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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Roma Vita somasca Anno LI - N. 149 Anno LI - N. 149 ottobre dicembre ottobre dicembre N. 4 - N. 4 - 2009 2009 Vita somasca Periodico trimestrale dei Padri Somaschi Dossier Filippine da Statte da Afragola Nel paese delle meraviglie Nel paese delle meraviglie SGOMBERO A NATALE SGOMBERO A NATALE

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Vita somascaAnno LI - N. 149Anno LI - N. 149

ottobre dicembreottobre dicembreN. 4 - N. 4 - 20092009Vita somasca

Periodico trimestrale dei Padri Somaschi

Dossier Filippine

da Statteda Afragola

Nel paese delle meraviglieNel paese delle meraviglie

SGOMBERO A NATALESGOMBERO A NATALE

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Editoriale

Briciole di storia 3Cari amici

La strada della Valletta 4

Report

Il digitale 8Spazio famiglia

Diventare famiglia adottiva 10Dentro di me

È colpa mia! 12La Chiesa nella vita

Vacanze Romane 13Vita e missione

Sri Lanka che passione 14Il punto

Canto di Natale 16L’intervista

Da un piccolo seme 18

Dossier FilippineNel Paese delle meraviglie 22

www.giovani

Che paura... 36MLS

Il sogno 38Senza casco 39Nostra storia

Terruggia 40Foto flash da... 42In memoria 43Recensioni 44Per non dimenticare...

da Gigi e Rosa 46

Anno LI - N. 149ottobre - dicembre

N. 4 - 2009Periodico trimestrale dei Padri Somaschi

Copertina: sgombero a Natale

Direttore editorialep. Mario RonchettiDirettore responsabileMarco NebbiaiHanno collaboratop. Franco Moscone, Cinzia Riassetto, Tomasz Pelc,p. Michele Marongiu, p. Augusto Bussi Roncalini, Carlo Alberto Caiani, Elena Santomartino, sr. Giusy Cogoni, p. Renato Ciocca, Matteo Lo Presti, p. Mario Ronchetti, p. Luigi Amigoni

FotografieArchivio Vita somasca,Antonio Galli, p. G.B. BrendolanRenato Ciocca, Internet

Grafica e impaginazionePrePrint Coop. Soc. Integrata(onlus) viale Europa 8 00041 Albano Laziale Tel 06 93393008

StampaGraffiti srl - 00040 Pavona (RM)Tel. 06 9340143Abbonamentic.c.p. 42091009 intestato: Curia Gen. Padri Somaschivia Casal Morena, 8 - 00118 Roma

Autorizzazione Tribunale di Velletri n. 14 del 08.06.2006

Vita somasca viene inviata agli exalunni, agli amici delle opere deiPadri Somaschi e a quanti espri-mono il desiderio di riceverla. Un grazie a chi contribuisce alle spese per la pubblicazione o aiuta le opere somasche nel mondo.Vita somasca è anche nel web:[email protected]

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SommarioSommario

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In principio della storia moderna delle Filippine c’è un nome di un veneziano per adozione, un uomocolto, studioso di astronomia, geografia e cartografia,appassionato di avventure “scientifiche”: Antonio Pigafetta (Vicenza 1491- Malta 1534?). Egli fu testimone oculare e cronista accuratodella giornata più nera del primofantastico viaggio intorno al mondo,quando il grande navigatoreFerdinando Magellano venne ucciso da una freccia avvelenata. Un gruppo di nativi, al comando diLapu Lapu, ingaggiò un attacco asorpresa, sulla minuscola isola diMactan, una delle 7107 isole che sarannopoi chiamate “ Filippine”. Era il 21 aprile1521. Dopo innumerevoli peripezie, il 6settembre 1522, 18 superstiti sbarcarono inSpagna dalla caravella Victoria. Erano partiti, tre anni prima, in 237, con cinquecaravelle. Il Pigafetta era uno dei superstiti. Aveva sborsato una considerevolesomma per far parte della spedizione, ma tornava con un grande tesoro: il suo“diario di bordo”, ricco di notizie, osservazioni, informazioni sulla geografia, ilclima, la flora, la fauna e gli abitanti delle terre visitate. Addirittura vi si trova il tentativo di compilazione del primo dizionario dellalingua parlata nella regione di Cebu, dove Magellano fu ucciso.Pigafetta ritornò in patria. Ci è lecito immaginarlo a Venezia, circondato dallacuriosità del senato della Serenissima e dall’interesse dei mercanti di spezie,stoffe preziose, perle. Forse anche dall’entusiasmo di ecclesiastici e di ferventicristiani desiderosi di veder diffordersi il Vangelo di Cristo tra nuovi popoli. Tra questi ultimi ci piace pensare presente un certo Girolamo Miani, senatore,esperto nel traffico di panni di lana, il quale si stava però dedicandocompletamente a Dio nel servizio dei poveri. E il Pigafetta raccontava ed entusiasmava… Chissà se Girolamo Miani ascoltò la storia della prima Crocepiantata dall’ammiraglio Magellano sull’isola di Cebu, del battesimo del ragiàHumabon e di sua moglie, regina Giovanna, alla quale fu donata una piccola statua di Gesù Bambino, che le piaque immensamente, e del vano tentativo di convertire anche il feroce Lapu Lapu.Chissà se lo sguardo lungimirante del futuro patrono universale della gioventùorfana e abbandonata, previde che un giorno la sua sollecitudine paterna avrebbe ricercato ed accolto tanti “gesù bambini” abbandonati nella solitudine delle strade della metropoli di Cebu. Un fatto è accertato: san Girolamo nel Natale del 1980 atterrò nelle Filippine. Sì proprio il giorno della nascita di Gesù Bambino. Con il suo caratteristico dinamismo, il Miani si mise subito all’opera…all’opera di Cristo, in questo meraviglioso estremo oriente.

p. Gabriele Scotti

EditorialeEditoriale

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Briciole di storia

ottobre dicembre 2009 Vita somasca

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Cari amiciCari amici

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p. Franco Moscone crs

Seguite la via del Crocifisso disprezzando il mondo, amatevi gli uni gli altri

Carissimi fratelli in Cristo: pace!Ho scelto questo saluto d’apertura, ripren-dendo l’inizio della quarta e quinta letteradi san Girolamo, perché mi sembra che sin-tetizzi tanto l’essere che il fine della nostraCongregazione: costruire comunità di fra-telli, ad immagine della Chiesa apostolica,capaci di dirigere i loro passi sul camminodella pace. Ed il cammino della pace è quel-lo percorso da Cristo Crocifisso, che rendefratelli, capaci di amarsi a vicenda e di ser-vire i poveri; cammino che il nostro Fon-datore ci ha indicato in tutta la sua vita,trasmettendolo infine anche a noi, cometestamento prima di salire al Padre. Nella lettera per l’8 febbraio 2009 invitaia guardare la via del Crocifisso, che Giro-lamo ha percorso per primo e che ci ha co-mandato di seguire per essere suoi figli.Come è stato per lui, è necessario partiredall’alto, accogliendo l’invito a scendere.Per rendere visibile il concetto scelsil’immagine della Scala Santa. Ad uno sguardo superficiale potrebbe ap-parire un percorso meno faticoso, ma nonè proprio così. Si tratta di percorrere il cam-

mino di Cristo facendo nostri i suoi senti-menti: “pur essendo di natura divina umi-liò se stesso fino alla morte di croce”. Tro-vo conferma di tale osservazione in que-sto testo di mons. Klaus Hemmerle: “Qua-le caratteristica più di ogni altra ci fa ri-conoscere nell’uomo l’immagine di Dio?Qual è il suo tratto più divino? A me pa-re che non si tratti della capacità di ele-varsi, ma quella di abbassarsi, non la ca-pacità di trascendenza, ma di discenden-za, di dedizione agli altri”. Scendere, abbassarsi è dunque portare nelmondo un po’ della luce di Dio: ma primaquesta luce deve brillare in noi, prima dob-biamo renderci conto della mancanza diluce e sentirne un desiderio così forte tan-to da accenderci come fiaccole. Riprendo la riflessione o ruminatio sullaprima frase del testamento vedendola al-l’interno di tutta la vita pubblica di Giro-lamo ed aprendola al secondo passaggio,“amatevi gli uni gli altri”, che è il tema delsecondo anno di avvicinamento al grandeGiubileo Somasco del 2011-2012. Mi faccio aiutare questa volta da alcuni da-

La strada La strada della Vallettadella Valletta

Roma, 15 settembre 2009 Con la festa della Mater Orphanorum 2009 passiamo al secondo anno di preparazio-ne al grande giubileo somasco che inizierà il 27 settembre 2011. Dopo aver rafforzato i fondamenti della nostra sequela di Cristo, riscopriamo la forzadirompente della testimonianza d’amore vicendevole che rende la nostra Compagniacome nuova famiglia di fede e la abilita ad annunciare il Regno di Dio e servire i pove-ri. L’anno 2009-2010 sia allora veramente l’anno della comunità e della nostra vita incomune da far rifiorire, meditando e vivendo il comandamento nuovo di Gesù, amate-vi gli uni gli altri, come ce lo ha testimoniato il nostro Fondatore e come è divenuto si-curo progetto di vita nelle nostre Costituzioni. Confidiamo nel nostro Signore benignis-simo e camminiamo nella via della pace e della carità, di quell’amore vicendevole, chesolo può trasformare le nostre comunità in luogo di pace e terra promessa.

P.s. Questa lettera

è frutto di un corso di esercizi spirituali

somaschi vissutocon 31 fratelli

a Somasca presso il Centro diSpiritualità

(19-24 luglio 2009). Li voglio ringraziareper la testimonianza

ed il contributo che mi hanno offerto

nell’approfondimentodel testamento

di san Girolamo.Invito tutti,

ed in particolare i Superiori maggiori,

a farsi responsabili e solleciti

della Formazionepermanente

e ad approfittare degli strumenti

che la Congregazioneoffre, tanto

a livello provinciale che generale

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ti ricavati dall’esperienzadell’alba del 27 settembre1511 e, soprattutto, dal per-correre la strada che da So-masca porta alla Valletta.Cerco di vedere comel’invito a seguire la via delCrocifisso si sia concretiz-zato nel percorso della vi-ta di san Girolamo Emilia-ni, dalla liberazione prodi-giosa dalla prigionia al glo-rioso transito dell’8 feb-braio 1537.

Alba del 27 settembre 1511: 9 chilometri e 2 ore!Che cosa è successo nella notte tra il 26 e il 27 settembre1511? Il Sanudo, cronista ufficiale degli avvenimenti del-la Repubblica Veneta di quegli anni, riporta tre volte neisuoi quaderni la notizia che Girolamo Miani si presentòall’alba alle porte di Treviso e riconosciuto gli fu aperto.Lo stesso cronista aveva seguito gli avvenimenti dellaguerra in corso, attento agli spostamenti del fronte e delgruppo degli stratioti al servizio di Mercurio Bua: questisi trovavano accampati presso Breda di Piave, e da loroera tenuto prigioniero il Miani, in attesa di ottenere unriscatto in denaro. Tra Breda di Piave, luogo dell’ultimatappa della prigionia, e Treviso (santuario della Madon-na Grande), luogo del riconoscimento e ringraziamentoper quanto miracolosamente accaduto, allora, come og-gi, si contano nove chilo-metri. Favorito anche dal-le buone condizioni atmo-sferiche, e dall’essere quel-la una notte di luna piena,Girolamo deve aver percor-so la distanza in non più didue ore. Nella storia di Gi-rolamo che cosa sono novechilometri, paragonati aquanti gli resteranno dapercorrere, sempre a piedi,per le strade del Veneto edella Lombardia? Quantopossono contare? E 2 ore, confrontate con i26 anni che gli resterannoper seguire Cristo e servi-re i poveri, quanto posso-no avere inciso in lui?

Apparentemente nulla, sono dati quasi senza valore perle statistiche, infatti (a parte quanto annotato brevemen-te dal Sanudo, e qualche anno dopo scritto come memo-ria nel Libro dei Miracoli del santuario di Treviso) non sene trova traccia in altri testi coevi, ed in quelli che noichiamiamo le nostre fonti. Quei pochi chilometri e quel-le due ore, però, contengono il segreto e la forza di quan-to seguirà nello spazio e nel tempo della vita di Girolamo,ed a distanza di cinque secoli continuano a dinamizzarel’esperienza spirituale e caritativa della Congregazione edella, ancora più estesa, Famiglia Somasca. Intendo spiegare questo segreto, invitandovi a percorre-re con me la strada che da Somasca porta alla Valletta:chi ha visitato Somasca la porta chiara nella sua mentee nel suo cuore.

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La strada alla Valletta: la via Crucis del Miani

Seguire la via del Crocifisso attraverso losforzo ascetico del disprezzare il mondo èla nostra maniera somasca di interpreta-

re l’esercizio della Via Crucis: non sitratta di camminare e sostare da-

vanti alle 14 canoniche stazio-ni, quanto di rivivere e ri-

proporre nell’oggi dellastoria l’esperienza cari-smatica del nostro tan-to amato e caro padre. La vita di Girolamo èl’immagine fatta carnedi ciò che ha significa-to per lui imitare e se-

guire Cristo, e per noi sifa modello sempre attra-

ente e nuovo di testimo-nianza cristiana. Lungo i cin-

que secoli di storia del carisma edella missione somasca si è tornati

con frequenza a riproporre l’esempio del-l’Emiliani attraverso l’arte e scritti biogra-fici con finalità edificanti. Scelgo uno diquesti esempi, non certamente tra i più al-ti dal punto di vista artistico, ma sicura-mente tra i più efficaci per l’impatto pa-

storale: la via delle cappelle che, dal bor-go di Somasca, porta al luogo chia-

mato la Valletta. I nostri padri del XIX seco-

lo, periodo più duro dellastoria della Congregazio-ne, un autentico Calva-rio fatto di soppressio-ni e tentativi di ripre-sa, sforzi di ricontarsie riunirsi per poter an-cora essere disponibili

alla fedeltà e testimo-nianza del carisma rice-

vuto, hanno voluto traccia-re in forma plastica e popo-

lare la vita del Beato Girolamo.Ne è nato così un percorso in sali-

ta, situato nei luoghi benedetti dalla te-stimonianza eroica dei suoi ultimi anni divita, percorso indicato da dieci stazioni o

cappelle votive. Mi pare di poter vedererappresentata la Via Crucis dell’Emiliani,la rappresentazione del suo seguire la viadel Crocifisso. La vita del Fondatore vie-ne scandita attraverso dieci scene, suddi-vise in tre gruppi di tre episodi ciascuno:i gruppi e gli episodi convergono nella sce-na finale. Questa è al contempo meta e te-stamento: passaggio del testimone da Gi-rolamo ai suoi discepoli e continuatori. Gliepisodi, ritenuti essenziali, della vita di Gi-rolamo sono scanditi in questo modo: i pri-mi tre riguardano il mattino del 27 settem-bre 1537, i tre successivi sottolineano i di-versi ambiti del suo operato socio-carita-tivo, quindi la terza terna identifica i suoigesti od elementi ispiratori della vita rin-novata in Cristo, e l’ultimo ne esalta la mor-te o meglio la glorificazione. Ripercorria-moli brevemente, facendo attenzione al rit-mo ternario. La liberazione miracolosa dal-la prigionia, l’accompagnamento per ma-no da parte di Maria in mezzo all’esercitonemico e l’arrivo devoto al santuario diTreviso costituiscono un’unità forte ed in-dissolubile di messaggio. Potrebbe sem-brare uno spreco dedicare tre su dieci sce-ne al momento iniziale del percorso di Gi-rolamo Emiliani; per di più questi avveni-menti potrebbero costituire anchel’aspetto più privato e meno aperto al pros-simo: non è così! Si tratta delle radici, sitratta del fondamento su cui si costruiscel’impalcatura di tutta la vita a venire: il fon-damento non può sparire, né essere accan-tonato, anche se resta “invisibile” all’oc-chio della ricerca storica di dati e testimo-nianze. Su quel fondamento, personalissi-mo di Girolamo, siamo costruiti anche noi,ed in quello dobbiamo riconoscerci, se in-tendiamo percorrere la via da lui indica-taci: via del Crocifisso e del disprezzo delmondo. Girolamo Emiliani è per noi so-maschi il Pietro, o la “pietra” del carismache abbiamo ricevuto in dono quando ab-biamo professato. Queste scene iniziali de-vono aiutarmi a prendere continuamentecoscienza del mio carcere, della debolezzae del buio che accompagna tanta parte del-la mia vita consacrata a Cristo, devono aiu-

Cari amiciCari amici

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Vita somascaottobre dicembre 2009

tarmi ad avvertire una presenza maternasempre amica e liberante, devono confer-marmi che qualcosa di grande è avvenutoe continua ad avvenire nella mia poveravita: scoprire la presenza operante di Dio.Questi tre quadri iniziali indicano, quin-di, tre momenti che fanno da fondamen-to solido della vita cristiana autentica: lamia debolezza, la presenza di Dio,l’alleanza tra la sua grazia e la mia mise-ria. Veramente Dio si vuol servire di mepoveretto, tribolato, afflitto, stanco e per-sino disprezzato per fare cose grandi, at-tende solo la risposta della mia fede e spe-ranza in Lui solo. I nove chilometri e le due ore delle primetre scene raccontano questo pattod’alleanza tra Cristo e Girolamo, patto pos-sibile oggi anche per me, anche per tuttinoi che in lui ci identifichiamo. Senza strin-gere tale patto non si può passare alle sce-ne successive e raggiungere la meta fina-le. Sarà un patto firmato su un aspetto de-bole (il mio carcere), ma ha dalla sua un’as-sicurazione forte, Dio che non manca enon abbandona. Si cammina poi veloci nelle tappe succes-sive. Ecco allora le tre stazioni che indica-no gli ambiti dell’operato sociale di Giro-lamo: l’accoglienza ed educazione degli or-fani, la cura degli infermi e l’urgenza del-l’attenzione alle vittime della peste. Si trat-ta di tre opere di carità corporale e spiri-tuale, assunte professionalmente da Giro-lamo e che lo mettono in relazione col Cri-sto vivente nell’ultima, come ben espres-so in Mt 25, 31-46. Di queste tre opere laprima ci è stata trasmessa come preziosaeredità del Fondatore da custodire e svi-luppare, lungo le strade della storia, conlo stesso amore e tenerezza di padre chelo distinse. Infine si passa alla terza seriedi cappelle. Sono episodi puntuali e docu-mentati della vita del Miani. Tali scene vo-gliono essere per noi, suoi discepoli,l’indicazione di ciò che nutriva spiritual-mente il suo operare quotidiano renden-dolo ardente testimone di Cristo: il segnodella Croce, la familiarità con la Parola diDio, il farsi persona di Carità.

