambito del rapporto con il cliente o potenziale cliente;

- segnalare eventuali tentativi di richieste indebite da parte di rappresentanti della controparte.

E’, inoltre, fatto divieto di:

- porre in essere operazioni sospette sotto il profilo della correttezza e della trasparenza;

- dare o ricevere pagamenti indebiti e simili;

- definire rapporti con persone o enti che intenzionalmente non aderiscono ai principi etici della

Società;

- promettere o versare somme di denaro o di altra natura a rappresentanti della controparte con

la finalità di favorire gli interessi della Società;

- tenere una condotta ingannevole che possa indurre le controparti commerciali in errore di

valutazione tecnico-economica della documentazione presentata;

- ottenere un vantaggio sleale su chiunque attraverso pratiche commerciali illecite;

- omettere informazioni dovute al fine di orientare a proprio favore le decisioni della controparte;

- intrattenere con rappresentanti della controparte, in via diretta o per interposta persona,

rapporti volti ad influenzare il prezzo dei prodotti, a scoraggiare la partecipazione degli altri

offerenti alle gare ovvero ad ottenere ogni informazione utile a procurare un ingiusto vantaggio a

danno di altri soggetti coinvolti.

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Con specifico riferimento ai principi di comportamento da adottare nella gestione dei rapporti con

“clienti pubblici”, si rimanda anche alla Parte Speciale A “Relazioni con la Pubblica

Amministrazione”.

partecipazione a gare (clientela pubblica e privata)

le gare di valore fino a € 20.000,00 sono gestite dall’addetto commerciale territorialmente

competente il quale – previo invio di copia della documentazione afferente la gara stessa al

coordinatore commerciale – munito di espressa delega ricevuta dall’Amministratore con

poteri, procede alla sottoscrizione dell’offerta mediante apposizione di firma digitale e

quindi all’inoltro alla controparte;

per le gare di valore superiore ai € 20.000,00, la funzione Commerciale, ricevuta

segnalazione delle gare di potenziale interesse per la Società, deve effettuare una verifica

preliminare delle condizioni di gara, della documentazione necessaria e della tempistica

relativa alla preparazione della gara stessa, trasmettendo, infine, tutta la documentazione

all’Amministratore con poteri; la relazione tecnica del progetto è di competenza del

Responsabile della Funzione Commerciale;

il Responsabile della Funzione Commerciale, coadiuvato dal Responsabile di

Amministrazione, Finanza e Controllo, predispone tutta la documentazione necessaria per

la partecipazione alla gara;

il progetto deve essere esaminato dall’Amministratore con poteri ovvero da un suo

incaricato o da una funzione aziendale all’uopo dedicata, verificando che l’offerta, nelle sue

componenti tecnico – economica e documentale, sia completa e conforme ai requisiti ed

alle prescrizione indicate nella lettera di invito ovvero dal bando di gara nonché che sia

stata inoltrata nei termini prestabiliti ed, infine, previa sottoscrizione dell’offerta stessa,

autorizza il Responsabile della Funzione Commerciale ad inviarla alla Controparte;

nel caso in cui per la partecipazione alla gara sia richiesta dal bando la costituzione di una

ATI, l’individuazione del partner commerciale deve essere effettuata dall’Amministratore

con poteri, previa consultazione con il Responsabile della Funzione Commerciale, a seguito

dell’effettuazione di un’attività di due diligence. Più in particolare – fatte salve le ATI da

costituirsi fra società facenti parti del gruppo - la Funzione Commerciale nello svolgimento

dell’attività di due diligence deve procedere a raccogliere tutta la documentazione

necessaria alla valutazione della situazione economico – finanziaria, fiscale, legale e di

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business del partner individuato. La due diligence check list dovrà comprendere, ove

applicabile, la seguente documentazione:

ambito legale: visura camerale; auto dichiarazione dei carichi pendenti e di eventuali

condanne penali di soci ed amministratori della Società; documentazione relativa ad

eventuali procedimenti giudiziali in cui sia o sia stata coinvolta la Società

(autodichiarazione); contratti in essere con compagnie assicurative;

ambito economico-amministrativo: copia dei bilanci d’esercizio degli ultimi tre anni;

informazioni circa la compagine azionaria; copia del Modello di Organizzazione Gestione e

Controllo ex D.Lgs. 231/2001, se esistente; copia delle policies aziendali anti-corruzione, se

esistenti;;

ambito fiscale: copia del DURC, dichiarazione sostitutiva di regolarità fiscale;

ambito HR: organigramma; elenco di tutti i dipendenti, collaboratori esterni ed agenti che

interagiranno nell’ATI;

ambito business ed operations: lista dei principali prodotti commercializzati con dettaglio

del fatturato generato da ciascuno; lista dei principali clienti con dettaglio del fatturato

generato da ciascuno.

agli incontri di approfondimento tecnico-economico con i rappresentanti della

Controparte, devono partecipare sempre almeno due rappresentanti della Società

espressamente delegati (ad esempio il Responsabile della Funzione Commerciale ed il

Responsabile di Amministrazione, Finanza e Controllo);

a seguito degli incontri di approfondimento tecnico-economico con i rappresentanti della

Controparte, dovrà essere redatto un verbale di incontro che dovrà essere trasmesso

all’Amministratore con poteri dai rappresentanti intervenuti per la Società nonché

archiviato unitamente a tutta la documentazione afferente la gara;

tutte le comunicazioni tra l’Amministratore con poteri, la Funzione Commerciale e la

Funzione Amministrazione, Finanza e Controllo dovranno essere tracciate via e-mail;

la Funzione Commerciale è responsabile dell’archiviazione di tutta la documentazione

inerente la partecipazione della gara.

acquisizione clientela e gestione trattative dirette

La Funzione Commerciale deve garantire la tracciabilità delle attività effettuate dai

venditori e dagli agenti, ai fini dell’acquisizione di un potenziale cliente;

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in fase di acquisizione di un nuovo cliente, l’Addetto commerciale di riferimento deve

raccogliere le informazioni necessarie ad una valutazione del potenziale cliente e quindi

trasmetterle all’addetto alla contabilità fornitori il quale – solo per clienti di primaria

importanza - deve procedere all’espletamento dei controlli amministrativi che riguardino,

in particolare, l’affidabilità del cliente stesso;

nel caso di positiva valutazione del cliente, su segnalazione dell’addetto commerciale di

riferimento, il Responsabile di Contabilità, Clienti e Fornitori provvede ad aprire la relativa

anagrafica a sistema;

nel caso in cui dalle analisi effettuate risultasse una situazione di solvibilità dubbia o non

compatibile con gli obiettivi aziendali, il Responsabile di Amministrazione, Finanza e

Controllo deve informare l’Addetto commerciale di riferimento nonché il Responsabile

della Funzione Commerciale. Quest’ultimo deve a sua volta trasmettere i risultati

dell’analisi all’Amministratore con poteri al quale spetta definire eventuali specifiche

condizioni d fornitura;

la documentazione relativa al processo di acquisizione di un nuovo cliente deve essere

archiviata a cura dell’Addetto commerciale competente;

ciascun contratto o ordine deve rispettare i requisiti previsti e formalizzati nell’analisi di

redditività;

tutti i contratti di vendita devono essere redatti sulla base degli standard contrattuali

definiti in eventuale collaborazione con consulenti legali ed approvati e sottoscritti

dall’Amministratore con poteri;

nel caso di clienti che richiedano clausole o vincoli contrattuali non abitualmente previsti

dagli standard contrattuali aziendali, l'addetto commerciale deve richiedere la revisione ad

Amministrazione, Finanza e Controllo. L’approvazione spetta in ogni caso

all’Amministratore con poteri;

la documentazione relativa alla contrattualistica ed agli ordini di vendita deve essere

archiviata a cura dell’Addetto commerciale competente;

la documentazione relativa al processo di affidamento di un nuovo cliente deve essere

archiviata a cura di Amministrazione, Finanza e Controllo.

gestione dei servizi di fornitura di ossigeno medicale liquido

per le attività di fornitura di ossigeno medicale liquido trovano applicazione gli accordi –

quadro sottoscritti tra la Società e la relativa Regione di riferimento (per la Regione Puglia

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vedasi le linee guida per la corretta prescrizione della ossigeno terapia domiciliare da

intendersi in detta sede integralmente richiamate e che costituiscono parte integrante e

sostanziale del presente modello);

gestione dei servizi di fornitura di ossigeno medicale gassoso

l’attività di call center attraverso la gestione delle telefonate in entrata è gestita dagli

Addetti alla Funzione Logistica, i quali gestiscono l’anagrafica clienti ed i piani terapeutici e

inoltrano le richieste ai vettori che procedono alla relativa consegna delle bombole ai

clienti;

il Responsabile della Logistica coordina i vettori addetti alle consegne di ossigeno medicale

nonché le attività di carico e scarico della merce negli spazi aziendali interni ed esterni;

prima della consegna i prodotti devono essere assoggettati ai controlli di qualità previsti da

parte del Responsabile della Funzione OTD, Persona Qualificata e Farmacista;

il Responsabile della Funzione OTD o un suo delegato provvede giornalmente all’invio

all’AIFA dei files di tracciabilità del farmaco ed alla Regione – Assessorato Salute – Area

Farmaceutica dei tracciati di distribuzione diretta;

il Responsabile della Funzione Logistica provvede all’archiviazione quotidiana delle bolle di

consegna e DDT. Parallelamente all’archiviazione cartacea ormai in fase di superamento, le

bolle di consegna ed i DDT sono archiviati in formato digitale dal Responsabile della

trasmissione dati sul portale gestito da In.te.sa S.a.s, ente certificato dal Ministero della

Salute;

le fatture sono emesse dalla Funzione Contabilità, Clienti e Fornitori a seguito di controllo

di coerenza tra l’ordine e la bolla siglata al momento della consegna da parte del cliente

per ricezione della merce e/o conformità del servizio;

la fattura deve essere coerente con le disposizioni contenute nel contratto; eventuali

differenze tra fattura e relativa documentazione attestante il servizio prestato e/o le

caratteristiche del bene fornito devono essere formalmente motivate ed autorizzate dal

Responsabile Amministrazione, Finanza e Controllo;

la documentazione relativa alle consegne ed ai servizi post vendita deve essere archiviata a

cura dei referenti di volta in volta competenti.

gestione dei servizi di fornitura in conto vendita o noleggio di apparecchiature per la ventiloterapia

e di altri diversi ausilii terapeutici

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l’attività di call center attraverso la gestione delle telefonate in entrata e annotazione delle

stesse sul Registro chiamate è gestita dagli Addetti al Magazzino i quali coordinano l’attività

di assistenza tecnica domiciliare e l’attività di manutenzione, entrambe espletate da propri

dipendenti laddove è richiesto dal capitolato di gara, in caso contrario da società esterna

(outsourcing). Il rapportino di assistenza/manutenzione è inserito nell’Intranet Sapio dal

tecnico che abbia effettuato l’intervento. L’archiviazione è effettuata in formato digitale;

gestione dei servizi di assistenza domiciliare integrata (ADI)

gli addetti al Magazzino gestiscono le richieste di assistenza domiciliare integrata che

abbiano ricevuto dalla società Life Cure s.r.l., coordinando l’attività di assistenza tecnica

domiciliare e l’attività di manutenzione, entrambe espletate da società esterna

(outsourcing). Il Rapporto di assistenza/manutenzione è inserito nell’Intranet Sapio dal

tecnico che abbia effettuato l’intervento. L’archiviazione è effettuata in formato digitale.

7.3 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DELLA RETE AGENZIALE

Gli esponenti aziendali che, in ragione del proprio incarico o della propria funzione, siano coinvolti

nell’ambito delle attività in oggetto, devono:

-utilizzare sempre la forma scritta per la stipulazione di contratti di agenzia;

- effettuare le attività di selezione e contrattualizzazione degli agenti sulla base delle valutazioni di

idoneità tecnica, etica ed attitudinale; l’attività deve essere ispirata a criteri di trasparenza nella

valutazione dei requisiti di competenza e professionalità, di capacità e di potenzialità individuale;

- verificare preventivamente le informazioni disponibili sugli agenti al fine di instaurare rapporti

unicamente con soggetti che godano di buona reputazione, che siano impegnati solo in attività

lecite e la cui cultura etica sia in linea con quella della Società;

- definire livelli di provvigioni e premi in linea con quanto previsto dal mercato e dalle politiche

commerciali definite dalla Società;

- riconoscere agli agenti provvigioni e premi commisurati ai contratti conclusi dagli stessi con la

clientela;

- effettuare pagamenti agli agenti esclusivamente tramite bonifico bancario.

E, inoltre, fatto divieto di:

-selezionare agenti vicini o suggeriti da funzionari pubblici o da altre controparti con cui la Società

intrattenga relazioni commerciali o corrispondere loro un compenso superiore a quello dovuto o di

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mercato, al fin di ottenere un trattamento di favore per la Società o creare disponibilità da

utilizzarsi ai fini corruttivi;

- promettere o concedere promesse di collaborazione o aumenti delle provvigioni/premi quale

contropartita di attività difformi alle leggi e alle norme e regole interne.

selezione degli agenti

il processo di selezione è gestito dall’Amministratore con poteri al quale spetta la

valutazione di affidabilità economica e la scelta finale;

durante il processo di selezione e prima della stipula di un eventuale mandato con un

nuovo agente, l’Amministratore con poteri deve richiedere all’agente:

le principali informazioni anagrafiche;

l’iscrizione alla C.C.I.A.A.;

la visura camerale;

per i soggetti italiani la certificazione C.C.I.A.A. riportante la dicitura “nulla osta

antimafia” ai sensi della L. 55/90;

in caso di affidamento di servizi di trasporto all’agente, la licenza di trasporto conto

terzi;

certificato del casellario giudiziale e certificato dei carichi pendenti.

l’apertura o modifica dell’anagrafica agenti a sistema può essere effettuata solo

dall’Amministratore con poteri su richiesta del Responsabile di Amministrazione, Finanza e

Controllo;

i contratti di agenzia possono essere stipulati solo da procuratori abilitati in base a poteri di

firma attribuiti dalla Società e sulla base dello standard contrattuale definito;

nei contratti deve essere espressamente previsto che gli agenti non possano avere alcun

potere di rappresentanza in nome e per conto della Società e non possano quindi stipulare

direttamente contratti di vendita;

nei contratti di agenzia deve essere inserita apposita clausola che preveda:

di essere a conoscenza e di impegnarsi al rispetto della normativa di cui al D.Lgs.

231/01 e delle sue implicazioni per la Società;

di non essere mai stati implicati in procedimenti giudiziari relativi ai reati rilevanti ai fini

del D.Lgs. 231/01 (ove lo fossero stati, devono dichiararlo ai fini di una maggiore

cautela da parte della società, nel caso in cui si addivenga all’instaurazione di un

rapporto di consulenza o partnership);

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di impegnarsi a comunicare se, nel corso del rapporto, anche per fatti concernenti

terzi, siano a qualsiasi titolo coinvolti nell’ambito di procedimenti giudiziari riguardanti

ipotesi di reato rilevanti ai fini del D.Lgs. 231/01;

le conseguenze della violazione da parte degli stessi delle norme di cui al D.Lgs. 231/01

(ad es. clausole risolutive espresse, penali ecc..);

la documentazione relativa al processo di selezione degli agenti e la relativa

contrattualistica devono essere archiviate a cura della funzione Amministrazione, Finanza e

Controllo.

Definizione e pagamento delle provvigioni

le determinazioni e successive revisioni di provvigioni e premi sono di competenza

esclusiva del Consiglio di Amministrazione;

i calcoli delle provvigioni/premi vengono effettuati da Amministrazione, Finanza e

Controllo;

le provvigioni devono essere liquidate mensilmente e gli eventuali premi annualmente

tramite bonifico bancario sula base della fattura pro-forma emessa automaticamente dal

sistema e proposta dall’agente;

Amministrazione, Finanza e Controllo verifica la coerenza dei dati riportati nella fattura

emessa dall’agente rispetto alla fattura pro-forma/contratto, quindi autorizza il

pagamento, con successiva registrazione;

ai fini della determinazioni dei contributi, Amministrazione, Finanza e Controllo deve

inserire gli imponibili (così come riportati nelle fatture emesse dagli agenti e ricevute) nel

sito internet di ENASARCO. Il pagamento deve essere effettuati tramite RID bancaria in

base alla distinta di pagamento generata automaticamente a sistema;

la documentazione relativa alla definizione ed erogazioni di provvigioni e premi è archiviata

a cura di Amministrazione, Finanza e Controllo.

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8. GESTIONE DEL PERSONALE

Le attività che la Società considera rilevanti nel processo di gestione del personale sono:

a) selezione, assunzione e gestione del personale;

b) gestione dei rimborsi spese;

c) gestione dei rapporti con i sindacati;

d) omaggi e liberalità.

I reati che potrebbero verificarsi nello svolgimento delle suddette attività sono: a) reati verso la

P.A. richiamati dagli artt. 24 e 25 del D.Lgs. 231/2001; b) reato di corruzione tra privati richiamato

dall’art. 25-ter del D.Lgs. 231/2001; c) reato di impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è

irregolare, richiamato dall’art. 25 – duodecies del D.Lgs. 231/2001.

8.1. AMBITO DI APPLICAZIONE

I successivi principi di comportamento e presidi di controllo si applicano a tutti gli esponenti

aziendali coinvolti nell’attività di selezione e gestione del personale, gestione dei rimborsi spese,

gestione dei rapporti con i sindacati, omaggi e liberalità e, in particolare, ma non esclusivamente a:

Amministratore con poteri;

Responsabile Amministrazione, Finanza e Controllo;

Responsabile Contabilità, Clienti e Fornitori

a) selezione, assunzione e gestione del personale

8.2. PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE

NELL’ATTIVITA’ DI SELEZIONE, ASSUNZIONE E GESTIONE DEL PERSONALE

I soggetti che in ragione del proprio incarico o della propria funzione siano coinvolti nell’ambito

dell’attività in oggetto devono:

- rispettare le normative sul lavoro vigenti (ad esempio in termini di contributi previdenziali

ed assistenziali, permessi di soggiorno, ecc.);

- effettuare le attività di selezione e assunzione esclusivamente sulla base delle valutazioni di

idoneità tecnica, etica ed attitudinale; l’attività deve essere ispirata a criteri di trasparenza

nella valutazione dei requisiti di competenza e professionalità, di capacità e potenzialità

individuale;

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- verificare preventivamente le informazioni disponibili sui candidati al fine di instaurare

rapporti unicamente con soggetti che godano di buona reputazione, che siano impegnati

solo in attività lecite e la cui cultura etica sia comparabile a quella della Società;

- verificare che la definizione delle condizioni economiche sia coerente con la posizione

ricoperta dal dipendente in azienda e le responsabilità/compiti assegnati;

- assicurare avanzamenti di carriera basati esclusivamente su criteri meritocratici;

- assicurare condizioni di lavoro rispettose della dignità personale, delle pari opportunità,

nonché un ambiente di lavoro adeguato;

È, inoltre, fatto divieto di:

- selezionare dipendenti vicini o suggeriti da terzi o da persone a questi vicini, o

corrispondere loro un compenso superiore a quello dovuto o di mercato, per assicurare

vantaggi di qualunque tipo alla Società;

- promettere o concedere promesse di assunzione quale contropartita di attività difformi alle

leggi ed alle norme e regole interne.

Premesso quanto innanzi è previsto che:

il budget del personale è predisposto dall’Amministratore con poteri ed approvato dal

Consiglio di Amministrazione della Società;

in sede di selezione ed assunzione di un nuovo dipendente devono essere esaminati

almeno due candidati;

effettuati, per ogni candidato, almeno due colloqui di cui uno con l’Amministratore con

poteri e l’altro con il Responsabile della Funzione aziendale richiedente;

in fase di assunzione il candidato deve dichiarare, attraverso apposito modulo, se abbia

parenti (fino al terzo grado) all’interno della P.A. che ricoprono un ruolo tale da configurare

un potenziale conflitto di interessi rispetto alle attività svolte dalla Società, indicando – in

caso affermativo – le posizioni da essi ricoperti;

i contratti di assunzione del personale sono firmati esclusivamente dall’Amministratore con

poteri;

il consulente esterno ha la responsabilità di inviare agli Enti pubblici di competenza le

necessarie comunicazioni relative all’instaurazione, cessazione e trasformazione del

rapporto di lavoro, secondo le tempistiche previste dalla normativa vigente;

in relazione all’assunzione di personale appartenente a “categorie protette” deve essere

rispettato l’iter di legge di denuncia annuale; gli invii al Ministero del Lavoro vengono

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effettuati dal Responsabile della Funzione Amministrazione, Finanza e Controllo o, qualora

la Società si avvalga di un consulente esterno, da quest’ultimo, provvedendo, altresì, alla

relativa archiviazione;

nel caso in cui il processo di selezione e assunzione riguardi lavoratori stranieri, il

Responsabile della Funzione Amministrazione, Finanza e Controllo o, qualora la Società si

avvalga di un consulente esterno, quest’ultimo, deve:

verificare, ai fini dell’assunzione, che il candidato sia in possesso di documenti di

soggiorno validi, quali, a titolo esemplificativo, il permesso/carta di soggiorno, il

passaporto, la documentazione attestante l’idoneità alloggiativa, etc. In caso

contrario, il processo di assunzione non può essere concluso;

monitorare periodicamente la regolarità dei permessi di soggiorno / carta di

soggiorno dei lavoratori stranieri in forza presso la Società. In caso di scadenza,

occorre richiedere alla risorsa, con un anticipo di almeno tre mesi, di provvedere al

rinnovo dei permessi, salvo impossibilità a proseguire nel rapporto di lavoro;

richiedere, in caso di lavoro somministrato, alla società terza evidenza della

regolarità dei lavoratori proposti per la collaborazione, salvo impossibilità a

proseguire nel rapporto e/o a richiedere la sostituzione delle risorse;

gli obiettivi, i premi, i bonus e gli avanzamenti di carriera proposti dai singoli responsabili

del dipendente devono essere approvati dall’Amministratore con poteri nel rispetto degli

obiettivi, delle linee guida aziendali e del budget approvato;

tutta la documentazione relativa al processo di selezione, assunzione e gestione del

personale deve essere archiviata a cura del Responsabile della Funzione Amministrazione,

Finanza e Controllo.

Si rimanda alla Parte Speciale di “Relazioni con la Pubblica Amministrazione” per ulteriori controlli

in merito alla gestione dei rapporti e degli adempimenti con la Pubblica Amministrazione (a titolo

esemplificativo, Ispettorato del lavoro, INPS e INAIL).

b) gestione dei rimborsi spese

8.3 PRINCIPI GNERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE

NELL’ATTIVITA’ DI GESTIONE DEI RIMBORSI SPESE

I soggetti che, in ragione del proprio incarico o della propria funzione, siano coinvolti nell’ambito

delle attività in oggetto, devono:

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- operare nel rispetto della normativa vigente in materia di strumenti di pagamento, tracciabilità

dei flussi finanziari e antiriciclaggio;

- gestire l’autorizzazione e il controllo delle trasferte secondo criteri di economicità e di massima

trasparenza, nel rispetto della regolamentazione interna e delle leggi e normative fiscali vigenti;

- richiedere/riconoscere il rimborso delle sole spese sostenute per motivi di lavoro;

- garantire l’erogazione di rimborsi spese solo a fronte dell’esibizione da parte del richiedente di

appropriati giustificativi di spesa;

- consentire la tracciabilità dell’iter autorizzativo delle trasferte e delle attività di controllo svolte;

- sostenere spese di rappresentanza esclusivamente per finalità lecite, in modo trasparente,

secondo criteri di economicità e di contenimento dei costi.

È, inoltre, fatto divieto di:

- riconoscere rimborsi spese che non trovino adeguata giustificazione in relazione al tipo di

incarico svolto o in assenza di idonea documentazione giustificativa;

- sostenere e riconoscere spese di rappresentanza che possano essere interpretate come

eccedenti le normali pratiche commerciali o di cortesia.

Nell’ambito delle attività in oggetto:

tutti i rimborsi spesa devono essere autorizzati dal Responsabile Amministrazione, Finanza

e Controllo a capo della tesoreria, previo controllo di merito, tramite presentazione del

modulo di richiesta rimborso firmato dal richiedente. A propria volta il Responsabile di

Amministrazione, Finanza e Controllo presenterà il modulo di richiesta di rimborso per le

spese dallo stesso sostenute all’Amministratore con poteri per la relativa autorizzazione. I

rimborsi spesa, una volta richiesti, verificati ed autorizzati, sono pagati, tramite bonifico

bancario, dalla Contabilità, Clienti e Fornitori. Nel caso di anomalie il Responsabile di

Amministrazione, Finanza e Controllo ovvero l’Amministratore con poteri procedono alle

opportune verifiche richiedendo gli opportuni chiarimenti al dipendente;

L’Amministratore con poteri deve presentare modulo di richiesta rimborso al Responsabile

di Contabilità, Clienti e Fornitori che provvede al pagamento a mezzo bonifico bancario. Nel

caso in cui il Responsabile Contabilità, Clienti e Fornitori, espletate le verifiche, riscontri il

superamento dei massimali di spesa a disposizione dell’Amministratore con poteri, deve

inoltrare opportuna segnalazione al Responsabile di Amministrazione, Finanza e Controllo.

Quest’ultimo, espletate a sua volta le opportune verifiche, comunica all’Amministratore

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con poteri e per conoscenza all’OdV, esclusivamente via e-mail, il superamento dei

massimali di spesa;

la documentazione relativa alle spese rimborsate, gli estratti conto ed i relativi controlli

eseguiti è archiviata a cura delle diverse Funzioni ciascuna per la parte di propria

competenza nel processo.

c) gestione dei rapporti con i sindacati

8.4 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DEI RAPPORTI CON I SINDACATI

I soggetti che, in ragione del proprio incarico o della propria funzione, siano coinvolti nell’ambito

delle attività in oggetto, devono:

- intrattenere rapporti corretti, trasparenti, imparziali e collaborativi con i rappresentanti delle

organizzazioni sindacali;

- astenersi dall’influenzare impropriamente l’attività dei rappresentanti delle organizzazioni

sindacali in occasione delle contrattazioni con esse intraprese e nello svolgimento di qualsiasi altra

attività che preveda un loro coinvolgimento.

È, inoltre, fatto divieto di:

- corrispondere od offrire, direttamente o indirettamente, anche sotto forme diverse di aiuti o

contribuzioni (ad esempio sponsorizzazioni e liberalità), pagamenti o benefici materiali a

rappresentanti delle organizzazioni sindacali o a persone a questi vicini, per influenzare il loro

comportamento ed assicurare vantaggi di qualunque tipo alla Società.

Nella gestione dei rapporti con i sindacati:

agli incontri con i rappresentanti sindacali devono partecipare sempre due soggetti all’uopo

espressamente delegati dall’Amministratore con poteri;

i rappresentanti della Società presenti agli incontri comunicano tempestivamente e

formalmente per iscritto all’Amministratore con poteri, nonché al Consulente esterno di cui

si avvalga la Società, l’esito degli incontri effettuati con le rappresentanze sindacali;

gli accordi sindacali devono essere firmati esclusivamente dall’Amministratore con poteri;

la documentazione è archiviata a cura dell’Amministrazione, Finanza e Controllo al fine di

permettere la corretta tracciabilità dell’intero processo e di agevolare eventuali controlli

successivi;

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d) omaggi e liberalità

8.5. PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DI OMAGGI E LIBERALITA’

I soggetti che, in ragione del proprio incarico o della propria funzione, siano coinvolti nell’ambito

delle attività in oggetto, devono:

- garantire che tutti gli omaggi e le liberalità siano debitamente autorizzati nel rispetto del sistema

di deleghe e procure in vigore;

- concedere omaggi e regalie a terzi nei limiti della cortesia commerciale e del modico valore;

- assicurarsi che il valore, la natura e lo scopo di omaggi ed erogazioni liberali siano considerati

legali ed eticamente corretti e tali da non compromettere l’immagine della Società, ovvero non

siano interpretati come un mezzo per ottenere trattamenti di favore per la Società;

- selezionare i beneficiari di liberalità anche in base a finalità sociali o di promozione del territorio

e comunque valutandone l’eticità;

- segnalare eventuali tentativi di richieste indebite da parte di terzi, compresi funzionari pubblici;

- comunicare, senza ritardo, al proprio responsabile gerarchico eventuali comportamenti posti in

essere da persone operanti nell’ambito della controparte (anche pubblica), rivolti ad ottenere

favori, elargizioni illecite di denaro od altre utilità, anche nei confronti dei terzi, nonché qualunque

criticità o conflitto di interesse sorga nell’ambito del rapporto con i terzi (compresa la Pubblica

Amministrazione).

È, inoltre, fatto divieto di:

- effettuare promesse o indebite elargizioni di omaggi o altra utilità a terzi (compresi pubblici

funzionari o incaricati di pubblico servizio o persone a questi vicini), con la finalità di promuovere o

favorire interessi della Società o a vantaggio di quest’ultima.

Nella gestione di:

omaggi

l'Amministratore con poteri approva annualmente il budget destinato agli omaggi e

liberalità;

la scelta delle tipologie di beni omaggiabili è di esclusiva competenza dell'Amministratore

con poteri;

il valore unitario degli omaggi deve essere inferire a 100,00 euro (+ IVA). Eventuali omaggi

di importo superiore devono essere preventivamente autorizzati dall'Amministratore con

poteri stesso, previa consultazione con l'Organismo di Vigilanza;

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gli omaggi non possono mai transitare per la nota spese;

gli acquisti di beni omaggiabili è di competenza di Contabilità, Clienti e Fornitori, previa

autorizzazione del Responsabile di Amministrazione, Finanza e Controllo espletate le

opportune verifiche (costo, fornitore, quantità richiesta ecc…);

l’elenco degli omaggi riportante i nominativi delle persone da omaggiare ed il tipo di

omaggio deve essere verificato ed approvato dall’Amministratore con poteri, tenendo

conto delle indicazioni sui nominativi ricevuti via e-mail dagli esponenti aziendali;

l’elenco degli omaggi con i nominativi delle persone omaggiate è archiviato a cura di

Amministrazione, Finanza e Controllo.

Nella gestione di:

liberalità

le liberalità possono essere erogate solo ed esclusivamente a fronte di iniziative meritevoli

di tutela sul piano sociale (ad esempio, in quanto a favore di iniziative culturali, scientifiche,

morali e simili);

l'erogazione di liberalità deve essere formalmente autorizzata (anche via e-mail)

dall’Amministratore con poteri della Società, previa verifica del rispetto della condizione di

cui al punto precedente e quindi comunicata all’OdV;

tutte le iniziative concernenti liberalità devono essere formalizzate tramite accordo scritto

con l'ente terzo verso cui la liberalità è rivolta;

le disposizioni di pagamento possono essere firmate esclusivamente dall’Amministratore

con poteri.

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9. GESTIONE DEI SISTEMI INFORMATIVI

Le attività che la Società considera rilevanti nel processo di gestione dei sistemi informativi sono:

a) attività di installazione, manutenzione, aggiornamento hardware/software utilizzati dalla

società;

b) formazione di documentazione - su supporto informatico - avente efficacia probatoria ed

opponibile a terzi;

c) gestione delle abilitazioni (attribuzioni e revoche) finalizzate a regolamentare l'accesso ai sistemi

informativi nonché ad impedirne l'ingresso;

d) detenzione codici di accesso a sistemi informatici e telematici;

e) attività di archiviazione, modificazione e cancellazione di dati archiviati in via informatica e/o

telematica;

f) accesso a forum/chatlines/social network/programmi file/sharing/modelli di comunicazione

peer to peer

I reati che potrebbero verificarsi nello svolgimento delle suddette attività sono: a) reati informatici

e di trattamento illecito dei dati richiamati dall’art. 24-bis del D.Lgs. 231/2001; b) reati contro la

personalità individuale richiamati dall’art. 25-qunquies del D.Lgs. 231/2001.

9.1 AMBITO DI APPLICAZIONE

I successivi principi di comportamento e presidi di controllo si applicano a tutti gli esponenti

aziendali coinvolti nelle attività relative alla gestione dei sistemi informativi e, in particolare, ma

non

esclusivamente, a:

Responsabile Sistemi Informativi;

Tutti gli utenti aziendali;

consulenti esterni di I.T. di cui la Società si avvalga.

