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Sommario n° 1 Gennaio/Febbraio 1997 EDITORIALE “Lascio tutto... Eccomi!” (I. Castellani) STUDI Scoperto un tesoro di grande valore (P. Rota Scalabrini) Anche la fede ha problemi di qualità (P. D. Guenzi) Il “centuplo” e oltre... (A. M. Sicari) ORIENTAMENTI Fino a lasciare tutto (G. Tripani) A proposito di senso critico (S. Fiore) Ricerca vocazionale e solidarietà (E. Damoli) La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: tutti possono fare qualcosa (L. Ghizzoni) ESPERIENZE Tema di catechesi: un’esperienza di “appropriazione” (L. Panella) Il tema e i sussidi della GMPV nel cammino vocazionale di un istituto religioso (R. Negretto) Gruppo vocazionale giovanile: la proposta di un cammino (L. Strika) Un campo vocazionale per raggiungere i “lontani” (Oblate di Maria Vergine di Fatima) DAI CDV Il ruolo della Giornata nel cammino ordinario di alcuni Centri Diocesani Vocazioni d’Italia (Autori vari) INVITO ALLA LETTURA Temi Vocazionali (M. T. Romanelli)

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Sommarion° 1 Gennaio/Febbraio 1997

EDITORIALE “Lascio tutto... Eccomi!”(I. Castellani)

STUDIScoperto un tesoro di grande valore(P. Rota Scalabrini) Anche la fede ha problemi di qualità(P. D. Guenzi) Il “centuplo” e oltre...(A. M. Sicari)

ORIENTAMENTIFino a lasciare tutto(G. Tripani) A proposito di senso critico(S. Fiore) Ricerca vocazionale e solidarietà(E. Damoli) La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: tutti possono fare qualcosa(L. Ghizzoni)

ESPERIENZE Tema di catechesi: un’esperienza di “appropriazione”(L. Panella) Il tema e i sussidi della GMPV nel cammino vocazionale di un istituto religioso(R. Negretto) Gruppo vocazionale giovanile: la proposta di un cammino(L. Strika) Un campo vocazionale per raggiungere i “lontani”(Oblate di Maria Vergine di Fatima)

DAI CDV Il ruolo della Giornata nel cammino ordinario di alcuni Centri Diocesani Vocazioni d’Italia(Autori vari)

INVITO ALLA LETTURATemi Vocazionali(M. T. Romanelli)

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EDITORIALE“Lascio tutto... Eccomi”di Italo Castellani, Direttore CNVITALO CASTELLANI

È noto il “progetto di catechesi vocazionale”, verso il 2000, scandito nella Chiesa Italiana dai temi delle Giornate Mondiali di Preghiera per le Vocazioni. I temi di catechesi annuali, nel decennio in corso, hanno offerto e continuano ad offrire una lettura vocazionale degli Orientamenti della Chiesa Italiana per gli anni ‘90 “Evangelizzazione e testimonianza della carità”. E ciò focalizzando annualmente la catechesi su un “valore vocazionale”: nel primo quinquennio “narrando” la vocazione come “iniziativa dell’amore di Dio”, nel secondo “la risposta dell’uomo all’Amore di Dio”. Dall’anno scorso, per un cammino di comunione con la Chiesa universale, tali temi e “valori vocazionali” si sono sintonizzati con l’itinerario di preparazione al “Grande Giubileo” del 2000, tracciato e proposto dal Santo Padre nella Lettera Apostolica “Tertio Millennio Adveniente”. Propongo, per una visualizzazione e sintesi, il progetto globale dei temi della Chiesa Italiana per le “Giornate di Pre ghiera per le Vocazioni” nel presente quinquennio verso il 20001.

ANNO VALORE VOCAZIONALE

VERSO IL GIUBILEO (*)

CATECHESI GIUBILEO (*)

TESTI BIBLICI BASE

1996 “All’amore si risponde con l’amore” (EtC, 46): lasciandosi amare, chiamare...

“La prima fase (dal 1994 al 1996)... dovrà servire a ravvivare nel popolo cristiano la coscienza del valore e significato del giubileo...” (31).

“Il dono dell’Incarnazione del Figlio di Dio” (32). “Il dono della Chiesa” (32). “Impegno di penitenza econversione” (34). “Un serio esame di coscienza” (36).

“Abbiamo creduto all’Amore”(1 Gv 4,1.16).

1997 L’Amore vero è totale. (EtC, 11).

“Il primo anno 1997 sarà dedicato alla riflessione su Cristo” (40). “Per il nostro Signore Gesù Cristo” (CdA, Parte 1).

“Riscoperta del Battesimo” (41). Il rinvigorimento della fede e della testimonianza dei cristiani” (42).

“Subito, lasciate le reti, lo seguirono” (Mc 4,20). “Lasciato tutto lo seguì” (Lc 5,28).

1998 L’Amore vero è gioia. (EtC 14 e 24).

“Il 1998 sarà dedicato allo S. Santo e alla sua presenza santificatrice” (44). “Nell’unità dello S. Santo”(CdA, Parte II).

“Riscoperta della presenza e dell’azione dello Spirito... la confermazione” (45). “La virtù teologale della speranza” (46).

“C’è più gioia nel dare” (At 28,35).

1999 L’Amore vero è fedele. (EtC 17,18,19,21).

“Il 1999: la prospettiva del Padre che è nei cieli” (49). “A Te Dio Padre Onnipotente” (CdA, Parte III).

“Riscoperta del sacramento della Penitenza” (49). “La virtù teologale della carità” (49)..

“Signore, ti seguirò dovunque” (Lc 9,57).

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2000 L’Amore vero è dono di sé. (EtC 22 e 48).

Celebrazione del Giubileo.

Celebrazione del Congresso Eucaristico Internazionale.

“Eccomi, manda me” (Is 6,8). “Si compia in me la Tua Parola”(Lc 1,38).

(* Giovanni Paolo II, Tertio Millennio Adveniente)

“Lascio tutto…”: l’amore vero è totale

C’è un interrogativo che i giovani dovrebbero farsi risuonare nel cuore: “Giovani di tutto il mondo, cosa cercate?” È una domanda che Giovanni Paolo II pone ai giovani per la Giornata Mondiale della Gioventù 1997, mutuandola dal Vangelo di San Giovanni, e che vuole far risuonare per i quattro angoli della terra, sondando i desideri dei giovani, stimolando la loro ricerca di felicità, invitandoli comunque a fermarsi e pensare.

A quel punto di domanda, il tema della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni di quest’anno, proposto dalla Chiesa Italiana, vuole dare non solo una risposta, ma una fattiva esecuzione: “Lascio tutto... Eccomi!” È una risoluzione che presume non solo un giovane in ricerca, ma anche la contemplazione di quel “grande Amore” che il Centro Nazionale Vocazioni ha cercato di raccontare per la prima parte di questi anni ‘90, e la scommessa di fede che sta all’inizio di ogni disponibilità, e che dava il titolo alla Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni dell’anno scorso (“Ho creduto all’Amore... Eccomi”).

Diciamolo pure francamente, senza troppi giri di parole: l’invito a lasciare tutto, che pure è un passo obbligato per chi si mette alla sequela di Gesù ed interpella il cristiano in quanto tale, non sempre occupa il posto e lo spazio che gli competono nella nostra pastorale ordinaria. Omelie, catechesi, insegnamento di religione, direzione spirituale, itinerari sacramentali abitualmente evitano - all’insegna di un malinteso “buon senso” - di trattare questa inderogabile esigenza che pure Cristo pone nel cuore di ogni discepolo. Facilmente si sottolinea la vita piena e gioiosa che scaturisce dal proprio Battesimo, dimenticando la via della croce e dell’abbandono per la quale il cristiano è chiamato a realizzarsi. “Lasciare tutto” viene visto spesso, troppo spesso, come un argomento per esercizi spirituali, a consolazione di chi ha già scelto, magari con tanto di professione solenne dei propri voti.

Il tema di catechesi di quest’anno si propone invece come strumento al servizio della pastorale ordinaria, perché in essa risuoni l’appello di Cristo ad una presa di posizione decisa nei suoi confronti. E conseguentemente ad uno stile di vita che, liberandosi dal fardello ingombrante e spesso soffocante delle cose e dei progetti semplicemente umani, dia la stura alla vera libertà dello Spirito.

Il primo passo che la catechesi è chiamata a fare, annunciando il “valore vocazionale” che sottolinea come “l’amore vero è totale”, è di sviluppare i significati che l’espressione “lasciare tutto” assume sul piano educativo - quindi a livello di motivazioni, atteggiamento esistenziale, scelte di vita - alfine di superare un impatto negativo che il “lasciare tutto” evangelico può a prima vista evocare.

“Lasciare tutto” significa dunque e innanzi tutto: Ricercare, scoprire, trovare, far proprio il “Tutto” Dio, la “motivazione delle motivazioni” di ogni scelta vocazionale: “Scoperto un tesoro di grande valore... va’, vende tutto...” (Mt 13,44).

Obbedire alla Parola, come disponibilità totale del credente a lasciarsi guidare nei sentieri della vita: “Sulla tua Parola...” (Lc 5,5). Entrare in una visione di verità della vita, secondo la proposta del Vangelo, l’unica Parola capace di svelare il senso della vita: “Tu solo hai parole di vita eterna...”(Lc 10,12). Fidarsi di Dio, creando uno spazio di libertà all’azione di Dio: “Abbandonato ogni cosa, lo seguirono..” (Lc 5,11).

Permettere a Dio di contare sull’uomo, sulla persona unica e irrepetibile: “Abbi fiducia..., ti chiama” (Mc 10,49). Lasciare a “Qualcun altro” la decisione sulla vita; sulla propria vita - come “materia prima” nelle mani di Dio creatore e redentore - rendendosi disponibili al piano di Dio: “Ecco la serva del Signore...”(Lc 1,38). Entrare in un orizzonte di fede - ove ci si sente “liberi” e si trova la forza per fare scelte di fede vocazionali - consapevoli che “in principio”, prima di ogni essere, prima di ogni esistenza personale c’è l’amore oblativo di Dio: “In principio era il Verbo” (Gv 1,11).

Avere tempo per Dio (la preghiera), per i fratelli (il servizio)... “Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua mente... Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12,30). “Lasciare tutto” è, in definitiva, un proclamare il primato di Dio sulla nostra vita, il

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primato dell’iniziativa di Dio sull’attività umana: è la sola condizione per ogni autentica scelta vocazionale!

“...Eccomi” : Un cammino vocazionale

La vita, specificamente l’esistenza cristiana, non può non essere pensata come percorso, come cammino. Dire “cammino” è dire fedeltà del cristiano alla propria vocazione: “C’è un progetto di Dio nella vita di ciascuno: che non dura una stagione; non è in balia delle emozioni. La verità dell’amore è la fedeltà che dura tutta la vita. Ma questa va educata, motivata”2.

Il cristiano ha nel battesimo un “nome nuovo”, uno “spirito nuovo”, ma questa identità - la nostra vocazione sbocciata nel battesimo - va dunque nutrita, curata. L’“Eccomi” del credente, il “Sì” vocazionale, non è di un momento ma passa e matura attraverso le scelte quotidiane. Tali scelte, come i “passi” di un cammino, il credente li vive nella comunità cristiana. Non è casuale che in questi anni, particolarmente in riferimento alla formazione dei giovani, si è insistito sulla necessità di proporre loro degli “itinerari di fede”. È in merito profetica, sia sul piano pedagogico sia sul piano dei contenuti, questa intuizione dei Vescovi Italiani: “Fare la proposta vocazionale ai giovani oggi, significa proporre loro un itinerario spirituale” (P.P.V., n. 47).

L’“Eccomi”, come accoglienza e discernimento vocazionale, è quindi il risultato di un lungo e paziente cammino spirituale nella comunità cristiana. La vita della comunità cristiana - oltre offrire il servizio del cammino personalizzato nella direzione spirituale, che è complementare ed essenziale ad un cammino di fede comunitario - si qualifica o deve qualificarsi sempre più per gli itinerari di fede a servizio della maturazione della vocazione battesimale - intesa come fedeltà alla fede - e della vocazione specifica e personale del credente allo stato matrimoniale o verginale in una vocazione di speciale consacrazione.

Colgo l’occasione della celebrazione della prossima Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni per risottolineare l’importanza dei seguenti “itinerari vocazionali”, tra gli altri più sperimentati e fruttuosi nella comunità cristiana, veri e propri “luoghi” offerti da sempre per un cammino di fede e maturazione vocazionale del credente, ai nostri giorni da riaccogliere e percorrere come vere e proprie vie della nuova evangelizzazione.

La “Lectio divina”La “Lectio divina”, di cui la Chiesa gode per una lunga e ininterrotta tradizione, offre di fatto lo

spirito, il contenuto e il metodo agli itinerari vocazionali che oggi vanno anche sotto il nome di “Scuola della parola” e “Scuola di preghiera”. La “Lectio divina”, come noto, consta di quattro momenti (lectio, meditatio, oratio, actio), che disegnano una sorta di percorso della “Parola”.

La prima tappa è la lettura del testo in un ascolto serio del suo messaggio, alla luce di questa prima domanda : “che cosa vuol dire la Parola di Dio nel suo tempo e nel suo contesto?” . Poi c’è la seconda tappa del percorso o meditazione e accoglienza del messaggio del testo: “che cosa dice a me la Parola in questo momento e stato della mia vita?”. La terza tappa è la preghiera ovvero un atteggiamento orante: “che cosa dico al Signore a partire dal testo?”. Ed infine l’impegno della vita, l’azione3.

Il S. Padre, nel Suo Messaggio di quest’anno per la celebrazione della XXXIV Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, propone esplicitamente la “Lectio divina” quale luogo ecclesiale “ove il credente, fatto discepolo, può gustare ‘la buona Parola di Dio’ e rispondere all’invito di una vita di speciale sequela evangelica”: “...la catechesi, opportunamente impartita, mentre fa maturare la fede e la rende cosciente ed operosa, induce a leggere i segni della chiamata divina nell’esperienza quotidiana. Di grande utilità risulta, inoltre, la ‘Lectio divina’, occasione privilegiata di incontro con Dio nell’ascolto della sua Parola. Praticata in molte comunità religiose, essa può essere opportunamente proposta a tutti coloro che desiderano sintonizzare la propria vita col progetto di Dio. L’ascolto della Rivelazione divina, la meditazione silenziosa, la preghiera di contemplazione e la sua traduzione in esperienza di vita costituiscono il terreno nel quale fiorisce e si sviluppa un’autentica cultura vocazionale”4.

Gli “Esercizi Spirituali”C’è una pedagogia vocazionale che solca tutta la Bibbia: dalle grandi chiamate dei profeti

nell’Antico Testamento alla chiamata dei Dodici. La pastorale vocazionale da sempre s’ispira allo stile vocazionale di Dio. Un comportamento di Gesù, sia appena prima della chiamata dei Dodici sia come proposta agli stessi apostoli, è inconfondibile e riassumibile in questo passo biblico: “Si recò sul monte a pregare” (Lc 6,12).

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La proposta degli esercizi spirituali, mai trascurata o sottovalutata dalla pastorale vocazionale, mi sembra in continuità proprio con il gesto di Gesù sopra richiamato e così ulteriormente focalizzato: “Salì sul monte, chiamò presso di sé quelli che volle, ed essi si avvicinarono a Lui. Egli ne stabilì dodici affinché stessero con lui” (Mc 3,13). Il luogo: il “monte” ovvero un luogo appartato; la finalità: “a pregare” e per null’altro; un rapporto esclusivo: “presso di sé”, essenzialmente l’incontro con la Parola e l’Eucaristia; i destinatari: “quelli che volle”, perché ogni chiamata viene da Dio; “si avvicinarono a Lui” la disponibilità ad incontrare “Lui”: sono questi, a ben pensare, gli elementi che caratterizzeranno da sempre il “momento forte” degli esercizi spirituali.

La proposta degli esercizi spirituali ha nella chiesa una lunga tradizione: come itinerario vocazionale sono o dovrebbero essere un elemento qualificante dell’ordinario cammino di fede del battezzato nella comunità cristiana. Gli esercizi spirituali vocazionali ai giovani e alle ragazze, “pensosi vocazionalmente” è infine la proposta di giornate dense di riflessione, di preghiera comune e personale nella contemplazione tutta orientata alla comprensione della volontà del Padre e finalizzata in definitiva a interrogarsi profondamente non tanto sul “che cosa fare nella vita”, ma sul “chi amare per tutta la vita”.

La “Settimana vocazionale parrocchiale” È un appuntamento per tutta la comunità cristiana: un invito a tutti i membri della comunità

parrocchiale ad una sosta - nell’ordinario cammino di fede scandito sui tempi liturgici - per la preghiera, la riflessione e condivisione della testimonianza vocazionale. La “Settimana vocazionale”, opportunamente sintonizzata sul tema dell’annuale Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, come punto di arrivo e di partenza per una comunità parrocchiale del fervido lavoro della pastorale ordinaria di annuncio del “Vangelo della vocazione”, da cui nessuna comunità parrocchiale può prescindere o dare per scontato.

La pastorale ordinaria - mediatrice dei doni di Dio al Suo popolo (Parola, Sacramenti, Carità), doni costitutivi della vita della Chiesa - è il luogo ordinario di salvezza ed anche luogo ordinario dell’annuncio e maturazione vocazionale dei credenti. Non è fuori luogo ricordarci come “nella pastorale ordinaria di una comunità parrocchiale, la dimensione vocazionale non è dunque un ‘qual-cosa in più da fare’ ma l’anima stessa di tutto il servizio di evangelizzazione che essa esprime” (P.P.V., 26) e che “la dimensione vocazionale è connaturale ed essenziale alla pastorale della Chiesa” (PdV, 34).

Perché dunque una “Settimana vocazionale parrocchiale”? Non perché l’annuncio e la proposta vocazionale, che impegna sempre e in ogni suo gesto la comunità cristiana, sia ridotta nello stretto spazio di una settimana nell’economia generale dell’anno liturgico, ma proprio perché l’impegno connaturale e proprio della pastorale ordinaria da vivere e proporre in chiave vocazionale, trovi quasi un “tempo forte” perché tutta la comunità cristiana si rigeneri e si rimotivi attraverso uno specifico annuncio del “Vangelo della vocazione e delle vocazioni” e sia occasione privilegiata di annuncio e testimonianza vocazionale a tutte le componenti della comunità ecclesiale.

Se la Settimana vocazionale parrocchiale è concretamente scandita attraverso un preciso itinerario di preghiera, catechesi e testimonianza vocazionale5 proposto alla comunità parrocchiale nel suo insieme - e in essa a tutte le sue “categorie vocazionali” (fanciulli, adolescenti, giovani, famiglie, consacrati, catechisti, animatori...) - non devono però essere perse di vista le sue specifiche finalità: risvegliare in tutti la coscienza di essere dei chiamati, perché la vocazione non è un optional che abbellisce la vita dei più fortunati o un virus che colpisce i più indifesi o i più deboli, ma un dono che il Signore fa a tutti; aiutare ogni battezzato a conoscere e stimare tutte le vocazioni; ridestare nella comunità l’impegno di pregare, perché la chiamata di Dio trovi, soprattutto nei giovani, disponibilità e generosa risposta; aiutare a riscoprire il compito che tutta la comunità ha, ciascuno nella fedeltà alla vocazione ricevuta, di dare voce a Colui che chiama, perché “le varie componenti e i diversi membri della Chiesa impegnati nella pastorale vocazionale renderanno tanto più efficace la loro opera quanto più stimoleranno la comunità ecclesiale come tale, a cominciare dalla parrocchia, a sentire che il problema delle vocazioni non può minimamente essere delegato ad alcuni ‘incaricati’..., perché, essendo un problema vitale che si colloca nel cuore stesso della Chiesa, deve stare al centro dell’amore di ogni cristiano verso la Chiesa” (PdV, 41).

Note1) Cfr. I. Castellani, Ho creduto all’Amore... Eccomi, in ‘Vocazioni’ n. 1/1996, p. 3 ss. 2) E. Masseroni, Ecco, lo faccio nuove tutte le cose (Ap. 21,5), Lettera pastorale 199697, Vercelli, p.21.

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3) Cfr. C. M. Martini, Quando pregate dite... (Lc 11,2), Scuola della Parola giovani 199596, ed. In dialogo, Milano 1996, p. 9; cfr. E. Masseroni, idem, p. 29.4) Giovanni Paolo II, Messaggio per la XXXIV Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 20 Aprile 1997.5) Cfr. Settimana Vocazionale Parrocchiale, Sussidi del Centro Nazionale Vocazioni, Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni 1997.

STUDI 1Scoperto un tesoro di grande valore...di Patrizio Rota ScalabriniPATRIZIO ROTA SCALABRINI

Vi è oggi una forte resistenza al discorso biblico del “lasciare tutto”, che non è dovuta soltanto alla difficoltà di ogni tempo ad entrare nell’ottica del Regno, e neppure solo alla seduzione di una menta lità consumistica, ma è legata ad una serie di obiezioni di fondo, che rimproverano al cristianesimo di essere una religione del risentimento verso i valori della vita, di costituire una proposta per mediocri, incapaci di affermare se stessi come uomini liberi. Ne consegue l’esaltazione diffusa dell’esistenza in prova, cioè di uno stile di vita nel quale non ci si lega stabilmente a niente e a nessuno, per non compromettere la propria libertà. Ritengo che ad un simile modello culturale non si debba rispondere tanto con l’evidenziarne le contraddizioni intrinseche o i risultati deludenti; ma sia più produttivo verificare il messaggio biblico per mostrare come le scelte totalizzanti e le decisioni irreversibili non nascono da avversione ai valori della vita, bensì da una scoperta affascinante o meglio ancora da un incontro, dal carattere di assolutezza e definitività, con un Altro. I passi biblici al riguardo sono molteplici, ma può essere utile concentrare lo sforzo attorno a testi paradigmatici, che mostrano chiaramente come il Regno di Dio non sia la negazione dei desideri umani, ma un’esaltazione della ricerca alla quale è proposto l’inaudito, qualcosa che supera ogni attesa

Resistenza alla chiamata

Per il mistero della libertà l’uomo può sempre resistere a questo fascino del Regno, lasciando che la voce della chiamata di Cristo sia coperta dai molteplici e seducenti richiami della “gloria del mondo” Il cuore smarrisce il fascino dell’unico, dell’essenziale e si disperde nel relativo. L’esemplificazione più efficace di un doloroso fallimento della chiamata è l’episodio del giovane ricco (cfr. Mt 19,16-22), ma potrebbe esserlo anche l’intera vicenda della sequela dei discepoli, prima della loro nuova convocazione pasquale (cfr. Mc 14,50-51). La vocazione chiede sempre di abbandonare qualcosa, ma è per realizzare un legame nuovo, una comunione con Dio e con Gesù. Così a questo ricco viene chiesto, come segno del suo reale abbandono alla volontà di Dio, la rinuncia ai beni terreni, ma soprattutto l’affidamento a Gesù. Sequela è libertà e liberazione. Libertà di seguire Cristo e liberazione dagli ostacoli. Gesù ha considerato seriamente la generosità e la disponibilità del giovane ricco. Tutta la sua vita era stata veramente attraversata dall’acco -glienza verso la volontà di Dio, verso la Legge. Egli non ha, però, il coraggio di abbandonarsi totalmente a Dio, di fare il grande passo in avanti; perde rapidamente l’entusiasmo iniziale con il quale era corso da Gesù. La sua ricerca dell’unico si esaurisce per adagiarsi nel possesso dei molti beni. Così se ne va “afflitto”; gravato da un senso di insoddisfazione, poiché i beni che egli ha scelto al posto della sequela di Gesù non possono riempirgli il cuore. La tristezza dipinta sul suo volto non è causata tanto dalle parole di Gesù, che gli sembrano deludenti, ma ha una radice più profonda. In definitiva la sua vita è ormai un guscio vuoto di prescrizioni e di leggi osservate minuziosamente, manca del calore che scaturisce per il cuore dalla scoperta del Regno e dal gusto di cercare sinceramente la volontà di Dio.

