Vite in comune come valore pubblico

76
Conferenza ESPAnet Università degli Studi di Salerno, 17 - 19 Settembre 2015 Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di sviluppo a confronto Vite in comune come valore pubblico: i processi partecipativi applicati al learning e all'orientamento lungo tutto l'arco della vita. I cittadini protagonisti di buone pratiche di welfare di community. Autori Simone Cerrina Feroni*, Taccone Luigi** *Esperto benessere di community **Consulente organizzazioni pubbliche e private

Transcript of Vite in comune come valore pubblico

Conferenza ESPAnet

ITALIA Università degli Studi di Salerno, 17 - 19 Settembre 2015

Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di

sviluppo a confronto

Vite in comune come valore pubblico: i processi

partecipativi applicati al learning e all'orientamento

lungo tutto l'arco della vita. I cittadini protagonisti di

buone pratiche di welfare di community.

Autori

Simone Cerrina Feroni*, Taccone Luigi**

*Esperto benessere di community

**Consulente organizzazioni pubbliche e private

Vite in comune come valore pubblico: i processi partecipativi applicati al

learning e all'orientamento lungo tutto l'arco della vita. I cittadini protagonisti

di buone pratiche di welfare di community.

ABSTRACT

Dalla soddisfazione dei bisogni di salute, sicurezza e welfare sul lavoro stiamo transitando verso

l'insoddisfazione, i malfunzionamenti, il malessere e la precarietà di vite assoggettate al lavoro e

troppo “occupate” dal life-deep learning, o - è il loro doppio - dis-occupate e vuote. Come e dove

simbolizzare progetti di vite ben “impiegate”, di “belle vite” ?

L'innovazione dei servizi al lavoro e al Long-life Learning ci pare la più importante leva, di

sviluppo sociale, civico e economico, di preminente interesse pubblico. Allora rivediamone senza

paura modelli, organizzazione, regole e norme: le resistenze di imprese e cittadini a essere

«regolati» e quelle della P.A. a disinvestire su funzioni tradizionali e investire su questo settore sono

superabili coinvolgendo corpi sociali e società civile in un dibattito pubblico di contenuto e non

ideologico, populista o normativo. Se questo passaggio è reso pubblico (passando dal servizio

pubblico al servizio pubblicizzato) la partecipazione civica diventa coping di comunità,

partecipazione pubblica alle vite altrui, «vite associate» come nuovo bene, e valore, comune, Città

«vivibili», cioè dove si può vivere bene. Il WorkLife Balance oggi è welfare autogestito, alla

scandinava, welfare come risorsa collettiva, di reciprocità e fiducia, mediazione difficile nel puzzle

fra socio e economico, certo con una possibile deriva biopolitica e di «ricommodificazione».

Carovane di pionieri e vite condivise: in fondo il Mercato del Lavoro è condivisione di opportunità

e competenze. Welfare informale, certo, o meglio processi partecipativi come innesco, driver, con un

nuovo ruolo pubblico «abilitante»..

“Working Lives in common” as a public value. Participatory processes in Active Employment

and LongLifeLearning schemes as a best practice in local community welfare ?

In the achieving society the market-ability of the prosumer (consumer and productor) lives requires

new instruments for employment services, the most significant driver for social, civic and

economic development, and a truly prominent public interest. In the dramatic Italian

unemployment context, we must fearlessly reassess models and service organization, in order to add

solidarity, transparency and equity, because the issue (“renting lives”) is clearly critical.

Participatory design and evaluation processes, applied to labour market, may have a tremendous

impact in better sketching policies and practices, and in empowering social actors: they are

postmodern Agorà in sharing private, organizational and community challenges. Moreover, there is

a clear isomorphism between process (participation for policy development) and object (capabilities

development, empowerment). In other words, there is an automatic value (if the process is well

managed) for all people and organizations participating and their networks.

We will describe participatory projects in Education and Work, managed in the Province of Firenze

and Regione Calabria

INTRODUZIONE

Pensiamo a un call center in cui occorre una elevata capacità di «amare» il cliente, capire

empaticamente i suoi bisogni, anticipare e solleticare i suoi desideri, e soprattutto di riflettere

rapidamente nel corso dell’azione. La personalità diventa sociale e produttiva: vite al lavoro e

lavoro nella vita, memento vivere. Questo non c’era nel fordismo, ed era tutto sommato secondario

anche nell'artigianato o nell'agricoltura, dove emergevano tratti di capacità creative, ma ben distinti

dal corso della vita «normale».

Cambiano perciò politiche e servizi per l'occupabilità e il Long-Life Learning, che il Decreto

legislativo 13/2013 definisce ˝apprendimento informale, anche non intenzionale, in attività di

situazioni di vita quotidiana nell'ambito del lavoro, familiare e del tempo libero˝. Una rivoluzione

concettuale. E parallelamente, sulla stessa linea evolutiva, evolve un altro concetto, risalente

all'antica Atene, la partecipazione civica, che qui cercheremo di mettere a fuoco con una lettura

ampia ma focalizzata sui temi del lavoro e della formazione continua. Per i Costituenti era

partecipazione dei lavoratori; oggi, avendo il lavoro/attività invaso le vite, è di nuovo

partecipazione dei cittadini e degli attori sociali. Un gerundio (participating) con forte suggestione

simbolica1. «Partecip-azione» è azione partecipata, a comune, di soggetti e interessi divergenti e,

proprio perchè partecipata, con una immediata review in un contesto microsociale ad hoc (un

processo partecipativo, una ricerca-azione, una community temporanea di innovazione sociale, uno

spazio di formazione e orientamento) . Partecipazione quindi non solo come deliberazione2, ma

1 Luigino Bruni osserva acutamente, in uno dei suoi recenti editoriali su Avvenire, come poche cose diano

benessere e gioia di vivere come partecipare a una azione collettiva libera fra pari, dove il termine chiave, a

nostro avviso, è proprio questa «parificazione».

2 Utilizzeremo il termine «processi partecipativi», ma se l'obiettivo è l'elaborazione di policy, queste

andranno tradotte in deliberazioni, sia pure di indirizzo. Dunque c'è anche un tratto deliberativo, ovvero la

come processo circolare, life-making, che somiglia alla vita, pratica quotidiana con «rotture»

riflessive (individuali o collettive) sulle esperienze. E anche come sussidiarietà vera, non

strumentale, non concessa dal Sovrano, non che conviene solo ad alcuni. Un processo partecipato è

quindi una (fra le molte possibili) strategie di welfare contrattato, un dispositivo di work processing

analogo, peraltro, a quello di qualsiasi organizzazione che deve «ascoltare» clienti e dipendenti se

opera in mercati altamente variabili3.

La partecipazione all'elaborazione di politiche pubbliche attive del lavoro di cittadini e

organizzazioni (con interessi più o meno privati) è oggi di evidente criticità, vista la necessità di

governance di mercati del lavoro incapaci di sostenere da soli matching complessi. Formazione e

lavoro sono anche sfera di osservazione privilegiata dal quale inquadrare la partecipazione (e la non

partecipazione) e capire le ragioni delle gravi distorsioni che si registrano sul fronte dei servizi

all'impiego e alla formazione e orientaemnto long-life (nel seguito «servizi»).

Esamineremo i bisogni della domanda e dell'offerta di lavoro, formazione e orientamento, e poi,

risalendo, i servizi che rispondono a questi bisogni, e infine, in modo isomorfo e circolare, i

circuiti e le arene partecipative che li possono sostenere e indirizzare. La tesi è che la sostanza nei

tre casi è simile: ricostruire una solidarietà condivisa (nell'utenza, nei servizi e nell'elaborazione di

policy e programmi), e questo processo circolare si autoalimenta. Operazione partecipata e

pubblica: è impossibile governare una sfera pubblica di tale complessità con strumenti di

pianificazione e controllo tradizionali, come se si trattasse di normali servizi o utilities. Osservando

infatti in particolare i servizi di recruiting e incrocio domanda-offerta di lavoro non si possono non

evidenziare residui obsoleti (anche se efficaci) di nepotismo: il coraggio in questo caso è

evidenziare il concetto di vacancy e la necessaria messa a fuoco della «valorizzazione della persona

umana» (anche nelle formazioni sociali, come dice la Costituzione). Ben oltre il merito: il nuovo

paradigma, quasi contabile, è «fonti-impieghi»: una mappa di fonti di impiego e di «impiegabili»,

da governare in tempo reale (qui sta il passaggio da gestione a governance), con policy, cioè priorità

politiche, ad esempio privilegiare il disoccupato di lunga durata o altre categorie di vulnerabili, o

alcune aziende in crisi. Policy da aggiornare rapidamente, misurando lo scostamento fra realizzato

e preventivato, il che implica strumenti agili e fini di controllo di gestione non burocratico-

amministrativo. Oltre ai processi partecipativi, ad esempio, ci riferiamo a meccanismi anche

discussione con l'avversario, un cambiamento, un apprendimento da parte di tutti, non necessariamente

verso un compromesso mediano.

3 Certo, anche farli partecipare, ma in quel caso entro limiti privatistici di segretezza che invece ovviamente

il pubblico non ha. Anzi, come istituzione ha il problema opposto, la necessità di trasparenza. E' evidente

comunque che nessuna organizzazione, pubblica o privata, ormai resti in vita a lungo o in salute senza

processi partecipativi al suo interno o verso l'esterno.

autoorganizzativi, sussidiarietà al Terzo Settore, coordinamento telematico, tavoli di coordinamento

snelli.

E come non tenere conto del fatto che, nei mercati dei lavori, tempo, competenze e opportunità4 si

scambiano soprattutto nel territorio locale, o in quelli più rapidamente raggiungibili. La solidarietà

si fonda su luoghi fisici e ambienti dove co-abitare, co-vivere, co-produrre e co-consumare, e le

organizzazioni sono anch'esse luoghi di riproduzione sociale. Tempi, competenze e opportunità

troppo «predefinite»: manca uno spazio per definire scambi più liberi. Il territorio

istituzionalizzato, recintato e difeso dagli indesiderati hostis, non offre curiosità, creatività e la Rete

sempre più ordine e (letteralmente) prigione. Il lavoro è cessione, ma ormai soprattutto creazione e

ricostruzione di competenze, questione più pubblica che privatistica, più locale che globale. Se

impari (e non c'è dubbio che è prevalentemente sul lavoro che si è forzati a imparare), questo è un

fatto pubblico locale, con il problema dell'imitabilità e dell'iniqua distribuzione del lavoro sui

territori. Se si chiama qualcuno che arriva da fuori, è una ricchezza che arriva. Se, al contrario,

qualcuno se ne va, può (forse) tornare con maggiori competenze e relazioni. E' sana competizione

fra organizzazioni e territori per acquisire e trattenere i migliori. I processi partecipativi sono in

questo senso luoghi di learning di sviluppo territoriale dove approfondire questa tematica mediante

scambi di elevata qualità fra gli attori locali e l'ambiente esterno (imprese, enti sovraordinati o di

coordinamento).

Il lavoro è produzione e sviluppo di sé, cioè identità e rinoscimento sociale. I servizi dunque

intermediano stima, riconoscimento e attenzione, sincronizzando lebenswelt 5 (mondi vitali),

mondi organizzativi e sfere istituzionali su un precario treppiede. Sotto questo aspetto i processi

partecipati, letti come co-ricostruzione di modelli, nomi, frame concettuali, che possono ben essere

anche locali, mettono in discussione paradgmi blasonati come la separazione lavoro dipendente-

lavoro indipendente, la democrazia rappresentativa e il welfare beveridgiano universalistico, e

questo è utile per aggiornarli al nuovo contesto.

In termini più psicologici, si notano passione, orgoglio, senso di adultità e autonomia emergenti

nell'utenza dei servizi, ma anche imbarazzo, vergogna infantile di evidenziare pubblicamente le

lacune. Autonomia e controllo, onnipotenza 6 e esame di realtà, stupore e coazione a ripetere,

4 Oceani di opportunità che appaiono senza preavviso e si dissolvono rapidamente se non sono colte subito

(Bauman, 1997).

5 Senso comune, tacito, irriflesso, come il proiettore al cinema: nessuno ci pensa. E' norma sociale, morale,

comune, è ordine, sicurezza, la vita ordinata, organizzata, la routine, la procedura.

6 Qui intesa come desiderio dell'infante di scavalcare limiti fisici e psichici al godimento.

empowerment7 e disempowerment. Ambiguità peraltro assenti o quasi invece nei processi

partecipati, riferite in questo caso alle organizzazioni partecipanti. Quale nesso fra salute/benessere

(di individui, gruppi e territori) e servizi? In Italia tradizionalmente sfere rigidamente separate e

mondi professionali distinti. Servizi poveri di rappresentazione sociale8. Un processo partecipato

offre la possibilità di vero dialogo fra pari servizi interoccorrelati.

Il paradosso è che il servizio si regge spesso sui fondi comunitari (è precario anch'esso), per il

settore privato è poco «appetibile» e il Terzo Settore è, stranamente, troppo disattento al tema.

Rimangono le soluzioni «faidate»,il clan, il passaparola, le conoscenze personali, il web. Corsi di

formazione, tirocini o lavori scelti senza alcun criterio di sviluppo di competenze chiave. Un

processo partecipativo inverte questa pericolosa deriva (che forse è alla base del declino dell'Italia),

rafforza il ruolo pubblico, mobilita il civismo oltre burocrazia e mercato chiaramente inefficaci.

Il singolo cittadino9, meglio se sotto forma di agenzie o associazioni, entra nel circuito decisionale e

di controllo, e servizi e progetti verranno sicuramente impostati e controllati meglio. Le politiche

(ad es di genere, per gli over50 o specifici settori produttivi) saranno più efficaci se condivise con

chi vive quotidianamente, e magari vede in modo opposto, questi camp d'azionei. Ma anche il tipo

di policy: ad esempio non è uguale avere campi di calcio gratis o scaricare dalle tasse le spese di

sport, cultura e ricreazione (una inlcude, l'altra esclude). Imprese e Terzo Settore si sviluppano

inoltre se si confrontano e misurano le aree di reciproco coordinamento e di conflitto.

Non si può non notare infine come, mentre qualsiasi ricerca mostri con evidenza che la

disoccupazione - ma anche la mala occupazione che ne è l'anticamera - siano antecedenti di

malessere, malattia, esclusione sociale (e anche viceversa, dunque alla fin fine parliamo della stessa

cosa)10, invece il disagio crescente e l'incapacità, di ricollocarsi fatichi addirittura a esser messa in

parole11. Non riceve spazi di ascolto, non si aggrega in istanze collettive di aiuto e risposte collettive

7 Nell'accezione multidimensionale, cioè anche collettiva, di Zimmerman (Empowerment Theory:

psychological, organizational and community levels of analysy in Rappaport (2000) è «potere dentro»,

capability e efficacy percepite «nel» soggetto, rivolte sia all'interno che all'esterno.

8 Non esistono «Aziende di Occupazione e Sviluppo Locale» analoghe alle ASL. Nel settore sociosabitarioi

ci sono poche tracce dei temi del lavoro e del LongLifeLearning, né viceversa nei servizi al lavoro dei temi

della salute e del benessere sociale. Come ci sono le Società della Salute� perchè non le Società dei Lavori o

delle Attività ?

9 Certo, meglio se ricercatore socioeconomico, formatore, consulente o orientatore, ma può essere esperto in

ogni campo: il processo partecipativo incentiva l'occuparsi di individui, gruppi e organizzazioni diverse, a

prestare il proprio know how gratuitamente al proprio territorio.

10 E quindi l'intervento sul mercato del lavoro è preventivo e non curativo (quindi più efficiente).

11 Ad esempio mancano iniziative di raccolta fondi, associazioni di utenti, volontariato e solidarietà,

formule preliminari alla copartecipazione dei servizi (come nel settore socio sanitario: pensiamo alle

associazioni dei parenti dei malati). Si ignorano disoccupati e espatriati, evidenziando invece

l'immigrato, , evidente capro espiatorio. Ci manca il linguaggio su quanto stiamo vivendo, che quindi è

di solidarietà: forse perchè se il lavoro è vita, il non lavoro e l'incompetenza sono vissute con

vergogna e senso di colpa personale. Non si va al Centro per l'impiego, non si chiede aiuto, non ci

si organizza, ci si lamenta ma in modo passivo. Un processo partecipato sblocca questo frame

psicologico, invertendo figura e sfondo rimosso.

BIOPOLITICHE DELLE VITE-LAVORI

Nelle biopolitiche ipermoderne12, lavoro (e LongLife Learning13) esondano nel tourbillon de la

vie di individui, gruppi e organizzazioni. Le vite e le case sfumano in «luogo di lavoro», imprese e

attività economiche da esercitare professionalmente, mentre le organizzazioni, all'opposto, si

soggettivizzano in parodie di clan familiari/amicali14. Più che espropriazione, una mutua

embeddedness, una ibridazione fra lavoro e life skills individuali che si de-differenziano da quelle

sociolavorative, da sfere antagoniste diventano interdipendenti, ribaltandosi l'una nell'altra15.

Vite artificiali e lavoro come dovere e non come diritto, valorizzazione e non rispetto per le persone.

E così i soggetti devono «rifarsi una vita» giocando una nuova mano di carte nel lifegame. Un

processo longWide, pervasivo, forzato, non paragonabile al lavoro a domicilio prefordista, quando il

contrattista lavorava in case-laboratorio su ordinativi a lotti, ma con ritmi ben più lenti e «umani», e

anzi in questi ancora più fordista. Non biopolitico in senso stretto, cioè non è oggetto di discorso

mal-vissuto perchè mal-detto. Quello che ci ha raccontato dolori e gioie della fabbrica, delle campagna,

dei nostri padri imprenditori-artigiani. Canti, poesie, romanzi, feste, lutti e elaborazioni ora stereotipate,

senza spessore e ambiguità. Non casualmente «lavoro» è termine analitico (elaborazione, lavoro sul lutto,

working through). La carestia di immaginario sociale è ovviamente anche dentro le imprese e nel Terzo

Settore.

12 Modello italo-francese di critica «da sinistra» (Bazzicalupo, 2006 e Aubert, 2010) nella forma posfordista

di induzione «gentile» di pratiche di miglioramento, learning e empowering che, un tempo confinate al

lavoro salariato, si vanno espandendo agli interi «mondidelle vite». Il termine nudge, originariamente

bioniano - vedi Thaler e Sunstein (2009) - segnala che il biopotere ipermoderno non è impositivo, mentre

nel taylorfordismo le spinte non erano propriamente gentili !. Vedi i più estremi critici italiani, come

Codeluppi (2009), Fumagalli (2009) e De Michelis (2008).

13 La Riforma Fornero cosi' dispone: ˝Qualsiasi attività intrapresa dalla persona in modo formale, non

formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le

competenze, in una prospettiva di crescita personale, civica, sociale e occupazionale˝. Quale gerarchia?

Viene prima la crescita personale o occupazionale? Vale l’ordine indicato dal legislatore?

14 Accornero (1997) segnala l'ambiguità di termini come società, corporate, compagnia, Casa madre,

organismo personale per indicare i dipendenti, retribuzione «a corpo». O si pensi ai clan familiari della

«mala-vita» organizzata, cioè messa al lavoro. Pais (2003) ciricorda che organizzare eventi pubblici è

anche organizzare eventi privati, l'aperitivo di networking ha un sapore amaro, un social network è book,

vetrina per trovare opportunità ma anche espropriazione: chi entra abusivamente nella tua pagina entra

nella tua vita.

15 Ad esempio i saperi linguistici o informatici (ad esempio un blog), una visita ai partner di progetto,

organizzare viaggi, cene o ospitare: è vita o lavoro ? O l'assertività del sorriso professionale e l'entusiasmo

artificiale del venditore (Sarchielli, 2006) che già acutamente Wright Mills notava nel 1951, che invade il

buon senso o il comportamento comunicativo automatico, contestuale, situato e culturale. Le battute vengono

rivendute ai comici o rimbalzano sul web, l'empatia sostituisce la solidarietà, le buone relazioni la gratuità,

nelle key competence comunitarie ci sono competenze sociali e civiche, ma generiche.

pubblico esplicito, piuttosto di sollecitazione sottotraccia, in cui l'economia prevale sul discorso

socio-politico. Dalla sociologia del lavoro alla sociologia della vita non quotidiana potenzialmente

professionale. Emozioni e ruoli «messi i al lavoro», «mestiere di vivere» (Bresciani, 2006). Quindi

anche il learning. In questo senso il LongLife Learning è piegatura, nemmeno tanto sottile,

dell'education all'economico: dai sistemi qualità e dall'apprendimento organizzativo (Argyris, 1998)

si passa alle vite quotidiane come luogo di apprendimento organizzativo: una torsione verso la

qualità della vita e l'apprendimento tout court Long-Life, con rilevanti impatti sociali (la routine

oggi è vista come negativa o difensiva).

Le relazioni sociali si venano di interesse, i social networks servono per trovare lavoro, e in fondo

lavoro e vita sono attività relazionali. Interessi propri e di altri si confondono nell'agire quotidiano.

«Dai «fattori umani» in azienda (soddisfazione e motivazione) ai fattori economici nei lebenswelt,

anche gruppali e organizzativi (insoddisfazione e demotivazione nella vita ?). Corpi, identità,

atteggiamenti, abilità cognitive, ma anche affetti e sentimenti (e quindi il benessere), sono

egonomics sempre al lavoro. Ad esempio sul lavoro si può essere apatici, ma con gli amici frizzanti.

Oggi si cercano lavori dove esprimere la propria personalità: bene per le organizzazioni, ma male

per le vite, che si seccano. Prime le organizzazioni impedivano la vita vera, ora al contrario la

sfruttano, ma così 'non è vita vera, vita libera: intuitività e creatività si ibridano nelle agende di vita

e di lavoro, l'«aziendalese» diventa linguaggio quotidiano e della politica, le Comunità Amish

richiamano turisti. Capitale sociale, milieu, comunicare, organizzare o risolvere problemi: tutto è

anche fattore produttivo e prodotto/servizio spendibile16. ˝Sii te stesso!˝, ˝Realizza te stesso!˝,

˝Think!˝. Parafrasando l'assioma ˝non puoi non comunicare˝ di Watzlawitz, potremmo dire ˝non

puoi non migliorare˝. Una governamentalità pastorale (Foucault, 1998), una cura materna-

paternalistica dei «greggi» che «addomestica» i conflitti per renderli produttivi in formule di

welfare social-liberiste.

Tecnologie e marketing del sé (coach, fitness): life enlargment e life enrichment, moltiplicare le

vite, vivere più veloci e più a lungo. Sensation seeking, zapping di esperienze, indotte dai

media/adverstising e dalla cultura spettacolistica (De Michelis, 2010) e attention economy17, cioè

riflessività, riuso delle esperienze passate e quindi infinita permanenza nell'adolescenza, se non

16 Perfino le motivazioni di base, come il «capitale psicologico» (Luthans, Youssef e Avolio, 2007 e

Pryce-Jones, 2010) cioè la disponibilità a essere coinvolti, a partecipare, a farsi carico di problemi altrui o

comuni, anche la disponibilità a farsi controllare, quindi una cessione di autonomia, passione, orgoglio di

fare da sé, mentre il controllo sociale può essere imbarazzo e vergogna se sbagli.

17 Oltre ovviamente a Bauman, che va letto in inglese perchè ha un vocabolario molto elaborato, su questi

due concetti chiave vedi Davenport e Beck (2001), Beller (2006) e Lanham (2006) e la Fase III di

Lipowetsky (2010).

addirittura tempo e attenzione intensificati come nell'infanzia (Pievani, 2012). Una sorta di

«religione» del miglioramento continuo18 in cui tutto è potenziale valore: amicizia, amore, sport,

fruire di opere d'arte, la curiosità, la conversazione, il flaneur ? Dalla forza-lavoro alla forza-valore:

la vita crea (e sottrae) valore. Un bios isomorfo al ciclo di vita di un progetto, di una impresa o di un

prodotto, quindi un umano «capitale» organizzativo, un «capitale-vita»19.

Se, con «cordiale collaborazione», Taylor diceva agli scaricatori di ghisa ˝voi non dovete pensare˝,

il motto della «fabbrica integrata alle vite» è: «Da noi le persone vengono prima di tutto». Come

capitale umano, si intende.

I PROSUMER: LE VITE COME MEZZO E LUOGO DI CONSUMO, PERFORMANCE E

PRODUZIONE

Prosumer inteso20 come consumatore-produttore, che co-progetta e co-valuta prodotti e servizi.

Siamo,come detto, nell'era di una diffusa riflessività finalizzata all'automiglioramento continuo, in

cui siamo anche progettisti, politici, attori (sociali, certo, ma qui l'accento è sul recitare o

impressionare con la gamma delle performance), registi e pubblico di spettacoli a valenza

socioeconomica. Il ciclo, grosso modo, è il seguente:

Desiderio di nuove forme di vita -> Euforia artificiale -> Reificazione in beni e servizi -> Assedio

di opportunità e obbligo di scelta di consumo -> Incorporazione di questi servizi nel sé ->

Depressione e innesco di nuovi desideri.

