voto alle Nazioni Unite si riapre la discussione sul...

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54 GIOVEDI 6 DICEMBRE 2012 DI A R I O DI REPUBBLICA lioni nei Territori occupati (Gaza e Cisgiordania), che per Israele so- no “terre contese”. Solo un terzo del totale, quindi. Il resto (4,5 mi- lioni) è dato da profughi nei paesi arabi, spesso stipati in campi invi- vibili, trattati come paria dai regi- mi che pure si proclamano difen- sori della loro causa; altri (1,2 mi- lioni) sono cittadini della Giorda- nia, separati nella fatiscente casa del re hashemita; altrettanti di- spersi nel mondo, specie in Euro- pa e nel Nordamerica. Infine, qua- si un milione e mezzo sono israe- liani. Cittadini non sionisti di C he differenza c’è fra Santa Sede e Palesti- na? Secondo l’Onu nessuna, da quando il 29 novembre scorso l’Assemblea Generale ha elevato a schiacciante maggioranza (138 sì, 9 no e 41 astenuti) l’Autorità na- zionale palestinese (Anp) al rango di “Stato osservatore non mem- bro”, lo stesso di cui gode l’entità vaticana. Ma mentre la monar- chia papale, con i suoi 572 cittadi- ni in 0,44 chilometri quadrati, è uno Stato a tutti gli effetti, l’Anp del “sindaco di Ramallah”, Abu Mazen, resta una categoria dello spirito. Non controlla nessun ter- ritorio sovrano: quel che avanza della Cisgiordania occupata da Israele, amputata dal Muro e co- lonizzata dagli insediamenti ebraici – tra cui vere e proprie città fortificate – è strettamente sorve- gliato dalle Forze armate di Geru- salemme. Sicché oggi nella “Pale- stina storica”, accanto allo Stato d’Israele troviamo due monconi isolati – Gaza e pezzi di Cisgiorda- nia – che sfuggono a qualsiasi de- finizione geopolitica. Nel primo, esteso quanto la fu provincia di Prato, sono compresse oltre un milione e mezzo di anime, sotto il regime islamista di Hamas. Nel secondo, più piccolo della provin- cia di Perugia, si accalcano due milioni e mezzo di palestinesi, più quasi mezzo milione di coloni ebraici. Su questo sfondo, il ritornello “due popoli due Stati” che la “co- munità internazionale” – altra en- tità indefinibile – continua imper- territa a salmodiare, suona piut- tosto beffardo. Non sarà certo il voto del Palazzo di Vetro a render- lo meno astratto. Eppure intorno ad esso si è animato l’ennesimo teatro retorico-diplomatico che i protagonisti della disputa israelo- palestinese sentono il bisogno di allestire a intervalli irregolari per certificare l’esistenza in vita del contenzioso. Dunque del loro di- ritto a occuparsene, da professio- nisti del negoziato virtuale. La drammatizzazione scenica non deve farci perdere di vista la sostanza: il sogno (o l’incubo) dei due Stati resta chimera. Per molte ragioni, di cui due decisive: il po- polo palestinese è lungi dal for- mare una nazione; allo stesso tempo, la crescente eterogeneità della sua popolazione spinge Ge- rusalemme a cementare il fronte interno nella logica dell’emer- genza permanente, a garanzia dello status quo geopolitico, dun- que del titolo di massima potenza regionale. Consideriamo i palestinesi. Oggi se ne contano circa 12 milio- ni e mezzo. Di questi, quattro mi- dente) di Fatah e gli “estremisti” (classificati come “terroristi” da Israele) di Hamas, oltre a un rosa- rio di formazioni minori, dalle più laiche e liberali a quelle di matrice islamista, vicine all’Iran. Ciascu- na di tali organizzazioni ha la sua milizia e la sua intelligence – qua- si sempre più di una. Più che dedi- carsi a combattere il nemico sio- nista, anzi collaborando spesso con il Mossad, tali bande si con- tendono i traffici d’ogni genere che proliferano all’ombra dell’oc- cupazione israeliana. Insomma, il popolo palestinese soffre, soprav- quella che alcuni di loro continua- no a considerare “entità sionista”, trattati come soggetti di serie B dal governo di Gerusalemme e come traditori dai più fanatici fra i loro connazionali (non concittadini). Tuttavia refrattari a scambiare il benessere e le relative garanzie della democrazia israeliana con la gabbia di Gaza o la Cisgiordania occupata e depressa. Fra i palestinesi vigono inoltre ataviche gerarchie claniche. Alcu- ne riflesse nella frammentazione politica, polarizzata fra i “mode- rati” (perché accettati dall’Occi- HUMAN RIGHTS WATCH (a cura di) Apartheid in Palestina Mimesis 2012 ILAN PAPPÉ Israele- Palestina Nottetempo 2011 WILLIAM PARRY Contro il muro Isbn 2010 S.NUSSEIBEH A.DAVID C’era una volta un paese il Saggiatore 2009 MARIO VARGAS LLOSA Israele Palestina Scheiwiller 2009 ALBERTO STABILE Palestina Giunti 2008 SERGIO DELLA PERGOLA Israele e Palestina il Mulino 2007 ALAIN GRESH Israele, Palestina Einaudi 2007 M.TROTTER P.LUZZATI