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IndiceANNAMARIA MANCUSO Presidente Salute Donna onlus

MARIA AMATODeputato Membro XII Commissione (Affari Sociali) della Camera

PAOLO BONARETTI Coordinatore Tavolo Farmaceutica del Ministero dello Sviluppo Economico, Direttore Generale Aster .Cons. p. A.

NUNZIANTE CONSIGLIO Senatore Membro 10a Commissione (Industria, Commercio, Turismo) del Senato

EMILIA GRAZIA DE BIASIPresidente 12a Commissione (Igiene e Sanità) del Senato

MAURIZIO DE CICCO Vicepresidente Farmindustria

FEDERICO GELLIDeputato Membro XII Commissione (Affari Sociali) della Camera

STEFANIA GORIDirettore Oncologia, Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, Negrar, Presidente eletto AIOM

PAOLO MARCHETTI Professore ordinario di Oncologia Medica, Direttore U.O.C. di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera Universitaria Sant’Andrea di Roma

NICOLA NORMANNO Direttore Struttura Complessa Biologia cellulare e bioterapie, Direttore Dipartimento di ricerca, Istituto Nazionale Tumori - IRCCS Fondazione “G. Pascale”, Napoli

WALTER RIZZETTO Vicepresidente XI Commissione (Lavoro Pubblico e Privato) della Camera

MARIA RIZZOTTIVicepresidente 12a Commissione (Igiene e Sanità) del Senato

ANDREA ROMANODeputato Membro III Commissione (Affari Esteri e Comunitari) della Camera

FEDERICO SPANDONARO Università Tor Vergata, Roma, Presidente CREA, Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità

MARCO VIGNETTICoordinatore Trial Office Fondazione GIMEMA onlus, Ricercatore in Ematologia, “Sapienza” Università di Roma

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Annamaria MancusoPresidente Salute Donna Onlus

La politica comincia ad accorgersi dell’importanza di superare le differenze regionali e di assicurare gli stessi diritti

a tutti i pazienti oncologiciNel luglio del 2014 Salute Donna insieme ad altre Associazioni di pazienti oncologici sostenitrici, hanno presentato il Manifesto per i diritti dei pazienti oncologici, dando così avvio al progetto “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”. Quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a farsi capofila di un progetto così ambizioso?Il cancro è un grande problema di salute pubblica. Nell’ultimo decennio nel trattamento dei tumori si sono registrati progressi enormi e tuttavia le differenze tra le diverse realtà regionali sono ancora notevoli. Salute Donna e le altre Associazioni pazienti hanno constatato che molte delle esigenze fondamentali di cui i malati di tumore hanno bisogno non vengono ancora garantite sul territorio nazionale. Ci siamo resi conto che il lavoro da fare per garantire un’offerta assistenziale omogenea in termini di qualità, equità e accessibilità alle prestazioni è ancora in larga parte da fare e che le Associazioni avrebbero potuto giocare un ruolo importante in termini di sensibilizzazione, supporto, formazione e prevenzione. Il progetto è andato avanti per step: prima l’adesione delle Associazioni pazienti oncologici e la realizzazione e presentazione di un Manifesto, poi la costituzione di una Commissione permanente e dell’Intergruppo parlamentare supportato da un tavolo di lavoro che si occupasse di tutti i tumori. In tal senso, abbiamo constatato con soddisfazione che nessuno schieramento politico si è sottratto a partecipare al progetto. Recentemente abbiamo presentato diverse mozioni e interrogazioni parlamentari attraverso le quali intendiamo sollecitare in maniera forte l’impegno del Governo. In qualità di ex malata di cancro la mia maggiore ambizione è quella di far sì che di questa malattia si possa avere solo un ricordo: per raggiungere tale obiettivo è necessario lavorare tutti insieme, perché solo così aiuteremo i pazienti a non sentirsi più soli e riusciremo a garantire un sistema sanitario che li protegga da nord a sud del Paese. Cosa che fino ad oggi non è avvenuta. Noi lavoriamo perché questo diventi realtà. Rispetto a due anni fa come sta cambiando lo scenario in Oncologia? Quali sono le opportunità e gli ambiti di intervento per il progetto?Il lavoro che abbiamo iniziato deve creare una “cultura del diritto” che nel nostro Paese in fatto di sanità è molto carente e deve fare in modo che a tutti i cittadini di ogni età e sesso, di qualunque ceto sociale, livello di istruzione, area geografica venga garantito l’accesso alle cure e all’assistenza senza essere costretti a migrare dalla propria Regione. Non è un lavoro facile e i risultati non si possono ottenere in tempi brevi, però un cambiamento iniziamo a vederlo concretamente: le Associazioni pazienti e le loro richieste cominciano ad essere ascoltate con attenzione, l’Intergruppo parlamentare ha dato risposte. È un processo lento ma quando i problemi riescono a far breccia nella cultura della politica si riesce ad ottenere qualcosa di importante. Le azioni che noi riteniamo fondamentali e che abbiamo inserito nel Documento programmatico riguardano la creazione della rete dei Centri oncologici per non lasciare solo il paziente durante il percorso di cura; l’attivazione dei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) oncologici in grado di rispondere ai bisogni assistenziali dei pazienti; la definizione di indicatori di performance attraverso i quali valutare i dati riguardanti l’accessibilità e la qualità dell’assistenza oncologica offerta per individuare le criticità e affrontarle; e, infine, l’accesso rapido ed equo ai farmaci innovativi che nel caso dei pazienti con tumore si traduce in allungamento della sopravvivenza. Noi, e credo di poter parlare a nome di tutte le Associazioni aderenti al progetto, siamo fermamente convinti che questo grande lavoro porterà nel tempo ad un punto di svolta per i pazienti e per chi li assiste e cura. Dobbiamo lavorare in sinergia, comprendere le esigenze di tutti e stabilire delle priorità. Solo così riusciremo ad ottenere le cose che chiediamo.

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Maria AmatoDeputato Membro XII Commissione (Affari Sociali) della Camera

Accesso all’innovazione, l’equità è il principio guida.Ma la politica deve puntare anche sulla prevenzione

Quali sono i principali punti critici nell’accesso all’innovazione oncologica nel nostro Paese?Le criticità più rilevanti sono due: da un lato la differente organizzazione a livello regionale e la frammentarietà riguardo a programmazione e budget. In alcune Regioni l’accesso all’innovazione oncologica è più difficile che in altre; questo dipende dai conti, e specificamente dalla presenza o meno di piani di rientro regionali. Va anche osservato come negli anni recenti ci sia per l’oncologia sicuramente una maggiore attenzione e siano stati fatti notevoli passi in avanti per esempio sui percorsi diagnostico-terapeutici e sull’assistenza. L’altra criticità è quella relativa ai costi dell’innovazione sia in termini di ricerca che di attuazione e diffusione dei risultati della ricerca. La principale difficoltà è rendere effettivamente disponibili le terapie innovative che necessitano di un’organizzazione capillare. I fondi per la ricerca sono risicati e, purtroppo, non c’è cura innovativa se non c’è ricerca, la quale a sua volta ha costi elevati.

