VOLANDO SUL GARDA E LE COLLINE MORENICHE · VOLANDO SUL GARDA E LE COLLINE MORENICHE pubblicato da...

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VOLANDO SUL GARDA E LE COLLINE MORENICHE Mostra aerofotografica Comitato Promotore del Parco delle Colline Moreniche del Garda BAMSphoto Rodella

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  • VOLANDO SUL GARDAE LE COLLINE MORENICHE

    Mostra aerofotografica Comitato Promotore

    del Parco delle Colline Moreniche del Garda

    BAMSphoto Rodella

  • Indice

    Perchè questa mostra fotografica

    Il lago di Garda

    Il Monte Baldo

    Il fiume Mincio

    L’anfiteatro morenico del Garda

    Paesaggi vegetali morenici

    La presenza dell’uomo: dal Neolitico all’Età romana

    Il Medioevo: castelli e pievi

    Le ville circumlacuali gardesane

    I luoghi della memoria

    Le colture pregiate

    Archeologia industriale

    Lo sviluppo turistico del lago di Garda

    Il consumo del territorio

    Immagini storiche

    Le mostre

    Rassegna stampa

    Commenti dei visitatori

    pag. 6

    pag. 10

    pag. 14

    pag. 18

    pag. 22

    pag. 26

    pag. 34

    pag. 38

    pag. 42

    pag. 46

    pag. 50

    pag. 54

    pag. 58

    pag. 62

    pag. 82

    pag. 92

    pag. 104

    pag. 106

    Comitato Promotore del Parco delle Colline Moreniche del Garda

    BAMSphoto Rodella

    VOLANDO SUL GARDA E LE COLLINE MORENICHE

    pubblicato da BAMS® Edizioni;via Cesare Battisti, 60 - 25018 Montichiari (BS)

    Tel. 030964107 www.bamsphoto.itISBN 978-88-902909-7-8

    In copertina: Torre di S. Martino della Battaglia,sullo sfondo la penisola di Sirmione con il lago di Garda

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  • MOSTRA PROMOSSA DA: Comitato Promotore del Parco Colline Moreniche del Garda

    MOSTRA IDEATA DA: BAMSphoto – Rodella – Montichiari

    SPONSOR

    Regione LombardiaRegione Veneto

    Provincia di Mantova (Assessorato Ambiente)Provincia di Brescia (Assessorato alla Cultura-Assessorato al Territorio-Assessorato

    ai Trasporti e Cartografia-Assessorato Ambiente)Provincia TrentoProvincia VeronaParco del Mincio

    I.G.M. (Istituto Geografico Militare)Aerofototeca Nazionale

    Società Solferino e San MartinoFondazione “Ugo da Como”

    FOTOGRAFIEBAMSphoto – Basilio e Matteo Rodella

    I.G.M. (Istituto Geografico Militare)Aerofototeca Nazionale

    TESTI

    Paola Crepaldi, Alberto Crosato, Emilio Crosato, Gabriella Felcilcher, Giorgio Grossi, Guido Franz, Alberto Angelo Lini, Gabriele Lovisetto, Costanza Lunardi, Gaetano Panigalli, Anna

    Pederzani, Basilio Rodella, Sira Savoldi, Daniela Zumiani

    RICERCA ICONOGRAFICAEmilio Crosato

    ALLESTIMENTOAlberto Angelo Lini

    POST PRODUZIONE DIGITALEStefano Rodella

    Si ringraziano tutti coloro che hanno, in qualche modo, contribuito alla realizzazione della mostra.

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  • Perché questa mostra fotografica

    Sentiamo tutti un amore profondo per il territorio in cui viviamo, molti di noi ci sono nati e quindi lo amano come terra materna, ma non è questo il solo motivo che ci ha spinto ad impegnarci in questa iniziativa dal titolo “Volando sul Garda e le colline moreniche”. Qualcuno, parlando di questo territorio, lo definì un luogo benedetto da Dio e non si può non essere d’accordo, specie quando, percorrendo i saliscendi delle colline disseminate di specchi d’acqua, ti si apre all’improvviso la vista del lago, nitido, azzurro e vedi dietro il Baldo, maestoso ed innevato a fargli da cornice. Oggi molti elementi del pae-saggio sono fortemente alterati dallo sviluppo edilizio e i borghi, le pievi, i castelli rischiano di perdere la loro funzione connotativa ed il loro ruolo di segni della memoria. Ma ci sono ancora tanti luoghi di una bellezza incantata; ci sono gli ambiti naturalistici: le zone umide, i prati aridi, i boschi, i canneti; ci sono le limonaie, le colture pregiate degli uliveti e dei vigneti; c’è l’archeologia industriale delle cartiere, dei mulini, delle fornaci, a volte recuperati ed inseriti nell’ambiente in modo pregevole. E poi, c’è anche l’industria del turismo che ha portato il benessere in questi luoghi, ma li ha spesso trasformati e ha ge-nerato come conseguenza un inarrestabile consumo di suolo. Le seconde case sono sorte come funghi sulle rive del lago e poi via via nell’entroterra, con la promessa della “vista lago”; sono comparsi i centri commerciali e i campi da golf, frutto di investimenti alternativi alla speculazione di borsa; si sono dovute ampliare le infrastrutture per facilitare questa invasione pacifica di turisti festanti, chiassosi, forse attratti più dai tanti parchi divertimento che dal panorama gardesano. E’ il mercato che detta le leggi e la pub-blicità, abile manipolatrice di cervelli, condiziona le scelte delle persone e richiama le folle verso mete spesso effimere.Ma noi, fiduciosi nella capacità dell’uomo di ragionare con la propria testa, ci sentiamo di lanciare una sfida: questi luoghi hanno bisogno di essere difesi per poterli trasmettere alle genera-zioni future. Ma come? Le parole non servono, non servono più, se ne sono spese tante: i politici fanno della tutela ambientale uno dei cavalli di battaglia delle campagne elettorali, salvo poi ricorrere all’edi-ficazione per rimpinguare, con gli oneri di urbanizzazione, le casse sempre più vuote degli enti locali e i cosiddetti “ambientalisti” vengono considerati come insetti fastidiosi che disturbano. Ecco allora l’idea di affidarci alle immagini, alla fotografia aerea con le immagini di oggi fornite da BAMSphoto, ma anche con quelle di ieri fornite dall’IGM e dall’Aerofototeca nazionale, senza commenti, senza troppe spiega-zioni: la visione della nostra terra, del nostro mondo è lasciata allo sguardo del visitatore. Ognuno, di fronte alle fotografie di questa mostra itinerante, potrà vedere quello che vuol vedere, ne trarrà emo-zioni personali, ma queste emozioni non potranno non arrivare al cuore…o al cervello per elaborare un’idea, una considerazione, una presa di coscienza. Questa mostra fotografica vuole essere un messag-gio di democrazia, di libertà, di consapevolezza e di libero pensiero. Siamo presuntuosi, lo sappiamo, ma siamo convinti che dopo aver visitato la mostra, che toccherà i tanti comuni del lago e dell’entroterra, più di una persona sentirà il desiderio, la voglia di dire o forse di fare qualcosa ancor di più, di partecipare nei luoghi e nei momenti in cui la salvaguardia di questo patrimonio sia parte fondamentale.

