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Arcispedale S. Maria Nuova 3 e Giornate Reggiane di Dietetica e Nutrizione Clinica “Vino & Alcool: dagli Effetti Salutari a quelli Tossici” Reggio Emilia, 03 Ottobre 2008 A cura di William Giglioli - Salvatore Vaccaro Vino & Alcool: dagli Effetti Salutari a quelli Tossici 1

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Arcispedale S. Maria Nuova 3e Giornate Reggiane di Dietetica e Nutrizione

Clinica

“Vino & Alcool: dagli Effetti

Salutari a quelli Tossici”

Reggio Emilia, 03 Ottobre 2008

A cura di William Giglioli - Salvatore Vaccaro

Vino & Alcool: dagli Effetti Salutari a quelli Tossici 1

INDICE

INTRODUZIONE Pag. 02

PARTE 1 - ALCOOL: METABOLISMO ED INTERAZIONI CON NUTRIENTI E FARMACI Pag. 03

Aspetti Generali e Metabolismo Pag. 04 Fabio Bassi

Alcool e Nutrizione Pag. 09 Nino Carlo Battistini, Salvatore Vaccaro

Alcool e Farmaci Pag. 19 Mauro Miselli

PARTE 2 - L’ALCOOL NEGLI STATI FISIOLOGICI Pag. 21

Effetti nel Periodo Gestazionale Pag. 22 Giovanni Battista La Sala e Collaboratori

Alcool e Sport Pag. 26 Vincenzo Guiducci

PARTE 3 - L’ALCOOL NEGLI STATI PATOLOGICI E DIPENDENZA Pag. 29

Alcool e Diabete Mellito Pag. 30 Enrica Manicardi

Effetti e Patologia sul Sistema Endocrino Pag. 33 Michele Zini

Effetti e Patologia su Fegato, Pancreas ed Apparato Digerente Pag. 35 Giovanni Fornaciari

Effetti e Patologia sul Sistema Nervoso Centrale e Periferico Pag. 40 Alberto Dallari

Il Neuroimaging dell’Etilismo Pag. 56 Giulio Zuccoli

Alcool e Medicina Legale Pag. 61 Fulvio Fantozzi

Il Ruolo del S.E.R.T. Pag. 63 Angiolina Dodi

PARTE 4 - ABSTRACT E CONTRIBUTI Pag. 66

Vini e Vivande Pag. 67 Salvatore Vaccaro

Consumo di Bevande Alcoliche nella Provincia di Reggio Emilia Pag. 68

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Salvatore Vaccaro, Simona Bodecchi, Marika Iemmi 1 2 3 4 5 6 7 8

Il Vino entra a pieno titolo nella cultura mediterranea ed in particolare in quella delle nostre terre. Il “bere vino” racchiude in sé una simbologia complessa che comprende un insieme di abitudini, di esperienze, di modi di vivere nati e tramandati nelle generazioni attraverso i secoli. Negli ultimi decenni, a ritmo incalzante, su questa abitudine si sono succedute valutazioni di ogni tipo che spaziano dagli aspetti clinici, psicologici, biochimici e comportamentali ed arrivano a giudizi finali spesso molto diversi gli uni dagli altri.

La corretta collocazione del vino nella nostra alimentazione, tenendo conto dei rischi di tossicità, ma allo stesso tempo delle sue possibili potenzialità benefiche, è da sempre estremamente difficoltosa. Diviene così importante capire, per quanto possibile, quale possa essere il margine di sicurezza per la salute. Il problema può essere affrontato valutando il concetto di quantità, di modalità di assunzione e di accompagnamento o meno con i pasti, ed inoltre rapportandolo alla fascia di età, al sesso ed alle condizioni fisiologiche come la gravidanza, l’allattamento, l’accrescimento o la senilità. Ed ancora considerando l’assunzione in contemporanea con farmaci od in presenza di particolari patologie. È altresì fondamentale non tralasciare i numerosi risvolti tossici che l’etanolo può portare sviluppando dipendenza e gravi patologie. Il dibattito su questo argomento è in continuo divenire e noi, coinvolgendo vari esperti del settore a queste 3e Giornate Reggiane di Dietetica e Nutrizione Clinica, culliamo la speranza che approfondendo un tema così complesso si possano fissare basi di aiuto alla nostra attività quotidiana. Dott. William Giglioli Coordinatore Team Nutrizione Artificiale ASMN

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Parte 1

Alcool: Metabolismo ed Interazioni con

Nutrienti e Farmaci

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ALCOOL: ASPETTI GENERALI E METABOLISMO

Fabio Bassi

Medicina IIIa e Gastroenterologia - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova -

Reggio Emilia Definizione

Con il termine di “Alcool” si definisce una molecola idrosolubile di piccole dimensioni che viene assorbita lentamente dallo stomaco e più rapidamente a livello di intestino tenue, distribuita poi liberamente nell’organismo.

Viaggio di un drink: Assorbimento

Ogni bevanda alcolica che viene ingerita è assorbita per semplice diffusione a livello dello stomaco e del primo tratto di intestino tenue (duodeno e digiuno); lo stomaco ha una notevole capacità di assorbimento, ma la velocità con cui l’alcool viene assorbito è maggiore nel tratto digestivo successivo, in quanto a livello duodeno-digiunale il flusso ematico sottomucoso è maggiore e quindi maggiore è la capacità di trasporto.

Il tasso di assorbimento dell’alcool è influenzato da numerosi fattori: tra questi i principali sono la concentrazione della bevanda alcolica, l’assunzione concomitante di alimenti (in particolare i carboidrati, che ritardano lo svuotamento gastrico e rallentano il passaggio nel duodeno), il contenuto calorico del pasto, la concomitante assunzione di farmaci (soprattutto attraverso una azione sullo svuotamento gastrico), la miscelazione con anidride carbonica (che accelera l’immissione in circolo).

Dopo l’ingestione per via orale, la concentrazione ematica di alcool raggiunge un picco iniziale abbastanza velocemente (a distanza di circa un’ora), segue una fase di plateau, poi tale concentrazione si riduce progressivamente in maniera più o meno lineare nel giro di altre quattro ore. L’alcool viene rimosso dal sangue alla velocità di circa 3,3 mmol/ora (15 mg/100 ml/ora). La concentrazione ematica di alcool varia in accordo al sesso, alle dimensioni dell’organismo, alla fase del ciclo mestruale (è più alto durante la fase pre-mestruale e alla ovulazione), alla pregressa esposizione all’alcool, al tipo di drink, all’ingestione concomitante di alimenti o farmaci. Le differenze di sensibilità all’alcool tra i due sessi sono in gran parte dovute al differente spazio di distribuzione: infatti esse praticamente scompaiono se si tiene in considerazione questo parametro.

Diffusione

Una volta assorbito nel torrente circolatorio, l’alcool diffonde rapidamente attraverso le pareti dei capillari nei vari tessuti, raggiungendo un equilibrio tra l’acqua nel sangue e i fluidi extracellulari attraverso un singolo passaggio nei capillari, e raggiungendo un equilibrio tra l’acqua nel sangue e l’acqua totale nei tessuti in un tempo variabile da pochi minuti ad alcune ore a seconda dell’area di sezione trasversale del letto capillare locale e dal

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volume-minuto di flusso ematico per grammo di tessuto. Nel complesso quindi il volume di distribuzione dell’alcool è il volume di acqua totale corporea.

Essendo la distribuzione dell’alcool nell’organismo veicolata dall’acqua, la maggior parte dei tessuti (come il cuore, il cervello, i muscoli) è esposta alla stessa concentrazione di alcool del sangue. L’unica eccezione è rappresentata dal fegato, dove l’esposizione è maggiore poiché il sangue giunge a tale organo direttamente dallo stomaco e dall’intestino tenue attraverso la vena porta.

La diffusione dell’alcool nell’organismo è in genere lenta ad eccezione di quegli organi con un ricco apporto ematico, quali il sistema nervoso centrale e i polmoni. A livello dei grassi la diffusione è molto modesta a causa della scarsa liposolubilità della molecola di alcool. Di conseguenza le concentrazioni ematiche e tessutali di alcool sono più elevate nelle donne (che presentano una proporzione più elevata di tessuto adiposo sottocutaneo e un minor volume ematico) rispetto agli uomini, a parità di alcool ingerito (tenendo anche in considerazione l’aggiustamento per il peso corporeo). In più, i livelli di alcool-deidrogenasi (uno degli enzimi che interviene nel metabolismo dell’alcool) nello stomaco possono essere più bassi nelle donne rispetto agli uomini, così che una minore quota di alcool può essere metabolizzata prima di essere assorbita. Metabolismo

Il primo step nel metabolismo dell’alcool è l’ossidazione ad acetaldeide in presenza di cofattori e attraverso la alcool-deidrogenasi, di cui esistono almeno quattro isoenzimi.

Questa attività inizia a livello della mucosa gastrica (first pass metabolism) dove è presente una attività alcoldeidrogenasica. L’acetaldeide è una sostanza tossica e altamente reattiva, che negli individui sani viene rapidamente ossidata ad acetato attraverso l’aldeide-deidrogenasi, di cui esistono numerosi isoenzimi. La variabilità genetica degli enzimi che intervengono nel metabolismo dell’alcool è alla base delle differenze razziali e individuali nella tolleranza e nella suscettibilità al danno d’organo nei confronti dell’etanolo. In condizioni normali l’acetato, a livello di fegato e tessuti periferici, è poi ossidato ad anidride carbonica e acqua che rappresentano i prodotti di eliminazione assieme a residue quantità di etanolo che vengono eliminate per via respiratoria (su questo aspetto si basa il test sul respiro in uso dalla polizia stradale) o renale.

Un aspetto particolare nel metabolismo dell’alcool è quello che accade nel miocardio in cui non vi è un metabolismo ossidativo dell’etanolo ma in cui, ad opera di una sintetasi specifica, si determina la formazione di etilesteri di acidi grassi che giocherebbero un ruolo importante nel determinismo del danno miocardio da etanolo. Analogo fenomeno si verifica anche a livello cerebrale ove peraltro vi è anche una attività acetaldeide-deidrogenasi.

Negli individui con abitudine etilica protratta si vengono a instaurare due meccanismi di “tolleranza”: si assiste a un incremento del metabolismo dell’alcool (come dimostrato dalla presenza di elevati livelli ematici di acetato) e a una induzione enzimatica del citocromo P450. Come conseguenza si ha una inibizione della gluconeogenesi epatica, una riduzione del ciclo dell’acido citrico e una compromissione della ossidazione degli acidi grassi. La produzione di glucosio è quindi ridotta (con il rischio di ipoglicemie), la

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sovrapproduzione di acido lattico blocca l’escrezione renale di acido urico, l’accumulo di acidi grassi è convertito in lipidi e corpi chetonici.

Eliminazione

Più del 90% dell’alcool è eliminato attraverso il fegato, il 2-5% è escreto immodificato con le urine, il sudore, il respiro.

Sesso ed età

In base a quanto descritto finora è facilmente intuibile come le differenze legate al sesso e all’età nella farmacocinetica dell’alcool siano in gran parte spiegate dalle differenze nella composizione corporea e alle conseguenti differenze nei volumi di distribuzione corporea (le donne presentano una più alta percentuale di grasso corporeo e una corrispondente minore percentuale cimasa magra rispetto all’uomo). Quando infatti la quantità è calcolata sulla base dell’acqua corporea totale piuttosto che sul peso corporeo le differenze legate all’età e al sesso virtualmente scompaiono.

Alcool e nutrizione

L’alcool può essere considerato un macronutriente in quanto fornisce 29 kj/g. L’alcool agisce poi farmacologicamente sul sistema nervoso agendo in primo luogo attraverso la attivazione dei recettori dell’acido gamma-aminobutirrico. Entrambe queste azioni hanno effetti sull’apporto alimentare. Benché un moderato apporto di alcool possa stimolare l’introduzione di alimenti nel breve termine, gli effetti complessivi dell’alcool sul bilancio energetico in termini di rischio di obesità non risultano ancora del tutto chiariti.

Effetti dell’alcool

L’ingestione di alcolici può determinare sia effetti piacevoli che tossici, in relazione soprattutto alle quantità ingerite e alla persistenza dell’abitudine.

Effetti piacevoli

Gli effetti piacevoli dell’alcool sono meglio raggiunti quando l’ingestione si accompagna ai pasti e quando la bevanda alcolica è diluita. In base agli effetti sul comportamento, l’alcool può essere considerato un sedativo e un blando anestetico. E’ ipotizzato che attivi i centri del piacere nel sistema nervoso centrale innescando il rilascio di neurotrasmettitori quali la dopamina e la serotonina. Produce un senso di benessere, rilassamento, euforia e disinibizione. Questi sentimenti possono essere accompagnati da modificazioni fisiologiche quali flushing, sudorazioni, tachicardia, incremento della pressione arteriosa, probabilmente dovuti a una stimolazione dell’ipotalamo e a un aumentato rilascio di amine simpaticomimetiche e ormoni ipofiso-surrenalici.

Effetti tossici

Un incremento progressivo della assunzione di alcool porta a uno stato di intossicazione che dipende dalla quantità di alcool introdotto e dalla pregressa abitudine etilica. Anche a una bassa concentrazione ematica di alcool di circa 6,5 mmol/l (30 mg/100

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ml) il rischio di danno non intenzionale è più alto rispetto alla assenza di alcool nel sangue, benché debba essere tenuta in considerazione l’esperienza individuale e la complessità della mansione da svolgere. A 17,4 mmol/l (80 mg/100 ml), il limite legale corrente per poter guidare nel Regno Unito, il rischio di un incidente automobilistico raddoppia; a 34,7 mmol/l (160 mg/100 ml) addirittura aumenta oltre le dieci volte. A 21,7 mmol/l (100 mg/100 ml) gli individui diventano aggressivi; a questo livello se viene interrotta l’assunzione di alcool si possono manifestare gli effetti di “hangover”, quali insonnia, affaticamento, nausea e cefalea. Se al contrario l’assunzione di alcool viene continuata, a 43,4 mmol/l (200 mg/100 ml) l’individuo inizia a farfugliare, compare instabilità motoria, può sopraggiungere perdita di coscienza. Concentrazioni ematiche superiori a 86,8 mmol/l (400 mg/100 ml) sono in genere fatali per il sopraggiungere di fibrillazione ventricolare, insufficienza respiratoria, ab ingestis.

E’ ormai universalmente riconosciuto che il regolare apporto di alcool nel tempo sia di danno alla maggior parte dei tessuti dell’organismo. La relazione tra i livelli di alcool nel sangue e le patologie alcool-correlate è complessa. Alcune forme di patologia sono legate al metabolismo dell’alcool e quindi alla quantità totale di alcool introdotta in relazione a un periodo di tempo (steatosi epatica, epatite, cirrosi, epatocarcinoma, gastrite, pancreatite, neoplasie del cavo orale, della laringe, dell’esofago, della mammella, del colon, del polmone, diabete, deficit nutrizionali, cardiomiopatie, ipertensione arteriosa, strokes, neuropatie, miopatie, disfunzioni sessuali, infertilità, danno fetale, tossicità ematopoietica, alterazioni cutanee, endocrinologiche, immunitarie, danni renali), mentre altri tipi di malattia sono legati principalmente alle massime concentrazioni di alcool raggiunte nel sangue e nei fluidi corporei durante un singolo episodio di ingestione di alcolici (epatite, gastrite, pancreatite, gotta, aritmie cardiache, traumi, strokes, danno fetale).

Alcool e società

Il consumo rischioso e dannoso di alcool ha un notevole impatto sulla salute pubblica ed è causa di costi riferibili al sistema di cura, alle assicurazioni sanitarie, al rafforzamento della legge e dell’ordine pubblico; ha quindi un impatto negativo sullo sviluppo economico e sulla società nel suo insieme. E’ un determinante di salute fondamentale ed è una delle cause principali di morte prematura e di malattia evitabile (causa netta del 7,4% di malattia e di morte prematura nell’Unione Europea).

In Italia, nonostante il consumo medio pro-capite di alcool puro sia diminuito del 37% circa nel corso degli ultimi 20 anni, si assiste a un notevole incremento del numero di consumatori e a una relativa stabilità delle fasce di popolazione che ne abusa. Come dimostrato da recenti valutazioni dell’Osservatorio Nazionale Alcool dell’Istituto Superiore di Sanità la diminuzione del consumo medio di alcool nasconde problemi tuttora irrisolti.

In seguito alle modificate abitudini e alla nuova cultura del bere, influenzate dalla sempre maggiore disponibilità ed offerta di bevande alcoliche, i giovani (ma anche gli adulti e in particolare le donne) hanno adottato modelli di consumo che, separando il bere dalla ritualità dei pasti, hanno trasformato il significato originale del bere in un valore e in un gesto comportamentale prevalentemente legato all’uso di alcool in funzione degli effetti che esso è in grado di esercitare sulle performance personali (l’alcool è utilizzato per sentirsi più

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sicuri, più loquaci, per facilitare le relazioni interpersonali, per apparire più emancipati, per essere più facilmente accettati dal gruppo o per conquistare un ruolo di presunta leadership nel gruppo). L’alcool infatti, a differenza degli altri principali fattori di rischio, gode di una accettazione sociale.

Bibliografia essenziale

1. Paton A. Alcohol in the body. BMJ 2005; 330: 85-87. 2. Yeomans MR. Effects of alcohol on food and energy intake in human subjects: evidence for passive and

active over-consumption of energy. British Journal of Nutrition 2004; 92 suppl. 1: S31-S34. 3. Lieber CS. Alcohol metabolism: general aspects. Comprehensive Handbook of Alcohol related Pathology.

2005, volume I: 15-26. 4. Kalant H. Effects of food and body composition on blood alcohol levels. Comprehensive Handbook of

Alcohol related Pathology. 2005, volume I: 87-102. 5. Patussi V, Mezzani L, Scafato E. An overview of pathologies occurring in alcohol abusers.

Comprehensive Handbook of Alcohol related Pathology. 2005, volume I: 255-262.

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ALCOOL E NUTRIZIONE

Nino Carlo Battistini, Salvatore Vaccaro Cattedra di Scienze Tecniche Dietetiche - Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Team Nutrizionale - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

Premessa

La parola “Alcool” deriva dal termine arabo “al-kool”, che significa “finissima polvere per tingere le sopracciglia di nero”. Giunta in occidente assunse il significato di “polvere impalpabile”, finché nel XVI° secolo il medico alchimista Paracelso chiamò in questo modo ogni polvere essenziale o essenza del vino (alcohol vini).

La nostra cultura alcolica è infarcita di luoghi comuni e pregiudizi: che fa salute, che fa virile, che fa sangue, che l'alcol muove ricchezze (fatturato annuo 12 miliardi di Euro, ma anche danni sociali per 14 miliardi di Euro!).

È indiscutibile però che l'uomo, sin dall'antichità, ha sempre prodotto e consumato sostanze alcoliche. La pianta più utilizzata inizialmente fu l'albero della palma, ma anche la canapa, l'agave, il riso, il grano, l'orzo. Tra le attuali bevande la birra ha le tradizioni più antiche, ve ne sono tracce risalenti a 10.000 anni prima di Cristo, mentre la “nascita” del vino è relativamente più recente e data intorno al 4.000 A.C. Questa differenza di “età” è giustificata dal fatto che l'orzo era geograficamente molto più diffuso e di più facile conservazione, quindi era possibile produrre la bevanda quando se ne aveva bisogno. La coltivazione dell'uva era meno diffusa, richiedeva metodi di coltivazione più complessi, il raccolto e l'impiego erano legati ad un solo periodo dell’anno: la vendemmia. Inoltre, conservare il vino richiedeva tecnologie più sofisticate rispetto alla birra. La viticoltura e l'arte di fare il vino hanno origini orientali, sono infatti le popolazioni ariane che introducono in occidente queste culture in occasione delle loro migrazioni.

Le bevande alcoliche in generale, e il vino in particolare, hanno trovato grande utilizzo in campo medico: da Ippocrate, il grande medico greco, a Galeno, alla Scuola Salernitana fino ai primi anni di questo secolo. Anche nella medicina araba il vino trova vari impieghi a scopo terapeutico, e questo uso permane in parte anche dopo la proibizione coranica.

Le bevande alcoliche hanno avuto anche un importante ruolo nelle pratiche religiose di moltissimi popoli, dal Mescal utilizzato nelle civiltà precolombiane, al vino utilizzato in Grecia e a Roma con la mitologia di Dioniso e di Bacco cui erano dedicate apposite feste religiose. La vite e il vino hanno un ruolo centrale nella religione cristiana: la tradizione legata a Noe', il vino come sangue di Cristo, i membri della Chiesa come tralci di un'unica vite. Nella tradizione ebraica il vino è simbolo della festa e della gioia del Giorno fuori dal Tempo oltre che segno di alleanza fra Dio e il popolo eletto.

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Alcool - alimento L'alcool, quello alimentare contenuto in diversa concentrazione nelle bevande

alcoliche, è una sostanza che deriva dalla fermentazione degli zuccheri presenti nella frutta o dall'amido di cui sono ricchi cereali e tuberi.