La decima cappella: amatevi gli uni gli altri!

Si arriva così alla decima cappella, quelladel transito dell’8 febbraio 1537. Non si tratta tanto della morte, o della “de-posizione nel sepolcro” (ultima stazio-ne della Via Crucis canonica),quanto del Paradiso. L’amico Anonimo lo antici-pa, riportando la scenettadel fanciullo gravemen-te ammalato che, sve-gliatosi dal coma, affer-ma di aver visto una co-sa meravigliosa, il tro-no di messer Girola-mo, ed il Vicario di Ber-gamo scrivendo ai fede-li della diocesi, per comu-nicare la morte del santo,sostiene che pareva avesse ilParadiso in mano. Il Paradiso è la conclusione dell’iti-nerario di chi segue la via del Crocifissodisprezzando il mondo. Ma vi è anche unanticipo già in questo mondo: “questo viho detto perché la mia gioia sia in voi e lavostra gioia sia piena”, sostiene Gesù nellungo discorso ai discepoli durante l’ultimacena. La gioia di Gesù ha un prezzo:l’amore vicendevole. Girolamo benlo sa, perché lo ha sperimenta-to negli anni che lo hanno vi-sto impegnato nella rifor-ma del popolo cristiano,ed ora, giunto al capo-linea della vita morta-le per andare a goderel’eterna, esorta i suoidiscepoli: amatevi l’unl’altro! È il secondo co-mando, contenuto neltestamento spirituale:nel comandamento nuovodi Gesù, Girolamo vede il se-greto che lega la sequela di Cri-sto Crocifisso col servizio ai poveridi Cristo. È col vivere questo comando chesi riforma la Chiesa e si costruisce la Com-pagnia dei servi dei poveri.

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Il 2010 per la Chiesa sarà l’anno del digitalePapa Benedetto XVI hascelto come tema per laGiornata Mondiale delleComunicazioni 2010: “Il sacerdote e la pastora-le nel mondo digitale: inuovi media al serviziodella Parola”. La Conferenza EpiscopaleItaliana, dal canto suo, hapromosso per la primave-ra prossima (22 e 24 apri-le) un mega incontro su:“Testimoni digitali”, che ri-chiamerà a Roma tutto ilpopolo della comunicazio-

ne, a otto anni da “Parabo-le Mediatiche”, il convegnoche nel 2002 ha dato unasvolta epocale ai mass me-dia cattolici. “Testimonidigitali” sarà l’occasione,come ha spiegato mons.Domenico Pompili, diret-tore dell’Ufficio comunica-zioni della CEI, per intes-sere relazioni e “fare rete”con tutti gli utenti dei so-cial network, che in Italiasfiorano i 20 milioni, unterzo della popolazione. Due appuntamenti impor-tanti per la Chiesa, che neimezzi di comunicazione deinostri giorni vede uno stru-mento fondamentale perl’annuncio del Vangelo. Il Papa scriveva nel mes-saggio per la Giornata del-le comunicazioni dell’annoscorso: “Il desiderio di con-nessione e l'istinto di co-municazione, che sono co-sì scontati nella culturacontemporanea, non sonoin verità che manifestazio-ni moderne della fonda-mentale e costante pro-pensione degli esseri uma-ni ad andare oltre se stes-si per entrare in rapportocon gli altri”. Questa sensibilità dellaChiesa, però, non sempretrova riscontro tra i fedeli

e anche tra i sacerdoti. Si teme che i media (sianuovi che tradizionali)possano apportare all’in-terno delle comunità par-rocchiali o religiose risvol-ti negativi. Si teme, insomma, che il si-to internet delle singoleparrocchie o delle varie as-sociazioni cattoliche o an-che degli istituti religiosipossa essere impiegato daqualcuno (giovane o menogiovane che sia) per “direla propria idea”, che ma-gari non collima conl’autorità precostituita. E così si preferisce rinun-ciare a qualsiasi innovazio-ne mediatica e restare an-corati ai percorsi tradizio-nali dell’annuncio del Van-gelo, tralasciando di tra-sformarsi in “comunicato-ri” della Parola di Dio e del-le verità della fede. Oggi la gente rifiuta gli in-segnamenti ex cathedra:preferisce il linguaggio di-retto, breve, immediatodella comunicazione. Le nuove tecnologie vannovalorizzate perché permet-tono di “stare” tra la gen-te, di “camminare” con igiovani, di “dialogare” nel-le piazze virtuali. Gesù non è mai rimasto ad

Il digitale per diventare testimoni della Parola

Enrico Viganò

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ReportReport

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“Il desiderio di connessione e l'istinto di comunicazionenon sono che manifestazionimoderne della fondamentalee costantepropensione degli esseri umaniad andare oltre se stessi per entrare in rapporto con gli altri”

In alto: Il Papa conversa

con mons. Jean-Michel

di Falco Léandri, Presidente

della Commissione Episcopale

Europea per i Media;

a fianco: mons. Domenico

Pompili, direttore dell’Ufficio

comunicazioni della CEI.

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aspettare coloro che vole-vano convertirsi, ma anda-va a cercarli, li “stanava”:“Zaccheo, scendi dall’albe-ro, vengo a mangiare acasa tua”. Oggi gli strumenti per an-nunciare il Vangelo, oltrealla stampa, la radio e la tv,si chiamano social net-work, e in particolare Youtube, utilizzato dal 68% deifruitori di internet, Face-book , il più conosciuto daigiovani, e Messenger. C’è un cambio epocale, da-vanti al quale non si puòchiudere gli occhi. Non si può assolutamenteprescindere da questi mez-zi. Qualcuno dirà che In-ternet è un’accozzaglia diputredine che ammorba elascia sgomenti. Ma è anche una minierainesauribile di ricchezzesovrabbondanti, è un nuo-

vo “mondo”, e nella vitadelle persone ha assuntouna tale importanza chenon usufruirne per l’an-nuncio della Parola è vera-mente imperdonabile. Recentemente mons. Je-an-Michel di Falco Léan-dri, Presidente della Com-missione Episcopale Euro-pea per i Media, ha dichia-rato che non è più possibi-le fare lo struzzo, ignoran-do la realtà: "Internet sitrasforma, trasforma lanostra società e non puònon trasformare la Chie-sa, non può non trasfor-mare il nostro modo di es-sere e di agire come Chie-sa, con il rischio di non es-sere più testimoni di Cri-sto nel mondo di oggi".Ecco quindi perché è indi-spensabile che i fedeli (etanto più i sacerdoti) sia-no in grado di “navigare”

in internet con facilità. Ma è anche indispensabi-le che ogni parrocchia, as-sociazione, congregazionereligiosa abbia un propriosito, sempre aggiornato,efficace a presentare il pro-prio carisma, le proprie fi-nalità, in modo che qual-siasi utente, in qualsiasiparte del mondo, possa“aprire il contatto” nontanto con i promotori delsito, ma con Cristo. E poi, da ultimo, rivolgo uninvito caloroso a parteci-pare al prossimo convegno“Testimoni digitali”, chesarà sì un momento fonda-mentale per il futuro dellachiesa italiana, ma ancheun’occasione per formaregli operatori web delle va-rie comunità a essere testi-moni del Risorto nella no-stra nuova era dei mediadigitali.

Vita somascaottobre dicembre 2009

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Questo argomento mi è molto familiareperché da dieci anni lavoro come psicolo-ga in un Ente Autorizzato per le adozioniinternazionali. Amo molto il mio lavoro, amo incontrarele coppie, i bambini di ogni colore, vede-re come dalle sofferenze di esseri umanipossano nascere dei buoni incontri. Una passione che voglio condividere conle famiglie che leggono Vita somasca, so-prattutto se adottive o in fase di adozione.In questi dieci anni, questo ho imparato erespirato: la genitorialità biologica è all’in-segna della continuità, la genitorialitàadottiva è all’insegna delle fratture, di rot-ture di progetti di vita, una serie di batta-glie contro la sterilità, talvolta contro le fa-miglie di origine, contro le istituzioni. Un percorso che richiede capacità di tol-leranza alla frustrazione e al dolore deci-samente maggiori in queste famiglie, mache, se riuscito, permette di curare entram-be le parti che un bambino abbandonatochiede vengano prese a cuore: la parteadattiva, evolutiva, che lo vede desidero-so di essere uguale agli altri, e la parte sof-ferente, il dolore dell’abbandono.La genitorialità adottiva non è solo sosti-tuzione, ma è, soprattutto, co-presenza diuna genitorialità passata, problematica mareale: la presenza dei due genitori “che cisono stati”. La famiglia adottiva, quando accoglie unbambino in adozione, prende la sua partesana, la sua parte traumatica e la sua fa-miglia di origine.La relazione adottiva crea una continuità

tra l’esperienza biologica e quella affetti-va del bambino stesso. Senza la prima, laseconda non ci può essere.Questo è l’affascinante compito dei geni-tori: far sentire al bambino che questo pun-to di incontro è proprio la storia che staper incominciare insieme, che va a salda-re le storie vissute prima: da loro stessi edal bambino. I genitori adottivi raccolgono il testimonedei genitori biologici, per far si che il pro-getto di vita del bambino continui. Questa accoglienza, sicuramente, richie-de a due genitori adottivi capacità “specia-li”. Accogliere un bambino che ha subitoun abbandono significa saper essere di-sponibili verso la sua sofferenza, per po-ter condividere la gioia del suo arrivo.Per poter fare una scelta adottiva consa-pevole e responsabile, la coppia ha, spes-so, già il bisogno di imparare a tollerare,accettare e superare l’enorme delusione dinon poter avere figli propri. Questo significa aver capito quali sono leproprie parti doloranti, non averle negate:solo così ci si può prendere cura delle par-ti doloranti del bambino che si accoglie.Quanto più questi signori sapranno entra-re in contatto con le proprie parti emoti-ve dolenti, tanto più potranno entrare incontatto con le parti dolenti del bambinoabbandonato. Un’altra risorsa “speciale” di due genitoriadottivi è l’aver intuito che cosa ha funzio-nato, e quali cose no, nell’attaccamentocon i propri genitori, e avere in parte ripa-rate quest’ultime o, meglio, essere sulla via

Diventare famiglia adottiva

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Spazio famigliaSpazio famiglia

Per poter fare una scelta adottiva

consapevole e responsabile,

la coppia ha,spesso,

già il bisogno di imparare a tollerare,

accettare e superare

l’enorme delusionedi non poter avere

figli propri...

Costruire l’ambiente affettivo e di accoglienza capace di liberare il bambino dal “tempo dell’attesa” e, nella relazione con i nuovi genitori, restituirlo a quello della vita

Cinzia Riassetto

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della riparazione, cosa in-dispensabile per poter oc-cuparsi di quelle che saran-no le riparazioni interne alrapporto col bambino chesi accoglierà.I genitori adottivi devonoprendersi cura di un bam-bino, che ha avuto un’espe-rienza di dolore, per per-mettergli di continuare avivere la sua condizione difiglio. Perché possano farequesto, due genitori devo-no separarsi dal figlio im-maginato; far rinascere ildesiderio di essere papà emamma, predisponendosiall’incontro con un figlioreale; creare le fondamen-ta per una relazione di ap-

partenenza e non di posses-so, dove nell’appartenenzac’è consapevolezza di acco-gliere un altro da sé, con lesue caratteristiche specifi-che. Un’appartenenza tragenitori e figli che deve ten-dere a sviluppare il deside-rio di autonomia e indipen-denza, dove il bambinoadottato deve ritrovare ilsenso di protezione neces-sario per ricostruire le pro-prie certezze e poi “volarelibero fuori dal nido”. Come si fa a costruireun’appartenenza con unbambino non generato dase stessi?La frustrazione di non ave-re un bambino come si vor-

rebbe in tutto e per tuttoavviene anche per le cop-pie biologiche. La differenza è che, mentreper queste il processo diadeguamento ideale-realeè diluito nel tempo, nellecoppie adottive questo ac-comodamento viene chie-sto a priori. Nel caso di due genitoribiologici, è sicuro che ilbambino porti in sé partidi loro stessi, poiché gene-rato; parti che, a volte, nonsi vorrebbe vedere e che,forse, si vorrebbe non cifossero; quando ciò avvie-ne, il compito evolutivo ri-chiesto ai genitori è quel-lo di tollerare anche que-sti parti, riconoscendolecome proprie.Con un bambino adottivoc’è di più il rischio di crea-re distanza, perché queipezzi che non piacciononon arrivano biologica-mente dai genitori adotti-vi: si sente allora maggior-mente l’estraneità, la diffe-renza, in grado di creare unburrone nell’appartenenza.Solo così, solo nel momen-to in cui viene accettatal’origine della propria sto-ria genitoriale adottiva, sipuò accogliere qualsiasi Al-tro, con un’origine diversa,un colore diverso, un’età di-versa da quella pensata.Gli adulti, che sono riuscitia liberarsi di queste rigidi-tà, sapranno costruire l’am-biente affettivo e di acco-glienza capace di liberare ilbambino dal “tempo dell’at-tesa” e, nella relazione coni nuovi genitori, restituirloal “tempo della vita”.

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...questo significaaver capito qualisono le proprieparti doloranti, non averle negate:solo così ci si puòprendere cura delle partidoloranti del bambino che si accoglie.

Vita somascaottobre dicembre 2009

Vignetta presa dal sito storiediadozione.blogspot.com

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Dietro i sensi di colpa

spesso si nasconde

una convinzioneerronea: quella

di pensare che Diocoincida

con la nostracoscienza

Sentirsi oppressi da unacolpa è certamente uno de-gli stati più penosi che unapersona possa attraversa-re. Non parlo del senso dicolpa passeggero, che in ge-nere ha la funzione positi-va di renderci consapevolidi un errore e permettercidi riparare, ma di quellacondizione permanente,dalla quale non si riesce piùad uscire, dovuta alla con-vinzione di aver compiutoqualcosa che ormai è irre-parabile. “Ormai irreparabile”, so-no queste le parole, pesan-ti come macigni, che fannosoffrire l'inverosimile, tal-volta fino alla disperazio-ne. Non sono stato vicino aun genitore nei suoi ultimigiorni, non ho saputo edu-care i miei figli, ho rubato,ho ingannato i sentimentidi una ragazza... Le modalità con le quali il

senso di colpa può defla-grare nella coscienza sonoinnumerevoli. Gli effetti in-vece si assomigliano: la tri-stezza chiusa nel rimorso,il continuo e sterile ripen-samento, le inefficaci e ri-schiose autopunizioni,l'impossibile fuga versoqualcosa che distolga lamente. Quasi sempre inquesto disagio c'è una com-ponente psicologica che èopportuno affrontare cometale con l'aiuto di un esper-to, spesso però si tratta an-che di una vera prova spi-rituale che porta ad avver-tire su di sé la condanna diDio. La prima idea che puòaiutarci è quindi questa: sa-pere che un tale stato di op-pressione non viene da Dio,non è voluto da lui. Il volto di Dio rivelatoci daGesù non è quello di un im-placabile giudice, ma caso-mai quello di un avvocato

difensore. Dietro i sensi di colpa spes-so si nasconde una convin-zione erronea: quella dipensare che Dio coincidacon la nostra coscienza. L'esperienza della colpa al-lora può paradossalmentedivenire l'occasione per fa-re un balzo in avanti nellafede. È il momento di capi-re che l'amore di Dio è piùgrande di quanto fino aquel momento avevamoimmaginato, è più forte deinostri stessi peccati. Non è vero che questi pos-sono fermarlo, è vero il con-trario: Dio mi ama di piùperché ho sbagliato. Dio è più grande e più buo-no della nostra coscienza. Queste parole di san Gio-vanni sono incoraggianti:“Davanti a lui rassicurere-mo il nostro cuore qualun-que cosa esso ci rimprove-ri. Dio è più grande del no-stro cuore” (1Gv 3,19-20).Anche quando il cuore(cioè la coscienza) ci rim-provera, possiamo star si-curi che non siamo ancoraperduti davanti a Dio. “Ma l'errore rimane irre-parabile!” obietterà qual-cuno. Solo se restiamo a fis-sare il passato questo è ve-ro. Ma se questo passato lodeponiamo nelle mani diDio e alziamo lo sguardoverso il futuro, anche pernoi si apriranno nuovestrade, nuove possibilità difare il bene e scorgeremo ilvolto di nuovi fratelli chehanno bisogno di noi.

È colpa mia!

p. Michele Marongiu

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Dentro di meDentro di me

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Non vuole proprio accen-dersi il soffiatore che giratra le mani dei ragazzi. Ciascuno presume di esse-re più esperto degli altri.Apre e chiude l’aria, bloc-ca l’acceleratore, tira la cor-dicella dell’accensione. Li lascio tentare perché miduole il braccio per i vigo-rosi strappi compiuti e poiperché sono convinto chequesta generazione, cre-sciuta a pane e connessio-ne, ne sappia di più in tec-nologia e chissà che non fi-nisca col mettere in moto ilmarchingegno. Finalmen-te il diabolico strumentoparte. Una soffiata travol-ge in pieno gli astanti. Corrono tutti ai ripari co-me investiti da acqua, sab-bia o altro elemento solido. Invece “È aria, solamentearia”, grida Manuel Ster-minetor per rincuorare icompagni mentre li flagel-la con il getto siderale. Attorno si solleva polvere.Volano via foglie, petali ecarte. Si ribalta la carriola. Il cane, che un istante pri-ma si intrufolava tra i piedidegli addetti ai la-vori e che oraschizza via,

guadagnando lesto la tana,rende attuale il terrore deibotti nella notte di San Sil-vestro. Rincuora che il mi-cidiale ritrovato della tecni-ca sia stato assoldato soltan-to per la pulizia dei nume-rosi sentieri e viali del giar-dino di casa. Conclusol’anno scolastico, siamo so-liti impiegare per qualchemattino i ragazzi in attivitàgeorgiche ed ecosolidali.Apprezzatissime. Qualcu-no, generosamente, le hadefinite “lavori forzati”,ma,credetemi, è un’iperbole. Poi vengono finalmente igiorni della vacanza vera epropria e allora tutto si fer-ma. Rastrelli, ramazze,vanghe restano inoperosi.A febbraio girava già il no-me di Albano Laziale comelocalità che avrebbe accol-to la nostra splendida doz-zina in vacanza. Vedere Roma e dintorni èparso un sogno culturalesenza precedenti. Al ritor-no, inaspettatamente, sco-priamo che i ragazzi sonoentusiasti. È vero, dunque,che la cultura ripaga. E, oltre la

cultura, anche l’ospitalitàcordiale e il ponentino deicolli. Vacanze romane,quindi, ma soprattutto va-canze. Vacanze, un dirittosacrosanto. Perché? Quan-do Dio ha creato il mondosi è riposato dalla fatica.Questo significa che il cen-tro di gravità dell’esisten-za non è il lavoro, ma la gio-ia della libertà. Dio termina il lavoro cheaveva fatto. Così deve fare l’uomo chenon è schiavo del lavoro,ma padrone, perciò lo do-mina e lo sospende, comeDio. Il lavoro non è in fun-zione della festa, né la fe-sta in funzione del lavoro.Non si lavora per sei gior-ni per riposare la domeni-ca, né si riposa la domeni-ca per lavorare gli altri sei.Il rapporto è diverso. I giorni feriali e i giorni fe-stivi rivelano, insieme, ledue facce della fatica del-l’uomo e della sua esisten-za. La ferialità mostra chel’uomo, a differenza di Dio,non ha ancora raggiunto

il compimento e latotalità.

