WAVe11 numero 2

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W.A.VE. Workshop di progettazione architettonica dell'università Iuav di Venezia

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DI MARIA AURORA BONOMI E CATERINA EPIBOLIStupisce il fatto che a poca distanza dalla nostra Facoltà, nell’isola della Giudecca, vi sia una zona come quella in cui sorgono i cantieri Lucchese: un sito ricco di potenziali attrattive, con affacci diretti sulla laguna, un’oasi di tranquillità con forte presenza di verde. Confinante con quest’area vi è il quartiere popolare di Sant’Eufemia che si è tuttavia trasformato in luogo di scontento per gli abitanti e per coloro che vi lavorano. Nonostante la scarsa distanza dalla laguna non hanno possibilità di vederla, né è dotato di accessi diretti, difficilmente raggiungibile, privo di luoghi di ritrovo o spazi comuni. La semplicità e la gentilezza degli abitanti non riesce a nascondere la loro voglia di poter risolvere i problemi di degrado sociale che affligge il quartiere. Le dure ma chiare parole del “sindacalista anarchico” Giuliano Gottardo, come egli stesso si definisce, membro del Sindacato Unione Inquilini, mettono in luce gli svariati problemi dei residenti che vivono in condizioni di sovraffollamento, in alloggi insufficienti, mal costruiti e precocemente deteriorati, malgrado la prossimità con gli ex cantieri navali Lucchese, dove i capannoni dismessi e i materiali inutilizzati coperti d’edera non possono venire smantellati, data la presenza di materiali tossici presenti nel sottosuolo. E dire che la suggestione del luogo lascia davvero senza fiato.Per noi che in futuro intraprenderemo la difficile professione dell’architetto può sorprendere come una fetta importante del patrimonio abitativo,ovvero il social housing, sia in Italia fortemente sottovalutato.I numeri parlano chiaro: mentre nella nostra nazione l’edilizia popolare rappresenta appena il 4% del patrimonio abitativo, nei paesi nordici tocca valori pari al 40%. Si potrebbe ribattere che abbiamo il pallino della casa di proprietà, e che non è una coincidenza se la popolazione italiana vi risiede per l’83%. La percentuale non considera però il numero effettivo dei proprietari, per cui i singoli componenti di alcuni nuclei familiari, seppure risultino occupare case di proprietà, non ne sono titolari e vivono spesso in malsane condizioni di sovraffollamento non riscontrabili nel resto dell’Europa.È necessario prendere una decisione categorica basata su una “distruzione selettiva” alla quale far seguire una ricostruzione più ragionata. E poiché il filo conduttore dei nostri workshop

è la riqualificazione urbana, presentare questi temi agli studenti significa farli confrontare con ogni tipo di realtà.Del social housing si interessano in particolare i workshop di Pierre-Alain Croset e di Hans Kollhoff, i cui studenti, ieri, durante il sopralluogo, hanno potuto constatare con i propri occhi i paradossi insiti nell’area giudecchina.I metodi di approccio e il tipo di lavoro saranno comunque differenti: mentre gli studenti di Croset analizzeranno il collegamento, o l’assenza di esso, fra le diverse zone nonché il modello risolutivo per i singoli casi, quelli di Kollhoff si concentreranno invece su un masterplan a scala maggiore che comprenderà comunque le tre “isole”: il quartiere residenziale, il parco oggi sede della Corte penale europea per l’Ambiente e gli ex cantieri Lucchese.

WS CROSET/WS KOLLHOFFCroset e Kollhoff ai Cantieri luCChese

CrosetfossiliZZaZione Vs riGeneraZioneINTERVISTA A PIERRE-ALAIN CROSET VENEZIA, 28 GIUGNO 2011