Le bevande alcoliche fermentate da vegetali o frutti, come il vino, la birra e molte altre, sono conosciute e consumate dall'uomo da millenni e fanno parte della cultura, dei riti e della vita sociale di quasi tutti i popoli del mondo. Sebbene proprio tali bevande, e per gli italiani il vino in particolare, rappresentano da tempo immemorabile uno dei componenti dell'alimentazione quotidiana, il punto di vista delle raccomandazioni dietetiche è ancora controverso. Infatti, ci sono nutrizionisti che sostengono che l'alcool, non rientrando tra i principi nutritivi classicamente riconosciuti (zuccheri, proteine, grassi, sali minerali, vitamine ed acqua) non dovrebbe essere inserito nelle tabelle di composizione alimentare e non andrebbe considerato nel calcolo dei fabbisogni giornalieri per i soggetti sani (L.A.R.N. - Livelli di Assunzione Raccomandati per i Nutrienti).

È questa l'occasione per chiarire che, in linea generale, le vitamine e le proteine sono presenti nel vino in scarsa quantità, ma i sali minerali si trovano in buona quantità in tutti i fermentati alcolici. Inoltre, vino e superalcolici, secondo rigidi esperti, conterrebbero come unico principio nutritivo i glucidi (zuccheri). Il problema non risolto, quindi, consiste nel fatto che l'alcol etilico non è in grado di soddisfare, da solo o aggiunto agli altri alimenti, le importanti funzioni che vengono riconosciute ai nutrienti classici e che li rendono raccomandati.

Non si deve però trascurare che, l'alcol ha un elevato potere calorico, infatti, la combustione di 1 grammo sviluppa 7,1 calorie. Ma non è un buon combustibile, perché brucia troppo rapidamente. Le calorie realizzate dalla trasformazione dell'alcol da parte del nostro organismo, vengono rapidamente disperse sotto forma di calore che si dissolve in pochi istanti a causa della vasodilatazione cutanea che si verifica dopo aver bevuto.

Esiste una relazione tra alto consumo di alcol ed aumento dei depositi di grasso corporeo (azione ingrassante), infatti è evidente che se assunto in eccesso rispetto alle esigenze energetiche, l'alcol finisce col determinare un vero e proprio effetto ingrassante. Tant’é che nel trattamento dell'obesità basta diminuire o eliminare del tutto le bevande alcoliche, per ottenere un primo rapido dimagramento.

Le quantità raccomandabili, ci limiteremo alle indicazioni dell'O.M.S. in linea con i L.A.R.N. per la popolazione italiana: si può affermare che per la popolazione italiana adulta un’assunzione quotidiana di 40 gr di alcol possa essere concessa (questo vale per gli uomini, per la donna, invece, si deve diminuire a 30 gr al giorno). In pratica, non più di 3 bicchieri di vino da ripartire tra i due pasti principali per i maschi e non più di 2 bicchieri per le donne; un poco meno per i soggetti anziani che vanno qui assimilati alle donne. Tali quantità non devono comunque superare il 10% dell' introito calorico (WHO, 1990). Vi sono infine situazioni fisiologiche e patologiche in cui non andrebbe consumato nessun tipo di bevanda alcoolica (gravidanza, età inferiore a 18 anni, diabete mellito, assunzione di alcuni farmaci, guida di autoveicoli) e non appare opportuno, per i motivi suddetti, allargare l'assunzione di alcool, anche in piccole quantità, alla popolazione che non ne fa attualmente uso (fonte L.A.R.N.).

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Quindi l’alcol non è da considerare come un alimento in grado di farci stare bene se assunto in quantità elevate, ma può rappresentare un buon complemento per gli alimenti e stimolare i processi digestivi quando l'ingestione è moderata. Una giusta quantità di vino o di birra durante i pasti può infatti avere effetti benefici su alcune funzioni digestive, mentre l'abuso causa con il tempo dipendenza e danni a vari organi e apparati.

Quantità di alcol

Il problema abuso-dipendenza etilica deve sempre essere affrontato, anche se la valutazione quantitativa di astemio, medio e forte bevitore è molto soggettiva e, spesso, è legata a un tentativo di minimizzare abitudini ormai acquisite da parte del soggetto in esame. Talvolta risulta difficile stabilire la reale quantità di alcol assunta nell'arco di una giornata, perché, per esempio, chi beve a pasto spesso non sa definire quanti bicchieri realmente beve e inoltre non considera mai la grandezza del bicchiere usato.

Per quantificare l’alcol bevuto è opportuno avere un'idea di quanto alcol ci sia in un bicchiere e in una bevanda. La quantità di alcol contenuta in ogni bevanda è diversa e varia in base alla sua gradazione alcolica, ma può essere identificata applicando la regola dell'unità alcolica (U.A.). Il sistema di calcolo è il seguente: 1. leggere sull'etichetta il numero di gradi alcolici che è espresso in volume %; 2. moltiplicare i gradi alcolici per 0,8 (peso specifico dell'alcol), ricordando che il risultato

della moltiplicazione darà i gradi per 100 ml della bevanda; 3. moltiplicare questo secondo valore per 7 (Kcal per grammo date dall’alcol), ottenendo

così il numero di Kcal per 100 ml di bevanda. Alcuni esempi calcolati per dose bevanda (ml) di assunzione:

Bevanda Alcol (vol.%)

Dose in ml

Alcol per dose

kcal per dose

Vino rosso secco 11-12 150-200 13-19 90-130 Vino bianco secco 10-11 150-200 12-18 85-125 Amaro 25 50 10 70 Grappa 42 40 13,5 95 Whisky 43 40 14 100 Cognac 42 40 13,5 95 Brandy 40 40 13 90 Liquori da dessert 36 40 11 125 Birra chiara 3,5-5 330 9-43 100-140 Assorbimento

L'assorbimento dell’alcol è estremamente rapido; infatti inizia immediatamente dopo l'ingestione e si completa in un tempo variabile dai 15 ai 40 minuti. La sua presenza nel sangue è riscontrabile entro 5 minuti dall'ingestione e raggiunge la massima concentrazione ematica in un tempo compreso tra i 30 minuti e 2 ore.

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La velocità dell'assorbimento dipende dal fatto che l’alcol etilico si diffonde facilmente attraverso le membrane biologiche in qualsiasi punto del tubo digerente, con una prevalenza nell'intestino tenue, ma anche nel cavo orale, nello stomaco nel colon e nel retto. • Il passaggio nel sangue è tanto più rapido quanto più elevata è la concentrazione

alcolica, mentre l'assunzione di una stessa quantità di alcol frazionata in più dosi, determina un tasso alcolico inferiore.

• La presenza di cibo nello stomaco determina un rallentamento dell'assorbimento dell'alcol, perciò se l'assunzione si verifica durante il pasto, il tasso alcolico presenta un picco inferiore e si normalizza più velocemente. Questo è il motivo per cui un paio di bicchieri di vino bevuti a digiuno producono un effetto maggiore che la stessa quantità di vino bevuto durante il pasto.

• L'ingestione di sostanze grasse, latte e derivati rallenta il processo di assorbimento dell’alcol.

• Altre condizioni particolari influenzano il suo assorbimento, per esempio il tempo di svuotamento gastrico, il grado di acidità del succo gastrico, la contemporanea assunzione di farmaci che alterano la motilità gastroenterica e il flusso di sangue alle mucose.

• Le persone che soffrono di gastrite assorbono più facilmente l’alcol, a causa delle alterazioni infiammatorie della mucosa gastrica.

La velocità di assorbimento dell’etanolo può essere quindi influenzata da: Sesso

Peso Corporeo Modalità d’assunzione

Condizioni di Salute

Assunzione di Farmaci Tipo di cibo presente nello stomaco

Tipo di bevanda Momento (ora) di ingestione

Distribuzione

Per distribuzione si intende la diffusione di una sostanza nei diversi compartimenti dell'organismo. L'etanolo ha una rapida diffusione e distribuzione. Tanto maggiore è la vascolarizzazione di un organo, tanto più immediati saranno gli effetti dell’alcol: i primi distretti ad essere interessati dalla diffusione dell’alcol sono quindi il sistema nervoso centrale e, subito dopo, il fegato, i reni, il cuore. In un secondo tempo vengono interessati anche i muscoli, perché sono organi a perfusione lenta, e il tessuto adiposo, nel quale l'etanolo tende a depositarsi; per questo le persone grasse possono aver una maggior resistenza alla sostanza di quanto dimostrino di avere le persone magre.

Fattori che possono influenzare la diffusione dell’alcol: • Stanchezza • Tensione nervosa • Affaticamento

• Malattie e medicine • Nicotina e caffè

Metabolismo

Il 90-95% dell’etanolo introdotto va incontro a complesse trasformazioni, che si svolgono quasi esclusivamente a livello epatico, perciò il fegato è l'organo più esposto agli effetti dei prodotti tossici che si sviluppano come conseguenza della degradazione dell’alcol.

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Anche la concentrazione alcolica della bevanda che si consuma ha molta importanza, come determinante risulta anche il fatto che l’alcol venga ingerito a stomaco vuoto oppure durante e/o dopo i pasti. Contano infine la velocità con cui si beve e, naturalmente, le differenze tra individuo e individuo, come il peso corporeo, il sesso e lo stato di salute. Le azioni che l’alcol produce sul sistema nervoso sono varie e dipendono soprattutto da quanto se ne ingerisce e in quali condizioni lo si fa. Assumere una moderata quantità alcolica, come è in grado di dare una birra, risulta leggermente euforizzante, producendo nel consumatore una sensazione di benessere che si traduce in un comportamento più rilassato, più aperto alla socialità, più positivo. Bere grandi quantità di alcol, in forte concentrazione e molto velocemente, deprime invece fortemente il sistema nervoso provocando abbattimento o comportamenti aggressivi ed alterazioni delle percezioni visive, uditive e motorie, fino ad arrivare a forme di perdita del controllo e della coscienza di sé.

Tossicità

Nel metabolismo dell'etanolo si verificano: • modificazioni dello stato ossidoriduttivo delle cellule e, quindi, modificazioni funzionali

di tipo metabolico; • la produzione di metaboliti tossici e reattivi, come l’acetaldeide, capaci di provocare

lesioni cellulari reversibili se in fase precoce, ma che conducono a un danno irreparabile se l'abuso di alcol continua.

La variazione del potenziale ossidoriduttivo delle cellule provoca l'attivazione di enzimi e una conseguente serie di disfunzioni metaboliche riguardanti il metabolismo lipidico, glucidico, l’equilibrio acido-base e l’eliminazione di acido urico. Quando esiste una condizione di intossicazione alcolica è facile trovare un accumulo di trigliceridi nel fegato (steatosi) e una dislipidemia nel sangue, caratterizzata soprattutto da aumento della produzione di acidi grassi (ipertrigliceridemia) e delle lipoproteine (dislipoproteinemia).

Nell'etilismo cronico aumenta la concentrazione ematica delle HDL (le lipoproteine ad azione protettiva nei confronti dell'arteriosclerosi), ma insorgono le patologie epatiche derivanti dall’etilismo cronico come la cirrosi, l’epatite alcolica cronica, l’epatocarcinoma.

L’alcol etilico influenza il metabolismo epatico dei glucidi inibendo il processo di sintesi del glucosio, il suo deposito sotto forma di glicogeno e attivando il processo di demolizione del glicogeno: in questo modo tende ad esaurire le scorte glicidiche ed ostacola la loro reintegrazione. È particolarmente pericolosa l'assunzione di alcol al mattino, a digiuno, perché le scorte di glicogeno sono praticamente esaurite, perciò facilmente si manifesta la condizione di ipoglicemia da alcol.

La tossicità dell’alcol, e precisamente dei suoi metaboliti liberati durante il processo di ossidoriduzione, si manifestano su numerose strutture causando gravi conseguenze. Oltre ai danni sul fegato, che costituisce l’organo essenzialmente deputato alla trasformazione dell’alcol, il bevitore cronico subisce danni allo stomaco, quali gastriti, emorragie ed ulcere, disturbi a livello del sistema nervoso, con manifestazioni dolorose alle gambe e alle braccia, disturbi di ordine psicologico, come depressione, alterazione della capacità di giudizio, di autocontrollo e di coordinazione, ipertensione, carenze vitaminiche, disturbi sessuali, danni cerebrali, malattie muscolari, cancro alla bocca, all'esofago, alla gola.

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Il bere in eccesso provoca gravissimi danni ed è causa di morte per molte persone (in Italia si stimano 30.000 morti all'anno). Le principali condizioni che portano alla morte sono alcune patologie come la cirrosi epatica e i tumori, condizioni metaboliche particolari, come l'acidosi o l'ipoglicemia, ma anche gli incidenti stradali ed il suicidio. Eliminazione

La quantità di alcol eliminata come tale e, quindi non metabolizzata, dipende dalla dose assunta ed oscilla tra il 2 e il 10% del totale. L’eliminazione avviene principalmente attraverso i reni e i polmoni, ma piccole quantità possono comparire anche nella saliva, nel sudore, nelle lacrime, nella bile, nel succo gastrico e nel latte.

Immaginando di quantificare la quantità di alcol bevuta come un’unità alcolica (U.A.), si può dire che il nostro corpo impiega un tempo compreso tra 1 e 4 ore per smaltirne 1 unità e per liberarsi dei suoi effetti tossici. È quindi difficile la ripresa dopo una bevuta eccessiva, perciò quel senso di malessere e di confusione che l'accompagnano perdurano per un tempo tanto più lungo quanto più grande è la quantità di alcol ingerita. Il problema aumenta, nelle persone più giovani e più magre.

(Tratto da "Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana" del Ministero delle Politiche Agricole e

Forestali e dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione)

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Altro aspetto da considerare sono i valori indicativi di alcolemia (gr di alcol per litro di sangue) in funzione della quantità di alcol ingerita (espressa in U.A.) e del tempo trascorso dall'ingestione (in condizione di digiuno) [tab. 2] e i relativi effetti sul nostro organismo [tab. 3].

I valori riportati sono calcolati prendendo in considerazione un peso di 70 kg per l'uomo e di 60 kg per la donna. L'assunzione durante i pasti determina una diminuzione dell'alcolemia all'incirca pari ad una U.A. Per ottenere i valori raggiungibili dopo i pasti bisognerà quindi diminuire di una unità il numero complessivo di U.A. ingerite. La formula usata tiene conto del volume di alcol introdotto, del volume di acqua corporea e della capacità dell'organismo di eliminare l'alcol.

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Conclusioni Nei primi anni 80 un’ampia ricerca epidemiologica condotta in Europa aveva evidenziato, che i francesi di età media, noti per essere grossi consumatori di cibi ad elevato contenuto di acidi grassi saturi e colesterolo (il consumo di formaggio pro capite in Francia supera, ad oggi, i 22 kg l’anno), se confrontati con le altre popolazioni europee e con gli americani, avevano mostrato una netta diminuzione dell'incidenza della coronaropatia ad esito mortale (infarto acuto del miocardio). Il consumo di grassi, della popolazione francese è assimilabile a quella americana che è tristemente famosa per la preoccupante incidenza dell’obesità e delle sue complicanze cardiovascolari. In ogni caso, gli studi che si sono poi susseguiti hanno evidenziato che la ragione di questa tendenza positiva (denominata “il paradosso francese”) va attribuita ad alcune sostanze contenute nel vino rosso che svolgono un'attività anti-ossidante. Più precisamente, la sostanza in questione è il resveratrolo che appartiene ad un ampio gruppo di composti chimici contenuti nel vino e nelle bevande alcoliche che derivano propriamente dall'uva. Queste sostanze appartengono, a loro volta, alla grande famiglia dei flavonoidi (anche noti come polifenoli) che sono presenti negli ortaggi, nella frutta e anche nelle foglie del tè.

Studi più recenti hanno evidenziato che nel vino rosso si trovano anche flavonoidi che ne appoggiano il potere anti-ossidante. Inoltre, molti sono anche gli studi che attribuiscono al consumo prolungato di vino, alcune modificazioni strutturali a carico di componenti del sangue. Per esempio, secondo ricerche italiane, i globuli rossi, le piastrine e altri fattori della coagulazione, se provenienti dal sangue di soggetti considerati forti bevitori, quando vengono stimolati (in laboratorio) da un forte insulto ossidativo, mostrano una differente composizione strutturale al confronto con le cellule del sangue che provengono invece da soggetti di controllo che non sono bevitori abituali.

Quindi, sempre senza eccessi, un bicchiere di vino rosso ai pasti, può essere consigliabile. Effetti Positivi: se assunto in quantità moderata l’alcol: • stimola la secrezione salivare, gastrica e facilita la digestione, ma se la concentrazione è

elevata la digestione viene ridotta ed anche inibita; • ha un ruolo socializzante, in quanto a piccole dosi dà un senso di fiducia in se stessi; • facilità di parola, leggera euforia, azione disinibitrice; • stimola la fantasia e i processi ideativi; • sul sistema cardiocircolatorio l’alcol provoca dilatazione dei vasi sanguigni periferici

diminuendo il rischio di arteriosclerosi e l’infarto; • sul sistema nervoso diminuisce la sensibilità al dolore; • l’alcol stimola anche la funzione respiratoria e la diuresi; • il potere calorico dell’alcol è di 7 kcal/gr, pertanto ha un piccolo ruolo nell’apporto

calorico della dieta; • in cucina viene usato per rendere più piacevole il cibo.

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Regole Fondamentali: • bere sempre a stomaco pieno; • bere a piccoli sorsi; • bere alcol a bassa gradazione rispetto ai superalcolici; • l'introduzione lenta di alcol dà una concentrazione più bassa; • mai miscele di superalcolici; • ambienti con aria viziata peggiorano la situazione.

FALSE CREDENZE SULL’ALCOL ®

1. Non è vero che l’alcol aiuti la digestione; al contrario la rallenta e produce ipersecrezione gastrica con alterato svuotamento dello stomaco. 2. Non è vero che il vino faccia buon sangue; è vero invece che un abuso di alcol può essere responsabile di varie forme di anemia e di un aumento dei grassi presenti nel sangue. 3. Non è vero che le bevande alcoliche dissetino ma, al contrario, disidratano: l’alcol richiede una maggior quantità di acqua per il suo metabolismo, e in più aumenta le perdite di acqua attraverso le urine, in quanto provoca un blocco dell’ormone antidiuretico. 4. Non è del tutto vero che l’alcol ci riscaldi. In realtà la vasodilatazione di cui è responsabile produce soltanto una momentanea e ingannevole sensazione di calore che in breve, però, comporta un ulteriore raffreddamento del corpo e che, in un ambiente non riscaldato, aumenta il rischio di assideramento. 5. Non è vero che l’alcol aiuti a riprendersi da uno shock: al contrario, provocando vasodilatazione periferica, determina un diminuito afflusso di sangue agli organi interni e soprattutto al cervello. 6. Non è vero che l’alcol dia forza. Essendo un sedativo produce soltanto una diminuzione del senso di affaticamento e di dolore. Inoltre solo una parte delle calorie da alcol possono essere utilizzate per il lavoro muscolare.

COME COMPORTARSI ®

Se desideri consumare bevande alcoliche, fallo con moderazione, durante i pasti secondo latradizione italiana, o in ogni caso immediatamente prima o dopo mangiato Fra tutte le bevande alcoliche, dai la preferenza a quelle a basso tenore alcolico (vino e birra). Evita del tutto l’assunzione di alcol durante l’infanzia, l’adolescenza, la gravidanza e l’allattamento, riducila se sei anziano. Non consumare bevande alcoliche se devi metterti alla guida di autoveicoli o devi far uso di apparecchiature delicate o pericolose per te o per gli altri, e quindi hai bisogno di conservare intatte attenzione, autocritica e coordinazione motoria. Se assumi farmaci (compresi molti farmaci che non richiedono la prescrizione medica), evita o riduci il consumo di alcol, a meno che tu non abbia ottenuta esplicita autorizzazione da parte del medico curante Riduci od elimina l’assunzione di bevande alcoliche se sei in sovrappeso od obeso o se presenti una familiarità per diabete, obesità, ipertrigliceridemia, ecc ® Bevande alcoliche: se sì, solo in quantità controllata. Tratto da "Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana" del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione

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Bibliografia

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erythrocyte susceptibility to lipid peroxidation. Biochem Mol Biol Int. 1993 Aug;30(5):807-812 Bevande alcoliche: se sì, solo in quantità controllata.Tratto da "Linee Guida per una Sana Alimentazione

Italiana" del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione.) Criqui MH & Ringel BL (1994) Does diet or alcohol explain the French paradox? The Lancet, 344: 1719-

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Technical Report Series n. 797, Geneva

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ALCOOL E FARMACI

Mauro Miselli

Farmacie Comunali Riunite - Reggio Emilia

L’alcool interagisce con molti farmaci aumentandone o riducendone l’effetto e risultandone a sua volta influenzato. Gli anziani sono a più alto rischio di eventi avversi per la maggiore frequenza di politerapia che aumenta la probabilità di interazioni e la minor presenza di acqua corporea rispetto alla massa grassa che, a parità di assunzione, favorisce livelli ematici superiori di alcool.

Le interazioni clinicamente significative sono di tipo metabolico e farmacodinamico. Il metronidazolo (forse il tinidazolo) e il cefamandolo possono causare una reazione (disulfiram-simile) caratterizzata da vampate di calore al volto, cefalea pulsante, ipotensione, tachicardia, nausea e vomito; raramente è pericolosa, ma sono segnalati casi di collasso, aritmie cardiache e decessi con dosi molto alte di alcool. Vampate di calore al volto vengono riportate anche in pazienti in trattamento con clorpropamide, ketoconazolo, griseofulvina e procarbazina. Il verapamile ritarda l’eliminazione dell’alcool e ne prolunga gli effetti. L’alcool può interferire con i farmaci metabolizzati a livello epatico; il tipo di interferenza dipende dalle modalità di assunzione (acuta o cronica).