Un’attesa scoperta

Alla resistenza al richiamo del Regno si contrappone, invece, un arrendersi al fascino della chiamata. Tra gli esempi concreti, che vengono proposti dai Vangeli, la preferenza va non ai vari personaggi storici dei discepoli e discepole, che hanno seguito Gesù, ma a quelli fittizi, ma non meno veri, delle due parabole gemelle del tesoro e della perla di Mt 13,44:

Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

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Queste parabole non sono rivolte, come molte altre, ad avversari di Gesù, bensì ai discepoli. E non è un caso. Egli vuole raggiungere proprio quei discepoli che corrono il rischio di sottolineare più l’aspetto di sacrificio e di distacco della vita cristiana e meno il suo fascino e la sua bel lezza. Gesù intende quindi portarli a cambiare ottica: chi incontra il Regno e decide di servirlo compie un affare, che sarebbe stupido lasciarsi sfuggire. Entrambe le parabole, strutturalmente parallele, trattano del Regno come evento che sopraggiunge nella vita di un individuo. La portata di questo avvenimento è illustrata attraverso l’esempio di personaggi che, su un piano analogo, hanno saputo approfittare dell’occasione. Dal comportamento del mercante di preziosi e anche da quello del contadino si può capire cosa significa per la nostra vita la scoperta del Regno, visto quale realtà non solo della “fine dei tempi” ma già presente nel quotidiano. Le due brevi parabole sono accomunate da quattro verbi: trovare, an dare, vendere, comperare. È, però, fuorviante concentrare subito l’attenzione su “vendere tutto” ma è necessario partire dal fatto realmente decisivo, primario, cioè la scoperta inaspettata. Inattesa è non solo per il contadino che non cercava nulla, ma anche per il mercante, che pur cercando perle di qualità, non può che trovare assolutamente sorprendente lo stupendo prezioso capitatogli tra le mani. Così l’evento del Regno, anche se avviene nel quotidiano come è il caso dei protagonisti delle due parabole, è sempre una realtà straordinaria, perché è l’accadimento della grazia. Un secondo elemento è il comportamento tenuto dai due personaggi, dopo la scoperta. Essi non possono restare inerti, come se nulla fosse accaduto, chiusi nelle loro occupazioni feriali, ma devono darsi da fare, inventare soluzioni nuove. La loro estrazione sociale è diversa, distanti le loro possibilità economiche, ma entrambi prendono la medesima decisione: vendere, impiegando tutte le loro energie e risorse per conseguire l’obiettivo. Per il grossista di perle è una grande vendita (piprasko), per il con-tadino è di minor conto (poleó). Ma tutti e due fanno ciò con disinvoltura, senza rimpianti per ciò che lasciano, solo mossi dal fascino di ciò che stanno per acquistare. Non è una rinuncia che pesa loro, ma una naturale decisione mossa dall’entusiasmo per quanto hanno trovato. Sono ben consapevoli del valore della loro scoperta per rimpiangere qualcosa del loro passato, pur senza disprezzarlo. È ormai chiaro l’intento delle due parabole: disegnare una figura di discepolo non tutto curvo su di sé e attanagliato da rimpianti, ma proteso verso la realtà che ha ammaliato il suo cuore, interamente assorbito solo dal fascino della scoperta. Il particolare della gioia, espressamente annotata per il fittavolo, riba disce questo insegnamento e gli conferisce ancor più rilievo, se si rileva la sobrietà con cui il vocabolo appare in Matteo, relegando l’uso di esso esclusivamente in momenti decisivi1 La “gioia” per Matteo è davvero la cosa seria che si può esperimentare solo di fronte al “definitivo”. Può essere utile ora far alcuni passi all’indietro, risalendo dalla parabola all’evangelista Matteo e a Gesù stesso. Da una parte è interessante che le due parabole ci siano state tramandate soltanto da Matteo; il che pare funzionale all’interesse dello scrittore stesso. Se si accetta, infatti, l’attribuzione tradizionale, la vicenda dei protagonisti della due parabole è molto simile a quella di Matteo (Levi), dedito agli affari prima di incontrare Gesù, ma poi libero da tutto, pur di seguirlo da vicino (cfr. Mt 9,9). Dall’altra esse devono il segreto del loro essere ancora attuali ed intriganti per il lettore odierno, al fatto che racchiudono l’esperienza di Gesù stesso. Egli per primo vive il suo progetto, la realizzazione della propria persona con totale disponibilità al piano di Dio su di lui, con una dedizione senza riserve a Dio e agli uomini. La dedizione di se stesso, con tutte le sue energie fisiche, psichiche e spirituali, all’annuncio del Regno non è rinuncia ad un progetto esistenziale, ma è la decisione consapevolmente voluta ed attuata di vivere tutta la propria esistenza come appartenenza totale al Regno. Per esso Gesù non riserva nulla per sé, ma consacra la totalità della propria vita in tutte le sue dimensioni: affetti, gesti, pensieri; desideri, beni economici, professione, abitazione. Eppure in tutto ciò c’è mai rimpianto o un sospetto disprezzo per i beni lasciati, ma solo la tensione verso un bene più grande e assoluto: Dio e il suo Regno tra gli uomini.

Perdita o guadagno

Un’illustrazione effettiva (e forse la più significativa) della verità delle parole di Gesù sulla bellezza della chiamata ci viene offerta da Paolo2. Egli è davvero un commento vivente della forza con cui la chiamata divina può entrare in una vita e trasformarla. L’apostolo parla della sua vocazione a più riprese, ma il testo che più sottolinea il fascino della chiamata è certamente Fil 3,3-17, dove mette in guardia la comunità contro chi le propone una religiosità da mutilati: “Guardatevi da quelli che si fanno circoncidere”. È un’esagerazione significativa, ma il messaggio è chiaro: guardatevi sempre da chi svilisce la bellezza del Vangelo, togliendone la gioia e la libertà. Ora, come antidoto contro questa

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proposta di una vita religiosa, fatta solo di obblighi e priva di gioia, egli indica il suo caso come vicenda esemplare3. Prima di incontrare Gesù, Paolo credeva di essere giusto, irreprensibile, eppure non era giusto. Cristo lo ha raggiunto non in un momento di crisi religiosa o di altro tipo, ma in un momento in cui si sentiva pienamente sicuro di sé, attaccato ai valori tipici di un buon ebreo, perfettamente a posto dal punto di vista etnico, religioso e morale. Ma ecco che l’incontro con Cristo gli cambia la vita per sempre e gli fa dire che queste sue realizzazioni umane, rispetto alle possibilità che gli vengono ora offerte, sono svantaggio e spazzatura. È difficile interpretare questo in termini psicologici, niente precedentemente lascia pensare, lascia supporre che Paolo fosse scontento di questa sua esperienza vitale nel giudaismo; né che si sentisse legato, impacciato. Se anche fosse ragionevole ipotizzare una crisi interiore, in ogni caso Paolo non ne parla, e resta una nostra costruzione fantastica. In questo senso, Cristo si lascia incontrare da chi è sazio e da chi è affamato, da chi ha un’identità forte e da chi ha un’identità debole, altrimenti sembrerebbe che Cristo sia una sorta di tappabuchi per chi è alla ricerca di una propria identità e vive in una situazione di crisi. Sarebbe di nuovo fare di Cristo un’esigenza di tipo psicologico più che una novità di tipo teologico. Il “nuovo essere”, la nuova creatura, cui Paolo viene condotto da questo incontro con Gesù costituisce un legame profondo con Cristo e un impegno strettissimi (cfr. 2Cor 5,17), che il nostro linguaggio può solo suggerire, ma non descrivere compiutamente. Ecco dunque al v. 7 la svolta della vita di Paolo! L’esperienza di Damasco è illuminazione, conoscenza di qualcosa di nuovo, che ha provocato un rovesciamento di sistemi di valore. Tutti i vari valori/beni sono come svaniti davanti ad un valore solo: Gesù Cristo. La chiamata è un atto di totale unificazione della propria persona per Cristo e in Cristo, che Paolo sperimenta come pura grazia. È solo questo che spiega il passaggio di Paolo dalla vita farisaica alla vita cristiana. La trasformazione, segnata dall’incontro di Damasco, non porta a un nuovo tipo di obbedienza alla legge, magari più intenso, ma consiste in un’illuminazione per la quale Cristo viene posto al centro della sua ricerca e quei “titoli di gloria” vanto della vita precedente, perdono il loro splendore. È una grazia che viene concessa a Paolo, ma è anche una decisione che segna indelebilmente la sua esistenza: “Ho considerato queste cose una perdita a motivo di Cristo” (v. 7)4

Solo con la scoperta di Gesù, che lo afferra improvvisamente, percepisce che cosa c’era di sbagliato in questo: al centro v’era lui e la sua giustizia e non una persona e l’amore per essa. Ciò che Paolo ora desidera possedere è la “conoscenza di Gesù, mio Signore”. “Conoscere” significa qui entrare in comunione con Cristo, sia nella morte che nella resurrezione. La vera conoscenza di Gesù è fare in modo che la Sua vicenda diventi la nostra vicenda, lasciar perdere tutto per entrare in questo rapporto inten so e totale. E si noti come, accanto alla parola “conoscenza” c’è un “diventare conformi” , un prendere la Sua stessa forma, conformarsi gioiosamente in tutto a Lui, il crocifisso. Questa conformazione è pienezza di vita, dinamismo, espresso nel testo originale greco dal verbo “correre”, che appare per tre volte: vv. 6.12.14. Come persecutore Paolo “correva” dietro ai cristiani per ucciderli. Lo stesso verbo “correre” viene usato anche più avanti: vv. 12.14. Prima “correva” dietro alla Chiesa, ora “corre” dietro al Signore e poi “corre” in direzione della meta 5. L’esperienza di Paolo si può riassumere dunque in questa parola: “correre” . Si tratta di individuare qual è la meta giusta. In questo modo Paolo ha trovato la gioia: perché sa dove corre, dove sta andando; ha imparato finalmente a muoversi nella direzione giusta. Il cristiano come Paolo continua ad essere in corsa, ma una corsa singolare, perché la meta è già stata raggiunta, anzi è già stata donata: “fui afferrato da Cristo” e allora rimane la tensione verso la risposta. È significativo però che, mentre l’azione di Cristo è all’indicativo passato 6, l’esito dell’impegno di Paolo sia in forma ancora dubitativa:”mi sforzo per afferrarlo” Secondo l’esortazione evangelica di non volgersi indietro, dopo aver posto mano all’aratro, al passato non si deve quindi più guardare, ma soltanto al futuro. L’unica cosa che conta del passato è l’incontro con Cristo, ma questo non è una realtà ‘passata’, perché continua ad animare il presente e fa tendere verso la piena realizzazione di esso, nella “chiamata di lassù” . Paolo rimane così un segno di come l’uomo necessiti della illuminazione della grazia per conoscere a fondo il suo peccato e non credersi troppo facilmente “irreprensibile” di fronte a Dio, ma segno anche delle possibilità che Dio riserva a chiunque accetti di credere alla “sublimità della conoscenza di Gesù, mio Signore”.

Note1) Esso ricorre solo per i Magi (cfr. Mt 2,10), per i servi buoni nel giudizio finale (cfr. Mt 25,21.23) e per le donne il mattino di Pasqua (cfr. Mt 28,8.9).2) Mi ispiro in questo paragrafo ad alcuni appunti non pubblicati del collega don Pasquale Pezzoli.

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3) Fil 3,17: Fatevi miei co-imitatori fratelli. Il Vangelo è vita realizzata e resa visibile nelle persone che lo annunciano. Ora se Paolo propone la propria esperienza è appunto perché vuole che i suoi fratelli, insieme con lui si facciano imitatori di Cristo e non cerchino nella direzione sbagliata di un’illusoria religiosità.4) L’ho considerata una perdita in greco è al perfetto, cioè è un’azione iniziata nel passato che continua nel presente e futuro. A Damasco, Paolo aveva rinunciato a una certa impostazione della vita, a quei titoli di gloria propri di un ebreo; ma ancora molte situazioni dovevano presentarsi negli anni seguenti, davanti alle quali rinnovare ogni volta la decisione di cercare solo la ‘conoscenza di Gesù ; ecco perché, dopo aver già parlato della sua rinuncia per amore di Cristo, ripete: Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Gesù, mio Signore v. 8).5) È utile riflettere sui verbi presenti nel testo di Fil 3,4ss. Inizialmente non c’è movimento, non ci sono verbi. Paolo è statico anche se corre davanti alla Chiesa. Situazione di vanagloria, accumulazione di titoli, di onori; è morto, è fermo. Poi incominciano i verbi, e questi abbracciano tutti i tempi: passato, presente, futuro. Paolo è diventato un vivente, è uno che percorre la sua vita con entusiasmo. Qualcuno l’ha afferrato nel passato e lo spinge a correre verso il futuro.6) Un fatto certo: fui afferrato.STUDI 2Anche la fede ha problemi di qualitàdi Pier Davide Guenzi, Docente di Teologia Morale a NovaraPIER DAVIDE GUENZI

La sfida davanti alla comprensione del tema della qualità della fede attraverso l’esplorazione della sua dinamica nella vita di una persona è tutta racchiusa nei racconti evangelici di vocazione ed in particolare nella vocazione mancata, raccontata a proposito dell’uomo ricco (cfr. in particolare delle tre versioni sinottiche Mc 10,17-22). Questo testo rappresenta un punto di partenza privilegiato perché consente, a differenza degli altri racconti di vocazione caratterizzati dall’immediatezza della risposta da parte dei chiamati, una considerazione ampia del percorso della decisione umana di fede, che diventa un paradigma di permanente attualità.

Ti manca allora solo una cosa...

Nel testo risulta centrale la qualificazione di partenza dell’uomo che interpella e viene interpellato da Gesù. Egli è ricco e dunque socialmente ed esistenzialmente si ritiene giusto. Misura la sua realtà attuale dell’essere giusto sia dalla consistenza del suo passato (attraverso il quale si è arricchito) come del suo presente dove la ricchezza diventa carta di valore riconosciuta dalla religiosità del tempo della sua condizione di giustizia. “Il ricco non riesce a separarsi dalla ricchezza che considera ricompensa della sua giustizia”1 e dunque non può entrare nella signoria di Dio che viene a svelarsi attraverso la proposta della sequela di Gesù che lo porta a lasciarsi alle spalle il proprio passato e le sue identificazioni. È in gioco tutta la forza della tradizione nella quale viene ad elaborarsi un’immagine di Dio codificata e sorprendentemente distrutta dalla proposta a lasciare i propri beni per abbracciare la nuova rivelazione di Dio in Gesù di Nazareth. Per questo “ è veramente impossibile che un ricco entri nella signoria di Dio - un ricco, che non ha bisogno di Dio o lo trasforma in un suo ausilio, il quale ricompensa la sua rettitudine”2. Alla luce di questo racconto viene a delinearsi l’itinerario che vogliamo perseguire. C’è sempre un’immagine di Dio alla quale ancorare la propria sicurezza e davanti alla quale rassegnare il coraggio di ricercare un’ulteriore qualità che salvi insieme la “reale consistenza di Dio” che si dà (rivelandosi) ed insieme si cela nel suo mistero e l’esatta percezione di sé. Un primo tratto allora di una fase “qualitativamente” esperita è dunque nella presa di distanza di una dimensione di religiosità o di fede già espressa, in modo pregiudiziale, nei tratti della cultura o della propria biografia personale (punto 1). Questa presa di distanza porta simultaneamente a misurare la dimensione di limite propria dell’esistenza individuale come punto prospettico per misurare l’autentica “verità” ed insieme l’orizzonte della “libertà” che viene messa in gioco “dalla fede” e ritrovata “nella fede” e senza la quale essa stessa non verrebbe a compiersi (punto 2). Gli ulteriori passaggi possono essere racchiusi nel “riconoscimento di sé”, con il quale la fede viene a coincidere con l’“identità” della persona (la “coscienza credente”), nella “decisione” con la quale la fede viene a coprire lo spazio del senso e del suo protendersi nel tempo e nella “attuazione”in cui la fede incontra l’esperienza dell’appartenenza e, dunque, della sua ecclesialità e l’esigenza della testimonialità quotidiana (punti 3-5). Il presupposto di fondo è rappresentato dalla singolarità di Gesù nel suo rapporto costante con il Padre da cui riceve tutto e che è chiamato a rivelare come il ‘tutto’della propria vita. È dunque la fede di Gesù, il suo rapporto con il Padre, davanti a cui Egli si riconosce come Figlio e da cui ne riceve il senso pieno da attuare nella sua concreta storia di vita, ad essere il tratto che qualifica la fede del cristiano nei termini di una partecipazione alla sua coscienza filiale, nei termini di un rapporto reale e vissuto, attraverso il

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Cristo, con il Padre che viene a riempire integralmente la vita stessa dell’uomo reso possibile come frutto della grazia dello Spirito che consente “di essere resi conformi a lui”3 . La sequela richiesta al giovane ricco diventa così la necessità insostituibile di partecipare alla stessa coscienza filiale di Gesù sia nella sua comprensione come nella sua attuazione4. Per questo “si potrà dunque parlare di fede cristiana esclusivamente laddove l’uomo deciderà nel concreto della sua esistenza di affidarsi a Gesù Cristo il quale, se per un verso rivelerà in se stesso all’uomo il Padre, per altro renderà l’uomo capace di accogliere questa stessa rivelazione attraverso il dono del suo Spirito”5.

Prendere le distanze (o del dolore del lasciare)

C’è comunque un lasciare alle spalle, un rompere con i pregiudizi che costituiscono come una vetrata che opacizza ogni rapporto vivo con il Dio di Gesù Cristo. Ogni cultura ha costruito i propri presupposti e i propri cortocircuiti intellettuali che, se hanno reso concettualmente configurabile l’approccio al mistero di Dio, tuttavia hanno contribuito a deformarne il senso. L’analisi di essi nella sua completezza sfugge i contorni imposti al presente contributo. Per questo occorre limitarsi a segnalare alcuni tratti della “religiosità diffusa” che pregiudicano l’accesso ad una qualificazione della fede nei termini sommaria -mente accennati. Un primo tratto è quello della deriva psicologica della fede. La riduzione della fede allo spazio del sentimento, quello lasciato angosciosamente libero da ogni altra spiegazione su di sé ed il mondo, riconduce il credere ad un semplice bisogno psicologico e sicurizzante per la persona che emerge dopo il fallimento di tutti gli altri valori sui quali si è cercato di costruire la propria vita o che si pone semplicemente accanto (e non in alternativa) ad essi solo per alcuni segmenti della vita. Prendere le distanze significa riconoscere che la fede non può essere un semplice linimento consolatorio alla fatica e ai drammi dalla vita. Un secondo tratto è quello della deriva moralistica della fede. L’illusione, non troppo sottile, è quella di ricondurre quello che è un rapporto globale con Dio ad una prestazione da compiere. È l’illusione di pensare che compiere le opere di Dio compensi e dispensi dal comprendere chi è il Dio che chiede all’uomo l’amore e le sue opere, misconoscendo che la “sorpresa dell’amore” è tutta dalla parte di Dio che precede e fonda ogni azione di amore dell’uomo. Prendere le distanze da questo significa ricordare che il nesso profondo tra fede ed amore, tra proposta di Dio e risposta dell’uomo, non è mai esprimibile come alternativa, ma solo come mutua e profonda implicazione. L’ultimo tratto è ravvisabile nella deriva intellettualistica della fede. È la sbrigativa riduzione della fede ad un “pacchetto”di verità da credere, che non di rado diventa un fardello ingombrante perché non si riesce a comprendere più il motivo per cui esso ci sia stato consegnato attraverso un lungo processo di iniziazione condotto in età infantile. Lasciare alle spalle questo pregiudizio comporta l’impegno a fuoriuscire da una forma di infantilismo religioso che riduce il conoscere Dio ad una serie di informazioni non troppo facilmente utilizzabili come “senso” per il vivere quotidiano. C’è poi un lasciare alle spalle che è del tutto personale e che non si può catturare nei tratti descritti. È quello legato alla propria biografia, alla sedimentazione di alcune modalità nel percepire e vivere la fede che precludono ad ogni ulteriore ricerca. Resta comunque la verità di questo primo passo che impone di creare quello spazio interiore aperto per un’esatta valutazione di sé e della proposta del Dio cristiano come capace di raggiungere ed illuminare in modo integrale la persona colta nella sua essenziale storicità della propria verità e libertà 6.

Misurare se stessi (o del problema della verità e della libertà)

Accanto a questa operazione, pur dolorosa quanto necessaria, si profila un ulteriore passo per accedere alla “qualificazione”della fede: l’impegno a misurare i termini esatti della verità di sé e della propria libertà, all’interno dei quali la fede può costituirsi come apertura totale all’Altro. Quest’apertura è resa possibile attraverso la percezione del proprio limite creaturale, della propria finitezza esistenziale7. Circa l’idea di limite occorre accennare che dietro questa espressione non si vuole semplicemente descrivere l’inevitabile limitazione connessa con la storia della vita personale. Secondo questa visione allora l’esistenza appare “delimitata” dalla condizione e dalla biografia individuale come rinuncia ad un’orgogliosa presunzione della propria volontà di potenza. Accanto a questa accezione occorre pensare al limite nel senso del “confine”. Fare esperienza del proprio limite è dunque l’operazione coraggiosa di giungere al confine della mia libertà, al punto ultimo delle mie possibilità, alla percezione piena di quello che sono per scoprire qui l’apertura alla fede, come affidamento sensato all’Altro che permette di guardare al mio limite personale come l’unico orizzonte in cui Egli rivolge la

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Parola di salvezza. Proprio da questo “limite” o “confine” allora appare la dimensione della verità personale e del Dio persona che si rivela in Gesù. Il limite è l’orizzonte della verità oltre l’illusione di autofondare l’esistenza o di dissolverla nell’alienazione. Da esso appare allora la verità della fede che supera la visione di Dio come semplice espansione del mio bisogno insita in ogni processo di autofondazione di sé o della visione di Dio come idolo che ha bisogno dell’uomo per sussistere e che insieme aliena l’uomo asservendolo a sé. Dal limite che sono colgo che l’irrompere di Dio misura la mia vita come reale possibilità di fondarsi e di esprimersi nella libertà autentica. Così l’orizzonte della libertà diventa lo spazio aperto della vita che viene messo in gioco dalla fede e insieme riconquistato da essa. Il Dio a cui la libertà dell’uomo si affida non è il dio-padrone che ritaglia gli spazi della libertà di ciascuno catturandoli a sé, ma il Dio-Padre per il quale l’esperienza della fede diventa la reale apertura della vita nella sua integralità. A partire da questa misurazione di sé la dinamica della fede viene a dispiegarsi come problema di “identità”, di costituzione dell’orizzonte del senso e di doverosità della testimonianza, come di altrettante garanzie della sua qualità.

Riconoscersi (o della costituzione dell’identità)

La fede non è un semplice problema di conoscenza, ma di riconoscenza. Si tratta di mostrare come l’identità della persona è tutta racchiusa da questa verità del proprio limite e della libertà che si apre solo in esso. Riconoscere è dunque assumere l’intera propria esistenza sotto il segno della fede ritenendo che essa venga a definire in modo totale la propria vita. Riconoscere è fare esperienza che niente di quello che una persona è, a cominciare dagli affetti, può essere sottratto dalla logica della fede. Riconoscersi è ancora esperienza dello stupore, della meraviglia che la mia vita è comunque donata, e che viene dall’Altro. Ma anche riconoscersi è superare l’angoscia della distanza tra la logica della fede e l’attuale situazione di vita in cui la persona viene a trovarsi. Riconoscersi significa accedere, oltre l’incertezza della meraviglia e l’apparente paralisi dell’angoscia, alla responsabilità, cioè alla doverosità di dare risposta con la vita al Dio cui la persona si è affidata. Tale responsabilità implica, allora, l’impegno della decisione, cioè il passaggio dall’astratta considerazione della vita alla sua progettazione.