    Il Comitato Organizzatore

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    Alto Garda: l’abitato di Riva del Garda e Torbole

  • Lonato: “comune monastico” di Maguzzano

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  • Il lago di Garda o Benaco, con una superficie di 370 km² e una profondità massima di 364 metri, il cui fondo giace molto al di sotto del livello del mare (ben 299 metri, dato che il pelo delle acque è a 65 metri s.l.m.), è il più grande dei laghi prealpini italiani. Questo grande lago ha una forma caratteristica costitui-ta da una parte valliva, superiore, che può ricordare un fiordo scandinavo, e da una parte inferiore, este-sa verso la pianura Padana, che può invece richiamare un golfo mediterraneo. Cerniera tra tre regioni, la Lombardia con la provincia di Brescia, il Veneto con Verona e il Trentino Alto Adige con la provincia di Trento, è posto parallelamente alla valle dell’Adige, da cui è diviso dal massiccio del Monte Baldo. Il Gar-da è un lago relativamente giovane che si è formato durante il ritiro dei ghiacciai dell’ultima glaciazione (Würm, tra 115.000 e 15.000 anni fa). Durante l’ultima grande espansione glaciale, all’incirca tra 20.000 e 15.000 anni fa, il territorio montano della Lombardia era quasi interamente sepolto sotto una spessa coltre di ghiaccio. Il ghiacciaio del lago di Garda, come risulta dalle ricostruzione che ne sono state fatte, raggiungeva, in corrispondenza della metà del lago, gli 800-900 metri di spessore e si espandeva sulla pianura bresciana e veronese a formare un ghiacciaio pedemontano largo una trentina di chilometri, dal cui fronte prendevano origine diversi fiumi. Ai lati di questo grande ghiacciaio si elevavano le montagne che si vedono oggigiorno, il monte Baldo a oriente e le cime delle Giudicarie a occidente. Il ghiacciaio aveva la sua fonte di alimentazione nelle Alpi Retiche e in esso confluivano i ghiacciai vallivi provenien-ti dalla valle dell’Adige e dalla valle del Sarca. L’azione erosiva del ghiacciaio con le sue ampie colate trasportava a valle enormi quantità di materiali morenici. Questi stessi materiali andarono a formare l’Anfiteatro morenico che ha poi sbarrato il lago verso sud. Successivamente, tra 15.000 e 10.000 anni fa, la coltre glaciale si è ritirata progressivamente e da allora come unico grande immissario del bacino del lago di Garda è rimasto il fiume Sarca mentre il Mincio, il fiume che unisce il lago al Po, è l’unico corso d’acqua a fungere da emissario. Il lago è lungo 52 km (il bacino idrografico 95) e largo 16 km. (il bacino idrografico 42). Il nome attuale, lago di Garda, è attestato fin dal medioevo, mentre Benàco era il nome con cui era conosciuto il lago fin dall’epoca romana. Il primo toponimo è di origine germanica, mentre il secondo addirittura celtico, precedente quindi al dominio romano. La voce latina Benacus è quasi sicuramente di origine celtica, e indicherebbe un dato geografico del lago: bennacus, cioè dai molti promontori. Il toponimo Garda, con il quale è chiamato il lago fin dall’VIII secolo, come testimoniano alcuni documenti, è l’evoluzione della voce germanica warda, ovvero guardia, luogo elevato atto ad osservazioni militari o castelliere di sbarramento. Nel lago ci sono cinque isole: la più grande è l’Isola del Garda su cui sorge un bel palazzo ottocentesco , vicino a questa la seconda, l’Isola di San Biagio, anche detta “dei Conigli”, che dista circa 200 metri dalla costa. Entrambe sono situate nei pressi di San Felice del Benaco, verso Salò sulla costa bresciana. Un’altra isola, la terza per grandezza, è l’Isola del Trimelone famosa per essere stata una polveriera. Le altre due, più piccole, sono l’isola del Sogno e quella degli Olivi. Esistono poi numerosi altri scogli, specie tra le isole del Garda e di San Biagio, che a seconda della stagione sono più o meno affioranti.

    Il lago di Garda

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    Desenzano, sullo sfondo Sirmione

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    Peschiera del Garda

  • Il monte Baldo è una catena montuosa parallela al lago di Garda che si allunga per 40 Km, tra il lago ad ovest e la val d’Adige ad est, a sud è invece delimitata dalla piana di Caprino e a nord dalla valle di Loppio. Il monte Baldo raggiunge la sua altezza massima ai 2218 m di cima Valdritta. La catena maggiore è formata da due parti, il monte Baldo ed il monte Altissimo (m. 2078), che rimane isolato. Il nome del monte Baldo, in epoca romana mons Polninus, deriva dal tedesco Wald, ovvero bosco. Il monte Baldo è formato per lo più da rocce sedimentarie, in particolare calcaree e dolomie formate tra i 210 ed i 50 mi-lioni di anni fa nel mar della Tetide, che allora ricopriva questa zona. L’innalzamento ci fu invece a partire da 40 milioni di anni fa, quando i monti Lessini e le Prealpi bresciane cominciarono a comprimere questa zona, che lentamente si innalzò fino a creare la dorsale. Si possono trovare anche basalti provenienti dalle zone profonde della crosta, ma solo in piccola parte. La notevole presenza di rocce calcaree ha favorito numerosi fenomeni carsici, sono infatti visibili molti monoliti, conche e soprattutto doline, de-pressioni che si aprono verso grotte. La più lunga è la grotta Tenela presso Torri del Benaco, di 362 m, e la più profonda il Bus de le Tacole, profonda 172 m. Sempre a causa del carsismo le sorgenti sono molto rare, escludendo il versante che dà sul lago di Garda, che presenta tra l’altro il fiume Aril, considerato il fiume più corto del mondo. Il monte Baldo presenta un clima dalle diverse caratteristiche a seconda del luogo e dell’altitudine. Il versante sul lago di Garda vede temperature medie più alte rispetto al versante della val d’Adige, nonostante l’altezza simile, grazie all’influsso del lago, la cui aria calda risale attraverso le valli; sulla costa lacustre la temperatura media è di 13 °C, mentre nella val d’Adige le temperature si abbassano di qualche grado. A 1000 m la temperatura media è di 9 °C, e sui 2000 m scende a 2 °C. Il monte Baldo viene anche chiamato il giardino d’Europa, per il grande patrimonio floristico. Grazie alla sue caratteristiche morfologiche molto varie presenta diverse zone climatiche, in particolare sono pre-senti la fascia mediterranea (fino ai 700 m), la fascia montana (dai 700 m ai 1500 m), la fascia boreale (dai 1500 m ai 2000 m) e la fascia alpina (dai 2000 m). Ognuna di queste fasce possiede una vegetazione diversificata. Nella fascia mediterranea più bassa sono presenti soprattutto alberi ad alto fusto come il leccio, il carpino nero, l’orniello e la roverella. È molto diffusa anche la coltivazione dell’olivo, soprattutto sulle rive del lago di Garda, mentre poco più in alto (sempre nella fascia mediterranea) si possono tro-vare piantagioni di castagno, avena e foraggio. Vivono in questa fascia inoltre le orchidee, il cappero, il rosmarino, il ligustrello, la lantana, l’ilatro, l’alloro, l’albero di Giuda, la saponaria rossa, la frassinella, la primula, il fior d’angiolo, la valeriana rossa, lo scotano e il bogolaro. La fascia montana è caratterizzata da foreste di faggio, tiglio, carpino nero e abete bianco. Sono presenti anche boschi di larice e peccio, l’acero di monte ed oltre i 1000 m vi sono molti pascoli e prati, in cui l’erba dominante è la gramigna, ma sono molto presenti anche erbe come i trifogli, l’anemone, il giglio, la dentaria e la scilla silvestre. Sono presenti anche la coralloriza, il caprifoglio, la madreselva. La fascia boreale è composta soprattutto da pino mugo, ma è presente anche il sorbo alpino, il ginepro alpino, l’erica. La flora di questa fascia è rappresentata da fioriture molto vistose, in particolare del croco bianco, della genziana, della vulneraria, e, di grande importanza, le endemiche carice del Baldo (carex baldensis), l’anemone del Baldo (anemo-ne baldensis) e la rara pianella della Madonna (cypripedium calceolus). La fascia alpina è in assoluto la meno estesa, copre dai 2000 m ai 2200 m, ovvero le vette più alte, praticamente la dorsale rocciosa. La vegetazione è di tipo rupestre, e le uniche specie visibili sono la potentilla, il raponzolo e il rododendro. Ci sono anche altre erbe, di cui la più importante il raro caglio del monte Baldo (galium baldense). Il mas-siccio del monte Baldo è caratterizzato da una grande varietà di fauna selvatica, a causa della presenza dell’uomo, però, la grande varietà non è supportata dalla quantità di individui per singola specie.

