ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... ·...

598
1 Antologia Patristica vol. I padri d'Oriente e d'Occidente

Transcript of ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... ·...

Page 1: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

1

Antologia Patristica

vol. Ipadri d'Oriente e d'Occidente

Page 2: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

2

INDICE

L'IMMORTALITA' DELL'ANIMA... Beato Agostino d'Ippona. pag. 3 SUL SACERDOZIO... San Giovanni Crisostomo. pag. 15DISCORSO AI GIOVANI... san Basilio Magno. pag. 71FORMULE DELL'INTELLIGENZA SPIRITUALE... San Eucherio di Lione pag.80 LA PENITENZA... Sant'Ambrogio di Milano. pag. 114REGOLA PASTORALE... San Gregorio Magno. pag. 147 LA PREGHIERA DEL CUORE... San Teofane il Recluso pag. 232 APOLOGIA... Beato Giustino Martire. pag.237SCRITTI... San Silvano dell'Athos. pag. 273 COLLOQUIO CON MOTOLIVOV... San Serafino di Sarov. pag. 288LA PAZIENZA... Beato Agostino d'Ippona. pag.296 LA MENZOGNA... Beato Agostino d'Ippona. pag. 309 LETTERE... Sant'Antonio Abate. pag. 337DETTI... santa Madre Teodora del Deserto. pag. 353

Page 3: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

3

Beato Agostino d'Ippona

L'IMMORTALITÀ DELL'ANIMAContro il naturalismo peripatetico: Immortalità e pensiero (1, 1-6, 11).

Contro Stratone: Immortalità e puro pensiero.1. 1. Se la disciplina ha un suo dove essere e può essere soltanto in un soggetto vivente, se inoltre la disciplina è per sempre, ed anche il soggetto, in cui qualche cosa è per sempre, è indefettibile, il soggetto, in cui disciplina esiste, vive per sempre. Egualmente, se siamo noi che formuliamo ragionamenti, cioè il nostro essere pensante, e non può formularli secondo logicità senza la disciplina, se inoltre non si concepisce essere pensante se non mediante la disciplina, considerazione a parte per quello in cui non v'è disciplina, esiste nello spirito dell'uomo la disciplina. Dunque la disciplina ha un suo dove essere. È reale infatti ed è impossibile che un essere reale non abbia un suo dove essere. Allo stesso modo la disciplina può essere soltanto in un soggetto vivente. È assurdo infatti che chi non vive apprenda a conoscere e la disciplina non può essere in chi non apprende a conoscere. Allo stesso modo la disciplina è per sempre. È infatti necessario che un esistente che non soggiace al divenire sia per sempre ed è innegabile che esista la disciplina. Chi ammette appunto l'impossibilità che il diametro non sia la linea più lunga di tutte le altre che non passano per il centro della circonferenza e riconosce che questo enunciato appartiene ad una determinata disciplina, non può negare la non soggezione al divenire della disciplina. Allo stesso modo è impossibile che un soggetto, in cui qualche cosa esiste per sempre, possa cessare. È assurdo infatti che un essere che è per sempre si separi dal soggetto in cui esiste per sempre. Quando noi formuliamo ragionamenti, è il nostro spirito che li formula. E può farlo soltanto l'essere che è capace di pensiero. L'essere sensibile dunque non pensa e non pensa il soggetto pensante per la mediazione del sensibile, poiché quando tende all'atto del pensiero trascende il sensibile. Infatti l'oggetto del pensiero è sempre il medesimo; al contrario non v'è cosa del mondo sensibile che sia

Page 4: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

4

sempre la medesima. Quindi non può aiutare lo spirito nel suo muoversi all'atto del pensiero. È già molto che non lo impedisca. Allo stesso modo non si possono formulare ragionamenti secondo logicità se non mediante la disciplina. Il ragionamento è appunto atto del pensiero che da conoscenze oggettive tende all'esame di conoscenze non oggettive. Ora per il soggetto pensante non c'è oggettività del non pensato. Ma il soggetto pensante ha in sé l'oggetto di puro pensiero e il puro pensiero non ha altro oggetto da quello che è di competenza di qualche disciplina. Disciplina è appunto pensiero puro di determinati oggetti. Quindi lo spirito umano vive per sempre.Contro Aristoseno: L'anima in quanto pensiero non è armonia del corpo.2. 2. Il pensiero è certamente lo spirito stesso ovvero è nello spirito. Ora ha più essere il nostro pensiero che il nostro corpo. Ma il nostro corpo è un determinato essere permanente ed è meglio esser tale che non essere. Quindi il nostro pensiero non è un non essere. Ancora, qualsivoglia sia l'armonia del corpo, è necessario che risieda inseparabilmente nel corpo come soggetto; e non si deve ritenere che in tale armonia vi sia qualche elemento che non sia necessariamente nel corpo come soggetto, anzi l'armonia stessa vi risiederebbe inseparabilmente. Ora il corpo umano soggiace al meccanismo, il pensiero non vi soggiace. Soggiace infatti a divenire l'essere che non è sempre il medesimo. Ma "due e quattro fanno sei" è sempre il medesimo ed egualmente "il quattro contiene due e due e non li contiene il due, quindi il due non è il quattro". Questo è un pensiero che non soggiace al divenire: dunque il pensiero ha un suo essere. Ma se il soggetto soggiace al meccanismo, necessariamente soggiace al divenire ciò che è in esso inseparabilmente. Quindi lo spirito non è armonia del corpo. E la morte non può sopraggiungere ad esseri non soggetti al meccanismo. Pertanto lo spirito vive per sempre, sia esso il pensiero o sia in esso inseparabilmente il pensiero.

Contro Alessandro: a) Permanenza e dinamismo dell'anima...3. 3. C'è una certa forza d'attuazione dell'essere in riposo e l'essere nel riposo non è nel divenire. Inoltre la forza d'attuazione è in potenza ad attuare, ma quando non attua non cessa d'essere forza d'attuazione. Ora l'attuazione implica l'esser mossi e il muovere. Quindi non ogni essere mosso e, a più forte ragione, non ogni essere movente è nel divenire. Soltanto l'essere che è mosso da un altro e non muove se stesso è mortale. E non è mortale l'essere che non è nel divenire. Quindi con certezza e senza possibilità dell'altra parte di contraddizione si conclude che non ogni essere che muove è nel divenire. Ma non c'è movimento senza l'essere permanente ed esso o è vivente o non è vivente. Ma l'essere che non vive è privo di anima e non si dà forza d'attuazione senza l'anima. Quindi l'essere che muove senza porsi nel meccanismo non può essere che viva esseità permanente. Ed è lei che, senza divisioni, muove il corpo alle singole gradazioni di vita. Quindi non ogni essere che muove il corpo soggiace al meccanismo. Inoltre il corpo è mosso soltanto secondo tempo. Si tratta infatti di esser mossi in successioni più lente o più celeri. Ne consegue che v'è un essere che muove col tempo, ma non si pone nel divenire. E l'essere che muove il corpo col tempo, sebbene tenda ad unico fine, non può tuttavia produrre una molteplicità d'effetti contemporaneamente e deve produrre una molteplicità d'effetti. Il corpo infatti, da qualsivoglia forza sia mosso, non può essere completamente uno perché può essere diviso in parti ed è assurdo un corpo senza parti. D'altra parte non si dà tempo senza distinzioni di momenti. Anche se si profferisce una sillaba brevissima, ne puoi udire la fine soltanto se non odi più l'inizio. Ora per ogni atto che si compie nella successione si ha bisogno dell'attesa, perché esso si possa distendere, e della memoria perché si possa contrarre quanto è possibile. L'attesa è degli avvenimenti futuri, la memoria dei passati. Ma la coscienza d'agire è del presente. In esso appunto il futuro diviene passato, sicché l'attesa del termine d'un attuale movimento del nostro essere fisico si congiunge ad un atto di memoria. Non è infatti possibile attendere il termine se può sfuggire l'inizio e perfino la realtà del movimento stesso. Allo

Page 5: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

5

stesso modo la coscienza dell'azione continuata che è presente è impossibile senza l'attesa del termine che è futuro. Insomma è reale soltanto ciò che ancora non è reale ovvero non lo è più. In un'azione quindi vi possono essere momenti appartenenti alle cose che ancora non si sono verificate. In chi compie l'azione, al contrario, v'è simultaneamente la serie dei momenti sebbene essi non possano essere simultaneamente. Possono essere dunque in chi muove, sebbene non possano essere in chi è mosso. Ma tutte le cose, che non possono essere simultaneamente in un attimo di tempo e tuttavia sono trasmesse dal futuro al passato, sono di necessità nel divenire.

... e quindi suo non divenire;3. 4. Ne deduciamo che non è assurdo che vi sia un essere il quale muove le cose poste nel divenire, ma non è posto nel divenire. Difatti non è posta nel meccanismo, in chi muove, la coscienza di condurre al fine voluto l'essere sensibile che è mosso. Inoltre l'essere sensibile usato come mezzo è posto dal movimento nel meccanismo per momenti successivi ed è manifesto che la coscienza di produrre l'effetto rimane fuori del divenire nell'atto che muove le membra dell'artigiano, il legno o la pietra che egli ha sotto mano. Non si può dunque dubitare che è logicamente conseguente quanto è stato detto. Quindi non necessariamente la soggezione al meccanismo nei corpi prodotta dallo spirito, anche se esso ne è cosciente, ne comporta la soggezione al meccanismo per cui si debba ritenere che anche esso soggiaccia a morte. Esso infatti congiunge all'attuale coscienza la memoria del passato e l'attesa del futuro. E questi momenti non si concepiscono senza la vita. E sebbene non si dia corruzione senza il meccanismo né meccanismo senza il movimento, tuttavia non necessariamente il meccanismo causa la corruzione né il movimento il meccanismo. Non è assurdo infatti pensare che il nostro corpo è mosso continuamente da agenti esterni e che diviene attraverso l'età, ma non per questo che è già morto, cioè privo di vita. È possibile quindi pensare che lo spirito non viene perdendo vita nella successione, sebbene soggiaccia a una certa forma di divenire mediante il movimento.

b) Esistenza dell'idea nell'anima...4. 5. Se nello spirito v'è qualche cosa che non soggiace al divenire e suppone la vita, ne consegue necessariamente che nello spirito la vita sia indeficiente. L'argomento è tale che, posta la validità della premessa, è valida anche la conclusione. Ora la premessa è valida. È assurdo affermare infatti, per tacere di altri esempi, che il pensiero matematico è nel divenire, che qualsiasi arte liberale non è indefettibile in virtù del pensiero, che l'arte liberale non è nel dotto anche se non la esercita, che è sua indipendentemente dallo spirito, che possa esistere dove non c'è vita, che un essere non diveniente possa cessar d'esistere, che siano differenti l'arte liberale e il pensiero. Infatti sebbene l'arte liberale sia definita come un sistema di vari pensieri, essa tuttavia si può definire con tutta verità e considerare come pensiero. Ma sia che si interpreti nell'uno come nell'altro senso, se ne deduce egualmente che l'arte liberale non soggiace al meccanismo. È egualmente manifesto non solo che l'arte liberale è nella coscienza del dotto, ma che è soltanto ed inseparabilmente nella coscienza del dotto. Se infatti essa fosse separata dalla coscienza, o potrebbe esistere fuori della coscienza, o non esisterebbe in alcuna parte, o potrebbe per contatto passare da una coscienza ad un'altra. Ma come l'arte liberale implica sempre la vita così la vita col pensiero è propria soltanto dell'anima umana. Allo stesso modo è impossibile che un essere reale non sia in qualche parte e che ciò che non soggiace al meccanismo cessi in un determinato momento d'esistere. Se poi l'arte liberale passasse di soggetto in soggetto per rimanere in uno abbandonando l'altro, non si può insegnare l'arte liberale se non perdendola ovvero non la si apprende se non per la dimenticanza o morte di un altro. Ma se queste conclusioni sono assurde e false come lo sono, l'anima umana è immortale.

Page 6: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

6

... anche se non è sempre e universalmente in atto;4. 6. Ma supponiamo che l'arte liberale ora sia ed ora non sia in una coscienza. È un fatto assai noto, dovuto alla dimenticanza o all'ignoranza. Anche in tal caso non si può dedurre contro l'immortalità se si spiega la premessa nella seguente maniera. O v'è qualche cosa nello spirito anche se non v'è nell'attuale stato di coscienza, ovvero in una mente colta non rimane la disciplina della musica nell'atto che si applica alla geometria. Ma questa conclusione è falsa, quindi la prima è vera. La mente non ha coscienza di possedere una nozione se questa non è rappresentata. Vi può esser quindi nello spirito qualche cosa di cui esso non è cosciente. Per quanto tempo vi rimanga non importa. Poniamo dunque che un soggetto sia stato occupato in altre cose tanto a lungo che non gli è più possibile richiamare alla coscienza rappresentazioni anteriori. Tale stato si chiama dimenticanza o ignoranza. Ma quando noi scopriamo qualche verità riguardante le discipline liberali in una meditazione interiore ovvero in un dialogo condotto con buon metodo, la scopriamo soltanto nel nostro spirito. E scoprire non è il medesimo che produrre o causare, altrimenti la mente causerebbe verità eterne con una scoperta operata nel tempo. Talora infatti scopre verità eterne. Nulla v'è infatti di più eterno che l'idea del circolo o altre nelle varie discipline. È assurdo che esse non siano per sempre o che cessino d'essere. Ed è anche evidente quindi che lo spirito umano è immortale e che le nozioni intelligibili esistono nella sua interiorità, sebbene possa sembrare che, o per non averle apprese o per averle dimenticate, non le abbia o le abbia perdute.

c) Non soggezione alla passione...5. 7. Ora esaminiamo in quali limiti si deve intendere il divenire dello spirito. L'arte liberale suppone un soggetto. Facciamo dunque l'ipotesi che lo spirito sia soggetto. È impossibile in tale ipotesi che il soggetto soggiaccia al meccanismo senza il soggiacervi di ciò che è nel soggetto. Non si può ritenere per apodissi che l'arte liberale e il pensiero non sono nel divenire se ci si obietta validamente che lo spirito, in cui essi esistono, è nel divenire. Poi non v'è maggiore soggezione al divenire che il passaggio da un contrario all'altro. Infine, per non parlare d'altro, non si può negare che lo spirito può trovarsi nell'ignoranza ovvero possedere scienza. Esaminiamo prima di tutto in quanti modi s'intende il così detto divenire dell'anima. I più noti soltanto ed evidenti per noi, a mio molo di vedere, sono due nel genere, molti nella specie. Si dice che l'anima soggiace al meccanismo o secondo i perturbamenti fisici o secondo quelli propri: secondo i perturbamenti fisici, per esempio, a causa dell'età, delle malattie, dei dolori, della fatica, delle sventure, dei piaceri; secondo i propri, ad esempio, con i desideri, la gioia, il timore, l'affanno, l'applicazione, l'apprendimento.... del soggetto in quanto pensiero;5. 8. Ma facciamo l'ipotesi che queste perturbazioni non costituiscano una dimostrazione valida per la mortalità dell'anima. Prese separatamente intanto non sono certamente un'obiezione temibile. Basta esaminare, perché non costituiscano obiezione al nostro assunto, che nel divenire del soggetto è implicito formalmente il divenire di ciò che è nel soggetto. Dunque non costituiscono obiezione. Si avrebbe infatti un divenire che comporterebbe la mutazione sostanziale del soggetto. Ad esempio, se un pezzo di cera diviene da bianco nero, è egualmente cera. Allo stesso modo se assume da quadrangolare figura circolare, da molle diviene dura, da calda fredda, queste proprietà sono nel soggetto e soggetto rimane la cera. E rimane cera, non più o meno cera sebbene le proprietà siano nel divenire. È possibile quindi un determinato divenire delle proprietà che sono nel soggetto senza che esso soggiaccia a mutazione nella sostanza e nel nome. Ma facciamo il caso che avvenga una così profonda alterazione delle proprietà che sono nel soggetto da non poter denominare alla stessa maniera l'essere che era considerato come soggetto. Ad esempio, la cera, quando col calore del fuoco si spande nell'aria, subisce un tale cangiamento da farci pensare che il

