Volontari per lo Sviluppo

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Gli immigrati della camorra Regioni, scuola, intercultura Messico: tequila maledetta Un Nobel per la riforestazione LA GUERRA DELL’ACQUA Come Israele asseta i palestinesi V p S Volontari per lo sviluppo La rivista di chi abita il mondo Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. DL. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1 CNS/CBPA/TORINO - aprile 2010 - anno XXV - foto:

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La rivista di chi abita il mondo

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Gli immigrati della camorra Regioni, scuola, intercultura Messico: tequila maledetta Un Nobel per la riforestazione

LA GUERRA DELL’ACQUACome Israele asseta i palestinesi VpS

Volontari per lo sviluppoLa rivista di chi abita il mondo

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La Rai e il Sud scomparsoIl servizio pubblico potrebbe chiudere le sue “finestre” su cinque paesi del Sud del mondo: Libano,

Egitto, Kenya, India e Argentina, praticamente un terzo del totale delle sedi di corrispondenza della

Rai. La notizia, che circola da settimane, non è stata confermata. Per fortuna. Ma il timore che

l’azienda pubblica dell’informazione italiana possa “tagliare” sulle notizie da Beirut, Il Cairo, Nairobi,

Nuova Delhi e Buenos Aires, apre scenari preoccupanti. Come ho detto in una intervista pubblicata

su Avvenire del 2 febbraio scorso, i telegiornali Rai assomigliano ogni giorno di più a rotocalchi ripie-

gati a scrutare l’ombelico nazionale. E questo mentre l’Italia vorrebbe contare di più come presenza

internazionale. Avanti di questo passo ridurremo l’informazione a gossip e provincialismo. Viene da

rimpiangere quando lamentavamo che dell’Africa si parlava solo in caso di crisi umanitarie. Ora

rischiamo il silenzio e se davvero una decisione del genere dovesse essere portata avanti non

sarebbe esagerato parlare di “oscurantismo” che colpisce l’opinione pubblica, soprattutto alla luce

della globalizzazione accelerata che caratterizza la società moderna. A maggior ragione se questa

drastica decisione è giustificata con motivazioni di natura economica dell’azienda. Se è vero che

fonti della direzione generale quantificano intorno al milione di euro il risparmio che si determine-

rebbe chiudendo le sedi indicate, infatti, è altrettanto vero che la cifra, seppure significativa, è di

gran lunga inferiore ai compensi stratosferici che la Rai continua a sborsare per aggiudicarsi la pre-

senza di “star” nei programmi di varietà. E non solo. Non è un segreto che, ad esempio, per i quat-

tro corrispondenti da New York, Rai Corporation – azienda esterna affiliata – paga 55 tra tecnici,

montatori, producer. Una squadra robusta, al cui interno i manager sono ben 11. Intanto la notizia

della paventata chiusura è arrivata a Nairobi ai Missionari della Consolata, e padre Franco Cellana -

rappresentante dei religiosi che operano nelle missioni in Kenya - non ha perso tempo a mettere

nero su bianco il suo appello al Cda Rai. «Siamo stupiti di tale decisione in questo momento partico-

lare per il Kenya e per l’Africa, quando il nostro mondo italiano ed europeo ha bisogno di mantene-

re le sue promesse di interesse e solidarietà con l’Africa». Altro che impegni dell’Italia nei confronti

del continente africano, sul piano bilaterale e multilaterale. Con la chiusura delle sedi de Il Cairo e

Nairobi come sarà possibile passare certe informazioni e notizie sugli sviluppi e le necessità di que-

sti paesi? E come si riuscirà a far capire al pubblico televisivo il grande dramma che stanno vivendo

le popolazioni di questi e altri Stati africani? Ecco perché, come Focsiv, ci siamo uniti al tam-tam di

proteste che l’associazionismo sta sollevando contro queste chiusure firmando anche l’appello lan-

ciato dalla Tavola della Pace e da altre tredici testate, sindacati e associazioni.

editoriale di Sergio Marelli - Segretario Generale Focsiv

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IN PRIMO PIANO8 CASTELVOLTURNO: L’ULTIMA SPIAGGIAI migranti nelle reti della camorra

VOCI DAL SUD16 TEQUILA AMARAIl Messico devastato per coltivare la pianta

20 MADRI CONTROLe donne senegalesi contrastano l’emigrazione

COOPERAZIONE37 GREEN ZAMBIAUn progetto per la riforestazione e il biodiesel

40 SEMI DI SVILUPPOIl Rwanda “salvato” dalle piante

IL PERSONAGGIO47 UN NOBEL PER IL PIANETAGli studi di Samson Odingo sul riscaldamento globale

PERCORSI PIONIERI50 SCUOLA DI PACE IN SAHELUn centro per il dialogo interreligioso

PERCORSI CREATIVI53 LA FAMIGLIA MIGRANTEI nuovi legami affettivi transnazionali

VpSn.03/2010

Reportage e notizie daicinque continenti,

progetti di solidarietà,proposte di turismoalternativo, consumocritico e molto altro

volontariperlosviluppo.it

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Rubriche6 @ Volontari13 Da non perdere14 Mondo news43 Osservatorio cooperazione44 Altroturismo46 Attivati56 Multimedia58 La terra che vorrei59 Il mondo in pellicola60 Cose buone dal mondo62 L’esperto risponde

Anche VpS impazza sul web VpSLarivistadichiabitailmondo Che l’informazione non sia più unidirezionale è una cosa risaputa da tempo. Gli strumenti del web, le

community, i palmari permettono un’interazione viva e in tempo reale tra lettori, redattori, editori e

tutti coloro che partecipano al processo di costruzione dell’informazione. Una ricchezza straordina-

ria, dove ognuno può portare il suo pezzo di verità o di esperienza, senza idealizzare però, e perdere

di vista la verifica dei dati e la possibilità di interpretarli in un’analisi seria di contesto. Anche VpS, da

tempo, ha rivisto il suo modo di lavorare. Oltre che sul nostro sito (www.volontariperlosviluppo.it)

aggiornato quotidianamente ci trovate su , su su , dove possiamo discutere insieme sui temi a noi

cari, potete commentare le notizie e darci le vostre. E da oggi anche su Net1News, la prima “net

news” in Italia, che fa informazione globale mettendo in rete centinaia di siti specializzatti, con il

metodo della visibilità che sale quanto più si viene cliccati. Il tutto sotto lo slogan “prima eravamo

nessuno, ora siamo Nettuno”

Reportage

Dossier

22 Acqua santa

29 Cittadini del mondo

L’oro blu al centro del conflitto israelo-palestinese

Al via i “sistemi locali” di Educazione allo sviluppo

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Da queste parti lo chiamano il “boomerang”. E nei bar che si srotolano lungo i 27 km di Domiziana che attraversanoCastelvolturno, in provincia di Caserta, tutti giurano che prima o poi quel blocco di cemento armato dalle orbitevuote farà una brutta fine. Forse. Di certo per ora quella è una terra di nessuno che offre un rifugio sicuro agli spacciatori nigeriani e ai loroclienti, che tra quei pilastri anneriti vendono e consumano l’eroina. E anche se ora lo Stato pattuglia le strade, congruppi misti di carabinieri e militari dell’esercito con il mitra spianato, lì dentro non entra nessuno. Nemmeno loro.