Il lavoro oggettivato e purificato delle vere emozioni, snaturato e impersonalizzato, è

18 In termini weberiani si passa dal beruf alla vita intera di communities operose, in cui desideri e libertà

sono interiorizzati per un pubblico interesse superiore, non più la Gloria di Dio, ma certo quasi religioso.

Rispetto a «comunità», community ha un significato più ristretto, originato dalle comunità protestanti,

cioè dalla condivisione di una appartenza molto forte: del fratello della tua community ti fidi, ad esempio

negli affari. Community come neighbourhood, chi è vicino fisicamente. La comunità di tipo cattolico è al

contrario tendenzialmente universale: in questo senso l'opposta organizzazione delle chiese protestanti e

cattoliche si riflette sul significato opposto del termine, più bottomup e democratico quello di community,

più top down e gerarchico quello di comunità. I modelli sociali e religiosi asiatici presentano varianti

interessanti a questo processo di augmented life, dove interessi propri e comuni si confondono.

19 Gruppi e organizzazioni si possono sciogliere, ma l'individuo è imprenditore-manager e investitore di sé

stesso a vita, deve pianificare, gestire progetti, fare marketing, gestire le risorse. Vedi Holmqvist e

Maravelias (2010) e Bonomi (2005)

20 Il termine risale a Toffler (1980), anno in cui potremmo datare il cambiamento di passo competitivo.

Toffler è un futurologo che ci ha azzeccato spesso (inventò l'adhocrazia, con Bennis negli anni 60),

anticipato però in questo caso da Drucker (1954), che scoprì l'orientamento al cliente, e quindi la qualità.

La produzione di un bene o servizio avviene nella filiera estesa ai fornitori e ai clienti, combinando i

flussi comunicativi dei consumatori, e oggi anche dei cittadini/pazienti, degli amministrati e della società

civile.

ripersonalizzato. Soggetti riassoggettati e alienati, cioè oggettivati, e poi prima possibile

risoggettivati. Un'altalena che è anche evidentemente oscillare fra trovare lavoro/clienti e la

disoccupazione.

Una pervasiva pratica «economica»21 che può essere sintetizzata col furbo motto del reverse

engineering: «pensare da valle a monte», risalente alla comakerhip della qualità (l'integrazione coi

fornitori) degli anni '90 (Merli, 1997), ai distretti industriali e al postmoderno di Fabris (2008).

Anche cittadinanza attiva, amministrazione condivisa (Arena 2011), bandi di coprogettazione

locale, piani di zona, sanità condivisa. Posfordista perchè trasforma fasi in processi, liquefacendo i

legami: il cliente co-decide22 , ma questo genera fornitori rancorosi verso clienti iperesigenti, ad

esempio nelle relazioni di aiuto o di sportello. Si pensi al paziente «poco paziente» in sanità. In

termini organizzativi le organizzazioni delegano verso i lati e verso il basso, integrando

l'imprenditorialità diffusa sopracennata (La Rosa, 1995). Capitale organizzativo: la capacità

richiesta è saper vivere nelle organizzazioni e nelle communities, dunque nuova declinazione del

concetto di cittadinanza. La vita diventa un rituale contro l'insicurezza: non è più il soggetto che

aderisce all'organizzazione, ma l'organizzazione, anche pubblica, che si plasma sui soggetti.

Certamente un consumo riflessivo e attentivo trasforma i reclami in miglioramenti, ma questi flussi

sono coimplicati coi mondi vitali, ad esempio un social network, quindi il prosumerismo diventa

facilmente biopolitico. Oggi il prosumerismo presenta maggiore urgenza competitiva e prevalenza

del consumatore sul produttore, con un allargamento dei ruoli: nel mondo globale occorre

relazionarsi con frame culturali e organizzativi inusuali o finanziatori lontani. Spesso diventa

instantaneità da critical mass, cioè flussi co-evolutivi autoorganizzati, se non veri e propri

«sciami» che agiscono cioè un coordinamento «naturale», quasi automatico di soggetti semplici,

senza vere relazioni ma con semplice amplificazione di vibrazioni guidate dalla direzione del

movimento (Bauman, 1992 e l'eccellente fiction di Crichton, 2010).

La wikinomics o i blog gestiti dai dipendenti di una azienda, in cui si discute del miglioramento del

prodotto operano col modello software degli agenti autoorganizzati: in rete sei un nodo intelligente

autonomo, non un soggetto. E' «ipertoyotismo»: zero difetti, zero conflitti. L'autorealizzazione, il

21 Alla fin fine un bel recupero di produttività, perchè il cittadino o l'utente si affianca agli esperti di

marketing o ai funzionari, con onori ma anche rischi e oneri semigratuiti: il do-it-yourself è smart,

efficiente, riduce automaticamente le «zone di indifferenza» fra vita professionale e vita privata, incassa

plusvalenze gratuite.

22 Con una inevitabile con-fusione di ruoli servo-padrone (vedi Capranico, 1992) . Il «falso sè» (produzione)

si confonde col «vero sè» (consumo): uno sdoppiamento di personalità ?

bisogno maslowianamente elevato, diventa gioco e spettacolo23: mancano barriere all'ingresso, lo

scroccone è tollerato, e regole, controllo e incentivi sono scarne. Si tratta di doni che, validati dalla

community, creano valore per tutti. Funziona, annullando le interfacce, è l'organizzazione scientifica

(antitayloristica) del prosumerismo. «Prosumer dunque sono»: sono nel cloud, sono connesso ai

flussi. Un mix di sconnessione e iperconnessione.

Il cambio di velocità, dovuto alla concorrenza mondiale dell'economia on demand, richiede, al

singolo lavoratore/imprenditore, alle imprese e al territorio, di inventare, progettare, produrre,

vendere e erogare nuove commodity, e conseguentemente saperle consumare rapidamente, creando

il bisogno di nuove. Occorre essere rapidi nell'aggiornare capacità e competenze necessarie: per un

lavoratore, soprattutto autonomo/precario, la fast life è «inquinata» dall'esaltazione trafelata e

compulsiva del nuovo, dalla riflessività intraprendente turbocompetitiva24, dall'«urgenza di vivere».

Se la vita è lavoro, è una roba seria, non si può perder tempo25: nulla di male, ma lo schiacciamento

del tempo dei «prosumer alla spina», «uberizzati», trafelati, sottrae inevitabilmente tempo all'hic et

nunc (Catania 2008), e non può che richiamare l'attenzione sul Work Life Balance26,

I MERCATI DEI LAVORI: MARKETING DELLE PERSONALITA'

Quando parliamo di mercato del lavoro ci mancano le parole giuste27. Hiring segnala la

temporaneità, ma forse marketing è il termine che più si avvicina a questi strani mercati dove si

offrono tempo e competenze di prestatori d'opera (opus appunto), in cambio di un corrispettivo, più

o meno monetizzato. Marketing di opportunità, idee, competenze, in cui affiora necessariamente

la soggettivazione, sopra accennata, da impresa, il sapersi vendere, il saper recitare. Il ruolo, la

23 La gerarchia dei bisogni di Torvald, il creatore di Linux: 1. Sopravvivenza 2. Relazioni sociali 3.

Divertimento.

24 Il prefisso indica una curvatura innaturalmente iperbolica (come obiettivo, al massimo sarà poi lineare, o

logaritmica come la vita), eccessiva per i ritmi «naturali», una velocità che richiede decisioni rapide

tagliando via le alternative, e quindi in fondo antidemocratica perchè democrazia è paziente tessitura,

compromessi, lotta per egemonia, processi paretcipativi appunti, tutte cose che in impresa non ci sono,

decide uno solo perchè non c'è tempo.

25 La Regina Rossa di Alice nel Paese delle Meraviglie che deve correre o i Papalagi che non hanno tempo

(Scheuerman 92).

26 Davvero crinale cruciale, tema che richiama le Pari Opportunità, le differenze di genere nella salute, il

carico dei lavori di cura e dell'oikos mal distribuiti, un turnover troppo rapido di competenze e flessibilità

di orario/sede di lavoro che riduce gli investimenti affettivi stabili. Si pone un problema politico centrale,

non colto, di compatibilità vita-lavoro, perchè poca formazione è rischio di esclusione sociale.

27 Domanda qui è chi compra e offerta chi vende. Stranamente i due termini sono invertiti e facilmente si

confondono.E' il produttore (il lavoratore) il soggetto debole e non il consumatore: occorre la protezione

dei diritti dei produttori.

persona come maschera che prevale sul sé. Ma marketing, come gerundio28, è processo e risultato,

comprare e vendere con criterio, andare al mercato con le idee chiare su cosa si vende e cosa si

cerca. Occorre fiducia: quasi sempre compri o vendi «al buio», vendi te stesso e compri uno

sconosciuto: occorrono relazioni fiduciarie a monte29. Si tratta di reti di flussi di relazioni di scelta

«commodificate», flussi continui, rapidi e complessi, con informazioni scarse (e scarto di infinite

altre possibilità),una rete di flussi molto veloci di community, sociale30. Adatti per audaci e

impulsivi, e i fragili? Ignorati, anzi la paura di essere eliminati, si dice, motiva il darsi da fare.

La risorsa scarsa intermediata è il tempo di vita esperto, professionale, competente: la personalità

economica appunto. Si cambia allora vita, impiego, mestiere, senza (o con) drammi, nell'era della

multiattività, dell'ibridazione, di vite industriose in cui tutto è potenziale lavoro e potenziale

apprendimento, anche una vacanza o il gioco. Potenziale da sfruttare, giacimento da scoprire (o

riscoprire riattualizzandolo. Capacità di intercettare i flussi, e di lanciarli, cioè segnalare la

disponbilità. La forza dei legami deboli (Granovetter, 1974) reinterpretata come saper muoversi

anche in reti corte: certo, un vantaggio competitivo per l'Italia.

Un servizio al lavoro e al long life learning è una doppia consulenza di marketing che riduce il

mismatch competenze-impieghi e quello fra flessibilità lato offerta e lato domanda, «incanalando»

gli attori nel loro costituzionale ruolo sociale.

In particolare per il lavoro autonomo-precario con debole capitale socio-relazionale, commerciante

senza clienti, con una vetrina senza merci, e il commercio vive di relazioni. Ecco il Long-life

Learning, anche ritornando sui propri passi, non è solo aggiungere, ma anche recuperare vecchie

amicizie, vecchi lavori, vecchie esperienza e riadattarle.

I mercati del lavoro vanno resi comunque in primo luogo trasparenti, perchè non si trattano più

transazioni capitale-lavoro, si noleggiano tempi di vita, giorni-uomo, quindi occorre regolare il

commercio, riequilibrare a favore dei più deboli, dare informazioni, articolare i flussi per favorire

incontro diretto fra i prosumer. Uguaglianza e solidarietà, come detto, sfumano perchè si cercano

28 Organizing è organizzare e essere organizzati. Learning, well-being, empowering, participating sono

processi fondati su capacità di autodiagnosi e automiglioramento, individuali e collettivi: Sono, nel

pragmatico inglese, gerundi, cioè fini che coincidono con le attività stesse.

29 Pensiamo ad esempio alle società di selezione: l'impresa si fida del fornitore (o del selezionatore interno),

o si fida della preselezione del Centro per l'Impiego o della segnalazione. Analogamente per la formazione:

ci si fida della reputazione dell'Agenzia o della istituzione formativa. In un concorso ti fidi della ipotizzata

trasparenza. In realtà il processo di matching, basato sulla fiducia, è quindi tutt'altro che ottimale e

scientifico.

30 Non molto dissimile da Linkedin, che fa da servizio di intermediazione e si basa essenzialmente sulla

fiducia, visto che è virtuale.

proprio le differenze, ma qui si comprende facilmente come la condivisione sia una soluzione furba.

DAL LAVORO AI LAVORI/ATTIVITA'/COMPETENZE

Come contraltare al disagio della precarietà (Kilborn, 2009) assistiamo ad un'altra transizione,

faticosa ma certamente davvero possiamo dire epocale31, lo slittamento fra lavoro e non lavoro e dal

Lavoro ai lavori, alle multiattività life- friendly (sport, cultura, sociale, relazioni, salute, hobby,

arte, ricerca, ricreazione, ma l'elenco in realtà è immenso), un tempo considerate extralavorative (la

leisure class di Veblen). Alla domanda ˝che fai nella vita˝, la risposta è spesso multipla32: un

salario (miero) e poi altre attività “laterali” di tipo associativo o sociale. Permane invece, soprattutto

nei decisori pubblici, la vecchia idea della monospecializzazione, della professione: l'idea che al

lavoratore sia associata per sempre una sola attività lavorativa33. Invece il tema delle multiattività

corre da tempo sotto traccia, e assume forme creative, alternative e sociali come la sharing

economy, il basic income di cittadinanza societaria, le monete locali, le Banche del Tempo,

l'invecchiamento attivo mediante il volontariato civico, il welfare di community, i congedi per

attività sociali, il volontariato esteso e riconosciuto come credito formativo o validazione di

competenze, il «sospeso», il dono non immediatamente da restituire. Forme di autoorganizzazione,

autoproduzione/autoconsumo, condivise o cooperative, finalizzate a vite ben impiegate, socialmente

utili, buone. Favorite dalle tecnologie che certamente in questo caso sono davvero abilitanti.

Certo, tema ambiguo (ad esempio problemi di concorrenza o di entrate tributarie), come abbiamo

visto ambiguo34 rimane sempre il tema del Lavoro. E le reti di imprese, reti di vite, tempi e lavori

ripartiti riconfigurano le società con forme di clan sui bordi del mercato35. Se pensiamo del resto

alle attività di aiuto o di relazione, o al terziario creativo amatoriale, non abbiamo solo opus libero,

per sé: c'è un mercato potenziale di attività indipendenti, di competenze imprenditoriali atomizzate

fino a scomparire nelle vite, poi ricomposte. Attività liminali ma che, sommate, contribuiscono

sempre più ai beni comuni e all'affermazione di soggetti anche collettivi, indipendentemente da

31 Vedi (Gorz, 1997), ma prima di lui diversi teorici della liberazione dal lavoro alienato. Il comunitarismo

di Gorz in fondo è sostenibile perchè modulabile in estensione sociale. O per dirla alla Sen, è una choice

multipla, in cui scegliere più strade, con capabilities e functioning multipli.

32 ˝Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio cose˝, per dirla alla Ecce Bombo

33 Si badi: tale idea, nobile perchè risalente all'etica professionale, è presente in modo ossessivo proprio nel

settore pubblico, dove non è raro trovare persone che per tutta la carriera lavorativa hanno svolto sempre

la stessa attività, causa principale di scarsa innovazione. Ma la cosa curiosa è che tale schema è presente

anche nelle aziende, e permane molto più a lungo di quanto si pensi anche come modello mentale nello

stesso lavoratore e nella società. L'apprendimento Long Life Learning fa fatica a emergere perchè fa

saltare questa impostazione rigida, ma questo salto appare, a molti, denso di rischi, paure, ansie, viene

esorcizzato e tenuto nascosto.

34 Dalla certezza all'ambiguità: una lenta conquista? (Quick, 1993)

35 Ma le innovazioni nascono spesso da saperi, spazi e tempi considerati «inutili», o dall'assorbimento di

comunità di pratiche hobbystiche alternative, ad esempio la microelettronica nella controcultura

californiana degli anni 70.(Revelli, 01) o ai giorni nostri il dark side della creatività nel caso dei derivati e

delle assicurazioni creative.

reddito o professione.

Il lavoro, compresso perchè «turboprosumerizzato», tracima dal mercato del Lavoro (maiuscol)o e

diventa vitale, creando nuove organizzazioni, nuovi lavori, e anche un de-investimento del Lavoro

in senso stretto, in chiave di recupero psicofisico da lavoro o stressante. Lavori come occupazione e

formazione continua on-the-job, quindi: il nodo pratico è l'organizzazione dei nuovi lavori, il

pooling di risorse (informative, di aiuto, Banche del Tempo, cohousing, coworking, «co-vita») e

anche una nuova rivendicazione di spazi e tempi collettivi. Nella società delle multiattività, alcune

hanno utilità pubblica più di altre, ad esempio proprio orientamento e formazione: occorre un

riconoscimento pubblico, politico, delle utilità delle competenze emancipanti e socializzanti,

ripartendo tempi e attività, certo senza far concorrenza su mercati (Laville, 2000). Riconoscere al

datore di lavoro il tempo del dipendente per attività sociali e incentivare la responsabità sociale

delle imprese. Le cooperative di consumo sono prosumer collettivi ? Basic income come diritto al

benessere minimo di cittadinanza, a non essere cacciati unter, a poter vivere una vita decente, diritto

alla salute minima di cittadinanza societaria. Un basic welfare (formazione e lavoro, mobilità, casa,

nutrimento, socialità) di risorse minime garantite a tutti, un vero livello essenziale di prestazione,

capacitante, perchè è condizione di vita, investimento sociale.

In questo senso se perdi il lavoro hai un know how e un know who rivendibile. I lavori sono un

gioco a somma variabile dove tutti guadagnano. Reti di imprese, reti di vite, tempi e lavori ripartiti.

Una società che valorizza i prosumer che produce, messi al lavoro per la società - società appunto,

soci alla pari - perchè il prosumer è produttore di social innovation, solo che il sociale è dominato

dall'economico, è ridotto 36: siamo nell'era economico-sociale più che socioeconomica, del Lavoro a

socialità limitata. Il paradosso del disoccupato e del precario è che il tempo liberato può essere

usato per formazione, volontariato pubblico, socialità, salute, famiglia, altri lavori, mentre invece è

dissipato. E questo vale anche per il pensionato.

Il lavoro è mortificato in schemi economicistici37, ma non è solo mercato, ci sono attività non

monetizzate, redistribuibili a tutti, vite al lavoro pubbliche. Si può trovare il sistema di occupare le

persone in attività che i piacciono e guadagnarci tutti: basta organizzarsi. Anziché formazione

finanziata lavori finanziati, il diritto a una vita multiattiva, alla multiprestazione di lavori, congedi

per attività pubbliche, bandi mirati, possibilità di variare lavoro, più choice del tempo extralavoro.

36 Lean, la produzione snella, ridotta al minimo, è parente di strain, rottura, si può rompere.

37 Ad esempio è occupato chi ha lavorato un ora nella settimana di rilevazione, è disoccupato chi fa il

volontario a tempo pieno

Nei Centri per l'Impiego si possono utilizzare i volontari, il tempo libero può essere utilità sociale:

c'è un immenso bacino di lavoratori insaturi. Il volontariato va organizzato, ma è un moltiplicatore

di lavori pubblici, attività artistiche, culturali, sportive che in fondo non sottraggono nulla al

mercato, e anzi possono essere preincubatori di imprese. In città ma non solo:, certo occorrono spazi

e e tempi, iniziativa, strumenti a disposizione, locali, nuovi modelli di vita e sistemi locali di

sharing.

LA POLARIZZAZIONE DELLA FLESSIBILITA': CHI INVESTE E CHI E' INVESTITO

La disoccupazione/inattività convive con la sovraoccupazione/sovraattività, e la divaricazione

cresce. Vite dense, energizzate al limite, autonome. Ma anche, si è detto, vite inutili, rarefatte,

eteronome. Il multiattivo senza tempo, assediato dalla «fiera delle opportunità», fino alla paralisi

regressiva. E l'inattivo con vita vuota e tempo sprecato in allontanamento dalla cittadinanza, ostile

allo straniero e allo stato, che non chiede aiuto. «Up and Out»: la crescita della polarizzazione

evidenza la mancanza di solidarietà per gli esclusi, ad esempio interi territori o le generazioni

anziane. Pensiamo alla assenza di solidarietà fra territori. Quale equità e soprattutto quale

reciprocità se c'è chi non lavora e chi lavora per dieci ? Ecco quindi il counselor per capire se si è

all'altezza, la ricerca di chi decida per te, il ritorno a forme premoderne rassicuranti, comunità

simboliche con scarsa comunicazione vera, emotive, rituali, spettacolari.

Diseguaglianze (pare crescenti) non solo quindi di reddito, ma di distribuzione delle due

risorse chiave: il tempo di vita e le competenze, fino a delineare una società a due velocità: il

multilavoratore globale con poco tempo e molte competenze (cronofagico), e l'inattivo locale, con

molto tempo e poche competenze. Abbiamo peraltro anche molti sovraqualificati sottooccupati, e

pure sottoqualificati iperoccupati.

Per i soggetti che della flessibilità sanno cogliere38, in modo benestante39, opportunità per lo

38 Choice alla Sen (Sen, 1986).

39 Benessere (Spaltro, 1984) come sentimento di stupore che incontra la vita nel traversare le interfacce

psicosociali. Spaltro distingue tre livelli di funzionamento sociale (coppia, piccolo gruppo,

organizzazione) e tre interfacce (A fra individuo e piccolo gruppo, B fra piccolo gruppo e organizzazione,

e C fra organizzazioni). Il modello si basa sulle resistenze, nel passaggio delle interfacce, che presentano

aspetti di regressione e progressione, di difesa (in-dipendenza) e socializzazione, di chiusura e apertura.

Le interfacce sono manopole di navigazione sociale, un va e vieni, un sali e scendi, una boccata d'aria e

una difesa dall'inghiottire l'acqua, una corrente alternata simile all'oscillazione delle maree, fra minore a

maggiore densità sociale, fra identità a appartenenza. Duali perchè, lewinianamente, «zone di passaggio»

da minore a maggiore densità sociale, da identità a appartenenza: il loro attraversamento (il trattino

dell'interfaccia), è freno e avvicinamento, autonomia e integrazione. E' benestante se accade senza

impazienza, capace di «digerire» frustrazione e dissenso, di «abitare» le dualità senza urgenza di

sviluppo, le «vite-lavori», oltre che merce, sono «vite attive» (Arendt, 1964), vettori di functioning

(achievement) di qualità, vite «impoterate», e valore aggiunto selfpropelling circolante40, dono per

l'intorno sociale, più o meno ampio. Identità anche collettive e bene comune che aumenta le

capabilities territoriali, cioè le capacità di functioning collettive, la qualità delle vite. Vite belle, non

mercificate. Ad esempio una startup è perno di identità collettive locali, vite che consumano e

ricostruiscono risorse, anche se con una certa resistenza di spazi per sè e per i propri gruppi primari,

a non condividerli. O ad autogestirli nei tempi, come evidenziato nelle multiattività. «Vite-lavori»

che sviluppano identità e autostima, che consumano ma ricostruiscono riosrse sociali, realizzando

desideri di gratitudine, legittimazione, reputazione, dignità di ruolo pubblico. Benessere è accettare

e giocare la sfida collettiva, nucleo culturale, processi e pratiche (anche i processi partecipativi) che

animano la dinamica della convivenza promuovendo, mantenendo o migliorando salute e qualità

della vita (Avallone, 2005). Sempre in (Avallone, 2005) troviamo gli indicatori del malessere

(scarsa fiducia, scarsa choice, conflittualità negativa, comportamenti indesiderati, diminuzione del

senso di appartenza e della creatività).

Circuiti virtuosi (buonessere, vita buona, di chi dà una mano ed è solidale con l’inattivo,vita

degna, vitale, socialmente responsabile) generati anche a partire da quelli viziosi41 (mala-vita,

malessere, vita indegna e irresponsabile), e viceversa.

Alcuni esempi di contaminazioni malestanti:

Diffidenza: quello che imparo lo impara l'altro (potenziale concorrente), che mi osserva

La socializzazione è munus da restituire, da cui disfacimento dei legami sociali e

schiacciamento eccessivo sull'Altro

Lo spillover dei modelli mentali, ad esempio il volontariato che serve a migliorare la propria

occupabilità

Il sentimento del potere che «stinge» verso l'egopatia e la volontà di potenza:

Ansia, ad esempio dei genitori che non possono offrire benessere (potenziale) ai figli o ansia

di inserirsi con un post nei flussi Last In First Out

unificare, sapendo «so-stare» nei conflitti. Un concetto parente dell'empowerment, ma che evidenzia le

belle relazioni e il bellessere, potremmo dire più di nucleo strategico, per il soggetto. La riflessione di

Spaltro è pluralizzante, parte dagli anni '70 e si fonda col decennio di modernizzazione (1957-67), la

scoperta del soggetto e dello stile partecipativo-democratico. Vedi anche i lavori seminali (Bennis, 1969)

su salute organizzativa e sviluppo organizzativo.

40 Capitale circolante, visto che la metafora è economica, e si coglie con questo termine anche .la rischiosità

dell'operazione.

