Vitti Monica Sette Sottane

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    Monica VittiSette sottane

    Un'autobiografia involontaria

    (1993)

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    INDICE

    Una frittata gialla

    Impreparata all'intervista

    Fuori dal gioco

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    Una frittata gialla

    Ad un certo punto della mia vita, a mia insaputa, devo aver deciso di dimenticare. Non dimenticare i dolori o gli erroma dimenticare fatti, persone, forse solo confondere tutto.

    I sentimenti resistono perch sono al di fuori della mia volont: si ama anche chi non si vorrebbe e quando non vorrebbe. I sentimenti vanno per conto loro, senza regole, senza tragitti prefissati.

    Ormai io so cosa sono il bene e il male. Oddio! Credo. E il buono e il cattivo? No, a volte ho dei dubbi anche su questNon sto perdendo la memoria o la coscienza, ma le sto ritrovando.

    Il posto che nel cuore e nella mente viene spesso occupato dagli obblighi, dai doveri, ora non ha pi guardiancontrollori. come se ogni cosa avesse una sua indipendenza.

    Era forse un desiderio nascosto, ma ora sembra che desideri e sentimenti scavalchino la ragione.

    Mi sto lasciando andare, faccio il morto a galla, la prima cosa che si impara in mare per non andare gi. Mi hannsempre detto che non ho difese, che chiunque pu ferirmi, farmi del male. E che io non lo prevedo. Ho una fortuna

    leggerezza. Come darle spazio? Come godermela?Questo libro la mia prima, privata libert, ma attraverso di lui ne sto conquistando un'altra. Attraverso il ricordo, ch

    mi serve per scrivere, dimentico tutto il resto. Le cose si bruciano sul fuoco, l'acqua scorre indisturbata nella vasca, gappuntamenti sono solo una parola senza orario.

    Che mi sta succedendo? Forse sono sulla strada della libert? Se mi incartassi in questi fogli e diventassi una grossa panel cestino della carta?

    Non sposarsi, avere un lavoro indipendente, si fa per dire, non basta per sentirsi indipendenti. Ma indipendenti da chDa cosa? I doveri, gli obblighi, le paure, le responsabilit, le lettere, le carte da firmare, le cose da cucinare? O nonquesto? E se uscissi piano piano e me ne andassi per conto mio? E i sentimenti? Non posso lasciarli sulla mia scrivania. Nho bisogno. E i fatti?

    Adesso mi fermo e mi permetto il lusso di guardare dalla finestra: ho una storia con un merlo nero dal becco giallForse tutti i merli sono neri con il becco giallo, proprio da questi due elementi si distinguono dagli altri uccelli. Ma il mmerlo nero, dal becco giallo, in dormiveglia sul tetto che ho di fronte alla finestra, sempre lo stesso. A meno che non passino i messaggi e il mio merlo, avendo voglia di andare in un altro posto, abbia chiesto ad un altro di veniall'appuntamento con me. Anche questa libert hanno; possono delegare un altro per qualunque cosa, tanto sono tutuguali!

    E se io avessi un doppio? L'ho sempre avuto in cinema: la mia controfigura, che per un po' stata Fiorella Mannoistraordinaria ragazza di grande talento. Io cercavo in tutti i modi di evitarle i pericoli, ma lei veniva da una famiglia cascatori e le piaceva rischiare. In cinema possibile anche questo.

    Che bell'idea fare l'attrice, ti prendi la storia che vuoi, i personaggi che vuoi, qualche volta fai finire la tua storia com

    vuoi. Ti fai amare, ti puoi far baciare e lasciare, puoi nascere e morire mille volte, ridere e piangere e poi torni a casa.

    Il guaio l. Che devi tornare a casa.

    E se io mi scegliessi un mio personaggio? Uno dei tanti? Uno di Michelangelo Antonioni? Lo prenderei solo per due ornel pomeriggio. Perch la mattina sono gi abbastanza depressa e la sera faccio brutti sogni. No, mi prendo uno dei mipi comici, che hanno l'obbligo di finire bene. Che gusto scrivere le storie, con tutti i loro intrecci e poi farle finire bene!

    E se io ora uscissi davvero? La storia me lo permette: non ho figli, non ho marito, amo Roberto... ma lui acuto, attentmi ritroverebbe.

    Allora, bene, io posso uscire e andare avanti, sempre diritto come dicono le indicazioni e poi? Poi mi prende paura. La paura che sempre in agguato, che mi gira intorno, mi fa scherzi tremendi, mi costruisce ombre, parole, tranel

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    il mio cappello incorporato.

    Oggi volevo farmela amica. Non stato possibile, perch pi forte di me. Sa di avere la forza del misterdell'imprevedibile.

    La paura un romanziere esperto. In pochi istanti ti costruisce storie impeccabili, gialli in cui non si intravede mai unspiraglio di luce, dove ci sono solo assassini. Non ci sono passanti, spettatori che possano salvarti vedendoti in pericolperch lei si camuffa: in un bell'albero di mimose, in un cagnolino indifeso. La paura mi chiude in un sacco, lo lega benall'apertura e mi porta via. Dondolando sulle sue spalle, non riesco mai a capire che strade percorre. A volte sono barchelo sento dalle onde che mi arrivano in gola, a volte si solleva da terra per non darmi pi riferimenti.

    Siamo nell'aria? Non capisco pi dove sono. Non sento i profumi, anche se il mio naso pi attento dei miei occhi. Inon vedo bene nemmeno con gli occhiali. Eppure, oscillando sulle sue spalle, non mi sembra un tragitto a vuoto. L'unicpossibilit farmi amico il sacco. Volergli bene, dirgli che ormai siamo tutt'uno e lui deve badare anche a me. Perch dovgettano me, getteranno anche lui. Non mi risponde, deve avere un suo piano. Il sacco mi fa fuori dal sacco.

    Chi ci porta si fermato, indeciso, non sa che farne di noi. Poi, con forza, ci lancia nell'aria.

    Non stata una cattiva idea, nella discesa si scioglie il nodo, il sacco va per conto suo ed io per conto mio. Siamentrambi in discesa libera, ma io peso di pi e sono pi veloce, lui ha anche questa fortuna: pu svolazzare. Io non mi staffatto godendo la caduta.

    E se tutto si fermasse qui? Volendo... forse. Volando, forse. Faccio come nei sogni: allargo le braccia e sembro un aere

    da piccoli turisti. Turisti sprovveduti, pronti a sopportare tutto pur di raccontare che si sono divertiti. Io no, io mi sgodendo il volo, credo di guidarlo, credo di fare in tempo a rialzarmi prima di schiacciarmi a terra come una frittata. Unfrittata gialla.

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    Impreparata all'intervista

    Sono arrivata a teatro, il luogo dove mi sento pi al sicuro. Sono le due del pomeriggio. Ho un appuntamento con ungiornalista, ma oggi non ho voglia di parlare. E invece dovr.

    Ma si dimentica, non parlando, quello che ci fa male? O parlandone? Lo sapr domani.

    Se non venisse o ritardasse, sarebbe gi un grande aiuto.

    Com' bello un teatro vuoto. Il sipario aperto. In scena c' un uomo morto cio un appendiabiti, con tre cappeluno di paglia con un nastro azzurro, una lobbia ed una cuffietta. Oggetti che servono per ricordare. Al centro un tronmolto alto, che diventer una gabbia.

    In teatro c' solo Oreste, il trovarobe: deve sistemare il fondale.

    Ieri sera, provando la seconda scena del primo atto, gli sono andata addosso ed ho fatto qualche danno. Al fondale, noad Oreste. Lui entra sempre dal fondo, lo preferisce alle quinte, non si fida: Non si sa mai chi c' dietro, dice. OrmOreste ha i colori delle scene, se non si muovesse in continuazione, potrebbe far parte del paesaggio.

    Abbiamo gli stessi orari e ci troviamo volentieri, parliamo poco, ognuno pensa ai fatti suoi. Riesce a darmi una graserenit. Se non lo trovassi qui, non potrei recitare.

    Mi viene incontro con un lume azzurro: Hanno portato questo. Dove lo metto?

    Dove vuoi. Non ho dormito stanotte. Sono stanchissima.

    Perch?

    Non lo so. Ho fatto brutti sogni.

    Perch?

    Perch li faccio sempre. Da bambina mi chiamavano 'brutti sogni'. Mi svegliavo ogni notte piangendo. Uno dei miincubi era che non diventavo mai grande.

    Perch?

    Perch, perch... Perch tutti crescevano, partivano ed io restavo l, sempre piccola nel corridoio, aspettando chsuonassero alla porta per andare ad aprire. Non stavo bene.

    Non possibile. I bambini sono sempre felici di essere bambini.

    Non vero. I bambini sono quasi sempre infelici. Eccetto quelli cretini. O no?

    Io da bambino mi ricordo solo tante mangiate. Dal latte di mia madre, ai fagioli da soldato. Io le posso raccontare tutla mia vita parlandole di quello che ho mangiato. Una cosa mi manca: l'aragosta. Ne ho sentito parlare, una l'ho ancvista, ma non so che sapore abbia.

    In Sicilia, quando ero piccola, mio padre portava spesso l'aragosta. Ha un bel colore.

    Oreste continua a trafficare con corde e quinte. Sento la sua voce, ma non so bene da dove venga. Ogni tanto entra scena, porta qualcosa e porta via qualcos'altro.

    Vuoi sapere com'era la mia casa l?

    Lui entra con una scala su cui sale per fissare una quinta: L dove?

    In Sicilia! Non stai attento.

    Sembra, perch lavoro. Ma le cose le sento.

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    Ti ho gi raccontato della casa a Messina?

    S. A Messina sono sbarcati gli americani. O gli inglesi?

    La nostra casa era in alto e si vedeva il porto. Era piuttosto grande. Stretta e lunga, con un corridoio che la attraversatutta. Sai cosa mi successo in quel corridoio?... Ma... mi senti?

    Oreste rientra portando una sedia, non per lui. La posa al centro della scena.

    S, la sento, un po', non tanto. Sento, anche se lavoro. Anche se non rispondo. Devo rispondere? Perch allora dev

    fermarmi. Non so fare due cose insieme. Lei vada avanti, io la sento.Allora: c' questo corridoio stretto e lungo, con porte a destra e a sinistra. Alcune sono chiuse a chiave, altre socchius

    e lasciano passare una spada di luce che finisce sul pavimento. In fondo c' una porta aperta. Anche da l viene un po' luce. Io sono piccola, ho quattro o cinque anni. Ho un grembiule celeste con un colletto bianco, pi corto del vestitinche ho sotto che di lana. Ho i calzini corti, uno andato sotto il tallone. Le scarpe sono nere, lucide, hanno il cinturinoil bottone a pallina. Ho i capelli tagliati all'altezza delle orecchie e una grande frangia. Sono con le spalle al muro, come qualcuno mi spingesse, non posso camminare. I battiti fortissimi del cuore mi rimbombano nelle orecchie. Sto tremandonon riesco n ad urlare, n a piangere. Dalla porta in fondo esce un braccio, quello di mio fratello Franco che poggia terra un mostro: un'enorme aragosta rossa e gialla con gli occhi in fuori. Ha il corpo di un grande ragno. Le chele muovono lentamente. Avanza dritta verso di me. Mio fratello rientra in cucina e richiude subito la porta.

    Non si sente pi un rumore. Forse sono usciti tutti dal balcone in giardino. Sento sbattere la finestra. In casa non c' p

    nessuno. Solo io e lei.

    Per raggiungere l'unica porta aperta in corridoio, devo andarle incontro, avvicinarmi. Non ce la faccio. Mi senpesante come una persona grande. Come devono essere pesanti i grandi. Di pi. come se qualcuno mi spingesse la tesverso i piedi e i piedi fossero inchiodati sul pavimento. Come se non avessi pi braccia.