Page 7: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

7

soggetto sia mutato. Era la cera, ma non è più la cera. In tal caso, in nessun senso e per nessun ragionamento si può ritenere che rimanga qualche elemento delle proprietà che appunto erano in quel soggetto per il fatto che era quel soggetto.

che ne garantisce indefettibilità;5. 9. Pertanto se l'anima è soggetto, come abbiamo già detto, e in essa il pensiero esiste inseparabilmente perché di assoluta necessità, i singoli pensieri implicano un soggetto; inoltre se è anima soltanto l'anima che ha vita e il pensiero che è in essa implica vita e il pensiero è immortale, l'anima è immortale. È assurdo infatti che il pensiero non soggiaccia al meccanismo se il suo proprio soggetto cessa d'esistere. E l'assurdo si verificherebbe se avvenisse una sostanziale mutazione dell'anima sicché il pensiero non ne rimanesse il costitutivo essenziale assicurandole immortalità. Ora nessuna delle suddette perturbazioni che si producono o per influsso del corpo o dell'anima ha per effetto che l'anima non sia anima. E c'è anche il non trascurabile problema se alcune avvengano per influsso dell'anima in maniera che essa ne sia la causa. Comunque ormai non sono più temibili né in sé né alla nostra dimostrazione.

d) Perfetta riversibilità fra soggetto empirico o intelletto passivo...6. 10. Osservo quindi che si deve attendere con ogni vigore dialettico per avere scienza del significato di pensiero e delle varie definizioni che se ne possono dare, affinché da ogni modo di definirlo si possa trarre certezza dell'immortalità. Il pensiero è lo sguardo dello spirito per cui da sé e non mediante il sensibile ha intuizione dell'intelligibile, o anche la pura contemplazione dell'intelligibile, ovvero è lo stesso intelligibile che si contempla. Nessuno può dubitare che esso, inteso nel primo senso, è nello spirito. Sul secondo e terzo senso l'indagine è aperta. Comunque anche nel secondo senso non è concepibile senza lo spirito. Esiste una grande controversia nei confronti della terza accezione e cioè se l'intelligibile, di cui il soggetto pensante ha pura intuizione, sia in sé sussistente e fuori del soggetto pensante o possa concepirsi senza il soggetto pensante. Ma comunque sia, il soggetto pensante non potrebbe conoscerlo analizzando se stesso, ma attraverso un particolare congiungimento con esso. Infatti ogni oggetto che contempliamo o ci rappresentiamo, ce lo rappresentiamo o con il senso o con l'intelletto. Ma gli oggetti che si percepiscono col senso sono percepiti come esterni a noi e posti in condizioni di spazio, sicché si deve ammettere che non se ne ha una rappresentazione universale. Gli oggetti intelligibili al contrario son conosciuti come non posti fuori in determinate condizioni, allo stesso modo appunto dello spirito che li conosce. Difatti con atto medesimo si pensa che non sono in condizioni di spazio.

... e puro pensiero o intelletto attuantesi.6. 11. Quindi la sintesi del soggetto pensante e dell'intelligibile pensato o avviene in maniera che lo spirito è soggetto e l'intelligibile è nel soggetto, o al contrario l'intelligibile è il soggetto e lo spirito nel soggetto, o sono ambedue a sé stanti. Nella prima ipotesi sono egualmente immortali lo spirito e il pensiero poiché il pensiero, in virtù della dimostrazione già esposta, può inerire soltanto a soggetto vivo. La medesima logica conclusione si ha nella seconda ipotesi. Infatti se l'intelligibile che si dice pensiero, nel suo esprimersi, non soggiace a divenire, non soggiace a divenire l'essere che è in esso come in soggetto. Quindi ogni difficoltà rimane per la terza ipotesi. Infatti se lo spirito è a sé stante, e l'essere a sé stante si congiunge col pensiero, si potrebbe pensare, senza cadere nell'assurdo, alla possibilità che lo spirito sia defettibile, pur rimanendo indefettibile il pensiero. Ma è evidente che lo spirito, finché non si separa dal pensiero e ad esso inerisce, necessariamente persiste in vita. Intanto da quale forza potrebbe esserne separato? Da forza materiale, più debole nel potere, inferiore di origine e di ordine assai diverso? Certamente no. Spirituale allora? Ma anche qui

Page 8: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

8

in qual maniera? Anche uno spirito più puro, qualunque sia, non può forse attuare un puro pensiero senza allontanarne lo spirito inferiore? Ma pur nell'ipotesi che tutti abbiamo pura intellezione, il pensiero non viene a mancare per ognuno che abbia pura intellezione. Intanto non v'è essere che sia più in atto del pensiero, poiché è il meno soggetto al divenire. Quindi in nessuna maniera lo spirito che ancora non è congiunto con il pensiero può essere più in atto di quello che v'è congiunto. Rimane che il pensiero lo separi da sé o lo spirito stesso se ne separi. Ma all'essere del pensiero non appartiene il cattivo volere che gli impedisca di offrirsi allo spirito. Anzi quanto più ha essere tanto più comunica alla cosa, che gli si unisce, quell'essere il cui contrario è il perire. Si potrebbe poi dire, non del tutto illogicamente, che il soggetto pensante si separa dal pensiero con la volontà, se si desse vicendevole separazione degli esseri che non sono nello spazio. Il motivo si può applicare contro tutte le precedenti obiezioni, alle quali abbiamo opposto altrettante confutazioni. E allora si deve già ammettere che lo spirito dell'uomo è immortale? E potrebbe cessar d'essere anche se è impossibile che si separi? Ma se il potere della ragione attua lo spirito in virtù del congiungimento, e necessariamente lo attua, lo attua certamente nel produrvi l'essere. L'essere appartiene in grado sommo al pensiero che si concepisce come la forma più pura d'esenzione dal divenire. Dunque costringe, in certo senso, all'essere le cose cui si partecipa. Quindi lo spirito non può cessar d'essere se non separato dal pensiero. Ma non può essere separato, come abbiamo già dimostrato; quindi non può perire.

Contro il naturalismo stoico-epicureo: Immortalità e incorporeità (7, 12 -16, 25)Obiezioni: a) per deperimento: l'anima non deperisce per detrazione di pensiero come il corpo non deperisce per divisione;7. 12. Ma al contrario è impossibile che il separamento dal pensiero, il quale induce insipienza nella coscienza, avvenga senza un suo deperimento. Essa infatti si accresce nell'essere quando si muove verso il pensiero e ad esso inerisce, poiché inerisce all'essere attuale che è verità, cioè totalità e principio dell'essere. Per inverso, quando se ne allontana, ha meno essere che è appunto un deperire. Ora il deperimento per sé tende alla nientificazione. Non ci si dà con maggiore proprietà il concetto del perire che nell'essere il quale era qualche cosa e diviene nulla. Tendere al nulla è appunto tendere al perire. E non si può trovar motivo di dire che non si verifica nello spirito se in esso si verifica una dissoluzione. Si concede tutto fuorché la conseguenza che perisce, cioè raggiunge il nulla, l'essere che vi tende. Il motivo si può rilevare perfino nel corpo. Ogni corpo è infatti parte del mondo sensibile e quanto ha più essere ed occupa più spazio, tanto più si avvicina al tutto; e quanto più vi si avvicina, tanto ha più essere. Ma il tutto è maggiore della parte. Per contrario è necessario che il corpo abbia meno essere quando è diminuito. Ed è diminuito quando da esso si sottrae una parte mediante divisione. Ne consegue che esso con tale detrazione tende alla nientificazione. Ma qualsiasi divisione non riduce al nulla. Infatti ogni parte che rimane è corpo, comunque sia la sua ubicazione, sia pure in porzione minima di spazio. Non potrebbe se non avesse parti in cui esser diviso all'infinito. Può quindi con divisioni all'infinito essere diminuito all'infinito e quindi subire decrementi e tendere al nulla sebbene non lo può raggiungere. La medesima cosa si può dire dello spazio stesso e di qualsiasi lunghezza. Infatti detraendo da determinate lunghezze, ad esempio, una metà e del restante sempre una metà, la lunghezza diminuisce e si avvicina al punto, al quale tuttavia non si giunge mai. A più forte ragione l'annullamento non si deve temere per lo spirito. Infatti ha più essere e vita del corpo il principio che gli dà vita.

b) per origine: anche il mondo fisico non deperisce...8. 13. Inoltre l'essenza del corpo non è nella quantità, ma nella forma. Il motivo, può esser dimostrato con argomento irrefutabile. Il corpo ha tanto più essere quanto più è perfetto e

Page 9: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

9

proporzionato, tanto ha meno essere quanto più è imperfetto e deforme. Il dissolvimento non è dovuto alla divisione della quantità di cui è stato già detto sufficientemente, ma alla privazione di perfezione. Sul problema si deve investigare con diligenza ed esaminarlo bene, perché non si affermi che per tale deperimento lo spirito cessi di essere. Esso è certamente privo d'una sua perfezione mentre è nell'ignoranza; ma non si deve credere che tale privazione possa aumentare al punto da spogliare lo spirito d'ogni proprietà e che mediante tale deperimento lo induca al nulla e lo faccia cessar d'essere. E se possiamo dimostrare che neanche il corpo può esser privo della forma per cui è corpo, a buon diritto forse renderemo evidente che a più forte ragione non si può sottrarre allo spirito ciò per cui è spirito. Infatti chi sa ben guardare nella interiorità dovrà confessare che la coscienza, comunque sia, ha più valore di qualsiasi corpo.

... sebbene prodotto e posto nel divenire...8. 14. Sia dunque premessa della nostra dimostrazione che qualsiasi essere non si produce o genera da sé, altrimenti sarebbe prima di essere. Il secondo enunciato è assurdo: quindi il primo è vero. Allo stesso modo l'essere che non è stato né prodotto né generato e tuttavia esiste è essenzialmente supertemporale. Ed erra gravemente chi attribuisce tale natura ed eccellenza all'essere corporeo. Ma perché polemizzare?. A più forte ragione saremmo costretti ad attribuirle allo spirito. Certamente se un qualche essere corporeo è supertemporale, qualsiasi essere spirituale è supertemporale, poiché qualsiasi essere spirituale ha più valore di qualsiasi essere corporeo e le cose supertemporali più valore delle cose che non lo sono. Ma nell'ipotesi, la quale è vera, che il corpo sia stato prodotto, è prodotto da causa efficiente e ad esso non inferiore. Altrimenti la causa efficiente sarebbe stata nell'impossibilità di dare all'essere prodotto ciò che esso è per esseità. Ma neanche da causa agente di pari grado; è infatti necessario che essa abbia un potere efficiente superiore all'effetto prodotto. Del generante infatti si dice non illogicamente che è della stessa natura dell'essere generato. Il mondo è stato quindi prodotto da una causa generante più potente e più attuale e certamente non corporea. Se corpo fosse prodotto da corpo, il mondo non avrebbe potuto esser stato prodotto. È assolutamente vero l'enunciato che abbiamo posto come principio della presente dimostrazione, che, cioè, una cosa non può da sé prodursi. La causa generante incorporea, produttrice del mondo sensibile, regge l'universo con potere sempre in atto. Non ha prodotto per allontanarsi e abbandonare l'effetto. L'essere che non è corpo non si muove nello spazio, per così dire, allo scopo di separarsi dall'essere che occupa lo spazio. Inoltre come causa efficiente non può esser discontinua nel conservare il proprio prodotto e permettere così che esso rimanga privo della forma per cui esiste, nei limiti in cui esiste. Infatti l'essere che non esiste da sé, se è abbandonato dall'essere per cui esiste, cesserà d'esistere. E non possiamo affermare che il corpo, quando è stato prodotto, ha ricevuto il potere di essere autosufficiente qualora fosse abbandonato dalla causa produttrice.

... mentre il vivere-esistere è immediato nell'anima;8. 15. Ma ammesso che così fosse, a più forte ragione avrebbe tale sufficienza lo spirito. Esso infatti, com'è manifesto, ha più essere del corpo. E nell'ipotesi che esso esista per sé, sarebbe con immediatezza dimostrato che è immortale. È di metafisica necessità infatti che un essere tale sia incorruttibile e che quindi non possa perire perché nessun essere può abbandonare se stesso. Al contrario la soggezione del corpo al divenire è d'immediata evidenza. Lo dimostra l'universale movimento dell'universo sensibile. Perciò da chi sa osservare con intelligenza, nei limiti con cui la natura può esser osservata, si scopre che l'esser diveniente diviene secondo una razionale legge del divenire. Ma l'essere per sé non ha necessità di movimento, poiché esso è medesimo a sé in ogni atto del proprio essere. Il movimento al contrario tende all'altro che è di necessità all'essere

Page 10: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

10

diveniente. Dunque la forma inerisce all'universo sensibile per l'azione d'una causa generante superiore che è ragione sufficiente e conservatrice degli esseri prodotti. Quindi la soggezione al divenire non sottrae al corpo di esser corpo, ma lo attua di perfezione in perfezione con movimento sommamente razionale. Non si lascia dunque che una parte vada al nulla, poiché la sua causa efficiente tutto conchiude con potere che non si affatica e non si arresta. Ed essa dà ad ogni essere da lei prodotto di esistere nelle condizioni in cui esiste. Quindi non si deve essere così irragionevoli da dubitare che lo spirito valga di più del corpo ovvero, ciò concesso, da ritenere che il corpo non possa cessare d'esser corpo e che lo spirito possa cessare d'essere spirito. Ma se non cessa di esserlo ed è spirito perché vive, certamente lo spirito giammai muore.

c) per corruzione: dove c'è l'anima c'è la vita;9. 16. Ma qualcuno potrebbe pensare che per l'essere spirituale non si deve temere la corruzione per cui non è più qualche cosa che è stato, ma quella per cui diciamo morti gli esseri privi di vita. Consideri allora che nessun essere subisce privazione di se stesso. Ora l'anima è concetto di vita; si concepisce infatti come vivo l'essere animato e come morto, cioè privo di vita, l'essere inanime che può essere animato. Quindi l'anima non può morire. Se potesse subir privazione di vita, non sarebbe anima ma un essere animato. E questo è assurdo. Quindi a buona ragione il genere di morte, che non si deve temere per la vita, non si deve temere neanche per l'anima. Sia infatti per ipotesi che l'anima muore quando se ne separa la vita. Ma l'anima viene concepita con molta proprietà come la vita che se ne separerebbe. L'anima in definitiva non è un soggetto da cui la vita si separerebbe, ma vita che si separerebbe da se stessa. Infatti ogni essere che si dice morto perché separato dalla vita, s'intende separato dall'anima. Allora la vita che si separa dagli esseri che muoiono è l'anima stessa che non si può separare da sé. Quindi l'anima non muore.