La sbornia occasionale inibisce il metabolismo dei farmaci per competizione con gli enzimi epatici; per contro un’assunzione regolare di ingenti quantitativi di alcool (>200g/die) stimola gli enzimi microsomiali accelerando il metabolismo dei farmaci. Nei forti bevitori, i livelli di fenitoina si riducono di circa un terzo; non vengono invece influenzati dall’assunzione moderata od occasionale di alcool. Probabilmente anche la carbamazepina presenta un comportamento analogo. Negli etilisti cronici l’emivita del warfarin si riduce e sono necessarie dosi maggiori per ottenere un effetto terapeutico, ma pazienti ben controllati col warfarin possono diventare eccessivamente scoagulati dopo una bevuta occasionale. Un elevato consumo cronico di alcool induce gli enzimi che trasformano il paracetamolo nel suo metabolita epatotossico.

La malnutrizione spesso associata all’alcolismo può comportare una carenza di glutatione con conseguente riduzione del meccanismo di “sequestro” dell’epatotossina. I forti bevitori risultano perciò a maggior rischio di epatossicità dopo sovradosaggi modesti di paracetamolo. L’alcool aumenta l’effetto sedativo degli antidepressivi, degli ansiolitici, degli antipsicotici, degli analgesici stupefacenti e degli antistaminici di 1a generazione. L’entità della interazione dipende dalla dose del farmaco e dal grado di abitudine all’alcool.

Con alcuni farmaci, l’effetto depressivo sul SNC è transitorio, si verifica solo all’inizio del trattamento e scompare col tempo. In alcuni forti bevitori cronici, i farmaci depressori del SNC possono non avere alcun effetto additivo.

I pazienti che assumono ACE-inibitori, nitrati, beta-bloccanti o alfa-bloccanti possono sviluppare una ipotensione posturale con vertigini e sincope dopo aver bevuto dell’alcool soprattutto all’inizio del trattamento. L’alcool accentua la tendenza dei FANS a

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causare sanguinamento gastrointestinale, ma il rischio relativo in pazienti che assumono piccole quantità di alcool non è noto. L’alcool potenzia gli effetti ipoglicemizzanti delle sulfoniluree legati alla inibizione della gluconeogenesi epatica e alla aumentata produzione di acidi grassi liberi. Nei diabetici in trattamento con metformina, le sbornie occasionali aumentano, invece, il rischio di acidosi lattica.

Alcuni tipi di vino contengono l’amina simpaticomimetica tiratina; in un paziente che sta assumendo un antidepressivo inibitore irreversibile delle monoamino-ossidasi come la tranilcipromina (Parmodalin), la tiramina può entrare in circolo e provocare gravi crisi ipertensive.

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Parte 2

L’Alcool in Stati Fisiologici

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EFFETTI NEL PERIODO GESTAZIONALE

G.B. La Sala, F. Vanacore, F. Iannotti e M.T. Villani

S.C. di Ostetricia Ginecologia - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

Introduzione

Secondo recenti dati dell’ISTAT (17 aprile 2008), il consumo di alcolici nella popolazione italiana è consistentemente aumentato negli ultimi trent’anni, anche se è rimasto stabile nell’ultimo decennio, ed il 68,2% degli italiani intervistati, di età di 11 o più anni, ha dichiarato di avere consumato nell’anno precedente una o più bevande alcoliche in almeno una occasione (1). Sempre secondo i suddetti dati dell’ISTAT, tra i Paesi industrializzati l’Italia è agli ultimi posti per consumo pro capite di alcol anche se è in aumento il numero di ragazzi, di giovani e di donne italiani che consumano alcol (1).

Ormai da tempo sono conosciuti gli effetti tossici dell’alcol sul fegato, sul sistema nervoso centrale e periferico, sul sistema cardiovascolare e su altri organi e apparati. È altresì noto che, però, gli effetti tossici dell’alcol sono strettamente dose-dipendenti.

Alcuni studi hanno evidenziato che le donne che assumono moderate quantità di alcol presentano un tasso minore di degenerazione dell’attività cerebrale rispetto alle donne che non assumono alcol; l’ipotesi eziopatogenetica del suddetto ruolo protettivo è che l’assunzione di moderate quantità di alcol protegge da accidenti cardiovascolari anche di piccola entità aumentando le concentrazioni plasmatiche delle lipoproteine ad alta densità (HDL) e riducendo le concentrazioni di fibrinogeno e di fattori della coagulazione (2-3). A supporto di ciò, un successivo studio di neuroradiologia ha evidenziato che in donne anziane che assumono quotidianamente moderate quantità di alcol è presente una minore percentuale di microinfarti cerebrali e di alterazioni della materia grigia rispetto alle donne che non ne assumono affatto (4). Evidenze della Letteratura

L’assunzione di alcol da parte delle gestanti è ridotta in generale e la è in particolare da parte delle gestanti che ne assumono modiche quantità prima della gravidanza.

I primi studi sugli effetti dell’assunzione di alcol nel periodo gestazionale risalgono ai primi anni ’70. Nel 1973, è stata descritta per la prima volta la “Fetal Alcohol Syndrome”(FAS), una sindrome fetale multiorgano causata dalla cronica ed elevata assunzione quotidiana di alcol da parte della gestante (5).

Dato l’impatto sociale ed economico, nel 2002 il “Centers for Disease Control and Prevention”(CDC) del Dipartimento della Salute Pubblica degli USA ha istituito una Task Force per fare fronte al problema delle gestanti consumatrici di elevate quantità di alcol (6).

Dal 2002, sotto il profilo nosografico, viene così definita la “Fetal Alcohol Spectrum Disorders” (FASDs), sindrome determinata dall’assunzione cronica di elevate quantità di alcol nel periodo gestazionale (6).

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La FASDs comprende numerose anomalie a carico del feto e variamente espresse caso per caso. Molte anomalie fetali della FASDs sono diagnosticabili ecograficamente nel corso della gravidanza (malformazioni del cranio e dello scheletro, malformazioni cardiache, ritardo di crescita intrauterina, ecc.). Invece, altre anomalie fetali della FASDs sono diagnosticabili soltanto nel periodo post-natale (alterazioni dell’EEG, diminuzione della materia grigia cerebrale, atassia, deficit cerebrale motorio e cognitivo, difetti di dentizione e malocclusione, anomalie degli organi genitali interni, difetto di crescita post-natale, ecc.).

La FASDs comprende le seguenti sindromi: • la alcohol-related neurodevelopmental disorder (ARND), caratterizzata da anormalità

cognitive e\o del comportamento;. • la alcohol-related birth defects (ARBD), nella quale sono presenti contemporaneamente o

isolate malformazioni cardiache, renali, ossee e dell’orecchio; • la FAS, che è la forma più severa della FASDs, è caratterizzata dalla contemporanea

presenza di malformazioni facciali, di difetto di crescita e di alterazioni del sistema nervoso centrale nel periodo post-natale.

Numerosi studi sono stati condotti per valutare gli effetti della assunzione cronica di alcol in gravidanza sulla incidenza dell’aborto spontaneo e della morte endouterina del feto (MEF).

Alcuni studi condotti su animali hanno evidenziato che elevate e persistenti concentrazioni plasmatiche di alcol causano un aumento dell’incidenza dell’aborto spontaneo e di alterazioni del cariotipo fetale animale (7-10).

Invece, gli studi condotti sulla specie umana non hanno dato risultati dirimenti in quanto contenevano diversi potenziali e/o reali bias metodologici (la maggioranza delle donne che assumono cronicamente elevate quantità di alcol ha spesso uno stile di vita non salutare e, quindi, può presentare maggiori fattori di rischio indipendenti dalla assunzione di alcol; non tutte le donne che assumono cronicamente elevate quantità di alcol rispondono ai questionari con sincerità e precisione; confronti eseguiti su campioni non omogenei tra loro; ecc.).

Comunque, nonostante i limiti già evidenziati, meritano di essere riportati i risultati di due recenti studi condotti sulla specie umana.

Per quanto riguarda gli effetti della assunzione cronica di alcol in gravidanza sull’aborto spontaneo e sulla MEF nella specie umana, nel 2008 sono stati pubblicati i risultati di uno studio condotto su 92.717 gestanti al I - II trimestre di gravidanza. Le conclusioni del suddetto studio sono state che: - non si conoscono né la quantità né la frequenza di assunzione di alcol durante le gravidanze correlate ad un maggiore rischio di aborto spontaneo; - tre o più episodi di ubriacatura durante la gravidanza sono risultati correlati ad un maggiore rischio di MEF (11).

Per quanto concerne gli effetti della assunzione cronica di alcol in gravidanza sul parto pretermine nella specie umana, i risultati di un recente studio italiano condotto su 502 gestanti hanno evidenziato che il rischio di parto pretermine aumenta soltanto nelle gestanti che cronicamente assumono alcol tre o più volte al giorno (12).

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Conclusioni In merito agli effetti dell’alcol se assunto nel periodo gestazionale, per la specie

umana è possibile trarre le seguenti conclusioni:

1. L’assunzione cronica di elevate quantità di alcol CERTAMENTE aumenta il rischio di malformazioni fetali che possono essere anche molto gravi. Questa conclusione trova un consenso unanime a livello internazionale e DEVE essere considerata una evidenza scientifica della “Evidence Based Medicine”(EBM);

2. L’assunzione cronica di elevate quantità di alcol POTREBBE aumentare sia il rischio di

MEF che di parto pretermine. Però, dato che gli studi che supportono questa ipotetica conclusione sono pochi e di non impeccabile qualità, essa DEVE essere considerata una ipotesi e NON una evidenza scientifica della EBM;

3. Al momento, non disponiamo di nessuna evidenza scientifica della EBM sui rapporti tra

l’assunzione cronica di elevate quantità di alcol e il rischio di aborto spontaneo; 4. Al momento, non disponiamo di nessuna evidenza scientifica della EBM su quella che è

la “safe zone” di assunzione di alcol in gravidanza. Perciò, non siamo in grado di dare alle gestanti un consiglio scientifico sulla quantità di alcol che possono assumere senza aumentare nessun tipo di rischio per la gravidanza e per il feto;

5. Alle gestanti che “alzano il gomito”, in realtà molto rare, dobbiamo esporre in modo

chiaro, dettagliato e completo i rischi che fanno correre ai loro figli, dobbiamo dare il consiglio categorico di ridurre drasticamente l’assunzione di alcol in gravidanza e, cosa più importante, dobbiamo offrire un concreto ed agevole sostegno psicologico-sociale;

Cosa dobbiamo consigliare alle gestanti che assumono modiche quantità di alcol? Non bere assolutamente nessun tipo di alcol? Bere mezzo o un bicchiere di vino al giorno? Bere mezzo o un bicchiere di birra al giorno?

In assenza di evidenze scientifiche della EBM, un consiglio vale l’altro e la prudenza è doverosa. Però, non è anche doveroso evitare “l’overtreatment” e la medicalizzazione della gravidanza?

Vino & Alcool: dagli Effetti Salutari a quelli Tossici 25

Bibliografia

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ALCOOL E SPORT

Vincenzo Guiducci

U.O. Cardiologia Interventistica - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

Elementi di nutrizione dello sportivo

L’attività fisica comporta un dispendio energetico variabile dipendente dal tipo, intensità e frequenza delle attività condotte. Varia da poco più del 15% del dispendio totale in stili di vita estremamente sedentari, a valori pari a 3-4 volte il Metabolismo Basale in alcuni atleti e classi occupazionali particolarmente pesanti.

L’attività fisica/sportiva ha una serie di effetti benefici: aumenta il dispendio energetico, migliora l’assetto lipidico, riduce l’insulino-resistenza e migliora la tolleranza al glucosio, favorisce la trasformazione di fibrocellule IIb glicolitiche in Fibroellule IIA ossidative e glicolitiche, migliora il grado di efficienza fisica, riduce i valori di pressione arteriosa, migliora la qualità del sonno, ha ripercussioni positive sulla sfera psicologica. migliorando il tono dell’umore e l’autostima.

Negli Stati Uniti circa il 24% della popolazione è fisicamente inattivo, mentre in Italia ben il 44% non praticano sport/attività fisica regolare (26% sotto i 20 anni).

Il complesso sistema dell’Allenamento sportivo può essere rappresentato come un insieme che posa su tre pilastri di equivalente importanza: la somministrazione di carichi di lavoro “allenanti”, il recupero attivo & il riposo, la somministrazione di razioni alimentari appropriate, adeguate e mirate. Infatti l’alimentazione è il principale determinante la capacità di lavoro dell’atleta ed in generale il cibo può essere la più potente medicina a nostra disposizione, ma in caso di alimentazione scorretta può risultare deleterio.

L’energia fornita dai nutrienti al nostro organismo varia a secondo dell’attività svolta: a RIPOSO proviene circa per l’ 87% da lipidi e 13% da zuccheri; nell’ ESERCIZIO MEDIO: 50% da lipidi, 50% da zuccheri e nell’ESERCIZIO INTENSO: 100% da glucosio (deriva dal glicogeno muscolare che è una forma di immagazzinamento dello zucchero prontamente disponibile). L’esercizio intenso nel nostro organismo provoca l’esaurimento delle scorte di glicogeno (energia pronta), causando un senso di fatica; stimola la “crescita muscolare”; forma radicali liberi: che creano un danno ossidativo e provocano dolore muscolare; causa una perdita di liquidi (sudorazione): perdita oltre 1500-2000 ml di liquidi e sali minerali.

L’esercizio fisico è una fonte di Specie Reattive dell’O2 (ROS). Nell’esercizio fisico il flusso di sangue, dunque di Ossigeno, ai distretti muscolari aumenta in modo rilevante mentre si ha una riduzione altrettanto importante del flusso splancnico, a tale variazione di flusso consegue l’attivazione di una via alternativa al metabolismo dell’ O2 con aumento della produzione di ROS. Oggi è comunemente accettato che: durante un esercizio fisico la variazione della tensione parziale d’O2 distrettuale insieme con l’attivazione di fenomeni di tropismo cellulare e all’attivazione di cicli metabolici sia alla radice di una superproduzione

Vino & Alcool: dagli Effetti Salutari a quelli Tossici 27

di Specie Reattive (o radicaliche) dell’Ossigeno (RROOSS) caratterizzate da una violenta reattività. Pertanto l’alimentazione successiva ad un esercizio intenso deve mirare al ripristino dei nutrienti utilizzati: reintegrare i liquidi con una bevanda ricca di sali minerali ripristino glicogeno (scorte di zuccheri) entro 2-3 h dalla prestazione: pane, pasta, fornire i “mattoni” (aminoacidi) per il muscolo aminoacidi essenziali (aminoacidi ramificati) 1-2 h dopo l’ esercizio, azione antiossidante: Vit E, β-carotene.

Consumo di alcool nello sportivo

Sino dai tempi antichi l’attività sportiva ed il consumo di alcool sono stati collegati fra loro. Al consumo di alcool veniva erroneamente attribuito un effetto benefico e di potenziamento della prestazione fisica. Tutt’ora l’alcool rimane una delle sostanze maggiormante consumate dagli sportivi.

Il consumo di alcool sembra rivestire un ruolo negli incidenti sport-correlati: frequenza di incidenti del 55% nei bevitori rispetto al 23% dei non bevitori. Elevate quantità di alcool nel sangue si rilevano in circa 1/3 dei ciclisti (amatoriali) coinvolti in gravi incidenti.

L’American College of Sports Medicine da un’analisi sugli studi focalizzati su alcool-prestazione fisica ha concluso che: l’alcool riduce i tempi di reazione, la coordinazione, la precisione e l’equilibrio, non influisce positivamente sulla performance atletica (metabolismo energetico, VO2 max, frequenza cardica, flusso ematico muscolare) e può alterare la temperatura corporea in attività prolungate svolte al freddo, riduce l’espressione della forza, della potenza, della resistenza muscolare e della velocità, il consumo cronico di eccessive quantità di alcool comporta effetti negativi su fegato, cuore, cervello, muscoli e può esitare in invalidità e perfino la morte.

L’alcol altera gran parte delle reazioni metaboliche dell’organismo: metabolismo dei carboidrati: inibizione della glicogenosintesi e stimolazione della gliconeolisi con conseguente depauperamento precoce delle scorte glucidiche. Sistemi tampone: l'alcol favorisce la produzione e l'accumulo di composti acidi come il lattato e i corpi chetonici abbassando, di conseguenza, il pH del sangue. Ricordiamo che l'acidosi metabolica (abbassamento del pH ematico) è responsabile di sintomi come stanchezza, cefalea, nausea, vomito e può condurre al coma. Sangue: l'alcol diminuisce l'efficienza nel trasporto ematico del ferro, un minerale coinvolto nei processi di produzione dell'ATP e nel trasporto dell'ossigeno. In particolare con la sua azione altera la sintesi delle diverse isoforme di transferrina. Tale proteina è coinvolta nel trasporto del ferro dalla sede di assorbimento a quella di utilizzo o di deposito (in particolare il fegato). L'alcol causa un minor assorbimento della vitamina B12 e dei folati. Queste due sostanze sono fondamentali perché regolano alcuni processi fisiologici importanti. Una loro carenza implica un aumento di volume delle emazie (globuli rossi) predisponendo il soggetto all'anemia megaloblastica e a danni al sistema nervoso. L'alcol è particolarmente tossico per i mitocondri, gli organuli cellulari che producono energia. Tra l'altro i mitocondri sintetizzano l'eme un complesso chimico presente nell'emoglobina in grado di legare l'ossigeno. Associando il declino nella produzione di eme al ridotto assorbimento della vitamina B12 e all'alterazione della transferrina il trasporto di ossigeno ai tessuti viene seriamente compromesso. Tale

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alterazione influenza negativamente la prestazione sportiva soprattutto nelle attività di resistenza come la corsa ed il ciclismo. L'alcol riduce inoltre livelli di testosterone limitando la sintesi proteica fino a 24 ore dopo il suo consumo, di conseguenza l'abuso di questa sostanza compromette l'incremento della massa muscolare. Effetti sul sistema nervoso centrale: alterazioni nella contrazione muscolare, peggioramento dei riflessi, del tempo di reazione e delle capacità coordinative.

Alcol e sport, binomio perdente: con la sua azione l'alcol influenza negativamente la prestazione sportiva. Ovviamente i suoi effetti sono dose dipendenti e se piccole quantità (30-40 grammi al giorno per gli uomini e 20-30 g/die per le donne) sono tutto sommato tollerabili dosi elevate possono compromettere seriamente la performance sportiva.

L’alcol etilico, malgrado l’elevato valore energetico, non può essere considerato un nutriente. Nel fegato l'ossidazione di 1 grammo di alcol libera comunque un'elevata quantità di energia (7 kcal, contro le 4 Kcal di carboidrati e proteine e le 9 kcal dei grassi). Occorre tuttavia precisare che il grado alcolico riportato in etichetta non corrisponde ad 1 g di alcol bensì ad 1 ml di etanolo che sviluppa all'incirca 5,6 Kcal.

Bere alcol prima di uno sforzo fisico è sicuramente un controsenso. Praticare uno sport in sicurezza, cioè senza rischiare di farsi male, richiede una perfetta capacità di coordinare i propri movimenti, un totale autocontrollo e la lucidità necessaria a valutare la difficoltà e la fatica. Gli effetti dell'alcol invece si fanno sentire proprio sull'attività del sistema nervoso centrale che ha il compito di coordinare tutte queste funzioni. Anche l'efficienza muscolare può risentire degli effetti dell'alcol che, per essere metabolizzato, sottrae acqua all'organismo, favorendo una minore eliminazione di acido lattico che tende così ad accumularsi maggiormente nei muscoli.

Questo non significa che uno sportivo non possa mai bere alcol. Può farlo con moderazione come tutti gli altri, ma solo dopo l'allenamento o la gara, mai prima. Le bevande alcoliche esercitano un ruolo negativo nella vita di uno sportivo o di un atleta. L’alcool rallenta i riflessi e la velocità nello scatto, altera la coordinazione muscolare e la coordinazione visiva può incidere sul “peso forma”. Infine, l’assunzione dell’alcool prima di una prestazione fisica può ridurre l’energia nell’atleta, incidendo negativamente sulla sua potenza muscolare.

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Parte 3

Alcool in Stati Patologici e Dipendenza

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ALCOL E DIABETE MELLITO

Enrica Manicardi

Responsabile S.S. Diabetologia e Disturbi del Comportamento Alimentare Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

La dieta costituisce una parte fondamentale del trattamento del diabete mellito sia di tipo 1 che di tipo 2, a pari dignità ed insieme alla attività fisica ed alla educazione terapeutica. Un diabetico bene educato e compliante rispetto al trattamento proposto non segue uno schema dietetico rigido e preconfezionato, ma è in grado di eseguire un conteggio corretto dei carboidrati contenuti in un pasto, vuoi estemporaneo, vuoi autodeterminato e di regolare l’apporto insulinico in base ad esso. Utilizzando questi strumenti terapeutici il paziente, interagendo con il diabetologo, il dietista e l’infermiere esperto di educazione terapeutica, riesce molto spesso anche senza aggiunta di farmaci, a raggiungere un buon profilo glicemico, a limitare la variabilità glicemica, a raggiungere il peso corporeo più adeguato alla riduzione della insulino-resistenza, a normalizzare i valori pressori, ed a rendere il profilo lipidico meno aterogeno.