Che tipo di risposta può dare la politica oggi rispetto alle grandi rivoluzioni terapeutiche in atto nel settore dell’oncologia? Da questo punto di vista, quali indicazioni offre la recente esperienza con i farmaci innovativi per l’epatite C?La politica, come la medicina, dovrebbe avere un approccio olistico, che guardi alla persona e non solo alla patologia. I pazienti sono pazienti, la sofferenza è sofferenza, sempre, qualunque sia la malattia, e gli investimenti sulla salute non possono essere considerati uno spreco. I tumori hanno sicuramente un forte impatto sociale e sanitario ed è forse per questo che in campo oncologico siamo più avanti ma la politica deve avere l’accortezza di guardare all’insieme del problema salute. Le risposte che possiamo dare sono diverse: primo dovere della politica è quello di essere lungimirante, e per questo dobbiamo attuare la prevenzione come forte strumento di salute. Sulla prevenzione in oncologia dobbiamo lavorare moltissimo, ma siamo facilitati da due esempi efficaci come quelli degli screening per il carcinoma mammario e per la cervice uterina. In questa ottica occorre anche il coraggio di scelte impopolari, vedi le campagne contro il fumo, per promuovere stili di vita corretti. Infine, i politici possono fare molto sul fronte delle normative che regolano l’immissione dei farmaci innovativi sul mercato, in modo da semplificare e facilitare l’accesso a questi prodotti nei tempi utili per i pazienti. I farmaci per l’epatite C hanno rappresentato un’esperienza importante da cui ricavare diverse indicazioni: tanto per cominciare, la definizione di farmaco innovativo (efficacia, qualità, sicurezza), e la terapia per l’epatite C ha dimostrato tale valenza; la necessità di limitare il più possibile il tempo di secretazione sulla trattativa del prezzo, in quanto le Regioni, dopo aver quantificato i bisogni, devono sapere quanto verrà a costare il farmaco per programmare e attuare la scelta in termini di salute; infine non bisogna mai dimenticare che i trattamenti innovativi devono essere proposti secondo un principio di equità: le terapie per l’epatite C hanno dimostrato la loro grande efficacia ma i costi elevati hanno creato ostacolo per l’accesso a tutti i pazienti. È il caso di sottolineare un principio fondamentale, ovvero che il farmaco non è solo business ma è cura, come tale è una grande questione di etica che impegna tutti gli attori del settore salute fino alle istituzioni.

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Paolo BonarettiCoordinatore Tavolo Farmaceutica del Ministero dello Sviluppo Economico,

Direttore Generale Aster S.Cons. p. A.

Accesso all’innovazione in oncologia: più risorse al Fondo per remunerare le terapie efficaci

sulla base di criteri di appropriatezza definiti Qual è lo stato attuale del dibattito sulla gestione e il sostegno all’innovazione terapeutica in oncologia?I progressi della ricerca e l’arrivo di farmaci innovativi sempre più efficaci stanno modificando i paradigmi di cura tradizionali in oncologia e non solo. Si tratta, infatti, di farmaci biologici e immunoncologici ad alto costo, che agiscono efficacemente su specifiche categorie anche molto ampie di pazienti con particolari caratteristiche e profili. Per questi pazienti tali farmaci possono prolungare la vita anche per un periodo molto lungo e in condizioni dignitose. Quindi si pongono problemi del tutto nuovi in termini di accesso alle cure e di definizione dell’appropriatezza prescrittiva, che sempre più spesso non può prescindere dall’uso di biomarcatori e strumenti di diagnostica molecolare, che a loro volta hanno un impatto sul costo delle terapie. Come coniugare sostegno all’innovazione e sostenibilità del sistema? Bisogna impostare correttamente la questione del prezzo dei farmaci che deve essere commisurato innanzitutto all’efficacia e in secondo luogo agli eventuali costi evitati (sanitari, ma anche sociali e previdenziali); e infine, deve contenere un criterio di progressività inversa rispetto alla dimensione della popolazione di pazienti. Bisogna inoltre considerare che il prezzo dei farmaci è determinato in gran parte in relazione ai costi di ricerca: per questo è opportuno dotarsi a livello europeo dei necessari strumenti finanziari comuni per negoziare il valore dell’uso della proprietà intellettuale dei nuovi farmaci per l’intera popolazione UE. L’appropriatezza e il contenimento dei costi richiedono inoltre un diffuso e articolato sistema di registri di monitoraggio che AIFA dovrà ulteriormente potenziare.

Quali sono le proposte che le Istituzioni possono mettere in campo per garantire un accesso equo e omogeneo a livello nazionale all’innovazione terapeutica oncologica?Senza dubbio è necessario partire da strumenti che consentano l’accesso universalistico. In particolare, per i farmaci innovativi, compresi quelli oncologici, deve essere potenziato il fondo già istituito per gli anni 2015 e 2016, e debbono essere determinate regole e criteri per la definizione dell’appropriatezza comuni a tutto il territorio nazionale. Probabilmente, per quanto si possa limitare l’impatto dei comportamenti speculativi sul prezzo dei farmaci, sarà necessario disporre di risorse aggiuntive per consentire l’accesso universale a questo tipo di cure. Ciò potrà avvenire attraverso la penalizzazione dei comportamenti a rischio correlati all’insorgenza di patologie (fumo, abuso di alcool, junk food, etc.), ma anche con la valorizzazione dei costi evitati e il sostegno alle attività di ricerca clinica, specie indipendente, svolta presso strutture operanti all’interno o, comunque, convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale.

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Nunziante ConsiglioSenatore Membro 10a Commissione (Industria, Commercio, Turismo) del Senato

Indicatori di performance nel nuovo Piano Oncologico Nazionale: uno strumento per responsabilizzare le Regioni nella gestione

della spesa e promuovere l’accesso alle nuove terapie Perché oggi le Regioni hanno problemi a garantire le cure innovative ai pazienti, in particolare in campo oncologico?L’Italia vive una congiuntura economica molto complessa. La crescita zero certificata dall’ISTAT proprio all’inizio di settembre deve far riflettere sullo stato della nostra economia. Questo ha un riflesso diretto sulla disponibilità di risorse per la salute. I trasferimenti che lo Stato fa alle Regioni sono di anno in anno sempre più insufficienti. Inoltre, in alcune Regioni, il governo della spesa sanitaria non è espressione di un Paese moderno; ci sono stati casi di default e di commissariamento per il rientro del debito. Non sorprende che le Regioni non siano oggi in grado di prevedere come mettere a disposizione dei pazienti le nuove terapie oncologiche. È qui che manca un vero raccordo con lo Stato centrale; è qui che la necessaria limitazione delle risorse impone alle Regioni di porre ostacoli crescenti nei confronti dei nuovi farmaci che, lo ricordo, sono costosi, ma sembrano cambiare realmente la storia della malattia. Credo che il concetto-chiave sia qui l’impiego di strumenti di analisi e di tecnologie innovative che consentano di riformare la governance della spesa farmaceutica in un’ottica di rinnovamento ed ottimizzazione delle risorse. Le Regioni, che all’apparenza sembrano responsabili dei disservizi, sono in realtà vittime di una governance dello Stato centrale non all’altezza rispetto alle sfide del futuro. C’è molto da fare e ben venga un progetto dedicato all’oncologia come quello portato avanti dal network di associazioni pazienti coordinate da Salute Donna e dal nostro Intergruppo parlamentare.