La domenica mostra che latotalità sarà certamenteraggiunta, tanto che già orasi può celebrare e pregu-stare. Insomma, il lavoro è,da una parte, un dono cheesprime il dominio dell’uo-mo sulla creazione che Dioha fatto per lui; dall’altra,in quanto fatica sempre in-soddisfatta, esprime il de-siderio dell’uomo che nonpuò rinchiudersi nel mon-do e nei suoi prodotti, sem-pre in cerca di una pienez-za che non sta nelle cose.Il lavoro è segno della po-tenza dell’uomo, capace didominare le cose e, allostesso tempo, è il segno del-l’insufficienza dell’uomo,incapace di trovarsi da so-lo un compimento. E allora, benedette le va-canze! Doppiamente benedette sevacanze culturali, ricche diarte e di bellezza. E bene-detto pure, perché no?, ilnostro piccolo Tonio.Tra i tanti monumenti vi-

sitati a Roma, un ricordoindelebile gli ha impresso

il Lago di Trento. Ops, scusate: la Fon-

tana di Trevi.

VACANZEVACANZE ROMANEROMANE

La Chiesa nella vitaLa Chiesa nella vita

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Le hanno conosciute in Sar-degna circa 12 anni fa,quando le figlie di Salvato-re e Anna frequentavano lacomunità giovanile di El-mas (CA) dove facevano icampi estivi. Successiva-mente la collaborazione ècontinuata con l’assunzionedi Anna come cuoca dellacomunità alloggio dellestesse Missionarie. Pian piano il rapporto è cre-sciuto facendo maturare in

lei il desiderio di conoscerele realtà degli altri paesi econdividerne l’esperienza. Così è nato questo viaggionel quale ha coinvolto il ma-rito e poi anche una dellesue sorelle.Com’è nato il viaggio?La destinazione Sri Lankaè stata quasi casuale, in ori-gine pensavamo di andarein Guatemala. All’inizio sembrava tuttouna follia: la distanza, il

Vita e missioneVita e missione

Sri Lankache passione

Anna, Salvatore e Gianna nel luglio di quest’anno hanno realizzato un viaggio in Sri Lanka presso le comunità delle Missionarie Somasche

A cura di Gtusy Cogoni

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Vita somascaottobre dicembre 2009

contatto con un mondo totalmente diver-so dal nostro, ecc.; ma il desiderio di poter-si rendere utili ha vinto. Eravamo pronti a qualsiasi cosa. Siamo par-titi appunto con l’idea di fare qualcosa pergli altri ma in realtà, fin dal primo momen-to il solo fatto di essere lì è stata una festa.Abbiamo sperimentato una forte accoglien-za, si sentiva una gioia profonda e tanto af-fetto soprattutto dalle bambine ospitatenelle comunità.Cosa avete fatto concretamente?Lavoro vero e proprio non ne abbiamo fat-to, è stato più che altro stare con loro. Abbiamo cercato di metterci in linea col la-voro delle suore per dare un reale contri-buto all’educazione delle bambine. Abbiamo messo a disposizione le nostre ri-sorse e le nostre competenze.Cosa ti piace del carisma somasco?Mi ha sempre colpito molto l’accoglienzae il clima di famiglia che ho trovato sem-

pre e dovunque.Salvatore, come hai fatto con il tuo pro-blema della sordità?È stato bellissimo perché ho costatato unavolta di più che un semplice gesto dice mol-to più di tante parole. La comunicazione con le bambine è statasemplice ed immediata, il rapporto ricco esereno tanto che non si sono accorte dellamia sordità.Cosa vi siete portati via?Prima di tutto la consapevolezza che ciòche conta non è tanto quello che fai mapiuttosto quello che dai. E poi la gioia genuina di questo popolo. Ilbello di quest’esperienza è che ciò che ti re-sta dentro non sono le cose belle che puoivedere, ma i rapporti creati.Tornereste in Sri Lanka?Proprio appena rientrati ci siamo detti chequanto prima avremmo cercato di realiz-zare un altro viaggio.

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Il puntIl punt

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Canto di Natale

Maria, gli Asburgo, la capanna e l’albero, la ruspa e infine Paolo“Ave Maria, piena di Grazia”recitavo com-pitamente a 5 anni. Dentro di me pensavo.Questa Maria deve essere una Regina diquelle importanti. Una che la salutano co-me Giulio Cesare (Ave, Cesare); una chenon solo ha Grazia imperiale (come la prin-cipessa Sissi degli Asburgo)… ma ne è ad-dirittura colma (piena di Grazia). Parole che ho litanicamente ripetuto perquasi 40 anni, ruminandole in modo bovi-no senza davvero metabolizzarle. Poi, come fanno gli arabi (sarà peccato?),ho letto al contrario, da destra a sinistra(no, non è peccato, è la stessa direzione cheha percorso l’attuale Ministro dei Beni cul-turali). Ho rovesciato la frase e ho incon-trato Maria. Maria piena di grazia perché…vuota di sé. Maria cui non basta svuotarsispiritualmente e devotamente per riempir-si dello spirito di Dio (come diciamo di fa-re noi bravi cattolici “mongolfiere spiritua-li”). Maria che addirittura si sventra per ac-cogliere il ventre del Mondo; Maria chesgombera (ah, che verbo tristemente ricor-rente nella periferia milanese) i suoi orga-ni vitali per dare vita. Maria madre, che sa che doloroso non é so-lo il parto, ma anche vedersi deformata perdare forma al Bambino. Maria che si svuota come la capanna deinostri deliziosi, e sempre uguali a se stessi,presepi. Maria così lontana dalle nostre ca-se, piene di cose (più che di grazia), che sifanno alberghi. Quegli alberghi in cui perlui non c’era posto. Così pieni che non cistavano 3 chili scarsi di neonato. Nemme-no lo hanno lasciato parcheggiare fuori!

Caro Gesù Bambino, perdonaci perché nonsappiamo quello che facciamo. La miniatura della capanna in cui sei natola incoroniamo al centro del nostro prese-pe. Quella a grandezza naturale, invece, lasgomberiamo con le ruspe. Ecco, ti ricono-sciamo di più se piccolo e di gesso (o in por-cellana) piuttosto che se ci appari in carneed ossa in uno dei tuoi senza cristi senza cro-ce (se non ami il tuo prossimo che vedi, co-me puoi amare Dio che non vedi….). Caro Gesù Bambino, perdonaci perché nonsappiamo quello che facciamo. Mentre, dentro in casa, le candele di ceranatalizie illuminano le statuine, fuori foco-lari di cherosene riscaldano le Maddalenedei nostri marciapiedi. Mentre dentro, nelpraticello di muschio e corteccia, dormonole miniature dei pastori fino al risveglio del-la cometa, fuori nel campo “di piscio e ce-mento” (non è una parolaccia, ma un versodi De Andrè) dormono in carne ed ossa no-stri fratelli, destati non dalla scia di una stel-la ma dai cingoli di una ruspa. Caro Gesù bambino, perdonaci perché nonsappiamo quello che facciamo e aiutaci a ri-cominciare ad allestire presepi solo quan-do la nostra casa assomiglierà un po’ di piùad una capanna. Lasciare aperta quella porta significa lasciar-si la possibilità che accada qualcosa che nonavevamo previsto, che arriva da fuori. Solo da fuori arrivano il vento, l’odore delmare, la fragranza del pane sfornato, il pas-so di un amico e i piedi sporchi di un fratel-lo povero (non ti scandalizzerai… visto chetu quei piedi eri solito lavarli).

Carlo Alberto Caiani

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Solo da fuori arriva la buona novella…Quella che oggi ha bussato alla nostraporta è tragicamente meravigliosa. Og-gi si è spento Paolo, primo ospite ac-colto 10 anni fa alla Sorgente di Como(casa alloggio per malati in AIDS). Sa-peva di essere alla fine, senza poterlavedere (era cieco). No, non la fine deltopo in gabbia. Il canto del cigno di unuomo che due anni fa ha lasciato la Sor-gente insieme ad un'altra ospite (in car-rozzina). Contro il nostro consiglio edogni ragionevolezza sono andati a vi-

vere altrove, insieme, sposandosi (stra-no, con tutti i peccati che gli abbiamoimputato ci suona strano non poterlicaricare anche di una illecita conviven-za). I primi due anni di matrimonio,gli ultimi due del film della sua vita. Finale a sorpresa, quasi da fiaba, senon fosse che il principe muore. Ma saluta la terra innamorato, da ma-rito, con quel sorriso un po’ consuma-to dal male, un po’ rinfrancato dallacertezza che la sua direzione ostinatae contraria stavolta, forse l’unica vol-

ta, ha avuto ragione. Che la logica delbuon senso talvolta cede in passo al-l’audacia della speranza. D’altronde il mistero della croce o èscandalo e stoltezza o non è (l’ha det-to San Paolo, io non c’entro). Termina questo canto di Natale agro-dolce, funambolo tra capanna ed al-bergo, tra comete e ruspe, tra Mariae la principessa Sissi, tra buon sensoa rischio di perbenismo e scandalo arischio di incomprensibilità per noicomuni mortali.

VViittaa somascaottobre dicembre 2009

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P. Cesare, tu sei “una viva memoria sto-rica” della presenza del carisma somasconelle Filippine. Come mai i Somaschi scel-sero questa terra del Sudest Asiatico? Padre Giovanni Tarditi mostrò sempreapertamente il suo grande desiderio di por-tare il nome e la missione di san GirolamoEmiliani dall’Italia fino all’Estremo Orien-te. Da El Salvador, dove si trovava a svol-gere il suo apostolato, salpò fino a Macauin Cina. Ma trovando la lingua cinese al-quanto difficile, si spostò a Manila, Filip-pine, nel gennaio del 1979 e decise di ri-manere in quella nazione. Pedro Bantique, vescovo di San Pablo, gliassegnò ad tempus una parrocchia in SanPedro, Laguna: Chrysanthemum, GSIS,Sampaguita e Calendola. Egli aiutò la po-polazione in attività religiose e, nello stes-so tempo, propagò la devozione a san Gi-rolamo. Presto, un gruppo di giovani mo-strò il desiderio di unirsi in comunità. Padre Tarditi era solo. Scrisse al superio-re generale, padre Giuseppe Fava, di in-viare alcuni sacerdoti somaschi nelle Fi-lippine. La proposta fu presa in conside-razione. Padre Bruno Schiavon, commis-sario della fondazione somasca nel NewHampshire, USA, fu inviato dal Padre Ge-nerale a Manila, per studiare la possibili-tà di una fondazione. Egli si incontrò conpadre Tarditi, con i giovani filippini e conil vescovo Bantigue, che accettò volentie-ri di ospitare i padri Somaschi nella suadiocesi. Il padre Bruno comunicò al supe-riore maggiore che il tempo e l’ambientenelle Filippine erano maturi per una nuo-va fondazione. Entro pochi mesi, due sa-cerdoti somaschi furono inviati a Manila,per unirsi al p.Tarditi: padre Valerio e pa-dre Cesare.Precedentemente dove eri in missione? Ero a Manchester, New Hampshire, USA.

Nel 1962, fui inviato dal Collegio Gallio diComo negli Usa, per aiutare i padri Loren-zo Netto e Tiziano Marconato, già in loco daun anno, per una apertura somasca. La pri-ma fondazione fu chiamata Pine Haven BoysCenter, istituto per ragazzi con problemicausati da situazioni familiari e sociali.Come avvenne l’invito dei superiori a tra-sferirti dal freddo Nord America al calo-re dei tropici? Il 25 novembre del 1979, il Padre Genera-le Giuseppe Fava mi telefona da Roma aManchester, New Hampshire, chiedendo-mi: “Che tempo fa da quelle terre?” Io ri-spondo: “Abbiamo la prima nevicata dinovembre in occasione della festa del Rin-graziamento. Un freddo!!!” . “E perchénon vai a Manila a riscaldarti un poco?”riprende il padre Generale. La battuta faridere ambedue a lungo. Però mi accorgosubito che non era uno scherzo. Dopo 18anni di apostolato in USA, ai primi di di-cembre sono in viaggio per l’Oriente.

Da un piccolo semeDa un piccolo semeIntervista a p. Cesare De Santis, uno dei fondatori della missione somasca nelle Filippine

L’intervistaL’intervista

p. Gabriele Scotti

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ottobre dicembre 2009 Vita somasca

Quando arrivasti nelle Filippine? Il 21 dicembre del 1979 i miei genito-ri organizzano una cenetta di “BuonViaggio” per padre Valerio Fenoglioe per me. Il mio primo incontro conp.Valerio fu proprio ad Anguillara.Ma non riesco a guardarlo bene infaccia per scrutare meglio il compa-gno nella nuova missione. Il suo aspetto vivace, allegro-ma-nontroppo, sempre in moto, attira l’atten-zione dello zio Angelo che, al terminedella succolenta cena, lo saluta in ma-niera veramente gioviale: “Sei simpa-tico!”. Pochi anni dopo, durante le mieprime vacanze in Italia, lo stesso zioAngelo mi confida d’aver provato unaforte emozione, quando vide l’aereogià in alto nel cielo, che ci portava via,lontano dalle nostre terre. La sua pre-ghiera si unì alle lacrime: “Il Signorevi accompagni”. Il 24 dicembre sia-mo a Calcutta, con Madre Teresa, per

festeggiare la vigilia di Natale tra i leb-brosi nella periferia della città. MadreTeresa ci benedice con queste paroledi augurio per la fondazione somascanelle Filippine: “Mantenete sempre lagioia di amare Gesù nella Castità sen-za compromessi, nella Povertà che virende liberi, con totale sottomissioneall’Obbedienza; così voi crescerete inUmiltà come Maria e in Santità co-me Gesù. Preghiamo a vicenda. Diovi benedica”. Nel mattino del 25 di-cembre atterriamo a Hong Kong.Avendo a disposizione un largo tem-po per la coincidenza di Manila, cele-briamo la liturgia di Natale in un’am-pia sala dell’aereoporto, senza alcundisturbo di altri passeggeri. Fu il no-stro primo Natale nel mondo asiatico. Rafforzati da questa celebrazione eu-caristica, piena di emozioni umane espirituali, salpiamo per Manila, ovearriviamo sul mezziogiorno. PadreTarditi ci attendeva ansiosamente conun gruppo di fedeli della sua parroc-chia in Chrysanthemum. Sventolava-no gioiosamente il loro “Benvenuti,Padri Somaschi!” Era il Natale del 1980.Quali difficoltà dovesti affrontare nelprimo impatto con il mondo filippino?Sono entrato nelle Filippine senza co-noscere e praticare la lingua locale.Ciò impediva il mio contatto con lepersone, ragazzi, giovani e adulti.Provai un distacco che volevo ad ognicosto superare. Mi andavo convin-cendo che non sarebbe stato facile;avrei dovuto fare tanti sforzi dandotempo al tempo. Oltre all’ostacolo lin-guistico, provai internamente un sen-so di isolamento: di essere in terrastraniera senza un punto fisso di al-loggio. Con tre sacerdoti e otto gio-vani aspiranti, urgeva trovare un luo-go e formare un centro per la primacomunità somasca. Tale difficoltà eraaumentata dal fatto che in Chrysan-themum non vi erano tante possibi-lità di scelta. Occorreva cercare po-

sto in altre zone a noi ancora scono-sciute. Ci son voluti lunghi e tediosiandirivieni da un villaggio all’altroper trovare un ambiente adeguato ovealloggiare religiosi e aspiranti. Miconfortavo nel vedere gli altri dueconfratelli più sereni: padre Tarditiben contento di essere attorniato daaltri somaschi; padre Valerio soddi-sfatto per le frequenti visite ai villag-gi vicini.Come venne costituita la prima co-munità somasca nelle Filippine? Nel febbraio 1981 i padri accettano laproposta del Dr. Faustino Uy, diret-tore dell’Ospedale in Almanza, LasPiñas. Il dottore ci offriva, senza al-cun onere finanziario, di occupare ilterzo piano dell’ospedale, conl’obbligo di insegnare religione nellescuole elementari e secondarie delCollege. L’ambiente presentavaun’ampia sala per il dormitorio, stan-ze per studio con tutte le facilitazio-ni logistiche. Da Chrysanthemum,Laguna, ci moviamo a Las Piñas, Al-manza, in periferia di Manila Sud. I religiosi usufruiscono di una stan-za individuale; gli aspiranti sono si-stemati nella sala grande. La cappel-la del College serve per le funzioni re-ligiose. Così fu iniziata la prima co-munità religiosa nelle Filippine, an-che se l’ offerta del Dr. Uy era prov-visoria e inadeguata per molti aspet-ti. Fu un primo alloggio che servì dapedana per ulteriori sviluppi.E l’accoglienza delle autorità religiose?Il 31 gennaio 1981 i padri hanno unraduno con S.E. Jaime Sin, arcivesco-vo di Manila, tramite la mediazionedi padre Guido Coletti, sacerdote re-ligioso della congregazione di SanGiuseppe. Il cardinale si mostrò mol-to accogliente e ben contento di ospi-tarci nella sua diocesi. Ci raccomandò di stabilire la nostrafondazione somasca prima a Manila evicinanze per inoltrarci, in seguito,nelle zone più lontane dalla capitale.

