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Distribuzioni 1 Distribuzioni 1 Funzioni Test e Funzioni Localmente Integrabili L’introduzione delle distribuzioni risponde a diverse esigenze; due in particolare si impongono all’attenzione. (i) Ampliare l’insieme delle funzioni, includendo anche le funzioni impulsive. Ancor prima che fosse formulata la teoria delle distribuzioni, i fisici e gli ingegneri avevano cominciato ad utilizzare le funzioni impulsive, per rappresentare masse o cariche concentrate in insiemi di dimensione inferiore a quella dell’ambiente in cui sono immerse: punti sulla retta; punti o curve nel piano; punti, curve o superfici nello spazio. Consideriamo ad esempio la (cosiddetta) funzione di Dirac δ , che spesso ` e caratterizzata da fisici e ingegneri mediante le seguenti propriet` a: δ (t)=0 t =0, R δ (t) dt = 1; (1.1) pi` u generalmente quest’ultima condizione pu` o essere sostituita da R δ (t)ϕ(t) dt = ϕ(0) ϕ C 0 (R). Non ` e chiaro il senso che si possa attribuire a queste condizioni, poich´ e l’integrale (sia esso inteso nel senso di Cauchy-Riemann o di Lebesgue) di una funzione nulla quasi ovunque ` e ineluttabilmente nullo. ` E chiaro che l’impulso unitario pu` o essere ragionevolmente approssimato dalla successione δ n (x) := n/2 se |x| < 1/n 0 se |x|≥ 1/n x R. Questo pu` o forse aiutare ad intuire cosa ci si aspetti dalla funzione δ , ma ` e lungi dal risolvere la questione; anzi pone l’ulteriore problema del senso in cui intendere la convergenza δ n δ . (ii) Vi ` e anche un’altra esigenza alla base dell’introduzione delle distribuzioni: le funzioni definite quasi dappertutto sono adatte all’integrazione ma non alla derivazione; ad esempio esse possono benissimo essere discontinue. Sarebbe quindi auspicabile disporre di un concetto di derivazione per le funzioni definite quasi ovunque. Si osservi che sussiste un legame naturale tra il problema della derivazione della funzioni discontinue e quello della rappresentazione delle funzioni impulsive: ` e lecito aspettarsi che (ad esempio) la derivata di una funzione R R che ha un salto in un punto presenti un impulso nello stesso punto. Questo stato di cose indusse alcuni matematici, in particolare S.L. Sobolev e L. Schwartz negli anni 1930-40, a pensare le funzioni in un modo alternativo; il risultato finale ` e una teoria alquanto ampia della derivazione, che deve non poco al contributo di un altro precursore: l’ingegnere Heaviside. Abbiamo gi` a incontrato un oggetto che rappresenta l’interazione tra due funzioni: il prodotto scalare in L 2 (R), (f,ϕ)= R f (x) ϕ(x) dx esiste finito per ogni f,ϕ L 2 (R) (qui facciamo riferimento a funzioni a valori complessi, ma non ci interessiamo di questioni di olomorfia). Abbiamo visto come sia del tutto naturale che il prodotto scalare contenga il coniugio, poich´ e

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Distribuzioni 1

Distribuzioni

1 Funzioni Test e Funzioni Localmente Integrabili

L’introduzione delle distribuzioni risponde a diverse esigenze; due in particolare si impongono

all’attenzione.

(i) Ampliare l’insieme delle funzioni, includendo anche le funzioni impulsive.

Ancor prima che fosse formulata la teoria delle distribuzioni, i fisici e gli ingegneri avevano

cominciato ad utilizzare le funzioni impulsive, per rappresentare masse o cariche concentrate

in insiemi di dimensione inferiore a quella dell’ambiente in cui sono immerse: punti sulla retta;

punti o curve nel piano; punti, curve o superfici nello spazio. Consideriamo ad esempio la

(cosiddetta) funzione di Dirac δ, che spesso e caratterizzata da fisici e ingegneri mediante le

seguenti proprieta:

δ(t) = 0 ∀t �= 0,∫Rδ(t) dt = 1; (1.1)

piu generalmente quest’ultima condizione puo essere sostituita da

∫Rδ(t)ϕ(t) dt = ϕ(0) ∀ϕ ∈ C0(R).

Non e chiaro il senso che si possa attribuire a queste condizioni, poiche l’integrale (sia

esso inteso nel senso di Cauchy-Riemann o di Lebesgue) di una funzione nulla quasi ovunque e

ineluttabilmente nullo. E chiaro che l’impulso unitario puo essere ragionevolmente approssimato

dalla successione

δn(x) :=

n/2 se |x| < 1/n

0 se |x| ≥ 1/n∀x ∈ R.

Questo puo forse aiutare ad intuire cosa ci si aspetti dalla funzione δ, ma e lungi dal risolvere

la questione; anzi pone l’ulteriore problema del senso in cui intendere la convergenza δn → δ.

(ii) Vi e anche un’altra esigenza alla base dell’introduzione delle distribuzioni: le funzioni

definite quasi dappertutto sono adatte all’integrazione ma non alla derivazione; ad esempio esse

possono benissimo essere discontinue. Sarebbe quindi auspicabile disporre di un concetto di

derivazione per le funzioni definite quasi ovunque.

