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§ PARAGRAFO RIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI

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§PARAGRAFORIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI

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ParagrafoRivista di Letteratura & Immaginari

pubblicazione semestrale

Redazione

FABIO CLETO, DANIELE GIGLIOLI, MERCEDES GONZÁLEZ DE SANDE,FRANCESCO LO MONACO, FRANCESCA PASQUALI, VALENTINA PISANTY,

LUCA CARLO ROSSI, STEFANO ROSSO, AMELIA VALTOLINA

Segreteria di Redazione

STEFANIA CONSONNI

Ufficio 211Università degli Studi di Bergamo

P.za Rosate 2, 24129 Bergamo - tel: +39-035-2052744 / 2052706email: [email protected] - web: www.unibg.it/paragrafo

webmaster: VICENTE GONZÁLEZ DE SANDE

La veste grafica è a cura della Redazione

La responsabilità di opinioni e giudizi espressi negli articoliè dei singoli collaboratori e non impegna la Redazione

Questo numero è pubblicato con il contributo del Dipartimento di Lettere,Arti e Multimedialità e del Dottorato di Ricerca in Teoria e Analisi del Testo

© Università degli Studi di BergamoISBN – 978-88-95184-50-0

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QUESTIONI

§1. FRANCESCO GHELLI, Il potere del consumo fra storia e immagina-rio. Note in margine a L’impero irresistibile di Victoria de Grazia

§2. NUNZIA PALMIERI, L’epistolario di Umberto Saba. Storia di un’edi-zione mancata

§3. MARCO TOMASSINI, Il viaggio dell’eroe. Luther Blissett e le epifa-nie del molteplice

FORME

§4. FRANCESCA CAMURATI, Quando la tradizione è più forte della realtà.Il modello ariostesco nella Araucana di Alonso de Ercilla

§5. GIULIANA ZEPPEGNO, Sergio Toppi illustra Friedrich Dürrenmatt

LETTURE

§6. ANTONELLA AMATO, Rilke, Nietzsche, e il Compimento dell’amoredi Musil

§7. SUYENNE FORLANI, Per un’analisi del messaggio pubblicitario russo

§8. SARA PANAZZA, Zoomorfismi dell’anima. Epifanie di decentramentoin Argo e il suo padrone di Svevo

I COLLABORATORI DI QUESTO NUMERO

NUMERI ARRETRATI

ParagrafoIII (2007)

Sommario

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Innervato da una fluidità che ne ha caratterizzato l’agire e al tempo stessoha frustrato i tentativi di determinarne l’identità, nel quinquennio tra il1994 e il 1999 Luther Blissett è stato un enigma, sospeso tra vero e falso,reale e simulacrale. Alla sua base la prassi del nome multiplo ereditata dauna tradizione di movimenti ‘anti-artistici’,1 della quale si possono rin-tracciare precedenti illustri che vanno da Spartaco a Ermete Trismegisto,da Christian Rosenkreuz a Fulcanelli fino a Buddha.2 Si tratta della crea-zione di un’identità collettiva, una metaforica maschera liberamente in-dossabile e generatrice di un duplice effetto: impedire l’individuabilità dichi la veste e permettere a chiunque di inscriversi nella fama del perso-naggio sovra-individuale, che a sua volta non risulta quindi identificabilecon nessuno di coloro che ne condividono le ‘fattezze’.

Luther Blissett, già calciatore inglese di origini giamaicane noto per lasua sfortunatissima esperienza italiana nella stagione 1983-84,3 è dunquela firma posta in calce alle eterogenee esperienze vissute da chi ne ha con-diviso negli anni il progetto, che prevedeva il lancio nel mainstream di un

1 Si fa riferimento ai quei movimenti (Dada, Lettrismo, Situazionismo, Mail Art, Neoi-smo e altri ancora) di cui Stewart Home parla nel suo The Assault on Culture: UtopianCurrents from Lettrisme to Class War (1991), trad. it. Assalto alla cultura. Correnti utopisti-che dal lettrismo a class war, a cura di Luther Blissett, Bertiolo: AAA, 1993. Movimenti che,nel corso del ventesimo secolo, rifiutando qualsiasi specializzazione si muovono libera-mente tra arte, politica, architettura e urbanistica.

2 È lo stesso Luther Blissett a passare in rassegna i precedenti leggendari del ‘nome mul-tiplo’ in Totò, Peppino e la guerra psichica 2.0, Torino: Einaudi, 2000, pp. 12-13. D’ora in-nanzi, la sigla TP farà riferimento a questo volume.

3 La scelta sarebbe caduta sul nome di Luther Blissett proprio per le caratteristiche ‘sov-versive’ del calciatore (che nella sua proverbiale incapacità sembrava, volendo, giocare pergli avversari), ma anche per l’assonanza con l’inglese looter bliss, razziatore, plagiario felice.

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Marco Tomassini

Il viaggio dell’eroeLuther Blissett e le epifanie del molteplice

PARAGRAFO III (2007), pp. 47-65

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misterioso personaggio nato ‘dal basso’, da un network di “‘artisti’ senzaopere, attivisti post-politici, operatori di media indipendenti come radio,BBS, ecc.” (TP, p. 11), ma disponibile a essere ‘incarnato’ da chiunque.Un personaggio che, facendo leva sull’elusività garantita dal nome multi-plo, avrebbe potuto costruire la propria reputazione scavalcando i recintirappresentati dai marchi, dai diritti d’autore e più in generale da tutto ciòche impediva la libera circolazione di idee e conoscenze. Colossale ‘scatolavuota’, Luther Blissett avrebbe infatti potuto riempirsi illimitatamente,plagiando, contaminando e rimettendo in circolo storie e saperi, moder-no Robin Hood della comunicazione. Ma il progetto prevedeva ancheche un simile personaggio, dapprima virtuale, divenisse a poco a pocosempre più reale, guadagnandosi un ‘peso specifico’ crescente nel panora-ma culturale italiano e internazionale. L’obiettivo era infatti quello di farsì che Blissett, al termine del quinquennio, acquisisse una fama tale dapotervisi insediare stabilmente, avendo così la possibilità di introdurvielementi di novità che contribuissero col tempo a modificarlo.

A questo scopo, evadendo i fisiologici limiti di una cultura undergrounde rifiutando la coagulazione entro i confini dell’arte, Luther adotta uno stile‘tattico’,4 diffondendosi tra le maglie di quell’overground dei media e dellacultura pop da cui desidera essere ‘recuperato’, e del quale si studiano tuttele possibili ‘falle’ da sfruttare a proprio vantaggio. In quella che si configuracome una vera e propria “guerriglia mediatica”,5 fatta di beffe clamorose eazioni eclatanti, i mezzi di comunicazione vengono così cooptati in un gio-co che ha come obiettivo proprio la diffusione e il propagarsi della fama diLuther Blissett. Ma negli anni nessuna lettura del progetto sembra in gradodi esaurirne i contenuti, e nel momento in cui si suppone di averne defini-to la ‘fisionomia’, il suo ‘volto’ e la sua firma riappaiono sotto altre vesti.