    L'aragosta avanza, alternando quelle sue rosse zampe da ragno. Ha gli occhi fissi su di me, sembra che vengansempre pi fuori per vedermi meglio. Io vorrei entrare nel muro. sempre pi vicina, pi grande, pi rossa. Vorrei urlarperch qualcuno mi ascolti e la porti via, ma non possibile: non mi esce un filo di voce. Sono muta, schiacciata al murosento sempre pi forte il rumore delle chele che strisciano sul marmo. Mi chiudo gli occhi con le mani. Li riapro e lei si sguardando alle spalle, per avere l'approvazione del padrone, prima di mangiarmi. Lei ha un'anima, mi sembra quasi che dispiaccia sgranocchiarmi tutta. Comprese le scarpette nere nuove e il grembiule con i bottoni di madreperla.

    'Ti prego, non mangiarmi!' le dico tra i singhiozzi. Lei si ferma e viene presa dalle mani bianche con le unghie rosse mia madre. La riporta in cucina. Non ha nemmeno badato a me. Io sono scivolata pian piano in terra. Il pavimentofreddo, lo sento dove finiscono le mutandine. E piango senza accorgermene, perch mi sembra di ridere. Sto bene. Maddormento.

    La sera siamo tutti a tavola, non mi hanno mandato a letto: bisogna festeggiare. Arriva un grande piatto, lungo, bianccon sopra lei: l'aragosta. Capovolta come un grande ragno a pancia in su. Un occhio nel piatto da solo e mi guarda tristmi amico. Mi chiede qualcosa, ma non capisco.

    Non l'ho mangiata. N quella volta, n mai. Oreste?!... Oreste, hai sentito?

    Oreste risponde dopo un po' dalla galleria: Ho sentito.

    Da lass?

    S. Da qui si sente meglio. Mi sono goduto lo spettacolo.

    Non ci credo, sei andato in giro. Di cosa ho parlato?

    Fatti suoi, non mi ricordo. Ah, s, l'aragosta... non la digerisce.

    Non ti racconter pi niente.

    Meglio! C' una persona che aspetta. La mando via, cos dorme?

    Chi ?

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    Una giornalista. Dice che ha un appuntamento.

    Dille che sto provando... no... falla entrare, forse star pi attenta di te.

    Be', quello il mestiere suo.

    Oreste scende in platea e torna con la giornalista che si guarda intorno, come se cercasse degli indizi. Viene avansicura. Ha l'aria di qualcuno che non andr via a mani vuote e non le baster il cadavere, vorr anche l'assassino, e subitAnche perch dopo ha un'altra intervista.

    Le vado incontro: Mi scusi, ma purtroppo ho poco tempo da darle... come le avevo detto per telefono. Non sto benedomani ho la prima.

    Mi dispiace! Ma eravamo d'accordo con il suo ufficio stampa. Sono venuta da Parigi per lei. Non posso rimandanemmeno di un minuto.

    Ecco. che io non so se sar in grado.

    Lo sar certamente.

    Capisco... da dove comincia l'operazione?

    Dall'infanzia. Lei ha sempre evitato di parlarne. Perch? Ci deve essere qualcosa di...

    Mostruoso?

    Me lo dir lei.

    Venga, sediamoci qui. Sa che in questo momento io vorrei corromperla? Con soldi... proposte di lavoro. Unsceneggiatura ad esempio. Le interesserebbe? Le presto la mia casa al mare. Tutto, pur di non parlare. Non sto benGliel'ho gi detto?

    S.

    Ecco vede? Non ricordo pi niente! Ho una gran confusione in testa. Di fatti, parole, persone.

    Metter in ordine io.

    questo che mi fa pi paura. Non potremmo parlare solo del mio lavoro?

    Quello si vede.

    Di cosa mi piace? Dei vestiti che indosso?

    No. Lei piuttosto elegante.

    Il 'piuttosto' lo ritengo un complimento, perch non so chi ha detto che l'eleganza qualcosa che riguarda i sarti ecalzolai.

    Come ha cominciato?

    Cominciato cosa?

    Quello che vuole. Preferisce andare a ruota libera?

    S, grazie. Ma, nel tentativo di essere pi chiara possibile, mi ripeter spesso.

    Non importa.

    In questo momento ricordo solo i particolari, cio parler del superfluo e nasconder il necessario.

    Pi mi parla e pi penso che lei sia proprio il boccone del prete.

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    un insulto?

    No. Una leccornia.

    quando si pulisce il piatto? Mi creda, senza scherzare pi, oggi una brutta giornata. Sento di sbagliare tuttVediamoci tra qualche giorno.

    Lei nello stato d'animo ideale: domani ha la prima.

    ... E non ancora chiaro per me cosa sto a fare qui. Sono certa di aver dimenticato tutta la mia parte.

    Credo succeda sempre.

    S, ma questa volta non ho dimenticato solo il personaggio, ma anche l'interprete. Mi sfugge tutto, anche se mi sencircondata da un reggimento di granatieri che dovrebbero darmi sicurezza, ma non so se stanno qui per difendermi o puccidermi. Non l'ho ancora capito.

    Voi attori non smettete mai di recitare.

    Questa l'ho gi sentita... mi scusi... vede? Rispondo male.

    E questo mi serve.

    Per lapidarmi?L'esagerazione la sua fuga?

    No, la mia protezione. La mia difesa. Ho bisogno di esagerare, almeno un po'.

    Cosa vorrebbe adesso?

    Vorrei solo evitare di passare in mezzo agli alberi e non vedere la foresta.

    Bella frase! La giornalista continua a scrivere.

    Non la scriva, non so pi se mia o se l'ho letta da qualche parte. Io vivo di parole altrui.

    Mi va bene lo stesso. La prego, mi parli di lei, ne ha sempre parlato poco.

    Se diventa gentile io mi indebolisco. Sono pronta a darle dei soldi, anche molti e subito, se lei rimanda quesintervista. Vediamoci domani, la prego!

    Mi dispiace. Se domani sera avr successo, sar soddisfatta e addio emozioni! Anzi, addio tutto!

    Lei preferirebbe un insuccesso?

    No, per carit! Ma cos che mi serve.

    che io non vorrei approfondire la verit proprio in questo momento. Qualunque cosa non vera, ora mi sta bene, mtranquillizza. Se lei va via, tengo a battesimo suo figlio. Sono molto richiesta per questo tipo di prestazioni.

    Non ho figli.

    Neanch'io.

    ... Senta... facciamo un patto, lei non mi far domande ed io andr a ruota libera. Poi metter a posto le cose comvuole.

    D'accordo.

    Posso stare di spalle? Se la guardo mi distraggo, mi incuriosiscono il colore della sua giacca, delle sue scarpe. proposito, dove le ha comprate?

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    Non ricordo.

    Vede, lei non mi confessa niente ed io dovrei aprirle armadi, forzieri, cassetti murati... perch?

    il suo ruolo. Gliel'ho gi detto.

    Da dove comincio? E se poi mi metto a piangere?

    Far finta di non accorgermene. Mi metto di spalle anch'io.

    Prendo un grande respiro, guardo in alto dove ci sono le corde dei fondali, giro la sedia e volto le spalle alla giornalistaCominciamo proprio dal primo ricordo che ha della sua vita.

    Da piccola mi chiamavano Sette Sottane, perch in Sicilia, dove vivevamo noi, non c'era il riscaldamento d'invernomia madre mi copriva di maglie, magliette, sottanine, vestitini e grembiulini. Non mi davano noia, anzi, ne ero orgogliosaquando veniva qualcuno a trovarci, dicevo: 'Vede, io ho sette sottane: una, due, tre, quattro...' mia madre non mi facevmai arrivare alla settima perch diceva che era una vergogna tirarsi su le gonnelline.

    Sua madre morta?

    S, ma di questo preferirei parlare un'altra volta.

    Mi parli di sua madre come vuole.Profumava di cannella. Aveva la pelle rosa, sottile e trasparente. Si intravedevano i celesti pallidi delle vene. D

    giovane aveva i capelli rossi e gli occhi verdi. Era innamorata pazza di mio padre, che l'amava in un modo che io non hmai capito. L'ha tradita, offesa, trascurata, umiliata. Eppure sono stati sempre insieme. Da quando morta, mio padre pardi lei e del loro rapporto come se io non fossi stata presente. Lo racconta come forse lo avrebbe voluto. Anche lei parlavdi lui come lo avrebbe voluto, dimenticando tutte le offese. La sentivo chiacchierare con le amiche raccontando la sua vicon lui, la nostra con lei, piena di dettagli, di particolari sconosciuti. Niente aveva a che fare con la realt, nemmeno colore degli occhi e dei capelli dei miei fratelli o i miei. Raccontava una vita che noi non avevamo vissuto, specialmennelle piccole cose.

    Com'era fisicamente?

    Bellissima. A me diceva che da giovane, quando aveva incontrato mio padre, aveva gli occhi verdi. Invecchianderano diventati grigi pallidi, umidi di leggere lacrime che spuntavano quasi per tutto: se rideva, se era felice, se era infelicse leggeva una lettera, se guardava la televisione. Specialmente il telegiornale la faceva piangere. Ma non con i singhiozzLe lacrime le venivano gi senza volere, senza che se ne accorgesse. Era il suo modo di partecipare agli avvenimenti, il sumodo di ascoltare. Poteva anche improvvisamente ridere a crepapelle, mentre piangeva. Bastava raccontarle qualcosa non doloroso, di diverso: il modo di parlare o di muoversi di una sua amica, ricordarle un avvenimento ridicolo. Ridevsenza potersi trattenere, ma sempre con una grazia innata.

    Parlavate spesso?

    No. Mi ha nascosto tutto. Mi ha mentito. Mi ha terrorizzata. Mi ha sempre ripetuto che gli uomini sono dei mostri senpiet, l'amicizia non esiste, la libert un'utopia, la giustizia impossibile. Eppure era una romantica e odorava di cannellQuando posavo il naso sul suo viso o su un braccio venato d'azzurro, mi sembrava di stare dentro il forno di un

    pasticceria, cosparso di petali di rose. Cantava le opere mentre metteva a posto la casa, e: '... Un bel d vedremo levarsi ufil di fumo...' era il suo pezzo preferito quando lavava i piatti o cucinava. Le scendevano le lacrime a fiumi.

    E con suo padre...?

    Del rapporto con mio padre mi parlava solo di quando la corteggiava, l'aspettava a lungo e le portava dei fiori.

    Ero veramente molto piccola, forse cinque o sei anni, e non so per quale motivo una volta ho dormito in mezzo a lornel letto grande. Per me il 'letto grande' era come la terra promessa. Ero l forse perch avevo fatto i soliti brutti sogni.

    Mi chiamavano anche 'brutti sogni', perch avevo, ed ho sempre, degli orribili incubi. Ancora oggi non so bene scerte cose della mia primissima infanzia, che ricordo con chiarezza e con orrore, sono vere o sono brutti sogni.

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    Insomma, ero tra loro e devo aver ascoltato e capito qualcosa che mi ha molto spaventato, facevo finta di dormirRicordo l'odore di cannella di mia madre e l'odore duro di mio padre. Forse si sono detti delle cose atroci. Forse mia madaveva scoperto uno dei tanti tradimenti. Lui si addormentato appena ha finito di parlare, forse parlando. Mia madre pianto tutta la notte. Io cercavo di non respirare per non far sentire che avevo capito e che non dormivo.

    La disperazione di mia madre era cos totale, che le sue parole non erano dette fino in fondo. Erano mangiate dallacrime. Io spingevo la bocca sul cuscino per non far sentire i singhiozzi. Mi sembrava cos disperato quel letto, cos somia madre, che, forse, ho pensato l che non mi sarei mai sposata.

    Eppure, prima di dormire, ancora oggi mi tornano in mente la lunga spiaggia bianca di Messina, completamente vuot

    le ondine dolci che lasciano il segno sulla riva e l'unico ombrellone, dove mia madre vestita di bianco, con un grandleggero cappello di paglia, si riparava dal sole. E la sua voce sottile ed alta che chiamava disperata: 'Giorgio! Giorgio!'