Lei, insieme al senatore Paolo Arrigoni, ha presentato un’interrogazione parlamentare sul mancato rinnovo del PON e sulla necessità di mettere a punto degli indicatori predefiniti per controllare le spese causate dalla migrazione sanitaria. Perché ritenete importante questo aspetto?Pianificare tanto per farlo non serve a molto. Dobbiamo chiedere ai tecnici che lavorano al Piano Oncologico Nazionale uno sforzo maggiore rispetto al passato, una riflessione che vada più in profondità e che consenta di prevedere obiettivi, strategie e risorse affinché si possa effettivamente parlare di pianificazione. Il PON attuale è troppo vecchio rispetto alla realtà, non prevede indicatori predefiniti per le Regioni al fine di ottenere una compiuta analisi della spesa rispetto al fenomeno della migrazione sanitaria, che allo stato attuale pesa sulla chiarezza dell’impiego delle risorse. La riforma del PON è un’opportunità da non perdere per modernizzare l’offerta sanitaria ai pazienti oncologici e responsabilizzare le istituzioni rispetto a questa sfida. Prevedere delle sanzioni per chi non raggiunge gli obiettivi è un momento irrinunciabile di crescita e nel nostro atto di sindacato ispettivo lo abbiamo sottolineato con forza. Vigileremo sul Governo affinché il PON diventi un piano strategico e non rimanga allo stato di libro dei sogni.

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Emilia Grazia De BiasiPresidente 12a Commissione (Igiene e Sanità) del Senato

Fondo sanitario nazionale: 2 miliardi in più per revisione LEA, farmaci innovativi, prontuario farmaceutico

e contratti del personale sanitarioA causa della crisi economica molti italiani rinunciano alla prevenzione e alle cure perché non in grado di compartecipare alla spesa pubblica. Come superare questo impasse e preservare il carattere universalistico del SSN?Il carattere universalistico del nostro SSN rappresenta un grande valore, siamo gli unici in Europa ad avere un sistema sanitario improntato sulla solidarietà ed equità e intendiamo preservarlo. Ovunque è riconosciuto che la sanità italiana è fantastica anche perché il valore della salute non si misura economicamente. Sappiamo che il sistema assicurativo è per pochi e non è una strada moderna da intraprendere. Quanto alla compartecipazione, essa merita una riflessione. Noi tutti siamo per una sanità pubblica e per un incremento del Fondo sanitario nazionale che passerà da 111 miliardi a 113. Due miliardi in più che bisognerà investire per raggiungere alcuni obiettivi indispensabili: l’aggiornamento dei LEA; i farmaci innovativi con lo stanziamento di un fondo per questi farmaci rispetto ai quali è necessaria una programmazione e un monitoraggio regionale; la revisione del prontuario farmaceutico e, infine, i finanziamenti per il rinnovo dei contratti del personale sanitario. Inoltre, sono necessari dei risparmi con due premesse: ogni euro risparmiato in sanità deve rimanere in sanità e la prima spending review è non rubare. Infine a mio parere è da un lato necessaria una integrazione socio-sanitaria e, dall’altro, la collaborazione stato-regioni per le quali si auspica una maggiore uniformità sul territorio nazionale perché, come abbiamo potuto vedere, la difformità è letale.

Come giudica i nuovi LEA e come è possibile trovare le risorse per assicurarne l’effettiva attuazione?Non posso che giudicare in modo positivo i nuovi LEA che erano attesi da 15 anni. D’altra parte l’aggiornamento dei Livelli Essenziali d’Assistenza è una delle garanzie del sistema universalistico. È stato un lavoro complesso dal momento che i LEA sono stati messi al passo con una società in forte cambiamento inserendovi cronicità e riabilitazione; le cure palliative; la procreazione medicalmente assistita omologa ed eterologa, la revisione dell’elenco delle malattie croniche; il piano vaccinale con l’introduzione di nuovi vaccini, come ad esempio quello per il papilloma virus; lo screening neonatale, per il quale abbiamo approvato una legge lo scorso 5 agosto, che significa strategie di prevenzione fin dalla nascita; l’autismo che non aveva una legge che adesso c’è; l’inserimento tra le patologie rare di altre 110 malattie. Per i LEA sono stimati 800 milioni, soldi investiti tramite i due miliardi previsti in più per Fondo sanitario nazionale. Adesso si continua a lavorare e, al tempo stesso, vanno programmate le spese e i tanti provvedimenti che ruotano attorno ai LEA e che ne permetteranno l’attuazione.

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Maurizio de CiccoVicepresidente Farmindustria

Burocrazia e differenze tra le Regioni: principali ostacoli per un accesso equo e appropriato ai farmaci innovativi

Salute Donna e le Associazioni di pazienti oncologici coinvolti nel progetto avanzano proposte perché l’accesso ai farmaci innovativi sia equo ed appropriato. Quali sono a Suo avviso gli ostacoli che bisognerebbe superare perché le richieste delle Associazioni dei pazienti vengano soddisfatte?Il gap principale a mio avviso è in gran parte legato ad aspetti burocratici.L’Italia per garantire un equo e appropriato accesso ai farmaci innovativi, rispetto agli altri Paesi UE, deve superare infatti l’elevato numero di vincoli e le duplicazioni di adempimenti regionali e locali.Negli ultimi anni i dati mostrano in alcuni casi un miglioramento dei tempi di accesso a livello nazionale. Ma la strada è ancora lunga. Per fare un esempio, dal momento della richiesta di rimborso fino all’inserimento nell’ultimo prontuario regionale possono trascorrere anche 18 mesi.Oggi sono previsti molti passaggi amministrativi, che andrebbero snelliti.Alla valutazione scientifica – sul rapporto beneficio-rischio – si aggiunge la decisione sulla rimborsabilità del farmaco a carico del SSN e la negoziazione del prezzo. A queste due fasi segue l’autorizzazione finale dell’Agenzia, che deve essere ratificata dal Consiglio di Amministrazione e pubblicata in Gazzetta Ufficiale.A livello delle singole Regioni rimangono poi molte differenze dal momento che ciascuna ha la possibilità di fare ulteriori valutazioni, fermo restando che, secondo la legge, nel caso di un farmaco innovativo quest’ultimo deve essere reso immediatamente disponibile agli assistiti.

Farmindustria sta collaborando con AIFA o con altri enti preposti per definire il criterio di innovatività dei farmaci oncologici?Non mi limiterei a parlare di innovazione dei farmaci per la sola oncologia poiché l’innovatività riguarda qualunque prodotto in medicina. L’AIFA da molto tempo sta lavorando su ciò che viene chiamato “algoritmo dell’innovazione” che ancora non è entrato in vigore.Di fatto il lavoro prosegue anche se la realizzazione di questo progetto dovrebbe prevedere il coinvolgimento delle Società Scientifiche che potrebbero dare il loro contributo.