La difficoltà di risalire a un’identità, fisica o teorica, del progetto, non

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4 Si fa riferimento alla definizione di ‘tattica’ come “azione calcolata che determina l’as-senza di un luogo proprio”, formulata da Michel De Certeau in L’invention du quotidien(1974), trad. it. di Mario Baccianini, L’invenzione del quotidiano, Roma: Edizioni Lavoro,2001, pp. 73-75. D’ora innanzi la sigla IQ rinvia a questo volume.

5 Luther Blissett la definisce “metodo omeopatico di difesa dall’ingerenza/presenza deimedia nell’immaginario collettivo e nella nostra vita. Rivoltando contro i media le lorostesse armi […] si pubblicizza un nuovo modo di fruire i media, interattivo e paritario, incui la potenza dei grandi mezzi di comunicazione di massa viene ridimensionata” (TP, pp.29-32). Gli operatori di stampa e tv vengono beffati di continuo, tanto che la reputazionedel ‘terrorista mediatico’ cresce al punto tale da vedersi attribuire azioni che non ha maieffettivamente compiuto.

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viene diminuita nemmeno dalla comunicazione ‘in positivo’ attuata dallastrana creatura multipla, articolata anch’essa in una molteplicità di forme:col suo nome vengono condotte campagne di controinformazione, pub-blicati libri, fanzine e manifesti, realizzate trasmissioni radiofoniche eperformance teatrali.6 Ogni manifestazione contribuisce ad arricchire laproteiforme fisionomia di Blissett, che a sua volta mette in pratica unacontinua auto-storicizzazione in cui ‘lui stesso’ racconta le proprie mul-tiformi epifanie, pubblicizzandole e invitando a prendere parte al proget-to. Col tempo dunque la fama di Luther Blissett assume una ‘consistenza’sempre maggiore, pronta, allo scadere del quinquennio previsto, a esseredefinitivamente spesa per consentire a chi ha preso parte al progetto di fa-re il proprio ingresso nel mainstream.

L’occasione si presenta quando nel 1999 Einaudi gli offre la possibilitàdi pubblicare un volume: contro ogni aspettativa, alla casa editrice vieneproposto Q, ponderoso romanzo storico ambientato nel sedicesimo seco-lo, la cui trama si offre anche come una sorta di allegoria delle esperienzevissute all’insegna del nome multiplo. Grande successo editoriale, il volu-me come previsto segna anche la fine del progetto, che non avrebbe com-portato la dissoluzione del personaggio Luther Blissett, quanto piuttostoil metaforico suicidio7 dei suoi partecipanti ‘storici’, che avrebbero smessodi utilizzarne la firma per avviare una nuova fase della ‘lotta’: non più daimargini ma direttamente dal cuore dell’industria culturale.8

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6 Per un quadro completo delle forme prese dal progetto si veda il sito-archivio<www.lutherblissett.net>.

7 Luther Blissett lo definisce col termine giapponese seppuku, suicidio rituale in cui unsecondo officiante decapitava il primo dopo che questi si fosse già inferto una ferita mor-tale. Allo stesso modo, come spiega lui stesso, chi in futuro avesse adottato il nome multi-plo, arricchendolo di nuove esperienze, avrebbe contribuito alla simbolica ‘decapitazione’dei primi partecipanti al progetto (TP, pp. 7-9).

8 La fama di Luther Blissett è stata spesa in modi diversi, ma certamente l’esperienzapiù nota è quella di Wu Ming, ‘atelier narrativo’ di cui fanno parte i quattro autori di Q eun quinto membro. Il rifiuto dell’ideologia del genio autoriale, la prassi scrittoria di tipocollettivo e ‘artigianale’, la continua presenza presso le comunità dei lettori, le tante inizia-tive a favore della libera circolazione dei saperi, i successi editoriali (per citarne solo due,54 e l’ultimo Manituana, esperimento concreto di transmedia storytelling, narrazione alcui ‘mosaico’ contribuiscono tanti diversi segmenti autonomi articolati su più piattaformemediali), oltre a tanti altri motivi, ne fanno uno dei ‘casi’ più rilevanti nel panorama cul-turale degli ultimi anni, esempio pratico di come l’esperienza del Luther Blissett Project,una volta infiltratasi nel mainstream, abbia contribuito concretamente a modificarla. Perulteriori informazioni si veda il sito <www.wumingfoundation.com> e Wu Ming, giap!, acura di Tommaso De Lorenzis, Torino: Einaudi, 2003.

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Questa, sommariamente, la parabola tracciata da Luther Blissett nellaseconda metà degli anni Novanta. Tuttavia, se si desidera analizzare più inprofondità il modo in cui il progetto è stato realizzato e come abbia avutosuccesso, uno dei tanti percorsi che è possibile seguire conduce indietronel tempo, fino al sedicesimo secolo, e più precisamente al periodo com-preso tra il 1556 e il 1558. In quegli anni si colloca infatti il viaggio diJean De Lery, descritto da Michel De Certeau come un precursore dellamoderna etnologia, alla ricerca di una terra dove realizzare il “linguaggiodi una convinzione nuova (riformata)”,9 e prototipo di quella ‘operazionescritturale’ che il filosofo francese colloca alla base della formazione del si-stema moderno e occidentale.

L’invenzione dell’‘altro da sé’

Jean De Lery, scrive De Certeau, lascia la Francia alla volta del Brasile al-lo scopo di dare vita a un “rifugio calvinista” (EH, p. 219) nel NuovoMondo, pellegrinaggio alla rovescia dal centro della nascente modernitàverso i suoi margini più estremi. Tornato in Francia, a poco più di ventianni di distanza egli porta a termine la sua Histoire d’un voyage faict en laterre du Brésil, allo stesso tempo racconto di viaggio e, come lo definisceLévy-Strauss, “breviario dell’etnologo”.10 La storia segue un andamentocircolare: a partire da una netta distinzione tra un ‘qui’ (la Francia, l’Oc-cidente) e un ‘là’ (il Brasile, il Nuovo Mondo), che rimanda a unaprofonda frattura tra il soggetto che scrive e l’oggetto della scrittura, “[i]lracconto produce un ritorno da sé a sé attraverso la mediazione dell’al-tro” (p. 222). A permettere e a produrre tale separazione è proprio il pos-sesso di uno strumento “che mette immediatamente in causa un rappor-to di potere” (p. 225), ovvero la scrittura medesima, decisiva nel caratte-rizzare e distinguere chi ne fa uso (De Lery) da chi ne è privo (la tribùTupi con cui viene in contatto), chi osserva da chi è osservato, chi lette-ralmente ‘fa la storia’ da chi consente alla storia di ‘essere fatta’. De Cer-teau in particolare le attribuisce due proprietà: quella di conservare equella di superare le distanze. La prima, in virtù dell’isolamento dal realeconsentito dalla pagina bianca, preserva tanto l’identità del soggetto che

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9 Michel De Certeau, L’Écriture de l’histoire (1975), trad. it. La scrittura della storia, acura di Silvano Facioni, Milano: JacaBook, 2006, p. 220. D’ora innanzi, EH.

10 Claude Lévi-Strauss, Tristes Tropiques (1955), trad. it. di Bianca Garufi, Tristi Tropici,Milano: Il Saggiatore, 2004, p. 77.