    Chi Giorgio?

    Mio fratello.

    Com'era questo fratello?

    Giorgio ha conquistato la sua libert appena nato. Quando io avevo sei anni e lui nove, era gi un uomo libero. Iinvece, dovevo stare sempre all'ombra, cio: devo ancora stare sempre all'ombra perch la mia pelle bianchissimapurtroppo delicatissima, mi ustiono e mi riempio di lentiggini. Non solo per questo non potevo mai allontanarmi da mmadre, ma anche perch ero una 'femminuccia'. Che parola pesante! Non dovevo giocare con i maschi e nemmeno con

    femmine. Non dovevo giocare, non dovevo parlare o ascoltare, n capire, n giudicare. Non dovevo e basta.

    Io, comunque, seguivo sempre Giorgio e lo imitavo, rischiando la morte. Lui si buttava gi da un muretto e poi correfelice, io mi buttavo dietro di lui e mi rompevo tutta. Lui si arrampicava sempre sugli alberi, quelli tipici delle strade delSicilia, con le arance, protetti da un cancelletto fatto di aste di ferro che finiscono a punta come delle lance. Ecco, su quel Giorgio si arrampicava per prendere le arance ed io dietro, mi arrampicavo anche se per me era l'Everest. Un giorno sonrimasta appesa ad una lancia, con il braccio che avevo teso per prendere un frutto. Vede, ho ancora la cicatrice. Non brutta, come la ferita in un duello. Ne sono quasi orgogliosa. Solo che non si rimarginava mai e fu un motivo in pi ptenermi incatenata sotto l'ombrellone accanto a mia madre. Che odorava s di cannella, ma che non mi lasciava mscappare.

    Questa notte ho sognato la spiaggia, l'ombrellone con mia madre che chiama: 'Giorgiooo! Giorgiooo!' La spiaggia evuota e lunghissima, poi ombrellone, mamma, secchiello, tutto si allontanato, diventando piccolo piccolo. Come in ubinocolo a rovescio. Restavano forti i rumori, i colori, ma le cose perdevano peso, l'ombrellone volava, come in tuttisogni. 'Giorgiooo! Giorgiooo!' La voce di mia madre era l'unica cosa reale e rimbalzava sul mare, sulle onde piccolelisce.

    Le piace molto il mare, vero?

    Io volevo essere un marinaio che affrontava l'oceano, un esploratore all'Antartide. Un cacciatore... no! Un osservatonella savana. Invece non mi piace viaggiare, forse mi fa solo paura. I viaggi in mare, per me, non dovrebbero superareventi minuti, la montagna troppo silenziosa: il vento racconta storie paurose. Si parte da un posto ed in fretta si arriva un altro. Io invece vorrei vedere sempre cosa c' tra un posto e l'altro. Forse quello spazio pu essere il viaggio.

    Ritorniamo ai primi anni. In Sicilia.

    Quando la guerra scoppiata, si supponeva, giustamente, che gli americani sbarcassero proprio in Sicilia, cos mpadre decise di portarci a Napoli, poi, quando anche Napoli non fu pi sicura, tornammo a Roma, la nostra citt. Io avevotto anni, ma ero gi innamorata pazza di un bambino biondo di nove. La notizia della partenza mi sconvolse. Capii subiche la guerra era una brutta cosa: obbligava le persone a fare ci che non volevano, a scappare, a nascondersi,combattere. Vedevo i grandi parlare in fretta, con la voce troppo bassa, come per dire cose inconfessabili, poi urlarimprovvisamente, come per una rivolta generale.

    Bagagli pronti, bisognava imbarcarsi.

    Io ero stata portata l a dieci mesi e volevo sapere se dove dovevamo andare c'era il mare. Nessuno aveva tempo prispondermi.

    Prima di partire sono salita in terrazza, sapevo che avrei trovato il bambino che mi aspettava vicino alla fontana. C

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    siamo stretti le mani nell'acqua dicendo che non ci saremmo pi dimenticati, che da grandi, quando fosse finita la guerra, saremmo rivisti.

    Chiss dov' ora e chi .

    Non si ricorda una ribellione da parte di sua madre?

    Mia madre, quando proprio non ce la faceva pi, quando avrebbe dovuto urlare contro di lui e andarsene, quando occhi le diventavano ancora pi pallidi e acquosi, quando era veramente disperata, apriva il primo cassetto del com, tirafuori tutto quello che c'era dentro, fazzoletti, calze, camicie, e lo distribuiva sul letto, come se avesse voluto analizzar

    scoprire ancora le ultime ragioni per andarsene o per restare.

    Ecco, mentre era l a cercare le prove della sua vita, si distraeva subito ritrovando un oggetto sparito da tempo, caveva tanto cercato, e le passava tutto. Lo guardava con amore, come se fosse la soluzione dei suoi problemi. Lo carezzacon gli occhi e gli era grata di essersi lasciato trovare. Guardava gli oggetti con affetto e rimetteva tutto in ordine, dentro primo cassetto del com. Si chiudeva la porta della camera da letto alle spalle e tornava da noi con l'espressione di chi detto le sue ragioni ed ha vinto.

    Amava molto le sue amiche e raccontava loro storie non vere. Almeno credo! Perch erano tutte bellissime e invece lera infelice, di una infelicit totale. Si vedeva anche dalle mani, erano tormentate, ossute, come di qualcuno che ha strettopugni troppe volte, che non ha tirato cazzotti alle persone, ma ai muri s.

    Per Natale avrei dovuto regalarle dei guantoni da boxe, cos poteva tirare un po' di pugni, poi toglierli, riprendere

    ricamo e continuare a fare l'orlo a giorno.

    Non ho mai imparato l'orlo a giorno, mi ci hanno costretto per mesi, forse per anni, ma contare quei fili, passarci sotl'ago, mi faceva impazzire, non capivo il perch. Ma lo dovevo fare, perch ero una... 'femminuccia'.

    Un silenzio, che in un teatro vuoto pi pesante che in qualunque altro posto. Lei guarda il suo foglio, io guardo lespero che mi dica: Basta cos. Sono stanchissima. Dover raccontare la propria vita non vero che faccia bene perch, stata faticosa o dolorosa, rivivendola non possibile non soffrire. Se stata bella, ti prende una tale malinconia... nosolo perch ne gi passata una parte, ma anche perch ti aspetti che cambi.

    E se io ora le do due schiaffi, lei si arrabbia e se ne va? E se invece me li rid? Sono molto stanca. Mi viene da pianger

    Lei sta piangendo, dovrei far finta di non accorgermene?

    Neanch'io me ne sono accorta, come succede ai vecchi. Sono le libert degli occhi, che vedono, trattengono e pquando meno te lo aspetti, si lasciano andare. Mi pu accadere quando sono molto felice, quando sono infelice, pemozioni, per un ricordo, per solitudine, per disperazione e specialmente: senza motivo.

    molto distratta, vero? Ha attenzione per quello che ha intorno?

    L'attenzione? Vorrei averne molta di pi. Tutto ha bisogno di attenzione, di sguardi affettuosi, di fiducia. Mia madrfaceva le torte con molta attenzione ed erano bellissime. Erano semplici, mai ricami di creme o panna o ciliegine. Erantorte serie, grasse, paffute e rosa. Quando ne tagliavo una fetta ero soddisfatta di mangiare una cosa ben riuscita. S, sonmolto distratta. Molto.

    Posso chiederle perch poco fa piangeva?

    la stanchezza, oppure... la speranza che qualcuno capisca, senza dover spiegare, parlare. anche un riposo. Quellacrime che a volte mi vengono gi senza singhiozzi per un pensiero improvviso mentre lavoro o cammino da sola sonuna compagnia, una consolazione. come l'allenamento per uno sportivo, se lo fai tutti i giorni, mattina e sera, qualchmuscolo, non so quale, si rinforza. Spero! O no?

    E il pianto degli altri?

    Ne ho un gran rispetto. Se posso fare qualcosa... se no, mi allontano. come stare a guardare qualcuno che si spoglia

    E quello dei vecchi?

    Il pianto dei vecchi non debolezza, impotenza, delusione, tradimento. Si sentono traditi da tutti, da loro stessi

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    dagli altri, promesse non mantenute, speranze deluse, la paura di scoprire che tutto stato inutile, che stato un tranelluna truffa. Che qualcuno ha barato e loro in quel momento erano distratti. E forse, anche per non aver capito in tempcome si doveva giocare, cosa evitare. Per il tradimento del proprio corpo. Per aver aspettato inutilmente. Per non aver fatin tempo ad aprire quella porta, a chiuderla. Guardano la casa, gli oggetti, i figli, i nipoti e vorrebbero sapere se va becos. La paura di aver dimenticato qualcosa di essenziale, non averlo fatto, non averlo visto, non averlo detto. La paura essere in ritardo all'appuntamento, arrivare l e trovare che sono gi tutti andati via. E quando succede qualcosa, essere gultimi a saperlo. Quando gi tutto deciso, escludendoli anche dalla scoperta e dalla decisione.

    C' un tradimento per tutti, giovani e vecchi. Un tradimento al quale non abbiamo pensato e dal quale non ci siamdifesi. L'impotenza di fronte alla violenza cieca delle cose, che avvengono senza preavviso, che hanno una vita loro, u

    loro percorso, senza tenerti al corrente di nulla. I vecchi lo sanno che stato un inganno e raccontano le fiabe ai bambiper mettere, finch possibile, uno spazio tra loro e la realt che li aspetta. Ma la loro mente cos disperata e coscientche le fiabe sono pi atroci della realt.

    Le fiabe sono state inventate da qualcuno la cui vita era cos brutta da sognare che un lupo fosse sempre pronto nletto della nonna, furbo e truccato per mangiarsi Cappuccetto Rosso. Se qualche favola finisce bene, stato sicuramenl'editore a cambiarla all'ultimo momento, per venderla meglio. Quando me le raccontavano io non dormivo tutta la nottspaventata, e solo dopo un bel pianto, crollavo nel sonno.

    Insomma, non si molto divertita da piccola.

    Gliel'ho gi detto, stato il periodo pi difficile della mia vita. Come penso lo sia per la maggior parte dei bambini.mio modo di sfuggire ad una realt che mi faceva paura e alle favole, che mi facevano ancora pi paura, stato quello fingere da subito di essere un'altra. Ma non giocando alle signore, o con le bambole, o al negozio, ma soltanto ad esseun'altra.

    Andiamo avanti? Anche perch lei tra qualche giorno non continuer certo questa intervista.

    Perch?

    Perch... gliel'ho gi detto... non avr pi questo stato d'animo. Ora tutto in ballo, non sa come andr lo spettacolo...meglio oggi.

    senza piet. Per, per qualche ragione che non so, anch'io vorrei continuare. Vorrei vuotare il sacco e sentirmi pileggera.

    Recitare un gran riposo. La paura della prima, almeno per me, non , o forse non soltanto, la paura di non farcela, di dimenticare tutto, ma soprattutto la paura di perdere lo 'stato d'animo'. Per recitare bene, cio per sentirmi a mio agiio ho bisogno di incoscienza, di spudoratezza, di libert. Recitare bene, o almeno sentire di potercela fare, quando ti senfinalmente lontano da tutti, cio dalla tua vita. Che riposo avere a che fare soltanto con drammi e risate altrui, che finirannsicuramente dopo due ore. Un termine una sicurezza. In due ore, tutti quei fatti saranno risolti come vuole l'autore. E va bene, ti applaudono. Poi, tu lasci l quei fatti, quelle risate o quelle disperazioni e te ne torni a casa tua. Sperando chanche i tuoi problemi abbiano trovato, nel frattempo, per mano di qualche altro autore una soluzione.