L’occupazion e. Vivere in Palestina Ombre Corte 2007 SUAD AMIRY Se questa è vita Feltrinelli 2005 LIBRI Gli autori IL TESTO del Sillabario di Amos Oz è tratto da Contro il fanatismo (Feltrinelli). Lucio Caracciolo è direttore di Limes. Il suo ultimo libro è America vs America (Laterza). Adriano Sofri ha pubblicato di recente con Gianfranco Ravasi Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Lindau). I Diari on line TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblica, comprensivi delle fotografie e dei testi completi, sono consultabili su Internet in formato pdf all´indirizzo web www. repubblica. it. I lettori potranno accedervi direttamente dalla homepage del sito, cliccando sul menu “Supplementi”. I palestinesi vogliono la terra che chiamano Pa- lestina. La vogliono per delle ragioni stringenti. Gli ebrei israeliani vogliono esattamente la stessa terra esattamente per le stesse ragioni, il che garantisce una perfetta comprensione fra le parti, e dà la misura di una terribile tragedia. Fiumi di caffè insieme non potranno mai cancellare la tra- gedia di due popoli che rivendicano, e ritengo con ragione, lo stesso piccolo paese quale unica loro patria, nazione al mondo. Pertanto, un caffè convi- viale è cosa meravigliosa, ci sto soprattutto se si tratta di caffè arabo, che è infinitamente migliore di quello israeliano. Ma un caffè insieme non può ri- solvere il problema. Ciò di cui abbiamo bisogno non è soltanto un caffè che serva a capirsi meglio. Ciò di cui abbiamo bisogno è un doloroso compro- messo. SILLABARIO PALESTINA AMOS OZ Dopo i fatti di Gaza e il voto alle Nazioni Unite si riapre la discussione sul destino di una zona del mondo attraversata da un conflitto che ha radici lontane La decisione del Palazzo di Vetro ha rianimato il teatro retorico e diplomatico che le parti in causa sentono l’obbligo di allestire a intervalli irregolari Teatro A mantenere uno status quo geopolitico che dovrebbe essere inaccettabile concorrono spinte internazionali e interne in apparenza inconciliabili Status quo LUCIO CARACCIOLO © RIPRODUZIONE RISERVATA vive grazie agli aiuti internaziona- li (che contribuiscono a denazio- nalizzarlo), ma è lungi dal forma- re una nazione compatta e decisa nel reclamare un proprio Stato. Peraltro Israele fa di tutto per impedire che le diverse anime pa- lestinesi si raccolgano in un fron- te unico. Con il paradossale risul- tato di intendersi meglio con Ha- mas – ad oggi il “male minore” nel- la Striscia, infiltrata dai qaidisti e dalle milizie filo-iraniane – grazie anche alla mediazione del nuovo Egitto di Morsi, che con il clan di Ramallah, comunque ricattabile perché ipercorrotto. Non ingan- nino le “guerre di manutenzione” Hamas-Israele, che servono a oliare i meccanismi di uno stallo cui nessuna delle due parti inten- de rinunciare, per carenza di al- ternative migliori. Quanto al popolo israeliano. I cittadini dello Stato d’Israele sono circa 8 milioni, di cui quasi 6 clas- sificati come ebrei, 1,7 arabi e 0,3 di altro ceppo. In base alle statisti- che ufficiali, un quarto degli abi- tanti dello Stato ebraico non sono dunque ebrei. E di tanto in tanto riecheggia l’allarme del sorpasso arabo nello spazio dell’ex Manda- to britannico, fra Mediterraneo e Giordano, recentemente rian- nunciato da Ha’aretz in base a di- scutibili statistiche fondate sul fi- sco. Ma il problema maggiore, per l’ebraicità dello Stato ebraico, non deriva tanto dalla crescita araba ai suoi vaghi confini (ovve- ro nei limiti del “Grande Israele”, esteso a Giudea e Samaria/Ci- sgiordania), quanto dalle divisio- ni interne alla maggioranza ebrai- ca. Non solo la classica partizione originaria fra sefarditi e ashkena- ziti, ma quelle recentemente ac- centuate dall’immigrazione di neoisraeliani di ascendenza afri- cana e soprattutto slava. Immi- grati recenti che costituiscono, fra l’altro, il grosso dell’esercito na- zionale. A cominciare dagli ebrei di origine russa, alcuni dei quali meglio definibili come russi di ori- gine ebraica (talvolta millantata), che occupano posizioni di rilievo nell’élite politica e nelle gerarchie sociali d’Israele, magari dotati di doppio o triplo passaporto. Per ta- cere dell’incomunicabilità fra estremisti ultrareligiosi, concen- trati tra Gerusalemme e colonie, ed ebrei assai più laici, prevalenti a Tel Aviv e dintorni. Un tempo, quando di venerdì ai preti veniva voglia di carne, la bat- tezzavano pesce. L’“ego te baptizo Palestinam” pronunciato dall’As- semblea generale dell’Onu può divertire i cinici ma non cambia i termini del dramma. La Palestina è altrove. © RIPRODUZIONE RISERVATA La chimera della convivenza in una terra divisa dalla storia PALESTINA