Decidersi (o dell’orizzonte del senso)

Decidere e decidersi significa allora costituire l’orizzonte complessivo del senso che dovrà essere perseguito e verificato nella concretezza della vita. “Decidersi è progettare e questo ha come costitutivo l’anticipazione di qualcosa che non si possiede e l’affidamento al senso che a questo anticipato si dà con la decisione [....] Per essere se stesso e non perdersi nell’insignificanza ognuno deve singolarmente decidere e la decisione è ciò che di più nostro abbiamo perché nessuno può decidere autenticamente per noi” 8. La fede si struttura dunque come decisione nella quale si profila il senso dell’esistenza nella sua apertura, attraverso il tempo, al futuro. Tale decisione coincide con l’accoglienza di Gesù Cristo e l’accesso alla sua obbedienza filiale come senso complessivo ed implicala destinazione della vita all’amore di Dio e dei fratelli nei termini proposti dall’esperienza storica di Gesù 9. “La decisione di credere in Gesù Cristo coincide col vivere per Lui, con Lui ed in Lui, attuando in questo modo, attraverso un’obbedienza totale ed incondizionata a Gesù Cristo, l’unico rapporto realmente in grado di consentire all’uomo di realizzare in pienezza la libertà finita che lo costituisce strutturalmente”10 Davanti all’incertezza della decisione si gioca il difficile accesso alla qualità della fede che diventa vocazionalmente feconda. Tale decisione dunque rappresenta un atto intensivo ed espressivo della destinazione della vita che richiede di essere estensivamente proposto e verificato nelle molteplici circostanze della vita attraverso la doverosità della testimonianza.

Attuarsi (o della doverosa testimonianza)

L’ultimo elemento della “qualità” della fede è il suo approdare dalla decisione all’attuazione, al configurare storicamente e biograficamente la vita. La questione della testimonianza è più che una semplice conclusione dell’opzione di fede, ne rappresenta, piuttosto, la permanente verifica a confronto con le molteplici esperienze ed esigenze della vita. Il carattere testimoniale della fede cristiana richiede di essere esplorato su due versanti. II primo è quello dell’adesione alla Chiesa, non semplice mente nei termini di superare l’opposizione, culturalmente vincente (e per certi versi convincente) tra l’accoglienza di Gesù e il ripudio della Chiesa, ma piuttosto tale adesione deve esprimersi come consapevolezza che la costituzione della Chiesa ha a che fare con l’impegno di ciascuno a dare ragione della fede e a ritrovare le ragioni della fede nel confronto con i fratelli e le sorelle della comunità cristiana. Questa attuazione ecclesiale diventa costitutiva della Chiesa stessa come comunità di quanti sono posti sotto l’obbedienza al

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Signore Gesù, chiamati a percorre la sua “via”e a proporla come “verità” attraverso la testimonianza della “vita”. L’ulteriore figura della attuazione è quella della coerenza personale che è richiesta ai discepoli non come orgoglioso impegno all’autoperfezionamento, ma come espressione che ogni aspetto della vita ha a che fare con l’amore, che si profila non nella sua genericità, ma nella sua generalità. L’amore, la carità, come realtà da ritrovare, custodire e realizzare in tutte le esperienze della vita e da accogliere come perdono (da parte di Dio e del fratello) davanti allo scacco del peccato. Tale attuazione allora dimostra come l’amare sia possibile solo a partire dall’apertura nella fede al Dio-amore rivelato da Gesù. Lo sforzo della qualità della fede che testimonia è allora quello non tanto di esibire una molteplicità di atti, ma attraverso la molteplicità degli atti di cui si compone, inevitabilmente, la vita della persona, di mostrare l’unica realtà che ne consente l’unificazione: l’amore.

“Vorrei imparare a credere”

Il profilarsi di un itinerario di qualificazione della fede può spietatamente mettere la persona davanti alla protesta della sua impossibilità. Se questo può portare ad una sorta di “blocco” o di ripiegamento verso le più accomodanti derive della fede, d’altra parte può svelarne il fascino nascosto dietro l’incompiutezza e rilanciare la ricerca verso il suo compimento come impegno non solo mai precluso all’uomo, ma anche costantemente in fieri e da accogliere come frutto della “grazia” a caro prezzo che sgorga dalla Croce di Gesù che continua ad attrarre a sé e alla sua sequela gli uomini di ogni tempo. Restano allora vere le parole di D. Bonhoeffer: “Si impara a credere solo nel pieno essere - aldiquà della vita. Quando si è completamente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi - un santo, un peccatore pentito o un uomo di chiesa, un giusto o un ingiusto; un malato o un sano - , e questo io chiamo essere-aldiquà, cioè vivere nella pienezza degli impegni, dei problemi, dei successi e degli insuccessi, delle esperienze e delle perplessità - allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani, e, io credo, questa è fede, questa è metanoia, e così si diventa uomini, si diventa cristiani” 11. Così davanti ad ogni protesta di una risoluzione della vita nei termini di una realizzazione di essa e dei propri progetti, Bonhoeffer replicava semplicemente: “Io vorrei imparare a credere”

Note1) L. GOPPELT, Teologia del Nuovo Testamento, vol. I, Morcelliana, Brescia 1982, p. 149.2) Ivi, p. 150.3) Veritatis Splendor, n. 21. Risulta comunque importante la scansione dei nn. 19-21 dell’Enciclica di GIOVANNI PAOLO II nei quali si mostra il collegamento del tema della “sequela di Gesù”con quello della “imitazione di Gesù” e della “conformazione a Gesù” come tratti specificanti la morale in senso cristologico e nel suo nesso con la dinamica della fede.4) È questa, di fatto, la logica che presiede alla costituzione degli stessi racconti evangelici, come espressa in modo sintetico dall’apertura del Vangelo di Marco e dal percorso narrativo attraverso cui il lettore è condotto fino alla risposta personale di fede davanti al “sepolcro vuoto” (Mc 16,8).5) P. BERNARDI, La fede come obbedienza a Gesù Cristo, in P. BERNARDI - G. GIORDANO - G. LINGUA, La Decisione di Credere. Per una comprensione della fede come atto pratico. Esperienze, Fossano (To) 1996, p. 183-4. Si noti, di passaggio, come questa prospettiva lasci alle spalle un’interpretazione della fede come atto intellettualistico presupposta dal modello “manualistico” della teologia come illustrato in altra parte del Saggio citato. Per una più profonda comprensione del tema si rimanda, comunque, ad un’opera di Teologia Fondamentale ed in particolare a P. SEQUERI, Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale, in Biblioteca di teologia contemporanea, 85, Queriniana, Brescia 1996.6) È facile osservare che le tre derive della fede a cui si faceva cenno corrispondono ad una riduzione di essa all’espressione privilegiata di una delle facoltà ritenute costitutive dell’uomo. Rispettivamente quella psicologica alla facoltà del sentimento, quella moralistica alla volontà e quella intellettualistica alla ragione. È superfluo far notare che un accostamento alla fede nei termini di un rapporto ontologicamente costitutivo con il Dio rivelato in Gesù Cristo non può né essere adeguatamente espresso per appropriazione di una di queste facoltà e nemmeno dalla semplice sommatoria di esse. L’accesso alla fede viene a coincidere con l’integralità e l’integrità della persona colta a partire dall’effettiva ed affettiva esperienza di vita. La fede in atto diventa così “ forma pratica dell’unità della persona” (cfr. P. SEQUERI op. cit., pp. 356 ss.).7) Circa il rapporto tra “finitezza e questione di Dio” preziose riflessioni, anche se di uno spessore teoretico di non immediata accessibilità, sono offerte nel numero monografico, dedicato a questo tema, della rivista Filosofia e teologia 7 (1993) 3.8) G. LINGUA, L’uomo di fronte all’esistenza, in P. BERNARDI.... op. cit., p. 34. Circa il tema della decisione valgono le pertinenti riflessioni contenute in A. BERTULETTI, La decisione e la verità, in Servitium, 28 (1993) 87, pp. 216-223.9) Circa il tema della destinazione di sé alcune indicazioni possono essere ritrovate in P.D.GUENZI, La condizione dell’adulto: destino, fede e vocazione, ‘Vocazioni’ 13 (1996) 3, pp. 24 ss. 10) P. BERNARDI, La fede come obbedienza..., in op. cit., p. 198.

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11) D. BONHOEFFER, Resistenza e resa, Classici del pensiero cristiano, 2a Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1988, p. 446.

STUDI 3Il “centuplo” e oltre...di Antonio Maria Sicari, Docente di Teologia a BresciaANTONIO MARIA SICARI

Anche solo leggendo le pagine evangeliche dove sono raccontate le “vocazioni” dei discepoli, ci si persuade che non è possibile seguire il Signore Gesù senza prima “abbandonare tutto”, ed è una condizione che tutti i cristiani devono prima o poi accettare, sia pure in mille e diverse maniere. A volte (raramente) Egli chiede uno strappo improvviso e lacerante, più spesso il distacco si realizza man mano che il chiamato si inoltra per seguirLo, e la strada si va sempre più allontanando da ogni altro possesso che non sia Lui.Non mancano nell’agiografia santi che hanno mostrato e insegnato quanto sia impervio e faticoso il cammino che conduce alla “santa Montagna”, e quante rinunce esso richieda. Il nome di san Giovanni della Croce viene subito in mente ai cristiani più colti, anche se a torto; dato che il Dottore Mistico spagnolo ha descritto la sua aspra “Salita del Monte Carmelo” solo dopo aver intuito e comunicato le ineffabili dolcezze nuziali del Cantico. La rinuncia e la durezza che egli ha insegnato sono piuttosto espressioni della forte impazienza di un cuore che non si capacita di come sia possibile attardarsi quando l’Amore è così prossimo al cuore. La strada indicata è sì scabra, ma viene scelta nella foga di giungere al più presto al pieno possesso dell’Amato. Proprio la vicenda di questo santo, bruciante di passione, è emblematica. C’è qualcosa di particolarmente indelicato nella maniera in cui certi autori spirituali parlano dell’abnegazione e della rinuncia, troppo al di fuori del clima dell’amore e del possesso che in esse si esperimenta. A volte essi sembrano dimenticare che i “riti di spoliazione” al di fuori del particolare clima di tenerezza e dell’intimità in cui essi accadono, rischiano di tramutarsi in oscenità e violenza. È stato certamente un danno per la spiritualità cristiana l’avere illustrato in maniera eccessivamente particolareggiata le vie della rinuncia e della spoliazione, senza (o prima di) aver raccontato l’intera esperienza d’amore che le esige e le illumina. I doni dell’amore di Dio non sono soltanto al termine del cammino della rinuncia (come paga di un lavoro fino ad allora insopportabile), ma sono offerti anche all’inizio del cammino (in una pregustazione che è motivo e stimolo) e durante il percorso (come pienezza subito sovrabbondantemente corrispondente ad ogni svuotamento). Nel Vangelo Gesù non promette ai suoi seguaci solo “la vita eterna” del suo regno celeste, ma anche “il centuplo quaggiù”: misto certamente a croci e persecuzioni, ma sempre capace di saziare di beni il chiamato. Le pagine della agiografia cristiana sono quasi sovraccariche (tanta è la munificenza di Dio) di testimonianze a riguardo di questo “centuplo”. Potremmo distinguere, volendo, due aspetti: uno più intimo e personale che accade nell’interiorità stessa del chiamato, e uno più esteriore e sociale che accade visibilmente nel corpo della Chiesa. Per l’aspetto personale possiamo ad esempio ricordare la testimonianza di Teresa di Lisieux, proprio mentre celebriamo il centenario della sua morte. È noto che “la piccola Teresa” toccò il vertice della rinuncia a se stessa quel 9 giugno 1895 (festa della SS. Trinità) in cui si offri come “vittima di olocausto all’Amore misericordioso di Dio” abbandonando tutto nelle sue mani, anche i più preziosi doni spirituali (“meriti”, “libertà”...). Ed ecco quel che ne ebbe in cambio:

“Madre cara (scrive alla sorella-priora) voi che mi avete permesso di offrirmi in tal modo al Buon Dio, voi sapete i fiumi, o piuttosto gli oceani, di grazie che hanno allora inondato la mia anima. Da

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quel giorno mi sembra che l’Amore mi penetri e mi circondi da ogni parte e che ad ogni istante quest’Amore mi purifichi e non lasci in me traccia alcuna di peccato” (Man. A, 84 r). Ella si accorgeva della divina legge del centuplo non solo quando si sentiva inondata da grazie mistiche, ma anche quando scorgeva nelle circostanze più semplici della vita le tenerezze dello Sposo Gesù. Ecco un brano delicatissimo che testimonia esplicitamente questa persuasione:

“Lei sa, Madre cara, quanto io ami i fiori; facendomi prigioniera a quindici anni, rinunciai per sempre alla gioia di correre nelle campagne smaltate dai tesori della primavera. Ebbene! Mai ho avuto tanti fiori come da quando sono entrata al Carmelo. È usanza che i fidanzati offrano spesso mazzi di fiori alle loro fidanzate; Gesù non lo dimenticò: mi mandò in gran numero mazzi di fiordalisi, margherite, papaveri ecc., insomma mazzi di tutti i fiori che mi piacciono di più. C’era perfino un fiorellino, chiamato”nepitella del grano” che non avevo trovato mai da quando abitavamo a Lisieux, e desideravo tanto rivedere questo fiore della mia infanzia che avevo colto nelle campagne di Alençon, proprio questo fiorellino venne a sorridermi al Carmelo, mostrandomi che, nelle piccole cose come nelle grandi, il Buon Dio dà il centuplo fin da questa vita alle anime che per amor suo hanno lasciato tutto”. (Man. A, 81 v).

“Capricci infantili” li chiamava Teresa. Ma quanto vicino al cuore deve essere Dio, e lo si pensa occupato a soddisfare al centuplo perfino i capricci dei suoi figli? Al riguardo di questo centuplo sovrabbondante, nelle piccole e grandi cose, in amore e grazie, i santi usavano espressioni piene d’infinita commozione e spesso li si sentiva mormorare: “Grazie, Signore, è troppo...”. Si può dire che non ce ne sia uno che non abbia testimoniato questo “troppo grande amore” che raggiungeva e colmava il loro cuore, a volte nella pace, a volte tra le più terribili sofferenze. “Una prigionuccia, da niente”: così Giovanni della Croce definiva nove mesi di durissimo carcere, rispetto ai fiumi di grazie che vi aveva esperimentato (e il centuplo era fatto anche di versi splendenti e poemi di incredibile bellezza che gli fiorivano tra le mani). “In ogni attimo, in ogni soffio, io ho la prova che Dio mi assiste dolcissimamente”, diceva Benedetta Bianchi Porro, cui era stato chiesto di abbandonare progressivamente tutto nella maniera più radicale possibile, man mano che le cinque porte dei sensi si chiudevano per lei una dopo l’altra, inesorabilmente. Il mistero del “centuplo” nel cuore dei santi è un’evidenza sconvolgente in tutta l’agiografia cristiana. Poi c’è anche il “centuplo” che si documenta nella fruttuosità sociale ed ecclesiale, ed anche questa evidenza stupiva gli stessi santi e li riempiva di gratitudine.

“Sono tanti i poveri che qui giungono - scriveva S. Giovanni di Dio - che io stesso molte volte non so come alimentarli, ma Gesù Cristo provvede a tutto e dà loro da mangiare, perché solo per la legna occorrono 7 o 8 reali ogni giorno; perché essendo la città grande e molto fredda sono molti i poveri che giungono a questa casa di Dio; perché tra tutti infermi e sani, gente di servizio e pellegrini, ce ne sono più di cento e dieci... vi sono rattrappiti, mutilati, lebbrosi, muti, pazzi, paralitici, tignosi, e molti vecchi e molti bambini; e, senza contar questi, molti altri pellegrini e viandanti che giungono, e si dà loro fuoco e acqua e sale e recipienti per cucinare e mangiare, e per tutto questo non c’è rendita; ma Gesù Cristo provvede a tutto...”. In questo brano che descrive la nascita del primo ospedale - che viene su quasi sotto gli occhi stupefatti del santo - sembra quasi di vedere da un lato le centinaia di bisognosi d’ogni genere che giungono e dall’altro il centuplo in mezzi ed energie e generosa passione che da Cristo stesso discende con regale magnificenza. Ma possiamo anche ricordare il centuplo esperimentato, con clamorosa evidenza, da Giovanni Bosco, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Madre Cabrini, Kolbe, Orione e mille altri che vedevano incredibilmente nascere, dalle loro povere mani, conventi, collegi, ospedali, scuole e perfino vere e proprie città: un centuplo di cui avevano certezza fin dall’inizio - al punto da essere spesso giudicati sognatori e visionari - e che finiva anche per essere un “centuplo” di discepoli (collaboratori e figli) che ad essi si affidavano. Non c’è solo il centuplo promesso ai chiamati: c’è anche il centuplo dei chiamati, tutti attratti da un solo discepolo divenuto padre (fondatore). Non esiste nella Chiesa una storia della rinuncia o della mortificazione. Esiste una storia del centuplo. E, se si vuole, una storia dei miracoli operati da Dio per onorare questa sua promessa evangelica. E tuttavia un’ultima parola deve essere spesa proprio a favore della “rinuncia” Niente è più lontano dagli intenti di questo articolo che dissuadere i chiamati dal percorrere seriamente la via della cristiana abnegazione. Bisognerebbe essere ciechi per non accorgersi della massa di incrostazioni di cui ogni chiamato è vittima, già prima di udire la chiamata: incrostazioni molto dense e spesse, non ultima quella di avere un io narcisistico che trema ad ogni accenno di difficoltà e rifugge da qualsiasi ipotesi di sofferenza.

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Abbiamo voluto solo ricordare che l’annuncio dei doni di Dio, la loro sperimentazione (anche se iniziale), il gusto della salvezza già operante, la certezza della propria preziosità e la speranza indomabile in un Disegno buono in cui si è già stati coinvolti, devono in qualche modo presiedere al duro lavoro di far morire il proprio “uomo vecchio” come si usava tradizionalmente dire.

ORIENTAMENTI 1Fino a lasciare tuttodi Gabriella Tripani, Formatrice delle Missionarie dell’immacolata (PIME)

E’ del 1979 un corso di esercizi spirituali del card. Martini che è stato pubblicato con il titolo “Abramo nostro padre nella fede”1. È di parecchi anni fa, dunque, ma ricordo molto bene un’immagine di quel libro.

La promessa in tasca

Martini commentava il rapporto tra Abramo e il nipote Lot e in partico lare illustrava il momento in cui i due decidono di separarsi e scelgono dove andare. Abramo lascia scegliere a Lot e Lot sceglie la parte più bella e ricca della vallata che hanno di fronte. Ad Abramo va bene lo stesso anche il resto. Non gli importa di lasciare la parte più bella e fertile. Perché? si domanda Martini. E risponde: perché lui aveva la promessa. Lot no. “Questa promessa gli è più ricca di qualunque altra cosa e lo rende libero, tranquillo, disponibile a cedere il meglio” (p. 73). Abramo aveva la promessa. Aveva qualcosa di più. Certo, era solo una promessa, ma era una ricchezza, una sicurezza basata su una fiducia. Abramo aveva qualcosa. E poteva lasciare perché aveva qualcosa. Lot doveva arrangiarsi. Sempre commentando questo passo, Martini opera un accostamento del brano della Genesi con l’inno di Paolo dalla lettera ai Filippesi. E traduce: non “Gesù pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio” ma “Gesù essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso....” Cioè, Gesù lascia non “pur essendo”, ma “perché era” Gesù diventa uomo non pur essendo Dio, ma perché era Dio. Non lascia ogni cosa pur avendo tutto, ma proprio perché aveva tutto. “Essendo così ricco, trovò in questa sua ricchezza la gioia e la pienezza di donare. Poté farlo grazie alla sua ricchezza” (p. 81). Adesso è chiaro il primo punto di questa riflessione sul lasciare tutto in chiave psicologica. Sì, perché anche se sono stati citati Martini, la Genesi e l’inno della lettera ai Filippesi, il messaggio ricavato tiene conto di una dimensione psicologica essenziale: bisogna avere per poter lasciare. Bisogna aver ricevuto per poter essere liberi di lasciare. E bisogna sapere di avere ricevuto per poter lasciare liberamente.

Il furto

Per lasciare liberamente occorre sapere di aver ricevuto abbastanza. Occorre quindi fare esperienza di gratitudine. Altrimenti si lascerà, forse, ma con la sensazione di essere derubati. Si consegnerà, forse, ma con l’impressione che venga portato via qualcosa. La persona vuole dare, lasciare, e lo fa, ma lo fa

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con frutti di risentimento, che a volte emergono molto più tardi. Una specie di protesta: mi hanno ingannato, io ho dato, e adesso? ho lasciato, e adesso? Perché evidentemente si sente che il bilancio è fallimentare: si è dato più di quello che si pensa di aver ricevuto. Non c’è abbastanza sicurezza: che se anche mi prendessero tutto, tanto io avrei comunque quello che conta e che basta. Uno che si sente amato non ha paura di perdere. O se ce l’ha, ce l’ha nella fiducia, in una sostanziale sicurezza: sa che forse bisogna attraversare incertezza e timori, ma sa anche che ne varrà a pena. Che in ultima analisi non ci rimetterà. Come dice Gesù: “Nessuno me la porta via, la mia vita, sono io che la do. Perché ho il potere di lasciarla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio” (Gv 10,18). Gesù è Signore della sua donazione, Signore della sua obbedienza. Non si lamenta: è lui che lascia che gli tolgano tutto, è lui che vuole che gli tolgano tutto, perché vuole donare tutto. Sa che ha il potere di riprendere di nuovo. Pur dando tutto non dipende dagli altri. Così ci assolve dal furto della sua vita: dicendoci che ha deciso lui. Ma noi assolviamo gli altri dal furto delle nostre cose, del nostro tempo, dei nostri programmi, dei nostri affetti?

Fogli sprecati

Un interessante lavoro di Bettelheim racconta, tra molte altre cose, l’esperienza di insegnanti che avevano notato come bambini provenienti da un contesto di povertà e privazione sprecavano più degli altri. In classe, davanti ai fogli di carta messi a disposizione di tutti, arraffavano e sprecavano nonostante l’assicurazione della maestra che ci sarebbero stati fogli per tutti. I bambini più abbienti riuscivano a prendere un foglio per volta. Loro no, non erano capaci. Così riporta Bettelheim lo sfogo di un insegnante:

“I bambini che vengono da ambienti poveri tendono a sprecare molta più carta degli altri. Iniziano con un foglio, ma se il disegno non piace o pensano che non piaccia a me, lo buttano via, dicono ‘non mi piace’ e lo stracciano. Vogliono un altro foglio, ma non pensano che si può voltarlo e scrivere dietro...Secondo me sprecano un mucchio di fogli... È duro far capire che devono far conto della carta... Ho spiegato spesso che chi paga le tasse paga anche per questo spreco. Poi ho detto che non c’è un secondo foglio, devono arrangiarsi con quello che hanno. Ma non ha funzionato…”. E Bettelheim commenta:

“L’insegnante non ha capito che questi bambini, sprecando e chiedendo sempre di più, tentano di vedere se il futuro paga, se il rifornimento è adeguato, se ce ne sarà ancora anche se non lo prendono subito... È solo sulla base di una sazietà piacevole, ripetuta tante volte e fatta oggetto di riflessione, che si può incominciare a dilazionare. Invece l’insegnante pretende che i ragazzi vivano questo principio prima che lo abbiano appreso” 2.