    Ho visto le prove. Alla fine del primo tempo lei rester imprigionata, durante tutto l'entracte. Ferma e legata a siparaperto. Non pensa di mettere a disagio la gente? Esiteranno ad alzarsi per andare a prendere il caff, per non lasciarla solaimmobile al centro del palcoscenico.

    nel copione. Forse l'autore l'ha pensato anche per evitare che il caff o la chiacchierata allontanino troppo spettatore da quello che gli sta raccontando. Io resto imprigionata dalla storia del mio personaggio.

    E per la memoria, come fa un attore?

    Sa, io non ho memoria nella vita e in teatro, invece, molto raro che mi distragga. Credo sempre alla storia che sraccontando.

    Quando ha cominciato a pensare di recitare?

    Il mio primo spettacolo l'ho fatto tra la finestra e la tenda della stanza dei ragazzi. Giorgio era fuori dalla tenda-sipariospiegava all'illustrissimo pubblico, fatto di sei o sette bambini della nostra et, seduti per terra e molto attenti, che avrebbeassistito ad uno spettacolo mai visto... eccetera. Poi tirava il cordone della tenda ed io recitavo poesie vere o inventa

    senza mai la rima e cantavo con una voce, quasi come quella che ho oggi, cio da marinaio ubriaco nella taverna del port

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    Comunque, le mie canzoni erano cos appassionate, cio io mi lasciavo trascinare talmente dalle parole, che piangevo se canzone era triste, e ridevo fino a mancarmi il respiro, se si trattava di una storia allegra.

    Non mi ricordo se io personalmente avevo successo. Giorgio, pi grande di me di tre anni, riusciva a cattural'attenzione del pubblico facendo i pupazzi con le facce disegnate sul dorso delle mani. Gli metteva un fazzoletto intornosembravano contadine. Ma lui le faceva passare per assassini, graziose donzelle, o aitanti cavalieri. S, avevamo successinsieme, e lui riusciva, non so come, a farsi anche pagare.

    Lo stesso spettacolo lo abbiamo portato in cantina a Napoli, durante i bombardamenti degli inglesi. Io non vedevo l'oche suonasse l'allarme di notte, per andare in cantina a fare spettacolo.

    Giorgio sapeva fare proprio bene l'impresario e fiutava l'affare da lontano, cos, quando io a quindici anni fui travoldalla passione di recitare, mi aiut. No, prima di Giorgio mi aiut Elvira. Abitava al piano di sopra, era colta, intelligentefaceva la hostess sugli aerei che andavano in America. Da me era considerata una donna-uccello, libera, felice indipendente. L'aspettavo per le scale per vederla passare vestita d'azzurro con i bottoni d'oro e il cappello.

    Mi trov un giorno all'ultimo piano che piangevo. Mi chiese perch e cosa avrei voluto fare, le dissi che volevo recitae basta.

    Dopo qualche tempo, inventando una scusa piena di fantasia e sicurezza, convinse mia madre a farmi uscire con lMi port in un elegante salotto, dove dei ragazzi, tutti molto pi grandi di me, leggevano una commedia: La nemica Niccodemi.

    Partire con una barca a vela per il giro del mondo, volare con delle ali vere, non mi avrebbero dato l'emozione di qupiccolo salotto, dove tutti facevano finta di essere un altro.

    Per gentilezza, o forse per la mia faccia incantata, il regista, un ragazzo di vent'anni, mi chiese se volevo leggere coloro il ruolo della figlia. Quando tutta la commedia fu letta, mi dissero che andavo bene e che avrei avuto la parte. Spiegloro che non potevo muovermi da casa per nessun motivo e che, se avessi potuto, non avrei mai voluto fare la figlia, ma madre: la nemica. Mi guardarono incuriositi. Non so perch, ma lui, il giovane regista, me la lasci leggere. Forse gfacevo pena. Alla fine avevano tutti gli occhi lucidi, meno il ragazzo-regista che mi guardava sbalordito: 'Puoi provare pqualche settimana?' 'No, ma se mi date la commedia, la studier da sola, verr il giorno del debutto e la reciter.' 'Senzprove?' 'Non posso uscire. Verr a teatro.' Il ragazzo aveva un'espressione tra la curiosit e la paura, ma mi osservavsenza mai spostare lo sguardo. Lo pregai ancora di farmi fare la madre e gli giurai che sarei stata puntuale. Mi disse di srestando ancora un po' a guardarmi. Andai via di corsa. Studiai nel bagno, di notte, per le scale. Dovunque potessi stare d

    sola. Convinsi Giorgio ad aiutarmi. Io dovevo andare in quel piccolo teatro a qualunque costo.Il giorno del debutto, a tavola non mi ricordo se mangiai o no dall'emozione, ma sicuramente divorai tutto, perc

    quando sono felice mangio molto, quando sono infelice mangio moltissimo, quando sono disperata ed emozionadivorerei anche le sedie.

    Giorgio mi fece un cenno e, approfittando del fatto che mia madre era in cucina e mio padre parlava con Franco, l'altmio fratello, mi abbassai e arrivai alla porta. Scendemmo le scale di corsa, eravamo veramente in ritardo; io dovevmettermi una parrucca bianca da anziana aristocratica signora e un vestito d'epoca.

    La strada era vuota, era un giorno di festa. Cominciai a correre, Giorgio vide una carrozza, la ferm e partimmo galoppo: 'Ma come la paghiamo?' e lui: 'Non ti preoccupare, una grande attrice arriva a teatro in carrozza'.

    Io avevo il cuore in gola e non capivo pi niente. Entrai in scena con parrucca, vestito d'epoca e un fiatone chcontrollavo a fatica.

    La nemica una vecchia commedia di Niccodemi che tratta il dramma degli affetti familiari: un'anziana signora un'aristocratica famiglia ha i suoi due figli in guerra, un ufficiale ha il compito di annunciarle la morte di uno dei due. Lbattuta chiave del dramma : 'Quale?' Lo era anche per me.

    Fu un grande successo, ricordo tanti applausi, e tanti fiori. Usc anche un bell'articolo suLa fiera letterariache parladi me da farmi arrossire.

    E in casa come and?

    Un disastro. Non mi fecero pi uscire.

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    Perch?

    In casa mia gli uomini avevano tutti i diritti e le donne nessuno. La frase ricorrente di mio padre era: 'Le donndovrebbero fare i figli e poi morire'; cos a casa io ero esclusivamente addetta ai lavori domestici, che mi hanno sempannoiato mortalmente. Dovevo lavare le lenzuola grandi, ero magrissima e con le mani piene di geloni. Tirare su dalvasca un lenzuolo grande, zuppo d'acqua, sicuramente una fatica che avrebbe fatto gola a Ercole. La schiumetta gialche la soda fa sulle ferite dei geloni brucia anche se ha un bel colore. Io aspettavo la primavera come una medicina.

    Quanto tempo pu ancora darmi?

    Finch mi chiamano, o finch ce la faccio. curioso, mi sembra d'essere un po' pi forte ora con lei. Eppure, io nosono felice di svuotare i miei sacchi. Me li porto sempre dietro e sono pesanti.

    E la memoria?

    Ho memoria di avere dei sacchi sulle spalle, ma non so bene cosa ci sia dentro. Come quando faccio la valigia, dopuna lunghissima scelta, lascio il necessario e porto via il superfluo.

    Lo dimentica?

    No, non so mai cosa possa servirmi in un posto dove sono gi stata o dove non sono mai stata, che comunqucambier il mio stato d'animo o i miei desideri. Allora cerco quello che non ho mai messo e che, ovviamente, non mettenemmeno in quel viaggio.

    La scelta, l'abbandono delle cose che vedo tutti i giorni, le novit, mi angosciano. Anche il pi piccolo viaggio utrauma per me. Ne abbiamo gi parlato? Io ritorno sempre sugli stessi argomenti, mi scusi, poi lei sceglier. Il guaio cla sua scelta dipender dall'idea che lei, alla fine dell'intervista, si sar fatta di me. Non da quello che ho detto. Ricorderforse, che mi mangio le unghie, che non so stare ferma. Ho paura degli sguardi e dei giudizi.

    Eppure fa l'attrice.

    'Eppure, Cesare un uomo d'onore!' Come potrei andare avanti se non fossi aiutata dalle contraddizioni? Mequilibrano.

    Torniamo alla memoria; se lei non l'avesse, questa intervista non sarebbe andata avanti.

    Ma io le parlo di stati d'animo, i fatti sono secondari, sono il sipario. L'emozione dietro.

    Riesce a dividere spettacolo e vita?

    Certo! E la vita ha il primo posto, anche se non volessi. E poi, l'una alimenta l'altro. Per sarebbe bello sceglierquando vivere e quando recitare.

    Che cos' per lei il teatro?

    la fuga, la libert. il riposo, il gioco. Forse perch non un posto che riguarda i problemi quotidiani della vita, md sicurezza, esiste solo se si costruisce una finzione. un luogo provvisorio: chi in platea passeggero per qualche orchi in palcoscenico finge di essere un altro, in un altro posto.

    E il palcoscenico prima della rappresentazione? in attesa, ha corde, scale, qualche sedia, porte finte o quasi vere. la mia casa. in silenzio per la maggior parte d

    tempo. La quarta parete, quella che non c', la pi resistente. Con tanta gente che vorrebbe entrare. Pi che una pareteuna grande finestra, e il paesaggio cambia ogni giorno.

    E le scene?

    Sono i vestiti del teatro. Come i costumi per un attore.

    E gli oggetti di scena?

    Anche gli oggetti, a volte, non hanno la loro forma regolare o il loro peso giusto, dipende a che cosa servono, co

  • 7/21/2019 Vitti Monica Sette Sottane

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    fingono di essere. Gli specchi non riflettono, le scale non salgono, la luna pu essere di pezza, dipinta, attaccata ad un filI cassetti non si aprono, a meno che il copione non lo esiga, per trovarvi un segreto. Le porte sembrano proprio vere, anchquelle inchiodate o dipinte.

    Si sente a suo agio qui, vero?

    S, qui dentro mi sento tranquilla, gliel'ho detto, difesa, niente definitivo, tutto precario. Volendo, si pu cambiaanche il finale. E poi c' la possibilit della prova, ci si pu fermare, ripetere, riprovare, ricominciare fino a trovaun'armonia. Solo qui si pu fare. S, qui sto bene.

    Ha risposto a molte domande?

    Eh, s. Certo, io non volevo altro che rispondere, ne avrei volute anche di pi di domande, ma all'inizio, quandnessuno me le faceva. Invece le domande sono aumentate con gli anni, come se, invece di aver spiegato e raccontatlavorando, con i miei personaggi, con le scelte, con la mia vita, io avessi sempre mentito. Mi guardano con molta simpatima con un occhio insoddisfatto, scrutatore, tra la diffidenza e la curiosit. Come se nascondessi dei segreti inconfessabiCome se le risposte che ho dato fino ad oggi fossero una rappresentazione. Si aspettano dei grandi segreti da me, mguardano con un leggero sorriso, come per dire: 'Adesso basta, su, parla, vuota il sacco'.

    Gliela faccio anch'io questa domanda.

    Sono lusingata, grazie. S, segreti ne ho che farebbero leccare i baffi. Mi sono stati tesi anche dei tranelli, dei ricatti, pfarmi mollare i miei segreti, ma ho resistito. Li tengo cos nascosti che qualche volta me li dimentico. Non li trovo pi.

    E un teatro vuoto?

    Un teatro vuoto non soffre di solitudine, gli sono rimasti suoni, parole, urla, pianti, movimenti. Le case, a volte, sonpi vuote dei teatri vuoti. Anche certe vetrine di negozi che non fanno affari hanno esposti oggetti disperati, che non sonpiaciuti, che chiedono aiuto, che ti seguirebbero come un cagnolino per sempre. Pronti anche ad essere rotti, tirati in testaqualcuno, pur di non restare in vetrina, ignorati e soli.

    E la solitudine?