Spesso l’insorgenza del diabete è preceduta e preannunciata numerosi anni prima dalla sindrome metabolica, una condizione cioè di insulino-resistenza caratterizzata da un cluster di fattori di rischio cardiovascolare, che rimangono dopo l’insorgenza del diabete e che sempre vanno corretti, per ridurre il rischio cardiovascolare medesimo.

Si definisce sindrome metabolica la presenza di almeno 3 delle seguenti alterazioni: obesità tronculare

ipertensione arteriosa ipertrigliceridemia

ridotti livelli di colesterolo HDL alterata glicemia a digiuno/alterata tolleranza ai carboidrati

Oltre alla correzione della glicemia, la correzione anche di tali fattori è fondamentale

per la riduzione dell’elevato rischio cardiovascolare, e ricordiamo che ¾ dei pazienti diabetici muoiono proprio di malattia cardiovascolare.

Sui parametri della sindrome metabolica l’effetto del consumo di alcol è dose-dipendente, così come dose-dipendente e precisamente a forma di J o U è la relazione tra consumo di alcol e malattia coronarica, suggerendo che quando il consumo di alcol è elevato, il rischio di malattia coronarica è pure elevato, mentre quando il consumo è basso o moderato, il rischio è inferiore rispetto a quello degli astemi. Il rischio risulta infatti ridotto del 20% per un consumo compreso tra 0 e 20 grammi. Tale beneficio si può spiegare proprio considerando gli effetti di aumento del colesterolo HDL, ed il miglior rapporto coagulazione/fibrinolisi. Al contrario l’effetto negativo delle grosse quantità di alcol sarebbe dovuto all’aumento del triacilglicerolo, che a sua volta determina aumento della pressione arteriosa.

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Ciò è particolarmente rilevabile nel sesso maschile, dove l’abbondane consumo di alcol determina anche aumento della circonferenza vita e della glicemia a digiuno. Nel sesso femminile risulta meno evidente l’effetto sul peso e sulla glicemia. Da quanto descritto si deduce che è consigliabile un consumo di alcol pari a 1-15 grammi al giorno, ossia sino a 100 g/settimana per garantire al paziente con sindrome metabolica e/o diabete un effetto benefico su glicemia, trigliceridemia e pressione arteriosa.

Per favorire la compliance del paziente è bene ricordare che i famosi 15 grammi di alcol che sono raccomandati come dose giornaliera possono essere facilmente calcolati tenendo presente che:

360 ml di birra contengono 12,6 grammi di alcol 120 ml di vino contengono 13,2 grammi di alcol

37,5 ml di superalcoolico contengono 15 grammi di alcol

L’esiguità del quantitativo di alcol utile dal punto di vista metabolico rende secondaria la valutazione dell’apporto calorico determinato dal suo consumo, tuttavia l’alcol apporta calorie e di ciò occorre tenere conto soprattutto se il quantitativo consumato è più elevato. Se infatti 1 grammo di alcol apporta 7 calorie, un bicchiere da 150 cc di vino a 12° ne apporta 130 (calorie) ed un bicchiere di whisky ne apporta 300 (calorie), quindi il consumo abituale di alcol può essere la causa di un eccessivo apporto calorico, particolarmente poco indicato in pazienti obesi. Tali quantitativi di alcol poi possono produrre pericolose ipoglicemie durante la notte ed al mattino presto.

Il rischio maggiore nel diabetico si ha quando l’alcol è stato ingerito nel corso della serata senza una adeguata assunzione di carboidrati. Ciò avviene tipicamente nel giovane paziente, che beve in compagnia degli amici, quasi sempre fuori pasto, aperitivi , birra, superalcolici, al bar, in pizzeria o in discoteca.

Durante la notte infatti, finita la digestione, il fabbisogno di glucosio dell’organismo è soddisfatto dal fegato, che lo produce a partire dal grasso e dalle proteine e permette di mantenere la glicemia costante. Ora tale processo è normalmente condizionato dal rapporto epatico di insulina/glucagone, rapporto che nel diabetico è influenzato dal fatto che l’insulina non arriva attraverso la vena porta dal pancreas, ma dal circolo periferico, dopo l’iniezione sottocutanea ed è pertanto tendenzialmente sottostimata rispetto al necessario, mentre in periferia i livelli sono tendenzialmente elevati. Conseguenza di ciò è che la produzione di glucosio da parte del fegato tende ad essere superiore al necessario e proprio per questo si tende ad iperinsulinizzare il paziente per modulare meglio la produzione di glucosio notturna. Ciò si accompagna a livelli di glucagone che tendono a diminuire con l’aumento della durata di malattia, esponendo così il paziente ad una attenuazione dei sintomi di ipoglicemia. Su questo difficile e non perfetto equilibrio l’alcol agisce diminuendo la capacità del fegato di produrre glucosio e rispondere così ad una eventuale caduta di zuccheri.

Ma anche per il diabetico in trattamento con ipoglicemizzante orale le cose non sono semplici: metformina e alcol sinergizzano nel ridurre la gluconeogenesi e rendono ancor più pericolose le ipoglicemie; alcuni secretagoghi, farmaci che determinano un aumento della

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produzione di insulina in risposta al pasto, oltre a facilitare la comparsa di una ipoglicemia in concomitanza con un apporto sostenuto di alcol, possono determinare al momento del pasto spiacevoli arrossamenti improvvisi del volto, accompagnati a sensazione di malessere, nausea, dolore addominale e cardiopalmo. Conclusione: 1. un uso moderato di alcol (1 bicchiere di vino rosso al dì in primis, poiché all’effetto

benefico dell’alcol si associa quello antiossidante e quindi antiaterogeno dei tocofenoli) durante il pasto principale, meglio se a pranzo, è in grado di ridurre il rischio di infarto e di ictus ischemico.

2. tale effetto si svolge soprattutto attraverso un aumento del colesterolo HDL ed un miglioramento del rapporto coagulazione/fibrinolisi.

3. l’inevitabile effetto sul profilo glicemico e sull’apporto calorico complessivo della giornata rende consigliabile un uso costante e regolare dell’apporto di alcol.

4. sono invece sconsigliabili quantitativi di alcol superiori, soprattutto se non accompagnate dal consumo di carboidrati ed in pazienti in trattamento con insulina e/o metformina e con lunga storia di malattia, poiché tali consumi sono in grado nell’immediato di provocare gravi ipoglicemie, soprattutto notturne quando cioè i sintomi vegetativi sono meno avvertiti dal paziente e quindi più pericolose. In tempi più lunghi l’elevato apporto di alcol determina aumento del grasso viscerale, dei trigliceridi e delle pressione arteriosa, aggiungendo o aggravando così nel diabetico la sindrome metabolica, condizione di aumentato rischio cardiovascolare.

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meals - International Journal of Obesity (2005) 29: 1436-1444. 2. YS Yoon: Alcohol consumption and the metabolic syndrome in Korean adults: the 1998 Korean National

Health and Nutrition Examination - Am J Clin Nutr (2004) 80: 217-224. 3. AH Harding: Cross-sectional asociation between total level and type of alcohol consumption and

glycosilated haemoglobin level: the EPIC-Norfolk Study - European Journal of Clinical Nutrition (2002) 56: 882-890.

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EFFETTI E PATOLOGIA SUL SISTEMA ENDOCRINO

Michele Zini

U.O. Endocrinologia - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

Il sistema endocrino viene influenzato sia dalla ingestione acuta che dalla assunzione cronica di alcool. Pressoché tutte le ghiandole endocrine subiscono gli effetti dell’etanolo, anche se le alterazioni provocate sono diverse per entità e gravità: gonadi e surreni subiscono le modificazioni più profonde, mentre la tiroide rimane relativamente risparmiata.

L’azione dell’etanolo può avvenire sia nel sistema ipotalamo-ipofisi che sulle ghiandole periferiche.

Surreni L’etanolo induce attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con conseguente

aumento della secrezione di cortisolo. Esiste uno “pseudo-Cushing da alcool”, clinicamente indistinguibile dalla vera

Sindrome di Cushing. Le caratteristiche somatiche del paziente sono simili, come anche i dati di laboratorio standard. La distinzione fra le due forme, ovviamente molto importanti per le conseguenze terapeutiche che ne derivano, si basa o su test dinamici e, meglio, sulla rivalutazione della funzione corticosurrenalica dopo cessazione dell’abuso etilico.

Sul lungo periodo, l’assunzione cronica di etanolo può portare alla condizione opposta di quella appena riportata, con esaurimento funzionale surrenalico e ipocorticosurrenalismo.

In passato ciò aveva fatto porre ipotesi patogenetiche sulla genesi della dipendenza da alcool e aveva indotto a trattare gli alcoolisti con estratti di corteccia surrenalica.

Testicolo L’alcool inibisce la secrezione ipofisaria di LH, ed in questo modo riduce la

produzione di testosterone. Si crea quindi una condizione di ipogonadismo. L’etanolo esercita anche un effetto tossico sulle cellule del Sertoli, inibendo quindi la

spermatogenesi e riducendo la fertilità.

Ovaio La funzione ovarica viene disturbata dalla assunzione di etanolo, verificandosi cicli

anovulatori e fase luteale breve. Tuttavia, la fertilità rimane sostanzialmente conservata. Questi effetti non sono evidenti per le bevitrici occasionali, ma si manifestano con l’uso cronico di quantità anche moderate di alcool.

Prolattina L’etanolo provoca un aumento della secrezione di prolattina, sia agendo direttamente

sulla ipofisi che riducendo il tono dopaminergico ipotalamico. La iperprolattinemia concorre a peggiorare la funzione testicolare ed ovarica.

Da rilevare che, nonostante l’aumento della prolattina, l’allattamento viene ostacolato: ciò a causa delle interferenze con la fisiologica stimolazione della secrezione di prolattina indotta dal neonato.

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Ormone della crescita L’etanolo riduce la secrezione ipofisaria di GH e, a cascata, i livelli di IGF-1 (fattore

di crescita responsabile dell’effetto del GH). In età infantile od adolescenziale, ciò ha come conseguenza una compromissione

dell’accrescimento scheletrico e staturale. L’ormone della crescita ha oggi un ruolo riconosciuto anche nell’adulto, e la sua

deprivazione può provocare aumento del tessuto adiposo, riduzione della massa muscolare, alterazioni del miocardio, modificazioni del profilo lipidico e, forse, compromissione della funzione immunitaria.

Ormone antidiuretico La assunzione acuta di alcool inibisce la produzione di ormone antidiuretico,

provocando diabete insipido e poliuria. La situazione è prontamente reversibile al termine della intossicazione alcolica.

Tiroide L’effetto dell’etanolo sulla funzione tiroidea e sulla sua regolazione è marginale, e

non produce conseguenze cliniche rilevanti.

Osso La assunzione cronica di alcool è da sempre un riconosciuto fattore di rischio per la

osteoporosi. Ciò si realizza attraverso riduzione dell’assorbimento di calcio, malnutrizione, riduzione della produzione epatica di vitamina D e ipogonadismo.

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EFFETTI E PATOLOGIA SU FEGATO, PANCREAS ED APPARATO DIGERENTE

Silvia Lombardini e Giovanni Fornaciari

U.O. Medicina IIIa e Gastroenterologia - Azienda Ospedaliera “Arcispedale Santa Maria Nuova” - Reggio Emilia

È noto a tutti che il dibattito scientifico degli ultimi anni consideri le varie patologie del canale alimentare, del fegato e del pancreas a genesi multifattoriale e che, fra i vari fattori di danno, l’alcool non è mai assente. In questa relazione cercheremo di sviluppare la problematica collegata agli effetti nocivi dell’alcool sull’apparato digerente concentrandoci, in modo particolare, sugli effetti tossici a carico del fegato in quanto la relazione successiva prenderà in esame, in maniera più dettagliata, le patologie delle vie digestive e del pancreas secondarie all’abuso di alcool.

Esofago: l’esofago risente dell’effetto dell’alcool sia per il contatto diretto con la

mucosa, sia per gli effetti sistemici secondari (rallentamento della motilità esofagea, riduzione della pressione dello sfintere esofageo inferiore in acuto, incremento invece nell’utilizzo cronico, incremento dell’acidità gastrica, rallentamento del tempo di svuotamento gastrico). La malattia da reflusso gastro-esofageo è aggravata dall’abuso cronico di alcool mentre esistono quadri, spesso drammatici, quali la sindrome di Mallory-Weiss e di Boerhave che sono spesso legate all’assunzione acuta di elevate quantità di bevande alcoliche. Inoltre, l’alcool è considerato uno dei principali fattori di rischio per tumore dell’esofago.

Stomaco: l’etanolo causa un danno dose-dipendente della barriera mucosa

provocando retrodiffusione idrogenionica e danno interstiziale. Sul piano clinico l’alcool induce lesioni erosive gastriche, eritema ed emorragia. L’ulcera peptica è aumentata come incidenza solo nella cirrosi alcolica e non negli etilisti cronici. L’abuso acuto di alcool è causa di sindrome dispeptica associata a danno mucoso superficiale con emorragie sottoepiteliali o erosioni. Il rapporto fra consumo di alcolici e rischio di cancro gastrico è controverso: in uno studio caso-controllo in Russia è stato dimostrato un rapporto fra consumo di alcolici ad elevata gradazione e sviluppo di tumore dello stomaco. Il rapporto fra infezione da HP ed abuso etilico non è clinicamente rilevante.

Intestino: l’alcool può determinare una sovracrescita di batteri nel tenue

indipendentemente dalla coesistenza di eventuale epatopatia. Questo può contribuire all’alterazione della permeabilità intestinale caratteristica del danno cronico da alcool. Gli elevati livelli locali di acetaldeide possono provocare diarrea cronica e danno mucosale; inoltre, questo potrebbe anche avere un ruolo nell’ulteriore peggioramento del danno epatico secondario all’accumulo di acetaldeide ed essere responsabile dell’aumentata incidenza di

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tumore del colon osservata negli etilisti. Infine, l’alcool può provocare alterazione dell’assorbimento di vari nutrienti incluse le vitamine.

Pancreas: fin dal 1800 è nota l’azione nociva dell’alcool sul pancreas. Nelle

casistiche di pazienti affetti da pancreatiche acuta e cronica la percentuale di pazienti con abuso alcolico oscilla fra il 40% ed il 95%. Tuttavia solo una percentuale di pazienti, intorno al 10%, sviluppa una pancreatite clinicamente sintomatica. Il danno da parte dell’alcool sul pancreas avviene principalmente mediante due eventi: azione diretta dell’acetaldeide e dell’acetato, prodotti dalla via metabolica ossidativi, e danno legato alla destabilizzazione delle membrane cellulari tramite la produzione di grassi esterificati con etanolo per la via non ossidativa. Inoltre è stata ipotizzata un disfunzione dello sfintere di Oddi mediata dall’alcool con rigurgito degli enzimi pancreatici (ostruzione-ipersecrezione) o di enzimi duodenali (reflusso duodeno-pancreatico) all’interno del parenchima pancreatico medesimo con innesco dell’attivazione della tripsina.

Il danno epatico da alcool

Introduzione: l’alcool determina uno spettro di lesioni epatiche che vanno dalla

steatosi alla epatite, dalla fibrosi iniziale fino alla cirrosi ed all’epatocarcinoma (HCC). A questi quadri corrispondono manifestazioni cliniche discretamente specifiche e la classificazione dell’epatopatia alcolica è essenzialmente anatomo-clinica. La steatosi è la lesione iniziale che può evolvere nelle forme più gravi; esiste comunque un discreto grado di “overlap” fra le diverse forme anatomo-patologiche e la steatosi può persistere anche nelle forme più gravi.

Classificazione: come sopra riportato distinguiamo

• Steatosi epatica: è presente nel 90% dei pazienti che abusano di alcool e compare molto rapidamente. Per definizione nella steatosi semplice manca l’infiltrato infiammatorio.

• Epatite alcolica: si verifica nel 40% degli alcolisti ed è caratterizzata da infiltrato infiammatorio e fibrosi pericellulare. Il danno epatocellulare è caratterizzato da necrosi epatocitaria, “balooning”, megamitocondri e formazione dei corpi di Mallory.

• Fibrosi e cirrosi: la fibrosi può essere pericellulare e perivenulare. Quest’ultima in particolare è stata associata alla tendenza evolutiva verso la cirrosi. Con il progredire del danno epatico si sviluppano setti fibrosi prevalentemente porto-centrali fino allo sviluppo di noduli rigenerativi e tipica cirrosi micronodulare. Dopo la sospensione dell’apporto alcolico può esservi transizione verso una forma macronodulare. La concomitante presenza di un quadro di epatite alcolica o di steatosi indica invece che l’apporto non è cessato.

• Epatocarcinoma: la cirrosi alcolica è un importante fattore di rischio per HCC anche se non è del tutto stabilito il ruolo dell’alcool nell’ambito della trasformazione neoplastica del fegato.

• Siderosi epatica: l’accumulo di ferro a livello epatocitario o delle cellule di Kuppfer è comune nell’epatopatia alcolica, soprattutto nelle fasi tardive di malattia, ma non è mai molto marcato. Si deve, in questi casi, porre in diagnosi differenziale la presenza di emocromatosi genetica con abuso alcolico.

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Manifestazioni cliniche: i segni ed i sintomi che si associano a ciascuna delle forme istopatologiche non sono così differenti da consentire una discriminazione su basi puramente cliniche. La steatosi è quasi sempre asintomatica; possono esservi sintomi aspecifici quali dolore epigastrico, anoressia e nausea. In realtà i pazienti vengono visitati per il riscontro di esami di laboratorio alterati (in particolare GGT e transaminasi elevate, macrocitosi eritrocitaria, incremento della uricemia, trigliceridi ed IgA, riduzione della azotemia). Dal punto di vista clinico si riscontra epatomegalia a consistenza aumentata ma non vi è modo di distinguere clinicamente la steatosi dalla epatopatia alcolica più avanzata a meno che non si evidenzino segni di progressione a cirrosi quali ascite, spider angiomi, edemi, eritema palmare ed ittero. Nella epatite alcolica le manifestazioni cliniche sono variabili ma spesso si notano già i segni di progressione della malattia presenti nella cirrosi. Le alterazioni biochimiche sono simili a quelle della steatosi ma più gravi con ittero e riduzione degli indici di protidosintesi epatica. Anche nella cirrosi vi possono essere quadri molto diversi, da totale assenza di sintomi nelle forme compensate a quadri con encefalopatia, ascite ed ipertensione portale nelle forme avanzate. Non è raro osservare sintomi più gravi nella epatite alcolica in pazienti bevitori attivi rispetto alla cirrosi di pazienti che si astengono oramai da anni. Così pure gli esami di laboratorio possono essere solo modestamente elevati nella cirrosi del paziente astinente da tempo; le altre alterazioni biochimiche non differiscono sostanzialmente da quelle presenti in altre forme di cirrosi. L’epatocarcinoma può essere la prima espressione di una patologia epatica da alcool; infatti il rischio di HCC non si riduce con l’astensione dall’alcool ed un paziente può arrivare ad HCC senza che sia stata, in precedenza, diagnosticata una cirrosi alcolica. Nei pazienti con epatite C l’uso di alcool raddoppia il rischio di HCC rispetto ai pazienti con epatite C che si astengono dall’alcool.

Diagnosi: il primo passo è costituito da una corretta anamnesi spesso resa difficile da

reticenza, sottovalutazione dell’apporto alcolico (talora non deliberata ma legata a scarsa memoria del passato), “copertura” da parte dei familiari. I questionari (tipo CAGE) possono essere utili, ma riconoscono soprattutto pazienti con dipendenza dall’alcool e non i bevitori sociali. Più utile indagare in merito ad altre patologie alcool-correlate o ad eventi sociali, lavorativi, etc. (incidenti stradali, ritiro della patente, perdita del lavoro, cadute, etc.). Non esistono test di laboratorio completamente specifici per la diagnosi di patologia alcool-correlata; le GGT sono il test più utilizzato ed hanno sensibilità del 70% e specificità del 70-80%. Sono utili anche per seguire il paziente in quanto si normalizzano, con l’astensione, in due mesi circa. La CDT (carbohydrate-deficient transferrin) o desialitransferrina ha una specificità del 90% per riconoscere l’abuso alcolico ma è utile per consumi superiori ai 60 gr/die; si normalizza dopo 15 giorni dall’astensione. La bilirubina ed il TP sono indicatori utili per valutare la gravità del danno epatico nella epatite alcolica. Il DF (discriminant factor o indice di Maddrey) si calcola mediante la seguente formula: 4.6 x TP paziente – TP controllo in sec. + bilirubina in mg/dl. Se superiore a 32 predice una mortalità a un mese pari al 50%. Esistono anche altri indici più complessi (quali lo score di Glasgow e l’indice di Lilla).

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Biopsia epatica: ha lo scopo di confermare la diagnosi, escludere altre cause di epatopatia, stabilire l’entità del danno epatico e offrire anche una valutazione prognostica. Inoltre può consentire di valutare l’entità dell’eventuale sovraccarico di ferro e di escludere una possibile emocromatosi ereditaria.

Prognosi: la steatosi alcolica è considerata generalmente una condizione benigna e

reversibile, ma questo dipende dalla astensione dall’alcool. La progressione a cirrosi è preceduta dalla fibrosi perivenulare. La cirrosi alcolica ha generalmente, sempre se viene mantenuta la completa astensione, una prognosi migliore rispetto ad altre forme di cirrosi ma la malattia può progredire anche dopo la sospensione dell’alcool soprattutto nelle donne. Infine, l’epatite alcolica può avere una mortalità elevata fino al 50% e la storia naturale dipende dalla gravità del danno epatico.

