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HEINRICH HEINE. GOFFREDO RUDEL E MELISENDA DI TRIPOLI.Versione ritmica di Roberto Gagliardi (Romancero – letze Gedichte – 1851) Nel castello in Blaia di arazzi le pareti son coperte: lei che fu contessa a Tripoli li intrecciò con mani esperte. Il suo cuore vi intrecciò, e con lacrime d’amore ha incantato in quella seta questa scena di dolore: la contessa che Rudel sulla spiaggia ormai morente vide, e il volto riconobbe d’ogni suo sogno struggente, e Rudel, che per la prima volta, e l’ultima, ora vede veramente quella Dama che nel sogno lo possiede. La contessa a lui si china, abbracciandolo amorosa, e l’esangue bocca bacia che in lodar lei fu gloriosa. Ahi! quel bacio ora nel bacio dell’addio si tramutò: della pena e del piacere lei la coppa insiem vuotò. Nel castel in Blaia, le notti treman frusciano sussurrano: le figure degli arazzi tutt’a un tratto in vita tornano. E la Dama e il Trovatore le spettrali membra svegliano, e dal muro giù discesi nella sala ora passeggiano.

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HEINRICH HEINE. GOFFREDO RUDEL E MELISENDA DI TRIPOLI.Versione ritmica di Roberto Gagliardi(Romancero – letze Gedichte – 1851)Nel castello in Blaia di arazzi

le pareti son coperte:

lei che fu contessa a Tripoli

li intrecciò con mani esperte.

Il suo cuore vi intrecciò,

e con lacrime d’amore

ha incantato in quella seta

questa scena di dolore:

la contessa che Rudel

sulla spiaggia ormai morente

vide, e il volto riconobbe

d’ogni suo sogno struggente,

e Rudel, che per la prima

volta, e l’ultima, ora vede

veramente quella Dama

che nel sogno lo possiede.

La contessa a lui si china,

abbracciandolo amorosa,

e l’esangue bocca bacia

che in lodar lei fu gloriosa.

Ahi! quel bacio ora nel bacio

dell’addio si tramutò:

della pena e del piacere

lei la coppa insiem vuotò.

Nel castel in Blaia, le notti

treman frusciano sussurrano:

le figure degli arazzi

tutt’a un tratto in vita tornano.

E la Dama e il Trovatore

le spettrali membra svegliano,

e dal muro giù discesi

nella sala ora passeggiano.

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Dolci scherzi, bisbiglii,

confidenze con languori,

e le morte cortesie

care un tempo ai trovatori.

“O Giaufredo! Il morto cuore

si riscalda al tuo parlare:

nei carboni a lungo spenti

sento il fuoco crepitare.”

“Melisenda! Gioia e fiore!

Nei tuoi occhi io torno in vita.

Morto è solo il dolor mio,

e l’umana mia ferita.”

“O Giaufredo! Un dì ci amammo

come in sogno, ed ora in morte

noi ci amiamo: è il dio d’Amore

che un prodigio ci dà in sorte.”

“Melisenda! Cosa è sogno,

morte? Vana voce è quella.

Nell’amore solo è il Vero,

ed io t’amo, o Semprebella!”

“O Giaufredo! Come è dolce

della luna il quieto raggio!

Non vorrei fuori tornare

sotto il bel sole di maggio.”

“Melisenda! O dolce e folle,

tu sei sole e tu sei luce;

dove passi, è primavera,

maggio e amor si riproduce.”

Così quei gentili spettri

su e giù vanno parlando,

mentre il chiaro della luna

passa gli archi e va ascoltando.

Finchè giunge infin l’Aurora

che i soavi spirti scaccia:

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negli arazzi alle pareti

timorosi li ricaccia.