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Dove fu il primo campo diapostolato? Come avven-ne la scelta della parroc-chia St. Jerome Emiliani &St. Susanna?Il primo campo di aposto-lato fu presso New AlabangVillage, vicino al Dr. Uy Col-lege & Hospital. Padre Gui-do Coletti ci organizza ra-duni con Ayala Corpora-tion. Sempre con grandecortesia, ma con insisten-za, esorta il presidente del-la Corporation ad offrirci lanuova chiesa in costruzio-ne. Dopo ulteriori informa-zioni, segretamente avutedal salesiano padre Qua-

ranta, la Famiglia Madri-gal, proprietaria del terre-no su cui si è sviluppatol’Ayala Alabang Village, siaccorda nel formulare l’attodi donazione della nuovachiesa ai Padri Somaschi. IlCardinal Sin approva subi-to la proposta ed erige lachiesa in parrocchia. 1800famiglie benestanti, prove-nienti dalle varie cittadinedi Manila, abitavano già inloco. 500 famiglie povererisiedevano in una zona vi-

cina. Il terzo gruppo eraformato da operari e impie-gati del governo.Quali sviluppi della mis-sione somasca avvenneronei primi anni? Quale fu ilconvolgimento della par-rocchia per la difesa de piùdeboli e poveri?Le attività di quei primi an-ni furono dedicate ai pove-ri, per creare loro una con-dizione ambientale più di-gnitosa. Ma per realizzarei progetti era necessrio an-che tanto denaro e, quindi,subito sorge la necessità ditrovare fondi. Uno degliobiettivi della nostra fon-

dazione è stato proprioquello di motivare le clas-si benestanti a utilizzare leloro risorse economicheper aiutare i poveri. Si è in-nanzitutto cercato di favo-rire l’istruzione tra i pove-ri, seguendo alcuni studen-ti nel percorso di studio,dalle elementari al conse-guimento del diploma dilaurea. Per questo scopo fuavviata la raccolta dei fon-di finanziari. Numerosi so-no stati gli alumni che han-

no usufruito delle donazio-ni. Fu organizzato un grup-po biblico per radunare in-torno alla Parola di Diopersone di diverso ceto so-ciale. Durante questi in-contri si studia e si parla dipersonaggi della Santa Bib-bia, cercando di approfon-dire e analizzare concettiche poi sono tradotti nellavita di ogni giorno. I nostriincontri sono svolti pressole varie famiglie: ricchi epoveri si sono trovati insie-me. I muri di divisione fa-cilitano la separazione del-le persone. I padri sono riu-sciti a radunare famiglie didiverse condizioni socialiper una conoscenza reci-proca e un aiuto concreto afavore di coloro che eranosocialmente marginati. Losforzo realizzato tra i diver-si gruppi della parrocchiaportò frutti anche per unosviluppo della missione so-masca. Persone abbienti cihanno dato la possibilità diaperture lontane dalla zo-na, ove saranno sviluppatiin seguito un seminario mi-nore a Lubao, Pampanga,e un seminario maggiore aTagaytay.È vero che la parrocchiaebbe un ruolo nell’EDSARevolution nel 1986?Il 24 febbraio del 1986, ilministro della difesa Pon-ce Enrile e il generale in ca-po delle forze armate FidelRamos, la cui famiglia abi-tava dentro la parrocchia inAyala Alabang Village, de-cidono di lasciare il gover-no di Marcos e si rifugianoentro il campo militareAguinaldo, lungo la EDSA

(Epifanio De Los SantosAvenue), la principale arte-ria stradale di Manila. Ver-so le dieci di notte, il gene-rale Ramos mi telefona perdare inizio ad un movimen-to di massa in aiuto di co-loro che erano rifugiati inCamp Aguinaldo. Io subitochiamo per telefono alcunileaders del villaggio e in po-chi minuti la piazza di fron-te la chiesa rigurgita di vo-lontari per una azione con-cordata. Bisognava racco-gliere cibo e inviare miglia-ia di persone verso il CampAguinaldo. Presto tonnel-late di riso vengono dona-te e portate da volontari. Ilmovimento di liberazioneviene comunicato nelle cit-tadine limitrofe e, in pocheore, centinaia di migliaia dipersone sono in camminoverso Camp Aguinaldo persbarrare la strada ai carriarmati di Marcos. Il giornodopo ricevo ancora una te-lefonata dal generale Ra-mos. L’ordine era di sbar-rare le entrate del villaggiocon grandi mezzi da costru-zione e inviare un folto nu-mero di persone a proteg-gere la sua famiglia, che ri-schiava di essere sequestra-ta. Nel pomeriggio dellostesso giorno, migliaia dipersone pregavano con medi fronte alla casa del gene-rale. Fu celebrata la messae furono recitati molti ro-sari. In alto nel cielo sorvo-lavano elicotteri in perlu-strazione intorno alla casa.L’unico spazio libero da co-struzioni era già occupatoda migliaia di abitanti delvillaggio. Non fu possible

L’intervistaL’intervista

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per gli elicotteri atterrarenella zona. Verso le due dinotte, un gruppo di agentisegreti mi chiama per un ra-duno di emergenza in casadi un colonnello militare re-sidente nel villaggio. Eranostati informati che una pat-tuglia di militari in favoredi Marcos era diretta versoAyala Alabang Village persequestrare la famiglia Ra-mos. Si organizza segreta-mente il trasloco della fa-miglia in località clandesti-na, all’insaputa anche delpubblico presente. Io am-ministro l’assoluzione inpericulo mortis ai dieci vo-lontari che hanno accetta-to il pericoloso rischio disalvare la famiglia. Presto,al mattino del 26 febbraio,si riceve la notizia che Mar-cos era già uscito dalle Fi-lippine verso le Hawai ne-gli Stati Uniti. Fu un giubi-lo immenso in tutta la na-zione. I parrocchiani di St.Jerome Church hanno avu-to la loro parte nel rischioe nella gioia. Come vedi l’attuale situa-zione della missione soma-sca nel Sudest asiatico.

Dopo 30 anni dagli inizidella fondazione somasca,osservando a distanza glisviluppi che sono stati at-tuati, nonostante le limita-tezze umane delle personeche hanno lavorato, facciosempre mia la riflessione diSan Paolo “Ego plantavi,Apollos irrigavit, Deus au-tem incrementum dedit”. (1Cor, 3, 6) La mano del Si-gnore ha operato queste co-se. Due sono i punti che po-trei condividere: uno ri-guarda la formazione deireligiosi; il secondo si spin-ge oltre le Filippine. Nellaformazione dei religiosi,tanti scritti sono stati divul-gati e molte attività sonostate realizzate. Lo svilup-po di un sano umanesimopotrebbe recare maggiorestabilità alle opere in atto.

Occorre far crescere le per-sone sulla base delle virtùumane di onestà e coope-razione. “Mostrami il tuoDio” chiede il filosofo paga-no al cristiano. Il cristiano,a sua volta, dice: “Dimmiche uomo sei e poi ti mo-strerò il mio Dio”. Unaequipe ben formata a livel-lo provinciale e locale po-trebbe facilitare lo svilup-po di una maturità genui-na in ogni candidato. Unmetodo educativo nella for-mazione resta ancora da in-ventare. Proprio per questoil coinvolgimento di unaequipe in dialogo facilita laformazione.La seconda riflessione ri-guarda l’apertura all’este-ro delle Filippine. Si è giàfatto il passo verso l’ Indo-nesia con frutti molto posi-

tivi. Il con

tinuare con l’Indonesia nonproibisce di inoltrare son-daggi verso il Viet-Nam e laCina. Presto o tardi in que-ste nazioni muteranno lecondizioni politiche versoil cristianesimo. Occorrepreparare a tempo religio-si di avanguardia.

ottobre dicembre 2009 Vita somasca

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Nel paese delle meraviglie

Dove gli estremi si bilanciano in un equilibrio... instabile

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mercoledì: Arrivo nelle Filippine Abbiamo appena lasciato il nuovo aeropor-to di Hong Kong. Poco più di un ora di vo-lo e già si intravedono le isole settentrio-nali dell’arcipelago filippino. È l’alba, ma in pochi minuti è pieno gior-no, siamo in zona tropicale. Sorvoliamo labaia di Manila, e l’immensa metropoli (12milioni di abitanti) si mostra con tutto ilsuo fascino maliardo e contraddittorio. Adagiata tra il mare e una vasta laguna,l’orizzonte coronato da colline, sfoggia, or-gogliosa, i suoi grattacieli, la skyway, le cit-tà-mercato, mentre non riesce a nascon-dere la vergogna delle ampie baraccopolie del liquamoso fiume che l’attraversa,unendo la laguna al mare. L’aeroporto èuna struttura dignitosa, accogliente, di re-cente costruzione (1981) con linee archi-tettoniche solide ed eleganti. Le formalità doganali sone relativamenteveloci. Munito di una piantina inviatamida un religioso somasco qui residente, miavventuro alla ricerca della waiting area (zona di attesa). Qui mi stanno aspettando gli amici italia-ni, somaschi: Gabriele e Grato. Una follaimpressionante di gente è lì ad aspettarel’arrivo di qualche congiunto. Ogni passegero filippino è subito circon-dato da dieci, venti persone e più. Saluto gli amici, che cogliendo la mia me-raviglia per questo spettacolo, mispiegano divertiti…L’arrivo di un filippino, stracarico di baga-gli, è un evento che interessa non una so-la famiglia, ma un intero clan. Grato mi di-strae: “e dov’è il pasalubong”? Avverto neltono della voce un’ombra di scherzo, ri-

spondo con un gran punto interrogativonello sguardo. Vengo a sapere che tuttaquella gente in attesa ha un sacrosanto di-ritto: ricevere da chi arriva un regalo per-sonale, appunto il pasalubong.Ora capisco l’enormità degli scatoloni-ba-gagli! Ci immergiamo nel traffico cittadi-no. Sono abituato al traffico di Milano, hosperimentato quello di Roma, addiritturaquello di Napoli… ma quello di Manila nonteme confronti. Tricicli, quegli strani pul-mini, bus, camion, pedoni e pedoni: un ca-os. Azzardo: quanti chilometri e quantotempo per arrivare a casa? “I chilometri so-no solo 15…il tempo lo calcoleremo all’ar-rivo”. Capisco. Durante il tragitto osservo scioccato ciò chescorre davanti ai miei occhi.I jeepneys: questi civettuoli, variopinti, svi-colanti, onnipresenti mezzi di trasportopubblico, non hanno fermate fisse. Bastaalzare un dito dal marciapiede e un jeep-ney si accosta… I passeggeri si accalcanoall’unica entrata posteriore e tutti trovanoposto, perfino sui paraurti, aggrappati nonsi sa a che cosa. Questa specie di tram su gomma, senza ve-tri ai finestrini, con sedili lungo le fianca-te, è frutto della creatività tipicamente fi-lippina. Lo stesso nome ne tradiscel’origine: vecchie jeep lasciate dall’eserci-to americano, dopo la seconda guerra mon-diale, trasformate, allungate, dipinte dal-la fantasia dei Filippini. Poi ci sono i tricycles, motocarrozzette chescorrazzano ogni dove, si insinuano tra unveicolo e l’altro, si superano con destrezzaper accappararsi un passeggero. Uno, due,tre… ne ho contati fino a dieci, accomoda-

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ti ( si fa per dire) su un so-lo tricycle. Che dire dei bus?Rombanti, strombazzanti,imbellettati di freschi colo-ri sfrecciano, sorpassano diprepotenza, ma non riesco-no a nascondere l’età. Perfortuna il nostro pulmino èdotato di aria condiziona-ta. Il sole picchia forte. Fuori la temperatura è ele-vata (40°). Finalmente, congrande sollievo, sento i mieiamici esclamare: siamo ar-rivati ! Mentre scarico le va-ligie, lo sguardo è attrattodal biancore di una chiesa. “La nostra chiesa”, mi sen-to dire. Una costruzionedalle linee architettonichesinuose, tipicamente “colo-niali”, lo scampanio del-l’angelus ha suoni che misembrano familiari. Gabriele intuisce e spiega:“sono campane fabbricatein Lombardia”.

pomeriggio: AlabangSt. Jerome Church

Sono le 18. Sorpresa: lachiesa è strapiena di genterosariante. Entro, riesco afatica a trovare un posto.Osservo: l’interno non ètanto spazioso, ma 500 per-sone possono accomodarsi.Le pareti bianco-latte, la ar-tistiche vetrate, infiamma-te dal tramonto, con la raf-figurazione delle opere dimisericordia nella vita disan Girolamo ed alcuni mi-steri della fede cristiana, il“retablo” in legno intaglia-to, con il grande Crocifissoal centro, S. Girolamo a si-nistra e S. Susanna a destra;un quadro devozionale del-la Madonna con il Bambi-no, in primo piano nella na-vata; i canti popolari, la pre-ghiere, il ronzio dei venti-latori… tutto concorre acreare un’atmosfera di in-tensa religiosità. Mi spiegano: ogni mercole-dì, c’è la supplica (novena)

alla Madonna del PerpetuoSoccorso. Una devozionemolto sentita nelle Filippi-ne, un mezzo per chiedere“grazie” , la cui efficacia , perpopolare convinzione, è le-gata alla fedele frequenzaalla supplica per nove mer-coledì consecutivi. A volte non è facile distin-guere i confini tra genuinafede e le ombre della super-stizione. Noto che la chiesaè circondata da un ampiaarea per parcheggio. Molteautomobili di grossa cilin-drata si dileguano, ma tan-te restano. Perché? Rinun-cio ad avere la spiegazione.

giovedì: I poveri dellaparrocchia St. Jerome P. Grato mi cattura: “que-sta mattina vieni con me,vedrai cose interessanti”Lo assecondo volentieri.Dopo circa dieci anni diparroco chissà quante bel-le cose saprà e mi farà ve-dere. Anche a uno sguardo

superficiale non sfugge chea poca distanza dalla chie-sa ci sono delle recinzioni,controllate da guardie indivisa e poi un complessodi costruzioni, con gigan-tografie pubblicitarie escritte cubitali. Lungo unastrada abbastanza larga,una recinzione con un var-co. Appena mettiamo pie-de un nuvolo di bambini as-salta Grato, riesco, tra legrida festose, a carpire unaparola…manopo e i bam-bini, mentre la pronuncia-no, cercano la mano del pa-dre e la portano alla pro-pria fronte. Mah, penso,deve essere un segno di ri-spetto, un saluto, una ri-chiesta di benedizione, for-se tutto questo assieme! I maschietti sono quasi tut-ti a torso nudo, qualcunopiù piccolo completamen-te nudo.

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Le bambine con poveri ve-stitini, colori smunti, mapuliti. Impressionante loscenario: baracche appog-giate le une alle altre, quat-tro pezzi di compensato, car-toni, lamiere arruginite pertetto, stretti sentieri, riga-gnoli di liquami puzzolenti,da piccoli pertugi si affacia-no uno, due, tre …cinquevolti. Un sorriso, un saluto. Sorridono sempre i Filippi-ni, smaglianti, con la bian-ca dentatura, simpatici, an-che quando qualche dentemanca. In ogni tugurio,8/10 mq, una, due famiglie:10/15 persone. Grato risponde con qualcheespressione in tagalog, siferma, ascolta una confi-denza, suggerisce un con-siglio e poi giù, tra il fango.In fondo si intravede un ru-scello, una fogna a cieloaperto. Un ingegnioso,quanto precario, sistema dipalafitte e ponticelli rendeabitabile quella bolgia in-fernale. Qua e là capannel-li di persone intenti a gio-care d’azzardo. Qualche uomo accarezzacon insistenza un gallo, chetiene in braccio. Un grup-petto incita due galli alcombattimento. È un mo-do per passare il tempo.Non oso scattare nessunafoto. Questa è una tipica“squatter area”. Sono ter-re demaniali, occupateabusivamernte da genteproveniente dalle province. In genere contadini in cercadi “fortuna” nella metropo-li. Il fenomeno dell’inurba-mento, moltiplica problemi,senza risolverne uno solo.

L’incremento della popola-zione della capitale ha cifreesponenziali. La povertà diventa miseria:si cerca di sopravvivere. Accanto al degrado socialeanche quello morale..Mentre stiamo per abban-donare la zona, arrivanofrotte di piccoli scolari: pu-liti, ordinati con la loro co-lorata divisa. La speranza non è morta.

pomeriggio: I santuaridel consumismo

Un invito: “andiamo a cu-riosare al Town Center”.“Lontano?”. “No, solo duepassi”. Scioccante il con-trasto con ciò che ho vistoquesta mattina.In questa città-mercatoovunque aria condizionata,negozi, boutiques di altamoda, ristoranti di ogni na-zionalità, anche italiana,supermercati con ogni be-ne, sale cinematografiche,saloni di bellezza, addirit-tura una parete per eserci-zi di arrampicata.Sbotto: “ma in Italia nonho visto cose simili!”.Mi sento rispondere: “maqui siamo nelle Filippine,dove gli USA fanno scuolae dettano la legge del con-sumismo… Pensa, nel girodi tre chilometri ci sonoquattro di questi “mostri”del consumismo”. Una fol-la si aggira ovunque. I fast food sono i più visita-ti. Noto che a tutte le ore iFilippini mangiano. Sono un popolo “mealoriented” (sempre pronti amangiare). Mi informanoche le due “meriende “ (a

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metà mattina e a metà pomeriggio) sono sacre. Ne ho lariprova sotto gli occhi: è l’ora della “merienda”! Mi accor-go che ho speso quasi due ore in questa fiera delle vani-tà… I ristoranti si stanno affollando, non certo di gentedella squatter area. Le stridenti contraddizioni osserva-te in questa prima giornata mi lasciano sconvolto

venerdì: Tagaytay - Noviziato e Studentato C’è in programma un’uscita in auto. P. Gabriele mi tienesegreta la meta. “Vedrai sarà una bella sorpresa” mi di-ce, e entra in autostrada. Direzione sud. Non c’è male,una rispettabile sede stradale a tre corsie. In alcuni pun-ti lavori in corso. “ …Speriamo siano gli ultimi. Ci sonovoluti tre anni per rinnovare questi circa 15 chilometridi autostrada”, sospira il mio driver. La corsia di sinistraè costantemente occupata da owner, “il primo status sym-bol di chi sta per uscire dalla povertà”, mi spiega Gabrie-le. Deviamo su una strada semiprivata, lungo la quale sistendono campi da golf esclusivi; roba da gente bene. Sisale, tra colline, piccoli villaggi, piantagioni di ananas,

palme da cocco, caffè. L’aria si rinfresca. Siamo arrivatia Tagaytay: 50 Km a sud di Manila, 600 metri s/m. Vi-sione stupenda: giù in basso l’azzurro del lago Taal, chetradisce la sua origine vulcanica. Al centro un’isola. “Lìc’è una bocca del vulcano, che di tanto in tanto... sbadi-glia”, sorride il mio compagno. È proprio un’incantevo-le sorpresa. Le foto documentano. Ancora un km ed ec-co la casa dei Somaschi. Una costruzione che brilla di sem-plicità, funzionalità e dignitosa povertà. Immersa nel ver-de perenne di una lussureggiante vegetazione.Incontro ireligiosi: p. Cesare, vivace, romano di nascita, america-no di adozione, filippino per scelta…di religiosa obbedien-za, tra i padri fondatori della missione, dice di avere 83

anni; p. Riccardo, fisico da asceta, piemontese di nasci-ta, spagnolo di adozione, 18 anni nelle Filippine. Attuale superiore della casa e fratello di Grato.P. Luigi, giganteggia sopra gli altri con i suoi 190 cm, leg-

germente incurvato. Nato in Croazia, con profonde radi-ci di italianità, “temporaneamante” nelle Filippine dal1990, “eterno” maestro dei novizi. Stringo la mano a unbel gruppo di giovanotti. Li conto: 19. Alcuni studiano fi-losofia, altri teologia, tre sono novizi. Alcune caratteristi-che somatiche distinguono nove di loro: sono indonesia-ni. I Somaschi dalle Filippine si sono avventurati in In-donesia da un paio d’anni. P. Cesare mi vuol far vederequalcosa di bello: la nuova ampia cappella. Elegante nel-le linee architettoniche verticali, impostate sulla base diun settore circolare. Centro focale, l’altare, che poggia suil pavimento con disegni cosmateschi. Una riuscita imi-tazione . Vicino alla cappella la sede del noviziato. Sotto,il campo da pallone e quello coperto per pallacanestro. Ci sono anche alcune serre. Il clima favorisce la coltiva-zioni di verdure. L’invito alla loro mensa è assicurato. Me-nu rigorosamente filippino: riso bollito insipido, pescebollito con verdure, insaporite con ginger e aceto, bana-ne e, per l’occasione, buko pie, torta di polpa morbida dicocco. Lasciamo Tagaytay, cuore pulsante della missio-ne somasca e cittadella dello spirito con i suoi “cento”conventi. Gabriele mi fa notare le numerose “subdivi-sions” con eleganti costruzioni in vari stili, tipicamenteoccidentali e alpini. Una ventina di anni fa usavano an-dare nella regione del nord Luzon. Baguio era la Cortinadelle Filippine, a 200 km dalla capitale. Poi ci fu un disa-stroso terremoto (1990). E si scoprì Tagaytay.Durante ilventennio della sua dittatura (1965-1986), Marcos avevascelto il picco più alto per costruirvi un mastodontico pa-