Terapia: la terapia si fonda principalmente, come è ovvio, sulla completa e definitiva

astensione dall’alcool sotto qualunque forma. Questo è sufficiente e decisivo nella steatosi epatica; nella cirrosi alcolica il trattamento delle complicanze (scompenso, ipertensione portale, encefalopatia, etc.) non differisce da quello di altre forme di cirrosi. Particolare attenzione va portata nell’encefalopatia epatica in quanto alcuni sintomi, in particolare la confusione mentale ed i tremori, possono essere confusi dalla eventuale associazione con una sindrome da astinenza acuta alcolica. Un discorso a parte merita invece il trattamento della epatite acuta alcolica: una recente revisione della letteratura basata anche sulle metanalisi comparse di recente conclude per l’assenza di utilità dimostrata di altre terapie quali infliximab, anti-ossidanti, pentossifillina, steroidi anabolizzanti, colchicina, S-adenosil metionina, propiltiouracile. La nutrizione ha un ruolo importante ma non modifica la sopravvivenza dei pazienti con epatite alcolica. L’uso degli steroidi è invece l’unica terapia che presenta, negli studi fin qui condotti, una utilità anche se l’impiego di tale trattamento è ancora controverso per gli effetti secondari deleteri quali, in particolare, il rischio di infezioni. In generale viene proposto un trattamento con prednisone 40 mg/die se il Discriminant Factor (vedi sopra) risulta superiore a 32. Un fattore favorevole alla risposta è costituito dal cosiddetto “Early change in bilirubin level” e cioè la riduzione della bilirubina dopo la prima settimana di terapia.

Trapianto di fegato: si tratta di un argomento controverso in quanto viene

considerato che il danno epatico, in questo caso, è volontario. Inoltre viene richiamata l’attenzione sul rischio di recidiva di abuso alcolico post-trapianto e sul rischio di perdita del paziente e dell’organo trapiantato. In realtà la sopravvivenza dei pazienti sottoposti a trapianto per cirrosi alcolica è quanto meno pari o forse superiore rispetto alle cirrosi di altra eziologia. Viene generalmente richiesta una astensione “certa” di almeno sei mesi; è inoltre fondamentale determinare con accuratezza la presenza di eventuale dipendenza dall’alcool mediante valutazione psichiatrica. Inoltre occorre escludere la presenza di altri danni d’organo (ad esempio a carico del cuore e del cervello) che potrebbero compromettere l’esito del trapianto. Molto importante nella scelta risulta anche l’analisi “sociale” della

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situazione in cui vive il paziente (lavoro stabile, famiglia collaborante, buone relazioni sociali etc.).

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EFFETTI E PATOLOGIA SUL SISTEMA NERVOSO CENTRALE E PERIFERICO

Alberto Dallari

U.C. Neurologia - Stroke Unit - Centro Neurosonologico - Azienda Ospedaliera Santa Maria Nuova - Reggio Emilia

Meccanismi ipotizzati per l’azione tossica dell’alcool sul sistema nervoso centrale e periferico Valuteremo in seguito le patologie specifiche determinate dall’azione tossica diretta o indiretta dell’alcool sul SN ma non dobbiamo sottovalutare che l’alcool è uno dei tanti fattori extragenetici che possono interferire nel fenomeno della senilizzazione umana o direttamente o attraverso la mediazione del fatto morboso. Infatti, l’abuso di bevande alcoliche può comportarsi come un fattore d’invecchiamento accelerato in quanto causa diretta di senilizzazione e/o di patologia degenerativa correlata.

Il riferimento che sussiste tra abuso alcolico ed invecchiamento precoce è talmente evidente e irrefutabile che non richiede conferma alcuna sul piano clinico-statistico, rappresentando ogni alcolista di per sè un eccellente modello sperimentale per lo studio della senescenza prematura.

Ricordiamo che i principali fattori medici di rischio per la senescenza sono rappresentati da obesità, ipertensione e diabete, che costituiscono forse la triade capitale, associati naturalmente ad altri agenti non meno rilevanti, quali appunto possono considerarsi la bronchite cronica, la patologia vascolare, le malattie articolari e quelle alcool-correlate. Quali Meccanismi neurotossici ? Per quanto concerne l’azione dell’alcool sulla membrana neuronale è dimostrato che

esso interagisce con la fase lipidica della stessa, ne modifica la fluidità e ne altera la permeabilità ionica, costituendo probabilmente dei legami non polari con le catene idrocarboniose. Per essere più precisi l’etanolo ad alte concentrazioni trasforma in modo aspecifico l’aspetto della membrana, mentre a quote più basse interferisce sul neurone variando soltanto la cinetica del trasporto transmembrana di Na+, K+ e Ca++. L’etanolo, infatti, è in grado di produrre una inibizione della Na+, K+ ATPasi di membrana che agisce sulla pompa cationica responsabile del mantenimento dei gradienti di Na+ e K+ attraverso la membrana citoplasmatica. Per quanto riguarda il calcio, pur mancando una diretta dimostrazione sulla ingerenza dell’etanolo nella cinetica transmembrana di questo ione, è possibile tuttavia ipotizzare una analoga azione inibente dell’alcool anche sulle pompe energia-dipendenti di espulsione del calcio.

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Per quanto concerne l’azione dell’alcool sul turnover dei neurotrasmettitori è presumibile che nell’assunzione cronica le variazioni a livello di neurotrasmettitori possano riconoscere meccanismi più complessi per la coesistenza di fenomeni malnutrizionali che interessano vitamine, aminoacidi, oligoelementi e precursori. Per altro è stata confermata la capacità dell’alcool etilico di modificare il “turnover” dei neurotrasmettitori con un’azione di tipo diretto. Gli effetti che si riscontrano negli animali da laboratorio con la somministrazione acuta di etanolo sono depurati, infatti, da tutte le intromissioni di tipo mediato, come ad esempio i fenomeni carenziali che possono accompagnare il trattamento cronico. È appunto sulla scorta di studi condotti nell’animale che Freund è riuscito a individuare le basi molecolari attraverso cui alcool ed invecchiamento biologico concorrerebbero in modo conforme al deterioramento cognitivo e comportamentale, intervenendo simmetri-camente sia sul depauperamento neuronale che sul tono neurotrasmettitoriale di regioni cerebrali diverse. È pertanto presumibile che, come avviene nell’invec-chiamento naturale, anche nell’assunzione cronica di etanolo possano verificarsi considerevoli modificazioni dei neurotrasmettitori, una variazione della densità recettoriale ed alterazioni dell’affinità che i recettori presentano nei confronti degli stessi mediatori. Resta comunque il fatto che già le attuali conoscenze sui sistemi neurotrasmettitoriali e sulle loro variazioni metabolico-funzionali nella senescenza cerebrale ci suggeriscono di non sottovalutare, in questo campo, il ruolo dell’alcool che, anche nei cosidetti bevitori sociali, sembra in grado d’interferire positivamente, assieme all’età, nel processo d’invecchiamento.

L’ultima delle principali azioni che vengono riconosciute all’alcool sulle strutture e

sulle funzioni del neurone è provocata indirettamente dai suoi metaboliti. Il ruolo dell’acetaldeide e degli alcaloidi di neosintesi è al momento attuale ancora poco conosciuto e non completamente definito, nonostante che gli studiosi rivolgano sempre maggiore attenzione a queste sostanze. Generalmente la biotrasformazione dell’acetaldeide in acetato avviene molto più rapidamente che quella dell’alcool etilico in acetaldeide, per cui l’organismo rimane relativamente poco esposto agli effetti tossici dell’aldeide acetica. In alcune situazioni, però, si può avere un aumento di acetaldeide talmente cospicuo da causare lesioni epatiche ed extraepatiche in notevole misura. L’aldeide acetica, infatti, è in grado di agire su tutte le strutture subcellulari, come è sicuramente dimostrato per il fegato e come è probabile che avvenga anche nei confronti di mitocondri, apparato del Golgi e microtubuli della cellula neuronale.

Altri Studi stanno valutando come l'alcool comprometta il funzionamento di geni

che controllano funzioni importanti del cervello, provocando la comparsa dei sintomi più comuni fra gli alcolisti, come depressione e insonnia, nonché la disposizione a ricadere nella dipendenza. I ricercatori hanno scoperto che l'alcool interferisce principalmente con geni importanti nell'amigdala, una regione posta in profondità nel cervello e sede delle nostre emozioni. Poiché gli esperti avevano rilevato che

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l'amigdala è più attiva negli alcolisti che non nelle persone sane, i neurologi hanno pensato di indagare se l'impatto della dipendenza da alcolici fosse ancora più profondo nel cervello di un alcolista, ovvero se l'abuso fosse capace di interferire con l'attività nel Dna dei geni dei neuroni. I ricercatori hanno quindi osservato l'attività dei geni che controllano i neuroni dell'amigdala in persone dipendenti dall'alcool e in un gruppo di controllo, rilevando che negli alcolisti è alterata l'attività di 772 geni. In particolare due su tre di questi geni lavorano meno del normale e ciò, secondo gli studiosi, potrebbe favorire neurodegenerazione, difetti della produzione di energia dei neuroni, aumento del metabolismo dell'alcool nel cervello e della vulnerabilità alla dipendenza, infine sfasamento dei ritmi biologici del corpo. Per esempio, i ricercatori hanno trovato soppressa l'attività del gene orologio Per3, importante nel regolare l'orologio biologico. Ciò potrebbe spiegare, ad esempio, perchè gli alcolisti hanno problemi di insonnia e disturbi depressivi. Sempre nell'amigdala degli alcolisti funziona troppo poco il gene per un recettore dei cannabinoidi, che serve per spegnere i meccanismi di dipendenza. Ciò spiegherebbe la tendenza a ricadere nella dipendenza durante la terapia e dopo essersi disintossicato. Questo è un campo in forte evoluzione ma suggerisce come l’abitudine al bere determini subdole dipendenze che potrebbero essere più gravi delle patologie conclamate .

INDUZIONE DELLA DIPENDENZA (non fattori psicologici)

1) La dopamina svolge un ruolo fondamentale nei circuiti della gratificazione , si ipotizza che le sostanze da abuso , stimolando potentemente le vie neuronali della gratificazione , produrrebbero nel cervello un falso segnale , per cui l’organismo interpreta la sostanza come indispensabile per la sopravvivenza dell’individuo . La risposta è strettamente individuale ed è polifattoriale .

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2) Tale predisposizione potrebbe essere favorita anche dall’effetto “atarattico” dell’alcool, cioè un moderato consumo di alcool per un periodo di tempo relativamente lungo può favorire la formazioni di nuove cellule nervose nel cervello adulto. I nuovi neuroni potrebbero rivelarsi importanti nello sviluppo della dipendenza da alcool e altri effetti a lungo termine sul cervello.

MODALITA DI ASSUNZIONE DELL’ALCOOL E TOSSICITÀ

L’azione tossica dell’alcool non e’ solo in relazione all’assunzione cronica ma in relazione anche a modalita’ comportamentali patologiche che determinano picchi di concentrazione ematica in breve tempo

Infatti, una particolare modalità di assunzione di alcolici molto di moda come IL BINGE DRINKING in anglosassone o il BOTELLON in spagnolo cioè il bere grandi quantità di d’alcool in poche ore senza accompagnarlo con del cibo si è rivelato molto più neurotossico di una assunzione prolungata, i picchi di ETANOLO possono essere molto rischiosi soprattutto prima dei 21 anni quando il cervello è ancora in fase di formazione . I danni che si producono in questa fase della maturazione e dello sviluppo sono “irreversibili“.

PATOLOGIE NEUROLOGICHE MANIFESTAZIONI NEUROLOGICHE ACUTE

1. Intossicazione alcolica L’etanolo entra rapidamente nella circolazione e raggiunge un equilibrio nei diversi

tessuti, compreso il sistema nervoso centrale (CNS). Dopo l’assunzione il picco ematico di etanolo si raggiunge in circa 1 ora: le concentrazioni cerebrali di E si equilibriano a quelle ematiche altrettanto rapidamente e correlano con il grado di intossicazione.

Segni evidenti di intossicazione compaiono per livelli ematici di etanolo sopra 6.5 mmol/l (0.3 g/l). Precocemente si evidenziano euforia, compromissione cognitiva e dell’autocontrollo, in coordinazione motoria. In alcuni casi l’euforia è sostituita da sonnolenza. Per concentrazioni superiori a 21.7 mmol/l compaiono segni di disfunzione cerebellare e vestibolare, seguiti da letargia e stupore. Livelli di etanolo superiori a 65-87 mmol/l determinano ipotermia, ipotensione e coma.

In soggetti non alcolisti sopra 98 mmol/l precipita la depressione respiratoria come causa di morte. La dose letale è inferiore se vi è assunzione contemporanea di farmaci come barbiturici e benzodiazepine. I meccanismi dell’intossicazione etanolica non sono del tutto definiti. Le maggiori evidenze sono a vantaggio dell’azione sui recettori GABA come principale responsabile dell’intossicazione etanolica.

2. Blackouts alcolici Rapido consumo di notevoli dosi di etanolo può talvolta provocare “blackouts” o

episodi di amnesia globale transitoria per ore senza modificazione nel livello di coscienza. Chi viene colpito è incapace di formare nuovi ricordi durante l’evento, mentre il richiamo

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immediato e la memoria a lungo tempo rimangono normali. I blackouts alcolici non necessariamente si associano con altri disturbi neurologici: i non-alcolisti possono incorrere in queste manifestazioni in eccessi alcolici casuali.

3. Reazione di arrossamento L’alcool deidrogenasi converte l’etanolo in acetaldeide: questa è quindi

metabolizzata in acetato dall’aldeide deidrogenasi. Il disulfiram (Antabuse) inibisce l’aldeide deidrogenasi determinando un accumulo di acetaldeide. Se un alcolista che prende il disulfiram assume etanolo, l’incremento dell’acetaldeide produce nausea, vomito, vasodilatazione, tachicardia, astenia e vertigini. Alcune popolazioni Asiatiche hanno una alterazione nella codifica genetica di una forma di Aldeide deidrogenasi: riducendosi il metabolismo dell’acetaldeide questa induce, dopo una assunzione di etanolo anche modesta, sensazione di calore con vasodilatazione, arrossamento del volto, tachicardia e ipotensione. CONSUMO CRONICO DI ALCOOL

1. Tolleranza e dipendenza L’alcolista si adatta all’etanolo sviluppando tolleranza agli effetti dell’intossicazione.

Alcuni bevitori possono apparire sobri a concentrazioni ematiche etanoliche di 89-108 mmol/l. Il più alto livello di etanolo ematico è stato registrato in alcolista durante un controllo ambulatoriale che aveva interrotto l’assunzione di alcool tre giorni prima e aveva 328 mmol/l. La tolleranza all’alcool è accompagnata a dipendenza fisica definita dalla comparsa di s. da astinenza quando ne viene interrotta l’assunzione. La dipendenza può essere dovuta a risposte neurali adattative all’etanolo: tuttavia gli eventi molecolari che sottendono tolleranza e dipendenza sono scarsamente definiti. Le alterazioni croniche etanolo-correlate nelle attivazioni del secondo messaggero e nella espressività genica sono state entrambe implicate nella tolleranza e nella dipendenza. Le risposte croniche adattative all’etanolo usualmente sono di segno opposto agli effetti acuti dell’E. Sono descritte numerose modificazioni recettoriali e neurotrasmettoriali (canali calcio voltaggio-dipendenti, NMDA), espressione genica dei GABA recettori. Più recentemente il meccanismo unico identificato è che l’esposizione cronica all’etanolo altera la funzione proteica della membrana neuronale.

2. Sindrome di astinenza etanolica Alla riduzione o sospensione improvvisa dell’assunzione dell’E diviene evidente la

dipendenza fisica: gli aspetti clinici dell’astinenza comprendono tremore, alterazioni percettive, convulsioni e delirium tremens. Queste manifestazioni neurologiche nascono dalla persistenza dei meccanismi adattativi neuronali non più a lungo controllati dalla presenza dell’etanolo. I tremori sono il primo e il più comune sintomo che inizia dopo 6-8 ore dall’ultima assunzione e sono più intensi a 24 - 36 ore. Ai tremori si accompagna sudorazione tachicardia, ipertensione sistolica e diastolica. Possono comparire insonnia con sogni vividi, sintomi gastrointestinali, nausea, vomito e diarrea. Alterate percezioni visive, uditive e tattili si possono associare a disorientamento. Allucinazioni anche severe possono

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persistere per settimane dopo il miglioramento degli altri sintomi. L’intensità dei sintomi è modesta nelle fasi precoci e si risolve nelle 24-48 ore dalla sospensione senza alcun intervento terapeutico.

3. Crisi epilettiche da astinenza etanolica Molti alcolisti alla sospensione o riduzione del bere sviluppano crisi generalizzate tonico-cloniche tra 7 e 48 ore. Questi alcolisti che sviluppano crisi di astinenza, tendono ad avere crisi anche in successive sospensioni. Il 20-40% delle crisi epilettiche di nuova insorgenza viste nell’emergenza sono correlabili con l’abuso cronico di E. È inusuale uno stato epilettico: le crisi sono generalizzate nel 60% dei casi. La TAC cranio è usualmente priva di rilievi di anormalità strutturali, fatta eccezione ad atrofia corticale. Sebbene sia stato posto il problema del ruolo della tossicità dell’E nel provocare le crisi, è accreditata l’opinione di una vulnerabilità genetica anche nell’uomo nel determinarsi delle crisi alla sospensione. L’esposizione cronica all’E può creare uno stato di “Kindling” dove cicli ripetuti di intossicazione esospensione può portare ad un incremento permanente nella eccitabilità neuronale : questa genera le crisi della sospensione e incrementa il rischio di epilessia nell’alcolista.

4. Delirium tremens Patogenesi

La patogenesi del delirium tremens è stata oggetto di numerosi studi, ricordo inoltre che soltanto quando i livelli ematici di etanolo sono diminuiti si manifestano i sintomi del delirium, che è interrompibile proprio da nuove assunzioni di alcool. La sovrapposizione degli aspetti clinici del delirium a diversa eziologia ha spinto i ricercatori a ipo tizzare un singolo comune meccanismo patogenetico, una ultima “via comune” che porta allo sviluppo della sindrome: le modifiche globali del soggetto sarebbero modulate dall’attività nervosa di sistemi specifici e dal coinvolgimento di uno o più neurotrasmettitori. Tra i vari sistemi neurotrasmettitoriali quelli che sembrano maggiormente coinvolti nel caso del delirium tremens sono il catecolaminergico e il serotoninergico, mostrando infatti questa patologia delle disfunzioni migliorabili con la somministrazione di bloccanti centrali beta-adrenergici come il propranololo (2). Altri studi infine orientano verso il sistema adrenergico quale principale regista della sindrome, rinominata pertanto “sindrome iperadrenergica”. Diagnosi e clinica

Il delirium tremens, al contrario delle sindromi da astinenza precoce da etanolo, è un’emergenza medica. Le sue caratteristiche cliniche sono state accuratamente descritte circa 200 anni fa; da allora, molte terapie si sono susseguite per alleviarne i sintomi, ma la morbilità e la mortalità sono rimaste più o meno invariate negli ultimi cento anni .

Il delirium tremens, al contrario del tremore, delle allucinosi o delle crisi convulsive che si manifestano entro 1 o 2 giorni dall’astinenza, inizia da 48 a 72 ore dopo l’ultima assunzione di alcool. Esso può seguire l’insorgenza di crisi convulsive d’astinenza, sia prima della fine del periodo post-ictale che dopo 1 o 2 giorni asintomatici. La sintomatologia tipicamente inizia e termina bruscamente, potendo durare per ore o giorni (la sua durata è di 72 ore o meno in oltre l’80% dei casi) e potendo alternare periodi di lucidità e di confusione.