DI VALENTINA VOLPATOW Nel suo WS viene affrontato il tema del social housing, trattato anche in altri corsi. Come intende confrontarsi con essi?PC Per adesso stiamo ancora affrontando questioni relative al metodo di progetto: partiamo dalla dimensione del singolo appartamento affrontando il tema del miglioramento di ogni alloggio. Anche se in realtà ci interessa il progetto complessivo per tutta l’area, un progetto urbano, partendo dal principio di densificazione e di miglioramento della qualità residenziale. Ciò porterà nel sito nuovi abitanti e l’alloggio diventerà parte della sfida. Il confronto con gli altri WS lo faremo più avanti, con conferenze e incontri informali. Credo che anche per molti altri docenti il tema dell’housing non sia l’unico oggetto di attenzione. Penso che per tutti il tema della residenza sia fortemente legato alla scala urbana.W Qual è la sua concezione dell’urban regeneration?PC Noi lavoriamo con gli studenti in modo esplorativo: stiamo ancora raccogliendo dati sull’area. Ieri abbiamo avuto un incontro con l’architetto Stefania Spiazzi dell’ATER di Venezia, oggi abbiamo fatto un sopralluogo sull’area degli ex cantieri Lucchese alla Giudecca con un tecnico del Comune e siamo tutti d’accordo sul fatto che la città debba essere rinnovata, ricostruita su se stessa, che il concetto di sostenibilità chiede una eco-città distruggendo la minor quantità possibile di costruito. Ci rendiamo conto che molti progetti già realizzati dal Comune sono disastrosi, lontanissimi dal concetto di rigenerazione. L’area lucchese è stata cementificata per stabilizzare tutti i rifiuti tossici presenti nel luogo. Questa non è un’operazione di bonifica: più che di rigenerazione io la definirei fossilizzazione. Questo trattamento ha congelato completamente il fronte verso la laguna distruggendo il tema importantissimo del bordo e del rapporto terra-acqua, che nella storia di Venezia è sempre stato fondamentale.Il nostro approccio è quindi critico. Vogliamo mettere in discussione decisioni e opere già realizzate.W Ha già accennato al termine “sostenibile”. Il suo atteggiamento può essere definito tale?PC L’aspetto che ci sta più a cuore è la sostenibilità sociale. Da domani i nostri studenti, organizzati per piccole squadre, andranno a fare interviste agli abitanti del luogo, a chi ha delle piccole attività, ai lavoratori dei cantieri navali. È molto importante che gli studenti prendano coscienza della dimensione sociale.W L’hanno scorso lei con i suoi studenti ha vinto il primo premio. Qual è lo spirito di quest’anno?PC Noi non siamo competitivi, anche l’anno scorso non abbiamo fatto niente per vincere. Il nostro allestimento era molto minimale. L’energia pedagogica va, a mio avviso, concentrata sul risultato raggiunto dai ragazzi. Quindi non faremo nulla per vincere. Cerchiamo il più possibile di stimolare gli studenti, di creare sinergie. In questo senso teniamo molto al fatto che non vi sia una competizione, piuttosto una complementarietà tra i vari lavori affinché ognuno possa imparare qualcosa in più dagli altri. La missione pedagogica massima si raggiunge quando il docente potrebbe ritirarsi perché il WS diventa quasi autosufficiente. Questa sarebbe la nostra ambizione.

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CONFERENZA BINATA CROSET/KOLLHOFF IPOTESI E SCENARI DI SOCIAL HOUSING