d) per corporeità: l'anima non è raccordo dell'organismo perché trascende;10. 17. Ci dobbiamo comunque porre l'obiezione che la vita sia, secondo l'opinione di alcuni, l'elemento organizzatore del corpo. Ma costoro non avrebbero ritenuto tale opinione se avessero potuto intuire, con la propria medesima intelligenza totalmente elevata dall'esperienza sensibile, gli oggetti intelligibili che non divengono. Chi infatti, essendo capace di riflettere nella propria interiorità, non ha sperimentato di avere avuto intellezione tanto più pura quanto più è riuscito a distogliere e liberare l'atto di coscienza dell'esperienza sensibile? Non sarebbe potuto avvenire se l'anima fosse energia organizzatrice del corpo. Un essere infatti che non avesse una propria natura e non fosse essere in sé ma inerisse inseparabilmente a sostanza corporea, come il colore e la figura, non potrebbe assolutamente tentare di conseguire autosufficienza dal corpo per avere conoscenza degli intelligibili e, in quanto lo può, averne pura intuizione e, mediante essa, ottenere dignità e valore. Per fisica necessità la figura, il colore e la stessa struttura organica del corpo, che consiste in una determinata unione dei quattro elementi di cui il corpo medesimo è composto, non se ne possono separare. Sono infatti inseparabilmente in esso come soggetto. Inoltre gli oggetti, di cui lo spirito ha pura conoscenza quando si distacca dal sensibile, non sono certamente sensibili. Tuttavia essi hanno l'essere e l'essere nel più alto grado, perché sono sempre i medesimi. Niente si può dire di più assurdo che hanno l'essere gli oggetti visibili e che non hanno l'essere gli oggetti intelligibili. È da insensati dubitare che l'intelligenza è incomparabilmente superiore alla vista. Quando dunque lo spirito ha intellezione degli intelligibili, sempre medesimi a se stessi, manifesta sufficientemente che è ad essi congiunto in un ordine superiore, sempre il medesimo e sovrasensibile, cioè fuori dello spazio. Ora o gli intelligibili sono nello spirito o esso è negli intelligibili. Nell'una e nell'altra ipotesi, o sono l'uno all'altro come in soggetto ovvero sono ambedue sussistenti. Se vale la prima ipotesi, lo spirito non è nel corpo come in soggetto allo stesso modo del colore e della figura. Infatti

Page 11: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

11

o esso sussiste in sé o inerisce ad altro essere immateriale come in soggetto. Se vale la seconda ipotesi, lo spirito non è nel corpo come in soggetto allo stesso modo del colore, perché sussiste in sé. L'elemento organizzatore al contrario è nel corpo allo stesso modo del colore. Quindi lo spirito non è struttura dell'organismo corporeo, ma è vita. Ora non c'è essere che si separi da sé; perciò muore solo ciò che viene abbandonato dalla vita: quindi è impossibile che lo spirito muoia.

e) dalla privazione: non si dà per l'anima privazione di vita in sé...11. 18. Ma torna una possibile difficoltà. Essa consiste nel fatto che lo spirito venga a mancare, per dissolvimento, cioè venga privato della forma dell'esistere. Sull'argomento, come penso, è stato detto abbastanza ed è stato dimostrato con sicuro argomento che l'eventualità è impossibile. Tuttavia bisogna anche considerare che v'è un solo motivo di tale difficoltà. Si deve ammettere infatti che la coscienza di chi non sa, si trova in uno stato di deperimento e quella di chi ha scienza in una esseità più perfetta e piena. Ma la coscienza è sciente in grado sommo quando intuisce la verità a sé sempre medesima e vi aderisce immobile, congiunta di amore sovrasensibile. Nessuno ne può dubitare. Inoltre la verità di tutte le cose che hanno in qualche modo l'essere, ha l'essere nel grado più alto possibile. Quindi lo spirito ha da essa l'essere in quanto tale o lo ha da sé. Se lo ha da sé, poiché è a sé causa dell'esistere e giammai si abbandona, mai si corrompe, come abbiamo dimostrato dianzi. Ma nell'ipotesi che lo abbia da quella esseità, bisogna indagare quale cosa sia tanto contraria allo spirito che gli tolga l'essere spirituale da quella partecipatogli. Che cosa dunque? Forse la soggezione al sensibile perché quella è pura intelligibilità?. È manifesto e di facile dimostrazione il limite entro cui essere nel sensibile può negare l'essere spirituale. Può forse fare altro che porre nel sensibile? Intanto l'individuo vive soltanto se è nel sensibile. Dunque l'essere nel sensibile non può far corrompere lo spirito. Ma se l'essere nel sensibile, che è contrario all'essere intelligibile, non può togliere allo spirito di esser spirito perché gli è comunicato dall'essere intelligibile che assolutamente non può soccombere, che altro si può trovare che sottragga allo spirito l'esser spirito? Nulla certamente, poiché non v'è contrario che sia più efficiente nel negare l'essere comunicato dal suo contrario.

... né da un essere superiore;12. 19. Ma cerchiamo il contrario dell'essere intelligibile, non in quanto intelligibile ma in quanto essere trascendente e infinito. Ovviamente esso è tale in quanto intelligibile, poiché intendiamo per l'essere intelligibile quello per cui tutte le cose sono intelligibili in quanto hanno l'essere ed hanno l'essere in quanto sono intelligibili. Comunque non intendo passare sopra all'argomento perché mi favorisce. Se nessuna esseità in quanto tale ha il suo contrario, a più forte ragione non ha il contrario la esseità che è l'essere intelligibile in quanto tale. La premessa è vera. Infatti ogni esseità in tanto è esseità in quanto ha l'essere. Ora l'essere ha per contrario il non essere; ne consegue che l'esseità non ha contrario. Quindi è impossibile che vi sia una esseità contraria all'essere sussistente infinito e originario. Ammettiamo dunque che lo spirito da esso partecipi ciò che è. Infatti non potendo parteciparselo da sé, può parteciparlo soltanto da un essere che è in più alto grado dello spirito stesso. Quindi non v'è esseità che glielo faccia perdere poiché non v'è esseità contraria a quella da cui partecipa. Pertanto non può cessare d'esistere. Certamente può perdere l'abito del filosofare perché derivandolo nel volgersi verso l'essere da cui ha l'essere, lo può perdere col volgersi in altro senso. Implica appunto opposizione l'esser volto in una o nell'altra parte. Ma non v'è causa per cui possa perdere l'esseità che partecipa dall'essere che non ha l'opposto. Quindi non può cessar d'esistere.

Page 12: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

12

f) per alienazione: lo spirito non si aliena né per tendenza,13. 20. A questo punto potrebbe sorgere un determinato problema: se, cioè, ammesso che lo spirito non perisca, possa essere alienato in una esseità inferiore. Con i precedenti ragionamenti s'è dimostrato che lo spirito non può giungere fino al nulla, ma che potrebbe divenir corpo. Qualcuno infatti potrebbe così opinare e non a torto. Se lo spirito dal suo essere originario diventa corpo, certamente non avrà cessato di essere del tutto. Si darebbe tale possibilità soltanto o per propria spontanea tendenza o per condizione estrinseca. Ma non si dà alcuna ragione che esso diventi corpo tanto per tendenza quanto per costrizione. È legittima conseguenza che se è corpo, vi tenda o ne sia condizionato, ma non è conseguente che se vi tende o ne è condizionato, diventi corpo. Non può infatti averne tendenza. Ogni sua tendenza al corpo consiste nell'usarne, nel dargli vita, nella varia produzione artificiale o nel provvedere comunque ad esso. Ora nessuna di queste funzioni è possibile se l'anima non fosse di grado superiore al corpo. Ma se fosse corpo, non sarebbe di grado superiore. Quindi non può avere tendenza a divenire corpo. Non v'è argomento più certo di tale verità che nell'atto con cui la coscienza è in colloquio con se stessa. In esso può rendersi consapevole di non avere altre tendenze che di produrre, di avere scienza, di sentire, in una parola di vivere perché questa è la sua specifica funzione.

né per meccanismo da parte di chi sarebbe condizionato...13. 21. E supponiamo che subisca costrizione a divenire corpo. E da chi la potrebbe subire? Ma da qualsiasi essere, purché di maggior potere causale. Dunque non può subire costrizione da un essere corporeo. Non v'è essere corporeo che sia di maggiore efficienza causale di qualsivoglia essere spirituale. In quanto poi a un essere spirituale, anche se causalmente più efficiente, esercita la sua energia di costrizione soltanto sugli esseri che sono soggetti al suo potere. Quindi soltanto per la mediazione delle passioni un essere spirituale può subire soggezione da un altro essere spirituale. Dunque esso impone costrizione soltanto nei limiti che gli consentono le passioni del soggetto cui impone la costrizione. Ma è stato già affermato che lo spirito non può avere una passione che lo faccia divenir corpo. Ed è evidente che esso non può giungere all'appagamento della sua passione nell'atto che tutte le perde. E le perde nell'atto che diviene corpo. Quindi non può subire costrizione al divenire da un agente che non ha potere se non per la mediazione delle passioni del soggetto che subisce. Infine è metafisicamente necessario che un essere spirituale, il quale ne ha in potere un altro, tenda ad avere in potere un essere spirituale e non un essere corporeo o per educarlo nella bontà o per renderlo schiavo con la malvagità. Dunque non tenderà a farlo divenire essere corporeo.

... o di chi condizionerebbe,13. 22. Infine l'essere spirituale che impone la costrizione o ha corpo o non lo ha. Se non lo ha, non è in questo mondo. E nell'ipotesi è sommamente buono né può volere per un altro essere spirituale una tanto disonorante alienazione. Nell'ipotesi poi che abbia corpo, o lo ha anche l'essere cui impone la costrizione o non lo ha. Se non lo ha, non può subire costrizione dall'altro. Chi è nel più alto grado dell'essere, non ha causa a sé superiore. Se poi è nel corpo, subisce costrizione, da altro essere a sua volta corporeo, al vario meccanismo mediante strumento corporeo. E chi potrebbe dubitare che non è possibile mediante essere corporeo imporre simile alienazione ad essere spirituale? Potrebbe avvenire se l'essere corporeo avesse maggiore efficienza. Ma ammettiamo pure che, qualunque sia il termine della costrizione, la subisca mediante il meccanismo corporeo. Rimane che immediatamente la subisce a causa delle passioni e non del meccanismo corporeo. Ne abbiamo già parlato abbastanza. Per universale consenso Dio soltanto ha più essere dell'anima ragionevole.

Page 13: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

13

Ed egli certamente provvede all'anima. Quindi l'anima non può subire da lui costrizione a divenire corpo.né per sonno;14. 23. Se quindi l'essere spirituale non subisce alienazione né per tendenza propria né per costrizione estrinseca, donde la potrebbe subire? Può costituire difficoltà il fatto che il sonno ci sorprende contro il nostro volere? Per tale specie di dissolvimento l'essere spirituale può trasformarsi in corporeo? L'obiezione potrebbe valere se dal momento che le nostre membra trovano quiete nel sonno, anche la coscienza subisse un qualche dissolvimento. Essa nel sonno non percepisce soltanto gli oggetti sensibili, poiché la funzione che produce il sonno proviene dal corpo ed agisce sul corpo. Sopisce gli organi del senso e, per così dire, li chiude in maniera che l'anima ceda con appagamento a tale alienazione fisiologica. È appunto un'alienazione fisiologica naturale che ristora il corpo dall'affaticamento. Tuttavia essa non toglie alla coscienza il potere di sentire e di pensare. Ha infatti a disposizione le immagini degli oggetti sensibili e con una rappresentazione di tanta simiglianza che nel momento non si possono distinguere dalle cose di cui sono immagini. E se avesse un pensiero, esso è vero egualmente tanto se dorme come se è desta. Facciamo un esempio. Nel sonno essa immagina di ragionare e adducendo dimostrazioni vere raggiunge col ragionamento conclusioni scientifiche. Quando si sveglia, esse rimangono immutabili, anche se sono semplici apparenze i termini del sogno e cioè il luogo e la persona con cui il ragionamento è stato immaginato e le parole stesse, in quanto suono, con cui immaginava di sognare, e altri particolari del genere. Sono oggetti che si percepiscono e azioni che si compiono da chi è desto, ma sempre come apparenze e che quindi non posseggono l'eterna presenzialità delle verità ideali. Ne consegue che per tale alienazione fisiologica, il sonno appunto, si diminuisce per l'anima l'uso del corpo, ma non la sua attualità.

g) dalla soggezione allo spazio: l'anima per mimetico principio è sopra lo spazio...15. 24. Infine l'anima, fuori delle condizioni di spazio, è unita al corpo sebbene esso sia nelle condizioni di spazio. Quindi l'anima, anteriormente al corpo, è sotto l'influsso delle ragioni ideali ed eterne che sono immuni dal divenire e fuori delle condizioni di spazio. E non soltanto prima, ma più direttamente. Infatti è tanto anteriore quanto è più vicina e per lo stesso motivo tanto più direttamente quanto è più perfetta del corpo. La suddetta vicinanza è infatti intesa non secondo il luogo, ma secondo il grado di generazione. E per questo grado s'intende che, per mezzo dell'anima, dalla somma esseità viene applicata una forma al corpo secondo il suo particolare modo d'essere. Quindi il corpo sussiste per la mediazione dell'anima nell'atto stesso che viene animato sia in quanto universo come il mondo, sia in quanto singolo come qualsiasi essere animato nell'ambito del mondo. Ne potrebbe quindi conseguire che un'anima, soltanto per la mediazione di un'altra anima e non altrimenti, possa divenir corpo. Ma ciò non può avvenire. Infatti l'anima rimane nella sua attualità di anima e il corpo ha sussistenza da lei che gli partecipa e non gli sottrae la forma; quindi l'anima non può essere alienata in corpo. E nell'ipotesi che non comunicasse la forma che essa partecipa dal sommo bene, non è per la sua mediazione che si ha il corpo. E se non si ha per tale mediazione, o non si ha affatto o deriva la forma da tanta vicinanza quanta è propria dell'anima. Ma si ha il corpo e, se esso deriva la forma da eguale vicinanza, ha identità con l'anima. Qui sta appunto la differenza. E l'anima è tanto più perfetta quanto da maggiore vicinanza partecipa. Anche il corpo parteciperebbe da eguale vicinanza se non partecipasse mediante l'anima. Senza interposizione parteciperebbe appunto da eguale vicinanza. Soltanto l'anima, la quale comunica la vita, si frappone fra la somma vita, che è anche mente e verità sovrasensibile, e l'essere infimo che è vivificato, il corpo appunto. E se l'anima comunica al corpo la forma dell'essere corporeo in quanto tale, certamente nell'atto che comunica la forma non la sottrae. Ma la sottrarrebbe se facesse alienare

Page 14: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

14

l'anima nel corpo. Quindi l'anima non diviene corpo da sé perché è il corpo che diviene corpo dall'anima che permane; e non per la mediazione di un altro essere, perché soltanto con la partecipazione della forma mediante l'anima si ha il corpo e con la sottrazione della forma l'anima si trasformerebbe in corpo nell'ipotesi che lo potesse.

