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All'Olivetti si moriva di amianto. Nel mirino De Benedetti e Passera Inchiesta della Procura di Ivrea: sotto accusa gli ex amministratori De Benedetti e Passera. Venti i casi. Fiom: «Anche qui ci si poteva ammalare». Il racconto: mia madre la prima vittima È l’ultimo schiaffo, e si rivela mortale. Il rimpianto per la dispersione di una grande storia industriale diventa choc ora che la Procura di Ivrea mette sotto accusa la Olivetti per una ventina di casi di tumori, contratti da ex dipendenti a contatto con l’amianto in alcuni dei suoi stabilimenti piemontesi. Tra i 24 indagati ci sarebbero anche nomi prestigiosi come Carlo De Benedetti - che subito si dice «totalmente estraneo ai fatti» - e l’ex ministro Corrado Passera, in qualità di Ad e di coamministratore delegato. Per tutti gli indagati l’accusa è di omicidio colposo e lesioni colpose plurime. Un’indagine complessa, avviata un anno e mezzo fa sulla scia delle segnalazioni dell’Ausl di Torino 4, quando ha cominciato a registrare diversi casi di mesotelioma pleurico. Due parole che valgono una condanna a morte, ormai associate in modo inequivocabile all’esposizione ad amianto come la terribile vicenda dell’Eternit di Casale Monferrato ha insegnato. Passando al setaccio la vita lavorativa di chi ormai era in pensione da anni che la Procura si è imbattuta nell’Olivetti: gli ammalati erano impiegati a Scarmagno, Agliè, S.Bernardo, in diversi reparti, tra la fine degli anni 70 e i 90. Qui hanno respirato polveri fatali, qui hanno maneggiato materiale contaminato. Senza alcuna protezione, «nessun sistema di aspirazione delle polveri, niente maschere e guanti, nessuna informazione» certifica l’avvocato Laura D’Amico che segue due dei casi di questa prima inchiesta collettiva. E così si riaffaccia l’incubo Eternit: morire di lavoro, a distanza anche di decenni, quando ormai magari si è appesa la tuta blu a un chiodo. Morire per il solo fatto di avere un’occupazione, inconsapevoli dei rischi corsi fino all’ultimo. Questo sarebbe successo anche ai dipendenti della “fabbrica modello”, che tale è rimasta nell’immaginario collettivo ben oltre la morte di Adriano Olivetti, nel 1960. «Questa inchiesta ci riporta con i piedi per terra - riassume amaro il segretario Fiom di Torino Federico Bellono -: l’Olivetti era una fabbrica, che mirava a fare profitto e in cui sono forse accadute anche vicende di morte, dovute magari a mancati controlli». Una fabbrica come tante, troppe altre insomma. Un sospetto che prende piede già anni fa, quando davanti ai giudici compare Lucia Delaurenti. Malata di mesotelioma, prima di morire nel 2005 testimonia sulle condizioni di lavoro nello stabilimento di Agliè, dove come «allenatrice» contribuiva al montaggio di parti in gomma nelle macchine da scrivere. Racconta di quella polvere utilizzata per rendere più scorrevole il montaggio, di cui «erano piene le scatole da cui venivano tolti i pezzi -

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All'Olivetti si moriva di amianto. Nel mirino De Benedetti e PasseraInchiesta della Procura di Ivrea: sotto accusa gli ex amministratori De Benedetti e Passera. Venti i casi. Fiom: «Anche qui ci si poteva ammalare».

Il racconto: mia madre la prima vittima

È l’ultimo schiaffo, e si rivela mortale. Il rimpianto per la dispersione di una grande storia industriale diventa choc ora che la Procura di Ivrea mette sotto accusa la Olivetti per una ventina di casi di tumori, contratti da ex dipendenti a contatto con l’amianto in alcuni dei suoi stabilimenti piemontesi. Tra i 24 indagati ci sarebbero anche nomi prestigiosi come Carlo De Benedetti - che subito si dice «totalmente estraneo ai fatti» - e l’ex ministro Corrado Passera, in qualità di Ad e di coamministratore delegato. Per tutti gli indagati l’accusa è di omicidio colposo e lesioni colpose plurime.