Si osservi che sussiste un legame naturale tra il problema della derivazione della funzioni

discontinue e quello della rappresentazione delle funzioni impulsive: e lecito aspettarsi che (ad

esempio) la derivata di una funzione R → R che ha un salto in un punto presenti un impulso

nello stesso punto.

Questo stato di cose indusse alcuni matematici, in particolare S.L. Sobolev e L. Schwartz

negli anni 1930-40, a pensare le funzioni in un modo alternativo; il risultato finale e una teoria

alquanto ampia della derivazione, che deve non poco al contributo di un altro precursore:

l’ingegnere Heaviside.

Abbiamo gia incontrato un oggetto che rappresenta l’interazione tra due funzioni: il prodotto

scalare in L2(R), (f, ϕ) =∫R f(x)ϕ(x)∗ dx esiste finito per ogni f, ϕ ∈ L2(R) (qui facciamo

riferimento a funzioni a valori complessi, ma non ci interessiamo di questioni di olomorfia).

Abbiamo visto come sia del tutto naturale che il prodotto scalare contenga il coniugio, poiche

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2 Metodi Matematici per TLC – a.a. 2004-05 – A. Visintin

questo implica che ‖f‖2 := (f, f) ≥ 0 per ogni f ∈ L2(R); tuttavia al momento non abbiamo

bisogno di quest’ultima proprieta, e consideriamo l’integrale

∫Rf(x)ϕ(x) dx (= (f, ϕ∗)) ∀f ∈ Lp,∀ϕ ∈ Lq, ove p, q ∈ [1,+∞], p−1 + q−1 = 1.

Se f varia in uno spazio A piu ampio di Lp, per dare senso a questo integrale non basta richiedere

ϕ ∈ Lq, ed appunto occorre che ϕ appartenga ad uno spazio B piu ristretto di Lq. Se comunque

questo integrale ha senso ed e finito per ogni f ∈ A ed ogni ϕ ∈ B, diremo che gli spazi A e B

sono posti in dualita dal funzionale 1

A×B → C : (f, ϕ) →∫Rf(x)ϕ(x) dx,

detto prodotto di dualita. Diremo anche che B e il duale di A, ovvero che A e il duale di B, e

scriveremo rispettivamente B = A′ e A = B′. 2

Quanto piu ampio e uno dei due spazi, tanto piu ristretto deve essere l’altro; per contro,

quanto piu piccolo e uno, tanto piu grande puo essere l’altro. Questa semplice idea e alla base

della teoria di L. Schwartz. In questo capitolo introdurremo tre coppie di spazi di funzioni in

dualita, che si aggiungono alla gia nota coppia Lp, Lp′.

Funzioni Test. Iniziamo con definire uno spazio di funzioni estremamente piccolo; potremo

quindi porlo in dualita con uno spazio molto grande.

Preliminarmente, dato un qualsiasi insieme A ⊂ R ed una funzione f : A → C, definiamo

supporto di f , e denotiamo con supp(f), la chiusura del sottoinsieme di A in cui f e diversa da

zero. 3 Ad esempio,

f1(x) := log |x| ∀x �= 0 → supp(f1) = R,

f2(x) := tanx ∀x �= (k + 1/2)π (k ∈ Z) → supp(f2) = R,

f3(x) := x + |x| ∀x ∈ R → supp(f3) = R+,

f4(x) := sinx + | sinx| ∀x ∈ R → supp(f4) =⋃k∈Z

[2kπ, (2k + 1)π].

Introduciamo ora lo spazio delle funzioni test (dette anche funzioni di prova)

D(R) := {ϕ ∈ C∞(R) : supp(ϕ) e limitato};

Quindi ogni ϕ ∈ D(R) e nulla fuori da un intervallo dipendente da ϕ stessa; tale intervallo

puo essere ridotto all’insieme vuoto, quindi anche la funzione identicamente nulla appartiene

a D(R). Questo e uno spazio lineare su C (la verifica e ovvia) non dotato di norma (e

1Qui (f, ϕ) rappresenta la coppia, non il prodotto scalare. La notazione e ambigua, comunque di solito ilcontesto permette di evitare equivoci.

2Dato uno spazio lineare A, e usuale indicare con A′ lo spazio dei funzionali lineari A→ C.3Ricordiamo che per chiusura di un insieme A ⊂ RN (N ∈ N) si intende l’unione di A con i limiti delle

successioni convergenti di punti in A, e la si indica con A. Ad esempio

]0, 1[ = [0, 1], {x ∈ RN : |x| < 1, x �= 0} = {x ∈ RN : |x| ≤ 1}.

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Distribuzioni 3

quindi nemmeno di prodotto scalare). Si noti che ϕ′ ∈ D(R) per ogni ϕ ∈ D(R); in ef-

fetti supp(ϕ′) ⊂ supp(ϕ) [Es]. Questa classe di funzioni e molto piccola; tra l’altro, per quanto

visto sul prolungamento analitico, la funzione nulla e l’unica funzione analitica di D(R) [Es].

Tipici esempi di elementi di D(R) sono le seguenti funzioni, dette a campana per via della

forma del grafico:

ϕa,b(x) :=

exp1

(x− a)2 − b2se |x− a| < b

0 se |x− a| ≥ b,

∀a, b ∈ R. (1.2)

Si noti che la presenza dell’esponenziale fornisce il raccordo di tutte le derivate di ϕa,b nei punti

x = a± b, in modo del tutto analogo a quanto avviene per un classico esempio di Cauchy, che

e ricordato nel capitolo sulle serie di potenze [Es]. Si noti pure che per ogni c, d ∈ R con c < d,

esistono a, b tali che supp(ϕa,b) = [c, d].