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Raramente le recidive possono prolungare la sintomatologia fino a 4-5 settimane. I sintomi consistono in profondo stato confusionale, delirio, allucinazioni, tremore grossolano, agitazione, insonnia, come pure in segni di iperattività del sistema neurovegetativo, come pupille midriatiche, febbre, tachicardia e sudorazione profusa. Durante il delirium il paziente tenta di afferrare le lenzuola oppure fissa con aggressività ciò che lo circonda e cerca di colpire le persone o gli oggetti delle sue allucinazioni. Il “delirio tranquillo” è un fenomeno raro. Al termine del delirium il paziente, consumato dall’insonnia e dall’iperattività, cade in un sonno profondo, per poi svegliarsi lucido, silenzioso ed esausto, con amnesia quasi completa degli episodi del periodo del delirium tremens. Il 5-15% dei casi, come sopra descritti, sono fatali, per quanto il decesso sia solitamente causato da malattie diverse, come una malattia infettiva, una cirrosi o una patologia traumatica; talora però il decesso avviene senza alcuna complicazione apparente, in stato di ipertermia o di collasso circolatorio periferico, o in alcuni casi per uno shock inspiegabile che porta a morte il soggetto in maniera improvvisa. All’esame autoptico l’encefalo di questi soggetti non appare edematoso né affetto da altre modificazioni significative apprezzabili al microscopio ottico, eccetto che nei casi di collasso o ipossia terminali. In modo imprevedibile si verificano alterazioni del liquor e della TAC, a indicare la presenza di complicazioni della patologia di base. L’EEG può risultare anormale, e durante il delirium il soggetto è particolarmente sensibile alla SLI, rispondendo in circa la metà dei casi con mioclonie generalizzate (fotomioclono), oppure con crisi generalizzate tonico-cloniche (fotoconvulsioni). L’esame ematico mostra la glicemia raramente abbassata in maniera sensibile, come pure poco frequente è la chetoacidosi con glicemia normale. I disturbi degli elettroliti sono di frequenza e importanza variabile. Il sodio tende, assieme a cloruri e fosforo, in alcuni casi ad aumentare, ma per la maggior parte dei soggetti rimane invariato. Analogamente, calcio e potassio rimangono invariati per la maggior parte dei pazienti, ma in circa il 25% dei casi risultano diminuiti. La terapia del delirium tremens va impostata sia sul fronte strettamente neurologico che su quello sistemico. PATOLOGIE CRONICHE DEL SNC INDOTTE DALL’ETANOLO

Alcuni studiosi propongono che la malnutrizione sia la causa principale dei disordini neurologici alcool-correlati (Victor e Adams). Gli alcolisti ottengono spesso oltre il 50% delle loro calorie dall’etanolo e alcuni sviluppano gravi carenze nutrizionali, specie di proteine, di tiamino, folati e miacina. Tuttavia anche alcolisti ben nutriti possono sviluppare miopatia e cardiomiopatia. In aggiunta recente evidenza suggerisce che fattori genetici contribuiscono alla tossicità dell’etanolo. L’utilizzazione dell’etanolo come substrato di specifici enzimi può portare all’accumulo di metabolici tossici (fosfatiletanolo, esteri etilici di acidi grassi, l’acetaldeide). La sindrome di Wernicke-Korsakoff Polineurpatia Neuropatia Ottica (ambliopia “alcool-tabagica”).

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ENCEFALOPATIA DI WERNICKE E PSICOSI DI KORSAKOFF (sindrome di Wernicke-Korsakoff)

1. Encefalopatia di Wernicke Patogenesi

Negli alcolisti la patogenesi dell’Encefalopatia di Wernicke è riconducibile ad un deficit di Tiamina (Vitamina B1) dovuto ad una alimentazione incongrua o a malassorbimento. Tale deficit comunque si può riscontrare anche in caso di malnutrizione, tossicodipendenza, gravi affezioni gastroenteriche, neoplasie maligne e AIDS. Le lesioni consistono in una depigmentazione simmetrica delle strutture situate attorno al III ventricolo, all’acquedotto di Silvio e al IV ventricolo. In queste sedi sono documentabili emorragie petecchiali nei casi acuti; atrofia dei corpi mammillari nei casi cronici. Le strutture colpite presentano microscopicamente proliferazione endoteliale, emorragie microscopiche, demielinizzazione con relativo risparmio degli assoni; perdita neuronale è più evidente a livello del Talamo mediale (queste lesioni possono consentire la diagnosi post mortem nei casi subclinici). Solo alcuni alcolisti (circa il 10%), probabilmente quelli con alterazione geneticamente determinata o acquisita del sistema enzimatico tiaminio-dipendente transchetolasi, sviluppano l’Encefalopatia di Wernicke . La tiamina è un cofattore della transechetolasi, della alfa-chetoglutarico deidrogenasi e della piruvato deidrogenasi. La tiamina è inoltre implicata nel flusso assonale e nella trasmissione sinaptica. Un deficit di tiamina produce una diffusa riduzione del consumo cerebrale di glucosio.Poco dopo lo sviluppo delle caratteristiche lesioni cerebrali, le aree vulnerabili presentano un rapido incremento della produzione di lattato, espressione di un passaggio dal metabolismo aerobico alla glicolisi anaerobia, come risultato di una deficiente attività della piruvato deidrogenasi. Clinica La clinica è caratterizzata dalla triade: - stato confusionale; - oftalmoplegia; - atassia.

Tale quadro comunque occorre solo in un terzo dei pazienti. Le turbe psichiche (presenti nel 90% dei casi) consistono in uno stato confusionale con disorientamento, apatia, indifferenza e solo nel 5% dei casi depressione del tono dell’umore. Le turbe oculomotorie (in circa il 96% dei casi) consistono in nistagmo, più spesso orizzontale, paralisi dell’abducente e dello sguardo coniugato ed esprimono lesioni a carico dei nuclei vestibolari, dell’abducente e degli oculomotori. L’atassia della marcia (nell’87% dei pazienti) deriva da una combinazione di polineuropatia (neuropatia distale per lo più sensitiva, più grave alle estremità inferiori, che ha come substrato anatomico una lesione assonale dei nervi periferici pur essendo presenti anche lesioni delle guaine mieliniche), compromissione cerebellare e vestibolare (le lesioni cerebellari sono abitualmente confinate alle porzioni anteriori e superiori del verme, pertanto raramente occorre atassia degli arti e disartria). L’Encefalopatia di Wernicke comporta gravi turbe mnesiche sino ad una franca Sindrome di Korsakoff. Un coma può stabilirsi acutamente specie nei casi di grave

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denutrizione o di disidratazione (esito fatale nel 10-15% dei casi). È bene pertanto considerare la possibilità di una Encefalopatia di Wernicke in tutti i pazienti alcolisti o denutriti che presentino: nistagmo, oftalmoplegia, atassia, stato confusionale, stupor o coma e ricorrere prontamente in essi alla somministrazione parenterale di Tiamina. Tale somministrazione determina un rapido miglioramento dei disturbi neurologici ed interviene in tal modo come elemento diagnostico ex adiuvantibus (la mancanza di una risposta terapeutica positiva deve far dubitare della diagnosi) . Le turbe oculomotorie regrediscono per prime (abitualmente in qualche ora), l’atassia e le turbe psichiche più lentamente, potendo persistere in forma attenuata nella metà dei casi. Nei casi di persistenza dell’alcolismo, l’Encefalopatia di Wernicke può recidivare e le sequele sono in tal caso gravi e irreversibili.

2. Psicosi di Korsakoff Circa l’80% degli alcolisti ricoverati in ambiente Ospedaliero per una Encefalopatia

di Wernicke presentano un disturbo selettivo della memoria noto come sindrome amnesico confabulatoria di Korsakoff. Da taluni viene considerata come manifestazione psichica della malattia di Wernicke . Consiste in un grave deficit della memoria aterograda e retrograda; lo stato di coscienza e le abilità intellettive sono per il resto assolutamente integre. Patogenesi

L’etiologia è ancora sconosciuta. Recentemente è stato messo in evidenza un deficit di alcuni neurotrasmettitori cerebrali (noradrenalina). I disturbi della memoria correlano con la presenza di lesioni istopatologiche (aree di diminuita densità documentabili alla TAC) nel talamo dorso-mediale e porzioni infero-mediali dei lobi temporali . Perciò si possono osservare casi classici di Sindrome di Korsakoff anche in pazienti con: - neoplasie del III ventricolo; - infarto (o resezione chirurgica) delle porzioni infero-mediali dei lobi temporali; - postumi di encefalite da Herpes Simplex - come manifestazione principale di un’epilessia del lobo temporale; - in traumi cerebrali commotivi; - in casi di leucoencefalopatia anossica; - nella malattia di Alzheimer. In alcuni casi è stato descritto un esteso interessamento dei corpi mammillari al quale si tende a ricondurre i disturbi della memoria . Clinica - amnesia anterograda: impossibilità alla acquisizione di nuove informazioni; - amnesia retrograda: impossibilità alla rievocazione di informazioni antecedenti la malattia; - confabulazione e falsificazione dei ricordi. I pazienti sono spesso torpidi e rallentati, mostrano difficoltà di comprensione, disturbi attentivi,labilità emotiva e perturbazioni dell’umore (euforico, apatico-indifferente, burber-irritabile). I sintomi della Sindrome sono stabili ed un recupero parziale avviene solo in circa il 20% dei pazienti. Le forme croniche non sono rare e si caratterizzano per notevoli disturbi mnemonici che conferiscono al quadro clinico un aspetto demenziale.

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3. Polineuropatia alcolica È la più frequente polineuropatia nutrizionale-carenziale nella nostra società ed in

assoluto, insieme a quella diabetica, tra tutte le polineuropatie. La polineuropatia alcolica colpisce circa il 10% degli etilisti cronici. Viene definita come polineuropatia nutrizionale-carenziale in quanto l’effetto neurotossico non è dovuto all’alcool, ma alla mancanza di assunzione o di assimilazione di cibo contenenti vitamine del gruppo B, soprattutto tiamina, in seguito a malnutrizione e a insufficienze digestive. Non è però sicuro che il deficit vitaminico riguardi in particolare la tiamina in quanto sperimentalmente nei mammiferi è molto difficile riprodurre una neuropatia periferica da carenza di tale sostanza. Caratteristiche anatomo-patologiche L’alterazione anatomo-patologica che riscontriamo è la degenerazione assonale con distruzione sia dell’assone che della guaina mielinica. Può essere presente anche una demielinizzazione segmentaria ma colpisce solitamente una piccola percentuale di fibre. Le parti distali delle fibre mielinizzate più grosse e più lunghe dei nervi degli arti inferiori e, in minor misura, degli arti superiori sono quelle con più alterazioni: meno frequentemente e solo in casi gravi si ha un coinvolgimento dei nervi vaghi, frenici e tronchi paravertebrali del simpatico. Inoltre nei casi più gravi le alterazioni degenerabili possono interessare anche le radici anteriori e posteriori dei nervi con conseguente cromatolisi dei neuroni delle corna anteriori e dei gangli delle radici dorsali con possibile estensione della degenerazione alle colonne posteriori (alcune osservazioni). Clinica

La sintomatologia della polineuropatia alcolica è molto variabile. Vi sono pazienti asintomatici e la sofferenza del nervo periferico si valuta solo con l’esame neurologico: diminuzione di volume e lieve iperestesia dei muscoli delle gambe, riduzione o perdita dei riflessi achillei e dei rotulei e una diminuzione non costante della sensibilità tattile e dolorifica dei piedi e delle creste tibiali. Nei pazienti sintomatici i disturbi presenti più frequentemente sono rappresentati da debolezza, parestesie e dolori. L’esordio sintomatologico può essere subdolo e lentamente progressivo oppure, meno frequente, evolvere e peggiorare rapidamente anche nel giro di pochi giorni. Inizialmente si ha interessamento delle parti distali degli arti, soprattutto e in modo più grave gli inferiori, con progressione centripeta se la malattia non viene curata. La capacità motoria è quella maggiormente colpita, la sintomatologia è simmetrica con possibilità di piede e polso cadente: se sono interessati muscoli della coscia è presente difficoltà nell’alzarsi dalla posizione accovacciata. Raramente si osserva una paralisi totale degli arti inferiori: comunemente invece si osserva una anchilosi da contratture alla ginocchia e alle caviglie. Un dolore muscolare alla pressione, in particolare nei muscoli dei piedi e dei polpacci, è abbastanza comune. Nelle forme più gravi di polineuropatia dove è colpito anche il nervo vago, può essere presente disfagia ed alterazione della voce che diviene roca e debole. Normalmente i riflessi tendinei sono assenti ma possono essere conservati e in alcuni casi più vivaci del normale. il coinvolgimento delle fibre nervose periferiche del simpatico ci spiega le altre manifestazioni cliniche comuni ai pazienti alcolisti: un’eccessiva sudorazione della pianta e del dorso dei piedi, del palmo delle mani e delle dita e più raramente un’ipotensione posturale. In un 25% dei pazienti il dolore e le parestesie costituiscono il principale handicap: dolore sordo e costante ai piedi e alle gambe, dolori improvvisi e di

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breve durata “lancinanti” (pseudotabetici), crampi muscolari e senso di tensione ai piedi e ai polpacci, sensazione a tipo “fascia” intorno ai polpacci. Una condizione più tormentosa per il paziente è la cosidetta “sindrome dei piedi urenti” (impropriamente detta in quanto la sintomatologia può presentarsi anche alle mani): sensazioni di caldo o vero e proprio “bruciore” più frequentemente alla pianta del piede che al dorso, di intensità variabile, aggravate dagli stimoli superficiali, da non tolleranza alle coperte fino all’impossibilità a camminare. Le alterazioni delle sensibilità non sono presenti in tutti i pazienti nella stessa percentuale: nei due terzi circa degli alcolisti sono colpite più o meno allo stesso modo sia le sensibilità superficiali che profonde; un’interessamento prevalente delle sensibilità superficiali (tattile, termica e dolorifica) è presente in un quarto dei pazienti mentre nei rimanenti sono colpite in particolare le sensibilità profonde. Alterazioni cutanee tipo pelle secca e squamosa, pigmentazione della fronte, acne volgare, rinofima e lesioni tipiche della pellagra sono manifestazioni abbastanza frequenti. Non frequentemente e sempre nei casi più gravi possiamo avere edema da stasi, assottigliamento e lucentezza della cute degli arti inferiori in particolare dei piedi fino ad arrivare ad alterazioni trofiche maggiori come la “neuropatia ulcero-osteolitica-giunture di Charcot” caratterizzata da ulcere perforanti plantari e distruzione indolore delle ossa e delle articolazione dei piedi: il meccanismo con cui si produce sembra da ricondurre a ripetuti traumatismi di parti prive di sensibilità con la sovrapposizione di infezioni. Gli esami neurofisiologici evidenziano: • riduzione lieve o moderata della conduzione sia motoria che sensitiva; • riduzione dell’ampiezza dei potenziali d’azione sensitivi; • può essere presente una riduzione delle velocità di conduzione nei segmenti distali dei nervi mentre nei segmenti prossimali si mantiene nella norma; • nei muscoli denervati sono presenti potenziali di fibrillazione.

4. Neurite ottica Definita anche ambliopia da carenza, neuropatia ottica nutrizionale, ambliopia

“alcool-tabagica”, tutti termini che delineano una compromissione visiva dovuta a carenza nutrizionale. Che il fattore nutrizionale fosse alla base di questa neuropatia fu documentato durante il secondo conflitto mondiale e la guerra di Corea, dove un numero elevato di prigionieri, in pessime condizioni igienico-alimentari, svilupparono deficit visivi. Fisher descrisse le lesioni presenti nel nervo ottico in alcuni di questi pazienti deceduti per cause diverse 8-10 anni dopo l’insorgenza dell’ambliopia: perdita della mielina e dei cilindrassi limitatamente alla regione delle fibre papillo-maculari. Alle nostre latitudini raramente viene diagnosticata nei soggetti alcolisti e malnutriti, un’ambliopia clinicamente e anatomo-patologicamente indistinguibile da quella osservata nei prigionieri di guerra. La definizione di ambliopia alcool-tabagica derivò dal fatto che si pensava che o l’alcool o il fumare tabacco o entrambi fossero i responsabili di questa affezione: l’alcool portando a deficit vitaminici, in particolare tiamina, vitamina B12 e riboflavina; il fumare come conseguenza di un avvelenamento cronico da cianuro che si sviluppa proprio fumando. Attualmente si riconduce questa neuropatia solo a deficit nutrizionali. Clinicamente il paziente riferisce un

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annebbiamento ed oscuramento della vista indipendentemente dalla distanza del soggetto che osserva ad andamento progressivo nel giro di giorni o settimane. Obiettivamente, si osserva la presenza di scotomi centrali o centrocecali (a maggior estensione con test colorati più che in bianco e nero) ed un pallore della metà temporale della papilla ottica: tali alterazioni sono sempre bilaterali e praticamente simmetriche. È importante il trattamento con una dieta ipercalorica e con l’integrazione vitaminica: il miglioramento e l’eventuale guarigione dipende ovviamente dalla cronicità e gravità dell’ambliopia e dal periodo di tempo trascorso tra l’esordio e l’inizio della terapia: se non trattate tali forme possono condurre ad atrofia ottica irreversibile. MALATTIE A PATOGENESI INCERTA ASSOCIATE ALL’ALCOLISMO Degenerazione Cerebellare Mlattia di Marchiafava – Bignami Mielino Lisi Pontina Centrale Miocardiopatia e Miopatia Alcolica “ Demenza Alcolica Atrofia Cerebrale

1. Degenerazione cerebellare

La patogenesi della degenerazione cerebellare alcolica è ancora incerta, forse legata alla lesione diretta da etanolo forse alla carenza nutrizionale: lesioni identiche si manifestano in soggetti non alcolisti denutriti. Le somiglianze cliniche e autoptiche con la S. di Wernicke-Korsakoff dal punto di vista cerebellare suggeriscono d’altro canto meccanismi comuni di patogenesi, pur non riscontrandosi nella maggior parte dei pazienti con degenerazione cerebeflare alcolica i segni anatomo-patologici della S. di Wernicke-Korsakoff a livello del resto dell’encefalo. Tali meccanismi potrebbero quindi anche essere di effetto diretto dell’etanolo sulle membrane biologiche, come sembrerebbe da numerosi studi eseguiti in vitro ed in vivo. Può comparire in alcolisti con deficit nutrizionali anche in assenza di S. di Wernicke-Korsakoff. La sintomatologia principale riguarda l’atassia del tronco e della marcia, mentre nistagmo, disartria e atassia a livello delle braccia sono sintomi più rari. Se l’atassia si manifesta in assenza di S. di Wernicke di solito insorge lentamente e più difficilmente migliora col tempo. Altrimenti la sintomatologia evolve in settimane (fino a comprendere alcuni mesi) a volte con periodi di stabilizzazione anche in presenza di continua assunzione di etanolo e scarsa nutrizione. Dal punto di vista anatomo-patologico le alterazioni più vistose si evidenziano a livello del verme, sia inferiore che superiore, mentre gli emisferi risultano compromessi in minor grado. Istologicamente si tratta di un’atrofia aspecifica, riguardante le cellule del Purkinje o gli altri tipi di cellule, che può colpire anche il nucleo dentato; nella sostanza bianca del cervelletto si può notare un netto aumento degli astrociti .

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2. Malattia (Encefalopatia) di Marchiafava - Bignami Raro disordine Neurologico caratterizzato da necrosi assiale del corpo calloso e della

sostanza bianca adiacente agli emisferi cerebrali, occorre in prevalenza in alcolisti gravemente malnutriti. Patogenesi

Il meccanismo patogenetico è tuttora sconosciuto. È documentata l’associazione con l’abuso cronico di alcool, in particolare col consumo del vino rosso . Tuttavia sono stati osservati casi in soggetti astemi . La malattia si definisce più per le sue caratteristiche anatomopatologiche che per quelle cliniche. Il quadro anatomo-patologico consiste infatti in una degenerazione della lamina intermedia del corpo calloso e in foci simmetrici di demielinizzazione e di necrosi, con distruzione dei cilindrassi, nella commessura bianca anteriore dell’encefalo, nelle formazioni ottiche e nella sostanza bianca cerebrale fino alla zona del centro ovale. Talora si associano lesioni corticali soprattutto frontali e temporali. Clinica

Il decorso clinico è variabile: acuto (convulsioni, ipertono muscolare, coma) , subacuto, cronico, caratterizzato da demenza, spasticità, astasia-abasia, impossibilità a deambulare, disartria e segni eventuali di disconnessione interemisferica. In alcuni casi lo stato di coscienza si deprime sino al coma, in altri i pazienti sopravvivono per anni in uno stato demenziale, in altri ancora si assiste alla regressione spontanea dei sintomi. Infatti il verificarsi in un alcolista cronico di disturbi che conducono quale ipotesi diagnostica di sede, a livello frontale o del corpo calloso, ma che mostrano una tendenza alla remissione, deve suggerire la diagnosi di malattia di Marchiafava-Bignami . La diagnosi in passato formulabile solo in sede autoptica, è resa oggi possibile in vivo grazie all’impiego della TAC e della RMN. Sono infatti ben evidenziabili alla TAC ed in particolare alla RMN le lesioni demielinizzanti a carico del corpo calloso e della commessura anteriore e posteriore e l’atrofia del cervelletto e del corpo calloso.

3. Mielinolisi pontina centrale Nel 1959 Adams, Victor e Mancall descrissero per la prima volta questa patologia,

poi descritta in numerosi altri casi sopratutto costituiti da adulti con anamnesi di alcolismo o malnutrizione ma che possono mostrare all’anamnesi anche altre patologie sitemiche. Infatti la mielinolisi centrale del ponte è spesso associata a malattie del fegato (cirrosi, malattia di Wilson), dei reni (nefropatia vascolare, trapianto), dell’encefalo (M. di Wernicke-Korsakoff, tumori), e talora a leucemia, amiloidosi, diabete. La presentazione clinica tipica è di una sindrome corticospinale e corticobulbare progressiva in rapida evoluzione che si esprime con tetraplegia fiaccida con paralisi faciale, glottica e faringea, spesso intervenente durante il corso di una malattia acuta con letargia, crisi epilettiche generalizzate e squilibrio elettrolitico. La gravità del quadro dipende comunque dall’estensione e dall’ubicazione delle aree lese, che oltre che nel ponte possono trovarsi nel talamo, nell’ippocampo e nella sostanza midollare centrale. Di solito i soggetti risultano non in coma, ma affetti da “locked-in Syndrome”. Per confermare la diagnosi si possono evidenziare le lesioni con la RMN e con i BAEP. In una gran parte dei soggetti l’evento scatenante sembra essere la troppo rapida correzione dell’iponatriemia. Infatti sperimentahnente la mielinolisi centrale del ponte

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risulta inducibile proprio da una correzione molto rapida della concentrazione del sodio ematico (I), e anche secondo dati clinici un troppo rapido ritorno alla natriemia normale può portare a focolai di demielinizzazione nel T.E.. Cosa determini nella mielina questa particolare sensibilità agli squilibri elettrolitici non è ancora chiaro. A livello macroscopico si rilevano focolai, macroscopicamente grigi,nella mielina del ponte, con pallore delle fibre trasverse, che istologicamente mostrano un ampio depauperamento della mielina con risparmio dei cilindrassi. Nelle lesioni acute si nota spongiosi, astrocitosi e proliferazione della glia, mentre in quelle di vecchia data possono esserci alterazioni distrofiche a carico degli assoni ai margini del focolaio . Per la terapia si enfatizza la restrizione sia di liquidi che di sali.