Terra di nessunoEsce un filo di fumo dalla baracca che offre ricovero alle sentinelle del “boomerang”, chiusa da una coperta grigiacome il cielo: piove, l’aria umida del mare aumenta la percezione del freddo. Intorno una montagna di rifiuti; moltigalleggiano nella piscina di quello che nei progetti doveva essere un grande albergo della “Rimini del sud”. Ora ilsentiero che porta al “boomerang” è disseminato di siringhe usate e bucce di limoni. Al piano terra, un materassofetido, qualche coperta, un tavolino su cui qualcuno ha lasciato una dose di “ero”. Qualche bisbiglio provenientedalla stanza a fianco ci avvisa che non siamo soli. Le sentinelle si accorgono di noi mentre tentiamo di salire alsecondo piano, richiamano l’attenzione di un pusher, troppo stupito della presenza di giornalisti per stabilire intempo quale strategia adottare. Pochi minuti di indecisione, qualche strattone, poi dobbiamo andarcene prima chelo stupore irritato si trasformi in qualcosa di più pericoloso. Sulla strada in terra battuta che porta alla casa, unapattuglia di carabinieri accosta: «Che ci fate qui? Siete entrati? C’era qualcuno dentro?».Il pusher, con tanto di cliente al fianco, corre verso i carabinieri infuriato, deciso a protestare per l’ingresso nonautorizzato di due giornalisti in una zona di illegalità che evidentemente un accordo ufficioso protegge da ogniintrusione. E proprio qui sta il problema. Il “boomerang” rappresenta un monumento all’incapacità delle istituzionidi sradicare l’illegalità che è all’origine delle condizioni attuali di Castelvolturno. Non a caso la popolazione l’hascelto quale simbolo della sconfitta dello Stato e promette di distruggerlo con le proprie mani, un giorno. Per ora, asentirsi perseguitati sono i cittadini bianchi del piccolo comune campano, che ai controlli dei carabinieri davveronon erano abituati. Castelvolturno ha vissuto per decenni una condizione di abbandono per certi versi funzionaleagli stessi castellani, i quali hanno saputo convivere con l’enorme massa di immigrati clandestini che in questo pic-colo comune senza Stato hanno trovato e trovano rifugio. Godendo delle stesse deroghe in materia di obblighi edoveri.

Immigrati disoccupatiFino a un anno fa, raccontano, era possibile guidare senza patente e senza assicurazione, muoversi senza docu-menti, abitare case senza contratti d’affitto, comprare e vendere droga e donne a ogni angolo di strada. L’omicidiodei 6 ghanesi di un anno fa ha spezzato un incantesimo, e la cura per qualcuno si è rivelata peggiore della malat-tia. L’arrivo dell’esercito, i controlli a tappeto delle forze dell’ordine si sono abbattuti prima di tutto sui residenti,senza risolvere nemmeno in parte il problema di una delle comunità di irregolari africani più numerosa d’Europa. Lo

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L’ultima spiaggiaTesto e foto: Ugo Lucio Borga e Giampaolo Musumeci

Un progetto di stazione balneare fallito, un angolo di paese dimenticato e sottratto allalegalità, migliaia di immigrati senza lavoro arruolati dalla camorra. Questa la miscelaesplosiva di Castelvolturno, balzato all’onore della cronaca dopo la strage di settembre.Siamo andati a vedere, dopo sei mesi, entrando nella zona off limit per polizia e Stato.

In primo piano

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Dai 6 ai 15 mila immigrati fra regolari e irregolari trovano alloggio lungo i 27 km di Domizianache attraversano Castelvolturno. 2 mila di loro si spostano tra Calabria, Sicilia, Puglia,Campania a seconda della stagione, per salari di 20 euro al giorno.

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Stato finalmente presente ha distrutto l’economia sommersa di cui questo strano paese di periferia è riuscito, in unmodo o nell’altro, a sopravvivere, senza creare vere alternative. La “Rimini del sud” è oggi una lunga striscia diterra-dormitorio, di serrande abbassate, di brutte storie appena bisbigliate, sotto costante coprifuoco per pauradelle gang. Un non-luogo costruito sui sogni infranti di quanti speravano di trovarci una seconda occasione, diquelli che sono andati a cercarsela nelle fabbriche del nord e di quelli che con questa realtà hanno imparato a con-vivere, aspettando un improbabile risveglio.

Apartheid nostranoA Castelvolturno c’erano tanti degli immigrati di Rosarno. Esiste un “nocciolo duro” di almeno 2 mila immigrati chesi sposta tra Calabria, Sicilia, Puglia e Campania, perfino in Lombardia a seconda della stagione e dei lavori, rigoro-samente in nero, che il territorio offre. Con salari di 20, 25 euro al giorno. «Ma il caporalato qui non esiste più»sostengono alcuni castellani. «Alle rotonde arrivano piccoli imprenditori, artigiani che hanno bisogno di manodope-ra per piccoli lavoretti, magari per pochi giorni». «Io stesso sono ricorso al loro aiuto» confessa un barista dellaDomiziana. «Ma qui non ci sono più certi fenomeni. I pomodori noi non li coltiviamo più. C’è solo qualche cantiereedile».L’edilizia resta l’ultimo scampolo di lavoro nero per i tanti immigrati di Castelvolturno. Almeno 6 mila fra regolari eirregolari secondo il Centro sociale ex Canapificio di Caserta. Dai 6 ai 15 mila secondo altre associazioni. Un censi-mento è però impossibile. Ed è facile gridare all’emergenza.

Il pusher corre verso i carabinieri, deciso a protestare per l’ingresso non autorizzatodi due giornalisti. Evidentemente un accordo ufficioso protegge da ogni intrusione

La strageLa strage di Castelvolturno si consuma nella notte del 18 settembre 2009,quando un commando di killer affiliati alla famiglia camorrista dei Casalesiirrompe nella sartoria Exotic fashions, sulla Domiziana, e apre il fuoco contro ungruppo di immigrati. 120 proiettili, esplosi da pistole e kalashnikov, sei morti eun ferito grave che sopravvivrà e contribuirà all’identificazione dei sicari. Lasartoria era nota agli inquirenti come luogo di ritrovo abituale di un gruppo dinarcotrafficanti africani. Dietro al massacro, la volontà di affermare la supre-mazia del clan sui gruppi scissionisti e sugli immigrati. I nigeriani stavano cer-cando, secondo gli inquirenti, di assumere il controllo di varie attività criminose,tra cui lo spaccio di stupefacenti e lo sfruttamento della prostituzione, approfit-tando della momentanea crisi dell’organizzazione determinata dall’arresto deiboss Bidognetti, detto Mezzanotte, e Francesco Schiamone, detto Sandokan.Le indagini all’indomani della strage si concentrano sui capicosca Cirillo eSetola, luogotenenti a Castelvolturno del boss Bidognetti, ritenuti probabili man-danti dell’agguato: l’organizzazione riceveva dagli africani una tangente perogni partita di droga immessa sul mercato casertano e ne controllava l’attività.Le vittime della strage, tre ghanesi, due togolesi e un liberiano, non risulterannocoinvolte in attività criminose.Il massacro ha causato, nei giorni successivi, una sommossa della comunitàafricana di Castelvolturno, che si è schierata contro la criminalità organizzata el’assenza delle autorità.