Funzioni Localmente Integrabili. Sia p ∈ [1,+∞[. Una funzione v : R → C e detta

di potenza p-esima localmente integrabile se l’integrale di |v|p su ogni intervallo e finito. 4

Includendo anche il caso di p = ∞ (in cui ovviamente non si puo parlare di integrabilita),

poniamo

Lploc(R) := {v : R→ C : v ∈ Lp(a, b), ∀a, b ∈ R(a < b)} ∀p ∈ [1,+∞].

Anche questo e uno spazio lineare su C non dotato di norma. Ovviamente

Lp(R) ⊂ Lploc(R) ∀p ∈ [1,+∞].

Inoltre, poiche come si e visto gli Lp(a, b) sono “inscatolati” tra di loro,

L∞loc(R) ⊂ Lploc(R) ⊂ Lqloc(R) ⊂ L1loc(R) ∀p, q ∈ [1,+∞[ con p > q, [Es]

a differenza di quanto succede per gli spazi Lp(R). Qui siamo interessati al caso di p = 1;

L1loc(R) e la piu ampia classe di funzioni che definiremo facendo riferimento all’integrabilita.

Per queste funzioni non vi e alcun vincolo sul comportamento per x→ ±∞; ad esempio le

funzioni

f1(x) := exp |x|, f2(x) := exp(exp |x|), f3(x) := exp[exp(exp |x|)], ...

stanno tutte in Lploc(R) per ogni p ∈ [1,+∞]. Si ponga ora

f(x) := 1/√x, g(x) := 1/x ∀x �= 0

(il valore di queste funzioni nell’origine e irrilevante, poiche {0} e un insieme di misura nulla).

Si ha f ∈ L1loc(R), mentre g �∈ L1

loc(R), infatti ad esempio g �∈ L1(0, 1).

Le seguenti proprieta possono essere verificate facilmente mediante un semplice cambia-

mento di variabile di integrazione per ogni f ∈ L1loc(R),

∫Rf(λx)ϕ(x) dx = |λ|−1

∫Rf(x)ϕ(x/λ) dx ∀λ ∈ C, λ �= 0, [Es]

∫Rf(x + a)ϕ(x) dx =

∫Rf(x)ϕ(x− a) dx ∀a ∈ R. [Es]

(1.3)

4Per contro le funzioni di Lp(R) sono dette globalmente integrabili; quando non si specifica, si intende checi si riferisce all’integrabilita globale.

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Esercizi.

— Si determinino il dominio di definizione ed il supporto della funzione

f(x) = log[(x− 1)+].

— Posto

f(x) = tanx, g(x) = log |x| q∀x ∈ R,

e si stabilisca se f, g ∈ L1(R) e se f, g ∈ L1loc(R).

2 Distribuzioni

Usualmente una funzione e pensata come una trasformazione che agisce su ciascun elemento del

dominio, cioe e definita in ogni punto (o in quasi ogni punto). Le distribuzioni sono costruite

in base ad un altro punto di vista.

Distribuzioni Associate a Funzioni Localmente Integrabili. Per ogni f ∈ L1loc(R) ed

ogni ϕ ∈ D(R), l’integrale∫R f(x)ϕ(x) dx esiste finito; inoltre, denotato con Sϕ il supporto di

ϕ, ∣∣∣∫Rf(x)ϕ(x) dx

∣∣∣ ≤∫Sϕ|f(x)ϕ(x)| dx ≤ max

R|ϕ|

∫Sϕ|f(x)| dx < +∞. (2.1)

Definiamo ora il funzionale

Tf : D(R)→ C : ϕ →∫Rf(x)ϕ(x) dx. (2.2)

Il seguente risultato e tanto semplice quanto importante.

Lemma 2.1 Per ogni f ∈ L1loc(R),

∫Rf(x)ϕ(x) dx = 0 ∀ϕ ∈ D(R) ⇒ f(x) = 0 q∀x ∈ R.

Dimostrazione Parziale. Qui ci limitiamo a trattare il caso in cui f e continua; questa

ipotesi ci permettera di mostrare che f(x) = 0 per ogni x ∈ R. Per assurdo, esista x0 ∈ R tale

che f(x0) �= 0, ad esempio f(x0) > 0; allora esiste un intervallo ]a, b[ in cui f > 0. Se ϕ ∈ D(R)

e una funzione a campana non negativa il cui supporto (non vuoto) e contenuto in ]a, b[, allora∫Rf(x)ϕ(x) dx > 0 contraddicendo l’ipotesi. ��

Ogni f ∈ L1loc(R) ovviamente determina il funzionale Tf . Viceversa, in base al lemma,

questo funzionale determina univocamente la funzione f ; in altri termini, se f, g ∈ L1loc(R)

sono tali che Tf = Tg (ovvero Tf (ϕ) = Tg(ϕ) per ogni ϕ ∈ D(R)) allora f = g q.o. in R. 5

Pertanto il funzionale Tf contiene la stessa informazione della funzione f , ed appare naturale

identificare Tf con f . Questo modo di rappresentare le funzioni mediante funzionali e alla base

dell’estensione del concetto di funzione operata dalla teoria delle distribuzioni.