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lazzo (Palace in the sky). Ef-fettivamente da lassù si go-de un panorama fantastico:da una parte l’invaso delgrande cratere con il vapo-roso specchio del lago, e piùlontano, lo sguardo rag-giunge il braccio di mare cheforma la baia di Manila.

sabato: AlabangCasa Miani St. Joseph

Mi sveglio quando il sole è già alto. Gabriele si incarica di accompagnarmi a visitare la secon-da comunità somasca, in Muntinlupa. Andiamo a piedi,dista solo un km. Strada facendo, una breve sosta. C’è ilcentro Don Bosco, che accoglie ragazzi e ragazze di stra-da (street children). Sono circa 300 alloggiati in una de-cina di palazzine a tre piani. Nella metropoli se ne conta-no diverse migliaia. Si dice addirittura 50.000. Ne troviovunque. Vivono (meglio sopravvivono) di espedienti, or-ganizzati in piccole bande. Passano le notti, umide, spes-so piovose, sui marciapiedi, cercano di ripararsi con car-toni. Di giorno si disperdono per le vie, in cerca di…fortuna.Dall’altro lato della strada gli agglomerati dei baraccati.Raggiungiamo una “gate” sorvegliata da guardie. Una sbar-ra impedisce il passaggio. Si può oltrepassare solo con unospeciale tesserino di riconoscimento. È l’entrata nel “SanJosè Village”, una delle tante subdivisions che pullulanoin Metromanila. È un modo per sentirsi al sicuro. Una re-cinzione alta in muratura ne segna i confini. Dentro si sta-bilisce una organizzazione autonoma, con servizi sociali,spazi ricreativi e di ritrovo. La qualità è in rapporto allaclasse sociale di chi vi abita: la popolazione di San JosèVillage è medio bassa. Si ha l’impressione di entrare inun’oasi di verde e di silenzio. Interessante: tutte le vie han-no nomi di santi. La comunità somasca sta in via S. Igna-zio 11. La raggiungiamo. Ci sono due edifici. Uno di recente costruzione, dove abitano circa 25 ragaz-zi, che frequentano elementari e medie. P. Romel ne è il

responsabile. Sono pieni diallegria, sembrano aver di-menticato il triste “retroter-ra” familiare. Immancabile il campetto dipallacanestro. Su due latidell’edificio un ampio por-ticato con giochi. Un lumi-noso vano è il soggiorno do-ve si mangia, si studia e si

guarda la TV. La cucina con arredo in acciaio, linda e in or-dine. Adiacente, quasi all’aperto, la tradizionale “dirty kit-chen”, dove si cuoce, si frigge, si lava. In un altro edificiocontiguo vivono 6 seminaristi, che si definiscono “postu-lanti”: hanno intenzione di chiedere l’ammissione alla vi-ta religiosa somasca. P. Marcellino, un sacerdote maturodi anni, ma fresco di ordinazione è il loro formatore. Sul-la via del ritorno diamo un’occhiata a “Haven for Children”,un altro centro di assistenza per street children: sono di-visi in piccoli gruppi, accolti in graziose villette a due pia-ni. Il centro è “patrocinato” dalle mogli dei deputati. Con-finante vi è un’altra istituzione, “Elsie Gatches”. Una sor-ta di cittadella della carità per varie forme di handicap (fi-sico, mentale, psichico). I nostri padri offrono servizio re-ligioso anche a “Marillac”, che assiste un centinao di ra-gazzine (9-17 anni) abusate sessualmente (spesso in fami-glia) e anche numerose ragazze madri. San Girolamo protegge tutte queste povere creature.

domenica: AlabangPuntalmente alle 5,30 scampanio e altoparlanti a pienovolume: inizia il rosario.Alle 6,30 prima messa. 8.30, il sole è già alto. Sono incu-riosito dal festoso coro di voci puerili. La chiesa è affolla-ta di bambini e bambine: è la loro messa. Servono all’altare, leggono, cantano… tutto in tagalog. P.Jhune riesce a tenere desta la loro attenzione con una ome-lia fiorita di aneddoti.Il canto finale risuona come un mar-cia di liberazione e il piazzale è tutto un formicolio vario-pinto di piccoli. Il vocio fuori non si è ancora spento chedall’interno della chiesa giungono le note gregorianedell’“Asperge me”, cantato da un esperto coro di voci ma-schili. L’altare non è rivolto al popolo, con i sei candelie-ri, le carteglorie, il calice coperto. P. Grato, il celebrante,indossa la tradizionale pianeta. Mi dicono che è la messacelebrata secondo il rito preconciliare. Tutto in latino: “Do-minus vobiscum… orate fratres… sursum corda”. Un bal-zo indietro nel tempo… quando da ragazzino servivo lamessa. Bisogna proprio venire nelle Filippine per rinver-dire certi ricordi…

lunedì: Lubao Seminario Casa Miani Santo Niño

Oggi è in programma una trasferta al nord. La meta è Lu-bao, 150 Km da Alabang. Entriamo in autostrada. È sor-prendente vedere già tanti veivoli in circolazione, ma ilflusso è scorrevole. Qualche rallentamento: lavori in cor-so. Si sta estendendo una sopraelevata. I 10 chilometri at-tuali dovrebbero diventare 20. È la “Sky-Way” (strada delcielo, ai Filippini piace sognare). Questa è praticamente

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l’unica arteria che colleganord-sud della metropoli,in parte per colpa delle in-numerevoli subdivisionsprivate, che non permetto-no la pianificazione di unarete stradale adeguata. At-treversiamo Makati, con isuoi grattacieli, businessdistrict. Passiamo il pontesul Pasig, il fiume che pocopiù a monte lambisce “Ma-lacañang Palace”, residen-za del presidente della re-pubblica. Dopo qualchechilometro, ecco la grandestatua della Madonna, allacui intercessione il popolofilippino attribuisce la libe-razione dalla dittatura ven-tennale di Marcos. Proprio in questa zona eb-be successo l’EDSA Revo-lution, nel 1986, una rivo-luzione incruenta, attuatadalla forza di un popolo conla corona del rosario in ma-no. Entriamo in Quezon Ci-ty, la città più vasta e popo-losa (2.700.000 ab.) di Me-tro Manila. Ci vengono in-contro mastodontici “megamall” (città mercato).Finalmente lasciamo allespalle la metropoli. Sono passati 45 minuti dal-la partenza. Una comodaautostrada attraversa lapianura di Bulacan e diPampanga: vestita di verdein diverse riposanti tonali-tà. Sono le risaie: nei per-fetti riquadri, barbagli disole. All’orizzonte il profilodelle montagne. Passiamo per la città di SanFernando, capoluogo dellaregione Pampanga. Mi si racconta della disa-strosa eruzione del vulcano

Pinatubo, che si svegliò nel1991 dopo 400 anni di son-no profondo. Sbuffò fuoriun’enorme quantità di ce-neri. Tutto diventò un de-serto. Non risparmiò perfi-no la grandiosa chiesa diBacolor. Costruita nel 1600dagli Agostiniani, è lì inte-ra, ma ne vediamo solo me-tà: dal secondo ordine ar-chitettonico in su. Il resto è sotto le ceneri. Per proteggere il capoluo-go e altri villaggi da even-tuali nuovi disatri del laharfu costruita una mega-digalunga diversi chilometri.Lungo la strada, una “espo-sizione” continua di “opered’arte”: sono prodotti arti-gianali, nell’arte dell’inta-glio e della scultura del le-gno. Un cartello indical’inizio del territorio del co-mune di Lubao. Cittadina rurale, ha dato inatali a due presidenti del-le Filippine. Diosdado Ma-capagal (1961-65), di pove-ra famiglia contadina, ope-

rò per una riforma agraria;e sua figlia Gloria, attualepresidente, in costanteequilibrio “instabile”, conpersistenti accuse di broglie corruzione. Alle 9, raggiungiamo la no-stra meta: il seminario mi-nore dei padri Somaschi ela Casa Miani “Santo Niño”. Il lungo viale di alberi dinarra (legno pregiato), hacome punto focale unabianca statua di San Giro-lamo con orfano. A destraun variopinto edificio ad un

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piano, sede dei trenta ra-gazzi di Casa Miani, di fron-te la residenza dei religiosicon gli uffici. È giorno di va-canza. I ragazzini di CasaMiani e i seminaristi, libe-ri da impegni scolastici cidanno il benvenuto con unallegro canto. Su uno spa-zioso rettangolo verde si af-facciano quattro edifici col-legati da passaggi coperti. La cappella, ampia, lumi-nosa, sobria nelle decora-zioni. In posizione simme-trica il refettorio con la cu-cina. Segue l’edificio a duepiani per la aule di studio escuola. Di fronte, di ugualidimensioni, l’edificio deidormitori. Attualmente iseminaristi sono una qua-rantina, pochi anni fa era-no il doppio.Commenta p. John : “an-che qui si fa sentire la cri-si vocazionale”. Sono circaquattro ettari di terreno.Furono donati da una fami-glia locale. Il 26 febbraio1986 fu inaugurato il semi-nario. Nel 1995 Casa MianiSanto Niño iniziò l’attività.Osservo ampi spazi riser-vati per la coltivazione delriso: tre raccolti annuali; al-tri spazi per le verdure e al-beri da frutta. Vi sono anche due serre.I ragazzini di Casa Miani ciaspettano impazienti… vo-gliono mostrarci i loro ar-tistici manufatti, eseguitisotto la guida esperta di p.Michael, di p. Santiago e difratel Serafin. Sono dise-gni, braccialetti, collanine,composizioni con conchi-glie… interessanti. Sono i frutti della loro atti-

vità estiva. Più interessan-te è la luce di soddisfazio-ne che brilla negli occhi deiragazzi. A pranzo conoscop. Melchor. Anche lui con-serva bei ricordi della suabreve visita all’Italia. È il formatore spirituale deiseminaristi. Fratel Ruben efratel Rey sono gli educato-ri dei seminaristi.

pomeriggio: BataanParrocchia e Scuola

P. John vuole farmi visita-re “una dipendenza” dellasua comunità: la parrocchiaSt. Jerome con High Scho-ol, situate a 15 chilometri daLubao. Appena imboccatala strada principale un mas-siccio arco di “trionfo” ci in-forma che stiamo entrandoin un’altra regione: Bataan.Un paio di chilometri, e losguardo è attirato da un mo-numento popolato di solda-ti: una scena di battaglia. È la memoria del valore del-le truppe filippino-ameri-cane sopraffatte dagli inva-sori giapponesi (1941).Lungo la strada dei pilonci-ni di cemento segnano il tra-gitto della “marcia dellamorte”, di 267 chilometri:la percorsero i supertisti,decimati dalla fame, dal cal-do, dalle malattie. Attraver-siamo Dinalupihan, uno deipricipali comuni della re-gione. Percorriamo la stra-da che conduce a Olonga-po, ex base navale delle for-ze americane. Ci immergia-mo nel verde di una forestatropicale: il parco naziona-le Roosevelt. Un cartello se-gnala la direzione verso St.Jerome Church Somascan

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Fathers. Ci attendono p.Thomas e p. Manuel, parro-co e viceparroco. Entusiastici fanno ammirare il gran-de murale della crocifissio-ne. Su una sfondo che attua-lizza il mistero del Calvario,tra le verdi colline si snodauna lunga processione di fe-deli guidati dal vescovo: lachiesa in cammino versoCristo. Rimango incantato.È opera di un geniale arti-sta filippino. La chiesa ini-ziata nel 2005, fu consacra-ta il 7 ottobre 2006 dal Ve-scovo Socrates Villegas, chedue anni prima chiamò ipadri Somaschi a lavorarenella sua diocesi di Balan-ga. Fr.Thomas ci invita nel-la casa parrocchiale. Salia-mo fino al terrazzo che co-pre tutto l’edificio. Unospettacolo: le colline forma-no una corona, in una gam-ma di colori che sfumano al-l’orizzonte in un tenue az-zurrino. P. Manuel addita:“La, dietro quel monte vi-vono alcuni gruppi di Ae-tas: tribù di aborigini, pic-coli di statura, carnagionescura, capigliatura ricciu-

ta e rossiccia. Conservanotradizioni preistoriche, dicui sono molto gelosi”. Suun lato, un lungo edificio adue piani, colori pastello, to-nalità calde. Sono 20 aule di40 posti, per gli studenti diHigh School (12-16 anni).La St. Jerome EmilianiSchool fu inugurata il 27 set-tembre 2007. Un infuocatotramonto avvolge di lucedorata cielo e terra. Si ritor-na a Lubao. Dopo cena i se-minaristi e i ragazzi di CasaMiani ci offrono un brevema divertente spettacolo dicanti e danze folkloristichee di moda. Nel silenzio del-la notte il concerto di ranee rospi è buon sonnifero.

martedì: Makati e Intra Muros

Lasciamo Lubao per Ala-bang. Lungo il percorso unadeviazione per inoltralcinella “selva” dei grattacielidi Makati, la città centro delbusiness filippino. Dopo Makati puntiamo suManila, Intra Muros. Meravigliato mi ritrovo inun contesto urbano occi-

dentale di quattro secoli fa. Una cittadella fortificata,circondata da una possen-te cerchia di bastioni. Vie dai nomi spagnoli, abi-tazioni d’epoca, chiese ba-rocco-coloniale. La catte-drale, distrutta da terremo-ti e incendi e ricostruita unadecina di volte. Per le vie la-stricate circolano calessicon il loro docile cavallino.È d’obbligo la visita al For-te Santiago, quartiere mili-tare spagnolo, reso famosoper la fucilazione dell’eroenazionale Jose Rizal (1861-1896), poeta, scrittore, pit-tore, medico… animatore

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della liberazione dal dominio spagnolo. Percorrendol’incantevole Roxas Boulevard, lungo mare di Manila, ciavviamo verso casa.

mercoledì: Sorsogon Aemilianum Casa Miani

Augusta e PieraSi parte presto. Ci attende un lungo viaggio. La meta è Sor-sogon, dove i Somaschi hanno due comunità: l’AemilianumCollege e Casa Miani “Augusta e Piera”. Raggiungiamo lafermata del pullman su un “tricicle” scoppiettante, sgat-taiolante, sfrecciante nel caotico traffico di Alabang. At-tendiamo per circa mezz’ora in quella bolgia infernale. Sia-mo sotto un cavalcavia, in una zona di mercato: assordan-ti rumori, ogni specie di puzze, una folla sempre in movi-mento… Finalmente saliamo sul pullman.L’avventura è iniziata: dobbiamo raggiungere l’estremo

sud dell’isola di Luzon, attraversando varie province. Se tutto va bene, circa dodici ore, per i 650 Km. Il paesag-gio è sempre pittoresco e vario. Dall’alto monte Macuil-ling, ricco di acque termali, alla lunga distesa delle pian-tagioni di palme da cocco sulle colline di Quezon Provin-ce, alla folta foresta del parco nazionale, all’incantevole vi-sione del mare tra Atimonah e Gumaca, ai graziosi villag-gi di Camarines Norte con linde casette fatte di vimini ebambu, fino al maestoso Mayon Vulcano, una meravigliaper la perfezione del cono, che vorrebbe far concorrenzaal giapponese Fujiyama. Si specchia con l’immancabilepennacchio candido nelle limpide acque della baia dellacittà di Legaspi. Sono le 16, nove ore di viaggio sono allespalle, con varie soste presso “ristoranti” rustici, dove so-no serviti piatti tradizionali. Alle 17,30 il pullman ci de-posita proprio di fronte all’Aemilianum College. La solita calorosa accoglienza, e facciamo conoscenza coni Somaschi della comunità. Sono sette filippini: p. Linosuperiore, fratel Eugene direttore della scuola, p. Augu-sto incaricato delle elementari, p. Abe incaricato del set-tore comunicazioni, p. Manny, incaricato dell’ammini-strazione, fratel Federico, incaricato delle attività sporti-ve e fratel Roland, incaricato della cappella. La stanchez-za consiglia: a letto presto. Accetto volentieri.

giovedì: Sorsogon Aemilianum College

Fr. Eugene s’incarica della visita al complesso della scuo-la.Per una visione d’insieme, saliamo sul terrazzo di co-pertura. In fronte un ampio spazio verde, il campo da pal-lone, il viale d’ingresso con la cappella; a fianco la vastapalestra; l’edificio principale a forma di U, su due piani:gli uffici, le aule, che ospitano un migliaio di studenti (High

School e College); collegato con una pensilina un altroedificio con i laboratori di meccanica, di elettronica, dielettricità…; poi la cantine ( salone per la refezione) e ilconvento dei religiosi. Il tutto adagiato nel verde di unapianura di risaie che raggiunge il mare. Sulla sponda op-posta della baia di Sorsogon si innalza il Bulusan, altrovulcano moderatamente attivo.Dalla nostra postazioneaerea assistiamo alla cerimonia quotidiana dell’alzaban-diera, con tanto di inno nazionale cantato dagli studentidell’High School, tutti schierati in divisa e in perfetto or-dine. Sulla terrazza sono installate alcune grosse anten-ne paraboliche e verticali. Vengo a sapere che l’Aemilianum è dotato di una stazio-ne radio televisiva, che copre quasi tutta la provincia. Ini-ziata da p. Paolo Alutto (ora in Brasile), è diretta da p.Abe. La stazione è al servizio innanzi tutto degli studen-ti dei corsi di comunicazione e poi della popolazione conprogrammi informativi, religiosi, culturali. Anche perso-nalità dell’amministrazione civile usano la AITV 5 per co-municare con i 150.000 abitanti di Sorsogon City e per leriprese degli avvenimenti e manifestazioni (come il festi-val del “pili”, una specie di noce, dal gusto delizioso). Particolarmente attrezzati sono i laboratori di scienze el’aula dei computer. Frequentata da insegnati e studentila spaziosa biblioteca. La palestra risuona di voci di gio-

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vani in allenamento. Impressionante la volume-tria dell’edificio: campo dipallacanestro, due di palla-volo, gradinate per 500spettatori, palco per spet-tacoli. Anche la cappella,semplice e raccolta, può ac-cogliere 500 studenti. Unalapide sulla facciata ricor-da che fu edificata in me-moria di P. Ottorino Mau-le, martirizzato in Burundinel 1995. Luigi, somasco efratello di p. Ottorino, haprogettato e realizzatol’edificio sacro, durante lasua dinamica permanenzaall’Aemilianum. Un’im-pressione: l’AemilianumCollege è un “villaggio del-la cultura”, un centro di vi-ta giovanile, un’oasi perpromozione della persona,in un’area socialmente ed

economicamente depressa.Sono informato di alcunenote cronologiche. La ge-stione somasca della scuo-la inizia nel 1985 con la pre-senza di p. Valerio Fenoglioe p. Giovanni Tarditi. Nel1987 un disatroso tifone di-strusse quasi completa-mente gli edifici. Si riparò ilriparabile e si inziò una ri-costruzione dalle fonda-menta con alcuni importan-ti ampliamenti.