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11In primo piano

Certo, Castelvolturno vive un suo personalissimo apartheid. Nel centro storico vivono solo italiani. Sulla Domizianala maggioranza è africana. Ma i castellani da sempre respingono al mittente le accuse di razzismo e ripetono che ilproblema non sono “i neri”, ma il territorio. Ora, il comune è commissariato per gravi inadempienze nella gestione dei rifiuti. Alcuni commercianti, titolari dibar e negozi sulla Domiziana, sostengono che ci vorrebbe un intervento da Roma per risolvere il problema: bastasindaci del luogo, legati a interessi locali.

Futuro incertoQui il territorio andrebbe sanato, bonificato, una volta per tutte. Proseguono i lavori di pulizia delle lunghissimespiagge che potrebbero fare invidia alla costa romagnola, ma gli stabilimenti balneari sono chiusi da anni e ibagnasciuga ricchi di immondizia. I “regi lagni”, vecchi canali borbonici, scaricano in questo mare immondizia damezza provincia. Il “Villaggio Coppola” è ancora lì, con i suoi casermoni semidisabitati, con i suoi scivoli spettrali,con la sua atmosfera decadente. Pinetamare è semideserta. Una signora porta a passeggio il cagnolino sulla spiag-gia tra rifiuti e scarpe vecchie. Il barista dell’angolo sforna cornetti e brioche e allunga stancamente caffé ai pochiavventori. Lungo la Domiziana, dopo le 18 è il deserto. Un paio di pattuglie di carabinieri ed esercito fanno il giro delle roton-de. Se non hai l’auto a Castelvolturno non puoi vivere, a meno che non abiti nel centro storico. Per fare la spesa

In apertura: un immigrato africano sulla spiaggia di Castelvolturno. A fianco e sotto: un’assemblea dei migranti e immagini delle costruzioni

abbandonate sulla Domiziana, dove i clandestini trovano rifugio

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rischi di dover percorrere chilometri sulla statale semideserta. Ci sarebbe un progetto di rilancio del territorio. Un“project financing” da 85 milioni di euro affidato ai Coppola (gli stessi del “Villaggio” che anni fa hanno abbattutole mostruose torri sul litorale, risarcendo anche lo Stato) e che prevede anche la costruzione di un nuovo porto.Funziona così: i Coppola rifanno il lifting a Castelvolturno, però si garantiscono la gestione del porto per 60 anni.Ma per ora è tutto fermo. Sulla carta ci sarebbe un nuovo litorale Domizio, con nuovi alberghi, yacht club e un“green” che potrebbe attirare campioni di golf da tutto il mondo. Per ora ci si accontenta di reperti archeologici,pizzerie abbandonate e un porticciolo semideserto.«Io non vedo l’ora di vendere» confessa il gestore di una pizzeria nei pressi del porticciolo. «Sono venuto qui 5 annifa… l’avessi mai fatto. All’inizio gli affari andavano bene. Poi, sempre più il deserto».Castelvolturno e Pinetamare, la sua spiaggia, sono state abbandonate. Al degrado, a chi affitta agli africani in nerolucrando parecchio (100-200 euro un posto letto, in 10 in una casa), agli spacciatori, ai Casalesi, all’indifferenza.Così fino alla strage dei 6 ghanesi nessuno parlava di Castelvolturno, nessuno ci veniva. Chi poteva se ne andava.Certo l’African town offre almeno una possibilità: lì i migranti appena arrivati trovano amici, magari parenti, quan-to meno connazionali che li aiutano. Trovano un tetto. Ma poi? Poi, l’Eldorado Europa non esiste più. La crisi eco-nomica ha investito tutti. Anche e soprattutto gli immigrati. E Castelvolturno per tanti di loro diventa l’ultimaspiaggia.

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Castelvolturno vive un suo personale apartheid. Nel centro storico solo italiani.Sulla Domiziana gli africani. «Ma il problema non sono ‘i neri’, ma il territorio»

Accordi con i paesi subsaharianiAgenti ghanesi in pattuglia nelle strade italiane, per collaborareall’identificazione e al rimpatrio di clandestini. Questa la propo-sta che il capo della polizia Antonio Manganelli ha presentato aivertici della polizia ghanese durante la sua recente visita nelpaese africano, in compagnia del ministro dell’Interno RobertoMaroni. Obiettivo del viaggio, che si è concluso in Niger, contra-stare i flussi di immigrazione clandestina e l’infiltrazione di ter-roristi islamici nei confini italiani intervenendo nei paesi d’origi-ne. Gli accordi fin qui siglati riguardavano solo i paesi “ponte”,compresi nella fascia tra Marocco ed Egitto, mentre i nuoviaccordi conclusi con Ghana e Niger, e che si estenderanno a tuttigli Stati dell’Africa subsahariana, prevedono anche maggioredisponibilità da parte dei due paesi ad accettare il rimpatrio deiclandestini una volta dimostrata la nazionalità d’origine. Le rotteseguite dai trafficanti di esseri umani vengono infatti semprepiù spesso utilizzate da trafficanti di droga. Le coste atlantichedell’Africa occidentale costituiscono da tempo un approdo prefe-renziale per enormi quantitativi di sostanze stupefacenti dei car-telli sudamericani, il cui valore supera di molto quello delProdotto interno lordo dei paesi “ospite”. E la costituzione dibasi di stoccaggio protette da una rete di complicità coinvolgespesso i vertici politici e militari africani.

