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Virginia Woolf tra follia e narrazione del sé > di Laura Sugamele Abstract Il periodo compreso tra le due guerre mondiali, definito periodo di riflusso, costituisce una sorta di fase di transizione per il femminismo. In questo contesto, le pensatrici di rilievo sono: Simone de Beauvoir e Virginia Woolf, le cui riflessioni hanno rappresentato uno stimolo per un rinnovamento teorico del pensiero femminista. In particolare, in questo saggio, esaminerò Virginia Woolf, la sua scrittura e la sua personalità in bilico tra follia ed espressione artistica geniale, fattori che, senza dubbio, la collocano nell’orizzonte letterario del Novecento come autrice creativa ed icona di spicco del femminismo. Virginia Woolf nacque a Londra il 25 gennaio 1882. Il padre Sir Leslie Stephen era uno dei più grandi saggisti e storiografi della Londra vittoriana del tempo. Virginia e sua sorella Vanessa (scrittrice e pittrice) furono educate in casa, a differenza dei fratelli a cui fu permesso di frequentare l’università di Cambridge. La vita di Virginia si caratterizzò per le varie perdite dei membri della sua famiglia e ciò la portò a soffrire di una graduale forma di malinconia e tristezza interiore. La madre, Julia Prinsep, morì nel 1895, episodio nefasto che fece subentrare in lei i problemi di depressione che proseguirono e divennero anche più gravi a causa della morte della sorella Stella, che sostituì il ruolo materno, e di quella del padre che avvenne nel 1904. Inoltre, Virginia nella sua vita fu notevolmente sensibile a periodi di forte depressione e collasso nervoso, a causa di abusi sessuali commessi su di lei e su sua sorella Vanessa da parte dei fratellastri George e Gerald Duckworth. Comunque, Virginia anche se con stati depressivi alternati, non rimase mai inattiva dal punto di vista letterario. Infatti, nel 1912 sposò Leonard Woolf, il quale amò profondamente la moglie sostenendola sia nella scrittura delle sue produzioni sia durante le sue fasi depressive. Fu così che Leonard e Virginia fondarono nel 1917 la casa editrice Hogarth Press, che emerse come realtà letteraria ed editoriale di spicco dell’epoca indirizzata maggiormente alla pubblicazione di nuovi scrittori stranieri quali: Katherine Mansfield e Thomas Stearns Eliot. Grazie alla Hogarth Press venne anche pubblicata la prima traduzione in lingua inglese dei saggi di psicoanalisi freudiana. All’epoca, Virginia divenne una scrittrice molto stimata e a questo periodo risalgono i sue due primi romanzi: Kew Gardens e Notte e giorno, anche se, il romanzo più importante e che viene considerato il vero capolavoro di tutta la sua produzione è Mrs Dalloway. Ulteriori opere sono: Gita al faro, Orlando, Una stanza tutta per sé e Le tre ghinee. La caratteristica delle opere della Woolf è particolare non solo da una prospettiva linguistica e stilistica, ma anche per la specifica psicologia identitaria e il tormento interiore dei personaggi che viene meticolosamente 1

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Virginia Woolf tra follia e narrazione del sé

> di Laura Sugamele

Abstract Il periodo compreso tra le due guerre mondiali, definito periodo di riflusso, costituisce unasorta di fase di transizione per il femminismo. In questo contesto, le pensatrici di rilievo sono:Simone de Beauvoir e Virginia Woolf, le cui riflessioni hanno rappresentato uno stimolo perun rinnovamento teorico del pensiero femminista. In particolare, in questo saggio, esamineròVirginia Woolf, la sua scrittura e la sua personalità in bilico tra follia ed espressione artisticageniale, fattori che, senza dubbio, la collocano nell’orizzonte letterario del Novecento comeautrice creativa ed icona di spicco del femminismo.