    Il Monte Baldo

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    Monte Baldo, sullo sfondo Riva del Garda

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    In primo piano Tignale, in alto Malcesine con il Baldo

  • Il fiume Mincio

    Il Mincio nasce a Peschiera quale emissario del lago di Garda. Dopo aver attraversato, con andamen-to tortuoso, la zona collinare a confine tra la provincia di Verona e quella di Mantova, giunto nei pressi di Pozzolo entra decisamente nella pianura mantovana e va a gettarsi nel Po a Governolo, dopo un percor-so di 75 chilometri. Vediamo brevemente alcuni aspetti significativi di questo percorso. Uscito dal Garda, scorre per un breve tratto, rigidamente incanalato, su suoli pianeggianti,ricevendo le acque trattate dal grande depuratore di Peschiera. A valle di Salionze il corso del fiume è sbarrato da una diga che regola il deflusso delle acque del lago. La stessa diga ha il compito di ripartire le acque e mentre una parte pro-segue lungo il corso naturale del fiume, un’altra viene deviata in due canali artificiali, il canale Virgilio in destra Mincio e la Seriola in sinistra. I due canali scorrono ai lati del Mincio per tutta la zona collinare, ma raggiunta l’alta pianura divergono nettamente. La valle naturale del Mincio non ha larghezza costante, a seconda della erodibilità dei depositi morenici, le acque del disgelo hanno inciso aree più o meno grandi. Dalla diga di Salionze a Valeggio il Mincio scorre tra rive artificiali. All’altezza di Valeggio la valle si stringe notevolmente e le sponde opposte sono collegate dall’antico “ponte” visconteo. A valle del ponte troviamo l’abitato di Borghetto: le acque, divise in vari rami, fornivano un tempo energia alle ruo-te dei numerosi mulini, oggi trasformati in abitazioni. Dopo Pozzolo, il Mincio, finalmente privo di argini artificiali, procede verso Goito e Mantova. All’altezza di Rivalta e Grazie il fiume si frammenta in più ca-nali di differente portata, variamente collegati tra di loro, che lasciano al loro interno numerose isole di vegetazione palustre. Sono le Valli del Mincio, una zona umida di straordinaria importanza naturalistica, riconosciuta anche a livello internazionale (Ramsar,1971). E dopo le valli, i tre laghi di Mantova, superio-re, di mezzo e inferiore. Via via poi che il fiume procede verso valle gli argini si avvicinano sempre più. Superata un’area di particolare pregio naturalistico e vegetazionale, la Riserva naturale della Vallazza, fino a Governolo dove si getta nel Po, il Mincio torna a perdere il valore naturalistico che aveva assunto nella sua parte centrale, a monte e a valle di Mantova e scorre tra rive di fatto prive di vegetazione. Il Mincio, nel suo tratto settentrionale, attraversa una zona di confine tra Veneto e Lombardia e nelle sue vicinanze sono avvenute molte grandi battaglie e sulle sue rive eventi storici risorgimentali.

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    Valeggio sul Mincio

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    Rivalta sul Mincio

  • L’anfiteatro morenico del Garda

    A sud del lago di Garda, tra Verona, Mantova e Brescia, si sviluppa il grandioso Anfiteatro morenico del Garda, ovvero una serie di cordoni morenici concentrici (altezza massima 230 m.), che sono il risulta-to della azione del ghiacciaio pleistocenico benacense che nelle sue periodiche oscillazioni (da 800.000 a 12.000 anni fa) ha abbandonato al fronte e sui lati enormi quantità di sabbie, ghiaie, ciottoli e blocchi rocciosi. Il territorio è oggi caratterizzato da una topografia estremamente variabile, in esso sono rap-presentati tutti gli ambienti morfologici tipici dell’area morenica, quali le aree più rilevate dei cordoni morenici con orientamento prevalente est-ovest, le aree infossate e le incisioni scavate dall’azione erosi-va dei torrenti glaciali (scaricatori secondari), le piane e le depressioni intermoreniche, le aree di risorgi-va, le superfici terrazzate del fiume Mincio che rappresenta il massimo scaricatore del grande ghiacciaio benacense ed attualmente asse idrologico principale. I materiali morenici di formazione sono costituiti – come è stato ricordato sopra - da un ammasso eterogeneo di ghiaie e ciottoli misti a sabbie limi e argille, di natura prevalentemente calcareo-dolomitica, per cui i suoli sono estremamente permeabili, aridi nelle zone più elevate, mentre nelle zone depresse per l’accumulo di argille e materiali fini si hanno fenomeni di ristagno delle acque. All’interno della massa dei depositi incoerenti spesso sono presenti grandi blocchi di roccia, soprattutto di porfido, detti “massi erratici”, che si rinvengono in superficie un po’ dappertutto. Tutti questi materiali accumulati gli uni sopra gli altri o gli uni dopo gli altri, formando ammassi caotici o stratificati, costituiscono oggi l’essenza delle colline; le quali perciò stesso, in quanto costituite da materiali diversi, non sempre cementati, sono facilmente disgregabili, modificabili nella loro originaria deposizione naturale. Questo fa sì che i profili delle colline siano soggetti con estrema fa-cilità alle azioni modificatrici, come quelle dovute alle attività erosive meteoriche o come quelle dovute successivamente all’uomo, il quale infatti ha profondamente trasformato gli assetti naturali venutisi a creare dopo il ritiro del ghiacciaio. La vicinanza con il Lago di Garda, mitigando i rigori del clima padano, ha favorito nel tempo l’insediamento nella flora locale di elementi mediterranei che si sono aggiunti ad elementi montani, anche di piani altitudinali molto elevati, rimasti nell’area dopo il ritiro dei ghiacciai. Da qui il grandissimo interesse botanico degli ambienti relitti a vegetazione spontanea. Il clima mite, influenzato dalla presenza del Lago di Garda, permette la crescita di numerose specie tipiche dei climi mediterranei, quali l’olivo (Olea europea) ed il mandorlo (Prunus dulcis), che è possibile vedere qua e là in fiore soprattutto vicino alle corti agricole. Un altro albero introdotto nell’area in epoca romana, è il cipresso (Cupressus sempervirens) che oggi costituisce uno degli elementi più rappresentativi del paesaggio collinare. Scure sagome di cipressi isolati o a piccoli gruppi e filari, si notano stagliarsi contro il cielo lungo linee di cresta o sulla sommità di alcune colline. Questa pianta è stata spesso utilizzata in passato per la costruzione di particolari architetture vegetali quali i roccoli, usati per l’uccellagione.