E ancora:“Chiedere di non sporcare o di non mangiare subito il dolce sarà efficace se il bambino ottiene

molta lode e affetto per la dilazione, se nel passato la sua fame è sempre stata saziata, a sufficienza e piacevolmente. Lui lo farà perché altrimenti teme di perdere tutte queste soddisfazioni garantite. Nessuna lode funziona se la fame rimane insaziata, nessuna pretesa è efficace se non si crede che la dilazione procurerà maggiori guadagni (cioè sazietà e lode) e che non comporta perdita, mentre mangiare subito dà sazietà, ma con l’aggiunta di colpa e ansietà. Non c’è dilazione possibile se tutta l’esperienza mi dice: ciò che non prendo adesso non lo avrò mai più. Ecco perché si vede così spesso che i ragazzi meno privilegiati imparano solo finché hanno l’attenzione dell’insegnante: almeno hanno la ricompensa emotiva subito, appena si applicano. La loro vita li ha troppo confermati nell’idea che se non si ha subito lode, attenzione o altre ricompense, non ci saranno più” 3. Evidentemente la paura sottostante la convinzione che “quello che prendo ora non lo prenderò più” ha le sue radici nelle prime esperienze, particolarmente in quelle di nutrizione e amore.

Il nome psicologico della speranza

Ciò che conta è l’esperienza della vita: e forse la vita ha insegnato che domani non avrò quello che magari ho oggi. Se non arraffo il foglio, l’affetto o non mi bevo il guadagno, se metto da parte, aspetto, rinvio, non avrò più niente. Non posso fare a meno, se non ho la sicurezza che rinviare è per il meglio: devo potermi fidare. E posso fidarmi se almeno qualche volta ho provato a dire no per un sì e poi vedere il sì realizzato; se ho provato ad astenermi per una gioia più grande e poi ho sperimentato la gioia più grande. Se ho ricevuto, so che si può ricevere. E soprattutto imparo che si può dare.

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Capacità di rinvio, si dice in termini psicologici. Vuol dire saper aspettare. In termini spirituali è la capacità di rinunciare “per”, è l’ascesi. L’ascesi è capacità di rinvio. Dico un no perché c’è dietro un sì più grande. Ed è speranza; perché nella speranza so che quel “dopo”, quel “più grande” mi verrà dato. Applichiamo tutto questo all’avventura vocazionale. Infatti, citando Bettelheim, non si intende qui riferirsi solo a esperienze di notevoli privazioni materiali o affettive, né certamente si intende dire che la povertà in se stessa impedisce di scegliere il lasciare o sia in quanto tale criterio di discernimento. Si intende piuttosto invitare a considerare quale tipo di “memoria” si ha della propria storia, quale interpretazione si fa della misura di amore ricevuto, quale lettura della propria vita: in chiave di grazie o di lamento? Si percepisce il bilancio in deficit, ci si sente consciamente o inconsciamente in credito, e quindi ancora in attesa di ricevere, anziché maturamente aperti a dare?

Scritto dentro

C’è un’altra dimensione importante da aggiungere: che la realtà stessa del lasciare è un bene. Siamo fatti per lasciare. Non è un’imposizione del formatore, una mania di risparmio dell’economo, una visione distorta delle gioie della vita, un interpretare come minaccia il gusto di possedere e godere. No, è qualcosa scritto dentro, e di nuovo parliamo di dimensioni psicologiche oltre che spirituali. Crescere umanamente vuol dire lasciare. Vuol dire “dire dei no”. Vuol dire che se voglio qualcosa devo rinunciare ad altro. Vuol dire che la scelta mi costruisce e la scelta è sempre un lasciare; tanto più costruttivo quanto più consapevole. Il bambino cresce attraverso dei no, delle scelte; cresce se impara ad aspettare, ad affrontare problemi non troppo grandi, ma un po’ più grandi di lui; se impara a rinunciare al prima per il dopo, a sopportare l’incertezza e l’astinenza tra lasciare e ricevere. La crescita passa anche attraverso piccole scelte: perché piccola o grande che sia la scelta, quello che importa è la dire zione presa. Per lasciare tutto bisogna lasciare anche il poco; e lasciare il poco è già ostacolare la tendenza con -traria. E intanto si fa un piccolo spazio. Crescere comporta il passare dal lamento al servizio generoso, al dono gioioso. Nel divenire adulti, si tratta di cambiare prospettiva: un altro, non io, è il centro del mondo. Maturità è decentrarsi. Il troppo che il Signore chiede, l’assurdo della sua logica (chi perde la vita per me la trova) non è così folle come potrebbe sembrare: siamo fatti per quel troppo e per quella logica. Siamo fatti per amare, per donare, per essere per l’altro e non viceversa. Chi educa, chi è formatore, animatore vocazionale, deve crederci lui per primo. Deve saper riconoscere che nella persona ferita e limitata che non sa essere grata, che si lamenta e si risente, che vorrebbe tenere strette le sue cose, deve saper riconoscere che dentro questa persona c’è anche una tensione grande verso il “perdere la vita per trovarla davvero”. Gesù non chiede di andare contro la nostra natura, ma contro una parte della nostra natura. E dicendo un no, sentiamo la fatica e la tensione del no, ma ci sentiamo a casa nel sì.

Per sentirsi a casa nel sì

Quali passi verso un sentirsi a casa nel sì? Tiriamo le conclusioni da quanto esposto, dal punto di vista dell’educatore. Occorre avere e saper di avere per poter lasciare: deriva da questo la necessità pedagogica di aiutare la persona a riconciliarsi con il suo passato, aiutarla a notare quanto di positivo c’è nella sua vita, aiutarla a gioire dell’affetto che ha ricevuto e riceve. Attraverso un rapporto costruito con pazienza sulla fiducia, si tratta di condurre all’esperienza della gratitudine, che significa appunto, a conti fatti, un buon rapporto con il proprio passato. Gratitudine, segno splendido della capacità di donare, segno di maturità e libertà. Ne verrà il fidarsi del centuplo, della promessa, perché ci si può fidare solo basandosi sull’esperienza fatta. Si lascia con la speranza che la cosa convenga: la gioia, il centuplo su questa terra, l’ingresso nel regno... Occorre avere questa speranza, altrimenti lasciare è folle: bisogna aver fiducia che si riceverà. Se dunque si vuole che la persona sia in grado di lasciare liberamente, bisogna assicurarsi o farle sperimentare che è stata ed è amata. È importante in questo cammino far prendere coscienza dei sentimenti opposti che esistono nel cuore, del risentimento, dell’amarezza, del fare i conti in tasca agli altri che hanno sempre di più e meglio... Far prendere coscienza della propria fame insaziata, del lamento e dell’insoddisfazione per quanto non si è ricevuto, del permanere di un eccessivo bisogno di ricevere affetto. Non riesce a pensare alla fame degli altri chi in qualche modo non è già affettivamente sazio. Far prendere coscienza di tutto questo esige in primo luogo che l’educatore ne tenga conto, che percepisca le esperienze che hanno segnato, perché non si dia per scontata l’esistenza della libertà di lasciare, ma invece ci sia disponibilità all’aiuto nella cresci -ta del dono di sé.

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Conoscere, volere, sentire

Certamente lasciare è faticoso. E scegliere di far fatica richiede ottimi motivi. Occorre quindi senz’altro ravvivare continuamente il significato della fatica e la motivazione del dono: far fatica “per” è amore. Si lascia “per”: quando io diminuisco, lui cresce. Non c’è un altro motivo per lasciare: che lui cresca, lui che già ha lasciato tutto per me. Lascio per trovarlo, anzi per esse re trovato. Ma questo continuo richiamo al senso non basta. In questo cammino occorre attenzione al “sentire”, perché l’agire razionale o le scelte della volontà sono condizionate dal mondo emotivo: e se la pedagogia dell’educatore tiene conto solo del livello cognitivo (conoscere e approfondire il valore del lasciare) o volitivo (impegno ascetico), favorisce la distanza della sfera dell’intelletto e della prassi dalla propria esperienza vissuta anche a livello sensibile. Come si diceva sopra, “so” che è bene lasciare, “voglio” lasciare, eppure “sento” che vengo derubato. La discesa nell’area emotiva affettiva può invece far riprendere il dialogo interrotto o bloccato con una dimensione di sé e può rilanciare il cammino: far sperimentare la gioia; far “sentire” l’esperienza della gioia nella rinuncia, nella sicurezza di sé, nella fiducia, far corrispondere quel che “voglio” lasciare a un retto “sentire” che è bello lasciare per amore4.

Note1) C.M. MARTINI, Abramo nostro padre nella fede, Centro Ignatianum Spiritualitatis, Roma 1981.2) B. BETTELHEIM, Moral Education, in AA.VV. Moral Education: five lectures, Harvard University Press, 1970. Tr. it. in A. MANENTI e C. BRESCIANI, Psicologia e sviluppo morale della persona, EDB, Bologna 1993.p. 246.3) Ivi, p. 245.4) Ulteriori approfondimenti in questa prospettiva possono aversi in A. CENCINI, Nell’amore: libertà e maturità affettiva nel celibato consacrato, EDB, Bologna 1995 e in F. IMODA, Sviluppo umano, psicologia e mistero, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1993.

ORIENTAMENTI 2A proposito di senso criticodi Serafino Fiore, Membro del Consiglio Nazionale del CNVSERAFINO FIORE

Il titolo potrebbe suscitare qualche falsa attesa nel lettore. Nel la civiltà delle immagini e dei messaggi, il “senso critico” è questione cruciale, e tra l’altro comporta una competenza approfondita e multidisciplinare. Ci si potrebbe dunque attendere, in questo contributo, un’esaustiva presentazione delle tecniche pubblicitarie per decodificarne le soggiacenti quanto recondite intenzioni. Qualcun altro chiederebbe di sapere cosa dice la pedagogia, su questo famoso senso critico, perché si possa sapientemente mettere in guardia i giovani e i ragazzi da voci subdole quanto fuorvianti. Chi scrive non è un semiologo, né un teorico della pedagogia. Nella speranza che il lettore si riprenda da un’inevitabile delusione, qui si propongono semplicemente alcune considerazioni sull’importanza del senso critico oggi e alcuni punti su cui vale la pena insistere, a livello di pastorale ordinaria, soprattutto in prospettiva vocazionale.

Questione di democrazia

“La democrazia consiste nel mettere sotto controllo il potere politico. È questa la sua caratte ristica essenziale. Non ci dovrebbe essere alcun potere politico incontrollato in una democrazia. Ora, è accaduto che questa televisione sia diventata una potere politico colossale, potenzialmente si potrebbe dire anche il più importante di tutti, come se fosse Dio stesso che parla. E così sarà se continueremo a consentirne l’abuso. Essa è diventata un potere troppo grande per la democrazia. Nessuna democrazia può sopravvivere se all’abuso di questo potere non si mette fine”1. Questo atto d’accusa è reperibile in un libretto che tempo fa ha aperto un dibattito, puntualmente rimesso a tacere dal grande circo multimediale: un libretto, per intenderci, nel quale Karl Popper sugge-riva una “patente” per fare TV, e John Condry definiva lapidariamente questo strumento “ladra di tempo, serva infedele”. Forse non è giusto sottoscrivere tanto sospetto contro la televisione, che comunque per molti ha rappresentato una finestra puntualmente aperta sul mondo, una catena di solidarietà, un focolare davanti al quale stemperare la propria fredda solitudine, o un vocabolario amichevole e quasi mai noioso, con cui finalmente imparare con disinvoltura la propria lingua. Sotto questo aspet to, tanto per esempio,

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vale la pena citare il più benevolo (nei confronti dei mezzi di comunicazione sociale) “Lembo del mantello” del Cardinal Martini 2. Qui non stiamo a pesare le ragioni dell’uno e i torti dell’altro. Il problema ci piace vederlo invece, se possibile, dalla parte del soggetto, nel nostro caso particolare del giovane e del ragazzo, cioè dell’uomo che si trova a vivere una fase particolare della sua vita, il momento in cui si cercano delle ragioni per vi -vere e queste ragioni vengono sistematicamente identificate con un prodotto o un personaggio. Naturalmente, nel fare questo, prendiamo benevolmente a prestito la Televisione come punta dell’ iceberg multimediale, costituito da cinema, giornali, radio, pubblicità, internet, e tutto ciò che le risorse delle tecnica riusciranno a inventare col passare del tempo. Ciò che diciamo della TV, con gli opportuni adattamenti, va riferito a tutti gli altri mezzi di comunicazione sociale, che comunque della TV riflettono sostanzialmente la logica e il metodo. Non dimenticando, peraltro, che il senso critico va usato anche nei confronti di ogni proposta di vita, comunque essa ci raggiunga: dai luoghi comuni e frasi fatte, alla men -talità che ci circonda, alle consuetudini di famiglia.

Una Verità più grande

Una cosa va detta chiara e senza mezzi termini, anche se per certuni può apparire scontata: non possiamo parlare di senso critico di fronte ai messaggi dei media, se non partendo da una Verità che abita l’uomo e la donna, sia di quelli già “fatti” che quelli in divenire, vale a dire il giovane e a maggior ragione la ragazza e il fanciullo. Contrariamente a quanto si pensa, si nasce interiormente complessi e frammentati. Il bambino è comunque il luogo in cui si incrociano i fattori ereditari più diversi, da quelli biologici a quelli psicologici ed ambientali. Il lavoro della persona, man mano che cresce, un lavoro paziente quanto invisibile perché affidato alla sapiente regia dello Spirito, è quello di portare a unità queste componenti sistematicamente in lotta tra di loro. Nei primi anni di vita questa lotta è solo germinale, perché inscritta in quel “cuore di fanciullo” che è la condizione per entrare nel Regno, ma nella fase adolescenziale prima e in quella giovanile poi i fattori in gioco entrano in collisione tra di loro, determinando una crisi salutare quanto decisiva: da questa crisi o si esce con le prospettive proprie della “carne”, o si rinasce di nuovo, ritrovando finalmente, e questa volta si spera per sempre, almeno come ideale di vita, il cuore di fanciullo. È a partire da questo cuore unificato che si può parlare di “senso critico”. È da questa sorta di “oblò” che si vede e si giudica la realtà, stavolta con gli occhi di Dio. Ovviamente questo è un lavoro che non può dirsi mai compiuto, indispensabile è il suo matrimonio con la vigilanza, che a sua volta è uno dei va-lori su cui insiste maggiormente il Nuovo Testamento, e che a quanto pare fa registrare parecchie brecce, nelle quali va sistematicamente a insediarsi il messaggio dei mezzi di comunicazione sociale. Con frequente successo, così sembra. Comunque sia, nel parlare di senso critico, non si può prescinde re da questa “pace dell’anima” quotidianamente costruita e ricostruita con l’amore al silenzio, gli spazi di riflessione, i prolungati momenti di preghiera. È solo a partire da questo incontro con la Verità che si può conferire un senso alle mille schegge impazzite di quella Verità. È avendo nelle mani il tesoro della Verità che si può arrivare addirittura a lasciare tutto, perché si sono pesati sui due piatti della bilancia le ragioni di Dio e le ragioni dell’uomo. “L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno” (1Cor 2,14-15).

Gli interessi e i valori

A partire da questa “visione del mondo” che solo la fede riesce a organizzare, si possono vedere me -glio le disfunzioni che la logica multimediale rappresenta e favorisce:• ormai sta diventando sempre più chiaro a tutti l’intento commerciale che muove la TV e gli altri media. E vero, non si può fare di ogni erba un fascio, ci sono delle TV in altre na zioni che si muovono con intenti educativi o quanto meno culturali, ma il modello americano che si è affer mato anche da noi fa della TV uno strumento essenzialmente commerciale. La corsa all’audience vista come termometro di validità, il cortocircuito tra produzione e pubblicità, l’invadenza eccessiva di quest’ultima: alla fin fine tutto ciò propone come ideale di vita lo spendere e il consumare, niente o poco di più;• un fattore che chiama in causa soprattutto la TV e il cinema è la loro arte subdola quanto efficace di falsare la realtà. Alla TV e al cinema interessa il presente, quello che accade, quello che richiama l’atten-zione qui e adesso. Si è sempre alla ricerca dello spettacolo. La loro è l’idolatria del presente, non ha nes -sun valore la paziente tessitura del presente fatta nel passato, né gli sviluppi che possono portare al fu-

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turo. La vita è fatta a strisce, a segmenti. Il montaggio nel cinema e l’inquadratura nella TV finiscono col suggerire una vita che poi si stenta a riconoscere nella realtà:

“La cosa davvero assurda è che la TV non mostra mai nessuno intento a lavorare per guadagna re le ricchezze che ostenta. Non esiste alcun legame tra il lavoro e la vita (...). Mostrare gente che lavora per la televisione è una bestemmia, uno spreco di tempo! Rende la TV noiosa, e ciò sarebbe inammissibile” 3;

• un altro elemento in gioco è la famosa struttura dei valori proposti dalla TV. È forse questo il discorso più difficile e più capzioso. Dagli spot alle telenovelas, dai dibattiti agli spettacoli da intrattenimento, tutto produce valori, e questi vengono inconsapevolmente assorbiti dagli utenti. Quali motivi per cui valga la pena vivere sono proposti dai nostri canali, magari già con la sola presentazione di un personag -gio? In via ordinaria, il gusto di sedurre qualcuno o di esibire qualcosa, la capacità di essere furbi e capaci, la bellezza esteriore e un portamento giovanile. Il valore più diffuso è la felicità, ma questa ha come terminale se stessi. Hanno dovuto inventare un’area a parte, chiamata “Pubblicità Progresso”, per dire che nel mondo ci sono anche gli anziani, che ci si può realizzare anche con un gesto di cortesia, e che la carta va buttata nel cestino e non per terra. Ma stiamo pur sempre nel campo delle buone maniere, la logica della fede richiede qualcosa di più, fa comunque guardare più in alto.

Qualcosa da sottolineare

Ci siamo soffermati solo su alcuni degli elementi in gioco. Lo dicevamo agli inizi, il senso critico è questione che non può essere affrontata dalla prospettiva di una singola disciplina, né esaurirsi in poche pagine. Ci permettiamo invece di sognare una scuola, la scuola di cui si invocano le riforme e si avverte il bisogno, una scuola in cui si preveda come materia obbligatoria proprio l’abilitazione al senso critico. A beneficio però del semplice catechista o più in generale dell’operatore pastorale, che in questo stato di cose hanno l’impressione di remare contro corrente, richiamiamo qualcosa che a parere di chi scrive non sarebbe sbagliato ogni tanto sottolineare, nel corso del proprio lavoro a favore dei giovani e dei ragazzi:• occorre innanzitutto ricordare che il mondo non è fatto a 24 pollici né finisce con una videocassetta: c’è una bella chiacchierata da farsi con gli amici, c’è da farsi una capatina in parrocchia e magari mettere il naso in un gruppo di volontariato, c’è da scegliersi un bel libro e finalmente leggere qualcosa che vada al fondo delle cose, c’è da dare una mano in casa o semplicemente da ascoltare un po’ il nonno, forse an che lui rassegnato alla TV per via di solitudine propria e di fretta altrui;• abituarsi a pensare con la propria testa è la fatica dei nostri giorni, come ieri lo era fare chilometri a piedi o a cavallo, o l’altro ieri lottare contro gli invasori e i barbari. È una fatica non da poco, comporta un confrontare sistematicamente il subdolo messaggio dei media con l’esplicito mondo del Vangelo, si-gnifica ricordarsi che la vita è ben altra da quella sbandierata su di uno schermo, implica soprattutto una sana igiene mentale e spirituale, che comincia dal fare a meno della TV e accenderla solo a ragion veduta, cioè per una scelta positiva e non solo perché non si ha altro di interessante da fare;• un buon esercizio da proporre ai giovani consiste nel renderli potenzialmente registi di un film o sceneggiatori di uno spot: “immaginate che vi sia commissionata una scaletta per propagandare questo prodotto, come la sviluppereste, quali valori mettereste in luce?” Credo che, quanto meno, i giovani, possono capire che ci sarebbe un modo alternativo di presentare le cose;• visto che la democrazia almeno sulla carta continua, nulla mi vieta di telefonare alla RAI o a Mediaset per far sentire il mio dissenso, per dire che non mando giù indifferente la poltiglia di illusioni che ogni giorno mi propinano. Sarò una goccia nel mare, e perciò sarà opportuno aggregarmi a lodevoli associazioni già operanti al riguardo. Ma quanto meno farò sentire la mia voce, e soprattutto non dimenticherò di avere una coscienza. Di questi tempi, non sarà un risultato da poco.

Note1) POPPER K. - CONDRY J., Cattiva maestra televisione, Reset, Milano 1994, 24.2) MARTINI C.M., Il lembo del mantello, Centro Ambrosiano, Milano 1991.3) POPPER K. - CONDRY J., Op. cit., 38.

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ORIENTAMENTI 3Ricerca vocazionale e solidarietàDi Elvio Damoli, Direttore della Caritas ItalianaELVIO DAMOLI

“Il giorno dopo Giovanni era di nuovo lì con due dei suoi discepoli... I due discepoli si misero a seguire Gesù. Gesù si voltò e vide che lo seguivano. Allora disse: Che cosa volete? Essi gli dissero: Rabbi, dove abiti? Gesù rispose: Venite e vedrete” (Gv 1,35-39).

È chiaro che i due discepoli in questione sono in ricerca; è per questo infatti che Gesù rivolgendosi proprio a loro dice: “Che cosa volete ?”. Anche la risposta di Gesù: “Venite e vedrete” sta a indicare una condizione indispensabile alla sequela e alla formazione al discepolato: Gesù propone se stesso, nella sua vita e nelle sue scelte, come colui che insegna un modo di vivere. Per diventare di scepoli di Gesù è indispensabile una comunione di vita con lui. Ogni pastorale vocazionale è finalizzata a far incontrare il giovane con Gesù, con il suo mistero di incarnazione-missione, morte e risurrezione. È evidente che una pastorale giovanile non può non essere una pastorale vocazionale. I giovani sono dei chiamati: “Gesù lo guardò con grande simpatia e gli disse: ti manca soltanto una cosa: va’ a vendere tutto quello che possiedi e i soldi che ricevi dalli ai poveri. Allora avrai un tesoro in cielo. Poi vieni e seguimi!” (Mc 10,21). Gesù guarda a quel giovane con simpatia e speranza; e nel medesimo tempo gli propone ideali molto alti: il servizio totale ai poveri.

Siamo nel decennio del programma pastorale affidatoci dai nostri vescovi con “Evangelizzazione e testimonianza della Carità”. Questi Orientamenti pastorali per gli anni ‘90 al n. 46 recitano: “Il Vangelo della carità permette di sottolineare... che è indispensabile proporre nell’educazione dei giovani alla fede la sua costitutiva risonanza vocazionale... L’educazione alla gratuità e al servizio è il terreno comune su cui possono fiorire tutte le molteplici vocazioni ecclesiali”. Il Vangelo della carità ci offre un nutrito itinerario vocazionale; contestualizza la chiamata e la ri -sposta nell’ambito suo proprio che è la carità come “risposta all’amore con l’amore”: per questo i gio-vani sono invitati ad avere l’ardire di “puntare in alto”, e per questo vanno educati alla generosità e al coraggio senza timori; ed infine viene indicata la gratuità ed il servizio come valori, come il percorso adatto in cui formarsi per crescere e maturare nella propria vocazione. Il Vangelo della carità fa

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intravedere al giovane la realizzazione della propria vita attraverso il dono di sé, e la testimonianza della carità diviene orientamento vitale e palestra di crescita e di formazione. È ancora il documento “Evangelizzazione e testimonianza della Carità” che per educare i giovani al Vangelo della carità raccomanda di “puntare su proposte essenziali e forti, coinvolgenti, che non chiudano i giovani in prospettive di compromesso e nei loro mondi esclusivi, ma li aprano alla più vasta comunità della chiesa, della società e della mondialità” (n. 45). Propone inoltre anche il metodo per evangelizzare tutta l’esperienza giovanile, a maggior ragione, perciò, l’impegno più responsabile di accompagnamento per un cammino vocazionale con una proposta evangelica “attenta alle molte esigenze formative oggi diffuse, come quelle della fraternità, solidarietà e autenticità, offrendo concreti sbocchi di impegno mediante esperienze di comunione e di servizio” (ivi). Penso si possa riflettere sul significato del dono della propria vita o di parte di essa nel volontariato come servizio alla persona nelle più svariate situazioni di bisogno. Un servizio che non parta da presupposti gratificanti, ma, come Gesù, dal dono, di sé e della propria vita.