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DI ALBERTA MENEGALDO“Un treno dai molti vagoni”. “Un pettine dai denti più o meno fitti”. Così è stata definita l’isola della Giudecca nella presentazione congiunta dei workshop di Pierre-Alain Croset e Hans Kollhoff lunedì 27 giugno, nel pomeriggio, a Santa Marta. Comunque si voglia vederla, questa lingua di terra che si estende di fronte al centro storico di Venezia è da sempre un luogo particolare: prima buen retiro dei nobili veneziani, con le loro ville nel verde, poi centro di attività manifatturiere industriali e residenza di operai e proletari. E oggi? Gli studenti dei workshop hanno il compito non semplice di doversi confrontare con un contesto a volte frammentario, troppo spesso degradato, caratterizzato da interventi più o meno consistenti e “griffati” di edilizia residenziale. Tra un’antica villa immersa nel suo parco – un secret garden che si vorrebbe convertire in spazio pubblico – e i blocchi delle anonime case a schiera a più piani, chiuse nella loro apparente tristezza, si colloca lo spazio di progetto: l’ex area Lucchese.Croset descrive la conformazione geografica e tipologica del sito: il suo andamento trasversale che obbliga le anziane signore a tortuosi percorsi per raggiungere il supermercato, gli scorci luminosi e le prospettive aperte sulla laguna. Kollhoff, più pragmatico, sottolinea la necessità di conoscere la città, le consuetudini costruttive e le pratiche abitative per fare architettura.Il social housing, proposto come giusta soluzione per l’isola giudecchina, costituisce un modo concreto per costruire la città e una possibile risposta alla questione delle abitazioni. La presentazione di alcuni progetti realizzati fornisce esempi concreti di come, almeno all’estero, sia possibile realizzare interventi di social housing di livello elevato, capaci di porsi in dialogo continuo con il resto della città, con particolare attenzione alla definizione e allo studio delle facciate e della loro tettonica. Per Stefania Spiazzi e Francesco Sanvitto, architetti dell’Ater di Venezia, ente preposto alla gestione del social housing, che assume il ruolo di interlocutore privilegiato considerata la lunga esperienza nel settore, i problemi più frequenti in questo ambito sono legati alla manutenzione e alla ristrutturazione degli immobili. Dalla discussione emergono le vere carenze dell’area in oggetto e, più diffusamente, dell’isola della Giudecca. Spunti preziosi per gli studenti dei WS di Croset e di Kollhoff che, fin dall’inizio, si troveranno a fronteggiare la necessità di rivitalizzare il quartiere, prestando attenzione alla dimensione artigianale e dei servizi, nonché alla possibilità di creare nuovi percorsi avanzando più volte la suggestione di creare delle “Zattere bis” e nuovi spazi per la rimessa e l’ormeggio delle barche.Molti sono gli spunti. Ma molte anche le differenze che emergono circa la diversa concezione progettuale del social housing in Italia e in Germania e che sembrano minare la teutonica compostezza di Kollhoff. Gli esperimenti sull’edilizia sociale in Europa vengono portati a termine con successo, mentre nel nostro Paese incontrano notevoli difficoltà connesse a un complessivo stato di immobilismo e di parziale arretratezza.

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WS BUGATTI/CATTANEO IN vISITA ALL’Ex SEmINARIO DI TENCAROLA A SELvAzzANO DENTRO

DI CONCITA PIAZZAGli studenti aspettano Angelo Bugatti seduti sulla gradinata della fac-ciata principale dell’ex seminario. Il luogo per il quale in queste tre set-timane di workshop gli studenti penseranno a nuove possibili soluzioni architettoniche appare subito abbandonato e in disuso.All’arrivo del docente e dei suoi collaboratori ci addentriamo subito nel vivo del sopralluogo, che si rivela un’escursione nel verde che copre la maggior parte dell’area non costruita. Il complesso è totalmente circon-dato da piante infestanti, ed è in questo verde incolto che ci avventu-riamo per raggiungere quasi tutti gli edifici della zona oggetto dell’inter-vento proposto dai docenti. E così tutti gli studenti seguono Bugatti che s’inoltra nell’erba alta. Il nostro è una specie di piccolo viaggio che ci permette di esplorare la struttura, prima dall’esterno, poi dall’interno. Il cemento che la circonda è cosparso di frammenti di vetro delle fine-stre. Il rumore dei nostri passi sui frammenti ci segue all’interno dell’edi-ficio, percorrendo le aule, ormai vuote e disabitate. La nostra attenzione è a tratti colpita da qualche vecchio disegno ancora appeso alle pareti, ormai sbiadito dal tempo, o da un piatto di carta colorato buttato per ter-ra e sommerso dalle cartacce, o dai lavandini dei bagni ormai distrutti.Quando ci fermiamo dentro un’aula più ampia ci assale subito una forte puzza di bruciato, e tutti, subito incuriositi, andiamo a vedere le stanze interessate dall’incendio. Qui i docenti decidono di fermarsi a parla-re ai loro ragazzi, circondati dall’odore acre. Vengono proposte alcune idee di progetto, idee di recupero e mantenimento, o di un’ipotetica demolizione, parziale o totale. Bugatti sottolinea più volte quanto detto a lezione il giorno prima: «Dobbiamo uscire di qui che ne sappiamo più di quanto ne sapevamo ieri». Queste parole hanno l’intento di sprona-re gli studenti a individuare i principali connotati dell’area, a ricercare gli elementi di acqua, terra e vegetazione che accompagnano le parti costruite. Col sole ormai alto, proseguiamo nel nostro “viaggio”. Ogni passo che facciamo in mezzo alle piante di more e l’erba incolta ci porta a vedere i numerosi edifici appartenenti al vecchio seminario e qualche abitazione limitrofa.Circondiamo tutta l’area, ci camminiamo intorno, ne percorriamo tutti i confini, passando attraverso fossi e campi di soia. Il giro completo dura circa un’ora e mezza, alla fine della quale, ci ritroviamo di nuovo su quelle gradinate da cui eravamo partiti. Uno dei collaboratori porta con sé delle vecchie cartoline impolverate trovate all’interno dell’edifi-cio, testimonianza dell’inizio della sua vita. Sarà da quelle immagini che comincerà il lungo lavoro di progettazione.