Un’indagine complessa, avviata un anno e mezzo fa sulla scia delle segnalazioni dell’Ausl di Torino 4, quando ha cominciato a registrare diversi casi di mesotelioma pleurico. Due parole che valgono una condanna a morte, ormai associate in modo inequivocabile all’esposizione ad amianto come la terribile vicenda dell’Eternit di Casale Monferrato ha insegnato. Passando al setaccio la vita lavorativa di chi ormai era in pensione da anni che la Procura si è imbattuta nell’Olivetti: gli ammalati erano impiegati a Scarmagno, Agliè, S.Bernardo, in diversi reparti, tra la fine degli anni 70 e i 90. Qui hanno respirato polveri fatali, qui hanno maneggiato materiale contaminato. Senza alcuna protezione, «nessun sistema di aspirazione delle polveri, niente maschere e guanti, nessuna informazione» certifica l’avvocato Laura D’Amico che segue due dei casi di questa prima inchiesta collettiva. E così si riaffaccia l’incubo Eternit: morire di lavoro, a distanza anche di decenni, quando ormai magari si è appesa la tuta blu a un chiodo. Morire per il solo fatto di avere un’occupazione, inconsapevoli dei rischi corsi fino all’ultimo. Questo sarebbe successo anche ai dipendenti della “fabbrica modello”, che tale è rimasta nell’immaginario collettivo ben oltre la morte di Adriano Olivetti, nel 1960. «Questa inchiesta ci riporta con i piedi per terra - riassume amaro il segretario Fiom di Torino Federico Bellono -: l’Olivetti era una fabbrica, che mirava a fare profitto e in cui sono forse accadute anche vicende di morte, dovute magari a mancati controlli». Una fabbrica come tante, troppe altre insomma. Un sospetto che prende piede già anni fa, quando davanti ai giudici compare Lucia Delaurenti. Malata di mesotelioma, prima di morire nel 2005 testimonia sulle condizioni di lavoro nello stabilimento di Agliè, dove come «allenatrice» contribuiva al montaggio di parti in gomma nelle macchine da scrivere. Racconta di quella polvere utilizzata per rendere più scorrevole il montaggio, di cui «erano piene le scatole da cui venivano tolti i pezzi - ricorda D’Amico -, tanto che questi erano come “infarinati”». Quella polvere conteneva tremolite, tipo di amianto cancerogeno. Nel 2010 il tribunale di Ivrea riconosce colpevole di «non avere tutelato l’integrità dei lavoratori» l’ad di Olivetti negli anni (tra il 72 e il 76) in cui la donna è stata più esposta all’amianto, ovvero Ottorino Beltrami. Condanna confermata in Appello a Torino a fine 2012. Colpisce un passaggio della sentenza di primo grado: la responsabile del laboratorio di analisi chimiche della ditta riferisce di avere analizzato la polvere in questione, di avere trovato l’amianto e «di avere suggerito di non usarlo più». Uno dei periti citati spiega poi che la sua pericolosità era già nota all’epoca e che «vi era la possibilità di usare un talco non contaminato». Beltrami ricorre in Cassazione, ma nel frattempo muore. Si apre un secondo dibattimento per una dipendente deceduta nel 2007. Ma le segnalazioni crescono e la Procura di Ivrea apre il fascicolo di cui si parla oggi. Tra gli indagati anche gli amministratori che si sono succeduti nel tempo, tra cui appunto l’ex banchiere Passera (coamministratore tra il 92 e il 96) e il presidente del gruppo l’Espresso, a capo della società dal ‘78 al ‘96: «Nel rispetto degli operai e delle loro famiglie - precisa una nota di De Benedetti - attendo fiducioso l’esito delle indagini, nella certezza della mia totale estraneità ai fatti contestati. La realizzazione delle strutture oggetto di indagine precede infatti di diversi anni l’inizio della mia gestione. Nel periodo della mia permanenza in azienda inoltre l’Olivetti ha sempre prestato attenzione a salute e sicurezza dei lavoratori, con misure adeguate alle norme e conoscenze scientifiche dell’epoca». L’inchiesta si dovrebbe concludere entro l’anno. E rischia di ampliarsi. Il sindacato si muove,

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consapevole che questa storia «potrebbe essere solo all’inizio». «Stiamo cercando di ricostruire quando e dove si sono svolte le lavorazioni a rischio, della tremonite a quei tempi non si sapeva nulla - spiega Giuseppe Capella della Fiom di Ivrea -. Dal 12 novembre poi attiviamo nella nostra sede Cgil uno sportello di informazioni e assistenza legale a ex dipendenti Olivetti».

L’Unità – 8 novembre 2013

“La mia Lucia uccisa dall’amianto all’Olivetti” (Andrea Giambartolomei).RESPONSABILITÀ DELL’AZIENDA DAGLI ANNI 70 AI PRIMI ANNI 90: TRA GLI ALTRI CARLO DE BENEDETTI E CORRADO PASSERA.