... ed anche nel corpo non si distribuisce nelle parti.16. 25. Il principio si può applicare all'anima o vita irrazionale nel senso che l'anima razionale non può trasformarsi in essa. Anche essa infatti, se non fosse per grado inferiore soggetta all'anima razionale, parteciperebbe direttamente la propria forma specifica e sarebbe costituita nel medesimo ordine. Comunicano quindi la forma specifica partecipata dalla Somma Armonia gli esseri più in atto, in ordine alla generazione, ai meno in atto. E quando la comunicano, non la sottraggono. E gli esseri meno in atto sono tali nella loro esseità perché è comunicata loro dai più in atto la forma per cui hanno l'essere. Ovviamente gli esseri più in atto sono anche più perfetti. Ed è proprio di tali esseri generanti avere maggior dinamismo, non per quantità maggiore su quantità minore, ma, senza maggiore estensione spaziale, essere, nell'ordine d'una medesima essenza, tanto più in atto quanto più perfetti. Ed è proprio per tale ordine che l'anima è più perfetta e più in atto del corpo. E poiché per sua mediazione, com'è stato detto, il corpo ha sussistenza, è assolutamente impossibile che essa sia trasformata in corpo. Ogni corpo infatti riceve la forma soltanto mediante l'anima. Sarebbe possibile che l'anima divenga corpo, non con la partecipazione ma con la cessazione della forma. Ma per questo appunto è impossibile, a meno che l'anima non occupi uno spazio e spazialmente sia unita al corpo. Nell'assurda ipotesi, sarebbe anche possibile che un corpo quantitativamente più esteso comunichi la propria forma più imperfetta ad essa che come forma è più perfetta. Valga d'esempio una forte massa d'aria con un piccolo fuoco. Ma non è così. Una determinata quantità infatti, nell'occupare lo spazio, non è tutta nelle singole parti ma nel tutto. Quindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta simultaneamente presente non solo nella totale estensione del corpo, ma anche in ogni sua particella. Infatti percepisce la modificazione sensibile di ogni parte del corpo ma non in tutto il corpo. Se si ha un dolore al piede, lo avverte l'occhio, lo esprime la lingua, si muove la mano. Non avverrebbe se la funzione dell'anima esistente in tali organi non avesse sensibilità nel piede, e non potrebbe avvertire la modificazione avvenutavi se fosse assente. Non è concepibile che il fatto si verifichi in virtù d'un organo di trasmissione il quale non avvertisse ciò che trasmette. La modificazione si trasmette nella continuità dell'estensione sicché non sfugge alle parti che hanno diversa posizione. Tutta l'anima avverte l'alterazione avvenuta in una piccola parte del piede e l'avverte soltanto dove avviene. È dunque tutta presente nelle singole parti perché è tutta a sentire nelle singole parti. Tuttavia non è tutta presente allo stesso modo che la bianchezza, o altra proprietà sensibile, è tutta in ogni singola parte del corpo. Infatti l'alterazione che avviene in una parte del corpo per il cambiamento di bianchezza può non riguardare la bianchezza che è in un'altra parte. Quindi si deve ammettere che essa ha diverse posizioni secondo le diverse posizioni dell'estensione. Ma è provato che così non avviene nell'anima in merito alla sensazione di cui è stato parlato.

Page 15: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

15

Giovanni Crisostomo

SUL SACERDOZIO  

Libro primo

Prologo

Amicizia di Giovanni e Basilio

I. Io avevo molti amici veraci e sinceri, i quali perfettamente conoscevano e osservavano le leggi dell’amicizia; ma uno fra gli altri molti vi era, il quale tutti superandoli in intimità, studiava di lasciarne indietro di tanto, quanto essi distavano dalle persone semplicemente mie conoscenti. Questi era stato sempre in mia compagnia; avevamo intrapreso gli stessi studi sotto gli stessi maestri; eguale era fra noi la bramosia e diligenza per le esercitazioni retoriche a cui ci dedicavamo; eguale l’aspirazione e generata dallo stesso obbietto. Né solo al tempo in cui frequentavamo i nostri maestri, ma allorquando, toltone commiato, bisognava consigliarsi circa la miglior carriera da scegliere, anche in questo caso ci trovammo d’accordo. Esistevano inoltre fra noi altri rapporti indissolubilmente costanti. Poiché né l’uno poteva menare maggior vanto dell’altro circa l’importanza del luogo natio; né la sorte aveva dato a me ricchezza soverchia e a lui estrema

Page 16: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

16

povertà; ma anche la proporzione dei beni di fortuna eguagliava l’identità delle nostre intenzioni; egualmente distinto era il casato di ciascuno, ed eravamo unanimi in ogni pensiero. Se non che, quando fu deciso di dedicarci alla santa vita dei monaci e alla verace filosofia, non fu eguale per noi questo giogo; mentre dalla sua parte la bilancia alleggerita si elevava, io tuttora inceppato nei desideri mondani, trascinavo in basso la parte mia, e la impedivo di sollevarsi, opprimendola di vaneggiamenti giovanili. Qui pertanto durava bensì costante fra noi tutto il resto, come per l’innanzi, l’amicizia, ma la comunanza di vita venne spezzata, non essendo possibile intrattenere conversazioni fra persone che non condividevano le medesime cure. Quando poi anch’io un poco cominciai a emergere dal flutto della vita mondana, quegli mi accolse a braccia aperte, ma non riuscivo ancora a mantenermi di fronte a lui nell’eguaglianza in che ero stato sempre per l’innanzi. Poiché egli, superandomi d’età e dimostrando gran zelo, saliva più in su di me ed era tratto ad altezze grandi. Tuttavia essendo egli buono e facendo molto caso della mia amicizia, segregandosi da tutti gli altri s’intratteneva continuamente con me; e anche prima egli avrebbe voluto farlo, ma, come dissi, glielo impediva la mia indolenza. E per certo, uno che soleva sedere a giudice nel dicastero e che andava pazzo per gli spettacoli del teatro, non si sarebbe adattato a trovarsi sovente insieme con chi se ne stava di continuo inchiodato sui libri senza mai dare neanche una capatina in piazza. Per tal motivo egli stava separato da me; e poi che una buona volta mi ebbe guadagnato allo stesso regime di vita, d’un tratto soddisfece il desiderio concepito da lungo tempo, né tollerava d’abbandonarmi per ben che piccola parte della giornata, e finì per esortarmi affinché, lasciando ciascuno di noi la propria casa, avessimo ad abitare in comune; e a ciò m’aveva egli persuaso, e già si stava per attuare il disegno.

La madre si oppone al ritiro di Giovanni con l’amico Basilio

II. Ma i continui lamenti di mia madre mi impedirono di dare a lui questa consolazione, o piuttosto, di ricevere da lui questo dono. Poiché, inteso ch’essa ebbe questo mio disegno, prendendomi per mano mi condusse nelle sue stanze; indi fattomi sedere vicino, sul letto nel quale ella mi aveva dato alla luce, cominciò a versare copiose lacrime, e, più pietose delle lacrime, aggiunse poi le parole, in simile modo meco lagnandosi: "Io, diceva, o figliolo, non potei godere a lungo delle virtù di tuo padre ciò essendo piaciuto a Dio; poiché la morte di lui che tenne dietro alla tua nascita, fece te orfano c piombò me in una precoce vedovanza e nei malanni a quella connessi, tali che solo chi li ha sofferti può adeguatamente comprenderli. Non si può immaginare a quale bufera e a quale tempesta soggiace una fanciulla che, appena uscita dalla dimora paterna e inesperta di affari, venga d’improvviso gettata in un cordoglio intollerabile e costretta a sobbarcarsi a cure superiori all’età sua e alla sua stessa natura. Deve infatti, io credo, sorvegliare la negligenza dei servi e porsi in guardia dalle loro malizie; sventare le insidie dei parenti, tollerare fortemente i soprusi degli esattori e la loro esosità nell’esigere il pagamento delle imposte. Se poi il defunto si dipartì lasciando prole in tenera età, se è una bambina, anche in tal caso ciò arreca molte preoccupazioni alle madri, sebbene non incomba la necessità di grandi spese, né il timore dell’indigenza. Ma se si tratta di un figlio maschio, la riempirà ogni giorno di mille timori e di innumerevoli cure; lascio da parte i sacrifici di denaro che è costretta a sostenete, volendogli procurate una distinta educazione. Ciò nonostante, nessuna di queste difficoltà mi poté indurre a legarmi in seconde nozze e introdurre un secondo marito nella dimora di tuo padre: ma mi rimasi sola nella tempesta e nel turbine, né mi sottrassi al ferreo crogiolo della vedovanza, e ciò anzitutto in forza dell’aiuto venutomi dall’alto, poi perché non piccola consolazione mi recava in mezzo a quelle distrette, il vederti sempre a me vicino

Page 17: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

17

e il serbarmisi in te vivamente riprodotto il gentile riflesso delle sembianze del defunto; per questo e per essere tu ancora bambino né capace di articolare parola, in quell’età nella quale maggiormente i figli sono di diletto a’ parenti, mi fosti causa di grande consolazione. Né potresti incolparmi d’aver io bensì sopportato fortemente la vedovanza, ma assottigliati d’altra parte a te i beni paterni per sopperire alle necessita vedovili; cosa che io vidi toccare a molti figli travagliati da orfanezza. Io tutte le tue sostanze serbai intatte, mentre nulla risparmiai di ciò che occorreva spendere per la tua educazione, sopperendovi con i miei beni e con la dote che recai dalla mia casa. Né devi credere che io dica questo per fartene debito; ma in compenso di ogni cosa ti chiedo un solo favore, di non infliggermi una seconda vedovanza, né ridestare in me l’ambascia ornai sopita; aspetta sino a che io muoia: forse fra poco me ne andrò. I giovani possono nutrire speranza di giungere fino ad una tarda età, ma noi vecchi null’altro omai aspettiamo se non la morte. Quando adunque m’avrai consegnata alla terra e riunita con le ossa del padre tuo, allora intraprendi pure lunghi viaggi e naviga quel mare che ti piacerà; niuno te ne farà ostacolo; ma fin che io respiro stattene a me vicino. Né voler offendere senza ragione Iddio col procurare un tanto cordoglio a me che niuna ingiuria t’ho arrecata. Poiché se tu puoi muovermi rimprovero che io ti distragga fra cure materiali e ti costringa ad assumere la tutela della tua sorte, in tal caso senza badare alle leggi di natura, né all’educazione da me ricevuta, né all’intimità, né ad altra cosa qualsiasi, fuggimi pure quale insidiatrice e nemica; ma se invece io faccio di tutto per renderti massimamente agevole il cammino di questa vita, se altro non fosse, almeno questo vincolo ti trattenga al mio fianco. Ché se pure innumerevoli altri tu dica che ti sono amici, niuno ti permetterà di godere tanta libertà, poiché nessuno v’è a cui tanto stia a cuore la tua onoratezza, come a me".

Basilio insiste nel suo proposito. Improvvisa designazione all’episcopato. Giovanni si sottrae a insaputa dell’amico

III. Queste ed altre cose ancor più toccanti disse la madre a me ed io riferii all’amico. Egli però, non solo non se ne turbava, ma vie più insisteva nella proposta che prima mi aveva fatta.

Mentre noi discutevamo intorno a ciò, pregandomi egli continuamente e non avendo io per anco dato il mio assenso, d’un tratto una certa novella che giunse al nostro orecchio ci gettò ambedue nello sgomento: la novella era che noi avevamo da essere elevati alla dignità dell’episcopato. Io all’udire ciò fui preso da timore e ansietà: da timore di essere forzato anche contro mio volere; da ansietà perché non potevo raccapezzarmi, per quanto cercassi, donde mai fosse venuta a quelle persone una simile idea a mio riguardo; ché scrutando me stesso non trovavo nulla che fosse meritevole di quella dignità. Frattanto quell’impareggiabile amico recatosi da me in privato e confidandomi la cosa come se io nulla ne avessi per anco udito, mi pregava che anche in questa circostanza noi dovessimo dimostrarci di pieno accordo nell’agire e nel deliberare, come prima sempre avevamo fatto; soggiungeva che egli m’avrebbe accompagnato in qualunque parte avessi voluto condurlo, sia che fuggissimo, sia che dovessimo essere eletti. Vedendo io pertanto il suo zelo, e stimando di recare danno a tutta la comunità ecclesiastica qualora, a cagione della mia inettitudine privassi il gregge di Cristo d’un giovane così buono e così adattato per esercitare il governo degli uomini, non gli svelai il mio disegno riguardo a quella faccenda, sebbene per lo innanzi non avessi mai sopportato che rimanesse a lui nascosta qualsiasi parte delle mie intenzioni; ma dicendo che bisognava rimandare ad altro tempo la decisione, poiché per allora la cosa non era urgente, lo ebbi tosto persuaso di non pensare a ciò e di starsi tranquillo sul conto mio, che certo sarei stato d’accordo con lui qualora ci trovassimo in simile circostanza. Trascorso non molto tempo, giunto colui che doveva consacrarci ed essendomi io nascosto, egli non sapendo nulla di ciò,

Page 18: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

18

venne condotto via con una ragione plausibile; ricevette pertanto il giogo, confidando, da quanto gli avevo promesso, che io l’avrei senz’altro seguito, anzi credendo di venirmi addietro. E intanto alcuni fra i presenti, vedendolo triste per esser stato preso, lo ingannarono dicendo essere cosa strana che colui il quale sembrava a tutti più impetuoso, e alludevano a me, cedesse con molta calma al giudizio dei padri, e al contrario colui che era più assennato e modesto s’incaponisse e riluttasse, agitandosi, ricalcitrando e contraddicendo. Avendo poi egli ceduto a queste parole, appena seppe che io ero fuggito, venne presso di me, e dopo essersi rimasto a lungo costernato, alfine si sedette vicino e voleva pur dire qualcosa, ma trattenutone dall’ansietà, né potendo adeguare colla parola l’agitazione da cui era preso, tosto che apriva la bocca per parlare, n’era impedito, essendo la parola troncata dalla confusione prima di uscire fuori dai denti. Vedendolo io pertanto lacrimoso e tutto ripieno di turbamento e sapendone la cagione, mi posi a ridere per il gran piacere che provavo, e tenendogli la destra mi sforzavo di baciarlo, lodando Iddio che avesse fatto riuscire bene il tranello e secondo il mio desiderio. Ma egli come mi vide raggiante di gioia, e come prima intese d’essere stato da me ingannato, più fortemente si rodeva e si adontava.

Lagnanze di Basilio per l’inganno dell’amico

IV. Alfine riavutosi alquanto da quel turbamento di spirito: "Se anche, disse, hai posto in non cale i fatti miei e ormai non fai più nessun conto di me, per qual motivo non so, dovevi pur darti pensiero almeno della tua riputazione. Ora hai aperto le bocche di tutti, e ognuno va dicendo che tu hai rifiutato questo ministero per mondano attaccamento, né v’è alcuno che pensi a scolparti da simile accusa. A me poi non dà l’animo neanche di mostrarmi sulla piazza, tanti sono quelli che mi vengono incontro e ogni giorno mi fanno rimproveri. Se poi mi vedono apparire in qualche parte della città, prendendomi a quattr’occhi quanti sono con noi in rapporti di familiarità, versano su di me la maggior parte delle accuse. Poiché, dicono, conoscendo tu la sua intenzione né a te era mai nascosto nulla de’ suoi disegni non dovevi celarla a noi, ma rendercene informati; chè non ci sarebbe affatto mancato il mezzo di prenderlo. Onde io, che proprio ignoravo che tu da lungo tempo andassi maturando tale progetto, mi vergogno e arrossisco di rispondere a coloro, per timore che non abbiano a stimare la nostra una finta amicizia. E se anche è così, come non v’ha ormai dubbio, né potresti negarlo dopo quello che mi hai fatto, è pur cosa prudente il celare le nostre magagne agli altri, che hanno buona opinione di noi. Io rifuggo adunque dallo spiattellare loro in faccia la verità, dicendo come stanno fra noi le cose; sono quindi costretto a tacere e chinare gli occhi a terra, cercando di evitare e fuggire gli incontri, Ma se io pure sfuggirò alla prima accusa, sarò poi tacciato di menzogna, perché certo non vorranno credere mai che tu abbia collocato Basilio al livello di coloro ai quali non è lecito confidare i tuoi secreti. Or non voglio far troppe parole su ciò, poiché a te è così piaciuto; ma riguardo al resto, come potremo noi sopportare la vergogna? chi ti accusa di arroganza, chi di vanagloria; quelli poi fra i nostri accusatori che si mostrano più accaniti, ti addossano l’una e l’altra colpa, e aggiungono che tu hai fatto ingiuria a quelli che ti avevano proposto alla dignità. Aggiungono ancora esser ben giusto che quelli soffrano tale affronto da noi e che ne meriterebbero di maggiori; perché lasciati da parte tanti e tali altri candidati, prendono fanciulli ancor ieri e ieri l’altro ingolfati nelle affezioni mondane, e se appena abbiano per qualche tempo portato in giro gli occhi bassi, vestito panni bruni e ostentato compunzione, d’improvviso li elevano a una si augusta dignità, a cui neppure avrebbero sognato di giungere mai; mentre uomini che hanno durato in penitenza dalla prima età fino all’estrema vecchiezza, rimangono fra i sudditi, e comandano a loro gli imberbi che potrebbero esser loro figli, ignari delle leggi secondo le quali si deve questo governo esercitare. Queste ed altrettali dicerie ripetendo, mi stanno continuamente ai panni. Io non ho che rispondere in difesa a queste imputazioni, e però ti prego di suggerirmelo.