Virginia Woolf nacque a Londra il 25 gennaio 1882. Il padre Sir Leslie Stephenera uno dei più grandi saggisti e storiografi della Londra vittoriana del tempo.Virginia e sua sorella Vanessa (scrittrice e pittrice) furono educate in casa, adifferenza dei fratelli a cui fu permesso di frequentare l’università diCambridge. La vita di Virginia si caratterizzò per le varie perdite dei membridella sua famiglia e ciò la portò a soffrire di una graduale forma di malinconiae tristezza interiore. La madre, Julia Prinsep, morì nel 1895, episodio nefasto che fece subentrare inlei i problemi di depressione che proseguirono e divennero anche più gravi acausa della morte della sorella Stella, che sostituì il ruolo materno, e di quelladel padre che avvenne nel 1904. Inoltre, Virginia nella sua vita funotevolmente sensibile a periodi di forte depressione e collasso nervoso, acausa di abusi sessuali commessi su di lei e su sua sorella Vanessa da parte deifratellastri George e Gerald Duckworth. Comunque, Virginia anche se con statidepressivi alternati, non rimase mai inattiva dal punto di vista letterario.Infatti, nel 1912 sposò Leonard Woolf, il quale amò profondamente la mogliesostenendola sia nella scrittura delle sue produzioni sia durante le sue fasidepressive. Fu così che Leonard e Virginia fondarono nel 1917 la casa editriceHogarth Press, che emerse come realtà letteraria ed editoriale di spiccodell’epoca indirizzata maggiormente alla pubblicazione di nuovi scrittoristranieri quali: Katherine Mansfield e Thomas Stearns Eliot. Grazie alla Hogarth Press venne anche pubblicata la prima traduzione inlingua inglese dei saggi di psicoanalisi freudiana. All’epoca, Virginia divenneuna scrittrice molto stimata e a questo periodo risalgono i sue due primiromanzi: Kew Gardens e Notte e giorno, anche se, il romanzo più importante eche viene considerato il vero capolavoro di tutta la sua produzione è MrsDalloway. Ulteriori opere sono: Gita al faro, Orlando, Una stanza tutta per sée Le tre ghinee. La caratteristica delle opere della Woolf è particolare non soloda una prospettiva linguistica e stilistica, ma anche per la specifica psicologiaidentitaria e il tormento interiore dei personaggi che viene meticolosamente

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descritto dalla scrittrice. Tale tormento era parte della stessa esistenza diVirginia, il quale diventa emblematico nel Diario di una scrittrice, romanzoconsiderato reale testimonianza del dolore intenso e violento che come donna,in primo luogo, ella provava, condizione interiore che la condusse alla sceltaconsapevole del suicidio che avvenne il 28 marzo 1941 gettandosi nel fiumeOuse. Analizzando attentamente la biografia di Virginia Woolf, si comprendecome la sua scrittura fosse condizionata dalle personali vicissitudini. La scrittrice che certamente non aveva risolto i suoi problemi di abusi infantilida lei subiti e che ebbero anche risvolti negativi sulla non accettazione dellapropria femminilità e sessualità, in età adulta, si presentava come una donnasofferente di malinconia e di psicosi depressiva, condizione che influì moltosulla sua scrittura. Virginia infatti alternava momenti di eccessiva serenità afasi di infelicità e depressione, estremi che ella analizzava e descriveva congrande lucidità nei suoi romanzi e che trasferiva nelle storie dei suoipersonaggi. Considerando questo profilo, la scrittura di Virginia Woolftrasmette ai lettori «la mélodie interrompue de notre vie interieure» (Bolchi2007, 130). La scrittura della Woolf risulta, tuttora, unica come genere letterario non soloper la tecnica stilistica, ma anche per una ricerca delle caratterizzazionipsicologiche dei personaggi, ricerca che per l’autrice era fondamentale primadi iniziare a scrivere e che si risolveva nella «perfetta incarnazione dei pensieridella mente» (p. 116) e, dunque, in linea con la tecnica stilistica del flusso dicoscienza adoperata dallo scrittore irlandese James Joyce. Tale ricerca era una