9.2 PRINCIPI GENERALI DI COMPORTAMENTO E PRESIDI DI CONTROLLO DA APPLICARE NELLA

GESTIONE DEI SISTEMI INFORMATIVI

I soggetti che, in ragione del proprio incarico o della propria funzione, siano coinvolti nell’ambito

delle attività in oggetto, devono:

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- valutare la corretta implementazione tecnica delle abilitazioni / profilazioni utente ai principali

sistemi aziendali, verificandone la corrispondenza con le mansioni indicate dai Responsabili di

ciascuna Funzione ed il rispetto del principio generale di segregazione dei compiti;

- monitorare il corretto utilizzo degli accessi (user-id, password) ai sistemi informativi aziendali e di

terze parti;

- monitorare gli accessi tramite VPN;

- effettuare le attività di back-up;

- verificare la sicurezza della rete e dei sistemi informativi aziendali e tutelare la sicurezza dei dati;

- identificare le potenziali vulnerabilità nel sistema dei controlli IT;

- provvedere al corretto mantenimento dei file di log generati dai sistemi;

- gestire la manutenzione software e hardware dei sistemi secondo le prassi esistenti;

- prevedere un processo di change management segregato con la finalità di ridurre al minimo

attività di danneggiamento dei sistemi informatici;

- identificare le persone dotate di accessi particolari (Internet, VPN, Siti esterni privati o pubblici,

sistemi informativi esterni privati o pubblici) e credenziali specifiche;

- verificare la sicurezza fisica e dei sistemi informativi aziendali e tutelare la sicurezza dei dati;

- monitorare il corretto utilizzo degli accessi fisici ai sistemi informativi di dipendenti e terze parti;

- vigilare sulla corretta applicazione di tutti gli accorgimenti ritenuti necessari al fine di

fronteggiare, nello specifico, i delitti informatici e il trattamento illecito dei dati, suggerendo ogni

più opportuno adeguamento;

- monitorare le attività di fornitori terzi in materia di networking, gestione degli applicativi e

gestione dei sistemi hardware;

- garantire che non sia consentito l’accesso alle aree riservate (quali server rooms, locali tecnici,

ecc.) alle persone che non dispongono di idonea autorizzazione, temporanea o permanente e, in

ogni caso, nel rispetto della normativa (interna ed esterna) vigente in materia di tutela dei dati

personali.

Inoltre, tutti i dipendenti della Società devono:

- utilizzare gli strumenti informatici aziendali e assegnati nel rispetto delle procedure aziendali in

vigore ed esclusivamente per l’espletamento della propria attività lavorativa;

- utilizzare la navigazione in internet e la posta elettronica esclusivamente per le attività lavorative;

- custodire accuratamente le proprie credenziali d'accesso ai sistemi informativi utilizzati, evitando

che soggetti terzi possano venirne a conoscenza, e aggiornare periodicamente le password;

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- custodire accuratamente le risorse informatiche aziendali o di terze parti (es. personal computer

fissi o portatili) utilizzate per l’espletamento delle attività lavorative;

- rispettare le policy di sicurezza concordate e definite con le terze parti per l’accesso a sistemi o

infrastrutture di queste ultime;

- evitare di introdurre o conservare in azienda in qualsiasi forma, a qualsiasi titolo e per qualsiasi

ragione, documentazione e/o materiale informatico di natura riservata o di proprietà di terzi;

- utilizzare la connessione ad Internet per gli scopi ed il tempo strettamente necessario allo

svolgimento delle attività che hanno reso necessario il collegamento;

- astenersi dall’effettuare copie non specificatamente autorizzate di dati e software;

E’, inoltre, fatto divieto di:

- detenere, diffondere o utilizzare abusivamente codici di accesso a sistemi informatici o

telematici di terzi o di enti pubblici;

- distruggere o alterare documenti informatici archiviati sulle directory di rete o sugli

applicativi aziendali e, in particolare, i documenti che potrebbero avere rilevanza

probatoria in ambito giudiziario;

- lasciare documenti incustoditi contenenti informazioni riservate o codici di accesso ai

sistemi;

- porre in essere condotte, anche con l’ausilio di soggetti terzi, miranti all’accesso a sistemi

informativi altrui con l’obiettivo di acquisire abusivamente, danneggiare o distruggere

informazioni o dati contenuti nei suddetti sistemi informativi;

- danneggiare, distruggere gli archivi o i supporti relativi all’esecuzione delle attività di back-

up;

- lasciare incustodito il proprio personal computer sbloccato;

- utilizzare i sistemi informativi a disposizione per attività non autorizzate nell’ambito

dell’espletamento delle attività lavorative;

- acquisire abusivamente, danneggiare o distruggere informazioni o dati contenuti nei

sistemi informativi aziendali o di terze parti;

- entrare nella rete aziendale e nei programmi con un codice d’identificazione utente diverso

da quello assegnato;

- rivelare ad alcuno le proprie credenziali di autenticazione (nome utente e password) alla

rete aziendale o anche ad altri siti/sistemi;

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- aggirare o tentare di eludere i meccanismi di sicurezza aziendali (Antivirus, Firewall, Proxy

Server,) ecc.) di terze parti;

- porre in essere condotte miranti alla distruzione o all’alterazione di sistemi informativi

aziendali o di terze parti;

- intercettare, impedire o interrompere illecitamente comunicazioni informatiche o

telematiche;

- salvare sulle unità di memoria aziendali contenuti o file non autorizzati o in violazione del

diritto d’autore;

- utilizzare o installare programmi diversi da quelli autorizzati dal Direttore Sistemi

Informativi e privi di licenza;

- installare, duplicare o diffondere a terzi programmi (software) senza essere in possesso di

idonea licenza o superando i diritti consentiti dalla licenza acquistata (es. numero massimo

di installazioni o di utenze);

- alterare in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico della

Pubblica Amministrazione, o intervenire senza diritto con qualsiasi modalità su dati,

informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico della Pubblica

Amministrazione, al fine di procurare un vantaggio per la Società;

- accedere ad aree riservate (quali server rooms, locali tecnici, ecc.) senza idonea

autorizzazione, temporanea o permanente;

- impiegare gli strumenti informatici messi a disposizione dalla società per procurarsi,

disporre, distribuire, divulgare o pubblicizzare materiale pornografico ovvero per

distribuire o divulgare notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo

sfruttamento sessuale.

gestione dei profili e password

Nell’attività di gestione e monitoraggio degli accessi ai sistemi informatici e telematici è necessario

l’adozione da parte della Società di procedure interne e di strumenti tecnologici al fine di garantire

un adeguato sistema di sicurezza informatica che assicuri il normale svolgimento delle attività e

dell’erogazione di servizi; la società deve, altresì, adottare, un sistema di controllo sulla sicurezza al

fine di prevenire l’utilizzo non autorizzato di dati e programmi. A tal fine la Società è tenuta a:

dotarsi sempre di cosiddette “password” o parole di accesso, le quali devono costituire lo

strumento di ingresso a qualunque sistema informatico/telematico in uso alla società

nonché di protezione del medesimo. In particolare il processo interno prevede:

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la richiesta di password e di definizione del profilo per l’accesso ad una applicazione

informatica/telematica deve essere inoltrata e, quindi, autorizzata dal Responsabile

della Funzione competente. Quest’ultimo autorizzerà anche eventuali modifiche del

profilo utente;

l’aggiornamento delle password sui diversi applicativi aziendali deve essere

garantita dall’applicazione di regole specifiche definite da parte del Responsabile

dei Sistemi Informativi;

l’accesso tramite VPN è consentito, tramite nome utente e password, secondo

modalità definite dal Responsabile dei Sistemi Informativi;

gestione back – up

tutte le informazioni aziendali che risiedano sui server e sulle banche dati centrali devono

essere sottoposti a regolare procedura di back-up da parte del Responsabile dei Sistemi

Informativi;

il Responsabile dei Sistemi Informativi deve verificare periodicamente l’effettiva esecuzione

delle attività di back-up.

gestione di software, apparecchiature, dispositivi e programmi informatici

Il Responsabile dei Sistemi Informativi deve verificare periodicamente che tutti i programmi

installati sulle postazioni di lavoro aziendali e di terze parti siano dotati di licenza.

gestione della sicurezza di rete

La rete di trasmissione dati aziendale deve essere protetta tramite adeguati strumenti di

limitazione degli accessi (firewall e proxy) supervisionati dal Responsabile dei Sistemi

Informativi;

la rete di trasmissione di dati aziendale deve essere protetta contro il rischio di accesso

abusivo tramite adeguati strumenti di monitoraggio, supervisionati dal Responsabile dei

Sistemi Informativi;

i server, le postazioni fisse e portatili devono essere protetti contro potenziali attacchi

esterni attraverso l’utilizzo di specifici software antivirus, che effettuino controlli in entrata,

costantemente supervisionati da parte del Responsabile dei Sistemi Informativi;

l’accesso ad internet deve essere regolamentato e filtrato attraverso un sistema di web

filtering, supervisionato dal Responsabile dei Sistemi Informativi;

il Responsabile dei Sistemi Informativi deve eseguire periodicamente un’attività di

monitoraggio sugli apparati di rete al fine di garantire la sicurezza dell’accesso alla rete.

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PUGLIA

Life

SOCIETA’ PUGLIA LIFE S.R.L.

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO

APPENDICE

Catalogo dei reati ed analisi delle fattispecie

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INDICE

17. PREMESSA

18. LE FATTISPECIE DI REATO PREVISTE DALL’ART. 24 D.LGS. 231/2001

18.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

19. LE FATTISPECIE DI REATO PREVISTE DALL’ART. 25 DEL D.LGS 231/01

19.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

20. LE FATTISPECIE DI REATO PREVISTE DALL’ART. 25-TER D.LGS. 231/2001

20.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

21. LE FATTISPECIE DI REATO PREVISTE DALL’ART. 25 – SEPTIES DEL D.LGS. 231/01

21.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

22. LE FATTISPECIE DI REATO PREVISTE DALL’ART. 25 – UNDECIES DEL D.LGS. 231/2001

22.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

23. LE FATTISPECIE DI REATO PREVISTE DAGLI ARTT. 24 – TER E 25 – OCTIES D.LGS. 231/2001

23.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

24. I REATI DI FALSO NUMMARIO PREVISTI DALL’ART. 25-BIS D.LGS. 231/2001 ED I REATI CONTRO

L’INDUSTRIA ED IL COMMERCIO PREVISTI DALL’ART. 25-BIS 1 DEL D.LGS. 231/2001

8.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

9. IL REATO DI IMPIEGO DI CITTADINI DI PAESI TERZI IL CUI SOGGIORNO E’ IRREGOLARE DI CUI ALL’ART.

25-DUODECIES D.LGS. 231/2001

9.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

10. I REATI INFORMATICI PREVISTI DALL’ART. 24-BIS ED I REATI CONTRO LA PERSONALITA’ INDIVIDUALE

PREVISTI DALL’ART. 25 – QUINQIES DEL D.LGS. 231/2001

10.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

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1. PREMESSA

Obbiettivo della presente appendice è quello di procedere alla individuazione ed ad una breve

analisi delle fattispecie di reato previste dal D.Lgs. 231/2001 che, dall’analisi del contesto

aziendale, risultano avere un rischio di perpetrazione maggiore, ovverosia:

reati commessi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione (artt. 24 – 25 D. Lgs.

231/2001);

delitti informatici e trattamento illecito dei dati (art. 24 – bis D. Lgs. 231/2001);

reati di criminalità organizzata (art. 24 – ter D.Lgs. 231/2001);

reati di falso nummario (art. 25-bis D.Lgs. 231/2001);

delitti contro l’industria ed il commercio (art. 25-bis 1 D.Lgs. 231/2001);

reati societari (art. 25 – ter D. Lgs. 231/2001);

reati contro la personalità individuale (art. 25 – quinquies D.Lgs. 231/2001);

reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con

violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul

lavoro (art. 25 – septies D. Lgs. 231/2001);

reati di ricettazione, riciclaggio, auto riciclaggio e impiego di danaro, beni ed utilità

di provenienza illecita (art. 25 – octies D. Lgs. 231/2001);

delitto di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci

all’A.G. (art. 25 – decies D.Lgs. 231/2001);

reati ambientali (art. 25 – undecies D.Lgs 231/2001);

impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (art. 25 duodecies

D.Lgs. 231/2001).

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2. LE FATTISPECIE DI REATO PREVISTE DALL’ART. 24 D.LGS. 231/2001

I reati contro la P.A. per i quali l’art. 24 D.Lgs. 231/2001 prevede l’applicazione all’ente di sanzioni

pecuniarie ed interdittive sono i seguenti:

Art. 316 – bis c.p. – Malversazione a danno dello Stato

"Chiunque estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro Ente

Pubblico o dalle Comunità Europee contributi, sovvenzioni, o finanziamenti destinati a favorire

iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non

li destina alle predette finalità, è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni”.

Art. 316 – ter c.p. – Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato

"Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'articolo 640 -bis c.p., chiunque mediante l'utilizzo

o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante

l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi,

finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate,

concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità Europee è punito con la

reclusione da sei mesi a tre anni.

Quando la somma indebitamente percepita è pari od inferiore ad € 3.999,96 si applica soltanto la

sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da € 5.164 a € 25.822. Tale

sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito".

Art. 640 c. p. – Truffa

"Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluni in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto

profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 51 ad

€ 1032.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da € 309 a € 1549:

1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro Ente Pubblico o con il pretesto di fare

esonerare taluno dal servizio militare;

2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o

l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità;

2 bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’art. 61 n. 5).

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze

previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante”.

Art. 640 – bis c.p. - Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche

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“La pena è della reclusione da uno a sei anni e si procede d’ufficio se il fatto di cui all’art. 640

riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo,

comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle

Comunità Europee”.

Art. 640 – ter c.p. – Frode informatica

"Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico e telematico o

intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in

un sistema informatico o telematico o ad essi pertinenti, procura a se o ad altri un ingiusto profitto

con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 51 ad €

1.032.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da € 309 a € 1549 se ricorre una delle

circostanze previste dal n. 1 del secondo comma dell'art. 640, ovvero se il fatto è commesso con

abuso della qualità di operatore del sistema.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al

secondo comma o un'altra circostanza aggravante".

2.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

Le norme penali summenzionate perseguono le condotte di chiunque richieda fraudolentemente,

ottenga dallo Stato o da altro ente pubblico, ovvero ottenga legittimamente ma utilizzi

fraudolentemente, erogazioni pubbliche, beni ed altre utilità ricevute, al fine di trarre per sé o altri

un ingiusto vantaggio o profitto.

Trattasi di ipotesi delittuose, tra di loro diverse, accomunate dalla necessità di poter essere

integrate soltanto ove il soggetto attivo riesca a carpire o ottenere una forma di cooperazione da

parte del soggetto passivo.

Al fine di ottenere tale cooperazione dalla vittima, l’agente deve ricorrere all’utilizzo del mezzo

fraudolento, cioè deve simulare o dissimulare un fatto, ovvero deve creare ad arte un espediente

idoneo a carpire la buona fede della vittima.

L’attività di cooperazione della vittima consiste nel concedere o versare denaro o altre utilità,

ovvero nel subire una diminuzione patrimoniale ovvero nel vedere frustrate le finalità per cui

concede denaro o altre utilità.

Procediamo all’esame delle singole fattispecie delittuose:

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Il reato di malversazione a danno dello Stato previsto e punito dall’art. 316 – bis c.p. persegue le

finalità di reprimere le frodi successive al conseguimento di prestazioni pubbliche erogate per uno

scopo specifico individuato dal precetto che autorizza l’erogazione.

La malversazione a danno dello Stato, prevista e punita dall’art. 316 – bis c.p., è reato proprio del

privato che, una volta ottenuto dallo Stato, da un altro ente pubblico o dalla Comunità Europee,

contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinate alla realizzazione di opere o a favorire attività di

pubblico interesse, li utilizza destinandoli a finalità diverse da quelle per le quali le erogazioni sono

state ottenute.

La condotta consiste dunque nel distrarre le somme ricevute, anche solo parzialmente,

indipendentemente dalla nuova e diversa destinazione loro assegnata. Esemplificando, una volta

ottenuta un’erogazione pubblica per scopi umanitari e solidaristici, le somme ricevute devono

essere destinate a quell’unica finalità, senza eccezione.

Sotto il profilo soggettivo, la norma richiede il dolo generico, integrato dalla semplice coscienza e

volontà, in capo all’agente, di destinare il denaro ricevuto ad uno scopo diverso da quello per cui

era stato erogato ed ottenuto.

Il reato è consumato nel momento della distrazione del danaro, pertanto esso può perfezionarsi

anche rispetto ad erogazioni già ricevute, fino a quando di esse non si sia disposto.

L’ipotesi di reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato previsto e punito dall’art.

316 –ter c.p. tutela la libera formazione delle volontà della P.A., con riferimento ai flussi di

erogazione e distribuzione delle risorse economiche, al fine di impedirne la scorretta attribuzione e

l’indebito conseguimento, sanzionando l’obbligo di verità delle informazioni e delle notizie offerte

dal soggetto che richiede il contributo.

Nell’ipotesi di cui all’art. 316 – ter c.p. l’erogazione pubblica consegue alla presentazione di

documenti falsi o attestanti cose non vere, oppure alla omessa comunicazione di informazioni

dovute.

La somiglianza fra la fattispecie di cui all’art. 316 – ter c.p. e quella di truffa aggravata per il

conseguimento di erogazioni pubbliche p. e p. dall’art. 640 – bis c.p. ha destato non pochi

problemi interpretativi.

Invero secondo un primo orientamento giurisprudenziale l’ipotesi di cui all’art. 316 – ter c.p.

sarebbe da ritenere in rapporto di specialità con quella di truffa aggravata per il conseguimento di

erogazioni pubbliche, per cui, quando la condotta posta in essere sia solo quella descritta nella

prima di dette norme, consistente nella semplice attestazione di fatti non conformi al vero o nel

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silenzio e non venga raggiunta la soglia prevista per la sua rilevanza penale, essa resta sanzionabile

solo in via amministrativa6.

Altro orientamento, più recente, sposa la tesi della sussidiarietà: la linea di discrimine tra il reato di

indebita percezione di pubbliche erogazioni e quello di truffa aggravata finalizzata al

conseguimento delle stesse va ravvisata nella mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi del

primo reato, della induzione in errore del soggetto passivo. Pertanto, qualora l’erogazione

consegua alla mera presentazione di una dichiarazione mendace senza costituire l’effetto

dell’induzione in errore dell’ente erogante circa i presupposti che la legittimano, ricorre la

fattispecie prevista dall’art. 316 – ter c.p. e non quella di cui all’art. 640 – bis c.p.7.

Il secondo dei due orientamenti aderisce all’arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n.

16568 del 19.04.2007 con il quale i giudici di legittimità avevano individuato “l’ambito di

applicabilità dell’art. 316 – ter c.p. a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio

antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione

patrimoniale”.

L’articolo 640 – bis c.p. punisce il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni

pubbliche e si riferisce, dunque, ad ipotesi più gravi in cui l’erogazione indebita dipende dalla falsa

rappresentazione, in capo al soggetto passivo (ente), della sussistenza dei presupposti per

concedere i contributi, indotta e provocata dall’attività del richiedente con artifizi e raggiri, cioè

con una messa in scena fittizia, con una simulazione, una dissimulazione o un espediente.

Il delitto di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche si consuma già nel momento del

versamento da parte dell’ente erogante dei finanziamenti richiesti attraverso la presentazione di

un preventivo di spesa artatamente “gonfiato” anche quando sia previsto a carico del richiedente

l’obbligo di una successiva rendicontazione sull’effettivo impiego delle somme percepite8.

Per erogazioni ai quali si riferiscono gli artt. 316 – ter c.p. e 640 – bis c.p. debbono intendersi tutte

le erogazioni pubbliche, comunque denominate (contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui

agevolati) cioè ogni attribuzione agevolata erogata dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle

Comunità Europee, specificatamente finalizzate alla realizzazione di opere o allo svolgimento di

attività di interesse pubblico.

Entrambe le condotte penalmente rilevanti devono essere sorrette dal dolo generico, consistente

nella coscienza e volontà di usare l’atto falso o omettere un’informazione doverosa, oppure nel

6 Cass. Pen. 06.03.2003 n. 148177 Cass. Pen. 11.12.2008 n. 458458 Cass. Pen. 15.01.2010 n. 4839

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simulare la sussistenza dei presupposti di erogazione di un contributo, inducendo in errore gli

organi di un ente pubblico, per il conseguimento del contributo.

Resta però a questo punto da capire la linea di demarcazione fra il delitto di cui all’art. 640 – bis

c.p. ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato p. e p. dall’art. 640 co. 2 n. 1 c.p.

Questa seconda fattispecie interviene a punire tutte le condotte fraudolente che mirano a

conseguire erogazioni pubbliche diverse da quelle punite dall’art. 640 – bis c.p. nel senso che le

due ipotesi di reato sono identiche quanto agli elementi costitutivi ed alla condotta tipica del

soggetto agente, mentre si differenziano rispetto all’oggetto materiale della frode per la diversa

qualità dell’erogazione pubblica frodata.

Come affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 26351 del 26.06.2002 “la formulazione

dell’art. 640 – bis c.p. introduce chiaramente un elemento di specializzazione rispetto alla

fattispecie di cui all’art. 640 c.p., laddove descrive il fatto – reato richiamando quello di cui all’art.

640 con tutti i suoi elementi costitutivi (artifici e raggiri, induzione in errore e connessa

disposizione patrimoniale, ingiusto profitto dell’agente o di terzi, danno del soggetto passivo) ma

prevedendo un oggetto materiale specifico della condotta fraudolenta e della disposizione

patrimoniale, vale a dire contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello

stesso tipo, concessi o erogati dallo Stato, enti pubblici o Comunità Europee”. Nello stesso senso

Cass. Pen. Sez. Un. 19.04.2007 n. 16568 “l’art. 640 – bis c.p. prevede una particolare circostanza

aggravante del delitto di truffa, che si pone in rapporto di specialità con la circostanza aggravante

do cui all’art. 640 co. 2 n. 1 c.p. Infatti, se si raffrontano le due norme, risulta immediatamente

evidente coma sia concentrico l’ambito di applicazione delle circostanze aggravanti da esse

previste. La circostanza prevista dall’art. 640 c.p. co. 2 n. 1 c.p. si applica a qualsiasi truffa

commessa a danno dello Stato o di altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal

servizio militare. La circostanza prevista dall’art. 640 – bis c.p. si applica solo quando la truffa abbia

comportato l’indebita erogazione di contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre

erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri

enti pubblici o delle Comunità Europee”.

A chiusura del sistema delle frodi l’art. 24 del D. Lgs. 231/2001 contempla, tra le ipotesi di

responsabilità della società, anche il reato di frode informatica commesso per ottenere un

vantaggio della società.

L’art. 640 – ter c.p. è stato introdotto alla scopo di reprimere le ipotesi di illecito arricchimento

conseguito attraverso l’impiego fraudolento di un sistema informatico.

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La norma de qua è posta a tutela sia della riservatezza e della regolarità dei sistemi informatici che

del patrimonio altrui; l’evento consiste nel conseguimento da parte del soggetto attivo di un

ingiusto profitto con altrui danno. Trattasi di reato a forma libera che prevede alternativamente

una condotta consistente nell’alterazione del funzionamento del sistema informatico o telematico,

ovvero in un intervento non autorizzato sui dati, informazioni e programmi ivi contenuti.

Il reato di frode informatica, non diversamente dal comune reato di truffa, si consuma nel

momento in cui l’agente consegue l’ingiusto profitto con l’altrui danno. Ha la medesima struttura e

quindi i medesimi elementi costitutivi del reato di truffa, l’unica differenza è che l’attività

fraudolenta investe non la persona, di cui difetta l’induzione in errore, ma il sistema informatico di

pertinenza della stessa, attraverso la manipolazione di detto sistema.

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3. LE FATTISPECIE DI REATO PREVISTE DALL’ART. 25 DEL D.LGS 231/01

I reati contro la P.A. per i quali l’art. 25 D.Lgs. 231/2001 prevede l’applicazione all’ente di sanzioni

pecuniarie ed interdittive sono i seguenti:

Art. 317 c.p. – Concussione

"Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi

poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente a lui o ad un terzo, denaro o

altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni".

Art. 318 c.p. – Corruzione per l’esercizio della funzione

"Il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri indebitamente riceve per

sé o per un terzo, denaro od altra utilità on ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da

uno a cinque anni”

Art. 319 c.p. – Corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio

"Il pubblico ufficiale che per, omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo

ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri d'ufficio, riceve per sé

o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da

quattro a otto anni”.

Art. 319 – bis c.p. – Circostanze aggravanti

"La pena è aumentata se il fatto di cui all'art. 319 c.p. ha per oggetto il conferimento di pubblici

impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata

l'amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene".

Art. 319 – ter c.p. – Corruzione in atti giudiziari

"Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in

un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da quattro a dieci

anni.

Se dal fatto deriva l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la

pena è della reclusione da cinque a dodici anni; se deriva l'ingiusta condanna alla reclusione

superiore a cinque anni o all'ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni".

Art. 319-quater c.p. – Induzione indebita a dare o promettere utilità

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio

che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere

indebitamente a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da tre a otto anni.

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Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la

reclusione fino a tre anni”.

Art. 320 c.p. – Corruzione di persona incaricata di pubblico servizio

"Le disposizioni degli artt. 318 e 319 si applicano anche all'incaricato di un pubblico servizio.

In ogni caso le pene sono ridotte in misura non superiore a un terzo".

Art. 321 c.p. – Pene per il corruttore

"Le pene stabilite nel primo comma dell'art. 318, nell'art. 319, nell'art. 319 - bis, nell'art. 319 - ter e

nell'art. 320 in relazione alle suddette ipotesi degli art. 318 e 319, si applicano anche a chi dà o

promette al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio il denaro o altra utilità".

Art. 322 c.p. – Istigazione alla corruzione

"Chiunque offre o promette denaro o altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un

incaricato di pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere

un atto del suo ufficio, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena

stabilita nel primo comma dell'art. 318, ridotta di un terzo.

Se l'offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico

servizio ad omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi

doveri, il colpevole soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita

dall'art. 319, ridotta di un terzo.

La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio

che sollecita una promessa o una dazione di denaro o altra utilità per l’esercizio delle sue funzioni o

dei suoi poteri.

La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio

che sollecita una promessa o dazione di denaro o di altra utilitò da parte del privato per le finalità

indicate nell'art. 319".

Art. 322 – bis c.p. – Peculato, concussione, induzione a dare o promettere utilità, corruzione e

istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità Europee e di funzionari delle

Comunità Europee e di Stati Esteri.

“Le disposizioni degli articoli 314, 316, da 317 a 320 e 322, terzo e quarto comma, si applicano

anche:

1) ai membri della Commissione delle Comunità europee, del Parlamento europeo, della Corte di

Giustizia e della Corte dei conti delle Comunità europee;

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2) ai funzionari e agli agenti assunti per contratto a norma dello statuto dei funzionari delle

Comunità europee o del regime applicabile agli agenti delle Comunità europee;

3) alle persone comandate dagli Stati membri o da qualsiasi ente pubblico o privato presso le

Comunità europee, che esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti delle

Comunità europee;

4) ai membri e agli addetti a enti costituiti sulla base dei Trattati che istituiscono le Comunità

europee;

5) a coloro che, nell'ambito di altri Stati membri dell'Unione europea, svolgono funzioni o attività

corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio;

5-bis) ai giudici, al procuratore, ai procuratori aggiunti, ai funzionari e agli agenti della Corte

penale internazionale, alle persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte

penale internazionale le quali esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti

della Corte stessa, ai membri ed agli addetti a enti costituiti sulla base del Trattato istitutivo della

Corte penale internazionale .

Le disposizioni degli articoli 319-quater, secondo comma, 321 e 322, primo e secondo comma, si

applicano anche se il denaro o altra utilità è dato, offerto o promesso:

1) alle persone indicate nel primo comma del presente articolo;

2) a persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli

incaricati di un pubblico servizio nell'ambito di altri Stati esteri o organizzazioni pubbliche

internazionali, qualora il fatto sia commesso per procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio in

operazioni economiche internazionali ovvero al fine di ottenere o di mantenere un’attività

economica finanziaria.

Le persone indicate nel primo comma sono assimilate ai pubblici ufficiali, qualora esercitino

funzioni corrispondenti, e agli incaricati di un pubblico servizio negli altri casi”.

3.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

Il reato di concussione p. e p. dall’art. 317 c.p. è reato proprio del pubblico ufficiale o

dell’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri costringa o

induca taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altre utilità.

Trattasi di una forma peculiare di estorsione che si differenzia dall’ipotesi di cui all’art. 629 c.p. per

la parziale diversità della condotta (la concussione non richiede necessariamente la violenza o la

minaccia nell’azione del soggetto attivo tendente a conseguire la dazione del danaro o di altra

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utilità) e per la particolare qualifica rivestita dal soggetto attivo (che può essere solo un pubblico

ufficiale o un incaricato di pubblico servizio).

Secondo l’opinione prevalente in dottrina e giurisprudenza, trattasi di reato plurioffensivo.

Tra gli interessi tutelati dalla norma in esame vi è senz’altro il buon andamento e l’imparzialità

della P.A., posto che il P.U. o l’IPS, il quale ponga in essere la condotta incriminata, compie in ogni

caso un uso strumentale dei poteri conferitigli dalla legge, i quali, invece che essere destinati al

perseguimento delle finalità di interesse pubblico ad essi riconnesse, sono piegati alla

soddisfazione egoistica degli interessi economici del soggetto attivo.

Allo stesso tempo la norma protegge l’integrità patrimoniale del soggetto passivo il quale, in

conseguenza della condotta di induzione e costrizione realizzata dall’agente, si trova a compiere

un atto di disposizione patrimoniale delle cui natura indebita egli è pienamente consapevole.

Quanto alla condotta, due sono gli elementi essenziali che connotano la fattispecie in commento:

da una parte l’abuso dei poteri e delle qualità da parte del soggetto attivo, che si può

sostanzialmente definire come un esercizio distorto, eccentrico, funzionale ed anomalo degli

stessi, in definitiva posto in essere per finalità diverse da quelle corrispondenti al fine di interesse

pubblico che costituisce la causa giustificatrice dei poteri in questione.

Va, peraltro, considerato che l’abuso può concretarsi tanto nell’adozione di atti discrezionali,

quanto in quella di atti di natura tecnico discrezionale o vincolata: nel primo e nel secondo caso,

l’abuso si manifesterà nel perseguimento di un fine di interesse pubblico diverso da quello per il

quale il potere è stato espressamente conferito; nel terzo, nella mancata adozione dell’atto in

presenza dei presupposti di legge o nell’adozione di un atto non conforme a quello prescritto dalla

legge stessa.

Altro elemento della condotta è rappresentato dall’induzione o dalla costrizione, causalmente

riconducibile all’abuso, finalizzata a conseguire il danaro o altra utilità per effetto dell’atto di

disposizione del soggetto passivo. Mentre la costrizione viene identificata con la condotta

connotata di violenza psicologica e tendente alla sopraffazione mediante il condizionamento della

volontà della vittima, la previsione dell’induzione come altra manifestazione della concussione

sembra finalizzata a coprire tutti i comportamenti di sopraffazione del privato non direttamente

riconducibili alla violenza.

Ulteriore requisito della condotta è, infine, costituito dalla dazione di danaro o di altra utilità da

parte del soggetto passivo, quale diretta conseguenza del comportamento abusivo di induzione o

costrizione realizzato dal P.U.

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In tale ottica si suole anche parlare della concussione come di una tipica ipotesi di reato a

cooperazione artificiosa della vittima, nel quale, cioè, il soggetto attivo, per poter conseguire

l’ingiusto profitto, necessita in defettibilmente della intermediazione del soggetto passivo.

La giurisprudenza prevalente ha da sempre ritenuto elemento costitutivo fondamentale della

condotta di cui all’art. 317 c.p., pur se non testualmente previsto, quello rappresentato dal metus

publicae potestatis, inteso come timore reverenziale nutrito dal soggetto passivo nei riguardi del

ruolo istituzionale o comunque pubblico rivestito dal pubblico ufficiale, ovvero dell’influenza in

ogni caso esercitabile dall’incaricato di pubblico servizio.

Tuttavia tale tesi ha subito una brusca battuta d’arresto per effetto della sentenza della Corte di

Cassazione Pen. Sez. VI 28.02.2008 n. 8907, nella quale si è precisato che la sussistenza del delitto

di concussione non è esclusa nel caso che il soggetto passivo sia inconsapevole della qualità di

pubblico ufficiale oggettivamente propria del suo interlocutore, purché ricorra il rapporto di causa

ad effetto configurato nella norma penale, e cioè il concreto influsso sulla volontà della vittima

della condotta realizzata dall’agente mediante un abuso del potere o della qualità rivestiti.

La condotta deve essere sorretta dal dolo generico, vale a dire dalla rappresentazione e dalla

volontà del concessore di porre in essere una condotta abusiva e di richiedere e percepire una

dazione o una promessa di danaro o di altra utilità indebita.