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Cinema e tèA San Severo di Foggial’associazione Eirenepropone un cineforumdedicato a temi inter-culturali e sociali, percreare forme di socia-lizzazione e riflessione.Le proiezioni si svolgo-no in via Daunia 41alle ore 19.30; èrichiesto un contributodi 3 euro che includel’ingresso e la consu-mazione di una tazzadi tè equosolidale. Inprogramma questomese: “Live! Ascoltirecord al primo colpo”di Bill Guttentag l’11aprile, e “In questomondo libero” di KenLoach il 18 aprile.Info:www.casaeirene.org

Laboratorio di cittadinanzaLa Diocesi di Folignopropone, all’internodel Laboratorio sull’in-tercultura, una tavolarotonda rivolta adocenti, educatori,operatori del sociale,intitolata “I diritti dicittadinanza”, il 23aprile. Obiettivo diquesto ciclo di incontriè riflettere sui temidell’accoglienza, deldialogo e dell’integra-zione, per promuovereuna cittadinanza libe-ra, vera e sicura. Info: www.diocesidifo-ligno.it

Buone pratichefai-da-te Proseguono i corsi e ilaboratori della Scuoladi pratiche sostenibilipresso il Parco agrico-lo sud di Milano. Ilweek-end del 17 e 18aprile si svolge ilmodulo “Sostenibilitàenergetica: dalla teo-ria alla pratica”.Sempre in aprile, duelaboratori di autopro-duzione per chi vuolecimentarsi nel fai-da-te domestico: il 18aprile, “Panificazionecasalinga”, il 24 e 25aprile,“Autoproduzionedi saponi e cosmetici”.Info: www.scuoladi-pratichesostenibili.it

Sviluppo sostenibileSi conclude in aprile ilciclo di incontri sullosviluppo sostenibileorganizzato da IlSandalo equosolidale,L’isola che non c’è eAcli Saronno. Il 6 aprile alle ore 21 iltema previsto è“Gestione e riduzionedei rifiuti”; il 23 apri-le, sempre alle 21,“Economia sostenibile= economia solidale”.Sede degli incontri:Salone Acli, vicoloSanta Marta 7,Saronno (Mi).Info: www.ilsandalo.eu

Alla Fiera di Padova,dal 21 al 24 aprile,torna il Salone inter-nazionale delleEcotecnologie. Temaprivilegiato di questaedizione è “Città eambiente”: Gestionedei rifiuti, energie rin-novabili, riduzione del-l’inquinamento, logi-stica e mobilità saran-no i settori sui quali sisvilupperanno l’espo-sizione e la comunica-zione di questo 24°appuntamento. Info: www.seponline.it

Da non perdere a cura di Elena Poletti

Il sole e le stradeDue iniziative di Legambiente per i primi week-end di primavera. Il 10 e l’11 aprileappuntamento con SunDay, giornata dedicata alla promozione dell’energia solare edelle fonti rinnovabili. Per capire come funzionano, quanto costano, come si installa-no e quanto ci fanno risparmiare. Materiale informativo e persone esperte pronte arispondere alle domande dei cittadini negli stand allestiti nelle piazze delle nostrecittà. Il 17 e il 18 aprile invece si terrà “100 strade per giocare”: una giornata digiochi e divertimenti in strada. Info: www.legambiente.eu, www.ecosportello.org

Tecnologia& ambiente

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ACQUA SANTATesto Maurizio Dematteis, foto Stefano Serra

Reportage

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200 mila palestinesi senza acqua, la falda inquinata nella Striscia di Gaza e l’embargo israeliano che bloccaogni possibilità di importare tubi e altri materiali metallici per riparare l’acquedotto. L’acqua in MedioOriente diventa causa scatenante del conflitto, e la società civile italiana organizza una Carovana in Palestina.

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E se il conflitto israelo-palestinese fosse tutta una questione di acqua? Sembra un po’ un’esagerazio-

ne. Eppure la questione dell’acqua in Palestina, lo sostengono ormai in molti, sta diventando “il” pro-

blema centrale della regione mediorientale.

«L’acqua è il problema del Medio Oriente» dichiarava una sorella della basilica della Natività di

Betlemme già nel 2001. «Un grosso, grosso problema. Addirittura legato all’occupazione del Libano.

Certamente ci saranno state motivazioni politiche dietro, però la prima volta che Israele è entrato in

Libano è arrivato al fiume Litani. E non è un caso. E’ perché il fiume è un corso d’acqua. E il Giordano?

Israele prende i 3/4 dell’acqua, che apparterrebbero alla Giordania. E in Giordania non si beve. In

Palestina poi i corsi d’acqua, le riserve, sono in mano agli israeliani, che concedono l’essenziale per

vivere ai palestinesi, ma non di più. Quando voi visitate la regione si può vedere a occhio nudo: le colo-

nie israeliane hanno l’acqua, i villaggi palestinesi vicini no. E sono magari solo a tre metri di distanza».

Nell’estate del 2007 Mustafa Barghouthi, ex ministro del governo di unità nazionale palestinese e

recentemente candidato al Nobel per la pace del 2010, lancia l’allarme: «Israele vuole uno Stato pale-

stinese con confini temporanei, senza dover affrontare il nodo centrale del conflitto israelo-palestine-

se: i confini finali, il problema dei rifugiati e l’acqua». Barghouthi sostiene che, nella West Bank, lo Stato

israeliano abbia rubato circa 800 milioni di m³ di acqua su un totale di 936. «I palestinesi possono

usare al massimo 50 m³ all’anno» conclude l’ex ministro, «mentre gli israeliani 2.400».

APPELLI E DENUNCEPassano gli anni e la situazione peggiora. Alfonso Campana, dell’Associazione per la pace (Assopace)

di Roma, dichiara senza mezzi termini: «In alcune aree rurali i palestinesi sopravvivono con soli 20 litri

al giorno, la quantità minima raccomandata per uso domestico in situazioni di emergenza. Da 180.000

a 200.000 palestinesi che vivono nelle comunità rurali non hanno accesso all’acqua corrente e l’eserci-

to israeliano spesso impedisce loro anche di raccogliere quella piovana. Al contrario, i coloni israeliani,

che vivono in Cisgiordania in violazione del diritto internazionale, hanno fattorie con irrigazioni intensi-

ve, giardini ben curati e piscine: 450.000 israeliani utilizzano la stessa, se non una maggiore quantità

d’acqua, rispetto a 2.300.000 palestinesi».

Un’accusa forte quella di Alfonso Campana, suffragata dalla gran mole di documenti raccolti in questi

anni da ong e istituzioni internazionali. La Banca mondiale ad esempio, nel rapporto “Assessment of

restrictions on palestinian water sector development” del 20 aprile 2009, denuncia come gli accordi di

Oslo del ‘95, ancora in vigore, siano sistematicamente violati rispetto all’accesso alle risorse idriche.

“Dal 2000, le restrizioni al movimento dei palestinesi imposte da Israele hanno reso impossibile l’ac-

cesso a queste risorse, lo sviluppo delle infrastrutture e le operazioni di manutenzione della rete idri-

ca”, si legge nel rapporto. E tale situazione, secondo la Banca mondiale, finisce per avere gravi ricadute

sulla qualità della vita, sullo sviluppo e sulle condizioni socio-sanitarie della popolazione palestinese.

Inoltre è in atto una costante “appropriazione indebita” da parte degli israeliani per rifornire di acqua le

colonie illegali in Cisgiordania.