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scrive (che non si contamina, non partecipa dell’oggetto della propriaanalisi), quanto la presunta verità dei contenuti. La seconda permetteuna colonizzazione dello spazio, grazie alla capacità di raggiungere desti-natari e obiettivi a prescindere dalla presenza fisica di chi scrive. La scrit-tura è “nella mano, […] ‘spada’ che prolunga il gesto ma non ne modifi-ca il soggetto” (p. 226).

Di fronte allo sguardo e alla penna di De Lery si staglia dunque l’oriz-zonte del mondo Tupi, radicalmente ‘altro’ rispetto al suo osservatore, ca-ratterizzato da un’oralità che inevitabilmente si colloca agli antipodi ri-spetto alla scrittura dell’occidentale: la parola né conserva, indissociabiledall’atto della sua enunciazione e dunque destinata a perdersi non appenapronunciata, né produce verità, essendo irriducibilmente molteplice e di-namica, contaminabile e non astraibile dal flusso in cui viene calata. DeCerteau racconta come tutti i primi capitoli dell’Histoire vengano impie-gati proprio per rimarcare tale differenza, frattura apparentemente insa-nabile, “faglia tra il Vecchio e il Nuovo” (p. 229): dalle creature che neabitano la natura alle usanze che caratterizzano il vivere sociale dellatribù, ogni elemento rinvia a una diversità o a una dissomiglianza rispettoal luogo di provenienza ‘civilizzato’ dello scrittore, organizzando così conuno scavo del ‘solco’, una netta separazione tra sé e altro da sé, il movi-mento di andata del simbolico viaggio scritturale da lui riprodotto. Maviene messo in luce anche come “il lavoro di ricondurre la pluralità deipercorsi all’unicità del centro produttore [sia] proprio quello che viene ef-fettuato dal racconto di Jean De Lery” (p. 228). A poco a poco, ciò che aun primo sguardo era avvertito e descritto come assoluta e irriducibile al-terità viene riportato a una sostanziale uniformità: “Una parte del mondoche sembrava radicalmente altro è ricondotta allo stesso attraverso l’effettodi sfalsamento che disloca la diversità per farne un’esteriorità dietro cui sipuò riconoscere un’interiorità, l’unica definizione dell’uomo” (p. 231). Invirtù della posizione esterna al proprio oggetto di studio consentitaglidalla pratica stessa della scrittura, De Lery è in grado, capitolo dopo capi-tolo, di mettere ‘in piano’ l’universo Tupi, rendendolo visibile attraversola sua circoscrizione. L’osservazione e la penna dell’occidentale possonocosì iniziarne un processo di segmentazione che ne frantuma la conti-nuità e ne smembra l’armonia, cui fa seguito una classificazione di taglioenciclopedico che minuziosamente ne elenca i singoli frammenti. L’auto-re sottopone ciascuna di queste sezioni prima a un’analisi e quindi a unarigorosa traduzione, che ignora la relatività della propria operazione e

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che, nel leggere il mondo dei Tupi, finisce in effetti col ri-scriverlo alla lu-ce di una ‘verità’, quella occidentale, che non viene né contaminata némessa in discussione dal contatto con l’altro. Tutte le differenze di cui DeLery si era stupito e le meraviglie da cui era rimasto incantato svanisconodi fronte all’insistenza di una ‘pulsione scopica’ che lo spinge a portare al-la luce la ‘verità’ dietro le apparenze: la falsa natura in cui sono immersi iTupi viene valutata in base a quella che si ritiene la ‘vera natura’ dell’Uo-mo, la società civile (“Alla fine è la natura a essere l’altro, mentre l’uomo èlo stesso”; p. 231); animali e piante vengono classificati in base a un crite-rio di utilità che ne giudica la commestibilità; i miti e più in generale l’in-tero sistema delle conoscenze Tupinamba diventano favole che necessita-no di un’interpretazione senza la quale ‘non sanno ciò che dicono’. Neltesto di De Lery la stessa iniziale alterità Tupi non esiste dunque più, econ essa la sua dignità e la sua autonomia, poiché l’esito del viaggio scrit-turale non è l’incontro con un altro da sé, bensì la sua produzione: l’“in-venzione del selvaggio” (p. 220).

Al riparo nell’isolamento della pagina bianca, fisicamente e cronologi-camente distante dall’oggetto della sua scrittura, il viaggiatore, scrittore eproto-etnologo De Lery porta dunque a termine il moto di ‘ritorno a sestesso’ senza che l’esperienza vissuta sembri averlo scalfito minimamente,irrimediabilmente estraneo a un altro ‘prodotto’ e quindi utilizzato al solofine di dare effettività al proprio linguaggio, ulteriore supporto e confer-ma della verità di chi scrive.

Il mito di Luther Blissett

La vicenda di Jean De Lery può essere rappresentativa della progressivaaffermazione di quanto che Michel De Certeau pone a fondamento dellamodernità, ovvero il “mito della scrittura”,11 pratica in grado di riarticola-re in base alle proprie procedure l’intera struttura della società occidenta-le, frantumando l’universalità di un discorso ‘ricevuto’ in una costellazio-ne di ‘isole’ autonome. Entro i confini astratti garantitigli dalla paginabianca, l’individuo non condivide più il senso di un messaggio identifica-

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11 “Intendo per mito un discorso frammentato che si articola sulle pratiche eterogeneedi una società e le articola simbolicamente. Nell’Occidente moderno questo ruolo non èpiù svolto da un discorso ricevuto, bensì da un discorso che è una pratica: scrivere. L’ori-gine non è più ciò che si racconta ma l’attività multiforme e mormorante che produce iltesto e crea la società come testo” (IQ, p. 198).

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torio che lo armonizzi con la società e la natura,12 per trasformarsi increatore ex-nihilo di un linguaggio e di un testo ‘originali’. Testo che, peressere credibile, deve parlare in nome del reale, ovvero deve incarnarsi, in-scrivendosi su un corpo, su un altro da sé, che, diventandone “legge isto-riata e storicizzata” (IQ, p. 214) e quindi ‘recitandolo’, ne renda imme-diatamente evidente la veridicità.

Il viaggio scritturale di De Lery era dunque destinato, con l’avanzaredella modernità, a essere replicato indefinitamente, riproducendone e alcontempo confermandone un modello leggibile in una pressoché inesauri-bile molteplicità di esperienze, e che risulta determinante anche per com-prendere il modo in cui, a secoli di distanza, si sia sviluppato il LutherBlissett Project. Una simile affermazione potrà essere forse più chiara dopoaverne analizzato una delle prime epifanie, che lo vede protagonista di unabeffa giocata nel 1994 ai danni de Il Resto del Carlino. Tra la primavera el’estate di quell’anno infatti la redazione del giornale emiliano si vide reca-pitare una grande quantità di lettere, scritte da cittadini bolognesi indigna-ti per i continui ritrovamenti di interiora di animali in vari luoghi pubblicidella città. Altri asserivano di aver assistito alla truculenta performance diun attore che, in pieno centro storico, fintosi preda di un attacco di con-vulsioni, aveva lasciato scivolare dalla camicia un sanguinolento intestinodi vitello. Pagine e pagine del giornale si riempirono così di ipotesi e inter-pretazioni, cui contribuirono anche storici dell’arte, sociologi e psicologi:ne nacque un acceso dibattito che si concluse solo dopo qualche mese conl’attribuzione dei macabri eventi a un oscuro ‘fenomeno’, espressione diuna nuova tendenza riconducibile all’alveo dell’arte contemporanea, bat-tezzato col bizzarro nome di “orrorismo” (TP, pp. 24-25).