4. Miopatia alcolica Questa definizione racchiude alcune forme di debolezza muscolare che possono

ricondursi all’alcool. Inizio con vomito e diarrea che precedono di solito nell’arco di tempo di diversi

giorni o settimane la comparsa di debolezza muscolare prevalentemente prossimale ed indolore associata a grave ipokaliemia, innalzamento dei livelli sierici di enzimi epatici e muscolari. Microscopicamente nei muscoli più gravemente interessati si osserva necrosi e vacuolizzazione di singole fibre. La terapia è mirata al ripristino del deficit di potassio: somministrazione di cloruro di potassio (720 mq/die) endovena per diversi giorni e poi per via orale. In 7-14 giorni si ha il ripristino della forza muscolare parallelamente al normalizzarsi degli enzimi;

Comparsa acutamente, all’apice di una intensa fase di assunzione cronica, di dolore intenso, dolorabilità ed edema dei muscoli degli arti (simulando una flebotrombosi profonda o un’occlusione linfatica) e del tronco e danno renale e iperkalemia nei casi più gravi. Si può avere un interessamento dei muscoli sia generalizzato che focale. Indici di mionecrosi sono un aumento dei livelli sierici di CK, di aldolasi e presenza di miogiobina nelle urine che può, seppur raramente, portare a nefrosi mioglobinurica mortale. Studi sperimentali hanno ipotizzato che un periodo di digiuno dopo una assunzione protratta di alcool, possa scatenare nell’uomo una mionecrosi. Il recupero della forza avviene lentamente, qualche settimana in pochi casi diversi mesi per gli altri: questo in relazione all’estensione del danno muscolare, alla concomitante presenza di una polineuropatia, alle ricadute durante altre fasi di intensa assunzione di alcool;

Nel corso di una bevuta protratta possono comparire intensi crampi muscolari e debolezza diffusa. Le alterazioni biochimiche presenti sono rappresentate da un aumento dei livelli sierici di CK, presenza di mioglobina nelle urine e mancato aumento di acido lattico sierico dopo esercizio in condizioni di ischemia, come si verifica nella malattia di McArdie. Tuttavia negli etilisti i livelli di miofosforitasi non sono ridotti in modo consistente.

Saltuariamente e ad evoluzione subacuta o cronica si osserva una debolezza muscolare associata ad atrofia dei muscoli prossimali degli arti, in particolare gli inferiori, con sfumati segni di neuropatia nei segmenti distali delle gambe e dei piedi.

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A tale situazione è stato attribuita la definizione, non riconosciuta da vari autori, di “miopatia alcolica cronica”. In alcuni casi è presente mionecrosi e mioglobinuria. In molti casi la genesi è di tipo neuropatico.

Cardiomiopatia dilatativa . La terapia è la stessa della neuropatia alcolica e si può arrivare alla guarigione completa se il paziente osserva le indicazioni che gli vengono date (astenersi dal bere e dieta ricca e bilanciata).

5. Demenza alcolica Forma tipica di demenza che può essere attribuita agli effetti diretti e cronici

dell’alcool sul cervello. Caratterizzata da disturbi funzionali cognitivi e da atrofia cerebrale, insolita per l’età, accertabile alla tomografia computerizzata. Patogenesi

Colpisce un numero limitato di alcolisti cronici per lo più di età avanzata. Si discute se la patologia demenziale sia conseguenza diretta dell’effetto tossico dell’alcool e dei suoi metaboliti sul Sistema Nervoso Centrale oppure sia dovuta alla malnutrizione, alla epatopatia, ai ripetuti traumatismi a cui gli alcolisti cronici possono andare incontro. Sono state descritte una serie di modificazioni della corteccia cerebrale attribuite agli effetti tossici dell’alcool che sono alla base dello stato di deterioramento alcolico: - atrofia progressiva della corteccia dei lobi frontali (associata a opacità e ispessimento delle meningi sovrastanti e a ingrossamento dei ventricoli laterali) - rigonfiamento, picnosi e atrofia pigmentaria delle cellule nervose - perdita irregolare delle piccole cellule piramidali delle lamine superficiali e intermedie - degenerazione secondaria e perdita delle fibre nervose.

Tali lesioni comunque risultano piuttosto aspecifiche e talora alcune di esse possono rappresentare nient’altro che gli effetti dell’invecchiamento o gli artefatti della fissazione e della colorazione dei tessuti. Inoltre nella maggior parte dei casi con diagnosi di demenza alcolica all’autopsia si riscontrano lesioni tipiche di altri processi morbosi quali: - sindrome di Wernicke-Korsakoff; - lesioni traumatiche di diversi livelli di gravità; - encefalopatia anossica epatica; - idrocefalo comunicante; - malattia di Alzheimer; - necrosi ischemica. Clinica

Si osservano disturbi dell’attenzione, della concentrazione, della percezione, della memoria, dei movimenti fini, come anche dell’apprendimento verbale. Sebbene i deficit cognitivi siano abitualmente lievi, alcuni alcolisti presentano disfunzioni cognitive stabilmente gravi, variabili da una amnesia selettiva anterograda e retrograda, ad una demenza vera e propria. Clinicamente si osserva: gelosia e diffidenza, scadimento del rigore morale, comparsa di disturbi della personalità e del comportamento, deterioramento delle prestazioni lavorative, della cura personale e delle abitudini di vita, disorientamento,

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indebolimento della capacità di ragionare e difetti della funzione intellettiva (particolarmente della memoria), dilatazione dei capillari della cute e della faccia, aspetto edematoso, afflosciamento dei muscoli, gastrite cronica, tremiti e attacchi convulsivi ricorrenti Diagnosi - Tests Neuropsicologici: performances ridotte in percentuale variabile dal 50 al 70%; - TAC/RMN alterazioni evidenziabili: ingrandimento degli spazi liquorali esterni a livello frontoparietale delle cisterne e degli spazi liquorali; nell’alcolismo cronico la TAC evidenzia un quadro di atrofia cerebrale nel 61-96% dei casi; 6-10 anni di intossicazione alcolica sono sufficienti a produrre un quadro di atrofia cerebrale .

6. Atrofia Cerebrale Alcolica Il termine di Atrofia Cerebrale alcolica, perdita più accentuata della sostanza bianca

con perdita di neuroni corticali maggiormente localizzata nel giro frontale superiore (diagnosi formulata in base ai referti neuroradiologici), non implica necessariamente che l’assunzione cronica di etanolo conduca alla perdita irreversibile di tessuto cerebrale in quanto come è stato osservato i referti tomodensometrici di atrofia cerebrale possono essere reversibili entro certi limiti. Questa reversibilità indica probabilmente uno spostamento dei liquidi interstiziali nel cervello nel corso di mesi piuttosto che una reale perdita di tessuto. Terapia Studi neuroradiologici (RMN) mostrano una parziale reversibilità dell’atrofia cerebrale con l’astinenza . L’astinenza risulta l’unico trattamento terapeutico possibile. MIOPATIA ALCOLICA FETALE

La sindrome alcolica fetale è caratterizzata da un ampio spettro di deficit fisici e psichici che insorgono nei figli di donne che abusano di alcool in gravidanza. Le caratteristiche dei bambini affetti includono uno scarso accrescimento staturo-ponderale di origine prenatale, microcefalia, ipoplasia malare e ritardo mentale. La sindrome alcolica fetale è tra le patologie indicate nell’allegato 1 delle malattie incluse nel Decreto Ministeriale 279/01, "Regolamento di istituzione della Rete Nazionale Malattie Rare" (Sindrome alcolica fetale, codice di esenzione RP0040) . LESIONI TRAUMATICHE CONSEGUENTI ALL’INTOSSICAZIONE Ematoma sottodurale , contusione cerebrale, etc…

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NEUROIMAGING NELL’ETILISMO

Giulio Zuccoli

U.O. Radiologia - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia Introduzione

La Risonanza Magnetica (RM) viene utilizzata nella pratica clinica corrente e nella sperimentazione a scopo di ricerca sia su animali da laboratorio che su volontari. Nella pratica clinica quotidiana il ruolo della RM è riconosciuto nella diagnosi delle sindromi metaboliche acute quali la encefalopatia di Wernicke, la malattia di Marchiafava, la mielinolisi pontina ed extrapontina, correlabili agli effetti tossico-metabolici dell’alcol sul tessuto nervoso o alle conseguenze encefaliche di processi tossico-metabolici diretti sul tessuto epatico (encefalopatia epatica). L’abuso alcolico è, al contempo, associato a malnutrizione e dunque concausa di carenza vitaminiche specie del gruppo B implicate nella patogenesi della encefalopatia acuta di Wernicke. Da sottolineare come la barriera ematoencefalica sia permeabile all’alcol e dunque incapace di difendere il tessuto cerebrale dagli effetti tossici dell’abuso alcolico.

La ricerca scientifica

Gli effetti acuti e cronici dell’abuso etilico sono stati e sono oggetto nel campo della ricerca scientifica di analisi RM volumetriche (quantitative) delle strutture cerebrali, e di approcci funzionali finalizzati alla quantificazione della attivazione neurale.

Gli effetti cronici dell’alcol sono descritti in relazione a atrofia selettiva specie nella porzione superiore del verme, ma anche degli emisferi cerebrali, specie a livello dei lobi frontali. La atrofia selettiva e le alterazioni funzionali possono essere a loro volta espressione di un effetto tossico-metabolico sia diretto sul tessuto cerebrale che indiretto, sia acuto e che cronico. La diagnosi differenziale neuroradiologica degli stati degenerativi cronici da abuso d’alcol è rappresentata dal trattamento con dilantina, dalla atassia di Marie, dalla degenerazione olivo ponto cerebellare e dalla demenza di Alzheimer. Le forme metaboliche congenite e acquisite, la encefalopatia ischemica, l’intossicazione da monossido di carbonio, rappresentano altri quadri patologici spesso sovrapponibili a quanto osservabile nelle encefalopatie alcoliche. L’atrofia è correlabile alla quantità dell’alcol assunto. Le alterazioni funzionali sono rappresentate da una riduzione della attivazione neurale specialmente nelle regioni prefrontali e nella corteccia del cingolo dorsale anteriore.

L’insulto neurotossico sui circuiti interni, in particolare sulla connettività mammillo talamica, è probabilmente implicato nella patogenesi della sindrome di Korsakoff, nota complicanza della encefalopatia di Wernicke.

Un altro campo di applicazione della RM nell’etilismo è la valutazione degli effetti tossici dell’alcol sul sistema nervoso centrale anche nei bevitori moderati, nei giovani e nei neonati di madri etiliste. E’ significativo il fatto che seppur in assenza di

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visibili alterazioni del tessuto cerebrale nei giovani etilisti sia stata evidenziata un’alterazione della attivazione cerebrale a sottolineare un effetto tossico latente dell’alcol sul sistema nervoso centrale già presente nel cervello apparentemente sano.

Encefalopatia di Wernicke

La Encefalopatia di Wernicke (malattia correlata a deficit di vitamina B1 (tiamina)) rappresenta una emergenza clinica ed è forse la principale emergenza clinica correlata all’uso di alcol in quanto sottostimata.

In particolare, la caratteristica triade di sintomi rappresentata da alterazione dello stato di coscienza fluttuante da un lieve stato confusionale al coma, disturbi oculari e atassia è presente in una minoranza di pazienti; la RM è dunque dirimente negli pazienti in cui la encefalopatia si manifesta direttamente con uno stato di coma. La diagnosi nella fase acuta della malattia è rappresentata da aspetti RM tipici ed atipici. In particolare gli aspetti tipici sono rappresentati da lesioni metaboliche che coinvolgono caratteristicamente i nuclei mediali del talamo, le regioni periventricolari del terzo ventricolo, la sostanza grigia periaqueduttale, la sostanza grigia anteriore al quarto ventricolo, i tubercoli mesencefalici e i corpi mammillari.

La prevalenza delle lesioni RM in determinate regioni cerebrali, in particolare della sostanza grigia profonda e delle aree periventricolari ha fatto ipotizzare che in queste aree la presenza di vitamina B1 giochi un ruolo metabolico predominante.

Gli aspetti tipici sono caratteristici sia della Encefalopatia di Wernicke alcol correlata che di quella non correlata.

Gli aspetti atipici, al contrario, rappresentati da alterazioni selettive dei nuclei dei nervi cranici e della corteccia cerebrale, caratterizzano i malati affetti da Encefalopatia di Wernicke non correlata all’abuso alcolico.

Questo dato significativo ha fatto ipotizzare un effetto neuro protettivo dell’alcol sui nuclei dei nervi cranici e sulla corteccia cerebrale o, in altra ipotesi, un adattamento dei nuclei dei nervi cranici all’insulto tossico dell’alcol attraverso vie metaboliche complementari al meccanismo d’azione della tiamina.

La similitudine fra gli aspetti con Risonanza Magnetica della Encefalopatia di Wernicke e della encefalopatia da metronidazolo, in particolare la corrispondenza anatomica delle alterazioni mesencefaliche e dei nuclei dentati ha fatto recentemente ipotizzare vie metaboliche comuni alle due patologie non correlabili all’effetto iatrogeno dell’alcol in quanto la corrispondenza è stata rilavata solo con le encefalopatie da carenza di vitamina B1 nei pazienti non etilisti.

Nonostante la Encefalopatia di Wernicke sia stata inizialmente descritta come “poliencefalite emorragica” sulla base di reperti patologici la complicanza emorragica così come evidenziabile da TC e RM rappresenta un evento rarissimo, associato a prognosi infausta. La possibilità di distinguere edema reversibile da edema irreversibile data dalla RM con utilizzo di sequenze di diffusione (DWI) permetterà probabilmente di differenziare le lesioni in base alla gravità e di poter prevedere l’evoluzione della malattia, che è potenzialmente reversibile quanto precocemente l’infusione di tiamina per via endovenosa o intramuscolare viene instaurata.

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Attualmente la letteratura scientifica non consente infatti di dare un ruolo determinante all’uso della DWI in quanto troppo ampio lo spettro di rappresentazioni DWI e troppo esiguo il numero di pazienti. Le alterazioni presenti nella encefalopatia di Wernicke possono precedere l’insorgenza della sintomatologia e dunque rappresentare riscontro occasionale negli studi di pazienti affetti da altra patologia. La diagnosi differenziale di lesioni simmetriche talamiche include la variante di malattia di Creutzfeldt-Jacob, la encefalite da West Nile virus, l’infarto talamico in territorio arterioso di Percheron. Le alterazioni croniche conseguenti alla encefalopatia di Wernicke sono rappresentate dalla perdita di volume in particolare a carico delle regioni talamiche e dei corpi mammillari. Tuttavia le modificazioni croniche sono difficilmente quantificabili in particolare poiché non è possibile differenziare nella quantificazione volumetrica la patogenesi encefalopatica carenziale vitaminica acuta da quella citotossica diretta o indiretta esercitata dall’abuso cronico di alcol. Malattia di Marchiafava

La malattia di Marchiafava rappresenta, a livello cerebrale, una complicanza rara dell’etilismo cronico. Essa è caratterizzata classicamente da lesioni simmetriche d’aspetto demielinizzante del corpo calloso, che esitano in una necrosi e atrofia dello stesso di vario grado, raramente complicata in fase acuta da emorragia. Il tropismo delle lesioni del corpo calloso è elettivo per lo splenio dello stesso ma non è infrequente la estensione delle lesioni all’intero corpo. La diagnosi differenziale neuroradiologica include le lesioni infiammatorie, ischemiche e il glioma. Oltre alle caratteristiche alterazioni del corpo calloso sono raramente descritte alterazioni della sostanza bianca emisferica e anche della corteccia. Tale aspetto è sovrapponibile ad alcune presentazioni atipiche della encefalopatia di Wernicke, che tuttavia mostra predilezione per la corteccia pre- e postcentrale, mentre nella malattia di Marchiafava l’interessamento corticale è diffuso. E’ stata inoltre osservata una predilezione per la regione mediana dello stesso. Sono state postulate varie ipotesi sulla patogenesi della malattia di Marchiafava incluso il deficit vitaminico del gruppo B e l’azione tossica dell’alcol. Da notare tuttavia che la somministrazione di vitamine del gruppo B non è sempre correlata alla regressione del quadro. Mielinolisi pontina e extrapontina

La mielinolisi pontina ed extrapontina rappresenta un’ulteriore possibile complicanza neuroradiologica dell’etilismo. Essa è caratterizzata da alterazioni del ponte in sede centrale con caratterista morfologia a “tridente”. L’associazione con alterazioni simmetriche dei nuclei della base, dei talami, del cervelletto, della sostanza bianca, degli ippocampi, dei corpi genicolati (mielinolisi extrapontina) è rara essendo descritta in circa il 10% dei pazienti. La diagnosi differenziale neuroradiologica include l’infarto del ponte, la sclerosi multipla, l’astrocitoma di basso grado, l’encefalopatia ipertensiva, malattie metaboliche (Wilson, Leigh, Diabete). Essa può esordire con uno stato delirante, quadriplegia spastica, paralisi pseudobulbare e paralisi orizzontale dello sguardo.

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Classicamente, la mielinolisi pontina, è stata associata a rapide correzioni della natremia; tuttavia va notato come la rapida correzione della natremia non sia sempre associata a mielinolisi.

La diagnostica include la RM in diffusione seppur anche la tomografia assiale (TC) possa evidenziare ipodensità in regione pontina centrale. Da notare come il paziente affetto dalla patologia possa presentare un quadro RM e TC negativo per le prime due settimane dall’esordio dei sintomi e come la RM con sequenza di DWI possa rappresentare un utile ausilio nella diagnosi precoce evidenziando segni di edema vasogenico in assenza di manifesta patologia nelle sequenze tradizionalmente utilizzate.

La genesi della restrizione della diffusione è stata ipoteticamente correlata alla riduzione del contenuto interstiziale di acqua libera, ma non è correlabile alla prognosi. La DWI è peraltro una sequenza estremamente versatile utilizzabile anche in pazienti non collaboranti considerata la breve durata d’esecuzione e dunque dovrebbe essere inclusa nell’iter della diagnosi precoce di mielinolisi pontina ed extrapontina.

Varie condizioni patologiche sono state descritte in associazione alla mielinolisi pontina ed extrapontina, fra le quali vanno menzionate trapianto epatico, pancreatite, disturbi elettrolitici, linfoma in fase avanzata, cachessia, malattia di Wilson ed etilismo cronico. Sono da considerare fattori di rischio per lo sviluppo della patologia valori di sodio nel siero inferiori a 120\mq\L per almeno 48 ore, terapia salina ipertonica, sviluppo durante il trattamento di ipernatremia.

L’abuso cronico di alcol è un conosciuto fattore di rischio sia della mielinolisi pontina che di quella extrapontina, rappresentando fattore prognostico più favorevole rispetto alla mielinolisi da rapida correzione della natremia. Da notare come un fattore scatenante il processo di lisi possa essere rappresentato anche dalla astinenza da alcol. La mielinolisi pontina rappresenta come per la encefalopatia di Wernicke una emergenza medica e quando non trattata il decesso è frequente. Il recupero neurologico è lento, potendo perdurare mesi. La quadripartesi spastica e la sindrome “locked in” rappresentano possibili complicanze croniche. Encefalopatia epatica

La encefalopatia epatica è un altro esempio di coinvolgimento cerebrale nei pazienti affetti da epatopatia anche in relazione all’etilismo. Si tratta di una sindrome funzionale potenzialmente reversibile caratterizzata da aspetti motori, psichiatrici e cognitivi. La encefalopatia epatica può avere presentazione acuta e cronica. Essa è caratterizzata nei casi cronici da alterazioni iperintense nelle sequenze pesate in T1 dei gangli della base, specie dei globi pallidi. Nei casi acuti il “neuroimaging” può evidenziare edema cerebrale diffuso visibile sia con la TC sotto forma di ipodensità che con la RM sotto forma di riduzione del segnale T1 e elevazione del segnale T2.

Si distinguono tre generi di encefalopatia epatica: in associazione con insufficienza epatica acuta, con bypass portosistemico, con cirrosi epatica. La diagnosi differenziale neuroradiologica delle alterazioni dei globi pallidi include l’ipotidiroidismo, l’iperalimentazione, l’intossicazione da monossido di carbonio. Caratteristicamente si osserva dissociazione fra recupero clinico e regressioni delle alterazioni iperintense con

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RM che caratteristicamente perdurano anche mesi dopo la eliminazione della noxa patogena. In particolare dopo trapianto epatico le alterazioni simmetriche regrediscono anche dopo un anno. Conclusioni

Concludendo, il “neuroimaging” riveste un ruolo di rilievo nella diagnosi delle encefalopatie correlate all’abuso etilico sia nell’acuzie così come nelle complicanze croniche.