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WS KéRéSOPRALLUOGO A SACCA fISOLATOCCARE L’ANImA dEL LUOGO

DI GIULIA CAVALLARIToccare l’anima dello spazio, sta-bilirne un vivo contatto per cap-tare quello che ci chiede. Questa la missione principale del sopral-luogo avvenuto lunedì 28 giugno all’isola di Sacca Fisola con Fran-cis Kéré e i suoi allievi. Attraver-so un contagioso entusiasmo e una frizzante energia, l’architetto – dotato di una grande capacità d’osservazione – permette ai suoi studenti di immergersi nel loro compito. L’avventura parte con una sguardo fotografico all’im-mediato contesto conosciuto: il cotonificio dell’Iuav, la Venezia storica, e la zona industriale di Marghera, il tutto accompagnato da uno splendido sole estivo ar-ricchito dai riflessi della laguna. «Siete in grado creare uno spa-zio che connetta questi differenti contesti? Ora che li avete per-cepiti, sapreste esser in grado di comunicarli?», chiede Kéré agli studenti. È l’inizio ufficiale di questo workshop, che comincia mettendo in rilievo gli elementi più evidenti: l’acqua come principio connettivo per eccellenza, il gran-de afflusso di mezzi di trasporto lungo il canale della Giudecca, e l’inadeguato utilizzo delle aree

verdi create quasi più per colo-rare il suolo isolano piuttosto che per essere elemento di qualità nella vita dei suoi residenti. Una qualità non ancora conquistata, se si può assistere divertiti a un faticoso sprint fra le nonne del parco per guadagnarsi un posto sulla panchina all’ombra. A testi-moniare questo risultato da con-quistare Kéré fa notare un’altra particolarità: la presenza di tanti cartelli “Vendesi” sui balconi che testimoniano l’esigenza di costru-ire luoghi di interesse capaci di legare i residenti alla loro terra. Il cuore dell’isola invece si presen-ta come un susseguirsi di vecchie case popolari progettate e chiuse in se stesse, mentre affiancati alla costa est gli edifici tornano a mo-strare le identità costruttive vene-ziane con il pianterreno a diretto contatto con l’acqua. «Siate generosi nel creare spa-zi informali di connessione fra le diversità», è l’unica richiesta di Kéré, che affascina i suoi studenti nel far notare come la scelta dei sistemi costruttivi influenzi il sen-tire l’architettura. Camminare su una pavimentazione in legno e spostarsi poi sul cemento sono sentori di umanità e familiarità

che si oppone alla desolazione dell’arida piazzola del cantiere delle remiere. Ma Sacca Fisola è anche contenitore di energia per il futuro. Gli studenti passano parte della mattina a osservare il sito di raccolta e stoccaggio rifiuti di tutta la laguna, che secondo il docente potrebbero diventare la materia prima per produrre ener-gia. Nell’area il gruppo si ritrova anche a fronteggiare una schiera di gabbiani, avidi custodi del pon-te di accesso alla zona. Compito degli studenti nel WS sarà quindi analizzare i diversi modi in cui è vissuta Sacca Fi-sola dai suoi abitanti, per capire e vedere i contrasti che questa terra offre, e ricreare un’identi-tà che possa accogliere le varie differenze attraverso la creazione di nuove idee per la riscoperta di una nuova Venezia. Si riassumono così i temi principa-li che i gruppi di lavoro potranno affrontare, in maniera pressoché libera e incitati dall’avvincente sorriso di Francis Kéré nel dire «aprite gli occhi e provate a dise-gnare qualcosa di forte, capace di fare la differenza. Usate le vostre abilità per create il meglio nella maggior semplicità di forma».