Amnesty International, con un approfondito rapporto dell’ottobre 2009, accusa apertamente Israele.

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In apertura: un padre di

famiglia palestinese in

un villaggio rurale

costretto a rifornire

d’acqua la sua casa a

dorso di mulo. Nella

pagina accanto:

rifornimenti d’acqua con

autobotti, siccità e bagni

all’aperto per mancanza

di acqua corrente nei

villaggi palestinesi. In

basso a destra:

l’irrigazione dei campi

nei territori occupati

illegalmente dai coloni

israeliani.

In Palestina i corsi d’acqua e le riserve sono in mano agli israeliani: 450.000 coloniutilizzano maggiore quantità d’acqua rispetto a 2.300.000 palestinesi

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25Reportage

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Nonostante il ministro degli Esteri israeliano affermi che le risorse idriche sono equamente divise,

Amnesty denuncia che Israele limita severamente l’accesso all’acqua nei territori palestinesi “mante-

nendo un controllo totale delle risorse comuni”. L’organizzazione internazionale fa appello a Israele

affinché “metta fine alle sue politiche discriminatorie e tolga immediatamente tutte le restrizioni impo-

ste ai palestinesi”.

I palestinesi infatti oggi non sono autorizzati a scavare nuovi pozzi o a risistemare i vecchi senza le

autorizzazioni israeliane. Inoltre, nella Striscia di Gaza, l’offensiva israeliana dell’anno scorso ha dan-

neggiato le riserve d’acqua, i pozzi, le fogne e le stazioni di pompaggio: danni materiali che si aggiun-

gono a quelli determinati dall’embargo di Israele e dell’Egitto. Il sistema di trattamento delle acque uti-

lizzate è stato particolarmente toccato, perché Israele impedisce l’importazione di tubi e di altri mate-

riali metallici con il pretesto che servirebbero a fabbricare razzi artigianali.

RISORSE IDRICHE MILITARIZZATE«Oggi Israele, con il valore annuo di circa 380 m³ di acqua per abitante, si situa nella fascia di ‘assoluta

povertà’» spiega Amin Nabulsi, presidente dell’Unione generale ingegneri e architetti palestinesi in

Italia (Gupe). «Tuttavia all’interno del più vasto panorama mediorientale gode di una situazione che

potrebbe definirsi di privilegio. La sua disponibilità di acqua, infatti, è tre volte quella goduta dalla popo-

lazione palestinese residente nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, che attualmente ammonta a circa

115 m³ per abitante». Le ragioni di un tale squilibrio, secondo l’ingegnere, sono da rinvenirsi principal-

mente nel fatto che Israele occupò nel ‘67 i territori in cui erano presenti le maggiori risorse idriche del

Medio Oriente, e successivamente tali risorse vennero poste sotto il loro rigido controllo militare.

«Oggi il 60% dell’acqua consumata in Israele proviene dalla Cisgiordania» spiega il presidente del Gupe,

«dove sono presenti le falde acquifere montane». Territori dove l’occupazione de facto non è mai stata

riconosciuta a livello internazionale. Ma dove Israele, attraverso il controllo militare, continua ad arro-

garsi il diritto allo sfruttamento delle risorse primarie.

«Esemplare è il caso delle leggi promulgate dal governo israeliano all’indomani della guerra dei Sei

giorni nel ’67, riguardanti i bacini d’acqua presenti sotto le colline della Cisgiordania» conclude Amin

Nabulsi. «In esse veniva sancito il divieto nei confronti dei palestinesi di scavare nuovi pozzi senza l’au-

torizzazione delle autorità militari israeliane, e si stabiliva l’installazione di contatori sui pozzi dei pale-

stinesi, l’espropriazione delle terre e dei pozzi abbandonati dagli arabi successivamente all’occupazio-

ne israeliana, il divieto di colture a sfruttamento intensivo dell’acqua».

UNA CAROVANA DELL’ACQUANajwa Najjar, giovane regista palestinese, nel suo pluri premiato documentario dal titolo “Blue gold”

(Oro blu), in una delle immagini più forti mostra la madre palestinese, protagonista del racconto, mentre

pone un panno sull’orlo del secchio usato per raccogliere l’acqua che serve alla sua famiglia per soprav-

vivere. Il panno serve da filtro, blocca i vermi che rendono l’idea del livello d’inquinamento della fonte.

La mamma allarga le braccia e dice: “Lo so bene che è sporca, ma la mia famiglia deve pur vivere”.

27Reportage

I palestinesi non possono scavare pozzi senza le autorizzazioni israeliane. E i bombardamenti hanno danneggiato fogne e stazioni di pompaggio

Nella pagina accanto: un

serbatoio di acqua

potabile dei territori

occupati dagli israeliani,

una piscina di acqua di

falda inquinata e

l’accesso all’acqua

potabile a dorso di mulo

nei villaggi rurali

palestinesi. Nella pagina

seguente: rifornimento

idrico con autobotti e un

tavolo di riflessione delle

associazioni palestinesi

sul problema acqua.

Page 18: Volontari per lo Sviluppo

Che fare dunque? Emilio Molinari, presidente del Comitato italiano per un contratto mondiale sull’ac-

qua, un’idea in proposito ce l’ha. Attraverso l’ong italiana Cevi ha affidato a padre Jacques Frant il

compito di coordinare una Carovana internazionale per la difesa del “diritto universale d’accesso

all’acqua”. Padre Jacques Frant, fondatore dell’associazione L’Arca della pace onlus, è una figura

emblematica in Palestina: monaco greco-cattolico nativo di Parigi, vive tra Israele e i territori palestine-

si dal ‘77. «Il problema dell’approvvigionamento dell’acqua in Palestina diventa ogni giorno più pres-

sante e di primaria importanza» spiega il frate, «e solo comunicando e informando in merito alla situa-

zione esistente e ai progetti che si stanno sviluppando per aiutare la popolazione locale, possiamo

realmente fare qualcosa di concreto».

Il progetto, che verrà portato avanti nel corso del 2010 attraverso una serie di incontri, porterà all’orga-

nizzazione di una Carovana internazionale in Palestina.