È facile individuare in questa vicenda analogie con quella che vedeprotagonista De Lery. Vi compaiono infatti degli individui che produco-no un testo la cui verità si fonda sul (presunto) ‘corpo’ di un’alterità, cioèsu qualcosa di oscuro, di esorbitante rispetto al quotidiano, di non imme-diatamente traducibile nei termini di un linguaggio conosciuto, e cheproprio per questo è in grado di attirare l’attenzione dei mezzi di comu-nicazione, dando l’avvio a un contemporaneo ‘viaggio scritturale’. Viag-gio al termine del quale, anche in questo caso, ciò che appare altro è pre-

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12 Tra i tanti autori che hanno affrontato l’argomento, si fa riferimento in particolare aquanto Joseph Campbell scrive a proposito della funzione del mito, capace di armonizzarel’individuo nella società e questa nell’ambiente, in The Power of Myth (1988), trad. it. diAgnese Grieco e Vittorio Lingiardi, Il potere del mito, Milano: TEA, 2000, pp. 61-96.

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sto tradotto alla luce della propria verità e delle proprie convinzioni: i re-sti e le performance vengono isolati, ricondotti e delimitati entro i confi-ni rassicuranti dell’arte, e allo stesso tempo viene prodotto un fenomeno‘orrorista’ la cui esistenza, al di fuori del linguaggio e del discorso che lopartoriscono, è tutt’altro che certa, vero e reale per il solo fatto di esserereso tale dalla parola. L’unica sostanziale differenza rispetto all’esperienzadi De Lery sembra essere la direzione presa dal ‘viaggio’, che non conducepiù verso un Nuovo Mondo da tradurre o civilizzare, ma si indirizza piut-tosto verso i coni d’ombra, gli interstizi di un quotidiano sempre più per-vaso dall’incessante attività di quella che in L’invention du quotidien DeCerteau definisce “economia scritturale”, resasi nel tempo indipendentetanto dalla volontà dei singoli quanto da un effettivo rapporto con il rea-le, meccanismo celibe quanto i macchinari partoriti dall’immaginazionedi Marcel Duchamp o Franz Kafka.13 Se i suoi ingranaggi dunque siestendono al punto da non lasciare più spazio a una terra nullius da colo-nizzare, il viaggio verso l’alterità si rivolge necessariamente a quei margi-ni, a quelle fessure, a quegli spazi di gioco nel quotidiano dove una certalibertà di movimento è ancora possibile. ‘Gioco’ inteso come “libertà al-l’interno del rigore stesso, affinché questo acquisisca o conservi la sua effi-cacia”,14 ma anche come assoluta, fisiologica improduttività, nettamentedisgiunta dal ‘resto’ della vita quotidiana.

L’Altro, ciò che è oscuro e che attira lo sguardo, trova dunque il pro-prio campo di azione proprio in quegli spazi, in quella penombra inelimi-nabile e comunque funzionale all’economia scritturale, assumendo alcontempo la fisionomia di un’attività inutile al lavoro che la caratterizza,facilmente individuabile entro i confini di un ambito destinato a non in-cidere nel reale. Appunto, la fisionomia di un gioco. È d’altra parte lostesso De Certeau a scrivere di come il viaggio di De Lery produca, ac-canto a un’“invenzione del selvaggio” (EH, p. 220), una sua “estetizzazio-ne” (EH, p. 240): esposti all’osservazione, i Tupi vengono ricodificati inbase a un discorso occidentale improntato alla produttività, anche se laloro alterità non è del tutto traducibile: “Il profitto ‘riportato’ dalla scrit-

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13 Il riferimento è a Le Grand Verre: la Marièe mise à nu par ses célibataires, même di Du-champ e alla ‘macchina’ descritta da Kafka nel racconto In Der Strafkolonie, “miti di unareclusione nelle operazioni di una scrittura che si forgia indefinitamente e incontra sem-pre e soltanto se stessa” (IQ, p. 216).

14 Roger Caillois, Les jeux et les hommes (1967), trad. it. di Laura Guarino, I giochi e gliuomini, Milano: Bompiani, 2004, p. 8.

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tura sembra ritagliare un ‘resto’ che definirà anche il selvaggio e che nonsi scrive. Il piacere è la traccia di questo resto, […] una ricaduta, un resi-duo che [la scrittura] produce con successo ma a cui non mirava. […] Lafigura dell’altro, eliminata dal sapere oggettivo, ritorna sotto un’altra for-ma ai margini di questo sapere” (EH, pp. 238-39).

Il gioco, la festa, la favola, il canto, l’arte e più in generale l’oralità (nelsenso di ‘ciò che non è scritto’ e di conseguenza non ha né un’identità néun ‘luogo’ definiti)15 rappresentano dunque “l’incredibile contrappostoalla credenza religiosa, l’irrazionale in antitesi alla ragionevolezza, il sel-vaggio come rovescio del vivere civile”.16 Marcel Detienne scrive questeparole in riferimento al mito, delineando un atteggiamento che consideratipico di tutte le società in cui si sia passati da una cultura ‘tradizionale’,ossia fondata su una memoria collettiva i cui saperi erano “tessuti tra labocca e l’orecchio”,17 a una ‘scritturale’, dove la molteplicità costitutivadel mito, una volta messa in piano e resa visibile attraverso la scrittura,non può che apparire incoerente, falsa e bisognosa di un’interpretazioneche ne porti alla luce il senso, l’unica verità possibile.

Ma, nel caso dell’‘orrorismo’ e in molti altri a venire, il vero e il falsoerano destinati a sovrapporsi, generando una confusione dietro cui si sa-rebbe delineata la fisionomia di Luther Blissett. Sua era infatti la firmaapposta alla rivendicazione giunta alla redazione de Il Resto del Carlino sulfinire dell’estate del 1994, in cui veniva resa disponibile la ricostruzionedell’intera vicenda: l’orrorismo, a eccezione di un paio di performance,non esisteva, era falso, in tutto e per tutto creatura della stampa, e le stes-se lettere dei cittadini si rivelavano opera degli orroristi medesimi. Il risul-tato immediato della rivendicazione era evidentemente la messa a nudodel funzionamento ‘celibe’ del meccanismo scritturale: senza il supportofornitogli dall’altro, il discorso scritto si mostrava in tutta la propria auto-referenzialità, pura produzione di linguaggio privo di qualsiasi aggancio alreale. Il viaggio di chi scriveva non poteva quindi concludersi, ma prose-guiva indefinitamente lungo una retta destinata a non uscire mai dallapropria astrattezza, mentre ciò che era stato scritto e si era supposto ‘vero’

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15 Il termine ‘luogo’ è utilizzato in quanto “ordine secondo il quale degli elementi ven-gono distribuiti entro rapporti di coesistenza […] gli uni a fianco degli altri, ciascuno si-tuato in un luogo ‘autonomo’ e distinto” (IQ, p. 175).

16 Marcel Detienne, L’invention de la mythologie (1981), trad. it. di Flavio Cuniberto,L’invenzione della mitologia, Torino: Boringhieri, 1983, p. 34.