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DI CATERINA VIGNADUZZO E MARCO LUDOVICOW In quest’edizione dei WS sono presenti due rappresentanti degli Archizoom: lei e Paolo Deganello. Ci racconta perché queste esperienze di avanguardia nascono proprio a firenze in quegli anni? GC È difficile dare una risposta esauriente perché le condizioni sono veramente tante, quasi misteriose. Firenze è una città di provincia. Normalmente i fenomeni esplosivi di questo tipo non avvengono nelle grandi città. La provincia crea energie che poi la grande città sa sfruttare, perché spesso le energie nascono proprio come reazione a una situazione di conformismo e inerzia locale. Anche nella letteratura, nel periodo della decadenza dell’Impero Romano, i grandi pensatori e filosofi erano tutti della provincia. A Firenze poi c’era una corrente di cattolicesimo radicale. Molti dei miei docenti erano valdesi, caratterizzati da un atteggiamento critico nei riguardi del cattolicesimo tradizionale e aperti in generale alle interpretazioni del moderno. Noi ci siamo conosciuti all’interno dell’università anche grazie ai movimenti extraparlamentari che in quegli anni stavano nascendo all’interno della sinistra italiana. W Perché vi siete sciolti? Il preside Giancarlo Carnevale nella presentazione dei WS accennava all’intenzione di riunirvi in quest’occasione: cosa ne pensa?GC I tempi erano finiti. Nemmeno oggi funzionerebbe. «Quando nell’avanguardia si è in troppi, è l’ora di uscirne» disse Andrea Branzi. Non si può vivere di avanguardia, quando si inizia a produrla diventa un fenomeno commerciale come tutti gli altri. Noi non volevamo diventarlo, e poi non ci si divertiva più. La nostra non era un’avanguardia “seriosa”. Facevamo degli scherzi tremendi. Ne racconto uno. «Domus», grazie all’intercessione di Ettore Sottsass pubblicò i nostri lavori. Noi stessi mandammo una lettera indignata, firmata quattro architetti fiorentini. Possibile che una rivista seria come «Domus» pubblichi queste cose così fuori dalla norma, soprattutto dopo l’alluvione [del 1966 ndr], giocando anche sulla speculazione sentimentale dei tanti giovani fiorentini impegnati nei soccorsi? Ma «Domus» mangiò la foglia, pubblicò la lettera e si giustificò:

«Guardate che son dei bravi ragazzi…». Quante risate! Ora si può dire, anche se son passati cinquant’anni.W I temi del suo WS, il progetto di un nuovo garden bar per l’ex-cotonificio di Santa marta, la Iuav Club House per l’area degli ex magazzini frigoriferi e le soluzioni di pubblico decoro si sviluppano a una scala molto minore rispetto alla maggior parte degli altri. A cos’è dovuta questa scelta? GC Andrea Branzi afferma che bisogna seminare enzimi: sono d’accordo. L’architettura va rifondata e per farlo è necessario lavorare sulla micro-scala. È nata come giusta contrapposizione tra l’uomo e la natura, quando gli era ostile. Oggi non è più così. La vera architettura è fatta dalla qualità degli spazi in cui si vive, non da quello che ci sta fuori. In passato la gente non viveva dentro le architetture. Nel Partenone non ci ha mai abitato nessuno, c’era solo Iddio. La cittàera vissuta all’esterno. Ora invece siamo tutti dentro, no? E allora che senso ha? È strano che gli architetti non l’abbiano ancora capito. Noi lo dimostrammo con la “no-stop city”, una sorta di condominio universale che rivestiva tutto il pianeta: un’operazione critica, ovviamente. L’architettura è diventata la pelle stessa della terra e noi stiamo all’interno.