Il reato di corruzione si compone di diverse fattispecie. Contemplate dagli artt. 318 e ss. c.p., le

quali presentano tutte un nucleo di disvalore comune, ravvisabile nel mercanteggiamento delle

funzioni pubbliche, commesso allorché il soggetto pubblico e privato si accordino affinché il primo

compia atti del proprio ufficio, ovvero atti contrari all’ufficio, ovvero ancora ometta di compiere

atti dell’ufficio, in cambio della promessa o della dazione di somme di danaro o di altre utilità da

parte del secondo.

Trattasi di fattispecie a concorso necessario, in cui la presenza di almeno due soggetti – corrotto e

corruttore – rappresenta indefettibile elemento costitutivo dell’ipotesi delittuosa.

Quanto al bene giuridico protetto dalla norma in esame, esso viene ravvisato nell’interesse

generale al corretto funzionamento ed al prestigio della P.A., con particolare riferimento alla

probità e legittimità dell’agire dei pubblici poteri.

La corruzione si suole distinguere in corruzione propria o impropria a seconda che il danaro o

l’utilità vengano dati o promessi quali corrispettivo del compimento di un atto di ufficio

(impropria) ovvero di un atto contrario ai doveri di ufficio o ancora dell’omissione o del ritardo di

un atto di ufficio (propria).

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Si distingue ancora tra corruzione antecedente e susseguente, a seconda che il pactum sceleris

abbia ad oggetto una condotta ancora da realizzarsi da parte del P.U. o dell’IPS ovvero già

eseguita.

Ai fini della nozione di atti di ufficio, tale deve ritenersi l’atto legittimo - rientrante nella

competenza del P.U. o dell’IPS – sia di natura discrezionale che vincolata.

Quanto alla nozione di atti contrari ai doveri di ufficio, tale è da ritenersi l’atto che sia illegittimo –

vietato cioè da norme imperative o che si pongano in contrasto con norme giuridiche dettate per

la loro validità ed efficacia – sia quello che, se pure formalmente regolare, sia posto in essere

prescindendo volutamente dall’osservanza dei doveri gravanti su colui il quale lo pone

materialmente in essere.

Oggetto materiale della condotta è il danaro o altra utilità: quest’ultima può essere anche di

natura non patrimoniale e consistere ad esempio nell’interesse di un partito politico o

nell’aspirazione di un successo politico personale.

Le fattispecie delineate dagli artt. 318 (“Corruzione per l’esercizio della funzione”) e 319 c.p.

(Corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio”) si applicano, ai sensi dell’art. 320 c.p., anche

all’incaricato di pubblico servizio (nel caso di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio)

ed all’incaricato di pubblico servizio che rivesta la qualità di pubblico impiegato (nell’ipotesi di

corruzione per un atto di ufficio).

Il sistema di tutela del codice penale vuole essere completo e punisce anche l’ipotesi di istigazione

alla corruzione.

Ai sensi dell’art. 322 c.p.(“Istigazione alla corruzione”) è punito tanto il privato che offra o

prometta al P.U. o all’IPS denaro o altra utilità per indurlo a compiere un atto del suo ufficio

ovvero un atto contrario o ad omettere un atto dovuto, qualora l’offerta non sia accettata; quanto

il P.U. o l’IPS che solleciti la dazione o la promessa di danaro o di altra utilità per compiere,

ritardare o omettere un atto dell’ufficio ovvero contrario ad esso.

La norma de qua disciplina dunque l’ipotesi del P.U. o dell’IPS probo che rifiuti il tentativo di

corruzione da parte del privato, ovvero del privato probo che rifiuti la sollecitazione alla corruzione

da parte del P.U.

Il reato di cui all’art. 322 c.p. richiede, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, il dolo specifico in

capo all’agente, perfezionandosi con la semplice offerta o sollecitazione alla corruzione.

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Il legislatore del 2012 ha introdotto una nuova fattispecie di reato – quella prevista dall’art. 319 –

quater c.p. (“Induzione indebita a dare o promettere utilità”) – che secondo i commentatori si

pone al confine tra l’ipotesi di concussione e quella di corruzione.

La vecchia fattispecie dell’art. 317 fattispecie mista alternativa che ruotava sulle due condotte del

“costringere” e dell’“indurre” – viene sdoppiata, cosicché la concussione stricto sensu ruota oggi

esclusivamente sulla condotta di costrizione (“il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità

o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro

o altra utilità”), mentre la condotta di induzione, espunta dall’art. 317, ricade appunto nella

fattispecie del ‘nuovo reato’ di cui all’art. 319-quater (che incrimina ,“salvo che il fatto non

costituisca più grave reato”, la condotta de “il pubblico ufficiale o [del]l’incaricato di un pubblico

servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere

indebitamente, a lui o a un terzo, denaro od altra utilità”). Per effetto di ciò, il pubblico ufficiale

viene punito più gravemente (reclusione da sei a dodici anni) nel caso di concussione (per

costrizione) e meno gravemente invece nel caso di induzione indebita (reclusione da tre a otto

anni), mentre il concusso, che continua ad essere implicitamente assunto come una vittima – non

punibile – della concussione costrittiva, è invece fatto espressamente (co-)responsabile della

concussione per induzione, sia pur con pena inferiore (reclusione fino a tre anni) rispetto a quella

cui va incontro il pubblico agente induttore (secondo comma dell’art. 319-quater).

Infine l’art. 322-bis c.p. statuisce un’estensione soggettiva della incriminabilità per un numero

tassativo di delitti contro la P.A. per i casi in cui fossero coinvolti funzionari stranieri e

internazionali, punibilità che – secondo i commentatori – non poteva ammettersi in forza di una

interpretazione estensiva delle nozioni di Pubblico Ufficiale e di Incaricato di Pubblico Servizio di

cui agli artt. 357 e 358 c.p., tutti incentrati su una dimensione “domestica” di tutela della P.A. che

escludeva ogni amministrazione pubblica di un ordinamento straniero.

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4. LE FATTISPECIE DI REATO PREVISTE DALL’ART. 25-TER D.LGS. 231/2001

I reati societari per i quali l’art. 25 – ter del D.Lgs. 231/2001 prevede l’applicazione all’ente di

sanzioni sono i seguenti:

Art. 2621 c.c. – False comunicazioni sociali

“Salvo quanto previsto dall'articolo 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti

alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di

ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei

bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al

pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero

omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica,

patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad

indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l'arresto fino a due anni.

La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati

dalla società per conto di terzi.

La punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la

rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo

al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano

una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per

cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento.

In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente

considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.

Nei casi previsti dai commi terzo e quarto, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la

sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone

giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall'esercizio dell'ufficio di amministratore,

sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili

societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o

dell'impresa”.

Art. 2622 c.c. – False comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori

“Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili

societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di

conseguire per sè o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre

comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti materiali

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non rispondenti al vero ancorchè oggetto di valutazioni, ovvero omettendo informazioni la cui

comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della

società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari

sulla predetta situazione, cagionano un danno patrimoniale alla società, ai soci o ai creditori, sono

puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorchè aggravato, a danno del

patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato,

di altri enti pubblici o delle Comunità europee.

Nel caso di società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del testo unico di cui al

decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, la pena per i fatti previsti al

primo comma è da uno a quattro anni e il delitto è procedibile d'ufficio. La pena è da due a sei anni

se, nelle ipotesi di cui al terzo comma, il fatto cagiona un grave nocumento ai risparmiatori. Il

nocumento si considera grave quando abbia riguardato un numero di risparmiatori superiore allo

0,1 per mille della popolazione risultante dall'ultimo censimento ISTAT ovvero se sia consistito nella

distruzione o riduzione del valore di titoli di entità complessiva superiore allo 0,1 per mille del

prodotto interno lordo.

La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è estesa anche al caso in cui le

informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. La punibilità

per i fatti previsti dal primo e terzo comma è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in

modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della

società o del gruppo al quale essa appartiene.

La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del

risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una

variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento.

In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente

considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.

Nei casi previsti dai commi settimo e ottavo, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la

sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone

giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall'esercizio dell'ufficio di amministratore,

sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili

societari, nonchè da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o

dell'impresa”.

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Art. 2625 c.c. – Impedito controllo

“Gli amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque

ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo legalmente attribuite ai soci o ad altri organi

sociali sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.329 euro.

Se la condotta ha cagionato un danno ai soci, si applica la reclusione fino ad un anno e si procede a

querela della persona offesa.

La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di

altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116

del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”.

Art. 2626 c.c. – Indebita restituzione di conferimenti

"Gli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono,

anche simulatamente, i conferimenti ai soci o li liberano dall'obbligo di eseguirli, sono puniti con la

reclusione fino ad un anno".

Art. 2627 c.c. – Illegale ripartizione degli utili e delle riserve

"Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, gli amministratori che ripartiscono utili o acconti

su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero che ripartiscono

riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite, sono puniti con

l'arresto fino ad un anno.

La restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per

l'approvazione del bilancio estingue il reato".

Art. 2628 c.c. – Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante

"Gli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o

quote sociali, cagionando una lesione all'integrità del capitale sociale o delle riserve non

distribuibili per legge, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.

La stessa pena si applica agli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o

sottoscrivono azioni o quote emesse dalla società controllante, cagionando una lesione del capitale

sociale o delle riserve non distribuibili per legge.

Se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l'approvazione del

bilancio relativo all'esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è

estinto".

Art. 2629 c.c. – Operazioni in pregiudizio dei creditori

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"Gli amministratori che, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano

riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, cagionando danno ai creditori,

sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato”.

Art. 2629 – bis c.c. – Omessa comunicazione del conflitto di interessi

“L'amministratore o il componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in

mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura

rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.

58, e successive modificazioni, ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del testo unico

di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, del citato testo unico di cui al decreto

legislativo n. 58 del 1998, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 del decreto legislativo 21

aprile 1993, n. 124, che viola gli obblighi previsti dall'articolo 2391, primo comma, è punito con la

reclusione da uno a tre anni, se dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi”.

Art. 2632 c.c. – Formazione fittizia di capitale

"Gli amministratori e i soci conferenti che, anche in parte, formano od aumentano fittiziamente il

capitale sociale mediante attribuzioni di azioni o quote in misura complessivamente superiore

all'ammontare del capitale sociale, sottoscrizione reciproca di azioni o quote, sopravvalutazione

rilevante dei conferimenti di beni in natura o di crediti ovvero del patrimonio della società nel caso

di trasformazione, sono puniti con la reclusione fino ad un anno".

Art. 2633 c.c. – Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori

"I liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o

dell'accantonamento delle somme necessario a soddisfarli, cagionano danno ai creditori, sono

puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato ".

Art. 2635 c.c. – Corruzione tra privati

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti

preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito

della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sè o per altri, compiono od omettono

atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando

nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.

Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è

sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.

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Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è

punito con le pene ivi previste.

Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in

mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura

rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione

finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.

Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della

concorrenza nella acquisizione di beni o servizi”.

Art. 2636 c.c. – Illecita influenza sull’assemblea

"Chiunque, con atti simulati o fraudolenti, determina la maggioranza in assemblea, allo scopo di

procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni".

Art. 2637 c.c. – Aggiotaggio

"Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici

concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non

quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un

mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico

ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della

reclusione da uno a cinque anni".

Art. 2638 c.c. – Ostacolo all’esercizio delle funzioni della autorità pubbliche di vigilanza

"Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili

societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità

pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle

predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni di

vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla

situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo stesso

fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto

comunicare, concernenti la situazione medesima, sono puniti con la reclusione da uno a quattro

anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o

amministrati dalla società per conto di terzi.

Sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla

redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società, o enti e gli altri

soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro

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confronti, i quali, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette

autorità, consapevolmente ne ostacolano le funzioni.

La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di

altri Stati dell’Unione Europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 del

T.U. del D.Lgs. 24.02.1998 n. 58”;

Art. 173 – bis T.U.F. – Falso in prospetto

"Chiunque, allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei prospetti richiesti per

la sollecitazione all'investimento o l'ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, ovvero

nei documenti da pubblicare in occasione delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, con

l'intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, espone false informazioni od occulta dati o

notizie in modo idoneo a indurre in errore i suddetti destinatari, è punito con la reclusione da uno a

cinque anni. L'articolo 2623 del codice civile è abrogato".

4.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

Gli artt. 2621 e 2622 c.c. (ovvero i reati di false comunicazioni sociali) mirano a tutelare la corretta

rendicontazione dei fatti aziendali.

In altri termini il presidio penale mira ad evitare che gli amministratori ed i sindaci della società

alterino i contenuti “quantitativi” di un bilancio trasmettendo false informazioni o inserendovi

valutazioni erronee o non corrispondenti al vero, facendo figurare attivi o passivi fittizi.

Più in particolare il nuovo articolo 2621 c.c. – così come modificato dall’art. 1 del D.Lgs. 11.04.2002

n. 61 – prevede il reato per le false comunicazioni sociali poste in essere dagli amministratori di

società, con l’intenzione di ingannare i soci o altri, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre

comunicazioni sociali previste dalla legge.

Il reato consiste in una contravvenzione, punita con l’arresto, ma la punibilità resta esclusa se la

falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione

economica, patrimoniale o finanziaria della società e se determinano una variazione del risultato

economico di esercizio non superiore all’1%.

Il reato previsto dall’art. 2621 c.c. (“False comunicazioni sociali”), come modificato, si distingue per

esclusione da quello di cui all’art. 2622 c.c. (“False comunicazioni sociali in danno della società, dei

soci e dei creditori”) relativo alle false comunicazioni sociali in danno di soci o dei creditori.

Invero, nel primo sono punite le false comunicazioni sociali dirette ai soci o ai creditori. L’art. 2621

c.c. prevede un reato di pericolo, che tutela la regolarità dei bilanci e delle altre comunicazioni

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sociali come interesse della generalità; l’art. 2622 c.c. è strutturato, al contrario, come reato di

danno a tutela degli interessi dei soci e dei creditori9.

È bene precisare come nella definizione di “comunicazioni sociali” sono comprese non solo le

comunicazioni dirette all’assemblea dei soci e dei terzi interessati, ma anche le dichiarazioni

trasfuse negli atti contabili al fine di alterare fraudolentemente le verità atteso che la ratio della

norma postula che la falsificazione si identifichi in qualsiasi attività diretta ad alterare la situazione

obbiettiva della società.

La falsità deve, dunque, essere riportata nel bilancio inteso nella sua nozione di documento

complesso composto dallo stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa.

Le relazioni sono quelle che accompagnano i prospetti contabili e, più in generale, qualunque altra

comunicazione commentativa.

Rileva poi la direzionalità delle comunicazioni che devono essere dirette ai soci ovvero ai creditori,

con esclusione tanto delle comunicazioni individuali quanto di quelle interorganiche.

Le “altre comunicazioni sociali” sono poi quelle previste dalla legge, cioè quelle che rilevano alla

formazione di atti della società o che sono prodromici al compimento di atti della società.

La nuova formulazione dell’art. 2621 c.c. chiarisce i dubbi sulla sua applicabilità anche senza

querela di parte.

Ne deriva che, ove dovesse mancare la querela, che è invece ancora necessaria per l’applicabilità

del più grave reato di cui all’art. 2622 c.c., si configura comunque il reato di false comunicazioni

sociali p. e p. dall’art. 2621 c.c.

Entrambi sono reati propri degli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori. A tali

soggetti vanno aggiunti, ex art. 2639 c.c., coloro che sono legalmente incaricati dall’Autorità

Giudiziaria o dall’Autorità Pubblica di Vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa

posseduti per conto di terzi; ex art. 135 D.Lgs. 385/93 coloro che svolgono funzioni di

amministrazione, direzione e controllo presso banche; ex art. 2615 – bis c.c. le persone che hanno

la direzione dei consorzi con attività esterna; ex art. 13 D.Lgs. 240/91 gli amministratori ed i

liquidatori del GEIE.

La condotta tipica del reato di false comunicazioni sociali si caratterizza per l’alternatività della

condotta: la prima tipizzazione consiste nell’esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero,

ancorché oggetto di valutazioni; la seconda tipizzazione consiste nell’omissione di informazioni la

cui comunicazione è imposta dalle legge.

9 Cass. Pen. 19.06.2002 n. 23449139

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Le informazioni falsificate o omesse devono avere per oggetto la situazione economica,

patrimoniale o finanziaria della società.

I profili maggiormente problematici della falsità della comunicazione riguardano i fatti e le poste

del bilancio oggetto di valutazione.

Il Legislatore ha inteso riferirsi a tutte le valutazioni non veritiere o infedeli, siano esse riferite a

fatti falsi ovvero a fatti veri: ogni valutazione falsa o infedele integra l’illecito, salva l’irrilevanza

penale determinata dalla soglia di punibilità che esclude il reato per le valutazioni estimative che,

singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore a quanto previsto dalla norma

(“la soglia di punibilità di cui all’art. 2621 comma 3 c.c., riferentesi alla variazione del patrimonio

netto nella misura dell’1% deve essere calcolato avendo quale base di riferimento la somma dei tre

addendi elencati nell’art. 2424 c.c., costituiti dal capitale, riserve ed utili di esercizio, mentre la

soglia riferentesi alla variazione del risultato economico di esercizio nella misura del 5% deve

essere calcolata avendo come base di riferimento la somma dei quattro addendi elencati nell’art.

2425 c.c., costituiti dai costi di produzione, proventi ed oneri finanziari, rettifiche di valore delle

attività finanziarie e proventi ed oneri straordinari”10).

Quanto all’elemento psicologico del reato, entrambe le fattispecie richiedono il dolo specifico,

consistente nella coscienza e volontà di determinare in errore soci o terzi, allo scopo di indurli a

comportamenti o rapporti nei confronti della società che diversamente e presumibilmente non

terrebbero.

Il reato di “falsità nelle relazioni nelle comunicazioni delle società di revisione” p. e p. dall’art.

2624 c.c. era già contemplato all’art. 175 del T.U. di intermediazione finanziaria (D.Lgs. 58/1998),

poi sostituito dall’articolo in commento con la riforma del 2002.

Il reato de quo si configura come contravvenzione o delitto a secondo che dalla falsità derivi un

danno ai soggetti destinatari delle comunicazioni.

Trattasi di reato proprio che può essere commesso solo ed unicamente dai soggetti responsabili

della revisione, ovvero dal socio o amministratore della società di revisione che sottoscrive la

relazione: sono perciò esclusi dalla formulazione i direttori generali ed i sindaci della società di

revisione i quali, semmai, possono rispondere a titolo di concorso.

Il reato di cui all’art. 2624 c.c. è di pericolo presunto, posto che non è richiesto, per il suo

perfezionarsi, un danno o un pericolo effettivo per la società; di conseguenza non rileva sotto il

profilo dell’elemento soggettivo la consapevolezza del danno o del pericolo per gli interessi sociali,

10 Corte di Appello Milano 10.06.2003140

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occorrendo soltanto un comportamento cosciente e volontario consistente nel compimento di

operazioni con denaro o con altre garanzie della società, da parte dei titolari dei poteri di gestione

o controllo della medesima a proprio personale vantaggio, in violazione di un inderogabile divieto

che ne determina, altresì, la nullità sotto il profilo civilistico ai sensi dell’art. 1418 comma 1 c.c11.

La condotta punita è l’attestazione del falso o l’occultamento di un’informazione concernente la

situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, attraverso il veicolo delle

comunicazioni sociali.

L’attestazione del falso riguarda ipotesi di mendacio valutativo che si concretizza nel dichiarare, in

maniera difforme dal vero, che la contabilità è stata tenuta regolarmente, che il bilancio

corrisponde alle scritture contabili, che sono conformi le norme di redazione del bilancio ai criteri

adottati per la sua compilazione; l’occultamento di informazioni riguarda invece casi in cui l’agente

revisore non rende noti i dati relativi allo stato patrimoniale, economico o finanziario della società.

I documenti nei quali è espressa questa falsità possono essere la relazione della società di

revisione sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato e più in generale tutti i documenti in cui

la società di revisione esprime i propri giudizi e pareri, nonché ogni altra comunicazione

comunque funzionale ad indirizzare la società a compiere scelte e/o operazioni.

La fattispecie di impedito controllo p. e p. dall’art. 2625 c.c. è reato posto a tutela del compito del

collegio dei sindaci e del diritto dei soci di esercitare il controllo sull’attività di gestione della

società.

Si tratta anche in questo caso di reato proprio degli amministratori ai quali sono equiparati i

componenti del consiglio di gestione o di quelli del consiglio di amministrazione di società che

abbiano adottato il modello monistico o dualistico di organizzazione.

Nella sua formulazione ante riforma la norma puniva ogni condotta a forma libera che realizzasse

un impedimento all’esercizio del controllo sulla gestione della società, tant’è che in quest’ottica

risultava penalmente rilevante anche la condotta dell’amministratore che avesse trasferito i libri

sociali e le altre scritture contabili dalla sede principale della società ad altra sede periferica.

Nella nuova formulazione il Legislatore ha preferito una maggiore tipizzazione della condotta

illecita, prevedendo due modalità di condotta alternative fra di loro: l’occultamento di documenti

o l’uso di idonei artifici che impedisca il controllo sulla gestione societaria.

11 Cass.17.03.2000 n. 7178141

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L’impedito controllo deve avere come destinatari della condotta i soci, gli altri organi sociali o le

società di revisione, mentre è esclusa l’integrazione del reato rispetto, per esempio, ad un

creditore pignoratizio.

L’illecito amministrativo sin qui descritto si trasforma in delitto punibile a querela della persona

offesa qualora la condotta cagioni un danno ai soci.

Le pene sono raddoppiate se la società è quotata in borsa.

Nella figura di illecito amministrativo la condotta può essere sorretta, indifferentemente da dolo o

colpa; nell’ipotesi delittuosa occorre naturalmente il dolo generico, ovvero la consapevolezza di

porre in essere una condotta di impedimento che rechi danno ai soci.

L’indebita restituzione di conferimenti o di liberazione dall’obbligo di eseguirli di cui all’art. 2626

c.c., assolve alla fondamentale esigenza di tutela dell’integrità ed effettività del capitale sociale a

garanzia dei diritti dei creditori e dei terzi.

Tale fattispecie di reato costituisce una norma di chiusura del sistema di tutela dell’integrità del

capitale sociale, chiamata ad operare in tutti i casi in cui non possa trovare applicazione altra

norma specifica di tutela del capitale sociale: ci si riferisce in questo senso all’ipotesi di reato di

illegale ripartizione di utili e riserve che si pone in rapporto di specialità rispetto alla norma in

commento.

Trattasi di reato proprio degli amministratori della società; la condotta consiste nella restituzione o

liberazione dall’obbligo di eseguire il conferimento, cioè l’apporto patrimoniale cui i soci sono

obbligati per poter costituire la società.

La restituzione illegittima del conferimento consiste nella sua restituzione senza congruo

corrispettivo, ovvero nella simulazione, anche solo parziale, della sua restituzione, per esempio

con un trasferimento di proprietà fittizio del conferimento in natura.

La illegittima liberazione dall’obbligo del conferimento consiste, invece, in ogni comportamento di

rinuncia, anche simulata, al rapporto negoziale.

Il reato di illegale ripartizione di utili e riserve p. e p. dall’art. 2627 c.c. è altra fattispecie posta a

tutela dell’integrità ed effettività del capitale sociale.

Si tratta ancora di reato proprio degli amministratori della società e consiste nella ripartizione di

utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti e destinati per legge a riserva.

Ai fini dell’applicazione della norma de qua per “utile” si intende non già l’utile di esercizio bensì

l’utile di bilancio: ogni incremento di valore del patrimonio netto rispetto al capitale sociale ed alle

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riserve obbligatorie, comprensivo di tutti gli aumenti come eredità, legati o donazioni,plusvalenze

da rivalutazione economica o monetaria.

Rilevano ai fini di una illegale distribuzione, gli utili non effettivamente conseguiti, cioè non

realmente acquisiti per qualunque motivo, ovvero quelli destinati per legge a riserva (riserve legali

ex art. 2430 c.c.; riserve legali per la reintegrazione del capitale sociale o per il mantenimento di

altre riserve legali; riserve legali non distribuibili per le valutazioni delle immobilizzazioni

finanziarie secondo il metodo del patrimonio netto) e non invece da norme statutarie.

Il secondo comma della norma in commento prevede una particolare causa di estinzione del reato,

allorché la restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve avvenga prima dell’approvazione

del bilancio.

Si tratta di reato contravvenzionale, che rende la condotta punibile anche a titolo di colpa. La

degradazione del reato in esame da delitto a contravvenzione ne permette la configurabilità anche

soltanto quando la ripartizione dell’utile non sia eseguita volutamente in violazione delle

disposizioni di legge, ma anche allorché segua ad un comportamento soltanto negligente o

imprudente degli amministratori nella distribuzione degli utili (si pensi alle distribuzioni di acconti

in corso di esercizio).

Anche il reato p. e p. dall’art. 2628 c.c. (“Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della

società controllante”) è posto a presidio dell’integrità del capitale sociale.

Si tratta sempre di reato proprio degli amministratori che procedono ad eseguire operazioni sulle

azioni o quote della società o delle società controllate, fuori dei casi consentiti dalla legge, così

erodendo e diminuendo il capitale sociale o le riserve non distribuibili.

Integrano il reato soltanto quelle operazioni espressamente vietate dalla legge dalle quali derivi

una menomazione del capitale sociale: il riferimento del legislatore – così come risultante dalla

relazione di accompagnamento al decreto legislativo – è alle ipotesi di leveraged buy out, cioè alle

ipotesi di acquisto di azioni proprie per interposta persona.

Le condotte tipizzate dal legislatore sono quelle di acquisto e di sottoscrizione di azioni o quote

sociali da parte degli amministratori.

Per le operazioni di acquisto, vige un divieto assoluto per gli amministratori di società a

responsabilità limitata; vige invece un divieto relativo, limitato alle operazioni effettuate con fondi

indisponibili o se ha ad oggetto azioni non interamente liberate, per gli amministratori di società

per azioni e di società cooperative.

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Le operazioni di acquisto per le quali vige il divieto sono tutte le operazioni che abbiano ad oggetto

il trasferimento in proprietà dei titoli, tra le quali va annoverata anche quella di riporto, l’acquisto

su commissione o la permuta.

Quando, tuttavia, la legge preveda deroghe l’acquisto è consentito: casi di acquisto a titolo

gratuito, acquisto in esecuzione di una delibera di riduzione del capitale, acquisto per successione

a titolo universale, di fusione o acquisto in occasione dell’esecuzione forzata per il

soddisfacimento di un credito della società, con l’avvertenza che in queste due ultime ipotesi il

divieto resta comunque valido qualora si tratti di azioni non interamente liberate.

La seconda modalità della condotta è quella di sottoscrizione di azioni o quote sociali; mentre la

sottoscrizione reciproca è penalmente sanzionata con la formazione fittizia di capitale di cui all’art.

2632 c.c.

Analoghe osservazioni valgono per l’ipotesi prevista dal comma 2 dell’art. 2628 c.c., ovvero

quando la condotta di acquisto o di sottoscrizione abbia ad oggetto azioni o quote emesse dalla

società controllante.

La realizzazione della condotta tipica non perfeziona il reato se non si accompagna ad un evento di

danno: soltanto se l’operazione depauperi effettivamente il capitale sociale potrà assumere

rilevanza penale, mentre la realizzazione di un’operazione, sia pure vietata, che non cagioni un

danno, non integrerà il reato.

Anche per il reato in commento è prevista una speciale causa estintiva qualora la ricostituzione del

capitale sociale ovvero delle riserve avvenga prima dell’approvazione del bilancio relativo

all’esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta.

Altra fattispecie di reato posta a presidio del capitale sociale è quella contemplata dall’art. 2629

c.c. (“Operazioni in pregiudizio dei creditori”).

È reato proprio degli amministratori che effettuino operazioni di riduzione del capitale sociale,

fusioni o scissioni con altre società cagionando un danno ai creditori.

Tuttavia secondo un certo orientamento della giurisprudenza i sindaci possono rispondere a titolo

di concorso commissivo od omissivo, in quanto titolari di una funzione di controllo e quindi

soggetti obbligati all’impedimento del reato ai sensi dell’art. 40 comma 2 c.p.12

Il limite alle operazioni di riduzione del capitale, fusione o scissione è il rispetto delle norme di

legge previste a tutela dei creditori e dunque consiste nel rispetto dei limiti relativi all’ammontare

minimo del capitale sociale previsto dalla legge per i singoli tipi di società, ovvero nel rispetto delle

12 Cass. Pen. 28.02.1991144

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precauzioni procedurali previste dall’art. 2503 c.c. per i casi di fusione, ovvero nel rispetto delle

norme di legge per le ipotesi di scissione.

Il reato è procedibile a querela della persona offesa che abbia subito un danno dall’operazione

eseguita dagli amministratori ed è, comunque, estinto se prima del giudizio sia risarcito il danno ai

creditori.

Il nuovo art. 2629 bis c.c. (“Omessa comunicazione del conflitto di interessi”), introdotto dall'art. 31

della legge 262/2005, punisce con la reclusione da uno a tre anni «L'amministratore o il

componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati

italiani o di altro Stato dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi

dell'art. 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive

modificazioni, ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del testo unico di cui al decreto

legislativo 1° settembre 1993, n. 385, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n, 58 del

1998, della legge 12 agosto 1982, n. 576, o del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che viola

gli obblighi previsti dall'art. 2391, primo comma, (…) se dalla violazione siano derivati danni alla

società o a terzi”.

Al riguardo, giova ricordare che l'art. 2391, comma 1, c.c., come modificato dal D. Leg. 17 gennaio

2003, n. 6, pone a carico dell'amministratore, che abbia in una determinata operazione un

interesse (per conto proprio o di terzi) in conflitto con quello della società, l'obbligo di darne

notizia agli altri componenti del consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, precisandone

la natura, i termini, l'origine e la portata. Se si tratta di Amministratore con poteri, egli deve altresì

astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale.

La nuova figura criminosa, sanziona dunque l'inosservanza del dovere di fedeltà imposto agli

amministratori dalla normativa civilistica.

Per l'opinione prevalente, la fattispecie si colloca idealmente nell'orizzonte di tutela proprio del

delitto di infedeltà patrimoniale1, giacché sottopone a pena condotte prodromiche rispetto a

quelle contemplate dall'art. 2634 c.c.2, seppure ugualmente produttrici di un evento di danno.

Rispetto alla vecchia fattispecie di «conflitto di interessi», che pure veniva tradizionalmente

attratta nell'orbita della tutela del patrimonio sociale, il delitto di nuovo conio presenta sue

proprie caratteristiche distintive.

Iniziando a esaminare la fattispecie sotto il profilo dei soggetti attivi, deve rilevarsi che l'art. 2629-

bis c.c. prevede un reato proprio. Esso, infatti, può essere commesso esclusivamente

dall'amministratore o dal componente del consiglio di gestione delle società quotate o a capitale

145

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diffuso in misura rilevante ex art. 116 T.U. in materia di intermediazione finanziaria ovvero dai

soggetti che ne esercitano di fatto i poteri corrispondenti ai sensi dell'art. 2639 c.c.

La condotta tipica si innesta sulla situazione di conflitto di interessi, che costituisce il presupposto

del reato e fa scattare l'obbligo, penalmente sanzionato, di cui all'art. 2391, comma 1, c.c.

L'odierno art. 2629-bis c.c., a differenza della previgente fattispecie di conflitto di interessi,

prevede per la sussistenza della responsabilità penale la verificazione i danni alla società o a terzi, i

quali non possono derivare dalla semplice omissione del dovere di comunicare l'esistenza

dell'interesse in conflitto.

Ne discende che il delitto previsto dall'art. 2629-bis c.c. richiede, quale requisito implicito di

tipicità, la partecipazione dell'amministratore all'operazione che, in ragione del conflitto di

interessi, risulta potenzialmente dannosa per la società o per i terzi.

Più precisamente, e con riguardo al momento omissivo, deve osservarsi che, essendo i destinatari

della comunicazione doverosa gli "altri amministratori", l'ambientazione per così dire ordinaria del

reato è quella della formazione della volontà in organi collegiali, quali il consiglio di

amministrazione o il comitato esecutivo.

Per quel che concerne il compimento dell'operazione potenzialmente pregiudizievole, occorre

distinguere a seconda che esso richieda la deliberazione di un organo collegiale, quale il consiglio

di amministrazione o il comitato esecutivo, ovvero sia opera dell'amministratore unico. Nel primo

caso, deve escludersi che integri la condotta tipica la semplice partecipazione.

Decisivo sarà il modo in cui l'amministratore, portatore dell'interesse in conflitto, ha votato: il

reato non sussisterà ove l'amministratore, facendo prevalere il dovere di fedeltà nei confronti

della società, si sia espresso contro il proprio interesse ovvero ancora nel caso in cui il suo voto

non sia stato decisivo ai fini dell'approvazione. Queste conclusioni valgono, mutatis mutandis, per

l'operazione compiuta dall'amministratore unico, che risulterà penalmente irrilevante quando, pur

essendo stata realizzata in presenza di un conflitto di interessi celato, non abbia arrecato danno

alla società.