17 Ivi, p. 107.

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assumeva una connotazione simulacrale. Si metteva insomma in luce ilpotere dei media di istituire la realtà, “da[ndo] a vedere precisamente ciòin cui bisogna[va] credere” (IQ, p. 263).18

A sua volta Luther Blissett, misterioso autore della beffa, attirava su disé l’attenzione, diventando oggetto di analisi e interpretazioni destinate,col passare degli anni e con l’accumularsi delle sue manifestazioni, a mol-tiplicarsi esponenzialmente. Nel 1995, per esempio, fece in modo che lanota trasmissione televisiva Chi l’ha visto? si interessasse a Harry Kipper,fantomatico artista inglese misteriosamente scomparso nel nord Italia du-rante un giro in bicicletta. Coordinando diverse ‘sezioni’ del Luther Blis-sett Project (divise tra Bologna, Udine e Londra), fu fornito ai giornalistiinviati dal programma un ritratto coerente e dettagliato del personaggio,la cui eccentricità contribuì ad attirarne l’attenzione, coinvolgendoli persettimane in un vorticoso gioco di indizi, segnalazioni e possibili piste.Solo pochi giorni prima della messa in onda, la redazione della trasmis-sione venne informata che Harry Kipper di fatto non esisteva: si trattavadi un personaggio inventato da un gruppo di persone di diversa naziona-lità, che agivano sotto la sigla comune ‘Luther Blissett’ e che, poco dopo,avrebbero ricostruito l’intera vicenda attraverso un comunicato stampainviato a diversi quotidiani nazionali. Gli stessi che, a un anno di distan-za, si videro recapitare la rivendicazione di una beffa ai danni di Monda-dori. La casa editrice aveva appena dato alle stampe net.gener@tion, unaraccolta di saggi e di articoli attribuiti a Luther Blissett. Nel comunicatofirmato con il nome multiplo, inviato alla stampa in concomitanza con lamessa in vendita del libro, si leggeva che quanto pubblicato era il risulta-to del collage dei testi più banali e scadenti allora in circolazione sul web,materiale di nessun valore raccolto con il preciso obiettivo di prendersigioco di Mondadori, dopo averne utilizzato il curatore come ‘cavallo diTroia’. In questo modo il volume veniva irrimediabilmente ‘bruciato’ dal-la stroncatura del suo stesso autore, destinato a vendere “non tanto cometesto di Blissett, quanto come esempio di beffa blissettiana” (TP, p. 28).

In queste e in molte altre ‘azioni’ firmate da Luther Blissett è possibileindividuare i contorni di un agire tattico determinante tanto per il suc-cesso della sua “guerriglia mediatica” (TP, p. 23) quanto, più in generale,

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18 Il filosofo francese evidenzia come si sia verificato un ‘doppio ribaltamento’: se untempo a essere credibile era ‘l’invisibile’ (il mito, il ‘discorso ricevuto’ di ogni religione), lamodernità inverte i termini del rapporto rendendo credibile solo ciò che è ‘visibile’. Conl’ultimo ‘ribaltamento’ invece ‘il credibile’ viene istituito, a prescindere dal referente reale.

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dell’intero progetto quinquennale. Agire in modo ‘tattico’ vuol dire in-nanzi tutto rinunciare a quel ‘luogo’, a quei confini segnati dalla paginabianca assegnata a ciascuno nel contesto di un’economia scritturale nellaquale si sceglie piuttosto di diffondersi, in attesa del momento opportunoda volgere in proprio favore. Un modo di ‘combattere’ proprio di chi nonha potere, di chi ha tutto da perdere in un confronto a viso aperto, di chinon elabora ‘strategie’19 ma basa le proprie azioni su una continua mobi-lità portata sul terreno dell’avversario. “Riempire i vuoti ed evitare i pie-ni” (TP, p. 23), calcolare attentamente pregi e difetti del ‘nemico’, esserepronti a cogliere l’occasione, sotto qualunque forma si manifesti, farne te-soro e tornare quindi a vigilare in attesa del prossimo colpo da sferrarecon velocità e precisione. La chiave di tutto – “perno che consente, graziea una leggera spinta, di capovolgere i rapporti di forza precedenti” –20 èdunque l’occasione, fianco lasciato scoperto su cui occorre puntare senzaesitazioni e che non può, evidentemente, essere ‘preparato’, ma che è l’av-versario stesso a offrire: “la coincidenza fra la circonferenza indefinita del-le esperienze e il momento puntuale della loro ricapitolazione sarebbedunque il momento teorico dell’occasione, [che] dà lo sgambetto a qual-siasi definizione, poiché non è isolabile da una contingenza né da un’ope-razione particolare. Non è un fatto dissociabile dallo stratagemma che loproduce” (IQ, pp. 132-33).

In ogni ‘colpo’ si concentra dunque tutto il sapere, tutta l’esperienzaaccumulata in precedenza allo scopo di modificare uno status quo nel mi-nor tempo possibile, evitando qualunque capitalizzazione dei risultati:per essere efficace, per poter essere adattato alle diverse contingenze, il sa-pere su cui si fonda ogni stratagemma deve mantenersi fluido e manife-starsi solo nell’atto stesso della propria esecuzione. Deve poter applicarsisull’intero ‘campo di gioco’, e non limitarsi a territori che, per quantoampi, risultino alla lunga individuabili, circoscrivibili e quindi ricodifica-bili come luoghi identitari nel contesto di un’economia scritturale: perquesto chi partecipa al Luther Blissett Project sceglie di ‘darsi alla mac-chia’ e, giovandosi anche delle precedenti esperienze di comunicazione-

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19 Come per la definizione di ‘tattica’, si fa riferimento a quanto scritto da De Certeau,che intende la ‘strategia’ come “il calcolo (o la manipolazione) dei rapporti di forza che di-vengono possibili dal momento in cui un soggetto dotato di una propria volontà e di unproprio potere […] è isolabile” (IQ, p. 71).

20 Tang Zhen, “Il libro nascosto”, in Il libro dei trentasei stratagemmi, trad. it. di AnnaPensante, Milano: Luni, 2004, p. 21.

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guerriglia,21 individuare nell’intero terreno dell’industria culturale quellefalle sfruttando le quali la stessa forza dei media può essere utilizzata alloscopo di diffondere la fama del nome multiplo. Tra i tanti punti deboli dicui si è servito, quello che più di ogni altro ha permesso a Blissett di por-tare a segno i propri colpi è coinciso con l’irresistibile, fisiologica attrazio-ne che una società ‘scritturale’ nutre per ciò che essa stessa produce comealtro da sé: “L’esteriorità ‘vocale’ è anche lo stimolo e la condizione di pos-sibilità del suo opposto scritturale” (EH, pp. 251-52). L’altro, il gioco epiù in generale ciò che non ha un luogo e ne resta quindi ai margini, è an-che ciò che rende possibile il funzionamento dei suoi meccanismi celibi,rappresentando quel corpo e quella carne su cui l’incessante produzione dilinguaggio non cessa di aver bisogno di inscriversi per accreditarsi comevera. E se con qualche lettera fasulla riesce a farsi gioco per mesi dellastampa locale bolognese, negli anni le vittime di Blissett crescono nel nu-mero e nelle ‘dimensioni’, come dimostrano le beffe a Mondadori e a Chil’ha visto?, offrendogli nuove opportunità per arricchire i propri stratagem-mi adeguandoli di volta in volta al momento e all’‘avversario’ di turno.