Page 19: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

19

Poiché io non credo già che tu abbia perpetrata questa tua fuga ingenuamente e senza un piano premeditato, affrontando l’inimicizia di sì alti personaggi, ma che ciò tu abbia fatto con qualche calcolo riflesso e con qualche idea preconcetta; onde io mi penso che avrai pronti gli argomenti per la tua difesa. Di’ adunque, se v’è qualche giusto pretesto che possiamo addurre ai nostri accusatori. Dell’ingiuria da te arrecatami non cerco alcuna ragione, né per avermi ingannato, né per avermi tradito, né di quanto nel passato ho fatto per te. Io veramente avevo preso, per così dire, l’anima mia e postala nelle tue mani; tu invece hai usato meco in guisa tanto subdola, come se avessi dovuto porti in guardia da un nemico. Per certo, se riputavi vantaggiosa questa nostra elezione, non dovevi privare te di tale vantaggio; se poi la credevi dannosa, dovevi allontanare il danno anche da me, che pur dicevi di apprezzare più d’ogni altro. Invece facesti il possibile per farmici cascare, e ti fu mestieri dell’inganno e della finzione verso chi soleva sempre fare e dire ogni cosa con te senza sotterfugi e con piena sincerità. Ma, come ho detto, non voglio rampognarti di questo ora, né rimpiango la solitudine in cui mi hai posto, troncando quelle conversazioni comuni, da cui sì gran piacere e non piccolo vantaggio tante volte ritraemmo. Lascio da parte ogni cosa, sopportando in silenzio e mitemente: già non facesti mitemente tu, ponendomi in non cale; ma da quel giorno in cui ricambiai d’affetto la tua amicizia, mi ero imposto questa legge, di non chiederti ragione di qualunque offesa piacesse a te di recarmi. Che poi non lieve danno tu m’abbia inflitto, lo sai tu stesso, seppure ti sovviene delle parole che gli estranei dicevano di noi e di quello che noi stessi dicevamo: cioè che grande vantaggio era per noi l’essere concordi e il farci riparo della reciproca affezione. E gli altri tutti asseveravano che pur a molti non poco frutto avrebbe portato la nostra unanimità. Io per vero non mi pensavo, per quanto dipendeva da me, di portar frutto ad alcuno; ma ben ritenevo che assai ci avrebbe giovato per non essere agevolmente sopraffatti da coloro che avessero voluto muoverci guerra. E non cessavo mai di ricordarti che l’età nostra è perversa; molti ci tendono insidie; l’amore sincero è sparito e vi è sottentrata la peste della gelosia; procediamo in mezzo ai tranelli e siamo esposti come coloro che combattono sugli spalti della città. Numerosi e da molte parti sopraggiungono quelli che sono pronti a rallegrarsi dei nostri mali, qualora alcuno ce ne accada, e niuno v’è che alle nostre sciagure vorrebbe partecipare, o pochissimi per certo. Guardati pertanto che, essendo noi discordi, non ci tocchi gran derisione, o peggio ancora, qualche malanno. "Il fratello sorretto dal fratello è come città forte e come un regno sbarrato"(Prv. 23,19); non voler dissolvere questa fraternità sincera, né infrangere la barra. Queste e molte altre cose io ti venivo sempre dicendo, nulla sospettando mai di simile, ma stimando i tuoi sentimenti verso di me saldi e intatti, e volendo suggerire rimedi non necessari a uno spirito sano; non mi pensavo certo, come sembra, che porgevo medicine a chi in realtà era malato. Ma, misero me, che neppure così trassi giovamento, né m’ebbi miglior sorte per questa mia gran previdenza! Gettando via in un fascio tutti quegli ammaestramenti, anzi neppur accogliendoli nel cuore, spingesti me inesperto in mezzo al pelago, come una nave priva di zavorra, senza pensare alle fiere tempeste che dovrò sostenere. Ché se mi occorrerà talora d’aver a sopportare calunnia o scherno o altra insolenza ed oltraggio ed è forza che. ciò m’accada, presso chi potrò cercare rifugio? a chi confidare i miei timori? chi vorrà assumere la mia tutela e, reprimendo gli oltraggiatori e impedendo loro di più oltre farmi ingiuria, mi conforterà e mi aggiungerà lena per tollerare l’ignoranza altrui? Nessuno v’è ormai, poi che tu ti rimani lontano da questo fiero o conflitto, né ti dà l’animo di udirne pur anco il frastuono. Or comprendi qual male hai commesso? riconosci ora, dopo aver inflitto il colpo, qual mortale ferita mi recasti? Ma questo lasciamolo, ché non si può disfare quel che oramai è fatto, né è dato trovare l’adito quand’è chiusa ogni via. Dimmi piuttosto: che cosa ho da dire agli estranei? come rispondere alle loro accuse?".

Page 20: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

20

Fine del prologo. Prima parte della difesa di Giovanni. L’inganno può essere opportuno e lecito

V. Fa’ cuore, dissi, non solo sono pronto a dar ragione di tutto, ma mi studierò di giustificarmi, come saprò meglio, anche di quello onde mi accusi senz’ammettere giustificazione. Anzi, se ti piace, da questo appunto prenderò la mia difesa, perché sarebbe cosa sconveniente e molto irragionevole se, preoccupandomi dell’opinione degli estranei e adoperandomi in ogni modo per distruggere le imputazioni che ci muovono, non riuscissi a tranquillizzare il mio più diletto amico (colui che pur dicendosi da me ingiuriato, usò meco tanta moderazione da non voler neppure chiedermene conto, ma dimenticando le sue querele si preoccupa solo de’ fatti miei), dimostrandogli che non gli ho fatto alcuna ingiustizia; e sembrassi per tal modo più trascurato a suo riguardo di quanto egli si mostrò sollecito verso di me. In che dunque ti ho fatto ingiuria? Poiché da questo punto ho deciso di muovere nel pelago della mia difesa; gli è dunque perché t’ho ingannato e t’ho celato la mia intenzione? Ma io ti dico che ciò fu per tuo vantaggio e per vantaggio di coloro ai quali io ti ho consegnato mediante l’inganno. Infatti, se in ogni caso la frode è un male e in nessuno modo mai è da farne uso, allora io sono pronto a subire la pena che a te piacerà di richiedere; o meglio, poiché tu non sosterresti di infliggermela, io stesso pronuncerei contro di me quella condanna che i giudici recano contro i colpevoli quando questi vengono presi da’ loro accusatori. Se invece la frode non è sempre dannosa, ma diviene buona o cattiva a norma dell’intenzione di chi l’adopera, cessando di imputarmi l’inganno, tu devi dimostrare che questo io feci per tuo svantaggio; che se ciò non è, lungi dal muovere. biasimi e querele, le persone assennate dovrebbero per giustizia saper grado all’ingannatore. Ora l’inganno ben adoperato e applicato con retta intenzione è talmente vantaggioso, che molti dovettero spesso sottostare a pena per non averlo messo in opera.

Esempio tolto dall’arte militare

VI. Se ti piace di cercare fra i capitani da lunga pezza celebrati, troverai che la maggior parte di loro vittorie fu effetto di stratagemmi e vedrai pure che sono più lodati costoro di quelli altri i quali vinsero pugnando in campo aperto. Questi infatti pagando la vittoria con molto dispendio di denaro e di uomini, diedero vantaggio al nemico, di guisa che nulla giovò loro l’aver vinto, ma i vincitori furono in non minore angustia dei vinti, per via dei soldati da loro perduti e dell’erario esaurito. Inoltre non è dato loro di godersi la gloria delle armi, perché non piccola parte di essa tocca ai caduti nella battaglia i quali, pur vinti nei corpi, rimangono tuttavia vincitori nelle anime, e se era dato loro di serbarsi incolumi fra i colpi dei nemici e sfuggire così alla morte, non avrebbero certamente rallentato di coraggio. Ma il duce che riuscì a vincere mediante l’inganno, infligge ai nemici, oltre lo scacco, la derisione; perocché la lode di sagacia non tocca questa volta ad ambedue le parti come la lode della forza nel primo caso, ma qui il premio è tutto intero dei vincitori, e, ciò che non vale meno, essi serbano intera alla città la gioia della vittoria. Sono infatti cose diverse la ricchezza e il numero dall’accortezza della mente: quelle, col continuo usarne durante la guerra, si dissipano e lasciano all’asciutto i loro possessori; questa invece quanto più uno l’adopera, tanto più aumenta. Né solo durante la guerra, ma anche in tempo di pace può esservi grande e urgente bisogno d’usare l’inganno, non solo nei pubblici affari, ma anche in casa la moglie verso il marito e viceversa, il padre verso i figli, l’amico con l’amico e pur verso il padre i figlioli. La figlia di Saul non riuscì a trarre suo marito dalle mani del padre suo, se non usando verso di lui l’inganno. Il

Page 21: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

21

fratello di lei poi, volendo a sua volta salvare dal pericolo estremo quegli che già da lei era stato salvato, nuovamente pose in opera le stesse armi a cui la donna aveva ricorso.

Esempio tolto dall’arte medica

VII. Qui Basilio: Ma ciò non mi riguarda punto, disse; poiché io non sono per te nemico né avversario, né del numero di coloro che perpetrano l’ingiustizia, ma tutto all’opposto: perché essendomi io rimesso sempre al tuo consiglio, ti seguii là dove tu avevi indicato.

Ottimo e impareggiabile uomo, soggiunsi, appunto per questo io dissi prima che non solo in guerra ne solo contro i nemici, ma anche in pace e coi più intimi è buona cosa usare la frode. Per persuaderti poi che questa giova non solo a chi l’adopera, ma pure a chi la subisce, va’ e domanda a qualche medico con quali mezzi essi liberano gl’infermi dai loro malanni, e udrai che non solo con l’arte allontanano i morbi, ma che vi sono casi nei quali appigliandosi allo stratagemma e venendo con esso in soccorso all’arte, possono talora ricondurre l’infermo a sanità. E infatti, quando l’irritabilità dei malati e la perversità del male stesso non s’adattano ai consigli dei medici, allora é mestieri vestire la maschera dell’inganno per celare la vera natura delle cose, come accade sulle scene. Ti narrerò, se ti piace, uno stratagemma fra i molti che udii essere stati usati dai cultori dell’arte medica. Era sopraggiunta a un tale d’improvviso una gran febbre e l’ardore andava crescendo; il malato rifiutava i calmanti che gli si davano per sedarla e pregava con molta insistenza chi si recava a fargli visita, affinché gli porgesse vino in copia e gli desse di poter saziare quella brama mortale. Or chi gli avesse soddisfatto questo desiderio, non solo gli avrebbe vie più accesa là febbre, ma avrebbe gettato quell’infelice in preda al delirio. Allora, vacillando l’arte né avendo alcun rimedio ed essendo posta al tutto da un canto, vi sottentrò l’inganno, facendo prova di sua benefica efficacia, come tosto udrai. Il medico, preso un vaso di terra cotta uscito di fresco dalla fornace, lo immerse in grande quantità di vino; indi trattolo fuori vuoto e riempitolo d’acqua, ordina di oscurare con molte tende la stanza ove giaceva l’infermo, affinché la luce non palesasse l’inganno, e gli porge quindi il vaso da bere, come se fosse pieno di vino puro. Quegli, prima ancora di averlo tra mano, subito ingannato dal profumo che se ne spandeva, non sofferse neppure d’investigare su ciò che gli era porto, ma fidandosi all’odore e illuso dall’oscurità, spinto dalla brama tracannò con grande avidità il liquido e saziatosi spense tosto l’ardore che lo soffocava, scampando così dal pericolo imminente. Vedi il vantaggio dell’inganno? Ché se si volesse addurre tutti gli stratagemmi dei medici, non la si finirebbe più. Né solo coloro che curano i corpi, ma anche fra coloro che danno opera a curare le infermità spirituali, si può trovarne di quelli che spesso usarono tale rimedio. Con questo infatti il beato Paolo acquietò quella moltitudine di Giudei; con tale intenzione pure circoncise Timoteo colui il quale aveva mandato a dire ai Galati che Cristo non avrebbe giovato per nulla ai circoncisi; onde si sottopose alla Legge colui stesso che stimava un danno la giustificazione della legge dopo la fede in Cristo. Grande è invero l’efficacia dell’inganno, purché non venga adoperato con intenzione maligna; anzi non inganno si deve dire questo modo di agire, ma piuttosto una certa economia e saggezza, un’arte capace di trovare molte vie d’uscita nei luoghi impervi, e di correggere anche le negligenze dell’anima. Poiché io non chiamerei omicida Finees, sebbene d’un sol colpo uccidesse due persone; e neppure Elia in seguito ai cento soldati e a’ loro duci, e al torrente di sangue che fece scorrere con la strage dei sacerdoti idolatri. Che se ciò ammettiamo e se le azioni di coloro che quelle cose compirono, si considerano per se stesse, separatamente dall’intenzione, taluno potrà, se gli talenta, chiamare Abramo uccisore di suo figlio, ed il nipote ed il discendente di lui parimenti incolperà di misfatto e d’ingiustizia: perocché in tal guisa l’uno conquistò la precedenza naturale e l’altro trasferì le ricchezze degli Egizi nell’esercito

Page 22: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

22

degli Israeliti. Ma no, non é certo così: lungi tale empietà! Ché non solo li riteniamo incolpevoli, ma anzi, per queste stesse loro azioni li ammiriamo, poiché Dio stesso ne li lodò. Ed invero si deve chiamare giustamente ingannatore colui che usa il ripiego con fine ingiusto, non chi vi ricorre con retto consiglio. Ma d’altra parte spesso torna utile l’ingannare, per ritrarre da tale artificio i maggiori vantaggi: onde colui che vi s’induce con retto fine, cagionerebbe gravi mali a chi non venisse ingannato.

Libro secondo

L’inganno diede occasione a Basilio di manifestare il suo amore a Gesù Cristo

I. Avrei potuto dire molto di più per dimostrare che si può usare l’efficacia dell’inganno anche in bene, e che questa non dovrebbe chiamarsi frode, ma piuttosto una certa mirabile economia. Ma poiché le cose dette sono ormai sufficienti per darne la prova, sarebbe importuno e noioso il protrarre più a lungo il discorso. Toccherebbe ora a te il dimostrare che io ho usato un tal mezzo contro al tuo vantaggio.