La fattispecie in esame prevede che il soggetto attivo sia punito «se dalla violazione siano derivati

danni alla società o a terzi». La formula utilizzata fa pensare a una condizione obiettiva di

punibilità, piuttosto che all'evento del reato. Conseguentemente nell'oggetto del dolo non

rientrerà la coscienza e volontà di provocare un danno ai soci o a terzi. Quanto alla natura del

danno, condividendo l'art. 2639-bis c.c. la ratio di tutela del patrimonio sociale propria delle

146

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fattispecie di infedeltà, deve condividersi la tesi del carattere necessariamente patrimoniale del

pregiudizio subito dalla società o dai terzi.

La fattispecie oggettiva richiede infine la derivazione causale del danno dalla condotta tipica, da

accertarsi in termini condizionalistici, fermo restando che l'intervento di fattori imprevedibili ed

eccezionali può interrompere il nesso causale ai sensi dell'art. 41, comma 1, c.p. (si pensi

all'acquisto di una società di proprietà dell'amministratore, il cui valore di mercato si riduce

sensibilmente dopo l'operazione a causa di un'improvvisa crisi del settore).

Il dolo è generico. Sotto il profilo dell'oggetto, l'elemento soggettivo richiede la consapevolezza da

parte dell'agente della situazione di conflitto di interessi nel senso sopra precisato.

Anche il reato p. e p. dall’art. 2632 c.c. (“Formazione fittizia di capitale”) – reato proprio degli

amministratori o dei soci conferenti – è posto a tutela dell’effettività del capitale sociale.

La prima condotta incriminata è quella di “attribuire azioni o quote sociali per una somma inferiore

la loro valore nominale”.

La seconda condotta incriminata è quella consiste nella “sottoscrizione reciproca di azioni o quote”:

il requisito della reciprocità non presuppone la contestualità o la connessione delle due

operazioni, bensì l’esistenza di uno specifico accordo avente di mira lo scambio di azioni o quote,

indipendentemente dal fatto che le operazioni siano omogenee o disomogenee.

La terza condotta incriminata è quella di rilevante sopravvalutazione di conferimenti di beni in

natura o di crediti ovvero del patrimonio della società in caso di trasformazione.

Il reato è punito a titolo di dolo generico consistente nella coscienza e volontà di formare o

aumentare fittiziamente il capitale sociale attraverso le condotta sopra descritte.

Il reato di cui all’art. 2633 c.c. (“Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori”) può

essere commesso solo dai liquidatori della società; tuttavia qualora i soci dovessero procedere alla

ripartizione dell’attivo senza nominare i liquidatori risponderebbero del reato a titolo di liquidatori

di fatto.

La condotta de qua deve essere sorretta dal dolo generico e consiste nel ripartire i beni sociali tra i

soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell’accantonamento delle somme necessarie a

soddisfarli, così cagionando loro un danno.

Anche per questa ipotesi di reato è prevista una speciale causa di estinzione qualora, prima del

giudizio, venga risarcito il danno cagionato.

La fattispecie di cui all’art. 2635 c.c. (“Corruzione tra privati”) è stata introdotta dalla L. 06.11.2012

n. 190 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella

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pubblica amministrazione” e sostituisce il precedente art. 2635 c.c. rubricato “infedeltà a seguito

di dazione o promessa di utilità”, con contestuale sua introduzione, limitatamente al comma 3, nel

novero dei c.d. reati – presupposto all’art. 25 – ter comma 1 lett. s-bis del D.Lgs. 231/01.

In primis viene ampliato l’elenco dei soggetti attivi che, accanto ad amministratori, direttori

generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori,

ricomprende coloro che sono sottoposti alla direzione o vigilanza di questi ultimi. Introdotta la

procedibilità d’ufficio nell’ipotesi in cui vi sia una distorsione della concorrenza nell’acquisizione di

beni e servizi e prevista infine la riferibilità della dazione o promessa di denaro o altra utilità, non

solo ai soggetti attivi, ma anche ai terzi.

Da segnalare che la nuova lettera s-bis dell’art.25-ter, rinviando ai “casi previsti dal terzo comma

dell’art. 2635 c.c.”, prevede, in sostanza, che ai sensi del D. Lgs. 231/01 può essere sanzionata la

società cui appartiene il soggetto corruttore, in quanto solo questa società può essere

avvantaggiata dalla condotta corruttiva.

Al contrario, la società alla quale appartiene il soggetto corrotto, per definizione normativa,

subisce un danno in seguito alla violazione dei doveri d’ufficio o di fedeltà.

Il reato di cui all’art. 2636 c.c. (“Illecita influenza sull’assemblea”) configura un reato comune che

può essere commesso da chiunque, soggetto anche estraneo alla società, sia in grado di

determinare la maggioranza in assemblea e ne sfrutti a proprio vantaggio le determinazioni.

Esso contempla una condotta di frode caratterizzata da comportamenti artificiosi, rappresentati da

una componente simulatoria idonea a realizzare un inganno, configurandosi come reato di evento,

posto che per la consumazione del reato in commento è richiesta l’effettiva determinazione della

maggioranza nell’assemblea ed è preordinata a tutelare l’interesse al corretto funzionamento

dell’organo assembleare.

La condotta tipica incriminata è quella di determinare la decisione assembleare in modo tale che,

senza l’illecito conseguimento dei voti, la maggioranza assembleare verrebbe a cadere.

Costituiscono atti simulati tutti quelli riconducibili allo schema di cui all’art. 1414 c.c.; costituiscono

atti fraudolenti l’avvalersi di azioni o quote non collocate o ancora fare esercitare sotto altro nome

il diritto di voto spettante alle proprie azioni o quote, ovvero qualunque altro mezzo illecito.

Il reato richiede il dolo specifico.

Con riferimento al reato di aggiotaggio la condotta richiesta dall’art. 2637 c.c. al fine di configurare

il delitto in oggetto, consiste nel diffondere notizie false.

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Invero, “l'aggiotaggio informativo non può che richiedere una condotta attiva, ossia la

divulgazione di una notizia, il cui contenuto non è tipizzato dalla norma e può pertanto essere

inerente non solo a fatti storici o avvenimenti, ma anche a circostanze e situazioni; la falsità della

notizia potrà poi derivare o dall'esposizione di elementi non veri o dall'occultamento di dati, ma

sempre nell'ambito della divulgazione della notizia, il che esclude la configurabilità di aggiotaggio

omissivo”13.

La fattispecie di aggiotaggio (già prevista dall'art. 5 l. 157/91, quindi dall'art. 181 d.lgs. 58/98 e ora

dall'art. 2637 c.c.) sanziona non solo il compimento di operazioni simulate ma anche la

realizzazione di "altri artifici": la manipolazione del mercato può quindi essere realizzata anche

mediante operazioni effettive, non assolutamente prive di rischio economico e apparentemente

lecite, ma che combinate fra loro, ovvero realizzate in presenza di determinate circostanze di

tempo e di luogo, intenzionalmente realizzino una distorsione del meccanismo di formazione dei

prezzi, in modo tale che il pubblico degli investitori sia indotto in errore circa l'andamento reale del

mercato. Particolare attenzione è stata posta, dalla giurisprudenza, alla locuzione “altri artifici”.

Ci si è chiesti soprattutto, in ottica costituzionale, se la norma, attraverso espressioni del tipo “altri

artifici” (o anche “influenza sensibile” in ambito di alterazione dei prezzi), non violasse il principio

di determinatezza della fattispecie.

La giurisprudenza ha negato la sussistenza di tale violazione: “l'utilizzo delle espressioni “artifici” e

“influenza sensibile” non comportano una violazione del principio costituzionale di tassatività. Le

suddette espressioni ricevono infatti adeguata luce dalla finalità dell'incriminazione e dal quadro

normativo su cui essa si innesta” 14.

Infatti “il richiamo all'esigenza che siano “sensibili” le variazioni di mercato contribuisce a

connotare la condotta di alterazione e svolge quindi nella fattispecie una funzione meramente

esplicativa degli elementi costitutivi dell'illiceità, rispetto alla quale è da ritenere tollerabile una

maggiore, elasticità espressiva, una volta individuato il tipico contenuto di disvalore del fatto. Così

interpretata, la norma risulta compatibile con il principio di legalità”15.

Il porre in essere la condotta evidenziata, tuttavia non basta per configurare il delitto de quo: il

reato in oggetto è, infatti, reato di pericolo concreto (“il reato di manipolazione del

mercato/aggiotaggio informativo è reato di pericolo concreto che si consuma nel momento e nel

luogo di diffusione della notizia falsa ad una quantità indeterminata di persone. Poiché l'art. 66 del

13 Tr. Milano 25.06.200514Corte Appello Milano 3.3.200415 Cassazione penale , sez. V, 07 dicembre 2004, n. 2279

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regolamento Consob stabilisce che è la società di gestione del mercato (ossia la Borsa) a mettere a

disposizione del pubblico il comunicato ricevuto dalla società emittente, la diffusione al pubblico

non avviene nel momento della comunicazione a soggetti determinati (come la Consob, la Borsa, le

due agenzie di stampa), ma nel momento in cui la Borsa diffonde il comunicato ad una sfera

indeterminata di persone”16.

Il che vuol dire che la condotta posta in essere (che è, all’evidenza, condotta vincolata), per

configurare reato, deve necessariamente essere concretamente pericolosa nel senso, specificato

dal legislatore, di essere idonea a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti

finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle

negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero idonea ad incidere in modo significativo

sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari.

Quanto sopra affermato rende manifesta la circostanza secondo la quale anche fatti di per sé leciti,

qualora concretamente idonei nel senso descritto dall’articolo 2637, possono configurare “artifici”

degni di attenzione da parte degli operatori che intendano applicare la norma in esame: si pensi, a

mo’ d’esempio, al c.d. “marking the close”, stratagemma che utilizza atti di per sé leciti, quali la

conclusione di contratti in fase di chiusura della seduta borsistica, ma che è considerato dalla

giurisprudenza, in casi particolari, condotta idonea a configurare aggiotaggio.

Trattandosi di delitto, la disciplina dell’elemento soggettivo del reato de quo segue i canoni

generali sicché, in assenza di esplicita previsione normativa,non v’è punibilità a titolo di colpa, ma

solo in presenza di dolo, pur anche nella sua forma “attenuata” di dolo eventuale.

Non risulta, invece, richiesto il dolo specifico, ossia il fine di turbativa del mercato, con ciò

differenziandosi, la fattispecie in esame, da quella di aggiotaggio come prevista dall’articolo 501

del codice penale.

Nel caso di reato commesso da più persone, fra loro in concorso, il compartecipe deve,

naturalmente, essere in dolo rispetto a tutta la fattispecie; ciò comporta che una consapevolezza

limitata al proprio operato (e non estesa all’intera vicenda), da parte di chi avesse posto in essere

solo un segmento della fattispecie, implicherebbe carenza dell’elemento soggettivo e, pertanto,

della punibilità a titolo di concorso (“chi partecipa all'operazione, anche se solo ad un segmento

della stessa, deve necessariamente avere consapevolezza dell'intera vicenda, altrimenti non si può

sostenere un suo concorso nel reato, mancando una partecipazione cosciente e volontaria alla

realizzazione del fatto vietato dalla norma”).17

16 Trib. Milano 25.06.200517 Corte appello Milano, 31 marzo 2004

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Interessante risulta, ulteriormente, soffermarsi sul rapporto intercorrente tra l’articolo 501 del

codice penale e la nuova fattispecie de qua, se non altro per ribadire come l’entrata in vigore di

quest’ultima non abbia abrogato implicitamente l’art. 501 c.p.

Infatti l’articolo 501 del codice penale, in effetti, si pone con la nuova fattispecie in rapporto di

genere a specie, sicché la formulazione dell’articolo 2637 ha semplicemente limitato il campo

d’azione della norma del codice penale.

Pacifico risulta, pertanto, ancor oggi, uno spazio di operatività del reato di aggiotaggio comune.

La fattispecie di cui all’art. 2638 c.c. (“Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche

di vigilanza”) è finalizzata a permettere la effettività della tutela delle autorità di vigilanza.

Il delitto in esame configura un reato proprio degli amministratori, dei direttori generali, dei

sindaci, dei liquidatori di società ed enti, nonché degli altri soggetti sottoposti per legge alle

autorità pubbliche di vigilanza e di quelli tenuti ad obblighi nei loro confronti.

Due le condotte incriminate prescritte dalla norma in esame: l’esposizione di fatti non rispondenti

al vero e l’occultamento (anche parziale) con mezzi fraudolenti di fatti la cui comunicazione è

doverosa.

Quanto alla condotta di occultamento della informazione doverosa è bene precisare che

l’occultamento, oltre che contrario ad una comunicazione dovuta per legge o ad una richiesta

specifica dell’autorità, deve essere altresì il frutto dell’utilizzo di altri mezzi fraudolenti.

L’oggetto della falsa comunicazioni devono essere le condizioni economiche, patrimoniali e

finanziarie della società.

Il dolo richiesto dal Legislatore è specifico: per la sua integrazione è infatti necessario che il

soggetto attivo agisca al fine di ostacolare le funzioni di vigilanza, estendendo l’ambito di

applicazione dell’art. 2638 c.c. “al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o

amministrati dalla società per conto di terzi” (cd. fenomeno dei cd. patrimoni gestiti, la cui

rilevanza ai fini della fattispecie in esame è stata prevista in attuazione della legge di delega in

tema di false comunicazioni sociali).

Quanto, infine, al reato di falso in prospetto p. e p. dall’art. 173-bis del T.U.F., come noto, il delitto

di falso in prospetto – ab origine – era contemplato dall'art. 2623 Cod. civ. nei seguenti termini:

"Chiunque, allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei prospetti richiesti ai

fini della sollecitazione all'investimento o dell'ammissione alla quotazione nei mercati

regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione delle offerte pubbliche di

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acquisto o di scambio, con la consapevolezza della falsità e l'intenzione di ingannare i destinatari

del prospetto, espone false informazioni od occulta dati o notizie in modo idoneo ad indurre in

errore i suddetti destinatari è punito, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale,

con l'arresto fino ad un anno.

Se la condotta di cui al primo comma ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari del

prospetto, la pena è della reclusione da uno a tre anni".

Nel 2005, in coincidenza con l'emanazione della c.d. "legge risparmio" (l. 262/2005), nel Testo

Unico Finanza (d.lgs. 58/1998) è stato introdotto l'art. 173 bis, intitolato "Falso in prospetto" (in

vigore dal 12 gennaio 2006).

Il mutamento più significativo tra vecchia e nuova incriminazione – al di là dell'aumento di pena

previsto nell'art. 173 bis TUF – appare l'abbandono (nel novum legislativo) della distinzione tra

contravvenzione e delitto. Inoltre, non si richiede più la consapevolezza della falsità da parte

dell'agente (requisito che la stessa dottrina ha definito "ultroneo").

L'avvicendamento tra l'art. 2623 Cod. civ. e l'art. 173 bis TUF, sembra dover essere inquadrato

nello schema della successione di leggi penali, con conseguente applicabilità dell'art. 2, co. 4, Cod.

pen.

Invero, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, per dirimere la

quaestio se ci si trova dinanzi a mera successione di norme penali ovvero al fenomeno dell'abolitio

criminis (per il quale si applica il disposto dell'art. 2, co. 2, Cod. pen.), occorre far riferimento al

criterio della continuità strutturale del tipo di illecito. Alle fattispecie criminose sopra indicate è

stata aggiunta l’istigazione alla corruzione tra privati, Art. 2635-bis c.c. (Istigazione alla corruzione

tra privati).

1. Chiunque offre o promette denaro o altra utilità non dovuti agli amministratori, ai direttori

generali, ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, ai sindaci e ai

liquidatori, di società o enti privati, nonché a chi svolge in essi un'attività lavorativa

con l'esercizio di funzioni direttive, affinché compia od ometta un atto in violazione degli obblighi

inerenti al proprio ufficio o degli obblighi di fedeltà, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non

sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell'articolo 2635, ridotta di un terzo.

2. La pena di cui al primo comma si applica agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti

preposti alla redazione dei documenti contabili societari, ai sindaci e ai liquidatori, di società o enti

privati, nonché a chi svolge in essi attività lavorativa con l'esercizio di funzioni direttive, che

sollecitano per se' o per altri, anche per interposta persona, una promessa o dazione di denaro o 152

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di altra utilità, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro

ufficio o degli obblighi di fedeltà, qualora la sollecitazione non sia accettata.

3. Si procede a querela della persona offesa.

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5. LE FATTISPECIE DI REATO PREVISTE DALL’ART. 25 – SEPTIES DEL D.LGS. 231/01

L’art. 9 della L. 3.08.2007 n. 123 ha esteso la responsabilità amministrativa delle persone

giuridiche ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime connessi con violazione

delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute del corpo, all’uopo

introducendo nel corpus del D.Lgs. 231/01 l’art. 25 – septies.

Con il D.Lgs. 09.04.2008 n. 81 (T.U. tutela della salute e della sicurezza del lavoro) il Legislatore,

recependo molte osservazioni critiche formulate nei confronti della prima stesura di tale norma,

ha realizzato una vera e propria compenetrazione tra la normativa della responsabilità

amministrativa degli enti e la disciplina antinfortunistica.

L’ente è ora chiamato a predisporre un’organizzazione che, ad una fase di valutazione dei rischi di

sicurezza e salute (già imposta agli artt. 4 e ss. del D.Lgs. 626/94) ne fa seguire un’altra, volta

all’adozione ed all’attuazione di un piano di gestione di tali rischi.

La mancanza o l’inadeguatezza di una tale organizzazione costituisce criterio di attribuzione

soggettiva dei fatti di reato che ne conseguono – lesioni e decessi colposi – non solo in capo alle

persone fisiche (datore di lavoro) ma anche in capo all’ente, incriminato sulla base della c.d. colpa

di organizzazione, da intendersi come devianza da un modello di diligenza esigibile dal sistema

aziendale nel suo complesso.

Le sanzioni previste possono giungere, in special modo quelle interdittive, a miniare la stessa

esistenza dell’ente, colpendo oltre le sue casse anche la sua capacità di esercitare l’attività

economica.

Perché la disposizione in esame abbia un senso, occorre forzarne il significato letterale ed

affermare che l’interesse o il vantaggio dell’ente vadano riferiti alla sola condotta colposa, cioè al

comportamento di chi non rispetti tutte le regole cautelari volute dalla legge, con lo scopo di

risparmiare sui costi della sicurezza, ovvero che il vantaggio dell’ente vada inteso in termini

meramente oggettivi, come effetto che consegue al comportamento criminoso.

Le fattispecie di reato previste dall’art. 25-septies D.Lgs. 231/2001 sono:

Art. 589 c.p. – Omicidio colposo

“Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a

cinque anni.

Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di

quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.

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Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto e' commesso con violazione delle

norme sulla disciplina della circolazione stradale da:

1)soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto

legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;

2)soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più

persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse

aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici”.

Art. 590 c.p. – Lesioni personali colpose

“Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre

mesi o con la multa fino a euro 309.

Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro

619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro

1.239.

Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della

circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni

gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per

le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.

Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto di cui al terzo comma è

commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c),

del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto

l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi e della reclusione da sei

mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a

quattro anni.

Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle

violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli

anni cinque.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo

capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli

infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia

professionale”.

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5.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

Il reato di omicidio colposo di cui all’art. 589 c.p. è posto a presidio della vita e dell’incolumità

individuale, quale bene primario tutelato dalla Costituzione. Come ogni altro delitto d’omicidio

anche quello previsto dalla norma in commento è a forma libera: può essere realizzato con

qualsiasi condotta dalla quale derivi l’evento mortale.

La giurisprudenza è costante nel ritenere che l’omicidio colposo si consuma nel momento e nel

luogo in cui si verifica l’evento, ovvero la morte del soggetto passivo.

Il soggetto attivo è indifferente (chiunque); peraltro, come si vedrà infra, la condizione di certe

categorie di persone (medici, imprenditori, conducenti di veicoli) può assumere rilievo peculiare.

Il soggetto passivo del delitto de quo è la persona umana, vivente anche se non vitale (“la qualità

di persona non si acquista con la nascita vera e propria, la quale si ha con la fuoriuscita del

concepito dall’alvo materno e con il taglio del cordone ombelicale, bensì in un momento anteriore,

sia pur di poco: quello in cui ha inizio il distacco del feto dall’utero materno. Ne deriva che è

ravvisabile il delitto di omicidio colposo quando sopraggiunge la morte del feto tra il distacco

dall’utero materno e l’espulsione definitiva”)18.

Il reato di omicidio colposo presuppone che l’evento, anche se previsto, non sia voluto dall’agente,

ma si verifichi a causa di negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi,

regolamenti, ordini o discipline.

Con riferimento al concetto di colpa, le definizioni dottrinali, con terminologie diverse, convergono

sostanzialmente nel ravvisare come essenza unitaria della colpa l’aver realizzato un fatto illecito

con inosservanza di regole di comportamento aventi funzione cautelare, di tutela preventiva del

bene offeso.

Le qualifiche di “negligenza, imprudenza, imperizia” (cd. colpa generica) definiscono l’inosservanza

di regole di condotta non formalizzate dall’ordinamento giuridico.

L’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (cd. colpa specifica) può fondare una

responsabilità per colpa, in quanto si tratti di norme precauzionali dirette a prevenire eventi

pregiudizievoli.

Le categorie di norme considerate comprendono leggi e regolamenti in senso formale ed inoltre gli

ordini e le discipline consistenti in disposizioni indirizzate ad una cerchia specifica di destinatari

che si assume possano essere emanate sia da Pubbliche autorità sia da privati, in relazione alla

disciplina di particolari attività o situazioni.

18 Cass. Pen. 10.07.1979 n. 6476156

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Taluno sostiene che dovrebbe trattarsi di regole comunque recepite dall’ordinamento, in modi

conformi alla riserva di legge, non essendo concepibile poter rimettere a soggetti privati la

determinazione di precetti penali.

Ai fini della colpa vengono in rilievo regole a contenuto tecnico – disciplinare, poste da soggetti

garanti della sicurezza di determinate situazioni o attività, per i quali l’emanazione di regole di

sicurezza è modalità fondamentale di adempimento della garanzia dovuta.

Quanto al problema dell’accertamento del nesso di causalità materiale, valgono le regole generali

dettate dalla giurisprudenza di legittimità (“è causa penalmente rilevante la condotta umana,

attiva od omissiva, che si pone come condizione necessaria – conditio sine qua non – nella catena

degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato, senza la quale l’evento da cui dipende

l’esistenza del reato non si sarebbe verificato. La verifica della causalità postula il ricorso al cd.

giudizio contro fattuale, articolato sul condizionale congiuntivo “se … allora” (nella forma di un

periodo ipotetico dell’irrealtà, in cui il fatto enunciato nella protasi è contrario ad un fatto

conosciuto come vero) e costruito secondo la tradizionale doppia formula, nel senso che: a) la

condotta umana è condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente dal novero dei

fatti realmente accaduti, l’evento non si sarebbe verificato; b) la condotta umana non è condizione

necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente mediante il medesimo procedimento, l’evento si

sarebbe ugualmente verificato”)19.

Problema particolarmente scottante anche e soprattutto ai fini che ci occupa è quello della

responsabilità del datore di lavoro.

Invero, proprio negli ultimi anni, si sono avute molto pronunce della Suprema Corte dirette a

sanzionare la condotta omissiva del datore di lavoro a fronte di infortuni occorsi ai dipendenti sui

luoghi di lavoro.

La posizione di garanzia del datore di lavoro rinviene la propria fonte normativa nell’art. 2087 c.c.

(che impone al datore di lavoro di preservare la salute fisica e morale del lavoratore), la violazione

della quale genera non solo inadempimento contrattuale ma può anche comportare l’addebito in

sede penale.

Peraltro proprio il D.Lgs. n. 81/2008 ha dettato una serie di obblighi specifici in materia di tutela

della salute e della sicurezza dei lavoratori che il datore di lavoro è tenuto ad osservare.

19 Cass. Pen. Sez. Un. 11.09.2002 n. 30328 – Sentenza Franzese

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Proprio in ordine al problema dell’accertamento della causalità omissiva nei reati di omicidio

colposo, la Suprema Corte ha osservato che il datore di lavoro ha il dovere di accertarsi del rispetto

dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in

condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il

tempo in cui è prestata l’opera.

In altri termini, il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare attività

lavorative sicure, assicurando sempre l’adozione da parte di tutti i dipendenti delle necessarie

misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavorativa

prestata.

Secondo Cass. Pen. Sez. IV 12.11.2008 n. 42143 la responsabilità del datore di lavoro è destinata a

venire meno solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri

dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle

precise direttive organizzative ricevute e che sia del tutto imprevedibile ed inopinabile.

Peraltro, in ogni caso, nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o inidoneità delle

misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, al fine di escludere la responsabilità del datore di

lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato

occasione all’evento, qualora questo sia da ricondurre comunque alla mancanza o insufficienza di

quelle cautele che, se adottate, avrebbero impedito il rischio di di siffatto comportamento.

Anche il reato di lesioni personali colpose p. e p. dall’art. 590 c.p. offende il bene giuridico della

incolumità della persona e l’interesse dello Stato all’integrità fisica e psichica dei consociati.

Soggetto passivo del reato è sempre la persona umana vivente.

Il reato in commento è a consumazione istantanea atteso che lo stesso si considera integrato nel

momento di insorgenza della malattia prodotta dalle lesioni, sicché la durata e l’inguaribilità della

malattia sono irrilevanti ai fini della individuazione del momento consumativo. Qualora, però, la

condotta colposa causatrice della malattia stessa non cessi con l’insorgenza di questa, ma,

persistendo dopo tale momento ne cagioni un successivo aggravamento, il reato di lesioni colpose

si intende consumato nel momento in cui si verifica l’ulteriore debilitazione.

La condotta è sempre a forma libera ed il delitto può essere perpetrato con qualsiasi mezzo

idoneo, potendo anche essere non violenta consistendo in un’omissione. Invero, contrariamente a

quanto avviene nel delitto di percosse, che si caratterizza soprattutto per la condotta, nel reato di

lesione è l’evento – malattia a caratterizzare la fattispecie: la condotta è individuata in qualsiasi

azione che sia in rapporto di causalità materiale con tale evento. La giurisprudenza della Suprema

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Corte è ferma nel ravvisare una malattia in qualunque alterazione, sia anatomica che funzionale,

comprendendovi anche le ecchimosi, le contusioni e gli stati di shock. Non esclude lo stato di

malattia il fatto che l’alterazione sia localizzata, di lieve entità e non influente sulle condizioni

organiche generali.

La malattia deve essere collegata da un rapporto di causalità materiale con la condotta lesiva.

Naturalmente il delitto in commento è sorretto – sotto il profilo dell’elemento soggettivo – dalla

colpa: così come per la fattispecie dell’omicidio colposo, anche in quella di lesioni l’evento

dannoso, anche se previsto, non deve essere stato voluto dall’agente, ma deve essersi verificato a

causa di negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini

o discipline.

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6. LE FATTISPECIE DI REATO PREVISTE DALL’ART. 25 – UNDECIES DEL D.LGS. 231/2001

Nella categoria dei reati presupposto individuati dal D.Lgs. 231/2001 l’art. 25 –undecies contempla

i c.d. reati ambientali, introdotti dal nostro Legislatore al fine di recepire e dare così attuazione alle

direttive comunitarie 2008/99 e 2009/123 ed estendere l'applicazione della responsabilità

amministrativa degli enti anche agli illeciti commessi in violazione delle norme a protezione

dell'ambiente.

Tutte le condotte illecite vengono suddivise in tre grandi aree a seconda della gravità. In

particolare, tenendo ferma l'ormai "classica" identificazione delle sanzioni pecuniarie in quote

(ogni quota può andare da un minimo di 258 euro a un massimo di 1.549) si è prevista la sanzione

pecuniaria fino a 250 quote per i reati sanzionati con l'ammenda o con la pena dell'arresto fino a

uno anno oppure dell'arresto fino a due anni alternativa alla pena pecuniaria; la sanzione

pecuniaria da 150 a 250 quote per i reati sanzionati con la reclusione fino a 2 anni o con la pena

dell'arresto fino a due anni; la sanzione pecuniaria, infine, da 200 a 300 quote per i reati sanzionati

con la reclusione fino a tre anni o con la pena dell'arresto fino a tre anni.

A fare da eccezione, a causa dell'estrema gravità della condotta c'è il reato previsto dall'articolo

260 del Codice dell'ambiente, quello che sanziona le attività organizzate per il traffico illecito di

rifiuti. In questo caso la sanzione può arrivare fino a 500 quote con un picco di 800 quando si tratta

di scarti radioattivi. Ma per il traffico illecito di rifiuti la sanzione può arrivare a 250 quote;

medesima "pena", nel livello massimo, per il trasporto di rifiuti senza il formulario e per le

violazioni sulla bonifica dei siti.

Se l'ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente

di consentire o agevolare la commissione dei reati contro le norme sul traffico dei rifiuti (di cui

all'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e all'articolo 8 del decreto legislativo 6

novembre 2007, n. 202), si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività

ai sensi dell'articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231.

Per le infrazioni al codice dell'ambiente e per quelle provocate da navi è prevista anche

l'applicazione delle sanzioni interdittive, dalla blocco dell'attività alla sospensione delle

autorizzazioni pubbliche per una durata massima di sei mesi.

Nello specifico i reati previsti dall’art. 25 – undecies del decreto legislativo sono:

Art. 727 – bis c.p. - Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie

animali o vegetali selvatiche protette

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“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, fuori dai casi consentiti, uccide, cattura o

detiene esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta è punito con l'arresto da

uno a sei mesi o con l'ammenda fino a 4. 000 euro, salvo i casi in cui l'azione riguardi una quantità

trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della

specie. Chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge, preleva o detiene esemplari appartenenti ad

una specie vegetale selvatica protetta è punito con l'ammenda fino a 4. 000 euro, salvo i casi in cui

l'azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo

stato di conservazione della specie".

Art. 733 – bis c.p. - Distruzione o deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto

"Chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge un habitat all'interno di un sito protetto o comunque

lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione, è punito con l'arresto fino a diciotto

mesi e con l'ammenda non inferiore a 3. 000 euro".

Art. 137 co. 1,2,3 e 5 del D.Lgs 152/06 - Scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze

pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A

dell'Allegato 5, parte 3^ TUA

"Chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione,

oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata

sospesa o revocata, e' punito con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da

millecinquecento euro a diecimila euro.

Quando le condotte descritte al comma 1 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali

contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle

tabelle 5 e 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena e' dell'arresto da tre

mesi a tre anni.

Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5, effettui uno scarico di acque reflue industriali

contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle

tabelle 5 e 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni

dell'autorizzazione, o le altre prescrizioni dell'autorità competente a norma degli articoli 107,

comma 1, e 108, comma 4, e' punito con l'arresto fino a due anni.

Chiunque, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati

nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del

presente decreto, oppure superi i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome

o dall'Autorità competente a norma dell'articolo 107, comma 1, in relazione alle sostanze indicate

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nella tabella 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, e' punito con l'arresto fino a

due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati anche i valori limite

fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo Allegato 5, si applica l'arresto da

sei mesi a tre anni e l'ammenda da seimila euro a centoventimila euro.

Art. 256 co.1 D.Lgs. 152/06 - Raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed

intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione

"Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed

intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di

cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 e' punito:

a) con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a

ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;

b) con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a

ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi".

Art. 256 co. 3 D.Lgs. 152/06 - Realizzazione o gestione di una discarica non autorizzata

"Chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata e' punito con la pena dell'arresto da sei

mesi a due anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica la pena

dell'arresto da uno a tre anni e dell'ammenda da euro cinquemiladuecento a euro

cinquantaduemila se la discarica e' destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi.

Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura

penale, consegue la confisca dell'area sulla quale e' realizzata la discarica abusiva se di proprietà

dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato

dei luoghi".

Art. 256 co. 5 D.Lgs. 152/06 - Miscelazione di rifiuti pericolosi

“Chiunque, in violazione del divieto di cui all'articolo 187, effettua attività non consentite di

miscelazione di rifiuti, e' punito con la pena di cui al comma 1, lettera b)".

Art. 256 co. 6 primo periodo D.Lgs. 152/06 - Deposito temporaneo presso il luogo di produzione di

rifiuti sanitari pericolosi

"Chiunque effettua il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi,

con violazione delle disposizioni di cui all'articolo 227, comma 1, lettera b), e' punito con la pena

dell'arresto da tre mesi ad un anno o con la pena dell'ammenda da duemilaseicento euro a

ventiseimila euro".