Federico GelliDeputato Membro XII Commissione (Affari Sociali) della Camera

Piena sostenibilità del SSN: la principale sfida sanitaria del prossimo futuro per l’Italia

Quali sono le principali sfide sanitarie che l’Italia dovrà affrontare nei prossimi anni?La prima e più importante sfida sanitaria che l’Italia dovrà affrontare nel futuro si gioca già oggi: garantire alle future generazione la piena sostenibilità di un Sistema sanitario nazionale universalistico. Ossia un accesso a cure e a prestazioni di massimo livello ed eccellenza in modo gratuito per tutti, a prescindere dalla propria carta d’identità e dalla propria carta di credito o dal fatto di avere o meno un’assicurazione privata. Questo tra l’altro lo facciamo spendendo pochissimo rispetto ai nostri altri vicini di casa: noi spendiamo il 6,5% del prodotto interno lordo. Mantenere questi livelli di assistenza, di fronte all’aumentare dell’età media della popolazione e

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delle cronicità, implica però un impegno di tipo finanziario, ma anche e soprattutto organizzativo, che si sta costruendo già in questi anni, a partire da quanto previsto dal Patto per la salute precedente e da quello nuovo attualmente in fase di costruzione.A cominciare dalla più stretta attualità, con il recente via libera da parte della Conferenza Stato-Regioni all’aggiornamento dei LEA, fermi ormai da 16 anni, grazie ai quali si potrà garantire la copertura a nuove terapie e cure. C’è poi il tema della lotta agli sprechi che dovrà proseguire anche in futuro. È un dovere da parte di tutti noi fare in modo di eliminare gli sprechi, rendere efficace ed efficiente il sistema anche facendo azioni innovative, cioè entrando nel merito della produttività del sistema. Tant’è vero che nel piano di rientro che noi abbiamo inserito nella scorsa legge di stabilità non agiamo più solamente sulle Regioni, ma entriamo negli ospedali. Verifichiamo cioè i livelli essenziali di assistenza dei singoli ospedali, che in questi anni hanno sforato: ci sono ospedali che lo hanno fatto per cento o duecento milioni e sono gli stessi in cui non vengono più garantiti i LEA. Facendo un piano di rientro triennale, una road map per uscire dalla crisi, noi andiamo in profondità nei processi, con l’obiettivo di rendere sempre più efficace ed efficiente il sistema sanitario e di liberare le risorse da reinvestite nel comparto. Questa è una grande novità del patto per la salute: le risorse non vanno più via, rimangono all’interno del comparto, con delle priorità: quest’anno sono stati i LEA e i farmaci per l’epatite C, nei prossimi anni lo saranno il personale sanitario, l’innovazione e la ricerca e l’accesso ai farmaci.Altra grande sfida è quella legata alla farmaceutica, ed in particolare alla gestione della spesa farmaceutica ospedaliera con l’arrivo dei farmaci innovativi. Noi abbiamo un monitoraggio della spesa farmaceutica molto forte, tanto è vero che ci ha permesso di mantenere il tetto al livello più basso d’Europa, ma non è sufficiente. Rispetto alle grandi innovazioni che stanno arrivando, cioè al fatto che avremo nuovi farmaci che ci permettono di guarire rispetto a malattie che fino a ieri erano considerate totalmente incurabili, noi dobbiamo rivedere e rimodulare i modelli di accesso, di spesa e di gestione. Su questo stiamo lavorando in un tavolo insieme alle Regioni e alla Presidenza del Consiglio dei ministri per la nuova governance farmaceutica.Quanto poi ai farmaci innovativi in senso più stretto, dovremo superare il meccanismo del finanziamento annuale ad hoc in stabilità studiando misure strutturali che permettano il libero accesso a tutti coloro che ne avranno la necessità. Su questo resto convinto che la strada da intraprendere sia quella delle gare d’acquisto a livello europeo.Da ultimo c’è la sfida legata alla sanità digitale che ci porterà ad affrontare la questione legata alla sicurezza dei dati. Dovremmo quindi capire come poter gestire e trattare i dati sensibili garantendo i massimi livelli di sicurezza. Il dato è la vera forza economica dei nuovi sistemi dal punto di vista mondiale; su questo noi abbiamo dei protocolli, come Ministero della salute, con le autorità preposte al controllo e al monitoraggio dei sistemi informatici. Ma c’è ancora molto da fare visto che stiamo muovendo solo ora i primi passi verso una completa digitalizzazione del sistema salute.

Il PON attuale risale al 2010. È già stato prorogato per tre anni ed è in scadenza alla fine del 2016. Pensa che lo strumento attuale sia adeguato oppure vada ripensato anche alla luce delle importanti rivoluzioni terapeutiche degli ultimi anni in oncologia?Il maggior limite del “Documento tecnico di indirizzo per ridurre il carico di malattia del cancro 2011-2013” è stato quello di non aver indicato insieme alle azioni programmate da intraprendere per la prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie oncologiche, almeno per le azioni a maggiore impatto, gli obiettivi da raggiungere attraverso indicatori per misurare i risultati, eventualmente, raggiunti. La mancanza di indicatori nel PON ha comportato l’accentuazione delle disparità geografiche, in termini di accessibilità alle prestazioni e qualità dell’assistenza. Si potrebbe affidare all’Agenas la definizione di pochi indicatori capaci di indagare, nelle varie Regioni, aspetti inerenti l’accessibilità e la qualità dell’assistenza oncologica e far emergere le aree territoriali che presentano maggiori criticità, avviando interventi risolutivi.

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Stefania GoriDirettore Oncologia, Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, Negrar,

Presidente eletto AIOM

In aumento sopravvivenza e bisogni assistenziali dei pazienti oncologici. Necessarie risorse aggiuntive