Solitamente chi partecipa al progetto agisce nel reale, disseminandoesche verosimili proprio in quegli spazi di gioco e in quella penombra delquotidiano che concede qualche margine di movimento: “L’azione diguerriglia mediatica deve sempre trovare spunti nella realtà, nell’accaduto;[…] occorre modificare la realtà, ovvero in-formarla, ma senza che il cac-ciatore di notizie possa accorgersene” (TP, p. 30). In questo modo prendeil via il viaggio scritturale degli operatori dei media, alla fine del qualevengono prodotti dei simulacri che, per essere distinguibili dal flusso dinotizie vere che li circonda, rendono necessaria, come si è visto, una ri-vendicazione da parte di Luther Blissett, che puntuale giunge dopo qual-che tempo a firmare la beffa, mettendone a nudo i retroscena e irridendola superficialità con cui vengono vagliati indizi e fonti. Spesso inoltre nelcomunicato chi legge viene invitato a prendere parte al progetto, ovvero ausare liberamente il nome di Luther Blissett, che esplicitamente chiarisce

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21 Il riferimento va a quell’eterogeneo plesso di pratiche che, negli anni, sono state utiliz-zate al fine di produrre effetti sovversivi attraverso interventi nei processi comunicativi, e chevanno dallo sniping al camouflage, dal détournement alle falsificazioni fino agli stessi nomimultipli. Pratiche che Luther Blissett riattualizza e rinnova a propria volta, e di cui è possibi-le trovare degli esempi in AAVV, Handbuch der Kommunikationsguerrilla. Jetzt helfe ich mirselbst (1997), trad. it. di Mirna Campanella e Elena Modolo, Comunicazione-guerriglia. Tat-tiche di agitazione gioiosa e resistenza ludica all’oppressione, Roma: DeriveApprodi, 2001.

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la propria natura di ‘identità multipla’ nata proprio allo scopo di infiltrar-si nel mainstream. Ma i media, una volta beffati, quasi mai si accontenta-no di quanto Luther dice di sé, mettendosi ancora una volta a caccia deisuoi ‘segreti’: dell’identità celata dalla maschera, dei ‘veri’ scopi, dei riferi-menti teorici che si presumono ‘dietro’ il progetto, di un significato na-scosto oltre il significante della firma. Vanno insomma alla ricerca di uncorpo che ne ripristini l’intelligibilità, indispensabile a una sua circoscri-zione, senza cui il discorso, come nel caso ‘orrorista’, è destinato a slittare,non potendo far presa su un referente che gli è necessario. Lo stesso DeCerteau mette in luce come siano proprio il corpo e dunque la visibilitàdei Tupi a rendere possibile la ‘produzione’ del selvaggio, sulla cui carneDe Lery può agire, dapprima osservando, quindi circoscrivendo, indivi-duando e infine facendone un supporto per la propria verità: “la scienzaetnologica occidentale si scrive sullo spazio fornitole dal corpo dell’altro”(IQ, p. 205). Un corpo che però, nel caso di Luther Blissett, è assente, o,se si vuole, atomizzato, frantumato in un’infinità di manifestazioni tutteal contempo ‘vere’ e ‘false’. La sua irriducibilità scaturisce infatti da unanatura concepita proprio per essere acefala, acentrica, fluida e polimorfa:tutto ciò che viene detto di Luther Blissett diventa Luther Blissett. Ogniparola, ogni discorso, ogni cosa su cui, a qualunque titolo, venga appostala sua firma, contribuisce ad arricchire di un ulteriore tratto la sua sfug-gente fisionomia. Qualunque articolo, saggio, commento o definizione loabbia come oggetto, non può far altro che intorbidirne ulteriormente leacque, fornendogli l’ennesimo specchio in cui riflettere un’immagine chenon sarà né più vera né più falsa di qualunque altra, mancando un origi-nale sulla base del quale valutarne la maggiore o minore aderenza.22 Tuttocontribuisce ad arricchire di sfumature la natura duttile di un personag-gio in cui confluiscono evidentemente comunicazione e metacomunica-zione, sé e altro da sé, soggetto e oggetto, e che resta, inevitabilmente, vo-ce invisibile e priva di corpo: “Tanto l’oggetto visto è scrivibile, omoge-neo alla linearità del senso enunciato e dello spazio costruito, quanto lavoce crea uno scarto, apre una breccia nel testo, restaura un corpo a cor-po” (EH, pp. 249). La scrittura, evidentemente, non può più essere spadache preserva intatta l’identità di chi scrive, finendo piuttosto con l’essereassorbita nel magma del proprio oggetto. Così, considerando per esempio

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22 Questo stesso articolo, a propria volta un tentativo di interpretare il Luther BlissettProject, non può che contribuire a una sua ulteriore espansione.

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l’origine del Luther Blissett Project, alcuni vi hanno intravisto la mano diUmberto Eco, altri una riattualizzazione del Situazionismo, altri ancora ilprogetto di un illusionista inglese che, a sua volta, si sarebbe rivelato un’i-dentità fittizia: tutte chiavi inscritte nell’unico flusso caleidoscopico dinarrazioni blissettiane. Ma oltre ad arricchirne le sfumature, le rappresen-tazioni che vengono date di Luther Blissett finiscono con l’attribuirgliuna ‘consistenza’ sempre maggiore: la verità prodotta dall’attività scrittu-rale fa sì che un personaggio virtuale acquisisca una realtà, un peso speci-fico sempre più tangibile nel mainstream. Come per la Tlön immaginatada Borges,23 il gorgo creato dal terrorista culturale è in grado di guada-gnarsi uno spazio concreto nel tessuto del reale, arrivando, potenzialmen-te, a poterlo inglobare in ogni sua parte.

Ma nella reputazione di Blissett gioca un ruolo decisivo anche una co-municazione ‘in positivo’. Fin dall’inizio infatti alle azioni di guerriglia siaccompagna la produzione di libri, manifesti e fanzine, a cui più tardi siaggiungerà uno sterminato sito-archivo, nei quali converge una grandequantità di materiale eterogeneo, che accresce l’indeterminatezza del pro-getto, ne propaga ulteriormente il messaggio e, non ultimo, ne storicizzale azioni, contestualizzate, commentate e raccontate ma mai ricondotte aun nucleo centrale o a un asse teorico. Tutta questa produzione, rigorosa-mente priva di copyright,24 assume in questo modo la fisionomia di un’e-norme memoria mitica, organizzata in una lunghissima sequenza di rac-conti che ricostruiscono le epifanie di Luther Blissett. L’uso dell’aggettivomitico non è affatto casuale, essendo lo stesso Luther a riferirsi alla pro-pria genesi come a un processo di mitopoiesi,25 nascita di un ‘eroe popo-lare’ attorno alle cui gesta dare vita a una comunità che, servendosi anchedel potere deterritorializzante dei media, prescinda dalle tradizionali di-stinzioni nazionali o etniche. Quella col mito non si limita dunque a es-sere soltanto un’analogia: l’intero progetto viene infatti concepito per es-

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23 Si fa riferimento al racconto “Tlön, Uqbar, Orbis Tertius”, in cui si narra di un mon-do immaginario che a poco a poco si sostituisce a quello considerato ‘reale’, in una storiache Luther Blissett medesimo utilizza per parlare del proprio progetto.