costante nella scrittura di Virginia, per la quale la novità ela sperimentazione letteraria, si connettevano alla possibilità che taliparticolarità psicologiche prendessero vita proprio nella parola scritta. In talsenso, cristallizzare la psicologia interiore, narrare e rappresentare lepeculiarità e individualità comportamentali, per la Woolf, significavapossibilità di ordinare questi elementi e profili attraverso il linguaggio verbale(p. 116). È così che il romanzo si costituisce quale strumento atto alla fissazionescritta delle esperienze e dei dolori personali che Virginia trasferiva in esso.Interiorità e scrittura sono, quindi, sinonimi di uno stesso percorso chel’autrice adottava per lasciare una traccia indelebile della propria esistenza. Da un punto di vista psicologico, attraverso la scrittura ci liberiamo dai nostridolori e tormenti; il diario o il romanzo diventano come un compagno diviaggio o un amico al quale raccontare le nostre sofferenze. Con la scritturadiventiamo registi e protagonisti della nostra vita, una scrittura autobiograficanella quale esistono contemporaneamente due dimensioni: la gioia e la felicità,la nostalgia e la malinconia. «La scrittura di sé ci lascia affacciare anche su qualcosa che non è possibiletradurre nel linguaggio razionale e ci permette di comprendere anche quanto ciappare ineluttabilmente inafferrabile e indefinibile» (Galanti 2012, 123).La scrittura in Virginia Woolf si presenta, dunque, come «organizzazione disignificanti» (Di Certeau 2006, 101), una scrittura terapeutica, strumentoattraverso cui i pensieri, le paure e le angosce interiori assumono un significato

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preciso. In quest’ottica, la scrittura diventa cura dello smarrimento del sé, unaconquista pedagogica che si definisce come relazione attiva tra colui/ei chescrive e afferma le proprie emozioni interiori e il testo scritto nel quale questeemozioni si concretizzano. Questo meccanismo si esplica quindi comepedagogia della cura, con la quale Virginia entrava in contatto con il propriosé, riconoscendone ed esaminandone criticamente gli aspetti più reconditi.Allora, la narrazione simbolica delle personali emotività diventa narrazionescritta, trasformandosi in relazionalità tra l’autore di un testo e la parola scrittae concretizzandosi in riconoscimento reale di eventuali sentimenti disofferenza o dolore che, senza una tale alternativa, sarebbero irrisolti eprobabilmente negati. Scrivere ha dunque il risultato di produrre una sorta di sdoppiamento da partedell’autore che, nella fase creativa, può cogliere l’opportunità di esaminare isuoi drammi interiori, narrarli, attraversarli ed elaborarli in modo attivo epositivo (Barbieri 2013, 265). L’autore è soggetto e oggetto, una voce cheresoconta e, al contempo, osserva tutta la trama, focalizzandosi su di essamediante due punti di vista: come personaggio che vive la storia e comenarratore che riferisce la storia (p. 266). Il profilarsi di tale considerazione porta a identificare la scrittura woolfiana,oltre che come recupero, elaborazione e superamento delle proprie fragilità,anche come significativo elemento di cura di sé. Detto ciò, la scritturaattribuisce senso alla nostra esistenza, la trasforma, attraverso l’esperienzadella costruzione narrativa. L’attività della narrazione permette, nellospecifico, di attuare un equilibrio nel coinvolgimento rispetto alle esperienzeprecedenti e alle angosce interiori. Secondo questa prospettiva, «la narrazione di sé si collega quasi naturalmentecon l’origine della psicoanalisi» (Galanti 2012, 126). Freud, ad esempio, curavale donne alle quali veniva diagnosticata l’isteria attraverso la narrazione dellapropria vita. Per la cura di queste donne, la terapia psicoanalitica prevedevache esse raccontassero le loro esperienze personali, sofferenze, dolori, bisognio fantasie profonde, con l’ausilio della spiegazione simbolica e narrativa. Nellarelazione terapeutica, infatti, l’analista non si