da reperire attraverso le accise sul tabacco Tre milioni di pazienti malati di cancro con un incremento della sopravvivenza e della cronicità: gli oncologi come intendono affrontare il problema delle risorse da dedicare alla terapia del cancro?“I numeri del cancro in Italia” che AIOM fornisce da sei anni in collaborazione con AIRTUM, indicano: una riduzione di mortalità per tumore di circa 1% l’anno (periodo dal 1999 al 2010, proiettata al 2015); un aumento della sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi (casi diagnosticati nel periodo 2000-2007), con valori, per alcune forme tumorali (stomaco, colon retto, polmone, mammella, prostata etc.), superiori alla media europea; un aumento costante (di circa il 3% l’anno) dei prevalenti, cioè delle persone vive dopo una diagnosi di cancro (oltre tre milioni oggi in Italia, pari al 4,9% della popolazione italiana). La domanda sanitaria dei prevalenti è differente a seconda: 1) dell’età e delle comorbidità associate (il 35% hanno ≥ 75 anni d’età; il 39% 60-74 anni d’età); 2) del tempo trascorso dalla diagnosi (se diagnosi fino a 2 anni prima: trattamenti antitumorali attivi; se diagnosi da 2 a 5 anni prima: follow up e ricerca eventuali recidive; se diagnosi >5 anni: effetti collaterali a lungo termine dei trattamenti antitumorali, recidive, eventuali secondi tumori). Questi progressi sono legati agli avanzamenti ottenuti in ambito di prevenzione, diagnosi, terapia e assistenza. Poiché i pazienti oncologici vivono di più e poiché sono aumentati i costi dei nuovi e più moderni approcci diagnostico-terapeutici e dei nuovi farmaci antitumorali in particolare (farmaci a bersaglio molecolare, immunoterapici), sono necessarie risorse aggiuntive da dedicare alla terapia del cancro. AIOM chiede, in particolare, di velocizzare la tempistica di registrazione/rimborsabilità dei farmaci innovativi e di rendere disponibili nuove risorse per garantire l’accesso alle cure, con l’istituzione di un Fondo Nazionale per l’Oncologia finanziato con le accise sul tabacco (= 1 centesimo in più a sigaretta). Questo permetterebbe di avere a disposizione ogni anno circa 620-640 milioni di euro. Il Fondo costituirebbe la risposta “politica” alla sfida del secolo: da un lato curare i malati di cancro garantendo loro le cure più efficaci, dall’altro attuare una forte politica di dissuasione dal vizio del fumo, per salvare milioni di vite.In Italia, infatti, 100.000 nuovi casi di tumore ogni anno sono dovuti proprio alle sigarette (di questi, circa 40.000 nuovi casi/anno di carcinoma polmonare con oltre 33.000 morti/anno). Secondo l’American Cancer Society il consumo di tabacco è responsabile del 30% circa di tutte le morti: in Italia questa stima corrisponderebbe a circa 180.000 decessi annui evitabili dovuti a tumori, malattie cardiovascolari e dell’apparato respiratorio.La proposta di AIOM ha raccolto consensi trasversali da AIFA ai clinici, ai rappresentanti delle Istituzioni, ai pazienti. Si tratterebbe della prima esperienza di questo tipo in Italia: in Inghilterra nel 2011 venne costituito il Cancer Drugs Fund; gli U.S.A. furono i primi nel 1971, con il National Cancer Act, ad istituire un fondo ad hoc. Ed oggi il Presidente Obama ha lanciato la Precision medicine Initiative con al centro l’oncologia ed un finanziamento di 215 milioni di dollari. È necessaria una “forte scelta politica” per l’oncologia e per il controllo dei tumori anche in Italia.

L’Intergruppo parlamentare “Insieme per un impegno contro il cancro”, ha presentato alla Camera un’interrogazione in cui si chiede al Governo l’impegno a inserire degli indicatori di performance a livello regionale nel nuovo Piano Oncologico Nazionale. L’AIOM cosa si aspetta dal nuovo Piano? Le richieste fondamentali sono tre: in primo luogo il coinvolgimento di AIOM nella stesura del nuovo PON, tenendo conto del fatto che AIOM fornisce dati sui bisogni assistenziali oncologici, strumenti di appropriatezza diagnostico-terapeutica, raccomandazioni per i test biomolecolari e controlli sull’implementazione del test BRCA nel carcinoma ovarico. La seconda richiesta riguarda

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la Valutazione dell’attività oncologica nel suo complesso e attraverso indicatori di performance condivisi a livello “nazionale “, per evitare difformità di indicatori tra regione e regione. Questa valutazione presuppone quindi una valutazione dei volumi di attività non solo farmacologica o di ricoveri, ma anche in termini di attività chirurgica, radioterapica, ecc. ed una valutazione dell’appropriatezza diagnostica, prescrittiva farmacologica, chirurgica, radioterapica (aderenza ai PDTA). Infine chiediamo il recepimento da parte delle Istituzioni Nazionali e regionali degli strumenti di appropriatezza diagnostico-terapeutico esistenti (Linee guida AIOM, Raccomandazioni AIOM-SIAPEC, etc.) e valutazione della loro implementazione.

Paolo MarchettiProfessore Ordinario di Oncologia Medica, Direttore U.O.C. di Oncologia Medica,

Azienda Ospedaliera Universitaria Sant’Andrea di Roma

Reti per la diagnostica avanzata e centralizzazione della spesa per i farmaci innovativi: così potremo rispondere

alle sfide della medicina di precisione in oncologiaNell’ottica della medicina di precisione e della tipizzazione quanto è importante identificare strutture di riferimento a livello regionale o nazionale che svolgano funzioni di supporto diagnostico avanzato per la scelta più appropriata dei farmaci a bersaglio molecolare?Come oncologo e in qualità di Presidente della Società Italiana di Medicina Personalizzata, sottolineo l’importanza, per i clinici, di avvalersi di tutte le informazioni che si possono ottenere, a partire ovviamente dal riconoscimento dei bersagli molecolari e delle relative terapie mirate ma anche oltre. Oggi, oltre alla biopsia e al pezzo operatorio, possiamo studiare le alterazioni del DNA del tumore nel sangue circolante tramite semplici prelievi che ci permettono di vedere la scomparsa della malattia o la sua ricomparsa precoce e modulare le terapie nel tempo. Siamo anche in grado di studiare i piccoli polimorfismi genici che condizionano il metabolismo dei farmaci e capire qual è la reale efficacia dei diversi trattamenti combinati tra loro e, soprattutto, se alcuni effetti collaterali possono dipendere da uno specifico farmaco che interferisce con l’antiblastico somministrato durante il trattamento. È in corso, infine, lo studio del microbiota (batteri e funghi che coabitano con il nostro organismo), che è in grado di modificare il sistema immunitario. Tutto ciò comporta una personalizzazione sempre più spinta della medicina e richiede strutture enormemente avanzate e test raffinati. In quest’ottica, è auspicabile l’aggregazione di risorse e di impegno in alcuni grandi Centri che con tempistiche veloci possano fornire servizi ad altri Centri collegati. La creazione di queste reti purtroppo nel nostro Paese non sempre risponde a criteri oggettivi di qualità e competenza. Oggi però è più che mai necessario riconoscere i Centri realmente in grado di rispondere a tali bisogni. In tal senso è auspicabile che le Società scientifiche lavorino a un tavolo comune con i politici per individuare i percorsi più utili a livello regionale e per uniformare la rete. Sappiamo che i farmaci innovativi in oncologia hanno un elevato costo. Secondo Lei è auspicabile istituire un fondo di finanziamento per i farmaci oncologici innovativi svincolato dal fondo farmaceutico nazionale?La spesa per i farmaci innovativi è in forte crescita e questo comporta anche situazioni di disomogeneità e non equità nel trattamento dei pazienti. I problemi sono diversi. Alcune Regioni hanno una notevole difficoltà a utilizzare farmaci oncologici innovativi, il cui costo, seppure coperto da un rimborso diretto da parte della Regione attraverso il File F, rende necessario un significativo anticipo di spesa da parte delle singole Amministrazioni ospedaliere. In secondo luogo, alcuni meccanismi di rimborso previsti nella definizione del prezzo da parte di AIFA (payment by result, rimborso in funzione del tetto di spesa o del volume di vendita) effettuati dalle Aziende farmaceutiche alle Aziende ospedaliere o direttamente alla Regione non hanno vincolo di destinazione. Ciò determina un mancato riconoscimento della riduzione di spesa alla Unità operativa che ha prescritto questi farmaci. Terzo problema, l’autorizzazione in corso di anno di