28

Page 19: Volontari per lo Sviluppo

Tutela della filieradel ciboStop alla concessionedi brevetti su sementie animali alle multi-nazionali. Lo chiedonoai governi e agli ufficibrevetto di tutto ilmondo varie sigledella società civileunite nella coalizioneNo patents on seeds.Obiettivo: evitare la“monsantizzazione”del cibo, cioè il rischioche la filiera produtti-va sia controllata daun numero sempre piùesiguo di multinazio-nali (come Monsanto,Dupont e Syngenta). Ibrevetti impoverisconoi contadini e riduconola biodiversità.www.no-patents-on-seeds.org

Rai, non chiuderequelle sedi!“Non possiamo imma-ginare che la Rai deci-da di chiudere le sedidi corrispondenza diBeirut, Il Cairo,Nairobi, Nuova Delhi eBuenos Aires e ilcanale Rai Med”.Inizia così l’appellodella società civile edelle riviste di infor-mazione sociale rivoltoai vertici della tv pub-blica, rei di aver deci-so la chiusura di talisedi. E’ grave “chiude-re gli occhi sul mondoin un tempo in cuigrandi sfide ci impon-gono crescente atten-zione”, spiega l’appel-lo. Si spera che la Raisi ricreda.www.vita.it/news/view/100086

I gay nel censi-mento IstatNell’autunno 2010 cisarà il nuovo censi-mento Istat. Nel 2001nella voce “coppie difatto” rientravano soloquelle eterosessuali,mentre per gay, lesbi-che e trans c’era ladicitura “altra formadi convivenza” inclusi-va di coppie comeanziano-badante. Orail movimento omoses-suale lancia un appel-lo: “Se la politica nonvuol darci il matrimo-nio ponendo il nostropaese in grave ritardorispetto agli altri Statieuropei, che almenol’Istat ci consideri perquel che siamo: coppiedi fatto”.www.gay.it/contaci

Riprendersi l’ac-qua pubblicaFare obiezione allanuova legge nazionaleche introduce la priva-tizzazione dell’acqua(“Decreto Ronchi”, dl135/09) tramite la ri-pubblicizzazione delservizio idrico integratodi ogni Comune. E’ lasfida lanciata dalForum italiano deimovimenti per l’acqua,che propone di racco-gliere firme per chiede-re una delibera comu-nale d’iniziativa popo-lare sull’acqua pubbli-ca. La sfida è già statasostenuta dallaRegione Abruzzo cheha votato un emenda-mento a garanzia dellagestione pubblica del-l’acqua. www.acqua-benecomune.org

Disegno eco-sostenibileC’è tempo fino al 17maggio per chi vuolecimentarsi nel dise-gnare una “casasostenibile” monofamiliare per una spe-cifica area del Ghana.L’edificio deve essereidoneo al luogo, realiz-zato con materiali ecompetenze che si tro-vino in loco. Il desi-gner vincitore potràrealizzare direttamentela casa e il suo nomegirerà il mondo, poichéil concorso ha rilevan-za internazionale. E’ laprima di una serie diiniziative di promozio-ne di un modo dicostruire “open sour-ce”. Per partecipare:www.os-house.org

Attìvati a cura di Daniele Biella

Uomini scacciati da… bestieCacciare gli uomini per far posto al bestiame: la compagnia brasiliana d’allevamentoYaguarete Porà vuol diboscare 78 mila ettari per allevare animali in un’area, traBrasile e Paraguay, dove vivono gli Ayoreo, gli ultimi indigeni al di fuori del bacinodel Rio delle Amazzoni, che dal ‘93 cercano di farsi riconoscere come proprio il ter-ritorio. Survival international lancia una campagna rivolta al presidente delParaguay, l’ex vescovo Fernando Lugo, perché tuteli gli indigeni:www.survival.it/intervieni/lettere/ayoreo

Bandi&concorsi

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Page 20: Volontari per lo Sviluppo

di Emanuele Fantini e Silvia Pochettino

Cittadini del mondo Dossier

Page 21: Volontari per lo Sviluppo

Nasce in Italia la “Carta di qualità dell’educazione per una cittadinanza mondiale”, concertata traassociazioni, ong e autorità locali

Page 22: Volontari per lo Sviluppo

31

Fare sistema, coinvolgere il territorio, raccogliere la sfida della complessità. E’ il mantra che si ripete sempre più fre-

quentemente nelle strategie e nei progetti di educazione allo sviluppo sostenibile, alla pace, alla cittadinanza globa-

le, ai diritti umani, all’intercultura. Il rischio è che restino sussurri travolti dal frastuono di una comunicazione poli-

tica che ricorre ormai quasi esclusivamente al modello televisivo del format, come osservato dal sociologo Edmondo

Berselli. I governi costruiscono il loro messaggio secondo formule mediatiche e semplificatrici, a uso e consumo di

un’opinione pubblica ormai ridotta a pubblico televisivo. In Francia, il divieto al burqa, senza approfondire le contrad-

dizioni e il malessere che sotto di esso spesso si celano, è diventato il totem con cui coprire il fiasco del dibattito sul-

l’identità nazionale, lanciato l’anno scorso in pompa magna da Sarkozy. In Italia i clandestini sono tutti criminali, i

rumeni violenti, i dipendenti pubblici fannulloni, e i pericoli maggiori sono la conquista islamica o l’invasione africa-

na, innescate dalla bomba demografica. A scuola il format è completato dal ritorno al maestro unico, voto in condot-

ta, e dal tetto agli studenti stranieri per classe. Una “semplificazione” che ribalta le linee guida adottate dal Ministero

dell’istruzione nel 2007 con il documento “Cultura, scuola, persona” che proponevano una “elaborazione dei saperi

necessari per comprendere l’attuale condizione dell’uomo planetario, definita dalle molteplici interdipendenze fra

locale e globale, come premessa indispensabile per l’esercizio consapevole di una cittadinanza nazionale, europea e

planetaria”.

Immobilismo ministeriale…L’obiettivo è ambizioso, ma il sistema scolastico appare sempre più debole e meno attrezzato per raggiungerlo. «Da un

lato il Ministero propone nuove linee guida sull’educazione allo sviluppo sostenibile, dall’altro ridimensiona l’insegna-

mento della geografia, una delle materie chiave per questi temi. Questa disciplina sparisce dagli istituti professiona-

li e tecnici, tranne nell’indirizzo economico del biennio e turistico nel triennio, mentre nei licei viene accorpata a sto-

ria. Si creano raggruppamenti tra discipline senza un preciso disegno pedagogico, ma con il solo obiettivo di tagliare

i costi riducendo le ore di insegnamento» denuncia Cristiano Giorda, docente di didattica della geografia presso la

facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Torino.

Di fronte a questi scenari, i tradizionali interventi nelle scuole per sensibilizzare su pace, ambiente, diritti umani e svi-

luppo rischiano di ridursi a piccoli fregi di una costruzione sempre più pericolante. Quali appigli restano per chi inten-

de promuovere percorsi educativi di qualità, in grado di rispondere alla complessità e alle contraddizioni delle sfide

poste dalla globalizzazione? Pochi sembra offrirne il Ministero affari esteri: nelle Linee guida della cooperazione ita-

liana 2009-2011, l’educazione allo sviluppo è solo citata all’interno del capitolo dedicato alle ong. Di fatto viene dele-

gata a queste ultime, ma senza un piano nazionale coerente.

… e dinamismo regionaleQualcosa sembra muoversi invece a livello regionale, anche in seguito al riconoscimento europeo degli enti locali quali

attori della cooperazione e dell’educazione allo sviluppo. Nell’anno 2007/08 regioni, province e comuni italiani si sono

aggiudicati più della metà dei fondi stanziati dalla Commissione europea per le attività di educazione allo sviluppo

promosse dalle autorità locali dei paesi membri.