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    Vigneti nel basso Garda

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    Castellaro Lagusello

  • Paesaggi vegetali moreniciPrati aridi e Boschi steppici collinari

    Sulle creste collinari e a volte sui versanti soleggiati esposti a sud, su suoli molto sottili, erosi, estre-mamente calcarei e siccitosi, compaiono praterie erbacee xerotermofile, i “prati aridi” e macchie arbu-stive e arboree molto rade, con soggetti di dimensioni ridotte, costituite da roverella, scotano, ginepro (Juniperus communis), marruca (Paliurus spina-Christi), rosa di macchia (Rosa canina), ginestra spinosa (Genista germanica) e citiso peloso (Chamaecytisus hirsutus). Un tempo sfruttati come magri pascoli per il bestiame, questi prati sono ora abbandonati ad una evoluzione spontanea. Dove il pendio è interrotto da brevi terrazzi o avvallamenti crescono a piccoli gruppi rare roverelle (Quercus pubescens), che creano aspetti paesaggistici di notevole valore. E’ soprattutto in questi ambienti naturali, particolarmente diffi-cili per lo sviluppo della vegetazione sia per il clima che per i fattori edafici, che si possono rinvenire i veri gioielli della flora morenica, per rarità delle specie botaniche e per la bellezza delle fioriture. Tra queste si ricordano la pulsatilla (Pulsatilla montana), il cinquefoglio primaverile (Potentilla tabernaemontani), le vedovelle (Globularia punctata), il raperonzolo e la campanula siberiana (Campanula rapunculus e C. sibirica), il lilioasfodelo maggiore (Anthericum liliago), gli eliantemi (Helianthemum canum e Helian-themum nummularium), il camedrio dai fiori rossi (Teucrium chamaedrys) e quello montano (Teucrium montanum), gli spilli d’oro (Aster linosyris); la perlina gialla (Odontites lutea); il cardo rosso (Carduus nutans), l’aglio delle bisce (Allium sphaerocephalon), l’enula ruvida (Inula hirta), l’erba regina (Artemisia alba), il garofano selvatico (Dianthus sylvestris) e numerose orchidee quali l’orchidea piramidale (Ana-camptis pyramidalis), il fior di legno (Limodorum abortivum), il giglio caprino (Orchis morio), l’orchidea screziata (Orchis tridentata), il fior di ragno (Ophrys sphecodes), gli uccelletti allo specchio (Ophris ber-tolonii), il fiore d’ape (Ophris apifera), il rarissimo fiore dei fuchi (Ophris fuciflora), l’orchidea a farfalla (Or-chis papilionacea), l’orchidea cimicina (Orchis coriophora) e la serapide maggiore (Serapias vomeracea).

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    Rocca di Manerba

  • Sui versanti collinari prevalentemente esposti a nord e nord-est, in forte pendenza, vegeta da sem-pre il bosco di roverella e carpino nero. Si tratta in prevalenza di cedui invecchiati, non più soggetti a taglio periodico, dove a volte alcuni polloni, prevalendo sugli altri, hanno assunto l’aspetto arboreo. Spesso, negli ultimi anni, tale conversione è stata favorita dall’intervento dei proprietari: si assiste così alla lenta trasformazione dei cedui in fustaie. Gli alberi che compongono questi boschi sono la roverella (Quercus pubescens) e il carpino nero (Ostrya carpinifolia); partecipano a queste formazioni vegetali l’orniello (Fraxinus ornus) e talvolta il cerro (Quercus cerris), ma sempre con pochi individui. Sono piante che ben si adattano al clima della zona, con una stagione estiva particolarmente arida e piogge, a volte anche abbondanti, concentrate nei periodi primaverile ed autunnale. I quattro alberi citati concorrono, in varia misura, a formare la copertura del bosco, che si presenta, là dove i boschi non sono degradati, densa e compatta. Sotto la volta arborea troviamo uno strato arbustivo fitto ed intricato. Oltre agli arbu-sti veri e propri entrano a formare questo strato anche gli stadi giovanili degli alberi che costituiscono la volta arborea, in particolare l’orniello, spesso estremamente invadente. Gli arbusti più tipici sono: il ciliegio canino (Prunus mahaleb), la lentaggine (Viburnum lantana), il comunissimo ligustro (Ligustrum vulgare), il ginepro (Juniperus communis), l’unica aghifoglia che cresce spontanea sulle colline more-niche, lo scotano (Cotinus coggygria), che in autunno, con le sue foglie vivacemente colorate, tinge di rosso il margine del bosco, ed il comune biancospino (Crataegus monogyna). Altri arbusti sono presenti solo in alcuni boschi dell’area collinare, ma in questi possono essere abbondanti: sono l’emero (Coronilla emerus), il nespolo (Mespilus germanica) e il corniolo (Cornus mas). Completa lo strato arbustivo, con-ferendo un carattere spiccatamente mediterraneo alla flora locale, il pungitopo (Ruscus aculeatus), che con i suoi rami sempreverdi e con le bacche rosso brillante porta una nota di colore nel bosco durante i mesi invernali. Il piano arboreo e quello arbustivo sono intessuti di epifite e liane: l’edera (Hedera helix), la vitalba (Clematis vitalba), il caprifoglio (Lonicera caprifolium) e il tamaro (Tamus communis). Tra le specie erbacee che popolano i boschi di roverella troviamo uno dei fiori più belli della flora italiana, il giglio rosso (Lilium bulbiferum subsp. croceum). Tipico del piano montano, con tutta probabilità è stato spinto verso la pianura dal ghiacciaio benacense, nel momento della sua massima espansione, e qui si è acclimatato. Mentre in montagna vegeta nei prati freschi, qui ha cercato rifugio nell’ombra dei boschi. Tra le orchidee tipiche di questi boschi, la platantera comune (Platanthera bifolia), l’elleborina bianca (Cephalanthera longifolia) e l’orchidea scimmia (Orchis simia).

    I boschi termofili di roverella e carpino nero

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    Boschi sulle colline veronesi

  • Sempre sulle esposizioni nord e con maggior frequenza spostandosi verso settentrione, in relazio-ne ad un aumento della piovosità e quindi a condizioni di maggior freschezza stazionale, su suoli più evoluti o in corrispondenza di superfici incise degli scaricatori fluvioglaciali e della piana alluvionale del Mincio, comunque dove la falda freatica si avvicina alla superficie, si rinvengono formazioni boschive, anche lineari (fasce ripariali) in cui alla roverella e al carpino nero si sostituiscono il cerro e il carpino bianco (Carpinus betulus); a volte ad essi si associano la farnia (Quercus robur), l’acero campestre (Acer campestre), l’olmo (Ulmus minor), il ciliegio selvatico (Prunus avium), il nocciolo (Corylus avellana) nel piano arbustivo, mentre il piano erbaceo è caratterizzato, agli inizi della primavera, da fioriture di ane-moni (Anemone nemorosa e A. ranuncoloides) e bucaneve (Galanthus nivalis). Nel piano erbaceo ri-compaiono molte specie già viste nelle formazioni a roverella, ma anche molte altre tipiche dei boschi freschi planiziali. Poche e non molto comuni sono le felci, che si concentrano nei luoghi più umidi: la felce maschio (Dryopteris filix-mas), il polipodio comune (Polypodium vulgare), l’asplenio nero (Asple-nium adiantum-nigrum) e la felce aquilina (Pteridium aquilinum). Tra le specie nemorali: la fegatella (He-patica nobilis), l’anemone bianco (Anemone nemorosa), il bucaneve (Galanthus nivalis), la viola bianca (Viola alba), la viola selvatica (Viola canina) e la viola silvestre (Viola reichenbachiana), e dalla primavera inoltrata, la campanula a foglie di pesco (Campanula persicifolia), l’asparago selvatico (Asparagus tenu-ifolius), il ciclamino (Cyclamen pupurascens), che cresce nei boschi più ombrosi di Cavriana e Monzam-bano, il garofano di Seguier (Dianthus seguieri), il geranio sanguigno (Geranium sanguineum), l’iris a foglie sottili (Iris graminea), il sigillo di Salomone (Polygonatum multiflorum), la scilla autunnale (Scilla autumnalis). Di notevole importanza la presenza della melica delle faggete (Melica nutans), una delle tante specie spinte verso quote più basse dalle glaciazioni ed la rarissima spigarola violacea (Melam-pyrum velebiticum). Vegetano nei boschi di cerro anche alcune rare orchidee: l’elleborina giallognola (Cephalanthera damasonium), l’elleborina comune (Epipactis helleborine), la listera maggiore (Listera ovata) e l’orchidea purpurea (Orchis purpurea).

