Vite in comune come valore pubblico
-
Upload
simone-cerrina-feroni-simonecerrinaliberoit -
Category
Healthcare
-
view
117 -
download
0
Transcript of Vite in comune come valore pubblico
Conferenza ESPAnet
ITALIA Università degli Studi di Salerno, 17 - 19 Settembre 2015
Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di
sviluppo a confronto
Vite in comune come valore pubblico: i processi
partecipativi applicati al learning e all'orientamento
lungo tutto l'arco della vita. I cittadini protagonisti di
buone pratiche di welfare di community.
Autori
Simone Cerrina Feroni*, Taccone Luigi**
*Esperto benessere di community
**Consulente organizzazioni pubbliche e private
Vite in comune come valore pubblico: i processi partecipativi applicati al
learning e all'orientamento lungo tutto l'arco della vita. I cittadini protagonisti
di buone pratiche di welfare di community.
ABSTRACT
Dalla soddisfazione dei bisogni di salute, sicurezza e welfare sul lavoro stiamo transitando verso
l'insoddisfazione, i malfunzionamenti, il malessere e la precarietà di vite assoggettate al lavoro e
troppo “occupate” dal life-deep learning, o - è il loro doppio - dis-occupate e vuote. Come e dove
simbolizzare progetti di vite ben “impiegate”, di “belle vite” ?
L'innovazione dei servizi al lavoro e al Long-life Learning ci pare la più importante leva, di
sviluppo sociale, civico e economico, di preminente interesse pubblico. Allora rivediamone senza
paura modelli, organizzazione, regole e norme: le resistenze di imprese e cittadini a essere
«regolati» e quelle della P.A. a disinvestire su funzioni tradizionali e investire su questo settore sono
superabili coinvolgendo corpi sociali e società civile in un dibattito pubblico di contenuto e non
ideologico, populista o normativo. Se questo passaggio è reso pubblico (passando dal servizio
pubblico al servizio pubblicizzato) la partecipazione civica diventa coping di comunità,
partecipazione pubblica alle vite altrui, «vite associate» come nuovo bene, e valore, comune, Città
«vivibili», cioè dove si può vivere bene. Il WorkLife Balance oggi è welfare autogestito, alla
scandinava, welfare come risorsa collettiva, di reciprocità e fiducia, mediazione difficile nel puzzle
fra socio e economico, certo con una possibile deriva biopolitica e di «ricommodificazione».
Carovane di pionieri e vite condivise: in fondo il Mercato del Lavoro è condivisione di opportunità
e competenze. Welfare informale, certo, o meglio processi partecipativi come innesco, driver, con un
nuovo ruolo pubblico «abilitante»..
“Working Lives in common” as a public value. Participatory processes in Active Employment
and LongLifeLearning schemes as a best practice in local community welfare ?
In the achieving society the market-ability of the prosumer (consumer and productor) lives requires
new instruments for employment services, the most significant driver for social, civic and
economic development, and a truly prominent public interest. In the dramatic Italian
unemployment context, we must fearlessly reassess models and service organization, in order to add
solidarity, transparency and equity, because the issue (“renting lives”) is clearly critical.
Participatory design and evaluation processes, applied to labour market, may have a tremendous
impact in better sketching policies and practices, and in empowering social actors: they are
postmodern Agorà in sharing private, organizational and community challenges. Moreover, there is
a clear isomorphism between process (participation for policy development) and object (capabilities
development, empowerment). In other words, there is an automatic value (if the process is well
managed) for all people and organizations participating and their networks.
We will describe participatory projects in Education and Work, managed in the Province of Firenze
and Regione Calabria
INTRODUZIONE
Pensiamo a un call center in cui occorre una elevata capacità di «amare» il cliente, capire
empaticamente i suoi bisogni, anticipare e solleticare i suoi desideri, e soprattutto di riflettere
rapidamente nel corso dell’azione. La personalità diventa sociale e produttiva: vite al lavoro e
lavoro nella vita, memento vivere. Questo non c’era nel fordismo, ed era tutto sommato secondario
anche nell'artigianato o nell'agricoltura, dove emergevano tratti di capacità creative, ma ben distinti
dal corso della vita «normale».
Cambiano perciò politiche e servizi per l'occupabilità e il Long-Life Learning, che il Decreto
legislativo 13/2013 definisce ˝apprendimento informale, anche non intenzionale, in attività di
situazioni di vita quotidiana nell'ambito del lavoro, familiare e del tempo libero˝. Una rivoluzione
concettuale. E parallelamente, sulla stessa linea evolutiva, evolve un altro concetto, risalente
all'antica Atene, la partecipazione civica, che qui cercheremo di mettere a fuoco con una lettura
ampia ma focalizzata sui temi del lavoro e della formazione continua. Per i Costituenti era
partecipazione dei lavoratori; oggi, avendo il lavoro/attività invaso le vite, è di nuovo
partecipazione dei cittadini e degli attori sociali. Un gerundio (participating) con forte suggestione
simbolica1. «Partecip-azione» è azione partecipata, a comune, di soggetti e interessi divergenti e,
proprio perchè partecipata, con una immediata review in un contesto microsociale ad hoc (un
processo partecipativo, una ricerca-azione, una community temporanea di innovazione sociale, uno
spazio di formazione e orientamento) . Partecipazione quindi non solo come deliberazione2, ma
1 Luigino Bruni osserva acutamente, in uno dei suoi recenti editoriali su Avvenire, come poche cose diano
benessere e gioia di vivere come partecipare a una azione collettiva libera fra pari, dove il termine chiave, a
nostro avviso, è proprio questa «parificazione».
2 Utilizzeremo il termine «processi partecipativi», ma se l'obiettivo è l'elaborazione di policy, queste
andranno tradotte in deliberazioni, sia pure di indirizzo. Dunque c'è anche un tratto deliberativo, ovvero la
come processo circolare, life-making, che somiglia alla vita, pratica quotidiana con «rotture»
riflessive (individuali o collettive) sulle esperienze. E anche come sussidiarietà vera, non
strumentale, non concessa dal Sovrano, non che conviene solo ad alcuni. Un processo partecipato è
quindi una (fra le molte possibili) strategie di welfare contrattato, un dispositivo di work processing
analogo, peraltro, a quello di qualsiasi organizzazione che deve «ascoltare» clienti e dipendenti se
opera in mercati altamente variabili3.
La partecipazione all'elaborazione di politiche pubbliche attive del lavoro di cittadini e
organizzazioni (con interessi più o meno privati) è oggi di evidente criticità, vista la necessità di
governance di mercati del lavoro incapaci di sostenere da soli matching complessi. Formazione e
lavoro sono anche sfera di osservazione privilegiata dal quale inquadrare la partecipazione (e la non
partecipazione) e capire le ragioni delle gravi distorsioni che si registrano sul fronte dei servizi
all'impiego e alla formazione e orientaemnto long-life (nel seguito «servizi»).
Esamineremo i bisogni della domanda e dell'offerta di lavoro, formazione e orientamento, e poi,
risalendo, i servizi che rispondono a questi bisogni, e infine, in modo isomorfo e circolare, i
circuiti e le arene partecipative che li possono sostenere e indirizzare. La tesi è che la sostanza nei
tre casi è simile: ricostruire una solidarietà condivisa (nell'utenza, nei servizi e nell'elaborazione di
policy e programmi), e questo processo circolare si autoalimenta. Operazione partecipata e
pubblica: è impossibile governare una sfera pubblica di tale complessità con strumenti di
pianificazione e controllo tradizionali, come se si trattasse di normali servizi o utilities. Osservando
infatti in particolare i servizi di recruiting e incrocio domanda-offerta di lavoro non si possono non
evidenziare residui obsoleti (anche se efficaci) di nepotismo: il coraggio in questo caso è
evidenziare il concetto di vacancy e la necessaria messa a fuoco della «valorizzazione della persona
umana» (anche nelle formazioni sociali, come dice la Costituzione). Ben oltre il merito: il nuovo
paradigma, quasi contabile, è «fonti-impieghi»: una mappa di fonti di impiego e di «impiegabili»,
da governare in tempo reale (qui sta il passaggio da gestione a governance), con policy, cioè priorità
politiche, ad esempio privilegiare il disoccupato di lunga durata o altre categorie di vulnerabili, o
alcune aziende in crisi. Policy da aggiornare rapidamente, misurando lo scostamento fra realizzato
e preventivato, il che implica strumenti agili e fini di controllo di gestione non burocratico-
amministrativo. Oltre ai processi partecipativi, ad esempio, ci riferiamo a meccanismi anche
discussione con l'avversario, un cambiamento, un apprendimento da parte di tutti, non necessariamente
verso un compromesso mediano.
3 Certo, anche farli partecipare, ma in quel caso entro limiti privatistici di segretezza che invece ovviamente
il pubblico non ha. Anzi, come istituzione ha il problema opposto, la necessità di trasparenza. E' evidente
comunque che nessuna organizzazione, pubblica o privata, ormai resti in vita a lungo o in salute senza
processi partecipativi al suo interno o verso l'esterno.
autoorganizzativi, sussidiarietà al Terzo Settore, coordinamento telematico, tavoli di coordinamento
snelli.
E come non tenere conto del fatto che, nei mercati dei lavori, tempo, competenze e opportunità4 si
scambiano soprattutto nel territorio locale, o in quelli più rapidamente raggiungibili. La solidarietà
si fonda su luoghi fisici e ambienti dove co-abitare, co-vivere, co-produrre e co-consumare, e le
organizzazioni sono anch'esse luoghi di riproduzione sociale. Tempi, competenze e opportunità
troppo «predefinite»: manca uno spazio per definire scambi più liberi. Il territorio
istituzionalizzato, recintato e difeso dagli indesiderati hostis, non offre curiosità, creatività e la Rete
sempre più ordine e (letteralmente) prigione. Il lavoro è cessione, ma ormai soprattutto creazione e
ricostruzione di competenze, questione più pubblica che privatistica, più locale che globale. Se
impari (e non c'è dubbio che è prevalentemente sul lavoro che si è forzati a imparare), questo è un
fatto pubblico locale, con il problema dell'imitabilità e dell'iniqua distribuzione del lavoro sui
territori. Se si chiama qualcuno che arriva da fuori, è una ricchezza che arriva. Se, al contrario,
qualcuno se ne va, può (forse) tornare con maggiori competenze e relazioni. E' sana competizione
fra organizzazioni e territori per acquisire e trattenere i migliori. I processi partecipativi sono in
questo senso luoghi di learning di sviluppo territoriale dove approfondire questa tematica mediante
scambi di elevata qualità fra gli attori locali e l'ambiente esterno (imprese, enti sovraordinati o di
coordinamento).
Il lavoro è produzione e sviluppo di sé, cioè identità e rinoscimento sociale. I servizi dunque
intermediano stima, riconoscimento e attenzione, sincronizzando lebenswelt 5 (mondi vitali),
mondi organizzativi e sfere istituzionali su un precario treppiede. Sotto questo aspetto i processi
partecipati, letti come co-ricostruzione di modelli, nomi, frame concettuali, che possono ben essere
anche locali, mettono in discussione paradgmi blasonati come la separazione lavoro dipendente-
lavoro indipendente, la democrazia rappresentativa e il welfare beveridgiano universalistico, e
questo è utile per aggiornarli al nuovo contesto.
In termini più psicologici, si notano passione, orgoglio, senso di adultità e autonomia emergenti
nell'utenza dei servizi, ma anche imbarazzo, vergogna infantile di evidenziare pubblicamente le
lacune. Autonomia e controllo, onnipotenza 6 e esame di realtà, stupore e coazione a ripetere,
4 Oceani di opportunità che appaiono senza preavviso e si dissolvono rapidamente se non sono colte subito
(Bauman, 1997).
5 Senso comune, tacito, irriflesso, come il proiettore al cinema: nessuno ci pensa. E' norma sociale, morale,
comune, è ordine, sicurezza, la vita ordinata, organizzata, la routine, la procedura.
6 Qui intesa come desiderio dell'infante di scavalcare limiti fisici e psichici al godimento.
empowerment7 e disempowerment. Ambiguità peraltro assenti o quasi invece nei processi
partecipati, riferite in questo caso alle organizzazioni partecipanti. Quale nesso fra salute/benessere
(di individui, gruppi e territori) e servizi? In Italia tradizionalmente sfere rigidamente separate e
mondi professionali distinti. Servizi poveri di rappresentazione sociale8. Un processo partecipato
offre la possibilità di vero dialogo fra pari servizi interoccorrelati.
Il paradosso è che il servizio si regge spesso sui fondi comunitari (è precario anch'esso), per il
settore privato è poco «appetibile» e il Terzo Settore è, stranamente, troppo disattento al tema.
Rimangono le soluzioni «faidate»,il clan, il passaparola, le conoscenze personali, il web. Corsi di
formazione, tirocini o lavori scelti senza alcun criterio di sviluppo di competenze chiave. Un
processo partecipativo inverte questa pericolosa deriva (che forse è alla base del declino dell'Italia),
rafforza il ruolo pubblico, mobilita il civismo oltre burocrazia e mercato chiaramente inefficaci.
Il singolo cittadino9, meglio se sotto forma di agenzie o associazioni, entra nel circuito decisionale e
di controllo, e servizi e progetti verranno sicuramente impostati e controllati meglio. Le politiche
(ad es di genere, per gli over50 o specifici settori produttivi) saranno più efficaci se condivise con
chi vive quotidianamente, e magari vede in modo opposto, questi camp d'azionei. Ma anche il tipo
di policy: ad esempio non è uguale avere campi di calcio gratis o scaricare dalle tasse le spese di
sport, cultura e ricreazione (una inlcude, l'altra esclude). Imprese e Terzo Settore si sviluppano
inoltre se si confrontano e misurano le aree di reciproco coordinamento e di conflitto.
Non si può non notare infine come, mentre qualsiasi ricerca mostri con evidenza che la
disoccupazione - ma anche la mala occupazione che ne è l'anticamera - siano antecedenti di
malessere, malattia, esclusione sociale (e anche viceversa, dunque alla fin fine parliamo della stessa
cosa)10, invece il disagio crescente e l'incapacità, di ricollocarsi fatichi addirittura a esser messa in
parole11. Non riceve spazi di ascolto, non si aggrega in istanze collettive di aiuto e risposte collettive
7 Nell'accezione multidimensionale, cioè anche collettiva, di Zimmerman (Empowerment Theory:
psychological, organizational and community levels of analysy in Rappaport (2000) è «potere dentro»,
capability e efficacy percepite «nel» soggetto, rivolte sia all'interno che all'esterno.
8 Non esistono «Aziende di Occupazione e Sviluppo Locale» analoghe alle ASL. Nel settore sociosabitarioi
ci sono poche tracce dei temi del lavoro e del LongLifeLearning, né viceversa nei servizi al lavoro dei temi
della salute e del benessere sociale. Come ci sono le Società della Salute� perchè non le Società dei Lavori o
delle Attività ?
9 Certo, meglio se ricercatore socioeconomico, formatore, consulente o orientatore, ma può essere esperto in
ogni campo: il processo partecipativo incentiva l'occuparsi di individui, gruppi e organizzazioni diverse, a
prestare il proprio know how gratuitamente al proprio territorio.
10 E quindi l'intervento sul mercato del lavoro è preventivo e non curativo (quindi più efficiente).
11 Ad esempio mancano iniziative di raccolta fondi, associazioni di utenti, volontariato e solidarietà,
formule preliminari alla copartecipazione dei servizi (come nel settore socio sanitario: pensiamo alle
associazioni dei parenti dei malati). Si ignorano disoccupati e espatriati, evidenziando invece
l'immigrato, , evidente capro espiatorio. Ci manca il linguaggio su quanto stiamo vivendo, che quindi è
di solidarietà: forse perchè se il lavoro è vita, il non lavoro e l'incompetenza sono vissute con
vergogna e senso di colpa personale. Non si va al Centro per l'impiego, non si chiede aiuto, non ci
si organizza, ci si lamenta ma in modo passivo. Un processo partecipato sblocca questo frame
psicologico, invertendo figura e sfondo rimosso.
BIOPOLITICHE DELLE VITE-LAVORI
Nelle biopolitiche ipermoderne12, lavoro (e LongLife Learning13) esondano nel tourbillon de la
vie di individui, gruppi e organizzazioni. Le vite e le case sfumano in «luogo di lavoro», imprese e
attività economiche da esercitare professionalmente, mentre le organizzazioni, all'opposto, si
soggettivizzano in parodie di clan familiari/amicali14. Più che espropriazione, una mutua
embeddedness, una ibridazione fra lavoro e life skills individuali che si de-differenziano da quelle
sociolavorative, da sfere antagoniste diventano interdipendenti, ribaltandosi l'una nell'altra15.
Vite artificiali e lavoro come dovere e non come diritto, valorizzazione e non rispetto per le persone.
E così i soggetti devono «rifarsi una vita» giocando una nuova mano di carte nel lifegame. Un
processo longWide, pervasivo, forzato, non paragonabile al lavoro a domicilio prefordista, quando il
contrattista lavorava in case-laboratorio su ordinativi a lotti, ma con ritmi ben più lenti e «umani», e
anzi in questi ancora più fordista. Non biopolitico in senso stretto, cioè non è oggetto di discorso
mal-vissuto perchè mal-detto. Quello che ci ha raccontato dolori e gioie della fabbrica, delle campagna,
dei nostri padri imprenditori-artigiani. Canti, poesie, romanzi, feste, lutti e elaborazioni ora stereotipate,
senza spessore e ambiguità. Non casualmente «lavoro» è termine analitico (elaborazione, lavoro sul lutto,
working through). La carestia di immaginario sociale è ovviamente anche dentro le imprese e nel Terzo
Settore.
12 Modello italo-francese di critica «da sinistra» (Bazzicalupo, 2006 e Aubert, 2010) nella forma posfordista
di induzione «gentile» di pratiche di miglioramento, learning e empowering che, un tempo confinate al
lavoro salariato, si vanno espandendo agli interi «mondidelle vite». Il termine nudge, originariamente
bioniano - vedi Thaler e Sunstein (2009) - segnala che il biopotere ipermoderno non è impositivo, mentre
nel taylorfordismo le spinte non erano propriamente gentili !. Vedi i più estremi critici italiani, come
Codeluppi (2009), Fumagalli (2009) e De Michelis (2008).
13 La Riforma Fornero cosi' dispone: ˝Qualsiasi attività intrapresa dalla persona in modo formale, non
formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le
competenze, in una prospettiva di crescita personale, civica, sociale e occupazionale˝. Quale gerarchia?
Viene prima la crescita personale o occupazionale? Vale l’ordine indicato dal legislatore?
14 Accornero (1997) segnala l'ambiguità di termini come società, corporate, compagnia, Casa madre,
organismo personale per indicare i dipendenti, retribuzione «a corpo». O si pensi ai clan familiari della
«mala-vita» organizzata, cioè messa al lavoro. Pais (2003) ciricorda che organizzare eventi pubblici è
anche organizzare eventi privati, l'aperitivo di networking ha un sapore amaro, un social network è book,
vetrina per trovare opportunità ma anche espropriazione: chi entra abusivamente nella tua pagina entra
nella tua vita.
15 Ad esempio i saperi linguistici o informatici (ad esempio un blog), una visita ai partner di progetto,
organizzare viaggi, cene o ospitare: è vita o lavoro ? O l'assertività del sorriso professionale e l'entusiasmo
artificiale del venditore (Sarchielli, 2006) che già acutamente Wright Mills notava nel 1951, che invade il
buon senso o il comportamento comunicativo automatico, contestuale, situato e culturale. Le battute vengono
rivendute ai comici o rimbalzano sul web, l'empatia sostituisce la solidarietà, le buone relazioni la gratuità,
nelle key competence comunitarie ci sono competenze sociali e civiche, ma generiche.
pubblico esplicito, piuttosto di sollecitazione sottotraccia, in cui l'economia prevale sul discorso
socio-politico. Dalla sociologia del lavoro alla sociologia della vita non quotidiana potenzialmente
professionale. Emozioni e ruoli «messi i al lavoro», «mestiere di vivere» (Bresciani, 2006). Quindi
anche il learning. In questo senso il LongLife Learning è piegatura, nemmeno tanto sottile,
dell'education all'economico: dai sistemi qualità e dall'apprendimento organizzativo (Argyris, 1998)
si passa alle vite quotidiane come luogo di apprendimento organizzativo: una torsione verso la
qualità della vita e l'apprendimento tout court Long-Life, con rilevanti impatti sociali (la routine
oggi è vista come negativa o difensiva).
Le relazioni sociali si venano di interesse, i social networks servono per trovare lavoro, e in fondo
lavoro e vita sono attività relazionali. Interessi propri e di altri si confondono nell'agire quotidiano.
«Dai «fattori umani» in azienda (soddisfazione e motivazione) ai fattori economici nei lebenswelt,
anche gruppali e organizzativi (insoddisfazione e demotivazione nella vita ?). Corpi, identità,
atteggiamenti, abilità cognitive, ma anche affetti e sentimenti (e quindi il benessere), sono
egonomics sempre al lavoro. Ad esempio sul lavoro si può essere apatici, ma con gli amici frizzanti.
Oggi si cercano lavori dove esprimere la propria personalità: bene per le organizzazioni, ma male
per le vite, che si seccano. Prime le organizzazioni impedivano la vita vera, ora al contrario la
sfruttano, ma così 'non è vita vera, vita libera: intuitività e creatività si ibridano nelle agende di vita
e di lavoro, l'«aziendalese» diventa linguaggio quotidiano e della politica, le Comunità Amish
richiamano turisti. Capitale sociale, milieu, comunicare, organizzare o risolvere problemi: tutto è
anche fattore produttivo e prodotto/servizio spendibile16. ˝Sii te stesso!˝, ˝Realizza te stesso!˝,
˝Think!˝. Parafrasando l'assioma ˝non puoi non comunicare˝ di Watzlawitz, potremmo dire ˝non
puoi non migliorare˝. Una governamentalità pastorale (Foucault, 1998), una cura materna-
paternalistica dei «greggi» che «addomestica» i conflitti per renderli produttivi in formule di
welfare social-liberiste.
Tecnologie e marketing del sé (coach, fitness): life enlargment e life enrichment, moltiplicare le
vite, vivere più veloci e più a lungo. Sensation seeking, zapping di esperienze, indotte dai
media/adverstising e dalla cultura spettacolistica (De Michelis, 2010) e attention economy17, cioè
riflessività, riuso delle esperienze passate e quindi infinita permanenza nell'adolescenza, se non
16 Perfino le motivazioni di base, come il «capitale psicologico» (Luthans, Youssef e Avolio, 2007 e
Pryce-Jones, 2010) cioè la disponibilità a essere coinvolti, a partecipare, a farsi carico di problemi altrui o
comuni, anche la disponibilità a farsi controllare, quindi una cessione di autonomia, passione, orgoglio di
fare da sé, mentre il controllo sociale può essere imbarazzo e vergogna se sbagli.
17 Oltre ovviamente a Bauman, che va letto in inglese perchè ha un vocabolario molto elaborato, su questi
due concetti chiave vedi Davenport e Beck (2001), Beller (2006) e Lanham (2006) e la Fase III di
Lipowetsky (2010).
addirittura tempo e attenzione intensificati come nell'infanzia (Pievani, 2012). Una sorta di
«religione» del miglioramento continuo18 in cui tutto è potenziale valore: amicizia, amore, sport,
fruire di opere d'arte, la curiosità, la conversazione, il flaneur ? Dalla forza-lavoro alla forza-valore:
la vita crea (e sottrae) valore. Un bios isomorfo al ciclo di vita di un progetto, di una impresa o di un
prodotto, quindi un umano «capitale» organizzativo, un «capitale-vita»19.
Se, con «cordiale collaborazione», Taylor diceva agli scaricatori di ghisa ˝voi non dovete pensare˝,
il motto della «fabbrica integrata alle vite» è: «Da noi le persone vengono prima di tutto». Come
capitale umano, si intende.
I PROSUMER: LE VITE COME MEZZO E LUOGO DI CONSUMO, PERFORMANCE E
PRODUZIONE
Prosumer inteso20 come consumatore-produttore, che co-progetta e co-valuta prodotti e servizi.
Siamo,come detto, nell'era di una diffusa riflessività finalizzata all'automiglioramento continuo, in
cui siamo anche progettisti, politici, attori (sociali, certo, ma qui l'accento è sul recitare o
impressionare con la gamma delle performance), registi e pubblico di spettacoli a valenza
socioeconomica. Il ciclo, grosso modo, è il seguente:
Desiderio di nuove forme di vita -> Euforia artificiale -> Reificazione in beni e servizi -> Assedio
di opportunità e obbligo di scelta di consumo -> Incorporazione di questi servizi nel sé ->
Depressione e innesco di nuovi desideri.
Il lavoro oggettivato e purificato delle vere emozioni, snaturato e impersonalizzato, è
18 In termini weberiani si passa dal beruf alla vita intera di communities operose, in cui desideri e libertà
sono interiorizzati per un pubblico interesse superiore, non più la Gloria di Dio, ma certo quasi religioso.