    Di questo parliamo un altro giorno, o ne abbiamo gi parlato?

    Non mi pare. Parliamone adesso, invece.

    La solitudine si pu dividere, moltiplicare, sommare. Si pu desiderare come una conquista, una meta, un premiCome fonte di lavoro, di ispirazione, di concentrazione, di benessere.

    Ma mi pare di capire che lei non ama stare sola.

    Imparer. Imparer... con gli anni... chiss! Chiss se riuscir mai ad essere indipendente!

    Lei sente la solitudine?

    Certo, moltissimo.

    Ma non dovrebbe. sempre circondata da gente, per lavoro, per amicizia, per simpatia. Almeno questo si dice.

    Forse la solitudine non legata all'et, allo stato sociale, alle condizioni fisiche o psichiche, cio, non soltanto. uncondizione 'esistenziale', scusi la parola.

    Credo che sia uno dei grandi problemi della nostra epoca, nonostante la televisione. E lo sar sempre di pi.

    Forse stiamo costruendo un mondo di solitudini involontarie. Non potremmo parlare d'altro?

    Di sua madre?

    Non sto esagerando?

    No.

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    Mi domando se mio padre si mai accorto che mia madre profumava di cannella. Lui, che amava viaggiare, avrebbdovuto esplorare quel pianeta rosa che aveva per casa.

    Anch'io sto facendo un viaggio intorno a lei.

    La ringrazio. Non mi piace viaggiare da sola. Penso che la solitudine in compagnia o in famiglia sia ancora pi dudella solitudine da soli, perch non prevista e non si organizzati. Non si hanno difese.

    A volte i sentimenti non fanno che aumentare il senso di solitudine.

    E la solitudine dei bambini? Io ho visto certi occhi disperati. Anche se sono in braccio alla mamma, si guardanintorno cercando qualcos'altro. Anche le strade vuote sicuramente soffrono di solitudine. Sa che bisognerebbe parlare alpiante per farle crescere, per farle fiorire? Per farle germogliare prima? E che, per crescere meglio, un albero ha bisogno un altro albero accanto? E se uno dei due muore, muore anche l'altro?

    La solitudine dei cani, poi, straziante. Se sono abbandonati, si disperano a tal punto da lasciarsi morire. La capretta compagnia pi della mamma per il cavallo.

    Ha conosciuto i suoi nonni?

    Ho conosciuto una sola nonna, per poco tempo. La madre di mio padre. L'hanno portata in Sicilia per stare un po' conoi ed rimasta l fino alla sua morte. Forse un anno, forse meno. Era sempre su una poltrona, vestita di nero, capebianchi raccolti dietro. Non aveva un buon odore. Io mi rannicchiavo vicino a lei come un cagnolino, aspettando che m

    dicesse qualcosa, ma parlava poco e a fatica. Quando le chiedevo: 'Come stai, nonna?' o cose del genere che si domandaai nonni, lei mi rispondeva con dei proverbi, per esempio: 'Come don Falcuccio', che non so chi fosse, oppure: 'Nonna, chtempo far oggi?' e lei: 'Se il monte ha il cappello, o fa brutto o fa bello', 'Nonna, saliamo in terrazza per vedere il mare'Chi troppo in alto sale cade sovente, precipitevolissimevolmente'. Ma voleva andarci lo stesso, in terrazza, per stare sulsua poltrona. Stava seduta tra un lenzuolo e l'altro. Si faceva lasciare l per ore a guardare il mare, diceva che le onde lambivano l'anima.

    L'ho capito molto pi tardi, che la lambivano anche a me.

    Ecco, se mia nonna mi rispondeva a proverbi, mia madre rispondeva cantando. Io chiedevo inesorabilmente sempre stessa cosa a tutti: 'Andiamo in terrazza a vedere il mare?' e mia madre: 'Un bel d vedremo levarsi un fil di fumsull'estremo confin del mare e una nave bianca appare'... Era una bellissima risposta.

    Mia madre non rispondeva quasi mai alle mie domande, cio rispondeva solo a quelle pratiche. Io le chiedevo: 'Dovil latte?' e lei: 'In cucina'. In risposte del genere era precisa: indicava se un oggetto era nel primo o nel secondo cassetto,destra, a sinistra o in fondo. Per tutto il resto, un silenzio inquietante con me.

    In quella casa tutti mi nascondevano qualcosa. Quando entravo, o smettevano di parlare, o abbassavano talmente voce che io mi dovevo infilare tra una bocca ed un orecchio per beccare una parola, che per me acquistava subito usignificato affascinante, tra il libro giallo e la confessione. Loro si svelavano reciprocamente chi era l'assassino e novolevano dirmelo. Forse con la solita giustificazione che lo avrei capito da grande. Ma da grande quelle curiosit l non avevo pi, ne avevo altre. Crescendo ho capito che, certo, ci si deve difendere dall'assassino, ma specialmente dalvittima.

    E l'assassino c' ancora?

    L'assassino continua ad esserci, ma io faccio finta di non saperlo. Forse lui si stufer della mia mancanza di attenzione se ne andr.

    Ho ancora la sensazione che mi nascondano qualcosa, sia fatti che oggetti. Anche vestiti, biscotti, lettere e io passo giornate a cercarli.

    Con gli oggetti ho un rapporto misterioso, carnale e privato. cominciato, penso, dal ciucciotto. Devono avermedato per non farmi piangere o per distrarmi ed io mi ci sono subito affezionata. Devo averlo guardato, questo oggetmisterioso e sensuale, con cos tanta attenzione da storcere un po' l'occhio sinistro, leggermente: vede?

    Lo strabismo di Venere?

    Non credo sia la stessa cosa. Alcuni se ne accorgono, altri no.

  • 7/21/2019 Vitti Monica Sette Sottane

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    Gli occhi dovrebbero avere pi capacit visiva, pi movimento. L'ho pensato da subito, con quel ciucciotto in boccLui prendeva tutta la mia attenzione e le lacrime si fermavano sulle guance. Non andavano gi facilmente perch ho gzigomi alti.

    Quando piangevo molto, allora era una gran bevuta. Mi sembrava di parlare, di dire le mie ragioni urlando, ma non mstavano a sentire. Qualcuno diceva: 'Lasciala piangere, le si allargano i polmoni'. Era vero. Io non canto, ma recito e misicuramente molto servito per la respirazione profonda, che poi ho esercitato in Accademia nel Pianto di Ermengarda. Mveniva bene, per averlo molto provato.

    Ha il senso della propriet? Ha cassetti chiusi?

    Non ho cassetti chiusi, perdo tutto e dimentico molto. Una volta mi sono ritrovata seduta su una panchina di ugiardino pubblico, con un guinzaglio in mano, ho guardato il guinzaglio ed ho pensato che doveva essere stato al collo qualcuno. Il guinzaglio era logoro, dunque qualcuno che era stato con me a lungo: un cane o un gatto? Ho perso io lui? lui me? Era sicuramente un cane, il guinzaglio era grande. Ero smarrita, non ricordavo pi niente. Poi, con un grandsforzo di memoria, ho capito che avevo solo trovato un guinzaglio.

    Ho perso un sacco di cose strada facendo. Ma forse non mi erano affezionate, altrimenti non si sarebbero allontanacon tanta facilit. Ho perso anche le scarpe che avevo ai piedi. Chiss perch me le ero tolte! Sono distratta, vero, ma esicuramente uscita di casa con le scarpe, erano quelle rosse, con la punta di pitone, col tacco medio, un po' strette. Forper questo le ho perse, perch mi facevano male. Le ho tolte per un po', per riposarmi, poi qualcosa mi ha distratto e le hlasciate l. Era estate. Forse avevo caldo.

    Fino a che punto perde tutto?

    Fino a un punto patologico. Questa notte poi ho sognato di aver perso qualcosa e di aver passato tutto il tempocercarla.

    Era un regalo misterioso, che avevo trovato un giorno sul balcone, aprendo la finestra al mattino presto, quando ancosono disorientata e non vedo bene.

    Ma nel sogno ho esagerato. Ho perso una cosa a cui tenevo molto e cercavo qualcuno che mi aiutasse a ritrovarla.

    Era stata sempre accanto a me, sulla mia scrivania. Non era leggera, non poteva cadere da sola o volare. Forse potevessersi rotta e poi essere stata spazzata via. O forse mi era stata rubata. Ma da chi? E perch? Non serviva a niente enessuno. Era necessaria solo a me, senza di lei sentivo di non poter vivere, mi mancava la terra sotto i piedi. Avevo la net

    sensazione che se non si fosse trovata, non avrei potuto dormire. Non avrei saputo come guardare le cose.

    Forse erano gli occhiali?

    No, non erano gli occhiali, no, e neanche la borsa o una lettera. Era molto di pi. Tutti lo sapevano benissimo edanche per questo che mi stata rubata. Oppure qualcuno pu averla trovata e, non sapendo che farci, l'ha buttata dalfinestra. A quel punto sar difficile recuperarla. Chieder in giro se l'hanno vista. Se, attribuendole chiss quale valore, la sono messa in tasca. No, per carit! In tasca sta male. Soffoca in quell'imbuto! Ha bisogno di un posto lucido, illuminabene.

    Io la tenevo sempre davanti alla finestra. La luce la rendeva cangiante. Al tramonto era arancione, all'alba azzurra.

    Le notizie o il tempo cambiavano anche la sua forma. Se io piangevo, si rimpiccioliva, diventava quasi una goccia e rifletteva tutta la casa, in quella goccia. Ho sempre tentato di specchiarmici, ma si spostava in continuazione, forse pgiocare o per paura, oppure... non voleva che un'altra immagine si sovrapponesse alla sua. Quella sicurezza, quel sumodo di stare ferma sotto la luce, mi dava forza. Io credevo in lei, nella sua stabilit.

    A volte io non riesco pi a mangiare, ho paura di ingoiarla senza accorgermene.

    Chi sa a cosa si mescolata, e perch. Con la sua inutilit, mi faceva credere nelle cose.

    Pu mettere lei un annuncio sul giornale? Per farle sapere che l'aspetto, che, se vuole, pu gironzolare in tutta la casio andr in albergo. Ma sapere che qui, che io posso vederla, mi dar coraggio.

    Lei sta parlando al presente, ora.

  • 7/21/2019 Vitti Monica Sette Sottane

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    Non me ne sono accorta, sbaglio sempre i verbi.

    Non credo sia stato un errore.

    Lei molto dura con me. Un insieme tra insegnante e governante.

    Questa un'offesa.

    Mi scusi, non volevo. che troppo facile cambiarmi le carte in tavola. Io non vedo. Anzi, mi arrendo.

    Cancelli questa storia, ho paura dei giudizi, degli sguardi di chi legger delle cose cos intime.Ma a me interessano. Cos'altro ha perso?

    Cappelli ne ho persi tanti, occhiali, portafogli, borse. Ombrelli quasi tutti i giorni, quando piove e specialmente quandnon piove. Non so perch mi succeda. Forse voglio lasciare tracce o messaggi per essere ritrovata. Ma, se sono andati viquegli oggetti avevano sicuramente un motivo. Non ho mai avuto costanza nel cercarli, dopo un piccolo sguardo indietrfurtivo, garbato per non offenderli, ho proseguito.

    Ogni tanto penso a loro, alla loro temperatura, al loro colore, e sono sicura che stanno bene dove hanno scelto di starPer, ho anche degli oggetti affezionati, caparbi, di cui mi vorrei disfare, ma loro mi restano tutta la vita appiccicati senmotivo. E poi finisco per amarli. La quantit di quelli che perdo, rispetto a quelli che restano, grandissima.

    Una volta ne ho visto uno in una vetrina, uno sul bavero della giacca di una signora, uno in una vasca di pesci rossNon li ho mai rivoluti. Forse non erano miei.

    E quando si nascondono? Per mesi, per giorni, li vedo un attimo accanto a me sul tavolo, bene in vista, e pspariscono. un dispetto? Un gioco? Vogliono suscitare il mio interesse? Il mio amore?