    I Boschi di cerro

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    Cavajon Veronese

  • Nel paesaggio morenico prevalgono le forme collinose, ma numerose sono le piane e depressioni che separano le cerchie moreniche attigue, che accolgono ancora conche lacustri con laghetti intermo-renici, avvallamenti torbosi e zone umide da falda affiorante “risorgive” o da ristagno idrico, corsi d’ac-qua principali. Tali ambienti morfologici sono quelli che in passato hanno subito in modo più pesante l’impatto delle attività antropiche e pertanto la vegetazione igrofila che le caratterizza, seppur uguale a quella di tutto il territorio padano, riveste un alto valore naturalistico. In questi luoghi troviamo tutta la serie della vegetazione igrofila dai cariceti alla vegetazione acquatica sommersa procedendo dalla ter-raferma all’acqua. Nelle acque dei laghetti e nei fossi, vegetano la ninfea bianca (Nymphaea alba), il nan-nufero (Nuphar lutea), la ranina (Lemna minor), il ranuncolo a foglie capillari (Ranunculus trichophyllus), l’erba gamberaia (Callitriche stagnalis), Veronica beccabunga, Veronica anagallis-aquatica, Polygonum amphibium, il crescione (Nasturtium officinale) e la più rara erba scopina (Hottonia palustris). Le rive degli specchi d’acqua e le zone più depresse idromorfe sono dominate dalla presenza della cannuccia di palude (Phragmites australis). In questi ambienti con elevata capacità d’interrimento, che presentano notevoli oscillazioni annuali del livello dell’acqua, si rinvengono la mazzasorda (Typha latifolia), il coltel-laccio (Sparganium erectum), l’erba quadrella (Cyperus longus), lo zigolo nero (Cyperus fuscus), i giunchi (Schoenoplectus lacustris), il non ti scordar di me (Myosotis scorpioides), la menta acquatica (Mentha aquatica), il vilucchione (Calystegia sepium), la dulcamara (Solanum dulcamara). Nella fascia retrostante i canneti, su suoli organici a volte torbosi, sempre saturi ma raramente sommersi, si sviluppa la prateria a carici (Carex riparia, Carex elata, Carex hirta) con presenza di campanellino maggiore (Leucojum ae-stivum), giaggiolo giallo (Iris pseudacorus), fior del cuculo (Lychnis flos-cuculi), salcerella (Lythrum sali-caria), valeriana comune (Valeriana officinalis), consolida maggiore (Symphytum officinale), incensaria comune (Pulicaria dysenterica), cardo di palude (Cirsium palustre), Equisetum palustre, canapa acquati-ca (Eupatorium cannabinum), garofanino d’acqua (Epilobium hirsutum), erba strega (Stachys palustris), felce palustre (Thelypteris palustris).

    Le zone umide con vegetazione igrofila

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    Canneti a Sirmione

  • La presenza dell’uomo: dal Neolitico all’Eta’ romana

    Sin dall’età preistorica il bacino gardesano ha costituito un territorio privilegiato per l’insediamento dell’uomo. Le tracce di questa straordinaria frequentazione, progressivamente originatasi e mantenu-tasi perfettamente leggibile nelle sue diverse sfaccettature nel corso dei secoli, sono rimaste pressoché inalterate sino alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso; nell’ultimo mezzo secolo l’intensissima urbanizzazione e gli stravolgimenti intervenuti hanno invece in larga parte cancellato questi segni, al punto da rendere spesso impossibile la ricostruzione diacronica della presenza dell’uomo nel territorio. Tra i siti sopravvissuti a tali stravolgimenti, di straordinario interesse, risulta l’insediamento neolitico si-tuato in località Tosina di Monzambano, la cui perfetta forma ellittica costituisce un relitto di paesaggio fossile risalente a circa 6.000 anni fa giunto intatto sino a noi. Ben più articolato è il quadro relativo all’Età del bronzo, periodo nel corso del quale tanto le sponde del lago quanto le conche collinari vennero occupate da numerosissimi insediamenti palafitticoli; tra i molti siti indagati ricordiamo in particolare il villaggio scoperto al Lavagnone di Desenzano, cintato nella sua prima fase di vita, risalente al 2050 a.C., con una palizzata e dotato di un sentiero di accesso realizzato con un intreccio di ramaglie e di tavole consolidato da pali verticali. Più rari tornano invece ad essere i dati relativi alla frequentazione del territorio nel corso dell’Età del ferro, essenzialmente costituiti da sparsi ritrovamenti di sepolture, tra i quali spiccano certamente la necropoli gallica rinvenuta negli anni Ottanta a Valeggio sul Mincio e soprattutto una tomba scoperta nel 1914 a Castiglione delle Stiviere, che ha restituito il più ricco cor-redo gallico finora scoperto a nord del Po. Nel corso del I secolo a.C. si compì, con modalità graduali e non violente, il processo di romanizzazione di queste comunità, che determinò considerevoli mutazioni anche in relazione alle modalità di sfruttamento ed occupazione del territorio. Se si eccettua la presenza di alcuni villaggi, il più importante dei quali era quello di Arilica, l’odierna Peschiera del Garda, ubicato in felicissima posizione in corrispondenza del punto di contatto tra la via Gallica ed il sistema fluvio–lacua-le Mincio–Garda, nell’area benacense vennero edificate numerose ville rustiche, secondo un modello di occupazione basato, almeno inizialmente, sulla piccola e media proprietà e costituito da aziende agricole usualmente abitate dai rispettivi proprietari ed economicamente soprattutto indirizzate verso la produzione delle risorse indispensabili al proprio mantenimento; sono questi ad esempio i casi nel territorio morenico delle ville di località Mansarine di Monzambano e di S. Cassiano di Cavriana. Tale modello presentava tuttavia una significativa variabile nella zona rivierasca, dove sono documentati alcuni splendidi esempi di lussuose ville urbano – rustiche, vere e proprie ville di otium destinate ad un utilizzo residenziale da parte dei proprietari. Oltre al celeberrimo caso della villa delle Grotte di Catullo di Sirmione, appartengono a tale categoria la villa di località S. Cassiano di Padenghe, la villa di località Capra a Toscolano ed il più tardo straordinario complesso di località Borgo Regio di Desenzano. Per l’edificazione di queste ville, sempre localizzate nei punti paesaggisticamente più ameni della riviera, dovettero essere effettuati interventi architettonici di notevole portata in modo da poter sfruttare ed adattare la costruzione all’ambiente naturale. La portata di questi interventi, le dimensioni, la qualità e la destinazione d’uso degli edifici inducono ragionevolmente a ricercare l’origine delle risorse che ne ga-rantirono la costruzione in personaggi di alto rango insediati a Verona e Brescia, come i veronesi Valerii ed Herennii presenti a Sirmione o i bresciani Nonii testimoniati tra Toscolano ed il Sommolago.