Rispetto a «comunità», community ha un significato più ristretto, originato dalle comunità protestanti,
cioè dalla condivisione di una appartenza molto forte: del fratello della tua community ti fidi, ad esempio
negli affari. Community come neighbourhood, chi è vicino fisicamente. La comunità di tipo cattolico è al
contrario tendenzialmente universale: in questo senso l'opposta organizzazione delle chiese protestanti e
cattoliche si riflette sul significato opposto del termine, più bottomup e democratico quello di community,
più top down e gerarchico quello di comunità. I modelli sociali e religiosi asiatici presentano varianti
interessanti a questo processo di augmented life, dove interessi propri e comuni si confondono.
19 Gruppi e organizzazioni si possono sciogliere, ma l'individuo è imprenditore-manager e investitore di sé
stesso a vita, deve pianificare, gestire progetti, fare marketing, gestire le risorse. Vedi Holmqvist e
Maravelias (2010) e Bonomi (2005)
20 Il termine risale a Toffler (1980), anno in cui potremmo datare il cambiamento di passo competitivo.
Toffler è un futurologo che ci ha azzeccato spesso (inventò l'adhocrazia, con Bennis negli anni 60),
anticipato però in questo caso da Drucker (1954), che scoprì l'orientamento al cliente, e quindi la qualità.
La produzione di un bene o servizio avviene nella filiera estesa ai fornitori e ai clienti, combinando i
flussi comunicativi dei consumatori, e oggi anche dei cittadini/pazienti, degli amministrati e della società
civile.
ripersonalizzato. Soggetti riassoggettati e alienati, cioè oggettivati, e poi prima possibile
risoggettivati. Un'altalena che è anche evidentemente oscillare fra trovare lavoro/clienti e la
disoccupazione.
Una pervasiva pratica «economica»21 che può essere sintetizzata col furbo motto del reverse
engineering: «pensare da valle a monte», risalente alla comakerhip della qualità (l'integrazione coi
fornitori) degli anni '90 (Merli, 1997), ai distretti industriali e al postmoderno di Fabris (2008).
Anche cittadinanza attiva, amministrazione condivisa (Arena 2011), bandi di coprogettazione
locale, piani di zona, sanità condivisa. Posfordista perchè trasforma fasi in processi, liquefacendo i
legami: il cliente co-decide22 , ma questo genera fornitori rancorosi verso clienti iperesigenti, ad
esempio nelle relazioni di aiuto o di sportello. Si pensi al paziente «poco paziente» in sanità. In
termini organizzativi le organizzazioni delegano verso i lati e verso il basso, integrando
l'imprenditorialità diffusa sopracennata (La Rosa, 1995). Capitale organizzativo: la capacità
richiesta è saper vivere nelle organizzazioni e nelle communities, dunque nuova declinazione del
concetto di cittadinanza. La vita diventa un rituale contro l'insicurezza: non è più il soggetto che
aderisce all'organizzazione, ma l'organizzazione, anche pubblica, che si plasma sui soggetti.
Certamente un consumo riflessivo e attentivo trasforma i reclami in miglioramenti, ma questi flussi
sono coimplicati coi mondi vitali, ad esempio un social network, quindi il prosumerismo diventa
facilmente biopolitico. Oggi il prosumerismo presenta maggiore urgenza competitiva e prevalenza
del consumatore sul produttore, con un allargamento dei ruoli: nel mondo globale occorre
relazionarsi con frame culturali e organizzativi inusuali o finanziatori lontani. Spesso diventa
instantaneità da critical mass, cioè flussi co-evolutivi autoorganizzati, se non veri e propri
«sciami» che agiscono cioè un coordinamento «naturale», quasi automatico di soggetti semplici,
senza vere relazioni ma con semplice amplificazione di vibrazioni guidate dalla direzione del
movimento (Bauman, 1992 e l'eccellente fiction di Crichton, 2010).
La wikinomics o i blog gestiti dai dipendenti di una azienda, in cui si discute del miglioramento del
prodotto operano col modello software degli agenti autoorganizzati: in rete sei un nodo intelligente
autonomo, non un soggetto. E' «ipertoyotismo»: zero difetti, zero conflitti. L'autorealizzazione, il
21 Alla fin fine un bel recupero di produttività, perchè il cittadino o l'utente si affianca agli esperti di
marketing o ai funzionari, con onori ma anche rischi e oneri semigratuiti: il do-it-yourself è smart,
efficiente, riduce automaticamente le «zone di indifferenza» fra vita professionale e vita privata, incassa
plusvalenze gratuite.
22 Con una inevitabile con-fusione di ruoli servo-padrone (vedi Capranico, 1992) . Il «falso sè» (produzione)
si confonde col «vero sè» (consumo): uno sdoppiamento di personalità ?
bisogno maslowianamente elevato, diventa gioco e spettacolo23: mancano barriere all'ingresso, lo
scroccone è tollerato, e regole, controllo e incentivi sono scarne. Si tratta di doni che, validati dalla
community, creano valore per tutti. Funziona, annullando le interfacce, è l'organizzazione scientifica
(antitayloristica) del prosumerismo. «Prosumer dunque sono»: sono nel cloud, sono connesso ai
flussi. Un mix di sconnessione e iperconnessione.
Il cambio di velocità, dovuto alla concorrenza mondiale dell'economia on demand, richiede, al
singolo lavoratore/imprenditore, alle imprese e al territorio, di inventare, progettare, produrre,
vendere e erogare nuove commodity, e conseguentemente saperle consumare rapidamente, creando
il bisogno di nuove. Occorre essere rapidi nell'aggiornare capacità e competenze necessarie: per un
lavoratore, soprattutto autonomo/precario, la fast life è «inquinata» dall'esaltazione trafelata e
compulsiva del nuovo, dalla riflessività intraprendente turbocompetitiva24, dall'«urgenza di vivere».
Se la vita è lavoro, è una roba seria, non si può perder tempo25: nulla di male, ma lo schiacciamento
del tempo dei «prosumer alla spina», «uberizzati», trafelati, sottrae inevitabilmente tempo all'hic et
nunc (Catania 2008), e non può che richiamare l'attenzione sul Work Life Balance26,
I MERCATI DEI LAVORI: MARKETING DELLE PERSONALITA'
Quando parliamo di mercato del lavoro ci mancano le parole giuste27. Hiring segnala la
temporaneità, ma forse marketing è il termine che più si avvicina a questi strani mercati dove si
offrono tempo e competenze di prestatori d'opera (opus appunto), in cambio di un corrispettivo, più
o meno monetizzato. Marketing di opportunità, idee, competenze, in cui affiora necessariamente
la soggettivazione, sopra accennata, da impresa, il sapersi vendere, il saper recitare. Il ruolo, la
23 La gerarchia dei bisogni di Torvald, il creatore di Linux: 1. Sopravvivenza 2. Relazioni sociali 3.
Divertimento.
24 Il prefisso indica una curvatura innaturalmente iperbolica (come obiettivo, al massimo sarà poi lineare, o
logaritmica come la vita), eccessiva per i ritmi «naturali», una velocità che richiede decisioni rapide
tagliando via le alternative, e quindi in fondo antidemocratica perchè democrazia è paziente tessitura,
compromessi, lotta per egemonia, processi paretcipativi appunti, tutte cose che in impresa non ci sono,
decide uno solo perchè non c'è tempo.
25 La Regina Rossa di Alice nel Paese delle Meraviglie che deve correre o i Papalagi che non hanno tempo
(Scheuerman 92).
26 Davvero crinale cruciale, tema che richiama le Pari Opportunità, le differenze di genere nella salute, il
carico dei lavori di cura e dell'oikos mal distribuiti, un turnover troppo rapido di competenze e flessibilità
di orario/sede di lavoro che riduce gli investimenti affettivi stabili. Si pone un problema politico centrale,
non colto, di compatibilità vita-lavoro, perchè poca formazione è rischio di esclusione sociale.
27 Domanda qui è chi compra e offerta chi vende. Stranamente i due termini sono invertiti e facilmente si
confondono.E' il produttore (il lavoratore) il soggetto debole e non il consumatore: occorre la protezione
dei diritti dei produttori.
persona come maschera che prevale sul sé. Ma marketing, come gerundio28, è processo e risultato,
comprare e vendere con criterio, andare al mercato con le idee chiare su cosa si vende e cosa si
cerca. Occorre fiducia: quasi sempre compri o vendi «al buio», vendi te stesso e compri uno
sconosciuto: occorrono relazioni fiduciarie a monte29. Si tratta di reti di flussi di relazioni di scelta
«commodificate», flussi continui, rapidi e complessi, con informazioni scarse (e scarto di infinite
altre possibilità),una rete di flussi molto veloci di community, sociale30. Adatti per audaci e
impulsivi, e i fragili? Ignorati, anzi la paura di essere eliminati, si dice, motiva il darsi da fare.
La risorsa scarsa intermediata è il tempo di vita esperto, professionale, competente: la personalità
economica appunto. Si cambia allora vita, impiego, mestiere, senza (o con) drammi, nell'era della
multiattività, dell'ibridazione, di vite industriose in cui tutto è potenziale lavoro e potenziale
apprendimento, anche una vacanza o il gioco. Potenziale da sfruttare, giacimento da scoprire (o
riscoprire riattualizzandolo. Capacità di intercettare i flussi, e di lanciarli, cioè segnalare la
disponbilità. La forza dei legami deboli (Granovetter, 1974) reinterpretata come saper muoversi
anche in reti corte: certo, un vantaggio competitivo per l'Italia.
Un servizio al lavoro e al long life learning è una doppia consulenza di marketing che riduce il
mismatch competenze-impieghi e quello fra flessibilità lato offerta e lato domanda, «incanalando»
gli attori nel loro costituzionale ruolo sociale.
In particolare per il lavoro autonomo-precario con debole capitale socio-relazionale, commerciante
senza clienti, con una vetrina senza merci, e il commercio vive di relazioni. Ecco il Long-life
Learning, anche ritornando sui propri passi, non è solo aggiungere, ma anche recuperare vecchie
amicizie, vecchi lavori, vecchie esperienza e riadattarle.
I mercati del lavoro vanno resi comunque in primo luogo trasparenti, perchè non si trattano più
transazioni capitale-lavoro, si noleggiano tempi di vita, giorni-uomo, quindi occorre regolare il
commercio, riequilibrare a favore dei più deboli, dare informazioni, articolare i flussi per favorire
incontro diretto fra i prosumer. Uguaglianza e solidarietà, come detto, sfumano perchè si cercano
28 Organizing è organizzare e essere organizzati. Learning, well-being, empowering, participating sono
processi fondati su capacità di autodiagnosi e automiglioramento, individuali e collettivi: Sono, nel
pragmatico inglese, gerundi, cioè fini che coincidono con le attività stesse.
29 Pensiamo ad esempio alle società di selezione: l'impresa si fida del fornitore (o del selezionatore interno),
o si fida della preselezione del Centro per l'Impiego o della segnalazione. Analogamente per la formazione:
ci si fida della reputazione dell'Agenzia o della istituzione formativa. In un concorso ti fidi della ipotizzata
trasparenza. In realtà il processo di matching, basato sulla fiducia, è quindi tutt'altro che ottimale e
scientifico.
30 Non molto dissimile da Linkedin, che fa da servizio di intermediazione e si basa essenzialmente sulla
fiducia, visto che è virtuale.
proprio le differenze, ma qui si comprende facilmente come la condivisione sia una soluzione furba.
DAL LAVORO AI LAVORI/ATTIVITA'/COMPETENZE
Come contraltare al disagio della precarietà (Kilborn, 2009) assistiamo ad un'altra transizione,
faticosa ma certamente davvero possiamo dire epocale31, lo slittamento fra lavoro e non lavoro e dal
Lavoro ai lavori, alle multiattività life- friendly (sport, cultura, sociale, relazioni, salute, hobby,
arte, ricerca, ricreazione, ma l'elenco in realtà è immenso), un tempo considerate extralavorative (la
leisure class di Veblen). Alla domanda ˝che fai nella vita˝, la risposta è spesso multipla32: un
salario (miero) e poi altre attività “laterali” di tipo associativo o sociale. Permane invece, soprattutto
nei decisori pubblici, la vecchia idea della monospecializzazione, della professione: l'idea che al
lavoratore sia associata per sempre una sola attività lavorativa33. Invece il tema delle multiattività
corre da tempo sotto traccia, e assume forme creative, alternative e sociali come la sharing
economy, il basic income di cittadinanza societaria, le monete locali, le Banche del Tempo,
l'invecchiamento attivo mediante il volontariato civico, il welfare di community, i congedi per
attività sociali, il volontariato esteso e riconosciuto come credito formativo o validazione di
competenze, il «sospeso», il dono non immediatamente da restituire. Forme di autoorganizzazione,
autoproduzione/autoconsumo, condivise o cooperative, finalizzate a vite ben impiegate, socialmente
utili, buone. Favorite dalle tecnologie che certamente in questo caso sono davvero abilitanti.
Certo, tema ambiguo (ad esempio problemi di concorrenza o di entrate tributarie), come abbiamo
visto ambiguo34 rimane sempre il tema del Lavoro. E le reti di imprese, reti di vite, tempi e lavori
ripartiti riconfigurano le società con forme di clan sui bordi del mercato35. Se pensiamo del resto
alle attività di aiuto o di relazione, o al terziario creativo amatoriale, non abbiamo solo opus libero,
per sé: c'è un mercato potenziale di attività indipendenti, di competenze imprenditoriali atomizzate
fino a scomparire nelle vite, poi ricomposte. Attività liminali ma che, sommate, contribuiscono
sempre più ai beni comuni e all'affermazione di soggetti anche collettivi, indipendentemente da
31 Vedi (Gorz, 1997), ma prima di lui diversi teorici della liberazione dal lavoro alienato. Il comunitarismo
di Gorz in fondo è sostenibile perchè modulabile in estensione sociale. O per dirla alla Sen, è una choice
multipla, in cui scegliere più strade, con capabilities e functioning multipli.
32 ˝Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio cose˝, per dirla alla Ecce Bombo
33 Si badi: tale idea, nobile perchè risalente all'etica professionale, è presente in modo ossessivo proprio nel
settore pubblico, dove non è raro trovare persone che per tutta la carriera lavorativa hanno svolto sempre
la stessa attività, causa principale di scarsa innovazione. Ma la cosa curiosa è che tale schema è presente
anche nelle aziende, e permane molto più a lungo di quanto si pensi anche come modello mentale nello
stesso lavoratore e nella società. L'apprendimento Long Life Learning fa fatica a emergere perchè fa
saltare questa impostazione rigida, ma questo salto appare, a molti, denso di rischi, paure, ansie, viene
esorcizzato e tenuto nascosto.
34 Dalla certezza all'ambiguità: una lenta conquista? (Quick, 1993)
35 Ma le innovazioni nascono spesso da saperi, spazi e tempi considerati «inutili», o dall'assorbimento di
comunità di pratiche hobbystiche alternative, ad esempio la microelettronica nella controcultura
californiana degli anni 70.(Revelli, 01) o ai giorni nostri il dark side della creatività nel caso dei derivati e
delle assicurazioni creative.
reddito o professione.
Il lavoro, compresso perchè «turboprosumerizzato», tracima dal mercato del Lavoro (maiuscol)o e
diventa vitale, creando nuove organizzazioni, nuovi lavori, e anche un de-investimento del Lavoro
in senso stretto, in chiave di recupero psicofisico da lavoro o stressante. Lavori come occupazione e
formazione continua on-the-job, quindi: il nodo pratico è l'organizzazione dei nuovi lavori, il
pooling di risorse (informative, di aiuto, Banche del Tempo, cohousing, coworking, «co-vita») e
anche una nuova rivendicazione di spazi e tempi collettivi. Nella società delle multiattività, alcune
hanno utilità pubblica più di altre, ad esempio proprio orientamento e formazione: occorre un
riconoscimento pubblico, politico, delle utilità delle competenze emancipanti e socializzanti,
ripartendo tempi e attività, certo senza far concorrenza su mercati (Laville, 2000). Riconoscere al
datore di lavoro il tempo del dipendente per attività sociali e incentivare la responsabità sociale
delle imprese. Le cooperative di consumo sono prosumer collettivi ? Basic income come diritto al
benessere minimo di cittadinanza, a non essere cacciati unter, a poter vivere una vita decente, diritto
alla salute minima di cittadinanza societaria. Un basic welfare (formazione e lavoro, mobilità, casa,
nutrimento, socialità) di risorse minime garantite a tutti, un vero livello essenziale di prestazione,
capacitante, perchè è condizione di vita, investimento sociale.
In questo senso se perdi il lavoro hai un know how e un know who rivendibile. I lavori sono un
gioco a somma variabile dove tutti guadagnano. Reti di imprese, reti di vite, tempi e lavori ripartiti.
Una società che valorizza i prosumer che produce, messi al lavoro per la società - società appunto,
soci alla pari - perchè il prosumer è produttore di social innovation, solo che il sociale è dominato
dall'economico, è ridotto 36: siamo nell'era economico-sociale più che socioeconomica, del Lavoro a
socialità limitata. Il paradosso del disoccupato e del precario è che il tempo liberato può essere
usato per formazione, volontariato pubblico, socialità, salute, famiglia, altri lavori, mentre invece è
dissipato. E questo vale anche per il pensionato.
Il lavoro è mortificato in schemi economicistici37, ma non è solo mercato, ci sono attività non
monetizzate, redistribuibili a tutti, vite al lavoro pubbliche. Si può trovare il sistema di occupare le
persone in attività che i piacciono e guadagnarci tutti: basta organizzarsi. Anziché formazione
finanziata lavori finanziati, il diritto a una vita multiattiva, alla multiprestazione di lavori, congedi
per attività pubbliche, bandi mirati, possibilità di variare lavoro, più choice del tempo extralavoro.
36 Lean, la produzione snella, ridotta al minimo, è parente di strain, rottura, si può rompere.
37 Ad esempio è occupato chi ha lavorato un ora nella settimana di rilevazione, è disoccupato chi fa il
volontario a tempo pieno
Nei Centri per l'Impiego si possono utilizzare i volontari, il tempo libero può essere utilità sociale:
c'è un immenso bacino di lavoratori insaturi. Il volontariato va organizzato, ma è un moltiplicatore
di lavori pubblici, attività artistiche, culturali, sportive che in fondo non sottraggono nulla al
mercato, e anzi possono essere preincubatori di imprese. In città ma non solo:, certo occorrono spazi
e e tempi, iniziativa, strumenti a disposizione, locali, nuovi modelli di vita e sistemi locali di
sharing.
LA POLARIZZAZIONE DELLA FLESSIBILITA': CHI INVESTE E CHI E' INVESTITO
La disoccupazione/inattività convive con la sovraoccupazione/sovraattività, e la divaricazione
cresce. Vite dense, energizzate al limite, autonome. Ma anche, si è detto, vite inutili, rarefatte,
eteronome. Il multiattivo senza tempo, assediato dalla «fiera delle opportunità», fino alla paralisi
regressiva. E l'inattivo con vita vuota e tempo sprecato in allontanamento dalla cittadinanza, ostile
allo straniero e allo stato, che non chiede aiuto. «Up and Out»: la crescita della polarizzazione
evidenza la mancanza di solidarietà per gli esclusi, ad esempio interi territori o le generazioni
anziane. Pensiamo alla assenza di solidarietà fra territori. Quale equità e soprattutto quale
reciprocità se c'è chi non lavora e chi lavora per dieci ? Ecco quindi il counselor per capire se si è
all'altezza, la ricerca di chi decida per te, il ritorno a forme premoderne rassicuranti, comunità
simboliche con scarsa comunicazione vera, emotive, rituali, spettacolari.
Diseguaglianze (pare crescenti) non solo quindi di reddito, ma di distribuzione delle due
risorse chiave: il tempo di vita e le competenze, fino a delineare una società a due velocità: il
multilavoratore globale con poco tempo e molte competenze (cronofagico), e l'inattivo locale, con
molto tempo e poche competenze. Abbiamo peraltro anche molti sovraqualificati sottooccupati, e
pure sottoqualificati iperoccupati.
Per i soggetti che della flessibilità sanno cogliere38, in modo benestante39, opportunità per lo
38 Choice alla Sen (Sen, 1986).
39 Benessere (Spaltro, 1984) come sentimento di stupore che incontra la vita nel traversare le interfacce
psicosociali. Spaltro distingue tre livelli di funzionamento sociale (coppia, piccolo gruppo,
organizzazione) e tre interfacce (A fra individuo e piccolo gruppo, B fra piccolo gruppo e organizzazione,
e C fra organizzazioni). Il modello si basa sulle resistenze, nel passaggio delle interfacce, che presentano
aspetti di regressione e progressione, di difesa (in-dipendenza) e socializzazione, di chiusura e apertura.
Le interfacce sono manopole di navigazione sociale, un va e vieni, un sali e scendi, una boccata d'aria e
una difesa dall'inghiottire l'acqua, una corrente alternata simile all'oscillazione delle maree, fra minore a
maggiore densità sociale, fra identità a appartenenza. Duali perchè, lewinianamente, «zone di passaggio»
da minore a maggiore densità sociale, da identità a appartenenza: il loro attraversamento (il trattino
dell'interfaccia), è freno e avvicinamento, autonomia e integrazione. E' benestante se accade senza
impazienza, capace di «digerire» frustrazione e dissenso, di «abitare» le dualità senza urgenza di
sviluppo, le «vite-lavori», oltre che merce, sono «vite attive» (Arendt, 1964), vettori di functioning
(achievement) di qualità, vite «impoterate», e valore aggiunto selfpropelling circolante40, dono per
l'intorno sociale, più o meno ampio. Identità anche collettive e bene comune che aumenta le
capabilities territoriali, cioè le capacità di functioning collettive, la qualità delle vite. Vite belle, non
mercificate. Ad esempio una startup è perno di identità collettive locali, vite che consumano e
ricostruiscono risorse, anche se con una certa resistenza di spazi per sè e per i propri gruppi primari,
a non condividerli. O ad autogestirli nei tempi, come evidenziato nelle multiattività. «Vite-lavori»
che sviluppano identità e autostima, che consumano ma ricostruiscono riosrse sociali, realizzando
desideri di gratitudine, legittimazione, reputazione, dignità di ruolo pubblico. Benessere è accettare
e giocare la sfida collettiva, nucleo culturale, processi e pratiche (anche i processi partecipativi) che
animano la dinamica della convivenza promuovendo, mantenendo o migliorando salute e qualità
della vita (Avallone, 2005). Sempre in (Avallone, 2005) troviamo gli indicatori del malessere
(scarsa fiducia, scarsa choice, conflittualità negativa, comportamenti indesiderati, diminuzione del
senso di appartenza e della creatività).
Circuiti virtuosi (buonessere, vita buona, di chi dà una mano ed è solidale con l’inattivo,vita
degna, vitale, socialmente responsabile) generati anche a partire da quelli viziosi41 (mala-vita,
malessere, vita indegna e irresponsabile), e viceversa.
Alcuni esempi di contaminazioni malestanti:
Diffidenza: quello che imparo lo impara l'altro (potenziale concorrente), che mi osserva
La socializzazione è munus da restituire, da cui disfacimento dei legami sociali e
schiacciamento eccessivo sull'Altro
Lo spillover dei modelli mentali, ad esempio il volontariato che serve a migliorare la propria
occupabilità
Il sentimento del potere che «stinge» verso l'egopatia e la volontà di potenza:
Ansia, ad esempio dei genitori che non possono offrire benessere (potenziale) ai figli o ansia
di inserirsi con un post nei flussi Last In First Out
unificare, sapendo «so-stare» nei conflitti. Un concetto parente dell'empowerment, ma che evidenzia le
belle relazioni e il bellessere, potremmo dire più di nucleo strategico, per il soggetto. La riflessione di
Spaltro è pluralizzante, parte dagli anni '70 e si fonda col decennio di modernizzazione (1957-67), la
scoperta del soggetto e dello stile partecipativo-democratico. Vedi anche i lavori seminali (Bennis, 1969)
su salute organizzativa e sviluppo organizzativo.
40 Capitale circolante, visto che la metafora è economica, e si coglie con questo termine anche .la rischiosità
dell'operazione.
41 Cioè gramscianamente rovesciare (allora era il nascente fordismo, oggi il postfordismo)
Attacchi di panico, uso di farmaci per indurre attenzione o provocare/attenuare emozioni
(doping da benessere)
Esaurimento e collasso psicosociale, dall'organizzazione dell'Io fino alla lacerazione di
convivenza e cittadinanza di interi territori
Surmenage: vivere una «vita da detective», ad esempio le idee che sorgono fuori dal lavoro
e l'eccesso di rischio
Il malessere è rischio di sostituibilità, paralisi, regressione, terrore di essere messi da parte,
resistenza a essere misurati, sconfitte vissute come vergognose, supereroi peformenti che celano il
doppio, l'utente risentito, ipercritico, gli scatti di collera, l'aggressività, gli attacchi alle routine,
l'odio-invidia per l'impiegato pubblico. Si subisce l'irritazione dei familiari, si è evitati socialmente,
si è considerati pigri, incapaci. Non essere presi in considerazione nei colloqui è emotivamente
pesante perché si misura la distanza da performance o corpi inadatti. Non c'è lavoro, cioè che vivo a
fare? Sono solo un peso sono escluso dalla bella vita.