    Avevo un quaderno dove avevo scritto il posto di ogni cosa, ma ho perso anche quello. Sono le cose che allontanano da me.

    Io mi affeziono a loro quasi subito, mi piacciono le materie, le temperature, il peso, le proporzioni. Non importa chsiano regali o no. Regali preziosi non ne ho mai avuti e per me non ne ho mai comprati. Ma mi innamoro pazzamente certe cose. Loro lo capiscono, non vogliono essere prigioniere e se ne vanno.

    Appena una cosa mi piace pi delle altre, la perdo. Se mi piace moltissimo, la perdo subito. Come una punizione. sempre stato cos?

    Credo di s. Qualche anno fa, avevo deciso di avere pochi oggetti, non preziosi, e regalarne molti cos qualunqperdita sarebbe stata superabile. Ma io purtroppo ho bisogno di toccarli e forse loro non sopportano di essere amati. Senche hanno una leggera ribellione verso di me. Un bisogno di libert. Si fanno rubare dal primo che capita, si nascondono luoghi misteriosi. Cos, per non restare sola troppo a lungo, mi compro oggetti di tutti i tipi.

    E dove li tiene?

    Vicini, finch possibile. Ora cerco di proteggerli, perch... qualche mese fa, in un momento di distrazione, dopo uperiodo che condensava molte feste, compreso il mio compleanno, in un giorno triste, di quelli in cui si vorrebbe essere u

    altro, chiunque esso sia, successo che cercando un libro, in biblioteca, nel piano pi alto che tocca il soffitto, mi sonarrampicata. Ero su una sedia. Non so perch avevo proprio bisogno di un libro cos in alto e...

    E?...

    Ho teso il braccio ed ho urtato un piccolo oggetto. Piccolo, ma pesante, evidentemente. Bene, questo piccolo oggetnon caduto allontanandosi dalla libreria, come forse sarebbe stato giusto, ma caparbiamente ha battuto su ogni scaffalCome un suicida, che voglia provare la morte ad ogni piano del palazzo prima di sfracellarsi a terra. In questo volo, hportato con s tutti quegli oggetti che erano sul bordo. Quasi ostacolassero la sua caduta. Ha trascinato al suolo due vaseliberty, una leggera bottiglia soffiata dell'Ottocento, un orologio di vetro antico, due conchiglie e un portavaso. Io hcercato di salvare in ogni modo i tre cavallini di alabastro nero, che erano al terzo o quarto ripiano. Erano cavallini in corscio, ognuno riproduceva un movimento del galoppo. Erano allegri, lucidi...

  • 7/21/2019 Vitti Monica Sette Sottane

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    Ero in punta di piedi, stavo per prenderli, ma erano in tre, ci volevano tre mani. Me ne sono accorta troppo tardi. Msono sfuggiti, come se non avessi presa con le dita. Ne ho afferrato uno... mi pare... ma avevo gi qualcos'altro in mano,sono caduti nei ripiani inferiori. Distruggendo nel volo tutto il resto.

    All'oca in poltrona si staccata la testa di netto. L'oca in poltrona era un'eccezionale sculturina di legno, con il corpo donna e la testa di oca, particolarmente simpatica, era un regalo e mi somigliava molto. Lo hanno sempre detto tutti. Avevun libro aperto e leggeva. Insomma, ho rotto tutto. Gli oggetti sono caduti accanto a me andando in frantumi. La mia testcio la testa dell'oca, rotolata lontano.

    Anche la poltrona su cui era seduta l'oca-io era identica a quella che abbiamo in salotto. E la posizione dei suoi piedi

    la mia posizione naturale. Vede? Anche adesso. Credo di tenerli cos, perch ho poco equilibrio. Mi sento pi sicura conpiedi in dentro. E questa fu una delle disperazioni di mia madre che, come lei sapr, si oppose con tutte le sue forze amia decisione di entrare all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica.

    Io, come succede a quell'et, dissi: 'O recito o mi uccido', lei cap che potevo farlo e, preoccupata per le umiliazioche avrei dato a lei e a tutta la famiglia, disse a Sergio Tofano: 'Almeno insegnatele a camminare!' Non ci sono riusciti.

    Io sono entrata in Accademia e loro sono partiti per l'America.

    Torniamo agli oggetti, per ora.

    S, mi hanno detto che sono io che li lascio cadere, non lo so. So soltanto che vedo troppo spesso oggetti rotti ai mipiedi. Forse non ho una buona presa, cio non ho forza nelle mani. Non sono mai stata possessiva. Preferisco che g

    oggetti mi scelgano, pi che sceglierli io. Prima di comprare una cosa, la tengo un po' in mano per capire se preferisce mo il negozio.

    Ho un grande rispetto per gli oggetti, perch chiss da quanto tempo vengono comprati, regalati, venduti, buttati dalfinestra, usati come arma in un litigio. Non abbiamo piet per loro.

    Si sono proprio rotti tutti quella volta?

    S. Dopo averli visti in pezzi, sparsi sul pavimento, mi sono guardata le mani come due nemiche. Me ne ero gi accorche non vogliono prendere pi niente, che diventano di marmo. sintomo di che cosa? Mah!

    Il mio corpo sta facendo un tragitto non in armonia con la mia mente. Se ne va per conto suo, non sembra mio.

    Gli occhi cambiano le cose che vedo, le deformano, qualche volta le tingono con colori volgari, pesanti. Poi, sbiadiscono improvvisamente.

    Sbiadiscono anche le persone, come in una nebbia. Restano solo dei colori, dei movimenti, dei suoni.

    La mente invece cavalca paesaggi bellissimi e solidi, materie precise, parole chiare.

    Io sono come... separata, e sto perdendo quel po' di collegamento, di equilibrio che ho cercato di mantenere, ritrovare. Mi gi successo, lo so, ma questo non mi serve a chiarire e non mi aiuta.

    'Hai le mani di ricotta', mi diceva mia madre. La cosa non mi offendeva, la ricotta mi piace moltissimo. Anche l'idea potermi mangiare le mani mi piaceva, anzi, mi piace ancora, le intingerei nel caff.

    Ha mai fatto bilanci?

    Io non posso fare bilanci, non so contare, calcolare.

    curiosa?

    S, per quasi tutto. per questo, forse, che non chiudo mai le porte, e tengo le finestre aperte. Devo vedere che cossuccede e poi ho bisogno di luce, di rumore, di gente.

    Lei ha interpretato, con i film di Antonioni, l'incomunicabilit. Che rapporto ha con questo stato d'animo?

    Di collaborazione. Incomunicabilit non vuol dire che non si vuole comunicare, ma soltanto che impossibile. uncondizione al di fuori della nostra volont. naturale come l'angoscia e la paura.

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    Ma lei non sembra 'incomunicabile'.

    Infatti, io comunicherei, anzi comunico moltissimo, ma questo non basta per capirsi.

    E la sua vita per strada?

    Quando per strada mi salutano, mi sorridono, io sono stupita e felice, li guardo in fretta, mi vergogno, e scappo via.

    Lei sembra ancora alla ricerca di tutto.

    S, di tutto quello che perdo. Ma quando cerco di scoprire i segreti di una cosa, scopro quelli di un'altra.Ha delle certezze?

    Nessuna. Ma vado avanti lo stesso, anche se devo prendere vicoli, strade buie, secondarie, tortuose. Torno indietro, spi attenta. Riguardo con occhio diverso ci che ho visto correndo, come faccio sempre, per paura che si chiuda la portper altre strade, piazze, persone. Tutto questo succede perch sono astigmatica. Ma sono anche miope e presbite.

    Forse, se avessi delle certezze, starei tranquillamente a guardare nel vuoto il tragitto di una certezza come una meteorForse, un interrogativo pi elastico, pi umano, mi piace di pi.

    Che cos' la pausa?

    Per un attore? In scena o fuori scena?In tutti e due i casi.

    Un riposo, un respiro, una riflessione, una boccata d'aria, uno sguardo dalla finestra. un gran lusso.

    Che cosa succede in quello spazio?

    Credo che nello spazio della pausa, il presuntuoso, il sicuro, sia felice e pensi a se stesso che fa la pausa. Si vedfermo, come possedesse un potere magnetico su chi lo ascolta, lo tiene in ansia, in aspettativa. Gli promette o gli supporre l'indicibile, lasciandolo arbitro di un piccolo spazio di vita.

    Io ne ho paura. Ho paura che possa succedere qualcosa di irreparabile durante quella pausa. In teatro, se tropplunga, il pubblico pu tornare ai suoi pensieri. E pu anche tornare a casa sua.

    Non resisto all'abbandono, ho paura che mi lascino sola con la mia bella pausa sulle ginocchia e non so che farci. vivo se mi rappresento. Se amo devo dirlo, anche spesso, se no, distratta come sono, posso anche dimenticarmene e amameno o non amare pi.

    Se tra amici racconto qualcosa, vado subito al sodo, perch ho paura che una piccola distrazione, un pasticcino o ubicchiere d'acqua possano portarmi via il mio ascoltatore. No, io l'interlocutore non lo posso perdere, perch solo qualcuno mi ascolta, o mi accanto, mi vengono mille desideri, cose da fare, programmi. Un individuo che pu stare soe guardare lontano a lungo o un artista o un idiota.

    Mi parli di suo fratello Giorgio.

    La capisco. Giorgio piace. sempre piaciuto. partito a diciotto anni per il Brasile, in cerca di fortuna. Sulla porta casa aveva giurato che mi avrebbe scritto sempre e poi l'avrei raggiunto. L, saremmo andati in barca a vela per giornaintere.

    Quando partito ho creduto di morire. Non scriveva mai, mi mandava per posta solo grandi rettangoli di cioccolatche per romperli ci voleva il martello. Io la divoravo tra le lacrime, con una voracit disperata, la finivo nel corridoio: tra porta di casa e la cucina.

    Torniamo a Messina.

    Dunque... da Messina andammo a Napoli, in una bella casa al Vomero, dove si vedeva il mare. La notte la passavamsempre al rifugio, facendo i pupazzi, gliene ho gi parlato, vero? Ma anche Napoli era diventata molto pericolosa, cos mpadre ci port a Roma, con una valigetta per pochi giorni: il resto ci avrebbe seguito coi bauli, ma una bomba distrus

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    quasi subito la nostra casa di Napoli, con tutto dentro. E mia madre non aveva pi cassetti con i suoi ricordi da mettereposto. E questa fu la seconda casa da abbandonare.

    A Roma fummo tutti divisi, mio padre e i miei fratelli andarono non so dove, io e mia madre finimmo in una pensionEra all'ultimo piano. La nostra stanza aveva un letto grande, due comodini, due sedie, una finestra che dava su una piazzatutto era marrone. Sembrava virato, ogni oggetto aveva un colore di sporco, di polvere e di vecchio. Appena entrata, provun disagio infinito per il cattivo odore. Non sopporto le stanze con dei vecchi odori radicati. Mi fanno paura, hanno presenza di altre persone. Sarei voluta scappare.

    E siete andati via?

    No, mia madre stava molto male e fu un miracolo aver trovato un posto dove stare. Mio padre ci lasci l e disse a mche non avevo ancora dieci anni: 'Pensa a tua madre, ha bisogno di cure'. Ne aveva bisogno, s, poverina, era diventatutta gialla, con una febbre alta, costante, che la faceva parlare a fatica.

    Nella cucina della pensione, che aveva il cattivo odore delle cucine dei cattivi ristoranti, io cucinavo per me e per leiarrivavo appena con la testa ai fornelli. I miei capelli presero fuoco una volta, e qualcuno ci mise sopra un asciugamanEra la figlia della padrona della pensione. Giovane e sorridente. Non smetteva mai di cantare. Non restava mai in cucinPreferiva la stanza da pranzo, dove c'erano la radio e un tavolo tondo coperto da un drappo con le frange lunghe ctoccavano terra. Passava l'intera giornata sulla sedia a dondolo, cantando insieme alla radio: 'Se potessi avere mille lire mese... ' e 'Ba... ba... baciami piccina...'