Per questo la risposta più vera e concreta al come realizzare la fede non ce la propone con norme dettagliate o con ricette ad effetto sicuro; presenta invece come punto di riferimento e quadro di verifica la persona di Gesù 1. Se questa deve essere la proposta del volontariato cristiano, questo vale tanto di più per chi è chiamato alla sequela di Cristo attraverso una chiamata speciale alla sequela. Parallelamente al modello di un volontariato cristiano che, radican do le proprie scelte sulle motivazio-ni evangeliche del servizio all’uomo e agli ultimi, diventa profonda esperienza di fede con Cristo, il suo messaggio e la sua storia, proprio questa potrebbe essere una proposta forte per un cammino vocazionale. Come Gesù che ha dato se stesso, così si capisce il significato del dono della vita agli altri - il dono non può essere ripagato perciò: vale la pena cercare e servire i più poveri, gli ultimi e gli emarginati, con un amore universale di condivisione comune e totale per tutti, privilegiando i più deboli e gli ultimi, amore che deve estendersi anche ai paesi in via di sviluppo e deve abbracciare la dimensione della mondialità, della fraternità e della pace.

Qui si trova la spiegazione delle innumerevoli vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata prove-nienti da esperienze concrete di solidarietà tra gli obiettori di coscienza in servizio civile, o in associa-zioni e movimenti di volontariato a servizio dei poveri. Sono circa trentamila i giovani che hanno fatto la scelta dell’obiezione di coscienza e del servizio civile con la Caritas. Si tratta di un anno di servizio agli altri nei campi più svariati: ai tossicodipendenti e malati di AIDS, a immigrati, carcerati e dimessi dal carcere, ai senza dimora, anziani, handicappati, minori. Normalmente il periodo del servizio è preceduto e accompagnato da un intenso programma di formazione. Più di cinquecento giovani, dopo il servizio civile, hanno scelto il sacerdozio o la vita religiosa; per moltissimi di loro il servizio ai poveri è stato determinante per la scelta della professione e dell’impegno sociale e politico: dalla famiglia alla scuola, dall’impegno sociale a quel lo politico nelle amministrazioni locali, nei mass-media e nelle istituzioni, comunque per un ideale di servizio alle persone. Per cinque anni ho accompagnato i seminaristi degli ultimi anni di Teologia, sempre una ventina, durante l’avvento, la quaresima e altre occasioni, ad incontrare settimanalmente i detenuti, nel carcere di Poggioreale. Nelle. verifiche finali era di tutti la riflessione: “Dopo questa esperienza vedo diversamente la mia vocazione e il futuro impegno sacerdotale”. Quelli già sacerdoti hanno confermato nell’impegno pastorale questa esperienza. Valida è anche l’esperienza di quei giovani che per periodi determinati di qualche mese si recano in Paesi in via di sviluppo, non per turismo, ma fermandosi in qualche missione povera per lavoro. Occorre che queste esperienze siano preparate, seguite e verificate con persone esperte perché abbiano buoni risultati.

Note1) A. MASTANTUONO, Volontariato e profezia, EDB, Bologna.

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ORIENTAMENTI 4La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: tutti possono fare qualcosadi Lorenzo Ghizzoni, Vice Direttore del CNVLORENZO GHIZZONI

Da alcune diocesi e da alcuni direttori CDV, in questi ultimi tempi, si sentono delle “lamentazioni” che potrebbero essere riassunte così: non abbiamo molti mezzi anche dal punto di vista economico, abbiamo poca disponibilità perché quasi nessuno è a tempo pieno per la pastorale vocazionale, c’è poco collegamento con altri organismi o uffici pastorali cosicché le nostre iniziative appaiono sporadiche e scollegate, eccezionali non ordinarie. In particolare la Giornata Mondiale (GMPV) è ridotta ad un ricordo parziale in quella domenica: pochi si impegnano come vuole il n. 48 del documento “Gli sviluppi della pastorale delle vocazioni nelle Chiese Particolari” (1992) affinché: “non si riduca alla celebrazione di ‘una’ giornata fine a se stessa, ma costituisca sempre più, come è nelle sue finalità, un tempo di riflessione e di fervida preghiera, quindi momento culmine di tutto il servizio di evangelizzazione vocazionale di una Chiesa particolare”. Si lamenta una scarsa recettività da parte dei parroci o degli uffici diocesani; qualcuno vede anche la tendenza ad un ritorno a tante animazioni vocazionali separate, dove ciascuno (seminari diocesani, religiosi, religiose, missionari, nuovi movimenti e gruppi) semina e spera di raccogliere solo per se stesso! Molti operatori pastorali vorrebbero indicazioni semplici e risolutive, altri pensando al passato non accettano la complessità dell’accompagnamento oggi necessario per portare un giovane al sì definitivo, altri sottovalutano il problema rispetto ad altre emergenze pastorali, come se i problemi domani non crescessero mancando i ministri ordinati o i consacrati... Nella sua storia di questi anni post-conciliari, la pastorale vocazionale si è trovata sempre di fronte a questi ostacoli! Essi tendono a scoraggiare soprattutto quelli che entrano nella pastorale vocazionale senza avere sperimentato le conseguenze del suo essere all’avanguardia nei metodi di lavoro e nelle proposte. Con la semplicità dei rapporti, la preghiera, pochi mezzi, ma con una forte passione per accompagnare la vocazione dei giovani, anche a livello nazionale la pastorale vocazionale si è dovuta fare largo con difficoltà. Ancora lungo è il cammino perché si arrivi a considerare la pastorale vocazionale “in intimo collegamento con tutta l’azione salvifica della Chiesa” (ivi n. 44), cioè una

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dimensione di tutta la pastorale e non un suo settore; perché si arrivi alla coscienza che tutti i fedeli fanno parte di una Comunione di chiamati, che a loro volta devono chiamare altri alla sequela di Cristo; che ogni vocazione è opera dell’amore del Padre, ma la grazia della chiamata passa attraverso la mediazione della Chiesa particolare e quindi delle comunità. Di conseguenza: guai se ci fermiamo proprio davanti ai nostri ostacoli tipici! Il Centro Diocesano Vocazioni esiste anche proprio per questo. Dobbiamo invece combattere con forza la nostra tentazione di pretendere contesti pastorali ideali, molte forze a disposizione, risultati gratificanti anche solo in termini di apprezzamento dell’impegno... Quella vocazionale è una pastorale di prima linea, missionaria, con metodi e contenuti ancora “nuovi” per chi non è addetto ai lavori (anche tra clero e religiosi): inevitabile che abbia ancora poca risonanza e incontri diverse resistenze. Davvero qui c’è da affidarsi allo Spirito e alla sua forza: è lui che vuole la fecondità della sua Chiesa. Ma per noi è difficile accet tare nell’azione pastorale la logica del granellino di senape o del fermento.

Per la GMPV un obiettivo immediato

Se non dobbiamo scoraggiarci e andare avanti con fede, dobbiamo però anche tenere conto dei nostri contesti pastorali e delle nostre forze effettive. Sappiamo bene che in diverse diocesi, c’è una situazione disagiata e pochi sono i canali per i quali far passare il tema della GMPV e una sua adeguata celebrazione. Ma nello spirito di quanto detto sopra, se un CDV vuole animare una GMPV deve partire con un pregiudizio positivo (che ha un fondamento teologico e reale): in ogni chiesa locale ci sono già delle occasioni adatte (tutto l’ambito della liturgia e della catechesi) e altre si pos sono creare. Anche un direttore CDV alle prime armi, che non è ancora riuscito ad impiantare degli itinerari stabili, ha però alcune possibilità che non si deve lasciare scappare.

L’obiettivo immediato che ci si deve proporre è che la GMPV non sia ridotta ad un semplice ricordo nella Messa della quarta domenica di Pasqua o non divenga la giornata delle lamentazioni; ma una occasione in cui la Chiesa particolare e le sue comunità parrocchiali sono invitate prima al rendimento di grazie e poi alla richiesta al Padrone della messe che moltiplichi gli operai per la sua Chiesa. Gli atteggiamenti da proporre saranno:• la gratitudine per i tanti doni di vocazioni consacrate che arricchiscono la Chiesa;• la preghiera costante e fiduciosa al Padre, con i giovani e per i giovani, perché i talenti preziosi che ha dato loro non vadano dispersi;• l’approfondimento della coscienza vocazionale di tutti i fedeli;• l’assunzione di responsabilità da parte di tutti, per far conoscere le vocazioni, per proporle ai più adatti e per accompagnarli: tutti (sacerdoti; consacrati e laici) possono e devono fare qualcosa per tutte le vocazioni! Cosa proporre in Parrocchia?

Tentiamo di dare ora alcune indicazioni. Nessuna pretesa di essere esaustivi; né si deve fare tutto quello che viene detto qui: si offrono degli stimoli dai quali ciascuno prenderà solo le cose che gli sembreranno più adatte al suo contesto; oppure ne inventerà di simili. Una “celebrazione” ecclesiale, come ogni avvenimento importante, esige: una certa preparazione previa; un momento culminante; un “ritornarci sopra” per approfondire e interiorizzare i valori propri degli eventi che si sono celebrati.

Un cammino di comunitàLa celebrazione della GMPV dovrebbe essere preparata attraverso delle iniziative che costituiscano

nell’insieme un certo cammino della comunità parrocchiale e sbocchino nella celebrazione della Giornata come fatto atteso e significativo per ognuno: ogni anno questa tappa dovrebbe aggiungere qualcosa alla coscienza vocazionale di tutta la parrocchia.

Coinvolgere tuttiOgnuno ha un contributo da dare; ad ognuno c’è un messaggio vocazionale da rivolgere; ogni età o

condizione ecclesiale ha diritto ad un approfondimento del suo cammino di sequela di Cristo, che abbia già scelto uno stato di vita oppure no. Il Consiglio Pastorale parrocchiale è chiamato qui a dare il suo contributo, magari con la suddivisione dei compiti secondo le commissioni o gruppi interni, coordinati dal Parroco, dagli eventuali religiosi/e o consacrati, dall’animatore vocazionale parrocchiale se c’è.

Uso dei sussidi

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Utilizzare i sussidi preparati con competenza e grande ricchezza dal Centro Nazionale Vocazioni (CNV), gran parte dei quali sono pensati per la parrocchia. Si segnala soprattutto la “Settimana vocazionale” per il suo cammino breve ma ricco, che si dovrebbe estendere e divenire uno dei punti fissi della pastorale delle nostre Diocesi e parrocchie.

Itinerari pastoraliGli itinerari (semplici o più articolati secondo le possibilità della parrocchia) dovrebbero comunque

tenere presente la liturgia, la catechesi, l’azione caritativa.

La LiturgiaGià nelle domeniche precedenti, magari a partire dalla Giornata della gioventù che deve sempre più

divenire una giornata “vocazionale” ci possono essere dei richiami nell’Eucaristia: nell’omelia, nella preghiera dei fedeli preparata dai vari gruppi, con qualche gesto simbolico alla presentazione dei doni (vedi sussidi CNV). Si possono fare momenti di preghiera specifici per ragazzi, giovani, famiglie, ammalati, ecc., con ascolto della Parola (brani vocazionali), silenzio; condivisione... tutto adattato al tipo di presenti (vedi sussidi CNV). Nella Liturgia delle ore si possono inserire intercessioni specifiche vocazionali. Si possono fare Ore di adorazione o Celebrazioni Eucaristiche per le vocazioni sacerdotali e religiose (già previste dal Messale). Utilissime potrebbero essere la celebrazione di un Battesimo e/o di un Matrimonio e/o di una “professione di fede” di adolescenti, nelle messe domenicali precedenti la GMPV, per fare apparire la unità e la diversità dei doni. La fantasia pastorale può suggerire tante altre celebrazioni (rosario vocazionale nel mese di maggio, ecc.).

La CatechesiPrima di tutto incontrare i catechisti per aiutarli a riflettere se vivono il proprio ministero

vocazionalmente e a valutare tutta la gamma delle iniziative educative e catechistiche parrocchiali per verificare se sono già attente alla dimensione vocazionale: è un’occasione buona per riscoprire quello che ci dovrebbe già essere, ma che di fatto è un argomento spesso “dimenticato”; poi concordare alcuni incontri catechistici per tutti i gruppi (non solo i fanciulli o i giovani, ma anche i fidanzati, gli adulti o i gruppi famiglia!) utilizzando i nuovi catechismi CEI dove si possono trovare parti dedicate specificamente alle vocazioni di speciale consacrazione.

Si possono proporre testimonianze vocazionali di presbiteri, consacrati o missionari soprattutto quelli conosciuti e presenti in loco. Catechesi particolari si possono fare se c’è l’occasione di un anniversario, di una partenza di missionari, di una professione o ordinazione... Si può cogliere l’occasione del la Benedizione delle Famiglie nel tempo Pasquale per toccare anche questo tema soprattutto nel colloquio con i genitori o se si fa un momento di preghiera. È bene dare spazio al tema che ogni anno il CNV prepara - quest’anno è: “Lascio tutto... Eccomi”- in linea col cammino pastorale della Chiesa italiana e con qualche segno dei tempi nella realtà giovanile; esso è accompagnato da un Sussidio di catechesi che dovrebbe essere utilizzato nei gruppi di catechesi adattato alle diverse esigenze.

La CaritàÈ questa l’occasione per “educare al Vangelo dalla Carità” soprattutto i più giovani, ma anche gli

adulti, mettendoli a contatto con qualche attività o Opera caritativa gestita o animata da dei consacrati dove appaiano chiaramente, al di là dei sempre ottimi valori umani, l’apertura alla Trascendenza; la di -mensione “verticale” del servizio al povero o all’emarginato, e soprat tutto la disponibilità di alcuni uomi-ni e donne che danno la vita intera prima di tutto per annunciare il Vangelo della salvezza ai poveri e così trasmettere l’amore di Dio per il mondo e per ogni uomo. Si può aiutare a iniziare o a pro seguire con fedeltà qualche impegno di volontariato sul territorio (anziani, handicappati, emarginati, ecc.), a nome della parrocchia stessa; oppure può essere l’occasione per favorire il sorgere di qualche servizio stabile dentro la parrocchia sia esso un ministero istituito o di fatto. La GMPV dovrebbe aiutare a capire che la cosa più importante è che qualunque impegno a favore degli altri dovrebbe essere motivato sempre evangelicamente (per amore di Dio, per servire e amare Cristo nel povero, per edificare il Corpo di Cristo...) e non da bisogni personali o sociali: allora diventa servizio che matura vocazionalmente!

Giovani e ragazzeUn’attenzione particolare va data certamente ai giovani e alle ragazze dalla preadolescenza in su: tut-

ta la comunità, in questo periodo dell’anno in particolare, li dovrebbe mettere al centro della propria pre -ghiera e della propria cura educativa. Il parroco soprattutto, ma anche le religiose o i consacrati e gli educatori preparati a questo, potrebbero cogliere l’occasione per proporre a quelli che sono più maturi e disponibili un cammino di direzione spirituale. Questo è oggi lo strumento privilegiato, a patto che sia

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inserito in un contesto di educazione e di pratica della vita spirituale, per “pro-vocare” la risposta e ac-compagnare ad una decisione definitiva di donazione totale di sé.

In sintesi...L’intento che dovrebbe guidare sempre la pastorale vocazionale in parrocchia è quello di far

emergere “esplicitamente” ogni elemento vocazionale già presente nelle celebrazioni, nella catechesi e nei servizi caritativi. Più in particolare, in questo periodo occorre anche intraprendere delle iniziative pastorali specifiche per far conoscere e pregare per le vocazioni consacrate, come quelle suggerite sopra.

Cosa fare nella Diocesi?

Qui occorre soprattutto riscoprire il ruolo del Centro Diocesano Vocazioni: ad esso, in collaborazione con gli altri organismi pastorali diocesani (Seminario; organismi diocesani dei religiosi e dei consacrati secolari; ufficio o centro missionario; ufficio catechistico e altri uffici pastorali che è opportuno contattare) è affidata la organizzazione a livello diocesano, la diffusione dei sussidi del Centro Nazionale, la preparazione prossima. Ogni Diocesi può avere spazi e disponibilità diverse anche tenuto conto dell’attenzione all’animazione vocazionale presente nel Piano Pastorale Diocesano e nella prassi pastorale. In ogni caso non dovrebbero mancare alcuni momenti significativi a livello centrale (per es. nella Cattedrale o comunque attorno al Vescovo) o nei centri dei Vicariati o delle zone pastorali. È bene che la celebrazione della GMPV abbia anche uno o più momenti di convocazione sovra parrocchiale proprio per mettere meglio in luce il legame delle vocazioni di speciale consacrazione con la Chiesa particolare, anzi con quella universale, sia per l’origine che per la destinazione.

Si possono fare Veglie di preparazione alla GMPV col Vescovo o con qualche testimone significativo della Chiesa locale; altri incontri diocesani a carattere liturgico (es.: preghiera del Vescovo con i ministranti o con i cresimandi o con i “diciottenni” o con tutti i giovani della diocesi, ecc.); incontri a carattere conoscitivo e formativo: presentazioni di diversi “carismi” presenti in diocesi e delle attività che svolgono, testimonianze, catechesi vocazionali; iniziative ordinate alla crescita della “vita spirituale” (esercizi, ritiri, permanenze in monasteri o luoghi di preghiera); possono essere indetti un mese o una settimana vocazionale in tutta la Diocesi con le diverse iniziative suggerite dai sussidi del CNV, in corrispondenza del tempo di Pasqua con al centro la GMPV, oppure dalla GMPV fino alla Pentecoste, festa di tutti i carismi e i ministeri nella Chiesa; il tema della Giornata può essere svi luppato nelle Stazioni Quaresimali e concluso nella Veglia di Pentecoste. Non si dovrebbero dimenticare i mass-media: il settimanale diocesano, le radio o televisioni locali: sia per far conoscere il messaggio del Papa, sia per comunicare le altre iniziative diocesane o per interventi e testimonianze; potrebbe anche essere suggerito un intervento del Vescovo stesso con un suo messaggio. Un posto di rilievo dovrebbe essere dato alle Ordinazioni Diaconali o Presbiterali, o alla Professione di qualche consacrato della diocesi o al Mandato di qualche missionario, se è possibile metterli in quella data, per concentrare l’attenzione della Diocesi sia per la preghiera che per la coscientizzazione vocazionale. Un’altra iniziativa soprattutto per i giovani è la creazione di un Recital a sfondo vocazionale: può essere occasione di incontro tra i giovani di diverse parrocchie e i seminaristi o i novizi presenti in diocesi che potrebbero guidare la realizzazione.

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ESPERIENZE 1Tema di catechesi: un’esperienza di “appropriazione”di Luciano Panella, RedentoristaLUCIANO PANELLA

Da circa dieci anni i Redentoristi hanno sviluppato un programma di Pastorale Giovanile Vocazio-nale che prevede diversi appuntamenti locali, provinciali, nazionali e internazionali a scadenze periodi-che. In particolare in uno dei due raduni provinciali annuali previsti, quello che si svolge in primavera, sempre si è trattato il tema proposto dal CNV per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Ogni volta ci si è sforzati di rendere attuale e coinvolgente il tema proposto perché ogni giovane potesse innanzitutto sentirsi protagonista di una ricerca e quindi offrire delle risposte personali alle provocazioni del tema.

Il raduno dello scorso anno ha visto la partecipazione di circa 200 giovani provenienti dal sud Italia che per tre giorni (24-26 aprile) hanno riflettuto in modo creativo sul tema: “Ho creduto all’amore... eccomi”. Il raduno, per la cronaca il sedicesimo della serie, è stato preceduto da una serie di riunioni che hanno fatto maturare una ipotesi di lavoro abbastanza interessante. Si è pensato infatti di far precedere il raduno da una settimana di formazione aperta ai giovani animatori ed ai responsabili dei diversi gruppi di provenienza; con loro sarebbe maturata una dinamica di lavoro adeguata all’età ed ai diversi gradi di preparazione dei gruppi partecipanti e, dato da non sottovalutare, avremmo avuto anche “forza-lavoro” per la preparazione tecnica dello stesso raduno.

Nel corso della settimana di formazione, che ha visto la partecipazione di circa 30 persone, tra giovani e studenti redentoristi, si sono avuti degli incontri di approfondimento sul sussidio di catechesi, condotti dallo stesso autore del sussidio, P. Serafino Fiore. Questa settimana si è trasformata anche in una esperienza di vita comunitaria scandita da momenti di varia natura.

L’incontro con il responsabile serviva a proporre chiavi di lettura per accedere al tema, a un confronto e ad un dibattito per eventuali chiarimenti, mentre altri momenti (la preghiera, il silenzio personale, lo “studio” del testo di catechesi vero e proprio, ecc.) servivano da approfondimento. Il

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traguardo di questa prima fase era che ogni animatore facesse suo il tema di catechesi, e cominciasse a focalizzare una possibile pista di attuazione: anche le piste venivano ipotizzate durante gli incontri preparatori e lasciate naturalmente alla creatività degli animatori.

Lentamente si è andata configurando una interessante dinamica di lavoro. Tutti i partecipanti sono stati divisi in tre gruppi; ognuno dei quali ha avuto un nome che avrebbe in qualche modo limitato l’interesse dei suoi lavori: Parola, Testimoni, Vita. Si trattava, in altri termini, di collegare al tema generale alcune figure bibliche, testimoni del passato e/o del nostro tempo, situazioni attuali, ripercorrendo alcuni “sì” speciali, attualizzandoli e rapportandoli alla nostra esistenza ed evidenziando l’eccomi che scaturisce dal credere all’amore. Ovviamente ogni gruppo principale è stato suddiviso in tanti piccoli gruppi di riflessione guidati da almeno due animatori.

Ma il lavoro non era solo di discussione, molto si è insistito perché questa “appropriazione” del tema da parte degli animatori non si concretizzasse in una “predica in più” da fare all’interno del gruppo, ma fosse mediata poi dal gruppo stesso - dopo una breve “scheda” di presentazione del tema da parte del responsabile di gruppo - in un elaborato, dal “genere letterario” più consono alla sensibilità dei giovani. La gamma di scelta era delle più variegate: a titolo di esempio si citava l’elaborazione di un mimo, la redazione e presentazione di un racconto inedito, una recita o rappresentazione, una canzone rap, l’esecuzione di una danza, una mostra grafica o fotografica, la scelta di simboli, ecc. Ma si lasciava ai gruppi la più ampia libertà di scelta, pur nella fedeltà al proprio ambito (Pa rola/Testimoni/Vita) e con l’impegno di presentare a tutti il proprio elaborato, nella riunione generale prevista sul finire del raduno.

Straordinario è stato l’impegno creativo dei giovani e dei loro animatori, con un risultato che a noi responsabili è sembrato fuori discussione: i giovani hanno vissuto in prima persona il tema di catechesi, lo hanno riletto con l’originalità e la freschezza che è propria della loro età. E soprattutto lo hanno messo al servizio della loro preghiera e dell’incontro con il Cristo. Concludendo, mi sembra opportuno richiamare sinteticamente le tappe principali di questo raduno, ai fini di una indicazione di metodo, forse utile al lettore:• settimana di formazione per gli animatori, con incontri comuni e approccio personale al tema di catechesi;• sempre durante la settimana di preparazione, incontri sul metodo per l’animazione dei gruppi;• raduno vero e proprio: accoglienza in clima di festa per tutti i giovani;• lavoro nei gruppi: breve “scheda” introduttiva da parte degli animatori sul tema di catechesi, indicazione di possibili piste di lavoro, scelta del “genere letterario” e lavoro del gruppo per l’elaborazione vera e propria;• nei momenti “comuni” del raduno, incontri di preghiera, momenti di festa, ecc.• all’assemblea finale del raduno: presentazione a tutti dei vari elaborati dei gruppi.