Il malessere sorge da una cronica oscillazione fra iperattenzione sovraeccitata, intossicata e
sregolata da choice obbligata, (non libera di non choice), e lutto depressivo perenne42. Sé grandioso
e sé disintegrato: vacilla il ragionamento ponderato, in una schizofrenica caccia all'inconsueto43. La
«turbovita» mal si concilia (per molti) con la stabilità psichica, da cui derivano difese nevrotiche
(regressive) e paranoidi (identificazioni proiettive e odio per la vita come «mancanza a
benessere»44.
Lo smarrimento identitario, il ruolo troppo «srotolato» si disfa, e rende difficile ricomporre un
nuovo ordine, ordinare i frammenti identitari in uno stile di vita personale stabile. In altre parole la
difficile formazione, o erosione delle personalità (Sennett, 2000), che mina le basi per la sua
riproducibilità.
Il rischio rottura è dovuto a strain breveperiodisti di obbligo performante45 di Long Life Learning ,
all'infinito self-enhancement, al dover stare al passo. I soggetti vengono energizzati, benesserizzati,
empowerizzati (forzatamente lievitati, per usare una metafora culinaria) oltre i limiti «naturali» e
possono «strapparsi»46. . Usando il modello di Antonowsky (1978) - che vede forze stressanti che
42 Cambiare (i formatori degli adulti lo sanno bene), è uccidere il «vecchio»
43 Lo schizofrenico perde appunto la vita quotidiana il senso comune diventa non comune.
44 In Lacan la «mancanza a essere» è odio per il simbolico che non rende liberi, odio per la vita, per il
debito, il munus con la comunità, la negazione della dipendenza dl'altro come ordine, limite. (Recalcati,
2010)
45 Dal superuomo all'uomo sovraeuforico ?.
46 La «fatica di essere se stessi» (Ehrenberg 1999)
impoveriscono e forze di coping che resistono - il coping, sociale e individuale, può non reggere e
l'eustress viene sopraffatto dal distress. Fronteggiare è risorsa consumabile: troppi stimoli generano
sovrabbondanza a essere. Cresce il benessere per pochi resilienti, che ispessiscono le loro vite,
suscitano e saturano desideri, ma in spirali oscillatorie che esondano dalle capacità bio-psicosociali
Questo «disagio della precarietà» - unsafety47 più che unsecurity - declina il lavoro (per fasce
crescenti più escluse o isolate), come malessere psico-sociale: disoccupazione/malaoccupazione,
fallimenti personali o di impresa, «incompetenza» e burnout generano malattia e esclusione sociale
(e viceversa)48.
Il benessere è al contrario saper girare intorno al raggiungimento possibile del desiderio, senza
fretta, fra passato e futuro. E' stupore, senso di imminenza estetico per qualcosa che si sta per
compiere, la trasformazione di capabilities in functioning. E' conflitto accettato49, desiderio di
investire e paura di farlo, all'interno di un sentimento di futurità e padronanza del sé e del contesto,
cioè sentimento del potere, di mastery, di agency. Per Spaltro è anche belle relazioni (gruppare,
organizzare) e bellessere, cioè «plus-essere», desiderio che si colora, Sabato del Villaggio, sorpresa
nel sentire di passare dall'impasse allo spiraglio, di «scollinare» sui crinali soggetto-oggetto,
separazione-unione, incertezza-sicurezza, assenza-presenza, amore-odio, vita-morte. Benessere
come salute, welfare, come capacità di essere organizzati, nel senso dell'antica Roma, e di occuparsi
della debolezza con la cultura della forza..Riflessioni, come si vede, centrate sulle tematiche prima
accennate
Per Spaltro l'attraversamento delle interfacce psicosociali è cross-fertilization di energia: nel
benessere l'energia fluisce, si moltiplica, mentre nel malessere defluisce, rifluisce e si scarsifica. Il
benessere, nella af-fluent society è ri-fluente, in-fluente, con-fluente, de-fluente, si autoalimenta ed è
potenzialmente illimitato. Ma più le interfacce sono abitate e fluidificate - oggi si cambia spesso
gruppo, organizzazione e territorio - più sono facilmente traversabili, ci si abitua e si innesca quindi
una corsa al rialzo.
47 Cioè non si sa se il prossimo lavoro sarà meglio o peggio, non si sa quale sarà, non si sa quanto ci vorrà a
cercarlo,
48 “Oggi una parola chiave dei nostri pazienti è lavoro. I pazienti parlano in modo angosciato del fatto che
non c'è più lavoro [..] lavoro diventa la parola chiave per rifondare la parola desiderio. Si capisce allora
che c'è stato uno spostamento radicale rispetto agli anni Settanta dove il desiderio era un'alternativa al
lavoro, mentre oggi il lavoro è la possibilità di dare un senso al desiderio” in Recalcati (2013).
49 Conflitto «che lavora per noi» (Metcalf 1942), «capacità negative» (Lanzara, 1993), o ancora prima con
Keats e F. Scott Fitzgerald, con uno sguardo binoculare («e-e» più «o-o»), con gli occhiali dell'uno e del
molteplice, tollerando rimozione e espiazione senza negare né fondersi Esattamente ciò che invece
terrorizza l'infante, che infatti attiva le difese primitive kleiniane schizoparanoidi e depressive.
Il malessere del benessere («benesserismo») è il «turbobenessere» che biopoliticamente vira verso
la sfera produttiva. Una lettura neoapocalittica che evidenzia il malessere di una spirale perversa di
scarsificazione del benessere che, spinto all'eccesso, scolora nel suo opposto. Passato l'incanto del
trentennio postmoderno, potremmo dire del benessere, siamo ora nell'era del disincanto?50
L'attenzione è sulla qualità della vita-lavoro, sul benessere socio-lavorativo, ma tali elementi sono
incorporati in prodotti e servizi (il wellness ad esempio è un prodotto), di cui siamo a nostra volta i
turboprosumer che alimentano il ciclo. Beni che finiranno, anche se pubblici come i beni
relazionali, mercificati. Ma questo benessere ha un baumaniano retrogusto amaro di «vita a caccia
di benessere» che non è tutta vita buona, perchè si consuma51, Dal «diritto a perseguire la felicità»
alla «spinta gentile» verso l'ultrabenessere.
La velocità eccessiva del ciclo desiderare-essere-avere (di per sé positivo, ovviamente) finisce per
invertire normalità e eccezionalità, alzando l'asticella verso una efficienza forzata. Il rapido
godimento del benessere ne fa desiderare sempre di più, ma l'andamento, necessariamente
sismografico (come quello dei mercati finanziari), produce forti sbalzi di malessere52.
Limite di velocità: oggi si occulta il benessere per paura dell'iperbenessere? Se interi territori
competono sugli indicatori di benessere e qualità della vita, i soggetti sono più assoggettati (sub-
jectum) che autonomi (pro-jectum).
La frustrazione per una avventura agonistica senza fine produce alla lunga effetti patologici
(Recalcati, 2010), che si notano, sotto traccia, negli interventi di formazione e orientamento:
Vite «spolpate», smarrimento, ritiro nelle «passioni pallide», paralisi da in-capacità magico-
fatalista
Vivere alla giornata aspettando il biglietto vincente alla «lotteria della vita»
Mostrare emozioni finte e nascondere quelle vere (rabbia e aggressività)
Risentimento e ipercriticità invidiosa per le qualità meno raggiungibili, come quelle
cognitive, e rancore per l'altro flessibile che sostituisce il prosumer difettoso (lo straniero) o l'altro
50 Prima era la voglia di sfuggire all'ordine, il disincanto dell'ordine, oggi è l'inverso, voglia di sfuggire al
disordine, disincanto del disordine?
51 Sentimento che colpisce anche negli operatori dei servizi di formazione, orientamento e consulenza. Chi
deve motivare è spesso a sua volta precario.
52 Lo stesso paradosso di Easterlin (1974), cioè la curva del benessere che tende a decrescere con
l'aumentare del benessere economico, segnala una contraddizione: potremmo parlare di limiti del
benessere, parafrasando i limiti dello sviluppo di marca ecologica. Una versione «umana» della «tragedia
dei commons» (Hardin, 1968), una estensione delle colonizzazioni moderne (il Nuovo Mondo o il
taylorismo) alla «recintazione» del comportamento (alla Goffman, cioè recitante).
iperbenesserizzante (l'intrusione burocratica nelle vite, il sindacato, ma anche in parte il Terzo
Settore di vecchia generazione)
Il riaffiorare di paure primarie (far brutta figura, non farcela, essere traditi, abbandonati,
maltrattati e malconsiderati) e di Sé passati da riattualizzare (Caligor, Kernberg e Clarkin, 2012)
Anaffettività: vita vuota se «esci dal Reality», come in Reality di Matteo Garrone.
La «cum-fusione» fra ruoli pubblici (paterni) e privati (materni) determina un sovraadattamento
longlife all'altro e al sé precoce: lo smarrimento identitario rende difficile fissare i frammenti
identitari dei sé multipli derivati dalla miriade di esperienze. Essere, vedere e sentire in luoghi
diversi, fare tante cose insieme: «Intra-viduo» (Conley, 2008) e «multividuo», in una
adolescentizzazione forzata e consumo di self-efficacy. Da cui seguono (La Barbera, Guarnieri e
Ferrario, 2009) :
Frammentazione del senso di sé e dell'altro
Rimozione, burnout, perdita della gioia di vivere, distacco e fuga dal reale53 Lche non
corrisponde alle aspettative
Ipernarcisismo euforico, avido e juissance dissipativa, onnipotente e mortifera54
Malessere organizzativo: distorsione, proiezione e rimozione del conflitto vita-lavoro
(Fraccaroli, 2011)
Gravi disturbi alimentari e uso di sostanze per attenuare l'ansia o essere artificialmente
euforici e al top
Esasperata coscienza di sé e dell'altro, ipertrofia cognitiva e disfunzione del senso comune
di tipo schizoide o melanconico55
La domanda a questo punto è: come rendere l'«ipervita» del Long Life Learning compatibile col
bios ? Quale welfare ? Quale ruolo per le community locali ?
NUOVE VULNERABILITA': I SOPRANNUMERARI DI SISTEMA E LE PRATICHE DI
POTENZIAMENTO/AIUTO DA 0 a 80 ANNI.
I nuovi profili di rischio sociali riguardano sfere un tempo considerate private e fasce sociali
tradizionalmente garantite. Numerosi studiosi (Ranci, 2002), Borghi (2002), Castel (2001), La Rosa
53 L'hikikomori giapponese: giobani che si ritirano per anni in solitudine estrema.
54 Il Salò di Pasolini.
55 Qui rovesciato, è amore-odio per la routine, palude dell'essere-lo-stesso, figura molto presente nei Centri
per l'Impiego.
(2005), La Rosa (2003), Zamparini e Menegatto(2011), Goodin (1985) segnalano una «tragedia
tranquilla» di disaffiliazione e sfilacciamento sociale che colpisce più i ceti mediamente benestanti
che le tradizionali fasce di malessere e povertà, più abituate alla lotta per la sopravvivenza. Un
precario deve aggiornarsi, ma anche cercare lavoro, produrre e rendicontare: non c'è tempo per
giocare, leggere, camminare, avere una vita pubblica, andare ai processi partecipativi. Emerge un
sentimento di rischio di irrilevanza/sostituibilità per i nuovi Sisifo che non reggono l'imperativo di
McClelland della achieving society. Non sono o non si sentono riconosciuti, amati
(l'autorealizzazione è attenzione da parte dell'altro). Sono i cattivi investimenti in capitale sociale e
umano che non restituiscono valore: aziende in crisi, aree a sviluppo ritardato, le aree interne56, gli
helplessness. Risorse umane57 scarsificate nei functionings di riconoscimento e fronteggiamento dei
problemi/opportunità, e rapida elaborazione riflessiva di azioni e nuovi desideri, perchè questi
functioning non sono stati ricostituiti dopo il consumo. Gli intrappolati nella rete (intesa come
contesto sociale), che non hanno più voglia di combattere, i «reduci». E' quello che formatori e
orientatori osservano in molti over45 in difficoltà a ricollocarsi ma anche, in forme ovviamente
diverse, nelle fasce giovanili. Il soggetto perde spessore, (Bologna, 2011) paralizzato dalla
sensazione di scalare una montagna troppo alta: subentra una personalità artificiale «come se» di
Helen Deutsch, un misto di aggressività e passività, di amabilità e cinismo nella volontà di
desiderare di appropriarsi e mobilitare le risorse perchè il gioco è «campo minato», in cui si
alimenta il divario aspirazioni-opportunità reali. Mazzoli (2012) parla di sfibrante soggettivazione
della povertà: essere presi in carico dai servizi all'impiego è vergognoso e umiliante perchè implica
un senso di inadeguatezza: chi resta indietro è dunque anche fuori dalla formazione, è solo, non è
raggiunto, non partecipa alla vita civile.
Poveri da disallineamento col turbosviluppo, con idee di sviluppo distorte e frustrate dal
turbocambiamento che modifica le competenze necessarie e implica che molti (sia individui che
soggetti collettivi) rimangano «indietro», non siano più adatti alla turbocompetizione, diventino
soprannumerari. Si tratta, inizialmente, di un disagio, di una paura, di un sentimento di
vulnerabilità, di non saper fronteggiare lo spiazzamento, che poi sfocia gradatamente nella povertà e
nell'esclusione vera e propria, che potremmo chiamare la non autosufficienza nelle «vite-lavoro».
Fasce sociali con buona scolarità ma basse competenze riflessive, e bassa riconvertibilità di
competenze. Soggetti isolati socialmente, quindi anche imprese e territori, magari coesi all'interno,
ma che per per tradizione familiare o locale sono rimasti a un modello «moderno», cioè a un
«impiego» ben distinto dal non lavoro o dalla vita personale. Soggetti, organizzazioni e territori con
56 I 3/5 del territorio italiano
57 Da ressortir, in francese riuscire a cavarsela..
velocità minore di cambiamento, non distribuiti ugualmente sul territorio, dispersi e difficili da
intercettare, perchè non hanno elaborato i lutti per la scomparsa del mondo in cui abitavano, cioè
non mostrano una domanda, non si rivolgono ai servizi. In «esodo silente dalla cittadinanza», con i
tratti del risentimento, e coi quali è molto difficile condividere i bisogni e il servizio da offrire. Si
tratta di trovarli, coinvolgerli, ragionare con tempi lunghi caso per caso, territorio per territorio, e
intervenire, in modo coordinato e partecipato, senza sbagliare, proprio nel punto più delicato del
sistema sociale. L'errore fondamentale che si compie è considerare questa utenza solo come singoli
individui: sono gruppi sociali, micro imprese, piccole organizzazioni, anche nel Terzo Settore, sono
interi territori locali: i livelli di funzionamento sociale e di empowerment individuale, organizzativo
e sociale sono intrecciati, e l'intervento di aiuto qui davvero richiede un analogo intreccio di
competenze.
I “RECALCITRANTI A ESSERE MEZZI DI AZIONE”: INVULNERABILI O PARASSITI
?
Analizziamo anche, per completezza, le minoranze contrarie al benesserismo. Che, abbiamo già
visto sopra con l'economia del dono, in realtà si possono trasformare in forze positive58. Gli stili di
vita considerati obsoleti: vita compassata, disinteresse, i «dolenti i nolenti», ben oltre la normale
resistenza dell'adulto al cambiamento e all'apprendimento. Chi mostra rigidità, cocooning / social
loafing (apatia) al disordine ipermoderno, chi si chiude ai flussi e rifiuta una «vita da prosumer», di
invecchiare attivamente o tornare adolescente. Chi mostra prudenza di fronte all'innovazione letta
come «ex-novazione», atteggiamenti di stagnazione psicosociale («non-essere-gettati-del-tutto») e
chiusure identitarie a un sé stabile, familiar-comunitario rassicurante. Certamente qualità negative,
che danno sicurezza ma minano l'autonomia e sterilizzano le capacità.
L'esercito di riserva al contrario: i non competitivi che si limitano alla performance minima vitale o
praticano il soldiering59. L'aurea mediocritas che osserviamo nelle organizzazioni («in-
competenza», «di-organizzazione», disturbi di apprendimento organizzativo, «in-azione»,
organizzazioni inospitali60). . Anche soluzioni di exit, come non espropriabilità del proprio,
58 Come nei film dei Fratelli Coen (˝Grande Lebowsky˝ e ancor più ˝L'uomo che non c'era˝) o pensiamo al
rovesciamento biopolitico dell'autonomia radicale del '77 (radio libere, rifiuto del lavoro salariato,
creatività, socializzazione), ribellione oggi integrata.
59 Il frenaggio della produzione anticottimista studiato da Roy negli anni 50 (Bonazzi, 2002), il ca' canny, lo
shirking, l'inosservanza funzionale delle norme per evitare l'abbassamento dei tempi.
60 Non dobbaimo mai tralasciare la domanda, le organizzazioni, in cui si notano opacità, fazioni, doppi
giochi, finte, accomodazione half-hearted, far finta di impegnarsi, in-efficacia disfunzionale.
Organizzazioni formali, fredde, sospettose, grigie e collusive. Il mero adempimento, la routine, la,
propensione a sfilarsi, il lavativo. L'obliquo calcolo delle convenienze e la sterile conservazione
resilienza come resistenza alla rottura, o forme devianti di riproposizione di schemi non produttivi
(Centri Sociali), fino all'aperta rivolta regressiva allo stadio primitivo o al sabotaggio certamente
qui autolesivo
O – all'opposto - tratti conservatori/premoderni nostalgici (umiltà, rispetto, onore, la ricerca di
guru, le sette) o populisti. Ma dissenso e critica aperta al turbobiopotere hanno poco spazio e molte
forze antagonisto-libertaria viene presto riassorbita61. Raffinando l'analisi potremmo chiederci: se la
vita è biopolitica, cosa residua ? Qual'è la frontiera di resistenza? Quale «vita minima», «vita
buona» ? Chi è oggi l'«Uomo senza qualità»? Quali sono le incomprimibili «competenze proprie» ?
Quali relazioni sociali minime ? Il familismo è davvero amorale? L'ora di vita inoperosa, la noia,
l'ozio62, l'ignavia (Oblomov). Chi consuma prodotti antiquati: l'ecologista autarchico, il raccoglitore.
L'entropia, per l'appunto biologica. .
Certo, tutti tratti socialmente negativi. Ma anche - entrando nella pars costruens - il pudore, la
modestia, il dubbio, la pietas, l'etica del lavoro, forme societarie gratuite, vere reti sociali e veri
amici (non quelli di Facebook), l'autentico «mi piace». Il soggetto «in-sè» e non solo «per-sè».
Certamente l'in-dipendenza e l'in-dividualismo democratico.
NUOVI DIRITTI/DOVERI E NUOVO WELFARE
Incontrare la vita da prosumer riconfigura il privato (la ricerca di lavoro, l'autoformazione e le
relazioni nei gruppi primari) in forma di nuovo argomento pubblico, e viceversa fa evolvere gli
interessi pubblici in nuovi diritti (al long-life learning e all'orientamento long-life) anche per i
soggetti collettivi. Il welfare evolve verso forme di cambiamento solidale, che non lascia indietro i
vulnerabili, che ha una dimensione ibrida, amicale.
Nuovi rischi, nuove vulnerabilità e nuovi servizi implicano nuovi diritti/doveri (Paci, 2007) e una
riperimetrazione o ridefinizione del welfare (che nella dizione anglosassone è benessere).
Certamente oggi con un contributo maggiore della società civile e del no profit, e una regolazione
maggiore dei privati e del Terzo Settore. Mentre però il welfare tradizionale fu conquistato dopo
aspre rivendicazioni operaie, i nuovi servizi sembrano rientrare piuttosto nelle politiche di sviluppo.
mirabilmente descritte in Celli (1993)
61 Andy Capp è stato cooptato, è diventato un prodotto.
62 (Anders, 1956)/2003) o Gaber in ˝Libertà obbligatoria˝, ma risalendo al romanticismo, alla critica al
positivismo, alla Scuola di Francoforte, non manca una lunga tradizione, ambivalente, di critica allo
sviluppo, che qui riattualizziamo.
Il Long-LifeLearning («in una prospettiva di crescita personale, civica, sociale e occupazionale»),
il LongWideLearning e l'Orientamento LongLife, contraltare alla sempre più rapida innovazione,
poggiano ovviamente sul solido terreno dei diritti all'istruzione, al lavoro, alla salute, e in generale
della realizzazione della persona umana, «anche nelle formazioni sociali», e ne sono la naturale
evoluzione. Ma quale sharing, fra gli attori sociali locali, dei doveri (inderogabili) di solidarietà
sociale nel Long-Life Learning e Long-Life Guidance?
E come reinterpretare sicurezza e salute (e benessere) che, al di là della battuta, effettivamente
transitano dai posti di lavoro alle vite intere? Rileggere allora anche il personalismo («rispetto per la
dignità della persona umana») e il concetto di «integrità psicofisica»? Quale welfare e quali
standard minimi di certificazione, di competenze, e di qualità dei servizi ?
Si aggiungono sfere pubbliche, altre si privatizzano. E' però evidente la sottovalutazione del nesso
causale, nei due sensi, fra salute/sicurezza sociale e LongLife Learning/Occupazione. Ma. come
detto, il welfare attualmente non prende in considerazione i giacimenti di competenze inutilizzate.
Welfare senza lavoro, welfare dei lavori: il primo passo è il mutuo soccorso, riconoscere cioè che il
problema è collettivo.
Nuovo Welfare63. Cosa vuol dire welfare di cittadinanza marshalliano-beveridgiano oggi? Come
mediare autoorganizzazione dei corpi sociali e indirizzamento degli attori e dei servizi
sussidiarizzati verso l'interesse pubblico? Come evitare forme nuove di residui tutorial
assistenzialisti che permangono, ad esempio nei progetti comunitari? E chi è l'advocacy dei soggetti
deboli?
Il Welfare mix modello Unione Europea, basato su programmazione negoziata e bandi/gari è
certamente sussidiarietà controllata, ma anche in parte consociativo, e a monte della
programmazione cosa c'è ? Se ci sono intermediari non è universalistico: i diritti di cittadinanza si
differenziano sui territori. Ma è un buon modello perchè privilegia l'innovazione sulla cittadinanza.
E' pragmatico, cerca di superare la routine dei servizi, anche se è utilizzato male, come sostituto dei
servizi, e quindi «routinizzato». I servizi sono finanziati con fondi comunitari (ecco perchè
mancano i processi partecipativi), cioè la valutazione è ex ante, in itinere e ex post, ma il cttadino è
giustamente assente: la neutralità è importante, siamo in un regime di gare, non di servizi. Al centro
63 Si veda Ferrera 2013 su come coniugare libertà (flourishing, choice e diritti) con uguaglianza
(functionings e capabilities, comunità, inclusione attiva ), competizione-cooperazione, individuo-società e
merito-bisogno, nelle varianti socialliberali (libertà e choice) , liberal-egualitaria (uguaglianza e choice),
liberalcomunitaria (uguaglianza e comunità) e conservatorprogressista (libertà e comunità).
c'è la concorrenza, non l'utente. Apparentemente peggio, ma in realtà più universalistico e efficace.
Forse non molto efficiente.
Dal welfare «allievatore» di bisogni e di vincere paure primarie (morte, solitudine, ignoranza, fame,
arbitrio) e sollecitatore di desideri di onniscienza, onnipotenza, immortalità e ubiquità siamo passati
a un modello di «workfare-learnfare» più allenatore, allevatore, di capabilities, che sollecita,
indirizza e con-forma conscenze e competenze ai desideri di rischio, crescita, benessere e qualità
della vita.64 Welfare non più come protezione che fa da contraltare ai rischi dovuti alla libertà
economica (pensiamo ai corsi di riconversione per i disoccupati), ma come manutenzione della
capacità di produzione: la sicurezza si inverte di significato e il welfare tende a diventare
economico, privato. Il welfare fordista ordinava, appiattiva e limitava, mentre la scarsificazione e la
disuguaglianza oggi aiutano: occorre invece un life coaching65 che mantenga in salute i «riservisti».
E' la versione biopolitica.
Il welfare societario, di community care, di imprenditoralità sociale, ha come protagonista il Terzo
Settore e le famiglie. Anche qui cittadinanza localizzata e differenziata, ma il servizio è partecipato,
sia pure con formazioni sociali intermediarie e tavoli consultivi. Nella variante locale di welfare di
community, in cui la società civile si affianca al pubblico, si attivano forme «fai-da-te», di cittadino
virtuoso. Tutti in fondo abbiamo, se non le skill tecniche, certo una sensibilità sociale. E' il nostro
esempio, il processo partecipato.