41 Cioè gramscianamente rovesciare (allora era il nascente fordismo, oggi il postfordismo)

Attacchi di panico, uso di farmaci per indurre attenzione o provocare/attenuare emozioni

(doping da benessere)

Esaurimento e collasso psicosociale, dall'organizzazione dell'Io fino alla lacerazione di

convivenza e cittadinanza di interi territori

Surmenage: vivere una «vita da detective», ad esempio le idee che sorgono fuori dal lavoro

e l'eccesso di rischio

Il malessere è rischio di sostituibilità, paralisi, regressione, terrore di essere messi da parte,

resistenza a essere misurati, sconfitte vissute come vergognose, supereroi peformenti che celano il

doppio, l'utente risentito, ipercritico, gli scatti di collera, l'aggressività, gli attacchi alle routine,

l'odio-invidia per l'impiegato pubblico. Si subisce l'irritazione dei familiari, si è evitati socialmente,

si è considerati pigri, incapaci. Non essere presi in considerazione nei colloqui è emotivamente

pesante perché si misura la distanza da performance o corpi inadatti. Non c'è lavoro, cioè che vivo a

fare? Sono solo un peso sono escluso dalla bella vita.

Il malessere sorge da una cronica oscillazione fra iperattenzione sovraeccitata, intossicata e

sregolata da choice obbligata, (non libera di non choice), e lutto depressivo perenne42. Sé grandioso

e sé disintegrato: vacilla il ragionamento ponderato, in una schizofrenica caccia all'inconsueto43. La

«turbovita» mal si concilia (per molti) con la stabilità psichica, da cui derivano difese nevrotiche

(regressive) e paranoidi (identificazioni proiettive e odio per la vita come «mancanza a

benessere»44.

Lo smarrimento identitario, il ruolo troppo «srotolato» si disfa, e rende difficile ricomporre un

nuovo ordine, ordinare i frammenti identitari in uno stile di vita personale stabile. In altre parole la

difficile formazione, o erosione delle personalità (Sennett, 2000), che mina le basi per la sua

riproducibilità.

Il rischio rottura è dovuto a strain breveperiodisti di obbligo performante45 di Long Life Learning ,

all'infinito self-enhancement, al dover stare al passo. I soggetti vengono energizzati, benesserizzati,

empowerizzati (forzatamente lievitati, per usare una metafora culinaria) oltre i limiti «naturali» e

possono «strapparsi»46. . Usando il modello di Antonowsky (1978) - che vede forze stressanti che

42 Cambiare (i formatori degli adulti lo sanno bene), è uccidere il «vecchio»

43 Lo schizofrenico perde appunto la vita quotidiana il senso comune diventa non comune.

44 In Lacan la «mancanza a essere» è odio per il simbolico che non rende liberi, odio per la vita, per il

debito, il munus con la comunità, la negazione della dipendenza dl'altro come ordine, limite. (Recalcati,

2010)

45 Dal superuomo all'uomo sovraeuforico ?.

46 La «fatica di essere se stessi» (Ehrenberg 1999)

impoveriscono e forze di coping che resistono - il coping, sociale e individuale, può non reggere e

l'eustress viene sopraffatto dal distress. Fronteggiare è risorsa consumabile: troppi stimoli generano

sovrabbondanza a essere. Cresce il benessere per pochi resilienti, che ispessiscono le loro vite,

suscitano e saturano desideri, ma in spirali oscillatorie che esondano dalle capacità bio-psicosociali

Questo «disagio della precarietà» - unsafety47 più che unsecurity - declina il lavoro (per fasce

crescenti più escluse o isolate), come malessere psico-sociale: disoccupazione/malaoccupazione,

fallimenti personali o di impresa, «incompetenza» e burnout generano malattia e esclusione sociale

(e viceversa)48.

Il benessere è al contrario saper girare intorno al raggiungimento possibile del desiderio, senza

fretta, fra passato e futuro. E' stupore, senso di imminenza estetico per qualcosa che si sta per

compiere, la trasformazione di capabilities in functioning. E' conflitto accettato49, desiderio di

investire e paura di farlo, all'interno di un sentimento di futurità e padronanza del sé e del contesto,

cioè sentimento del potere, di mastery, di agency. Per Spaltro è anche belle relazioni (gruppare,

organizzare) e bellessere, cioè «plus-essere», desiderio che si colora, Sabato del Villaggio, sorpresa

nel sentire di passare dall'impasse allo spiraglio, di «scollinare» sui crinali soggetto-oggetto,

separazione-unione, incertezza-sicurezza, assenza-presenza, amore-odio, vita-morte. Benessere

come salute, welfare, come capacità di essere organizzati, nel senso dell'antica Roma, e di occuparsi

della debolezza con la cultura della forza..Riflessioni, come si vede, centrate sulle tematiche prima

accennate

Per Spaltro l'attraversamento delle interfacce psicosociali è cross-fertilization di energia: nel

benessere l'energia fluisce, si moltiplica, mentre nel malessere defluisce, rifluisce e si scarsifica. Il

benessere, nella af-fluent society è ri-fluente, in-fluente, con-fluente, de-fluente, si autoalimenta ed è

potenzialmente illimitato. Ma più le interfacce sono abitate e fluidificate - oggi si cambia spesso

gruppo, organizzazione e territorio - più sono facilmente traversabili, ci si abitua e si innesca quindi

una corsa al rialzo.

47 Cioè non si sa se il prossimo lavoro sarà meglio o peggio, non si sa quale sarà, non si sa quanto ci vorrà a

cercarlo,

48 “Oggi una parola chiave dei nostri pazienti è lavoro. I pazienti parlano in modo angosciato del fatto che

non c'è più lavoro [..] lavoro diventa la parola chiave per rifondare la parola desiderio. Si capisce allora

che c'è stato uno spostamento radicale rispetto agli anni Settanta dove il desiderio era un'alternativa al

lavoro, mentre oggi il lavoro è la possibilità di dare un senso al desiderio” in Recalcati (2013).

49 Conflitto «che lavora per noi» (Metcalf 1942), «capacità negative» (Lanzara, 1993), o ancora prima con

Keats e F. Scott Fitzgerald, con uno sguardo binoculare («e-e» più «o-o»), con gli occhiali dell'uno e del

molteplice, tollerando rimozione e espiazione senza negare né fondersi Esattamente ciò che invece

terrorizza l'infante, che infatti attiva le difese primitive kleiniane schizoparanoidi e depressive.

Il malessere del benessere («benesserismo») è il «turbobenessere» che biopoliticamente vira verso

la sfera produttiva. Una lettura neoapocalittica che evidenzia il malessere di una spirale perversa di

scarsificazione del benessere che, spinto all'eccesso, scolora nel suo opposto. Passato l'incanto del

trentennio postmoderno, potremmo dire del benessere, siamo ora nell'era del disincanto?50

L'attenzione è sulla qualità della vita-lavoro, sul benessere socio-lavorativo, ma tali elementi sono

incorporati in prodotti e servizi (il wellness ad esempio è un prodotto), di cui siamo a nostra volta i

turboprosumer che alimentano il ciclo. Beni che finiranno, anche se pubblici come i beni

relazionali, mercificati. Ma questo benessere ha un baumaniano retrogusto amaro di «vita a caccia

di benessere» che non è tutta vita buona, perchè si consuma51, Dal «diritto a perseguire la felicità»

alla «spinta gentile» verso l'ultrabenessere.

La velocità eccessiva del ciclo desiderare-essere-avere (di per sé positivo, ovviamente) finisce per

invertire normalità e eccezionalità, alzando l'asticella verso una efficienza forzata. Il rapido

godimento del benessere ne fa desiderare sempre di più, ma l'andamento, necessariamente

sismografico (come quello dei mercati finanziari), produce forti sbalzi di malessere52.

Limite di velocità: oggi si occulta il benessere per paura dell'iperbenessere? Se interi territori

competono sugli indicatori di benessere e qualità della vita, i soggetti sono più assoggettati (sub-

jectum) che autonomi (pro-jectum).

La frustrazione per una avventura agonistica senza fine produce alla lunga effetti patologici

(Recalcati, 2010), che si notano, sotto traccia, negli interventi di formazione e orientamento:

Vite «spolpate», smarrimento, ritiro nelle «passioni pallide», paralisi da in-capacità magico-

fatalista

Vivere alla giornata aspettando il biglietto vincente alla «lotteria della vita»

Mostrare emozioni finte e nascondere quelle vere (rabbia e aggressività)

Risentimento e ipercriticità invidiosa per le qualità meno raggiungibili, come quelle

cognitive, e rancore per l'altro flessibile che sostituisce il prosumer difettoso (lo straniero) o l'altro

50 Prima era la voglia di sfuggire all'ordine, il disincanto dell'ordine, oggi è l'inverso, voglia di sfuggire al

disordine, disincanto del disordine?

51 Sentimento che colpisce anche negli operatori dei servizi di formazione, orientamento e consulenza. Chi

deve motivare è spesso a sua volta precario.

52 Lo stesso paradosso di Easterlin (1974), cioè la curva del benessere che tende a decrescere con

l'aumentare del benessere economico, segnala una contraddizione: potremmo parlare di limiti del

benessere, parafrasando i limiti dello sviluppo di marca ecologica. Una versione «umana» della «tragedia

dei commons» (Hardin, 1968), una estensione delle colonizzazioni moderne (il Nuovo Mondo o il

taylorismo) alla «recintazione» del comportamento (alla Goffman, cioè recitante).

iperbenesserizzante (l'intrusione burocratica nelle vite, il sindacato, ma anche in parte il Terzo

Settore di vecchia generazione)

Il riaffiorare di paure primarie (far brutta figura, non farcela, essere traditi, abbandonati,

maltrattati e malconsiderati) e di Sé passati da riattualizzare (Caligor, Kernberg e Clarkin, 2012)

Anaffettività: vita vuota se «esci dal Reality», come in Reality di Matteo Garrone.

La «cum-fusione» fra ruoli pubblici (paterni) e privati (materni) determina un sovraadattamento

longlife all'altro e al sé precoce: lo smarrimento identitario rende difficile fissare i frammenti

identitari dei sé multipli derivati dalla miriade di esperienze. Essere, vedere e sentire in luoghi

diversi, fare tante cose insieme: «Intra-viduo» (Conley, 2008) e «multividuo», in una

adolescentizzazione forzata e consumo di self-efficacy. Da cui seguono (La Barbera, Guarnieri e

Ferrario, 2009) :

Frammentazione del senso di sé e dell'altro

Rimozione, burnout, perdita della gioia di vivere, distacco e fuga dal reale53 Lche non

corrisponde alle aspettative

Ipernarcisismo euforico, avido e juissance dissipativa, onnipotente e mortifera54

Malessere organizzativo: distorsione, proiezione e rimozione del conflitto vita-lavoro

(Fraccaroli, 2011)

Gravi disturbi alimentari e uso di sostanze per attenuare l'ansia o essere artificialmente

euforici e al top

Esasperata coscienza di sé e dell'altro, ipertrofia cognitiva e disfunzione del senso comune

di tipo schizoide o melanconico55

La domanda a questo punto è: come rendere l'«ipervita» del Long Life Learning compatibile col

bios ? Quale welfare ? Quale ruolo per le community locali ?

NUOVE VULNERABILITA': I SOPRANNUMERARI DI SISTEMA E LE PRATICHE DI

POTENZIAMENTO/AIUTO DA 0 a 80 ANNI.

I nuovi profili di rischio sociali riguardano sfere un tempo considerate private e fasce sociali

tradizionalmente garantite. Numerosi studiosi (Ranci, 2002), Borghi (2002), Castel (2001), La Rosa

53 L'hikikomori giapponese: giobani che si ritirano per anni in solitudine estrema.

54 Il Salò di Pasolini.

55 Qui rovesciato, è amore-odio per la routine, palude dell'essere-lo-stesso, figura molto presente nei Centri

per l'Impiego.

(2005), La Rosa (2003), Zamparini e Menegatto(2011), Goodin (1985) segnalano una «tragedia

tranquilla» di disaffiliazione e sfilacciamento sociale che colpisce più i ceti mediamente benestanti

che le tradizionali fasce di malessere e povertà, più abituate alla lotta per la sopravvivenza. Un

precario deve aggiornarsi, ma anche cercare lavoro, produrre e rendicontare: non c'è tempo per

giocare, leggere, camminare, avere una vita pubblica, andare ai processi partecipativi. Emerge un

sentimento di rischio di irrilevanza/sostituibilità per i nuovi Sisifo che non reggono l'imperativo di

McClelland della achieving society. Non sono o non si sentono riconosciuti, amati

(l'autorealizzazione è attenzione da parte dell'altro). Sono i cattivi investimenti in capitale sociale e

umano che non restituiscono valore: aziende in crisi, aree a sviluppo ritardato, le aree interne56, gli

helplessness. Risorse umane57 scarsificate nei functionings di riconoscimento e fronteggiamento dei

problemi/opportunità, e rapida elaborazione riflessiva di azioni e nuovi desideri, perchè questi

functioning non sono stati ricostituiti dopo il consumo. Gli intrappolati nella rete (intesa come

contesto sociale), che non hanno più voglia di combattere, i «reduci». E' quello che formatori e

orientatori osservano in molti over45 in difficoltà a ricollocarsi ma anche, in forme ovviamente

diverse, nelle fasce giovanili. Il soggetto perde spessore, (Bologna, 2011) paralizzato dalla

sensazione di scalare una montagna troppo alta: subentra una personalità artificiale «come se» di

Helen Deutsch, un misto di aggressività e passività, di amabilità e cinismo nella volontà di

desiderare di appropriarsi e mobilitare le risorse perchè il gioco è «campo minato», in cui si

alimenta il divario aspirazioni-opportunità reali. Mazzoli (2012) parla di sfibrante soggettivazione

della povertà: essere presi in carico dai servizi all'impiego è vergognoso e umiliante perchè implica

un senso di inadeguatezza: chi resta indietro è dunque anche fuori dalla formazione, è solo, non è

raggiunto, non partecipa alla vita civile.

Poveri da disallineamento col turbosviluppo, con idee di sviluppo distorte e frustrate dal

turbocambiamento che modifica le competenze necessarie e implica che molti (sia individui che

soggetti collettivi) rimangano «indietro», non siano più adatti alla turbocompetizione, diventino

soprannumerari. Si tratta, inizialmente, di un disagio, di una paura, di un sentimento di

vulnerabilità, di non saper fronteggiare lo spiazzamento, che poi sfocia gradatamente nella povertà e

nell'esclusione vera e propria, che potremmo chiamare la non autosufficienza nelle «vite-lavoro».

Fasce sociali con buona scolarità ma basse competenze riflessive, e bassa riconvertibilità di

competenze. Soggetti isolati socialmente, quindi anche imprese e territori, magari coesi all'interno,

ma che per per tradizione familiare o locale sono rimasti a un modello «moderno», cioè a un

«impiego» ben distinto dal non lavoro o dalla vita personale. Soggetti, organizzazioni e territori con

56 I 3/5 del territorio italiano

57 Da ressortir, in francese riuscire a cavarsela..

velocità minore di cambiamento, non distribuiti ugualmente sul territorio, dispersi e difficili da

intercettare, perchè non hanno elaborato i lutti per la scomparsa del mondo in cui abitavano, cioè

non mostrano una domanda, non si rivolgono ai servizi. In «esodo silente dalla cittadinanza», con i

tratti del risentimento, e coi quali è molto difficile condividere i bisogni e il servizio da offrire. Si

tratta di trovarli, coinvolgerli, ragionare con tempi lunghi caso per caso, territorio per territorio, e

intervenire, in modo coordinato e partecipato, senza sbagliare, proprio nel punto più delicato del

sistema sociale. L'errore fondamentale che si compie è considerare questa utenza solo come singoli

individui: sono gruppi sociali, micro imprese, piccole organizzazioni, anche nel Terzo Settore, sono

interi territori locali: i livelli di funzionamento sociale e di empowerment individuale, organizzativo

e sociale sono intrecciati, e l'intervento di aiuto qui davvero richiede un analogo intreccio di

competenze.

I “RECALCITRANTI A ESSERE MEZZI DI AZIONE”: INVULNERABILI O PARASSITI

?

Analizziamo anche, per completezza, le minoranze contrarie al benesserismo. Che, abbiamo già

visto sopra con l'economia del dono, in realtà si possono trasformare in forze positive58. Gli stili di

vita considerati obsoleti: vita compassata, disinteresse, i «dolenti i nolenti», ben oltre la normale

resistenza dell'adulto al cambiamento e all'apprendimento. Chi mostra rigidità, cocooning / social

loafing (apatia) al disordine ipermoderno, chi si chiude ai flussi e rifiuta una «vita da prosumer», di

invecchiare attivamente o tornare adolescente. Chi mostra prudenza di fronte all'innovazione letta

come «ex-novazione», atteggiamenti di stagnazione psicosociale («non-essere-gettati-del-tutto») e

chiusure identitarie a un sé stabile, familiar-comunitario rassicurante. Certamente qualità negative,

che danno sicurezza ma minano l'autonomia e sterilizzano le capacità.

L'esercito di riserva al contrario: i non competitivi che si limitano alla performance minima vitale o

praticano il soldiering59. L'aurea mediocritas che osserviamo nelle organizzazioni («in-

competenza», «di-organizzazione», disturbi di apprendimento organizzativo, «in-azione»,

organizzazioni inospitali60). . Anche soluzioni di exit, come non espropriabilità del proprio,

58 Come nei film dei Fratelli Coen (˝Grande Lebowsky˝ e ancor più ˝L'uomo che non c'era˝) o pensiamo al

rovesciamento biopolitico dell'autonomia radicale del '77 (radio libere, rifiuto del lavoro salariato,

creatività, socializzazione), ribellione oggi integrata.

59 Il frenaggio della produzione anticottimista studiato da Roy negli anni 50 (Bonazzi, 2002), il ca' canny, lo

shirking, l'inosservanza funzionale delle norme per evitare l'abbassamento dei tempi.

60 Non dobbaimo mai tralasciare la domanda, le organizzazioni, in cui si notano opacità, fazioni, doppi

giochi, finte, accomodazione half-hearted, far finta di impegnarsi, in-efficacia disfunzionale.

Organizzazioni formali, fredde, sospettose, grigie e collusive. Il mero adempimento, la routine, la,

propensione a sfilarsi, il lavativo. L'obliquo calcolo delle convenienze e la sterile conservazione

resilienza come resistenza alla rottura, o forme devianti di riproposizione di schemi non produttivi

(Centri Sociali), fino all'aperta rivolta regressiva allo stadio primitivo o al sabotaggio certamente

qui autolesivo

O – all'opposto - tratti conservatori/premoderni nostalgici (umiltà, rispetto, onore, la ricerca di

guru, le sette) o populisti. Ma dissenso e critica aperta al turbobiopotere hanno poco spazio e molte

forze antagonisto-libertaria viene presto riassorbita61. Raffinando l'analisi potremmo chiederci: se la

vita è biopolitica, cosa residua ? Qual'è la frontiera di resistenza? Quale «vita minima», «vita

buona» ? Chi è oggi l'«Uomo senza qualità»? Quali sono le incomprimibili «competenze proprie» ?

Quali relazioni sociali minime ? Il familismo è davvero amorale? L'ora di vita inoperosa, la noia,

l'ozio62, l'ignavia (Oblomov). Chi consuma prodotti antiquati: l'ecologista autarchico, il raccoglitore.

L'entropia, per l'appunto biologica. .

Certo, tutti tratti socialmente negativi. Ma anche - entrando nella pars costruens - il pudore, la

modestia, il dubbio, la pietas, l'etica del lavoro, forme societarie gratuite, vere reti sociali e veri

amici (non quelli di Facebook), l'autentico «mi piace». Il soggetto «in-sè» e non solo «per-sè».

Certamente l'in-dipendenza e l'in-dividualismo democratico.

NUOVI DIRITTI/DOVERI E NUOVO WELFARE

Incontrare la vita da prosumer riconfigura il privato (la ricerca di lavoro, l'autoformazione e le

relazioni nei gruppi primari) in forma di nuovo argomento pubblico, e viceversa fa evolvere gli

interessi pubblici in nuovi diritti (al long-life learning e all'orientamento long-life) anche per i

soggetti collettivi. Il welfare evolve verso forme di cambiamento solidale, che non lascia indietro i

vulnerabili, che ha una dimensione ibrida, amicale.

Nuovi rischi, nuove vulnerabilità e nuovi servizi implicano nuovi diritti/doveri (Paci, 2007) e una

riperimetrazione o ridefinizione del welfare (che nella dizione anglosassone è benessere).

Certamente oggi con un contributo maggiore della società civile e del no profit, e una regolazione

maggiore dei privati e del Terzo Settore. Mentre però il welfare tradizionale fu conquistato dopo

aspre rivendicazioni operaie, i nuovi servizi sembrano rientrare piuttosto nelle politiche di sviluppo.

mirabilmente descritte in Celli (1993)

61 Andy Capp è stato cooptato, è diventato un prodotto.

62 (Anders, 1956)/2003) o Gaber in ˝Libertà obbligatoria˝, ma risalendo al romanticismo, alla critica al

positivismo, alla Scuola di Francoforte, non manca una lunga tradizione, ambivalente, di critica allo

sviluppo, che qui riattualizziamo.

Il Long-LifeLearning («in una prospettiva di crescita personale, civica, sociale e occupazionale»),

il LongWideLearning e l'Orientamento LongLife, contraltare alla sempre più rapida innovazione,

poggiano ovviamente sul solido terreno dei diritti all'istruzione, al lavoro, alla salute, e in generale

della realizzazione della persona umana, «anche nelle formazioni sociali», e ne sono la naturale

evoluzione. Ma quale sharing, fra gli attori sociali locali, dei doveri (inderogabili) di solidarietà

sociale nel Long-Life Learning e Long-Life Guidance?

E come reinterpretare sicurezza e salute (e benessere) che, al di là della battuta, effettivamente

transitano dai posti di lavoro alle vite intere? Rileggere allora anche il personalismo («rispetto per la

dignità della persona umana») e il concetto di «integrità psicofisica»? Quale welfare e quali

standard minimi di certificazione, di competenze, e di qualità dei servizi ?

Si aggiungono sfere pubbliche, altre si privatizzano. E' però evidente la sottovalutazione del nesso

causale, nei due sensi, fra salute/sicurezza sociale e LongLife Learning/Occupazione. Ma. come

detto, il welfare attualmente non prende in considerazione i giacimenti di competenze inutilizzate.

Welfare senza lavoro, welfare dei lavori: il primo passo è il mutuo soccorso, riconoscere cioè che il

problema è collettivo.

Nuovo Welfare63. Cosa vuol dire welfare di cittadinanza marshalliano-beveridgiano oggi? Come

mediare autoorganizzazione dei corpi sociali e indirizzamento degli attori e dei servizi

sussidiarizzati verso l'interesse pubblico? Come evitare forme nuove di residui tutorial

assistenzialisti che permangono, ad esempio nei progetti comunitari? E chi è l'advocacy dei soggetti

deboli?

Il Welfare mix modello Unione Europea, basato su programmazione negoziata e bandi/gari è

certamente sussidiarietà controllata, ma anche in parte consociativo, e a monte della

programmazione cosa c'è ? Se ci sono intermediari non è universalistico: i diritti di cittadinanza si

differenziano sui territori. Ma è un buon modello perchè privilegia l'innovazione sulla cittadinanza.

E' pragmatico, cerca di superare la routine dei servizi, anche se è utilizzato male, come sostituto dei

servizi, e quindi «routinizzato». I servizi sono finanziati con fondi comunitari (ecco perchè

mancano i processi partecipativi), cioè la valutazione è ex ante, in itinere e ex post, ma il cttadino è

giustamente assente: la neutralità è importante, siamo in un regime di gare, non di servizi. Al centro

63 Si veda Ferrera 2013 su come coniugare libertà (flourishing, choice e diritti) con uguaglianza

(functionings e capabilities, comunità, inclusione attiva ), competizione-cooperazione, individuo-società e

merito-bisogno, nelle varianti socialliberali (libertà e choice) , liberal-egualitaria (uguaglianza e choice),

liberalcomunitaria (uguaglianza e comunità) e conservatorprogressista (libertà e comunità).

c'è la concorrenza, non l'utente. Apparentemente peggio, ma in realtà più universalistico e efficace.

Forse non molto efficiente.

Dal welfare «allievatore» di bisogni e di vincere paure primarie (morte, solitudine, ignoranza, fame,

arbitrio) e sollecitatore di desideri di onniscienza, onnipotenza, immortalità e ubiquità siamo passati

a un modello di «workfare-learnfare» più allenatore, allevatore, di capabilities, che sollecita,

indirizza e con-forma conscenze e competenze ai desideri di rischio, crescita, benessere e qualità

della vita.64 Welfare non più come protezione che fa da contraltare ai rischi dovuti alla libertà

economica (pensiamo ai corsi di riconversione per i disoccupati), ma come manutenzione della

capacità di produzione: la sicurezza si inverte di significato e il welfare tende a diventare

economico, privato. Il welfare fordista ordinava, appiattiva e limitava, mentre la scarsificazione e la

disuguaglianza oggi aiutano: occorre invece un life coaching65 che mantenga in salute i «riservisti».

E' la versione biopolitica.