A seguire vogliamo offrire alcuni tra gli elaborati più significativi.

ALLA RICERCA DELL’AMORE DI DIO Tutti noi, quando andiamo alla ricerca dell’amore di Dio nella nostra vita, siamo simili ad un

bambino che vuole imparare a nuotare; un bambino che si rivolge al padre con queste parole: Papà, vorrei tanto imparare a nuotare, ma ho paura: se i miei piedi non toccano il fondo, come riuscirò a stare a galla? Il padre, sorridendo per la tenerezza di quella domanda, gli risponde: Guarda quella barca: è così grande e pesante, molto più di te, ma come vedi le acque la sorreggono.

Non convinto, il bambino replica: Ma la barca è legata al molo; vedi, anche lei ha paura di allontanarsi. Ancora più intenerito il padre gli dice: Ogni barca è fatta proprio per navigare, non per rimanere legata. E, con tono accattivante, aggiunge: Dai, piccolo, lasciati andare e vedrai che il mare amico ti cullerà con le sue onde e non ti farà del male.

Finalmente convinto, il bambino segue il consiglio del padre: Va bene - dice - però stammi vicino e tienimi per mano. Con la dolcezza che solo un affetto profondo può dare, il padre lo aiuta un po’, poi tenta di lasciarlo, ma il bambino continua ad aggrapparsi a lui. Dopo numerosi tentativi, ecco che il piccolo riesce a tenersi a galla con sua enorme gioia. Il genitore soddisfatto gli dice: Vedi, prima ti accontentavi di guardare gli altri nuotare, ora, invece, tu stesso provi quel senso di libertà che il mare può dare a chi a lui si affida. Nella vita capita spesso che gli uomini si limitano ad essere solo degli osservatori e non si rendono conto che il vero ruolo è quello di protagonisti. Abbi sempre cura della tua vita ed impara ad amarla.

PERCHÉ AMAREC’è chi nella vita non sa come amare e chi nella vita non può aspettare.

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Io nella vita non so cosa fare, ho paura di rischiare nel seguire la tua strada.Eccomi, eccomi, eccomi Signore sono qui.Rit.: Perché amare è dare se stessi, perché amare è star bene con gli altri, perché amare è anche soffrire, perché amare è fidarsi degli altri. Eccomi, eccomi, eccomi Signore sono qui.Con te nella vita io so come amare, e nella vita potrò aspettare. Ora della vita io so cosa fare. Ho preso la tua mano, ho creduto nell’amore.Eccomi, eccomi, eccomi Signore sono qui. Rit.

AMA DAVVERO(Sulla musica di We will rock you dei Queen)Se anche conosciamo l’inglese, il francese, se abbiamo anche un diploma o una paga a fine mese,ma non abbiamo nel cuore il vero amore, non abbiamo nulla da comunicare.Rit. Ama, ama, ama davvero (2 v.) Se anche regaliamo i nostri gioielli e ci sembra che scompaia il desiderio di averli,dare, sempre dare le nostre energie, ma senza amore son tutte bugie. Rit. È inutile gridare, non serve litigare perché con il tuo amore la vita ha più valore.Se amiamo è già futuro, futuro è il presente, la vita ci sorride e con lei tutta la gente. Rit. Amare è perdonare, amare è gioire, amare è capire e a volte anche soffrire. Rispondere è pregare, rispondere è morale, rispondere è dire: “Ho creduto all’amore”. Rit.

SALMO RAPQuando ero nella piazzami sentivo isolato, adesso sono al Collee mi sento rinato,se Ti incontro in cappella dico: guarda che bello, stare solo con Teper rispondere ai perché. E questo salmo rap è una sfida col destino,

vorrei che per la vita Tu ci fossi assai vicino. Ti canto un salmo rap per dirTi che di Te mi piace quando parli,mi piaci quando stai con me.Sono timidoma la fede mi dà coraggio per dirTi cheda quando Ti conoscosono più saggioTi canto un salmo al dìper dirTi: eccomi qui.

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ESPERIENZE 2Il tema e i sussidi della GMPV nel cammino vocazionale di un istituto religiosodi Rosalia Negretto delle Suore della Sacra Famiglia di SpoletoROSALIA NEGRETTO

Una bussola, una mappa, lo zaino e tanta voglia di camminare. Ogni anno non manca niente per incominciare l’avventura: come bussola ci è dato il tema della GMPV, come mappa i sussidi proposti dalla Chiesa italiana tramite il CNV e nello zaino portiamo tutta la ricchezza del nostro Carisma di suore della S. Famiglia che ci alimenta e ci sostiene nell’individuare percorsi, nel segnare tappe, nel condurre il cammino verso la meta. La famiglia religiosa si dà un piano di animazione vocazionale nell’intento di coordinare attorno ad un progetto unitario le iniziative in atto e di stimolarne delle nuove nei diversi ambiti pastorali (parrocchia, gruppi-famiglia, servizio socio-assistenziale e sanitario). Per un’azione di stimolo e di coordinamento efficace, la comune responsabilità di animazione vocazionale ci ha condotto a costituire équipe a livello generale, provinciale e zonale, che aiutano le sorelle a realizzare nelle comunità il servizio vocazionale. Alla luce di quanto il Vangelo ci consegna della vita e del mistero della S. Famiglia di Nazareth, muoviamo i passi accanto a preadolescenti, ragazzi e giovani lungo itinerari di formazione cristiana formulati per essere adatti ai soggetti e permeati della spiritualità “nazarena”; cioè di quei valori vissuti nella S. Famiglia di Nazareth e che sono la caratteristica del nostro pro porci nello stile di testimonianza e nell’accompagnamento vocazionale, animando e cercando di condurre a vivere con responsabilità e generosità l’inserimento nella Chiesa e nel mondo. L’intento è quello di aiutare il giovane a incontrarsi e confrontarsi con Gesù e il suo progetto nella scoperta quotidiana di sé che apre alla risposta al suo Amore: “Lascio tutto... Eccomi”. Destinatario privi legiato della nostra cura pastorale è la famiglia, in cui il ragazzo è chiamato a crescere, anche nella risposta alla propria

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vocazione: nei casi, purtroppo frequenti, in cui questo “ambiente” viene meno cerchiamo di creare, con il gruppo e nella relazione interpersonale, quelle costanti che possono essere la pista di lancio per imparare a donarsi ai fratelli. Con le proposte annuali ci prefiggiamo di promuovere nella Chiesa in particolar modo la vita religiosa e ugualmente ci rivolgiamo con cuore aperto a tutti coloro che, maschi e femmine, sono attratti dalla spirito di Nazareth e vogliono vivere la loro vocazione con una consacrazione laicale nel mondo: è una esperienza nuova che si sta delineando in itinerari specifici di formazione, ma la cui proposta vive all’interno di ogni attività vocazionale da programma. Nella parrocchia, nel gruppo, nel campo-scuola, puntiamo sulle esperienze fondamentali della liturgia, della catechesi e della carità per coltivare il terreno adatto da lasciar lavorare alla Grazia. I Sacramenti assumono una particolare valenza vocazionale e accanto ad essi i testimoni: missionari in partenza, catechisti, famiglie impegnate, giovani consacrati, come pure figure di uomini e donne proposte dalla Chiesa tra le quali il nostro fondatore: il beato Pietro Bonilli e la sua passione per la vita di Gesù a Nazareth, tra Maria e Giuseppe, nella missione di carità verso la famiglia e i poveri di essa. Il tema annuale della GMPV getta una luce tutta particolare sulla sua vita ed esperienza spirituale, permettendoci di conciliare la fedel tà al carisma con quella nei confronti della Chiesa e del cammino elaborato con il CNV. Lo sforzo da parte di ogni sorella di aderire con entusiasmo e impegno alla missione vocazionale che il Signore ci ha affidato, viene premiato dal dono di collaboratori giovani e a volte coppie che, forti anche di una previa preparazione, si prestano generosamente in tempo, energie, intelligenza e mezzi per organizzare e animare con noi le diverse proposte nell’arco dell’anno.

Campo-scuola nazarenoSi differenzia dai campi parrocchiali o diocesani perché vuole offrire in maniera ampia la specificità

della nostra missione e spiritualità attraverso i contenuti, la testimonianza delle persone e lo stile “bonilliano”. La presenza costante della S. Famiglia di cui si propongono i valori fondamentali di vita familiare, assume di anno in anno coloriture diverse in corrispondenza del tema della GMPV. Al giovane viene offerta questa esperienza per essere aiutato a vivere la coerenza tra fede e vita; l’esempio del fondatore risulta stimolante ad un clima di ascolto della Parola e di riflessione, mentre l’approfondimento di problemi esistenziali, il sentirsi famiglia nel celebrare il Signore: la gioia e la comunione, contribuiscono a far festa nella fraternità.

Campo-lavoroA chi vuole gettarsi sul versante della carità in opera offriamo il campo-lavoro come momento di

formazione e pratica. La dimensione della fraternità e del servizio è struttura di ogni vocazione e nello specifico carismatico viene colta e vissuta a contatto con le “ragazze” affette da handicap fisici e mentali che vivono con noi in case attrezzate per la loro assistenza e costantemente seguite da sorelle preparate nel settore: “essere, dare, costruire famiglia” è il motto che ci pone come sorelle accanto ai “più poveri” del nostro tempo. Questi quindici giorni di servizio sono l’incontro con Cristo nei fratelli, luogo di verifica della propria fede: vengono condotti con questo intento anche avvalendosi dello studio di tematiche specifiche e di doverose verifiche. Si cerca di favorire l’esperienza non solo nei nostri isti tuti, ma anche in altre comunità e opere caritative assicurando l’iter formativo adeguato e carismatico.

Esercizi spirituali Soprattutto in questa proposta annuale si è potuta sperimentare l’efficacia di un lavoro di integrazione degli scritti giovanili del fondatore con le unità del sussidio-guida offerto dal CNV; il confronto con la sua vita semplice, ma impegnata sulla via della santità, conduce a maturare il discernimento vocazionale e soprattutto la conversione, che i giovani dai diciotto anni in poi vanno cercando: è il salto di qualità nel proprio rapporto con Dio. Generalmente chi partecipa proviene da campi-scuola o di lavoro “nazareni” vissuti in precedenza quindi porta con sé anche una interpretazione personale della nostra spiritualità che diventa per noi un aiuto nella attualizzazione del Carisma. In questa dimensione di mutuo arricchimento il Signore ci ha offerto anche una esperienza di col -laborazione carismatica con i Fratelli della S. Famiglia che realizza ancor più il nostro voler essere “Chiesa” nel nome di Gesù, Maria e Giuseppe.

Esperienze in terra di missioneIl giovane che desiderasse entrare in contatto con altre culture cariche di ricchezze di vita, ma anche

di tanta povertà materiale e spirituale, può durante l’anno accordarsi con le sorelle incaricate per decidersi a una tale esperienza. Una previa formazione lo prepara ad affrontare giorni offerti nelle comunità in cui le nostre sorelle missionarie prestano il loro infaticabile servizio: è vivere personalmente

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la scelta dei più poveri che occupa un posto in primo piano nella incarnazione del Cari sma nazareno-bonilliano. Al di sopra di ogni iniziativa che la illumina, la vocazione è dono di Dio, tuttavia, come Padre, egli intesse nell’ordinario di famiglia e di comunità cristiana quella trama di relazioni che sono mediazione del suo invito a divenire collaboratori nella passione di salvezza per ogni uomo. Con noi suore il progetto del beato P. Bonilli di “portare la S. Famiglia” in tutto il mondo prolunga nel tempo e nello spazio: servirla nella famiglia, negli “orfani” di famiglia, nelle famiglie che sono disgregate e diso-rientate. Amare la Chiesa è lavorare per riuscire a dare un senso ai “tanti Gesù”, adolescenti e giovani, che si interrogano sul perché della vita e su come viverla da uomo e donna ben riusciti, capaci di cambiare il mondo tramite il proprio “sì”.

ESPERIENZE 3Gruppo vocazionale giovanile: la proposta di un camminodi Luciana Strika delle Volontarie del VangeloLUCIANA STRIKA

Abbiamo trovato la nostra libertà mettendoci a servizio della Buona Notizia di Cristo, a totale disposizione del Padre, dicendo come Gesù e Maria: “Ecco, io vengo Dio per fare la tua volontà” (Eb 10,7) “Si compia in me quello che hai detto” (Lc 1,38), per questo abbiamo scelto di chiamarci “Volontari del Vangelo”.

Siamo ragazzi e ragazze dai diciotto anni in su con un grande desiderio di vivere radicalmente il Vangelo per avere la gioia piena di Gesù nella nostra quotidianità. Viviamo in case e conventi chiusi per mancanza di vocazioni e situati in zone dove non vi è la presenza continuata del sacerdote (nostro specifico carisma). Alcuni hanno voti privati, altri si stanno preparando, altri ancora vivono un periodo di ascolto e discernimento. Riempiti da tanta tenerezza divina e innamorati di Gesù, non possiamo fare a meno di invogliare altri giovani a trovare la piena realizzazione in Cristo. I nostri servizi pastorali ci portano ad incontrare tante persone, soprattutto giovani, che sono desiderose di intraprendere un serio cammino di santità, come ci comanda il Signore. In essi seminiamo un progetto di accompagnamento vocazionale così come lo abbiamo desunto noi stessi dalla Parola di Dio, dalla liturgia e dall’esempio dei santi. Questo si compone di tappe spirituali che ci aiutino ad amare Dio con tutto il cuore, la mente, le forze, l’anima... noi stessi (cfr. Dt 6,4). Chi accoglie l’invito è accompagnato (da casa) con un cammino spirituale formato da tre momenti ai quali è bene prepararsi adeguatamente: non si tratta solo di conoscenze teorico-concettuali, ma di modi concreti che aiutano lo spirito a calare la Parola di Dio nel quotidiano affinché non vi sia scissione tra preghiera e vita. Si tratta della imposizione del tau (Ez 9), come impegno di partenza, dell’affidamento a Maria (Gv 19), come

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sicurezza di cammino e della promessa di Vangelo (Gv 2,5), come impostazione della vita secondo il volere di Dio.

Dall’incontro del Papa con i giovani d’Europa è inoltre sbocciato come fiore, un incontro mensile a Loreto, terra della casa dell’eccomi, sotto la protezione della Madonna. Ogni terza domenica del mese all’Oasi Ave Maria con i “giovani in ricerca” ci poniamo in ascolto della Parola di Dio, la meditiamo, la celebriamo, la preghiamo, la viviamo... per diventare veri discepoli alla scuola dell’unico Maestro. Ci confrontiamo sulla nostra vita, sui problemi, sulle esperienze... e, aiutati e guidati da un frate cappuccino, ci lasciamo plasmare per crescere nello Spirito e avere un incontro e un rapporto personale con Dio Padre, Figlio, Spirito Santo, sempre più bello, intenso, profondo, esperienziale, come ci invita il documento in preparazione al duemila: Tertio Millennio Adveniente (TMA).

Nell’anno organizziamo anche dei ritiri spirituali che trascorriamo come le prime comunità cristiane: nell’ascolto degli apostoli (Parola di Dio spiegata dal Magistero) nella frazione del Pane Eucaristico, nella preghiera, nella comunione fraterna (cfr. At 2,42) insieme a Maria (At 1,14). Ad alcuni il Signore ha chiesto di più: “un anno di grazia del Signore” (Lc 4,19), un anno giubilare personale (TMA 15) - di 365 giorni - in cui fermarsi e lasciare tutto per trovare il Tutto e per conoscere la verità che rende veramente liberi (cfr. Gv 8,31), cioè Dio. E’ un’esperienza forte che i giovani affrontano con consapevolezza poiché vengono loro rese note le regole della libertà.

Ad ognuno è detto: - sospendi lo studio o il lavoro (Mt 4,22); - entra in comunità con atteggiamento di povertà interiore ed esteriore: lascia che sia Gesù a pensare a te... tu cerca solo Lui. Lascia i tuoi pro-getti e chiedi i suoi su di te (Mt 6, 25-34); - taglia il più possibile qualsiasi legame con tutti, eliminando lettere e telefonate... fai deserto per dare più spazio a Dio; - in comunità non si fuma, non si portano con sé vecchie abitudini, uso di profumi, cibi particolari; soldi... Armati di spirito di adattabilità (Lc 9,58); - un programma ben preciso scandirà il tempo della comunità per vivere tutti nell’obbedienza della fede (At 2,42-48); - terminato l’anno giubilare, chi desidera può tornate a casa, ma senza richiedere nulla dalla comunità. Coloro che desiderano proseguire il cammino, verranno orientati e aiutati secondo la propria vocazione (1Cor 12,4ss); - in comunità non trovi la televisione , né la pratica di sport come impegno, né dialoghi secondo il mondo. Il tempo sarà usato per preghiera (Col 4,2), formazione (Mt 4,23), evangelizzazione (Mt 5,19), lavoro (2Ts 3,17); - in comunità regni un rapporto di amore con tutti, evitando preferenze di persone come avviene nel mondo (Gv 15,12); - si richiede obbedienza fi liale sia a chi è responsabile della casa; sia alla guida spirituale (Fil 2,8). Dio “si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Da questo rapporto di Dio con il tempo, nasce il dovere di santificarlo (TMA 10). La Chiesa ci sta proponendo di farlo con il “giubileo”, che è la caratteristica dell’attività di Gesù. Tutti i giubilei personali e comunitari, rivestono nella vita dei singoli e delle comunità un ruolo importante e significativo (TMA 15) poiché sono “un anno di grazia del Signore” (Lc 4,19), un anno che Dio vuol donare a noi e in cui Dio vuol donarsi a noi. Questo tempo è la manifestazione esteriore, la risposta alla gioia che suscita nel cuore la consapevolezza della venuta del Signore nel nostro intimo. Lo consigliamo ad ogni giovane che vuole vivere la vita in pienezza di gioia. Abbiamo sperimentato che è un tempo di abbandono alla Provvidenza, la quale ci circonda di tenerezze indescrivibili; è un tempo per crescere e maturare umanamente, socialmente, culturalmente e soprattutto spiritualmente per mezzo di forti esperienze; è un tempo in cui veniamo liberati dalle tante “malattie spirituali” che il mondo ci infligge a nostra insaputa; è un tempo in cui il Signore ci aiuta nel discernimento vocazionale, ci fa capire, cioè, il progetto di vita santa, consacrata, missionaria, sacerdotale, religiosa oppure familiare che ha su di noi. È Dio infatti che “svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (GS 22) e questo rivelando il mistero del Padre e del suo amore (TMA 4). Al termine di questo anno, c’è chi torna a casa radicalmente cambiato e con un’ottica diversa della vita; c’è chi comprende che la propria strada è la consacrazione; c’è chi rimane tra i Volontari del Vangelo per continuare questa meravigliosa avventura d’amore con Dio nei luoghi in cui manca il sacerdote, aiutando altri a comprendere per decidere e gioire... a lode di Cristo Signore.

L’ultima tappa dell’accompagnamento vocazionale è la promessa di Vangelo. Essa sigilla l’appartenenza al Signore e l’impegno personale a vivere il Vangelo ogni giorno con coerenza. La scelta per la vocazione a speciale consacrazione o alla famiglia a questo punto è possibile e porta frutto, poiché si basa sulla “roccia” che è la Parola Eterna di Dio.

Se non hai ancora capito cosa il Signore ha preparato per te; se vuoi essere nella gioia piena; se vuoi realizzarti come persona,, se vuoi fare del bene a tutti, se desideri ottenere risposte ai tuoi numerosi “perché”... ti invitiamo a fermarti e donare un tempo a Dio, il quale ti ha fatto dono di tutta la vita. Abbi fiducia in questo anno che invita tutti alla gioia e si sforza di creare le condizioni affinché le energie salvifiche possano essere comunicate a ciascuno (TMA 16). Metti Dio al primo posto. Il resto... ti sarà dato in sovrappiù.

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ESPERIENZE 4Un campo vocazionale per raggiungere i “lontani”delle Oblate di Maria Vergine di FatimaOBLATE DI MARIA VERGINE DI FATIMA

L’estate… un periodo denso di iniziative di animazione per i giovani, che prendono svariati nomi in base all’esperienza proposta: “Campo scuola” – “Campo di lavoro” - “Campo di condivisione” – “Campo vacanza” – “Esercizi spirituali”... Tante iniziative con un denominatore comune: vivere insieme una forte esperienza di Dio. Tra le proposte estate ‘96, che le Oblate di Maria Vergine di Fatima hanno rivolto ai giovani, c’è una novità: un “campo di condivisione”.

Una condivisione che significa essere insieme per: imparare a sincronizzare il passo con i fratelli, giorno dopo giorno, verso la meta: Gesù!; divenire interlocutori di quanti il Signore pone sulla nostra strada; accogliere gli altri facendosi compagni di viaggio; entrare in dialogo perché nasca l’amicizia e il bene dell’altro. Insieme, quindi per essere. Non per contare di più, incidere di più, produrre di più, apparire di più... Insieme per essere Chiesa.

Percorsi di un’esperienzaIl nostro Istituto, che conta 18 anni di fondazione, ha avuto fin dalle sue origini una particolare

attenzione per il mondo giovanile. Attenzione che si traduce anche nel proporre, durante l’anno, delle iniziative atte a promuovere un itinerario di fede. Tra le tante proposte, il campo estivo costituisce uno degli appuntamenti più significativi, perché permette alle giovani di potersi fermare e porsi in ascolto di Dio.

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In questi ultimi anni è andata maturando in noi la consapevolezza che l’incontro con Cristo, nella Parola, suscita, nel cuore di chi l’ascolta, l’esigenza di condividere il dono ricevuto. Tale esperienza di confronto e di condivisione, favorisce inoltre una maggiore integrazione della fede nella propria storia ed una crescita autentica nella sequela di Cristo. Questa presa di coscienza si è concretizzata nella scelta di proporre un campo estivo che rendesse possibile ambedue le esperienze: un autentico incontro con Cristo, attraverso l’ascolto della Parola, la preghiera e la riflessione personale; un autentico incontro con i fratelli, attraverso momenti di condivisione, annuncio, animazione.

Così quest’anno è nata l’idea di una nuova impostazione: un Campo di Condivisione. Abbiamo voluto realizzare, insieme ad un gruppo di 18 ragazze, provenienti da varie città d’Italia dove operano le nostre comunità, un progetto che partisse dalla convinzione che la fede si accresce donandola e che la vita si realizza totalmente solo nel dono. Un progetto tutto da inventare! Come fare?...

Un primo incontro con don Emilio Aspromonte, direttore del Centro Regionale Vocazioni della Calabria, ci ha permesso di individuare i luoghi dove attuare questa iniziativa: Oasi Sant’Antonio, Cerisano (CS), per l’esperienza di ascolto, preghiera e riflessione personale; Comunità di Marano Principato (CS), per vivere l’incontro con i fratelli. Un primo approccio nell’aprile 1996 con la comunità principatese ci permetteva di scoprire che Dio ci stava guidando nella realizzazione di questo progetto.

Due attese ricevevano risposta: da parte nostra, la “scoperta” di una comunità, quella di Marano Principato, viva, accogliente, pronta a “rilanciarsi” con coraggio; da parte della comunità di Marano, la risposta ad un’attesa per cui si era tanto pregato e sperato: una missione che ravvivasse la fede della comunità e che permettesse di raggiungere i giovani ancora ai “margini” di un cammino di fede. È stato facile dunque focalizzare il progetto da realizzare, unendo obiettivi e forze.

“Insieme è più bello” diventava lo slogan di questa iniziativa, perché ci scoprivamo profondamente uniti dai medesimi desideri: narrarci l’intervento di Dio nella nostra vita; andare insieme verso i fratelli più “lontani” per aiutarli a scoprire l’amore di Dio. Per le ragazze del campo l’esperienza (svoltasi dal 18 al 31 agosto) si è concretizzata innanzitutto in un itinerario spirituale attraverso il quale ciascuna ha potuto verificare la propria vita alla luce della Parola di Dio.