Il welfare generativo va un passo ancora più in là: c'è il dovere di contribuire, ti dò il basic income
o il sussidio se fai lavoro socialmente utile o accetti un lavoro precario. Abbiamo già accennato, ad
esempio nel passaggio dal Lavoro ai lavori, ad alcune direttrici di cambiamento interessanti in
questo senso.
Welfare residuale, se il privato invade gli spazi pubblici. E' il caso della Formazione e Lavoro.
Il tema in Italia presenta altri nodi specifici:
mancanza di una normativa nazionale
mercati del lavoro opachi e privatistici
64 Vedi i pilastri delle politiche di coesione comunitarie; da Adattabilità, Imprenditorialità e Occupabilità,
del 1997, si passa alla recente inclusione di Sostenibilità e Qualità della vita locale. Comunque mantenere
i territori in buona salute per la crescita produttiva ?
65 Coach era la carrozza con supporti speciali alle ruote per viaggiare su strade dissestate.
troppo stato dove non serve, poco dove servirebbe
scarsa occupazione giovanile e società bloccata (giovani in famiglia)
rigidità dei mercati del lavoro (una zona grigia del 5% soffre il mismatch con la domanda,
che è poco vivace)
manca la solidarietà per il prosumer vicino, l'interesse a fatti pubblici come lavoro o
learning, c'è scarsa trasparenza, poco «mettere in piazza», in senso buono
la fatica di trovare/cambiare lavoro non trova forme autorganizzate: la P.A. ha un nuovo
ruolo chiave nell'aggregare operatori e utenti
rilevantissime differenze territoriali
rilevanti differenze di genere, ma qui si aprirebbe un capitolo a sé stante sia sulle material
girls in a material world, che sulle over 50, e anche su come le donne affrontino coraggiosamente
eventi della vita «commodificata».
FORMAZIONE E LAVORO: POLITICHE E SERVIZI
Se le ipotesi descritte in precedenza sono vere, ad esse non può che corrispondere un analogo, ma
direi soprattutto rapido, processo di ampliamento/riorganizzazione dei servizi correlati. E' come se
emergesse una nuova epidemia66 e il servizio di prevenzione socio-sanitaria dovesse con urgenza
adeguarsi con informazione, cure e servizi adeguati. Nuovi servizi di aiuto, formazione,
orientamento e assistenza. Ai disoccupati/precari e alle aziende in crisi: il loro «restare ai margini»
del sistema «vite al lavoro» si autoalimenta in modo pericoloso.
Occorre allora rivedere senza paura modelli, organizzazione e regole delle politiche del lavoro e
della formazione, favorendo una maggiore riflessione collettiva sull'azione (lavoro di gruppo e non
solo individuale), rimodulando le risorse attorno a servizi di elabozione, simbolizzazione e
«possibilit-azione» di vite occupate e ben impiegate, «impoterate», ben spese, in salute,
rivitalizzate se spente67. Work in progress e «capacit-azione» soprattutto sul lato della domanda:
competenze fondamentalmente tecnico-organizzative in questo caso. Suscitare motivazione e
pratiche di miglioramento continuo soprattutto nelle imprese no profit e nei gruppi sociali68, come
contraltare alla «messa al lavoro» di emozioni, cognizioni e relazioni individuali. Queste
competenze non sono solo professionali ma di capacità generale di fronteggiare i problemi e le
66 In realtà il disagio è davvero diffuso: basta osservare il consumo di farmaci ansiolitici, i nuovi disturbi
che ci segnala la clinica, alcuni fenomeni sociali.
67 «In città c’è vita»: l'obiettivo è una città vivibile, connettendosi ovviamente con le aree interne confinanti.
Facendo leva sui gruppi secondari/terziari vis a vis, chiaramente di più nelle metropoli, tematici o amicali.
68 Il confine servizio al cittadino-servizio alle imprese non è molto netto: basti pensare alla selezione, alla
formazione in ingresso al lavoro o alla certificazione di competenze.
opportunità, attivando le risorse a disposizione dei soggetti, trasformando eventualmente le
debolezze in forze. Si accumulano (e si disperdono) socialmente nei territori e nelle pratiche di vita
e sociolavorative, e dipendono sempre più da servizi avanzati locali di orientamento, formazione e
consulenza. In altre parole ciò che prima era «spontaneo», ad esempio l'accumulo di capacità
microimprenditoriali, di civicness, di capitale sociale, ora va sostenuto con policy e servizi di
welfare di nuova generazione (per le nuove generazioni appunto) e di nuovo raggio (socio-
lavorativo). Perchè questo capitale sociale si consuma rapidamente e va reintegrato.
E' un campo pubblico in cui il settore pubblico più di tanto non può entrare, in quanto si regolano
mercati privati, in cui si deve essere liberi (fino a un certo punto) di scegliere69. Avere servizi
efficaci, o quanto meno adeguati, al limite privati, sembrerebbe il primo posto dell'agenda politica, e
infatti in molti paesi questo avviene. Efficaci nell'attrarre competenze (e non farsele scappare),
quindi servizi in fondo analoghi a quelli di qualsiasi organizzazione che deve attirare talenti e non
farseli sfuggire. Anche la necessità, frequente, di ridurre il costo del lavoro (evidentemente il
territorio ha la necessità opposta), ma anche di riconvertire, a tale scopo, le competenze. Valore
pubblico che quindi riaffiora. L'analogia col Servizio del Personale di una azienda però cade se
pensiamo che una organizzazione in genere (salvo alcune cooperative) non ha lo scopo di occupare
risorse, scopo che invece è proprio quello dell'Ente Locale, che deve occupare, bene, tutti i propri
abitanti, nessuno escluso. Non tanto perchè così avranno un reddito, ma perchè così saranno
cittadini, persone umane. Il Centro per l'Impiego e il Long-Life Leearning è una speciale funzione
del Personale del territorio, che ha come scopo occupare tutti, anzi attirare persone70. Proseguendo
la metafora, le domande da fare come Centro per l'Impiego a chi arriva da fuori sono: ˝Perché
cerchi lavoro qui?, Cosa ti attira ?˝. Il paesaggio (cioè il territorio fisico come identità sociale, il
bene paesaggistico di cui assicurare fruizione pubblica di conservazione, riqualificazione e
valorizzazione), la qualità della vita, quell'impresa, quel lavoro, le relazioni sociali, i servizi, le
persone ? E a chi se ne andato ˝Perché ve ne siete andati?˝”
Si possono anche utilizzare gli utenti del Centro per l'Impiego o dei corsi di formazione per
approfondite interviste ai «colleghi» ed ex colleghi. Ottimo modo di procedere anche in un processo
partecipativo che potrebbe organizzarsi per effettuare e analizzare queste interviste, e rappresentare
così un ambiente generativo di soluzioni, un habitat alla Giddens di accomunamento, messa a
69 Solo nel secondo dopoguerra c'è stato un intervento statale forte, evidentemente per il periodo
particolare. E non possiamo dimenticare l'intermediazione del lavoro più o meno mafiosa (i «sindacati»
americani) in cui un lavoro, peraltro giornaliero, veniva scambiato per doppia obbedienza, cioè il valore
pubblico può essere negativo, se si ignora il problema.
70 D'altronde se pensiamo che intere nazioni hanno rischiato il default, il fallimento e che l'Italia non è
propriamente in sicurezza da questo punto di vista, il parallelo stato-impresa non è poi così strano.
comune di preziose informazioni e esperienze71.
La governance ideale di questi servizi è che competenze, funzioni, servizi, funzionari e privato
convenzionato, oltre alla società civile di riferimento, quantomeno si «parlino» (ma soprattutto si
ascoltino) fra loro, si coordinino, si riconoscano, usino lo stesso linguaggio, condividano luoghi e
saperi, pratiche e problemi. Penso quindi all'utilizzo di progetti sperimentali nei progetti comunitari
(come fu utilizzato il programma EQUAL per sperimentare le partnership geografiche e tematiche).
Nei bandi e nelle gare comunitarie è arduo distinguere le singole materie, tanto sono intrecciati gli
obiettivi di sviluppo locale inclusivo, sostenibilità sociale e ambientale, sviluppo, Long-Life
Learning e Capacity Building dei territori. Tutto sostiene tutto in una spirale virtuosa. Alla fin fine
l'organizzazione è strumento, organon, quello che conta è il fine, l'effettività, l'efficacia, l'outcome.
Questo ci insegna l'Unione Europea, come messaggio laico di fondo che non possiamo non
condividere72.
C'è la possibilità (lo prevede il Decreto 276) di servizi al lavoro forniti da altri Enti Pubblici
(Comuni, Università, Camere di Commercio). E perchè sono così scarsi o poco efficaci?
Come abbiamo detto, i lavori sviluppano identità, stima e riconoscimento sociale, e quindi
gratitudine, legittimazione, reputazione, dignità di ruolo pubblico. Occorre riconoscere, nei
vulnerabili, le loro competenze, emanciparle e socializzarle, mentre il non riconoscimento (le
politiche passive, il sussidio) è umiliante, non rispettoso, negazione di ruolo, unlearning. Le
persone chiedono in fondo cose semplici: rispetto,aiuto, dignità e ascolto. Ecco quindi l'importanza
della validazione delle competenze, identitarie e sociali, sincronizzando quindi mondi socio-
economici, mondi vitali e mondi istituzionali. In Italia, i servizi spesso sono paternalistico-
assistenziali, a bando o con sportelli burocratici, incapaci di attivare, motivare o attrarre risorse,
come dovrebbe fare una «funzione pubblica risorse umane» del territorio.
71L'effettuazione e l'analisi delle interviste crea comprensione, ma modifica anche gli intervistati, e quindi
l'esercizio è perfetto..
72 Formazione/Lavoro, Istruzione, Welfare, Sviluppo economico, Sociale e Cultura si intrecciano in una
logica per progetti e obiettivi, tanto che potremmo parlare di un'unica macromateria e macrofunzione,
che potremmo chiamare semplicemente Sviluppo Territoriale Locale, il cui miglioramento è il
macroobiettivo principale dell'Amministrazione locale..O ancor meglio Benessere , Welfare o Salute
Locale perchè sviluppo non è automaticamente benessere, mentre certamente benessere, salute e welfare
comprendono uno sviluppo del potenziale, un sentimento di potercela fare. I servizi al lavoro sono quindi
una leva di sviluppo locale. Occorre integrarr in particolare i servizi culturali, di sviluppo economico e i
progetti comunitari. Si pensi solo - per quanto riguarda la cultura - alla creazione di opportunità lavorative
di autoimpiego/microimpresa in campo educativo, formativo e culturale, al ruolo di biblioteche a
associazioni culturali nello sviluppare competenze, servizi e impiego. Gli eventi e le iniziative culturali, in
senso lato, hanno, se ben fatti, una ricaduta molto più generale. In un certo senso è un pezzo di Long-
LifeLearning.
E poi, perché uno sportello73? Perchè un sussidio o un bando, e per chi e cosa? Policy e servizi che
si trascinano con un copia e incolla: occorre deviare maggiormente dall'abitudine (come fanno i
prosumer!). La Pubblica Amministrazione è fordista (manca la competizione): deve assumere la
logica dell'innovazione, altrimenti la soluzione più semplice (e la peggiore) diventa privatizzare o
avere una logica aziendale, perdendo di vista l'interesse pubblico.
Nella achieving society la «spendi-abilità» implica nuovi diritti di trasparenza e partecipazione, di
policy in qualche modo cogestite e contrattate. I livelli di functioning sociale e di empowerment
individuale, gruppale/organizzativo e socio-territoriale si intrecciano e gli interventi richiedono un
analogo intreccio di competenze74. Sarebbe meglio ricostruire competenze pluriprofessionali.
L’ideale sono servizi di aiuto integrati nei flussi, spazitempi e modi di vita degli utenti, centrati su
fiducia, riconoscimento e attenzione reciproca. Occorre integrare gli attori locali nelle aree
informativa, formativa, culturale e socioassistenziale, e con le politiche di sviluppo economico
locale. Spacchettare e rimpacchettare i processi (di vita). Occorre coinvolgere cittadini, corpi sociali
e società civile almeno in un dibattito pubblico, se partecipato è meglio. Scuole, Università (attore
chiave perchè ha il know how, le risorse ed è sul territorio) e imprese, ma anche formatori,
orientatori, assistenti sociali, psicologi, parti sociali, esperti di sviluppo locale, Comuni, Asl, Terzo
Settore, Camere di Commercio e Agenzie per l'innovazione, istituzioni e associazioni, affinchè si i
confrontino, si riconoscano, condividendo linguaggi, luoghi, pratiche e problemi.
Il lavori e le competenze sono i nuovi beni pubblici, e allora ben si potrebbe riconvertire risorse già
pubbliche, umane e non umane, poco adeguate, come molte funzioni burocratico-amministrative per
creare snelle Agenzie per le Competenze, per la Cultura, per il Benessere. Sfuma il dilemma
pubblico-privato e quello profit-noprofit e la scoietà sviluppa soluzioni nuove. Riduciamo intanto il
perimetro pubblico nei servizi economici, che il privato gestisce meglio (se controllato), e
aumentiamolo nei servizi non economici, dove il privato ha scarso interesse a intervenire75.
73 Il modello dell'aula e dello sportello sono rassicuranti, anche e soprattutto per l'operatore: si conosce cosa
succederà.
74 Ma welfare e servizi per la salute/benessere e progetti per la Formazione e l'Occupazione sono mondi
separati: non esistono ad esempio «Società dei lavori» o «Aziende di Occupazione e Sviluppo Locale»
analoghe alle Società della Salute o alle ASL, nè esistono tavoli comuni.
75 Il servizio socio-sanitario era inizialmente affidato alla Chiesa, e ora è di welfare mix. Il servizio al lavoro
è in sostanza rimasto privato (e la Chiesa è un attore non trascurabile), cioè opaco, ma sconta una visione
pubblica rimasta al «collocamento» obbligatorio. Un mix è la soluzione migliore: lasciato al mercato e
all'improvvisazione/creatività/contatti personali funziona male, lascia per strada troppe persone. E'
altrettanto impensabile un intervento solo pubblico in un settore a così elevata variabilità e invadenza
delle vite.
FORMAZIONE E LAVORO: PRATICHE DI CURA, FORMAZIONE E AIUTO
La cura dei «giardinieri» ingloba i saperi degli utenti, delle famiglie, del privato sociale. Più che
conferire direttamente capacitazioni, suggerisce gli strumenti per convertire assets, anche nascosti,
in capabilities. Dalla formazione distributiva anche qui al prosumerismo: si coinvolge l'utenza,
individuale o collettivo, nell'automiglioramento, orientandone motivazione e autosviluppo di
competenze di apprendere ad apprendere e di autoaiuto76. Ma anche chi forma è formato, anche chi
orienta è orientato, e applica a sé stesso (e rivende!) le tecniche di potenziamento. Il discente o
l'utente sono stimolati a esplorare, partecipare coi professionisti della formazione, i quali, a un
livello diverso, fanno in realtà lo stesso. Ma il retropensiero di fondo di entrambi i poli della
relazione d'orientamento, cioè di aiuto, o di insegnamento è: plasmare abitudini, assetti relazionali,
scelte di vita è sempre vantaggioso o può essere, nella turboeconomia, paradossalmente un «danno
esistenziale»? Per usare un linguaggio sanitario, ci sono effetti iatrogeni, cioè non voluti? Nel
mondo della formazione (Ferrari, 2006), della consulenza e dell'assistenza e orientamento, si nota
un forte disagio fra gli operatori77: mancano spesso il mutuo riconoscimento dell'altro irriducibile,
accoglienza e compassione autentica, gesti oblativi non contaminati, condivisione, vera attenzione e
sorpresa dell'incontro, accedere al «cuore» del problema, nel senso emotivo, perchè i professionisti
dei servizi sono a loro volta vulnerabili e a rischio burnout. Considerazioni non troppo dissimili si
potrebbero fare per il mondo della scuola e dell'Università. Entrambi troppo burocratici. Le
sollecitazioni di docenti, formatori e orientatori segnalano servizi troppo standardizzati: è evidente
che vadano differenziati, perlomeno fra chi deve essere «ri-ordinato» e reindirizzato (soprattutto
giovani) e chi deve essere riattivato (soprattutto anziani). La forbice è chiara, son due servizi
opposti.
Mancano poi database pubblici di imprese, e anche associazioni, che indichino recapito, settore e
tipo di figure professionali impiegabili, utili a chi cerca lavoro o una consulenza. Perchè non sono
gratuiti e forniti liberamente sui web delle Camere di Commercio o dei Comuni? E perchè,
76 Nelle Key competences UE (Raccomandazione Consiglio Europeo 18/12/06) manca la competenza
organizzativa (data per scontata), e sappiamo come questa sia correlata al benessere. Ci sono invece
competenze chiave che in Italia non sono del tutto esaurite (capacità sociali e civiche) o sono ben presenti
(spirito di iniziativa e imprenditorialità). Altre (imparare a imparare e consapevolezza/espressione
culturale) rimandano a sistemi di istruzione e formazione da rivedere.
77 Long-Life Learning: si sono addirittura fatti passi indietro, cioè la formazione si è deflessibilizzata,
depersonalizzata, rimodernizzata, cioè si torna ai «corsifici». Orientamento, formazione e lavoro sono
sistemi intrecciati: la paralisi di un pezzo del sistema (orientamento e servizi per il lavoro) costringe i
sistemi che si stavano rinnovando (la formazione) a ripiegare su formule «difensive».
viceversa, non fornire database di soggetti impiegabili alle imprese, prevedendo una tariffa di
preselezione o di vera e propria selezione78 ?
in sostanza, alla fin fine, c'è scarsa attenzione alla qualità del servizio, qualità peraltro imposta dalla
normativa di legge per ogni servizio pubblico locale fin dagli anni 90. Semplici miglioramenti di
qualità sono l creare leve civiche di cittadini, esperti sui temi di lavoro o sviluppo, con bandi
specifici. Ma anche un precario o un disoccupato, anche non esperto, potrebbe operare nei servizi,
in questo caso con un piccolo riconoscimento economico, arricchire le sue competenze e fornire un
servizio alla collettività. O ancora: il governo dei mercati del lavoro implica adeguare domanda e
offerta, aree di crisi e fasce di debole occupabilità, ma perchè allora non prevedere un colloquio
obbligatorio di orientamento anche per gli occupati, pagato dalle aziende, che comunque ne
ricavano un evidente vantaggio? Mancano i servizi di certificazione delle competenze79. E perchè il
Sistema Informativo per il Lavoro nazionale è inesistente, e spesso pure quelli regionali? Riteniamo
che quest'ultimo elemento sia davvero di particolare criticità.
Ragioniamo per analogia: chi sta male e ha bisogno di aiuto psicologico o socio-sanitario sa (più o
meno) dove andare, cosa lo aspetta, cosa paga e cosa potrà ottenere. Viceversa per chi si deve
ricollocare o per una azienda in crisi (malessere spesso ancora più profondo e bisogno di aiuto
socio-psicologico simile al caso precedente) se la deve cavare da sè, e se è isolato, con poche risorse
informative, magari è poco mobile per motivi familiari e ha una età avanzata, è perso. Appare
singolare che in Italia, nonostante una crisi internazionale comparabile con quella degli anni '30, e
nonostante gli inequivocabili dettati costituzionali e delle convenzioni internazionali, pochi
riflettano in modo articolato e innovativo sulle riforme e sulla evoluzione dei servizi per l'impiego.
L'argomento è rimosso: c'è scarsa attenzione e cura anche da parte di attori istituzionali e sociali
chiave per la messa a punto e l'erogazione di questo primario servizio pubblico, quali ad esempio
Istituti Scolastici, Università, Comuni, Camere di Commercio, le decine di migliaia di associazioni
e il mondo del volontariato. Molte domande attendono una risposta. La privatizzazione dei servizi
78 Mancano indicazioni nazionali su come, eventualmente, rendere il servizio in parte a pagamento per le
imprese. Tecnicamente il Decreto Biagi lo prevede: i Centri per l'Impiego potrebbero offrire ulteriori
servizi a titolo oneroso alle imprese. Previsione davvero interessante, che ricorda l'extra moenia sanitaria,
ma rimasta totalmente inattuata, come totalmente inattuata è rimasta la disposizione che prevede, semrpe
nel decreto Biagi, la partecipazione dei Comuni, delle Camere di Commercio e delle parti sociali ai
servizi all'impiego. Partecipazione non solo finanziaria, ma di risorse, di sedi e di competenze chiave
79 Prendiano i lavoratori autonomi/precari (le due aree in realtà spesso si sovrappongono). A questi soggetti,
serve un servizio di riflessione sulle proprie esperienze per rimodulare meglio, in chiave di occupabilità, le
proprie competenze. A tal fine ben si potrebbe prevedere un colloquio obbligatorio di validazione delle
competenze, di certificazione del curriculum, e una lista di imprese a cui si può rivolgere. Di questo il
precario/autonomo ha più bisogno. Questo lavoratore peraltro non è iscritto al Centro per l'Impiego ed è fra i
meno facilmente individuabili, se non proponendogli azioni che gli servano.
per l'impiego: quale bilancio a dieci anni di distanza ? Le Agenzie per il Lavoro servono? Il sistema
delle conferenze tripartite o la delega agli Enti Bilaterali di Categoria funziona ? Quali raccordi fra i
sistemi, locali e nazionali, di educazione, formazione e lavoro? I servizi al lavoro erogati durante la
gestione della crisi perchè sono stati insoddisfacenti? A fronte di un raddoppio della
disoccupazione, non si è verificata una rivolta sociale, ma solo un risentimento populistico, in
particolare proprio contro le Province, ente chiave in molte regioni per questo servizio: c'è un nesso
fra la sfiducia nella politica e la scarsa attenzione al tema del sostegno all'impiego?
Welfare debole, frastagliato, «datato», a fronte di una domanda ineludibile e assolutamente nuova di
servizi. I servizi al lavoro orientano meno della metà dei disoccupati e intermediano, a essere
ottimisti, un 10% della popolazione target, comprendendo i servizi privati strutturati.
L'inadeguatezza evidente di copertura, e di risorse, non è minimamente comparabile con paesi
similari quali Francia e Germania, nei quali peraltro la disoccupazione è maggiormente coperta da
sistemi di workfare. I Centri per l'Impiego appaiono drammaticamente «fermi» e le Agenzie per il
lavoro sono in crisi. Ci si preoccupa dello status di disoccupato, legato a sussidi, e del rifiuto di
accettare offerte di lavoro distanti, quando il punto oggi è fare incontrare domanda e offerta, il che
nell'era di Uber non dovrebbe essere tecnicamente impossibile.
Occorre prevedere e favorire emigrazione/immigrazione fra stati e fra regioni80. I laureati non
vengono assorbiti, disincentivando la formazione, aumento massiccio dell'emigrazione, anche
all'estero, declino economico e sociale. C'è un divario crescente fra aree metropolitane o comunque
urbane e le aree interne periferiche.
I numeri sono significativi (al netto delle nuove vulnerabilità invisibili) e l'intervento dovrebbe
essere immediato, si tratta di un «pronto soccorso». Al momento, la stragrande maggoranza fà da sè,
si rivolge al bar, al clan familiare/amicale, alla parrocchia, punta sulla ricerca casuale personale,
l'invio massivo di CV, si affida al passaparola e ai social network. Strumenti evidentemente efficaci,
ma inadeguati, inefficienti e iniqui in una società che pone il Life-Long Learning come diritto
universale: è come se il bisogno di cure mediche o psichiche fosse soddisfatto - come peraltro
avviene nelle comunità di immigrati cinesi - da un amico o parente medico, o cercando
informazioni sul web.
80 Detto cosi', pare provocatorio: ovviamente tengo conto dell'esigenza dei territori e dei soggetti di non
essere (ulteriormente) sradicati e impoveriti. E questo forse è alla base della rimozione del tema sopra
accennata e dell'atteggiamento in generale difensivo. D'altronde vedo che alla fine le persone,e le
famiglie, coraggiosamente si spostano, si buttano in nuove avventure, quasi per disperazione, e allora
perchè non fornire servizi di aiuto?
Il tema del lavoro intacca la carne e la vita di comunità, imprese e famiglie, riguarda il singolo
impiego, ma anche la «tenuta» sociale, la coesione dei gruppi sociali e dei territori, è welfare locale.
Da questo punto di vista la difficoltà di intermediare domanda e offerta di lavoro con servizi
pubblici avanzati è una «spia rossa del cruscotto», che ci segnala un grave disfunzionamento.