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GIOVEDI 6 DICEMBRE 2012

la Repubblica

DIARIODI REPUBBLICA

lioni nei Territori occupati (Gaza eCisgiordania), che per Israele so-no “terre contese”. Solo un terzodel totale, quindi. Il resto (4,5 mi-lioni) è dato da profughi nei paesiarabi, spesso stipati in campi invi-vibili, trattati come paria dai regi-mi che pure si proclamano difen-sori della loro causa; altri (1,2 mi-lioni) sono cittadini della Giorda-nia, separati nella fatiscente casadel re hashemita; altrettanti di-spersi nel mondo, specie in Euro-pa e nel Nordamerica. Infine, qua-si un milione e mezzo sono israe-liani. Cittadini non sionisti di

Che differenza c’è fraSanta Sede e Palesti-na? Secondo l’Onunessuna, da quando il29 novembre scorso

l’Assemblea Generale ha elevato aschiacciante maggioranza (138 sì,9 no e 41 astenuti) l’Autorità na-zionale palestinese (Anp) al rangodi “Stato osservatore non mem-bro”, lo stesso di cui gode l’entitàvaticana. Ma mentre la monar-chia papale, con i suoi 572 cittadi-ni in 0,44 chilometri quadrati, èuno Stato a tutti gli effetti, l’Anpdel “sindaco di Ramallah”, AbuMazen, resta una categoria dellospirito. Non controlla nessun ter-ritorio sovrano: quel che avanzadella Cisgiordania occupata daIsraele, amputata dal Muro e co-lonizzata dagli insediamentiebraici – tra cui vere e proprie cittàfortificate – è strettamente sorve-gliato dalle Forze armate di Geru-salemme. Sicché oggi nella “Pale-stina storica”, accanto allo Statod’Israele troviamo due monconiisolati – Gaza e pezzi di Cisgiorda-nia – che sfuggono a qualsiasi de-finizione geopolitica. Nel primo,esteso quanto la fu provincia diPrato, sono compresse oltre unmilione e mezzo di anime, sotto ilregime islamista di Hamas. Nelsecondo, più piccolo della provin-cia di Perugia, si accalcano duemilioni e mezzo di palestinesi, piùquasi mezzo milione di coloniebraici.