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Art. 257 co. 1, 2 D.Lgs. 152/06- Inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o

delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio

“Chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque

sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio e' punito con la pena

dell'arresto da sei mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro,

se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente

nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione

della comunicazione di cui all'articolo 242, il trasgressore e' punito con la pena dell'arresto da tre

mesi a un anno o con l'ammenda da mille euro a ventiseimila euro.

Si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da

cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro se l'inquinamento e' provocato da sostanze

pericolose".

Art. 259 co. 1 D.Lgs. 152/06 - Traffico illecito di rifiuti

"Chiunque effettua una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito ai sensi dell'articolo 26 del

regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259, o effettua una spedizione di rifiuti elencati

nell'Allegato II del citato regolamento in violazione dell'articolo 1, comma 3, lettere a), b), c) e d),

del regolamento stesso e' punito con la pena dell'ammenda da millecinquecentocinquanta euro a

ventiseimila euro e con l'arresto fino a due anni. La pena e' aumentata in caso di spedizione di

rifiuti pericolosi".

Art. 260 co. 1,2 D.Lgs. 152/06 - Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti

"Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento

di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque

gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti e' punito con la reclusione da uno a sei anni.

Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni".

Art. 260-bis co. 6 D.Lgs. 152/06 - False indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle

caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti o inserimento di un certificato falso nei dati da fornire ai

fini della tracciabilità dei rifiuti

"Si applica la pena di cui all'articolo 483 c.p. a colui che, nella predisposizione di un certificato di

analisi di rifiuti, utilizzato nell'ambito del sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti

fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche

dei rifiuti e a chi inserisce un certificato falso nei dati da fornire ai fini della tracciabilita' dei

rifiuti".

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Art. 260 -bis co. 7 secondo e terzo periodo e 8 primo periodo D.Lgs. 152/06 - Uso di un certificato di

analisi di rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche

chimico-fisiche dei rifiuti trasportati

“Si applica la pena di cui all'Art. 483 del codice penale in caso di trasporto di rifiuti

pericolosi. Tale ultima pena si applica anche a colui che, durante il trasporto fa uso di un certificato

di analisi di rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle

caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti trasportati.

8. Il trasportatore che accompagna il trasporto di rifiuti con una copia cartacea della scheda

SISTRI - AREA Movimentazione fraudolentemente alterata e' punito con la pena prevista dal

combinato disposto degli articoli 477 e 482 del codice penale. La pena e' aumentata fino ad un

terzo nel caso di rifiuti pericolosi”.

Art. 279 co. 2, 5 D.Lgs 152/06 - Superamento, nell'esercizio di uno stabilimento, dei valori limite di

emissione che determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell'aria

“Chi, nell'esercizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti

dall'autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai

programmi o dalla normativa di cui all'articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall'autorità

competente ai sensi del presente titolo e' punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda

fino a 1.032 euro. Se i valori limite o le prescrizioni violati sono contenuti nell'autorizzazione

integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale

autorizzazione.

Nei casi previsti dal comma 2 si applica sempre la pena dell'arresto fino ad un anno se il

superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di

qualità dell'aria previsti dalla vigente normativa”.

Art. 1 co. 1 e 2 L. n. 150/1992 - Importazione, esportazione, o riesportazione di esemplari

appartenenti a specie animali e vegetali in via di estinzione (allegato A Reg. CE 338/97) senza il

prescritto certificato o licenza o con certificato o licenza non validi o omissione dell'osservanza

delle prescrizioni finalizzate all'incolumità degli esemplari

"Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con l'arresto da tre mesi ad un anno e co

l'ammenda da lire quindici milioni a lire centocinquanta milioni chiunque in violazione di quanto

previsto dal regolamento CE 338/97 del Consiglio del 9.12.1996 e successive attuazioni e

modificazioni, per gli esemplari appartenenti alle specie elencate nell'allegato A del Regolamento

medesimo e successive modificazioni:a) importa, esporta o riesporta esemplari, sotto qualsiasi

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regime doganale, senza il prescritto certificato o licenza, ovvero con certificato o licenza non validi

ai sensi dell'art. 11, comma 2a del Regolamento CE 338/97 del Consiglio del 9.12.1996 e successive

attuazioni e modificazioni;omette di osservare le prescrizioni finalizzate all'incolumità degli

esemplari, specificate in una licenza o in un certificato rilasciati in conformità al Regolamento (CE)

n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni e del

Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997, e successive modificazioni;

c) utilizza i predetti esemplari in modo difforme dalle prescrizioni contenute nei provvedimenti

autorizzativi o certificativi rilasciati unitamente alla licenza di importazione o certificati

successivamente;

d) trasporta o fa transitare, anche per conto terzi, esemplari senza la licenza o il certificato

prescritti, rilasciati in conformità del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre

1996, e successive attuazioni e modificazioni e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione,

del 26 maggio 1997, e successive modificazioni e, nel caso di esportazione o riesportazione da un

Paese terzo parte contraente della Convenzione di Washington, rilasciati in conformità della

stessa, ovvero senza una prova sufficiente della loro esistenza;

e) commercia piante riprodotte artificialmente in contrasto con le prescrizioni stabilite in base

all'articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre

1996, e successive attuazioni e modificazioni e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione,

del 26 maggio 1997 e successive modificazioni;

f) detiene, utilizza per scopi di lucro, acquista, vende, espone o detiene per la vendita o per fini

commerciali, offre in vendita o comunque cede esemplari senza la prescritta documentazione”.

Art. 2 co. 1 e 2 L. n. 150/1992 - Importazione, esportazione, o riesportazione di esemplari

appartenenti a specie animali e vegetali in via di estinzione (allegato B e C Reg. CE 338/97) senza il

prescritto certificato o licenza o con certifcato o licenza non validi o omissione dell'osservanza delle

prescrizioni finalizzate all'incolumità degli esemplari

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con l'ammenda da lire venti milioni a lire

duecento milioni o con l'arresto da tre mesi ad un anno, chiunque, in violazione di quanto previsto

dal Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e

modificazioni, per gli esemplari appartenenti alle specie elencate negli allegati B e C del

Regolamento medesimo e successive modificazioni:

a) importa, esporta o riesporta esemplari, sotto qualsiasi regime doganale, senza il prescritto

certificato o licenza, ovvero con certificato o licenza non validi ai sensi dell'articolo 11, comma 2a,

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del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e

modificazioni;

b) omette di osservare le prescrizioni finalizzate all'incolumità degli esemplari, specificate in una

licenza o in un certificato rilasciati in conformità al Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9

dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni, e del Regolamento (CE) n. 939/97 della

Commissione, del 26 maggio 1997, e successive modificazioni;

c) utilizza i predetti esemplari in modo difforme dalle prescrizioni contenute nei provvedimenti

autorizzativi o certificativi rilasciati unitamente alla licenza di importazione o certificati

successivamente;

d) trasporta o fa transitare, anche per conto terzi, esemplari senza licenza o il certificato prescritti,

rilasciati in conformità del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e

successive attuazioni e modificazioni, e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26

maggio 1997, e successive modificazioni e, nel caso di esportazione o riesportazione da un Paese

terzo parte contraente della Convenzione di Washington, rilasciati in conformità della stessa,

ovvero senza una prova sufficiente della loro esistenza;

e) commercia piante riprodotte artificialmente in contrasto con le prescrizioni stabilite in base

all'articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre

1996, e successive attuazioni e modificazioni, e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione,

del 26 maggio 1997, e successive modificazioni;

f) detiene, utilizza per scopi di lucro, acquista, vende, espone o detiene per la vendita o per fini

commerciali, offre in vendita o comunque cede esemplari senza la prescritta documentazione,

limitatamente alle specie di cui all'allegato B del Regolamento.

In caso di recidiva, si applica la sanzione dell'arresto da tre mesi a un anno e dell'ammenda da lire

venti milioni a lire duecento milioni. Qualora il reato suddetto viene commesso nell'esercizio di

attività di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza da un minimo di quattro

mesi ad un massimo di dodici mesi”.

Art. 3 - bis co. 1 L. n. 150/1992 - Falsificazione o alterazione di certificati, licenze, notifiche di

importazione, dichiarazioni, comunicazioni di informazione al fine di acquisizione di una licenza o

di un certificato, di uso di certificati o licenze falsi o alterati

“Alle fattispecie previste dall'articolo 16, paragrafo 1, lettere a), c), d), e), ed l), del Regolamento

(CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive modificazioni, in materia di

falsificazione o alterazione di certificati, licenze, notifiche di importazione, dichiarazioni,

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comunicazioni di informazioni al fine di acquisizione di una licenza o di un certificato, di uso di

certificati o licenze falsi o alterati si applicano le pene di cui al libro II, titolo VII, capo III del codice

penale".

Art. 6 co. 1, 4 L. n. 150/1992 - Detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica

ed esemplari vivi di mammiferi e rettili provenienti da riproduzioni in cattività

"Fatto salvo quanto previsto dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157, è vietato a chiunque detenere

esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica ed esemplari vivi di mammiferi e rettili

provenienti da riproduzioni in cattività che costituiscano pericolo per la salute e per l'incolumità

pubblica.

Chiunque contravviene alle disposizioni di cui al comma 1 è punito con l'arresto fino a tre mesi o

con l'ammenda da lire quindici milioni a lire duecento milioni".

Art. 3 co. 6 L. n. 549/1993 - Impiego di sostanze lesive dell'ozono

"Chiunque viola le disposizioni di cui al presente articolo è punito con l'arresto fino a due anni e con

l'ammenda fino al triplo del valore delle sostanze utilizzate per fini produttivi, importate o

commercializzate. Nei casi più gravi, alla condanna consegue la revoca dell'autorizzazione o della

licenza in base alla quale viene svolta l'attività costituente l'illecito".

Art. 8 co. 1 e 2 D.Lgs. N. 202/2007 - Versamento doloso in mare di sostanze inquinanti o

sversamento di dette sostanze provocato dalle navi

"Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave, battente qualsiasi

bandiera, nonche' i membri dell'equipaggio, il proprietario e l'armatore della nave, nel caso in cui

la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che dolosamente violano le disposizioni dell'art. 4

sono puniti con l'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da euro 10.000 ad euro 50.000.

Se la violazione di cui al comma 1 causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla

qualità delle acque, a specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l'arresto da uno a tre

anni e l'ammenda da euro 10.000 ad euro 80.000".

Art. 9 co. 1 e 2 D.Lgs. N. 202/2007 - Versamento colposo in mare di sostanze inquinanti o

sversamento di dette sostanze provocato dalle navi

"Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave, battente qualsiasi

bandiera, nonche' i membri dell'equipaggio, il proprietario e l'armatore della nave, nel caso in cui

la violazione sia avvenuta con la loro cooperazione, che violano per colpa le disposizioni dell'art. 4,

sono puniti con l'ammenda da euro 10.000 ad euro 30.000.

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Se la violazione di cui al comma 1 causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla

qualità delle acque, a specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l'arresto da sei mesi a

due anni e l'ammenda da euro 10.000 ad euro 30.000".

6.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

All’art. 727-bis del codice penale viene introdotta la contravvenzione di “Uccisione, distruzione,

cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette”), punita,

ove avente oggetto specie animali selvatiche protette, “salvo che il fatto costituisca più grave

reato”, e “fuori dei casi consentiti”, con l’arresto da uno a sei mesi o con l’ammenda fino a 4.000

euro, “salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un

impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie”.

Il co. 2 incrimina, con l’ammenda fino a 4.000 euro “chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge,

preleva o detiene esemplari appartenenti ad una specie vegetale selvatica protetta<” fatta salva

l’identica clausola di esiguità di cui al co. 1 ultima parte.

L’art. 733-bis, co. 2 c.p., precisa che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 727-bis c.p. per specie

animali o vegetali selvatiche protette si intendono quelle indicate nell’allegato IV della direttiva

92/43/CE e nell’allegato I della direttiva 2009/147/CE”.

La clausola di riserva “salvo che il fatto non costituisce un più grave reato” comporta il prevalere di

fattispecie interferenti punite più severamente.

L’art. 727-bis c.p. sembra applicabile solo all’uccisione colposa di animali fuori dell’ambito

dell’attività di caccia.

Si pensi alle ipotesi, non particolarmente realistiche, di uccisione per colpa di un animale selvatico

protetto per mezzo della propria autovettura, nell’ambito della circolazione stradale.

La seconda parte dell’art. 727-bis c.p. contiene una clausola di esiguità, calco perfetto della

fattispecie europea, la quale fa salvi “i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali

esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie”.

La clausola è funzionale ad espungere dal perimetro del fatto tipico casi di esiguo significato

offensivo in rapporto alla quantità di esemplari sacrificati e al relativo impatto sullo stato di

conservazione della specie.

I due requisiti negativi devono sussistere contestualmente affinché il fatto possa reputarsi

inoffensivo (per il diritto penale degli uomini, non per l’animale sacrificato, naturalmente).

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Teoricamente potrebbe rilevare anche l’uccisione, cattura ecc. di un solo (o di pochissimi)

esemplari, qualora la specie protetta conti poche unità.

Ai fini dell’impatto sulla conservazione della specie protetta rileveranno ad es. il genere, l’età

dell’animale e le difficoltà di riproduzione della relativa specie.

L’art. 727-bis co. 2 punisce con l’ammenda fino a 4.000 euro chiunque, fuori dei casi consentiti,

distrugge, preleva o detiene esemplari appartenenti ad una specie vegetale protetta, fatta salva la

clausola di inoffensività sopra riportata in relazione alle specie animali protette.

La fattispecie in esame offre tutela penale alle specie vegetali protette indicate nelle direttive

richiamate dall’art. 733-bis, co. 2.

La disposizione colma un vuoto di tutela, dato che le uniche fattispecie aventi ad oggetto specie

vegetali selvatiche protette presenti nel nostro ordinamento penale incriminavano le diverse

condotte di importazione, commercio ecc, senza le prescritte autorizzazioni e documentazioni

(l.150/1992).

Il decreto legislativo n. 121/2011 ha introdotto, all’art. 733-bis c.p., il reato di distruzione o

deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto.

Al secondo comma dell’art. 733-bis c.p. si definisce “habitat all’interno di un sito protetto”

“qualsiasi habitat di specie per le quali una zona sia classificata 6 come

zona a tutela speciale a norma dell’art. 4, paragrafi 1 o 2 della direttiva 2009/147/CE, o qualsiasi

habitat naturale o un habitat di specie per cui un sito sia designato come zona speciale di

conservazione a norma dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE”.

Il concetto di habitat ha doppia natura: per così dire normativa in relazione alle due direttive

comunitarie citate; “naturalistica” rispetto alla formula “qualsiasi habitat naturale”, che parrebbe

rimandare alla valutazione in concreto del giudice, anche a prescindere da atti amministrativi o

definizioni/classificazioni legislative.

Il reato di danneggiamento di habitat sembra poter concorrere con quello di distruzione o

deturpamento di bellezze naturali (art. 734 c.p.), avente diverso bene tutelato: quest’ultimo

protegge le bellezze naturali dal punto di vista estetico dell’uomo, e non gli habitat naturali intesi

come luoghi in sé (o per le specie che vi dimorano) meritevoli di tutela.

La fattispecie abbraccia sia le condotte di distruzione dell’habitat (per es. di un bosco, di una

palude), sia di deterioramento: in quest’ultimo caso occorre che la condotta produca la

compromissione dello stato di conservazione.

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Il concetto sembra da intendersi in senso funzionale più che quantitativo: occorre valutare

l’incidenza del deterioramento sulla funzione ecologica rappresentata dall’habitat in questione.

A titolo esemplificativo potrà dirsi compromesso lo stato di conservazione di un bosco ove

nidificano uccelli appartenenti a specie protette laddove l’abbattimento di molti ma non di tutti gli

alberi comporti il venir meno anche solo parziale di quel sito come luogo di sosta e di riproduzione

della specie.

La compromissione è da ritenersi tale anche qualora l’habitat possa essere successivamente

ripristinato, a distanza di tempo significativa, con opere dell’uomo (per es. rimboschimenti,

bonifiche ecc.) o con il lento passare del tempo (si pensi alla ricrescita spontanea di piante).

Si tratta dell’ennesima clausola di illiceità espressa, la quale rinvia alle norme e ai provvedimenti

amministrativi che facoltizzano o impongono di tenere la condotta tipica.

Si pensi ad es. all’attività antincendio con prodotti chimici che interessi un bosco lambito dalle

fiamme, o al taglio di piante per ragioni di pubblica incolumità.

Fondano la responsabilità dell’ente nel settore dell’inquinamento idrico:

- scarico idrico in violazione delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione (art. 137, co. 3) e dei

limiti tabellari per talune sostanze (art. 137, co. 5 primo periodo);

- scarico in acque marine da parte di navi od aeromobili (art. 137, co. 13).

In queste ipotesi è prevista per l’ente la sanzione pecuniaria da 150 a 250 quote.

Ancora:

- scarico idrico in assenza di autorizzazione o con autorizzazione sospesa o revocata riguardante

talune sostanze pericolose (art. 137, co. 2);

- scarico idrico in violazione dei limiti tabellari per talune sostanze particolarmente pericolose (art.

137, co. 5 secondo periodo);

- scarico sul suolo, nel sottosuolo o in acque sotterranee (art. 137, co. 11).

In tutte e tre le ipotesi è prevista la sanzione pecuniaria da 200 a 300 quote.

Assai più nutrito è il catalogo dei reati presupposto nel settore dei rifiuti:

- gestione abusiva di rifiuti non pericolosi (art. 256, co. 1 lett. a) e deposito temporaneo presso il

luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi (art. 256, co. 6): sanzione pecuniaria fino a 250

quote;

- gestione abusiva di rifiuti pericolosi (art. 256, co. 1 lett. b); realizzazione e gestione di discarica

abusiva di rifiuti non pericolosi (art. 256, co. 3, primo periodo); miscelazione di rifiuti (art. 256, co.

5): sanzione pecuniaria da 150 a 250 quote;

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- realizzazione e gestione di discarica abusiva di rifiuti pericolosi (art. 256, co. 3, secondo periodo);

sanzione pecuniaria da 200 a 300 quote; le pene in relazione a tali reati sono ridotte della metà nel

caso il reato consegua all’inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle

autorizzazioni (art. 2, co. 6 decreto in commento);

- omessa bonifica di sito contaminato da rifiuti non pericolosi (art. 257, co. 1) e pericolosi (art. 257,

co. 2): rispettivamente sanzione pecuniaria fino a 250 quote e da 150 a 250 quote;

- trasporto di rifiuti pericolosi senza formulario e mancata annotazione nel formulario dei dati

relativi (art. 258, co. 4 secondo periodo): sanzione pecuniaria da150 a 250 quote;

- spedizione illecita di rifiuti (art. 259. co. 1): sanzione pecuniaria da 150 a 250 quote;

- attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: sanzione pecuniaria da 300 a 500 quote; da 400

a 800 se si tratta di rifiuti ad alta radioattività;

- per la violazione delle prescrizioni in materia di SISTRI (art. 260-bis) sono previste sanzioni

pecuniarie da 150 a 250 quote o, rispettivamente, da 200 a 300 a seconda della tipologia di

prescrizione violata.

Infine, nel settore dell’inquinamento atmosferico, il legislatore delegato è stato decisamente più

parco, inserendo nel catalogo dei reati presupposto un solo reato: superamento dei valori limite di

emissione e dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla normativa di settore (art. 279, co. 5),

punito con sanzione pecuniaria fino a 250 a quote.

Tra i reati ambientali riveste particolare importanza quello relativo allo svolgimento di attività

organizzate finalizzato al traffico illecito dei rifiuti (art.53 bis del d.lgs. n.22/97; ora art. 260 d.lgs.

n.152/06).

Il delitto in questione è ascrivibile alla categoria dei cd. “reati comuni”, che possono essere

commessi da “chiunque” e non solo da coloro che possiedano particolari qualifiche soggettive,

come ad esempio i “titolari di enti od imprese”, spesso menzionati nella legislazione penale

ambientale.

Quanto all’elemento oggettivo nel quale si sostanzia la condotta sanzionata va osservato che la

norma richiama in parte attività già specificamente disciplinate dal d.lgs. n.22/97 ed ora dal d.lgs.

n.152/06 (come il trasporto, l’esportazione, l’importazione e la gestione dei rifiuti) ed in parte

menziona attività più generiche (la cessione e la ricezione) che sono di solito prodromiche ad altre

attività tipizzate dalla normativa di settore. In particolare, la rilevanza, ai fini dell’integrazione del

delitto, anche dell’attività di intermediazione e commercio, che sia svolta in violazione della

normativa speciale disciplinante la materia, è sottolineata da Cass., III, 18.12.06, n. 41310,

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Pecoraro, da Cass., III, 9.8.06, n. 28685, Buttone e da Cass., III, 10.11.05, n. 40827, Carretta.

Altro connotato della condotta è quello per cui la stessa deve svolgersi “abusivamente”, e cioè al

di fuori di qualsiasi autorizzazione o comunque di qualsiasi provvedimento che legittimi l’attività,

alla luce della normativa vigente. A questo proposito va richiamato quanto affermato da Cass., III,

10.11.05, n. 40828, PM in proc. Fradella ed altri, secondo la quale la nozione giuridica di condotta

abusiva di cui all’art. 53 bis del d.lgs. n.22/97 comprende, come attività organizzata per il traffico

illecito di rifiuti, oltre quella effettuata senza alcuna autorizzazione e quella avente ad oggetto

tipologie di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, anche tutte quelle attività che, per le

modalità concrete con cui si esplicano, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da

non essere giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dall’autorità amministrativa.

Ciò che, sotto il profilo oggettivo, ulteriormente caratterizza il delitto in questione è che la

condotta deve inserirsi nel quadro di un’attività organizzata di stampo imprenditoriale, che si

svolga con l’impiego di mezzi stabilmente predisposti. Inoltre la condotta stessa deve articolarsi in

“più operazioni” e non quindi in un unico atto, circostanza, questa, che fa assumere al delitto la

natura di reato a condotta abituale. Cass., III, 9.8.06, n. 28685, Buttone, ha osservato che il delitto

previsto dall’art.53 bis del d.lgs. n.22/97 si configura allorquando un qualsiasi soggetto, al fine di

conseguire un profitto ingiusto, abbia allestito una vera e propria organizzazione professionale,

con cui gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. Rileva al riguardo

qualsiasi gestione dei rifiuti, anche quella che avvenga attraverso attività di intermediazione e

commercio, che sia svolta in violazione della normativa speciale disciplinante la materia e che si

concretizzi in più operazioni attraverso una stabile organizzazione di mezzi.

Altro elemento essenziale per l’integrazione del delitto è quello per cui l’attività abusiva deve

avere ad oggetto “ingenti quantitativi di rifiuti”, dato in relazione al quale la norma non fissa soglie

di punibilità, ma che va ovviamente riguardato con equilibrio, tenendo presente il quantitativo

complessivo dei rifiuti e non quello oggetto delle singole operazioni.

La giurisprudenza sul punto è assai chiara: Cass., III, 18.12.06, n. 41310, Pecoraro rileva che il

quantitativo ingente di rifiuti deve essere valutato con riferimento al quantitativo

complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni, le quali, considerate

singolarmente, potrebbero anche essere qualificate come modeste. Sotto il profilo soggettivo il

delitto è punibile solo a titolo di dolo e presuppone il dolo specifico, costituito dalla finalizzazione

della condotta al conseguimento di un profitto ingiusto, riferibile anche a vantaggio di natura non

strettamente patrimoniale che sia comunque contrario a quanto consentito dalla legge.

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il secondo comma della norma stessa contempla un’aggravante (reclusione da tre a otto anni) per

il caso in cui l’attività abbia ad oggetto rifiuti ad alta radioattività; per il resto la tipologia dei rifiuti

(pericolosi o non pericolosi) non muta la sanzione applicabile, pur essendo certamente rilevante al

momento della quantificazione della pena da infliggere a seguito di accertata responsabilità.

Il terzo comma stabilisce che alla condanna per il delitto in questione conseguano le pene

accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici (art.28 c.p.), dell’interdizione da una professione o da

un’arte (art.30 c.p.), dell’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e

delle imprese (art.32 bis c.p.) e dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione

(art.32 ter c.p.).

A mente del quarto comma, con la sentenza di condanna o di patteggiamento il giudice deve

obbligatoriamente ordinare il ripristino dello stato dell'ambiente.

Infine l’ultima parte del comma 4 della norma dispone che il giudice possa subordinare la

concessione della sospensione condizionale della pena, in caso di condanna o di patteggiamento,

all’eliminazione del danno o del pericolo arrecati all’ambiente dalla condotta delittuosa, qualora

ciò sia concretamente possibile.

L’art. 279 del D.Lgs. 152/06 sanziona il c.d. inquinamento atmosferico.

Più in particolare il comma 2 della norma in questione punisce la condotta di violazione dei valori

limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall'autorizzazione, dagli Allegati 1, 2, 3 o 5 alla parte

quinta, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all'art. 271, o le prescrizioni altrimenti

imposte dall'autorità competente ai sensi del Titolo Primo. Se i valori limite o le prescrizioni violati

sono contenuti nell'autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla

normativa che disciplina tale autorizzazione.

La contravvenzione in esame ha pacificamente natura di reato formale di pericolo.

Lo scopo del legislatore, come si deduce dal tenore complessivo dell'art. 279, è infatti non soltanto

quello di assicurare il rispetto dei valori limite di emissione e di qualità dell'aria, ma anche quello

di consentire alle autorità preposte, attraverso il rilascio del titolo abilitativo e l'imposizione di

specifiche prescrizioni e di obblighi di comunicazione, un controllo adeguato finalizzato ad una

efficace tutela dell'ambiente e della salute che l'espletamento di determinate attività può, anche

potenzialmente, porre in pericolo.

Pertanto secondo Cass. Se.z. III Penale Sentenza 24334 del 10.06.2014 il reato di cui al D.Lgs. n.

152 del 2006, art. 279, comma 2, relativo all'inosservanza delle prescrizioni imposte con

l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera, è reato formale e di pericolo che si perfeziona anche

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mediante comportamenti incidenti negativamente sul complesso sistema di autorizzazioni e

controlli previsto dalla normativa di settore, che è comunque funzionale alla tutela dell'ambiente,

la quale è assicurata anche attraverso la regolamentazione, il contenimento ed il monitoraggio di

attività potenzialmente inquinanti.

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7. LE FATTISPECIE DI REATO PREVISTE DAGLI ARTT. 24 – TER E 25 – OCTIES D.LGS. 231/2001

L’art. 24 – ter del D.Lgs. 231/2001 fa scattare la responsabilità dell’ente anche in occasione della

commissione dei seguenti reati presupposto:

Art. 416 c.p. - Associazione per delinquere

"Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che

promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la

reclusione da tre a sette anni.

Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.

I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.

Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie si applica la reclusione da cinque a

quindici anni.

La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.

Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, nonché

all’articolo 12, comma 3 bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina

dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio

1998, n. 286, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e

da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma.

Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter,

600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, quando il fatto è commesso in danno di un

minore di anni diciotto, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, quando il fatto è commesso in

danno di un minore di anni diciotto, e 609-undecies, si applica la reclusione da quattro a otto anni

nei casi previsti dal primo comma e la reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal secondo

comma.

Art. 416 – bis c.p. - Associazione di tipo mafioso (art. 416 - bis c.p.)

"Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la

reclusione da sette a dodici anni.

Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la

reclusione da nove a quattordici anni.

L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di

intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne

deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il

controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per

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realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sè o per altri, ovvero al fine di impedire o ostacolare il

libero esercizio del voto o di procurare voti a sè e od altri in occasione di consultazioni elettorali.

Se l'associazione è armata si applica la pena della reclusione da nove a quindici anni nei casi

previsti dal primo comma, e da dodici a ventiquattro nei casi previsti dal secondo comma.

L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il

conseguimento delle finalità dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o

tenute in luoghi di deposito.

Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono

finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei

commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.

Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono

destinate a commettere il reato o delle cose che ne sono, il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne

costituiscono l'impiego.

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra e alle altre associazioni,

comunque localmente denominate, anche straniere che, valendosi della forza intimidatrice del

vincolo associativo, perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso".

Art. 416 – ter c.-p.- Scambio elettorale politico – mafioso

"Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma

dell'articolo 416-bis in cambio dell'erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra

utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.

La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma".

Art. 630 c.p. Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione

"Chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto

come prezzo della liberazione, è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni.

Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona

sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta.

Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell'ergastolo.

Al concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la

libertà, senza che tale risultato sia conseguenza del prezzo della liberazione, si applicano le pene

previste dall'articolo 605. Se tuttavia il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro,

dopo la liberazione, la pena è della reclusione da sei a quindici anni.

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Nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera, al di fuori del caso previsto

dal comma precedente, per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori

ovvero aiuta concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di prove

decisive per l'individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena dell'ergastolo è sostituita da

quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo a due terzi.

Quando ricorre una circostanza attenuante, alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la

reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la

reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da

applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell'ipotesi prevista dal

secondo comma, ed a quindici anni, nell'ipotesi prevista dal terzo comma.

I limiti di pena preveduti nel comma precedente possono essere superati allorché ricorrono le

circostanze attenuanti di cui al quinto comma del presente articolo.

Art. 74 D.P.R. 309/1990) - Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o

psicotrope

“Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti

dall'art. 73, chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l'associazione, è punito per ciò

solo con la reclusione non inferiore a venti anni.

Chi partecipa all'associazione è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.

La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più o se tra i partecipanti vi sono

persone dedite all'uso di sostanza stupefacenti o psicotrope.

Se l'associazione è armata la pena, nei casi indicati dai commi 1 e 3, non può essere inferiore a

ventiquattro anni di reclusione e, nel caso previsto dal comma 2, a dodici anni di reclusione.

L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità di armi o materie

esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.

La pena è aumentata se ricorre la circostanza di cui alla lettera e) del comma 1 dell'at. 80.

Se l'associazione è costituita per commettere i fatti descritti dal comma 5 dell'art. 73, si applicano il

primo e il secondo comma dell'art. 416 del codice penale.

Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si sia

efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all'associazione risorse

decisive per la commissione dei delitti.

Quando in leggi e decreti è richiamato il reato previsto dall'art. 75 della L. n. 685/1975 abrogato

dall'art. 38 co. 1 della L. n. 162/1990, il richiamo si intende riferito al presente articolo".

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I reati, invece, contemplati dall’art. 25 – octies del D.Lgs. 231/2001 sono:

Art. 648 c.p. – Ricettazione

“Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista,

riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel

farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa

da € 516 a € 10.329,00.

La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino ad € 516,00 se il fatto è di particolare

tenuità.

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto da cui il denaro o le

cose provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di

procedibilità riferita a tale delitto”.

Art. 648-bis c.p. – Riciclaggio

“Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità

provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni in modo da

ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro

a dodici anni e con la multa da € 5.000,00 ad € 25.000,00.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita

la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l’ultimo comma dell’art.

648”.

Art. 648-ter c.p. – Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita

“Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis,

impiega in attività economiche o finanziarie, denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è

punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da € 1.032,00 a € 15.493,00.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

La pena è diminuita nell’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 648. Si applica l’ultimo comma

dell’art. 648”.

Art. 648 – ter 1 c.p. – Autoriciclaggio

" Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a

chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce,

trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le

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altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente

l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500

se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito

con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità

provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto

legge 13 maggio 1991, n.152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e

successive modificazioni.

Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le

altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.

La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o

finanziaria o di altra attività professionale.

La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le

condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione

dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.

Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648”.

7.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

L’art. 416 c.p. (“Associazione per delinquere”) punisce la condotta di chi si associa con tre o più

persone allo scopo di commettere più delitti. La punizione è prevista per il solo fatto di partecipare

all’associazione, a prescindere dal compimento delle attività oggetto della stessa. Infatti per la

sussistenza del reato associativo non è necessaria l’effettiva commissione dei reati – fine ma è

sufficiente l’esistenza della struttura organizzativa e del carattere criminoso del programma, il

quale permane anche laddove taluno dei reati – fine non costituisca più illecito penale a seguito di

abolitio criminis (ex multis Cass. Pen. 27.11.2003 n. 7187).

Perché possa configurarsi un’ipotesi di associazione per delinquere è necessario che sussista un

minimo di organizzazione a carattere stabile. La stabilità postula la presenza di un’unione

duratura, che risulti idonea allo svolgimento di un programma delinquenziale.

Il reato in oggetto è delitto plurisoggettivo di pericolo contro l’ordine pubblico,nella cui

formulazione il pericolo non è elemento costitutivo del reato stesso, bensì è la ratio giustificativa

della norma incriminatrice.