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    Sirmione: villa romana

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    Rocca di Manerba

  • Il Medioevo: castelli e pievi

    Alla fine dell’età romana le mutate condizioni politiche, sociali ed economiche determinarono nel territorio gardesano l’ascesa dei centri fortificati di Sirmione e Garda. Dalle prime e presumibilmente urgenti opere difensive costruite per contenere le incursioni dei Goti di Alarico derivò infatti nell’area benacense un complesso sistema difensivo destinato ad esercitare un ruolo significativo a partire dalla guerra tra Goti e Bizantini fino alle prolungate fasi della conquista longobarda; di tale sistema sono ad oggi noti, oltre all’ampliamento del castrum di Sirmione, il sito del grande castello di Garda e le piccole fortificazioni del Monte Castello di Gaino e di S. Giovanni sopra Riva del Garda. Successivamente, con la conquista longobarda, Sirmione divenne il centro principale di un distretto, una iudiciaria, alle cui dipendenze era un ampio territorio comprendente l’area collinare a sud del Garda fin quasi a Mantova e, a nord, la piana di Riva ed Arco. La forte presenza dei sovrani e di personaggi di alto rango a Sirmione, testimoniata dai documenti e dai ritrovamenti archeologici, assicurò alla città benacense una posizione di assoluto rilievo per quasi due secoli e di converso fu molto probabilmente anche una delle cause del suo rapido decadimento al momento della conquista carolingia che, quasi a rompere ogni legame con la dinastia longobarda, ne sancì l’attribuzione al monastero di Tours, determinando la disgregazione pri-ma e la scomparsa poi del distretto. Tra la fine del X secolo e gli inizi dell’XI, la parte meridionale dell’anti-co distretto venne assorbita nelle proprietà della città di Mantova, mentre il resto del territorio, Sirmione compresa, andò forse a gravitare nell’orbita della città di Verona. In questo periodo anche l’area garde-sana fu intensamente toccata dal fenomeno dell’incastellamento, secondo un processo che portò alla nascita di numerosissime fortificazioni, sovente in materiali deperibili, cui si sostituirono soprattutto a partire dal XIII secolo possenti strutture in muratura. Questi castelli, spesso destinati al ricovero tempo-raneo, ma talora – come nel caso di Castellaro Lagusello – concepiti come veri e propri borghi fortificati, sorsero in ciascuno dei paesi e dei borghi gardesani, nei punti maggiormente elevati e meglio difendi-bili. Essi, pur recando gli inevitabili segni lasciati dal tempo e dalle vicende storiche, sono giunti sino a noi in straordinarie condizioni di conservazione e rappresentano uno dei segni antropici più qualificanti del territorio. Analogamente caratterizzante è il sorprendente rapporto di simbiosi con il paesaggio benacense che hanno le antiche pievi, molte delle quali di origine romanica, disseminate nel territorio e sovente sorte nelle aree di precedenti insediamenti di epoca romana e altomedievale. Impossibile è non rimanere affascinati dalla suggestione di edifici quali - solo per citare alcuni esempi - le isolate pievi di S. Emiliano di Padenghe, di S. Pancrazio di Montichiari, di S. Maria di Cavriana o di S. Zeno di Castelletto di Brenzone, le cui sobrie linee architettoniche sembrano quasi manifestare anche un segno tangibile di estremo rispetto nei confronti della naturale bellezza dei luoghi. Spesso celati da questi edifici o da chiese di più recente costruzione si nascondono tuttavia anche le tracce materiali della primitiva cristia-nità, che tornano alla luce grazie alla ricerca archeologica. Si tratta tanto di edifici espressione del culto di collettività numerose, quali ad esempio la chiesa cimiteriale di S. Pietro in Mavinas di Sirmione o la chiesa castrense della Rocca di Garda, entrambe databili al VI secolo, quanto di comunità monastiche, come nei casi dei monasteri di S. Salvatore di Sirmione o di Maguzzano di Lonato, fondati in età longo-barda, od ancora di piccole cappelle private, espressione del culto famigliare, come nei casi degli oratori di S. Pietro di Tignale e S. Pietro di Limone, costruiti tra il periodo longobardo e l’età carolingia.

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    Pieve di Cisano

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    Torri del Benaco

  • La perdita del paesaggio agrario ( e non solo) è oggi un’emergenza nazionale che, nonostante una buona legislazione, non sembra arrestarsi. La pianura padana, nello specifico, è segnata da una costan-te crescita delle aree edificate a discapito di quelle agricole, con conseguenti ricadute negative sulla vivibilità di ampie zone. Lo stesso secolare paesaggio veneto, patrimonio culturale tra i più ammirati al mondo, viene sacrificato per inseguire il mito dello sviluppo industriale. Non è, comunque, scomparsa l’attività agricola che, grazie al successo della viticoltura - pur con tutti i limiti delle monocolture - e grazie alla promozione dei prodotti locali, sembra offrire alternative all’opzione industriale; pure il ten-tativo di recupero del sistema insediativo storico per una sua intelligente fruizione turistica porta ad una maggiore attenzione nei confronti dell’esistente. Poco, ma queste sono, oggi, le prime espressioni di un modo diverso di governare le trasformazioni del territorio, modalità forse in grado di mettere in moto un processo virtuoso in grado di ri - umanizzare i luoghi. Si tratta di una scommessa che potrebbe anche essere vinta, così come la vinsero i veneziani più di cinquecento anni fa, grazie alla capacità gestiona-le ed imprenditoriale della classe nobiliare direttamente impegnata nella valorizzazione della terra. La coltivazione dei campi, abbandonata durante il medioevo, venne fatta oggetto di studi, le acque furono regolate, i terreni bonificati, gli acquitrini prosciugati e molti corsi d’acqua, che un tempo scorrevano liberi, ricondotti all’interno dei loro alvei. Il paesaggio iniziò ad assumere quel caratteristico aspetto ordinato e armonico tante volte restituito nei dipinti di sommi pittori veneti, da Bellini a Giorgione, da Cima a Tiziano. Nella ubertosa campagna, punteggiata qua e là da antichi borghi, iniziarono a comparire sempre più frequentemente “le ville”, complessi agricoli costituiti da edifici per conservare e lavorare i prodotti per i campi, con dimore per i contadini, per i fattori. Al centro di tali aziende spiccavano le re-sidenze padronali, esemplari manifestazioni architettoniche di un’organizzazione sociale e civile che è stata, giustamente, denominata “Civiltà della villa veneta”. Perché, se è vero che le ville sorsero in tutta Italia tra i secolo XV e XVIII, fu soprattutto nel Veneto che il fenomeno assunse caratteri originali, stretta-mente collegati alla positiva relazione tra la cultura e la gestione amministrativa e politica del territorio. Molte della ville storiche che ancora sopravvivono nelle aree circumlacuali gardesane sono impaga-bili testimonianze di questa civiltà, ad iniziare dalla villa Maffei Sigurtà a Valeggio, circondata da uno straordinario parco, la cui realizzazione è l’espressione del profondo e secolare rapporto culturale tra i proprietari e lo spirito del luogo. L’amore per il paesaggio lacuale mosse anche Agostino Brenzoni che, verso la metà del ‘500, volle creare a San Vigilio di Garda il posto “più bello del mondo”. Nella superba cornice creata dall’incontro tra lago e montagna vive ancora oggi il “paradiso” di Agostino, spazio dove natura e cultura hanno trovato la loro armonica congiunzione. Terreni ben coltivati e parchi circondano la villa dei Pellegrini a Castion, quella dei Becelli a Costermano, dei Mazzuchelli a Ciliverghe mentre il lago si spalanca dinnanzi alla teatrale dimora dei Bettoni a Bogliaco. Tante altre sono le ville rinascimen-tali che punteggiano il territorio gardesano e delle colline moreniche, alcune di queste sono divenuti poli di attrazione residenziale, come villa Carlotti a Caprino, la cui presenza ha determinato l’espansione dell’abitato antico, o come villa Arrighi Tacoli a Castellaro, armonicamente inserita nell’abitato medie-vale del paese. Pure le ville del mantovano, sorte come luoghi di soggiorno per i membri della corte gonzaghesca, conservano giardini che mediano l’inserimento dell’architettura nella natura, si pensi alla suggestiva cornice di villa Gonzaga Cavriani a Volta Mantovana. A ben vedere il carattere peculiare di tutti gli edifici citati - come di tutte le ville - nasce dal loro legame con il contesto territoriale, una qualità che si coglie perfettamente nelle fotografie aree, grazie alle quali è possibile leggere la bellezza architet-tonica dei complessi e, soprattutto, apprezzarne la funzione di perni territoriali, regolatori dell’armonia del paesaggio.