L'ORIENTAMENTO LONGLIFE
Altro tema, e servizio, parecchio sottovalutato. L'orientamento viene confuso con uno sbrigativo
primo (e unico) colloquio individuale di sportello, che invece dovrebbe dare informazioni, mentre è
un passaggio chiave, rivolto a tutti, di materializzazioen delle azioni, è pensabilità, desideri nuovi,
mobilitazione delle risorse, indirizzamento, chiusura del learning in chiave di azionabilità.
L'orientamento oggi è permanente, è favorisce ˝l'autonoma definizione di progetti e obiettivi˝,
progetti e obiettivi che sostengono capacità di functioning e benessere. Questo in linea con le teorie
sull'empowerment, la «capacit-azione» e le capabilities, cioè capacità di attivare (i vulnerabili),
combinare (assemblare o condividere) e agire (azioni comuni) risorse di community o personali. Da
questo punto di vista è centrale la garanzia di accesso a risorse comuni, fra le quali certamente
servizi di orientamento permanente, e, tramite altri canali indiretti, capacità riflessive di
autoorientamento, viste come attivazione di risorse interne. Attivazione (e mobilitazione) difficile
per chi, per motivi individuali, geografici o socio-culturali, è svantaggiato perchè ha minore accesso
ai canali e alle risorse pubbliche di orientamento, e ha meno risorse personali.
L'orientamento è servizio trasversale in grado di migliorare l'efficacia dei sistemi di istruzione,
formazione e lavoro, e in generale le vite, ed è servizio preventivo, da integrare nei sistemi locali di
welfare e in quello di sostegno allo sviluppo economico. Per analogia coi sistemi sociosanitari, è il
servizio di prevenzione, e quindi di ottimizzazione e migliore programmazione dei servizi, in
genere successivi, di aiuto e cura, ma anche quelli, sottostanti, di natura sociosanitaria e
socioeconomica.
Servizi basati anche su interventi, ben condotti metodologicamente, su piccoli gruppi. Un intervento
«psicochirurgico» di una tale delicatezza che non può che essere gestito da operatori esperti, anche
di sviluppo locale. Se collettiva (riconversioni) è in sostanza una sorta di ricerca-azione. Ne
consegue che occorrano team interprofessionali che comprendano formatori, assistenti sociali,
psicologi, esperti di sviluppo locale e orientatori, e non bastino servizi burocratico-amministrativi o
sportelli informativo-consulenziali. E l'intervento di sostegno economico segue, e non precede
l'intervento sociale. Non bastano quindi gli attuali servizi di orientamento e assistenza alla creazione
d'impresa o all'autoimpiego, nè molti dei progetti classici, che spesso rimangono alla semplice (ma
un tempo giustificata) logica dell'autoimprenditorialità degli anni '90. Ma non è nemmeno pensabile
ogni volta - per evidenti ragioni economiche - azionare progetti ad hoc per situazioni che in fondo
sono nella sostanza simili, come approccio di intervento. Ma soprattutto un servizio personalizzato,
e a maggior ragione un progetto ad hoc di riconversione, di rimotivazione, è un intervento di
dimensioni colossali, che richiede un supporto di attrezzature e il coinvolgimento (e il
coordinamento) di enti locali, parti sociali, scuole, volontari, associazioni, società civile, enti
correlati. E richiede una straordinaria sussidiarietà orizzontale e mobilitazione locale per «stare in
piedi», sia economicamente che tecnicamente. E solidarietà. Come avviene (con sempre maggior
fatica, però) nel settore socio-sanitario. E come avviene in altri paesi.
Mancano una consapevolezza e una strumentazione professionale diffusa e adeguata alla sfida dei
nuovi Servizi all'Impiego, e manca la mobilitazione dei corpi sociali intermedi locali. I servizi al
lavoro sono stati pensati negli anni 90 (non molto tempo fa per i tempi della politica), ma non sono
più tarati sul mercato del lavoro e sulla società attuale, stentano nell'interpretare il nuovo tipo di
lavoro e di imprese, i nuovi bacini di impiego, i desideri di nuove competenze, la nuova offerta.
Domande ma soprattutto desideri, individuali e collettivi, e soprattutto ambiguità di fondo, da
riconoscere e condividere, sono gli assi su cui fondare un intervento professionale, ma la loro
fluidità e fluttuabilità strutturale, rende impossibile un tradizionale percorso di analisi e
progettazione. Oltre alla differenziazione fra aree industriali dismesse, aree agricole, aree di
emigrazione/immigrazione, aree turistiche, aree metropolitane, aree interne ecc, la differenziazione
e individualizzazione degli interventi è strutturale. Per chi programma è un puzzle inestricabile, per
l'operatore la necessità di riflettere collettivamente.
Al legislatore e ai policymakers pubblici non pare chiaro quello che ci pare il punto chiave:
formazione, orientamento e consulenza, nei servizi, sono attività non solo integrate e
necessariamente molto professionali e complesse (che richiedono quindi robuste competenze psico-
sociali), ma anche pratiche che non si esauriscono (come prima) in attività tradizionali, ma che
proseguono nelle vite degli utenti e degli operatori, in forma di automiglioramento. Sono
servizi long-life, molto innovativi e molto costosi, come del resto costosi e innovativi sono
macchinari e competenze in sanità, o negli interventi sociali di empowerment di comunità. Ma per
realizzare quel minimo di economia di scala che la compatibilità finanziaria oggi richiede occorre
programmare servizi ripetibili e integrati. E' lo stesso tema che si pone in sanità o nel sociale, solo
che le cifre dei budget a disposizione hanno ordini di grandezza diversi. Occorre definire perciò con
molta chiarezza le competenze degli operatori nei servizi per l'impiego, e il ruolo di supporto degli
attori sociali locali e suscitare motivazione e autoapprendimento conferendo un ruolo strategico a
questi servizi. Per analogia: oggi serve una laurea per fare l'insegnante, il medico, l'infermiere e
anche l'assistente sociale: ruoli riconosciuti socialmente, e la società si mobilita in sussidiarietà. Ma
chiunque al momento può fare il progettista, il formatore, il consulente, il tutor o l'orientatore nei
servizi per l'impiego, salvo specifiche ad hoc, e il professionista stesso ha difficoltà a spiegare il suo
mestiere al cittadino. Questo ci pare chiaramente inadeguato alle sfide attuali, non è motivante,
riduce il servizio a uno dei tanti servizi pubblici, non ne coglie la strategicità e la criticità.
Occorrono anche nuovi luoghi per i servizi, sempre aperti, conviviali, con un bar e un calendario di
eventi quotidiani formativi, culturali e ricerativi, gratuiti, autogestiti. E orientamento ibridato in
questi eventi, nei flussi di vita, centrato su apertura, libertà. Urban center, biblioteche, cooperative,
banche dei lavori e dei saperi. Gestiti da associazioni, ma aperti alle collaborazioni per iniziative e
seminari/attività formative e culturali. Dove si passa per incontrare gli amici: postmoderne Case del
Popolo, attente sotto traccia al tema della formazione e lavoro. Al confine fra noprofit e pubblico,
welfare mix e progetti finanziati, con socializzazione, pooling e sharing. Dove ridefinire parole
come sicurezza sociale, disugualianze, la città, le amicizie, «i colleghi di vita», l'equità, la
performance. Luoghi belli, accoglienti con esclusi e dei risentiti., trasparenti, veloci, flessibili. Con
occasioni sociali d'incontro (convegni, cene, feste, musica). Con strumenti di monitoraggio, verifica
e controllo sulle azioni e sui servizi attuati e raccolta di idee da parte dei cittadini e tutoraggio su
base volontaria. Centri diversi anche nel nome, attenti alle idee, ai progetti, al lavoro autonomo, al
web. Utilizzare case private, sedi RAI, imprese, associazioni, teatri, musei, librerie, università,
biblioteche. Il cinema ad esempio è orientamento. Il Comune o i pubblici esercizi possono fornire
spazi, locali. Serve solo l'informazione su dove e quando andare, e meglio se si tratta di un evento e
non di un ufficio: siamo nella società dello spettacolo, l'ufficio è raramente spettacolare!.
Circoli di studio o del lavoro, Learners Week, community learning, scuole aperte la sera per
iniziative autogestite. Generare maggiore senso di controllo sul tempo di ricerca lavoro e
socializzarla. Rafforzare in positivo, e condividere, la consapevolezza del cambiamento necessario
(con attenzione a chi mostra resistenza a questo processo). Maggiore sinergia con i privati in area
cultura, sviluppo economico, sociale e istruzione. Utilizzare tecnologie come le comunità di
pratiche, tecniche video, baratto di servizi. O meglio, tutto questo c'è, ma non lo chiamiamo
orientamento long.life. L'utenza è amplissima, ma è isolata, poco raggiungibile con strumenti
tradizionali, poco motivata ad andare in un Centro per l'Impiego burocratico.
Ma davvero infinite sarebbero le azioni che un servizio pubblico rinnovato potrebbe innestare nei
sistemi sociali, in grado di sostenere le transizioni lavorative e sviluppare capacità progettuali di
lavoro e vita. Nuove Società di Mutuo Soccorso dove riprodurre prosumer consumati, circuiti
riproduttivi di co-abitazione, dove co-vivere e co-produrre, luoghi di riproduzione sociale. Dove
ricreare solidarietà al disoccupato, al relearner, dove riscoprire l'homo civicus, è una autostrada di
attività volendo.Il problema è raggiungere fasce di popolazione che non hanno servizi, non hanno
clan, non hanno web, sono in sostanza sole. C'è il problema dell'utenza non più giovane. Luoghi
dove comprendere le forze in campo, aumentare la consavolezza socio-territoriale delle proprie
azioni e del proprio lavoro, dare un senso sociale e interprenditoriale alla formazione, e anche al
contempo ricostituire giacimenti prosociali inariditi o sfruttati (fiducia nell'altro generalizzato,
amicalità e lealtà). Solidarietà è interesse vero, fraternità col diverso, interazione e non
omologazione, coabitazione e non empatia. Si rielaborano collettivamente o interindidualmebnte le
sconfitte, senza confondere pubblico e privato, o meglio confondendoli ma poi ricostruendoli.
I PROCESSI PARTECIPATIVI
La premessa è stata lunga, ma ci siamo avvicinati e comunque rimaniamo nel contesto: siamo
sempre nell'interfaccia interorganizzativa e di community e abbiamo ancora i nostri attori sociali,
utenti e operatori, perlopiù locali. Cambia lo strumento (qui non è un servizio, non è routinario nè a
progetto o a bando, ma è «eccezionale»), è negoziazione interorganizzativa è chiamata in
sussidiarietà del singolo cittadino. Strumento evoluto, anche se c'è ad sempre perchè partecipato dai
cittadini. Finalizzato alla messa a fuoco delle politiche relative ai servizi o ai lavori pubblici.
L'obiettivo è quello già delineato, cambia la strumentazione. All'estero, soprattutto in Nord Europa e
mondo anglosassone, la partecipazione è la norma, ormai non ha più un nome, è ovvia, la tradizione
partecipativa è secolare, è paradigma blasonato, forse semmai in calo di interesse per troppo uso. Da
noi, dopo il boom degli anni scorsi, siamo in una una fase di consolidamento delle innumerevoli
esperienze di processi partecipatici sui temi più diversi, animati da funzionari o esperti, in una
logica di «amministrazione catalitica» che coinvolge con tempi ristretti ma condensati
rappresentanti dell’utenza, esperti, ricercatori e organizzazioni nell'elaborazione di policy e
valutazione di servizi.
I processi partecipativi coinvolgono anche semplici cittadini (che arrivano senza essere invitatii
esplicitamente) e li rispettano, ascoltano, accolgono, li fanno crescere, ricostruendo al contempo una
legittimità dell'istituzione, che così supplisce alla crisi dei partiti. Cittadino «co-istruttore», che cioè
affianca l'amministrazione nel co-costruire soluzioni, co-amministratore volontario, prosumer
politico anche. Una manutenzione civica immateriale. Certo, il cittadino ha i suoi interessi privati,
ma talmente deboli, se solo personali,da essere in fondo neutrale e rappresentare l'interesse medio
generale. Questi miniaudit civici creano una elevata coesione oltre i gruppi primari e garantiscono,
più di quanto si possa pensare, anche deboli e opposizioni.
Sono il luogo della parola e del pensiero, dell'attenzione alla parola dell'altro, quindi sviluppano la
critica, delle altrui e proprie idee. Il clima è di vero ascolto, con tecniche ad hoc, e possiamo dire
che sono davvero palestre civiche in cui si passa dalla sudditanza alla cittadinanza. Si impara a
argomentare e convincere, finalmente non per vendere, ma per il bene comune, un livello ben più
alto di dibattito, di disputa democratica, e con un sano dissenso e votazioni e delibere proprio come
in un parlamento. Il cittadino si fà P.A. e impara a bilanciare interessi, a ponderare.
Nei processi partecipativi le organizzazioni coinvolte assumono necessariamente una logica
pubblica, non sono lì come privato (tavoli) ma come pubblico (come chiunque può andare, parlare o
solo ascoltare). Tranne i casi di sorteggio ovviamente.
Nei progetti e nei servizi invece, è bene sottolinearlo, non c'è il cittadino, né l'opinione pubblica: un
processo partecipativo è ben più aperto, pre-progettuale, pre.programmatorio. La lotta per
potere qui ha poco senso81. Non c'è bando da vincere, a meno di manovre sempre possibili. Il
significato è generalmente più giocoso, il piacere è produrre beni e risultati pubblici, il piacere della
convivenza col diverso, un senso anche di comune fragilità nel trattare temi complessi, l'esperienza
di essere in mano d'altri, di essere con altri nell'elaborazione di policy e valutazione pubbliche. E'
pubblicizzazione. Certamente non ripartendo da capo ogni volta, ma utilizzando risultati già
acquisiti. Cioè si inseriscono nel processo normale di elaborazione e valutazione, sono l'analogo di
un focus group, ma ben più significativo come numeri, serietà di metodologia, durata e importanza
degli argomenti trattati. L'importante è che la platea sia larga: è occasione da offrire a tutti, poi chi
viene viene.
Processi in fondo simili a microricerche partecipate lewiniane: capire una situazione in gruppo,
provare a cambiarla, e l'azione crea esperienza per l'azione successiva, senza distinguere fra esperti
e no. Non c'è alto e basso, dentro e fuori, è trasparente, è una unconference. E' solo limitata nel
tempo (in genere un giorno), proprio perchè aperta a tutti, ma si possono prevedere tempi più
lunghi (certo, rispettosi del cittadino che ha altri impegni, e questa è solo una delle sue molte
multiattività!). La comunità (qui territoriale) , o meglio alcuni cittadini e alcune organizzazioni,
81 In questo trae forza dalla sua debolezza, come il tgroup, potentissimo strumento, ma se ci si pensa a potere zero, gruppo fittizio.
riflette su sé stessa. Energie fresche, protagonisti inattesi. Come in una ricerca si scoprono molte
cose nuove. Anzichè un deludente compromesso è spesso una sana polarizzazione. Ponderare non è
sempre mediare, è esaminare le opinioni, poi decidere non necessariamente con un compromesso,
mantenendo vive le insurgencies. E' organo sociale (Donolo, 2007), è scelta politica chiara, quella
che il cittadino non è solo consumatore o solo utente, ma concorre a definire l'interesse pubblico,
anche se è opposizione assente nei parlamenti. E' riconoscere il cittadino esperto o rispettarlo se
inesperto o non allineato, è democrazia inclusiva. Per l'Assessorato alla partecipazione civica
stimola lavori extramercato, quote di tempo per la comunità.
L'uso di tecniche destrutturata (es Open Space) e dinamiche ben organizzate di gruppo aiutano a
riconoscersi nel processo che si vive, e a vivere (appunto) le carenze e i conflitti con estrema
serenità. Nel limite incontriamo davvero ciò che siamo, e qui il limite è la comunità, delle cui
mancanze si diventa per un momento confidenti. Esperienze molto benestanti, con elevata
sicurezza, controllo, sovranità e libertà. Il clima è avvincente, la sensazione è di avventura, ma con
un garante, il disaccordo è civile, si è fra uguali (davvero non capita spesso), si valorizza e non
punisce la creatività, serve in primis alle organizzazioni burocratiche, serve alla P.A. stessa in realtà.
Spazi analoghi ai Tgroup: là si impara a stare in gruppo, qui si impara a servire la propria
comunità e a abitare in un territorio, che oggi non è poi così ovvio perchè lo si cambia spesso o
non lo si tramanda, come non è ovvio il gruppo, che prima non c'era (il gruppo secondario o
terziario).
Serve a schizzare soluzioni, definire, controllare (se attuate) e valutare le policy passate, tradurle in
servizi, governare mercati, redistribuire risorse, produrre beni comuni. I temi sono per lo più
urbanistici, ma anche sociali, molto generali in genere o molto focalizzati, e comunque riguardano
temi concreti per i cittadini, scelte da compiere per il territorio, politiche chiave. Hanno un taglio
molto pragmatico e molto diverso dagli strumenti tradizionali, quali i tavoli di concertazione, una
assemblea o una ricerca di mercato. Assomiglia più a un Consiglio Comunale aperto su un team
chiave, in cui chiunque possa intervenire. Qui sosteniamo la superiorità dei processi partecipativi
perchè molto strutturati e metodologicamente specializzati, rispetto alla formazione, alla
concertazione, alle partnership, che hanno altri obiettivi.
Il processo partecipato recupera, in fondo, il costo psicosociale della precarietà di cui abbiamo
parlato (cioè la ricerca di sicurezza) ed è un diffusore di fiducia collettiva, una forma cioè di
sicurezza sociale, vera, solo certamente limitata. Un abitare lo spazio della mente (Marocci 1996).
Abitare con altri perchè è sempre più difficile declinare un noi non di parte, un noi oltre il collettivo,
il gruppale o l'individuale con interessi «particulari». E ovviamente questo è più rilevante se lo
applichiamo, esplicitamente, ai temi del lavoro, anche settoriali ovviamente.
I PROCESSI PARTECIPATIVI NELLA FORMAZIONE E LAVORO
Venendo ad rem, un processo partecipativo sul tema delle politiche del lavoro fa rientare
formazione e lavoro nella sfera pubblica e rendere pubblico il tema è una chiara scelta
politica, si pone esplicitamente il problema attrazione/perdita di risorse umane. E' uno
strumento associativo per la governance sociale, nel campo del Life Long Learning, il diritto più
strategico e meno affermato nello spazio europeo di cittadinanza.
Il cittadino ha qui interessi privati ma pubblici e interessi collettivi poco pubblicizzati. Può
contribuire a ricostruire una solidarietà condivisa e un quadro comune, può rattoppare gli anelli
deboli delle reti sociali su questo snodo, da un lato teorico ma dall'altro molto pratico, ma
certamente critico. Il tema è costruire (o non distruggere) valore aggiunto pubblico82, nei servizi e
nei processi partecipativi associati a questi servizi, come viene fatto in sanità, nei trasporti,
nell'urbanistica, settori certamente ugualmente strategici, ma certo un sottoinsieme di quelli
all'occupazione al Longlife learning. Traffico, politiche abitative, qualità della vita, servizi
scolastici, politiche giovanili, utilizzo di un immobile pubblico, qualità del lavoro, welfare
aziendale, politiche familiari impattano su salute, Longlife Learning e e occupazione. Ma qui
intendiamo un processo partecipato specifico sul tema, focalizzato83
“La partecipazione civica comporta una riorganizzazione dei vari ruoli politici e tecnici, in termini
di cultura, professionalità e, quindi, di capacità di impiego degli strumenti di ccntrollo in modo
innovativo e interattivo.Ruoli che non sono più orientati esclusivamente all'interno della struttura
oprganizzativa, ma indirizzati verso traiettorie più ampie..” 84
82 Sul public valute il frame di riferimento è il public value management (O'Flynn, 2007) di derivazione
australiana, fondato su fiducia, chiarezza, equità, e soprattutto dove si sottolinea il «management», la
gestione efficiente (e democratica) nel creare outcome.
83 I servizi alla formazione e lavoro sono una finestra sulla bontà delle politiche generali territoriali di
sviluppo, un indicatore di qualità delle politiche, che a sua volta inlfluenza il contesto ovviamente, ma è
un buon punto di osservazione per vedere se il sistema gira, è indicatore di contesto, al netto della sua
qualità che è diversa da territorio a territorio. Da questo punto di vista politiche nazionali di monitoraggio
dei servizi sono un fattore chiave, e i processi partecipativi locali servono per mettere a punto un sistema
di indicatori nazionali.
84 Pillitu, 2009, pg 30
Daniela Pillitu distingue qui due punti chiave: la creazione del valore e la partecipazione alla
creazione di questo valore. Un processo partecipativo può assumere la forma di valutazione
partecipata (delle policy e dei servizi, meglio insieme agli utenti), e costituire l'innesco di una
successiva ripianificazione: la catena del valore del ciclo pianificazione e controllo-azione. Ma
quale valore genera un processo partecipato in Formazione e Lavoro?
Informazioni
Competenze
Soluzioni inedite es volontariato civico
Policy
Uno stile di governance delle reti più raffinato, che può essere sia più decentrato che più
accentrato
Nuovi servizi
Condivisione di culture
Sottoreti tematiche fra organizzazioni, ad esempio su segmentazioni dell'utenza, su luoghi e
tempi per intercettare i vulnerabili, sui NEET (uno su tre fra i 20 e i 24 anni), sugli over45, sui
disabili
Il valore pubblico, il bene comune, è anche la coprogettazione, l'inclusione nei processi, perchè
è una miglioramento pubblico, trasparente. Università, scuole, imprese, ASL, Terzo Settore,
Comuni, Camere di Commercio, operatori, formatori, consulenti: ognuno vede un pezzo del
problema e contribuisce. Il tema è invece sliced, a fette: va ricostruito, in questo caso la salami
taktik 85 o la visione «parrocchiale» funzionano male.
Se ad esempio del processo si dà ampia pubblicità, sia prima che dopo, con tutti i media, si ha una
rilevante ricaduta sul territorio. Si mostra fisicamente che si è comunità. Inoltre oggi le
organizzazioni crescono non solo per competizione, ma soprattutto per imitazione, differenziazione,
gemmazione, integrazione. Cooperare spesso è una buona strategia come freno alla disintegrazione
e garanzia di «non retrocessione», di non rischiare di diventare inidonei. Condividere informazioni
e opportunità «in-attese» e «in-audite» funziona. Ad esempio un GAL, Gruppo di Azione Locale
rurale, opera (o dovrebbe operare così). Opportunità unica per il privato sociale. O penso ad una
evoluzione dei Piani di zona sociosanitari, in cui si vada oltre la cooperazione dei soggetti locali e si
entri sulle politiche, discutendole davvero..
85 Espressione nata negli anni 40 in campo politico e oggi adottata in pieno dal marketing: dividere
l'avversario
Il valore pubblico del processo partecipato (outcome, learning, innovazione, aumento di capitale
relazionale) va creato, identificato e monitorato, non solo in termini di risultati tangibili (meno
disoccupati), ma anche di ispessimento della rete sociale. Il valore in questo caso è strategico
anche perchè riusabile lateralmente (le reti vengono attivate su altri temi).
Il processo partecipato aiuta:
L'elaborazione delle policy e la sua valutazione in forma partecipata.
La programmazione, cioè l'elaborazione e valutazione di programmi (il grande escluso dei
processi di pianificazione e sviluppo), ovvero insiemi di progetti con macrobiettivi comuni, ad es un
programma di diminuzione delle disugugglianze di salute. Un programma si costruisce in genere
bottom up, condivendo regole comuni a più soggetti o funzioni, pubblici e privati, e nella messa in
comune diviene critica una elaborazione in piccoli gruppi. Una facile applicazione dei processi
partecipati alla fase, delicata, di programmazione.
La generazione e gestione di valore pubblico. Che viene creato, ma in forme scarse, private,
opache. Il processo partecipato serve alle organizzazioni private (e ai cittadini) per capire il loro
contributo, alla politica per essere più strategica e alla pubblica amministrazione per essere più
politica.
Uno spillover di inclusività e democrazia avanzata verso gruppi e organizzazioni private,
mentre nei servizi pubblici l'inclusività può assumere forme partecipative degli utenti. I disoccupati
non hanno sindacato: perchè non pensare a un gruppo di lavoro, un panel di utenti che elabori
proposte, esteso magari ai precari: anche l'utente dei servizi diventa quindi un tecnico-politico.
I processi partecipativi in campo formazione e lavoro, sono quindi:
inclusivi di civicness, imprese e formazioni sociali, come tutti
ma anche rilevanti community informali e temporanee di social innovation, dove creare
nuova solidarietà di cittadinanza mediante il confronto (e anche il conflitto) gestito, e questo è il
punto specifico
e soprattutto inediti spazi di ricerca-azione di «scioglimento» delle culture e di
socializzazione e co-ricostruzione di vocabolari e modelli condivisi. che integrano:
- saperi, pratiche e soluzioni
- valutazione e elaborazione di policy
- nuova programmazione e nuovi servizi di prevenzione
- servizi di community welfare
In sostanza non abbiamo solo una mera specializzazione tematica, c'è qualcosa in più dovuto al
particolare tema, che difficilmente si può affrontare in altro modo. Il processo partecipato
accende la sussidiarietà orizzontale e la mobilitazione locale, e integra saperi informativi,
orientativi, consulenziali, di assistenza e sviluppo prima separati rigidamente, e in particolare
sviluppo economico e sociale.