Nel 1992 si costruìl’edificio dei laboratori peri corsi professsionali: 25anni di intenso impegnoedilizio e scolastico, perchèagli iniziali pochi corsi diavviamento al lavoro, si so-no aggiunti molti altri pro-pri di un college, sino a cor-si di diritto. Complimenti ed auguri!

pomeriggio: Casa Miani

Augusta e Piera.Percorriamo i due km ed ec-coci arrivati. Posizione pa-noramica invidiabile, sullependici delle colline, in vi-sta della baia di Sorsogon.Intorno piccole abitazionidi recente costruzione.

Vengo a sapere che è la sub-division Our Lady Village,voluta dal defunto vescovoArcilla, il quale donò ai So-maschi due lotti di un etta-ro ciascuno. La casa dei ra-gazzi si presenta solida conla planimetria ad U, con duepiani. Scolpito in un bloccodi arenaria scura un cordia-le WELCOME. Nello stes-so materiale è scolpita la fi-

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gura di San Girolamo, circondato da ragazzini intenti al-le varie attività giornaliere: preghiera, studio, gioco e la-voro. È ritratto anche il primo direttore, p. Grato. Gli am-bienti possono accogliere due gruppi autonomi di 25 ra-gazzi ciascuno. Il direttore, p. Javier ci presenta la sua co-munità: p. Don Don e tre giovani religiosi, nel loro perio-do tirocinio, Anastacio, Dexter e Ruel. I ragazzi (una qua-rantina) sono a scuola. Nello stesso lotto di terra mi indi-cano un lungo edificio a un piano con palestra: è la sededella scuola elementare, che serve anche gli studenti delvillaggio e le ragazze del confinante istituto delle SuoreMissionarie Somasche. La struttura fu inaugurata il 15 feb-braio 1997, con la presenza dei principali sponsor i signo-ri Arvedi, generosi benefattori di Cremona. Giovanni Ar-vedi fu alunno del collegio Gallio in Como. A&P significaAugusta e Piera, le rispettive madri dei signori Arvedi. Nelsecondo lotto a monte noto un edificio a forma di L: e lasede recentemente costruita per i ragazzi grandicelli, cheimparano a vivere con una certa autonomia. Alcuni di es-

si hanno già un lavoro, altri stanno finendo corsi di avvia-mento al lavoro. Sono le 16. Arrivano i ragazzi dalla scuo-la. Mi colpisce la serenità dell’ambiente. Non sembra ve-ro che questi ragazzi abbiano un passato di storie incre-dibili, a volte raccapriccianti. Solo la pazienza, la compren-sione, la costante, premurosa vicinanza possono guarirecerte ferite, sciogliere chiusi mutismi, aprire alla sociali-tà. A Casa Miani non solo è possibile, è realtà. P. Javier cimostra “l’animal farm” della comunità: una decina di muc-che e vitelli, una ventina di maiali, un cavallo, capre, pe-core, galline… e poi l’orto con tante verdure.

venerdì: Cebu Casa Miani Arvedi Buschini

Il ritorno a Manila è veloce: 45 minuti di volo. Partenza dal piccolo aeroporto di Legaspi.In quota posso ammirare il maestoso Mayon Volcano, la ri-dente baia dalle trasparenze verde-azzurre. Il cielo è limpi-do. Sotto le isole, alcune minuscole, altre più grandi segna-no la rotta verso nord. In vicinanza di Manila si sorvola laLaguna de Bay, suddivisa in tanti spazi rettangolari per lacoltura di pesci e mollusci. Dopo un’ora, coincidenza perCebu. Di tanto in tanto uno squarcio ci permette di vederequalche isola. Stiamo sorvolando la parte centrale dell’ar-cipelago. P. Gabriele mi informa che si chiama Visayas: al-tra lingua, altre tradizioni. Atterriamo all’aeroporto inter-nazionale Mactan, posto sulla piccola isola omonima. Sulmare le scie delle navi in navigazione. Molte sono all’anco-ra nel porto, il più attivo dopo quello di Manila. P. Brennacon fratel Kiko ci attende all’uscita. Con loro, attraversia-mo lo stretto che divide l’isola di Mactan da quella di Cebusu un moderno ponte che si arrampica anche sulla collina.Costeggiamo i numerosi moli del porto, con gru in azionee montagne di container. Intravediamo il Fort San Pedro ela basilica del Santo Niño e ci immettiamo nella Costal Hi-ghway, una autostrada nuova, che per una quindicina dichilometri costeggia il mare: uno spettacolo. Raggiungia-mo la cittadina di Minglanilla e dopo un chilometro in sa-lita, arriviamo a Casa Miani Arvedi-Buschini. Anche qui, lagenerosità della famiglia di Cremona. Le luci del tramontodanno una particolare luminosità ai tenui colori del com-plesso dei quattro edifici: un piccolo villaggio con tanto diarco all’entrata. Lo sguardo è subito attirato da un dinami-co gruppo statuario: san Girolamo in azione tra i suoi orfa-ni. Una trentina di vivaci ragazzini ci corre incontro: sonoi primi “padroni” di questa nuova Casa Miani, inauguratail 31 gennaio 2009. Sono molto allegri e affettuosi. Con lo-ro tre giovani religiosi: Ronald, Narciso e Michael. Salutia-mo anche i sette seminaristi con il sorridente loro forma-tore, p. Nanding. Dopo cena uno sguardo al panorama. La

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cima della collina sfavilla diluci: sono le ville di genteche può. Lungo il pendio va-ri agglomerati popolari: lu-ci più tenui, ma musica apieno volume, con pause divoci rosarianti. “Si può direche è così ogni sera: il po-polo cebuano ama le feste,i canti, la musica, le danzee… la buona tavola. Natu-ralmente in onore di qual-che santo”, spiega p. Luigi.A valle, una breve piana rag-giunge il mare: all’orizzon-te le luci dell’isola di Bohol,famosa per le “ChocolateHills”: una lunga serie dicollinette a forma di “baciperugina”. Sono formazio-ni coralline emerse dal ma-re: un’attrazione turistica. Anord dietro la silhouette ne-ra di una collina, il chiaroredella capitale si riverbera nelcielo; a meridione la costel-lazione della Croce del Sud.

sabatoNonostante la musica ho ri-posato bene.Alle sei dalla cappella migiungono i canti della co-munità in preghiera.Alle sei e trenta i boys sonogià in attività. Resto incan-tato dal grande murale: sul-lo sfondo, che riproduce ilpaesaggio reale con un ma-re blu-notturno, spicca laluminosa candida figuradel Risorto, le braccia allar-gate in un gesto di genero-sa condivisione. In una ma-no un pane, nell’altra un pe-sce. La Madonna riceve ilpane e lo passa a chi ha fa-me, dall’altro lato san Gi-rolamo ripete lo stesso ge-sto. In piedi il ragazzino con

il cesto dei sette pani, un al-tro ragazzo sta arrivandodalla pesca e mette a dispo-sione del Signore il fruttodella fatica notturna. Ba-stano sette pani e due pe-sci, offerti con amore per ilmiracolo di sfamare la mol-titudine. Ora i trenta boysincominciano la preghierain cebuano, mi unisco a lo-ro mentalmente, mentremi sembra di riconoscerein ognuno di loro il volto deiragazzi del dipinto. Il mon-do si rinnova, quando lenuove generazioni sonoformate alla condivizionefraterna. A quanto so, era questo“l’intento” di san Girolamo.Impressionante vedere ipiattoni di riso che divora-no questi ragazzini. Non sodove lo mettono… riflettoad alta voce. P. Luigi sorri-de: “ma tu non sai la famearretrata…tanti giorni astomaco vuoto, per le stra-de intorno al porto. Qual-cuno tenta di calmare imorsi della fame aspiran-do le esalazioni micidialidella colla… altri frugan-do tra i rifiuti o rubac-chiando. Ma la fame resta.Sono contento di vederlisoddisfare il loro forte ap-petito… Un sacco di risodura pochi giorni”.Noto che usano bene le po-sate e nel piatto non rima-ne neppure un grano. Dopo colazione fr. Kiko, or-goglioso di essere visayapuro sangue, si mette a di-sposizione per una visita re-ligioso-turistica. Accettovolentieri. P. Gabriele miaccompagna. Puntiamo sul

“cuore di Cebu”: la basilicadel Santo Niño. La trovia-mo affollata di devoti inpreghiera, l’archittura del-la chiesa non è ecceziona-le, ma dignitosa. Un sacrosilenzio avvolge il tempiet-to da dove sorride il santoBambino.

La gente sosta un momen-to… una preghiera, una ca-rezza al cristallo di prote-zione: ognuno sembra ave-re in cuore un desiderio,che solo Lui può capire erealizzare. Fuori la solita folla multi-colore: tante statuette delEl Señor Santo Niño di tut-te le dimensioni e vestito intutte le fogge possibili: dacontadino, da pescatore, dasoldato, da poliziotto, da

studente, da giudice, dachierichetto… Mi diconoche in ogni casa filippina,in ogni ufficio, negozio, bar,aula scolastica, taxi, offici-na, stabilimento, salad’aspetto, casa da gioco e…altro el Señor Santo Niñoha il suo posto di onore con

un lume e un fiore. Fede o superstizione? Dif-ficile la risposta. Fr. Kikocerca di spiegarmi come nelmese di gennaio Cebu cele-bri la festa del Señor SantoNiño con interminabili sfi-late folcloristiche-religiose,per le vie della città. Appe-na fuori dal recinto del san-tuario un tempietto esago-nale custodisce la riprodu-zione della croce che Ma-gellano, al suo approdo sul-

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l’isola di Cebu, avrebbe piantato, conbuone intenzioni religiose. Una velo-ce visita anche al Fort San Pedro, unfortino militare spagnolo, a piantatriangolare, posto poco distante dalmare, come baluardo contro le incur-sioni piratesche. “E tutti quei ragaz-zini?” domando. “Sono gli ex-amicidei nostri ragazzi, gli street childrendella zona porto”, mi sento rispon-dere. Torniamo in fretta. Alle due èprevista la partenza per Dumaguete.

pomeriggio: Dumaguete Casa Miani Arvedi

Alle 14 prendiamo il pullman che cideve portare alla punta sud dell’isoladi Cebu. La strada costeggia il mareed offre incantevoli panorami, la cuiprospettiva varia secondo i golfi e ipromontori dell’isola. Dopo tre ore dicurve e controcurve, arriviamo a de-stinazione: Santander, dove c’èl’attracco del battello. Lo vediamostaccarsi dalla costa dell’isola di Ne-gros che dista circa tre chilometri. All’imbarco noto che il battello non

offre tante misure di sicurezza, è se-gnato dal tempo e la ruggine è di ca-sa. È affollato: un centinaio di passeg-geri. Una preghiera è obligatoria.La traversata è movimentata, le ondeurtano la fiancata ed il rollio è eccen-tuato. Mentre ansiosamente deside-ro l’approdo, fisso la costa che si av-vicina troppo lentamente, sovrastatadall’alto monte Cuernos de Negros(1903 m). Dopo 20 minuti, con un so-spiro metto piede a terra. Sulla ban-

china p. John ed il diacono Enrico ciattendono. Con loro attraversiamo lacittà di Dumaguete e raggiungiamoCasa Miani-Arvedi, situata nella pe-riferia ovest. La zona è agricola, conpiantagioni di palme da cocco. Unagalleria verde di alberi ci introducenella proprietà somasca: noto la cap-pella, il lungo edificio principale a duepiani, un altro edificio ad U con unpiano. Al centro, un’aiuola rotondaospita un magnifico talisay, sotto il cuiombrello si ripara il gruppo scultoriodi San Girolamo, uguale a quello di

Cebu. In serata, sfogliando l’albumdelle foto, apprendo che questa casafu inauguata nel 2002, con la presen-za dei coniugi Arvedi, che ne reseropossibile la costruzione.

domenicaUna nottata con musica…bestiale. Qui i galli non hanno orario, cantanotutta la notte, poi un abbaiare conti-nuo; non mancano i teneri muggiti diuna madre che chiama il vitellino e ilverso monotono del lucertolone “co-co”, qualche grugnito. Alle 7,30 tutti a messa. La cappella, a pianta rombica, è gre-mita di gente del barrio, che canta avoce spiegata con i ragazzi, la chitar-ra accompagna. Sullo sfondo un vivace murale rappre-senta la cena di Emmaus: emerge lafigura del Risorto che spezza il pane,sotto lo sguardo compiaciuto del-l’Eterno Padre e il leggero fremito del-le ali della colomba dello Spirito. I duediscepoli in adorazione. A destra unavetrata con la Madonna degli orfani,a sinistra con san Girolamo. Tutto in-vita alla preghiera. Mentre i ragazzisono impegnati in una combattutapartita di pallacanestro, p. John ci ac-compagna per una visita alla città. Du-maguete è la capitale della provinciadi Negros Oriental, 120.000 abitanti,soprannominati “il popolo gentile”. Sifregia del titolo di “città universitaria”con sette università, tra cui la più fa-mosa è la Silliman, il primo ateneoprotestante nelle Filippine, fondatocirca un secolo fa dagli americani. Vicino alla costa, a sud, c’e la minu-scola isola Apo, un santuario di florae fauna marina, paradiso per gli ap-passionati di immersioni. Al termine del lungomare, vicino alporto, c’e lo storico ingresso alla Sil-liman University: campus di 62 etta-ri, 8.400 studenti, 500 professori:un’oasi di cultura, in riva la mare, al-l’ombra di monumentali acacie.

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Dopo un saluto alla scuola “Caterina Cittadini”, direttacon competenza dalle suore Orsoline di San Girolamo, ri-torniamo a casa.Nell’aria piacevoli melodie: sono i boys che fanno provedi canto. Noto che cantano con gusto ed abilità… “Questa sera ci sarà una sorpresa” assicura p. Gabriele.Infatti verso le 17,30 arrivano le ragazze ospiti di “CasaCittadini”, accompagnate da due suore Orsoline. Simpa-tico questo gemellaggio nel nome di san Girolamo. Ra-gazze e ragazzi formano un solo Coro “Vox Orphanorum”,che si è già conquistato prestigio ed apprezzamento in cit-tà e provincia. Uno scroscio di battimani accogliel’ingresso dei coristi/e nella loro simpatica divisa un pòesotica: una tunica lunga celestina, con bordature bian-che, un copricapo stile cinese. Il direttore, un giovane,che fa onore al conservatorio della Silliman, ha una par-ticolare abilità nell’educare e appassionare i ragazzi al belcanto. Il repertorio comprende cori polifonici, assoli, duet-ti. È un vero piacere ascoltarli. Non è debolezza commuo-versi. Quaranta bambini e preadolescenti (7-16 anni) sicimentano con compostezza nell’esecuzioni di pezzi diautore: sacri e profani; divertono con canti popolari, en-tusiasmano con allegri ritmi del folclore filippino.

Ultima notaIn questi dodici giorni ho visto, sentito, intuito molte co-se del mondo filippino. Sono rimasto incantato, affasci-

nato, scioccato, perplesso. Ho visto il lavoro dei Soma-schi per i poveri, specialmente per i ragazzi in difficoltà.Un lavoro di pazienza, di speranza, che i padri chiamano“missione-servizio”. Nello spirito di umiltà e povertà evan-gelici. Con pochi mezzi a disposizione e tanto coraggio. E una fiducia grande nella Provvidenza…che è sempre ge-nerosa. San Girolamo è esempio-guida. Tante personeanche dall’Italia adottano a distanza questi bambini cheho visto crescere contenti nelle cinque Case Miani. Bastapoco del molto che abbiamo, per dare tanto a coloro chenon hanno niente. Ho la valigia piena di impressioni, di ricordi, di proposi-ti… Gente meravigliosa i Filippini: sorridenti, ospitali,cordiali, pacifici, non usano il coltello neppure a tavola.Se fai loro un favore ti conservano gratitudine eterna. So-no generosi. Hanno il culto dei legami familiari, stimanoed amano i bambini. Hanno una passione per le feste,persino la veglia funebre diventa una festa di famiglia.Posseggono un ancestrale rispetto per la natura. Procla-mano valori democratici, trasparenza e giustizia. Fannorivoluzioni incruente.Sono apprezzati lavoratori all’estero La donna filippina ècreativa, intelligente, instancabile, sulle sue spalle il pe-so della famiglia.. Gente meravigliosa i Filippini! Sullostemma della Repubblica hanno inciso il motto: “Per Dio,Popolo, Natura e Patria”. Questo è il dritto della meda-glia, purtroppo c’è anche il rovescio.