    Le Ville circumlacuali gardesane

    Villa Pellegrini Cipolla a Costermano

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    Garda: Punta San Vigilio

  • Nella coscienza collettiva degli italiani S. Martino e Solferino rappresentano meglio di ogni altro luo-go il Risorgimento, cioè le aspirazioni di un popolo a divenire Nazione, liberando il proprio territorio dal-la dominazione straniera. Guardandolo ora, parrebbe impossibile che un paesaggio così bello, situato in una zona strategica posta alla confluenza di diverse vie di comunicazione, che attraversano la pianura padana, con quelle che scendono dal Tirolo, sia stato il palcoscenico di una delle più cruente battaglie dell’Ottocento, della quale ricorre proprio nel 2009 il 150° anniversario. Più di 300.000 armati si affron-tarono su un fronte di 20 km: lo spettacolo fu così sconvolgente e cruento che un ignaro spettatore, lo svizzero Henry Dunant, proprio a Solferino, concepì l’idea di un’organizzazione caritatevole ed assoluta-mente imparziale che portasse soccorso ai feriti ed ai moribondi di uno o dell’altro schieramento, senza distinzione tra vincitori e vinti; più tardi, l’avrebbe chiamata “Croce Rossa”, ispirandosi alla neutralità della Svizzera ed invertendo semplicemente i colori del vessillo nazionale dello stato alpino. Migliaia di soldati piemontesi con i loro ufficiali hanno combattuto, si sono sacrificati ed hanno immolato la loro vita liberando il proprio territorio dalla dominazione straniera per degli ideali che forse sembrano lontani, che oggi noi non sempre riusciamo a percepire con la necessaria intensità emotiva; l’evento trascorso, tuttavia, ritrova nei musei e nei luoghi che ne conservano la memoria un potente strumento di comunicazione. Troviamo a Solferino “La Rocca”, “il Museo della battaglia” e “l’Ossario”, che testimo-niano le fasi dello scontro, conservando non solo le divise dei militari, le armi, le mappe cartografiche e i messaggi, ma anche le spoglie di alcune migliaia di sventurati combattenti, morti nel fiore della loro età. A San Martino, invece, alle spalle della Torre, vi è il Museo che conserva i cimeli, i documenti ed i ricordi dello scontro tra Piemontesi e Austriaci. Se a Solferino, la Croce Rossa Internazionale ha voluto edificare un “Memoriale”, intendendo così manifestare la sua vocazione sovrannazionale ed umanitaria, a Casti-glione delle Stiviere, nel settecentesco nobile palazzo Triulzi-Longhi, ha allestito il Museo Internazionale della Croce Rossa dove si possono osservare strumenti chirurgici, lettighe e attrezzature da campo delle varie epoche che testimoniano l’attività passata e presente dell’organizzazione. Continuando in questo ideale tour dei luoghi della memoria si giunge a Cavriana, dove fisicamente si sono scorti gli effetti immediati della guerra, poiché a “Villa Mirra” soggiornarono uno dopo l’altro l’Imperatore Francesco Giuseppe e Napoleone III, con una presenza a distanza di ore dei due condottieri determinata dalla vit-toria sul campo. L’imperatore austriaco con la sua armata, sconfitta ma non distrutta, ebbe comunque il tempo sufficiente per passare il Mincio a Goito e rifugiarsi a Peschiera, baluardo, con i suoi numerosi forti e strutture militari, di una delle massime “regioni fortificate” d’Europa, il famoso “Quadrilatero”, i cui altri capisaldi erano rappresentati oltre che da Peschiera da Verona, Mantova e Legnago. Villafranca è l’ultima stazione del nostro viaggio ideale: il nome di questa città rappresentò per i piemontesi un incu-bo. Qui, gli interessi convergenti, anche se per motivi diversi, di Austria e Francia fecero approdare ad un armistizio; la popolarità di Napoleone, immensa fino a Solferino, crollò di colpo dopo questo atto e un coro di sdegnate proteste si levò da tutta l’Italia: tradimento! Alla fine, con la pace di Zurigo del 10 no-vembre 1859, la Lombardia veniva ceduta, ma l’Austria volle farlo a Napoleone, che a sua volta la donò all’alleato piemontese. Ma non lo fece senza contropartite: oltre alla Savoia, la cui cessione era prevista nei patti, l’imperatore pretese Nizza, anche se Cavour fece di tutto per salvare la città natale di Garibaldi. Non si poteva ancora parlare di “Unità d’Italia” ma le battaglie di Solferino e San Martino avevano fatto avanzare ulteriormente l’idea unitaria. I tempi erano maturi per la nascita di uno Stato nazionale: il 17 marzo 1861 non era poi così lontano.

    I Luoghi della memoria

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    Desenzano: torre di San Martino

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    Fortificazione austriaca a Peschiera del Garda

  • Il microclima favorevole determinato ora dal grande bacino lacustre, protetto da catene montuose e dalla fascia collinare a sud, ha permesso alla vegetazione di manifestarsi in varietà e colori che fortemen-te caratterizzano il territorio gardesano. Gli oliveti dominano le pendici ed i terrazzamenti dell’intero ba-cino in cornici spettacolari impreziosite dalla svettante presenza dei cipressi. L’uomo ha fatto dell’olivo una pianta simbolo del lago traendo dai suoi frutti un olio dalle tonalità dello smeraldo e dai profumi e dai sapori forti e gentili. La presenza che più colpisce è costituita, sulla sponda occidentale del lago, dalla coltivazione dei limoni, che, protetti da particolari strutture, vegetano e producono frutti che han-no dato il nome alla suggestiva Riviera dei Limoni e allo struggente paese di Limone, abbarbicato sulla sponda settentrionale del lago. Il lago è però altrettanto conosciuto dalle popolazioni europee perché un suo paese, Bardolino, ha legato il suo nome ad un altrettanto celebre vino, il Bardolino per l’appunto, che nasce dal sapiente uvaggio di varietà autoctone coltivate da millenni. I vigneti, da Garda fino a Salò, si estendono, in felice connubio con gli oliveti, su tutta la fascia collinare, dando origine a ben quattro vini riconosciuti con la D.O.C. (Denominazione di Origine Controllata): il rosso Bardolino, il bianco Luga-na, strepitoso per la sua eleganza e la sua sapidità, il chiaretto, che nella Valtenesi afferma personalità in colore ed in caratteri organolettici di grande livello, il S. Martino della Battaglia, raro ma ugualmente prezioso.Il Custoza è prodotto nella omonima località posta sulle colline moreniche sud orientali. Sem-pre più apprezzati sono anche i bianchi e i rossi DOC delle colline moreniche mantovane. La campagna che degrada dalle colline verso la pianura padana trova infine nelle coltivazioni di mais, frumento, orzo, foraggere, ma anche di colza e girasoli, forme e colori che arricchiscono i suggestivi paesaggi che fanno di questo territorio un quadro di straordinaria composizione e bellezza.

    Le colture pregiate

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    Colline moreniche nel basso Garda

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    Limonaia a “Pra de la Fam”

  • L’archeologia Industriale studia tutte le testimonianze, materiali e immateriali appositamente create al fine di attuare processi industriali per approfondire le conoscenze del passato industriale, . Le testi-monianze attraverso cui l’archeologia industriale può giungere a questa conoscenza sono i luoghi dei processi produttivi, le tracce archeologiche causate da questi, i mezzi e i macchinari attraverso cui questi processi si sono attuati, i prodotti di questi processi. Il periodo studiato dall’archeologia industriale inizia e coincide con la rivoluzione industriale e termina ai nostri giorni. Dopo la seconda guerra mondiale, l’opera di ricostruzione nella quale furono coinvolte le principali città, portò alla distruzione di nume-rosi edifici e strutture che avevano avuto importanza nel Settecento e nell’Ottocento per l’evoluzione economica, industriale e sociale e che alla fine degli anni cinquanta non avevano più nessuna utilità. Alla demolizione si opposero associazioni che vedevano in queste strutture una reale testimonianza del passato e della cultura materiale. Ma se è vero che in certi interessanti e meritevoli casi, strutture ed opi-fici sono stati in questi ultimi decenni riscoperti, restaurati e rivalutati in modo da divenire contenitori per centri studi e poli museali, in tanti altri sono diventati invece luoghi di speculazione edilizia. Infatti molte delle strutture industriali che risultavano periferiche rispetto alla città, a seguito della espansio-ne di queste che ha dilagato nelle campagne, una volta dismesse si sono ritrovate ad occupare spes-so posizioni strategiche delle città con il conseguente interessamento di immobiliaristi senza scrupoli che vedono in questa testimonianza del passato un sistema di guadagno attraverso la loro trasforma-zione in appartamenti, uffici, loft, alberghi ecc. Così fabbriche, cotonifici, mulini, limonaie, sono state snaturati, trasformati e immessi nel mercato immobiliare a prezzi decisamente elevati sottraendo alla comunità una testimonianza del suo passato, con l’impoverimento delle proprie radici materiali. Per quanto riguarda il nostro territorio vengono proposte le limonaie, le cartiere di Toscolano,il cotonificiodi Campione, la fabbrica di munizioni di Castelnuovo del Garda e lo straordinario mulino a quattro ruote, funzionante dal 1300 sul Mincio, a Massimbona di Goito.