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nuovi farmaci da parte di AIFA: nel bilancio di previsione non viene inserita alcuna previsione di spesa per questi farmaci, non disponibili al momento della stesura.Come uscire da queste difficoltà e garantire a tutti i cittadini l’accesso equo e uniforme a queste terapie? Una possibile soluzione è quella di centralizzare a livello di Ministero della Salute o di AIFA il controllo dell’impiego e della spesa per i farmaci ad alto costo. Il Ministero della Salute, o l’AIFA, gestirebbero una quota del fondo del SSN dedicata ai farmaci ad alto costo non solo oncologici, pari alla spesa dell’anno precedente per i farmaci ad alto costo (non solo oncologici) e potrebbe rimborsare così direttamente l’Azienda ospedaliera prescrittrice, liberando i medici dalla necessità di estenuanti discussioni con le proprie Farmacie o Direzioni aziendali. Inoltre, un Ente centrale avrebbe costantemente sotto controllo l’andamento della spesa per questo tipo di farmaci e potrebbe definire direttamente a livello di Governo nazionale eventuali modalità per la copertura di ulteriori necessità che si dovessero presentare in corso d’anno per l’introduzione di nuovi farmaci o per l’estensione delle indicazioni, contrastando così il fenomeno della riduzione degli ordini dei farmaci negli ultimi mesi dell’anno, in attesa del bilancio del nuovo anno.

Nicola NormannoDirettore Struttura Complessa Biologia cellulare e bioterapie, Direttore Dipartimento di ricerca,

Istituto Nazionale Tumori - IRCCS Fondazione G. Pascale, Napoli

La personalizzazione è il futuro dell’oncologia.Test dei biomarcatori nei PDTA per aumentare l’appropriatezza

L’oncologia è sempre più orientata verso la medicina personalizzata. Ci spiega qual è a suo avviso il ruolo e il valore della medicina di precisione che si avvarrà sempre più dell’uso di biomarcatori?Negli scorsi decenni abbiamo assistito ai grandi trial clinici che hanno portato alla scoperta di farmaci importanti per la cura dei tumori, come i chemioterapici. Da alcuni anni però lo scenario è cambiato: a tenere banco, adesso, è il concetto che ogni tumore è un’entità a sé stante e che non avremo mai un unico farmaco in grado di curare tutti i tumori. Abbiamo capito che è fondamentale individuare i punti di debolezza di ciascun tumore e colpirli con i farmaci specifici. I punti deboli sono le alterazioni genetiche e molecolari che consentono al tumore di crescere e che possono essere identificate con specifici biomarcatori. La caratterizzazione molecolare del tumore è fondamentale perché permette di usare solo i farmaci veramente efficaci sulla base di alterazioni specifiche presenti in ciascun paziente. Attualmente i test per i biomarcatori e i relativi farmaci a bersaglio molecolare approvati sono ancora pochi e per pochi tumori selezionati ma è in corso un grande lavoro di ricerca su molti altri biomarcatori: la prospettiva è quella di un numero crescente di farmaci molecolari attivi. Le cure oncologiche dei prossimi anni si fonderanno sulla medicina di precisione ma soprattutto su una strategia terapeutica sempre più individualizzata basata sulla combinazione di chirurgia, farmaci a target molecolare, immunoterapici, chemioterapici e radioterapia. In questo scenario, la grande innovazione in Oncologia degli ultimi anni è rappresentata dai farmaci immunoterapici il cui meccanismo d’azione va a potenziare la risposta immunitaria contro le cellule tumorali. Va comunque sottolineato che la chemioterapia ha tuttora e probabilmente manterrà anche in futuro un ruolo determinante nella cura dei pazienti oncologici.

L’inserimento dei test per i biomarcatori nei PDTA oncologici può ridurre i tempi di accesso alle terapie più innovative e appropriate riducendo al contempo gli sprechi in sanità? Sicuramente: tutte le linee guida internazionali prevedono l’inserimento dei test dei biomarcatori, quando disponibili, nei primissimi step del percorso diagnostico terapeutico, sulla base della premessa che per assicurare la terapia più appropriata la caratterizzazione molecolare del tumore è altrettanto importante dell’esame istologico. È per questo motivo che è importante creare le reti

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oncologiche, all’interno delle quali possono essere attivate reti di laboratori in grado di assicurare questo tipo di test. Su questo obiettivo sono impegnate tutte le Società scientifiche, in particolare AIOM e SIAPEC. Purtroppo ci sono molti ritardi, mancano programmazione e organizzazione, specie nelle regioni del sud Italia. Il futuro però va senza dubbio verso la centralizzazione delle analisi in laboratori di riferimento e l’utilizzo di metodiche che consentano la caratterizzazione molecolare dei tumori ad ampio spettro. Questo modello potrebbe garantire ai pazienti non solo un accesso più rapido ai farmaci già disponibili ma anche la possibilità di accedere precocemente alla sperimentazione clinica di farmaci innovativi.

Walter RizzettoVicepresidente XI Commissione (Lavoro Pubblico e Privato) della Camera

Farmaci oncologici innovativi: adesso c’è una mozione che impegna il Governo a garantire

equità di accesso attraverso risorse adeguateRecentemente è stata approvata una mozione da Lei presentata incentrata sui trattamenti oncologici innovativi. Ce ne può parlare?Questa mozione nasce dall’esigenza di sollecitare il Governo ad adottare i provvedimenti necessari per riformare incisivamente la governance dei farmaci in modo da poter garantire l’universalità del diritto alla salute e la sostenibilità economica del Sistema Sanitario Nazionale. In particolare, con questo atto ho indicato al Governo le specifiche iniziative da attuare rispetto ai trattamenti oncologici innovativi, ritenendo che il settore oncologico è sicuramente quello in cui l’accesso ai farmaci innovativi contribuisce maggiormente ad aumentare il tasso di sopravvivenza dei pazienti, ma oltre a generare una spesa ingente, è caratterizzato da una gestione eterogenea che determina iniquità e ritardi in danno ai pazienti. Pertanto, è chiaro che rispetto ad un’offerta in crescita è necessario introdurre dei precisi criteri per l’innovazione e individuare nuove risorse.In sostanza, ciò che dobbiamo evitare è che in previsione di importanti innovazioni terapeutiche, soprattutto in campo oncologico, il nostro Paese sia sprovvisto di un piano strategico e di risorse adeguate per garantire un equo accesso ai trattamenti innovativi, che ben presto saranno sul mercato a prezzi proibitivi. Mi preme ricordare che il nostro Paese è ancora sprovvisto di un programma strategico volto a definire i fondamentali criteri di gestione del settore dei farmaci innovativi, nonostante l’elaborazione di un piano in merito sia stata prevista con l’ultima Legge di Stabilità. Su queste premesse, attraverso la mozione ho chiesto al Governo l’urgente attuazione di una serie di iniziative necessarie affinché l’accesso ai farmaci innovativi sia equo e non discriminatorio per tutti i cittadini del territorio nazionale. In particolare, ho chiesto l’istituzione di un Fondo pubblico ad hoc per i farmaci oncologici innovativi, a supporto della proposta avanzata dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica e dal progetto “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” coordinato dall’associazione Salute Donna onlus. Ho sollecitato l’adozione di un piano strategico per gestire i farmaci, con particolare attenzione al settore oncologico, viste le evoluzioni terapeutiche in atto e ho richiesto l’assunzione di specifiche iniziative affinché l’AIFA definisca, una volta per tutte, in modo chiaro e obiettivo, cosa si intenda per farmaci innovativi. È infatti assurdo che questa definizione non sia stata ancora fornita. Infine, ho sollecitato la concreta attuazione del decreto legge n. 69/2013 del Ministro Lorenzin laddove ha previsto il limite di 100 giorni per l’approvazione dei farmaci di eccezionale rilevanza terapeutica e per i farmaci orfani, considerando che tale limite, ad oggi, non viene rispettato nelle previste procedure di approvazione.