    Mi sembrava un lusso sfrenato permettersi di ascoltare la radio e dondolarsi. La guardavo dalla porta socchiusa e l

    faceva anche degli acuti. Forse si accorgeva di essere osservata.

    La stanza era sovraccarica di mobili e oggetti, forse tutti quelli buoni della pensione finivano l. Il buffet era pieno tazzine da caff e caffettiere mai usate. Il controbuffet era zeppo di fotografie firmate di attori e cantanti. Quella stanza noera soltanto il lusso, ma la spensieratezza. La nostra, invece, sembrava la ricostruzione di un tugurio da romandell'Ottocento.

    A pensarci bene, non era solo inesorabilmente sporca, nonostante io pulissi, ma aveva un quantit di bestioline di tuttitipi che cerco ancora di dimenticare. La luce filtrava come in un film tedesco del '35, e l'ombra della mia sedia sul muro ecome un fantasma a righe. Della carta alle pareti si capiva con molta difficolt il disegno. La vecchiaia, la sporcizavevano unificato tutto. Io la guardavo incantata, aveva tutte le nuance del marrone e tutti i disegni possibili. Ad un angone penzolava una striscia e quando c'era la finestra aperta, dondolava e fischiava un po'.

    Ho immaginato cavalli e cavalieri, boschi e montagne, case, cani, prati ed enormi farfalle. Guardavo quella carstando seduta in terra accanto a mia madre. Le tenevo una mano, le davo da bere, le asciugavo il sudore. Avrei voluessere grande e forte e portarla via in braccio in un altro posto, farla curare, vederla ridere e cantare: 'Vissi d'arte, visd'amore...'.

    Un giorno bussarono alla porta, io aprii e davanti a me c'era un uomo bellissimo, alto, biondo, con gli occhi azzurri e divisa azzurra. Non era il Principe Azzurro, ma era cos che io l'immaginavo. Era il fratello di mia madre, che lei non avevmai conosciuto, ufficiale dell'Aviazione. Abbass la testa per entrare nella stanza e rimase l davanti alla porta, di fronte letto.

    'Adelina', disse, 'sono Vincenzo, tuo fratello.'

    Mia madre a fatica sollev la testa e apr gli occhi: 'Vincenzo', mormor.Lui venne avanti lentamente, arriv al letto, si inginocchi e le baci la mano.

    'Vincenzo, come sei bello! Che peccato conoscersi soltanto adesso. cos tardi!' disse lei e le scesero le lacrimdolcemente, senza volere.

    Lui le spieg che doveva ripartire subito, ma che sarebbe tornato e sarebbero stati insieme a parlare e ricordare.

    stato ucciso a Trieste in combattimento poco tempo dopo. Non so se dai fascisti, dagli inglesi o dai tedeschi.

    Mia madre peggiorava ed io ero disperata, la curavo con un amore infinito, come lei avrebbe fatto con me. Non capivchi ponesse aiutarmi. Dalla sala da pranzo si sentiva 'Ba... ba... baciami piccina...'

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    Chiamai un'ambulanza per portarla in ospedale. Arrivarono due infermieri sudati, spettinati, molto alti, con dei camiche, forse, erano stati bianchi. La presero con tutto il lenzuolo, la misero su una barella e se la portarono via. Io rimasiguardarla andare gi per le scale: ondeggiava, era diventata piccola piccola. Lei, con i suoi capelli rossi, gli occhi azzuormai sbiaditi e la pelle rosa che odorava di cannella. La portarono via come un fagotto da buttare.

    C'era la guerra e gli infermieri erano talmente abituati ai cadaveri e ai feriti che una malata, anche grave, anchmoribonda, era normale amministrazione. Scendendo le scale, parlavano dei fatti loro, erano cos indifferenti, come se ploro i malati fossero di un'altra razza rispetto ai sani. Guardavano mia madre con occhio distratto, non vedevano l'ora sbarazzarsene.

    L'abitudine una gran brutta cosa, un velo pesante. come una storia vista al cinema, non ti appartiene: anche se commuove, poi esci ed tutto finito. Ma forse giusto cos!

    Poverini, non possono mica soffrire per tutti i malati che portano via.

    Rimasi per le scale, perch la stanza l'avevano gi affittata. Mi misero in mano un foglietto con un indirizzo dodovevo andare. Erano i vicoli di Borgo Pio.

    Entrai in un portoncino stretto: non si poteva n aprire, n chiudere, bisognava passare di taglio. Le scale eranripidissime e molto consumate al centro. Le salii tutte. Era una sola rampa verticale e non finiva mai. Sull'ultimo gradinc'era la porta. Arrivata su, suonai due o tre volte, ma nessuno mi apr. Mi girai per scendere, ma misi male un piede e l

    rifeci tutte in discesa, con la schiena che batteva ad ogni gradino. Svenni. Era la prima volta. Non male. Uno spazio. Uriposo. Pi profondo del sonno. E ci si sveglia meno stanchi. Intorno a me sconosciuti. Parenti? Amici di parenti? Non so. Non so nemmeno quanto dur la mia permanenza l.

    Mia madre fu operata e mio padre ripart per non so dove. I miei fratelli restarono con lei in ospedale. Era un ottimnascondiglio dai rastrellamenti dei tedeschi.

    Un bel giorno mi vennero a prendere, perch mio padre aveva trovato una casa e mia madre stava un po' meglio. Lsua convalescenza fu molto lunga. Io la curavo, le cambiavo le fasciature e facevo le altre cose meno piacevoli che fannle infermiere.

    Mio padre diceva che dovevo farlo io, perch ero una 'femminuccia'. Gi, una femminuccia di dieci anni!

    Provo un senso di vergogna a parlare della mia vita. No, di pudore. Ma parlando la sto rendendo pubblica... a me. Mmette a disagio, ma cos la allontano un po' e forse mi sentir meglio.

    Poi la guerra fin, entrarono a Roma gli americani e io li vidi dalla finestra. Perch le femminucce devono stare a casa

    Ho visto tutto dalla finestra. Mi sembrava una grande festa. Ma era troppo confusa, con urla, paure, fughe. C'equalcosa di tragico in quella festa. Finita quella guerra, ne cominciava un'altra: quella del lavoro, della sopravvivenzdell'equilibrio.

    Ognuno doveva costruirsi un futuro, che sembrava la cosa pi difficile, in quel momento. I miei fratelli decisero andare in America.

    Giorgio and in Brasile e Franco in Messico. Si sono sposati tutti e due ed hanno avuto molti figli e nipoti.

    Con la loro partenza io conquistai una stanza tutta per me. Mi sembr un gran lusso. Costruii da sola un lume formada uno stelo di metallo e un piatto obliquo con dei buchi sul bordo, dove passavano dei fili, con appesi pochissimi oggeleggeri, che si muovevano con l'aria e il calore della luce. Davanti al mio letto avevo la riproduzione del quadroLa standi Van Gogh a Arles. Ne ho ancora una oggi in camerino. Non la stessa, ovviamente, questa un omaggio di uquotidiano ai suoi lettori.

    Lei ora mi sta guardando in un modo diverso. Perch?

    La vedo smarrita. Prende fiati lunghi. So che vorrebbe scappare. Vuole che vada via?

    Non lo so. A momenti provo quasi rabbia perch mi sta portando via tutto ed io sto qui a guardare. Gratitudine, perchmi sento meglio. Vergogna, perch ho detto cose mie, segrete, che non avrei mai voluto dire.

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    Ora poi... vorrei che non andasse pi via, perch quello che ha mi appartiene. Insomma, io ho a che fare con unladra.

    soltanto la mia professione.

    Non tranquillizzante. Ormai vorrei chiederle se mi porta con s, a casa sua, e mi tiene l per un po'. Senza parlare.

    Va bene. L non le far pi domande.

    che ho paura e voglia di parlare nello stesso tempo e quando ho finito di raccontarle una cosa, vorrei non aver

    fatto. Intanto, altri ricordi si mettono in fila per uscire. un groviglio di parole che spinge una porta pesantissima. Se lascio uscire libere di mettersi al posto che vogliono, senza ordine, non so cosa mi resta. Non so come star, dopo.

    Sono certa che star meglio.

    Ci sono momenti in cui mi sembra di avere in testa solo parole che si riproducono sempre diverse, come se aprendo porta, la bocca, prendessero ossigeno e si moltiplicassero. C' di mezzo anche il mio mestiere. tutta la vita che ho a cfare con le parole degli altri, cinema, teatro, ed ora, usare le mie cos a lungo, mi mette a disagio.

    Perch?

    Per l'influenza, il pericolo di una parola al posto di un'altra. Per un aggettivo, un vocabolo sbagliato si fanno le guerrsi distruggono i rapporti, vanno via i figli, si odia anche per tutta la vita.

    Forse per essere uniti, sereni, felici a lungo, oltre ad essere fortunati, bisogna anche conoscere il peso e la qualit delparole. Averne paura. Una parola unisce o separa per sempre.

    Quando si vive per molti anni in due, le parole diventano l'ascoltatore, il provocatore, il giudice. Forse anche le parosarebbe bene chiuderle in un sacco, mescolarle bene e poi lasciarle libere per vedere dove vanno a finire. Una parocostruisce i sogni e li distrugge. Fa le guerre e le ferma. Non sta registrando, vero?

    No.

    Allora sono affidata alla sua memoria, al suo stato d'animo di questo momento e di quando scriver.

    Scusi, ma ho paura di essere andata troppo lontano e vorrei cancellare tutto. possibile?

    No. Non pi possibile. E poi perch? Ho preso degli appunti. Vuole che andiamo a casa sua?

    No, molto in disordine, sto traslocando.

    stanca? Smettiamo?

    No, perch... non ho dormito stanotte e la stanchezza a volte diventa come una droga, non l'ho mai provata, ma daldescrizioni che ne fanno un allontanamento dalla realt.

    S, sono stanca. come se avessi corso molto. No, la verit che mi rimasto addosso quel brutto sogno.

    Torniamo a parlare di sua madre?

    Mia madre mi ha sempre detto di avermi allattato fino a quando avevo un anno, perch voleva che restassi attaccata suo seno il pi possibile.

    Mi raccontava con orgoglio che io gi camminavo, parlavo e, stando in piedi, prendevo ancora il suo latte. Era uricordo bellissimo per lei. La totale dipendenza, il sapermi ancora cos sua, ancora legata a lei come con il cordonombelicale. Non voleva che mi allontanassi e, se lo facevo per seguire Giorgio, che era il mio condottiero, lei, con un tonda tragedia greca, urlava: 'Mi manca un pezzo della mia carne!'

    Non poteva sopportare che io camminassi da sola, lontana da lei, che guardassi o ridessi di qualcos'altro. Non volevche io crescessi, che capissi la vita, che potessi avere la mia indipendenza.

    La sua morte stata molto dolorosa, per lei e per me. Ero straziata dal vederla soffrire. Mi hanno lasciata da sola

    curarla per l'ultima volta. Era ancora mio dovere. Il suo profumo di cannella sfumava piano piano, lasciando l'odore fredd

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    e verde della morte.

    Sono un po' stanca di questa intervista. La persona che ho davanti ormai nel sacco con me. Scavare, scoprirricordare. Per respirare, per riposarmi, alzo lo sguardo verso l'alto: le corde, i fondali arrotolati.

    Si potrebbe diventare qualcos'altro? le chiedo.

    No.

    Ne sicura? Io sono sempre stata qualcun altro, ma mai qualcos'altro. Sarebbe una gran libert. Potrei stare a guardafinch la polvere si posa su di me. Non fare niente, lasciare che gli altri mi muovano, mi puliscano, mi tocchino, pensandad altro. Ma senza impormi niente. Eccetto il posto dove stare.