Dossier

Cittadini del mondoLe sfide della sostenibilità e dell’integrazione, in una fase di tagli nella scuola, richiedono unsalto di qualità nei percorsi di educazione allo sviluppo. In diverse regioni italiane si passada progetti spot a un lavoro in rete per animare l’intero territorio. Facendo nascere “sistemilocali” di Eas, con una forte dimensione europea.

Page 23: Volontari per lo Sviluppo

La vivacità e pluralità delle azioni sul territorio sembra confermata anche dalla ricerca-azio-

ne “Verso un sistema nazionale per l’Educazione allo sviluppo”, promossa da cinque ong ita-

liane (Acra, Cisv, Cospe, Ltm, Ucodep) e realizzata con le Associazioni regionali (Piemonte,

Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Campania) delle ong italiane. «Abbiamo scelto lo stru-

mento della ricerca-azione perché l’obiettivo non era semplicemente quello di indagare le

differenti rappresentazioni dell’educazione allo sviluppo da parte degli attori che vi sono

coinvolti a livello regionale, ma anche quello di creare e rafforzare reti e relazioni sul terri-

torio attorno ad alcuni principi di qualità condivisi (vedi box a fondo pagina)» spiega Giovanni

Borgarello, pedagogista di Pracatinat scpa, che ha curato l’impostazione metodologica della

ricerca mutuando in parte tecniche e strumenti da un percorso simile intrapreso a partire dal

2000 dal mondo dell’educazione ambientale.

La ricerca-azione ha permesso di registrare consenso attorno alla necessità di percorsi edu-

cativi che riflettano la complessità delle problematiche, a partire dal coinvolgimento di una

pluralità di attori: non più interventi spot di poche ore nelle classi, ma iniziative in cui la

scuola si apre e dialoga in maniera continuativa con i vari soggetti del territorio.

32

Il ministero propone nuove linee sull’educazione allo sviluppo sostenibile ma ridimen-siona l’insegnamento della geografia, una delle materie chiave per questi temi

La Carta di qualità Le ong che hanno partecipato al progetto “Verso un sistema nazionale di Educazioneallo Sviluppo” hanno animato nelle rispettive regioni un confronto sui principi e gli indi-catori di qualità nei percorsi educativi. Il risultato è un documento programmatico attor-no a cui ci si propone di consolidare reti e sistemi territoriali, per orientare la progetta-zione, la realizzazione e la valutazione comune di nuove iniziative, secondo i seguentiprincipi:

L’educazione per una cittadinanza mondiale- rende protagoniste le persone del loro percorso di crescita e consapevolezza;- promuove l’integrazione dei saperi e delle metodologie, per costruire nuove conoscenze;- permette di comprendere e vedere le connessioni esistenti sui grandi problemi che lacomunità internazionale deve affrontare per uno sviluppo umano e sostenibile;- mette in contatto i territori e le persone del Nord e del Sud del mondo per un apprendi-mento reciproco e per instaurare relazioni di cooperazione e scambio;- incoraggia ad agire come cittadini, a livello individuale e collettivo, per operare cam-biamenti;- cerca di influenzare le politiche economiche, sociali e ambientali nazionali e interna-zionali, affinché siano più giuste, sostenibili e basate sul rispetto dei diritti umani.

Il testo integrale del documento e altri materiali della ricerca-azione sono disponibili sulsito della Piattaforma italiana di educazione allo sviluppo: http://www.educazioneallo-sviluppo.net/sistemaeas.htm

Page 24: Volontari per lo Sviluppo

33Dossier

Eas e cooperazione decentrata«La riflessione che negli ultimi anni ha permesso di specificare natura e mandato della coope-

razione decentrata ha chiarito come la dimensione educativa ne rappresenti una parte inte-

grante e indispensabile. La cooperazione decentrata, mettendo in relazione comunità locali del

Nord con quelle del Sud, diventa essa stessa un percorso educativo, grazie all’apprendimento

reciproco che nasce dalla possibilità di lavorare insieme. E’ tutto il territorio che si educa allo

sviluppo, non solo la scuola» osserva Giorgio Garelli, funzionario del settore Affari internazio-

nali della Regione Piemonte. «Perciò non basta più una sensibilizzazione generica, ma occorro-

no proposte coordinate con i progetti di cooperazione delle varie collettività locali. Quindi a

ogni progetto che finanziamo come Regione chiediamo di destinare una percentuale delle risor-

se ad attività di sensibilizzazione ed educazione in Piemonte».

Iniziative di questo tipo richiedono però la pazienza e la costanza di un lavoro coordinato sul

territorio. La maggioranza dei soggetti coinvolti nella ricerca-azione si ritiene solo parzialmen-

te soddisfatta dalle reti e dai sistemi esistenti oggi per l’educazione allo sviluppo e ripone gran-

di aspettative nel suo sviluppo futuro.

«Con il progetto “Dalle Alpi al Sahel”, cofinanziato dalla Commissione europea e realizzato in

partenariato con la Regione francese Rhône-Alpes, abbiamo scelto di rafforzare l’integrazione

tra educazione allo sviluppo, educazione ambientale e cooperazione decentrata» continua

Giorgio Garelli. «Da questo punto di vista, le esperienze passate di cooperazione tra parchi pie-

montesi e parchi africani ci hanno insegnato che lo sviluppo sostenibile è un tema particolar-

mente efficace: i problemi superano i confini geografici, ma anche quelli tra discipline e com-

Page 25: Volontari per lo Sviluppo

34

petenze tecniche, obbligando comunità locali e realtà territoriali a ricercare soluzioni comuni

al loro interno e con altri territori. Cooperare tra attori differenti, come comuni, scuole, ong,

settori dell’amministrazione pubblica (affari internazionali, istruzione, ambiente) non è facile,

ma in questo caso è stato favorito dal fatto che tutti hanno colto un limite nella loro azione e

hanno trovato metodologie condivise per lavorare a uno strumento concreto che aiuti a pro-

gettare meglio insegnanti, funzionari e operatori delle ong».

La sfida di istituire sistemi permanentiUn’esperienza analoga è in corso nelle Marche. «Dal 2004 la Regione adotta piani triennali per

le attività di cooperazione decentrata ed educazione allo sviluppo» racconta Natalino Barbizzi,

funzionario del Settore cooperazione internazionale della Regione Marche. «Attraverso un pro-

getto finanziato dalla Commissione europea, stiamo ora cercando di istituire un sistema terri-

toriale permanente di solidarietà internazionale e cooperazione decentrata e una rete regiona-

le per l’educazione allo sviluppo per migliorare la qualità delle nostre azioni. L’idea è quella di

realizzare un percorso di ricerca e formazione destinato a enti locali, ong e associazioni, per

confrontarsi con altre esperienze nazionali ed europee. Ma anche con i paesi partner delle

Ci sono tante forme e modalità per fare rete. Ma in tutti i casi si parte dal fatto relazio-nale: un gruppo di persone che si scambiano qualcosa

Page 26: Volontari per lo Sviluppo

nostre iniziative di cooperazione decentrata: vogliamo capire come viene declinata l’educazio-

ne allo sviluppo in paesi come l’Albania e l’Argentina, che negli ultimi anni hanno vissuto in

maniera particolarmente turbolenta gli alti e bassi dello sviluppo e della globalizzazione».