limita semplicemente adosservare in maniera distaccata i cambiamenti o ad analizzare l’inconscio delpaziente da un punto di vista oggettivo. Questa relazione è infattiessenzialmente attiva, nel significato di scambio comunicativo reciproco tral’analista che entra in contatto con l’universo interno del paziente e il pazienteche attraverso l’esperienza narrativa fa emergere la sua emotività, rendendolaleggibile e comprensibile. Chiaramente, la psicoterapia non si limita a rimuovere le sofferenze altrui, maè un percorso di superamento di tali sofferenze attraverso l’incontro di duesoggettività: l’analista e il paziente, nella quale entrano in gioco le risorseinteriori di entrambi (Concato 2006, 19-20). Alla luce di questa osservazione,la personalità di Virginia Woolf come scrittrice, non può essere ricondotta aduna visione riduttiva di donna in preda a psicosi maniaco-depressive. Lapersonalità dell’artista che era in lei andava ben oltre; si intrecciava alle

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opposizioni del suo animo, in una danza tempestosa tra depressione emalinconia, anoressia e follia, ironia, allegria e benessere psichico, uno stato diimpetuosità tale da favorirne una incredibile spinta creativa. Come osservaMaria Antonella Galanti, oltre a Virginia Woolf, «molti tra i più grandi artistimostrano come la loro arte sia strettamente legata a una vena di follia efragilità, talvolta di vera e propria malattia psichica conclamata» (Galanti2012, 135). Da questo punto di vista, Virginia e suo marito Leonard, riuscirono a gestire iproblemi mentali di lei e ad incanalarli rendendo ciò talmente fruttuoso, fino afare di Leonard un editore conosciuto nella Londra del tempo e di Virginiaquale grande scrittrice ed artista creativa e raffinata. Il matrimonio e lamalattia mentale, nel rapporto tra i coniugi Woolf si rivelarono, dunque, ottimiingredienti per poter superare le difficoltà della vita e raggiungere leaspirazioni personali di entrambi (Marchetti 2011, 11). Virginia, sin dalla suafanciullezza provava, infatti, un sentimento costante di essere sminuita edostacolata nelle sue realizzazioni intellettuali, già a causa dell’educazionericevuta dalla famiglia all’interno della casa, situazione che la portò adinteriorizzare un sostanziale rifiuto della sua condizione di donna. Nel romanzo Una stanza tutta per sé, emerge proprio il tema dellasubordinazione femminile che valicava la questione strettamente sociale edeconomica, includendo anche l’arte e la scrittura riservati unicamente almondo maschile. Innanzitutto, è interessante osservare che Una stanza tuttaper sé fu scritta in occasione di due conferenze organizzate a Cambridge, neicollegi femminili di Newnham e Girton presenziate da Virginia Woolf edincentrate sul rapporto delle donne con la scrittura. Al centro della sua riflessione, la scrittrice individuava due motivi principaliche spiegavano l’assenza delle donne dal mondo letterario: la dipendenzaeconomica dai mariti e l’impossibilità di condurre una vita autonoma, essendosempre impegnate esclusivamente in ambito domestico. Questa situazione cosìristretta ha privilegiato gli uomini, i quali hanno goduto del tempo e dellecondizioni economiche per dedicarsi alla scrittura. Secondo Virginia, questasituazione ha ostacolato le donne nella possibilità di esprimersi in personalicreazioni intellettive e nella libertà di affermare le proprie idee e punti di vistaanche in ambito politico. Woolf sosteneva che sin dall’Ottocento, a partire dalla scrittrice Jane Austen, ledonne si erano dedicate alla scrittura, limitandosi a quella dei romanzi e,quindi, ad una esperienza artistica considerata poco rilevante e di minoreimpegno. Inoltre, Woolf evidenziava che anche se le donne volessero dedicarsialla scrittura, in ogni caso, esse non troverebbero delle autrici alle qualiispirarsi come punti di riferimento, ma solamente una tradizione letteraria almaschile che ha priorità in tal senso. «L’esiguità della tradizione femminile produce un circolo vizioso: le donne chedesiderano diventare scrittrici non trovano nella tradizione maschile dei puntidi riferimento utili per loro» (Passarelli et al. 2011, 97). Una tale assenza dimodelli femminili provoca l’effetto di scoraggiare le donne dal diventare