24 Lo stesso Q, primo volume pubblicato per una casa editrice mainstream, esce con li-cenza copyleft, che ne consente la riproduzione purché non a scopo di lucro. Si tratta dellaprima, sostanziale novità introdotta da Luther Blissett una volta all’interno dell’industriaculturale. Per una panoramica sull’argomento si veda la cospicua serie di articoli all’indiriz-zo <http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/tematico_copyright.html>.

25 “La nostra immodesta opinione è che non si possa comprendere il ‘comunitarismo’ diBlissett senza partire dal concetto di ‘mitopoiesi’, creazione di mito” (TP, p. 11).

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sere la riattualizzazione di “un patrimonio antichissimo di miti e archetipicomuni a tutte le società umane, poi rielaborato nell’arte e nella culturadi massa” (TP, p. 12). Quando “genuino”,26 infatti, il mito non occupaun settore specifico del vivere sociale, ma ne impregna piuttosto l’interaquotidianità, essendo ciò che dà senso, armonizzando “l’individuo nellasua società e la società nella natura”.27 La sua è una funzione pratica, fon-dando i gesti e le parole di chi, partecipandovi, lo riattualizza giorno do-po giorno,28 le cui azioni si collocano nel solco di quelle dei protagonistidei racconti archetipici. Perché ciò sia possibile, il suo linguaggio nonpassa da un’astrazione rispetto alle pratiche che simbolizza, ma si esprimetramite gesti altrettanto concreti: se una prassi, intesa come tekne, “al difuori del suo stesso esercizio è priva di enunciato, il linguaggio deve esser-ne anche la pratica. […] Se l’arte di dire è essa stessa un’arte di fare e dipensare, può esserne al tempo stesso la pratica e la teoria. […] In altre pa-role, sarà un racconto” (IQ, p. 125). Racconti, ovvero “qualcosa cui nonsi rende giustizia con interpretazioni e spiegazioni”,29 che per espletare lapropria funzione e restare disponibili a ogni attualizzazione vivono nelnon luogo di una memoria collettiva e invisibile, aperti a qualunque con-taminazione, la loro fluidità a garantirne l’efficacia. Un dinamismo testi-moniato dalla coesistenza all’interno di una stessa tradizione di moltepliciversioni di una medesima trama mitica, che a sua volta vive in un ciclocontinuo di ripetizioni e variazioni.30 La stessa organizzazione del mito di

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26 Furio Jesi, Letteratura e mito, Torino: Einaudi, 1968, p. 17. Il mito “genuino” è, se-condo l’autore, in “equilibrio aureo fra luce e buio”, espressione immediata di un sensouniversale in grado di prescindere da qualunque, apparente distinzione tra sé e altro da sé,argine contro l’irrazionalismo. Al suo opposto sta invece quello frutto di una “tecnicizza-zione”, ovvero il mito “evocato deliberatamente per precisi scopi” dal passato, proiezionedelle proprie colpe attuali e indirizzato soltanto a un determinato gruppo sociale.

27 Joseph Campbell, Il potere del mito, cit., p. 80.28 È questa, secondo Kerényi, la principale funzione della mitologia, che esprime col

termine tedesco begründen, ovvero “motivare, fondare, giustificare una cosa riportandolaal suo fondamento”. Ogni azione del singolo assume dunque senso proprio perché ricon-dotta alla sua arch, che la trascende ma al tempo stesso attraverso di essa si attualizza. Iltesto cui si fa riferimento è Carl Jung e Károly Kerényi, Einführung in das Wesen derMythologie (1941), trad. it. di Angelo Brelich, Prolegomeni allo studio scientifico della mito-logia, Torino: Boringhieri, 1972, pp. 1-43.

29 Ivi, p. 16.30 La coesistenza non problematica di una molteplicità di varianti è testimoniata da un

vasto numero di studi, tra cui quelli riportati in Jack Goody, The Domestication of the Sa-vage Mind (1977), trad. it. di Vito Messana, L’addomesticamento del pensiero selvaggio, Mi-lano: Franco Angeli, 1987, pp. 29-46.

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Luther Blissett, i tanti racconti che lo vedono protagonista, parlano di uneroe popolare o di un imbroglione mitologico, Waldgänger o trickster,31

tanto scaltro da muoversi tra le pieghe dell’industria culturale e giocarne imeccanismi mettendo in pratica stratagemmi sempre differenti, che a lo-ro volta confluiscono nell’alveo della memoria di chi ne condivide il pro-getto. Una memoria, appunto, invisibile e comune, dove le manifestazio-ni del nome multiplo si accumulano senza organizzarsi attorno a un cor-po, a un asse teorico o a una identità data piuttosto dalla loro somma. Letante apparizioni del terrorista culturale assumono così la fisionomia didifferenti versioni di uno stesso, proteiforme mitologema, racconti che neesprimono i molteplici stratagemmi e che si rendono disponibili a venirericontestualizzati da chiunque in qualsiasi scenario. Più Luther Blissettviene praticato, più si arricchisce di esperienze; più esperienze accumula,più è pronto a cogliere nuove possibilità di azione, nuove falle da sfruttareattraverso il suo agire tattico.

Il viaggio dell’eroe

Se è Michel De Certeau a fornire un modello della prassi scritturale chepresiede al Luther Blissett Project, è ancora alla sua opera che è possibilerivolgersi per rintracciare un caso in cui il discorso prodotto dalle opera-zioni e dai viaggi scritturali viene giocato dagli stessi oggetti su cui pre-tende di fondarsi, ovvero Il giardino delle delizie di Hieronymus Bosch.32

Un quadro – scrive il filosofo francese – in qualche modo enciclopedico,nel quale sembrano convergere a loro volta tutte le mappe, le grammati-che e i simboli esistenti, in una costante collusione di reale e fantastico dacui l’occhio dell’osservatore viene irrimediabilmente attratto, poiché la se-duzione esercitata da quei corpi, da quegli esseri fantastici, da quelle ibri-dazioni teratologiche è intensa, accresciuta dalla verosimiglianza di unarappresentazione in cui abbondano significanti, dietro i quali è difficilenon scorgere mille possibili significati, disponibili ad altrettante interpre-tazioni. Interpretazioni che però, scrive ancora, non sono altro che “stra-de per nessun luogo […] erranze narrative”33 i cui sforzi di risalire a unamappa del dipinto altro non sono che illusioni, giocate ripetutamente da

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31 È lo stesso Luther Blissett a rintracciare in questi (e in altri) archetipi i propri prece-denti (in TP, pp. 10-41).

32 Michel De Certeau, La fable mystique (1982), trad. it. di Rosanna Albertini, Fabulamistica, Bologna: Il Mulino, 1987, pp. 91-117.