Su questo sfondo, il ritornello“due popoli due Stati” che la “co-munità internazionale” – altra en-tità indefinibile – continua imper-territa a salmodiare, suona piut-tosto beffardo. Non sarà certo ilvoto del Palazzo di Vetro a render-lo meno astratto. Eppure intornoad esso si è animato l’ennesimoteatro retorico-diplomatico che iprotagonisti della disputa israelo-palestinese sentono il bisogno diallestire a intervalli irregolari percertificare l’esistenza in vita delcontenzioso. Dunque del loro di-ritto a occuparsene, da professio-nisti del negoziato virtuale.

La drammatizzazione scenicanon deve farci perdere di vista lasostanza: il sogno (o l’incubo) deidue Stati resta chimera. Per molteragioni, di cui due decisive: il po-polo palestinese è lungi dal for-mare una nazione; allo stessotempo, la crescente eterogeneitàdella sua popolazione spinge Ge-rusalemme a cementare il fronteinterno nella logica dell’emer-genza permanente, a garanziadello status quo geopolitico, dun-que del titolo di massima potenzaregionale.

Consideriamo i palestinesi.Oggi se ne contano circa 12 milio-ni e mezzo. Di questi, quattro mi-

dente) di Fatah e gli “estremisti”(classificati come “terroristi” daIsraele) di Hamas, oltre a un rosa-rio di formazioni minori, dalle piùlaiche e liberali a quelle di matriceislamista, vicine all’Iran. Ciascu-na di tali organizzazioni ha la suamilizia e la sua intelligence – qua-si sempre più di una. Più che dedi-carsi a combattere il nemico sio-nista, anzi collaborando spessocon il Mossad, tali bande si con-tendono i traffici d’ogni genereche proliferano all’ombra dell’oc-cupazione israeliana. Insomma, ilpopolo palestinese soffre, soprav-

quella che alcuni di loro continua-no a considerare “entità sionista”,trattati come soggetti di serie B dalgoverno di Gerusalemme e cometraditori dai più fanatici fra i loroconnazionali (non concittadini).Tuttavia refrattari a scambiare ilbenessere e le relative garanziedella democrazia israeliana con lagabbia di Gaza o la Cisgiordaniaoccupata e depressa.

Fra i palestinesi vigono inoltreataviche gerarchie claniche. Alcu-ne riflesse nella frammentazionepolitica, polarizzata fra i “mode-rati” (perché accettati dall’Occi-

HUMANRIGHTSWATCH(a cura di) Apartheid in PalestinaMimesis 2012

ILAN PAPPÉIsraele-Palestina Nottetempo2011

WILLIAMPARRYContro il muroIsbn 2010

S.NUSSEIBEHA.DAVIDC’era unavolta unpaeseil Saggiatore2009

MARIOVARGASLLOSAIsraelePalestinaScheiwiller2009

ALBERTOSTABILEPalestinaGiunti 2008

SERGIODELLAPERGOLAIsraele ePalestinail Mulino 2007

ALAIN GRESHIsraele,PalestinaEinaudi 2007

M.TROTTERP.LUZZATIL’occupazione. Vivere inPalestinaOmbre Corte2007

SUAD AMIRYSe questaè vitaFeltrinelli 2005

LIBRI

Gli autoriIL TESTO del Sillabario diAmos Oz è tratto da Contro ilfanatismo (Feltrinelli). LucioCaracciolo è direttore diLimes. Il suo ultimo libro èAmerica vs America (Laterza).Adriano Sofri ha pubblicato direcente con Gianfranco RavasiBeati i poveri in spirito perchédi essi è il regno dei cieli(Lindau).

I Diari on lineTUTTI i numeri del “Diario”di Repubblica, comprensividelle fotografie e dei testicompleti, sono consultabilisu Internet in formato pdfall´indirizzo web www.repubblica. it. I lettoripotranno accedervidirettamente dallahomepage del sito,cliccando sul menu“Supplementi”.