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scrittrici e, di conseguenza, impedisce la possibilità che si formi una tradizioneletteraria al femminile, ragion per cui, Virginia Woolf invitava tutte le donne e,in particolare, le giovani, ad impegnarsi nella scrittura. Questo perché,secondo Woolf, più le donne scrivevano, più esse potevano riappropriarsi diquella scrittura, di quella parola che, per secoli, era incentrata unicamente suistanze maschili che col fatto stesso «di criticare l’altro sesso» (Woolf 2011, 49)e biasimare qualsiasi azione di emancipazione femminile, certamente, «ebberola loro parte» (p. 49) nell’ostacolare le donne nella scrittura. La posizione di Virginia era quindi radicale, soprattutto, considerando che lacondizione di tutte le donne ed appartenenti a qualsiasi classe sociale sirivelava simile, in quanto legata ad una situazione di dipendenza-subordinazione sociale e culturale, dapprima sottoposte all’autorità del padree, successivamente, a quella del marito attraverso il matrimonio, posizione chedivenne insieme alle riflessioni della filosofa Simone de Beauvoir, un punto diriferimento nel femminismo di seconda ondata. «Virginia Woolf riesamina in modo radicale la condizione femminile e irapporti tra i generi, esplora le ragioni del lungo silenzio delle donne nellastoria e nella cultura, interroga i limiti della cittadinanza femminile appenaconquistata e la questione più ampia del senso di appartenenza o nonappartenenza delle donne allo Stato. Ma, soprattutto, sposta decisamentequello che è stato fino a quel momento l’asse principale della riflessionefemminista: non basa più la rivendicazione di maggiori diritti per le donnesulla dimostrazione della loro fondamentale uguaglianza con gli uomini mamira a valorizzare proprio la loro differenza» attraverso la scrittura (Passarelliet al. 2011, 94). Woolf punta quindi sul ruolo femminile nella sfera privata che,però, viene rivalutato alla luce di un nuovo modo di fare scrittura, accentuatoattraverso l’enfasi posta sul corpo delle donne che deve essere riappropriatorispetto alla mera considerazione della donna-oggetto, analogamente ad unariappropriazione dell’intelletto femminile che, come quello maschile, è adattoalla scrittura (Saletta 2007, 43). Da questo punto di vista, il titolo Una stanza tutta per sé risulta emblematicoperché amplifica la situazione delle donne che anche in ambito privato,possono trovare la propria autonomia, un margine di espressione individualeche mediante la scrittura si contrappone alla quotidianità familiare e che nelcaso del diventare scrittrice, significa in più «possedere la capacità di creare unproprio prodotto scritto, di avere, quindi, una professione che regali fama,soldi, seppur pochi, autonomia e visibilità sociale indipendentemente dallavicinanza dell’uomo» (p. 44). Per ritornare al discorso sullo stile della scrittura woolfiana, la descrizione cosìoriginale dei personaggi, può essere considerata una componente essenziale diuna scrittura narrativa, ma che, al contempo, si presenta come narrazioneautobiografica e di particolare intensità. Lo stile autobiografico emerge nellascrittura woolfiana e si presenta, infatti, come una scrittura dell’identità e dellarappresentazione dei caratteri, delle psicologie individuali grazie alle qualiVirginia Woolf, riusciva a dare forma alla sua stessa vita, alla sua autobiografia