5Si usa dire che l’uguaglianza Tf = Tg e testata mediante le funzioni test ϕ ...

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Distribuzioni 5

Distribuzioni. Diciamo distribuzione (o funzione generalizzata) su R ogni funzionale T :

D(R)→ C lineare su C, ovvero tale che

T (λ1ϕ1 + λ2ϕ2) = λ1T (ϕ1) + λ2T (ϕ2)

∀λ1, λ2 ∈ C,∀ϕ1, ϕ2 ∈ D(R),(2.3)

e limitato nel senso che

∀a > 0,∃k ∈ N,∃C > 0 : ∀ϕ ∈ D(R),

supp(ϕ) ⊂ [−a, a] ⇒ |T (ϕ)| ≤ Ck∑

n=0

maxR|Dnϕ|

(2.4)

(qui D0ϕ := ϕ). Le distribuzioni della forma (2.2) sono dette regolari; le altre sono dette

singolari. 6

Due distribuzioni T e T sono uguali se agiscono allo stesso modo sulle funzioni test, ovvero

se T (ϕ) = T (ϕ) per ogni ϕ ∈ D(R). L’insieme delle distribuzioni costituisce uno spazio lineare

su C, che denoteremo con D′(R).

* Distribuzioni di Ordine Finito. Nella (2.4) sia la costante C > 0 che l’intero k possono

dipendere da a, ovvero dal supporto di ϕ. Se k puo essere scelto indipendente da a, ovvero

∃k ∈ N : ∀a > 0,∃C > 0 : ∀ϕ ∈ D(R),

supp(ϕ) ⊂ [−a, a] ⇒ |T (ϕ)| ≤ Ck∑

n=0

maxR|Dnϕ|,

(2.5)

allora la distribuzione T e detta di ordine finito, ed il piu piccolo intero k per cui vale quest’ultima

implicazione e detto ordine di T . Ad esempio per ogni f ∈ L1loc(R), Tf e una distribuzione di

ordine zero. Nel seguito incontreremo altre distribuzioni di ordine finito, ed anche una di ordine

infinito.

A questo punto si capisce perche si sono considerate funzioni test infinitamente derivabili; la

limitatezza del supporto comporta poi che le derivate di ogni ordine sono limitate. Comunque

per le distribuzioni di ordine finito k basterebbe limitarsi funzioni ϕ di classe Ck a supporto

limitato.

Nel caso che sia l’intero k che la costante C > 0 fossero indipendenti da a, allora ogni

riferimento al supporto della funzione test verrebbe meno nella (2.4), che si riscriverebbe

∃k ∈ N,∃C > 0 : ∀ϕ ∈ D(R), |T (ϕ)| ≤ Ck∑

n=0

maxR|Dnϕ|. (2.6)

Ad esempio questo succede per Tf con f ∈ L1(R) (in questo caso con k = 0).

Esempi. Abbiamo identificate le funzioni di L1loc(R) alle distribuzioni regolari. Ecco altri

esempi.

— Le funzioni impulsive sono distribuzioni. Ad esempio la delta di Dirac

δ(ϕ) := ϕ(0) ∀ϕ ∈ D(R) (2.7)

6La terminologia non e molto felice; infatti le distribuzioni regolari possono anche essere associate a funzioniche presentano ... singolarita, quali f(x) = |x|α con α > −1.

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6 Metodi Matematici per TLC – a.a. 2004-05 – A. Visintin

δ e una distribuzione singolare di ordine zero, poiche e lineare e

|δ(ϕ)| = |ϕ(0)| ≤ maxR|ϕ| ∀ϕ ∈ D(R).

Lo stesso vale per le sue traslate

δa(ϕ) := ϕ(a) ∀ϕ ∈ D(R),∀a ∈ R,

(quindi δ0 = δ) e per le combinazioni lineari finite di delte di Dirac traslate

N∑k=0

λkδak(ϕ) =N∑k=0

λkϕ(ak) ∀ϕ ∈ D(R),∀λ1, ..., λN ∈ R,∀a1, ..., aN ∈ R. [Es]

— Sono distribuzioni anche certe combinazioni lineari infinite di delte di Dirac traslate,

quali il treno di impulsi (detto anche pettine di Dirac)

s :=∑k∈Z

δk , ovvero s(ϕ) =∑k∈Z

ϕ(k) ∀ϕ ∈ D(R). (2.8)

Piu in generale si puo considerare un pettine di Dirac avente distanza interdentale h:

sh(ϕ) =∑k∈Z

ϕ(kh) ∀ϕ ∈ D(R),∀h > 0.

Anche questa e una distribuzione singolare di ordine zero. Si noti che per ogni ϕ ∈ D(R) questa

serie e ridotta ad una somma finita, essendo il supporto di ϕ limitato. Tuttavia

s :=∑k∈Z

δ1/k , ovvero s(ϕ) =∑k∈Z

ϕ(1/k) ∀ϕ ∈ D(R) (2.9)

non e una distribuzione (si noti che le masse si accumulano vicino a x = 0) [Es].

— E noto che la funzione 1/x non e integrabile (ne alla Cauchy-Riemann, ne alla Lebesgue,

ne in senso generalizzato) su alcun intervallo che contiene l’origine. Tuttavia il funzionale

T : D(R)→ C : ϕ → limε→+∞

∫R\[−ε,ε]

ϕ(x)

xdx (2.10)

e una distribuzione, come vedremo nel paragrafo ??.