Il valore aggiunto del “neuroimaging” incrementa in relazione a presentazioni cliniche incomplete e atipiche del paziente etilico, consentendo un approccio diagnostico differenziale “lifesaving”.

Il “neurimaging” funzionale attualmente riveste un ruolo importante nella determinazione degli effetti cognitivo comportamentali dei pazienti etilisti anche in assenza di manifeste lesioni cerebrali.

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matter involvement. Emerg Radiol. 2008 Mar;15(2):137-40. Ruzek KA, Campeau NG, Miller GM. Early diagnosis of central pontine myelinolysis with diffusion-

weighted imaging. AJNR Am J Neuroradiol. 2004 Feb;25(2):210-3. Yoon B, Shim YS, Chung SW. Central Pontine and Extrapontine Myelinolysis after Alcohol

Withdrawal. Alcohol Alcohol. 2008 Aug 4.

Vino & Alcool: dagli Effetti Salutari a quelli Tossici 61

ALCOOL E MEDICINA LEGALE

Fulvio Fantozzi

Centro Medico Privato Lazzaro Spallanzani - Reggio Emilia

Il Capitolo Alcol e Medicina Legale da semplice “corpuscolo accademico” di nozioni stereotipate della manualistica medico-legale e criminologica è divenuto oggi tema assai attuale e scottante, alimentato tutti i giorni nelle pagine dei quotidiani locali e nazionali dalla presentazione di un numero crescente e sempre più variegato di eventi alcol-correlati, buona parte dei quali ad alto contenuto emotivo ed anche economico laddove il loro costo socio-sanitario è tanto crescente quanto sottostimato (cfr Fig 1).

È il caso della stretta correlazione tra il bere episodico incongruo e l'incidentalità stradale, sulla base di una più ampia e pressante detezione del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica sulle strade da parte di pattuglie delle Forze dell'Ordine finalmente diffusamente dotate degli etilometri previsti dalla legge. Sta aumentando anche la coscienza e la conoscenza in termini proprio casistici del numero enorme di infortuni sul lavoro causati o concausati dal consumo anche cosiddetto “moderato” ma comunque incongruo di bevande alcoliche in prossimità della prestazione lavorativa e parallelamente l'intervento normativo del 16 marzo 2006 ha il significato di prima specifica reazione istituzionale di natura preventiva alla piaga dell'infortunistica del lavoro alcol-correlata.

Un'altro frangente in cui il medico specialista che si occupa di patologie e problemi alcol-correlati è chiamato a pronunciarsi sempre più di frequente sia in ambito pubblico (SER.T. in quanto destinatari del mandato di svolgere funzioni di Centro Alcologico) e ancora di più in ambito privato è quello della certificazione di assenza di dipendenza da alcol o comunque di problemi fisici, psichici e comportamentali alcol-correlati (ed alcol correlabili) in persone che rivendicano la potestà genitoriale esclusiva all'interno di contenziosi (o veri e propri “giochi al massacro”) tra ex coniugi interessati l'uno/a a far etichettare l'altro come alcolista e quindi ad esautorarlo, l'altro/a difendersi da tale “accusa” al fine di mantenere un qualche grado di potestà sui figli minorenni.

Ancora in tema di competenze genitoriali e minori la certificazione di assenza di tossicodipendenza è talora richiesta al SER.T. od a specialisti privati (addirittura psichiatri) in caso di richiesta di adozione di minori, destando sovente il comprensibile sconcerto in operatori la cui mission elettiva non è certo quella di certificare in simili frangenti e men che meno di certificare a favore di cittadini - non - utenti che ad essi accedono per motivi soltanto e dichiaratamente medico-legali.

In ambito forense la criminalità indotta dall'alcol, di solito commissiva e violenta (aggressioni, lesioni, violenza sessuale ove è da ricordare che l'alcol resta ancor oggi la “rape drug ante litteram”!) è ricorrente in molte storie processuali. Ma non è da dimenticare la criminalità connessa al maltrattamento psicologico e alla trascuratezza (dunque reati omissivi) di genitori o persone comunque formalmente addette all'accudimento, educazione e sussistenza di minorenni e che invece si dedicano all'alcol.

Vino & Alcool: dagli Effetti Salutari a quelli Tossici 62

Un capitolo ancora non scritto, ma che dovrebbe essere scritto in materia di medicina legale e alcol, è quello relativo alla responsabilità professionale individuale od oggettiva che potrebbe scaturire dalla mancata cura o dalla cura inadeguata o intempestiva (il ché a ben vedere è peggio quanto a maleficialità) di soggetti con disturbi da uso di alcol allorquando sono scambiati per nevrotici o depressi cronici o per caratteropatici e disinvoltamente terapizzate inadeguatamente in ambiti non specialistici per anni ed anni, con esito in cronicizzazione iatrogena. Fig. 1

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

DA

LY

s (00

0's)

Tabacco

Ipertensione

Alcol

Ipercolesterolemia

Sovrappeso

I 5 principali fattori di rischio di malattia e morte prematura

in Europa

Fonte: World Health Organization (2002) The World Health Report 2002. Reducing risks, promoting healthy life. Geneva; World Health Organization. NdR: per DALYs (Disability Adjusted Life Years) si intende il numero di anni di vitaper via di morte prematura nonchè gli anni di vita sana persi a causa di disabilità. [Iltermine “disabilità” qui va inteso come assenza di salute o insufficiente salute]”

persi

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Il RUOLO DEL Ser.T

Angiolina Dodi

Direttore Ser.T Distretto di Guastalla - Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia

Il Ser.T ha il mandato di sviluppare interventi di prevenzione, cura, riabilitazione e riduzione del danno per le persone che presentano problemi di abuso o dipendenza da sostanze legali ed illegali. Gli interventi sono rivolti ai giovani consumatori, alle persone con problemi di dipendenza, alle famiglie, ai contesti di vita. È diffusa la consapevolezza che il consumo di alcol, il fumo di sigaretta, l’attività fisica e l’alimentazione, siano i determinanti della salute ed è ormai evidente la correlazione tra l’elevato consumo di alcol e l’aumento del rischio di morbilità e disabilità psichica, oltre alla mortalità.

Secondo l’OMS ogni anno sono attribuibili al consumo di alcol circa il 10% di tutte le malattie, il 10% di tutti i ricoveri, il 10% di tutti i tumori, il 63% delle cirrosi epatiche, il 9% delle invalidità. I costi annuali, sociali e sanitari, sono pari al 2-5% del PIL di ogni paese. (Rapporto 2007 su consumo e dipendenze da sostanze in Emilia Romagna).

Dallo studio “PASSI 2006”, condotto in Emilia Romagna, emerge che circa i tre quarti della popolazione tra i 18 e 69 consuma bevande alcoliche e circa un quinto ha abitudini di consumo considerabili a rischio. Sono definiti a rischio: 5. i forti consumatori (più di 3 unità alcoliche al giorno per gli uomini e più di 2 per le

donne. Una unità alcolica corrisponde a 12 gr. di alcol contenuti in 1 birra in lattina, 1 bicchiere di vino, un aperitivo);

6. i bevitori che consumano almeno una volta al mese 6 o più unità alcoliche in un’unica occasione (binge drinking ).

La normativa di riferimento, oltre alle linee di indirizzo regionali, è la Legge quadro in materia di alcol e di problematiche alcolcorrelate (L. 125 del 2001) che: tutela il diritto delle persone ed in particolare dei bambini e degli adolescenti ad una vita

familiare, sociale e lavorativa protetta dalle conseguenze legate all’abuso di bevande alcoliche e superalcoliche; favorisce l’accesso delle persone che abusano di bevande alcoliche a trattamenti sanitari

ed assistenziali adeguati; favorisce l’informazione sulle conseguenze derivanti dal consumo e dall’abuso di

bevande alcoliche; promuove la ricerca e garantisce adeguati livelli di formazione e di aggiornamento del

personale; favorisce le organizzazioni del privato sociale e le associazioni di auto-mutuo aiuto

finalizzate a prevenire o a ridurre i problemi alcolcorrelati”.

Vino & Alcool: dagli Effetti Salutari a quelli Tossici 64

Il Ser.T

Il compito prevalente del Ser.T è l’ ASSESSMENT, inteso come processo di raccolta, integrazione ed interpretazione delle informazioni . Si esplica attraverso: la diagnosi: processo di identificazione dei problemi e patologie correlate al consumo di

bevande alcoliche, attraverso l’anamnesi individuale e familiare; la somministrazione di questionari e test, l’esecuzione di esami biochimici e strumentali; la cura: disintossicazione, prevenzione della ricaduta, monitoraggio; la riabilitazione: trattamenti individuali, familiari, inserimento in gruppi di auto-mutuo-

aiuto, formulazione di programmi socio-riabilitativi a medio e lungo termine. In ogni Ser.T è attiva una equipe multidisciplinare che consente di affrontare le

problematiche alcolcorrelate nella loro dimensione complessa. L’equipe è in rete con i MMG, il reparto di medicina dove vengono effettuati i

ricoveri, i servizi sociali, i servizi psichiatrici, le strutture specialistiche, i gruppi di auto-mutuo-aiuto ( AA, AL/ANON, CAT ) che rappresentano una importante risorsa territoriale, deputata al sostegno e al mantenimento dello stato di astinenza .

L’utenza

Nella nostra regione nel 2006 sono state 5.174 le persone con problemi alcolcorrelati afferite ai Ser.T, pari al 29,2% del totale complessivo . Il 73% è rappresentato dai maschi, il 27% dalle femmine (2,7 uomini per ogni donna nel 1996, 3,3 uomini per ogni donna nel 2006). L’età media è di 46,8 (44,8 per i nuovi utenti, 47,1 per gli utenti già in carico). (Rapporto 2007 Regione Emilia Romagna).

I Progetti di Prevenzione

Il Ser.T, in collaborazione con altri servizi del territorio è coinvolto nei seguenti progetti di prevenzione:

1) Progetto sperimentale di comunità –Distretto di Correggio Obiettivi: a) qualificare le iniziative di informazione e sensibilizzazione per la popolazione generale sui rischi connessi al consumo di alcol; b) creare protocolli d’intesa fra tutti coloro che possono dare un contributo alla prevenzione delle patologie alcolcorrelate, al fine di migliorare l’efficacia degli interventi; c) aumentare il livello di percezione dei rischi connessi al consumo non appropriato. 2) Progetto alcol e giovani Si sviluppa c/o il centro regionale di didattica multimediale “Luoghi di Prevenzione” Reggio Emilia in collaborazione con la sede locale della Lega Tumori. Sono stati allestiti dei percorsi didattici interattivi per le scuole secondarie e dei percorsi di formazione e aggiornamento per operatori socio sanitari, docenti, terzo settore.

Vino & Alcool: dagli Effetti Salutari a quelli Tossici 65

3) Progetto Alcol e Guida

La Delibera regionale di Giunta n. 1423/04 definisce le linee di indirizzo per la valutazione dell’idoneità alla guida dei soggetti segnalati per guida in stato di ebbrezza (violazione art. 186 del codice della strada). Al fine di accrescere il valore preventivo dell’intero percorso di valutazione e favorire la modifica del comportamento a rischio nei soggetti segnalati, si sta intervenendo con azioni mirate all’informazione e alla educazione.

4) Alcol e Lavoro Si sviluppa attraverso incontri formativi di prevenzione e riduzione delle problematiche alcol correlate negli ambienti di lavoro, con il coinvolgimento dei quadri dirigenti e dei medici competenti.

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Parte 4

Abstract e Contributi

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VINI E VIVANDE

Salvatore Vaccaro

Team Nutrizionale - Azienda Ospedaliera “Arcispedale Santa Maria Nuova” - RE

Ogni vino presenta caratteristiche proprie, varia la gamma dei colori, dei

profumi, dei sapori, etc. e quando si deve abbinare un vino ad una vivanda è fondamentale evitare che i rispettivi sapori contrastino fra loro. Il vino non si abbina con i piatti contenenti abbondante aceto, con le salse a base di aceto (vinaigrettes), con le insalate condite con aceto e/o limone, con il pompelmo, con l’ananas, con l’arancia, con il limone o con altra frutta acida, con piatti troppo speziati e piaccanti; inoltre, i piatti tipici africani, sudamericani ed orientali si prestano poco o nulla ad abbinamenti con il vino. Fondamentale risulta essere la temperatura alla quale viene assunto il vino: solo grazie ad essa il vino è in grado di esprimere le sue massime virtù.

Se ci si trova nella condizione di dover scegliere dal menù più vini nell’ambito dello stesso pasto, bisogna tenere in considerazione una semplice “scala di valori”: il vino leggero deve precedere quello più robusto; il vino giovane deve precedere quello più vecchio; il vino meno importante deve precedere quello più importante e/o pregiato.

Vengono di seguito schematizzati gli abbinamenti e le temperature ideali per varie categorie di vini: Vini Bianchi Secchi: particolarmente adatti per antipasti leggeri a base di pesce, uova,

prosciutto, paté di fegato; minestre leggere; molluschi e crostacei; pesce in bianco con salse leggere; pasti con piatti leggeri in bianco. Vanno assunti ad una temperatura che varia tra gli 8°C ed i 12 °C. Vini Bianchi Morbidi ed Aromatici: particolarmente adatti per antipasti vari non troppo

piccanti; minestre asciutte o in brodo non troppo salate; pesci arrostiti o alla griglia. Vanno assunti ad una temperatura che varia tra gli 8°C ed i 12 °C. Vini Spumanti Bianchi: particolarmente adatti per aperitivi, antipasti e dessert. Vanno

assunti ad una temperatura compresa tra 6° ed 8°C. Vini Rosati: particolarmente adatti per antipasti a base di salumi, carni e formaggi;

minestre asciutte con sughi di carne; pesci al cartoccio, in umido, con aromi forti; pollo, vitello e coniglio con salse leggere. Vanno assunti ad una temperatura fra 12°C e 14°C. Vini Rossi Leggeri: particolarmente adatti per piatti a base di pollo, coniglio, piccione,

vitello, frattaglie; minestre asciutte con salse robuste. Vanno assunti ad una temperatura che può variare tra 15°C e 18°C. Vini Rossi Corposi: particolarmente adatti per piatti a base di carni di maiale, bolliti

misti, umidi, cacciagione, selvaggina di piccola taglia. Vanno assunti ad una temperatura variabile tra 18°C e 20°C. Vini Rossi Invecchaiati: particolarmente adatti per grandi arrosti e grigliate miste; carni

rosse in genere; selvaggina nobile. Vanno assunti ad una temperatura variabile tra 18°C e 20°C.

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CONSUMO DI BEVANDE ALCOLICHE NELLA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA

Salvatore Vaccaro1, Simona Bodecchi2, Marika Iemmi3

1 Azienda Ospedaliera “Arcispedale Santa Maria Nuova” - Reggio Emilia

2 P.O. di Guastalla - Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia 3 P.O. Franchini di Montecchio Emilia - Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia

Nel maggio 2008 è stata condotta un’indagine volta a rilevare il consumo di Bevande Alcoliche nella popolazione adulta residente nella provincia di Reggio Emilia, proponendo un questionario formulato ad hoc agli utenti beneficianti di un colloquio dietetico (test non proposto ai soggetti astemi). Alla fine della raccolta dati si sono registrate n. 316 adesioni (M: 165; F: 151; età: 42,6±15,21 anni; peso: 71,23±13,97 kg; Altezza: 170,83±8,68 cm; BMI: 24,31±3,93 kg/m2):

Ambul. Dietetico n. M F Età Peso BMI AO ASMN 243 129 114 42,23±15,66 71,61±13,54 24,35±3,78 PO Guastalla 20 18 2 40,7±10,67 75,55±14,09 24,33±3,02 PO Montecchio E. 53 18 35 45,02±14,53 67,85±15,41 24,13±4,85

Dall’indagine è emerso quanto segue: Stato Civile: n. 129 Celibi/Nubili, n. 172 Coniugati, n. 15 Separati/Divorziati/Vedovi; Titolo di Studio: n. 1 Nessuno, n. 26 Licenza Elementare, n. 69 Licenza Media, n. 169

Diploma, n. 51 Laurea; Consumo di Vini da Tavola: n. 316 utenti hanno dichiarato di consumare Vini Rossi (n.

243 - 76,9%), Bianchi (n. 130 - 41,14%) e/o Rosati (n. 44 - 13,92%), di produzione artigianale (n. 142 - 44,94%) e/o industriale (n. 189 - 59,81%), prevalentemente durante il pasto (n. 286 - 90,51%) e/o fuori pasto (n. 80 - 25,32%), da soli (n. 93 - 29,43%) e/o in compagnia di altre persone (n. 241 - 76,27%), con assunzione giornaliera (n. 187 - 59,18% - n. 1,98±1,36 bicchieri da 150 ml), settimanale (n. 72 - 22,78% - n. 2,19±1,4 bicchieri), mensile (n. 43 - 13,61% - n. 2,26±1,42 bicchieri) o annuale (n. 14 - 4,43% - n. 3,06±3,02 bicchieri); Consumo di Vini Speciali: n. 212 utenti hanno dichiarato di consumare Spumanti (n.

166 - 78,3%), Champagne (n. 43 - 20,28%), Vini Aromatizzati (n. 29 - 13,68%), Marsala (n. 9 - 4,26%) e/o Vermouth (n. 5 - 2,36%), di produzione artigianale (n. 33 - 15,57%) e/o industriale (n. 179 - 84,43%), prevalentemente nel corso del pasto (n. 88 - 41,51%) e/o fuori pasto (n. 154 - 72,64%), da soli (n. 17 - 8,02%) e/o in compagnia di altre persone (n. 201 - 94,81%), con assunzione giornaliera (n. 11 - 5,19% - n. 1,3±0,48 bicchieri da 50-100 ml), settimanale (n. 57 - 26,89% - n. 1,79±1,47 bicchieri), mensile (n. 76 - 35,85% - n. 1,35±0,62 bicchieri) o annuale (n. 68 - 32,07% - n. 3,2±2,57 bicchieri); Consumo di Birra: n. 179 utenti hanno dichiarato di consumare Birra (56,65%)

prevalentemente durante il pasto (n. 116 - 64,8%) e/o fuori pasto (n. 93 - 51,96%), da soli (n. 78 - 43,58%) e/o in compagnia di altre persone (n. 134 - 74,86%), con assunzione giornaliera (n. 23 - 12,85% - n. 1,95±1,53 boccale/lattina da 330 ml), settimanale (n. 98 -

Vino & Alcool: dagli Effetti Salutari a quelli Tossici 69

54,75% - n. 2±1,47 boccale/lattina), mensile (n. 49 - 27,37% - n. 1,73±1,11 boccale/lattina) o annuale (n. 9 - 5,03% - n. 1,94±1,78 boccale/lattina); Consumo di Aperitivi Alcolici: n. 92 utenti hanno dichiarato di consumare Aperitivi

Alcolici (29,11%) da soli (n. 23 - 25%) e/o in compagnia di altre persone (n. 74 - 80,4%) con assunzione giornaliera (n. 8 - 8,69% - n. 1,25±0,46 bicchieri da 125 ml), settimanale (n. 37 - 40,22% - n. 1,53±1,03 bicchieri), mensile (n. 34 - 36,96% - n. 2,15±2,65 bicchieri) o annuale (n. 13 - 14,13% - n. 3,5±2,82 bicchieri); Consumo di Acquaviti: n. 97 utenti hanno dichiarato di consumare Acquaviti (30,7%) -

precisamente: n. 7 Brandy (7,2%), n. 3 Calvados (3,1%), n. 6 Cognac (6,2%), n. 67 Grappa (69,1%), n. 10 Gin (10,3%), n. 31 Rhum (32%), n. 8 Tequila (8,2%), n. 28 Vodka (28,9%) e/o n. 17 Whisky (17,5%) - prevalentemente a fine pasto (n. 27 - 27,8%) e/o fuori pasto (n. 79 - 81, 4%), da soli (n. 12 - 12,37%) e/o in compagnia di altre persone (n. 90 - 92,78%), con assunzione giornaliera (n. 9 - 9,28% - n. 1,33±0,5 bicchierini da 40 ml), settimanale (n. 33 - 34,02% - n. 1,94±1,39 bicchierini), mensile (n. 31 - 31,96% - n. 1,63±1 bicchierini) o annuale (n. 24 - 24,74% - n. 3,68±1,95 bicchierini); Consumo di Altre Bevande Fermentate: n. 12 utenti hanno dichiarato di consumare

Altre Bevande Fermentate (3,8%) - precisamente: n. 2 Idromele (16,67%), n. 6 Sakè (50%), n. 4 Sidro (33,33%) - con assunzione mensile (n. 3 - 25% - n. 1,33±0,58 bicchiere) o annuale (n. 9 - 75% - n. 1,9±1,2 bicchiere).

Dei soggetti partecipanti all’indagine:

n. 155 (49,05%) hanno dichiarato di aver avuto almeno un’esperienza di “sbronza”; n. 9 (2,85%) hanno dichiarato di aver avuto incedenti stradali a causa dell’assunzione di

alcool (n. 6 in veste di guidatore e n. 3 in quella di passeggero). Consumo Frequenziale di Bevande Alcoliche riscontrato nel campione reggiano

0

50

100

150

200

Vino Vini Speciali Birra Aperitivi Acqueviti Altre B.F.

Giornaliero SettimanaleMensile Annuale

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