Ipalestinesi vogliono la terra che chiamano Pa-lestina. La vogliono per delle ragioni stringenti.Gli ebrei israeliani vogliono esattamente la

stessa terra esattamente per le stesse ragioni, il chegarantisce una perfetta comprensione fra le parti,e dà la misura di una terribile tragedia. Fiumi dicaffè insieme non potranno mai cancellare la tra-gedia di due popoli che rivendicano, e ritengo conragione, lo stesso piccolo paese quale unica loropatria, nazione al mondo. Pertanto, un caffè convi-viale è cosa meravigliosa, ci sto soprattutto se sitratta di caffè arabo, che è infinitamente migliore diquello israeliano. Ma un caffè insieme non può ri-solvere il problema. Ciò di cui abbiamo bisognonon è soltanto un caffè che serva a capirsi meglio.Ciò di cui abbiamo bisogno è un doloroso compro-messo.

SILLABARIOPALESTINA

AMOS OZ

Dopo i fatti di Gaza e il votoalle Nazioni Unitesi riapre la discussione sul destinodi una zona del mondoattraversata da un conflittoche ha radici lontane

La decisione del Palazzo di Vetroha rianimato il teatro retoricoe diplomatico che le parti in causasentono l’obbligo di allestirea intervalli irregolari

Teatro

A mantenere uno status quogeopolitico che dovrebbe essereinaccettabile concorrono spinteinternazionali e internein apparenza inconciliabili

Status quo

LUCIO CARACCIOLO

© RIPRODUZIONE RISERVATA

vive grazie agli aiuti internaziona-li (che contribuiscono a denazio-nalizzarlo), ma è lungi dal forma-re una nazione compatta e decisanel reclamare un proprio Stato.

Peraltro Israele fa di tutto perimpedire che le diverse anime pa-lestinesi si raccolgano in un fron-te unico. Con il paradossale risul-tato di intendersi meglio con Ha-mas – ad oggi il “male minore” nel-la Striscia, infiltrata dai qaidisti edalle milizie filo-iraniane – grazieanche alla mediazione del nuovoEgitto di Morsi, che con il clan diRamallah, comunque ricattabileperché ipercorrotto. Non ingan-nino le “guerre di manutenzione”Hamas-Israele, che servono aoliare i meccanismi di uno stallocui nessuna delle due parti inten-de rinunciare, per carenza di al-ternative migliori.

Quanto al popolo israeliano. Icittadini dello Stato d’Israele sonocirca 8 milioni, di cui quasi 6 clas-sificati come ebrei, 1,7 arabi e 0,3di altro ceppo. In base alle statisti-che ufficiali, un quarto degli abi-tanti dello Stato ebraico non sonodunque ebrei. E di tanto in tantoriecheggia l’allarme del sorpassoarabo nello spazio dell’ex Manda-to britannico, fra Mediterraneo eGiordano, recentemente rian-nunciato da Ha’aretz in base a di-scutibili statistiche fondate sul fi-sco. Ma il problema maggiore, perl’ebraicità dello Stato ebraico,non deriva tanto dalla crescitaaraba ai suoi vaghi confini (ovve-ro nei limiti del “Grande Israele”,esteso a Giudea e Samaria/Ci-sgiordania), quanto dalle divisio-ni interne alla maggioranza ebrai-ca. Non solo la classica partizioneoriginaria fra sefarditi e ashkena-ziti, ma quelle recentemente ac-centuate dall’immigrazione dineoisraeliani di ascendenza afri-cana e soprattutto slava. Immi-grati recenti che costituiscono, fral’altro, il grosso dell’esercito na-zionale. A cominciare dagli ebreidi origine russa, alcuni dei qualimeglio definibili come russi di ori-gine ebraica (talvolta millantata),che occupano posizioni di rilievonell’élite politica e nelle gerarchiesociali d’Israele, magari dotati didoppio o triplo passaporto. Per ta-cere dell’incomunicabilità fraestremisti ultrareligiosi, concen-trati tra Gerusalemme e colonie,ed ebrei assai più laici, prevalentia Tel Aviv e dintorni.