E' confronto di saperi vivi dei cittadini con saperi freddi degli esperti e neutri della PA. Consente
agli operatori in prima linea di conoscersi (pratica poco diffusa, se non nei soliti corsi di
aggiornamento) aumentando padronanza ambientale, crescita personale, scopo, relazioni positive
con gli altri, in una parola self-efficacy. . E' reengineering dei processi di vita, in chiave di
intervento pubblico sugli utenti, se vogliamo. Per il cittadino nella vita quotidiana il Work Life
Balance è affannosamente continuo, cioè in questo è competente, capisce che c'è da mediare
interessi. Il cittadino è terzo differenziatore fra interessi pubblici e privati. Nell'era della de-
differenziazione, ecco il nuovo differenziatore, che ricompone il problema, ha un punto di vista
diverso da tutti gli altri, li smonta e rimonta su base nuova, fa vedere punti in ombra, ad esempio si
studia e si lavora, non sono momenti separati, dal lavoro si passa ai lavori/competenze, ci si sposta
per lavoro e studio.
E' empowermernt di comunità perchè si accede a potere, cioè si può (dire la propria). Abilita, e
abitua i cittadini (esperti di LongLife Learning, certo solo di un pezzo, esperti di lavoro e sociale,
certo solo di un pezzo) al dovere inderogabile dell'Art 2, a prender parte alle decisioni, ai saperi
civili (ad esempio come organizzare il Centro per l'Impiego). Questo può migliorare il servizio ma è
soprattutto sviluppo locale. La comunità valorizza i prosumer che produce e li mette al lavoro per la
società - società, soci alla pari - perchè il prosumer è produttore di social innovation, solo che non
ha spazi dove dirlo, il Lavoro è a socialità limitata. Un processo partecipativo è lavoro. Occasione
particolare per tessere beni relazionali, «cena per farli conoscere», scambio di doni di
apprendimento laterale e riflessivo, e anche prove tecniche di sottoreti tematiche su segmenti
settoriali o della Qualità della Vita. Gli interessi nella Formazione e Lavoro non sono associati, c'è
un pulviscolo microimprese associazioni e freelance, e la precarietà invita piuttosto i microinteressi
a coalizzarsi, non a cooperare. Per le organizzazioni questa è una esperienza chiave, ad esempio per
il terzo Settore, per capire come democratizzarsi all'interno e allargare lo spettro visuale, costringe
le organizzazioni e le associazioni a «incivilirsi», a riflettere sulla partecipazione di utenti e
dipendenti, o partner. Il modello democratico-partecipativo si trascina, c'è un effetto kulisov, un
trascinamento dei frames.
E' qualità della vita di comunità, già dai sondaggi preliminari sui temi, stimola la fantasia, il
pensiero e l'intelligenza collettivi, è sharing di base di conoscenze e esperienze, appello alla
responsabilità sociale, è mutua riconoscibilità. Momento di valutazione serena e autocritica sui temi
critici. E' percezione e consapevolezza della dimensione territoriale – di comunità, sia pure
temporanea. Occasione di comunità, sperimentazione, una rete lasca che offre opportunità, non
intrappola perchè è reversibile.
Promuove la crescita di leader di community, agisce sui contesti, ha un effetto moltiplicatore.
Incentiva le partnership di progeto (ci si conosce) e i servizi integrati. L'azione chiave è ovviamenet
arruolare persone e organizzazioni interessanti.
E' servizio di community welfare sui temi sociolavorativo, ma non è burocratico, è chirurgia non
invasiva, che sa affrontare resistenze, prudenze, i renitenti alla leva civica, i non competitivi, i
precari-autonomi disillusi, che interviene sui gruppi sociali, che intreccia competenze di operatori e
cittadini, che sollecita l'accettazione sociale dei nuovi vulnerabili, è agorà in cui il “dia-logo” fra
pubblico (ekklesia) e privato (oikos) non è confuso, ma viene esplicitato.
E' di impulso al Terzo Settore (sia che fornisca servizi ai soci che a tutti comunque attore chiave),
a entrare maggiormente in questo ambito, sociale quanto l'assistenza (si pensi solo al nesso
disabilità – lavoro o disabilità-sviluppo di altre abilità). Dal treppiede (società civile-imprese-
pubblica amministrazione) si passa così a un più stabile tavolino a quattro gambe. Occorre del resto
una poderosa sussidiarietà orizzontale e mobilitazione locale per far «stare in piedi»
economicamente e tecnicamente i servizi, come avviene nel settore socio-sanitario.
E' abbozzo di rete prodromica ai progetti, inizialmente sperimentali, e poi servizi a regime. Questa
rete è da intendere non tanto come organizzazione o come network, ma davvero in senso letterale,
rete per catturare, sia i nuovi vunerabili che attori non dedicati, cioè organizzazioni che fanno anche
altro, come associazioni non profit e di volontariato, enti culturali e ricreativi, sportelli sociali ecc86.
86 Una iniziativa culturale o associativa innovativa, ben progettata e gestita, come ad esempio un ciclo di
film/dibattiti, un social trekking, un convegno con modalità partecipative inclusive, un concorso per
documentari, una fiera hanno ricadute significative sul riorientamento di competenze di cui si parlava
sopra, a volte molto maggiore di una azione di orientamento o di formazione pianificata «classicamente».
Detto altrimenti, molti, anche in ambito più commerciale, si occupano, senza saperlo, di Lavoro e
LongLifeLearning. Avere un ruolo pubblico e gestire una iniziativa pubblica innovativa e in senso lato
artistica e culturale - ma anche in fondo il solo pubblicizzarla come fà un esercizio commerciale
esponendo la locandina se pensiamo al caso limite - hanno a che fare con Formazione e Lavoro Pensiamo
ad esempio ai Circoli di Studio: esperienze autogestite in piccolo gruppo di autoformazione, in cui basta
una sede, un tutor a tempo parziale e chiamare un docente quando serve. Qui il problema principale è la
Ha, come si suol dire, effetti collaterali.
PROBLEMI
Il rischio? È soprattutto per la politica: il cittadino capisce che può “far da sé” e risorge il populismo
in vesti inedite, e la crisi dei partiti tradizionali aumenta87.
Perchè si fa poco (in formazione e lavoro) ? Ci sono poche esperienze, anche all’estero. Il discorso
è complesso - e a nostro avviso davvero sintomatico- certamente i territori chi partono per primi
acquisiscono un vantaggio. C'è la scollatura servizi-progetti finanziati (ancor più evidente perché
finanziano, come detto, spesso proprio i servizi). Nei progetti finanziati il processo partecipativo c'è
ma è opaco, esclude, molte organizzazioni invisibili non sono rappresentate. Si potrebbe inserirlo
nei progetti, all'inziio.
E' bridging e linking, certo non bonding di capitale sociale, è un pezzo, importante ma da solo non
serve.
Un rischio è avvantaggiare chi ha voice escludendo ulteriormente vulnerabili e invulnerabili: il
paradosso è che chi ne ha più bisogno non partecipa ( es migranti e loro associazioni, se non
invitate, certo) e quindi può essere molto abiltiante ma anche accomodante se punta a assorbire
conflittualità. Nulla di male, alla peggio è irrilevante.
A volte neutralizza il conflitto, tecnicizzandolo, coresponsabilizzando. Se il conflittoè reso opaco si
ha aderenza formale e decisioni inattuate o aperte a interpretazioni successive. Ci può essere una
mediazione politica dietro le quinte, una negoziazione spartitoria, un doppio gioco.
Piuttosto significative sono le resistenze, nelle P.A. e nel Terzo Settore, a riorganizzare funzioni
pubbliche, destrutturando e ristrutturando anche i ruoli. La messa in trasparenza di queste resistenze
sollecitazione: trovare le persone e sollecitarle a partire. La rete intesa come passaparola, locandine, web
ecc. è alla fin fine l'unico elemento critico. Ovviamente ci vuole un tutor-sollecitatore molto bravoe
contribuiscono allo sviluppo economico locale. Sono idee e energie che circolano e ne generano di nuove.
Sono incontri che si fanno o relazioni che si mantengono.lo sviluppo di sportelli, siti web, cooperative,
imprese e enti non profit, agenzie locali, associazioni, interventi strutturati di enti religiosi o volontari, e il
consolidamento di efficaci reti locali di servizi risponde meglio a esigenze di impiegabilità e di sviluppo
di competenze locali sulla tematica lavoro, cioè è a sua volta un bacino di impiego e di sviluppo di
competenze chiave assolutamente non trascurabile.
87 Ecco la strategicità dei PP per la politica che vuole restare protagonista, e dall'altro la necessità di rivedere i ruoli, con riferimento
alla separazione netta fra politici e amministratori, che deve sfumare.
è un passaggio chiave. Il processo partecipativo andrebbe fatto gestire ai funzionari PA stessi, come
compito normale loro, d'ufficio diciamo.
Un processo può essere certamente illumistico: perfetto ma inutile.
LO STRUMENTO E' GIA' POLICY
Non si può non notare infine un isomorfismo evidente fra i processi partecipati (in particolare
proprio nella Formazione e Lavoro) e i servizi per l’impiego e il long-life learning.
Selfassembly (unlearning e relearning), selfconstitution senza fine, incessante cambiamento e
choice, iniziativa, sviluppo, se vogliamo anche prestazione e successo, ma come antecedenti in
entrambi i contesti, e d'altronde le due sfere riguardano le vite dei soggetti. Le capacità ristrutturate
nel processo partecipato sono simili a quelle obiettivo (capacità di cambiamento, in sostanza). Del
resto i processi partecipati sui temi della salute o che su tali temi si sono incrociati, si sono
dimostrati community empowering, hanno sedimentato mutuo rispetto, riflessione critica, cura e
partecipazione di gruppo, e i soggetti che avevano a disposizione minori risorse hanno guadagnato
maggiore sense of control, cioè benessere, accesso e controllo sulle risorse, anche se scarse. Voler
vedere, voler cambiare, voler organizzare, desiderio del cambiamento sono tratti individuali ma
anche dei soggetti sociali.
Nei processi partecipativi le risorse vengono socializzate, diventano capacità di choice collettive.
Libertà collettive (uguaglianza declinata quindi in modo nuovo) e sicurezza individuale (solidarietà
e welfare nuovo) Libertà non come autonomia individuale ma autonomia nel relazionarsi al
contesto, essere o no veloci, relazionarsi di più o di meno, cogliere o meno le opportunità. Soggetto
più il suo ambiente, come in un gruppo. Libertà come potere desiderante.
In altri termini, il processo partecipato ha valore in sé, anche laddove non producesse un immediato
miglioramento dei servizi, o il risultato fosse scarno o poco significativo o compromesso al ribasso
a causa, ad esempio di conflitti fra gli attori partecipanti. Leggiamolo per differenza: un processo
partecipato in campo urbanistico (che sottende, lo ricordiamo, sempre lavoro e formazione) può
condurre a uno stallo se gli interessi in campo si annullano a vicenda. Ci sarà però, sicuramente,
uno spillover di condivisione del problema, community empowerment, coping di community, un
valore sociale che quando il processo partecipato riguardi servizi al lavoro e al long life learning è
proprio il problema da risolvere. Cioè participating è già un pezzo della soluzione, come in un
tgroup, o in esperienze hic et nunc avanzate, impari per il solo fatto di partecipare, o partecipi anche
se stai zitto, anzi ancora di più, e addirittura anche se va male, cioè il gruppo non si coagula.
Classico esempio di learning dal conflitto, capacità negativa, il processo anche se non va, produce
risultati, questo è significativo, perchè non è così nei tavoli che si bloccano su negoziati infiniti e
ottengono l'effetto contrario.
Ii processi partecipati sui temi del lavoro e dell'education sono una postura della vita aperta
all'avventura umana, senso del debito per chi ci ha preceduti e lascito per chi verrà dopo di noi,
quindi continuità, generatività di vite comuni, partecipazione alle storie d'altri. Il processo
partecipato sviluppa competenze organizzative ad ambito territoriale, e questo è un aspetto
simbolico evidente.
Il processo, apparentemente centrato sui cittadini, in realtà agisce, come detto, pesantemente sulle
organizzazioni partecipanti, anche quelle autoorganizzate e spontanee, comitati ecc.(che anzi spesso
promuovono il propcesso partecipato, sono comunità di pratica politica, certo molto localistiche).
Driver di questo empowerment e committment reciproco, e molto avanzato, la partecipazione dei
cittadini, figura nuova per l'assetto istituzionale del settore, e che a sua volta anche può essere
docente, orientator, assistente o consulente. Sviluippa una maggiore influenzabilità sugli eventi,
speranzosità, ascolto di altre organizzaioni e del cittadino, del potenziale territoriale inutilizzato.
Sviluppa senso di community, perchè sfuma l'interesse privato, è integrazione al livello superiore,
dunque benestante, includente, stimola agency, il condurre a termine (perchè temporaneo), aiuta a
imparare a tenere traccia, strutturare, esplorare, ascoltare, non escludera alcuna ipotesi,non eludere.
Siccome non si perde nulla, è solo guadagno, consente appartenza e estraneità poprio perchè non è
decisivo per decidere. Capacity building di soggetti e, per estensione, di interi territori, capacità
istituzionalmente affidata, col processo partecipativo, alla rete di attori sociali e politici territoriali.
Il processo chiarisce, ordina, organizza, si chiede/dà aiuto, è spendi-abilità. Legittima,
empowerizza e politicizza. E' strumentazione di sviluppo socio-organizzativo, sviluppa competenze
e virtù civiche come soppesare, esplorare sentendo le ragioni altrui, trovare soluzioni inedite e
creative.
LA METODOLOGIA ATM – Agorà per il Terzo Millennio™
Oggi, ed in modo abbastanza evidente anche in Italia, si assiste ad una marcata crisi della politica
(astensionismo crescente, disaffezione dei cittadini nei confronti dei partiti politici e delle
organizzazioni di rappresentanza, sempre convivendo con i risaputi limiti della democrazia indiretta
come modello sociale in grado di esprimere naturalmente libertà, trasparenza ed uguaglianza, per
tutti il disincanto democratico di Pierre Rosanvallon che teorizza la nuova «controdemocrazia»
(Rosanvallon, 2009): un cambiamento di paradigma sembra essere proprio alle porte per la nostra
attuale democrazia rappresentativa. E la crisi va anche oltre le differenziazioni di partito: la strategia
securitaria di un governo forte è spesso inefficace di fronte ai tanti problemi sociali, nelle proposte
del Partito Democratico la tag chiave indubbiamente è: partecipazione, anche se ancora pochi sanno
davvero come declinarla concretamente, vedi i problemi di integrazione tra partecipazione e
rappresentanza evidenziati anche dalle esperienze più recenti di mobilitazione locale.
Sembra allora sempre più delinearsi una nuova frontiera per la ricerca politica e associativa,
finalizzata al governo delle problematiche di rilevanza sociale: è rappresentata dallo studio delle
dinamiche e delle logiche di partecipazione, si riscoprono antichi metodi (come i Town Meeting
utilizzati dai coloni del New England nel ‘600) e molti altri metodi partecipativi che derivano anche
da contesti diversi (come la giuria dei cittadini di Ned Crosby che si ispira al processo giudiziario)
vengono sperimentati in varie parti del mondo intorno ad un nuovo concetto di democrazia più
deliberativa, (Lewansky, 2007) in grado di superare i limiti della rappresentatività in quanto
implicano, anche se solo parzialmente, un trasferimento reale del potere decisionale ai cittadini.
In Toscana c’è molto più che un fermento intorno al concetto di partecipazione: la Regione ha
approvato nel 2007, dopo un lungo ed attento percorso di costruzione anch’esso sufficientemente
partecipato (in cui è stato peraltro sperimentato il town meeting in occasione della manifestazione
Dire&Fare organizzata da Anci Toscana e Regione Toscana a Marina di Carrara nel novembre
2006), la legge 69/2007 che si propone di sostenere la diffusione e la sperimentazione di nuovi
modelli ed istituti partecipativi (Floridia, 2008). Uno strumento legislativo molto importante, di
esempio per tante realtà anche europee e non solo italiane per lo sviluppo di una nuova cultura
democratica, già utilizzato in molti contesti locali per sviluppare processi partecipativi di interesse
per la comunità. Eppure, se ripensiamo all’antica democrazia greca delle poleis, anche se la libertà
non era certo allora tra i diritti pienamente affermati (donne, schiavi e stranieri erano esclusi dalla
vita politica ad Atene), l’eguaglianza, o meglio l’isonomia - ovvero la parità di tutti i cittadini di
fronte alla legge - trovò piena espressione con l’affermazione di una vera «presenza politica» da
parte di tutti i cittadini (Vernant, 2005). Si svilupparono logiche partecipative di tipo diretto che, pur
disperse successivamente nel tempo anche per le crescenti complicazioni connesse alla tendenza
all’urbanizzazione, sembravano in quell’epoca quasi un esito obbligato per una qualunque forma
sociale: prevedevano circolarità delle funzioni per tutti i cittadini, meccanismi di sorteggio e
rotazione per le varie cariche pubbliche, il pieno diritto per ogni cittadino di esprimere liberamente
le proprie idee e proposte o di avanzare critiche dalla tribuna dell’Agorà.
Oggi siamo appena agli inizi di questo percorso di ricerca metodologico che, pur muovendo
dall’analisi del passato, non può escludere dalla sperimentazione le nuove forme della
comunicazione interattiva ora disponibili, che possono rivelarsi una grande opportunità di
partecipazione alla nuova res pubblica espressa dalla Rete. Qui sembra di rivivere quanto già
successo per tante tecnologie degli ultimi 20-30 anni: a cominciare dal portatile, al foglio
elettronico, al cellulare, al world wide web, neanche l’inventore era davvero consapevole
dell’utilizzo futuro !
Ed anche se, per un certo verso, l’innovazione tecnologica continua ad alimentare evidenti fratture
sociali (si pensi solo al problema del digital divide), oggi ci offre nuovi possibili luoghi di confronto
sociale: l’esplosione di social networking pervasivi come Facebook, indubbiamente ci può portare
in una nuova dimensione dove sviluppare nuove forme di democrazia partecipata.
Premesse per la sperimentazione
Il coinvolgimento e la partecipazione devono ovviamente iniziare dal territorio, dal basso,
dall’individuo per arrivare a poter dire con Tucidide ˝il demo è tutto˝ (Corcella, 1988), o per seguire
la teoria che Nicia formula per responsabilizzare i suoi marinai: ˝Gli uomini sono le città, non le
mura né le navi vuote di uomini˝.
Questa concezione personale dello Stato, magari in dosi più facilmente metabolizzabili dai nostri
attuali contesti associativi, politici o sociali, può essere la vera chiave di volta per ridefinire le
nuove logiche partecipative. Oltretutto presenta tantissime assonanze con quanto viene spesso
formulato all’interno delle tecniche manageriali più recenti (superata certo la fase tayloristica dello
sviluppo organizzativo, un po’ dappertutto nelle imprese moderne riecheggiano concetti di questo
tipo: ˝il cliente è re˝, ˝organizzazione per processi˝, ˝l’impresa è fatta soprattutto di persone e sono
le persone a fare un’impresa˝, ˝job-rotation e partecipazione˝, ˝coinvolgimento e gioco di squadra˝,
˝team building˝”, ˝la piramide rovesciata˝, ˝l’apprendimento organizzativo˝). In effetti, si potrebbe
ben dire che molte organizzazioni odierne, sia pubbliche che private, siano molto più democratiche
di tante nostre associazioni territoriali, sociali o politiche.
E’ questo il contesto in cui nasce ATM - Agorà del Terzo Millennio™88, una nuova metodologia
ideata per governare la partecipazione sociale, in grado di favorire e sviluppare un confronto
88 ATM – Agorà del Terzo Millennio™ di Luigi Taccone, marchio depositato nel 2008
democratico e costruttivo nello stesso tempo su problematiche di rilevanza sociale e di interesse per
la collettività. La sua logica di azione si ispira ai principi classici della democrazia e prevede
l’utilizzo di strumenti, metodi, tecniche e criteri, soprattutto di derivazione organizzativa, per
orientare efficacemente il coinvolgimento del territorio.
Essa si basa fondamentalmente sulle esperienze condotte in circa 30 anni di attività di consulenza,
formazione e sviluppo organizzativo per molte associazioni ed organizzazioni pubbliche e private
(di particolare interesse le esperienze relative ai sistemi di pianificazione, circoli per la qualità,
project management, gruppi di miglioramento, problem solving aziendali, metodiche sicuramente
tipiche per le aziende multinazionali anche se ancora non sempre molto diffuse in Italia).
Il primo campo di applicazione in cui questa metodologia è stata sperimentata riguarda la
problematica del Life Long Learning, un principio molto conosciuto in Toscana grazie anche alla
legge regionale 32/2002, il testo unico della normativa in materia di educazione, istruzione,
orientamento, formazione professionale e lavoro. Con questa legge è già stato quindi formalmente
istituito in Toscana il Diritto all'Apprendimento nei vari contesti - formal, no-formal ed informal - e,
su questo solco, diventano sempre più presenti le iniziative in tal senso: come la sperimentazione
del libretto formativo del cittadino, o dell’ILA (Individual Learning Account) o, soprattutto, la
definizione, oramai praticamente completata ed in fase di prossima attuazione, del Sistema
Regionale delle Competenze (dalla delibera regionale n.120/06 ˝Progetto regionale competenze˝,
alle linee guida di febbraio 2008 fino alle necessarie modifiche del regolamento di esecuzione della
32/02 in corso di deliberazione).
L’obiettivo di fondo è la piena valorizzazione delle competenze del cittadino, derivante dalla
necessità di affermare un valore socialmente riconoscibile e spendibile nei contesti non solo
formativi ma anche professionali. Quindi non solo il consolidamento dei processi nei contesti di
apprendimento formal (portfolio di competenze), ma anche l’esigenza di stabilire le basi per la
definizione concertata in ambito informal e no-formal (dove l’apprendimento non rappresenta la
finalità principale ma comunque deve essere osservato con un processo oggettivante che non
necessariamente implica la certificazione). E proprio in Toscana, un territorio già molto
caratterizzato da una notevole concertazione sociale, è necessario attivare un maggiore
coinvolgimento anche del tessuto sociale ed imprenditoriale, non solo della grande comunità di
operatori (della formazione, dell’orientamento, dell’istruzione scolastica ed universitaria) che è
chiamata ad operare per un cambiamento che si annuncia a dir poco rivoluzionario per il settore con
notevoli ricadute su tutto il contesto socio-economico (d’altronde al centro del dibattito c’è proprio
il cittadino nelle sue varie sfaccettature: studente, lavoratore, straniero, pensionato ecc.).
La sperimentazione metodologica è stata quindi avviata nella seconda metà del 2008 all’interno del
gruppo “Formazione Professionale” che si è costituito nell’ambito di AIF Toscana (Associazione
Italiana Formatori).
Attualmente l’Agorà sul LLL (Life-Long Learning), la comunità di operatori del settore della
formazione e dell’orientamento coinvolta in questo grande dibattito, è composta da diverse
centinaia di persone interessate in vario modo a contribuire allo sviluppo di nuove idee e soluzioni
per il mondo della formazione e del’orientamento. E' attiva anche su Trio, la piattaforma e-learning
di prima generazione della Regione Toscana ed è arrivata nelle biblioteche, nei centri di
orientamento o per l’impiego, dentro le facoltà universitarie, in ogni spazio aperto che sa di cultura
e libertà di espressione.
I risultati che il gruppo ha ottenuto nel campo del Life-Long Learning sono molto promettenti (dopo
un battesimo di fuoco con un brainstorming di gruppo tra una quarantina di persone, effettuato a
Firenze dentro la facoltà di Scienze della Formazione occupata, ed una bellissima cornice formata
dagli studenti universitari del collettivo molto attenti ed interessati).
Nel seguito sono succintamente delineati alcuni dettagli della sperimentazione della metodologia
ATM per il LLL: i principali criteri applicativi, come si è impostato il lavoro soprattutto sul piano
organizzativo, le relazioni interne alla comunità (con i facilitatori, il ruolo della cabina di regia, per
il coordinamento del problem solving e del problem setting, per la valutazione della qualità), le
dinamiche comunicative di interazione.
Architettura metodologica dell’Agorà
Vediamo innanzitutto quali sono i criteri minimi, gli invarianti adottati per realizzare un processo
democratico e partecipativo che vuole originarsi, essendo fondamentalmente modellato
dall’archetipo dell’antica Agorà, a partire dal basso. Da un punto di vista architetturale la
metodologia dell’Agorà si basa essenzialmente su pochi principi di fondo, oramai anche abbastanza
acquisiti per un qualunque contesto organizzativo di una certa complessità, almeno da un punto di
vista teorico.