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Sotto il profilo oggettivo, il legislatore ha distinto la condotta del promotore o del capo

dell’associazione da quella del semplice associato, prevedendo per tali soggetti una diversa

risposta sanzionatoria, che appare più grave per i primi rispetto alla pena prevista per i secondi.

Quanto all’ipotesi criminosa prevista a carico dei promotori, costitutori e capi dell’associazione, è

bene ricordare che la costituzione di un’associazione per delinquere non si verifica nel momento e

nel luogo in cui interviene il semplice accordo tra i compartecipi, ma in quello della costituzione di

una organizzazione permanente, frutto del concerto di intenti e di azione tra gli associati.

In particolare, promotore di una associazione per delinquere non è soltanto chi della stessa si sia

fatto iniziatore, ma anche colui che contribuisce alla potenzialità pericolosa del gruppo associativo

già costruito, provocando l’adesione di terzi all’associazione. Quanto alla diversa ipotesi relativa ai

semplici soci, si precisa che la condotta di partecipazione consiste nel contributo, apprezzabile e

concreto sul piano causale, all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione e alla realizzazione

dell’offesa degli interessi tutelati dalla norma incriminatrice, qualunque sia il ruolo o il compito che

il partecipe svolga nell’ambito dell’associazione.

L’elemento soggettivo previsto è il dolo specifico che risulta integrato laddove vi sia da parte

dell’agente la coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo e

quindi dell’indeterminato programma delinquenziale in modo stabile e duraturo.

Il delitto, di natura permanente, si consuma nel momento e nel luogo di costituzione del vincolo

associativo diretto allo scopo comune; ove difetti la prova relativa al luogo ed al momento della

costituzione dell’associazione, soccorre il criterio sussidiario e presuntivo del luogo di commissione

del primo reato commesso o, comunque, del primo atto diretto a commettere i delitti

programmati (Cass. Pen. 7.6.2005 n. 35229).

L’art. 416-bis c.p. punisce il delitto di associazione di stampo mafioso. La norma individua il c.d.

“metodo mafioso” mediante la fissazione di tre parametri: la forza intimidatrice del vincolo

associativo, la condizione di assoggettamento e la condizione di omertà, da considerarsi tutti e tre

come essenziali perché il reato de quo possa configurarsi. Secondo la giurisprudenza “per la

sussistenza del reato, peraltro, non è necessario che di tali elementi si siano avvalsi in concreto i

singoli associati, sempre che costoro, però, siano stati effettivamente nelle condizioni e nella

consapevolezza di poterne disporre. Infatti è la consorteria che deve avere conseguito, in concreto,

nell’ambiente circostante, un’effettiva capacità di intimidazione, indipendentemente dal

compimento di specifici atti di intimidazione da parte degli associati” (Cass. Pen. 10.7.2007 n.

34974).

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In tema di associazione di tipo mafioso, l’elemento della forza intimidatrice del vincolo associativo

deve essere desunto da circostanze atte a dimostrare la capacità di incutere timore propria

dell’associazione che deve essere attuale e non solo potenziale.

L’associazione di tipo mafioso si connota rispetto all’associazione per delinquere per la sua

tendenza a proiettarsi verso l’esterno , per il suo radicamento nel territorio nel quale esercita la

sua forza intimidatrice e per la sua capacità di controllarne la comunità o l’aggregazione sociale

che in quel territorio risiede.

Al fine di qualificare “mafiosa” un’associazione criminale è necessario – tra l’altro – che sussistano

i requisiti dell’assoggettamento e dell’omertà. Questi devono riferirsi non ai componenti interni

ma ai soggetti nei cui confronti si dirige l’azione delittuosa, essendo i terzi a trovarsi, per effetto

della diffusa convinzione della loro esposizione ad un concreto ed ineludibile pericolo, di fronte

alla forza prevaricatrice dell’associazione stessa.

Infine la nozione di “omertà” che si correla, in rapporto di causa – effetto alla forza di

intimidazione dell’associazione, va ricondotta al rifiuto di collaborare con gli organi dello Stato.

Tale atteggiamento, che deve essere sufficientemente diffuso, può derivare non soltanto dalla

paura dei danni alla propria persona, ma anche dall’attuazione di minacce che comunque possono

realizzare danni rilevanti. Minacce e violenza, nell’ambito di tale fattispecie, rivestono pertanto

natura strumentale . Esse, dunque, non costituiscono modalità con le quali deve puntualmente

manifestarsi all’esterno la condotta degli agenti, dal momento che la condizione di

assoggettamento e gli atteggiamenti omertosi, indotti nella popolazione e negli associati stessi,

costituiscono, più che l’effetto di singoli atti di sopraffazione, la conseguenza del prestigio

criminale dell’associazione che, per la sua fama negativa e per la capacità di lanciare avvertimenti,

anche simbolici ed indiretti, si accredita come temibile, effettivo ed autorevole centro di potere.

Per quanto concerne l’elemento materiale del reato, la condotta partecipativa è a forma libera, nel

senso che il comportamento dell’associato può concretarsi in forme e contenuti diversi, purché

esso si traduca in un contributo non marginale ma apprezzabile ai fini del mantenimento in vita del

sodalizio e della realizzazione degli scopi sociali.

Quanto all’elemento soggettivo, il delitto in esame è sorretto dal dolo specifico, avente ad oggetto

la prestazione di un contributo utile alla vita del sodalizio ed alla realizzazione dei suoi scopi, sia

nel caso della partecipazione all’ente associativo, sia nel caso del c.d. concorso estero. Sul punto si

rammenta che assume la qualità di “concorrente esterno” nel reato suddetto la persona che, priva

dell’affectio societatis e non essendo stabilmente inserita nella struttura associativa, fornisce un

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concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, purchè questo abbia un’effettiva

rilevanza causale ai fini della conservazione o de rafforzamento dell’associazione.

L’art. 416 ter c.p. – introdotto dall’art. 11 ter del d.l. 8.6.1992, n. 306, convertito, con

modificazioni, nella l. 7.8.1992, n. 356 –, rubricato «Scambio elettorale politico-mafioso», dispone:

«La pena stabilita dall’art. 416 bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal

terzo comma del medesimo art. 416 bis in cambio della erogazione di denaro».

Per dottrina e giurisprudenza la prescrizione in analisi rientra nella categoria dei reati plurioffensivi

poiché, insieme all’interesse all’ordine pubblico, è deputata a presidiare il principio di legalità

democratica e rappresentativa delle istituzioni politiche. In particolare, l’art. 416 ter c.p. mira ad

arginare l’incidenza del fenomeno mafioso sulla ricerca del consenso onde evitare una

compromissione delle stesse fondamenta su cui si edifica il nostro assetto statuale.

L’incriminazione in questione si iscrive tra i reati di pericolo presunto poiché il legislatore,

stigmatizzando la mera promessa di voti, oltre a non avere giudicato necessaria la prova di un

contributo causale al mantenimento in vita o al consolidamento dell’organizzazione malavitosa,

non ha preteso, soprattutto, la dimostrazione, da un lato, di un effettivo pregiudizio per la libera

manifestazione della volontà popolare – ovvero che il corpo elettorale si sia realmente schierato

dalla parte di colui in favore del quale è stato stipulato il pactum sceleris – dall’altro, quantomeno

di un tentativo di inquinamento delle procedure di voto per il tramite delle modalità di azione

tipiche dei sodalizi mafiosi – ossia con vessazioni, intimidazioni, ecc. sui votanti .

Il reato de quo è integrato – sotto il profilo dell’elemento materiale – dalla promessa di voti

elettorali in cambio di somme di danaro o altra utilità fatta ad un candidato da un personaggio di

spicco di un’organizzazione mafiosa, mediante l’assicurazione dell’intervento dei membri della

stessa organizzazione.

Ciò comporta che il modello criminoso, nella misura in cui rinvia all’art. 416 bis, co. 3, c.p. ai fini

dell’individuazione dell’esatta portata del concetto di «promessa di voti», implica il contributo alla

consumazione del reato di almeno un affiliato alla societas sceleris – in veste di promittente o di

promissario, conferendo autonomo rilievo penale alla seguente variegata gamma di ipotesi

fattuali: i) l’associato, candidato a un incarico elettivo, si attiva per procurare voti a sé, attraverso

erogazioni di denaro finalizzate ad assicurarsi l’appoggio dei suoi accolti, di altro personaggio di

spicco nella zona o direttamente degli aventi diritto al voto; ii) l’associato si adopera per procurare

voti ad altrisoggetti – ignari o compiacenti –, mediante elargizioni di denaro volte a indurre i suoi

sodali o un potente del luogo a impegnarsi in favore di questo o quel candidato o immediatamente

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il corpo elettorale a canalizzare il consenso verso un pretendente prestabilito; iii) l’estraneo

all’associazione mafiosa, candidato a un mandato elettivo, si prodiga, per il tramite di apposite

prestazioni in denaro, affinché coloro che ne fanno parte gli procurino voti: è ovvio che nella

prospettiva del mafioso corrotto, i voti sono procurati ad altri esattamente come prevede l’art.

416 bis, co. 3, c.p.; iv) l’estraneo all’associazione mafiosa, assolvendo un ruolo di “mediatore” o di

semplice procacciatore di suffragi, si dà da fare, con appositi esborsi in denaro, al fine di

persuadere coloro che ne fanno parte ad impegnarsi per procurare voti a uno specifico candidato

– ignaro o compiacente –: è di nuovo ovvio che, nella prospettiva del mafioso corrotto, i voti

sono procurati ad altri esattamente come prevede l’art. 416 bis, co. 3, c.p.

Il reato previsto e punito dall’art. 630 c.p. (“Sequestro di persona a scopo di rapina o di

estorsione”) è configurato quali figura autonoma di reato e quindi non si pone né come ipotesi

aggravata dell’estorsione – dalla quale si distingue per il mezzo usato e anche per la consumazione

che è indipendente dal conseguimento del profitto – né come ipotesi aggravata di sequestro, dal

quale si differenzia per il dolo specifico, costituito dalla scopo di conseguire per sé o per altri un

ingiusto profitto. Quest’ultimo è, pertanto, elemento essenziale per la configurazione del delitto in

esame, atteso che il prezzo è la controprestazione che viene richiesta quale corrispettivo della

liberazione della persona.

Nel sequestro di persona a scopo di estorsione, la cui tipicità è data dal dolo specifico, la persona è

mercificata rispetto al fine dell’agente.

Trattasi di reato a consumazione anticipata che si realizza nel momento in cui vengono attuati tutti

i suoi elementi costitutivi, fino alla cessazione dello stato di soggezione della vittima.

L'art. 74 del DPR n 309/90 prevede e punisce la promozione, la costituzione, la direzione,

l'organizzazione, il finanziamento e la partecipazione ad associazione finalizzata al traffico illecito

degli stupefacenti.

Così come per l'associazione per delinquere semplice e per l'associazione di stampo mafioso, la

difficoltà maggiore che si riscontra, in sede processuale, con riferimento al reato p. e p, dall'art. 74

del DPR n 309/90 è quella relativa alla delimitazione delle condotte punibili ed all'individuazione

della linea di confine tra il concorso nei singoli (ed eventuali) fatti illeciti commessi e la

partecipazione al vincolo associativo.

L’associazione postula dunque un accordo stabile fra tre o più persone al fine di realizzare una

serie indeterminata di condotte criminose concernenti le sostanze stupefacenti. Il legislatore non

ha delineato i requisiti fondamentali della struttura organizzativa, di tal che, per la enucleazione di

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essi, occorre fare riferimento alla elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sviluppatasi sia

relativamente all’associazione ordinaria, sia con specifico riguardo all’associazione in materia di

stupefacenti.

Riprendendo la differenzazione del trattamento sanzionatorio già prevista dal c.p. a seconda del

ruolo ricoperto dall’associato, di promozione, direzione o finanziamento o piuttosto che di mera

partecipazione, il legislatore ha comminato, per le posizione di vertice gerarchico, la reclusione

non inferiore a 20 anni, per la mera partecipazione, la reclusione non inferiore a 10 anni. La norma

non prevede l’applicazione di alcuna pena pecuniaria.

Affinché si possa ritenere sussistente un’associazione è necessario che vi siano almeno tre persone

che si accordino stabilmente tra loro per la perpetrazione di una serie indeterminata di reati

connessi agli stupefacenti fra quelli previsti dall’art. 73 e solo fra di essi.

L’associazione per delinquere finalizzata al commercio di sostanze stupefacenti si identifica in un

accordo destinato a costituire una struttura permanente in cui i singoli associati divengono –

ciascuno nell’ambito dei compiti assunti o affidati – parti di un tutto finalizzato a commettere una

serie indeterminata di delitti della stessa specie, preordinati alla cessione o al traffico della droga.

Ai fini della costituzione di un’associazione per delinquere, non è necessario che vi sia un

preventivo accordo formale fra gli aderenti, ma è sufficiente che fra tre o più persone si stringa,

anche di fatto, un patto che abbia in sé la c.d. affectio societatis, in forza della quale tutti gli

aderenti siano portati ad operare nel settore del traffico della droga, nella consapevolezza che le

attività proprie ed altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione

del programma criminale.

Ai fini della sussistenza dell’associazione non è richiesta l’effettiva commissione dei reati fine, ma è

sufficiente che tra i partecipanti vi sia l’interesse comune e la volontà che vengano poste in essere

azioni idonee alla realizzazione del programma criminoso sotteso al traffico di droga.

Il dolo del delitto di partecipazione all’associazione per delinquere finalizzata al traffico di

stupefacenti, sia in caso di partecipazione sia in caso di assunzione di un ruolo preminente, è un

dolo specifico in quanto presuppone non solo la coscienza e la volontà di recare l’apporto che è

richiesto dalla norma incriminatrice, ma anche la consapevolezza di partecipare e contribuire

attivamente alla vita dell’associazione per la realizzazione del comune programma di delinquenza.

Occorre dunque che il singolo abbia effettiva coscienza e volontà dell’attività propria e delle

attività poste in essere dagli altri associati, nonché dal fatto che i diversi associati si sostengano

vicendevolmente ed insieme contribuiscano a realizzare il programma di attività criminale

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perseguito, con netta autonomia materiale e psicologica rispetto ai reati programmati. È dunque

necessario che sia provata la consapevolezza da parte di ognuno di operare nell’ambito di un’unica

associazione, contribuendo con i ripetuti apporti al fine comune di trarre profitto dal commercio

della sostanza stupefacente. La consapevolezza dell’associato può essere provata anche attraverso

comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione e non è

richiesto che ogni partecipe conosca tutti i particolari della struttura organizzativa

dell’associazione, come persone o mezzi, e delle attività realizzate, come quantitativi e ricavi dello

spaccio delle droghe.

Il D.Lgs. 231/2001 all’art. 25-octies prevede la responsabilità dell’ente anche per le ipotesi

delittuose di ricettazione, riciclaggio ed impiego di danaro, beni ed altre utilità di provenienza

illecita.

Si tratta di delitti che di fatto puniscono quelle condotte consistenti nell’acquisto e/o nel rimpiego

di danaro o altri beni, proventi di un reato già consumato (il c.d. reato presupposto).

Tutti e tre i delitti che ci apprestiamo ad esaminare impongono una breve riflessione in ordine al

nesso di presupposizione tra reati. Infatti in tutte e tre le ipotesi in commento la condotta

delittuosa presuppone la previa integrazione del reato presupposto nella realizzazione del quale

non sia concorso l’autore del reato presupponente.

Sussiste tale relazione ogni qual volta la commissione di un reato (c.d. reato presupponente)

postula necessariamente la previa realizzazione di un altro reato (il c.d. reato presupposto).

Passando ad analizzare più specificatamente le singole fattispecie, il delitto p. e p. dall’art. 648 c.p.

(“Ricettazione”) punisce la condotta di chi, fuori dei casi di concorso nel reato, al fine di procurare

a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve, od occulta danaro o cose provenienti da un qualsiasi

delitto comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare.

Come è agevole notare, trattasi di un’ipotesi comprensiva di una multiforme serie di attività

successive ed autonome rispetto alla consumazione del reato presupposto.

Rientra nella nozione di profitto qualunque utilità o vantaggio derivante dal possesso della cosa,

senza che sia necessario che l’agente lo abbia effettivamente conseguito.

Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la norma de qua richiede la conoscenza in capo al

ricettatore della provenienza delittuosa delle cose, essendo sufficiente la certezza di acquistare

cose provenienti da un reato. La norma richiede il dolo specifico, consistente nel procurare a sé o

ad altri un profitto quale risultato dell’attività delittuosa di ricettazione.

Particolarmente discussa è la determinazione dell’oggetto della tutela nel delitto di ricettazione.

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Invero, secondo un certo orientamento il bene tutelato sarebbe esclusivamente di natura

patrimoniale. Altri, al contrario, ravvisano l’interesse tutelato essenzialmente nell’amministrazione

della giustizia, argomentando che la dispersione delle cose di provenienza delittuosa

immancabilmente viene a creare un ostacolo all’opera dell’autorità per l’accertamento dei reati e

la punizione dei colpevoli.

La figura delittuosa di cui all’art. 648-bis c.p. (“Riciclaggio”) è configurabile come delitto

plurioffensivo poiché, accanto al patrimonio, tutela altri beni giuridici come l’amministrazione

della giustizia, l’ordine pubblico, ovvero l’ordine economico-finanziario, anche nella specie della

tutela del risparmio.

L’amministrazione della giustizia è da molti ritenuto tra i beni protetti, sul rilievo che l’essenza del

delitto risiede nella idoneità delle diverse condotte – vincolate o a forma libera – ad ostacolare

l’identificazione della provenienza delittuosa.

Altri invece ravvisano il bene protetto nell’ordine pubblico; altri ancora nell’ordine economico –

finanziario, sulla scorta del fatto che i proventi illeciti, in particolare quelli della criminalità

organizzata, rappresentano un fattore di inquinamento dell’economia, dei mercati e della libera

concorrenza.

A tal proposito si ricorda la classica definizione di riciclaggio suggerita dalla Commissione

Presidenziale statunitense sul crimine organizzato: “mezzi attraverso i quali si nasconde

l’esistenza, la fonte illegale o l’utilizzo illegale di redditi e poi si camuffano questi redditi per farli

apparire legittimi”.

La condotta tipica del reato è descritta dalla norma secondo tre diversi modelli fattuali: 1) la

sostituzione del danaro, beni o altre utilità di provenienza illecita, ovvero tutte quelle attività

dirette ad incidere sul compendio criminoso separandolo da ogni possibile collegamento con il

reato; 2) il trasferimento, ovvero tutte quelle condotte che implicano uno spostamento dei valori

di provenienza delittuosa da un soggetto ad un altro – ovvero nella titolarità – o da un luogo ad un

altro; 3) qualsiasi operazione, diversa dalla sostituzione o trasferimento, che sia idonea ad

ostacolare l’identificazione del danaro, beni o altro di provenienza illecita.

Quanto al coefficiente psicologico, il dolo di riciclaggio appare ridotto alla volontaria esecuzione di

un’operazione accompagnata dalla consapevolezza della provenienza delittuosa del bene e

nell’idoneità di tale condotta a costituire ostacolo all’identificazione di tale provenienza.

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Quanto, infine, al reato di cui all’art. 648-ter c.p. (“Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza

illecita”) esso consiste nell’investire, in attività economiche o finanziarie, denaro, beni o altre

utilità di illecita provenienza.

Soggetto attivo può essere chiunque impieghi il capitale illecito, sempre che non abbia concorso

nel delitto da cui il danaro o l’utilità proviene, non abbia ricettato o non abbia riciclato.

Quanto all’elemento soggettivo, il dolo nel delitto in commento è fondato sulla consapevolezza in

capo all’agente della provenienza illecita delle risorse accompagnata dalla coscienza e volontà di

destinarle ad un impiego economicamente utile.

In data 15 dicembre 2014 è diventato legge (L.n. 186/2014) il disegno di legge n. 1642 recante

“Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il

potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio”.

La legge n. 186/2014, oltre a disciplinare il tema della cd. voluntary disclosure per il rientro dei

capitali detenuti all’estero, interviene sulla disciplina del riciclaggio sia prevedendo un

inasprimento delle pene pecuniarie delle fattispecie già esistenti sia introducendo una nuova

figura di reato, quello di autoriciclaggio, prima d’ora sconosciuta al nostro ordinamento che non

sanzionava specificamente la condotta di colui il quale riciclava in prima persona, ovvero sostituiva

o trasferiva denaro, beni o altre utilità che aveva ricavato commettendo egli stesso un reato.

La nuova fattispecie, pertanto, prevede una condotta tale per cui l’autore, dopo aver commesso o

concorso a commettere un delitto (non colposo), cerca di “ostacolare concretamente

l’identificazione della provenienza delittuosa” del provento ricavato dal primo reato attraverso il

suo riutilizzo “in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative”.

Dopo aver delineato il perimetro della condotta, l’art. 648 – ter. 1 introduce un elemento

scriminante (comma 4) e un elemento volto ad incrementare il disvalore della condotta (comma

5):

-in base al comma 4, non rilevano ai fini dell’imputabilità del reato di autoriciclaggio le ipotesi di

destinazione “alla mera utilizzazione o al godimento personale” dei proventi del primo reato;

- il comma 5, invece, si preoccupa anche di individuare nella fattispecie degli elementi

particolarmente disincentivanti della condotta per il sistema finanziario e creditizio, tanto da

stabilire un aumento della pena quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria

o finanziaria o di altra attività professionale.

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8. I REATI DI FALSO NUMMARIO PREVISTI DALL’ART. 25-BIS D.LGS. 231/2001 ED I REATI

CONTRO L’INDUSTRIA ED IL COMMERCIO PREVISTI DALL’ART. 25-BIS 1 DEL D.LGS. 231/2001

I reati di falso nummario previsti dall’art. 25-bis del D.Lgs. 231/2001 sono:

Art. 453 c.p. - Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello stato, previo concerto, di

monete falsificate

"E' punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da euro 516 a euro 3.098:

1) chiunque contraffà monete nazionali o straniere, aventi corso legale nello Stato o fuori;

2) chiunque altera in qualsiasi modo monete genuine, col dare ad esse l'apparenza di un valore

superiore;

3) chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell'alterazione, ma di concerto con chi

l'ha eseguita ovvero con un intermediario, introduce nel territorio dello Stato o detiene o spende o

mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate;

4) chiunque, al fine di metterle in circolazione, acquista o comunque riceve, da chi le ha falsificate,

ovvero da un intermediario, monete contraffatte o alterate".

Art. 454 c.p. - Alterazione di monete

"Chiunque altera monete della qualità indicata nell'articolo precedente, scemandone in qualsiasi

modo il valore, ovvero, rispetto alle monete in tal modo alterate, commette alcuno dei fatti indicati

nei numeri 3 e 4 del detto articolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa

da € 103 a € 516".

Art. 455 c.p. - Spendita o introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate

“Chiunque, fuori dei casi preveduti dai due articoli precedenti, introduce nel territorio dello Stato,

acquista o detiene monete contraffatte o alterate, al fine di metterle in circolazione ovvero le

spende o le mette altrimenti in circolazione,soggiace alle pene stabilite nei detti articoli, ridotte da

un terzo alla metà”.

Art. 457 c.p. - Spedita di monete falsificate ricevute in buona fede

"Chiunque spende o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate, da lui ricevute

in buona fede, è punito con la reclusione fino a sei mesi e con la multa fino ad € 1032”.

Art. 459 c.p. - Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o

messa in circolazione di valori di bollo falsificati

"Le disposizioni degli articoli 453, 455 e 457 si applicano anche alla contraffazione o alterazione di

valori di bollo e alla introduzione nello stato o all'acquisto, detenzione e messa in circolazione di

valori di bollo contraffatti; ma le pene sono ridotte di un terzo.

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Agli effetti della legge penale, si intendono per valori di bollo la carta bollata, le marche da bollo, i

francobolli e gli altri valori equiparati a questi da leggi speciali".

Art. 460 c.p. - Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico

credito o di valori di bollo

"Chiunque contraffà la carta filigranata che si adopera per la fabbricazione delle carte di pubblico

credito o dei valori di bollo, ovvero acquista, detiene o aliena tale carta filigranata, è punito con la

reclusione da due a sei anni e con la multa da € 309 a € 1032".

Art. 461 c.p. - Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di

monete, valori di bollo o di carta filigranata

"Chiunque fabbrica, acquista, detiene o aliena filigrane, programmi informatici o strumenti

destinati esclusivamente alla contraffazione o alterazione di monete, valori di bollo o di carta

filigranata, è punito, se il fatto non costituisce reato più grave, con la reclusione da uno a cinque

anni e con la multa da € 103 a € 516.

La stessa pena si applica se le condotte previste dal primo comma hanno ad oggetto ologrammi o

altri componenti della moneta destinati ad assicurarne la protezione contro la contraffazione o

l'alterazione".

Art. 464 c.p. - Uso di valori di bollo contraffatti o alterati

"Chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell'alterazione, fa uso di valori di bollo

contraffatti o alterati è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino ad € 516.

Se i valori sono stati ricevuti in buona fede si applica la pena stabilita nell'art. 457 ridotta di un

terzo".

Art. 473 c.p. - Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti,

modelli e disegni

"Chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera

marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere

concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è

punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 2.500 a € 25.000.

Soggiace alla pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da € 3.500 a € 35.000

chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza

essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli

contraffatti o alterati.

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I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le

norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela

della proprietà intellettuale o industriale".

Art. 474 c.p. - Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi

"Fuori dei casi di concorso nei reati previsti dall'art. 473, chiunque introduce nel territorio dello

Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o

esteri, contraffatti o alterati è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da €

3.500 a € 35.000.

Fuori dei casi di concorso nella contraffazione, alterazione, introduzione nel territorio dello Stato,

chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, al fine di trarne

profitto, i prodotti di cui al primo comma è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa

fino ad € 20.000.

I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le

norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela

della proprietà intellettuale o industriale".

I reati contro l’industria ed il commercio previsti dall’art. 25 – bis 1 del D.Lgs. 231/2001 sono:

Art. 513 c.p. - Turbata libertà dell'industria o del commercio

"Chiunque adopera violenza sulle cose ovvero mezzi fraudolenti per impedire o turbare l'esercizio

di un'industria o di un commercio è punito, a querela della persona offesa, se il fatto non

costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a due anni e con la multa da euro 103 a euro

1.032".

Art. 513 – bis c.p. - Illecita concorrenza con minaccia e violenza

"Chiunque nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale o comunque produttiva, compie atti

di concorrenza con violenza o minaccia è punito con la reclusione da due a sei anni.

La pena è aumentata se gli atti di concorrenza riguardano un'attività finanziaria in tutto o in parte

ed in qualsiasi modo dallo Stato o da altri enti pubblici".

Art. 514 c.p. - Frodi contro le industrie nazionali

"Chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri,

prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un

nocumento all'industria nazionale è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa

non inferiore a euro 516 .

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Se per i marchi o segni distintivi sono state osservate le norme delle leggi interne o delle

convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, la pena è aumentata e non si

applicano le disposizioni degli articoli 473 e 474".

Art.515 c.p. - Frode nell'esercizio del commercio

"Chiunque, nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico,

consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine,

provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto

non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro

2.065.

Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a

euro 103".

Art. 516 c.p. - Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine

“Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non

genuine è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1.032".

Art. 517 c.p. - Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

"Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti

industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il

compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è

preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la

multa fino a ventimila euro".

Art. 517 – ter c.p. - Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà

industriale

"Salva l'applicazione degli articoli 473 e 474 chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo

di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati

usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso è punito, a querela della

persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino ad € 20.000.

Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene

per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione

i beni di cui al primo comma.

Si applicano le disposizioni di cui agli art. 474 - bis, 474 - ter secondo comma e 517 - bis secondo

comma.

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I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili sempre che siano state osservate le

norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela

della proprietà intellettuale o industriale".

Art. 517 – quater c.p. - Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei

prodotti agroalimentari

"Chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di

prodotti agroalimentari è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino ad € 20.000.

Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene

per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione

i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte.

Si applicano le disposizioni di cui agli artt. 474 - bis, 474 - ter secondo comma e 517 - bis secondo

comma.

I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le

norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia

di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari".

8.1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

I delitti di cui agli artt. 453 c.p. (“Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato,

previo concerto, di monete falsificate”), 454 c.p. (“Alterazione di monete”), 455 c.p. (“Spendita ed

introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate”) e 457 c.p. (“Spendita di monete

falsificate ricevute in buona fede”) si configurano come reati di pericolo e non di danno in quanto

posti a tutela della fiducia che il pubblico ripone nella circolazione monetaria, a prescindere dal

danno patrimoniale eventualmente subito dal privato.

Oggetto dei delitti di falso nummario sono le monete nazionali o straniere aventi corso legale nello

Stato o fuori dello Stato.

Trattasi di reati comuni che possono essere commessi da chiunque.

Più in particolare l’art. 453 c.p. punisce condotte costituenti falsità propria, quali la contraffazione

e l’alterazione di monete, e condotte che danno luogo a falsità impropria in quanto relative a

modalità di utilizzazione delle monete successivamente alla falsificazione.

La contraffazione costituisce la formazione ex novo di una prova atta a determinare un falso

giudizio, consiste cioè nel formare una prova in modo che essa sembri un’altra da quella che è

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(Carnelutti). In altri termini la contraffazione si sostanzia in una imitatio veri, cioè nella creazione

illegittima, da parte di chi non sia autorizzato, di monete che abbiano un’apparenza di genuinità.

L’alterazione sanzionata dal’art. 453 n. 2 c.p. presuppone invece la genuinità della moneta e

costituisce una modificazione dello stato preesistente della sostanza o delle caratteristiche formali

della moneta, volta a creare l’apparenza di un valore superiore.

L’art. 453 n. 3 c.p. sanziona condotte successive alla falsificazione inquadrabili come attività di

ricettazione in senso lato o concretanti attività di immissione della moneta in circolazione.

Presupposto comune alle varie ipotesi sanzionate dalla norma è che l’agente non sia concorso

nell’attività di falsificazione e che sussista il concerto con il falsificatore o l’intermediario.

Per concerto si intende l’incontro di volontà diretta ad un fine comune.

Le condotte di cui all’art. 453 c.p. n. 1, 2, 3 sono punite a titolo di dolo generico; per quella prevista

dal n. 4 la giurisprudenza richiede il dolo specifico.

L’art. 454 c.p. punisce una condotta costituente falsità propria, ovvero l’alterazione di monete che

ne diminuisca il valore(art. 454 prima parte) e varie condotte che danno luogo a falsità impropria,

in quanto concernenti diverse modalità di utilizzazione delle monete successivamente

all’alterazione.

Le condotte di cui all’art. 454 c.p. sono punibili a titolo di dolo generico, salvo le ipotesi in cui si

richiami i casi di cui all’art. 453 n.4, punibili a titolo di dolo specifico.

L’art. 455 c.p. (“Spendita ed introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate”)

prevede varie condotte di ricettazione in senso lato di monete falsificate, più lievi rispetto alle

corrispondenti ipotesi sanzionate dagli artt. 453 e 454 c.p. La norma ricalca la struttura oggettiva

degli art. 453 nn. 3 e 4 e 454 seconda parte, differenziandosi dalle ipotesi ivi contemplate per la

mancanza del previo concerto con il falsificatore o l’intermediario e per la previsione del dolo

specifico.

L’articolo sanziona, infatti, sia l’introduzione nel territorio dello Stato sia la detenzione di monete

contraffatte o alterate con le modalità descritte dagli artt. 453 n. 2 e 454 c.p. senza concerto con il

falsificatore o con un intermediario, ma al fine di metterle in circolazione; sia l’acquisto di monete

contraffatte o alterate da persona diversa dal falsificatore o intermediario al fine di metterle in

circolazione; sia, infine, la spendita o la messa in circolazione di monete contraffatte o alterate,

senza concerto con il falsificatore o l’intermediario.

L’art. 457 c.p. (“Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede”) mira a sanzionare una

condotta frequente nella prassi, essendo diffuso nella coscienza popolare il concetto che non si

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possa pretendere che chi ha ricevuto in buona fede danaro falso debba tenersi tale ingiusto danno

senza tentare di riversarlo su altri (Manzini).

La norma sanziona la spendita o la messa in circolazione di monete falsificate che siano state

ricevute in buona fede. La sola detenzione di monete falsificate, successiva alla consapevolezza

della falsità, è fatto penalmente irrilevante salvo che non ricada nella previsione dell’art. 455 c.p.

per essere nel detentore insorto il proposito di metterle in circolazione.

Ricezione in buona fede significa ignorare la falsità delle monete. La prova della buona fede non è

carico dell’agente, non essendo prevista alcuna inversione dell’onere probatorio.

L’interesse giuridico protetto dall’art. 459 c.p. (“Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello

Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati”) è la pubblica fede

attinente alla sincerità dei valori di bollo.