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WS CHUN/dE mATTEISUN PROGETTO PER L’AREA ITALGAS DI DOLCETTA, LONGHI E mAzzOTTAmETOdOLOGIA E LA STRATEGIA COmE STRUmENTI pRIvILEGIATI dELL’ANALISI pROGETTUALE

DI ALBERTA MENEGALDOQuestioni di metodo e di strate-gia. Ecco due strumenti privilegiati dell’analisi progettuale. Il professor Davide Longhi non ha dubbi nel definire il ragionamento strategico predominante sulla soluzione archi-tettonica: il primo fornisce un’anali-si critica e lo scenario preciso entro il quale il manufatto deve delinearsi, con un linguaggio variabile a se-conda delle scelte del progettista. Su questi concetti hanno molto insistito i relatori della conferenza di martedì 28 giugno. Il tema era la riqualificazione dell’ex area indu-striale Italgas, un sistema vasto con strutture ottocentesche immerse in un’ampia area verde, rivisto nelle immagini del progetto realizzato dagli architetti, Bruno Dolcetta, Da-vide Longhi e Daniela Mazzotta. Agli studenti è stato offerto un me-

todo sistematico, con un occhio di riguardo all’analisi dei percorsi e delle logiche del movimento, per favorire una vera integrazione con la città, occasione di una riquali-ficazione più generale. Oltre alle semplici considerazioni sull’abitare, i temi ricorrenti durante l’incontro sono stati la necessità di verde col-lettivo e la volontà di collocare nella zona la stazione di testa del tram. La seconda idea ha uno scopo ben preciso: rappresentare il limite di uno spazio urbano ora indefinito e la conclusione del sistema delle Zattere, ma allo stesso tempo con-ferire maggiore attrattività all’area.Costantino Patestos, il cui wor-kshop si occupa della stessa zona, lancia una piccola provocazione: perché non prolungare il traccia-to dei canali esistenti? Dolcetta e Longhi prontamente rispondono:

progettare la continuità dei corsi d’acqua sembra quasi un movimen-to banale, un automatismo, che nel contesto veneziano non assume un significato necessariamente quali-ficante. Certo l’idea non manca di fascino, ma il rischio è di trasforma-re l’area in una lottizzazione. Anche il trattamento delle strut-ture dei gasometri è un pretesto per portare alla luce problemi le-gati alla riqualificazione delle aree industriali: lo smaltimento di rifiuti tossici nell’area del nuovo Palazzo del Cinema, i presunti ritrovamen-ti archeologici negli scavi in zona Santa Marta; gli esempi nella stes-sa Venezia non mancano. Patestos è interessato al tema, purché non si rischi di trasformare le vecchie strutture dismesse in musei auto-referenziali o peggio – ironizza – in “musei della pantofola”.

DI EMANUELE D’ANTRASSI E GIULIA TORINOEvento collaterale ai workshop estivi, la conferenza di martedì 28 giugno, organizzata da Matteo Ballarin, ha visto al centro dell’attenzione degli studenti dell’Iuav uno dei cento migliori architetti d’interni contemporanei secondo la rivista «AD - Architectural Digest», Axel Vervoordt.Mercante d’arte e antiquario dalla metà degli anni Sessanta, il belga pone grande attenzione alla cura degli spazi interni. Come ben ricorda Ballarin, questa branca dell’architettura si sta oggi allontanando sempre di più dalla cellula madre nonostante il grande boom di architetti e designer che hanno fornito un enorme contributo tra gli anni Trenta e Settanta: dai made in Iuav Carlo Scarpa e Franco Albini, alla scuola milanese di Piero Fornasetti e Fabio Buzzi, ma anche Piero Portaluppi e Giò Ponti (sulle cui opere sono in corso due mostre a Milano, al grattacielo Pirelli e alla Triennale). Vervoordt va però oltre i confini europei: è all’estremo Oriente che guarda, al mondo nipponico tradizionale, allo spiritualismo filosofico che fonda la sua essenza su termini chiave quali ombra, vuoto e assenza. È questa la dottrina della cura dei minimi particolari, dell’importanza del tutto, quale somma necessaria e inseparabile di ogni singolo. Dall’altro lato, poi, i mondi classico, gotico e rinascimentale: le proporzioni, i trattati di matematica e di geometria, l’assoluta precisione della semplicità. «Lo spazio vuoto tra due figure è più importante delle figure stesse», è il motto dell’architetto belga, che ha iniziato la collaborazione con i Musei Civici Veneziani