Alcune figure bibliche ci hanno accompagnato, indicandoci i sentieri da percorrere affinché la nostra vita si apra generosamente all’amore: Adamo: l’eccomi alla vita; Abramo: una storia di fiducia; Mosè: mandato da Dio; Maria: un sì per un dono totale; gli apostoli: una missione che nasce dal cuore; la Chiesa: mandata dallo Spirito a narrare.

Inoltre le partecipanti al campo, insieme alla comunità di Marano Principato, hanno riflettuto sul significato dell’essere mandati da Dio ad annunciare. Dalla riflessione e dallo scambio di esperienze è nata la programmazione della settimana di animazione (25-31 agosto) svoltasi a Marano in tre ambiti di operatività: la famiglia; i ragazzi; i giovani.

RITMO DELLA GIORNATA Ragazze del campoMattina (I - II settimana - Cerisano): Lodi - Lectio - Deserto - Condivisione (durante il Campo sono stati vissuti alcuni momenti particolari di preghiera: una giornata di Romitaggio - l’Adorazione Eucaristica - la Penitenziale - Veglia allo Spirito Santo).

Ragazze del campo e animatori di MaranoPomeriggio (I settimana - Cerisano): Fraternità - Corso per animatori - Programmazione della settimana di animazione - Celebrazione Eucaristica.

(II settimana – Marano)Celebrazione Eucaristica in parrocchia - Animazione per ambiti: Famiglia, Giovani, Ragazzi - Santo Rosario nei Rioni (le riflessioni mariane sono state preparate dalle ragazze del Campo) - Serate in Piazza.

Prima di intraprendere questa missione, come i discepoli e Maria nel giorno di Pentecoste, ci siamo riuniti ed abbiamo chiesto allo Spirito di rinnovare i suoi prodigi. Siamo stati “investiti” dei suoi doni, primo fra tutti il dono di una comunione profonda con tutti gli animatori di Marano, una comunione espressa attraverso il vicendevole sostegno nella missione e la reciproca ospitalità... Il gruppo dei “missionari” era pronto a partire: Dio Padre ci aveva radunati; l’amore del Cristo ci spingeva; lo Spirito ci aveva reso “un cuor solo e un’anima sola”... Eravamo certe che il Signore avrebbe aggiunto alla nostra comunità nuovi fratelli e sorelle... E così avvenne...

Una comunità in attesa

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Annuncio della settimana di animazione formulato dalle ragazze del campo e dagli animatori di Marano Principato e letto in Parrocchia il 25 agosto: “La nostra comunità sta per vivere un momento di grande gioia in prossimità della festività di Maria SS. Quest’anno infatti sarà una festa speciale, perché la Madonna ha voluto farci un dono: la possibilità di vivere, con un gruppo di giovani provenienti da diverse parti d’Italia, accompagnate dalle Suore Oblate di M.V. di Fatima, una settimana di animazione (25-31 agosto). Questa proposta ci è giunta alcuni mesi fa, ed è stata accolta con gioia e speranza; l’abbiamo vista come un segno della Provvidenza di Dio che veniva incontro ad una nostra grande attesa ed esigenza: ravvivare la nostra fede ed animarla di nuove energie per sentirci sempre più Chiesa viva ed unita. Abbiamo quindi accettato con gioia la proposta che, piano piano, si rendeva sempre più chiara e rispondente alle esigenze della nostra comunità.

La settimana di animazione si occuperà di entrare in comunione con tutte le realtà presenti: le famiglie e gli anziani - i giovani - i ragazzi.

Siamo chiamati dunque, tutti insieme, in questi giorni di festa, a far festa prima di tutto nei nostri cuori, cercando, con un po’ di buona volontà, di liberarci dai nostri piccoli o grandi pregiudizi ed egoismi per entrare così in un’atmosfera di vera solidarietà, di comunione e di simpatia reciproca, con la voglia di stare bene insieme per sentirci quello che veramente siamo: una Chiesa viva, radunata attorno al Cristo Risorto, una grande famiglia, per la quale siamo chiamati tutti a lavorare con spirito di festa e di comunione”. Nel corso della settimana di animazione siamo dunque venute in contatto con tutte le realtà pre senti sul territorio: le famiglie e gli anziani, che sono stati visitati dai giovani e dalle suore; i giovani, per i quali è stato aperto un punto di incontro nella saletta accanto alla Chiesa e sulla Piazza, dove potevano trovare qualcuno sempre disponibile ad ascoltarli e per i quali inoltre sono state animate serate di festa e di giochi in piazza; i ragazzi, che sono stati impegnati in attività manuali, sportive e ricreative.

Man mano che l’iniziativa si delineava e si attuava, sperimentavamo che davvero insieme è più bello, perché la condivisione della ricchezza di ciascuno ci permetteva di scoprire l’altro come dono e come luogo della manifestazione di Dio. Tutto in noi ed intorno a noi era una canto di festa... e ci sorprendevamo della spontaneità con cui sempre più voci (di qualunque età) si univano a noi nel cantare: “È più bello insieme, è un dono grande l’altra gente... e raccolgo nel mio cuore la speranza ed il dolore, il silenzio, il pianto della gente attorno a me. In quel pian to, in quel sorriso è il mio pianto, il mio sorriso. Chi mi vive accanto è un altro me” (Canto del Gen Verde che ha accompagnato l’esperienza).

Un’esperienza da ripetere? L’atteggiamento di fiducia e di speranza rinato nel cuore di tanti giovani ormai rassegnati a “lasciarsi vivere”; la vivacità e la spontaneità con cui ci comunicavamo l’esperienza di Dio; le amicizie autentiche nate in piazza nelle serate sempre più affollate e partecipate; la passeggiata con clusiva di 12 chilometri in montagna che ha visto finalmente, come compagni di percorso, “gente di Chiesa” e “gente di bar” la parrocchia gremita di amici di ogni età riuniti a lodare Dio per l’amore riscoperto in sé e attorno a sé; ed infine la genuina commozione che è tracimata dal profondo dell’animo di tutti la sera della nostra partenza, ci fanno credere che la comunione è possibile e che vale la pena investire tutte le forze perché possa realizzarsi sempre ed ovunque!

Tanti volti... un unico cuore: il vero volto della Chiesa! È questa l’esperienza che ha fatto maturare in alcune ragazze del campo la decisione di fare del la propria vita un dono totale e gratuito, affinché ogni persona sia raggiunta dal messaggio di Cristo.

Per concludere... un grazieNoi, Oblate di Maria Vergine di Fatima, ti diciamo grazie, Chiesa, perché ci aiuti a ricollocare le

nostre tende nell’accampamento degli uomini. Grazie, perché, riscoprendo la legge dell’incarnazione che condusse il Maestro ad abitare in mezzo a noi, ti sei decisa a vivere con gli uomini una condiscenden za a tutto campo. Perché vuoi che la presenza divina permei anche le fibre più profane dell’universo.

Ma grazie, soprattutto, per quella notizia inaspettata, stupenda, che ci dai col fremito dei lieti annunci: quando affermi cioè, che le gioie degli uomini sono anche le gioie del cristiano, e che tra le une e le altre, corre il filo doppio della simpatia.

È incredibile. Eravamo abituati a condividere solo i dolori del mondo. Ed ecco ora lo sconvolgente messaggio: le gioie genuinamente umane, che fanno battere il cuore dell’uomo, per quanto limitate e forse anche banali, sono condivise anche da Dio e fanno parte di quella felicità che sperimenteremo nel Regno. Non vi è nulla di genuinamente umano che non trovi eco nel nostro cuore di credenti. Colpo di scena o colpo di genio? Forse è solo colpo di grazia! (Tonino Bello).

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DAI CDVIl ruolo centrale della Giornata nel cammino ordinario di alcuniCentri Diocesani Vocazioni d’Italiaa cura dei Direttori e dei CDV delle rispettive Diocesi

MONDOVÌL’appuntamento della Giornata Mondiale si offre sempre come “occasione favorevole” per rendere

visibile, in maniera più diretta, il dialogo e la collaborazione fra il CDV e le diverse comunità cristiane - parrocchiali e religiose - che formano il tessuto diocesano. Naturalmente il dialogo e la collaborazione devono segnare la ferialità del lavoro svolto durante tutto l’Anno pastorale. Ciò non toglie che vi possano essere momenti privilegiati per “mettere a tema” e quasi per “riconsegnare” il significato ed il valore, che animano l’impegno feriale a servizio di tutte le vocazioni. Ora, la Giornata mondiale fra questi momenti è senz’altro quello centrale, in ogni caso il più “sentito” . Di fatto, nella nostra équipe del CDV di anno in anno è cresciuta la consapevolezza che l’appuntamento della Giornata andasse potenziato al meglio, cercando di coinvolgere nella preparazione e nella realizzazione di esso tanto le singole comunità cristiane quanto la Diocesi nel suo insieme.

A livello delle singole comunità, la proposta si concentra sulla Settimana di preparazione - da Domenica a Domenica - che le parrocchie e le Case religiose sono invitate a vivere in vista della celebrazione della Giornata di preghiera. Da parte del CDV, l’impegno è di sostenere le comunità

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nell’organizzazione di questa Settimana, attraverso una semplice sussidiazione fatta pervenire in tempo utile ai parroci e ai Superiori. Tale sussidiazione comprende (oltre al manifesto e al messaggio del San to Padre) una traccia predisposta per l’animazione dell’Eucaristia durante i giorni della Settimana di preparazione; traccia pensata in riferimento al tema indicato annualmente dal CNV. La realizzazione delle schede-guida è stata portata avanti di volta in volta in vari modi: incaricando i diversi membri del Centro, secondo uno schema comune; oppure in collaborazione con i responsabili dell’Ufficio liturgico; oppure ancora affidando l’elaborazione a rappresentanti delle differenti scelte vocazionali.

Negli ultimi due anni, si è optato per inviare alle comunità una copia del libretto offerto dal CNV, riscontrandone un’accoglienza molto positiva, in particolare a motivo della ricchezza di indicazioni e di contenuti che esso presenta, utilizzabili dai sacerdoti e dagli animatori anche al di là della Settimana stessa. Ogni anno inoltre alcune parrocchie colgono l’occasione della Giornata per vivere la proposta della Settimana vocazionale animata dal CDV, come preparazione o come prolungamento della riflessione e della preghiera.

Per quanto riguarda invece il livello diocesano, in genere si prevedono due tipi di iniziative. Anzitutto, l’animazione di una Veglia di preghiera, fissata per il sabato precedente la Giornata e destinata in particolare ai giovani. Da tre anni a questa parte, tale Veglia è realizzata in collabora zione con le Sorelle clarisse, che con disponibilità aprono le porte del loro monastero presso Vicoforte. In particolare, quest’anno 1997 la Veglia costituirà un momento “forte” all’interno di una “due-giorni”, con cui chiuderemo il cammino biennale di ricerca vocazionale per ragazze (17 anni in avanti), guidato dal CDV in forma di incontri mensili. La seconda iniziativa di carattere diocesano consiste nella composizione del cosiddetto “paginone vocazionale” che compare sul settimanale diocesano nel numero immediatamente precedente la Giornata mondiale. Dentro il “paginone” in genere trova posto un articolo (affidato al Vescovo o al Direttore del CDV), che riprende e sviluppa il tema annuale, accompagnato da testimonianze vocazionali sullo stesso tema, oppure da “risonanze” riguardanti le proposte del Centro Diocesano, come le Settimane parrocchiali o i due Gruppi di ricerca vocazionale maschile e femminile. In questo modo, l’appuntamento della Giornata mondiale di preghiera diventa effettivamente il centro verso cui convergono le differenti iniziative a servizio della cura per tutte le vocazioni; e al tempo stesso quasi la sorgente dalla quale quella cura riceve in pienezza il proprio significato ed il proprio valore.

PADOVAÈ sempre molto difficile raccontare in poche righe un cammino di grazia e di fede: chiama in causa

non solo le attività realizzate dagli uomini, ma soprattutto la presenza del Signore, il suo Spirito che sempre accompagna gli eventi della Chiesa, anche quelli che sembrano a noi più insignificanti. Il presente tentativo di riflessione e di lettura storica si pone quindi senza alcuna pretesa di essere esaustivo; neppure vuole essere un arido elenco di iniziative. Spero solo di comunicare un’esperienza significativa per la Chiesa di Padova; che possa servire alla crescita comune.

Il Centro Diocesano Vocazioni nasce in diocesi, in modo informale, circa 20 anni fa. Il primo periodo è dedicato a far crescere la conoscenza e l’attenzione reciproca verso le varie realtà vocazionali presenti nella nostra Chiesa. Può essere utile sapere che la diocesi di Padova è una realtà molto ampia e variegata: 460 parrocchie, 880 preti diocesani circa, oltre 360 religiosi, 2500 religiose, ecc. Non era quindi scontato né inutile dedicare tempo ed energie per portare avanti ed approfondire la presenza, la storia, la specificità di ogni espressione vocazionale. Si può dire che il primo cammino del CDV fu soprattutto opera di alcuni pionieri, desiderosi di rispondere alle nuove indicazioni della Chiesa in materia di pastorale vocazionale. Nel 1982 inizia il mio compito come direttore di tale organismo.

I passi che insieme abbiamo cercato di muovere sono stati scanditi dai documenti della Chiesa, in particolare dal Piano Pastorale per le Vocazioni in Italia. Il cammino fatto, mi sembra possa essere sinte-tizzato secondo le grandi direttive fornite da quel documento.• La scoperta, l’attenzione verso le varie “espressioni vocazionali” presenti nella Chiesa diocesana, puntando ad un cammino di comunione. Le intenzioni, evidentemente, sono state concretizzate in incontri, in proposte specifiche. In un primo momento la presenza dei vari Istituti religiosi, secolari, dei Seminari diocesani, di altre realtà pastorali, è stata sollecitata tramite lettera per due, tre volte: quanti si sono resi disponibili o sono stati incaricati dai rispettivi superiori, sono stati chiamati a far parte del CDV. Si è cercata anche la strada del contatto personale, per sensibilizzare le comunità religiose, gli orga nismi pastorali verso un lavoro di comunione a servizio della Chiesa diocesana. Le modalità di incontro, in questi anni, sono cambiate, a seconda delle esigenze e delle proposte via via presentate: da un incontro, quasi mensile, per tutti i membri, si è passati a tre incontri annuali (uno di programmazione, uno di preparazione alla giornata per le vocazioni, uno conclusivo di verifica), lasciando l’inizia tiva per altri momenti all’interno delle zone, dei vicariati o di qualche settore specifico (es. ragazzi, giovani, ecc.).

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• La formazione degli animatori vocazionali.Tale attenzione si è concretizzata su due fronti: innanzitutto ponendo impegno per la crescita

formativa degli stessi animatori vocazionali del CDV, spinti dal desiderio di offrire un servizio pastorale sempre più adatto ai tempi e alle esigenze del mondo di oggi. Tale attenzione ci ha visti impegnati ad accostare, a studiare, a più riprese, i nuovi catechismi della CEI, a fare un percorso sul tema della “direzione spirituale”, scandito in tre successive tappe diverse, a pensare e progettare, con l’aiuto di qualche esperto, degli itinerari educativi da proporre ai giovani; la seconda attenzione si è concretizzata cercando di proporre momenti formativi anche per gli animatori “nativi della comunità cri stiana”: catechisti, genitori, animatori vocazionali parrocchiali. Le iniziative sono state anche in questo ambito le più diverse: la presenza degli animatori del CDV nelle scuole vicariali dei catechisti, un corso di riflessione sulla famiglia e il suo compito educativo in prospettiva vocazionale, un corso di formazione specifica per gli animatori vocazionali. La realizzazione di tali iniziative ha visto la collaborazione con i vari organismi di pastorale diocesana.

• L’animazione vocazionale delle comunità cristiane. La convinzione che ci ha sempre sostenuti è stata quella di portare, per quanto possibile, il nostro

contributo di sensibilizzazione, di attenzione alla dimensione vocazionale nella pastorale diocesana, vicariale e parrocchiale. In tale prospettiva, a livello diocesano abbiamo cercato l’incontro, la cono-scenza, la collaborazione con i vari organismi di pastorale diocesana: in particolare con l’Azione Cattolica nelle sue diverse espressioni, con gli Scout, con l’Ufficio Catechistico, con la Commissione Famiglia, con la Commissione di Spiritualità. Tra le iniziative più belle quelle realizzate con l’A.C.: la scuola di preghiera, inizialmente solo diocesana, poi diffusasi in quasi tutti i vicariati, gli week-end dello spirito nella Casa diocesana di Spiritualità. A livello zonale-vicariale da alcuni anni, abbiamo proposto l’iniziativa delle equipe vocazionali, raccolte intorno ad un prete animatore, coinvolgendo in loco le espressioni vocazionali, Voleva essere un segno di comunione, di animazione vocazionale della pastorale. Con modalità, anche qui, varie, a seconda delle forze, dell’entusiasmo, delle convinzioni, ecc. le iniziative (momenti di preghiera, incontri di riflessione; recital, mostre, settimane vocazionali, ecc.) sono state tante, significative, certamente occasioni di grazia. Il cammino era stato abbastanza lungo, provato in modo sufficientemente serio: per questo era tempo dell’approvazione giuridica da parte della Chiesa, che è avvenuta nel novembre del 1994, con decreto vescovile. Il testo dello statuto del CDV, discusso e approvato dai membri dello stesso, è stato quindi sottoposto al Vescovo: la sua approvazione ha sancito il lavoro impostato e portato avanti negli anni precedenti.

Una lettura seria di un tratto di storia non può tacere i limiti dell’esperienza:• va sottolineata innanzitutto la fatica di cambiare mentalità intorno alla pastorale vocazionale: questo da Parte dei superiori religiosi, dei preti delle parrocchie, dei laici. Forse neppure lo stesso organismo del CDV è entrato nella mentalità degli operatori pastorali per la sua vera fisionomia e per i suoi compiti più specifici;• continua il persistere di criteri di reclutamento vocazionale, preoccupandosi di coltivare il proprio piccolo campo piuttosto che aprirsi ad un’azione più ampia, più ecclesiale, ma che sembra immediatamente meno feconda;• va ricordata ancora la poca preparazione specifica degli animatori/trici vocazionali, oggi sempre più necessaria, soprattutto per chi lavora nel mondo giovanile;• è da notare un venir meno delle forze impegnate specificamente nel campo della pastorale vocazionale da parte degli Istituti religiosi maschili e femminili, con la conseguente grande mobilità degli addetti ai lavori: tante volte c’è appena il tempo di conoscersi e già l’animatore vocazionale è spostato in altra diocesi o per altri servizi.

NUOROLa giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni è entrata nella tradizione delle nostre comunità.

È un appuntamento atteso e voluto in quanto si riconosce l’importanza e l’urgenza della promozione vocazionale e, in particolare, della preghiera secondo il comando del Signore. Nella nostra diocesi la celebrazione della Giornata è affidata alle comunità parrocchiali. Queste, oltre che esporre al l’ingresso della Chiesa il significativo manifesto e darne notizia e spiegazione durante le omelie, fanno precedere alcuni incontri di riflessione con le aggregazioni ecclesiali presenti in esse e momenti di preghiera con l’adorazione Eucaristica, Il Centro Diocesano Vocazioni provvede alla distribuzione dei sussidi predisposti dal Centro Nazionale. Questi vengono offerti a tutte le parrocchie perché ne facciano utile uso sia nella preparazione

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che nella celebrazione della Giornata stessa. La presentazione e l’offerta dei sussidi ci sembra un fatto molto importante in quanto indica una attenzione alle singole comunità che così si sentono più coinvolte e allo stesso tempo indicano un cammino che tutti possono percorrere nella animazione vocazione.

Quest’anno si intende preparare la Giornata a livello diocesano con un incontro di tutti i cresimandi utilizzando il sussidio apposito. Questo incontro verrà organizzato in collaborazione con l’Ufficio Catechistico Diocesano. Ci sembra che il coinvolgimento dei cresimandi sia significativo. Si intende presentare a questi ragazzi e ragazze la problematica vocazionale attraverso delle testimonianze di giovani che hanno “lasciato tutto” e hanno risposto “eccomi!” e una celebrazione della Parola e della Eucaristia che siano coinvolgenti. Un altro momento nella preparazione della Giornata sarà vissuto dai giovani. In Sardegna è tradizione ormai consolidata da oltre dieci anni che il Centro Regionale Vocazioni offre alle diocesi della Regione la possibilità di un incontro regionale la domenica che precede quella della Giornata Mondiale, sul tema della Giornata stessa.

L’“incontro giovani” viene partecipato da circa 500 giovani provenienti dalle diverse diocesi della Sardegna e prevede un momento di annuncio del tema, di testimonianze, di celebrazione e di festa. Questa occasione di confronto tra giovani è ritenuta molto utile dai giovani stessi che in questo modo sono sollecitati a vivere in maniera più cosciente ed entusiasta la Giornata nelle loro singole comunità parrocchiali.

Vorrei anche rilevare che i sussidi forniti dal Centro Nazionale sono oltre che interessanti e ben presentati, molto utili per la promozione vocazionale; sono un punto di riferimento per una conoscenza e un approfondimento delle tematiche annuali; sono infine molto richiesti dai sacerdoti, dai religiosi e religiose e dagli operatori della pastorale in generale e da quella vocazionale in particolare.

LODIDa parecchi anni il CDV della diocesi di Lodi, coadiuvato da un’équipe vocazionale composta da

rappresentanti di alcuni istituti di vita consacrata presenti in diocesi e da alcuni giovani impegnati come animatori vocazionali parrocchiali, propone, lungo il corso dell’anno pastorale, incontri su tematiche vocazionali (normalmente riferite al tema della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni), indirizzate alle diverse fasce di età: ragazzi/e (dalla 5a elementare fino alla 3a media), adolescenti, giovani e animatori vocazionali. La celebrazione della Giornata Mondiale diventa occasione di sensibilizzazione a grande raggio sulle problematiche vocazionali di tutte le comunità parrocchiali della diocesi.

L’orientamento è quello di offrire sussidi alle Parrocchie perché al loro interno possano promuovere quelle iniziative più consone alle proprie esigenze e alle proprie caratteristiche pastorali, mentre - a livello vicariale - il CDV propone una veglia di preghiera rivolta a tutte le componenti pastorali. Per favorire una maggiore comunione nella preghiera si invitano i vicariati (8 in tutto) a lavorare unitamente a due a due per una veglia di preghiera da celebrarsi in prossimità della Giornata.

A livello diocesano per diversi anni si è organizzata una serata rivolta soprattutto ai giovani, che è stata caratterizzata da diverse proposte: dal recital alla “tavola rotonda”, ad un concerto musicale, ecc. Abitualmente, inoltre, sempre in prossimità della Giornata, si tengono il convegno diocesano dei ministranti e, presso il Seminario, le giornate eucaristiche; aperte a chiunque voglia partecipare.

La Giornata è invece caratterizzata dalla celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Vescovo, con il conferimento dei Ministeri ad alcuni seminaristi. Da due anni, dopo l’esperienza diocesana della mostra vocazionale allestita dalle Suore Apostoline - iniziativa legata al piano pastorale diocesano 92/93 sulla vita consacrata - è stato organizzato - scegliendo un vicariato per anno - una settimana vocazionale. Tale idea è nata dal voler coinvolgere maggiormente le diverse componenti delle comunità parrocchiali del vicariato interessato sul tema vocazionale.