Prime Proprieta delle Distribuzioni. Scriveremo anche 〈T, ϕ〉 in luogo di T (ϕ). 7 Piu

disinvoltamente i non-matematici spesso usano la notazione∫R T (x)ϕ(x) dx, anche quando T

non e una funzione di x; questo e lecito, purche non si operari su questo finto integrale come se

fosse un integrale vero. Ad esempio, se T e una distribuzione singolare,∫R |T (x)ϕ(x)| dx non

ha senso.

Il ruolo simmetrico dei due “fattori” T e ϕ nella scrittura 〈T, ϕ〉 si presta a mettere in luce

la bilinearita di T (ϕ), ovvero la sua linearita su C rispetto sia a ϕ (cf. (2.3)) che a T :

〈λ1T1 + λ2T2, ϕ〉 = λ1〈T1, ϕ〉+ λ2〈T2, ϕ〉∀λ1, λ2 ∈ C,∀T1, T2 ∈ D′(R),∀ϕ ∈ D(R).

(2.11)

7Il simbolo 〈·, ·〉 e spesso denominato con il termine francese crochet.

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Distribuzioni 7

Pertanto 〈λT, λϕ〉 = λ2〈T, ϕ〉 per ogni λ ∈ R.

Si noti l’analogia tra il crochet 〈·, ·〉 ed il prodotto scalare (·, ·) di L2(R), che comunque e

lineare rispetto al primo fattore ma antilineare rispetto al secondo. 8

Le proprieta di omotetia e di traslazione (1.3) e la moltiplicazione per funzioni localmente

integrabili delle funzioni localmente integrabili si estendono alle distribuzioni T sotto forma di

definizioni: 9 per ogni T ∈ D′(R) ed ogni ϕ ∈ D(R), si pone 10

〈T (λ·), ϕ〉 := |λ|−1〈T, ϕ(·/λ)〉 ∀λ ∈ C, λ �= 0, (2.12)

〈T (·+ a), ϕ〉 := 〈T, ϕ(· − a)〉 ∀a ∈ R, (2.13)

〈gT, ϕ〉 := 〈T, gϕ〉 ∀g ∈ C∞(R). (2.14)

Queste formule hanno senso poiche

ϕ(·/λ), ϕ(· − a), gϕ ∈ D(R) ∀g ∈ C∞(R),∀ϕ ∈ D(R)[Es],

e sono ovviamente soddisfatte da T = Tf per ogni f ∈ L1loc(R).

Si dice allora che una distribuzione T e pari se T (− ·) = T , che T e dispari se T (− ·) = −T ,

che T e periodica di periodo a se T (· + a) = T . 11 Ad esempio sia la distribuzione δ che il

pettine di Dirac sono pari.

Per ogni T ∈ D′(R) ed ogni ϕ ∈ D(R), si definiscono la distribuzione coniugata, la sua

parte reale e la sua parte immaginaria come segue:

〈T ∗, ϕ〉 := 〈T, ϕ∗〉∗,

〈�(T ), ϕ〉 :=1

2〈T + T ∗, ϕ〉 = 〈T,�(ϕ)〉,

〈�(T ), ϕ〉 :=1

2i〈T − T ∗, ϕ〉 = 〈T,�(ϕ)〉.

(2.15)

Queste definizioni sono coerenti con quelle note per le funzioni localmente integrabili:

T ∗f = Tf∗ , �(Tf ) = T�(Tf ), �(Tf ) = T(Tf ) ∀f ∈ L1loc(R). [Es]

Non si puo invece definire la moltiplicazione tra due distribuzioni qualsiasi: ad esempio δ · δnon ha senso.

Esercizi.

— Ogni distribuzione regolare e ovviamente di ordine 0. Vale anche il viceversa?

8Se uno e interessato ad usare distribuzioni antilineari rispetto alla funzione test, basta che sostituisca unaqualsiasi distribuzione T (necessariamente lineare) col corrispondente funzionale S antilineare

〈S, ϕ〉 := 〈T, ϕ∗〉 ∀ϕ ∈ D(R).

Questi funzionali sono detti antidistribuzioni, e sono poco usati.Per contro sono spesso impiegate le distribuzioni a valori reali, la cui teoria e analoga a quella qui presentata.9Il fatto che queste proprieta non siano derivate da altre ma sono introdotte come definizioni puo dare

l’impressione di una certa arbitrarieta. Cosı non e, poiche quanto imposto alle distribuzioni deve essere coerentecon quanto succede per le funzioni di L1

loc(R), dal momento che queste individuano le distribuzioni regolari.10Il punto indica la variabile indipendente, ovvero la variabile di integrazione per le distribuzioni regolari.11Anche qui usiamo il punto per evitare di indicare una dipendenza da x che nel caso delle distribuzioni non

ha senso; ad esempio scriviamo T (− ·) piuttosto che T (−x).

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8 Metodi Matematici per TLC – a.a. 2004-05 – A. Visintin

— Si stabilisca se i seguenti funzionali D(R)→ C sono distribuzioni:

T1 =∞∑k=1

ekδlog k , T2 =∞∑k=1

e−|k|δ1/k , T3 =∞∑k=1

k−1δ1/k , T4 =∞∑k=1

k−2δ1/k .