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di fatti concreti vissuti da lei stessa e che nello scritto assumevano forma econsistenza. A tal proposito, oltre ai traumi che Virginia dovette subire durantela sua infanzia, sommati ad un senso di inadeguatezza sociale legata alla suafemminilità, la resero vittima di un’angoscia costante ed espressa in unincontenibile malessere psicofisico. Proprio da questa fragilità interiore, elemento cardine nella scrittura diVirginia Woolf, subentra l’idea di Leonard di fondare la Hogarth Press sia perpubblicare i testi di entrambi i coniugi e di altri autori, sia per sostenere lamoglie con un «intenzione in qualche modo terapeutica» (Galanti 2012, 137).Virginia provava infatti due sentimenti ambivalenti: come scrittrice si sentivaostacolata nella possibilità di raggiungere le proprie ambizioni e sottoposta aigiudizi delle recensioni e delle critiche dalle quali era in genere intimorita;come donna subiva i giudizi morali della società, da lei accettati nelmatrimonio con Leonard, nonostante il suo affetto per lui non fosse costante eavesse una radicata sessofobia (p. 137). La creatività di Virginia si originava, dunque, proprio all’interno di questapolarità, di questa ambiguità, di due aspetti talmente inconciliabili, macomunque presenti nella stessa identità. Il rapporto negativo che Virginiaaveva con la sessualità si estendeva anche alla maternità. Il trauma della mortedella madre fu l’evento cardine dell’esistenza malinconica di Virginia.«La perdita della madre è un trauma con il quale Woolf dovette confrontarsigiorno per giorno, nella difficoltà di “ri-definire” se stessa, nella ricerca di “ri-appropriarsi” di una realtà che prima veniva continuamente filtrata eilluminata dalla presenza forte della madre. Quando viene a mancare la luceattraverso la quale, inconsciamente, si osserva il mondo, si vieneall’improvviso colpiti, come investiti, dalla consapevolezza della larga misurain cui quella luce permeava il nostro essere e per continuare a vivere diventapressante la necessità di impossessarsi nuovamente del reale, di trovarne unanuova fonte di luce» (Gorgoglione 2009, 66). Detto ciò, la scrittura woolfiana è il risultato di un sentimento irrisolto, di unaassenza e della ricerca incessante del trovare in se stessa una forma diappagamento, che Woolf realizzava proprio con la scrittura. L’assenza della figura materna emerge nella scrittura woolfiana, la qualeassume la concretezza risolutiva di un mondo che si frantuma, ma al quale puòessere restituita la dignità dell’esperienza che ha nella tragicità dell’eventovissuto la sua forza risolutiva. Woolf riesce a riconquistare la sua identità«attraverso la definizione del ritratto della madre, che si configura comeconoscenza di sé» (p. 80). Per tale ragione, la relazione madre-figlia, sia comepresenza sia come mancanza esistenziale diventa il fulcro della narrazioneautobiografica e, dunque, base di una scrittura che diviene emancipatoria inWoolf, ma anche proprietà salvifica che consente all’autrice di riguadagnarel’individualità frammentata a causa della scomparsa della figura materna.La madre è quindi la struttura simbolica di una scrittura con la quale l’autricesi collega al suo mondo interiore, lo supera e acquisce una personale libertà diazione. In quest’ottica, la scrittura woolfiana è un percorso trasformativo e di

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elaborazione degli aspetti reconditi della psiche umana che per il tramite dellascrittura, dissimula, manifesta e svela la sua identità in varie rappresentazioni,dalla morte della madre alla distanza dal padre, per finire con i traumi infantilivissuti. Virginia Woolf ha infatti incentrato la sua scrittura sul proprio séinteriore, una scrittura personale in cui emerge un’autenticità letteraria chemanifesta una certa personalità autoriale, la quale è cristallizzata nellacreatività artistica, ragion per cui, la scrittura di Woolf rappresental’inconfessabilità dell’esperienza interiore dell’autrice che, attraverso la parola,si rivela in tutta la sua profondità comunicativa come espressione del carattereessenzialmente simbolico che è nella narrazione woolfiana (Catà 2013, 325). In questa prospettiva, la «scrittura di Virginia è una sorta di riduzione eideticaletteraria, in cui la realtà del mondo è osservata e descritta a partire dall’animadell’autore proiettata nelle cose e nelle persone esterne» (p. 325). È così, che la psicopatologia in Woolf, nel testo scritto non assume la visionenegativa della malattia, ma si sostanzia come versione rinnovata tra il soggettoe il testo scritto, grazie al quale l’autrice sperimentava il rapportarsi conl’inesperibile. Detto ciò, malattia mentale e suicidio acquistano la valenzadrammatica del congiungimento tra finito e infinito attraverso la scrittura.