A livello organizzativo questa proposta comprendeva alcuni incontri a carattere formativo rivolti agli educatori (catechisti, genitori, dirigenti sportivi, A.C., Caritas, Scout, ecc.) per favorire in loro la presa di coscienza che ogni azione educativa, perché sia realmente tale, deve essere necessariamente vocazionale, un cammino cioè alla scoperta della chiamata di Dio rivolta ad ogni persona. All’interno della “Settimana” si sono inoltre organizzati alcuni momenti particolarmente significativi rivolti alle diverse fasce di età. Per i ragazzi/e una giornata suddivisa tra animazione, preghiera, riflessione, gioco; per gli adolescenti una marcia (o una “biciclettata”) vocazionale attraverso tappe presso luoghi-simbolo della Chiesa locale legati alla vita consacrata (Oratori, Seminario, Istituti di vita consacrata). In queste tappe l’adolescente veniva aiutato a riflettere (anche con una sua personale partecipazione attiva) e pregare sul senso della vita e della chiamata; il momento conclusivo vedeva la rappresentazione di un recital ideato e realizzato da un gruppo giovanile oratoriano della diocesi.

Anche per i più giovani, dopo due anni in cui veniva organizzata una marcia vocazionale, lo scorso anno si è pensato ad un momento di aggregazione con proposta musicale a sfondo vocazionale, seguita da alcune testimonianze dei diversi stati di vita e da un momento conclusivo di preghiera.

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Il CDV ha sempre, inoltre, fornito alle Parrocchie sussidi per la preghiera comuni taria e per ammalati: schemi di Lodi - Vespri - Rosario - Adorazione eucaristica. Inoltre, per tutto il perdurare dell’iniziativa che quest’anno era rivolta al vicariato di Lodi-città, si è proposto alle singole parroc chie, agli istituti di vita consacrata presenti, all’ospedale e alle case di riposo di ospitare per uno o più giorni un’icona “pellegrina” di Maria, perché la comunità ivi residente si raccogliesse attorno ad essa per pregare per le vocazioni alla vita consacrata; questo per creare una “catena” simbolica che accom-pagnasse e sostenesse nella comunione della preghiera le diverse iniziative.

È stato pubblicato anche un depliant che raccoglieva tutte le proposte vocazionali degli Istituti di vita consacrata presenti in Diocesi per l’estate ‘96, per facilitare l’orientamento per i giovani che cercavano tali esperienze. La partecipazione a tali iniziative ha visto una discreta accoglienza da parte dei ragazzi/e; adolescenti e giovani e dei catechisti, mentre particolarmente esigua è stata quella degli educatori e delle famiglie. È sempre problematico capire le motivazioni che stanno alla base delle scelte personali; crediamo, come CDV, che forse la difficoltà alla partecipazione a tutte queste iniziative è data dalla collocazione di queste attività sul finire dell’anno pastorale, dal doversi “inserire” in programmi pastorali parrocchiali già in atto, forse anche da una certa “stanchezza” che permea un po’ le nostre comunità cristiane occupate in tante iniziative per cui l’attenzione alla pastorale vocazionale viene talvolta considerata come una delle tante attività, importante sì, ma non così necessaria all’interno dei programmi pastorali.

Crediamo che questo comunque abbia offerto la possibilità al nostro CDV di riflettere su come tentare di inserirsi nella vita delle Parrocchie perché tengano viva l’attenzione (o farla nascere) per la pastorale vocazionale. Da sottolineare invece come aspetti positivi la totale adesione alla preghiera all’interno delle proprie comunità e soprattutto il coinvolgimento degli animatori vocazionali che, al di là del momento organizzativo, hanno continuato (almeno una parte di essi) a rendersi disponibili alla collaborazione con il CDV per le diverse iniziative che si svolgono durante l’anno. Anche questo ci ha offerto l’occasione di riflettere sul ruolo e sull’importanza dell’animatore vocazionale all’interno del le comunità parrocchiali, spingendoci a riservare per loro (anche su loro richiesta) momenti specifici a livello diocesano per la formazione e la preghiera.

RIMINI Nella Diocesi di Rimini l’Ufficio Diocesano Vocazioni collabora strettamen te ed unitariamente agli altri uffici diocesani (giovani, catechesi, caritas, liturgia, missioni, famiglia...). La programmazione dell’anno pastorale diocesano è sempre comune e fatta insieme secondo gli obiettivi prioritari che la Diocesi si da durante l’anno. La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni rappresenta uno dei momenti forti dell’anno che viene inserito solitamente all’interno della programmazione generale dell’anno pastorale, in accordo con gli altri uffici pastorali.

A livello diocesano il momento forte della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni (GMV) è costituita dalla veglia dei giovani proposta intorno al tema dell’anno ed in collaborazione con gli uf fici pastorali interessati. Ogni anno si è insistito su un aspetto diverso: un anno sulla missione - abbiamo vissuto la veglia come momento forte di preparazione e di riflessione di un campo di lavoro missionario che coinvolgeva più di un migliaio tra giovani e adulti -, sui giovani - all’interno del momento della veglia che è diventato il momento giovanile forte proposto dalla diocesi in quell’anno abbiamo potuto affrontare con diverse centinaia di giovani il tema della vocazione. In questo anno pastorale 1996/97 la veglia della GMV verrà inserita all’interno del cammino che tutte le diocesi italiane stanno facendo per la preparazione al grande giubileo del 2000. In conformità alle indicazioni fornite dalla TMA, di valorizzare le testimonianze dei santi locali come icone viventi e testimoni credibili di Gesù Cristo, la nostra Diocesi, che sta vivendo il cinquantesimo anniversario della morte di Alberto Marvelli - grande testimone di carità e di servizio - ha deciso di cogliere l’opportunità di inserire nella veglia diocesana della GMV particolarmente rivolta ai giovani, la testimonianza di Marvelli come testimone del tema “Lascio tutto... Eccomi!”.

Sempre a livello diocesano l’Ufficio Diocesano vocazioni organizza una campagna di sensibilizzazione nelle parrocchie e nelle associazioni sul tema delle vocazioni attraverso il settimanale diocesano, la radio diocesana, la stampa locale e i periodici cattolici. La GMV inoltre diventa l’occasione per organizzare un pellegrinaggio diocesano dei ministranti presso un santuario mariano; lo scorso anno siamo stati a Loreto, mentre in questo anno con tutta probabilità ci recheremo a Bologna, presso il santuario della Madonna di S. Luca.

A livello parrocchiale l’UDV da molti anni e con un discreto frutto, propone una serie di iniziative e di attività per animare la GMV. Oltre al materiale pubblicato dal CNV viene stampato del materiale in sintonia con la proposta diocesana. La proposta che ha portato maggior frutto finora è quella della settimana vocazionale parrocchiale: diverse parrocchie vi hanno aderito e si sono avvicinate all’UDV e

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alle sue proposte. La settimana vocazionale consiste in una settimana in cui tutta la parrocchia è concentrata sul tema delle vocazioni: vengono visitati e coinvolti tutti i gruppi dell’iniziazione cri stiana, le associazioni, i catechisti e gli educatori, i genitori, anziani, ammalati,... le varie realtà della parrocchia vengono coinvolte intorno a questa particolare attenzione. Il tutto culmina nella domenica della GMV in cui in tutte le liturgie, anche attraverso testimonianze significative, può essere proposto il tema e l’intenzione di preghiera per le vocazioni. A dire il vero la GMV viene valorizzata, ma non particolarmente enfatizzata, perché essa costituisce “solo” il momento apice di un cammino che viene portato avanti tutto l’anno attraverso le proposte, i cammini formativi e di verifica vocazionale, gli incontri realizzati con le varie realtà interessate. È un momento che ha un suo peso e che va preparato e proposto sempre con cura ed attenzione, nella consapevolezza, però, che la pastorale delle vocazioni richiede un impegno serio e continuativo.

TRENTO In diocesi sono varie le occasioni che, lungo l’anno, mettono a fuoco il tema della vocazione: Ordinazioni diaconali e sacerdotali, Giornata del Seminario, Professioni solenni, Giornata dei religiosi ecc. Cuore di tutto è però la Giornata Mondiale delle Vocazioni perché è vissuta “insieme” ed è quella che col suo tema annuale denso di contenuti e di provocazioni tonifica tutta l’attività dell’anno. È occasione per mettere a fuoco il problema delle vocazioni, è strumento prezioso per aiutare le comunità e i singoli a crescere nell’attenzione vocazionale, a tenere desto questo problema nella comunità diocesana perché accompagni coscientemente e affettuosamente chi si sente “chiamato” a consacrare la propria vita; è infine momento forte e intenso di preghiera per le vocazioni per rispondere al comando di Gesù: “Pregate il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe”. Nel primo incontro del Centro Diocesano Vocazioni il tema viene pre sentato e messo a fuoco perché, oltre ad essere conosciuto, possa essere trattato nella preparazione delle attività vocazionali diocesane, dei vari Istituti religiosi e del Seminario diocesano. I temi che ogni anno vengono proposti fanno così da filo conduttore delle varie iniziative e di volta in volta forniscono la materia su cui far convergere la riflessione negli incontri, nei ritiri e nelle settimane vocazionali.

A questo scopo vengono utilizzato il materiale che viene offerto dal Centro Nazionale Vocazioni adattandolo alle varie realtà. In occasione della Giornata il materiale viene diffuso capillarmente nelle parrocchie e diventa così valido supporto per celebrarla bene.

In preparazione alla Giornata le Comunità sono invitate a fare una veglia di preghiera, aperta in particolare ai giovani, nella quale vengono offerte testimonianze di risposta vocazionale. Inoltre la preghiera del Monastero Invisibile si fa più intensa e centrata sullo stesso tema. In molte comunità nella settimana precedente ci si ritrova per la recita del rosario vocazionale. Nella Giornata momento partico-larmente intenso di preghiera e di testimonianza è il Rito di ammissione al presbiterato e al diaconato permanente che i giovani del Seminario e gli altri candidati fanno in Cattedrale alla presenza del Vescovo. In questa occasione in tutte le parrocchie viene curata parti colarmente l’animazione della liturgia della Messa e viene proposta anche la preghiera del Vespro per le vocazioni, animata per l’occasione da qualche comunità religiosa. Guardando all’esperienza di questi ultimi anni possiamo dire che la celebrazione di questa Giornata è cresciuta sia a livello di partecipazione che di qualità.

CHIAVARI“La pastorale vocazionale esige, oggi soprattutto, d’essere assunta con un nuovo, vigoroso e più

deciso impegno da parte di tutti i fedeli, nella consapevolezza che essa non è un elemento secondario o accessorio, né un momento isolato o settoriale, quasi una semplice parte, per quanto rilevante, della pastorale globale della Chiesa: è piuttosto, come hanno ripetutamente affermato i padri sinodali, un’attività intimamente inserita nella pastorale generale della Chiesa, una cura che deve essere integrata e pienamente identificata con la cura delle anime cosiddetta ordinaria, una dimensione connaturale ed essenziale alla pastorale della Chiesa, ossia della sua vita e della sua missione”: così il S. Padre nella esortazione Apostolica “Pastores dabo vobis”.

Le proposte che seguono intendono stimolare, coordinare e sostenere il “valore vocazionale” così come pastori e laici sono chiamati a rendere vivo nel tessuto delle singole comunità. Il tema e le modalità del primo Anno Giubilare: “Gesù Cristo - il Battesimo - la Bibbia - Maria la Madre della Chiesa” costituiscono contenuti e metodo essenziali per supportare ogni vocazione.

Incontri per i membri del CDVIl Consiglio del CDV si ritrova per un tempo di preghiera, di comunione e di programmazione

pastorale ogni primo sabato del mese per la Veglia eucaristica animata dai diversi gruppi vocazionali

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della Diocesi. In tre incontri a parte si ritrova per la programmazione annuale, la preparazione della XXXIV Giornata Mondiale delle Vocazioni e per il consuntivo del lavoro svolto nell’anno e la proposta di attività estive.

Incontri e proposte di catechesi vocazionale• Seminario regionale per Animatori vocazionali e giovanili sul tema “Maestro che cosa devo fare per avere la vita?”.• Nel programma della “Scuola di formazione e aggiornamento permanente per il clero” è previsto un incontro sul tema della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni “Lascio tutto... Eccomi” - La vocazione, itinerario per una risposta d’amore totale.• In occasione della Giornata Mondiale delle Vocazioni saranno proposte alcune catechesi vocazionali tramite Teleradiopace.• I membri del CDV sono disponibili per la realizzazione di “Settimane vocazionali” a livello parrocchiale o zonale.• In collaborazione con la Scuola del Clero, saranno predisposte alcune tracce per la lectio divina e l’omelia per il “mese vocazionale” (Gennaio - Febbraio 1997 - tempo liturgico dal Battesimo di Gesù all’inizio della Quaresima).• Per una lettura vocazionale dei catechismi per l’iniziazione cristiana (Io sono con voi - Venite con me - Sarete miei testimoni - Vi ho chiamato amici) viene proposta agli animatori di catechesi e ai catechisti la guida “Gesù passando li guardò con amore”.• I sacerdoti incaricati per la “previsita ai cresimandi” evidenzieranno nel colloquio con i candidati, la dimensione vocazionale della scelta cristiana.• I membri del CDV saranno particolarmente attenti e disposti alla collaborazione per la dimensione vocazionale, al progetto educativo della Scuola cattolica e dei docenti di religione.

Incontri e proposte di preghiera• La XXXIV Giornata di preghiera per le Vocazioni sarà celebrata nella IV Domenica di Pasqua, il 20 aprile 1997, sul tema: “Lascio tutto... Eccomi!”. Il CDV entro il mese di febbraio ne comunicherà le modalità ed offrirà i necessari sussidi.• Adorazione eucaristica: In varie località della Diocesi (Seminario Vescovile, parrocchie, Comunità Religiose) con scadenza settimanale.• Scuola di preghiera: sul tema: “Il Vangelo di Marco: iniziazione al mistero di Cristo e al mistero dell’uomo”.• Veglia eucaristica mensile: si tiene ogni primo Sabato del mese sul dopocena con l’Adorazione comunitaria animata da un gruppo vocazionale espressione del le associazioni parrocchiali e gruppi eccle-siali. Una Veglia straordinaria si tiene pure, in occasione del Capodanno, sul tema del la XXX Giornata Mondiale della Pace: “Offri il perdono, ricevi la pace”.• Veglie giovani: coordinate dalla Consulta diocesana giovani, si terranno in occasione della Giornata missionaria mondiale: “Annuncia Cristo, per far vivere il mondo” e della Veglia di Pentecoste.• XII Giornata Mondiale della Gioventù: sul tema “Maestro, dove abiti? Venite e vedrete” - sarà celebrata secondo le modalità proposte dalla Consulta diocesana giovani.• Le comunità religiose femminili della Diocesi dedicano, secondo il calendario previsto dal programma USMI, una giornata mensile di preghiera per le Vocazioni.• Si esortano tutte le comunità parrocchiali e le chiese tenute dai religiosi a celebrare la “Giornata mensile” di preghiera per le Vocazioni (1° Giovedì o la Domenica).• Per cura del Centro volontari della sofferenza, dell’UNITALSI e dei Ministri straordinari dell’Eucaristia sarà particolarmente promossa e animata tra gli ammalati e gli infermi la preghiera per le Vocazioni.• In occasione di Ordinazioni, del conferimento di Ministeri e di Professioni religiose si invitano le comunità ecclesiali a partecipare, con la preghiera e con la presenza, a questi significativi momenti vocazionali.• Sollecitati dalle indicazioni del S. Padre. “La nostra preghiera si diffonda e continui nelle Chiese, nelle comunità, nelle famiglie, nei cuori credenti, come in un monastero invisibile, da cui salga al Signore una invocazione perenne (6.1.79)” il CDV propone a tutti (sacerdoti-religiosi-laici) la adesione al “Monastero invisibile”. Si tratta di impegnarsi (come singola persona o come famiglia) con fedeltà e costanza, scegliendo l’ora e il giorno del mese nel quale si ha maggiore disponibilità di tempo (sia di giorno, sia di notte) per un’ora di preghiera per le vocazioni. Il Centro Diocesano Vocazioni farà pervenire a coloro che vorranno aderire (presso il CDV è in distribuzione una scheda per l’iscrizione), qualche sussidio per la preghiera e la meditazione.

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Attività di animazione vocazionale• Il Seminario diocesano, in collaborazione con l’Ufficio liturgico, animerà nei diversi Vicariati e nelle singole parrocchie, i gruppi Ministranti.• Il CDV, in collaborazione con il Seminario diocesano, propone di scegliere, in ogni comunità parrocchiale, qualche animatore/delegato al fine di tenere i rapporti con il Consiglio pastorale parroc-chiale, con il CDV e con il Seminario.

INVITO ALLA LETTURATemi Vocazionalidi M. Teresa Romanelli, della Segreteria del CNVM. T. ROMANELLI

Formazione Direzione Spirituale e Vita ConsacrataJ. J. ALLEN, La via interiore. La Direzione spirituale del cristianesimo orientale, Jaca Book,

Milano 1996.L’autore si propone di far riscoprire ai cristiani di oggi una delle esperienze più significative della

vita cristiana di tutti i tempi: l’esperienza dell’incontro tra il “padre spirituale” (“l’anziano” del mo -nachesimo primitivo, lo “starec” della tradizione russa) e il discepolo (laico o monaco) che intenda progredire nella “via interiore” per giungere alla comunione con Dio. Ieri come oggi, afferma l’autore, al “padre spirituale” spetta un compito gravoso e al contempo affascinante: curare che il discepolo viva un’autentica esperienza del mistero di Dio. La “direzione sprituale” non è un capi tolo chiuso della storia della spiritualità cristiana; è un mistero che anche oggi conserva la sua attualità e deve perciò essere

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riscoperto e rivissuto, pur tenendo conto della diversa sensibilità odierna sia in campo teologico che antropologico.

F. ASTI, C. NAPPO, A. SERRA, Direzione spirituale, vocazione e catechesi, CDV, Napoli 1996.Il sussidio nasce dall’insieme di più contributi sul tema della direzione spirituale ed è frutto del

lavoro svolto nella diocesi di Napoli nell’anno pastorale ‘95/’96. Il testo si suddivide in tre parti: proble-mi attuali della direzione spirituale; il dinamismo vocazionale nel chiamato; la visione di uomo nei catechismi della CEI. Il libro vuole essere un piccolo contributo all’impegno di tanti che sono alla ricerca di chiarezza in un campo delicato qual è la direzione spirituale. I temi trattati in questo sussidio sono di grande rilevanza e sono relativi ai processi formativi di discernimento che presiedono alla risposta libera alla voce interiore dello Spirito Santo.

G. RUSSO, Spiritualità della vita consacrata. Commento spirituale all’Esortazione Apostolica post-sinodale, LDC, Torino 1996.

Il testo si propone come commento spirituale all’esortazione post-sinodale “Vita Consacrata”ed è preceduto da un’introduzione del Card. Eduardo Martinez Somalo sugli “aspetti teologici e dottrinali dell’esortazione apostolica” e da alcune pagine del Card. J. P. Schotte sull’itinerario che ha portato all’esortazione. Il libro si suddivide in tre capitoli ed aiuta ad approfondire la portata spirituale del documento pontificio e a tradurlo nel concreto della vita quotidiana delle persone consacrate. Una bibliografia essenziale e un accurato indice tematico e dei passi biblici citati nell’enciclica completa l’opera.

P. DEL CORE, (a cura di) Difficoltà e crisi nella vita consacrata, LDC, Torino 1996.Il volume curato da Pina del Core, per conto del COSPES, raccoglie interventi nei quali gli autori

hanno voluto rispondere ad una precisa istanza di fondo, dettata dalla loro peculiare sensibilità educativa e preventiva: quale aiuto offrire alle persone consacrate che entrano in crisi? Il testo è strutturato in tre parti: nella prima, vengono messe a fuoco le coordinate teologiche, antropologiche, sociologiche e psicologiche. Nella seconda, sono evidenziate alcune possibili risposte alle situazioni di crisi. Nella terza parte, gli autori analizzano una serie di esperienze vocazionali. I destinatari dello studio non sono solo i religiosi e i loro formatori, ma tutti coloro che hanno a cuore la vita consacrata. Il sussidio si presenta come estremamente concreto e utile.

P. COLLINS, I desideri del cuore, Ancora, Milano 1996.Utilizzando le migliori scoperte della psicologia, della scienza e delle spiri tualità moderne, il volume

indica come i cristiani contemporanei possano passare da situazioni di alienazione a una rinnovata intima connessione con l’intera realtà creata. La prima parte del testo mostra come essere intimi con se stessi attraverso una crescente consapevolezza di sé e dei propri desideri più profondi. La seconda parte descrive come si possa essere intimi con la natura e con le altre persone attraverso l’onesta apertura di sé e l’attenzione amorevole. La terza parte approfondisce in che modo le prime due forme di intimità possano portare a una relazione intima con l’Altro Misterioso, il quale viene “espresso e reso noto” come l’Oltre della nostra vita di ogni giorno. Il testo può essere utile per i contenuti di base di un corretto discernimento vocazionale.

Pastorale Giovanile

G. VIANELLO, Liberi per partire, Emi, Bologna 1996.“Se il Figlio dell’uomo vi farà liberi, sarete liberi davvero”(Gv 8,36) “Andate in tutto il mondo e

predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Queste due frasi racchiudono il contenuto di questo libro che ha due protagonisti: tu e “quel Gesù che tu perseguiti” (At 9,5); ambedue figli amati dal Padre, e inviati con la forza dello Spirito Santo per la costruzione del Regno. Paolo, discepolo e apostolo, accompagna il giovane in questo cammino di libertà missionaria come accompagnò un giorno i suoi “figli dilettissimi” Timoteo e Tito, Luca, Lidia, Aquila e Priscilla. Il volume si suddivide in due parti: l’identità del cristiano e le ragioni d’essere del cristiano. In entrambe si offrono interessanti prospettive di riflessione spiritualipastorali. Le schede di catechesi, inserite nella seconda parte del testo, ne fanno un utile strumento di lavoro per gruppi e comunità oltre che per una verifica personale.

C. ALMIRANTE, Nuovi Orizzonti. La nostra avventura nel mondo della strada, Città Nuova, Roma 1996.

Page 46: Voc. 1€¦  · Web viewAlla luce di quanto il Vangelo ci consegna della vita e del mistero della S. Famiglia di Nazareth, muoviamo i passi accanto a preadolescenti, ragazzi e giovani

Nuovi orizzonti: una dimensione di vita diversa, che passa per la decisione di dedicare la propria esistenza agli altri e in particolare agli ultimi. In forma autobiografica, la giovane au trice racconta come questo suo “folle” progetto sia divenuto realtà, superando problemi di ogni genere. Una storia attuale che sorprende per la normalità con cui è vissuta una scelta che a qualcuno potrebbe suonare come una rinuncia. Il volume costituisce l’ideale completamento di “Stazione Termini” il libro che ha fatto conoscere l’autrice al grande pubblico.

A. CENCINI, I giovani sfidano la vita consacrata. Interrogativi e problematiche, Paoline, Milano 1996.

Scopo di questo piccolo sussidio è di riflettere sulla personalità dei giovani d’oggi: dei giovani in genere e, in particolare, di quelli che chiedono di entrare nelle istituzioni formative religiose. Lo scopo dichiarato è cercare di individuare strade lungo le quali la vita consacrata può incontrare i giovani d’oggi. Il testo, molto semplice e facile alla lettura, è suddiviso in tre parti: la situazione culturale generale, l’immaginario collettivo giovanile della vita consacrata, le attese e le pretese, le sfide e le problematiche odierne.

S. CURRÒ Pastorale giovanile. La formazione degli educatori laici, Paoline, Milano 1996.Il sussidio nasce da alcune riflessioni fatte in seno ad un’esperienza pastorale giovanile specifica:

quella della Congregazione dei Giuseppini del Murialdo che si dedica all’educazione dei giovani. Nel testo vengono toccati i ‘nodi’ della pastorale giovanile odierna, in una prospettiva di integrazione e di pastorale organica. Il sussidio può essere di aiuto, oltre che ai singoli, alle diverse comunità parrocchiali che hanno gruppi giovanili.