Il welfare societario, di community care, di imprenditoralità sociale, ha come protagonista il Terzo

Settore e le famiglie. Anche qui cittadinanza localizzata e differenziata, ma il servizio è partecipato,

sia pure con formazioni sociali intermediarie e tavoli consultivi. Nella variante locale di welfare di

community, in cui la società civile si affianca al pubblico, si attivano forme «fai-da-te», di cittadino

virtuoso. Tutti in fondo abbiamo, se non le skill tecniche, certo una sensibilità sociale. E' il nostro

esempio, il processo partecipato.

Il welfare generativo va un passo ancora più in là: c'è il dovere di contribuire, ti dò il basic income

o il sussidio se fai lavoro socialmente utile o accetti un lavoro precario. Abbiamo già accennato, ad

esempio nel passaggio dal Lavoro ai lavori, ad alcune direttrici di cambiamento interessanti in

questo senso.

Welfare residuale, se il privato invade gli spazi pubblici. E' il caso della Formazione e Lavoro.

Il tema in Italia presenta altri nodi specifici:

mancanza di una normativa nazionale

mercati del lavoro opachi e privatistici

64 Vedi i pilastri delle politiche di coesione comunitarie; da Adattabilità, Imprenditorialità e Occupabilità,

del 1997, si passa alla recente inclusione di Sostenibilità e Qualità della vita locale. Comunque mantenere

i territori in buona salute per la crescita produttiva ?

65 Coach era la carrozza con supporti speciali alle ruote per viaggiare su strade dissestate.

troppo stato dove non serve, poco dove servirebbe

scarsa occupazione giovanile e società bloccata (giovani in famiglia)

rigidità dei mercati del lavoro (una zona grigia del 5% soffre il mismatch con la domanda,

che è poco vivace)

manca la solidarietà per il prosumer vicino, l'interesse a fatti pubblici come lavoro o

learning, c'è scarsa trasparenza, poco «mettere in piazza», in senso buono

la fatica di trovare/cambiare lavoro non trova forme autorganizzate: la P.A. ha un nuovo

ruolo chiave nell'aggregare operatori e utenti

rilevantissime differenze territoriali

rilevanti differenze di genere, ma qui si aprirebbe un capitolo a sé stante sia sulle material

girls in a material world, che sulle over 50, e anche su come le donne affrontino coraggiosamente

eventi della vita «commodificata».

FORMAZIONE E LAVORO: POLITICHE E SERVIZI

Se le ipotesi descritte in precedenza sono vere, ad esse non può che corrispondere un analogo, ma

direi soprattutto rapido, processo di ampliamento/riorganizzazione dei servizi correlati. E' come se

emergesse una nuova epidemia66 e il servizio di prevenzione socio-sanitaria dovesse con urgenza

adeguarsi con informazione, cure e servizi adeguati. Nuovi servizi di aiuto, formazione,

orientamento e assistenza. Ai disoccupati/precari e alle aziende in crisi: il loro «restare ai margini»

del sistema «vite al lavoro» si autoalimenta in modo pericoloso.

Occorre allora rivedere senza paura modelli, organizzazione e regole delle politiche del lavoro e

della formazione, favorendo una maggiore riflessione collettiva sull'azione (lavoro di gruppo e non

solo individuale), rimodulando le risorse attorno a servizi di elabozione, simbolizzazione e

«possibilit-azione» di vite occupate e ben impiegate, «impoterate», ben spese, in salute,

rivitalizzate se spente67. Work in progress e «capacit-azione» soprattutto sul lato della domanda:

competenze fondamentalmente tecnico-organizzative in questo caso. Suscitare motivazione e

pratiche di miglioramento continuo soprattutto nelle imprese no profit e nei gruppi sociali68, come

contraltare alla «messa al lavoro» di emozioni, cognizioni e relazioni individuali. Queste

competenze non sono solo professionali ma di capacità generale di fronteggiare i problemi e le

66 In realtà il disagio è davvero diffuso: basta osservare il consumo di farmaci ansiolitici, i nuovi disturbi

che ci segnala la clinica, alcuni fenomeni sociali.

67 «In città c’è vita»: l'obiettivo è una città vivibile, connettendosi ovviamente con le aree interne confinanti.

Facendo leva sui gruppi secondari/terziari vis a vis, chiaramente di più nelle metropoli, tematici o amicali.

68 Il confine servizio al cittadino-servizio alle imprese non è molto netto: basti pensare alla selezione, alla

formazione in ingresso al lavoro o alla certificazione di competenze.

opportunità, attivando le risorse a disposizione dei soggetti, trasformando eventualmente le

debolezze in forze. Si accumulano (e si disperdono) socialmente nei territori e nelle pratiche di vita

e sociolavorative, e dipendono sempre più da servizi avanzati locali di orientamento, formazione e

consulenza. In altre parole ciò che prima era «spontaneo», ad esempio l'accumulo di capacità

microimprenditoriali, di civicness, di capitale sociale, ora va sostenuto con policy e servizi di

welfare di nuova generazione (per le nuove generazioni appunto) e di nuovo raggio (socio-

lavorativo). Perchè questo capitale sociale si consuma rapidamente e va reintegrato.

E' un campo pubblico in cui il settore pubblico più di tanto non può entrare, in quanto si regolano

mercati privati, in cui si deve essere liberi (fino a un certo punto) di scegliere69. Avere servizi

efficaci, o quanto meno adeguati, al limite privati, sembrerebbe il primo posto dell'agenda politica, e

infatti in molti paesi questo avviene. Efficaci nell'attrarre competenze (e non farsele scappare),

quindi servizi in fondo analoghi a quelli di qualsiasi organizzazione che deve attirare talenti e non

farseli sfuggire. Anche la necessità, frequente, di ridurre il costo del lavoro (evidentemente il

territorio ha la necessità opposta), ma anche di riconvertire, a tale scopo, le competenze. Valore

pubblico che quindi riaffiora. L'analogia col Servizio del Personale di una azienda però cade se

pensiamo che una organizzazione in genere (salvo alcune cooperative) non ha lo scopo di occupare

risorse, scopo che invece è proprio quello dell'Ente Locale, che deve occupare, bene, tutti i propri

abitanti, nessuno escluso. Non tanto perchè così avranno un reddito, ma perchè così saranno

cittadini, persone umane. Il Centro per l'Impiego e il Long-Life Leearning è una speciale funzione

del Personale del territorio, che ha come scopo occupare tutti, anzi attirare persone70. Proseguendo

la metafora, le domande da fare come Centro per l'Impiego a chi arriva da fuori sono: ˝Perché

cerchi lavoro qui?, Cosa ti attira ?˝. Il paesaggio (cioè il territorio fisico come identità sociale, il

bene paesaggistico di cui assicurare fruizione pubblica di conservazione, riqualificazione e

valorizzazione), la qualità della vita, quell'impresa, quel lavoro, le relazioni sociali, i servizi, le

persone ? E a chi se ne andato ˝Perché ve ne siete andati?˝”

Si possono anche utilizzare gli utenti del Centro per l'Impiego o dei corsi di formazione per

approfondite interviste ai «colleghi» ed ex colleghi. Ottimo modo di procedere anche in un processo

partecipativo che potrebbe organizzarsi per effettuare e analizzare queste interviste, e rappresentare

così un ambiente generativo di soluzioni, un habitat alla Giddens di accomunamento, messa a

69 Solo nel secondo dopoguerra c'è stato un intervento statale forte, evidentemente per il periodo

particolare. E non possiamo dimenticare l'intermediazione del lavoro più o meno mafiosa (i «sindacati»

americani) in cui un lavoro, peraltro giornaliero, veniva scambiato per doppia obbedienza, cioè il valore

pubblico può essere negativo, se si ignora il problema.

70 D'altronde se pensiamo che intere nazioni hanno rischiato il default, il fallimento e che l'Italia non è

propriamente in sicurezza da questo punto di vista, il parallelo stato-impresa non è poi così strano.

comune di preziose informazioni e esperienze71.

La governance ideale di questi servizi è che competenze, funzioni, servizi, funzionari e privato

convenzionato, oltre alla società civile di riferimento, quantomeno si «parlino» (ma soprattutto si

ascoltino) fra loro, si coordinino, si riconoscano, usino lo stesso linguaggio, condividano luoghi e

saperi, pratiche e problemi. Penso quindi all'utilizzo di progetti sperimentali nei progetti comunitari

(come fu utilizzato il programma EQUAL per sperimentare le partnership geografiche e tematiche).

Nei bandi e nelle gare comunitarie è arduo distinguere le singole materie, tanto sono intrecciati gli

obiettivi di sviluppo locale inclusivo, sostenibilità sociale e ambientale, sviluppo, Long-Life

Learning e Capacity Building dei territori. Tutto sostiene tutto in una spirale virtuosa. Alla fin fine

l'organizzazione è strumento, organon, quello che conta è il fine, l'effettività, l'efficacia, l'outcome.

Questo ci insegna l'Unione Europea, come messaggio laico di fondo che non possiamo non

condividere72.

C'è la possibilità (lo prevede il Decreto 276) di servizi al lavoro forniti da altri Enti Pubblici

(Comuni, Università, Camere di Commercio). E perchè sono così scarsi o poco efficaci?

Come abbiamo detto, i lavori sviluppano identità, stima e riconoscimento sociale, e quindi

gratitudine, legittimazione, reputazione, dignità di ruolo pubblico. Occorre riconoscere, nei

vulnerabili, le loro competenze, emanciparle e socializzarle, mentre il non riconoscimento (le

politiche passive, il sussidio) è umiliante, non rispettoso, negazione di ruolo, unlearning. Le

persone chiedono in fondo cose semplici: rispetto,aiuto, dignità e ascolto. Ecco quindi l'importanza

della validazione delle competenze, identitarie e sociali, sincronizzando quindi mondi socio-

economici, mondi vitali e mondi istituzionali. In Italia, i servizi spesso sono paternalistico-

assistenziali, a bando o con sportelli burocratici, incapaci di attivare, motivare o attrarre risorse,

come dovrebbe fare una «funzione pubblica risorse umane» del territorio.

71L'effettuazione e l'analisi delle interviste crea comprensione, ma modifica anche gli intervistati, e quindi

l'esercizio è perfetto..

72 Formazione/Lavoro, Istruzione, Welfare, Sviluppo economico, Sociale e Cultura si intrecciano in una

logica per progetti e obiettivi, tanto che potremmo parlare di un'unica macromateria e macrofunzione,

che potremmo chiamare semplicemente Sviluppo Territoriale Locale, il cui miglioramento è il

macroobiettivo principale dell'Amministrazione locale..O ancor meglio Benessere , Welfare o Salute

Locale perchè sviluppo non è automaticamente benessere, mentre certamente benessere, salute e welfare

comprendono uno sviluppo del potenziale, un sentimento di potercela fare. I servizi al lavoro sono quindi

una leva di sviluppo locale. Occorre integrarr in particolare i servizi culturali, di sviluppo economico e i

progetti comunitari. Si pensi solo - per quanto riguarda la cultura - alla creazione di opportunità lavorative

di autoimpiego/microimpresa in campo educativo, formativo e culturale, al ruolo di biblioteche a

associazioni culturali nello sviluppare competenze, servizi e impiego. Gli eventi e le iniziative culturali, in

senso lato, hanno, se ben fatti, una ricaduta molto più generale. In un certo senso è un pezzo di Long-

LifeLearning.

E poi, perché uno sportello73? Perchè un sussidio o un bando, e per chi e cosa? Policy e servizi che

si trascinano con un copia e incolla: occorre deviare maggiormente dall'abitudine (come fanno i

prosumer!). La Pubblica Amministrazione è fordista (manca la competizione): deve assumere la

logica dell'innovazione, altrimenti la soluzione più semplice (e la peggiore) diventa privatizzare o

avere una logica aziendale, perdendo di vista l'interesse pubblico.

Nella achieving society la «spendi-abilità» implica nuovi diritti di trasparenza e partecipazione, di

policy in qualche modo cogestite e contrattate. I livelli di functioning sociale e di empowerment

individuale, gruppale/organizzativo e socio-territoriale si intrecciano e gli interventi richiedono un

analogo intreccio di competenze74. Sarebbe meglio ricostruire competenze pluriprofessionali.

L’ideale sono servizi di aiuto integrati nei flussi, spazitempi e modi di vita degli utenti, centrati su

fiducia, riconoscimento e attenzione reciproca. Occorre integrare gli attori locali nelle aree

informativa, formativa, culturale e socioassistenziale, e con le politiche di sviluppo economico

locale. Spacchettare e rimpacchettare i processi (di vita). Occorre coinvolgere cittadini, corpi sociali

e società civile almeno in un dibattito pubblico, se partecipato è meglio. Scuole, Università (attore

chiave perchè ha il know how, le risorse ed è sul territorio) e imprese, ma anche formatori,

orientatori, assistenti sociali, psicologi, parti sociali, esperti di sviluppo locale, Comuni, Asl, Terzo

Settore, Camere di Commercio e Agenzie per l'innovazione, istituzioni e associazioni, affinchè si i

confrontino, si riconoscano, condividendo linguaggi, luoghi, pratiche e problemi.

Il lavori e le competenze sono i nuovi beni pubblici, e allora ben si potrebbe riconvertire risorse già

pubbliche, umane e non umane, poco adeguate, come molte funzioni burocratico-amministrative per

creare snelle Agenzie per le Competenze, per la Cultura, per il Benessere. Sfuma il dilemma

pubblico-privato e quello profit-noprofit e la scoietà sviluppa soluzioni nuove. Riduciamo intanto il

perimetro pubblico nei servizi economici, che il privato gestisce meglio (se controllato), e

aumentiamolo nei servizi non economici, dove il privato ha scarso interesse a intervenire75.

73 Il modello dell'aula e dello sportello sono rassicuranti, anche e soprattutto per l'operatore: si conosce cosa

succederà.

74 Ma welfare e servizi per la salute/benessere e progetti per la Formazione e l'Occupazione sono mondi

separati: non esistono ad esempio «Società dei lavori» o «Aziende di Occupazione e Sviluppo Locale»

analoghe alle Società della Salute o alle ASL, nè esistono tavoli comuni.

75 Il servizio socio-sanitario era inizialmente affidato alla Chiesa, e ora è di welfare mix. Il servizio al lavoro

è in sostanza rimasto privato (e la Chiesa è un attore non trascurabile), cioè opaco, ma sconta una visione

pubblica rimasta al «collocamento» obbligatorio. Un mix è la soluzione migliore: lasciato al mercato e

all'improvvisazione/creatività/contatti personali funziona male, lascia per strada troppe persone. E'

altrettanto impensabile un intervento solo pubblico in un settore a così elevata variabilità e invadenza

delle vite.

FORMAZIONE E LAVORO: PRATICHE DI CURA, FORMAZIONE E AIUTO

La cura dei «giardinieri» ingloba i saperi degli utenti, delle famiglie, del privato sociale. Più che

conferire direttamente capacitazioni, suggerisce gli strumenti per convertire assets, anche nascosti,

in capabilities. Dalla formazione distributiva anche qui al prosumerismo: si coinvolge l'utenza,

individuale o collettivo, nell'automiglioramento, orientandone motivazione e autosviluppo di

competenze di apprendere ad apprendere e di autoaiuto76. Ma anche chi forma è formato, anche chi

orienta è orientato, e applica a sé stesso (e rivende!) le tecniche di potenziamento. Il discente o

l'utente sono stimolati a esplorare, partecipare coi professionisti della formazione, i quali, a un

livello diverso, fanno in realtà lo stesso. Ma il retropensiero di fondo di entrambi i poli della

relazione d'orientamento, cioè di aiuto, o di insegnamento è: plasmare abitudini, assetti relazionali,

scelte di vita è sempre vantaggioso o può essere, nella turboeconomia, paradossalmente un «danno

esistenziale»? Per usare un linguaggio sanitario, ci sono effetti iatrogeni, cioè non voluti? Nel

mondo della formazione (Ferrari, 2006), della consulenza e dell'assistenza e orientamento, si nota

un forte disagio fra gli operatori77: mancano spesso il mutuo riconoscimento dell'altro irriducibile,

accoglienza e compassione autentica, gesti oblativi non contaminati, condivisione, vera attenzione e

sorpresa dell'incontro, accedere al «cuore» del problema, nel senso emotivo, perchè i professionisti

dei servizi sono a loro volta vulnerabili e a rischio burnout. Considerazioni non troppo dissimili si

potrebbero fare per il mondo della scuola e dell'Università. Entrambi troppo burocratici. Le

sollecitazioni di docenti, formatori e orientatori segnalano servizi troppo standardizzati: è evidente

che vadano differenziati, perlomeno fra chi deve essere «ri-ordinato» e reindirizzato (soprattutto

giovani) e chi deve essere riattivato (soprattutto anziani). La forbice è chiara, son due servizi

opposti.

Mancano poi database pubblici di imprese, e anche associazioni, che indichino recapito, settore e

tipo di figure professionali impiegabili, utili a chi cerca lavoro o una consulenza. Perchè non sono

gratuiti e forniti liberamente sui web delle Camere di Commercio o dei Comuni? E perchè,

76 Nelle Key competences UE (Raccomandazione Consiglio Europeo 18/12/06) manca la competenza

organizzativa (data per scontata), e sappiamo come questa sia correlata al benessere. Ci sono invece

competenze chiave che in Italia non sono del tutto esaurite (capacità sociali e civiche) o sono ben presenti

(spirito di iniziativa e imprenditorialità). Altre (imparare a imparare e consapevolezza/espressione

culturale) rimandano a sistemi di istruzione e formazione da rivedere.

77 Long-Life Learning: si sono addirittura fatti passi indietro, cioè la formazione si è deflessibilizzata,

depersonalizzata, rimodernizzata, cioè si torna ai «corsifici». Orientamento, formazione e lavoro sono

sistemi intrecciati: la paralisi di un pezzo del sistema (orientamento e servizi per il lavoro) costringe i

sistemi che si stavano rinnovando (la formazione) a ripiegare su formule «difensive».

viceversa, non fornire database di soggetti impiegabili alle imprese, prevedendo una tariffa di

preselezione o di vera e propria selezione78 ?

in sostanza, alla fin fine, c'è scarsa attenzione alla qualità del servizio, qualità peraltro imposta dalla

normativa di legge per ogni servizio pubblico locale fin dagli anni 90. Semplici miglioramenti di

qualità sono l creare leve civiche di cittadini, esperti sui temi di lavoro o sviluppo, con bandi

specifici. Ma anche un precario o un disoccupato, anche non esperto, potrebbe operare nei servizi,

in questo caso con un piccolo riconoscimento economico, arricchire le sue competenze e fornire un

servizio alla collettività. O ancora: il governo dei mercati del lavoro implica adeguare domanda e

offerta, aree di crisi e fasce di debole occupabilità, ma perchè allora non prevedere un colloquio

obbligatorio di orientamento anche per gli occupati, pagato dalle aziende, che comunque ne

ricavano un evidente vantaggio? Mancano i servizi di certificazione delle competenze79. E perchè il

Sistema Informativo per il Lavoro nazionale è inesistente, e spesso pure quelli regionali? Riteniamo

che quest'ultimo elemento sia davvero di particolare criticità.

Ragioniamo per analogia: chi sta male e ha bisogno di aiuto psicologico o socio-sanitario sa (più o

meno) dove andare, cosa lo aspetta, cosa paga e cosa potrà ottenere. Viceversa per chi si deve

ricollocare o per una azienda in crisi (malessere spesso ancora più profondo e bisogno di aiuto

socio-psicologico simile al caso precedente) se la deve cavare da sè, e se è isolato, con poche risorse

informative, magari è poco mobile per motivi familiari e ha una età avanzata, è perso. Appare

singolare che in Italia, nonostante una crisi internazionale comparabile con quella degli anni '30, e

nonostante gli inequivocabili dettati costituzionali e delle convenzioni internazionali, pochi

riflettano in modo articolato e innovativo sulle riforme e sulla evoluzione dei servizi per l'impiego.

L'argomento è rimosso: c'è scarsa attenzione e cura anche da parte di attori istituzionali e sociali

chiave per la messa a punto e l'erogazione di questo primario servizio pubblico, quali ad esempio

Istituti Scolastici, Università, Comuni, Camere di Commercio, le decine di migliaia di associazioni

e il mondo del volontariato. Molte domande attendono una risposta. La privatizzazione dei servizi

78 Mancano indicazioni nazionali su come, eventualmente, rendere il servizio in parte a pagamento per le

imprese. Tecnicamente il Decreto Biagi lo prevede: i Centri per l'Impiego potrebbero offrire ulteriori

servizi a titolo oneroso alle imprese. Previsione davvero interessante, che ricorda l'extra moenia sanitaria,

ma rimasta totalmente inattuata, come totalmente inattuata è rimasta la disposizione che prevede, semrpe

nel decreto Biagi, la partecipazione dei Comuni, delle Camere di Commercio e delle parti sociali ai

servizi all'impiego. Partecipazione non solo finanziaria, ma di risorse, di sedi e di competenze chiave

79 Prendiano i lavoratori autonomi/precari (le due aree in realtà spesso si sovrappongono). A questi soggetti,

serve un servizio di riflessione sulle proprie esperienze per rimodulare meglio, in chiave di occupabilità, le

proprie competenze. A tal fine ben si potrebbe prevedere un colloquio obbligatorio di validazione delle

competenze, di certificazione del curriculum, e una lista di imprese a cui si può rivolgere. Di questo il

precario/autonomo ha più bisogno. Questo lavoratore peraltro non è iscritto al Centro per l'Impiego ed è fra i

meno facilmente individuabili, se non proponendogli azioni che gli servano.

per l'impiego: quale bilancio a dieci anni di distanza ? Le Agenzie per il Lavoro servono? Il sistema

delle conferenze tripartite o la delega agli Enti Bilaterali di Categoria funziona ? Quali raccordi fra i

sistemi, locali e nazionali, di educazione, formazione e lavoro? I servizi al lavoro erogati durante la

gestione della crisi perchè sono stati insoddisfacenti? A fronte di un raddoppio della

disoccupazione, non si è verificata una rivolta sociale, ma solo un risentimento populistico, in

particolare proprio contro le Province, ente chiave in molte regioni per questo servizio: c'è un nesso

fra la sfiducia nella politica e la scarsa attenzione al tema del sostegno all'impiego?

Welfare debole, frastagliato, «datato», a fronte di una domanda ineludibile e assolutamente nuova di

servizi. I servizi al lavoro orientano meno della metà dei disoccupati e intermediano, a essere

ottimisti, un 10% della popolazione target, comprendendo i servizi privati strutturati.

L'inadeguatezza evidente di copertura, e di risorse, non è minimamente comparabile con paesi

similari quali Francia e Germania, nei quali peraltro la disoccupazione è maggiormente coperta da

sistemi di workfare. I Centri per l'Impiego appaiono drammaticamente «fermi» e le Agenzie per il

lavoro sono in crisi. Ci si preoccupa dello status di disoccupato, legato a sussidi, e del rifiuto di

accettare offerte di lavoro distanti, quando il punto oggi è fare incontrare domanda e offerta, il che

nell'era di Uber non dovrebbe essere tecnicamente impossibile.

Occorre prevedere e favorire emigrazione/immigrazione fra stati e fra regioni80. I laureati non

vengono assorbiti, disincentivando la formazione, aumento massiccio dell'emigrazione, anche

all'estero, declino economico e sociale. C'è un divario crescente fra aree metropolitane o comunque

urbane e le aree interne periferiche.

I numeri sono significativi (al netto delle nuove vulnerabilità invisibili) e l'intervento dovrebbe

essere immediato, si tratta di un «pronto soccorso». Al momento, la stragrande maggoranza fà da sè,

si rivolge al bar, al clan familiare/amicale, alla parrocchia, punta sulla ricerca casuale personale,

l'invio massivo di CV, si affida al passaparola e ai social network. Strumenti evidentemente efficaci,

ma inadeguati, inefficienti e iniqui in una società che pone il Life-Long Learning come diritto

universale: è come se il bisogno di cure mediche o psichiche fosse soddisfatto - come peraltro

avviene nelle comunità di immigrati cinesi - da un amico o parente medico, o cercando

informazioni sul web.

80 Detto cosi', pare provocatorio: ovviamente tengo conto dell'esigenza dei territori e dei soggetti di non

essere (ulteriormente) sradicati e impoveriti. E questo forse è alla base della rimozione del tema sopra

accennata e dell'atteggiamento in generale difensivo. D'altronde vedo che alla fine le persone,e le

famiglie, coraggiosamente si spostano, si buttano in nuove avventure, quasi per disperazione, e allora

perchè non fornire servizi di aiuto?

Il tema del lavoro intacca la carne e la vita di comunità, imprese e famiglie, riguarda il singolo

impiego, ma anche la «tenuta» sociale, la coesione dei gruppi sociali e dei territori, è welfare locale.

Da questo punto di vista la difficoltà di intermediare domanda e offerta di lavoro con servizi

pubblici avanzati è una «spia rossa del cruscotto», che ci segnala un grave disfunzionamento.