    Archeologia industriale

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    Cavriana, la fornace

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    Valeggio sul Mincio: Ponte Visconteo a Borghetto

  • Il lago di Garda, il più grande lago italiano, con i suoi grandiosi scenari ed una superficie che si esten-de su tre regioni - Lombardia, Veneto e Trentino - ha sempre attirato un turismo di massa anche di tipo balneare e termale. La vera origine dell’ “industria del forestiero” nacque sulla Riviera bresciana nord-occidentale già alla fine dell’Ottocento. Il pioniere del turismo moderno fu l’ing. Luigi Wimmer a Gar-done Riviera: ricalcando le orme di Goethe, egli vi si stabiliì intorno al 1870 ed iniziò a progettare ville ed alcuni alberghi, uno dei quali fu ampliato dopo la sua morte sino a diventare un importante edificio del lussuoso Grand Hotel Gardone Riviera. Lentamente nacquero altri alberghi, ville liberty e giardini, attirando un’elegante clientela cosmopolita; la fama del luogo aumentò quindi ulteriormente dopo che Gabriele d’Annunzio fece edificare il Vittoriale degli italiani. Nei piccoli centri ricchi di fascino della Rivie-ra veronese il turismo arrivò invece intorno agli anni Trenta del secolo scorso, quando venne realizzata la strada Gardesana orientale; risalgono a quel periodo i primi lungolago pedonali. A partire dagli anni Cinquanta al turismo di tipo internazionale con soggiorni lunghi, si è affiancato il turismo motorizzato, “mordi e fuggi”, caratterizzato da una sosta breve di qualche ora o per il solo fine settimana, che deter-mina durante la stagione estiva e le festività la congestione del traffico. Più recente è il turismo delle “seconde case”, che in pochi anni ha portato a cambiamenti radicali, spesso altamente dannosi per il territorio. La fascia perilacuale è infatti ormai interamente occupata da seconde case, campeggi, ville, alberghi e da altri fabbricati turistici, al punto che è già iniziata l’edificazione di strutture ricettive simili nelle zone di pregio più interne, sulle Colline moreniche, dove si sta costruendo moltissimo, creando intorno ai centri rurali aree urbanizzate ed estese lottizzazioni che ben poco hanno a che fare con le pe-culiarità dei luoghi. A tali modalità di frequentazione si sono infine affiancati negli ultimi anni il turismo sportivo ed il turismo dei Parchi di divertimento. A proposito di questi pare più che sufficiente limitarsi a ricordare che il solo parco di Gardaland, tra i primi al mondo per fatturato, si sviluppa su una superficie di 600.000 m² ed attira oltre tre milioni di visitatori all’anno.

    Lo sviluppo turistico del lago di Garda

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    Gardaland

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    Peschiera del Garda

  • La terra, intesa proprio come il terreno che calpestiamo, non è qualcosa su cui si è portati a riflette-re granché. Eppure per la formazione di un centimetro di suolo fertile è necessario un intero secolo, mentre per qualche decimetro bisogna aspettare centinaia se non migliaia di anni: come per il petrolio, bisogna cominciare a considerare che la terra, non solo per estensione, è una risorsa finita. Il consumo del territorio è dunque uno degli aspetti di maggiore rilevanza della questione ambientale in Italia e va considerato come la forma più pericolosa di inquinamento: oltre a divorare inesorabilmente tratti di territorio integri, esso apre infatti anche la strada all’incremento del traffico su gomma e ad ogni sorta di inquinamento. Tra i più tristi primati che l’Italia può oggi vantare c’è purtroppo quello di essere tra i maggiori produttori-consumatori di cemento: circa 800 chili di cemento pro capite, più degli USA, del Giappone e della Russia. Gli esperti del settore hanno inoltre calcolato che dal 1990 al 2005, in Italia, è stata sommersa sotto una coltre di cemento una superficie di circa tre milioni di ettari, pari ad un’area che coincide con le regioni del Lazio e dell’Abruzzo. Tra tutte le regioni la Lombardia è certamente la più sottoposta alla cementificazione ed il territorio gardesano costituisce purtroppo l’emblema di questa tendenza: secondo i dati raccolti dal Collegio dei Costruttori, il Garda è diventato la prima area della Provincia di Brescia quanto a edificazioni, con proiezioni future tutt’altro che confortanti. I principali meccanismi attraverso i quali si concretizza tale disastroso fenomeno dipendono in larga parte dalla costruzione di seconde e terze case, di centri commerciali e dalla realizzazione di cave e campi da golf.

    Il consumo del territorio

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    Lazise

  • Molti comuni hanno favorito l’attività edilizia per rimpinguare i loro bilanci, con lottizzazioni di ogni genere, senza pensare né alle reali necessità né tantomeno alle conseguenze di degrado e di impatto ambientale. A questo riguardo ci limitiamo a sottolineare come l’ultimo censimento effettuato abbia evidenziato che sulla sola Riviera bresciana del Garda le abitazioni non occupate risultavano essere circa 17.000.

    Le seconde e terze case

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    Padenghe

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    Desenzano

  • Secondo i dati della FAID, la Federazione Italiana della Grande Distribuzione, negli ultimi anni il nu-mero degli ipermercati, ovvero i centri aventi una superficie di vendita pari ad almeno 2.500 metri qua-drati, è più che triplicato. La densità di questi centri è purtroppo largamente sovradimensionata rispetto alle reali esigenze degli utenti e comporta, a cascata, una serie di conseguenze sugli assetti territoriali e sull’impatto urbanistico, non ultima quella dei flussi di traffico che condizionano inevitabilmente un sistema viabilistico già congestionato.

    I centri commerciali: 3 x 2 del territorio

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    Lonato: centro commerciale “Il Leone” in costruzione

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    Desenzano: centro commerciale “Le Vele” a ridosso della ferrovia

  • Manerba del Garda

    Il binomio cava-discarica è una deleteria opzione cui troppo spesso fanno ricorso le Amministrazioni locali: prima si sfrutta una parte del territorio per cavare, si utilizza il materiale per costruire infrastruttu-re e nuovi edifici, poi, anziché recuperare i valori ambientali compromessi, si cerca di lucrare sul ripristi-no destinando le cave dismesse a discariche o aree edificabili.

    Le cave e le discariche

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    Desenzano

  • Se all’estero vi è una tradizione sportiva golfistica consolidata, in Italia il “green” è soprattutto il pre-testo per clamorose speculazioni edilizie: la tendenza è infatti quella di costruire campi da golf anche dove non vi è richiesta, trattandosi di un ottimo espediente per aggirare i vincoli urbanistici, visto che le attuali normative nazionali considerano le costruzioni annesse ai campi da golf esentate da ogni valutazione di compatibilità con gli strumenti urbanistici esistenti. Possono essere infatti costruite mi-riadi di strutture, quali club houses, alberghi, villette, mini appartamenti, ristoranti, piscine e discoteche. Emblematico a tale riguardo è ancora una volta il caso della Lombardia, in particolare tutta la zona del Lago di Garda, dove ben otto campi da golf sono gia attivi ed ora, senza alcun pudore, si sta cercando di costruirne altri nelle zone di maggior pregio delle Colline Moreniche.

    I campi da golf

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    Campo da golf “Arzaga”

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    Campo da golf a Pozzolengo

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