E Basilio: Ma quale vantaggio, disse, mi recò questa tua economia o saggezza o come meglio ti piaccia di chiamarla, perché io debba credere che in realtà non fui da te ingannato?

E qual maggior guadagno, soggiunsi, che l’essere veduti a compiere quelle opere che Cristo stesso disse essere segni dell’amore a Cristo, E per vero, rivolgendosi al corifeo degli Apostoli: Pietro, dice, mi ami tu? e affermandolo questi, soggiunge Cristo: Se mi ami, pascola le mie pecore. Il maestro interroga il discepolo se lo ama, non già per esserne informato, come ne avrebbe avuto bisogno colui che penetra i cuori di tutti? ma per insegnare a noi quanto gli stesse a cuore il governo di questo gregge. Ora, essendo ciò palese, sarà pur palese la conseguenza, cioè che grande e incomparabile mercede sarà serbata a chi si dedica a quest’impresa, che tanto è apprezzata da Cristo. Che se noi, qualora vediamo alcuno prendersi cura dei nostri armenti, consideriamo come segno di affezione verso di noi la cura usata verso di quelli, sebbene si tratti di cose acquistate con denaro; colui che ha riscattato questo gregge non con ricchezza od altro valore, ma con la sua propria morte e ne diede in prezzo il suo stesso sangue, con qual mercede ricambierà quelli che si occupano nel pascolare questo gregge stesso? Per ciò appunto, avendo il discepolo risposto: Tu sai, o Signore, che io ti amo, chiamando l’amato stesso in testimonio del suo amore, il Salvatore non si accontentò solo di questo, ma aggiunse la dimostrazione dell’amore. Non voleva già Egli allora che Pietro gli significasse la proporzione dell’amor suo, ciò è a noi noto per molti indizi, ma Voleva dimostrare piuttosto quanto Egli ami la sua Chiesa; e volle che Pietro e tutti noi lo apprendessimo, affinché ancor noi le dedicassimo tutte le nostre cure. Per qual ragione infatti Dio non risparmiò il suo unigenito figliolo, ma quel solo che aveva lo donò? certo per riconciliare a sé coloro che gli s’erano inimicati e formare un popolo scelto. Per qual motivo poi Cristo versò il suo sangue? certo per riacquistare quelle pecore che ha affidate a Pietro e a’ suoi successori. A buon diritto e giustamente pertanto disse Cristo: "Chi é mai quel servo fedele e prudente, che il suo padrone preporrà alla sua casa?". Di nuovo le parole sono come di chi dubita; però Colui che le pronunziava non dubitava punto, ma siccome quando chiese a Pietro se lo amava, non lo fece per bisogno che avesse di scrutare i sentimenti del discepolo, ma perché voleva dimostrare la grandezza del suo proprio amore, così pur ora dicendo: Chi é mai il servo fedele e prudente? Non lo dice perché ignori in realtà chi sia il fedele e saggio servitore, ma volendo far rilevare quanto scarso ne sia il numero e

Page 23: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

23

quanto grande sia questo ministero. Vedi ora quanto ne sia il premio: "Lo preporrà a tutte le sue sostanze" (Mt. 24, 47).

Il ministero pastorale é la miglior prova d’amore a Cristo, Esso non é impresa da tutti, ma solo di pochi eletti

II. Dunque dubiterai ancora che io non t’abbia felicemente ingannato, mentre stai per esser posto a capo di tutti gli interessi di Dio e compiere quelle opere, compiendo le quali Pietro, a detta di Cristo, avrebbe sorpassato gli altri Apostoli? Dice infatti: "Pietro, mi ami tu più di costoro? pascola le mie pecore". Poteva per altro dirgli: "Se mi ami, pratica il digiuno, il sonno su nuda terra, le vigilie ininterrotte, assumi la difesa degli oppressi, sii come padre agli orfani e come marito alle madri loro"; invece, lasciando da parte tutte queste cose, che dice? Pascola le mie pecore. E per vero le altre opere che sopra ho dette, possono compierle agevolmente anche molti fra i sudditi, non solo uomini, ma donne ancora; trattandosi invece di soprastare alla comunità dei fedeli e d’essere incaricati della guida di tante anime, ceda il posto tutto i; sesso femminile e anche la maggior parte degli uomini, di fronte alla grandezza dell’impresa; si traggano innanzi quelli che di gran lunga superano tutti gli altri e sono tanto più eccelsi per virtù dell’anima, quanto Saul superava nella statura tutto il popolo Ebreo, anzi, assai più. Ché non si deve in tal caso cercare solamente se alcuno emerga dagli omeri in su, ma quale è la distanza che corre fra i bruti e gli esseri ragionevoli, tale è la proporzione fra il pastore e la greggia; per non dir di più, ché il rischio versa intorno a cose ben maggiori. Poiché colui che perde le pecore per rapina di lupi o per sopraggiungere di ladri, o in causa di qualche morbo o per altro qualsiasi accidente, riceverebbe pur qualche perdono dal padrone della greggia; e qualora fosse richiesto di ammenda, il danno si limita alle sostanze. Ma quegli a cui vennero affidati gli uomini, il gregge razionale di Cristo, in pena per la rovina delle pecore deve anzitutto sottostare non a danno di sostanze, ma della sua propria anima. Inoltre deve durare una lotta assai maggiore e più fiera. Non deve egli infatti combattere contro lupi, né ha a temere di predoni, né a darsi pensiero d’allontanare dal gregge qualche morbo; ma contro chi è la sua guerra? con chi la sua battaglia? ascolta ciò che dice il beato Paolo: "Non abbiamo da lottare con la carne e col sangue, ma con i prìncipi e colle potestà, con i dominanti di questo mondo tenebroso, con gli spiriti maligni dell’aria" (Ef. 6,12). Vedi la moltitudine terribile dei nemici e le feroci falangi, non corazzate di ferro, ma tali a cui è sufficiente la propria natura invece d’ogni arma? Vuoi tu vedere un altro esercito orribile e feroce che assedia questo gregge? lo scorgerai dalla stessa vedetta; colui che ha parlato di quei nemici, colui stesso ci svela questi altri, così dicendo, in altro luogo, che sono palesi le opere della carne quali siano: prostituzione, adulterio, impurità, sfrontatezza, idolatria, sortilegio, inimicizie, contese, invidie, iracondia, sedizioni, oltraggi, maldicenze, orgoglio, sommosse e altre più ancora, poiché non le nominò tutte, ma da queste lasciò intravedere le rimanenti.

Non si possono trattare gli uomini come le pecore

E quanto al pastore di bestie, quelli che mirano alla strage del gregge, qualora vedano fuggire il custode, smessa la lotta contro di lui, si accontentano della rapina degli animali; qui invece, se pur abbiano presa tutta la greggia, neanche allora risparmiano il pastore, ma vie più gli sono sopra e vie più imperversano, né cessano prima

d’averlo vinto o d’esserne stati vinti. Aggiungi a tutto questo, che le malattie degli animali sono palesi, sian essi offesi da morbo o da fame o da ferita o da checché altro; né ciò conferisce poco a

Page 24: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

24

togliere di mezzo la cagione del male. Un’altra circostanza poi v’è, che agevola la rapida liberazione da quelle infermità; quale? i pastori costringono con molta padronanza le pecore ad accogliere la medicazione, qualora quelle non vi sottostessero di buon grado; onde torna facile il legarle quando sia d’uopo cauterizzare o tagliare; facile parimenti il farle stare a lungo rinchiuse, quando ciò sia di giovamento; il porgere un cibo invece d’un altro, il trattenerle da certi paschi, e tutte le altre cure che giudicassero conferire alla loro guarigione, viene loro fatto di applicarle con grande facilità.

III. Invece le infermità degli uomini, non è anzitutto agevole ad uomo lo scorgerle, poiché "nessuno conosce le cose dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui" (1Cor. 11,11). Or come potrebbe uno applicare la medicina a un male di cui non conosce la natura, e mentre spesso non gli è dato neppur di sapere se altri sia o no ammalato? E quando pure ciò sia divenuto palese, allora appunto gli offre le massime difficoltà; poiché non è possibile curare tutti gli individui con la stessa libertà con la quale il pastore cura una pecora: v’è bene anche qui la facoltà di legare, d’interdire l’alimento, di bruciare e tagliare; ma la facoltà di accogliere il rimedio risiede non in chi porge la medicina, sebbene nell’infermo stesso. Ciò ben sapendo quel mirabile uomo disse ai Corinzi: "Non perché noi facciamo da padroni sopra la vostra fede, ma cooperiamo alla vostra consolazione"(2Cor. 1,24). Soprattutto poi ai Cristiani non è permesso di correggere a forza gli errori dei colpevoli. I magistrati civili, quando sottopongono i malfattori alla norma delle leggi, fanno mostra di grande potestà e sforzano i riluttanti a mutare i loro costumi; qui invece tali individui debbono essere corretti con la persuasione anziché con la violenza. Perocché non ci è conferita dalle leggi questa facoltà per ritrar dal male i colpevoli, e quand’anche ce l’avessero conferita non avremmo dove usare la forza, dando Dio la corona non a chi lascia il male per necessità, ma a chi lo lascia per sua libera scelta. Onde v’è bisogno di grande abilità per far sì che gl’infermi si persuadano a sottoporsi volentieri alle cure dei sacerdoti, né questo solo, ma ancora perché vedano il vantaggio che la cura loro arreca. Ché se alcuno legato ricalcitra, ed è in suo potere il farlo ne viene un male peggiore; e se non farà conto di certe parole taglienti come ferro, con lo spregio viene ad aggiungere un’altra piaga, onde il pretesto della cura diviene occasione di più grave malattia. Poiché non vi è chi lo possa costringere e curarlo contro sua voglia.

Il rimedio deve essere proporzionato al male

IV. Che dunque s’avrà da fare? Poiché se usi troppa delicatezza con chi ha bisogno di molti tagli, e non fai un’incisione profonda a chi n’ha d’uopo, avrai asportato solo una parte della ferita lasciandovi l’altra parte. Se poi senza esitazione applichi il taglio necessario, spesso l’ammalato disperando del suo male, gettata via in un fascio ogni cosa, e medicina e fasciature, finì per gettarsi a capofitto, spezzando il giogo e rompendo i legami. Potrei narrare di molti che dettero in mali estremi per essere stati sottomessi alla pena dovuta alle loro colpe. Poiché non si deve applicare il castigo soltanto in ragione della grandezza dei falli, ma si deve pur tenere conto dell’intenzione dei colpevoli, affinché non t’accada, volendo rattoppare uno squarcio, di produrne uno più grande e che, tentando di rialzare ciò che è caduto, tu produca una caduta peggiore. 1 deboli, divagati e per lo più schiavi della mollezza mondana, e che inoltre hanno di che inorgoglire per nascita e potenza, corretti dei loro mancamenti dolcemente e poco per volta, potrebbero pure, se non in tutto almeno in parte, purgarsi dei vizi da cui sono dominati; se invece uno applica loro d’un tratto l’ammonizione, li avrà privati anche di quel minore miglioramento. Ché l’anima, spinta una volta all’impudenza, diventa insensibile, né più si lascia muovere dalle parole dolci, né piegare dalle minacce, né eccitare dai benefici, ma diviene assai peggiore di quella città a cui il profeta, riprovandola, dice: "Hai

Page 25: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

25

assunto aspetto di meretrice, né alcuno più tifa arrossire" (Ger. 3,3). Per ciò il pastore ha bisogno di molta prudenza e di infiniti occhi onde scrutare in ogni parte le condizioni di un’anima. Perocché come molti salgono in arroganza e cadono in disperazione della propria salvezza, non potendo adattarsi a medicine amare; così vi sono di quelli che per non aver subìto un castigo proporzionato ai loro mancamenti, cadono nell’indifferenza, diventano molto peggiori di prima e sono incitati a commettere colpe più gravi. Bisogna pertanto che il sacerdote non trascuri di esaminare ognuna di queste circostanze, ma tutto diligentemente scrutando, faccia quanto è in suo potere secondo l’opportunità affinché la sua cura non gli divenga inutile.

Come ricondurre all’ovile le pecorelle smarrite

Né soltanto in questo, ma anche nel riunire i membri separati dalla Chiesa uno si troverà ad aver molto da fare. Il pastore di pecore ha il gregge seguace dovunque esso venga condotto: che se qualche capo si svia dal retto cammino, e lasciato il buon pascolo, va a cibarsi in luoghi infecondi e ripidi, gli basta dar un grido più forte, per raccogliere di nuovo e riunire al gregge la parte che se n’era divisa; se invece un uomo viene trascinato lungi dalla retta fede, fa d’uopo al pastore di molto lavorio, di fortezza, di tolleranza. Non deve trascinarlo a forza né costringerlo con timore, ma per via di persuasione egli dev’essere ricondotto a quella verità dalla quale prima s’era allontanato. V’è bisogno quindi di un’anima generosa, onde non si smarrisca né disperi della salvezza degli erranti, onde consideri e ripeta continuamente quel detto: "...nella speranza che Dio conceda loro la vera conoscenza e si liberino dalla rete del diavolo" (2Tim. 2,25). Per questo il Signore parlando ai discepoli disse: "Chi è dunque il servitore fedele e prudente?" (Mt. 24,45). Poiché colui il quale attende a sé solo, converte a sé tutto il vantaggio, mentre invece l’utilità del ministero pastorale si estende a tutto il popolo. Colui poi che largisce denaro a’ bisognosi, o in altra guisa assume la tutela degli oppressi, costui per certo reca qualche utilità al prossimo, ma tanto minore del sacerdote, quanta è la distanza che corre fra il corpo e l’anima. A ragione dunque il Signore disse la cura prodigata al gregge essere segno dell’amore verso di Lui.

Intermezzo I

Perché Giovanni fuggì la dignità e vi spinse invece l’amico.

Virtù di Basilio proclamate da Giovanni

V.: "Ma tu, disse, non ami Cristo?".

"L’amo (risposi) né mai cesserò di amarlo; ma temo di muovere a sdegno il mio Diletto".

"E quale enigma, soggiunse, potrebbe darsi più oscuro di questo? Ché mentre Cristo a chi lo ama impose di pascolare le sue pecore, tu dici di non volerle pascolare, appunto perché ami Colui che ciò ha comandato".

"Non è un enigma, ripresi io, il mio discorso, ma anzi è al tutto chiaro e semplice. Ché se io avessi fuggito questa dignità pur avendo le qualità necessarie per esercitarla come vuole Cristo, allora potrebbe nascere dubbio su quanto io ho detto; ma poiché la debolezza dell’anima mi rende inetto a questo ministero, come possono le mie parole suscitare discussione? E per vero io temo che

Page 26: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

26

ricevendo il gregge di Cristo prosperoso e ben nutrito, e facendolo deperire con la mia inettitudine, non ecciti contro di me quel Dio che tanto l’amò, fino a dare se stesso per la sua salvezza e per il suo riscatto".