In primo luogo occorre fare riferimento alle logiche dei sistemi di pianificazione e controllo ed agli
assetti organizzativi conseguenti ormai ampiamente utilizzati e consolidati (ad esempio, sistemi di
pianificazione e controllo in organizzazioni di grandi dimensioni o modelli di project management
per un’architettura multi progettuale (Taccone, 1987).
La prima caratterizzazione, il primo invariante per la definizione dell’architettura di una dinamica
partecipativa che si ispira all’Agorà è quindi quello che distingue due grandi livelli di azione: il
livello progettuale da quello multi progettuale, per dirla con un linguaggio meno teorico e più legato
alle metodologie ed agli approcci più attuali, la necessaria differenziazione che deve essere fatta tra
il problem solving ed il problem setting, laddove il punto critico ed essenziale dell’attenzione deve
rivolgersi sull’integrazione tra i due livelli.
Secondo pilastro dell’architettura metodologica, la piramide rovesciata, anche questo un principio
forse abbastanza inusuale per le nostre organizzazioni ma essenziale: qualunque forma
organizzativa si deve mettere al servizio della e per la comunità, tanto più vero in un caso come
questo in cui si cerca di modellare e di creare una forma organizzativa funzionale allo sviluppo ed
alla crescita culturale del network sociale.
Terzo principio organizzativo, l’estrema flessibilità e leggerezza che deve avere la struttura di
coordinamento, spesso anche detta cabina di regia.
Quindi solo tre criteri base che sono comunque sufficienti per delineare una forma architetturale
come quella schematicamente riportata in figura 1, dove appaiono evidenti:
Figura 1 - Architettura metodologica dell'Agorà
il simbolo della piramide rovesciata (la tipica forma organizzativa con cui il management si
mette generalmente al servizio del settore operation);
la linea di coordinamento che delimita l’ambito in cui opera la cabina di regia o il gruppo di
coordinamento, qui anche detto Theme Team (TT, termine già utilizzato in alcuni metodi come il
town meeting), rispetto al quale si svolge primariamente l’azione del problem setting (da notare: un
unico processo unitario che si svolge su un piano orizzontale);
le linee di sviluppo del problem solving vero e proprio che sono portate avanti in modo
verticale - quindi su piani di azione trasversali al precedente – e per una serie di direttrici scelte e
valutate dal TT, che costituisce pertanto il livello di coordinamento necessario e sufficiente per
gestire tutto quello che viene complessivamente prodotto nell’Agorà.
Entrambi i piani di azione – o, per meglio dire, le due tipologie di piani di azione - sono
completamente immersi nell’Agorà, non configurano delle strutture ulteriori o sovraimposte, ma
vengono formati, curati ed anche composti con le persone che appartengono alla comunità per la
quale esse stesse operano.
Questo è il vero principio chiave di questo approccio metodologico, un nuovo modo per vedere le
organizzazioni nascere dall’interno secondo una logica di antropizzazione sociale auto-organizzata:
non si tratta quindi di forme organizzative che si vanno a sovrapporre rispetto alla struttura sociale
esistente, ma di comunità sociali che vanno ad assumere, secondo una dinamica abbastanza naturale
che non deve essere mai forzata o imposta dall’esterno, una forma più funzionale per il benessere
della collettività.
Organizzazione e funzionamento dell’Agorà
Per capire concretamente come si costituisce un’Agorà e come essa si può organizzare per operare
al servizio della comunità, conviene seguire il suo sviluppo fin dalla sua fase iniziale, dove è
necessario formare il primo piano di azione e bisogna quindi ben comprendere quali sono le priorità
tra le varie attività possibili.
Qui occorre operare soprattutto attraverso il livello di gestione multi progettuale (ad esempio, in
molte organizzazioni – e peraltro anche da moltissimo tempo - è d’uso procedere prima di tutto ad
una raccolta delle idee, degli spunti e delle problematiche di maggior interesse, ma anche la tecnica
dei sondaggi è molto utilizzata in contesti sociali più allargati) che vuol dire, su un piano pratico,
individuazione da parte del TT di un insieme di tematiche prioritarie che appaiono, almeno in fase
iniziale, come le più significative.Ed in questa fase è fondamentale il contributo fornito dagli
stakeholder dell’Agorà per scegliere le tematiche principali, ovvero le prospettive rispetto alle quali
conviene affrontare, almeno inizialmente, il problema.
Nel nostro caso, il Life Long Learning, una problematica già aperta fin dalla strategia europea di
Lisbona 2000, trova una sua prima delineazione puntuale con la dichiarazione di Maastricht del
2004 (˝.. quadro delle qualifiche europeo aperto e flessibile ... basato principalmente sulle
competenze e sui risultati dell’apprendimento. Esso rafforzerà lo stretto legame fra i sistemi di
educazione e di formazione, costituirà il riferimento per la validazione delle competenze acquisite
attraverso percorsi non formali e sosterrà il regolare ed efficace funzionamento dei mercati del
lavoro europeo, nazionali, settoriali ..˝), una premessa di valore a tutte iniziative di cambiamento
attualmente in atto nei vari contesti nazionali ed europei.
Un forte problema quindi di integrazione tra mondo del lavoro ed education o, per usare il
linguaggio più tipico del sistema regionale toscano (ricordiamoci che questa Agorà è nata ed è
attualmente operante soprattutto all’interno del contesto toscano), integrazione tra istruzione,
formazione e lavoro, intendendo chiaramente tutte le altre varie sfaccettature esistenti, come la
formazione professionale o continua, l’istruzione scolastica, tecnica, superiore o universitaria.
Nel nostro caso, e se si vuole si potrebbe anche abbastanza generalizzare per altri problemi di
integrazione, sono state individuate quattro diverse prospettive, le prime due, essendo pregiudiziali
rispetto alle altre, con una priorità superiore dal punto di vista temporale. Esse riguardano aspetti
chiave per ogni problema di integrazione, a maggior ragione per un problema di integrazione del
mondo del lavoro e della formazione.
La prima tematica è legata al Contesto in cui è immersa l’Agorà, nel nostro caso un contesto fatto
soprattutto dall’Europa, dalle normative comunitarie e nazionali, da quanto fatto nelle altre regioni:
è quello che sinteticamente è stato denominato Lo Spazio Europeo dell’Apprendimento.
Seconda prospettiva prioritaria è il Linguaggio specifico che viene utilizzato nel settore, che deve
essere una base comune di riferimento per tutti i sistemi e gli operatori componenti.
Figura 2 - Le prospettive di analisi del problema
Ne segue una terza anche questa molto generale, costituita dalle Regole di funzionamento del
sistema che di volta in volta potranno essere analizzate secondo varie dinamiche e finalità,
perseguendo le priorità emergenti nel settore in termini di esigenze di definizione delle procedure o
delle regole presenti nel sistema oggetto di osservazione.
Quarta ed ultima dimensione collegata ai Valori specifici del sistema; almeno per questa Agorà
LLL, la scelta è ricaduta su una tematica cardine per lo sviluppo efficace di tutto il sistema
integrato, non solo estremamente urgente nel settore della formazione e dell’orientamento ma anche
particolarmente richiesta dalla stessa comunità di operatori.
Stiamo parlando della definizione delle Competenze professionali del settore, una linea di ricerca e
di sperimentazione aperta un po’ dappertutto – in Italia, solo in qualche regione si comincia ad
entrare in una fase di standardizzazione e normalizzazione – che sta conducendo all’individuazione
delle professionalità tipiche per gli operatori secondo un approccio per competenze abbastanza
universale per qualunque sistema di professionalità (dall’analisi dei processi organizzativi fino al
meta quadro europeo EQF).
All’interno di ciascuna di queste 4 aree problema, il TT – ovvero un gruppo ristretto di persone a
contatto anche con gli stakeholder del sistema in esame - ha il compito di individuare problemi
molto specifici e concreti, stabilendo tempi e modalità di azione, evitando sovrapposizioni,
cercando di curare le sincronizzazioni e le integrazioni tra i vari piani progettuali, lanciando di volta
in volta e coinvolgendo su questi piani (chiaramente più di problem solving che di problem setting)
tutti i contributi, le idee, le disponibilità che è possibile raccogliere all’interno dell’Agorà.
Nel nostro caso specifico sono stati inizialmente individuati quattro diversi problemi, uno per ogni
specifica tematica, con tempistiche di azione differenti anche se sono stati avviati tutti insieme ai
primi di novembre 2008 (nel riquadro è riportato il primo messaggio pubblicato dalla community
sulla piattaforma Trio).
Se questo descrive sia pur succintamente la fase di avvio, il resto è soprattutto governo dell’Agorà o
management di più gruppi di lavoro operanti in parallelo o in senso trasversale, ma sempre in modo
unitario ed integrato. In effetti, l’organizzazione interna si articola in un TT molto leggero a
struttura dinamica e geometria variabile, prevede giusto una figura – l’amministratore dell’Agorà –
che faccia da pivot, come coordinatore del gruppo, per tener conto di tutte le relazioni esistenti con
gli stakeholder e soprattutto con le figure necessarie per guidare i singoli problem solving, i
cosiddetti Facilitatori di Problema (FP).
Questi soggetti, il cui profilo professionale è per certi versi innovativo anche se possono
confondersi con altre forme di facilitazione oggi molto di moda, devono soprattutto possedere una
marcata competenza relazionale per supportare e promuovere le attività del gruppo di lavoro
mentre, anche in base all’esperienza avuta, non è molto importante se non hanno grandi conoscenze
specifiche in materia.
Una conoscenza non approfondita sulle varie tematiche affrontate potrebbe addirittura aiutarli a
Direttamente dalla 1° riunione operativa del gruppo di lavoro, sono avviati 4 temi di
approfondimento:
- IL LINGUAGGIO DELLA FORMAZIONE
- LE REGOLE DEL SISTEMA
- LO SPAZIO EUROPEO DELL'APPRENDIMENTO
- LE COMPETENZE DEL PROCESSO DI APPRENDIMENTO
Il METODO che seguiremo per affrontare queste problematiche è il seguente:
- affrontare un problema specifico alla volta
- con obiettivi di progetto concreti e risultati in tempi rapidi (non più di 3-4 mesi in genere)
- gruppo sempre aperto al contributo di tutti
- metodologia consigliata: brainstorming
- fasi di lavoro secondo il classico ciclo di problem solving (analizzare, progettare, valutare,
implementare)
- occhio anche al problem setting (decisivo per raggiungere obiettivi realistici)
Seguendo queste regole minime, avete piena libertà per organizzarvi come meglio credete,
di ogni gruppo io sono solo il vostro portavoce !
Buon lavoro ed a presto
Luigi Taccone
Coordinatore gdl FP
favorire il dialogo e lo sviluppo delle idee da parte dei componenti dell’Agorà, in quanto
consentirebbe loro di posizionarsi in modo più empatico e di essere meglio accettati nel loro ruolo
specifico. Il loro compito principale è comunque quello di promuovere il dibattito seguendo un
metodo abbastanza classico di analisi del problema /ricerca delle soluzioni (sono molti i riferimenti
teorici di metodo ai quali possiamo ispirarci, per semplicità qui ci riferiamo al metodo di
brainstorming o anche al ciclo P–D–C-A di Deming per la Qualità).
Può anche essere interessante ricordare varie esperienze condotte negli anni ’90 in associazioni
territoriali (come Api Toscana) o presso diverse imprese toscane (ad esempio, The Bridge di Firenze
o System di Livorno) in cui furono definite precise regole aziendali interne all’organizzazione
proprio per moderare, definire e svolgere in modo efficace e costruttivo un dibattito ordinato in
grado di portare soluzioni concrete verso il vertice aziendale.
Figura 3 - Il ciclo di brainstorming
Sempre sul ciclo del brainstorming, occorre qui sottolineare come la sua azione operativa si
sviluppa e si integra tra tutti e due i livelli di azione già precedentemente menzionati, cioè tra il
livello relativo alle azioni strategiche e quello relativo alle azioni più progettuali.
Pertanto, nelle varie fasi del ciclo, l’autonomia – ferma restando la tempistica e gli obiettivi
preassegnati - dei gruppi progettuali si avverte maggiormente nelle fasi di condivisione/descrizione
del problema e di ricerca/elaborazione delle soluzioni mentre, per quanto riguarda le fasi di scelta e
di implementazione, il ruolo del TT ritorna ad essere preminente, essendo chiamato a valutare le
soluzioni più efficaci ed a definire, anche se sempre in modo congiunto, le modalità implementative
più opportune.
Indubbiamente, quali che siano le varie differenze di approccio che il singolo caso problematico
potrebbe suggerire, il riferimento teorico principale va comunque ad H. A. Simon, premio Nobel
per l’economia nel ’78 per le sue ricerche pioneristiche sul processo decisionale nelle
organizzazioni economiche.
Sulle modalità con cui si sta svolgendo questo confronto, nell’ambito dell’Agorà LLL sono state
sperimentate forme diverse per il TT, ad esempio inizialmente operava un gruppo più stabile e
ristretto sostituito poi con una configurazione più dinamica, mentre gli stessi FP si stanno
alternando nella conduzione dei gruppi di lavoro denunciando comunque una buona flessibilità del
ruolo.
Livelli di interazione
Se è vero che sul piano organizzativo il funzionamento dell’Agorà sembra sufficientemente
governato, potendosi d’altronde rifare a criteri oramai ampiamente sperimentati (dalle modalità di
lavoro dell’antica polis greca, passando per lo scientific management fino ad arrivare alle teorie
organizzative più attuali come il toyotismo o la learning organization, sono molte le tecniche
consolidate anche in altri ambiti ed in grado comunque di sviluppare un alto livello di
partecipazione), sul piano invece delle modalità di comunicazione e di azione, o per essere più
precisi di interazione, ci vuole una certa attenzione applicativa anche per valutare appieno le
potenzialità offerte dall’attuale livello tecnologico.
Ma prima di esaminare gli aspetti tecnologici della comunicazione, occorre focalizzare quali sono i
processi o le funzioni fondamentali svolte in un’Agorà.
Ad un livello molto essenziale di rappresentazione, possiamo ridurre a solo tre tipologie le funzioni
fondamentali svolte all’interno dell’Agorà.
La prima è legata alla diffusione dell’informazione di base per tutti i componenti dell’Agorà, in
modo da creare ed alimentare un sufficiente livello di consapevolezza, premessa necessaria per il
dibattito e per la generazione delle idee: l’informazione è chiaramente una componente essenziale,
pregiudiziale per tutte gli altre, però non è la sola a svolgere un ruolo determinante. A questa si
associano, infatti, almeno altre due funzioni che devono essere ben esplicitate e strutturate
all’interno di un’Agorà proprio per garantire il massimo della funzionalità anche in termini di
trasparenza, produttività, efficacia e visibilità (anche verso l’esterno).
Si tratta della funzione cosiddetta di memoria, che serve per creare un minimo di ordine e di
consequenzialità nel processo partecipativo mantenendo una traccia chiara e sintetica di tutto lo
sviluppo del processo decisionale almeno in relazione alle sue componenti principali (risultati
intermedi e finali, momenti chiave, tempistica ecc.); e della funzione di sviluppo, comprendente
tutte le fasi di elaborazione, design e ricerca che ricorrono nei vari momenti di sviluppo della
creatività individuale, di gruppo e di progettazione congiunta.
Figura 4 - Funzioni fondamentali nell'Agorà
Questo schema, pur nella sua semplicità, può anche servire a rendere conto di molte esperienze
partecipative che, pur avviate con molto entusiasmo e superata anche una fase di diffusione tipica
quasi da contagio, lentamente rallentano e si vanno ad arenare nel disinteresse generale: le
chiamiamo di solito carenze di organizzazione, per essere più precisi, mancanza in qualche funzione
fondamentale (quella di memoria, ad esempio, è molto spesso sottovalutata, abbastanza comune per
i gruppi che nascono nella rete, ma in realtà è una funzione fondamentale per superare la gobba
evolutiva di un’ipotetica curva ad esse).
Ma se queste – Sviluppo, Informazione e Memoria (SIM) – sono le tre funzioni fondamentali che
occorre strutturare all’interno di un’Agorà, dobbiamo anche chiederci come le possiamo supportare
con le tecnologie odierne.
Intanto un cenno è doveroso per le tante tecnologie che, ad un livello anche più progettuale,
facilitano la cooperazione e la partecipazione (e non solo, ma anche la condivisione,
l’apprendimento, la co-progettazione) all’interno di un gruppo di lavoro, ad esempio il leggio
elettronico o la lavagna interattiva molto diffusa soprattutto all’estero (e qui si potrebbe ricordare la
sperimentazione condotta presso la CCIAA nel 2006 da Firenze Tecnologia con il Gruppo
Websemantico, dove furono confrontate tra loro varie tecniche, svolte in parallelo, di gestione di
gruppi e di brainstorming).
Ma aldilà di queste tecnologie specifiche, c’è da chiedersi, in termini più generali ed allargati, quali
coerenze tra media e finalità si debbano definire rispetto alle tre funzioni fondamentali, visto che le
modalità di comunicazione oggi possono essere attuate in vari modi, vi sono molte più possibilità
rispetto ai tempi degli antichi greci (che non per nulla imponevano dei precisi limiti demografici
alle loro città stato) potendo contare sull’evidente vantaggio dato dal collegamento a distanza.
Ad esempio, nella nostra Agorà LLL, per diffondere l’informazione di base in modo
sufficientemente diffusivo, viene per ora utilizzato soprattutto un sito web (che ha centinaia di
contatti quotidiani e delle news periodiche - ogni quindici giorni circa – per informare sui fatti
salienti e preparare agli eventi successivi). Si cerca soprattutto di informare su cosa sta
effettivamente succedendo nel settore, ci si limita sulle interpretazioni di parte, l’obiettivo è
innalzare il livello di attenzione ed accrescere la consapevolezza nella comunità: però tutte queste
cose, che rappresentano nient’altro che la Comunicazione di base per la comunità, possono
benissimo essere attuate in altri modi (immaginiamo ad esempio possibili Agorà gestite da un ente
locale con la propria pubblicazione istituzionale o da un’associazione o un’organizzazione privata
di medie dimensioni attraverso il loro giornale interno).
Per quanto riguarda poi la funzione di sviluppo, esiste una dimensione di confronto che è
indissolubilmente legata all’interazione diretta, alla Piazza, la piazza certo non virtuale, ma quella
reale che si deve animare attraverso i dibattiti o le discussioni di gruppo, irrinunciabile per lo
sviluppo del momento dialogico ed indipendentemente dalla dimensione complessiva di tutta la
comunità (anche in una grande multinazionale in un certo momento della giornata possono essere
attivi anche 100 gruppi di miglioramento, ma ciascuno di essi è sempre costituito da un numero
limitato di persone, generalmente da 4-5, al massimo 10 persone: solo così è possibile avere un
confronto reale ed inclusivo, senza contrapposizioni di parte, permeato da valori come l’ascolto
degli altri ed orientato alla formazione delle proprie opinioni, dal quale successivamente possono
scaturire idee e soluzioni condivise).
Quindi la piazza intesa come il tavolino del caffè, la piazza aperta, la biblioteca, uno spazio
qualunque a disposizione ma che va scelto in modo opportuno: anche la logistica è una dimensione
molto importante della metodologia.
Per restare alla nostra Agorà LLL, molto significativa è stata ad esempio la prima riunione svolta
all’interno della facoltà di Scienze della Formazione occupata, così le riunioni organizzate presso il
Centro per l’Impiego (molto stimolante è Novolab, un centro innovativo creato all’interno del polo
universitario fiorentino) o all’interno delle biblioteche: se aumenta la coerenza della dimensione
logistica, si possono creare nuovi stimoli e sinergie ulteriori per lo sviluppo e la generazione di
nuove idee.
Se la generazione delle idee avviene nella piazza reale, indubbiamente può esistere anche un livello
di generazione collettiva (la creatività connettiva, come la chiama Carlo Infante). Personalmente
credo vi siano ancora dei limiti a tutto questo, la generazione della creatività condotta
esclusivamente attraverso il mezzo tecnologico sembra far parte più del futuro del web (fino alla
realtà virtuale più avanzata ed immersiva) anche se sembra una linea di ricerca tra le più
promettenti.
Ma se il livello tecnologico attualmente disponibile presenta dei limiti sul piano della concreta
applicazione metodologica, sicuramente oggi è ampiamente in grado di assolvere la funzione di
memoria, di tenere traccia del processo decisionale e partecipativo e farne una sintesi strutturata:
basta il Web 1.0 ! Nell’Agorà LLL questo è stato ottenuto grazie alla piattaforma web learning Trio
della Regione Toscana che ha dedicato alle attività del gruppo un intero forum dove sono
memorizzati gli elementi essenziali di tutti i vari problemi lanciati e discussi nella comunità, i
risultati conseguiti, gli appuntamenti principali.
Questo è un tipo di comunicazione che si differenzia rispetto al primo relativo alla diffusione
dell’informazione: qui vanno considerati soprattutto i risultati del lavoro sul campo ed il calendario
temporale necessario per seguire la successione dei vari impegni, sostanzialmente per “tenere
traccia della vita dell’Agorà”.
Eppure, anche se abbiamo coperto in questo modo le tre funzioni principali con tre livelli di
interazione e di comunicazione in modo abbastanza schematico e coerente, manca ancora una
componente comunicativa fondamentale, che tutti noi utilizziamo in tante dinamiche sociali e
partecipative ma che spesso ci dimentichiamo di progettare e strutturare alla stessa guisa delle altre.
È la componente informale che, come rappresentato in figura, determina la definizione di altre due
modalità comunicative di interazione.
Figura 5 - livelli di interazione comunicativa nell’Agorà
Una è quella del Pettegolezzo, la dimensione naturale della relazione diretta ed informale che può
essere ottenuta in molti modi, attraverso un momento di convivialità, una cena, una simpatica
spettegolata, un momento di socializzazione, tutti necessariamente al di fuori di quelli che
precedentemente abbiamo riportato nel concetto della piazza.
Ed un’altra componente informale più relazionale, da vedere sempre in modo poco strutturato ma
comunque ben definita sul piano metodologico, è quella che si può realizzare in ambiti tecnologici
Web 2.0 attraverso reti associative (professional network come linkedin o social network come
Facebook); entrambe servono ad irrobustire e potenziare lo scambio integrato ed i rapporti di
relazione tra le funzioni fondamentali del SIM.
Si viene così a configurare un quadro complessivo composto da ben 5 diversi canali di
comunicazione possibili: l’Agorà di per sé non li richiede tutti e cinque insieme (d’altronde le agorà
funzionavano bene anche in tempi antichi pur con certe limitazioni; da notate inoltre, in una specie
di confronto epocale, che la vera differenza con il passato non è sul piano delle funzioni ma su
quello delle modalità di interazione, essendo chiaramente assenti a quei tempi le modalità connesse
al web, ovvero quelle posizionate in figura sulla destra), ma è chiaro che l’utilizzo combinato ed
integrato dei vari canali comunicativi permette di creare delle Agorà molto più potenti, funzionali,
produttive ed efficaci.
In definitiva, con l’attuale livello tecnologico, sono già disponibili e possono essere
opportunamente progettate ben 5 diverse modalità di interazione:
1. la comunicazione di base per soddisfare le esigenze informative della comunità, da attuare
attraverso le funzioni base della rete (siti, pagine html, e-mail, blog) o con mezzi più tradizionali,
come i prodotti cartacei;
2. il gruppo di confronto reale in piazza, il lavoro coordinato da un FP specifico che si svolge in
contesti definiti in modo coerente rispetto alle tematiche di discussione (il luogo può deprimere o
stimolare ed esaltare la creatività);
3. una piattaforma web strutturata in grado di tenere traccia in modo ordinato della vita dell’Agorà
e dello sviluppo del processo decisionale svolto all’interno;
4. l’interazione sociale più informale come un’occasione conviviale, una simpatica cenetta, una
spettegolata (”la democrazia è chiacchierona”), quindi va alimentata anche o forse soprattutto con
chiacchiere);
5. il web 2.0, ovvero l’utilizzo di reti social network come fb o linkedin che possono facilitare
relazioni e espressioni meno formali da parte di chiunque, esplorando e ricercando le informazioni
anche in altre comunità.
Cinque canali diversi, cinque protocolli di comunicazione interconnessi tra loro che si rafforzano
reciprocamente rispetto alle funzioni che sono chiamati a svolgere, e che non sono mai alternativi
tra loro: in realtà ognuno di loro può andare a coprire solo alcune parti del modello funzionale
(utilizzarne solo uno di questi forzandolo ad assolvere tutte e tre le funzioni SIM previste, porta
sicuramente ad un insoddisfacente funzionamento dell’Agorà).