— Fissati qualsiasi α ∈ C∞(R) e x0 ∈ R, si calcoli la distribuzione

T = αδx0 − α(x0)δx0 .

— Si dimostri che

δ(λ·) =1

|λ|δ (2.16)

(Qui non abbiamo inserito l’argomento x perche tale uso sarebbe improprio, in quanto queste

distribuzioni non sono definite puntualmente.)

— Si verifichi che se T e una distribuzione pari allora T ′ e dispari, e viceversa se T e una

distribuzione dispari allora T ′ e pari.

— Si discuta la parita di Dkδa (a ∈ R, k ∈ N).

— Per ogni intero m ≥ 1 e per ogni λ1, ..., λm ∈ C, si ponga T :=∑mk=1 λkD

kδ e si verifichi

che xm+1T = 0 in D′(R). (In particolare, xδ = 0 in D′(R).)

3 Derivazione in D′(R)

Dirac aveva osato derivare la sua delta, suscitando lo sconcerto dei suoi contemporanei. Provi-

amo ad interpretare questa derivata: essendo δ nulla fuori dall’origine, lo stesso varra per Dδ;

inoltre, poiche δ e pari, Dδ sara dispari, e quindi nulla anche nell’origine; tuttavia non e plau-

sibile the Dδ coincida con la funzione nulla. Questo conferma le incongruenze gia riscontrate

nel tentativo di interpretare la delta di Dirac mediante il tradizionale concetto di funzione.

Derivazione di Funzioni Localmente Integrabili. Introdurremo un nuovo operatore di

derivazione, che denoteremo con D e che estendera l’operatore di derivazione classico, definito

come limite puntuale del rapporto incrementale. (Denoteremo quest’ultimo con il “primo”: ad

esempio indicheremo la derivata di una funzione f con f ′.) L’estensione sara imperniata sulla

formula di integrazione per parti.

Sia f ∈ C1(R). Per ogni ϕ ∈ D(R) esistono a, b ∈ R (a < b) tali che ϕ = ϕ′ = 0 fuori da

]a, b[. Grazie alla formula di integrazione per parti, si ha allora

∫ b

af ′(x)ϕ(x) dx = −

∫ b

af(x)ϕ′(x) dx ∀ϕ ∈ D(R),

ovvero ∫Rf ′(x)ϕ(x) dx = −

∫Rf(x)ϕ′(x) dx ∀ϕ ∈ D(R). (3.1)

Poiche questi integrali hanno senso anche se f, f ′ ∈ L1loc(R), definiamo la derivazione in

L1loc(R) come segue, secondo l’impostazione introdotta da S. Sobolev nel 1936. Per ogni f, g ∈

L1loc(R), diciamo che g e la derivata debole di f , e scriviamo g = Df , se

∫Rg(x)ϕ(x) dx = −

∫Rf(x) (ϕ′)(x) dx ∀ϕ ∈ D(R),

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Distribuzioni 9

ovvero, in termini delle corrispondenti distribuzioni Tg e Tf ,

〈Tg, ϕ〉 = −〈Tf , ϕ′〉 ∀ϕ ∈ D(R). (3.2)

Denotiamo questa derivata con Df per distinguerla da quella classica f ′. Comunque Df = f ′

per ogni f ∈ C1(R), grazie alla (3.1). Identificando ogni funzione di L1loc(R) con la corrispon-

dente distribuzione, scriveremo anche TDf = DTf . Perveniamo quindi alla seguente estensione

della formula di integrazione per parti: per ogni f ∈ L1loc(R),

g = Df ⇔ g ∈ L1loc(R) e 〈g, ϕ〉 = −〈f, ϕ′〉 ∀ϕ ∈ D(R). (3.3)

In seguito al Lemma 2.1 la (3.2) al piu vale per una sola g. Comunque non e detto che una

qualsiasi funzione f ∈ L1loc(R) ammetta una derivata debole g ∈ L1

loc(R).

Derivazione di Distribuzioni Generali. Generalizziamo la (3.3) a distribuzioni qualsiasi

ponendo

〈DT,ϕ〉 = −〈T, ϕ′〉 ∀ϕ ∈ D(R),∀T ∈ D′(R), (3.4)

in modo da estendere la formula di integrazione per parti. Si noti che per ogni T ∈ D′(R)

esiste la distribuzione derivata DT , poiche il funzionale ϕ → −〈T, ϕ′〉 e lineare e limitato nel

senso della (2.4). [Es] Questa e una delle principali differenze tra la derivata nel senso delle

distribuzioni e quella debole.

Si noti anche che la nuova nozione di derivata poggia su quella classica, che qui e applicata

alla funzione derivabile ϕ. Inoltre, come gia osservato, il nuovo concetto estende quello vecchio:

Df = f ′ per ogni f ∈ C1(R), grazie alla formula di integrazione per parti (3.1).

Iterando questo procedimento, si perviene facilmente alla seguente caratterizzazione delle

derivate di ordine superiore: 12

〈DkT, ϕ〉 = (−1)k〈T, ϕ(k)〉 ∀ϕ ∈ D(R),∀T ∈ D′(R),∀k ∈ N. (3.5)

Pertanto ogni distribuzione ammette derivate di ogni ordine. A questo punto dovrebbe essere

chiaro perche si richiede l’infinita derivabilita delle funzioni test.