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Anche il mondo dei giovani, il loro mododi vivere, di pensare, di amare cambia mol-to velocemente. I ragazzi si confrontanosempre di più con il mondo degli adulti,sono responsabilizzati, hanno abitudini,aspettative ed impegni collettivi. Perché allora non dovrebbero condivide-re desideri, sogni e paure?Come cambia il modo d'affrontare le ine-vitabili crisi che caratterizzano la crescitae il processo di socializzazione! Accompagnare il giovane è difficile, rap-presenta una grande responsabilità. Lo è pure la vocazione degli insegnanti -educatori nell’esplorare e valutare i desi-deri dei giovani, aiutandoli a capire le que-stioni che circondano il mondo, nell’assi-milazione di ciò che è vero, buono e bello. Tutti cambiamenti in atto nella società ci-vile che rappresentano una grande sfidaper noi adulti, perché ci obbligano a dareuna risposta alle profonde domande deinostri ragazzi. Come si può rispondere all’affermazionedi un ragazzo di 16 anni: "L'odio è ormaidi moda". Ed è vero, ma non solo è di mo-da, è presente dappertutto, nella scuola, instrada, in famiglia. Ma di che cosa si ha paura oggi? Ecco alcune risposte dei nostri ragazzi del-la comunità e della scuola: guerra, violen-za, morte, mancanza di lavoro, futuro, ma-lattie, dolore, droga, insicurezza, insucces-so scolastico e personale... e tutti hannopaura di restare soli e di perdere una per-sona cara (genitori, familiari, amici). Giacomo, 13 anni, risponde: “La paura piùgrande è quella della morte, perché non soche cosa mi aspetta, però sono tranquilloperché in cielo ci sarà Dio a proteggermi”. Nessuno di noi sa cosa ci aspetta, ma cidobbiamo rendere conto che, se i nostrigiovani vivono felicemente la loro vita di

adolescenti, dentro portano, però, tantedomande, preoccupazioni, paure, proble-mi, speranze e gioie. Non si deve scappare dalle minacce, occor-re il coraggio di mettere la propria faccia.Noi siamo le giovani generazioni ed è a noiche tocca costruire un nuovo e migliore fu-turo, pieno di amore, rispetto, compassio-ne, fratellanza, aiuto: valori che appaionoraramente nella nostra vita... Dobbiamo chiarire e dire che l’indifferenzaverso un altro essere umano chiama leguerre, i conflitti e l'intolleranza razziale ereligiosa! Si deve sollevare la questione dell'epide-mia di AIDS, un problema così grave co-me la minaccia della guerra, perchè per ipazienti significa negare i progetti della vi-ta, assumendo il significato dell'intera esi-stenza. Questa malattia colpisce i più gio-vani ed è spesso la conseguenza di errorie follie giovanili. Un’altro problema importante nel mondod'oggi, riguarda la ricerca e gli esperimen-ti nucleari, le guerre che continuano e mie-tere come vittime tanti giovani innocenti.Anche noi siamo chiamati ad evitare nuo-ve guerre, ad arginare epidemie di AIDSma, prima, dobbiamo cominciare a cam-biare noi stessi! Iniziamo a parlare con i giovani di questiproblemi e ricordiamo che è meglio pre-venire che intervenire. Non ha prezzo la nostra presenza somascanell’educazione dei ragazzi, un buon rap-porto con loro: il dialogo, gli incontri, lacollaborazione, l’educazione alla vita fa-miliare, l’autorità, l’amore e la speranzasono il fondamento per il sviluppo degliadolescenti. Importante è anche che i nostri spazi ag-gregativi diventino sempre più accoglien-ti, protetti, pieni di relazioni vere, nei qua-

Che paura…

p. Tomaz Pelk

Il mondo di oggi è pieno di minacce che permeano la nostravita quotidiana dalle quali è sempre più difficile proteggersi

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Vita somasca

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“Sei un bullo e mi fai paura,quando avanzi baldanzoso per la stradao ti aggiri strafottente nella scuola.Ho paura di te,del tuo ridere soddisfatto e sprezzante,del tuo sguardo cinico e insensibile,della tua arroganza stupida e vuota.Ho paura di teche ti senti furbo e potenteche cerchi ammiratori… e li trovi,perché la cattiveria ha un fascino perverso.Ho paura di te.perché sei un vigliacco,perché ti senti grande solo con l’indifeso,perché sei pericoloso come tutti i prepotenti senza cervello, senza sentimenti, senza umanità.Ho paura di teperché gioisci della sofferenza,perché ti vedi sul podio quando ti vanti delle tue prodezze.Ho paura di teperché nella tua vittima dilaga il dolore dell’ offesa,si propaga l’ansia dell’insicurezza,si insedia la disperazione cupadella solitudine e del vuoto della vita.Ho paura di te,della tua meschinità e del male che ti porti dentroe che butti fuori come un mostro senza anima.Ho compassione di teperché sei un fallito, perché sei un poveraccio,meschino e infelice che non conosce umana simpatia.Ma ho pauraperché non hai mani per accogliere,non hai occhi per vedere, non hai cuore per amare”.(fonte: Internet, Iris)

li gli adolescenti possanocostruire i loro ideali, il lo-ro futuro in pace. Il loro -nostro futuro, dipende danoi, dalla grande famigliasomasca, se siamo costrut-tori di pace! Gesù ci chiama a “compor-tarci come figli della luce:il frutto della luce consistein ogni bontà, giustizia everità” (Ef 5, 8-9).Guardare il sorriso del col-lega e del compagno discuola, dare il benvenuto aun vicino che per anni nonha detto "Buon giorno",aprire la porta di un nego-zio a una donna con unbambino piccolo in una se-dia a rotelle. Non fa male ma porteràfrutto in futuro.Alla fine, ricordiamo cheGesù è sempre il nostro aiu-to e come ha detto a Paolo,dice anche a noi oggi: “Nonaver paura... perché io so-no con te” (At 18, 9-10).Cari giovani, cari amici! Il Natale è vicino... Gesùbambino ci porta la gioia,l’amore, la speranza, la pa-ce...andiamo anche noi contutte le nostre debolezze, inostri limiti, i nostri timo-ri, le nostre paure. Tu Signore Gesù ci guardiancora con la dolcezza rac-chiusa nei tuoi occhi e ci ri-spondi: “Non temere, co-nosco il tuo cuore! Non temere perché io so-no in te, perché ciò che tudesideri, io te lo darò, per-ché so che il tuo cuore gioi-rà d’Amore per me”.

Buon Natale… in pace senza paura!

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MLSMLS

Antonio Bavenni

Compagnia locale di Statte (TA)

Il sognoIl sogno è l’attività psichica che si svolgedurante il sonno. Ci sono tanti tipi di sogni; ve ne sono di ir-realizzabili e di quelli che, come il nostro,sono sul punto di avverarsi: la crescita del“Movimento Laicale Somasco”. Infatti or-mai sono due anni che, nelle “compagnielocali”, si canta il “Nessun dorma!!!”. Al mio paese natio, Vico Equense, provin-cia di Napoli, nei posti più ameni sorgonoconventi dei vari ordini religiosi: Minori,Minimi, Carmelitani, Salesiani e Gesuiti.I miei parenti più prossimi di ambo i ses-si, identificandosi nel carisma del fonda-tore dell’ordine, facevano parte dei vari“terzordine” e partecipavano attivamentealle relative attività civili e religiose. Me li ricordo con lo “scapolare” attaccatoal collo durante le processioni. Quando miè capitato di “inciampare” (per usare un

termine significativo) in san Girolamo e discoprire che il suo carisma si identificavaperfettamente con la missione evangeliz-zatrice, nei modi e nei metodi, in cui misentivo chiamato, sono stato invitato - co-me si dice a Napoli - a “carne e macche-roni!!!”.In ogni tempo, alla bisogna, lo Spirito nonfa mancare la sua presenza, inviandoci fi-gure profetiche. Nella fattispecie, il nostrocaro padre Franco Moscone, “correttore”Generale (nel senso che corregge frater-namente la nostra rotta). A tutti auguroche la pianta del MLS, germogliata or sondue anni, giunga al più presto alla pienamaturazione: la fede c’è, ne è testimone lanostra presenza; la speranza non manchimai, e la carità sia esercitata con gratitu-dine verso coloro che sono oggetto dellanostra fraterna attenzione.

A carne e maccheroni...

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Elisa Fumaroli

Senza cascoSono bastati poco più di2 giorni per assaporare ilcalore afragolese e cono-scere le attività del grup-po di volontari con le fa-miglie e con i giovani. La realtà non è facile, lepersone spesso ti avvici-nano con sospetto e in cer-ti posti è meglio non en-trare… eppure da più di unanno circa una trentina divolontari di tutte le età sistanno muovendo percambiare le cose, per por-tare il carisma di San Gi-rolamo proprio là dovenessuno osa metter piede!E ne sono uscite proposteinteressanti: la prima èsportiva, per attirare i piùgiovani e spavaldi: allena-menti serali divisi per fa-scia d’età e partite consquadre di altre parroc-chie o società locali… sfi-

de che in realtà diventa-no occasione di incontroe festa, di condivisionefraterna e grande parteci-pazione... Non ho avutomodo di vederli correresul campo… ma li ho in-contrati nel loro quartie-re, le Salicelle, e da comehanno accolto, salutato e“bloccato” Giulio e Gio-vanni ho intuito che si ècreato un bel legame per-ché come spesso accade ilgioco educa e la presenzacostante influenza e toccamolto più di tante parole.La capacità di stare insie-me con poco è caratteri-stica del posto a quantopare, visto che domenicasera ho conosciuto ilgruppo del MLS chiac-chierando e condividen-do un’ottima pizza, tantiarancini e pure qualche

crocchè! Che dire: Napoliè Napoli! Buonissima lacena e bellissima la città dinotte anche se… che caos!Si vede che c’è vita! Eh eh!Il lunedì ho incontratotantissime persone: conEnza abbiamo fatto visitaa una famiglia con un ma-lato in casa, poi con Susysiamo state da una cop-pietta di novantenni stu-pendi nella loro semplici-tà e serenità… un giro peruna scuola professionalee un caffè in ogni casa…pranzo e cena in una fa-miglia splendida… calda,aperta, coinvolgente per-ché ingloba in sé gli ami-ci più cari, quelli del cuo-re… che hanno dato vitaai momenti più belli, as-saporati nella genuinità enella gioia di stare insie-me, senza maschere.

Nel pomeriggio siamostati a trovare un’amma-lata e recitare il rosario epiù tardi siamo passati inparrocchia a fare duechiacchiere con i ragazzie il don. Che dire di più…sono stati giorni rigene-ranti e carichi di emozio-ni, di calore umano e dispinta a non mollare, adinventarsi sempre nuovimodi di soccorrere i pic-coli della nostra società…che girano in 3 in motori-no, senza casco e senza re-gole… che passano la gior-nata in bicicletta perché acasa non possono torna-re… che non hanno riferi-menti né motivazioni per-ché hanno vissuto troppopoco quell’amore che hacura del seme nascosto inciascuno e che fa sboccia-re nuove speranze.

Al rione Salicelle

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Nostra storiaNostra storia

Ricordando forse la divertente commediadel Goldoni “Le smanie per la villeg-giatura”, alcune nostre case,soprattutto all’inizio dell’ot-tocento, pensarono che fos-se ormai una necessità in-derogabile costruire o acqui-stare una villa ove trascorre-re in compagnia degli alunniore serene per ritemprare leenergie fisiche e spirituali. La Comunità religiosa della Maddalena diGenova aveva provveduto, fin dalla finedel secolo XVII, a costruirsi una casa esti-va ad Arenzano in zona collinare, ma nonlontana dal mare, mentre il Collegio SanGiorgio di Novi Ligure aveva acquistato,soprattutto col finanziamento della fami-glia dei confratelli Vairo, l’incantevole Cer-vara, appena fuori Santa Margherita Ligu-re. Il Collegio Trevisio di Casale Monfer-rato aveva optato, invece, per uno stabilea…Terruggia, luogo poco noto, ma idealeper un riposo idilliaco nella serena pacecampestre.Per chi esce a sud di Casale Monferrato eprende per Alessandria, dopo nove km cir-ca, si imbatte in un gruppo di case nonmolto numeroso, che, in ordine sparso, siadagia sulle dolci falde delle prime collinedel Monferrato, Terruggia. Il nome significa, e qui gli autori continua-no a discutere, piccola terra o piccola tor-re. Quest’ultima interpretazione forse è lapiù attendibile. Nello stemma del paesecampeggia una torre… Si respira un’ariabuona che profuma di campagna. Le viti,ben tenute, ci accompagnano fino all’in-gresso del paesino abitato da poco più diottocento anime. Lo attraversiamo in si-lenzio, perché lì tutto è silenzio, agreste,umile, oserei dire ”pascoliano”. In fondo

all’abitato, una chiesetta neoclassica, aschema centrale con facciata tetra-

stila in stile ionico, conferi-sce un tocco di solennitàe di sacralità all’ambien-te circostante. Non so per-ché, ma mi viene in men-te all’improvviso il tempiogreco di Segesta. È parte in-tegrante di un complesso inristrutturazione, che una fi-

la di piante esclude in parte alla nostra le-gittima curiosità. È Villa Poggio, già Villa Adele, ora casa diriposo. Non potendo entrare, ci abbando-niamo ai ricordi. Correva l’anno 1824. I Padri del Collegio realizzarono, anche lo-ro, il sogno di acquistare una casa di vil-leggiatura dove trascorrere momenti di se-renità e di riposo fuori porta. L’operazione avvenne in tre tempi. Si incominciò col comprare dalla Marche-sa Carlotta Salins del Carretto di Camera-no una casa per abitazione civile con ru-stico annesso, circondata da circa diecimi-la mq. di terreno, adibito a prato, per crea-re attorno alla villa spazio vitale per lo sva-go dei ragazzi e per i classici due passi, do-po i pasti, per i Padri. La spesa fu di lire 18.600, cifra considere-vole per quei tempi, corrispondente a cir-ca 846.000 euro attuali calcolando i coef-ficienti di rivalutazione monetaria del1861. Era il 19 febbraio.Alla fine di giugno, sempre dello stesso an-no, si procedette all’acquisto di un caset-ta di due camere dal Sig. Cavaliere Giu-seppe Candiani, per la somma di 300 lire.Venne subito demolita per usarne il ma-teriale nella costruzione di un nuovo edi-ficio, che doveva collegarsi a quello prece-dente, di cubatura non del tutto soddisfa-

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Terruggia Casa di villeggiatura del Collegio Trevisio di Casale Monferrato, luogo “pascoliano” ideale per il riposo dalle fatiche scolastiche, allietato da generoso Grignolino

p. Renato Ciocca

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cente. Infine, in dicembre,fu acquistata ancora, dallasuddetta Marchesa, una vi-gna di circa novemila mq,al prezzo di 3.000 lire. E, con la vigna, terminaro-

no le operazioni di siste-mazione. In effetti, una ca-sa di campagna che nonavesse offerto la possibilitàdi bere un buon bicchiere divino, sarebbe stata certa-mente un controsenso…E la casa fu realmente luo-go di ricarica psicofisica.Mancava ancora, perchél’opera potesse dirsi com-pleta, una chiesetta per lepratiche di pietà dei Padri edegli alunni, ma che, al tem-po stesso, potesse accoglie-re anche i buoni paesani al-le funzioni sacre.Nel giro di poco tempo, ilCollegio provvide degna-mente a colmare la lacuna.Momentaneamente è chiu-sa per restauri, ma la custo-de, gentilmente, ci dà lachiave e ci lascia liberi di vi-sitare e fotografare con co-modo. Ritorniamo padroniper il periodo della breve vi-sita. Purtroppo, l’incuria e

il tempo hanno lasciato i se-gni inconfondibili del loropassaggio. Caso più unico che raro, lachiesa è dedicata a MariaSS.ma, all’Angelo custode ea San Girolamo Miani. La pala d’altare li accomu-na in una scena vivace. Al centro, un Miani “monu-mentale”, sopra un minu-scolo poggio, attorniato daun nugolo di fanciulli di di-versa età, prega un angeloperché ottenga protezioneper sé e per i suoi fanciulli.L’Angelo, a sua volta, sup-plica la Vergine e GesùBambino che, richiamandovagamente le dolci compo-sizioni del Sassoferrato, vol-gono lo sguardo compia-cente verso gli oranti. An-che due angioletti, moltopiccoli, a loro modo inter-cedono convinti, indicandoi componenti del gruppo.Due bimbi, proprio piccoli,in atteggiamento toccante esimpatico allo stesso tem-po, pregano composti ai

piedi del Santo, uno con lemanine giunte, mentrel’altro le tende aperte al cie-lo: personificazione dellatenerezza. In primo piano,gli strumenti della prigio-nia del Miani, mentre sullosfondo il paesaggio sfumain lontananza, “là dove siperde il giorno” con baglio-ri di pittura tonale che met-tono in risalto la sagoma delMonviso. Una composizio-ne che emana fresca vivaci-tà ed eleva naturalmente glianimi a sentimenti di pietàe devozione.È opera del pittore venetoPasquale Vianelli.

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RomaNella curia generalizia si è concluso felicemente la 4°esperienza chiamata “Intento”. Lungo due mesi, il grup-po di religiosi provenienti dalle diverse comunità ha rin-novato la sua donazione al Signore.

RomaNella parrocchia San Giro-lamo Emiliani in Morena,il religioso somasco nige-riano Tobias Chikezie Ihe-jirika ha consacrato defi-nitivamente la sua vita alSignore con la professionedei voti perpetui.

San SalvadorAnimato dal vicario generale, p. Josè Antonio Nieto, si èsvolto il ritiro spirituale al quale hanno partecipato i re-ligiosi provenienti dalle diverse comunità del Salvador,Honduras e Guatemala.

Chennai (India)Ordinazione diaconale di quattro religiosi somaschi:

Solomon Joseph, Johnson Vijay D’Souza, Justin Paul Alangadan e Agnal Amalan Maria Jegana-

than. Al centro, p. Alberto Monnis, superiore regionale.