Un tempo, quando di venerdì aipreti veniva voglia di carne, la bat-tezzavano pesce. L’“ego te baptizoPalestinam” pronunciato dall’As-semblea generale dell’Onu puòdivertire i cinici ma non cambia itermini del dramma. La Palestinaè altrove.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La chimera della convivenzain una terra divisa dalla storia

PALESTINA

Page 2: voto alle Nazioni Unite si riapre la discussione sul PALESTINAdownload.repubblica.it/pdf/diario/2012/06122012.pdf · lestina. La vogliono per delle ragioni stringenti. Gli ebrei israeliani

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LO STATO DI ISRAELEÈ proclamato nel 1948.Nel 1967 scoppia laGuerra dei sei giorni.Israele conquistaCisgiordania e Gaza

L’idea di uno stato ebraicoin Palestina acquistò prestoun’aurea di prestigio moraleLa questione palestinese, 1992

Edward W. Said

Per molto tempo sulla terradi Palestina non potevaesserci posto per due StatiLa Guerra e la Pace, 2003

Jean Daniel

Lo scontro tra palestinesie israeliani ci ha fatto trincerarein posizioni insostenibiliLa guerra che non si può vincere, 2003

David Grossman

Le tappe

OGGIDopo il riconoscimentodella Palestina comeStato osservatore Onu,Israele annuncia nuovi insediamenti

DA RABIN A HAMASNel’95 Rabin vieneucciso. Dopo la secondaIntifada, nel 2007 Hamasprende il controllo della Striscia di Gaza

DALL’INTIFADA A OSLONell’87 scoppia la primaIntifada. Nel ’93 Arafat eRabin firmano gli accordidi Oslo, ma il conflittonon viene risolto

GILLESKEPELOltre il terroree il martirioFeltrinelli2009

PAOLACARIDIHamasFeltrinelli2009

ZAKI CHEHABHamasLaterza 2008

BERNARDLEWISLacostruzionedel MedioOrienteLaterza 2006

BENNYMORRISIsraele ePalestinaBur 2005

BARUCHKIMMERLINGPoliticidioSharon e ipalestinesiFazi 2005

RASHIDKHALIDIIdentitàpalestineseBollatiBoringhieri2003

JEAN JENETPalestinesiNuoviEquilibri 2002

NOAMCHOMSKYTerroreinfinitoDedalo 2002

XAVIERBARONI palestinesiDalai 2002

ABRAHAMYEHOSHUADiario di unapace freddaEinaudi 1996

LIBRI

Il paradosso di un rapporto impossibile ma obbligato

Succede che si confonda volen-tieri Israele con “gli ebrei”, e chesi confonda lo Stato di Israelecoi suoi governi: confusione

che non avviene per altri paesi, e chesottintende, più o meno avvertitamen-te, l’idea che lo Stato di Israele sia uninfortunio provvisorio della storia. Re-ciprocamente, governanti di Israele sifanno scudo della stessa confusioneper far passare le loro libere e delibera-te scelte politiche come imposte da unacondizione di necessità: la difesa dellasopravvivenza di Israele. Quest’ultimanon è oggi meno minacciata di quantofosse in passato, come nell’avanzatanucleare dell’Iran. Chi ama Israele e ri-corda il debito irrisarcibile che l’Euro-pa tutta contrasse con i cittadini euro-pei superstiti che vi ripararono, fa spes-so fatica a tener ferma la distinzione. Ilgoverno di Netanyahu e Liberman èmosso da un oltranzismo miope, e neha appena dato saggio con la ritorsionedelle nuove colonie. Sotto la formula,ripetuta troppo stancamente e a me-moria, “due popoli e due Stati”, c’è unpunto così scandalosamente sempliceche si esita quasi a enunciarlo: che nonsi può voler bene a Israele senza voler

bene alla Palestina, che non si può vo-ler bene alla Palestina senza voler benea Israele. Suona come una stucchevolebanalità, vero? Il mondo va altrimenti.Per voler bene a Israele bisogna odiarela Palestina, per voler bene alla Palesti-na bisogna odiare Israele. Succede an-che con le squadre di calcio. Là ha l’o-dore eccitante della guerra e del san-gue, o la rassegnazione a una condan-na.