Nei prossimi capitoli utilizzeremo solo la derivata nel senso delle distribuzioni, che denoter-

emo anche col “primo”.

Esempi. — Si definisca la funzione di Heaviside (detta anche funzione scalino unitario)

H(x) := 0 se x ≤ 0, H(x) := 1 se x > 0. (3.6)

Si ha

〈DTH , ϕ〉 := −∫RH(x)ϕ′(x) dx = −

∫ +∞

0ϕ′(x) dx

= − lima→+∞

∫ a

0ϕ′(x) dx = − lim

a→+∞ϕ(a) + ϕ(0) = ϕ(0) ∀ϕ ∈ D(R).

Quindi la derivata nel senso delle distribuzioni della funzione di Heaviside coincide con la delta

di Dirac:

(DTH =) DH = δ.

12Con notazione usuale, si indica con ϕ(k) la derivata classica di ordine k di ϕ.

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10 Metodi Matematici per TLC – a.a. 2004-05 – A. Visintin

Per ogni intero k ≥ 1 si ha poi

DkH = Dk−1DH = Dk−1δ,

〈Dk−1δ, ϕ〉 = (−1)k−1〈δ, ϕ(k−1)〉 = (−1)k−1ϕ(k−1)(0) ∀ϕ ∈ D(R).

— Derivando una combinazione lineare finita di funzioni di Heaviside traslate si ottiene la

corrispondente combinazione lineare di delte di Dirac traslate [Es]:

D( N∑k=0

λkH(· − ak))

=N∑k=0

λkδak ∀λ0, ..., λN ∈ R,∀a0, ..., aN ∈ R.

— Sia f(x) := log |x| per ogni x �= 0; ovviamente f ′(x) := 1/x per ogni x �= 0. Si noti che

f ∈ L1loc(R) ma f ′ �∈ L1

loc(R), ed addirittura f ′ �∈ D′(R). [Es] Pertanto Df �= f ′, ed infatti in

questo caso non si puo nemmeno scrivere la formula di integrazioni per parti (3.1) per funzioni

ϕ ∈ D(R) (a meno che non sia ϕ(0) = 0). In effetti Df non e della forma Df = Tg per alcuna

g ∈ L1loc(R). Nel paragrafo ?? forniremo una rappresentazione di Df .

— Posto fα(x) := |x|α per ogni x �= 0 ed ogni α ∈ R, si ha

per α > 0, fα, f′α ∈ L1

loc(R),

per − 1 < α ≤ 0, fα ∈ L1loc(R), f ′α �∈ L1

loc(R),

per α ≤ −1, fα, f′α �∈ L1

loc(R). [Es]

Quindi

per α > 0, Dfα = f ′α,

per − 1 < α ≤ 0, Dfα �= f ′α, Tf ′α non esiste,

per α ≤ −1, Tfα , Tf ′α non esistono.

(3.7)

— Fissata una qualsiasi successione {λk} in C, si ponga T :=∑∞k=0 λkD

kδk, ovvero

〈T, ϕ〉 =∞∑k=0

(−1)kλkDkϕ(k) ∀ϕ ∈ D(R).

Poiche ogni ϕ ∈ D(R) ha supporto limitato, questa serie e ridotta ad una somma finita; pertanto

〈T, ϕ〉 contiene solo un numero finito k di derivate, e si verifica facilmente che T ∈ D′(R). [Es]

Questo numero k pero dipende dal supporto di ϕ, e non e limitato al variare di tale supporto;

quindi T ha ordine infinito.

Proprieta della Derivazione. Il seguente risultato generalizza note proprieta delle funzioni

di C1(R).

Proposizione 3.1 Per ogni distribuzione T ∈ D′(R),

(λT )′ = λT ′ ∀λ ∈ C, [Es] (3.8)

(gT )′ = g′T + gT ′ ∀g ∈ C∞(R), [Es] (3.9)

T (λ·)′ = λT ′(λ·) ∀λ ∈ C, [Es] (3.10)

T (·+ a)′ = T ′(·+ a) ∀a ∈ R.[Es] (3.11)

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Distribuzioni 11

A titolo di esempio verifichiamo la (3.9). Utilizzando ripetutamente le formule di derivazione

e di moltiplicazione di una distribuzione per una funzione test, si ha

〈(gT )′, ϕ〉 = −〈gT, ϕ′〉 = −〈T, gϕ′〉 = −〈T, (gϕ)′〉+ 〈T, g′ϕ〉

= 〈T ′, gϕ〉+ 〈g′T, ϕ〉 = 〈gT ′ + g′T, ϕ〉 ∀ϕ ∈ D(R).(3.12)

La (3.9) puo essere estesa alle derivate di ordine superiore:

Proposizione 3.2 (Regola di Leibniz) Per ogni distribuzione T ∈ D′(R), 13

Dn(gT ) =N∑m=1

( n

m

)(Dn−mg)DmT ∀g ∈ C∞(R),∀T ∈ D′(R),∀n ∈ N.

Ad esempio,

(gT )′′ = g′′T + 2g′T ′ + gT ′′ ∀g ∈ C∞(R),∀T ∈ D′(R). [Es]

* Confronto tra i Diversi Concetti di Derivata. A questo punto disponiamo delle seguenti

nozioni di derivata:

— la derivata classica f ′ (ovvero il limite puntuale del rapporto incrementale) per certe

funzioni f : R→ C;

— la derivata debole, qui denotata Ddf , per certe funzioni f ∈ L1loc(R);

— la derivata nel senso delle distribuzioni, denotata DT per ogni T ∈ D′(R).