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In memoriaIn memoria

Padre Pierino Moreno

Della comunità dell’Istituto Emiliani di Rapallo (GE), è deceduto l’11 novembre 2009, a81 anni. Originario di Mombarcaro, il paese più alto delle Langhe cuneesi, entra ancoradodicenne nel probandato di Cherasco (CN). Dopo l’anno di noviziato a Somasca, prose-gue gli studi di filosofia e teologia, si consacra definitivamente al Signore con la profes-sione perpetua e viene ordinato sacerdote a Roma nel 1955. Come ricorda il Vangelo, lun-go il percorso della sua vita ha indossato la veste “del servitore con la cintura ai fianchi,con le lucerne accese, sempre sveglio e con l’orecchio attento al suo Signore”. È stato per tutti un vivo esempio di religioso somasco: fedele nel servizio, preparato pro-fessionalmente e amante della Congregazione. Ha servito la famiglia somasca assumen-do svariati uffici e incarichi: dapprima come ministro al collegio Trevisio di Casale Mon-ferrato e al collegio Emiliani di Nervi, poi come consigliere ed economo provinciale, quin-di come consigliere ed economo generale. Dopo il periodo di Vicario generale, assume laguida della Congregazione in qualità di Preposito Generale (1981-1993). È stato guida si-cura e saggia per ogni confratello e comunità, di poche parole ma con il solido esempiodella sua vita. Ha aperto per la Congregazione le strade dell’Asia (Filippine e India: oggila porzione più giovane e di maggior speranza per la famiglia somasca). Come “uomo fedelissimo alle istituzioni”, tra i tanti ricordi legati alla sua saggia azionericordiamo il suo prezioso apporto nel cammino di riforma delle Costituzioni e Regole, apartire dal Concilio Vaticano II, e la sua presenza nel campo degli istituti educativi eccle-siastici (AGIDAE). Tanti religiosi e religiose, tante persone di vari enti sono a lui grati perl’aiuto competente dato loro in tanti anni e l’amicizia fattiva dimostrata. In tutti lascia ilricordo della sua cordialità umana, austera al primo impatto ma che poi si apriva in con-fidenza e attento ascolto. “Gli abbiamo voluto bene, ci ha voluto bene”.

Padre Giovanni ArrigoniDella comunità della Parrocchia santi Giovanni Battista e Girolamo E. di Magenta (MI),è deceduto il 28 novembre 2009, a 77 anni. Originario di Bulciago (Como), a 11 anni en-tra nel probandato di Corbetta e inizia il camino formativo che lo porterà alla professio-ne perpetua (1956, Somasca) e all’ordinazione sacerdotale (1960, Roma). Si considerava un “mandato”, soprattutto non era difficile “mandarlo” in luoghi e man-sioni più diverse. Ha operato nel settore della pastorale vocazionale a Corbetta, Ponzate,Feltre e Treviso, e nel settore della pastorale parrocchiale a Cassignanica, Cavaione, Cor-neliano Bertario e Magenta, con disponibilità a condividere non solo spazi angusti, masoprattutto angosce, fatiche e gioie dei giovani nella fase di ricupero della droga nei Cen-tri Accoglienza; con il sorriso sulle labbra e le braccia aperte e protese in avanti, quasi inun gesto di accoglienza a tutta prova, con il desiderio di attuare l’ideale proposto dal te-sto costituzionale della Congregazione somasca: “tendere alla perfezione della carità inumiltà di cuore, mansuetudine e benignità”. Di carattere affabile, la sua è sempre stata una presenza serena e rassicurante. È ancoravivo in tutti il ricordo della sua partecipazione all’ultimo Convegno del Movimento laica-le somasco (agosto 2009) e le sue parole di stimolo e di incoraggiamento. Sapeva della sua situazione di salute e se ne occupava pur senza drammatizzare. Dopol’incontro e la benedizione delle famiglie e la partecipazione ad un gruppo di preghiera,viene colto da un malore imprevisto. Inutile la corsa all’ospedale. Per p. Giovanni si chiu-deva una giornata vissuta nella spiritualità dell’avvento, con l’invito alla vigilanza, allapreghiera, alla lode del Signore, all’operosità della carità verso il prossimo. Fatidica erala sua frase: “Scusate il ritardo”, infatti faticava a sacrificare le relazioni interpersonalialle esigenze dell’orario. Per l’appuntamento con il Signore, quando si è presentato e habussato nel mezzo della notte, non si è fatto attendere.

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RecensioniRecensioni

Gesù di Nazaret tra storia e fedeR. Cantalamessa - R. Penna - G. Segalla - pp. 82 - EDB, 2009Tre conferenze (a Chieti, nel 2008) per fare il punto sugli studi a riguardo di Gesù.Se è vero che egli appartiene all’umanità intera (e non solo a un folto gruppo di discepoli), va da-to riconoscimento alla Chiesa che fin dall’inizio, insieme alle sue testimonianze di fede nel Signo-re, ha raccolto, tramandato e “assemblato” (nei vangeli) i detti e i fatti del “figlio del falegname”.A Gesù, figlio della storia, si sono rivolti in tanti, da sempre, con numerosi studi (oggi si parla diquasi 2.000 titoli all’anno su di lui), da un lato per non disancorare la fede dalla terra e dalla sof-ferenza, dall’altro per trovare una esemplarità che ne faccia un modello di vita per tutti. Con que-sta affannosa ricerca del vero “Gesù della storia”, a prescindere dalla fede, iniziata due secoli fa,si sono raccolto dati tali da darci troppi “Gesù degli storici” ma anche da rassicurarci sul percor-so del profeta di Nazaret verso la croce che è al centro della fede dei cristiani. Ad essi la vera uma-nità di Gesù è sempre stata a cuore, per tanti secoli opponendosi a chi giudicava assurdo un “diocontaminato”, e oggi offrendo in Gesù – al positivo – una figura di uomo, definitivo e nuovo, sen-za peccato, quale mai poteva esistere in natura, a cui tutti gli altri possono assomigliare. Non èGesù misurato dalla nostra storia o dai nostri filosofi – dice Kierkegaard - ma lui misura la no-stra umanità.

La morte del prossimoLuigi Zoia - pp. 139 - Einaudi, 2009La tesi di questo psicanalista, di fama mondiale, è avvincente e suffragata da un’analisi si disten-de su diversi filoni (storia, filosofia, sociologia, etimologia, psicanalisi): dopo la morte di Dio, as-sunta come pacifico dato culturale, è inevitabile la morte del prossimo. La morale dell’amore (se-condo comandamento) non esiste più perché manca l’oggetto. Sembra una lezioni ripetuta: il re-lativismo ha roso la verità, considera Dio una opzione fra varie, ma con ciò si è anche distrutto ilvalore uomo, che è irrimediabilmente congiunto e sostenuto dall’assoluto di Dio. A far precipita-re le cose è intervenuta – ad occhi spalancati per tutti - “la rete”: anche i lontani diventano ravvi-cinabili ma non ravvicinati; il “prossimo” è un indirizzo; l’interlocutore è virtuale. Il prossimo co-me “vicino” (o come persona resa vicina dall’amicizia e dall’amore), che si vede e si tocca, scom-pare. Questa è la parte più vivace e controllabile del libro che assembla dati, ricerche e deduzio-ni “dell’ultima generazione”. Aumentando la domanda di distanza, diminuisce l’offerta di presen-za umana; e la lontananza dagli altri diventa un danno psichico. A deformare il prossimo contri-buisce anche la percezione del tempo. Sta avanzando una generazione di individui stranieri alpassato. Persino la nozione di storia – che è cultura, sapienza, visioni ampie – è diventata sino-nimo spregiativo di “vecchio”, fuori uso.

La morte fa paura agli uomini, non a DioLytta Basset - pp. 179 - San Paolo, 2009“Chi è Dio quando tutto è distrutto? Ma se il cielo era vuoto, tuttavia la Presenza aveva eletto ilsuo domicilio, quasi in incognito, in ciascuna delle persone capaci di compassione: perché cerca-re in cielo quella manna che gli esseri umani mi offrivano giorno per giorno?”. Da riflessioni co-me questa nasce il l’originalità e il valore del libro - un diario di quattro anni, dal maggio 2001,seguito da riflessioni successive alla sua ultimazione - che ripercorre la vicenda, più devastantedi quanto si immagini, di genitori che hanno perso il figlio, in circostanze di solito drammatiche,e che cercano di “addomesticarne l’assenza in associazioni”. Il libro, di una pastora protestantesvizzera, ingloba e interpreta due esigenze fondamentali: la domanda fisica, materna, di “avver-tire” il figlio morto; e la risposta che fissi altrettanto concretamente ciò che viene dall’ascolto mi-nuzioso della Parola e delle sue promesse. Tutto si snoda lungo un filo: la vita vera e reale (a cuiil credente si consegna) diventa sinfonia di suoni, colori, carezze, affetti, e riprende corpo in per-sone con volto e storia lacerate dal dolore, ma mosse dal desiderio di verità e di gioia. Nel cam-mino di solidarietà riavviato, la madre presta l’istinto e il biologico a ciò che è intelletto e anima

p. Luigi Amigoni

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per riprendere il legame a tutta prova tra cielo e terra, tra chi è (comunque) ben arrivato lassù echi, quaggiù, impara a vincere la disperazione provvedendo ai bisogni vitali altrui.

L’Ostpolitik di Agostino Casaroli 1963-1989a cura di Achille Silvestrini – pp 144 – EDB, 2009Nel decennale della morte del cardinal Casaroli, avvenuta il 9 giugno 1998, un importante con-vegno cui, tra gli altri, hanno partecipato cardinali di prima fila, ha ricordato il sacerdote di fedee di grande umanità (“uomo delle beatitudini”, “amico dei minori carcerati” di Casal del Marmoa Roma) e, insieme, il protagonista della cosiddetta “Ostpolitik vaticana”. Ufficialmente apertacon la visita in Ungheria di Casaroli, allora non vescovo, pochi mesi prima della morte di papaGiovanni, nel 1963, e simbolicamente chiusa con la caduta del muro berlinese, venti anni fa, lapolitica vaticana verso l’Europa comunista è sotto l’indagine di storici e politologi, non raramen-te con l’intento di poter svalutare l’epoca conciliare - quella del “dialogo” - e alcuni suoi interpre-ti di eccezionale grandezza. Il convegno, di cui il libro raccoglie gli atti, non elude il legittimo in-terrogativo sulla consistenza dei risultati raggiunti (inesistenti in URSS, praticamente nulli in Ce-coslovacchia, irrilevanti in Polonia, di una certa importanza altrove) e sul presunto prezzo paga-to con “un indebolimento della lotta al comunismo”, che, per di più, era considerato intramon-tabile). Oggi, avvalendosi di molti documenti acquisiti, tra cui quelli resi noti dallo stesso Casaro-li nel “Martirio della pazienza”, si rileva la sostanziale continuità della politica vaticana nei con-fronti dei paesi del “silenzio religioso” a partire dagli anni di Pio XII fino ad ora nei riguardi del-la Cina. E soprattutto si dimostra, in riferimento a Casaroli e ai suoi alti superiori, che a guidarela loro azione a favore dei cattolici est-europei furono preoccupazioni religiose, ecclesiali e pasto-rali, con una attenzione anche per la causa ecumenica.Senza contare che alla diplomazia casaro-liana va attribuita la partecipazione decisiva vaticana alla conferenza multilaterale di Helsinki del1975. Attraverso il processo sviluppato prima e dopo questa assise politica “l’identità europea fulegata da Paolo VI a un patrimonio di valori comuni, radicati nel messaggio cristiano e capaci diinglobare valori affermatisi storicamente sotto bandiere laiche o addirittura anticlericali”.

Coppi & BartaliGP. Ormezzano – con Marina Coppi e Andrea Bartali pp. 162 - San Paolo, 2009“Secondi e terzi si nasce – dice la battuta – campioni si diventa”. E si matura pure per essere ri-vali doc, se carichi di un antagonismo schietto, umorale e governato da moralità e lealtà sportiva.La coppia più famosa, anche fuori Italia, nella storia dello sport, Coppi e Bartali (o Bartali e Cop-pi, secondo l’ordine alfabetico e anagrafico, essendo il primo nato nel 1914 e morto a 85 anni; enato nel 1920, il secondo) ha simbolizzato le passioni dell’Italia postbellica, unita dal tifo per losport del pedale (3 milioni di bici, contro 49.000 vetture, nel 1946) e dalla voglia di riscatto eco-nomico e democratico. Per personificare le due fondamentali - e stereotipe - anime del paese del-l’immediato dopoguerra (contadina e operaia, democristiana e comunista, clericale e laicista, con-servatrice e progressista) Curzio Malaparte definì Bartali elementare figlio della fede e Coppi fi-glio del libero pensiero. Diversità di carattere e di temperamento (fisicamente un “fenomeno”,esuberante toscanaccio Bartali; riservatissimo piemontese il secondo), hanno predisposto modidisuguali di essere campioni: istintivo, grintoso, dionisiaco fuori corsa (“contadinesco tutto fare”)il primo; metodico, apollineo nei lineamenti in corsa, già sofisticato nella scelta di medici, nutri-zionisti e strumenti tecnici (“un operaio specializzato”) l’altro. E difatti, nel ricordo gratificante, Bartali è l’eroe, intramontabile, Coppi il campione, entrambiprotagonisti seri anche sui rudimentali palchi mediatici di allora, rivali ma mai nemici, e così eter-nati nello scambio di borraccia nel tour del 1952. Ad arricchire il libro di Ormezzano, grande gior-nalista, intervengono con ricordi sostanziali il figlio di Bartali, Andrea, e la figlia di Coppi, Mari-na, 13 anni quando muore il padre nel 1960 e già da qualche tempo lontana da lui, per la presen-za della “dama bianca” nella vita del campionissimo, immagine purtroppo anticipatrice di unaItalia che stava cambiando nel costume.

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ottobre dicembre 2009 Vita somasca

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Gigi Busto

da Gigi e Rosa...

Casale Monferrato.In un’editoriale di Vita Somasca del2008, l’Arcivescovo metropolita diReggio Calabria, mons. Vittorio Mon-dello, annunciava che l’8 aprile del2008 la Congregazione delle Causedei Santi, aveva emanato il Decretoche autorizzava l’introduzione dellaCausa di Beatificazione, di mons. Gio-vanni Ferro, suo precedessore e pa-store, che per ventisette anni avevaretto la Chiesa Reggina. Giovanni Ferro era nato a Costiglioled’Asti il 13 novembre 1901 da Giovannie Carolina Borio e appena undicenneaveva lasciato la sua famiglia per entra-re nel seminario minore dei Padri So-maschi di Genova Nervi, dove maturò lavocazione sacerdotale e ne temprò il ca-rattere, per passare diciottenne al novi-ziato di sant’Alessio all’Aventino di Ro-ma. Il giovane Giovanni Ferro si consa-crò definitivamente al Signore, il 14 mar-zo 1924 emettendo la professione per-

petua nella congregazione dei Padri So-maschi, il cui fondatore era stato il no-bile veneziano Girolamo Emiliani. Al-l’Università Gregoriana retta dai Gesui-ti, il padre Giovanni Ferro, compì gli stu-di filosofici e teologici. Ebbe presto incarichi di responsabilitànelle varie case somasche. Dapprima a Cherasco nel Cuneese, conil compito di formare i giovani semina-risti, poi Rettore al Trevisio di CasaleMonferrato per un settennio tra il 1931e il 1938, per passare al Gallio di Como,dove rimase altri sette anni. Nel 1945, tornò a Genova dove fu nomi-nato parroco di Santa Maria Maddale-na e nel contempo, la Congregazione lovolle Superiore Somasco della Provin-cia Ligure - Piemontese. Poi il grande balzo. L’11 agosto del 1950 veniva nominato daPio XII, Papa Pacelli, Arcivescovo diReggio Calabria e Bova, dove avrebbefatto il suo ingresso il 2 dicembre per re-

A mons. Giovanni Ferro, prete somasco, presto Beato, rettore al Collegio Trevisio di Casale Monferrato per sette anni

tra il 1931 e 1938. Uomo di fede, dal grande carisma, ricco di una nobiltà che lo faceva padre, amico, pastore

Era il 26 settembre 1959, quando

il vescovo mons.Giuseppe Angrisani

aveva benedetto le nozze

di Maria Rosa Collie Luigi Busto

Per non dimenticare:Per non dimenticare: p. Giovanni Ferrop. Giovanni Ferro

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stare fino al giugno del1977 e rimanere nella suaamata Reggio, presso il se-minario diocesano, doveconcluse la sua vita terre-na il 18 aprile 1992. E, se-dici anni dopo, l’aperturadel processo diocesanodella causa di Beatificazio-ne. Era stato al Trevisio diCasale Monferrato in epo-ca lontana, e qualche voltaera tornato per quegli ap-puntamenti annuali tantocari ai Somaschi, nel ritro-varsi con i loro ex allievi.Così lo conobbi e mi ritro-vai su una vecchia foto in-giallita, mentre lui già Ve-scovo, era in prima fila ac-canto a padre Pio Bianchi-ni, altro Rettore nella no-stra città, attorniato damolti presbiteri alcuni ri-conosciuti: i padri Vacca,Vaira, Bianco, Demarchi,Oddone, c’erano ancheChiesa e Buzzi, con mons.Felice Moscone, VicarioGenerale della Diocesi ca-salese, e da almeno ottan-ta uomini ormai adulti,che al Trevisio avevanostudiato nell’età giovanile.

La stessa foto che ho tro-vato anche sul numero 3del 2008 di Vita Soma-sca, a pagina 17. Tanti volti amici, molti or-mai già in Paradiso, tra cuiimprenditori, industriali,professionisti, avvocati,ingegneri e medici. Quel giorno di tanti annifa, passato a Casale sottoi portici del Trevisio, l’Ar-civescovo Ferro era uno dinoi. Era disponibile contutti e per tutti. Sorridente, con un cari-sma speciale, che la suafigura slanciata ingigan-tiva, ricco di una nobiltàspirituale che sapeva tra-smettere, facendolo di-ventare il buon pastore,l’amico e il padre. Aveva un grande fascino,e ricordo bene quando midisse: “Prega sempre”; eraquasi un ordine a conti-nuare in quel solco, che ipadri somaschi che ebbiaccanto negli anni del Tre-visio e che sono stati lastella polare che ha illumi-nato la mia vita, mi aveva-no messo nel cuore .

È il 3 ottobre 2009, quando il vescovo mons. Alceste Catella benedicecinquant’anni dopole nozze d’oro di Rosa e Gigi

Siamo stati fortunati...Il Signore ci ha regalato una famiglia splendente.Il grazie va ai nostri genitoriMelanda e Giovanni,Letizia ed Emilio;ai nostri figli Maurizio e Alberto, e ancora ad Elisa e Caterinacon i nipoti Giulio,Stefano ed Elena.E un grosso grazie ai nostri fratelliGiuseppe, Gianfranco,Carmen, Elsa, Pier Paolo e Giovanni.Ma il grazie maggiore va a Gesù, che continuaa volerci bene.

ottobre dicembre 2009 Vita somasca

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* In caso di mancato recapito inviare al CMP Romanina per restituzione al mittente previo pagamento resi

ero

eromaltrattatoe tumi haidifeso

la nostracoscienzapersonalee collettivanon puòrinunciarealla difesadei piccolie al doveredi lottarecontrogli “erodi”attuali

28 dicembre Santi Innocenti

GIORNATA MONDIALE SOMASCAGIORNATA MONDIALE SOMASCA

PER L’INFANZIA NEGATAPER L’INFANZIA NEGATA