Veste di soggetto passivo deve essere riconosciuta allo Stato, leso nel suo interesse economico a

produrre e mettere in circolazione, in regime di monopolio, determinati oggetti nonché a non

essere defraudato del corrispettivo stabilito per la messa a disposizione degli utenti di determinati

servizi pubblici.

La norma di cui all’art. 459 c.p. richiama espressamente gli artt. 453, 455 e 457 c.p. e, dunque, ne

recepisce integralmente il contenuto sia per quanto concerne la descrizione delle singole condotte

sia per quel che riguarda le prescrizioni relative all’oggetto materiale contenute nell’art. 453 n. 1

ovviamente in quanto applicabili.

Il delitto è imputabile solo a titolo di dolo, come coscienza e volontà di commettere alcuno dei fatti

contemplati dalla norma, cioè di acquistare, detenere o mettere in circolazione valori bollati

contraffatti.

Gli artt. 460 c.p. (“Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico

credito o di valori di bollo”) e 461 c.p. (“Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti

destinati alla falsificazione di monete, valori di bollo o di carta filigranata”) sanzionano le

cosiddette attività preparatorie alla falsificazione, ovvero la contraffazione ovvero l’acquisto,

detenzione o alienazione di carta filigranata contraffatta.

I delitti sono punibili a titolo di dolo generico.

L’art. 464 c.p. (“Uso di valori di bollo contraffatti o alterati”) sanziona la condotta di chi, non

essendo concorso nella falsificazione, fa uso di valori di bollo contraffatti o alterati. La norma trova

applicazione solo quando all’uso non si accompagna alcun comportamento precedente di per sé

punibile e più grave.

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Il delitto sanzionato dall’art. 464 comma 1 c.p. è sorretto dal dolo generico; quanto all’ipotesi di

cui all’art. 464 comma 2 c.p. è richiesto che l’agente sia in buona fede al momento della ricezione

del falso e che sia, invece, consapevole della falsità delle cose nel momento dell’uso. Infatti l’uso in

buona fede escluderebbe l’elemento soggettivo del delitto in esame.

L’art. 473 c.p. (“Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti,

modelli e disegni”) tutela la fiducia che il pubblico indeterminato dei consumatori ripone nella

generalità dei segni distintivi delle opere dell’ingegno o dei prodotti industriali.

In particolare, in giurisprudenza, si afferma che è tutelata la pubblica fede in senso oggettivo,

intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi che individuano le opere

dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non l’affidamento del

singolo: non è quindi necessario, per integrare il reato, che sia realizzata una situazione tale da

indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto.

Il reato in esame (ambedue le condotte previste dai due commi) si configura come reato di

pericolo concreto, posto che non si richiede la lesione della fede pubblica: non è, cioè, necessario

un effettivo collegamento tra attività illecita e percezione della stessa da parte dei destinatari,

ossia del pubblico.

L'integrazione dell'elemento oggettivo richiede invece la specifica attitudine offensiva della

condotta, vale a dire l'effettivo rischio di confusione per la generalità dei consumatori. Parte della

dottrina esclude l'illecito quando la condotta, nel suo svolgimento concreto, anche per circostanze

emergenti a posteriori, presenti una radicale e assoluta incapacità di ingenerare confusione fra i

consumatori ed attribuisce in tal senso rilevanza all'originaria o sopravvenuta incapacità distintiva

del segno autentico, come nel caso della sua volgarizzazione ed all'uso del marchio con

accorgimenti o cautele che evitino il sorgere di qualsiasi confusione sulla provenienza del prodotto

(ad es. l'uso del marchio altrui accompagnato dall'espressione "tipo").

Per quanto concerne l’oggetto materiale delle condotte occorre differenziare le ipotesi dei primi

due commi. Al primo comma ad essere tutelati sono i marchi, i segni distintivi delle opere

dell’ingegno o dei prodotti industriali.

Sul fronte delle condotte punibili, l’art. 473 c.p. reprime anzitutto le condotte di contraffazione o

alterazione. Per contraffazione deve intendersi la condotta tesa a far assumere al marchio

falsificato qualità tali da ingenerare confusione sull’autentica provenienza del prodotto, con

possibile induzione in inganno dei consumatori. L’alterazione, invece, dovrebbe consistere nella

modificazione parziale di un marchio genuino, ottenuta. La condotta punibile deve comunque

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cadere sul segno distintivo oggetto di registrazione e non sugli strumenti (punzone, stampo, cliché,

ecc.) necessari per riprodurre il segno mediante l’eliminazione o l’aggiunta di elementi costitutivi

marginali.

L'oggetto del dolo è dato dalla consapevolezza di tutti gli elementi costitutivi del reato (dolo

generico), ed in particolare in giurisprudenza tradizionalmente si sottolinea la necessità della

coscienza e volontà dell'immutatio veri (Cass., III, 30 gennaio 1962). L’attuale formulazione della

norma recepisce l’orientamento giurisprudenziale secondo cui tale consapevolezza non esige la

conoscenza positiva della ricorrenza di detto dato formale, essendo sufficiente l'accettazione del

rischio che la registrazione sia effettivamente esistente, accettazione desumibile da tutte le

circostanze e anche dal comportamento complessivo dell'imputato (Cass., V, 5 novembre 2001).

Ad oggi, pertanto basterà la mera conoscibilità della tutela extrapenale apprestata al marchio o al

brevetto, essendo invece onore della difesa dimostrare che l’ignoranza incolpevole dell’autore del

reato. Il terzo comma dell’articolo in esame afferma come “i delitti di cui ai commi primo e

secondo sono punibili a condizione siano state osservate le norme delle leggi interne, dei

regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale

ed industriale”.

In giurisprudenza si precisa che il richiamo all’osservanza delle leggi interne o delle convenzioni

internazionali nell'art. 473 comma 3, va letto con esclusivo riferimento alla disciplina della

proprietà intellettuale e industriale, mentre non hanno alcun rilievo le diverse normative che

eventualmente intervengano sulla fabbricazione del prodotto o sui segni che possono essere

imposti sullo stesso per attestarne o regolarne i trasferimenti, tra cui i numeri di matricola (Cass.,

II, 21 marzo 1950) e il bollino, esterno o fustellato, delle confezioni di medicinali (Cass., II, 15

novembre 1986). Per contro, si è ritenuto integrare il reato in esame la semplice modificazione

della confezione, originariamente indicata dal marchio depositato, del prodotto commercializzato

(Cass., V, 14 gennaio 1986). La registrazione del marchio è ritenuta un elemento essenziale per

l'integrazione del reato (Cass., II, 26 marzo 1998; V, 8 maggio 1995; V, 25 marzo 1986).

Poiché il procedimento amministrativo italiano di registrazione del marchio non prevede l'esame

preventivo dei requisiti del segno a cui consegue la tutela offerta dalla registrazione - esame

riservato all’autorità giudiziaria - si è affermata la sufficienza ai fini della norma in esame della

presentazione della domanda di registrazione, con l'opposizione della dottrina assolutamente

prevalente che, condivisibilmente, ritiene necessaria la definitiva registrazione. Il richiamo del

comma 3 dell'art. 473 all’osservanza delle norme in materia di tutela della proprietà intellettuale o

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industriale viene riferito esclusivamente all'esaurimento del procedimento amministrativo della

registrazione, con ciò negandosi al giudice penale ogni potere di indagine circa la validità

sostanziale del marchio. Di conseguenza si esclude anche che il successivo annullamento della

registrazione o la dichiarazione di nullità del brevetto abbiano l'effetto di rendere penalmente

leciti i fatti anteriormente commessi.

Il delitto di cui all’art. 474 c.p. (“Introduzione nello Stato e commercio di prodotti falsi”) si configura

quale fattispecie sussidiaria rispetto all’art. 473 c.p., pertanto solo chi non è concorso nella

contraffazione può rispondere dell’introduzione nel territorio dello Stato o nella messa in

commercio. La falsificazione dei segni distintivi è caratterizzata, infatti, da un iter esecutivo

bifasico: il momento dell'apposizione sul prodotto del marchio contraffatto (ipotesi più grave

prevista dall'art. 473) e il momento della messa in vendita della merce falsamente contrassegnata

(ipotesi meno grave disciplinata dall'art. 474).

Quanto all’interesse protetto dalla norma, la dottrina maggioritaria, come per l’art. 473c.p., ritiene

che il bene giuridico tutelato debba rinvenirsi nella fiducia che il pubblico indeterminato dei

consumatori ripone nella generalità dei segni distintivi delle opere dell’ingegno o dei prodotti

industriali.

L’oggetto materiale delle condotte sono sempre i marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri,

contraffatti o alterati e sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei

regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale o

intellettuale.

Il delitto si presenta come ontologicamente transnazionale e si pone appunto nell’ottica di

contrasto al traffico internazionale di prodotti contraffatti, che causa ingenti danni al nostro

sistema economico.

La norma richiede il dolo generico in ordine alle ipotesi di messi in vendita o altrimenti in

circolazione ed il dolo specifico nei casi di importazione per farne commercio o detenere per

vendere.

Secondo costante giurisprudenza, il delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con

segni falsi può concorrere con il delitto di ricettazione, in quanto la fattispecie astratta dell’art. 474

c.p. non contiene tutti gli elementi costitutivi della ricettazione. Lo stesso soggetto può quindi

commettere entrambi i reati, stante la diversa soggettività giuridica dei due reati.

L’art. 474, infatti, è posto a tutela della fede pubblica, mentre l’art. 648 rientra tra i delitti contro il

patrimonio, e distinti sono anche gli scopi delle norme: nella ricettazione si vuole evitare la

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circolazione di prodotti provenienti da delitto, mentre l’altra ipotesi offre una protezione della

pubblica fede commerciale (Cass. Sez. V. n. 206998/97).

Il delitto di turbata libertà dell’industria ed il commercio previsto e punito dall’art. 513 c.p. ha

natura di reato permanente ed è rivolto alla tutela dell’ordine economico.

Sul piano dell’elemento oggettivo il reato configura due diverse condotte, espressive entrambe del

medesimo disvalore penale.

Come è stato evidenziato, la contemporaneità delle due condotte poste in essere in esecuzione di

un medesimo disegno criminoso dà luogo ad un unico reato.

La fattispecie prevede alternativamente l’uso di violenza sulle cose o di mezzi fraudolenti per

impedire o turbare l’esercizio di un’industria o di un commercio.

La nozione di violenza sulle cose deve essere ricavata dall’art. 392 c.p. (Esercizio arbitrario delle

proprie ragioni con violenza sulle cose), ove testualmente si afferma che, agli effetti della legge

penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata, trasformata, o ne è mutata la

destinazione.

Leggermente più problematica appare invece l’esatta definizione di “mezzi fraudolenti”.

La dottrina maggioritaria considera fraudolenti tutti i mezzi idonei a trarre in inganno la vittima,

come artifici, raggiri e menzogne, restando invece escluse dal novero delle condotte rilevanti altri

mezzi illeciti, come, ad esempio, il mantenimento della vittima in condizione di ignoranza.

La condotta dell’agente deve essere concretamente idonea a turbare o impedire l’esercizio di

un’industria o di un commercio.

L’impedimento può essere anche temporaneo o parziale e può verificarsi anche quando l’attività di

impresa non sia ancora iniziata ma sia in preparazione. La turbativa, invece, deve riferirsi ad

un’attività già iniziata e deve consistere nell’alterazione del suo regolare e libero svolgimento.

Per quanto riguarda i soggetti attivi, il reato è ascrivibile alla categoria dei reati comuni, pertanto i

destinatari del precetto non sono soltanto i soggetti che rivestono la qualifica di imprenditore.

Il dolo, secondo opinione praticamente unanime, si configura come specifico, consistente nel fine

di impedire o turbare l’attività di impresa.

Il delitto di illecita concorrenza con minaccia e violenza preso in considerazione dall’art. 513 –bis

del codice penale è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico dalla L. n. 646/1982

contenente misure di prevenzione patrimoniale antimafia.

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Si tratta quindi di un’incriminazione che si muove in un’ottica di tutela dell’iniziativa economica

lecita da forme di aggressione perpetrate dalla criminalità organizzata che, soprattutto in ambienti

“ad alta densità mafiosa”, tende sempre più ad inserirsi nel circuito dell’economia lecita.

Il bene tutelato dalla norma de qua è sempre l’ordine economico e quindi il normale, corretto,

sano svolgimento dell’attività di impresa.

È reato proprio in quanto la norma incriminatrice richiede che il soggetto attivo eserciti, anche di

fatto, un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva.

Il reato si configura allorché la condotta dell’agente si sostanzi nel compimento di atti di

concorrenza illecita posti in essere con minaccia o violenza.

Il delitto si perfeziona nel momento in cui si pongono in essere gli atti di violenza o minaccia, senza

che sia necessaria la reale intimidazione della vittima né un’alterazione degli equilibri di mercato.

Vittima degli atti di violenza o minaccia può essere non solo l’imprenditore diretto concorrente,

ma anche suoi parenti o collaboratori: “...il testo dell'art. 513 bis cp (che fa esclusivo riferimento

ad "atti di concorrenza con violenza o minaccia") e la ratio della norma (assicurare che "la

concorrenza sia non solo libera ma anche liberamente attuata": Cass., sez. 6, 9 gennaio - 6 marzo

1989, Spano, riv. n. 180706) non lasciano dubbi sul fatto che la concorrenza sleale punita dalla

norma in esame si realizza sia quando la violenza o la minaccia è esercitata in maniera diretta

contro l'imprenditore concorrente, sia quando l'obiettivo è perseguito in modo indiretto agendo nei

confronti di terzi (clienti attuali o potenziali o collaboratori dell'imprenditore concorrente). Ai fini

del reato, in altri termini, si richiede esclusivamente l'esistenza di comportamenti caratterizzati da

minaccia o violenza (indipendentemente dalla direzione della stessa) idonei a realizzare una

concorrenza illecita cioè a controllare o condizionare le attività commerciali, industriali o

produttive di terzi con forme di intimidazione tipiche della criminalità organizzata” (Cass.

n.19713/05).

Quanto all’elemento soggettivo anche tale delitto è sorretto dal dolo specifico consistente nella

coscienza e volontà di adoperare violenza o minaccia al fine di eliminare o scoraggiare la

concorrenza altrui.

Il reato di cui all’art. 514 c.p. punisce la vendita o messa in circolazione, sui mercati nazionali o

esteri, di prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, tali da

cagionare un nocumento all'industria nazionale.

Le condotte di porre in vendita e immettere nei circuiti di distribuzione attengono all’attività di

commercializzazione e di distribuzione, quale appendice necessaria all’attività di produzione.

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Accanto alla previsione dei marchi e segni distintivi, la norma incriminatrice annovera anche i

“nomi”, identificabili come quelle indicazioni come denominazioni, insegne, emblemi, firme, etc.

apposte per contrassegnare i prodotti ma non facenti parte del marchio.

Il nocumento all’industria nazionale, elemento costitutivo dell’art. 514, può assumere la forma di

qualsiasi pregiudizio recato all’industria nazionale, come ad esempio la diminuzione di affari in

Italia o all’estero, il mancato incremento degli affari, l’offuscamento del buon nome della società

in relazione al prodotto in questione o alla correttezza commerciale.

Il delitto si considera consumato nel momento e nel luogo in cui si è verificato il nocumento.

Pertanto, si colloca in Italia la consumazione, anche se il commercio è realizzato su mercati esteri,

purchè gli effetti si ripercuotano, pregiudicandolo, sul potenziale economico nazionale.

Il delitto di frode nell’esercizio del commercio previsto e punito dall’art. 515 c.p. sanziona la

condotta di chi nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico,

consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine,

provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita.

La frode in commercio presuppone l’esistenza di un contratto: avendo, infatti, la legge fatto

riferimento all’acquirente e non al compratore, può trattarsi di un qualsiasi contratto che produce

l’obbligo di consegna di una cosa mobile (es. contratto estimatorio, di somministrazione, di

permuta) e non solo la compravendita, la quale resta comunque la forma negoziale nel cui ambito

più frequentemente si inserisce l’illecito. Tuttavia, la norma in esame, pur operando in un rapporto

prettamente bilaterale, non fa riferimento agli interessi patrimoniali delle parti ma piuttosto alla

buona fede negli scambi commerciali, a tutela sia del pubblico dei consumatori che dei produttori

e commercianti. Nel singolo atto di scambio disonesto si tutela l’interesse di tutta la comunità a

che sia osservato un costume di onestà, lealtà e correttezza nello svolgimento del commercio.

L’elemento psicologico del delitto consiste nel dolo generico, ossia nella coscienza e volontà di

consegnare una cosa diversa da quella pattuita.

La fattispecie di cui all’art. 516 c.p. punisce chiunque pone in vendita o mette altrimenti in

commercio come genuine sostanze alimentari non genuine.

Questa fattispecie di reato è posta a tutela di un interesse sopraindividuale quale la buona fede

negli scambi commerciali la cui violazione si risolve presuntivamente in un pregiudizio per l’ordine

economico.

Per “porre in vendita” si intende offrire una determinata sostanza a titolo oneroso.

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Per “mettere in circolazione” si intende, invece, qualsiasi forma di messa in contatto della merce

con il pubblico, anche a titolo gratuito.

Oggetto dell’azione sono le sostanze alimentari non genuine.

La locuzione “sostanze alimentari” è idonea a ricomprendere sia i prodotti provenienti

direttamente o indirettamente dalla terra (per coltura o allevamento) sia i prodotti manipolati,

lavorati e trasformati e, quindi, provenienti dall’industria, qualsiasi sia il loro stato fisico (solido,

liquido o gassoso).

La genuinità è la caratteristica fondamentale dei prodotti alimentari e può essere intesa in senso

naturale e formale; la genuinità naturale indica la condizione di una sostanza che non abbia subito

processi di alterazione della sua normale composizione biochimica; la concezione formale di

genuinità (c.d. genuinità legale) riflette, invece, la conformità della composizione di un prodotto ai

requisiti formalizzati in un’apposita normativa. Pertanto, devono considerarsi non genuini sia i

prodotti che abbiano subito un’alterazione nella loro essenza e nella loro composizione mediante

la commistione di sostanze estranee o la sottrazione di principi nutritivi rispetto a quelli prescritti.

Per effetto della disposizione dell’art. 518 c.p., la condanna comporta la pubblicazione della

sentenza.

Il delitto di vendita di prodotti industriali con segni mendaci è teso a tutelare l’ordine economico

che deve essere garantito contro gli inganni tesi ai consumatori.

L’incriminazione ha natura sussidiaria perché è punita solo se il fatto non è previsto come reato da

altra disposizione di legge.

La messa in vendita o in circolazione delle opere dell’ingegno o dei prodotti deve avvenire con

nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti ad indurre in inganno il compratore

sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto.

Per “marchi o segni distintivi nazionali o esteri” si intendono segni emblematici o nominativi usati

dall’imprenditore per contraddistinguere un prodotto ovvero una merce.

Non occorre tuttavia che i marchi siano registrati in quanto l’art. 517 c.p., a differenza dell’art. 474

c.p., non prescrive la previa osservanza delle norme sulla proprietà industriale. Il marchio può

essere altresì di gruppo, in quanto indicante la provenienza dei prodotti da tutte le imprese

collegate.

Per “nomi” di intendono le denominazioni che caratterizzano il prodotto all’interno di uno stesso

genere.

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Tutti i contrassegni italiani e stranieri devono essere idonei a ingannare il compratore: questa

attitudine va valutata in rapporto alle abitudini del consumatore medio nell’operare gli acquisti.

L’inganno deve riguardare l’origine, la provenienza o la qualità dell’opera o del prodotto.

L’elemento soggettivo del delitto in esame richiede, trattandosi di dolo generico, la

consapevolezza della natura mendace ed ingannevole del segno utilizzato.

La norma incriminatrice di cui all’art. 517 – ter c.p. condanna chiunque, potendo conoscere

dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri

beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso nonché colui

che, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in

vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i beni sopra descritti.

Infine l’art. 517 – quater c.p. sanziona di chi contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o

denominazioni di origine di prodotti agroalimentari nonché colui che, al fine di trarne profitto,

introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai

consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o

denominazioni contraffatte.

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9. IL REATO DI IMPIEGO DI CITTADINI DI PAESI TERZI IL CUI SOGGIORNO E’ IRREGOLARE DI CUI

ALL’ART. 25-DUODECIES D.LGS. 231/2001

Art. 22 co. 12 e 12-bis D.Lgs. N. 286/1998 c.d. Testo Unico sull'Immigrazione –

" Il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di

soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia

stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato, è punito con la reclusione da sei

mesi a tre anni e con la multa di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato.

Le pene per il fatto previsto dal comma 12 sono aumentate da un terzo alla metà:

a) se i lavoratori occupati sono in numero superiore a tre;

b) se i lavoratori occupati sono minori in età non lavorativa;

c) se i lavoratori occupati sono sottoposti alle altre condizioni lavorative di particolare

sfruttamento di cui al terzo comma dell'articolo 603-bis del codice penale”.

I reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro richiamati dall’articolo 25-duodecies

del d.lgs. 231/2001. Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (Art. 603-bis c.p.):

- Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con

la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:

- 1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di

sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;

- 2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui

al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro

stato di bisogno.

- Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da

cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

- Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle

seguenti condizioni:

- 1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti

collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a

livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro

prestato;

- 2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al

riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

- 3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

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- 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a

situazioni alloggiative degradanti.

- Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:

- ) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;

- 2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;

- 3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto

riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro”.

- Il d.d.l. C 4008 che ha innovato l’art. 603 bis del c.p., prevede poi all’art. 3 che:

- “Nei procedimenti per i reati previsti dall’articolo 603-bis del codice penale, qualora ricorrano i

presupposti indicati nel comma 1 dell’articolo 321 del codice di procedura penale (ovvero

quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare

o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati), il giudice

dispone, in luogo del sequestro, il controllo giudiziario dell’azienda presso cui è stato

commesso il reato, qualora l'interruzione dell'attività imprenditoriale possa comportare

ripercussioni negative sui livelli occupazionali o compromettere il valore economico del

complesso aziendale”.

- Con il decreto con cui dispone il controllo giudiziario dell’azienda, il giudice nomina uno o più

amministratori, scelti tra gli esperti in gestione aziendale iscritti all’Albo degli amministratori

giudiziari di cui al decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14.

- L’amministratore giudiziario affianca l’imprenditore nella gestione dell’azienda ed autorizza lo

svolgimento degli atti di amministrazione utili all’impresa, riferendo al giudice ogni tre mesi, e

comunque ogniqualvolta emergano irregolarità circa l’andamento dell’attività aziendale. Al

fine di impedire che si verifichino situazioni di grave sfruttamento lavorativo, l’amministratore

giudiziario controlla il rispetto delle norme e delle condizioni lavorative la cui violazione

costituisce, ai sensi dell’articolo 603-bis del codice penale, indice di sfruttamento lavorativo,

procede alla regolarizzazione dei lavoratori che al momento dell’avvio del procedimento per i

reati previsti dall’articolo 603-bis prestavano la propria attività lavorativa in assenza di un

regolare contratto e, al fine di impedire che le violazioni si ripetano, adotta adeguate misure

anche in difformità da quelle proposte dall’imprenditore o dal gestore”.

9.1 ANALISI DELLA FATTISPECIE

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Il 9 agosto 2012 è entrato in vigore il decreto legislativo 16 luglio 2012, n. 109, il quale amplia i

reati presupposto ai fini della responsabilità delle persone giuridiche di cui al d.lgs. 231/2001.

Il d.lgs. 109/12, in attuazione della Direttiva 2009/52/CE che prevede norme minime relative a

sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il

cui soggiorno è irregolare, ha disposto l’introduzione di un nuovo articolo, l’art. 25-duodecies, nel

d.lgs. 231/01.

Il decreto 109/12 ha apportato diverse modifiche alla disciplina vigente, in particolare al d.lgs.

286/1998, il quale prevedeva già all’art. 22, comma 12, delle sanzioni per il datore di lavoro che

occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, ovvero il cui

permesso sia scaduto, e per il quale non si sia richiesto il rinnovo, ovvero ancora il cui permesso sia

stato revocato o annullato.

Al nuovo comma 12-bis dell’art. 22, sono state introdotte delle aggravanti che prevedono un

aumento delle pene da un terzo alla metà per le ipotesi in cui i lavoratori occupati siano in numero

superiore a tre o minori in età non lavorativa oppure esposti a situazioni di grave pericolo, avuto

riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.

Al nuovo comma 12-bis dell’art. 22, sono state introdotte delle aggravanti che prevedono un

aumento delle pene da un terzo alla metà per le ipotesi in cui i lavoratori occupati siano in numero

superiore a tre o minori in età non lavorativa oppure esposti a situazioni di grave pericolo, avuto

riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.

Ed è proprio in queste tre ipotesi aggravate che è configurabile la responsabilità dell’ente ai sensi

del d.lgs. 231/01.

L’art. 2 del d.lgs. 109/12, introducendo l’art. 25-duodecies nel d.lgs. 231/2001, ha previsto sanzioni

da applicare all’ente che possono variare da 100 a 200 quote, entro il limite di Euro 150.000.

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10. I REATI INFORMATICI PREVISTI DALL’ART. 24-BIS ED I REATI CONTRO LA PERSONALITA’

INDIVIDUALE PREVISTI DALL’ART. 25 – QUINQIES DEL D.LGS. 231/2001

I reati informatici per i quali l’art. 24 – bis del D.Lgs. 231/2001 prevede l’applicazione all’ente di

sanzioni pecuniarie ed interdittive sono i seguenti:

Art. 615 – ter c.p. – Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico

“Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di

sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è

punito con la reclusione fino a tre anni.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni:

- se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, con abuso

dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche

abusivamente la professione di investigatore privato o con abuso della qualità di operatore del

sistema;

- se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone ovvero se è

palesemente armato;

- se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema o l'interruzione totale o parziale

del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento di dati, delle informazioni o dei

programmi in essi contenuti.

Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di

interesse militare o relativi all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla

protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da

uno a cinque anni e da tre a otto anni.

Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri

casi si procede d'ufficio".

Art. 615 – quater c.p. – Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o

telematici

"Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno,

abusivamente si procura, riproduce, diffonde comunica o consegna codici, parole chiave o altri

mezzi idonei all'accesso ad un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza o,

comunque, fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo, è punito con la reclusione sino

ad un anno e con la multa sino ad € 5.164.

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La pena è della reclusione da uno a due anni e della multa da € 5.164 a 10.329 se ricorre taluna

delle circostanze di cui ai n. 1 e 2 del quarto comma dell'art. 617 - quater".

Art. 615 – quinquies c.p. – Diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti

a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico

"Chiunque, allo scopo di danneggiare illecitamente un sistema informatico o telematico, le

informazioni, i dati o i programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti ovvero di favorire

l'interruzione, totale o parziale, o l'alterazione del suo funzionamento, si procura, produce,

riproduce, importa, diffonde, comunica, consegna, o comunque mette a disposizione di altri

apparecchiature, dispositivi o programmi informatici, è punito con la reclusione fino a due anni e

con la multa sino ad € 10.329".

Art. 617 – quater c.p. – Intercettazione impedimento o interruzione illecita di comunicazioni

informatiche o telematiche

"Chiunque fraudolentemente intercetta comunicazioni relative ad un sistema informatico o

telematico o intercorrenti tra più sistemi ovvero le impedisce o le interrompe, è punito con la

reclusione da sei mesi a quattro anni.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante

qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni di

cui al primo comma.

I delitti di cui ai commi primo e secondo sono punibili a querela della persona offesa.

Tuttavia si procede d'ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è

commesso:

- in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o

da impresa esercente pubblici servizi o di pubblica necessità;

- da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio con abuso dei poteri o con

violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, ovvero con abuso della qualità di operatore

del sistema;

- da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato".

Art. 617 – quinquies c.p. – Installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o

interrompere comunicazioni informatiche o telematiche

"Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparecchiature atte ad intercettare,

impedire o interrompere comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico ovvero

intercorrenti tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

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La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell'art. 617 -

quater".

Art. 635 – bis c.p. – Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici

"Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque distrugge, deteriora, cancella, altera o

sopprime informazioni, dati o programmi informatici altrui è punito, a querela della persona

offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Se ricorre la circostanza di cui al n. 1 del secondo comma dell'articolo 635 ovvero se il fatto è

commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a

quattro anni e si procede d'ufficio".

Art. 635 – ter c.p. – Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo

Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità

"Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette un fatto diretto a distruggere,

deteriorare, cancellare, alterare o sopprimere informazioni, dati o programmi informatici utilizzati

dallo Stato o da altro ente pubblico o ad esso pertinenti o comunque di pubblica utilità. è punito

con la reclusione da uno a quattro anni.

Se dal fatto deriva la distruzione, il deterioramento, la cancellazione, l'alterazione o la

soppressione delle informazioni, dei dati o dei programmi informatici, la pena è della reclusione da

tre a otto anni.

Se ricorre la circostanza di cui al numero 1) del secondo comma dell'articolo 635 ovvero se il fatto è

commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata".

Art. 635 – quater c.p. – Danneggiamento di sistemi informatici o telematici

"Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, mediante le condotte di cui all'art. 635 -

bis, ovvero attraverso l'introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi, distrugge,

danneggia, rende, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui o ne ostacola

gravemente il funzionamento è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Se ricorre la circostanz di cui al numero 1) del secondo comma dell'articolo 635 ovvero se il fatto è

commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata".

Art. 635 – quinquies c.p. – Danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità

"Se il fatto di cui all'art. 635 - quater è diretto a distruggere, danneggiare, rendere, in tutto o in

parte, inservibili sistemi informatici o telematici di pubblica utilità o ad ostacolarne gravemente il

funzionamento, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.

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Se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema informatico o telematico di

pubblica utilità ovvero se questo è reso, in tutto o in parte, inservibile, la pena è della reclusione da

tre a otto anni.

Se ricorre la circostanza di cui al numero 1) del secondo comma dell'art. 635 ovvero se il fatto è

commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata".

Art. 640 – quinquies c.p. – Frode informatica del soggetto che presta servizi di certificazione di

firma elettronica

"Il soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica, il quale, al fine di procurare a sé

o ad altri un ingiusto profitto ovvero di arrecare ad altri danno, viola gli obblighi previsti dalla

legge per il rilascio di un certificato qualificato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la

multa da € 51 a € 1.032".

Art. 491 – bis c.p. - Falsità in un documento informatico pubblico o avente efficacia probatoria

"Se alcuna delle falsità previste dal presente capo riguarda un documento informatico pubblico o

privato avente efficacia probatoria, si applicano le disposizioni del capo stesso concernenti

rispettivamente gli atti pubblici e le scritture private. A tal fine per documento informatico si

intende qualunque supporto informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria

o programmi specificatamente destinati ad elaborarli".

I reati contro la personalità individuale previsti dall’art. 25-quinquies del D.Lsg.231/2001 sono:

Art. 600 c.p. - Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù

“Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero

chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a

prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque a prestazioni che ne

comportino lo sfruttamento, è punito con la reclusione da otto a venti anni.

La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata

mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di

inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di

somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona.

La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in

danno di minore degli anni diciotto o sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di

sottoporre la persona offesa al prelievo di organi”

Art. 600 bis c.p. - Prostituzione minorile

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“Chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne

favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da

euro 15.493 a euro 154.937.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età

compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è

punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 5.164.

Nel caso in cui il fatto di cui al secondo comma sia commesso nei confronti di persona che non

abbia compiuto gli anni sedici, si applica la pena della reclusione da due a cinque anni.

Se l'autore del fatto di cui al secondo comma è persona minore di anni diciotto si applica la pena

della reclusione o della multa, ridotta da un terzo a due terzi.

Art. 600 ter c.p. - Pornografia minorile

“Chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce

materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni

pornografiche è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 25.822 a euro

258.228.

Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma.

Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche

per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al

primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all'adescamento o

allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque

anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645.

Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri,

anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma, è punito con la reclusione

fino a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164.

Nei casi previsti dal terzo e dal quarto comma la pena è aumentata in misura non eccedente i due

terzi ove il materiale sia di ingente quantità”

Art. 600 – quater c.p. - Detenzione di materiale pornografico

“Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 600 ter, consapevolmente si procura o

detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, è punito con la

reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a euro 1.549.

La pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente

quantità”

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Art. 600 quater bis c.p. - Pornografia virtuale

“Le disposizioni di cui agli articoli 600 ter e 600 quater si applicano anche quando il materiale

pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni

diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo.

Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non

associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come

vere situazioni non reali”

Art. 600 quinquies c.p. - Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile

“Chiunque organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a

danno di minori o comunque comprendenti tale attività è punito con la reclusione da sei a dodici

anni e con la multa da euro 15.493 e euro 154.937”

Art. 601 c.p. - Tratta di persone.