Quando la derivata classica esiste solo per quasi ogni x ∈ R, denominiamo quest’ultima

derivata quasi ovunque (o derivata q.o. per brevita). Si noti che la derivata nel senso delle

distribuzioni esiste sempre, mentre cio non vale per le altre derivate.

Il seguente esempio e semplice ma significativo. La funzione di Heaviside H e derivabile in

senso classico con derivata H ′(x) = 0 per ogni x �= 0, mentre H ′(0) non esiste; quindi

H ′ = 0 q.o. in R.

Tuttavia H ′ non soddisfa la formula di integrazione per parti, poiche per ogni ϕ ∈ D(R).∫RH ′(x)ϕ(x) dx = 0, mentre −

∫RH(x)ϕ′(x) dx = ϕ(0).

Possiamo allora concludere che H,H ′ ∈ L1loc(R), ma DdH non esiste, e DH �= H ′; infatti

DH = δ �= H ′.

I seguenti enunciati (di cui non diamo dimostrazione) possono dare un’idea della delicatezza

della situazione.

— Proposizione 1. Sia f ∈ C0(R). Allora f ∈ C1(R) se e solo se Df ∈ C0(R); in tale caso

f ′ = Ddf = Df in tutto R.

— Proposizione 2. Sia f ∈ L1loc(R). Allora esiste Ddf ∈ L1

loc(R) se e solo se Df ∈ L1loc(R);

in tal caso Ddf = Df q.o. in R.

13Ricordiamo che la definizione del coefficiente binomiale:(n

m

)=

n!m!(n−m)!

∀n,m ∈ N,m ≤ n.

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12 Metodi Matematici per TLC – a.a. 2004-05 – A. Visintin

— Proposizione 3. Sia f ∈ L1loc(R). Se Df ∈ L1

loc(R) allora f ′ esiste q.o. in R, e f ′ = Df

q.o..

Quest’ultima implicazione non e invertibile: la derivabilita quasi ovunque non implica ne

l’integrabilita locale di Df , ne f ′ = Df q.o. in R; la funzione di Heaviside e un controesempio.

La situazione puo apparire un po’ complicata. Rassicuriamo comunque il lettore: nel seguito

utilizzeremo quasi esclusivamente la derivata nel senso delle distribuzioni, e scriveremo T ′ in

luogo di DT per ogni T ∈ D′(R). ��

Equazioni in D′(R). Date S ∈ D′(R) e f ∈ C∞(R), consideriamo il seguente problema:

esiste T ∈ D′(R) tale che fT = S in D′(R)? (3.13)

Si noti che se f avesse minore regolarita il prodotto fT potrebbe non avere senso; ad esempio

Hδ �∈ D′(R). Un’equazione come la (3.13) e detta un problema di divisione, poiche formalmente

la sua soluzione e T = S/f .

Come per la teoria delle equazioni differenziali lineari, anche in questo caso la soluzione

generale dell’equazione non omogenea fT = S (brevemente, SGN) e uguale alla somma di una

soluzione particolare della stessa equazione (SPN) e della soluzione generale della corrispondente

equazione omogenea fT = 0 (SGO):

SGN = SPN + SGO. (3.14)

Se f(x) �= 0 per ogni x ∈ R, allora 1/f ∈ C∞(R); si possono allora moltiplicare entrambi i

membri dell’equazione (3.13) per 1/f , ottenendo l’unica soluzione T = (1/f)S.

Se invece f si annulla in uno o piu punti l’equazione fT = S e meno banale. Qui ci limitiamo

a considerare l’equazione omogenea

xmT = 0 (m ∈ N,m ≥ 1). (3.15)

Un semplice calcolo mostra che T = c0δ+...+cm−1Dm−1δ risolve quest’ultima equazione per ogni

c0, ..., cm−1 ∈ C [Es]; si puo anche dimostrare che non vi sono altre soluzioni. L’apparentemente

innocua equazione non omogenea

xmT = 1 (m ∈ N,m ≥ 1). (3.16)

e gia piu impegnativa. Disponendo della soluzione generale della corrispondente equazione

omogenea, basterebbe individuarne una soluzione particolare; ma questo problema non e banale

poiche 1/xm �∈ D′(R). Nel prossimo paragrafo ne studiamo la soluzione per m = 1, la cui

soluzione appunto non e T = 1/x (anche se gli assomiglia...).

Esercizi.

— Si calcoli D[xkH(x)] per k ∈ N, D[(sinx)H(x)].

— Fissati qualsiasi α ∈ C∞(R) e x0 ∈ R, si calcoli la distribuzione T = D(αδx0).

— Si calcoli xDδ, x2Dδ, xDnδ.

— Si mostri che se T e una distribuzione non costante di ordine n, allora DT ha ordine

n + 1.

— Si mostri che

xDnδ0 = −nDn−1δ, xnDnδ = (−1)nn!δ, xmDnδ = 0 se m > n.

— Si risolvano le equazioni x2T = 0, x2T = 1.

— Si risolvano le equazioni T ′ + aT = 0, T ′ + aT = δ, T ′ + aT = H.