Lucia Delaurenti “usava dei rulli pieni di talco, per cui il grembiule che portava a casa, alla sera, era tutto bianco. E prima di entrare lo scuoteva”, raccontava ai giudici il marito Giovanni. Quel bianco era amianto, quello usato nelle fabbriche dell’Olivetti di Aglié, vicino a Ivrea. Lucia è morta di mesotelioma pleurico nel 2005, dopo tre anni di sofferenze. F. L. invece lavorava al montaggio dei gruppi elettrici e al cablaggio di gruppi meccanici nello stabilimento di San Bernardo di Ivrea ed è morta nel 2007 all’età di 69 anni, sempre di mesotelioma pleurico. Sono le due vicende che hanno acceso i riflettori sul decesso o sulla malattia di altri 21 lavoratori degli stabilimenti Olivetti, scomparsi dal 2003 a oggi. Ora per queste morti ci sono degli indagati eccellenti: l’ingegnere Carlo De Benedetti, il fratello Franco De Benedetti, l’ex ministro dello Sviluppo Corrado Passera e altri 25 tra amministratori e dirigenti. L’ipotesi del sostituto procuratore Lorenzo Boscagli è di omicidio colposo e lesioni colpose.IL PERIODO coperto dall’indagine parte negli anni Sessanta per concludersi ai primi anni Novanta, quando a gestire la fabbrica fondata da Adriano Olivetti c’erano i De Benedetti e Passera. L’ingegnere è stato presidente e amministratore delegato dal 1992 fino al 1996, il fratello è stato suo vice ed erano affiancati da Passera nel ruolo di co-amministratore. Sia l’ingegnere sia l’ex ministro attendono fiduciosi l’esito dell’inchiesta e sono disponibili a collaborare coi magistrati. L’indagine riguarda molti stabilimenti dell’azienda: quello di San Bernardo di Ivrea, di Aglié, di Scarmagno e le officine Ico, dove l’amianto era usato in tre maniere: nei talchi che servivano come lubrificante per la costruzione delle telescriventi; nei freni dei macchinari o come materiale di coibentazione delle presse o nelle condotte d’aria. Non è ancora nota una stima dei morti e dei malati, ma la lista potrebbe allungarsi perché i tumori provocati dal-l’amianto covano nel corpo per decenni prima di manifestarsi. È successo così a Lucia Delaurenti: era stata “esposta” all’amianto dal 1972 al 1976, quando respirava il “talco” fatto con la tremolite (un particolare tipo di amianto). Nel 2002 le diagnosticarono la malattia: mesotelioma pleurico. E dopo tre anni è morta. Per il suo decesso è stato processato un ex amministratore delegato, Ottorino Beltrami, deceduto lo scorso 16 agosto. Il Tribunale di Ivrea nel 2010 e la Corte d’appello di Torino dopo, lo hanno condannato a sei mesi di carcere per omicidio colposo. Il 4 dicembre è prevista l’udienza della Cassazione, ma non si farà, così come ieri non si è fatto un altro processo contro Beltrami, quello per la morte di F.L. il 26 dicembre 2007 dopo due anni di malattia. A La Sentinella del Canavese il vedovo, anche lui ex dipendente della Olivetti, dichiarava: “Non ho mai fatto denunce o segnalazioni. Nella vita ho già sofferto abbastanza e alla soglia degli 80 anni voglio stare tranquillo. Non ho la forza di condurre battaglie. Se i giudici accerteranno che ci sono responsabilità per quello che è accaduto a mia moglie, va bene”.LUI NON AVRÀ giustizia, ma della prima condanna è rimasto qualcosa: la connessione causale tra la presenza di amianto e le malattie. Si sapeva “della pericolosità degli agenti chimici” usati nella lavorazione, ma si è provveduto “con colpevole ritardo” ad affrontare il problema, si legge nella sentenza d’appello. “Ora stanno arrivando nuove segnalazioni – spiega l’avvocato Laura D’Amico, che segue la vicenda per la Fiom – Nel luglio scorso mi è stato segnalato un nuovo caso: un operaio delle presse nello stabilimento di San Bernardo si è ammalato di mesotelioma”. La Fiom Cgil ha aperto uno “sportello amianto” per raccogliere altre testimonianze e realizzare un dossier che possa aiutare i lavoratori, i loro familiari e gli investigatori. Da questo materiale, dalla prima sentenza e da quello raccolto nell’inchiesta gli inquirenti dovranno appurare le responsabilità dei manager. Un compito difficile per una procura che ha solo tre pubblici ministeri. Per questa ragione il procuratore capo Giuseppe Ferrando ha scritto alla Procura generale del Piemonte e alla Procura di Torino chiedendo un aiuto, il “prestito” di qualche pm torinese, magari uno di quelli che

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si sono occupati del processo Eternit che ha portato alla condanna del proprietario, Stephen Schmidheiny, ritenuto l’amministratore di fatto.