"Tu scherzi dicendo tali cose, mi disse, ché se fai sul serio non so come avresti potuto in altro modo dimostrare la giustezza delle mie ansietà, meglio che con queste parole, con le quali tentavi di rimuovere la mia trepidazione. Già prima convinto che tu m’avevi ingannato e tradito, ora che t’accingesti a scagionarti dalle accuse, io comprendo ancor meglio in quale abisso di sciagure m’hai gettato. Ché se tu ti sottraesti da questo ministero perché conoscevi l’insufficienza delle tue forze a sopportarne il peso, io per il primo dovevo esserne allontanato, anche se per caso me ne avesse preso gran desiderio; oltre di che io avevo pur rimesso a te ogni divisamento riguardo a queste cose. Ora invece, solo curandoti de’ fatti tuoi trascurasti la mia sorte; e almeno l’avessi proprio trascurata, ché mi sarebbe stato caro: ma invece sei ricorso all’insidia per rendermi facile preda di coloro che m’avevano appostato. Né puoi ricorrere al pretesto che la fama circolante fra i più ti trasse in inganno e ti fece concepire una grande e mirabile opinione di me; io non sono del numero di quelli che destano meraviglia e attirano l’attenzione; né, se anche ciò fosse, è da preporre l’opinione del volgo alla realtà delle cose. Se io non t’avessi fornito mai l’esperienza della mia compagnia, pare che un ragionevole pretesto l’avresti avuto per giudicare a norma dell’opinione comune; ma dal momento che nessun altro conosce siffattamente le cose mie, ma a te è nota l’anima mia più ancora che a quelli che mi hanno generato e allevato, quale ragione tanto persuasiva potresti addurre per convincere chi t’ascolta, che contro tua intenzione mi hai spinto a questo cimento? Ma lasciamo ora da parte ciò; non voglio per questi fatti sottoporti a rigoroso giudizio. Dimmi ormai: che cosa risponderemo ai nostri accusatori?".

"Per certo, risposi io, non verrò a quest’argomento, fino a che non avrò terminato quanto riguarda te, anche se mille e mille volte mi richiedessi di purgarmi dalle altre accuse. Tu dicesti che l’ignoranza mi otterrebbe perdono e mi assolverebbe da ogni accusa, se non conoscendo i fatti tuoi t’avessi spinto nella tua presente condizione, e che ogni giusto pretesto e ogni legittima difesa mi è interdetta, avendoti tradito, non già perché fossi al buio delle cose tue, ma essendone pienamente edotto. Io dico invece affatto il contrario: e perché? perché simili faccende richiedono lunga ricerca, e chi intende proporre un candidato degno del sacerdozio, non deve appagarsi unicamente dell’opinione del volgo, ma insieme deve egli stesso, più di tutto e prima di tutto, investigare la vita di quello. E per vero, il beato Paolo dicendo: "Fa d’uopo ancora che egli sia in buona riputazione presso gli estranei" (1Tim. 3,7), non esclude l’indagine diligente e minuziosa né propone il criterio della buona fama come indizio capitale nel giudicare dell’idoneità di tali candidati. Infatti dopo aver discorso di molte cose, alla fine aggiunge questa norma, per mostrare che non di essa sola conviene appagarsi in tali scelte, ma questa si deve adottare insieme alle altre. Non raramente avviene che la comune opinione s’inganni; ma con la scorta d’una diligente indagine, non v’è più a temere da quella alcun pericolo. Perciò dopo gli altri indizi pone anche quello della altrui opinione; non dice infatti semplicemente: "Fa d’uopo che egli sia in buona riputazione", ma aggiunge quell’anche presso gli estranei, volendo mostrare che prima d’affidarsi all’opinione di quei di fuori, bisogna diligentemente esaminarlo. Poiché dunque io conoscevo i fatti tuoi meglio dei tuoi parenti, come tu stesso ammettesti, sarebbe giusto che io fossi sciolto da ogni accusa.

Page 27: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

27

Giovanni fa l’elogio della virtù di Basilio

VI. "Ma appunto per questo, disse, non puoi difenderti, se alcuno voglia accusarti; o non ricordi la pochezza della mia anima, della quale io tante volte ebbi a parlarti e che potesti apprendere dalle mie opere? e non mi schernivi tu sempre, tacciandomi di pusillanimità, perché io mi smarrisco anche nelle incombenze comuni?".

"Ricordo, risposi, d’aver ciò udito sovente volte da te, né potrei negarlo; ma se io ti schernivo, lo facevo per gioco, non sul serio".

Ma tuttavia non starò ora a discutere di questo; ti prego invece di accordarmi eguale benevolenza quando io venga rammentando alcuna delle doti che tu possiedi. Ché se anche tenterai d’accusarmi di menzogna, non cederò, ma dimostrerò che tu lo dici per modestia e non per la verità; né mi varrò d’altro testimonio, se non delle tue stesse parole e delle opere tue per confermare la verità delle mie asserzioni. E anzitutto questo ti voglio dire: Sai tu qual sia la potenza dell’amore? Cristo, lasciando da parte tutti gli altri portenti che dovevano esser compiuti dagli Apostoli: "Da questo, dice, conosceranno gli uomini che siete miei discepoli, se vi amerete reciprocamente" (Gv. 23,35). Paolo poi dice che esso è la pienezza della legge e che a nulla giovano i carismi dov’esso faccia difetto. Or questo bene ch’è il più eccellente, la tessera dei discepoli di Cristo, quello che sta sopra i carismi, io scorsi profondamente radicato nell’anima tua e fecondo di molti frutti.

"Che io ponga in ciò molto studio, disse, e molta sollecitudine dedichi a questo precetto, lo confesso io pure; che poi non lo abbia soddisfatto neppure per metà, potrai tu stesso farmene fede, qualora lasciando da parte le parole cortesi, voglia tenere conto solo della verità".

"Orbene, risposi, verrò alle prove; e come minacciai ora farò, dimostrando che tu parli per modestia anziché per dire il vero. Narrerò un fatto testé accaduto, onde non nasca sospetto che, narrando cose vecchie, cerchi di adombrare la verità, facendo si che l’oblio non permetta di protestare contro le cose da me narrate per cortesia. Dunque, quando uno dei nostri amici, calunniato con accusa di oltraggio e insubordinazione, stava per incorrere nelle pene estreme, allora tu senza che alcuno ti chiamasse, neanche quegli a cui la condanna soprastava, ti gettasti da te nel mezzo del pericolo. Questo sarebbe il fatto. Per convincerti poi anche dalle tue parole, quando gli uni non approvavano questo tuo zelo, gli altri invece assai lo lodavano e ammiravano: "E che? (dicesti ai tuoi biasimatori) io non mi so altro modo d’amare, se non col dare anche la mia vita, quando si tratti di salvare un amico che versa in pericolo"; dicendo in altri termini, ma con eguale sentimento, le parole che Cristo rivolse ai discepoli quando determinò la misura del perfetto amore: "Non si può dare, dice, amore più grande di questo, che uno dia la propria vita per i suoi diletti" (Gv. 15,13). Se adunque non è dato trovare amore più grande, tu hai raggiunto la perfezione di esso e ne hai asceso il culmine, sia con le opere, sia con le parole. Per questo ti ho tradito; per questo t’ho ordito quell’inganno; ti persuado ora che t’ho spinto in questa carriera non per mala intenzione, né col proposito di esporti a un pericolo, ma perché sapevo che ciò era cosa utile?

"Ma tu credi, disse, che la forza dell’amore sia sufficiente per la correzione del prossimo?".

"Senza dubbio, risposi, essa può contribuire a ciò in massima parte. Ma se vuoi ch’io rechi esempi anche della tua assennatezza, verrò anche a questo, e dimostrerò che sei ancor più prudente che caritatevole".

Page 28: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

28

A queste parole arrossendo e facendosi colore della porpora: "Orsù, dice, si lascino ormai da parte le cose mie; non t’ho chiesto simili parlate io in principio. Piuttosto, se hai qualche opportuna ragione da poter addurre a quei di fuori, questo discorso ascolterò volentieri. Poni dunque fine a simile vaniloquio e dimmi che cosa addurremo agli altri in nostra difesa, sia a chi ci prescelse all’onore sia a chi si rammarica tenendosi offeso per quelle faccende".

a) Seconda parte della difesa di Giovanni. Risposta alle accuse di oltraggio agli elettori, disprezzo del sacerdozio, vanagloria

VII. Ora io proseguendo soggiunsi: A ciò appunto mi affretto. Poi che ho dato fine a quanto riguarda te, di buon grado mi rivolgerò ora a quest’altra parte della mia difesa. Qual è dunque l’accusa di costoro, e quali le loro querele? Essi si chiamano oltraggiati da noi, e dicono d’aver sofferto uno smacco, perché noi non accettammo l’onore che vollero conferirci. Ebbene, io dico anzitutto che non si deve far alcun caso dell’oltraggio che si possa recare agli uomini, quando per far onore a questi siamo costretti a far offesa a Dio. Onde neppure per quelli che se ne adontano è senza pericolo il menare tanto scalpore su ciò, ma anzi, torna loro molto dannoso; io mi penso infatti che le persone consacrate a Dio e che solo a Lui riguardano, debbano comportarsi tanto cautamente da non ritenere ciò come un oltraggio, quando anche mille e mille volte ne uscissero privi d’onore. Ma che io non abbia fatto nulla di simile neppur col pensiero, si fa palese da questo: se io, come hai tante volte ripetuto che taluni vanno calunniando, venni al punto di votare per i miei accusatori, per arroganza e vanagloria, sarei pur da annoverare fra i peggiori malfattori, avendo dispregiato personaggi ammirandi e augusti e per di più benefattori. Ché se il far ingiuria a chi non te n’ha arrecato nessuna è degno di condanna; a quelli che spontaneamente si proponevano di onorarti (ché nessuno potrebbe dire che essi, avendo prima ricevuto qualche favore o piccolo o grande da me, volessero pagarmi la ricompensa di quelle mie grazie), come non sarebbe degno d’ogni castigo il corrispondere col rendere loro l’opposto? Ma se questo non mi passò neppure per la mente e con ben altra intenzione mi sottrassi al grave peso, quand’anche non volessero approvarmi, perché in luogo di darmi perdono, m’accusano per aver io provveduto alla salvezza dell’anima mia? Di fatto io ero tanto lontano dal voler fare ingiuria a quei personaggi, che anzi, direi, col mio rifiutare, di averli onorati; né ti meravigliare se ciò ha del paradosso, ché presto te ne darò la soluzione. S’io avessi accettato, non tutti, ma quelli che trovano gusto nelle maldicenze, avrebbero messo in campo molti sospetti e calunnie, sia a carico di me consacrato, sia a carico di quelli che mi scelsero; come: che essi guardano solo alla ricchezza e s’inchinano solo allo splendore de’ natali; che mi condussero a quest’onore perché furono da me lisciati. Non saprei dire se alcuno non li avesse pure sospettati corrotti con denaro. Ed ancora: Cristo chiamò a questa potestà i pescatori, i manovali e i gabellieri; costoro invece schifano quelli che vivono del lavoro quotidiano, ma se alcuno è infarinato di dottrine profane e vive tra gli agi, questo solo approvano, a questo fanno la corte. Per qual motivo trascurano coloro che hanno durato innumerevoli sudori a vantaggio della Chiesa, mentre uno che non ha mai pur anco libato il peso di simili fatiche e ha perduto sempre il suo tempo nei vaniloqui dei profani, d’un tratto te l’innalzano senz’altro a tanta dignità? Queste ed altre più cose sarebbero andati blaterando, se io avessi accolto la potestà; ora invece non possono. Ogni pretesto di maldicenza è loro troncato, e non hanno motivo d’incolparmi, né d’adulazione né di servilità verso di quelli, tranne se taluni volessero proprio far pazzie. Come mai infatti, uno che per raggiungere quest’onore avesse adulato e sborsato quattrini, l’avrebbe lasciato ad altri proprio mentre era sul punto d’ottenerlo? Sarebbe come se uno, dopo aver durato grandi

Page 29: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

29

fatiche nel coltivare un campo, affinché la messe gli si aumentasse di copioso frutto e i tini traboccassero di vino, dopo gli infiniti travagli e le molte spese, giunto il tempo di mietere e vendemmiare, si astenesse dal cogliere i frutti, in favore di altri. Tu vedi adunque che in tal caso, benché le loro dicerie fossero lungi dalla verità, tuttavia quelli che avessero voluto calunniarli avrebbero ben trovato pretesti, per insinuare che avevano fatta la scelta senza averne rettamente vagliate le ragioni. Io invece non ho dato loro il modo di spalancare la bocca, e neppure di aprirla.

Questo e più altro avrebbero detto sul principio; ma poi, dato mano al ministero, non sarei bastato a difendermi ogni giorno dagli accusatori, anche se ogni cosa mi fosse riuscita senza difetti. Se non che per la mia età e inesperienza avrei necessariamente commesso molti mancamenti; e mentre ora ho potuto impedire loro di rivolgermi quest’accusa, allora avrei offerto loro innumerevoli motivi di rimprovero. Che non avrebbero essi detto? (Hanno affidato un ministero si grande e ammirando a fanciulli insensati; hanno dato alla rovina il gregge di Dio; le istituzioni dei Cristiani sono divenute giocattoli e oggetti di riso). Ora invece "ogni ingiustizia chiuderà la sua bocca" (Sl. 107,42). Che se poi dicessero tali cose di te, ben presto tu insegnerai loro con le opere, che non si deve giudicare la prudenza dall’età e non si deve approvare il vecchio per la canizie, né escludere senz’altro il giovine da questo ministero; ma s’ha da interdirlo solo al neofita: e fra i due v’è gran differenza.

 Libro terzo

Giovanni dimostra di non essere stato indotto da arroganza a fuggire la vanità

I. Questo dunque che ho detto è quanto io avrei da rispondere riguardo all’ingiuria verso quelli che mi avevano onorato, per dimostrare che non ho rifiutato questo onore con l’intenzione di svergognarli. Ora poi mi sforzerò, per quanto m’è dato, di spiegarti come ciò non abbia fatto neppure perché fossi gonfio di arroganza alcuna.

Se invero mi si fosse voluto eleggere alla dignità di stratego o di re, e io avessi preso tale decisione, a ragione potrebbe taluno pensare ciò; o meglio, in tal caso, nessuno m’avrebbe accusato d’arroganza, ma tutti di stoltezza. Trattandosi invece del sacerdozio, che tanto supera la dignità regale, quanto la carne dista dallo spirito, oserà alcuno incolparmi di disprezzo? Non sarebbe strano tacciare di pazzia quelli che rifiutano piccoli onori, e quelli invece che fanno ciò per dignità assai maggiori, assolverli dall’accusa di pazzia e nondimeno incolparli di superbia? Come se un tale, incolpando non già di orgoglio ma bensì di demenza chi disprezzasse l’armento dei buoi, nè volesse far il bifolco, accusasse poi non di pazzia ma di gonfiezza, chi ricusasse l’impero di tutto il mondo e il comando di tutti gli eserciti. Ma no, le cose non stanno così; coloro che ciò vanno dicendo, non calunniano tanto me, quanto piuttosto se stessi. Ché il solo pensare che l’umana natura possa concepire disprezzo per quella dignità, è una prova del concetto che ne hanno quelli stessi che ciò esprimono: se non lo stimassero cosa ordinaria e di poco conto, non sarebbe loro occorso di concepire tale sospetto. Per qual motivo infatti nessuno osò mai immaginare né dire alcunché di simile riguardo alla dignità degli angeli, che cioè vi sia un’anima umana la quale non avrebbe acconsentito per arroganza di salire al grado di quella natura? Noi invero ci figuriamo grandi cose di quelle Potenze, e ciò non ci permette di credere che un uomo possa concepire un onore più grande di quello. Pertanto si dovrebbero piuttosto tacciare d’orgoglio quelli che tale accusa fanno a me; che mai non avrebbero concepito tale sospetto sul conto di altri, se loro stessi non nutrivano disprezzo di tale dignità, come di cosa da nulla.