e, in particolar modo, con il Fortuny del quale – come curatore della mostra artistica – illustra ora sapientemente alcune immagini. La sinergia creata dall’accostamento di oggetti diversi è fonte di ispirazione del suo lavoro: l’odi et amo dei materiali; l’uso dei materiali organici; la sostenibilità e infinita variazione di pigmenti; la patina del tempo che secondo lui «è l’artista migliore»; la fascinazione dell’uso, in piena accezione zen, e la bellezza data dall’opacità del tempo. «Anche nel mondo odierno abbiamo bisogno di fare ritorno alla natura, ricreando e reinterpretando l’esistente», afferma Vervoordt. Alla domanda sulla crisi dei valori e del pensiero nell’architettura contemporanea il belga non poteva che rispondere di aver trovato nella tradizione mistica e culturale giapponese una possibile risposta per il presente e il futuro stesso della disciplina, poiché bisogna «andare nel vecchio per trovare il nuovo». E la conferenza da lui tenuta convince gli studenti sulla possibilità di attuare le sue lungimiranti proposte, cui si aggiunge il monito di Matteo Ballarin: non scindere il proprio modus vivendi e non separare carriera e famiglia, università e amici, perché tutto è unito, nulla isolato.

CONFERENZAWABI, mA, KU Ed ALTRO AxEL vERvOORDTINTERNI. dALLE SCUOLE ITALIANE ALLO SpIRITUALISmO ORIENTALE

mercoledì 29 giugno 2011W.A.vE.Workshop di Architettura a Venezianumero 2Supplemento aIuav giornale dell’universitàRegistro stampa n. 1391Tribunale di VeneziaISSN 2038-6257

Responsabili scientificiMassimiliano CiammaichellaMarina MontuoriLeonardo Sonnoli

Direzione redazione testi e immaginiMarina Montuori

Direzione blog/multimediaMassimiliano Ciammaichella

Direzione redazione graficaLeonardo Sonnoli

TutorStefania CatinellaAndrea GiambartolomeiAnna Saccani

CollaboratoriMonica PastoreAnna Silvestri

Laboratorio interfacoltà Far/Fdanell’ambito dei workshop estivia.a. 2010-11 Far/Fda_Iuav

Redazione testiFrancesca BadinMaria Aurora BonomiMichele BridaEleonora CanettiGiulia CavallariElena CazzuffiGiacomo CecchettoClaudia ChimentoGiordano CovaEmanuele D’AntrassiCaterina EpiboliMarco LudovicoArgent LumiAlberta MenegaldoMiriam PeraroConcita PiazzaAngela Robusti Riccardo RuvoloStefano ToniatoGiulia TorinoCaterina VignaduzzoValentina Volpato

Redazione graficaGregorio CarlettiChiara CostantiniClaudia GalloSara GiubelliAnna Scorretti

Illustrazione e fotografiaAlberto BassanGiulia CarraroAndrea GiacomettiAlessio GobbisCarlo LissaUmberto PertosaFederico Maria PivettaLaura Portesanjacopo Trabuio

BlogElisa CortelazzoSara DottoAndrea GambardellaAndrea MarchesiniLetizia Mion

onlinehttp://[email protected]

Tutor di coordinamento Valentina AmarilliAniel GuxholliRoberta ScapinSami Sinella

Coordinamento generaleEsther Giani

Le immagini di copertina documentanole strutture temporanee presenti nel paesaggio urbano di venezia.In questo numero foto di Anna Scorretti.

Progetto grafico W.A.VE. 2011Leonardo Sonnoli - Tassinari/Vetta, con Irene Bacchi (identità visiva), con Monica Pastore, Anna Saccani, Anna Silvestri (quotidiano)

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aVVisiaPPuntaMenti

atelier ConferenZe Binate/leCtures AUDITORIUm SANTA mARTA28 giugno–8 luglioore 17:00In sinergia con la Regione Veneto, celebriamo il decennale dei workshop dedicandolo al territorio. Lo abbiamo fatto con i temi ma anche con le conferenze che avranno un unico tema, Urban regeneration, che sarà declinato di volta in volta, sulla base delle esperienze dei relatori.