Ma che cosa occorre fare concretamente affinché il lavoro di rete si traduca in maggiore qua-

lità dei percorsi educativi?

«Ci sono tante forme e modalità per fare rete. Ma in tutti i casi si parte dal fatto relazionale:

un gruppo di persone che si scambiano qualcosa. Occorre quindi curare anche il livello affetti-

vo ed emozionale. Un lavoro faticoso che richiede tempo ed energie» sottolinea Giovanni

Borgarello. «E’ essenziale partire da problemi percepiti come comuni per definire un quadro di

riferimento condiviso e rispondere alla domanda sul come e perché si vuole lavorare insieme.

Poi viene la definizione di un insieme di indicatori di qualità per chiarire le modalità con cui si

intende collaborare e valutare il proprio operato. Ricerca e valutazione sono processi essenzia-

li: riflettere su ciò che si fa insieme permette alla rete di esistere in quanto tale e di sviluppa-

re un linguaggio comune». Linguaggio che in molti casi sembra ancora mancare: «Gli operato-

ri delle ong che lavorano nelle scuole conoscono bene i temi dello sviluppo e della globalizza-

zione, ma devono integrare competenze pedagogiche» osserva Cristiano Giorda. Nelle facoltà di

Scienze della formazione mancano corsi di laurea o insegnamenti per formare queste figure. Ma

anche per gli insegnanti, soprattutto a livello di scuola media e superiore, non sono più previ-

sti momenti obbligatori e comuni di formazione e aggiornamento».

A conferma che la promozione di un’educazione allo sviluppo di qualità non può prescindere da

35Dossier

In Europa: strategie nazionali e valutazionetra pariDal 2001, il Global education network Europe (Gene) funziona come retetra ministeri e agenzie governative dei 14 paesi europei che si sonodotati di una strategia nazionale per l’educazione allo sviluppo sosteni-bile e alla cittadinanza globale. Altri otto paesi sono al lavoro per for-mularla, ma tra questi non c’è l’Italia.Obiettivo di Gene è quello di appoggiare i governi nazionali per ilmiglioramento della qualità e dell’impatto delle iniziative di educazioneallo sviluppo sostenibile e alla cittadinanza globale, attraverso unsistema di valutazione tra pari (“peer review”) delle rispettive strategienazionali, che dal 2005 stimola il confronto tra esperienze e la promo-zione di orientamenti comuni.«Queste strategie nazionali sono il risultato di un processo di confrontoe convergenza tra soggetti differenti - governo, scuola, enti locali,società civile - attorno a una visione comune, politiche coerenti e prio-rità condivise» spiega Anna Rita Debellis di Ucodep. «Ciò favorisceanche l’istituzionalizzazione delle varie iniziative, come in Galles dovel’educazione alla cittadinanza globale è stata inserita trasversalmentenei curricula scolastici e nel sistema nazionale di valutazione. E’ unagaranzia non solo di maggior visibilità e risorse, ma soprattutto diquella continuità nel lungo periodo indispensabile per costruire percorsieducativi efficaci e di qualità».www.gene.eu

Page 27: Volontari per lo Sviluppo

una crescita dell’intero sistema scolastico del paese - anche attraverso la sua apertura al ter-

ritorio - e dalla necessaria alleanza tra tutti i soggetti che condividono questo obiettivo.

All’interno della rete il ruolo delle ong appare meno scontato e più fluido rispetto a quello di

scuole, comuni o università: portatori di esperienze ormai decennali di cooperazione ed educa-

zione in Italia e nel Sud del mondo? Professionisti del progetto, che mettono a disposizione la

loro familiarità con i bandi europei? Mediatori tra attori e territori di paesi differenti?

Portavoce di quella parte della società più sensibile ai temi dello sviluppo e della giustizia inter-

nazionale? Il chiarimento è necessario, il dibattito aperto.

Il dossier è stato realizzato nell’ambito del progetto “Construire un developpement possible”DCI-NSA ED/2008/153-805

36

Gli operatori delle ong che lavorano nelle scuole conoscono i temi dello sviluppo, madevono integrare competenze pedagogiche. Mancano corsi di laurea ad hoc

Visti dai vicini: sistemi regionali a confronto«Siamo rimasti colpiti dal fatto che nelle scuole elementari italiane ci siano dueo più insegnanti per classe. Al di là dell’educazione allo sviluppo, ciò permettedinamiche interessanti e multidisciplinari. E’ un peccato cancellare tutto questocon la nuova riforma. Inoltre ci ha sorpreso la collaborazione tra attori tecnicicome i parchi e le scuole su temi non solo ambientali, ma anche legati alla soli-darietà internazionale». Sono alcune delle osservazioni di Corinne Lajarge, delRésacop (Réseau Rhône-Alpes d’appui à la coopération internationale), alla finedel primo anno di lavoro del progetto “Dalle Alpi al Sahel” in partenariato traRegione Piemonte e Regione Rhône-Alpes. Attivo da sedici anni, Résacop ha lo statuto di “raggruppamento di interessepubblico”, ovvero di una rete regionale di attori pubblici (Stato, enti locali, uni-versità) e privati (ong, associazioni) che scelgono di lavorare insieme su un pro-gramma condiviso e con un duplice obiettivo: accompagnare gli attori della coo-perazione e dell’educazione allo sviluppo, e metterli in rete sul territorio.«Il rapporto con la scuola è favorito dall’esistenza, dal 1985, di circolari e indi-cazioni ministeriali che sollecitano gli insegnanti a trattare in classe i temidella solidarietà internazionale e dello sviluppo sostenibile. Il punto debole diquesta strategia è la carenza per i docenti di occasioni di formazione e appro-fondimento su questi temi. Molti professori vorrebbero lavorare con gli studenti,ma non hanno accesso a strumenti pedagogici o soggetti del territorio in gradodi aiutarli. D’altra parte, ong e associazioni che si occupano di educazione allosviluppo conoscono bene i temi e le strategie internazionali ma hanno scarsafamiliarità con il funzionamento del mondo della scuola, proponendo attivitàpoco integrate nei programmi e adatte ai vincoli scolastici. Con il progetto“Dalle Alpi al Sahel” speriamo di trovare nuove chiavi di collaborazione trascuole, associazioni e collettività locali».www.resacoop.orghttp://agora.regione.piemonte.it/attivita/progetti