Da Il Fatto Quotidiano - 08 novembre 2013

Ecco perché l’Olivetti sapeva dell’amiantoLe lettere degli Anni Ottanta che inguaiano i verticiLa procura analizza tutte le fasi della lavorazione all’Olivetti, ora spuntano alcune lettere compromettenti

Giampiero Maggio, Ivrea L’Olivetti sapeva. Sapeva dei rischi ai quali sottoponeva gli operai che venivano a contatto quotidiano con la tremolite d’amianto presente nel “talco”, quella polvere bianca e inodore usata in moltissime lavorazioni. Fino al 1981, però, non ha fatto nulla per proteggerli.  I documenti  E adesso spuntano alcune lettere che potrebbero inchiodare molti ex dirigenti Olivetti. Documenti finiti agli atti in altri due procedimenti per omicidio colposo aperti dalla Procura di Ivrea 3 anni fa (quello per la morte di Franca Lombardo e di Lucia Delaurenti, entrambe decedute per mesotelioma pleurico) e che potrebbero pesare non poco sul nuovo filone d’inchiesta dei pm eporediesi, quello relativo alla morte di 16 persone per l’esposizione alle fibre d’amianto e che oggi vede 24 indagati, tra cui Carlo e Franco De Benedetti e l’ex ministro Corrado Passera. Per i 2 procedimenti del 2010, invece, era stato rinviato a giudizio (e in un caso condannato a 6 mesi) Ottorino Beltrami, amministratore delegato dell’Olivetti. Si scopre, però, che nel registro degli indagati finirono anche i fratelli De Benedetti con l’accusa di omicidio colposo. La loro posizione fu stralciata. Dal 1978 al 1996, comunque, Carlo De Bendetti è stato presidente dell’azienda di Ivrea. I documenti finiti agli atti e relativi alla perizia prodotta da Luigi Tirrito nei procedimenti del 2010, sono importanti. C’è una lettera, datata 13 febbraio 1981. Maria Luisa Ravera, responsabile del servizio Ecologico e Processi dell’Olivetti invia una comunicazione al Politecnico di Torino e chiede che vengano effettuate le analisi microscopiche su 2 campioni di “talco”.  La conferma  La risposta del Politecnico, a firma Enea Occella, arriva 3 giorni dopo. Ed è inquietante: “In entrambi i campioni – è scritto nella relazione – è presente in elevate proporzioni la tremolite d’amianto”. Aggiunge l’esperto: «La concentrazione di tremolite supera le 500 mila unità per milligrammo, ben oltre, quindi, il limite tollerato di 1000 unità per milligrammo». Fino a quella data, il 1981, il talco fu utilizzato con assoluta tranquillità nei reparti senza predisporre le contromisure necessarie ad evitare l’esposizione. “I sistemi di sicurezza non erano sufficienti” conferma Tirrito, uno dei periti incaricati dalla Procura di far luce sul caso della morte di Franca Lombardo, deceduta nel dicembre 2007.  L’ambiente  C’è di più. Siamo nell’aprile 1988, in piena epoca De Benedetti. Un’indagine del servizio Ecologia della Olivetti rileva la presenza di fibre d’amianto in molte strutture, in particolare nelle controsoffittature e negli intonaci delle officine di San Bernardo (Ope) e nel capannone centrale denominato Galtarossa, dove lavorano centinaia di dipendenti. C’è il timore che possano essere nocivi. Ecco, però, come risolve la questione l’azienda. Il 31 marzo 1989, l’ingegnere Piero Abelli comunica cosa è necessario fare per la bonifica. «E’ confermato che l’intonaco del capannone Ope contiene fibre di amianto… riteniamo che in occasione della sistemazione dell’area si debba escludere l’asportazione e prevedere un buon intervento di mantenimento». Quale? «Si consiglia di applicare una mano di adesivo che fissi le eventuali fibre in via di distacco previo rattoppo, con scagliola o materiali simili delle zone visibilmente danneggiate». Ora l’avvocato Enrico Scolari, che tutela diverse parti lese nel nuovo filone d’inchiesta insiste: «Ci sono documenti che dimostrano come i pericoli per l’esposizione all’amianto fossero stati fortemente sottovalutati». 