Come intende agire in Parlamento per fare in modo che l’impegno chiesto al Governo dalla mozione sia mantenuto?La mia mozione è stata approvata lo scorso 26 luglio e, per fare pressione sul governo affinché gli

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impegni previsti siano attuati, ho intenzione di presentare ulteriori atti a sostegno del merito delle mie proposte sulla riforma della gestione dei farmaci innovativi e sulle tematiche oncologiche, cercando di ottenere l’appoggio anche degli altri gruppi parlamentari in modo da agire trasversalmente, a prescindere dai “colori di partito”. Rispetto a questo intento, sicuramente è stato utile e fondamentale costituire l’Intergruppo parlamentare “Insieme per un impegno contro il cancro” che riunisce parlamentari di diversi gruppi politici. Inoltre, non mancheranno mie specifiche richieste di incontro al Ministro della salute per monitorare le attività compiute dal Ministero per una sollecita adozione degli interventi necessari per un migliore e non discriminatorio accesso ai farmaci innovativi in campo oncologico, come previsto nelle proposte di riforma che ho presentato con la mozione.

Maria RizzottiVicepresidente 12a Commissione (Igiene e Sanità) del Senato

Test BRCA, una mozione per garantire l’esenzione del ticket a tutte le donne italiane

L’uniformità dell’assistenza a livello nazionale, senza distinzioni regionali, è ancora più importante per quei soggetti con mutazioni genetiche accertate che predispongono allo sviluppo di forme tumorali. In questo senso Lei ha presentato una mozione con la quale richiede al Governo di garantire l’esenzione del ticket per gli esami strumentali per le portatrici delle mutazioni BRCA1 e 2C; la può illustrare?Mi colpisce molto e sempre di più la profonda disomogeneità nell’accesso alle cure e ai servizi sanitari che si può riscontrare da Regione a Regione nel nostro Paese. In questa prospettiva, una donna risultata positiva ai test BRCA 1 e BRCA 2 ha buone probabilità di sviluppare un tumore al seno o alle ovaie. In un certo senso, usando un’iperbole, si può affermare che queste donne sono “condannate” alla prevenzione. Proprio per questa ragione è profondamente ingiusto che debbano pagare i ticket per i ripetuti esami strumentali che devono eseguire nel corso dell’anno. È inoltre impensabile che le donne della Lombardia e dell’Emilia Romagna siano esentate e tutte le altre nostre connazionali no. Non ha veramente senso. La mozione vuole stimolare il Governo e le Regioni a sanare questa profonda situazione di disuguaglianza. È stata sottoscritta da parlamentari appartenenti a quasi tutti gli schieramenti in campo. È questo un tema autenticamente traversale sul quale lavorare. A breve verrà calendarizzata e votata. Ci impegneremo poi per vigilare sul Governo per una concreta attuazione.

I farmaci innovativi oncologici segnano una nuova frontiera per la cura di questa patologia. In che modo si può garantire un accesso equo ed uniforme per tutti i pazienti?Il tema dei farmaci è annoso e complesso. Le risorse per venire incontro ai desiderata di tutti non sono disponibili. Abbiamo visto quanto successo con gli antivirali per l’epatite C. Sul cancro sappiamo che ci sono importanti evoluzioni terapeutiche in arrivo, evoluzioni che possono cambiare la storia della malattia in modo decisivo. Come ho detto la coperta è sempre corta, ma questa volta c’è da fare uno sforzo sulla governance che consenta un raccordo più efficace fra Stato e Regioni. Ci sono 3 milioni di malati di cancro che aspettano risposte diverse. È nostro dovere vigilare sul Governo che, con un recente atto di indirizzo politico approvato alla Camera, si è impegnato ad occuparsi di questa materia con attenzione. Io credo che ci sia tutto il tempo per ragionare e trovare soluzioni razionali. E le Regioni dovranno produrre uno sforzo in più per venire incontro ai bisogni degli assistiti.

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Andrea RomanoDeputato Membro III Commissione (Affari Esteri e Comunitari) della Camera

Preoccupante disomogeneità di accesso alle cure da Regione a Regione: un tema importante su cui lavorare

Lei non si occupa di sanità, ma ha aderito ugualmente all’Intergruppo parlamentare sul cancro. Quali sono le sue motivazioni?In passato, lavorando per diverse Fondazioni, mi sono occupato di temi a 360 gradi e la salute era fra questi. Questo progetto ha il pregio della trasparenza poiché include tutti gli stakeholder del settore dalle associazioni pazienti, ai medici, dal mondo dell’industria a quello della politica. È inoltre un progetto in cui il paziente affetto da tumore è realmente al centro. Se pensiamo che in Italia più di 3 milioni di famiglie devono vivere ed affrontare questa malattia diventa quasi un dovere di tutti noi ascoltare e fare proposte per rendere la vita dei malati e delle famiglie migliore. Io credo che il progetto vada proprio in questa direzione, nella piena trasparenza degli interessi in campo. È per queste ragioni che, nel mio piccolo, mi sto impegnando e che continuerò a farlo. So che ci sono evoluzioni importanti, che vanno seguite passo passo. E il tema appartiene a tutti noi, al di là di schieramenti e competenze. Il tema è trasversale in tutti i sensi.

Cosa pensa della non uniformità dell’accesso alle cure a causa delle diverse politiche regionali in tema di salute?La gestione del settore salute è particolarmente complessa ed implica una forte dialettica fra lo Stato centrale e le Regioni. È un fatto ineluttabile poiché sono proprio le Regioni ad erogare l’offerta di salute a fronte di trasferimenti dello Stato centrale. Bisogna lavorare per trovare un maggior raccordo, impiegare la tecnologia e le competenze dei nostri tecnici per capire i punti di debolezza del sistema. Non è un caso infatti se oggi, in alcune Regioni, si pagano i ticket sulle prestazioni per risanare i bilanci. Non è facile per nessuno e le risorse sono quelle che sono. Dobbiamo fare uno sforzo per capire meglio dove sono i punti di debolezza del sistema e lavorare per eliminarli. È sicuramente preoccupante vedere la disomogeneità di accesso alle cure da Regione a Regione, ma negli assetti attuali non esiste la ricetta magica. Grazie al lavoro delle associazioni pazienti abbiamo capito che questo è un tema fondamentale e che occorrerà lavorarci giorno dopo giorno, in profondità.