L'ORIENTAMENTO LONGLIFE

Altro tema, e servizio, parecchio sottovalutato. L'orientamento viene confuso con uno sbrigativo

primo (e unico) colloquio individuale di sportello, che invece dovrebbe dare informazioni, mentre è

un passaggio chiave, rivolto a tutti, di materializzazioen delle azioni, è pensabilità, desideri nuovi,

mobilitazione delle risorse, indirizzamento, chiusura del learning in chiave di azionabilità.

L'orientamento oggi è permanente, è favorisce ˝l'autonoma definizione di progetti e obiettivi˝,

progetti e obiettivi che sostengono capacità di functioning e benessere. Questo in linea con le teorie

sull'empowerment, la «capacit-azione» e le capabilities, cioè capacità di attivare (i vulnerabili),

combinare (assemblare o condividere) e agire (azioni comuni) risorse di community o personali. Da

questo punto di vista è centrale la garanzia di accesso a risorse comuni, fra le quali certamente

servizi di orientamento permanente, e, tramite altri canali indiretti, capacità riflessive di

autoorientamento, viste come attivazione di risorse interne. Attivazione (e mobilitazione) difficile

per chi, per motivi individuali, geografici o socio-culturali, è svantaggiato perchè ha minore accesso

ai canali e alle risorse pubbliche di orientamento, e ha meno risorse personali.

L'orientamento è servizio trasversale in grado di migliorare l'efficacia dei sistemi di istruzione,

formazione e lavoro, e in generale le vite, ed è servizio preventivo, da integrare nei sistemi locali di

welfare e in quello di sostegno allo sviluppo economico. Per analogia coi sistemi sociosanitari, è il

servizio di prevenzione, e quindi di ottimizzazione e migliore programmazione dei servizi, in

genere successivi, di aiuto e cura, ma anche quelli, sottostanti, di natura sociosanitaria e

socioeconomica.

Servizi basati anche su interventi, ben condotti metodologicamente, su piccoli gruppi. Un intervento

«psicochirurgico» di una tale delicatezza che non può che essere gestito da operatori esperti, anche

di sviluppo locale. Se collettiva (riconversioni) è in sostanza una sorta di ricerca-azione. Ne

consegue che occorrano team interprofessionali che comprendano formatori, assistenti sociali,

psicologi, esperti di sviluppo locale e orientatori, e non bastino servizi burocratico-amministrativi o

sportelli informativo-consulenziali. E l'intervento di sostegno economico segue, e non precede

l'intervento sociale. Non bastano quindi gli attuali servizi di orientamento e assistenza alla creazione

d'impresa o all'autoimpiego, nè molti dei progetti classici, che spesso rimangono alla semplice (ma

un tempo giustificata) logica dell'autoimprenditorialità degli anni '90. Ma non è nemmeno pensabile

ogni volta - per evidenti ragioni economiche - azionare progetti ad hoc per situazioni che in fondo

sono nella sostanza simili, come approccio di intervento. Ma soprattutto un servizio personalizzato,

e a maggior ragione un progetto ad hoc di riconversione, di rimotivazione, è un intervento di

dimensioni colossali, che richiede un supporto di attrezzature e il coinvolgimento (e il

coordinamento) di enti locali, parti sociali, scuole, volontari, associazioni, società civile, enti

correlati. E richiede una straordinaria sussidiarietà orizzontale e mobilitazione locale per «stare in

piedi», sia economicamente che tecnicamente. E solidarietà. Come avviene (con sempre maggior

fatica, però) nel settore socio-sanitario. E come avviene in altri paesi.

Mancano una consapevolezza e una strumentazione professionale diffusa e adeguata alla sfida dei

nuovi Servizi all'Impiego, e manca la mobilitazione dei corpi sociali intermedi locali. I servizi al

lavoro sono stati pensati negli anni 90 (non molto tempo fa per i tempi della politica), ma non sono

più tarati sul mercato del lavoro e sulla società attuale, stentano nell'interpretare il nuovo tipo di

lavoro e di imprese, i nuovi bacini di impiego, i desideri di nuove competenze, la nuova offerta.

Domande ma soprattutto desideri, individuali e collettivi, e soprattutto ambiguità di fondo, da

riconoscere e condividere, sono gli assi su cui fondare un intervento professionale, ma la loro

fluidità e fluttuabilità strutturale, rende impossibile un tradizionale percorso di analisi e

progettazione. Oltre alla differenziazione fra aree industriali dismesse, aree agricole, aree di

emigrazione/immigrazione, aree turistiche, aree metropolitane, aree interne ecc, la differenziazione

e individualizzazione degli interventi è strutturale. Per chi programma è un puzzle inestricabile, per

l'operatore la necessità di riflettere collettivamente.

Al legislatore e ai policymakers pubblici non pare chiaro quello che ci pare il punto chiave:

formazione, orientamento e consulenza, nei servizi, sono attività non solo integrate e

necessariamente molto professionali e complesse (che richiedono quindi robuste competenze psico-

sociali), ma anche pratiche che non si esauriscono (come prima) in attività tradizionali, ma che

proseguono nelle vite degli utenti e degli operatori, in forma di automiglioramento. Sono

servizi long-life, molto innovativi e molto costosi, come del resto costosi e innovativi sono

macchinari e competenze in sanità, o negli interventi sociali di empowerment di comunità. Ma per

realizzare quel minimo di economia di scala che la compatibilità finanziaria oggi richiede occorre

programmare servizi ripetibili e integrati. E' lo stesso tema che si pone in sanità o nel sociale, solo

che le cifre dei budget a disposizione hanno ordini di grandezza diversi. Occorre definire perciò con

molta chiarezza le competenze degli operatori nei servizi per l'impiego, e il ruolo di supporto degli

attori sociali locali e suscitare motivazione e autoapprendimento conferendo un ruolo strategico a

questi servizi. Per analogia: oggi serve una laurea per fare l'insegnante, il medico, l'infermiere e

anche l'assistente sociale: ruoli riconosciuti socialmente, e la società si mobilita in sussidiarietà. Ma

chiunque al momento può fare il progettista, il formatore, il consulente, il tutor o l'orientatore nei

servizi per l'impiego, salvo specifiche ad hoc, e il professionista stesso ha difficoltà a spiegare il suo

mestiere al cittadino. Questo ci pare chiaramente inadeguato alle sfide attuali, non è motivante,

riduce il servizio a uno dei tanti servizi pubblici, non ne coglie la strategicità e la criticità.

Occorrono anche nuovi luoghi per i servizi, sempre aperti, conviviali, con un bar e un calendario di

eventi quotidiani formativi, culturali e ricerativi, gratuiti, autogestiti. E orientamento ibridato in

questi eventi, nei flussi di vita, centrato su apertura, libertà. Urban center, biblioteche, cooperative,

banche dei lavori e dei saperi. Gestiti da associazioni, ma aperti alle collaborazioni per iniziative e

seminari/attività formative e culturali. Dove si passa per incontrare gli amici: postmoderne Case del

Popolo, attente sotto traccia al tema della formazione e lavoro. Al confine fra noprofit e pubblico,

welfare mix e progetti finanziati, con socializzazione, pooling e sharing. Dove ridefinire parole

come sicurezza sociale, disugualianze, la città, le amicizie, «i colleghi di vita», l'equità, la

performance. Luoghi belli, accoglienti con esclusi e dei risentiti., trasparenti, veloci, flessibili. Con

occasioni sociali d'incontro (convegni, cene, feste, musica). Con strumenti di monitoraggio, verifica

e controllo sulle azioni e sui servizi attuati e raccolta di idee da parte dei cittadini e tutoraggio su

base volontaria. Centri diversi anche nel nome, attenti alle idee, ai progetti, al lavoro autonomo, al

web. Utilizzare case private, sedi RAI, imprese, associazioni, teatri, musei, librerie, università,

biblioteche. Il cinema ad esempio è orientamento. Il Comune o i pubblici esercizi possono fornire

spazi, locali. Serve solo l'informazione su dove e quando andare, e meglio se si tratta di un evento e

non di un ufficio: siamo nella società dello spettacolo, l'ufficio è raramente spettacolare!.

Circoli di studio o del lavoro, Learners Week, community learning, scuole aperte la sera per

iniziative autogestite. Generare maggiore senso di controllo sul tempo di ricerca lavoro e

socializzarla. Rafforzare in positivo, e condividere, la consapevolezza del cambiamento necessario

(con attenzione a chi mostra resistenza a questo processo). Maggiore sinergia con i privati in area

cultura, sviluppo economico, sociale e istruzione. Utilizzare tecnologie come le comunità di

pratiche, tecniche video, baratto di servizi. O meglio, tutto questo c'è, ma non lo chiamiamo

orientamento long.life. L'utenza è amplissima, ma è isolata, poco raggiungibile con strumenti

tradizionali, poco motivata ad andare in un Centro per l'Impiego burocratico.

Ma davvero infinite sarebbero le azioni che un servizio pubblico rinnovato potrebbe innestare nei

sistemi sociali, in grado di sostenere le transizioni lavorative e sviluppare capacità progettuali di

lavoro e vita. Nuove Società di Mutuo Soccorso dove riprodurre prosumer consumati, circuiti

riproduttivi di co-abitazione, dove co-vivere e co-produrre, luoghi di riproduzione sociale. Dove

ricreare solidarietà al disoccupato, al relearner, dove riscoprire l'homo civicus, è una autostrada di

attività volendo.Il problema è raggiungere fasce di popolazione che non hanno servizi, non hanno

clan, non hanno web, sono in sostanza sole. C'è il problema dell'utenza non più giovane. Luoghi

dove comprendere le forze in campo, aumentare la consavolezza socio-territoriale delle proprie

azioni e del proprio lavoro, dare un senso sociale e interprenditoriale alla formazione, e anche al

contempo ricostituire giacimenti prosociali inariditi o sfruttati (fiducia nell'altro generalizzato,

amicalità e lealtà). Solidarietà è interesse vero, fraternità col diverso, interazione e non

omologazione, coabitazione e non empatia. Si rielaborano collettivamente o interindidualmebnte le

sconfitte, senza confondere pubblico e privato, o meglio confondendoli ma poi ricostruendoli.

I PROCESSI PARTECIPATIVI

La premessa è stata lunga, ma ci siamo avvicinati e comunque rimaniamo nel contesto: siamo

sempre nell'interfaccia interorganizzativa e di community e abbiamo ancora i nostri attori sociali,

utenti e operatori, perlopiù locali. Cambia lo strumento (qui non è un servizio, non è routinario nè a

progetto o a bando, ma è «eccezionale»), è negoziazione interorganizzativa è chiamata in

sussidiarietà del singolo cittadino. Strumento evoluto, anche se c'è ad sempre perchè partecipato dai

cittadini. Finalizzato alla messa a fuoco delle politiche relative ai servizi o ai lavori pubblici.

L'obiettivo è quello già delineato, cambia la strumentazione. All'estero, soprattutto in Nord Europa e

mondo anglosassone, la partecipazione è la norma, ormai non ha più un nome, è ovvia, la tradizione

partecipativa è secolare, è paradigma blasonato, forse semmai in calo di interesse per troppo uso. Da

noi, dopo il boom degli anni scorsi, siamo in una una fase di consolidamento delle innumerevoli

esperienze di processi partecipatici sui temi più diversi, animati da funzionari o esperti, in una

logica di «amministrazione catalitica» che coinvolge con tempi ristretti ma condensati

rappresentanti dell’utenza, esperti, ricercatori e organizzazioni nell'elaborazione di policy e

valutazione di servizi.

I processi partecipativi coinvolgono anche semplici cittadini (che arrivano senza essere invitatii

esplicitamente) e li rispettano, ascoltano, accolgono, li fanno crescere, ricostruendo al contempo una

legittimità dell'istituzione, che così supplisce alla crisi dei partiti. Cittadino «co-istruttore», che cioè

affianca l'amministrazione nel co-costruire soluzioni, co-amministratore volontario, prosumer

politico anche. Una manutenzione civica immateriale. Certo, il cittadino ha i suoi interessi privati,

ma talmente deboli, se solo personali,da essere in fondo neutrale e rappresentare l'interesse medio

generale. Questi miniaudit civici creano una elevata coesione oltre i gruppi primari e garantiscono,

più di quanto si possa pensare, anche deboli e opposizioni.

Sono il luogo della parola e del pensiero, dell'attenzione alla parola dell'altro, quindi sviluppano la

critica, delle altrui e proprie idee. Il clima è di vero ascolto, con tecniche ad hoc, e possiamo dire

che sono davvero palestre civiche in cui si passa dalla sudditanza alla cittadinanza. Si impara a

argomentare e convincere, finalmente non per vendere, ma per il bene comune, un livello ben più

alto di dibattito, di disputa democratica, e con un sano dissenso e votazioni e delibere proprio come

in un parlamento. Il cittadino si fà P.A. e impara a bilanciare interessi, a ponderare.

Nei processi partecipativi le organizzazioni coinvolte assumono necessariamente una logica

pubblica, non sono lì come privato (tavoli) ma come pubblico (come chiunque può andare, parlare o

solo ascoltare). Tranne i casi di sorteggio ovviamente.

Nei progetti e nei servizi invece, è bene sottolinearlo, non c'è il cittadino, né l'opinione pubblica: un

processo partecipativo è ben più aperto, pre-progettuale, pre.programmatorio. La lotta per

potere qui ha poco senso81. Non c'è bando da vincere, a meno di manovre sempre possibili. Il

significato è generalmente più giocoso, il piacere è produrre beni e risultati pubblici, il piacere della

convivenza col diverso, un senso anche di comune fragilità nel trattare temi complessi, l'esperienza

di essere in mano d'altri, di essere con altri nell'elaborazione di policy e valutazione pubbliche. E'

pubblicizzazione. Certamente non ripartendo da capo ogni volta, ma utilizzando risultati già

acquisiti. Cioè si inseriscono nel processo normale di elaborazione e valutazione, sono l'analogo di

un focus group, ma ben più significativo come numeri, serietà di metodologia, durata e importanza

degli argomenti trattati. L'importante è che la platea sia larga: è occasione da offrire a tutti, poi chi

viene viene.

Processi in fondo simili a microricerche partecipate lewiniane: capire una situazione in gruppo,

provare a cambiarla, e l'azione crea esperienza per l'azione successiva, senza distinguere fra esperti

e no. Non c'è alto e basso, dentro e fuori, è trasparente, è una unconference. E' solo limitata nel

tempo (in genere un giorno), proprio perchè aperta a tutti, ma si possono prevedere tempi più

lunghi (certo, rispettosi del cittadino che ha altri impegni, e questa è solo una delle sue molte

multiattività!). La comunità (qui territoriale) , o meglio alcuni cittadini e alcune organizzazioni,

81 In questo trae forza dalla sua debolezza, come il tgroup, potentissimo strumento, ma se ci si pensa a potere zero, gruppo fittizio.

riflette su sé stessa. Energie fresche, protagonisti inattesi. Come in una ricerca si scoprono molte

cose nuove. Anzichè un deludente compromesso è spesso una sana polarizzazione. Ponderare non è

sempre mediare, è esaminare le opinioni, poi decidere non necessariamente con un compromesso,

mantenendo vive le insurgencies. E' organo sociale (Donolo, 2007), è scelta politica chiara, quella

che il cittadino non è solo consumatore o solo utente, ma concorre a definire l'interesse pubblico,

anche se è opposizione assente nei parlamenti. E' riconoscere il cittadino esperto o rispettarlo se

inesperto o non allineato, è democrazia inclusiva. Per l'Assessorato alla partecipazione civica

stimola lavori extramercato, quote di tempo per la comunità.

L'uso di tecniche destrutturata (es Open Space) e dinamiche ben organizzate di gruppo aiutano a

riconoscersi nel processo che si vive, e a vivere (appunto) le carenze e i conflitti con estrema

serenità. Nel limite incontriamo davvero ciò che siamo, e qui il limite è la comunità, delle cui

mancanze si diventa per un momento confidenti. Esperienze molto benestanti, con elevata

sicurezza, controllo, sovranità e libertà. Il clima è avvincente, la sensazione è di avventura, ma con

un garante, il disaccordo è civile, si è fra uguali (davvero non capita spesso), si valorizza e non

punisce la creatività, serve in primis alle organizzazioni burocratiche, serve alla P.A. stessa in realtà.

Spazi analoghi ai Tgroup: là si impara a stare in gruppo, qui si impara a servire la propria

comunità e a abitare in un territorio, che oggi non è poi così ovvio perchè lo si cambia spesso o

non lo si tramanda, come non è ovvio il gruppo, che prima non c'era (il gruppo secondario o

terziario).

Serve a schizzare soluzioni, definire, controllare (se attuate) e valutare le policy passate, tradurle in

servizi, governare mercati, redistribuire risorse, produrre beni comuni. I temi sono per lo più

urbanistici, ma anche sociali, molto generali in genere o molto focalizzati, e comunque riguardano

temi concreti per i cittadini, scelte da compiere per il territorio, politiche chiave. Hanno un taglio

molto pragmatico e molto diverso dagli strumenti tradizionali, quali i tavoli di concertazione, una

assemblea o una ricerca di mercato. Assomiglia più a un Consiglio Comunale aperto su un team

chiave, in cui chiunque possa intervenire. Qui sosteniamo la superiorità dei processi partecipativi

perchè molto strutturati e metodologicamente specializzati, rispetto alla formazione, alla

concertazione, alle partnership, che hanno altri obiettivi.

Il processo partecipato recupera, in fondo, il costo psicosociale della precarietà di cui abbiamo

parlato (cioè la ricerca di sicurezza) ed è un diffusore di fiducia collettiva, una forma cioè di

sicurezza sociale, vera, solo certamente limitata. Un abitare lo spazio della mente (Marocci 1996).

Abitare con altri perchè è sempre più difficile declinare un noi non di parte, un noi oltre il collettivo,

il gruppale o l'individuale con interessi «particulari». E ovviamente questo è più rilevante se lo

applichiamo, esplicitamente, ai temi del lavoro, anche settoriali ovviamente.

I PROCESSI PARTECIPATIVI NELLA FORMAZIONE E LAVORO

Venendo ad rem, un processo partecipativo sul tema delle politiche del lavoro fa rientare

formazione e lavoro nella sfera pubblica e rendere pubblico il tema è una chiara scelta

politica, si pone esplicitamente il problema attrazione/perdita di risorse umane. E' uno

strumento associativo per la governance sociale, nel campo del Life Long Learning, il diritto più

strategico e meno affermato nello spazio europeo di cittadinanza.

Il cittadino ha qui interessi privati ma pubblici e interessi collettivi poco pubblicizzati. Può

contribuire a ricostruire una solidarietà condivisa e un quadro comune, può rattoppare gli anelli

deboli delle reti sociali su questo snodo, da un lato teorico ma dall'altro molto pratico, ma

certamente critico. Il tema è costruire (o non distruggere) valore aggiunto pubblico82, nei servizi e

nei processi partecipativi associati a questi servizi, come viene fatto in sanità, nei trasporti,

nell'urbanistica, settori certamente ugualmente strategici, ma certo un sottoinsieme di quelli

all'occupazione al Longlife learning. Traffico, politiche abitative, qualità della vita, servizi

scolastici, politiche giovanili, utilizzo di un immobile pubblico, qualità del lavoro, welfare

aziendale, politiche familiari impattano su salute, Longlife Learning e e occupazione. Ma qui

intendiamo un processo partecipato specifico sul tema, focalizzato83

“La partecipazione civica comporta una riorganizzazione dei vari ruoli politici e tecnici, in termini

di cultura, professionalità e, quindi, di capacità di impiego degli strumenti di ccntrollo in modo

innovativo e interattivo.Ruoli che non sono più orientati esclusivamente all'interno della struttura

oprganizzativa, ma indirizzati verso traiettorie più ampie..” 84

82 Sul public valute il frame di riferimento è il public value management (O'Flynn, 2007) di derivazione

australiana, fondato su fiducia, chiarezza, equità, e soprattutto dove si sottolinea il «management», la

gestione efficiente (e democratica) nel creare outcome.

83 I servizi alla formazione e lavoro sono una finestra sulla bontà delle politiche generali territoriali di

sviluppo, un indicatore di qualità delle politiche, che a sua volta inlfluenza il contesto ovviamente, ma è

un buon punto di osservazione per vedere se il sistema gira, è indicatore di contesto, al netto della sua

qualità che è diversa da territorio a territorio. Da questo punto di vista politiche nazionali di monitoraggio

dei servizi sono un fattore chiave, e i processi partecipativi locali servono per mettere a punto un sistema

di indicatori nazionali.

84 Pillitu, 2009, pg 30

Daniela Pillitu distingue qui due punti chiave: la creazione del valore e la partecipazione alla

creazione di questo valore. Un processo partecipativo può assumere la forma di valutazione

partecipata (delle policy e dei servizi, meglio insieme agli utenti), e costituire l'innesco di una

successiva ripianificazione: la catena del valore del ciclo pianificazione e controllo-azione. Ma

quale valore genera un processo partecipato in Formazione e Lavoro?

Informazioni

Competenze

Soluzioni inedite es volontariato civico

Policy

Uno stile di governance delle reti più raffinato, che può essere sia più decentrato che più

accentrato

Nuovi servizi

Condivisione di culture

Sottoreti tematiche fra organizzazioni, ad esempio su segmentazioni dell'utenza, su luoghi e

tempi per intercettare i vulnerabili, sui NEET (uno su tre fra i 20 e i 24 anni), sugli over45, sui

disabili

Il valore pubblico, il bene comune, è anche la coprogettazione, l'inclusione nei processi, perchè

è una miglioramento pubblico, trasparente. Università, scuole, imprese, ASL, Terzo Settore,

Comuni, Camere di Commercio, operatori, formatori, consulenti: ognuno vede un pezzo del

problema e contribuisce. Il tema è invece sliced, a fette: va ricostruito, in questo caso la salami

taktik 85 o la visione «parrocchiale» funzionano male.

Se ad esempio del processo si dà ampia pubblicità, sia prima che dopo, con tutti i media, si ha una

rilevante ricaduta sul territorio. Si mostra fisicamente che si è comunità. Inoltre oggi le

organizzazioni crescono non solo per competizione, ma soprattutto per imitazione, differenziazione,

gemmazione, integrazione. Cooperare spesso è una buona strategia come freno alla disintegrazione

e garanzia di «non retrocessione», di non rischiare di diventare inidonei. Condividere informazioni

e opportunità «in-attese» e «in-audite» funziona. Ad esempio un GAL, Gruppo di Azione Locale

rurale, opera (o dovrebbe operare così). Opportunità unica per il privato sociale. O penso ad una

evoluzione dei Piani di zona sociosanitari, in cui si vada oltre la cooperazione dei soggetti locali e si

entri sulle politiche, discutendole davvero..

85 Espressione nata negli anni 40 in campo politico e oggi adottata in pieno dal marketing: dividere

l'avversario

Il valore pubblico del processo partecipato (outcome, learning, innovazione, aumento di capitale

relazionale) va creato, identificato e monitorato, non solo in termini di risultati tangibili (meno

disoccupati), ma anche di ispessimento della rete sociale. Il valore in questo caso è strategico

anche perchè riusabile lateralmente (le reti vengono attivate su altri temi).

Il processo partecipato aiuta:

L'elaborazione delle policy e la sua valutazione in forma partecipata.

La programmazione, cioè l'elaborazione e valutazione di programmi (il grande escluso dei

processi di pianificazione e sviluppo), ovvero insiemi di progetti con macrobiettivi comuni, ad es un

programma di diminuzione delle disugugglianze di salute. Un programma si costruisce in genere

bottom up, condivendo regole comuni a più soggetti o funzioni, pubblici e privati, e nella messa in

comune diviene critica una elaborazione in piccoli gruppi. Una facile applicazione dei processi

partecipati alla fase, delicata, di programmazione.

La generazione e gestione di valore pubblico. Che viene creato, ma in forme scarse, private,

opache. Il processo partecipato serve alle organizzazioni private (e ai cittadini) per capire il loro

contributo, alla politica per essere più strategica e alla pubblica amministrazione per essere più

politica.

Uno spillover di inclusività e democrazia avanzata verso gruppi e organizzazioni private,

mentre nei servizi pubblici l'inclusività può assumere forme partecipative degli utenti. I disoccupati

non hanno sindacato: perchè non pensare a un gruppo di lavoro, un panel di utenti che elabori

proposte, esteso magari ai precari: anche l'utente dei servizi diventa quindi un tecnico-politico.

I processi partecipativi in campo formazione e lavoro, sono quindi:

inclusivi di civicness, imprese e formazioni sociali, come tutti

ma anche rilevanti community informali e temporanee di social innovation, dove creare

nuova solidarietà di cittadinanza mediante il confronto (e anche il conflitto) gestito, e questo è il

punto specifico

e soprattutto inediti spazi di ricerca-azione di «scioglimento» delle culture e di

socializzazione e co-ricostruzione di vocabolari e modelli condivisi. che integrano:

- saperi, pratiche e soluzioni

- valutazione e elaborazione di policy

- nuova programmazione e nuovi servizi di prevenzione

- servizi di community welfare

In sostanza non abbiamo solo una mera specializzazione tematica, c'è qualcosa in più dovuto al

particolare tema, che difficilmente si può affrontare in altro modo. Il processo partecipato

accende la sussidiarietà orizzontale e la mobilitazione locale, e integra saperi informativi,

orientativi, consulenziali, di assistenza e sviluppo prima separati rigidamente, e in particolare

sviluppo economico e sociale.