Urban regeneration: esperienze a confronto Urban regeneration: comparing experiencesmoderatore chairman Giancarlo Carnevale

29 giugnoCorretti/Sonnoli

30 giugnoRascovsky/Elasticospa

1 luglioMutschlechner/Marini

4 luglio Spadoni/Patestos

5 luglio Navarra/Galantino

6 luglioSchneider/Lovero

7 luglioChun/Deganello

8 luglioMazzanti/Carnevale

REGISTRAzIONE Le liste definitive (cartacee) dei partecipanti ad ogni WS andranno consegnate mercoledì 29/06 ai tutor del coordinamento.SERvIzINei corridoi di ciascuna sede sono stati attrezzati contenitori appositi per la raccolta differenziata (carta, plastica, ecc.) e per i materiali scartati dai plastici. Utilizzateli! All’esterno di ciascuna sede è stato attrezzato un luogo apposito per eventua-li operazioni di verniciatura spray (anche per la colla!) dei modelli o parti di esso.PULIzIENelle aule: tutto ciò che sarà lasciato per terra e su sedie sarà gettato. Usare i sacchetti neri forniti per un eccesso di rifiuti. Lasciarli legati in aula per lo smaltimento. Nei corridoi: tutto ciò che sarà lasciato per terra, su tavoli e sedie sarà gettato. A partire dalla III settimana a ciascun WS sarà fornito una scopa e una paletta per una pulizia autonoma dell’aula,

soprattutto per il giorno della mostra finale!STAmPE La Facoltà mette a disposizione un budget da uti-lizzare presso il centro plottaggi e stampe che si trova all’interno dell’ex convento delle Terese. Dalla seconda settimana dei WS ciascun do-cente e/o relativi collaboratori potranno ritirare presso la stanza dell’organizzazione (piano terra Santa Marta) un foglio di credito nominale. Si ricorda che questo contributo è inteso per la mostra finale.PLASTICILa Facoltà mette a disposizione dei materiali di cartoleria (fogli 100X70 cm in carton legno e carton sandwich da 1/2/3 mm). A partire da mercoledì 6 luglio, ciascun docente e/o relativi collaboratori potranno far ritirare presso la stanza dell’organizzazione i materiali. Scambi di materiali potranno avvenire solo se concordati tra i labora-tori e coordinati dagli interessati. Si ricorda che questo contributo è inteso per la mostra finale.

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uotidiano dell’Università Iuav di Venezia

COTONIfICIO SANTA mARTA

piano terraA1 Del BoA2 Chun/De MatteisB PatestosC CrosetD GalantinoE Marinif Bugatti/CattaneoG LatiniI Lovero

piano primoL1 RotaL2 Kollhoffm1 Deganellom2 CorrettiN1 Agency SchneiderN2 FicarelliO1 SpadoniO2 Mazzanti

mAGAzzINI LIGABUE/EDIfICIO 6

piano terra0.1-0.3 Rossetti0.2-0.4 Kéré0.5-0.7 Narne0.8-0.10 Carnevale/Giani

piano primo1.1-1.3 Bricolo1.2-1.4 Supersudaca Rascovsky1.5-1.6 Redazione Wave e blog1.7-1.9 Elasticospa Pujatti1.8 Mutschlechner

piano secondo2.2 Okada2.3 Navarra2.4 Kelly/Borghini2.5 De Architekten Cie Medic + Puljiz

WS CHUN/DE MATTEIS Social housing. Residenzializzare spazi dimenticatiAUDITORIUm SANTA mARTA29 giugno 2011, ore 9:30Barbara Del BroccoConferenza: Housing sociale, nuove strategie d’intervento per l’abitare

WS CHUN/DE MATTEIS Social housing. Residenzializzare spazi dimenticatiCOTONIfICIO SANTA mARTA AULA A229 giugno, ore 11:30 Stefania Spiazzi Conferenza: La sostenibilità socio-economicanell’edilizia abitativa a basso costo

WS CROSET Social housing. Un immenso appartamento collettivoCOTONIfICIO SANTA mARTA AULA C04 luglio, ore 10:00Pietro ValleConferenza: Alloggio+Prefabbricato=Housing

COMUNE DI GRISIGNANO DI ZOCCO