Federico SpandonaroUniversità Tor Vergata di Roma e Presidente CREA, Consorzio

per la Ricerca Economica Applicata in Sanità

In Italia spesa sanitaria inferiore del 30% alla media europea: concentrare le risorse disponibili sulle terapie

a maggior impatto economico e superare la logica dei “silos”La sostenibilità del sistema sanitario è una sfida continua per il sistema Paese. Quali sono le tendenze attuali sulle policy? Quali le problematiche irrisolte e le possibili soluzioni?Il problema della sostenibilità non si può declinare in assoluto: evidentemente un sistema è sostenibile se ha risorse adeguate rispetto ai livelli di assistenza che intende erogare.Quindi per prima cosa bisogna definire il “livello assistenziale”: assumendo che il SSN voglia rimanere ancorato ai livelli (medi) di servizio dell’Europa occidentale, possiamo allora concludere che esiste effettivamente un problema di “sostenibilità”. Infatti la spesa sanitaria in Italia è ormai di oltre il 30% inferiore a quella dell’Europa occidentale, e il gap continua ogni anno ad ampliarsi del 2/3%. In queste condizioni è difficile immaginare che i livelli di servizio italiani possano rimanere a lungo comparabili con quelli dei Paesi vicini.

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D’altra parte, essendo la spesa sanitaria italiana decisamente “bassa” nei confronti internazionali, la ragione dell’ampliarsi del gap va ricercata “altrove”: come ha esplicitato il commissario per la Spending Review Cottarelli, il problema non è la spesa, ma il debito pubblico che riduce le disponibilità finanziarie del Paese e, aggiungiamo, anche in prospettiva il permanere di una scarsa crescita economica.Quindi è necessario rivedere le priorità del SSN: ma la tendenza politica è quella di rimuovere il problema, probabilmente fidando che siano possibili ulteriori recuperi di efficienza capaci di contenere la spesa. La nostra idea è che i recuperi di efficienza possano aumentare ulteriormente l’outcome, ma difficilmente potranno ridurre ancora la spesa, senza tagli dell’assistenza.A risorse date, le soluzioni possono essere trovate solo in diversi criteri di allocazione delle risorse disponibili. La nostra idea è che il SSN debba orientare maggiormente il proprio intervento alla protezione dei rischi economici: quindi intervenire non indiscriminatamente (come oggi in alcuni casi avviene) ma dove è rilevante il gap fra risorse familiari e costo dell’assistenza. Inoltre è necessario una nuova integrazione fra spesa pubblica e spesa privata, capace di evitare duplicazioni e inefficienze.

L’immunoterapia e la target therapy sono due nuove strategie per combattere il cancro molto efficaci ma altamente costose. Che risposte si possono mettere in campo per garantire una presa in carico dei pazienti omogenea su tutto il territorio nazionale in presenza di una limitazione delle risorse?La soluzione sta nell’ipotesi politica contenuta nella risposta precedente: le terapie costose, in ragione del loro impatto sui bilanci delle famiglie, devono avere priorità. Ovviamente tali “nuove” tecnologie, devono dimostrare la propria efficacia prima e la propria costo-efficacia dopo. Questa è una valutazione tecnica di HTA, che in Italia è ancora insufficientemente sviluppata.Si aggiunga che lo è anche perché tanto l’immunoterapia, quanto la targettizzazione, pongono nuove sfide metodologiche, che richiedono investimenti in ricerca. Va anche detto che secondo noi il costo crescente delle terapie è sempre più legato all’aumento dei rischi: prima di tutto mercati sempre più piccoli (targettizzazione) e con sempre più rapida obsolescenza (carenza di “protezione brevettuale” delle molecole complesse); si corre il rischio di una crescente finanziarizzazione dei processi commerciali e da questo punto di vista va fatto di più, anche se è difficile perché si tratta di questioni di respiro sovrannazionale. Di certo, l’escalation dei costi attuale diverrà presto insostenibile per quasi tutte le economie, e quindi qualcosa dovrà essere fatto. Da ultimo ricordiamo che in Italia abbiamo però anche alcune “facili” modifiche di politica sanitaria da fare rapidamente, se vogliamo evitare la penalizzazione dell’innovazione: la prima è superare la logica dei silos. Le nuove tecnologie aumentano (ad esempio) la spesa farmaceutica, ma spesso riducono i costi (magari di ospedalizzazione) in altri comparti: la logica dei tetti non permette un razionale decision making, che tenga conto complessivamente dell’impatto delle tecnologie.

Marco VignettiCoordinatore Trial Office Fondazione GIMEMA onlus

Ricercatore in Ematologia, Università “Sapienza” di Roma

Eccellenza diagnostico-terapeutica e risparmio delle risorse: fondamentale la rete oncologica

La rete oncologica è necessaria per garantire l’accesso dei pazienti alle cure e per ottimizzare le risorse. Qual è l’importanza in oncologia di avere una rete a livello regionale e nazionale?Il punto non è tanto l’importanza di avere una rete in oncologia quanto piuttosto il fatto evidente che è diventato impossibile ormai fare una diagnosi e curare pazienti oncologici e ematologici

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senza far ricorso a una rete integrata sia dal punto di vista della diagnostica sia terapeutico.

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Questo perché la medicina è ormai radicalmente cambiata nel tempo di una generazione e la mole di conoscenze, complesse e intersecate, è diventata così enorme da non poter essere più gestita dal singolo esperto o dal singolo reparto come accadeva solo 15-20 anni fa. L’unico modo per lavorare e riuscire a mettere a disposizione del paziente una diagnosi precoce e indirizzarlo dopo l’avvenuta diagnosi, che può consistere in tante sotto-categorie di patologie, è creare una multi competenza costituita da clinici, laboratoristi, ricercatori, informatici e molte altre figure che ruotano attorno al paziente e che necessitano di una rete integrata di competenze. Si pone naturalmente un problema di efficienza, che non dipende più solo dalla mente del clinico, colui che un tempo deteneva l’eccellenza, ma è rappresentata da una rete di cervelli e poi di strutture. Il secondo motivo per cui avere la rete è indispensabile sta nel fatto che essa rende disponibile l’erogazione di questa eccellenza con un risparmio delle risorse investite e maggiori competenze, qualità ed efficienza. Oggi come oggi la rete è lo strumento imprescindibile per poter mettere a disposizione dei malati l’enorme bagaglio di esperienze e conoscenze che sono emerse negli ultimi 15 anni.

È pressante da parte delle Associazioni dei pazienti oncologici la richiesta di attuare PDTA oncologici a livello regionale. Quanto la diffusione dei PDTA può essere favorita dallo sviluppo di una rete oncologica?Lo sviluppo di una rete oncologica significa comunicazione tra le strutture e standardizzazione all’interno delle stesse sia nei Percorsi sia nella qualità dei servizi e delle prestazioni.La mancanza di alcuni anelli della catena nel PDTA può impedire questa implementazione ma una struttura può subentrare per sanare l’anello mancante. È la condivisione di competenze e di risorse che permette di completare il Percorso nonostante le criticità strutturali. La rete facilita i PDTA e riduce i costi per il sistema sanitario perché, tra le altre cose, evita la replicazione delle prestazioni.

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