E' confronto di saperi vivi dei cittadini con saperi freddi degli esperti e neutri della PA. Consente

agli operatori in prima linea di conoscersi (pratica poco diffusa, se non nei soliti corsi di

aggiornamento) aumentando padronanza ambientale, crescita personale, scopo, relazioni positive

con gli altri, in una parola self-efficacy. . E' reengineering dei processi di vita, in chiave di

intervento pubblico sugli utenti, se vogliamo. Per il cittadino nella vita quotidiana il Work Life

Balance è affannosamente continuo, cioè in questo è competente, capisce che c'è da mediare

interessi. Il cittadino è terzo differenziatore fra interessi pubblici e privati. Nell'era della de-

differenziazione, ecco il nuovo differenziatore, che ricompone il problema, ha un punto di vista

diverso da tutti gli altri, li smonta e rimonta su base nuova, fa vedere punti in ombra, ad esempio si

studia e si lavora, non sono momenti separati, dal lavoro si passa ai lavori/competenze, ci si sposta

per lavoro e studio.

E' empowermernt di comunità perchè si accede a potere, cioè si può (dire la propria). Abilita, e

abitua i cittadini (esperti di LongLife Learning, certo solo di un pezzo, esperti di lavoro e sociale,

certo solo di un pezzo) al dovere inderogabile dell'Art 2, a prender parte alle decisioni, ai saperi

civili (ad esempio come organizzare il Centro per l'Impiego). Questo può migliorare il servizio ma è

soprattutto sviluppo locale. La comunità valorizza i prosumer che produce e li mette al lavoro per la

società - società, soci alla pari - perchè il prosumer è produttore di social innovation, solo che non

ha spazi dove dirlo, il Lavoro è a socialità limitata. Un processo partecipativo è lavoro. Occasione

particolare per tessere beni relazionali, «cena per farli conoscere», scambio di doni di

apprendimento laterale e riflessivo, e anche prove tecniche di sottoreti tematiche su segmenti

settoriali o della Qualità della Vita. Gli interessi nella Formazione e Lavoro non sono associati, c'è

un pulviscolo microimprese associazioni e freelance, e la precarietà invita piuttosto i microinteressi

a coalizzarsi, non a cooperare. Per le organizzazioni questa è una esperienza chiave, ad esempio per

il terzo Settore, per capire come democratizzarsi all'interno e allargare lo spettro visuale, costringe

le organizzazioni e le associazioni a «incivilirsi», a riflettere sulla partecipazione di utenti e

dipendenti, o partner. Il modello democratico-partecipativo si trascina, c'è un effetto kulisov, un

trascinamento dei frames.

E' qualità della vita di comunità, già dai sondaggi preliminari sui temi, stimola la fantasia, il

pensiero e l'intelligenza collettivi, è sharing di base di conoscenze e esperienze, appello alla

responsabilità sociale, è mutua riconoscibilità. Momento di valutazione serena e autocritica sui temi

critici. E' percezione e consapevolezza della dimensione territoriale – di comunità, sia pure

temporanea. Occasione di comunità, sperimentazione, una rete lasca che offre opportunità, non

intrappola perchè è reversibile.

Promuove la crescita di leader di community, agisce sui contesti, ha un effetto moltiplicatore.

Incentiva le partnership di progeto (ci si conosce) e i servizi integrati. L'azione chiave è ovviamenet

arruolare persone e organizzazioni interessanti.

E' servizio di community welfare sui temi sociolavorativo, ma non è burocratico, è chirurgia non

invasiva, che sa affrontare resistenze, prudenze, i renitenti alla leva civica, i non competitivi, i

precari-autonomi disillusi, che interviene sui gruppi sociali, che intreccia competenze di operatori e

cittadini, che sollecita l'accettazione sociale dei nuovi vulnerabili, è agorà in cui il “dia-logo” fra

pubblico (ekklesia) e privato (oikos) non è confuso, ma viene esplicitato.

E' di impulso al Terzo Settore (sia che fornisca servizi ai soci che a tutti comunque attore chiave),

a entrare maggiormente in questo ambito, sociale quanto l'assistenza (si pensi solo al nesso

disabilità – lavoro o disabilità-sviluppo di altre abilità). Dal treppiede (società civile-imprese-

pubblica amministrazione) si passa così a un più stabile tavolino a quattro gambe. Occorre del resto

una poderosa sussidiarietà orizzontale e mobilitazione locale per far «stare in piedi»

economicamente e tecnicamente i servizi, come avviene nel settore socio-sanitario.

E' abbozzo di rete prodromica ai progetti, inizialmente sperimentali, e poi servizi a regime. Questa

rete è da intendere non tanto come organizzazione o come network, ma davvero in senso letterale,

rete per catturare, sia i nuovi vunerabili che attori non dedicati, cioè organizzazioni che fanno anche

altro, come associazioni non profit e di volontariato, enti culturali e ricreativi, sportelli sociali ecc86.

86 Una iniziativa culturale o associativa innovativa, ben progettata e gestita, come ad esempio un ciclo di

film/dibattiti, un social trekking, un convegno con modalità partecipative inclusive, un concorso per

documentari, una fiera hanno ricadute significative sul riorientamento di competenze di cui si parlava

sopra, a volte molto maggiore di una azione di orientamento o di formazione pianificata «classicamente».

Detto altrimenti, molti, anche in ambito più commerciale, si occupano, senza saperlo, di Lavoro e

LongLifeLearning. Avere un ruolo pubblico e gestire una iniziativa pubblica innovativa e in senso lato

artistica e culturale - ma anche in fondo il solo pubblicizzarla come fà un esercizio commerciale

esponendo la locandina se pensiamo al caso limite - hanno a che fare con Formazione e Lavoro Pensiamo

ad esempio ai Circoli di Studio: esperienze autogestite in piccolo gruppo di autoformazione, in cui basta

una sede, un tutor a tempo parziale e chiamare un docente quando serve. Qui il problema principale è la

Ha, come si suol dire, effetti collaterali.

PROBLEMI

Il rischio? È soprattutto per la politica: il cittadino capisce che può “far da sé” e risorge il populismo

in vesti inedite, e la crisi dei partiti tradizionali aumenta87.

Perchè si fa poco (in formazione e lavoro) ? Ci sono poche esperienze, anche all’estero. Il discorso

è complesso - e a nostro avviso davvero sintomatico- certamente i territori chi partono per primi

acquisiscono un vantaggio. C'è la scollatura servizi-progetti finanziati (ancor più evidente perché

finanziano, come detto, spesso proprio i servizi). Nei progetti finanziati il processo partecipativo c'è

ma è opaco, esclude, molte organizzazioni invisibili non sono rappresentate. Si potrebbe inserirlo

nei progetti, all'inziio.

E' bridging e linking, certo non bonding di capitale sociale, è un pezzo, importante ma da solo non

serve.

Un rischio è avvantaggiare chi ha voice escludendo ulteriormente vulnerabili e invulnerabili: il

paradosso è che chi ne ha più bisogno non partecipa ( es migranti e loro associazioni, se non

invitate, certo) e quindi può essere molto abiltiante ma anche accomodante se punta a assorbire

conflittualità. Nulla di male, alla peggio è irrilevante.

A volte neutralizza il conflitto, tecnicizzandolo, coresponsabilizzando. Se il conflittoè reso opaco si

ha aderenza formale e decisioni inattuate o aperte a interpretazioni successive. Ci può essere una

mediazione politica dietro le quinte, una negoziazione spartitoria, un doppio gioco.

Piuttosto significative sono le resistenze, nelle P.A. e nel Terzo Settore, a riorganizzare funzioni

pubbliche, destrutturando e ristrutturando anche i ruoli. La messa in trasparenza di queste resistenze

sollecitazione: trovare le persone e sollecitarle a partire. La rete intesa come passaparola, locandine, web

ecc. è alla fin fine l'unico elemento critico. Ovviamente ci vuole un tutor-sollecitatore molto bravoe

contribuiscono allo sviluppo economico locale. Sono idee e energie che circolano e ne generano di nuove.

Sono incontri che si fanno o relazioni che si mantengono.lo sviluppo di sportelli, siti web, cooperative,

imprese e enti non profit, agenzie locali, associazioni, interventi strutturati di enti religiosi o volontari, e il

consolidamento di efficaci reti locali di servizi risponde meglio a esigenze di impiegabilità e di sviluppo

di competenze locali sulla tematica lavoro, cioè è a sua volta un bacino di impiego e di sviluppo di

competenze chiave assolutamente non trascurabile.

87 Ecco la strategicità dei PP per la politica che vuole restare protagonista, e dall'altro la necessità di rivedere i ruoli, con riferimento

alla separazione netta fra politici e amministratori, che deve sfumare.

è un passaggio chiave. Il processo partecipativo andrebbe fatto gestire ai funzionari PA stessi, come

compito normale loro, d'ufficio diciamo.

Un processo può essere certamente illumistico: perfetto ma inutile.

LO STRUMENTO E' GIA' POLICY

Non si può non notare infine un isomorfismo evidente fra i processi partecipati (in particolare

proprio nella Formazione e Lavoro) e i servizi per l’impiego e il long-life learning.

Selfassembly (unlearning e relearning), selfconstitution senza fine, incessante cambiamento e

choice, iniziativa, sviluppo, se vogliamo anche prestazione e successo, ma come antecedenti in

entrambi i contesti, e d'altronde le due sfere riguardano le vite dei soggetti. Le capacità ristrutturate

nel processo partecipato sono simili a quelle obiettivo (capacità di cambiamento, in sostanza). Del

resto i processi partecipati sui temi della salute o che su tali temi si sono incrociati, si sono

dimostrati community empowering, hanno sedimentato mutuo rispetto, riflessione critica, cura e

partecipazione di gruppo, e i soggetti che avevano a disposizione minori risorse hanno guadagnato

maggiore sense of control, cioè benessere, accesso e controllo sulle risorse, anche se scarse. Voler

vedere, voler cambiare, voler organizzare, desiderio del cambiamento sono tratti individuali ma

anche dei soggetti sociali.

Nei processi partecipativi le risorse vengono socializzate, diventano capacità di choice collettive.

Libertà collettive (uguaglianza declinata quindi in modo nuovo) e sicurezza individuale (solidarietà

e welfare nuovo) Libertà non come autonomia individuale ma autonomia nel relazionarsi al

contesto, essere o no veloci, relazionarsi di più o di meno, cogliere o meno le opportunità. Soggetto

più il suo ambiente, come in un gruppo. Libertà come potere desiderante.

In altri termini, il processo partecipato ha valore in sé, anche laddove non producesse un immediato

miglioramento dei servizi, o il risultato fosse scarno o poco significativo o compromesso al ribasso

a causa, ad esempio di conflitti fra gli attori partecipanti. Leggiamolo per differenza: un processo

partecipato in campo urbanistico (che sottende, lo ricordiamo, sempre lavoro e formazione) può

condurre a uno stallo se gli interessi in campo si annullano a vicenda. Ci sarà però, sicuramente,

uno spillover di condivisione del problema, community empowerment, coping di community, un

valore sociale che quando il processo partecipato riguardi servizi al lavoro e al long life learning è

proprio il problema da risolvere. Cioè participating è già un pezzo della soluzione, come in un

tgroup, o in esperienze hic et nunc avanzate, impari per il solo fatto di partecipare, o partecipi anche

se stai zitto, anzi ancora di più, e addirittura anche se va male, cioè il gruppo non si coagula.

Classico esempio di learning dal conflitto, capacità negativa, il processo anche se non va, produce

risultati, questo è significativo, perchè non è così nei tavoli che si bloccano su negoziati infiniti e

ottengono l'effetto contrario.

Ii processi partecipati sui temi del lavoro e dell'education sono una postura della vita aperta

all'avventura umana, senso del debito per chi ci ha preceduti e lascito per chi verrà dopo di noi,

quindi continuità, generatività di vite comuni, partecipazione alle storie d'altri. Il processo

partecipato sviluppa competenze organizzative ad ambito territoriale, e questo è un aspetto

simbolico evidente.

Il processo, apparentemente centrato sui cittadini, in realtà agisce, come detto, pesantemente sulle

organizzazioni partecipanti, anche quelle autoorganizzate e spontanee, comitati ecc.(che anzi spesso

promuovono il propcesso partecipato, sono comunità di pratica politica, certo molto localistiche).

Driver di questo empowerment e committment reciproco, e molto avanzato, la partecipazione dei

cittadini, figura nuova per l'assetto istituzionale del settore, e che a sua volta anche può essere

docente, orientator, assistente o consulente. Sviluippa una maggiore influenzabilità sugli eventi,

speranzosità, ascolto di altre organizzaioni e del cittadino, del potenziale territoriale inutilizzato.

Sviluppa senso di community, perchè sfuma l'interesse privato, è integrazione al livello superiore,

dunque benestante, includente, stimola agency, il condurre a termine (perchè temporaneo), aiuta a

imparare a tenere traccia, strutturare, esplorare, ascoltare, non escludera alcuna ipotesi,non eludere.

Siccome non si perde nulla, è solo guadagno, consente appartenza e estraneità poprio perchè non è

decisivo per decidere. Capacity building di soggetti e, per estensione, di interi territori, capacità

istituzionalmente affidata, col processo partecipativo, alla rete di attori sociali e politici territoriali.

Il processo chiarisce, ordina, organizza, si chiede/dà aiuto, è spendi-abilità. Legittima,

empowerizza e politicizza. E' strumentazione di sviluppo socio-organizzativo, sviluppa competenze

e virtù civiche come soppesare, esplorare sentendo le ragioni altrui, trovare soluzioni inedite e

creative.

LA METODOLOGIA ATM – Agorà per il Terzo Millennio™

Oggi, ed in modo abbastanza evidente anche in Italia, si assiste ad una marcata crisi della politica

(astensionismo crescente, disaffezione dei cittadini nei confronti dei partiti politici e delle

organizzazioni di rappresentanza, sempre convivendo con i risaputi limiti della democrazia indiretta

come modello sociale in grado di esprimere naturalmente libertà, trasparenza ed uguaglianza, per

tutti il disincanto democratico di Pierre Rosanvallon che teorizza la nuova «controdemocrazia»

(Rosanvallon, 2009): un cambiamento di paradigma sembra essere proprio alle porte per la nostra

attuale democrazia rappresentativa. E la crisi va anche oltre le differenziazioni di partito: la strategia

securitaria di un governo forte è spesso inefficace di fronte ai tanti problemi sociali, nelle proposte

del Partito Democratico la tag chiave indubbiamente è: partecipazione, anche se ancora pochi sanno

davvero come declinarla concretamente, vedi i problemi di integrazione tra partecipazione e

rappresentanza evidenziati anche dalle esperienze più recenti di mobilitazione locale.

Sembra allora sempre più delinearsi una nuova frontiera per la ricerca politica e associativa,

finalizzata al governo delle problematiche di rilevanza sociale: è rappresentata dallo studio delle

dinamiche e delle logiche di partecipazione, si riscoprono antichi metodi (come i Town Meeting

utilizzati dai coloni del New England nel ‘600) e molti altri metodi partecipativi che derivano anche

da contesti diversi (come la giuria dei cittadini di Ned Crosby che si ispira al processo giudiziario)

vengono sperimentati in varie parti del mondo intorno ad un nuovo concetto di democrazia più

deliberativa, (Lewansky, 2007) in grado di superare i limiti della rappresentatività in quanto

implicano, anche se solo parzialmente, un trasferimento reale del potere decisionale ai cittadini.

In Toscana c’è molto più che un fermento intorno al concetto di partecipazione: la Regione ha

approvato nel 2007, dopo un lungo ed attento percorso di costruzione anch’esso sufficientemente

partecipato (in cui è stato peraltro sperimentato il town meeting in occasione della manifestazione

Dire&Fare organizzata da Anci Toscana e Regione Toscana a Marina di Carrara nel novembre

2006), la legge 69/2007 che si propone di sostenere la diffusione e la sperimentazione di nuovi

modelli ed istituti partecipativi (Floridia, 2008). Uno strumento legislativo molto importante, di

esempio per tante realtà anche europee e non solo italiane per lo sviluppo di una nuova cultura

democratica, già utilizzato in molti contesti locali per sviluppare processi partecipativi di interesse

per la comunità. Eppure, se ripensiamo all’antica democrazia greca delle poleis, anche se la libertà

non era certo allora tra i diritti pienamente affermati (donne, schiavi e stranieri erano esclusi dalla

vita politica ad Atene), l’eguaglianza, o meglio l’isonomia - ovvero la parità di tutti i cittadini di

fronte alla legge - trovò piena espressione con l’affermazione di una vera «presenza politica» da

parte di tutti i cittadini (Vernant, 2005). Si svilupparono logiche partecipative di tipo diretto che, pur

disperse successivamente nel tempo anche per le crescenti complicazioni connesse alla tendenza

all’urbanizzazione, sembravano in quell’epoca quasi un esito obbligato per una qualunque forma

sociale: prevedevano circolarità delle funzioni per tutti i cittadini, meccanismi di sorteggio e

rotazione per le varie cariche pubbliche, il pieno diritto per ogni cittadino di esprimere liberamente

le proprie idee e proposte o di avanzare critiche dalla tribuna dell’Agorà.

Oggi siamo appena agli inizi di questo percorso di ricerca metodologico che, pur muovendo

dall’analisi del passato, non può escludere dalla sperimentazione le nuove forme della

comunicazione interattiva ora disponibili, che possono rivelarsi una grande opportunità di

partecipazione alla nuova res pubblica espressa dalla Rete. Qui sembra di rivivere quanto già

successo per tante tecnologie degli ultimi 20-30 anni: a cominciare dal portatile, al foglio

elettronico, al cellulare, al world wide web, neanche l’inventore era davvero consapevole

dell’utilizzo futuro !

Ed anche se, per un certo verso, l’innovazione tecnologica continua ad alimentare evidenti fratture

sociali (si pensi solo al problema del digital divide), oggi ci offre nuovi possibili luoghi di confronto

sociale: l’esplosione di social networking pervasivi come Facebook, indubbiamente ci può portare

in una nuova dimensione dove sviluppare nuove forme di democrazia partecipata.

Premesse per la sperimentazione

Il coinvolgimento e la partecipazione devono ovviamente iniziare dal territorio, dal basso,

dall’individuo per arrivare a poter dire con Tucidide ˝il demo è tutto˝ (Corcella, 1988), o per seguire

la teoria che Nicia formula per responsabilizzare i suoi marinai: ˝Gli uomini sono le città, non le

mura né le navi vuote di uomini˝.

Questa concezione personale dello Stato, magari in dosi più facilmente metabolizzabili dai nostri

attuali contesti associativi, politici o sociali, può essere la vera chiave di volta per ridefinire le

nuove logiche partecipative. Oltretutto presenta tantissime assonanze con quanto viene spesso

formulato all’interno delle tecniche manageriali più recenti (superata certo la fase tayloristica dello

sviluppo organizzativo, un po’ dappertutto nelle imprese moderne riecheggiano concetti di questo

tipo: ˝il cliente è re˝, ˝organizzazione per processi˝, ˝l’impresa è fatta soprattutto di persone e sono

le persone a fare un’impresa˝, ˝job-rotation e partecipazione˝, ˝coinvolgimento e gioco di squadra˝,

˝team building˝”, ˝la piramide rovesciata˝, ˝l’apprendimento organizzativo˝). In effetti, si potrebbe

ben dire che molte organizzazioni odierne, sia pubbliche che private, siano molto più democratiche

di tante nostre associazioni territoriali, sociali o politiche.

E’ questo il contesto in cui nasce ATM - Agorà del Terzo Millennio™88, una nuova metodologia

ideata per governare la partecipazione sociale, in grado di favorire e sviluppare un confronto

88 ATM – Agorà del Terzo Millennio™ di Luigi Taccone, marchio depositato nel 2008

democratico e costruttivo nello stesso tempo su problematiche di rilevanza sociale e di interesse per

la collettività. La sua logica di azione si ispira ai principi classici della democrazia e prevede

l’utilizzo di strumenti, metodi, tecniche e criteri, soprattutto di derivazione organizzativa, per

orientare efficacemente il coinvolgimento del territorio.

Essa si basa fondamentalmente sulle esperienze condotte in circa 30 anni di attività di consulenza,

formazione e sviluppo organizzativo per molte associazioni ed organizzazioni pubbliche e private

(di particolare interesse le esperienze relative ai sistemi di pianificazione, circoli per la qualità,

project management, gruppi di miglioramento, problem solving aziendali, metodiche sicuramente

tipiche per le aziende multinazionali anche se ancora non sempre molto diffuse in Italia).

Il primo campo di applicazione in cui questa metodologia è stata sperimentata riguarda la

problematica del Life Long Learning, un principio molto conosciuto in Toscana grazie anche alla

legge regionale 32/2002, il testo unico della normativa in materia di educazione, istruzione,

orientamento, formazione professionale e lavoro. Con questa legge è già stato quindi formalmente

istituito in Toscana il Diritto all'Apprendimento nei vari contesti - formal, no-formal ed informal - e,

su questo solco, diventano sempre più presenti le iniziative in tal senso: come la sperimentazione

del libretto formativo del cittadino, o dell’ILA (Individual Learning Account) o, soprattutto, la

definizione, oramai praticamente completata ed in fase di prossima attuazione, del Sistema

Regionale delle Competenze (dalla delibera regionale n.120/06 ˝Progetto regionale competenze˝,

alle linee guida di febbraio 2008 fino alle necessarie modifiche del regolamento di esecuzione della

32/02 in corso di deliberazione).

L’obiettivo di fondo è la piena valorizzazione delle competenze del cittadino, derivante dalla

necessità di affermare un valore socialmente riconoscibile e spendibile nei contesti non solo

formativi ma anche professionali. Quindi non solo il consolidamento dei processi nei contesti di

apprendimento formal (portfolio di competenze), ma anche l’esigenza di stabilire le basi per la

definizione concertata in ambito informal e no-formal (dove l’apprendimento non rappresenta la

finalità principale ma comunque deve essere osservato con un processo oggettivante che non

necessariamente implica la certificazione). E proprio in Toscana, un territorio già molto

caratterizzato da una notevole concertazione sociale, è necessario attivare un maggiore

coinvolgimento anche del tessuto sociale ed imprenditoriale, non solo della grande comunità di

operatori (della formazione, dell’orientamento, dell’istruzione scolastica ed universitaria) che è

chiamata ad operare per un cambiamento che si annuncia a dir poco rivoluzionario per il settore con

notevoli ricadute su tutto il contesto socio-economico (d’altronde al centro del dibattito c’è proprio

il cittadino nelle sue varie sfaccettature: studente, lavoratore, straniero, pensionato ecc.).

La sperimentazione metodologica è stata quindi avviata nella seconda metà del 2008 all’interno del

gruppo “Formazione Professionale” che si è costituito nell’ambito di AIF Toscana (Associazione

Italiana Formatori).

Attualmente l’Agorà sul LLL (Life-Long Learning), la comunità di operatori del settore della

formazione e dell’orientamento coinvolta in questo grande dibattito, è composta da diverse

centinaia di persone interessate in vario modo a contribuire allo sviluppo di nuove idee e soluzioni

per il mondo della formazione e del’orientamento. E' attiva anche su Trio, la piattaforma e-learning

di prima generazione della Regione Toscana ed è arrivata nelle biblioteche, nei centri di

orientamento o per l’impiego, dentro le facoltà universitarie, in ogni spazio aperto che sa di cultura

e libertà di espressione.

I risultati che il gruppo ha ottenuto nel campo del Life-Long Learning sono molto promettenti (dopo

un battesimo di fuoco con un brainstorming di gruppo tra una quarantina di persone, effettuato a

Firenze dentro la facoltà di Scienze della Formazione occupata, ed una bellissima cornice formata

dagli studenti universitari del collettivo molto attenti ed interessati).

Nel seguito sono succintamente delineati alcuni dettagli della sperimentazione della metodologia

ATM per il LLL: i principali criteri applicativi, come si è impostato il lavoro soprattutto sul piano

organizzativo, le relazioni interne alla comunità (con i facilitatori, il ruolo della cabina di regia, per

il coordinamento del problem solving e del problem setting, per la valutazione della qualità), le

dinamiche comunicative di interazione.

Architettura metodologica dell’Agorà

Vediamo innanzitutto quali sono i criteri minimi, gli invarianti adottati per realizzare un processo

democratico e partecipativo che vuole originarsi, essendo fondamentalmente modellato

dall’archetipo dell’antica Agorà, a partire dal basso. Da un punto di vista architetturale la

metodologia dell’Agorà si basa essenzialmente su pochi principi di fondo, oramai anche abbastanza

acquisiti per un qualunque contesto organizzativo di una certa complessità, almeno da un punto di

vista teorico.