“Chiunque commette tratta di persona che si trova nelle condizioni di cui all'articolo 600 ovvero, al

fine di commettere i delitti di cui al primo comma del medesimo articolo, la induce mediante

inganno o la costringe mediante violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una

situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante promessa o

dazione di somme di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, a fare

ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi al suo interno, è punito

con la reclusione da otto a venti anni.

La pena è aumentata da un terzo alla metà se i delitti di cui al presente articolo sono commessi in

danno di minore degli anni diciotto o sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di

sottoporre la persona offesa al prelievo di organi”.

Art. 602 c.p. - Acquisto e alienazione di schiavi

“Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo 601, acquista o aliena o cede una persona che si trova

in una delle condizioni di cui all'articolo 600 è punito con la reclusione da otto a venti anni.

La pena è aumentata da un terzo alla metà se la persona offesa è minore degli anni diciotto ovvero

se i fatti di cui al primo comma sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di

sottoporre la persona offesa al prelievo di organi”.

10. 1 ANALISI DELLE FATTISPECIE

Con riferimento al reato di accesso abusivo ad un sistema informatico p. e p. dall’art. 615-ter c.p.,

la norma de qua tutela si porrebbe a tutela – secondo l’orientamento prevalente - della cd.

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“riservatezza informatica” ovvero l’interesse del titolare, giuridicamente rilevante, di godere,

disporre e controllare i dati, le informazioni, i procedimenti, i sistemi e gli spazi informatici nonché

le relative utilità.

Più in particolare, secondo costante giurisprudenza, la fattispecie di cui all’art. 615 – ter c.p. tutela

la riservatezza del cd. “domicilio informatico”, ovvero quel luogo fisico in cui può estrinsecarsi la

personalità umana20. Risulta ancora discussa la natura di tale reato, ovvero se si tratti di un reato di

danno o di pericolo volto a sanzionare l’accesso abusivo in funzione della tutela anticipata di un

interesse patrimoniale a fronte di una condotta di danneggiamento ovvero ancora l’acquisizione

indebita o conoscibilità del materiale contenuto nell’elaboratore.

Invero, secondo una certa giurisprudenza “integra il reato di accesso abusivo ad un sistema

informatico o telematico la condotta del soggetto che, pur avendo titolo per accedere al sistema,

vi si introduca con la password di servizio per raccogliere dati protetti per finalità estranee alle

ragioni del suo impiego e alle finalità sottostanti alla protezione dell’archivio informatico. Ciò in

quanto la norma incriminatrice non punisce soltanto l’accesso totalmente abusivo al sistema

informatico ma anche la condotta di chi vi si mantenga contro la volontà espressa o tacita di chi ha

diritto di escluderlo” 21. Altro orientamento appare propenso nel ritenere che “ai fini della

configurabilità del reato di accesso abusivo a un sistema informatico, la qualificazione di abusività

va intesa in senso oggettivo, con riferimento al momento dell’accesso e alle modalità utilizzate

dall’autore per neutralizzare e superare le misure di sicurezza apprestate dal titolare dello ius

excludendi, al fine di impedire accessi indiscriminati, a nulla rilevando le finalità che si propone

l’autore e l’uso successivo dei dati, che, se illeciti, possono integrare un diverso titolo di reato” 22.

Soggetto attivo può essere chiunque, sia colui che da estraneo al sistema se ne procuri

abusivamente l’accesso, sia colui che, pur essendo autorizzato ad accedere a parti del sistema,

riesca ad inserirsi abusivamente in una parte protetta da misure di sicurezza, nella quale si trovano

dati per la consultazione dei quali non è legittimato.

La norma sanziona sia “l’accesso da lontano” sia “l’accesso da vicino”, conseguito da chi sia a

stretto contatto con l’elaboratore altrui.

Oggetto materiale del reato è l’altrui sistema informatico o telematico. La norma in parola non

tutela solo il contenuto personale dei dati raccolti nei sistemi informatici protetti, ma deve

intendersi nel senso che essa abbia ad oggetto lo ius excludendi del titolare del sistema

20 Cass. Pen. 04.10.1999 n. 306521 Cass. Pen. 10.12.2009 n. 298722 Cass. Pen. 14.10.2009 n. 40078

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informatico, quale che sia il contenuto dei dati racchiuso in esso, purchè attinente alla propria

sfera di pensiero o alla propria attività (lavorativa o non). Ciò in quanto “questa lettura meglio si

attaglia alla lettera ed allo scopo della legge: alla lettera, posto che la norma non opera distinzioni

tra sistemi a seconda dei contenuti (esclusivamente limitandosi ad accordare tutela ai sistemi

protetti da misure di sicurezza); alla ratio legis, soprattutto, perché se si opinasse diversamente ne

deriverebbe l’esclusione dalla tutela – irragionevolmente e verosimilmente in senso contrario

all’intenzione del legislatore – di aspetti non secondari, quali, per esempio, quelli connessi ai profili

economico – patrimoniali dei dati, lasciando quindi sforniti di protezione i diritti di enti e persone

giuridiche, non tanto per essere incerta l’estensione a tali categorie soggettive delle tutela della

riservatezza e in genere dei delitti della personalità ma, piuttosto, perché fra dette categorie si

rinvengono soggetti titolari di sistemi informatici protetti da misure di sicurezza(enti anche

pubblici, grandi società commerciali) per i quali lo ius excludendi è correlato prevalentemente, se

non esclusivamente, a diritti di natura economico – patrimoniale” 23.

Ad integrare il concetto di misura di sicurezza, per giurisprudenza consolidata, non è necessaria la

predisposizione di particolari sistemi protettivi, essendo sufficiente l’adozione da parte del titolare

del diritto di minimi ostacoli alla libera consultazione (quali username e password), tali che tutti

possano rendersi conto di un accesso controllato o limitato. La fattispecie in esame, in altri

termini, non richiede un determinato coefficiente di efficacia delle misure di sicurezza, che

possono anche non essere conformi al livello minimo inderogabile di protezione prescritto dal

D.Lgs. 30.06.2003 n. 196.

La norma prevede due distinte condotte penalmente rilevanti:

l’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza;

il mantenimento in siffatti sistemi contro la volontà espressa o tacita di chi ha diritto ad

escluderlo (il caso in cui dopo un’introduzione legittima, in quanto effettuata con il

consenso dell’avente diritto, l’accesso al sistema sia divenuto successivamente illegittimo,

ad esempio per il venir meno dell’autorizzazione).

Elemento psicologico del reato è il dolo generico, che si esaurisce nella coscienza e volontà di

introdursi nell’altrui sistema informatico o telematico, oppure nel rimanervi contro la volontà

espressa o tacita di chi ha il diritto di esclusione.

Anche per la fattispecie di cui all’articolo 615 – quater c.p. (“Detenzione e diffusione abusiva di

codici di accesso a sistemi informativi o telematici”) è controverso in dottrina l’interesse tutelato.

23 Cass. Pen. 04.10.1999 n. 3067214

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Secondo la dottrina prevalente il reato in questione avrebbe natura di reato di scopo, senza offesa,

nonché di reato di pericolo, essendo rivolto a prevenire in generale la realizzazione di reati

informatici.

Oggetto materiale del reato sono i codici, le parole chiave (password) o gli altri mezzi, le indicazioni

o informazioni idonei all’accesso ad un sistema informatico o telematico, protetto da misure di

sicurezza.

Le condotte integrative del reato consistono, alternativamente, nel procurarsi, riprodurre, ovvero

effettuare la copia in uno o più esemplari, diffondere ovvero divulgare, comunicare ovvero portare

a conoscenza, consegnare materialmente a terzi, codici, password o altri mezzi idonei all’accesso

ad un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza, oppure nel fornire

indicazioni idonee a consentire ad un terzo di accedere ad un sistema informatico altrui protetto

da misure di sicurezza.

Elemento soggettivo del reato è il dolo specifico, che si concreta nella coscienza e volontà di

procurarsi, riprodurre, diffondere etc. al fine di procurarsi a sé o ad altri un ingiusto profitto o di

arrecare ad altri un danno.

L’articolo 615 – quinquies c.p. (“Diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici

diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico”) tutela l’interesse a

prevenire una serie di condotte ritenute intrinsecamente nocive per il corretto funzionamento di

sistemi, dati e programmi, a prescindere dall’effettivo verificarsi di qualsivoglia evento di

danneggiamento. Trattasi, pertanto, di reato di pericolo. Soggetto attivo del reato può essere

chiunque.

La norma sanziona le condotte afferenti tanto i programmi informatici quanto le

“apparecchiature” ed i “dispositivi”.

Per “apparecchiatura” si intende un complesso di impianti o strumenti che concorrono ad un’unica

funzione, mentre per “dispositivo” si intende un congegno che svolga una determinata funzione.

Il campo applicativo della norma non è, pertanto, limitato al malware (virus e similia), ma include

anche l’hardware, il cui funzionamento sia idoneo a danneggiare un sistema informatico ovvero ad

alterarne il funzionamento (ad es. dangle, smart card, stimme etc.).

La norma sanziona non soltanto chi diffonda, comunichi, consegni o, comunque, metta a

disposizione programmi, apparecchiature o dispositivi ma anche chi produca, importi, si procuri

ovvero riproduca tali software o hardaware.

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Elemento soggettivo del reato è il dolo specifico consistente nella coscienza e volontà di

commettere il fatto allo scopo di danneggiare illecitamente un sistema informatico o telematico, le

informazioni, i dati e/o i programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti, ovvero di favorire

l’interruzione, totale o parziale o l’alterazione del suo funzionamento.

Secondo la giurisprudenza di merito il reato di cui all’art. 615 – quinquies c.p. può concorrere con il

reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico p. e p. dall’art. 615 – ter c.p.

dall’analisi dell’elemento soggettivo, ovvero dal fatto che il dolo di quest’ultimo derivi dal dolo del

primo24.

Le disposizioni di cui agli artt. 617 – quater e 617 – quinquies c.p. sono dirette alla tutela della

riservatezza delle comunicazioni informatiche ovvero del diritto all’esclusività della conoscenza del

contenuto di queste ultime, sia nei confronti di condotte di illecita captazione, sia di rivelazione dei

contenuti illecitamente appresi.

L’art. 617 – quinquies c.p. (“Installazione di apparecchiature atte ad intercettare , impedire o

interrompere comunicazioni informatiche o telematiche”) tutela tale bene giuridico in forma

anticipata ed è strutturato come reato di pericolo.

Le condotte incriminate dall’art. 617 – quater c.p. consistono, alternativamente, nell’intercettare,

impedire od interrompere comunicazioni tra sistemi informatici.

L’attività di intercettazione deve essere caratterizzata dalla fraudolenza: si richiede, pertanto,

l’impiego di mezzi idonei ad ingannare.

La fraudolenza non deve invece caratterizzare le condotte di impedimento e di interruzione di

comunicazioni telematiche. La norma punisce anche chi divulghi, in tutto o in parte, attraverso

l’utilizzo di qualsiasi mezzo, il contenuto dell’informazione debitamente intercettata.

Elemento soggettivo della prima fattispecie in esame è il dolo generico, consistente nella coscienza

e volontà di porre in essere una delle condotte descritte dalla norma.

La condotta incriminata dall’art. 617 – quinquies c.p. consiste nella messa in opera di

apparecchiature idonee ad intercettare, pur non essendo necessario che le apparecchiature

installate siano effettivamente funzionanti, laddove il termine “intercettare” sta a significare

all’evidenza “inserirsi nelle comunicazioni riservate, traendone indebita conoscenza”.

24 Trib. Bologna 21.07.2005 n. 1823

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Sotto il profilo dell’elemento psicologico, l’art. 617 – quinquies c.p. richiede il dolo specifico:

l’installazione deve essere finalizzata alla conoscenza, impedimento o interruzione di

comunicazioni informatiche o telematiche.

Con riferimento alle fattispecie di cui agli artt. 635 – bis, 635 – ter, 635 – quater e 635 – quinquies

c.p., è bene stigmatizzare come tutte le fattispecie in esame sono aggravate laddove ricorra una

delle seguenti ipotesi:

il danneggiamento sia commesso con violenza alla persona o minaccia (art. 635 comma 2 n.

1 c.p.);

il fatto sia commesso con abuso della qualità di “operatore del sistema.

“Operatore del sistema” è definizione che abbraccia tutte le figure tradizionalmente comprese

nella varie qualifiche di soggetto operante nel mondo del lavoro informatico, con la precisazione

che deve trattarsi di soggetto che opera sul sistema oggetto del fatto illecito, atteso che

l’aggravante non mira a sanzionare il possesso di particolari cognizioni tecniche, ma la particolare

relazione dell’operatore con il sistema oggetto della condotta.

Il bene giuridico tutelato dall’art. 635 – bis (“Danneggiamento di informazioni, dati e programmi

informatici”) e 635 – quater c.p. (“Danneggiamento di sistemi informatici e telematici”) viene

rivisto nell’interesse pubblico concernente l’inviolabilità del patrimonio “informatico” rispetto a

quei fatti che ne pregiudichino la sostanza o l’utilizzabilità.

Trattasi, in entrambi i casi, di reato di evento: si richiede espressamente che le informazioni, dati,

programmi e/o sistemi informatici o telematici, non di pubblica utilità, vengano danneggiati.

Le condotte integrative del reato previsto dall’art. 635 – bis c.p. consistono, alternativamente,

nella distruzione, deterioramento, cancellazione, alterazione o soppressione di informazioni, dati o

programmi informatici altrui.

Sotto il profilo dell’elemento psicologico, l’art. 635 – bis c.p. richiede il dolo generico,

concretantesi nella volontà del fatto materiale, con la consapevolezza dell’altruità delle

informazioni, dati o programmi informatici.

Le condotte integrative del reato di cui all’art. 635 – quater c.p. consistono nel danneggiamento

del sistema cagionato:

mediante la distruzione, deterioramento, cancellazione, alterazione o soppressione di

informazioni, dati o programmi;

mediante l’introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi.

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Ai fini dell’integrazione del reato è sufficiente la prova che la condotta abbia ostacolato, ancorché

gravemente, il funzionamento del sistema.

La distinzione tra danneggiamento di dati e danneggiamento del sistema è legata alle conseguenze

che la condotta assume: laddove la soppressione o l’alterazione di dati, informazioni o programmi

renda inservibile, o quanto meno ostacoli gravemente,il funzionamento del sistema, ricorrerà la

più grave fattispecie del danneggiamento di sistemi informatici o telematici prevista dall’art. 635 –

quater c.p.

Anche per tale ultima fattispecie è sufficiente il dolo generico.

L’interesse tutelato dagli artt. 635 – ter (“Danneggiamento di informazioni, dati e programmi

informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità”) e 635 –

quinquies c.p. (“ Danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità”) è, invece,

la tutela dell’ordine pubblico contro gli atti di intimidazione indiretta su informazioni, dati,

programmi, sistemi informatici o telematici di pubblica utilità che, mettendo a repentaglio le

condizioni per la pacifica convivenza sociale, menomano il senso di sicurezza di tutti i cittadini.

Trattasi in entrambi i casi di reati aggravati dall’evento: puniscono le condotte dirette a distruggere

o danneggiare informazioni, dati, programmi ovvero sistemi informatici o telematici di pubblica

utilità.

Il legislatore, seguendo la sistematica della citata convenzione di Budapest, ha ritenuto, come nel

caso degli artt. 635 – bis e 635 – quater c.p., di differenziare, anche per i sistemi di pubblica utilità,

i danneggiamenti di dati da quelli afferenti i sistemi informatici o telematici.

Più in particolare: l’art. 635 – ter c.p. incrimina le condotte dirette a distruggere, deteriorare,

cancellare, alterare o sopprimere informazioni, dati o programmi informatici utilizzati dallo Stato o

da altro ente pubblico o ad essi pertinenti o, comunque, di pubblica utilità; l’art. 635 – quinquies

c.. punisce la condotta di chi danneggia sistemi informatici o telematici di pubblica utilità.

Entrambe le fattispecie di reato sono a consumazione anticipata nel senso che sono integrate

anche in assenza di un effettivo deterioramento o soppressione dei dati, ma l’azione deve essere

oggettivamente ed univocamente diretta al danneggiamento ed alla distruzione e deve essere

idonea a produrre tale effetto.

L’effettiva distruzione o danneggiamento costituisce circostanza aggravante.

La nuova fattispecie di reato di cui all’art. 640 – quinquies c.p. (“Frode informatica del soggetto

che presta servizi di certificazione di firma elettronica”) ha come soggetto attivo il certificatore di

firma elettronica e come condotta la violazione degli obblighi per esso previsti dall’art. 32 del

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D.Lgs. 07.03.2005 n.82 (C.Amministratore con poteri) al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto

profitto o di arrecare ad altri un danno.

L’introduzione dell’art. 491-bis ha causato la duplicazione dei delitti previsti dal capo III del titolo

VII, relativi alle cc.dd. falsità in atti.

La relazione introduttiva motiva detta scelta sostenendo che “è apparsa non opportuna la

previsione di una serie di ipotesi delittuose, da inserire in corrispondenza a quelle di falso

documentale già esistenti, che avessero ad oggetto le diverse falsità materiali o ideologiche su atti

pubblici, certificati, attestati o falsità in scritture private eccetera. La soluzione che si è ritenuto

privilegiare, allora, è stata quella di far riferimento alle disposizioni sulle falsità di atti

disponendone l’applicazione anche alle ipotesi in cui le rispettive previsioni riguardino un

documento informatico. In tal modo si raggiunge un duplice obiettivo: quello di non mutare la

struttura delle fattispecie in funzione della diversità dell’oggetto materiale e quello di sottoporre

ad identico regime sanzionatorio fatti criminosi che non si differenziano sul piano dell’oggettività

giuridica ovvero della natura dell’interesse violato”.

Come è noto, il settore della falsità in atti è tradizionalmente definito dalla dottrina come il “più

impegnativo e dibattuto” ed è “su questo terreno che ancora si agitano le questioni giuridiche più

complesse”, anche perché l’ eccessiva frammentazione costringe gli operatori giuridici ad

effettuare sottilissime distinzioni “non sempre rispondenti ad effettive esigenze di razionale

disciplina del settore”.

Tali difficoltà si ripropongono, come è ovvio, con riferimento alle nuove ipotesi di falsità in atti, e

sono rafforzate dalla sostanziale diversità degli elementi costitutivi dei documenti informatici

rispetto a quelli tradizionali. Questi ultimi devono infatti avere una forma scritta, possedere un

contenuto giuridicamente rilevante, essere riferibili ad un autore determinato ed, infine, essere

durevolmente incorporati su di un qualsiasi supporto idoneo a trattenerli.

Più in particolare il documento cartaceo lega indissolubilmente contenuto e contenente, nel

documento informatico tutto ciò non avviene ed è dunque limitativo ricondurlo al “supporto

informatico”.

Detto ciò bisogna quindi chiarire cosa si intende per “documento informatico”.

Il documento informatico è sostanzialmente un documento immateriale e dinamico, ed è la

“rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti” (come definito dal

D.P.R. 513/97 art 1 lettera “a” e riconfermato nel D.P.R. 445/2000 art. 1 lettera “b”) in quanto non

vi è alcuna distinzione tra l’originale e la copia.

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Non si tratta dunque di un mero cambio di supporto rispetto al preesistente documento cartaceo,

ma di un cambio nella concezione vera e propria di documento che nell’informatica, come detto,

assume i caratteri di rappresentazione.

Il documento informatico acquista effettiva valenza legale con la legge 59/1997 (art. 15 comma 2).

Per poter però essere valido un documento deve poter essere autenticato e se ne deve poter

attribuire la paternità.

A tale scopo interviene la firma digitale, e nel D.P.R. 513/97 art. 1 lettera “b” se ne da una

definizione: s’intende “per firma digitale, il risultato della procedura informatica (validazione)

basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e una privata, che consente al

sottoscrittore tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica,

rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento

informatico o di un insieme di documenti informatici”.

Con la firma digitale dunque si attesta anche l’integrità ed il non ripudio del documento (quindi si

scongiura la falsità materiale), in quanto nella procedura di firma digitale viene generato un

particolare codice crittografico derivante dalla “mescolanza” dei dati identificativi del mittente con

il contenuto vero e proprio del documento (hash); qualora al momento della ricezione vi sia

corrispondenza tra i codici crittografici ottenuti, si avrebbe conferma dell’integrità del documento

e dell’autenticità del mittente.

Tutto ciò viene confermato dall’art. 5 del suddetto D.P.R. 513/97, in cui si specifica la validità quale

scrittura privata del documento informatico sottoscritto con la firma digitale, nonché la sua

efficacia probatoria.

Dunque nel caso in cui un documento venga deliberatamente falsificato (sia falsità materiale che

ideologica) vengono applicate le pene di cui agli articoli che regolamentano le falsità in atti delle

scritture private e degli atti pubblici (Titolo VII , Capo III).

Venendo all’esame della struttura del reato in questione, è bene precisare come la norma de qua

tutela la fede pubblica attraverso la salvaguardia del documento informatico nella sua valenza

probatoria.

La lesione o la messa in pericolo del bene giuridico protetto si realizzano soltanto quando la

falsificazione (ideologica o materiale) introduce falsi dati o fa venir meno la prova in ordine ad

un’informazione contenuta nel documento.

Per individuare il soggetto attivo del reato occorre fare riferimento alle specifiche ipotesi di reato

in cui rientra, in concreto, la falsificazione del documento informatico.

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Invero, per individuare la condotta integrativa del reato, il legislatore ha optato facendo

riferimento alle disposizioni sulla falsità in atti, disponendone l’applicazione anche alle ipotesi di

falso su documento informatico.

Anche per il dolo dovrà farsi riferimento al reato in cui rientra la specifica falsificazione del

documento informatico.

Il delitto p. e p. dall’art. 600 c.p. (“Riduzione o mantenimento in schiavitù”) si configura come

reato di evento a forma vincolata in cui l’evento, consistente nello stato di soggezione continuativa

in cui la vittima è costretta a svolgere date prestazioni, deve essere ottenuto dall’agente

alternativamente, tra l’altro, mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità ovvero

approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità. Il

soggetto attivo del reato esercita, dunque, sulla vittima poteri corrispondenti al diritto di proprietà

imponendo alla stessa prestazioni lavorative o sessuali o di accattonaggio o che comunque

comportano lo sfruttamento.

Trattasi di reato permanente che necessita – sotto il profilo dell’elemento psicologico – della

coscienza e volontà da parte dell’agente di ridurre la vittima ad una “res” traendo profitto dalla

persona, considerata per l’appunto come cosa atta a rendere utilità o servigi o a essere prestata,

ceduta o venduta.

Il bene tutelato dall’art. 600 – bis c.p. (“Prostituzione minorile”) è il libero sviluppo psicofisico del

minore, il quale può essere messo a repentaglio da qualsiasi tipo di mercificazione del suo corpo.

Per tale ragione il legislatore ha previsto in riferimento alla prostituzione minorile, nei commi

secondo e terzo della citata disposizione, la punibilità del “cliente”, per la quale è sufficiente che il

minore abbia ricevuto denaro o altra utilità economica in cambio di prestazioni sessuali.

Il reato in esame – sotto il profilo dell’elemento oggettivo – consiste in un’opera di persuasione del

soggetto passivo a prostituirsi ovvero nel rafforzamento di tale risoluzione oppure nella sola

persuasione a persistere da chi vorrebbe abbandonare l’attività: si tratta, in sostanza, di un’attività

persuasiva diretta a vincere le resistenze del soggetto passivo e proprio per la sua natura deve

essere portata a conoscenza della vittima.

La giurisprudenza della Suprema Corte considera irrilevante il fatto che chi si prostituisce e il

fruitore della prestazione si trovino in luoghi diversi, allorché gli stessi risultino collegati, tramite

internet, in videoconferenza, che consente all’utente della prestazione, non diversamente da

quanto potrebbe verificarsi nell’ipotesi di contemporanea presenza nello stesso luogo, di

interagire con chi si prostituisce, in modo da poter chiedere a questi il compimento di atti sessuali

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determinati, che vengono effettivamente eseguiti e immediatamente percepiti da colui che ordina

la prestazione sessuale a pagamento (Cass. Pen. 08.06.2004 n. 25465).

Quanto al dolo, nella fattispecie di favoreggiamento delle prostituzione minorile, esso è generico,

in quanto è sufficiente, ai fini della sua configurabilità, la mera consapevolezza di favorire la

prostituzione di un minore, non essendo richiesto anche il fine di lucro che, invece, qualifica la

fattispecie di sfruttamento.

Il primo comma dell’art. 600 ter c.p. ( “Pornografia minorile”) sancisce una particolare fattispecie

di sfruttamento dei minori, quello della destinazione degli stessi alla realizzazione di esibizioni

pornografiche o alla produzione di materiale pornografico.

In essa non c’è ancora niente che possa riguardare esclusivamente la “rete”; siamo piuttosto

nell’ambito della tutela dei minori in generale, della tutela del lavoro minorile, che viene

“accresciuta” di un ulteriore divieto. Quello che qui occorre osservare è che lo sfruttamento

comprende, come per il lavoro minorile, anche l’ipotesi in cui il minore abbia volontariamente

aderito all’esibizione.

La stessa cosa può dirsi, almeno in parte, per l’ipotesi prevista dal secondo comma, cioè il

commercio di materiale pornografico prodotto con le modalità del primo comma (cioè impiegando

minori).

Il significato dell’espressione “fare commercio” è abbastanza noto e consolidato, la qual cosa

esime da un’analisi approfondita.

Fare commercio significa porre in essere qualsiasi attività con cui si miri, a qualsiasi titolo, a far

uscire la res dalla sfera giuridica e di custodia del mero detentore, così da includere pure le

operazioni di immagazzinamento finalizzato alla distribuzione o la circolazione della merce

destinata alla messa in vendita, con esclusione della mera detenzione in locali diversi da quelli di

vendita o di deposito.

Invero, secondo la Suprema Corte “ai fini dell’integrazione del reato di pornografia minorile di cui

al primo comma dell’art. 600 ter c.p. è necessario che la condotta del soggetto agente abbia una

consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto,

sì che esulano dall’area applicativa della norma solo quelle ipotesi in cui la produzione

pornografica sia destinata a rimanere nella sfera strettamente privata dell’autore” (Cass. Pen.

20.11.2007 n. 1814).

Il terzo comma, poi, nella sua prima parte, prende in considerazione in modo specifico ed esclusivo

la “circolazione del materiale”, la sua “divulgazione”, la “pubblicizzazione”, mentre nella seconda

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parte prevede un reato diverso nella condotta anche se sanzionato con le medesime pene. Si

tratta della diffusione di notizie ed altro idonee all’adescamento dei minori ai fini dello

sfruttamento.

Passando ad analizzare analiticamente le due ipotesi, per la prima si deve dire che essa deve

includere condotte diverse da quelle innanzi indicate come rientranti nel concetto di fare

commercio: sono le attività non finalizzate al commercio, cioè quelle che non implicano il

trasferimento definitivo della res dal proprietario o dal mero detentore ad altro soggetto. È, forse,

questa la parte più rilevante delle ipotesi criminose che interessano l’investigatore, anche in

considerazione del fatto che, in genere, la circolazione avviene mediante estrazione di copia ed a

titolo pseudo-gratuito (trading con scambio) e non ha alcuna finalità di lucro. Si può, quindi

affermare, che il legislatore ha voluto punire non solo il “commercio” vero e proprio, ma anche il

semplice scambio del materiale che ci interessa. L’ampiezza della disposizione legislativa fa sì,

però, che anche a questa ipotesi debbano applicarsi i medesimi criteri interpretativi di quella di cui

al comma secondo, onde la conseguenza che i comportamenti che, in astratto potrebbero

rientrare nel concetto di commercio, vanno ritenuti punibili ai sensi della prima parte del terzo

comma, qualora non vi sia la finalità di lucro (“il delitto di distribuzione, divulgazione o

pubblicizzazione di materiale pornografico realizzato mediante lo sfruttamento di minori degli anni

diciotto sussiste quando il materiale sia propagato ad un numero indeterminato di destinatari

come avviene con l’inserimento nella rete internet mediante il modello di comunicazione peer to

peer di filmati aventi ad oggetto esibizioni pornografiche da parte di minori di anni 18 anche di

anni 14” (Cass. Pen. 08.06.2006 n. 23164).

Il quarto comma della norma prevede, infine, la semplice cessione, anche a titolo gratuito, come

comportamento tipico e di chiusura rispetto alle precedenti previsioni. Al riguardo si deve

osservare che ad essa non possono certamente applicarsi le previsioni relative al commercio, alla

cessione a titolo onerosa, innanzi ricordate, onde la conseguenza che molto difficilmente in tema

di cessione gratuita potrà essere punita l’offerta o la pubblicizzazione. La questione ha indotto la

3^ sezione penale della Cassazione a rimettere gli atti alle sezioni unite della medesima corte, le

quali hanno affermato che “nell'art. 600 ter c.p. il legislatore ha adottato il termine ‘sfruttare’ nel

significato di utilizzare a qualsiasi fine (non necessariamente di lucro).

L’art. 600 – quater c.p. (“Detenzione di materiale pornografico”) è norma residuale che punisce il

consapevole possesso o meglio la consapevole detenzione di materiale pornografico.

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L’elemento oggettivo consiste nelle condotte, tra loro alternative, del procurarsi, che implica

qualsiasi modalità di procacciamento compresa la via telematica, e del disporre, che implica un

concetto più ampio della detenzione, mentre l’elemento soggettivo, costituito dal dolo diretto,

consiste nella volontà di procurarsi o detenere materiale pornografico proveniente dallo

sfruttamento dei minori.

Secondo l’insegnamento giurisprudenziale integra il reato previsto dall’art. 600 quater c.p. la

condotta consistente nel procurarsi materiale pedopornografico “scaricato” (c.d. operazione di

“download” da un sito internet a pagamento).

L’art. 600 quinquies c.p. (“Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile”)

come introdotto dall’art. 5 della legge 269/98, riguarda, invece, il turismo sessuale e punisce

l’organizzazione o anche solo la propaganda di viaggi finalizzati alla fruizione di attività di

prostituzione a danno dei minori.

Si ritiene che il reato presupponga, in entrambi i casi, una struttura organizzativa, seppur minima.

La dottrina ha comunque specificato che la “propaganda” si estrinseca anche nella concreta

divulgazione – di tipo sostanzialmente pubblicitario – di materiali, informazioni, messaggi

inequivocabilmente diretti ed idonei a spingere un numero indeterminato di destinatari a

partecipare ai viaggi in questione.

Il bene tutelato anche dalla norma in oggetto è l’integrità psico-fisica del minore.

La dottrina considera il delitto a dolo generico. Quanto alla condotta dell’organizzare, non è da

escludere, tuttavia, la ravvisabilità di un dolo specifico.

La tutela della libertà individuale viene perseguita, nell’art. 601 c.p., incriminando le attività dirette

alla tratta di persone che si trovino in condizioni di schiavitù o servitù.

In base all’art. 3 del Protocollo addizionale della Convenzione dell’ONU contro la criminalità

organizzata transazionale, costituisce “tratta di persone” il reclutamento, trasporto, trasferimento,

l’ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di alte

forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di

vulnerabilità e tramite il fare o ricevere somme di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di

una persona che ha autorità su di un’altra a scopo di sfruttamento.

Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme

di sfruttamento sessuale, lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe,

l’asservimento o il prelievo di organi.

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La circostanza che la vittima del reato sia un minore di anni diciotto integra una circostanza

aggravante ad effetto speciale ed altra circostanza aggravante concerne l’ipotesi di fatti diretti allo

sfruttamento della prostituzione: si è quindi tutelato con il massimo rigore l’interesse ad una

protezione rafforzata della personalità individuale del minore. Sono state inserite nuove ipotesi di

incriminazione, quali la previsione della circostanza aggravante della finalità del prelievo illecito di

organi, la tratta a danno di un singolo soggetto e la tratta finalizzata alla riduzione in schiavitù delle

vittime.

Il delitto è doloso e lo straniero non può addurre a sua discolpa l’ignoranza della legge italiana.

Infine l’art. 602 c.p. ( “Acquisto ed alienazioni di schiavi”)tutela la libertà individuale in relazione ai

fatti di alienazione, cessione, acquisto di persona che si trovi nella condizione di schiavitù o servitù,

che non costituiscano tratta di persone, punibile ai sensi dell’art. 601 c.p.

Le condotte di acquisto, alienazione e cessione devono comunque aver riguardo a chi già si trovi

nella condizione di schiavitù o servitù, essendo altrimenti ipotizzabile il reato di riduzione in

schiavitù o servitù di cui all’art. 600 c.p.

Il delitto è doloso. Tuttavia l’acquisto di uno schiavo non costituisce reato se effettuato al fine di

rendergli la libertà.

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