    La giornalista, mi segue attenta, guarda su, dove ho guardato io, guarda gi, ma non mi interrompe. Sta rispettando mia pausa. Gli attori non lo fanno spesso. Rispettare il silenzio di qualcuno, consentire una pausa una grande civiltQuotidianamente un continuo imporre i propri tempi, i propri ritmi agli altri.

    La mia inquisitrice ha le scarpe marroni. Quasi tutte le giornaliste hanno le scarpe marroni, chiss perch! Forse la stmettendo a disagio. La guardo troppo. Vorrebbe nascondere i piedi. Cerca di metterli indietro. Ha le mani sottili, sembranmatite: potrebbe scrivere direttamente con le dita. Ha un cappotto di cammello. Hanno quasi sempre un cappotto cammello.

    E se non parlassi pi? Ho gi parlato tanto. Dovevo fermarmi prima. Chiss che vita la sua?

    S, la sto proprio mettendo a disagio, ma solo per riposarmi.

    La guardo con dolcezza: ha tante cose mie! Siamo quasi parenti. Cosa ne far dei fatti miei, come li user, come cambier?

    Ho mentito, sa?

    Non vero, stava troppo male raccontando.

    S, non sto bene neanche ora, ma non dovevo parlare. I fatti che si raccontano non solo cambiano raccontandoli, m

    cambiano anche la realt, perch io domani sera non potr recitare. Non come vorrei. Mi sento vuota, stanca, come dopaver pianto molto. Per recitare bene, devo tenere tutto dentro, star male, aver bisogno di urlare per le tante cose cspingono per uscire. Come quando si rivivono nella mente i fatti dolorosi, le ingiustizie subite e non si vede l'ora di urlala propria verit. Sto recitando un po'? Non me ne accorgo pi.

    Mi parli ancora del teatro.

    In teatro, per essere bravi, cio nello stato d'animo giusto, bisogna forse che la vita non vada tanto bene, avere nodi dsciogliere, sacchi da trascinare, angosce da urlare. Bisogno di giustizia. Bisogno di sentirsi una vittima in procinto di dire verit. E questo urlare forse cambier le cose. Forse. Bisogna aver paura della vita. utile anche aver sofferto, pportarselo dietro e, finalmente, scaricarlo su un personaggio. E nelle pause prendere un respiro profondo, come quandoesce con la testa dal mare, dopo aver nuotato sott'acqua. Forse recitare una possibilit di cavarsela per qualche ora. lasciano in camerino le proprie storie, per riprenderle quando si riinfilano i propri vestiti. Forse.

    Qualche volta non vorrei tornare a casa. Preferisco il mio camerino. C' un piccolo divano un po' logoro, scolorito. Hun colore e un disegno imprecisi. Ne ha viste tante. stanco e saggio. Anche il mio camerino mi tranquillizza.

    Mi scusi, ho parlato d'altro e a lei interessa la mia vita, ma anche la mia 'non vita' che questa, non mica male.

    Le piacerebbe tornare indietro ed essere un'altra?

    No, troppa fatica. Va bene cos. Lei cambierebbe?

    Non lo so.

    Voi non avete l'alternativa dell'illusione. Noi attori abbiamo un'alternativa che ha anche il pregio di cambiare sempr

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    Cio l'alternativa all'alternativa.

    Sa, ci sono stati momenti, in cui con il personaggio che interpretavo stavo dodici-quindici ore al giorno, e nelle altore mangiavo o dormivo. Non avevo vita, cio avvenimenti miei. DuranteDeserto rosso, a Ravenna, ero diventata colore. Ha vistoDeserto rosso?Ricorda quando la nave attraversa il bosco e il mare ha quella gelida schiuma verde perdetriti delle fabbriche? Ricorda che gli alberi non hanno il loro colore giusto, ma quello del fumo dei veleni? Ecco, neanche i bambini avevano i loro colori naturali, ma profonde occhiaie viola, i capelli fragili di un grigio impreciso, unghie troppo pallide.Deserto rosso stato un viaggio nel futuro.

    Che paura se diminuiscono i colori, se i vapori e i veleni ricoprono tutto di una polvere verdolina, di morte. Che pau

    perdere le sfumature di un verde, di un rosso. Com'era prima la natura? Sicuramente pi colorata. Mi scusi, mi sondistratta. Ma io ho bisogno dei colori perch ci vedo poco.

    Mi parli ancora del film. Ricordo che ha vinto il Leone d'Oro a Venezia nel 1964.

    S, stato un vero successo. Hanno anche scritto che ha dato i colori ai sentimenti. Comunque, per girarlo, coMichelangelo abbiamo dipinto tutta una strada, le case e un omino con un carretto e le sue arance. Ravenna era diventauna tela. Michelangelo dipingeva il suo film con una precisione da alchimista: un verde sbagliato era una parola sbagliatEra teso ed emozionato per cercare di mantenere quel filo sottile che collega l'idea alla realizzazione.

    La giornalista mi guarda con un'espressione imprecisa, forse non sa quanto credermi.

    La rassicuro: Non so mentire, non posso mentire, non ho memoria. Posso ripetere la stessa cosa, ma non falsificarl

    anche perch sono affezionata ai miei fatti, cos come sono avvenuti. Non li cambierei con altri. Qual il suo nome?

    Valentina.

    Bene. Ormai lei pi intima della mia pi intima amica. Sa che Valentina si chiamava il mio personaggio de La nottChe fortuna che io abbia potuto mettere nei film di Michelangelo tanto di me.

    Lei era forse per Antonioni una materia di studio, di curiosit, di divertimento.

    Mi ascoltava e mi guardava vivere con un'attenzione che non avevo mai avuto. Sono cos orgogliosa se sono servita suoi film.

    Ora vorrei che lei continuasse a parlare senza le mie domande. Senza schemi. Senza ordine. S, per preferirei che l

    tornasse indietro, per seguire la sua storia, se possibile, cronologicamente.

    Mi sar difficile, perch anche ai miei fatti involontariamente cambio sempre posto, cassetto, epoca. Cercher tornare indietro, ma piano, come le ondine leggere delle spiagge rosa della Sardegna. Le ha viste, vero?

    S.

    Lasciano il segno sulla sabbia con dei minuscoli coralli. Sono come carezze, arrivano dolcemente, senza far rumorSembra quasi che esitino qualche istante, prima di tornare indietro insieme alle altre, come se volessero cambiare ruoldiventare onde ferme.

    La giornalista sta pensando a qualcosa che non mi riguarda. Me ne accorgo dagli occhi. libera, distratta. Torna guardarmi.

    stanca?

    No. Mi domandavo quanto pu durare.

    Dipende dalla sua resistenza. Com' il suo rapporto con il suo uomo?

    Con Roberto siamo amici, fratelli, amanti, compagni di giochi, antagonisti. E qualche volta difendiamo ferocemente nostre idee. Sappiamo lottare e dimenticare. Roberto segreto, attento, intelligente e sottile, scopre da un mio sguardo, dun gesto quello che penso. Ma non solo con me, anche con gli altri. La povert che ha affrontato da ragazzo lo ha reacuto. In vent'anni ci siamo lasciati una sola notte, perch lui doveva ritirare un premio come autore e regista e io ho avutpaura del mare che avrei dovuto attraversare.

  • 7/21/2019 Vitti Monica Sette Sottane

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    Torniamo al suo lavoro. Che differenza c' tra cinema e teatro? Lei ha cominciato in teatro, dopo l'Accademia?

    S, e ne ho un ricordo come tra la vacanza e l'esilio. Le tourne: gli odori dei camerini, i piccoli alberghi di provinccon le pareti scrostate, i ristoranti aperti di notte con clienti del tutto diversi da quelli di giorno. Chi cena a mezzanottSpettatori e attori, ma anche personaggi ambigui.

    In tourne la giornata in attesa dello spettacolo. Si vedono mostre, si cammina un po' e si torna in albergo a leggerQuesto essere contro tempo mi rassicura. Invece di lavorare alle nove di mattina, noi andiamo a lavorare alle nove di serE non si riesce ad avere un'armonia con la vita degli altri. Perci si isolati.

    La mia prima tourne fu appena uscita dall'Accademia. Ero molto felice, di giorno potevo vedere le citt, i musei e sera avevo la gioia, il privilegio, la libert, il premio di recitare, di uscire dalla vita, di mettermi addosso personaggpassioni, pianti di storie non mie. Recitare stata la mia salvezza, se no, forse, mi sarei uccisa. Non lo scriva. Io esagero.

    Noi attori usciamo dal teatro 'stanchi ma felici', anche se non andata bene, perch abbiamo raccontato una storiAbbiamo lavorato, sudato, avuto gli applausi, che contano molto pi della paga. Anche perch, di solito, sonnumericamente di pi. L'attore di teatro, rispetto all'attore di cinema, un aristocratico senza denaro. Dignitoso, ma plibero da giornalisti, fotografi e produttori. Ha la grande soddisfazione di raccontare in due ore tutta una storia e di vederil risultato subito. Di capire cosa va bene e cosa no. Di cambiare, modificare.

    Ogni giorno c' il lusso della 'prova'. Ogni giorno si ripete la stessa storia, che in qualcosa cambier ogni sera, perchdiverso l'interlocutore.

    Attraverso il testo che si rappresenta si raccontano anche la propria storia, la propria vita, ad uno sconosciuto. Nl'attore, n il pubblico possono contraddire, verificare, cambiare il racconto.

    rassicurante piangere o ridere per fatti altrui. una liberazione. Nella vita cerchiamo disperatamente qualcuno che stia ad ascoltare. Ci si sposa, si hanno degli amanti, a volte, solo per questo. Si tradisce. Si hanno figli anche per avere uinterlocutore. In teatro l'interlocutore tace e non sapremo mai se d'accordo o no. Altra gioia questa. Se applaude per nose non applaude colpa dell'autore.

    Be', qualche difesa, qualche sicurezza deve pur averla l'attore! Sacrifica la sua esistenza, pur di impersonare quella un altro.

    Sarebbe giusto anche nella vita avere delle vacanze da se stessi. Lasciare la propria storia in camerino, appesa ad uchiodo ed andare, sereni e scarichi, a mangiare al ristorante. L, l'attore trova anche qualcuno che si congratula, che

    guarda attento, ma che forse lo butterebbe, ancora oggi, al di l delle mura, in terra sconsacrata. Per punirlo della sulibert, per essere riuscito a sfuggire alla propria vita e cambiare faccia. Quanti vorrebbero truccarsi, prima di uscire eandare in ufficio! Ma truccarsi bene, da non essere riconosciuti da nessuno, n in casa, n fuori.

    Lo so, siamo molto invidiati. E hanno ragione. Ma noi abbiamo rinunciato alla sicurezza, parola magica, che vuol difuturo, soldi, tranquillit. Noi siamo precari. Ma non solo rispetto alla gente e al datore di lavoro, ma anche con noi stessi

    Ho cercato in tutti i modi di essere un'altra. Non per un'ora e mezza, ma per sempre. Io posso cambiare. Lo giuro, hquesta possibilit. Cambiare in tutto, dentro e fuori. Cambiare anche con me stessa, convincermi che meglio esseun'altra. Convincermi di innamorarmi in un secondo. Cambiare la mia vita. Non sono solo in movimento, ma cambiamento, come i bambini. Almeno spero! Sono ancora nell'et dello sviluppo. C' poco da ridere! Mi sto montando testa? Ma cos, lo dicono tutti. O no?

    La mia et l'avete decisa voi, non io. 'Io sono quello che un colore vuole'. Sto esagerando? Credo di s. Ma... io soninfluenzata dai colori, dai suoni.

    Ho un rapporto con le cose e le persone assolutamente infantile. Non capisco quando mi mentono, non capisco quandfiniscono di amarmi, non capisco moltissime cose. Se sono buoni o cattivi. Sono stupita di quello che ho intorno.