In primo luogo occorre fare riferimento alle logiche dei sistemi di pianificazione e controllo ed agli

assetti organizzativi conseguenti ormai ampiamente utilizzati e consolidati (ad esempio, sistemi di

pianificazione e controllo in organizzazioni di grandi dimensioni o modelli di project management

per un’architettura multi progettuale (Taccone, 1987).

La prima caratterizzazione, il primo invariante per la definizione dell’architettura di una dinamica

partecipativa che si ispira all’Agorà è quindi quello che distingue due grandi livelli di azione: il

livello progettuale da quello multi progettuale, per dirla con un linguaggio meno teorico e più legato

alle metodologie ed agli approcci più attuali, la necessaria differenziazione che deve essere fatta tra

il problem solving ed il problem setting, laddove il punto critico ed essenziale dell’attenzione deve

rivolgersi sull’integrazione tra i due livelli.

Secondo pilastro dell’architettura metodologica, la piramide rovesciata, anche questo un principio

forse abbastanza inusuale per le nostre organizzazioni ma essenziale: qualunque forma

organizzativa si deve mettere al servizio della e per la comunità, tanto più vero in un caso come

questo in cui si cerca di modellare e di creare una forma organizzativa funzionale allo sviluppo ed

alla crescita culturale del network sociale.

Terzo principio organizzativo, l’estrema flessibilità e leggerezza che deve avere la struttura di

coordinamento, spesso anche detta cabina di regia.

Quindi solo tre criteri base che sono comunque sufficienti per delineare una forma architetturale

come quella schematicamente riportata in figura 1, dove appaiono evidenti:

Figura 1 - Architettura metodologica dell'Agorà

il simbolo della piramide rovesciata (la tipica forma organizzativa con cui il management si

mette generalmente al servizio del settore operation);

la linea di coordinamento che delimita l’ambito in cui opera la cabina di regia o il gruppo di

coordinamento, qui anche detto Theme Team (TT, termine già utilizzato in alcuni metodi come il

town meeting), rispetto al quale si svolge primariamente l’azione del problem setting (da notare: un

unico processo unitario che si svolge su un piano orizzontale);

le linee di sviluppo del problem solving vero e proprio che sono portate avanti in modo

verticale - quindi su piani di azione trasversali al precedente – e per una serie di direttrici scelte e

valutate dal TT, che costituisce pertanto il livello di coordinamento necessario e sufficiente per

gestire tutto quello che viene complessivamente prodotto nell’Agorà.

Entrambi i piani di azione – o, per meglio dire, le due tipologie di piani di azione - sono

completamente immersi nell’Agorà, non configurano delle strutture ulteriori o sovraimposte, ma

vengono formati, curati ed anche composti con le persone che appartengono alla comunità per la

quale esse stesse operano.

Questo è il vero principio chiave di questo approccio metodologico, un nuovo modo per vedere le

organizzazioni nascere dall’interno secondo una logica di antropizzazione sociale auto-organizzata:

non si tratta quindi di forme organizzative che si vanno a sovrapporre rispetto alla struttura sociale

esistente, ma di comunità sociali che vanno ad assumere, secondo una dinamica abbastanza naturale

che non deve essere mai forzata o imposta dall’esterno, una forma più funzionale per il benessere

della collettività.

Organizzazione e funzionamento dell’Agorà

Per capire concretamente come si costituisce un’Agorà e come essa si può organizzare per operare

al servizio della comunità, conviene seguire il suo sviluppo fin dalla sua fase iniziale, dove è

necessario formare il primo piano di azione e bisogna quindi ben comprendere quali sono le priorità

tra le varie attività possibili.

Qui occorre operare soprattutto attraverso il livello di gestione multi progettuale (ad esempio, in

molte organizzazioni – e peraltro anche da moltissimo tempo - è d’uso procedere prima di tutto ad

una raccolta delle idee, degli spunti e delle problematiche di maggior interesse, ma anche la tecnica

dei sondaggi è molto utilizzata in contesti sociali più allargati) che vuol dire, su un piano pratico,

individuazione da parte del TT di un insieme di tematiche prioritarie che appaiono, almeno in fase

iniziale, come le più significative.Ed in questa fase è fondamentale il contributo fornito dagli

stakeholder dell’Agorà per scegliere le tematiche principali, ovvero le prospettive rispetto alle quali

conviene affrontare, almeno inizialmente, il problema.

Nel nostro caso, il Life Long Learning, una problematica già aperta fin dalla strategia europea di

Lisbona 2000, trova una sua prima delineazione puntuale con la dichiarazione di Maastricht del

2004 (˝.. quadro delle qualifiche europeo aperto e flessibile ... basato principalmente sulle

competenze e sui risultati dell’apprendimento. Esso rafforzerà lo stretto legame fra i sistemi di

educazione e di formazione, costituirà il riferimento per la validazione delle competenze acquisite

attraverso percorsi non formali e sosterrà il regolare ed efficace funzionamento dei mercati del

lavoro europeo, nazionali, settoriali ..˝), una premessa di valore a tutte iniziative di cambiamento

attualmente in atto nei vari contesti nazionali ed europei.

Un forte problema quindi di integrazione tra mondo del lavoro ed education o, per usare il

linguaggio più tipico del sistema regionale toscano (ricordiamoci che questa Agorà è nata ed è

attualmente operante soprattutto all’interno del contesto toscano), integrazione tra istruzione,

formazione e lavoro, intendendo chiaramente tutte le altre varie sfaccettature esistenti, come la

formazione professionale o continua, l’istruzione scolastica, tecnica, superiore o universitaria.

Nel nostro caso, e se si vuole si potrebbe anche abbastanza generalizzare per altri problemi di

integrazione, sono state individuate quattro diverse prospettive, le prime due, essendo pregiudiziali

rispetto alle altre, con una priorità superiore dal punto di vista temporale. Esse riguardano aspetti

chiave per ogni problema di integrazione, a maggior ragione per un problema di integrazione del

mondo del lavoro e della formazione.

La prima tematica è legata al Contesto in cui è immersa l’Agorà, nel nostro caso un contesto fatto

soprattutto dall’Europa, dalle normative comunitarie e nazionali, da quanto fatto nelle altre regioni:

è quello che sinteticamente è stato denominato Lo Spazio Europeo dell’Apprendimento.

Seconda prospettiva prioritaria è il Linguaggio specifico che viene utilizzato nel settore, che deve

essere una base comune di riferimento per tutti i sistemi e gli operatori componenti.

Figura 2 - Le prospettive di analisi del problema

Ne segue una terza anche questa molto generale, costituita dalle Regole di funzionamento del

sistema che di volta in volta potranno essere analizzate secondo varie dinamiche e finalità,

perseguendo le priorità emergenti nel settore in termini di esigenze di definizione delle procedure o

delle regole presenti nel sistema oggetto di osservazione.

Quarta ed ultima dimensione collegata ai Valori specifici del sistema; almeno per questa Agorà

LLL, la scelta è ricaduta su una tematica cardine per lo sviluppo efficace di tutto il sistema

integrato, non solo estremamente urgente nel settore della formazione e dell’orientamento ma anche

particolarmente richiesta dalla stessa comunità di operatori.

Stiamo parlando della definizione delle Competenze professionali del settore, una linea di ricerca e

di sperimentazione aperta un po’ dappertutto – in Italia, solo in qualche regione si comincia ad

entrare in una fase di standardizzazione e normalizzazione – che sta conducendo all’individuazione

delle professionalità tipiche per gli operatori secondo un approccio per competenze abbastanza

universale per qualunque sistema di professionalità (dall’analisi dei processi organizzativi fino al

meta quadro europeo EQF).

All’interno di ciascuna di queste 4 aree problema, il TT – ovvero un gruppo ristretto di persone a

contatto anche con gli stakeholder del sistema in esame - ha il compito di individuare problemi

molto specifici e concreti, stabilendo tempi e modalità di azione, evitando sovrapposizioni,

cercando di curare le sincronizzazioni e le integrazioni tra i vari piani progettuali, lanciando di volta

in volta e coinvolgendo su questi piani (chiaramente più di problem solving che di problem setting)

tutti i contributi, le idee, le disponibilità che è possibile raccogliere all’interno dell’Agorà.

Nel nostro caso specifico sono stati inizialmente individuati quattro diversi problemi, uno per ogni

specifica tematica, con tempistiche di azione differenti anche se sono stati avviati tutti insieme ai

primi di novembre 2008 (nel riquadro è riportato il primo messaggio pubblicato dalla community

sulla piattaforma Trio).

Se questo descrive sia pur succintamente la fase di avvio, il resto è soprattutto governo dell’Agorà o

management di più gruppi di lavoro operanti in parallelo o in senso trasversale, ma sempre in modo

unitario ed integrato. In effetti, l’organizzazione interna si articola in un TT molto leggero a

struttura dinamica e geometria variabile, prevede giusto una figura – l’amministratore dell’Agorà –

che faccia da pivot, come coordinatore del gruppo, per tener conto di tutte le relazioni esistenti con

gli stakeholder e soprattutto con le figure necessarie per guidare i singoli problem solving, i

cosiddetti Facilitatori di Problema (FP).

Questi soggetti, il cui profilo professionale è per certi versi innovativo anche se possono

confondersi con altre forme di facilitazione oggi molto di moda, devono soprattutto possedere una

marcata competenza relazionale per supportare e promuovere le attività del gruppo di lavoro

mentre, anche in base all’esperienza avuta, non è molto importante se non hanno grandi conoscenze

specifiche in materia.

Una conoscenza non approfondita sulle varie tematiche affrontate potrebbe addirittura aiutarli a

Direttamente dalla 1° riunione operativa del gruppo di lavoro, sono avviati 4 temi di

approfondimento:

- IL LINGUAGGIO DELLA FORMAZIONE

- LE REGOLE DEL SISTEMA

- LO SPAZIO EUROPEO DELL'APPRENDIMENTO

- LE COMPETENZE DEL PROCESSO DI APPRENDIMENTO

Il METODO che seguiremo per affrontare queste problematiche è il seguente:

- affrontare un problema specifico alla volta

- con obiettivi di progetto concreti e risultati in tempi rapidi (non più di 3-4 mesi in genere)

- gruppo sempre aperto al contributo di tutti

- metodologia consigliata: brainstorming

- fasi di lavoro secondo il classico ciclo di problem solving (analizzare, progettare, valutare,

implementare)

- occhio anche al problem setting (decisivo per raggiungere obiettivi realistici)

Seguendo queste regole minime, avete piena libertà per organizzarvi come meglio credete,

di ogni gruppo io sono solo il vostro portavoce !

Buon lavoro ed a presto

Luigi Taccone

Coordinatore gdl FP

favorire il dialogo e lo sviluppo delle idee da parte dei componenti dell’Agorà, in quanto

consentirebbe loro di posizionarsi in modo più empatico e di essere meglio accettati nel loro ruolo

specifico. Il loro compito principale è comunque quello di promuovere il dibattito seguendo un

metodo abbastanza classico di analisi del problema /ricerca delle soluzioni (sono molti i riferimenti

teorici di metodo ai quali possiamo ispirarci, per semplicità qui ci riferiamo al metodo di

brainstorming o anche al ciclo P–D–C-A di Deming per la Qualità).

Può anche essere interessante ricordare varie esperienze condotte negli anni ’90 in associazioni

territoriali (come Api Toscana) o presso diverse imprese toscane (ad esempio, The Bridge di Firenze

o System di Livorno) in cui furono definite precise regole aziendali interne all’organizzazione

proprio per moderare, definire e svolgere in modo efficace e costruttivo un dibattito ordinato in

grado di portare soluzioni concrete verso il vertice aziendale.

Figura 3 - Il ciclo di brainstorming

Sempre sul ciclo del brainstorming, occorre qui sottolineare come la sua azione operativa si

sviluppa e si integra tra tutti e due i livelli di azione già precedentemente menzionati, cioè tra il

livello relativo alle azioni strategiche e quello relativo alle azioni più progettuali.

Pertanto, nelle varie fasi del ciclo, l’autonomia – ferma restando la tempistica e gli obiettivi

preassegnati - dei gruppi progettuali si avverte maggiormente nelle fasi di condivisione/descrizione

del problema e di ricerca/elaborazione delle soluzioni mentre, per quanto riguarda le fasi di scelta e

di implementazione, il ruolo del TT ritorna ad essere preminente, essendo chiamato a valutare le

soluzioni più efficaci ed a definire, anche se sempre in modo congiunto, le modalità implementative

più opportune.

Indubbiamente, quali che siano le varie differenze di approccio che il singolo caso problematico

potrebbe suggerire, il riferimento teorico principale va comunque ad H. A. Simon, premio Nobel

per l’economia nel ’78 per le sue ricerche pioneristiche sul processo decisionale nelle

organizzazioni economiche.

Sulle modalità con cui si sta svolgendo questo confronto, nell’ambito dell’Agorà LLL sono state

sperimentate forme diverse per il TT, ad esempio inizialmente operava un gruppo più stabile e

ristretto sostituito poi con una configurazione più dinamica, mentre gli stessi FP si stanno

alternando nella conduzione dei gruppi di lavoro denunciando comunque una buona flessibilità del

ruolo.

Livelli di interazione

Se è vero che sul piano organizzativo il funzionamento dell’Agorà sembra sufficientemente

governato, potendosi d’altronde rifare a criteri oramai ampiamente sperimentati (dalle modalità di

lavoro dell’antica polis greca, passando per lo scientific management fino ad arrivare alle teorie

organizzative più attuali come il toyotismo o la learning organization, sono molte le tecniche

consolidate anche in altri ambiti ed in grado comunque di sviluppare un alto livello di

partecipazione), sul piano invece delle modalità di comunicazione e di azione, o per essere più

precisi di interazione, ci vuole una certa attenzione applicativa anche per valutare appieno le

potenzialità offerte dall’attuale livello tecnologico.

Ma prima di esaminare gli aspetti tecnologici della comunicazione, occorre focalizzare quali sono i

processi o le funzioni fondamentali svolte in un’Agorà.

Ad un livello molto essenziale di rappresentazione, possiamo ridurre a solo tre tipologie le funzioni

fondamentali svolte all’interno dell’Agorà.

La prima è legata alla diffusione dell’informazione di base per tutti i componenti dell’Agorà, in

modo da creare ed alimentare un sufficiente livello di consapevolezza, premessa necessaria per il

dibattito e per la generazione delle idee: l’informazione è chiaramente una componente essenziale,

pregiudiziale per tutte gli altre, però non è la sola a svolgere un ruolo determinante. A questa si

associano, infatti, almeno altre due funzioni che devono essere ben esplicitate e strutturate

all’interno di un’Agorà proprio per garantire il massimo della funzionalità anche in termini di

trasparenza, produttività, efficacia e visibilità (anche verso l’esterno).

Si tratta della funzione cosiddetta di memoria, che serve per creare un minimo di ordine e di

consequenzialità nel processo partecipativo mantenendo una traccia chiara e sintetica di tutto lo

sviluppo del processo decisionale almeno in relazione alle sue componenti principali (risultati

intermedi e finali, momenti chiave, tempistica ecc.); e della funzione di sviluppo, comprendente

tutte le fasi di elaborazione, design e ricerca che ricorrono nei vari momenti di sviluppo della

creatività individuale, di gruppo e di progettazione congiunta.

Figura 4 - Funzioni fondamentali nell'Agorà

Questo schema, pur nella sua semplicità, può anche servire a rendere conto di molte esperienze

partecipative che, pur avviate con molto entusiasmo e superata anche una fase di diffusione tipica

quasi da contagio, lentamente rallentano e si vanno ad arenare nel disinteresse generale: le

chiamiamo di solito carenze di organizzazione, per essere più precisi, mancanza in qualche funzione

fondamentale (quella di memoria, ad esempio, è molto spesso sottovalutata, abbastanza comune per

i gruppi che nascono nella rete, ma in realtà è una funzione fondamentale per superare la gobba

evolutiva di un’ipotetica curva ad esse).

Ma se queste – Sviluppo, Informazione e Memoria (SIM) – sono le tre funzioni fondamentali che

occorre strutturare all’interno di un’Agorà, dobbiamo anche chiederci come le possiamo supportare

con le tecnologie odierne.

Intanto un cenno è doveroso per le tante tecnologie che, ad un livello anche più progettuale,

facilitano la cooperazione e la partecipazione (e non solo, ma anche la condivisione,

l’apprendimento, la co-progettazione) all’interno di un gruppo di lavoro, ad esempio il leggio

elettronico o la lavagna interattiva molto diffusa soprattutto all’estero (e qui si potrebbe ricordare la

sperimentazione condotta presso la CCIAA nel 2006 da Firenze Tecnologia con il Gruppo

Websemantico, dove furono confrontate tra loro varie tecniche, svolte in parallelo, di gestione di

gruppi e di brainstorming).

Ma aldilà di queste tecnologie specifiche, c’è da chiedersi, in termini più generali ed allargati, quali

coerenze tra media e finalità si debbano definire rispetto alle tre funzioni fondamentali, visto che le

modalità di comunicazione oggi possono essere attuate in vari modi, vi sono molte più possibilità

rispetto ai tempi degli antichi greci (che non per nulla imponevano dei precisi limiti demografici

alle loro città stato) potendo contare sull’evidente vantaggio dato dal collegamento a distanza.

Ad esempio, nella nostra Agorà LLL, per diffondere l’informazione di base in modo

sufficientemente diffusivo, viene per ora utilizzato soprattutto un sito web (che ha centinaia di

contatti quotidiani e delle news periodiche - ogni quindici giorni circa – per informare sui fatti

salienti e preparare agli eventi successivi). Si cerca soprattutto di informare su cosa sta

effettivamente succedendo nel settore, ci si limita sulle interpretazioni di parte, l’obiettivo è

innalzare il livello di attenzione ed accrescere la consapevolezza nella comunità: però tutte queste

cose, che rappresentano nient’altro che la Comunicazione di base per la comunità, possono

benissimo essere attuate in altri modi (immaginiamo ad esempio possibili Agorà gestite da un ente

locale con la propria pubblicazione istituzionale o da un’associazione o un’organizzazione privata

di medie dimensioni attraverso il loro giornale interno).

Per quanto riguarda poi la funzione di sviluppo, esiste una dimensione di confronto che è

indissolubilmente legata all’interazione diretta, alla Piazza, la piazza certo non virtuale, ma quella

reale che si deve animare attraverso i dibattiti o le discussioni di gruppo, irrinunciabile per lo

sviluppo del momento dialogico ed indipendentemente dalla dimensione complessiva di tutta la

comunità (anche in una grande multinazionale in un certo momento della giornata possono essere

attivi anche 100 gruppi di miglioramento, ma ciascuno di essi è sempre costituito da un numero

limitato di persone, generalmente da 4-5, al massimo 10 persone: solo così è possibile avere un

confronto reale ed inclusivo, senza contrapposizioni di parte, permeato da valori come l’ascolto

degli altri ed orientato alla formazione delle proprie opinioni, dal quale successivamente possono

scaturire idee e soluzioni condivise).

Quindi la piazza intesa come il tavolino del caffè, la piazza aperta, la biblioteca, uno spazio

qualunque a disposizione ma che va scelto in modo opportuno: anche la logistica è una dimensione

molto importante della metodologia.

Per restare alla nostra Agorà LLL, molto significativa è stata ad esempio la prima riunione svolta

all’interno della facoltà di Scienze della Formazione occupata, così le riunioni organizzate presso il

Centro per l’Impiego (molto stimolante è Novolab, un centro innovativo creato all’interno del polo

universitario fiorentino) o all’interno delle biblioteche: se aumenta la coerenza della dimensione

logistica, si possono creare nuovi stimoli e sinergie ulteriori per lo sviluppo e la generazione di

nuove idee.

Se la generazione delle idee avviene nella piazza reale, indubbiamente può esistere anche un livello

di generazione collettiva (la creatività connettiva, come la chiama Carlo Infante). Personalmente

credo vi siano ancora dei limiti a tutto questo, la generazione della creatività condotta

esclusivamente attraverso il mezzo tecnologico sembra far parte più del futuro del web (fino alla

realtà virtuale più avanzata ed immersiva) anche se sembra una linea di ricerca tra le più

promettenti.

Ma se il livello tecnologico attualmente disponibile presenta dei limiti sul piano della concreta

applicazione metodologica, sicuramente oggi è ampiamente in grado di assolvere la funzione di

memoria, di tenere traccia del processo decisionale e partecipativo e farne una sintesi strutturata:

basta il Web 1.0 ! Nell’Agorà LLL questo è stato ottenuto grazie alla piattaforma web learning Trio

della Regione Toscana che ha dedicato alle attività del gruppo un intero forum dove sono

memorizzati gli elementi essenziali di tutti i vari problemi lanciati e discussi nella comunità, i

risultati conseguiti, gli appuntamenti principali.

Questo è un tipo di comunicazione che si differenzia rispetto al primo relativo alla diffusione

dell’informazione: qui vanno considerati soprattutto i risultati del lavoro sul campo ed il calendario

temporale necessario per seguire la successione dei vari impegni, sostanzialmente per “tenere

traccia della vita dell’Agorà”.

Eppure, anche se abbiamo coperto in questo modo le tre funzioni principali con tre livelli di

interazione e di comunicazione in modo abbastanza schematico e coerente, manca ancora una

componente comunicativa fondamentale, che tutti noi utilizziamo in tante dinamiche sociali e

partecipative ma che spesso ci dimentichiamo di progettare e strutturare alla stessa guisa delle altre.

È la componente informale che, come rappresentato in figura, determina la definizione di altre due

modalità comunicative di interazione.

Figura 5 - livelli di interazione comunicativa nell’Agorà

Una è quella del Pettegolezzo, la dimensione naturale della relazione diretta ed informale che può

essere ottenuta in molti modi, attraverso un momento di convivialità, una cena, una simpatica

spettegolata, un momento di socializzazione, tutti necessariamente al di fuori di quelli che

precedentemente abbiamo riportato nel concetto della piazza.

Ed un’altra componente informale più relazionale, da vedere sempre in modo poco strutturato ma

comunque ben definita sul piano metodologico, è quella che si può realizzare in ambiti tecnologici

Web 2.0 attraverso reti associative (professional network come linkedin o social network come

Facebook); entrambe servono ad irrobustire e potenziare lo scambio integrato ed i rapporti di

relazione tra le funzioni fondamentali del SIM.

Si viene così a configurare un quadro complessivo composto da ben 5 diversi canali di

comunicazione possibili: l’Agorà di per sé non li richiede tutti e cinque insieme (d’altronde le agorà

funzionavano bene anche in tempi antichi pur con certe limitazioni; da notate inoltre, in una specie

di confronto epocale, che la vera differenza con il passato non è sul piano delle funzioni ma su

quello delle modalità di interazione, essendo chiaramente assenti a quei tempi le modalità connesse

al web, ovvero quelle posizionate in figura sulla destra), ma è chiaro che l’utilizzo combinato ed

integrato dei vari canali comunicativi permette di creare delle Agorà molto più potenti, funzionali,

produttive ed efficaci.

In definitiva, con l’attuale livello tecnologico, sono già disponibili e possono essere

opportunamente progettate ben 5 diverse modalità di interazione:

1. la comunicazione di base per soddisfare le esigenze informative della comunità, da attuare

attraverso le funzioni base della rete (siti, pagine html, e-mail, blog) o con mezzi più tradizionali,

come i prodotti cartacei;

2. il gruppo di confronto reale in piazza, il lavoro coordinato da un FP specifico che si svolge in

contesti definiti in modo coerente rispetto alle tematiche di discussione (il luogo può deprimere o

stimolare ed esaltare la creatività);

3. una piattaforma web strutturata in grado di tenere traccia in modo ordinato della vita dell’Agorà

e dello sviluppo del processo decisionale svolto all’interno;

4. l’interazione sociale più informale come un’occasione conviviale, una simpatica cenetta, una

spettegolata (”la democrazia è chiacchierona”), quindi va alimentata anche o forse soprattutto con

chiacchiere);

5. il web 2.0, ovvero l’utilizzo di reti social network come fb o linkedin che possono facilitare

relazioni e espressioni meno formali da parte di chiunque, esplorando e ricercando le informazioni

anche in altre comunità.

Cinque canali diversi, cinque protocolli di comunicazione interconnessi tra loro che si rafforzano

reciprocamente rispetto alle funzioni che sono chiamati a svolgere, e che non sono mai alternativi

tra loro: in realtà ognuno di loro può andare a coprire solo alcune parti del modello funzionale

(utilizzarne solo uno di questi forzandolo ad assolvere tutte e tre le funzioni SIM previste, porta

sicuramente ad un insoddisfacente funzionamento dell’Agorà).