«Il suicidio da accezione tragica e fatale, diviene in questo caso disseminazionemistica di senso» (p. 337). Nel testo scritto, Virginia Woolf «sperimenta una struttura narrativa di tipospaziale, costruita attraverso un movimento che potremmo definire a ellisse,che presenta cioè una costanza rispetto a due fuochi: la cosa guardata; ilsoggetto che guarda» (Marino 2013, 55). Certamente, i traumi e la sofferenzainteriore dell’autrice rappresentano il filo conduttore della sua scrittura intimae personale. I traumi accompagnarono costantemente la vita di Virgina,analogamente al forte desiderio di essere accettata dall’opinione pubblica,sentimenti incredibilmente contraddittori, ma che ella riuscì a trasferire neisuoi scritti, assumendone quasi consapevolezza e tentando una forma di auto-accettazione del sé. Questi estremi componevano la sua scrittura, in una formadi equilibrio tra due eccessi interni ad un’unica individualità. È così che attraverso la scrittura Virginia «ci racconta ciò che sente e che provae attraverso la scrittura crea una diversa vita quando non riesce del tutto asentirsi viva nella parte che le è stata assegnata. Non è, però, solo scritturacome sfogo. È scrittura come creazione di un mondo immaginario, illusorio ecome recupero del passato» (Galanti 2012, 143-144). Infatti, quella di Virginiaera una scrittura autobiografica, autoemozionale, della cura di sé,un’esperienza con la quale creava una nuova realtà, rappresentava nuoveesistenze e intesseva nuove trame. È rilevante osservare che Virginia, quando era in preda alle sue ossessionimaniaco-depressive aveva molte difficoltà a concentrarsi e scrivere, anche se,in questa fase il suo pensiero e la sua emozionalità non cessavano di esistere,ma venivano invece rielaborate essendo utili per la descrizione di nuovipersonaggi e storie. Le fasi emozionali in cui viveva Virginia erano costellate divoci che la scrittrice asseriva di sentire o da allucinazioni varie, ciò che in

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termine psichiatrico verrebbe denominato come intuizione delirante (De Pisa2015, 11). «Virginia Woolf visse per tutta la vita con questo splendido edevastante dono: quello di ascoltare nella sua mente il suono delle emozioniche poi trasformava in pensieri e parole comprensibili ai più, passandoattraverso gli inferni delle sue depressioni e le illusorie eccitazioni senza gioia»(p. 11). Il giorno precedente al suicidio di Virginia, Leonard insistette per farla visitareda Victoria Wilbeforce, medico di fiducia della scrittrice. Prima del suicidio,inoltre, non si erano manifestati i soliti sintomi di cui Virginia soffriva: voci eallucinazioni, insonnia, cefalea, difficoltà a concentrarsi, anche se, quella volta,Virginia non soltanto si rifiutò di prendere consapevolezza del suo problema,era come se lei non fosse malata per nulla. Ed era proprio questa laparticolarità di quel giorno. Il giorno del suicidio. Un giorno in cui unaindividualità decise di scegliere come doveva avere termine la sua esistenza.La fine di una esistenza. E lo fece in modo preciso, come in uno dei suoiracconti, indossando un cappotto e in una tasca di esso una grossa pietra che lerese il corpo pesante, così da farla inghiottire dall’acqua e rendere assoluta la«compiutezza esistenziale» (Olivieri 1985, 80) di un gesto, di un «attoesistenziale del comprendere» (p. 80) che in tal modo divenne concreto edefinitivo.

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