33 Ivi, pp. 100-02.

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un quadro che allude a un senso fingendo di proporre una grammatica,ma che si rivela più “una glossolalia, i cui fenomeni potrebbero esserescambiati per parole”.34

Analogamente, tutto ciò che Luther Blissett scriveva, così come le azio-ni che compiva, risultava sì comprensibile, al limite della auto-evidenza,ma veniva per lo più avvertito come un velo dietro il quale doveva essercidell’altro: un’identità, una cospirazione o quanto meno un senso. Un sen-so che però, semplicemente, non esisteva, o meglio che era afferrabile sol-tanto attraverso una partecipazione attiva: solo scegliendo consapevolmen-te di servirsi della sua reputazione o della sua astuzia, riattualizzandola aipropri scopi nel quotidiano, se ne sarebbe realizzata e colta la finalità prati-ca. Ulteriore testimonianza della ‘miticità’ di Luther Blissett: i miti ‘genui-ni’ sono infatti simboli che “riposano in se stessi”,35 esperienze ‘fuori lin-guaggio’ che rinviano soltanto “a se stesse e a un’oscurità della quale non sideve dire nulla, perché non è nulla”.36 Come ha scritto Kerényi a propositodei miti e dei misteri nell’antica Grecia, in essi si celava un segreto, un si-gnificato, che tutti i partecipanti al culto conoscevano, ma che aveva il ca-rattere dell’arreton, ovvero che non si doveva pronunciare, poiché la suaespressione sarebbe stata inevitabilmente incapace di esaurirne il senso,compromettendo di conseguenza la stessa utilità del mito.37 Non a caso lostorico delle religioni sosteneva la necessità di una “partecipazione emotivae commossa”38 come unica via per eludere l’aporia dell’arreton, un porsi inconsonanza con l’archetipo incarnato dal mito, che cessava di essere ogget-to passivo di osservazione per afferrare l’osservatore, che a sua volta nonpoteva né doveva frapporre una distanza fra sé e ciò che studiava. È quan-to fanno Marcel Detienne e Jean-Pierre Vernant nel saggio sulla metis,39

forma di intelligenza pratica dal carattere strumentale, indissociabile dalcontesto della sua stessa esecuzione, e dunque molteplice, adattabile e tra-

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34 Ivi, p. 102.35 Furio Jesi, op. cit., p. 17.36 Ivi, p. 18.37 Károly Kerényi, Miti e misteri, a cura di Angelo Brelich, Torino: Einaudi, 1950, pp.

143-51.38 Corrado Bologna, “Introduzione: Kerényi nel labirinto”, in Károly Kerényi, Laby-

rinth-Studien (1941), trad. it., Nel labirinto, a cura di Corrado Bologna, Torino: Borin-ghieri, 1983, p. 24.

39 Marcel Detienne & Jean-Pierre Vernant, Les ruses de l’intelligence. La metis des Grecs(1974), trad. it. di Andrea Giardina, Le astuzie dell’intelligenza nell’antica Grecia, Roma:Laterza, 2005.

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sversale a pratiche e discipline. Per trattare qualcosa di tanto mobile e indi-cibile, i due studiosi accettano di contaminarsi e mettersi in gioco, ricor-rendo a gesti altrettanto ‘astuti’ in grado di esprimere a loro volta unametis: rinunciando a ricondurne la molteplicità a un’inesistente unicità,scelgono piuttosto di ri-narrarne le manifestazioni, attraverso una serie diracconti che esprimono un’“arte di dire e […] di fare” (IQ, pp. 128) allostesso tempo. Se l’intera mitologia dunque è fatta per “venire danzata”,40

l’unico modo per coglierne il senso sarà allora danzare a propria volta: inquesto modo chi, a qualunque titolo, si ponga di fronte al mito ‘genuino’,non sarà altro rispetto al proprio oggetto, ma ne costituirà, letteralmente,l’eroe o l’eroina,41 e la sua esperienza ripercorrerà le stesse tappe lungo cuisi snoda il percorso del protagonista archetipico della vicenda mitica. Vi-cenda che a sua volta è ‘ricomposizione delle differenze’, in cui l’eroe, peradempiere al proprio compito, deve passare attraverso l’esperienza dellamassima alterità, ovvero dell’indeterminato, dell’anti-umano, o comunquedi qualcosa che ne incarni l’opposto. Entrarvi in contatto è terrificante manecessario, poiché in ciò che in un primo momento avverte come radical-mente altro, il protagonista finisce con il ritrovare se stesso, specchiandosinel proprio doppio: solo dopo questo incontro, passaggio obbligato delpercorso, sarà possibile imboccare la via del ritorno, non più uguali a sestessi ma rinati a seguito dell’incontro con l’altro da sé.42 La stessa strutturasi può riscontrare nel ‘monomito’ individuato da Joseph Campbell, ciclodi “separazione - iniziazione - ritorno”,43 che costituisce la parabola fonda-mentale di qualunque narrazione mitologica, nella quale l’eroe, per com-piere la propria missione, deve passare attraverso un’inevitabile ‘morte a sestesso’ che lo porta a identificarsi con l’alterità più assoluta. Chiunque per-tanto si ponga di fronte al mito, esperienza viva e naturalmente moltepli-

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40 Károly Kerényi, Nel labirinto, cit., p. 24 (ma si vedano anche le pp. 106-41).41 Nel momento in cui lo studioso di mitologia coglie il senso di ciò che ha di fronte

giunge ‘al centro del labirinto’, e la sua identificazione con l’eroe (Teseo) non è metaforicama concreta. Corrado Bologna, op. cit., pp. 7-28.

42 In La mort dans les yeux (1985; trad. it di Caterina Saletti, La morte negli occhi, Bolo-gna: Il Mulino, 1987), Jean-Pierre Vernant mette in luce come alcune divinità olimpiche(tra tutte Artemide e Dioniso) incarnassero proprio la marginalità, l’altro di cui i giovanierano chiamati a fare l’esperienza prima di essere accettati nella comunità degli adulti, in-dossandone la maschera o comunque partecipando a riti iniziatici in cui ne ripercorreva-no la storia.

43 Joseph Campbell, The Hero with a Thousand Faces (1949), trad. it. di Franca Piazza,L’eroe dai mille volti, Parma: Guanda, 2007, p. 33.

Page 22: Vol. Paragrafo 3 - dinamico2.unibg.itdinamico2.unibg.it/paragrafo/docs/Paragrafo 03_03_Tomassini.pdf · (1974), trad. it. di Mario Baccianini, L’invenzione del quotidiano, Roma:

ce, è chiamato a esercitare la stessa metis, a essere altrettanto poliedrico emolteplice rispetto a un oggetto che, concretamente, rivivrà nei suoi gestie nelle sue parole. Allo stesso modo, chi desidera cogliere il senso diLuther Blissett deve rinunciare alla pretesa di leggervi o fondarvi una ve-rità, affrontando piuttosto un percorso al culmine del quale viene chiama-to a metterne in pratica la medesima tattica: sparire per indossare metafo-ricamente la maschera dell’imbroglione mitologico. Il quale, a sua volta, siidentificherà nelle sue azioni, salvo tornare nel non luogo della memoriacollettiva subito dopo aver portato a segno l’ennesimo ‘colpo’: “I due […],colui che cerca e colui che è trovato – vengono così intesi come il voltoesterno e quello interiore di un unico mistero”.

IL VIAGGIO DELL’EROE / 65

44 Ivi, p. 42.