Questo non vuol dire che un’Agorà deve usare tutti i canali di comunicazione possibili, ma quanto

più riesce a combinare le potenzialità dei vari canali, tanto più diventa efficace. In questo senso è

facile capire perché alcuni gruppi di discussione, magari lanciati solamente su facebook, finiscono

presto per isterilirsi, oppure perché certe iniziative di processi partecipativi, pur gestite con un sito

web apposito, pecchino di trasparenza o di condivisione per tutta la comunità potenzialmente

interessata.

C’è infine un’ultima questione propriamente metodologica, connessa alla Valutazione della qualità

del funzionamento dell’Agorà.

L’efficacia complessiva dell’Agorà si misura da una sola prospettiva ed in vari modi: dal punto di

vista delle soluzioni che produce, della loro efficacia e validità, dalla loro valenza, dall’attenzione

che riserva loro il tavolo politico o amministrativo, in ultima analisi da quanto si riesce ad incidere

sulla formazione delle politiche e delle decisioni su aspetti di interesse dell’Agorà stessa.

Questa descritta corrisponde principalmente alla valutazione effettuata da un osservatore esterno,

spesso con logiche ex-post e marginalmente anche in itinere: certamente deve essere accompagnata

anche da criteri gestionali di regolazione e controllo in grado di monitorare in modo continuativo

l’andamento ed il funzionamento dell’Agorà. Va pertanto definita anche una dimensione specifica

in grado di rappresentare l’efficienza interna di funzionamento: i criteri che abbiamo attuato,

almeno nella sperimentazione dell’Agorà LLL, si rifanno al grado di astensione, alla capacità di

allargare il consenso e la partecipazione, ai feedback ricevuti dagli stessi stakeholder ed

all’affidabilità stessa del processo sia nel saper rispettare i tempi assegnati, sia nel saper conseguire

i risultati previsti.

Osservazioni finali

E' possibile tracciare un primo bilancio di questa sperimentazione metodologica, anche in termini

dei risultati finora ottenuti rispetto ai criteri di assicurazione qualità precedentemente delineati.

Inizialmente siamo partiti con un gruppo di una decina di persone in ambito Aif Toscana, ed oggi le

news raggiungono diverse centinaia di operatori con una diffusione indiretta che va ben oltre il

numero degli utenti diretti. Le attese e le aspettative sono cresciute notevolmente, sono sempre di

più gli operatori del settore ad informarsi e ad attendere con curiosità ed interesse risultati anche

parziali.

Da un punto di vista dei livelli di funzionamento in termini di rispetto della tempestività e della

affidabilità del processo, per ora i risultati sono molto soddisfacenti (certamente la sperimentazione

è stata abbastanza facilitata per il fatto che il gruppo iniziale del TT era molto competente in

materia: questo può essere un limite per la funzione del FP, ma è una grande garanzia sia per la

corretta impostazione del lavoro in fase iniziale sia per definire il giusto network relazionale con

tutti gli stakeholder).

Da un punto di vista metodologico, appare evidente anche la necessità di ulteriori sperimentazioni

in altri campi di applicazione o su comunità che non siano solo comunità ristrette o limitate a certe

categorie di operatori (anche se in questo caso l’Agorà LLL richiama potenzialmente diverse decine

di migliaia di operatori solo in Toscana) ma siano più larghe ed aperte ad una varietà maggiore di

componenti.

@Lè è un esempio importante di come i processi di cambiamento possono e devono partire

necessariamente dal basso per intercettare la voglia diffusa di fare qualcosa di concreto per lo

sviluppo del proprio territorio (qui da segnalare anche il percorso partecipato condotto

dall’assessore Cristina Bevilacqua per definire il regolamento per la partecipazione nel Comune di

Firenze).

Insomma, un nuovo demos sembra farsi strada, forse casualmente o forse causalmente, quasi fosse

la vera risposta all’attuale crisi di valori, ma anche a quelle finanziarie, climatiche, ambientali e

sociali.

Riferimenti bibliografici

A.A. V.V. (2007) Benessere, territorio e reti della solidarietà. Analisi dei piani sociali di zona

attivati nel Lazio ,Casa dei Diritti Sociali, FOCUS 2007

A.A.V.V .(2008): Community engagement to improve health, National Institute for Health and

Care (UK)

Accornero A. (1997): Era il secolo del lavoro, come era e come cambia il grande protagonista del

900, Bologna, Il Mulino

Ambrosini M (2005): Scelte solidali L'impegno per gli altri in tempi di soggettivismo, Bologna, Il

Mulino

Anders G. (2003): L'uomo è antiquato, Torino, Bollati Boringhieri (ed. orig. 1956)

Andersen S.H.(2008) : The short and long term effects of goverment training on subjective

weelbeing, in European sociological review, n. 24, 4

Antonowsy A (1987): Unrevealing the mastery of health: how people manage stress and stay well,

S. Francisco, Jossey-Bass

(a cura di) Arena G., Cortese F.(2011) : Per governare insieme: il federalismo come metodo. Verso

nuove forme di democrazia. Dipartimento di Scienze Giuridiche Università di Trento, Milano,

CEDAM

Ardigò A (1980) Crisi di governabilità e mondi sociali, Cappelli, Bologna

Arendt H. (1964): Vita activa, Milano, Bompiani (ed. orig. 1958 The Human condition)

Argyris C., Schon D. (1998). Apprendimento organizzativo. Milano, Guerini.ed orig 78

Avallone F. & Paplomatas A (2005): Salute organizzativa. Psicologia del benessere nei contesti

organizzativi, Milano, Cortina

Aubert N. (coord.) (2010): La societè hypermoderne: rupture et contradictions, Parigi, L'Hermattan

Ballard J.G. (2003) Condominium, Milano, Feltrinelli, (ed. Orig. 1975)

Bauman Z. (1992): Intimations of postmodernity, London, Routledge

Bauman Z (1997): Postmodernity and its discontents, Polity Press, Cambridge (UK)

Bazzicalupo L. (2006): Il governo delle vite. Biopolitica e bioeconomia, Bari, Laterza

Beck U.(2000): La società del rischio Verso una seconda modernità, Roma, Carocci

Beller J. (2006): The cinematic mode of production-attention economy and the society of the

spectacle, Dartmouth College Press

Bennis W.G., Slater P.E (1998):The Temporary Society, Jossey-Bass Publishers, (ed. Orig.1968)

Bennis W.G. (1969): Organization development: its nature, origins and prospects, Addison Wesley

(a cura di) Bifulco L. e Facchini C. (2013): Partecipazione sociale e competenze, Il ruolo delle

professioni nei piani di zona, Reciproche rappresentazioni di pubboiche aministrazioni,

professionisti e associazioni, F Angeli, Milano

Biocca M. (2006) : La partecipazione come costruzione sociale. Incontri con i protagonisti.

Cittadini competenti costruiscono azioni per la salute, Milano, Angeli

Bologna S. (2011): Vita da freelance, Milano, Feltrinelli

Bobbio L. (2004): A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei

processi decisionali inclusivi. ESI, Napoli

Bonaretti, M. (2005): Governo locale e innovazione organizzativa: le amministrazioni in

trasformazione, in RU-Risorse umane nella P.A. n. 2

Bonazzi G. (2002): Storia del pensiero organizzativo, Milano, Angeli

Bonomi A., Rullani E. (2005): Il capitalismo personale, Torino, Einaudi

Borghi V. (a cura di) (2002). Vulnerabilità, inclusione sociale e lavoro. Contributi per la

comprensione dei processi di esclusione sociale e delle problematiche di policy. Milano: Angeli.

Bresciani P.G., Franchi M (a cura di) (2006): Biografie in transizione. I progetti lavorativi

nell'epoca dellla flessibilità, Milano, Angeli

Brunod M (2007): Aspetti metodologici della progettazione partecipata , n Spunti n. 9, Studio APS

Caldarini C (2008): La comunità competente, Roma, Carocci

Caligor E., Kernberg O.F. & Clarkin J.F. (2012): Patologie della personalità di alto livello, Milano,

Cortina (ed orig. 2007)

Capranico S. (1992): In che cosa posso servirla? Idee e cultura per le organizzazioni di servizi,

Milano, Guerini

(a cura di) Carboni Simona e Fondazione Volontariato e Partecipazione (2013) Crisi economica e

vulnerabilità sociale. Il punto di vista del volontariato, CESVOT, Firenze

Castel R (2011): L'insicurezza sociale, Torino, Einaudi (ediz originale 2003)

Catania D.,Zucca G. (2008): “Ieri,oggi,domani. Flessibilità occupazionale e corsi di vita” , Enaip

Formazione e Lavoro 2

Celli P.L.(1993): L'impresa: dieci parabole sull’azienda che sta cambiando, Milano,

Sperling&Kupfer

Cerrina Feroni S. (2013), : L'interfaccia C come “zona di passaggio” al benessere territoriale in

atti, I Convegno nazionale “Qualità della vita: territorio e popolazioni”, Centro Studi CISL Firenze,

Associazione Italiana per gli studi sulla Qualità della Vita

Cerrina Feroni S. (2014) ”Benesserismo forzato: dal “diritto a perseguire la felicità” alla “spinta

gentile” verso l'ultrabenessere in atti V Convegno nazionale Società Italiana di Sociologia della

Salute (SISS) “Le sfide della Sanità Italiana tra crisi strutturali e social innovation “- Sessione 3:

“Benessere e disagio sociale: l'attività redistributiva dei servizi di welfare, Università di

Roma/Senato della Repubblica

Cerrina Feroni S. (2015): ”Processi partecipativi inclusivi per integrare servizi socio-sanitari e

servizi per le Politiche Attive dei lavori e del LongLife learning”, in atti VI Convegno nazionale

Società Italiana di Sociologia della Salute (SISS) “La costruzione della salute nel welfare socio-

sanitario. Nuovi scenari e pratiche sociologiche

- Sessione : “Cittadini protagonisti di buone pratiche sociali per la salute”, Università di Pisa

Codeluppi V. (2008): Il biocapitalismo. Verso lo sfruttamento integrale di corpi, cervelli e

emozioni, Torino, Bollati Boringhieri

(a cura di) Colozzi I (2012), Dal vecchio al nuovo welfare percorsi di una morfogenesi, Angeli,

Milano

Conley D. (2008): Elsewhere USA. How we got from the company man, family dinners and the

affluent society to the home office, the blackberry moms and economic anxiety, Pantheon Books

(a cura di) Coppo A., Tortone C. (2011): La progettazione partecipata intersettoriale e con la

comunità, DORS, Centro Regionale per la Promozione della Salute , Torino

Corcella A. 81988): Storici greci, Laterza

(a cura di) Giuseppe Costa, Maurizio Bassi, Gian Franco Gensini, Michele Marra, Anna Lisa Nicelli

e Nicolas Zengarini , (2014) L’equità nella salute in Italia. Secondo rapporto sulle disuguaglianze

sociali in sanità, Fondazione Smith Kline, Angeli, Milano

Costa G (a cura di) (2009): La solidarietà frammentata. Le leggi regionali sul welfare a confronto,

B. Mondadori

Coutts A.P. (2009): Active labour market programs (ALMPS) and health: an evidence bas, in

Marmot Review

Creed P.A., MacIntyre S (2002) The relative effects of deprivation of the latent and manifest

benefits of employment on the wellbeing of unemployed people, in Journal of Occupational Health

Psychology 6, 4

Crichton M. (2010): Preda, Milano, Garzanti (ediz originale 2002)

(a cura di) D'Albergo E., Segatori R. (2012) “Governance e partecipazione politica. Teoria e

ricerche sociologiche”, Angeli, Milano

D'Andrea D. (2005) L'incubo degli ultimi uomini. Etica e politica in Max Weber, Roma, Carocci

Davenport J. , Beck J.C. (2001): The attention economy: understanding the new currency of

business, Harward Business School Press

(a cura di) De Luigi N., Martella A., Zurla P. (2010): Pratiche di governance tra welfare e sistemi

locali di produzione. Sfide e opportunità, Angeli, Milano

(a cura di) De Maria F (2000) Psicologia della convivenza. Soggettività e società, Angeli, Milano

De Martin G., Bolognino D. (a cura di) (2010): Democrazia partecipativa e nuove prospettive della

cittadinanza, Wolter Kluwer

De Michelis L. (2010): Società o comunità. L'individuo, la libertà, il conflitto, l'empatia, la rete,

Roma, Carocci

De Michelis L. , Leghissa G. (a cura di) (2008): Biopolitiche del lavoro, Roma, Mimesis

DiNallo E., Guidicini P., La Rosa M (a cura di) (2003): Identità e appartenenza nella sociatà della

globalizzazione, Milano, Angeli

Drucker P. (1954). The practice of management. New York: Harper & Row.

Dryzek J.S (2000): Deliberative democracy and beyond, Oxford

(a cura di) Donati P. , Colozzi I (2007) Terzo settore, mondi vitali e capitale sociale, Angeli, Milano

Donolo C. (2007): Sostenere lo sviluppo ragioni e speranze oltre la crescita, Bruno Mondadori

Easterlin R. (1974): Does economici growth improve the human lot? Some empirical evidence in

David, P.A , Reder M.W (eds) Nations and Households in Economic Growth. Essay in honour of

Mose Abramovitz New York, Academic Press.

Ehrenberg A. (1999): La fatica di essere sé stessi. Depressione e società, Torino, Einaudi (ediz

originale 1998)

Esposito R. (2004): Bios. Biopolitica e filosofia, Torino, Einaudi

Fabris G. (2008): Societing, Milano, EGEA

Ferrari F. (2006): La voglia di dare, l'istinto di avere, Milano, Angeli

Ferrera M (2013): Neowelfarismo liberale: nuove prospettive per lo stato sociale in Europa in Stato

e Mercato 97, Aprile

Floridia, A. (2008) “Democrazia deliberativa e processi decisionali: la legge della Regione

Toscana sulla partecipazione”, Stato & Mercato, n.1

Fischer A.T., Sonn C.C, Bishop B.J (2002): Psychological sense of community. Research,

applications and implications , Kluwer academic / Plenum Publishers NY

Foucault M. (1998): Le tecnologie del sé, Torino, Bollati Boringhieri (ediz originale 1992)

Fraccaroli F. & Balducci C (2011): Stress e rischi psicosociali nelle organizzazioni Bologna, Il

Mulino

Fumagalli A. (2009): Bioeconomia e capitasimo cognitivo. Verso un nuovo paradigma di

accumluazione, Roma, Carocci

Fung A. (2004) Empowered participation: reinventing urban democracy, Princeton UP

Granovetter M. (1974) :Getting a job: a study of contacts ancd careers Cambridge UP

Gorz A (1997): Misères du présent. Richesse du possible, Galilèè, Parigi

Goodin R.E. (1985): Protecting the vulnerable. A reanalysis of our responsibility, Univ. Chicago

Press

Guetta S.& Del Gobbo G.(2005):I Saperi dei Circoli di Studio, Tirrenia, Edizioni del Cerro

Hardin J.G. (1968): The tragedy of Commons in Science n. 162

Hirshmann A.O. (1970): Exit, voice and loyalty, Response to decline in firms, organizations and

states, The Presidential fellows of Harward College

Holmqvist M. & Maravelias C. (2010): Managing healty organizations: worksite health promotion

and the new self-management paradigm, Routledge Studies in Human Resource Development

Kaneklin C., Piccardo C. & Scaratti G. (a cura di) (2010): La ricerca-azione. Cambiare per

conoscere nei contesti organizzativi, Milano, Cortina

Kilborn P.T. (2009): Next Stop Reloville. Life inside America's rootless professional class, New

York, Times Books Henry Holt and Company LLC

Ingrosso M. (2003): Senza benessere sociale. Nuovi rischi e attesa di qualità nell'era planetaria

Milano, Angeli

La Barbera D., Guarnieri M., Ferrario L. (2009): Il disagio psichico nella post-modernità.

Configurazioni di personalità e aspetti psicopatologici, Magi Formazione, Roma

Lanham R.A. (2006): The economics of attention. Style and substance in the age of information

Chicago University Press

Lanzara G.P. (1993): Capacità negativa. Competenze progettuali e modello di intervento nelle

organizzazioni, Bologna, Il Mulino

Lascoumes P., Le Galés P. (2007): Understanding public policy trhrouh instruments. From the

nature of instruments to the sociology of Publici policy, in Instrumentation in Governance: an

Internat Journal of Policy Administration and Institutions n. 20

Laville J.L: (1998): L'economia solidale, Bollati, Torino

Laville J.L., La Rosa M., Chicchi F. (2000): Reinventare il lavoro, Sapere 2000, Roma, Ed

Multimediali

La Rosa M. (a cura di) (2003): Progetto Equal ME.T.RI.C.A lavoro, tradizionali e nuove fasce

deboli, Note operative sul tema, Bologna, Fondazione Aldini Valeriani.

La Rosa M. (a cura di) (2005): Soggetti e organizzazione. Capire il lavoro, l'impresa e

l'organizzazione pubblica, Milano, Angeli

La Rosa M., Borghi V, Chicchi F (a cura di) (2008): Le grammatiche sociali della mobilità, Angeli,

Milano

Laverack Glenn, Labonte Ronald (2008): Healh promotion in action: from local to global

empowerment, Palgrave MacMillan

(eds) Leane C.R, , Rousseau M.(2000): Relational wealth The advantage of stability in a changing

economy, Oxford UP

Lewansky R. (2007): La democrazia deliberativa, Aggiornamenti Sociali, n.12/58

Lewin K. (1972): Teoria e sperimentazione in Psicologia sociale, Bologna, Il Mulino (ed. originale

1951)

Lipowetsky G. (2010): Una felicità paradossale. Figure della nuova clinica psicoanalitica. Milano:

Cortina

Lipowetsky G. (2010): Una felicità paradossale. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Milano,

Cortina (ediz originale 2006)

Luthans F., Youssef C.M. &Avolio B.J.(2007):Psychological capital: developing the Human

Competitive Edge, Oxford University Press

Gallino L. (2001): L'impresa responsabile. Un'ntervista su Adriano Olivetti a cura di Paolo Ceri,

Torino, Ed. di Comunità

Gorz A (1997): Misères du présent. Richesse du possible, Galilèè, Parigi

Goodin R.E. (1985): Protecting the vulnerable. A reanalysis of our responsibility, Univ. Chicago

Press

Guetta S.& Del Gobbo G.(2005):I Saperi dei Circoli di Studio, Tirrenia, Edizioni del Cerro

Hardin J.G. (1968): The tragedy of Commons in Science n. 162

Holmqvist M. & Maravelias C. (2010): Managing healty organizations: worksite health promotion

and the new self-management paradigm, Routledge Studies in Human Resource Development

Kilborn P.T. (2009): Next Stop Reloville. Life inside America's rootless professional class, New

York, Times Books Henry Holt and Company LLC

Ingrosso M. (2003): Senza benessere sociale. Nuovi rischi e attesa di qualità nell'era planetaria

Milano, Angeli

Lewin K. (1972): Teoria e sperimentazione in Psicologia sociale, Bologna, Il Mulino (ed. Originale

1951)

Mannarini T. (2004): Comunità e partecipazione. Prospettive Psicosociali , F. Angeli, Milano

Marocci G. (1996): Abitare l'organizzazione, Roma, Ed. di Psicologia

Mazzoli G. (2012): Cittadini invisibili in esodo silente dalla citatdinanza in A.A.V.V.:Costruire

partecipazione al tempo della vulnerabilità, Supplemento monografico di Animazione Sociale n.

259

Merli G. (1997): Comakership. Clienti e fornitori: come fare business insieme.Torino, ISEDI

Meyer, J.P. & Allen, N. J. (1991): A three-component conceptualization of organizational

commitment in Human Resource Management Review, 1, 61-89

(eds) Metcalf, H.C., Urwick I. (1942): Dynamic administration: the collected papers of Mary

Parker Follett, New York, Harper

(a cura di) Minkler M., Wallerstein N (2008): Community-based participatory research for health:

from process to outcomes, Jossey Bass. S.Francisco

Marmot M., Bell R (2012), Fair society, healthy lives in Public Health Sept 2012 n. 126 suppl 1

Moini G: (2012): Teoria critica della partecipazione. Un approccio sociologico , Milano, Angeli

Muller J.J., Creed P.A., Waters L , Machin M.A. (2003): Introducing the latent and manifest

benefits of employment (LAMB) scale, in Australian Journal of Psychology n. 55, 1038

Nussbaum M.C. (2011): Creating capabilities; the human development approach, Cambrigde MA

Press of Harward Univ. Press

O'Flynn J (2007): From new Public management to Public Value: paradigmatic change and

managemente implications in The Australian Journal of Public Administration 66 n. 3 356-366

2007

Orford J. (2008): Community psychology challenges, controversies and emerging consensus, John

Wiley, Chichester

Paba G., Pecoriello A., Perrone C., Rispoli F. (2009): Partecipazione in Toscana, Interpretazioni e

racconti, Florence UP

Paci M. (2007): Nuovi lavori, nuovo welfare, Bologna, Il Mulino

Pais I. (2003): Acrobati nella rete: i lavoratori di Internet tra euforia e disillusione, Milano, Angeli

Pecoriello A.L., Rispoli F.(2006) : Pratiche di democrazia partecipativa in italia, in Democrazia e

diritto n. 3

Pellizzoni L. (2005): La deliberazione pubblica, Roma, Meltemi

Pievani T. (2002): Homo sapiens e altre catastrofi. Per un'archeologia della globalizzazione, Roma,

Meltemi

Pillitu, D. (2009), La partecipazione civica alla creazione di valore pubblico, Angeli, Milano

Pryce-Jones J. (2010): Happiness at work. Maximizing your psychological capital for success,

Chichester, John Wiley and Sons

Quick T.L.(1993): Le nuove regole manageriali. Soluzioni non convenzionali per i problemi degli

anni '90, Milano, Angeli (ediz originale 1989)

Ranci C. (2002): Le nuove disuguaglianze sociali in Italia Bologna, Il Mulino

Rappaport J., Seidman E. (eds) (2000): Handbook of Community Psychology, Kluwer

Rappaport K., Zimmermann M.A. (1998): Citizen participation, perceived control and

psychological environment in American Journal of Psychological Environment Vol 16 n. 5, Plenum

Publishing Corporation.

Recalcati M. (2010): L'uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica Milano,

Cortina

Recalcati M. (2013): Patria senza padri. Psicopatologia della politica italiana, Minimum Fax

Revelli M. (2001): Oltre il novecento La politica, le ideologie e le insidie del lavoro, Torino,

Einaudi

Rosanvallon P. (2009) La politica nell’era della sfiducia, edizioni Città Aperta 2009

Sarchielli G Mandrioli E Palmonari A (a cura di) (2006): Lavorare da precari Effetti psicosociali

della flessibilità occupazionale Padova, Fondazione Emanuele Zancan

Scheuerman E.(1992) "Papalagi: discorsi del capo Tuiavii di Tiavea delle Isole Samoa", Viterbo,

Stampa Alternativa – ed orig. 1920

Sen, A.K. (1994): La disuguaglianza, Bologna, Il Mulino (ediz originale 1995)

Sen A K. (1986): Scelta, benessere e equità Il Mulino

Sennett R. (2000): L'uomo flessibile Milano, Feltrinelli, titolo originale The corrosion of character,

Sloan T. (1996): Damaged Life: The Crisis of the Modern Psyche, Routledge

Spaltro E. (1984): Sentimento del potere : analisi dei rapporti umani, Torino, Boringhieri

Standing G. (2012): Precari. La nuova classe esplosiva, Bologna, Il Mulino

Stanghellini G., Monti M.R. (2006): Psicopatologia del senso comune Milano, Cortina

Taccone, L. (1987): Come realizzare un DSS per il project manager: il planning del progetto,

Office Automation, Aprile 1987

Thaler R.H., Sunstein C.R. (2009). Nudge: la spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le

nostre decisioni su denaro, salute e felicità. Milano: Feltrinelli.

Toffler A.(1980): The third wave, New York, William Morrow &C

(a cura di) Toscano M. A.(2010) , Zoon politikon vol 2 Politiche sociali e partecipazione, Firenze,

Ed Le Lettere, John D Calandra Institute Queens College, CU New York

Truant C.M. (1994):The rites of labour Brotherhoods of Compagnonnage in Old and New Regime

France, Cornell University

Varchetta G. (1993): La solidarietà organizzativa Milano, Guerini

Vernant, J.P (2005): L’uomo greco, Editori Laterza

Villa M. (2007) Dalla protezione all'attivazione. Le politiche contro l'esclusione fra

frammentazione istituzionale e nuovi bisogni, Angeli, Milano

Virno P. (2001): Grammatica della moltitudine: per una analisi delle forme di vita contemporanee,

Rubbettino

Warr P. (2011): Il gusto di lavorare. Soddisfazione, felicità e lavoro, Il Mulino, Bologna

Wenger E. (1998): Communities of practices. Learning, meaning and identities, Cambridge

University Press

Zamparini A., Menegatto, M. (a cura di) (2011): La società degli indifferenti. Relazioni fragili e

nuova cittadinanza, Roma, Carocci

Zapelli G.M. (2005): Esercizi di coraggio, Per una educazione sentimentale alla vita organizzativa,

Milano, ETAS