Questo non vuol dire che un’Agorà deve usare tutti i canali di comunicazione possibili, ma quanto
più riesce a combinare le potenzialità dei vari canali, tanto più diventa efficace. In questo senso è
facile capire perché alcuni gruppi di discussione, magari lanciati solamente su facebook, finiscono
presto per isterilirsi, oppure perché certe iniziative di processi partecipativi, pur gestite con un sito
web apposito, pecchino di trasparenza o di condivisione per tutta la comunità potenzialmente
interessata.
C’è infine un’ultima questione propriamente metodologica, connessa alla Valutazione della qualità
del funzionamento dell’Agorà.
L’efficacia complessiva dell’Agorà si misura da una sola prospettiva ed in vari modi: dal punto di
vista delle soluzioni che produce, della loro efficacia e validità, dalla loro valenza, dall’attenzione
che riserva loro il tavolo politico o amministrativo, in ultima analisi da quanto si riesce ad incidere
sulla formazione delle politiche e delle decisioni su aspetti di interesse dell’Agorà stessa.
Questa descritta corrisponde principalmente alla valutazione effettuata da un osservatore esterno,
spesso con logiche ex-post e marginalmente anche in itinere: certamente deve essere accompagnata
anche da criteri gestionali di regolazione e controllo in grado di monitorare in modo continuativo
l’andamento ed il funzionamento dell’Agorà. Va pertanto definita anche una dimensione specifica
in grado di rappresentare l’efficienza interna di funzionamento: i criteri che abbiamo attuato,
almeno nella sperimentazione dell’Agorà LLL, si rifanno al grado di astensione, alla capacità di
allargare il consenso e la partecipazione, ai feedback ricevuti dagli stessi stakeholder ed
all’affidabilità stessa del processo sia nel saper rispettare i tempi assegnati, sia nel saper conseguire
i risultati previsti.
Osservazioni finali
E' possibile tracciare un primo bilancio di questa sperimentazione metodologica, anche in termini
dei risultati finora ottenuti rispetto ai criteri di assicurazione qualità precedentemente delineati.
Inizialmente siamo partiti con un gruppo di una decina di persone in ambito Aif Toscana, ed oggi le
news raggiungono diverse centinaia di operatori con una diffusione indiretta che va ben oltre il
numero degli utenti diretti. Le attese e le aspettative sono cresciute notevolmente, sono sempre di
più gli operatori del settore ad informarsi e ad attendere con curiosità ed interesse risultati anche
parziali.
Da un punto di vista dei livelli di funzionamento in termini di rispetto della tempestività e della
affidabilità del processo, per ora i risultati sono molto soddisfacenti (certamente la sperimentazione
è stata abbastanza facilitata per il fatto che il gruppo iniziale del TT era molto competente in
materia: questo può essere un limite per la funzione del FP, ma è una grande garanzia sia per la
corretta impostazione del lavoro in fase iniziale sia per definire il giusto network relazionale con
tutti gli stakeholder).
Da un punto di vista metodologico, appare evidente anche la necessità di ulteriori sperimentazioni
in altri campi di applicazione o su comunità che non siano solo comunità ristrette o limitate a certe
categorie di operatori (anche se in questo caso l’Agorà LLL richiama potenzialmente diverse decine
di migliaia di operatori solo in Toscana) ma siano più larghe ed aperte ad una varietà maggiore di
componenti.
@Lè è un esempio importante di come i processi di cambiamento possono e devono partire
necessariamente dal basso per intercettare la voglia diffusa di fare qualcosa di concreto per lo
sviluppo del proprio territorio (qui da segnalare anche il percorso partecipato condotto
dall’assessore Cristina Bevilacqua per definire il regolamento per la partecipazione nel Comune di
Firenze).
Insomma, un nuovo demos sembra farsi strada, forse casualmente o forse causalmente, quasi fosse
la vera risposta all’attuale crisi di valori, ma anche a quelle finanziarie, climatiche, ambientali e
sociali.
Riferimenti bibliografici
A.A. V.V. (2007) Benessere, territorio e reti della solidarietà. Analisi dei piani sociali di zona
attivati nel Lazio ,Casa dei Diritti Sociali, FOCUS 2007
A.A.V.V .(2008): Community engagement to improve health, National Institute for Health and
Care (UK)
Accornero A. (1997): Era il secolo del lavoro, come era e come cambia il grande protagonista del
900, Bologna, Il Mulino
Ambrosini M (2005): Scelte solidali L'impegno per gli altri in tempi di soggettivismo, Bologna, Il
Mulino
Anders G. (2003): L'uomo è antiquato, Torino, Bollati Boringhieri (ed. orig. 1956)
Andersen S.H.(2008) : The short and long term effects of goverment training on subjective
weelbeing, in European sociological review, n. 24, 4
Antonowsy A (1987): Unrevealing the mastery of health: how people manage stress and stay well,
S. Francisco, Jossey-Bass
(a cura di) Arena G., Cortese F.(2011) : Per governare insieme: il federalismo come metodo. Verso
nuove forme di democrazia. Dipartimento di Scienze Giuridiche Università di Trento, Milano,
CEDAM
Ardigò A (1980) Crisi di governabilità e mondi sociali, Cappelli, Bologna
Arendt H. (1964): Vita activa, Milano, Bompiani (ed. orig. 1958 The Human condition)
Argyris C., Schon D. (1998). Apprendimento organizzativo. Milano, Guerini.ed orig 78
Avallone F. & Paplomatas A (2005): Salute organizzativa. Psicologia del benessere nei contesti
organizzativi, Milano, Cortina
Aubert N. (coord.) (2010): La societè hypermoderne: rupture et contradictions, Parigi, L'Hermattan
Ballard J.G. (2003) Condominium, Milano, Feltrinelli, (ed. Orig. 1975)
Bauman Z. (1992): Intimations of postmodernity, London, Routledge
Bauman Z (1997): Postmodernity and its discontents, Polity Press, Cambridge (UK)
Bazzicalupo L. (2006): Il governo delle vite. Biopolitica e bioeconomia, Bari, Laterza
Beck U.(2000): La società del rischio Verso una seconda modernità, Roma, Carocci
Beller J. (2006): The cinematic mode of production-attention economy and the society of the
spectacle, Dartmouth College Press
Bennis W.G., Slater P.E (1998):The Temporary Society, Jossey-Bass Publishers, (ed. Orig.1968)
Bennis W.G. (1969): Organization development: its nature, origins and prospects, Addison Wesley
(a cura di) Bifulco L. e Facchini C. (2013): Partecipazione sociale e competenze, Il ruolo delle
professioni nei piani di zona, Reciproche rappresentazioni di pubboiche aministrazioni,
professionisti e associazioni, F Angeli, Milano
Biocca M. (2006) : La partecipazione come costruzione sociale. Incontri con i protagonisti.
Cittadini competenti costruiscono azioni per la salute, Milano, Angeli
Bologna S. (2011): Vita da freelance, Milano, Feltrinelli
Bobbio L. (2004): A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei
processi decisionali inclusivi. ESI, Napoli
Bonaretti, M. (2005): Governo locale e innovazione organizzativa: le amministrazioni in
trasformazione, in RU-Risorse umane nella P.A. n. 2
Bonazzi G. (2002): Storia del pensiero organizzativo, Milano, Angeli
Bonomi A., Rullani E. (2005): Il capitalismo personale, Torino, Einaudi
Borghi V. (a cura di) (2002). Vulnerabilità, inclusione sociale e lavoro. Contributi per la
comprensione dei processi di esclusione sociale e delle problematiche di policy. Milano: Angeli.
Bresciani P.G., Franchi M (a cura di) (2006): Biografie in transizione. I progetti lavorativi
nell'epoca dellla flessibilità, Milano, Angeli
Brunod M (2007): Aspetti metodologici della progettazione partecipata , n Spunti n. 9, Studio APS
Caldarini C (2008): La comunità competente, Roma, Carocci
Caligor E., Kernberg O.F. & Clarkin J.F. (2012): Patologie della personalità di alto livello, Milano,
Cortina (ed orig. 2007)
Capranico S. (1992): In che cosa posso servirla? Idee e cultura per le organizzazioni di servizi,
Milano, Guerini
(a cura di) Carboni Simona e Fondazione Volontariato e Partecipazione (2013) Crisi economica e
vulnerabilità sociale. Il punto di vista del volontariato, CESVOT, Firenze
Castel R (2011): L'insicurezza sociale, Torino, Einaudi (ediz originale 2003)
Catania D.,Zucca G. (2008): “Ieri,oggi,domani. Flessibilità occupazionale e corsi di vita” , Enaip
Formazione e Lavoro 2
Celli P.L.(1993): L'impresa: dieci parabole sull’azienda che sta cambiando, Milano,
Sperling&Kupfer
Cerrina Feroni S. (2013), : L'interfaccia C come “zona di passaggio” al benessere territoriale in
atti, I Convegno nazionale “Qualità della vita: territorio e popolazioni”, Centro Studi CISL Firenze,
Associazione Italiana per gli studi sulla Qualità della Vita
Cerrina Feroni S. (2014) ”Benesserismo forzato: dal “diritto a perseguire la felicità” alla “spinta
gentile” verso l'ultrabenessere in atti V Convegno nazionale Società Italiana di Sociologia della
Salute (SISS) “Le sfide della Sanità Italiana tra crisi strutturali e social innovation “- Sessione 3:
“Benessere e disagio sociale: l'attività redistributiva dei servizi di welfare, Università di
Roma/Senato della Repubblica
Cerrina Feroni S. (2015): ”Processi partecipativi inclusivi per integrare servizi socio-sanitari e
servizi per le Politiche Attive dei lavori e del LongLife learning”, in atti VI Convegno nazionale
Società Italiana di Sociologia della Salute (SISS) “La costruzione della salute nel welfare socio-
sanitario. Nuovi scenari e pratiche sociologiche
- Sessione : “Cittadini protagonisti di buone pratiche sociali per la salute”, Università di Pisa
Codeluppi V. (2008): Il biocapitalismo. Verso lo sfruttamento integrale di corpi, cervelli e
emozioni, Torino, Bollati Boringhieri
(a cura di) Colozzi I (2012), Dal vecchio al nuovo welfare percorsi di una morfogenesi, Angeli,
Milano
Conley D. (2008): Elsewhere USA. How we got from the company man, family dinners and the
affluent society to the home office, the blackberry moms and economic anxiety, Pantheon Books
(a cura di) Coppo A., Tortone C. (2011): La progettazione partecipata intersettoriale e con la
comunità, DORS, Centro Regionale per la Promozione della Salute , Torino
Corcella A. 81988): Storici greci, Laterza
(a cura di) Giuseppe Costa, Maurizio Bassi, Gian Franco Gensini, Michele Marra, Anna Lisa Nicelli
e Nicolas Zengarini , (2014) L’equità nella salute in Italia. Secondo rapporto sulle disuguaglianze
sociali in sanità, Fondazione Smith Kline, Angeli, Milano
Costa G (a cura di) (2009): La solidarietà frammentata. Le leggi regionali sul welfare a confronto,
B. Mondadori
Coutts A.P. (2009): Active labour market programs (ALMPS) and health: an evidence bas, in
Marmot Review
Creed P.A., MacIntyre S (2002) The relative effects of deprivation of the latent and manifest
benefits of employment on the wellbeing of unemployed people, in Journal of Occupational Health
Psychology 6, 4
Crichton M. (2010): Preda, Milano, Garzanti (ediz originale 2002)
(a cura di) D'Albergo E., Segatori R. (2012) “Governance e partecipazione politica. Teoria e
ricerche sociologiche”, Angeli, Milano
D'Andrea D. (2005) L'incubo degli ultimi uomini. Etica e politica in Max Weber, Roma, Carocci
Davenport J. , Beck J.C. (2001): The attention economy: understanding the new currency of
business, Harward Business School Press
(a cura di) De Luigi N., Martella A., Zurla P. (2010): Pratiche di governance tra welfare e sistemi
locali di produzione. Sfide e opportunità, Angeli, Milano
(a cura di) De Maria F (2000) Psicologia della convivenza. Soggettività e società, Angeli, Milano
De Martin G., Bolognino D. (a cura di) (2010): Democrazia partecipativa e nuove prospettive della
cittadinanza, Wolter Kluwer
De Michelis L. (2010): Società o comunità. L'individuo, la libertà, il conflitto, l'empatia, la rete,
Roma, Carocci
De Michelis L. , Leghissa G. (a cura di) (2008): Biopolitiche del lavoro, Roma, Mimesis
DiNallo E., Guidicini P., La Rosa M (a cura di) (2003): Identità e appartenenza nella sociatà della
globalizzazione, Milano, Angeli
Drucker P. (1954). The practice of management. New York: Harper & Row.
Dryzek J.S (2000): Deliberative democracy and beyond, Oxford
(a cura di) Donati P. , Colozzi I (2007) Terzo settore, mondi vitali e capitale sociale, Angeli, Milano
Donolo C. (2007): Sostenere lo sviluppo ragioni e speranze oltre la crescita, Bruno Mondadori
Easterlin R. (1974): Does economici growth improve the human lot? Some empirical evidence in
David, P.A , Reder M.W (eds) Nations and Households in Economic Growth. Essay in honour of
Mose Abramovitz New York, Academic Press.
Ehrenberg A. (1999): La fatica di essere sé stessi. Depressione e società, Torino, Einaudi (ediz
originale 1998)
Esposito R. (2004): Bios. Biopolitica e filosofia, Torino, Einaudi
Fabris G. (2008): Societing, Milano, EGEA
Ferrari F. (2006): La voglia di dare, l'istinto di avere, Milano, Angeli
Ferrera M (2013): Neowelfarismo liberale: nuove prospettive per lo stato sociale in Europa in Stato
e Mercato 97, Aprile
Floridia, A. (2008) “Democrazia deliberativa e processi decisionali: la legge della Regione
Toscana sulla partecipazione”, Stato & Mercato, n.1
Fischer A.T., Sonn C.C, Bishop B.J (2002): Psychological sense of community. Research,
applications and implications , Kluwer academic / Plenum Publishers NY
Foucault M. (1998): Le tecnologie del sé, Torino, Bollati Boringhieri (ediz originale 1992)
Fraccaroli F. & Balducci C (2011): Stress e rischi psicosociali nelle organizzazioni Bologna, Il
Mulino
Fumagalli A. (2009): Bioeconomia e capitasimo cognitivo. Verso un nuovo paradigma di
accumluazione, Roma, Carocci
Fung A. (2004) Empowered participation: reinventing urban democracy, Princeton UP
Granovetter M. (1974) :Getting a job: a study of contacts ancd careers Cambridge UP
Gorz A (1997): Misères du présent. Richesse du possible, Galilèè, Parigi
Goodin R.E. (1985): Protecting the vulnerable. A reanalysis of our responsibility, Univ. Chicago
Press
Guetta S.& Del Gobbo G.(2005):I Saperi dei Circoli di Studio, Tirrenia, Edizioni del Cerro
Hardin J.G. (1968): The tragedy of Commons in Science n. 162
Hirshmann A.O. (1970): Exit, voice and loyalty, Response to decline in firms, organizations and
states, The Presidential fellows of Harward College
Holmqvist M. & Maravelias C. (2010): Managing healty organizations: worksite health promotion
and the new self-management paradigm, Routledge Studies in Human Resource Development
Kaneklin C., Piccardo C. & Scaratti G. (a cura di) (2010): La ricerca-azione. Cambiare per
conoscere nei contesti organizzativi, Milano, Cortina
Kilborn P.T. (2009): Next Stop Reloville. Life inside America's rootless professional class, New
York, Times Books Henry Holt and Company LLC
Ingrosso M. (2003): Senza benessere sociale. Nuovi rischi e attesa di qualità nell'era planetaria
Milano, Angeli
La Barbera D., Guarnieri M., Ferrario L. (2009): Il disagio psichico nella post-modernità.
Configurazioni di personalità e aspetti psicopatologici, Magi Formazione, Roma
Lanham R.A. (2006): The economics of attention. Style and substance in the age of information
Chicago University Press
Lanzara G.P. (1993): Capacità negativa. Competenze progettuali e modello di intervento nelle
organizzazioni, Bologna, Il Mulino
Lascoumes P., Le Galés P. (2007): Understanding public policy trhrouh instruments. From the
nature of instruments to the sociology of Publici policy, in Instrumentation in Governance: an
Internat Journal of Policy Administration and Institutions n. 20
Laville J.L: (1998): L'economia solidale, Bollati, Torino
Laville J.L., La Rosa M., Chicchi F. (2000): Reinventare il lavoro, Sapere 2000, Roma, Ed
Multimediali
La Rosa M. (a cura di) (2003): Progetto Equal ME.T.RI.C.A lavoro, tradizionali e nuove fasce
deboli, Note operative sul tema, Bologna, Fondazione Aldini Valeriani.
La Rosa M. (a cura di) (2005): Soggetti e organizzazione. Capire il lavoro, l'impresa e
l'organizzazione pubblica, Milano, Angeli
La Rosa M., Borghi V, Chicchi F (a cura di) (2008): Le grammatiche sociali della mobilità, Angeli,
Milano
Laverack Glenn, Labonte Ronald (2008): Healh promotion in action: from local to global
empowerment, Palgrave MacMillan
(eds) Leane C.R, , Rousseau M.(2000): Relational wealth The advantage of stability in a changing
economy, Oxford UP
Lewansky R. (2007): La democrazia deliberativa, Aggiornamenti Sociali, n.12/58
Lewin K. (1972): Teoria e sperimentazione in Psicologia sociale, Bologna, Il Mulino (ed. originale
1951)
Lipowetsky G. (2010): Una felicità paradossale. Figure della nuova clinica psicoanalitica. Milano:
Cortina
Lipowetsky G. (2010): Una felicità paradossale. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Milano,
Cortina (ediz originale 2006)
Luthans F., Youssef C.M. &Avolio B.J.(2007):Psychological capital: developing the Human
Competitive Edge, Oxford University Press
Gallino L. (2001): L'impresa responsabile. Un'ntervista su Adriano Olivetti a cura di Paolo Ceri,
Torino, Ed. di Comunità
Gorz A (1997): Misères du présent. Richesse du possible, Galilèè, Parigi
Goodin R.E. (1985): Protecting the vulnerable. A reanalysis of our responsibility, Univ. Chicago
Press
Guetta S.& Del Gobbo G.(2005):I Saperi dei Circoli di Studio, Tirrenia, Edizioni del Cerro
Hardin J.G. (1968): The tragedy of Commons in Science n. 162
Holmqvist M. & Maravelias C. (2010): Managing healty organizations: worksite health promotion
and the new self-management paradigm, Routledge Studies in Human Resource Development
Kilborn P.T. (2009): Next Stop Reloville. Life inside America's rootless professional class, New
York, Times Books Henry Holt and Company LLC
Ingrosso M. (2003): Senza benessere sociale. Nuovi rischi e attesa di qualità nell'era planetaria
Milano, Angeli
Lewin K. (1972): Teoria e sperimentazione in Psicologia sociale, Bologna, Il Mulino (ed. Originale
1951)
Mannarini T. (2004): Comunità e partecipazione. Prospettive Psicosociali , F. Angeli, Milano
Marocci G. (1996): Abitare l'organizzazione, Roma, Ed. di Psicologia
Mazzoli G. (2012): Cittadini invisibili in esodo silente dalla citatdinanza in A.A.V.V.:Costruire
partecipazione al tempo della vulnerabilità, Supplemento monografico di Animazione Sociale n.
259
Merli G. (1997): Comakership. Clienti e fornitori: come fare business insieme.Torino, ISEDI
Meyer, J.P. & Allen, N. J. (1991): A three-component conceptualization of organizational
commitment in Human Resource Management Review, 1, 61-89
(eds) Metcalf, H.C., Urwick I. (1942): Dynamic administration: the collected papers of Mary
Parker Follett, New York, Harper
(a cura di) Minkler M., Wallerstein N (2008): Community-based participatory research for health:
from process to outcomes, Jossey Bass. S.Francisco
Marmot M., Bell R (2012), Fair society, healthy lives in Public Health Sept 2012 n. 126 suppl 1
Moini G: (2012): Teoria critica della partecipazione. Un approccio sociologico , Milano, Angeli
Muller J.J., Creed P.A., Waters L , Machin M.A. (2003): Introducing the latent and manifest
benefits of employment (LAMB) scale, in Australian Journal of Psychology n. 55, 1038
Nussbaum M.C. (2011): Creating capabilities; the human development approach, Cambrigde MA
Press of Harward Univ. Press
O'Flynn J (2007): From new Public management to Public Value: paradigmatic change and
managemente implications in The Australian Journal of Public Administration 66 n. 3 356-366
2007
Orford J. (2008): Community psychology challenges, controversies and emerging consensus, John
Wiley, Chichester
Paba G., Pecoriello A., Perrone C., Rispoli F. (2009): Partecipazione in Toscana, Interpretazioni e
racconti, Florence UP
Paci M. (2007): Nuovi lavori, nuovo welfare, Bologna, Il Mulino
Pais I. (2003): Acrobati nella rete: i lavoratori di Internet tra euforia e disillusione, Milano, Angeli
Pecoriello A.L., Rispoli F.(2006) : Pratiche di democrazia partecipativa in italia, in Democrazia e
diritto n. 3
Pellizzoni L. (2005): La deliberazione pubblica, Roma, Meltemi
Pievani T. (2002): Homo sapiens e altre catastrofi. Per un'archeologia della globalizzazione, Roma,
Meltemi
Pillitu, D. (2009), La partecipazione civica alla creazione di valore pubblico, Angeli, Milano
Pryce-Jones J. (2010): Happiness at work. Maximizing your psychological capital for success,
Chichester, John Wiley and Sons
Quick T.L.(1993): Le nuove regole manageriali. Soluzioni non convenzionali per i problemi degli
anni '90, Milano, Angeli (ediz originale 1989)
Ranci C. (2002): Le nuove disuguaglianze sociali in Italia Bologna, Il Mulino
Rappaport J., Seidman E. (eds) (2000): Handbook of Community Psychology, Kluwer
Rappaport K., Zimmermann M.A. (1998): Citizen participation, perceived control and
psychological environment in American Journal of Psychological Environment Vol 16 n. 5, Plenum
Publishing Corporation.
Recalcati M. (2010): L'uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica Milano,
Cortina
Recalcati M. (2013): Patria senza padri. Psicopatologia della politica italiana, Minimum Fax
Revelli M. (2001): Oltre il novecento La politica, le ideologie e le insidie del lavoro, Torino,
Einaudi
Rosanvallon P. (2009) La politica nell’era della sfiducia, edizioni Città Aperta 2009
Sarchielli G Mandrioli E Palmonari A (a cura di) (2006): Lavorare da precari Effetti psicosociali
della flessibilità occupazionale Padova, Fondazione Emanuele Zancan
Scheuerman E.(1992) "Papalagi: discorsi del capo Tuiavii di Tiavea delle Isole Samoa", Viterbo,
Stampa Alternativa – ed orig. 1920
Sen, A.K. (1994): La disuguaglianza, Bologna, Il Mulino (ediz originale 1995)
Sen A K. (1986): Scelta, benessere e equità Il Mulino
Sennett R. (2000): L'uomo flessibile Milano, Feltrinelli, titolo originale The corrosion of character,
Sloan T. (1996): Damaged Life: The Crisis of the Modern Psyche, Routledge
Spaltro E. (1984): Sentimento del potere : analisi dei rapporti umani, Torino, Boringhieri
Standing G. (2012): Precari. La nuova classe esplosiva, Bologna, Il Mulino
Stanghellini G., Monti M.R. (2006): Psicopatologia del senso comune Milano, Cortina
Taccone, L. (1987): Come realizzare un DSS per il project manager: il planning del progetto,
Office Automation, Aprile 1987
Thaler R.H., Sunstein C.R. (2009). Nudge: la spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le
nostre decisioni su denaro, salute e felicità. Milano: Feltrinelli.
Toffler A.(1980): The third wave, New York, William Morrow &C
(a cura di) Toscano M. A.(2010) , Zoon politikon vol 2 Politiche sociali e partecipazione, Firenze,
Ed Le Lettere, John D Calandra Institute Queens College, CU New York
Truant C.M. (1994):The rites of labour Brotherhoods of Compagnonnage in Old and New Regime
France, Cornell University
Varchetta G. (1993): La solidarietà organizzativa Milano, Guerini
Vernant, J.P (2005): L’uomo greco, Editori Laterza
Villa M. (2007) Dalla protezione all'attivazione. Le politiche contro l'esclusione fra
frammentazione istituzionale e nuovi bisogni, Angeli, Milano
Virno P. (2001): Grammatica della moltitudine: per una analisi delle forme di vita contemporanee,
Rubbettino
Warr P. (2011): Il gusto di lavorare. Soddisfazione, felicità e lavoro, Il Mulino, Bologna
Wenger E. (1998): Communities of practices. Learning, meaning and identities, Cambridge
University Press
Zamparini A., Menegatto, M. (a cura di) (2011): La società degli indifferenti. Relazioni fragili e