L’odore del sangue e la sensazione diuna fatalità si nutrono della prossimità,della strettezza. La terra che si conten-dono, poco più grande della Toscana, èla stessa, colline dolci e ulivi secolari,troppo piccola per separarli davvero,per allargare le maglie, come occorre inuna mischia. E poi israeliani e palesti-nesi si conoscono, e perciò si assomi-gliano. Lo disse una volta, quasivent’anni fa, David Grossman. Disseche i due popoli sono sempre stati affa-scinati l’uno dell’altro: guardano lastessa tv, ascoltano le stesse canzoni;hanno la stessa scettica insofferenzanei confronti dei poteri costituiti. Da al-lora sono passate due intifade, dueguerre di Gaza e un processo di paceche tutti proclamano fallito. Ma i duepopoli continuano a specchiarsi l’unonell’altro. Il parossismo della tensionefra vittima e carnefice cambia di cam-po, secondo le circostanze, in un vorti-

ADRIANO SOFRI

ce di violenze, recriminazioni, disco-noscimenti, e fondamentalismi. A suavolta Amos Oz sostiene che ad acco-munare i fondamentalisti delle dueparti è la mancanza del senso dell’u-morismo. È un allarme: attenti perchéle somiglianze tra i due popoli stannoprendendo una china senza ritorno.

Chi ama Israele deve avere il corag-gio di dire che è pericolosa e dissenna-ta l’idea di costruire altre case, un altroinsediamento (3.400 abitazioni) alleporte di Gerusalemme come una ritor-sione per la decisione dell’Assembleagenerale dell’Onu di conferire alla Pa-lestina lo status dello Stato osservatore.È un paradosso, ma proprio perché lospazio della Palestina-Israele è così esi-guo e limitato, e perché i due popoli so-no condannati a convivere, a meno diuna catastrofe, oggi occorre la separa-zione. Come in una famiglia che di-sponga di una sola casa: ognuno nellapropria stanza, per cercare di riprende-re il filo della propria vita. Ci si incontraquando è necessario – o quando si èpronti.

C’è un argomento ancora più forteper convincersi della reciprocità. Sefossi un israeliano (lo siamo un po’, no?

Se non altro per la nostra porzione dipassato, ad dishonorem) farei di tuttoper favorire la nascita della Palestina,perché finalmente sarà lo Stato palesti-nese a sancire agli occhi del mondo ara-bo la legittimità di quello degli ebrei. Gliaccordi di pace con Egitto e Giordanianon tolgono che Israele sia inviso almondo arabo. Intellettuali, attivisti, ar-tisti rifuggono i contatti con i loro colle-ghi israeliani. Israele è tuttora sentitocome una potenza (una potenza, no-nostante le dimensioni fisiche) estra-nea alla regione, che esiste perché haspogliato il suo vicino di ogni diritto. LoStato della Palestina accanto a quellod’Israele contraddirebbe questo senti-mento di fuori, e indurrebbe dentroIsraele il ripensamento della storia pro-pria e di quella dei palestinesi. Lo Statodi Palestina aiuterebbe una convale-scenza della società israeliana da mol-te delle sue nevrosi. E i palestinesi, unavolta conquistata la sovranità, sareb-bero indotti, se non a rinunciare ai so-gni (chi può vivere senza sognare?) ditornare nelle case di Giaffa, Haifa o Lod,a misurarli con la realtà. Si può anchecondividerlo, un sogno: per esempio,che nasca a Gerusalemme un’univer-sità comune ai due popoli dove studia-re la storia del conflitto, e i suoi effettisulle anime.

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Proprio perché lo spazio è così limitato e la convivenzaè necessaria oggi occorre la separazione. Come in unafamiglia che disponga di una sola casa, a ognuno la suastanza per cercare di riprendere il filo della vita

Necessità

QUANTO SI SOMIGLIANOQUEI DUE POPOLI NEMICI

MINIATURALa Palestina in una miniaturadel XV secolo.A sinistra, alcuni bambinipalestinesi con la bandieradella loro nazione negli anniSettanta