La Stampa – 13 novembre 2012

Amianto all’Olivetti L’inchiesta si allarga. Morti sospette anche al Sud In arrivo alcune perizie. Nell’impianto di Scarmagno lavoravano 5 mila operai

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Giampiero Maggio. Ivrea . L’Olivetti sapeva del talco con amianto ma non lo ha mai comunicato: né ai lavoratori, né alla Rsu, né alla Commissione ambiente delle fabbriche tra gli Anni ’70 e ’80.  C’è una data, quella del febbraio 1981. Fa da spartiacque. È in quella circostanza, dopo l’analisi effettuata dal Politecnico di Torino su due campioni di talco usato in moltissime lavorazioni, che i vertici dell’azienda scoprono la presenza di altissima concentrazione di tremolite, sostanza tossica e che poi sarà tra le cause dei morti (18 quelli accertati finora) per amianto oggi oggetto dell’inchiesta della Procura di Ivrea. Dopo aver avuto la certezza che quel talco fosse contaminato, ci fu la sostituzione con una polvere innocua.  «Eppure – ricorda ora Ezio Sciandra, in quegli anni nelle Rsu di fabbrica – per anni è stato utilizzato. Sospetti? Nessuno. E quando qualcuno si ammalava di bronchite e noi chiedevamo all’azienda cosa stesse capitando le risposte erano sempre evasive». Gli fa eco Giuseppe Capella, ex operaio e delegato sindacale all’Olivetti: «Spesso si lavorava in presenza di nubi di polvere. Era quel talco lì che si alzava, si sollevava in aria. La Commissione si lamentava con i vertici aziendali e allora ci portavano degli aspiratori». E queste sono soltanto alcune delle testimonianze che continuano ad arrivare nella sede della Fiom Cgil di Ivrea, dove ieri è stato attivato il centro d’ascolto per le famiglie delle vittime e per chi ha e testimonianze da raccontare (anche la Cisl, nella sede Inas di piazza Lamarmora, ha attivato uno sportello).  Nel frattempo rischia di estendersi fuori Piemonte l’inchiesta della Procura. Un caso sospetto è stato segnalato da una famiglia che oggi vive nel casertano e il cui congiunto, un operaio morto per mesotelioma pleurico poco tempo fa, tra il 1966 e il 1996 aveva lavorato nello stabilimento di Marcianise. «Tranne una parentesi di 6 mesi, nell’88, quando questo signore era stato impiegato a Ivrea» conferma Enrico Scolari, l’avvocato contattato dai parenti della vittima e che da tempo, in Canavese, sta seguendo altri casi sospetti.  Aggiunge: «Il resto della sua carriera professionale l’aveva trascorsa nello stabilimento Campano». Del resto non è un mistero che anche altri stabilimenti Olivetti fossero oggetto di osservazione, già negli anni Ottanta, per l’utilizzo del «talco» all’amianto. Tra questi c’è Crema, dove si producevano macchine per scrivere, e Pozzuoli. Basta spulciare le carte degli atti relativi alla morte di due ex dipendenti che lavoravano a Ivrea e Aglié (Franca Lombardo e Lucia Delaurenti) - per cui i magistrati eporediesi avevano aperto due inchieste e, in un caso, condannato in primo e secondo grado l’allora amministratore delegato, Ottorino Beltrami, deceduto nell’agosto scorso a 96 anni. Il Procuratore capo di Ivrea, Giuseppe Ferrando commenta: «Per ora abbiamo i nostri casi cono concentrati negli stabilimenti canavesani. È un’inchiesta complessa: abbiamo chiesto rinforzi alla procura generale». 

La Stampa - 13 novembre 2013

Rischio amianto a Scarmagno, una cinquantina di lavoratori a casa

Quaranta dipendenti della Telis e una decina della Olivetti non potranno recarsi a lavoro per qualche giorno. Almeno fino a quando non ci saranno gli esiti dei controlliUna cinquantina di lavoratori della Olivetti e della Telis di Scarmagno per qualche giorno non potrà recarsi a lavoro regolarmente. La ditta li ha informati ieri mattina, mandandoli immediatamente a casa con un permesso retribuito. La motivazione è semplice: c'è il rischio che all'interno del capannone D ci sia dell'amianto nel mastice dei vetri dell'edificio.I dipendenti, una quarantina Telis e una decina Olivetti, staranno lontani da quella porzione di complesso almeno fino a quando non ci saranno i risultati degli accertamenti che la Olivetti ha già predisposto. I controlli saranno accurati, volti ad individuare anche particelle piccolissime di amianto.

http://www.torinotoday.it -19 febbraio 2014