Page 30: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

30

Che se poi dicono ch’io feci questo avendo di mira la gloria, saranno palesemente convinti di contraddizione e che si tirano da se stessi la zappa sui piedi. Non so proprio qual altra ragione avrebbero potuto cercare, qualora avessero voluto assolvermi dall’accusa di vanagloria. Se mai tal brama mi prese, dovevo io pur accettare piuttosto che ricusare. Perché? perché ciò m’avrebbe acquistato grande rinomanza: alla mia età e da poco toltomi alla vita mondana, essere d’un tratto stimato fra tutti tanto eccellente, da venire anteposto a coloro che tutto il tempo consumarono fra tante e tali fatiche, e raccogliere maggior numero di suffragi che tutti loro, ciò avrebbe fatto nascere in tutti grandi e meravigliose opinioni a mio riguardo e m’avrebbe reso un personaggio augusto e celebrato. Ora invece, tranne pochi, la gran parte della comunità ecclesiastica non mi conosce neppure di nome; e credo che neppur tutti sapranno del mio rifiuto, ma solo pochi, e che, anche questi pochi, non siano al chiaro d’ogni cosa; ed è probabile che molti di questi o crederebbero senz’altro ch’io non fossi stato eletto, o che dopo l’elezione non fossi già fuggito spontaneamente, ma venissi rimosso, per non essere parso idoneo all’uopo.

"Ma ben si meraviglierà chi conosce il vero".

"Per l’appunto, dicevi che questi mi calunniano come vanaglorioso e arrogante. Or da qual parte s’ha da sperare lode? dai molti? ma non conoscono il fatto come sta; o forse dai pochi? ma allora la cosa si presenta per noi tutto al contrario; poiché non sei qui venuto per altro scopo che per sapere da me come ci si debba difendere presso di questi. Ed a che tanto sottilizzare ora per ciò? Attendi un poco, e vedrai chiaramente che se anche tutti sapessero la verità, non c’era motivo per tacciarmi di arroganza e vanagloria; e oltre a ciò ancora vedrai come non solo chi mostrasse tanta audacia, seppure alcuno ve n’ha, poiché io non lo credo, ma anche coloro che la suppongono negli altri, rasentano non lieve pericolo".

b) Grandezza del sacerdozio e del rito eucaristico. Gli angeli stanno in adorazione intorno al sacerdote celebrante. L’epiclési o invocazione dello Spirito Santo. Confronto coi riti sacrificali dell’antica Legge

Il. Però che il sacerdozio si compie sulla terra, ma è nell’ordine delle cose celesti; e con ogni ragione; poiché non un uomo, non un angelo, non un arcangelo, né altra forza creata, ma lo stesso Paracleto ordinò quest’ufficio, ispirando quelli che tuttora si stanno nella carne a ideare una funzione propria degli angeli; deve pertanto il sacerdote essere così puro, come se abitasse negli stessi cieli fra quelle Potenze. Terrificanti cose per certo e paurose erano quelle che precedettero la Grazia, come i campanelli, i melograni, le pietre del petto e dell’omero, la mitra, la cidari, la tunica talare, la lamina d’oro, il Santo dei Santi, la profonda quiete degl’interni recessi; ma se alcuno considera le istituzioni della Grazia troverà piccole quelle tremende e terribili cose, e che anche qui è vero ciò che è scritto intorno alla legge: "Non fu glorificato quello che fu glorificato, in comparazione e rispetto a questa gloria trascendente" (2Cor. 3,10). Poiché quando tu vedi il Signore sacrificato e giacente, e il vescovo preposto al sacrificio e pregante, e tutti imporporati di quel sangue augusto, credi tu d’essere ancor fra i mortali e di starti sopra la terra, o non piuttosto sei d’un tratto trasportato nei cieli, e sgombro dallo spirito ogni pensiero della carne, contempli con l’anima ignuda e con la mente pura le cose celestiali? o meraviglia! o filantropia di Dio: colui che siede in alto insieme col Padre, in quell’istante viene tenuto dalle mani di tutti, e dona se stesso a chi vuole abbracciarlo e stringerlo a sé, e tutti fanno poi ciò allora con gli occhi della fede. Or dunque ti

Page 31: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

31

paiono cose queste da poter essere disprezzate, o tali che uno possa esaltarsi al di sopra di esse? Vuoi ora scorgere da altra meraviglia la superiorità di questo sacrificio? Rappresentati innanzi agli occhi Elia, e intorno a lui moltitudine immensa, e il sacrificio disposto su le pietre, e tutti gli altri in gran quiete e silenzio profondo, e il profeta solo supplicante; indi d’un tratto la fiamma lanciata dai cieli sopra la vittima: è uno spettacolo meraviglioso che riempie di stupore. Rivolgiti or quindi a quello che adesso si compie e vedrai non solo cose meravigliose, ma tali da superare ogni meraviglia. Sta il sacerdote, per attirare giù non il fuoco, ma lo Spirito Santo; e a lungo si fa la supplica, non affinché una fiamma accesa dall’alto consumi le offerte, ma affinché la grazia discesa sopra il sacrificio, per mezzo di questo accenda le anime di tutti e le renda più fulgide che argento incandescente. Chi oserà nutrire sprezzo, se non sia al tutto pazzo o fuor di sé, di questa così tremenda azione? o non sai che l’anima umana non varrebbe a sopportare quel fuoco del sacrificio, e tutti d’un tratto ne sarebbero annientati, se non fosse grande il soccorso della grazia di Dio?

Il sacerdote assolve dai peccati con la potestà da Cristo a lui trasmessa

III. Se alcuno ben consideri che gran cosa è poter avvicinarsi a quella beata e intatta natura, pur essendo uomo e ancora plasmato di carne e sangue, vedrà allora bene di quanto onore la grazia dello Spirito abbia degnato i sacerdoti. Per loro mezzo infatti queste cose si compiono, ed altre ancora per nulla inferiori a queste, sia per dignità, sia in rapporto con la nostra salvezza; quelli che dimorano in terra e sono posti in questa condizione, vengono ordinati ad amministrare le cose celesti e hanno ricevuto una potestà che Dio non ha conferito né agli angeli né agli arcangeli; poiché non fu detto a questi: "Ogni cosa che legherete sulla terra sarà legata anche nel cielo; e ogni cosa che scioglierete, sarà sciolta" (Mt. 18,18). Anche i dominatori sulla terra hanno il potere di legare, ma soltanto i corpi; invece questo legame si applica all’anima stessa e trascende i cieli; onde, checché i sacerdoti compiano quaggiù, questo conferma Dio in alto, e la deliberazione dei servi viene sancita dal padrone. E che vuol dire ciò, se non che ha loro conferito ogni potestà celeste? Dice infatti: "I peccati di coloro ai quali li rimetterete, saranno rimessi; quelli di coloro a cui li riterrete, saranno ritenuti" (Gv. 2,23). Qual potere maggiore di questo? Il Padre ha dato al Figlio ogni giudizio; or io vedo che essi ne furono fatti dal Figlio pienamente depositari. Come se già fossero assunti nei cieli, trascesa l’umana natura e sciolti dalle nostre miserie, così furono elevati a questa dignità. Inoltre, se un re partecipasse a qualcuno dei suoi sudditi quest’onore di poter gettare in prigione chiunque gli piacesse e nuovamente liberarlo, sarebbe costui invidiato e celebrato da tutti; colui poi che da Dio ha ricevuto una potestà tanto più grande quanto il cielo è più augusto della terra, e le anime dei corpi, parrà mai ad alcuno aver egli ricevuto sì piccolo onore, da poter anche solo pensare che altri abbia a mostrare disprezzo verso i depositari di sì eccelse cose? Lungi tale insania! È per vero insania palese, il guardar dall’alto in basso una dignità senza la quale non è dato di ottenere né la salvezza né i beni che ci furono annunziati. Ché se "nessuno può entrare nel regno de’ cieli, se non venga rigenerato per acqua e Spirito, e colui che non mangia la carne del Signore e non beve il suo sangue, viene escluso dalla vita eterna" (Gv. 3,5), e tutte queste cose si compiono da nessun altro fuorché da quelle sacre mani, dico del sacerdote, come potrà alcuno indipendentemente da loro, sia fuggire il fuoco della geenna, sia ottenere le corone riservate? A loro infatti, a loro fu affidata la generazione spirituale, e il partorire per mezzo del battesimo; per mezzo loro rivestiamo il Cristo, siamo consepolti col Figlio di Dio, e fatti membri di quel beato capo. Pertanto dovrebbero essere per noi giustamente più temibili che dominatori e re, non solo, ma anche più venerandi che padri; questi invero ci hanno generati "dal sangue e dalla volontà della carne" (Gv. 1,13), quelli invece ci sono strumento della generazione di Dio, di quella beata rigenerazione, della verace libertà e dell’adozione secondo la grazia.

Page 32: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

32

Confronto col sacerdozio levitico

IV. I sacerdoti degli Ebrei avevano il potere di liberare dalla lebbra del corpo, anzi, niente affatto liberare, ma soltanto di approvare coloro che ne erano liberati, e ben sai come il potere sacerdotale era oggetto di invidia allora; ma questi hanno ricevuto il potere non di liberare dalla lebbra del corpo, sebbene di togliere affatto, non solo approvare quando sia tolta, l’impurità dell’anima. Onde, quelli che li disprezzassero sarebbero più empi dei seguaci di Datan, e degni di maggior pena. Poiché questi sebbene si arrogassero una dignità non dovuta, avevano tuttavia un gran concetto di essa, e lo dimostrarono aspirandovi con grande ardore: quelli invece quando la dignità venne ordinata a maggior ministero e fu di tanto elevata, allora dimostrano in senso contrario, molto maggior audacia degli altri. Poiché non è eguale, quanto al grado del disprezzo, l’arrogarsi un potere indebito e lo schifarlo: ma questo è tanto maggiore di quello, quanto il rigettare con sdegno differisce dall’ammirare. Quale anima pertanto sarebbe così miserabile da sprezzare simili beni? non direi che ciò potesse darsi, tranne che alcuno fosse invaso da qualche estro diabolico.

Confronto fra i sacerdoti e i parenti carnali.

Ma torno là donde sono partito. Dio ha dato ai sacerdoti potenza maggiore che ai parenti carnali, non solo quanto al punire, ma anche quanto al beneficare: e tanta è la differenza fra gli uni e gli altri, quanta ven’ha fra la vita presente e quella futura. Poiché gli uni generano a questa vita, gli altri a quell’altra: quelli non varrebbero neppure a stornare dai loro figli la morte corporale, né allontanare un’infermità sopravvenuta; questi hanno spesso salvato l’anima inferma e prossima alla rovina, agli uni rendendo più lieve la punizione, agli altri impedendo fin da principio dal cadervi, non solo coll’insegnare e coll’ammonire, ma anche soccorrendo con le preghiere. Né solo quando ci rigenerano, ma possono rimetterci anche i peccati commessi in seguito. Dice infatti: "Chi è malato chiami a sé i presbiteri della chiesa e preghino per lui, ungendolo di olio nel nome del Signore; e la preghiera della fede salverà l’infermo, e il Signore lo solleverà e se ha commesso peccati gli saranno rimessi" (Gc. 5,14-15). Inoltre i genitori naturali, qualora i figli abbiano recato offesa a qualche potente, non possono giovargli in alcun modo; mentre i sacerdoti riconciliarono non i potenti né i re, ma lo stesso Dio più volte con loro adirato. Dopo ciò oserà ancora taluno accusarmi di arroganza? Da quanto ho detto io penso d’aver infuso nell’animo degli uditori tale cautela, che abbiano ormai a tacciare d’arroganza e audacia non quelli che fuggono, ma quelli che da se stessi si fanno avanti e s’arrabattano per acquistarsi questa dignità.

Infatti, se coloro a’ quali sono affidate le magistrature civili, qualora per caso non siano prudenti e assai accorti, mandano le città a catafascio e se stessi alla rovina; colui che é destinato a fregiare la sposa di Cristo, di qual forza non ti par debba essere fornito, sia di quella sua propria, sia di quella che viene dall’alto, per non cadere in colpa?

c) Virtù richieste dal sacerdozio. Il candidato al sacerdozio deve temere la dignità

V. Nessuno amò Cristo più di Paolo, nessuno mostrò maggior zelo, nessuno fu donato di maggior grazia; ma pur con tutto questo, teme ancora e trema per questa potestà e per coloro sui quali la esercita. "Io temo, dice, che come il serpente con la sua malizia ingannò Eva, così i vostri pensieri degenerino dalla semplicità che é in Cristo" (2Cor.11,3). Ed ancora: "Fui in gran timore e trepidazione per voi" (1Cor. 2,3): un uomo che fu rapito al terzo cielo e messo a parte degli arcani

Page 33: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

33

di Dio, e che sopportò tante e tali fatiche quanti furono i giorni di sua vita dopo la conversione; un uomo che non volle neppur fare uso del potere conferitogli da Cristo, affinché non fosse scandalizzato qualcuno dei fedeli. Se adunque colui che superò i comandamenti di Dio, né minimamente cercò il suo interesse, ma quello dei sudditi, era sempre in tanto timore riguardando la grandezza della dignità, quale sicurezza avremo noi, che sovente cerchiamo la comodità nostra, che non solo non superiamo i precetti di Cristo, ma in gran parte li trasgrediamo? "Chi cade infermo, dice, e io non cado infermo? chi si scandalizza e io non ne ardo?" (2Cor. 11,29). Tale dev’essere il sacerdote; o piuttosto, non solo tale; queste cose sono piccole e da nulla rispetto a quanto sono per dire; che è ciò? "Ho supplicato, dice, d’essere riprovato da Cristo, per i miei fratelli, miei congiunti secondo la carne" (Rom. 9,3). Se alcuno pub lanciare questo grido; se alcuno ha l’anima che arriva fino a questa preghiera, quegli si dovrebbe rampognare se fuggisse; ma chi è lungi da quella virtù quanto lo sono io, sarebbe degno di detestazione non quando fuggisse, ma quando accettasse. Che se si trattasse d’eleggere ad una dignità militare, e quelli cui spetta conferirla, tirato in mezzo un fabbro od un ciabattino o altro simile artefice, gli affidassero l’esercito, io non loderei per certo quel miserabile, qualora non ricusasse e non facesse di tutto per evitare di gettarsi in un male palese. Ché se bastasse l’esser chiamato pastore e disimpegnare l’ufficio in qualunque modo, né pericolo alcuno vi fosse, mi accusi pur chi vuole di vanagloria; ma se colui che si sobbarca a questa cura abbisogna di grande prudenza, e prima della prudenza, di copiosa grazia di Dio, rettitudine di costumi, purezza di vita e una virtù più grande dell’umana, non mi negherai venia, se non ho voluto vanamente e senza motivo darmi a rovina. Se uno, tratta innanzi una nave da trasporto piena di remiganti e di preziosi carichi, fattomi sedere al timone mi ordinasse di traghettare il mar Egeo o il Tirreno, mi ritrarrei alla prima voce: e se alcuno chiedesse: "Perché?" risponderei: "Per non mandare a fondo la nave".

Or poi, se là dove il danno è nelle sostanze ed il pericolo riguarda la morte corporale, niuno farà rimprovero a chi adoperi grande previdenza; dove invece i naufraghi sono in procinto di cadere non in questo pelago, ma nell’abisso del fuoco, e li aspetta non la morte che divide l’anima dal corpo, ma quella che l’anima insieme col corpo dà in preda alla punizione eterna, mi detesterete e vi adirerete perché io non mi gettai a precipizio in un tanto male? no, ve ne prego e vi scongiuro. Conosco l’anima mia, inferma com’è e piccina; conosco la grandezza di quel ministero e la gran difficoltà dell’ufficio; poiché le onde che sbattono l’anima del sacerdote sono più impetuose dei venti che sconvolgono il mare.

Fuggire la bramosia di onore e la servilità verso i potenti e l’eccessivo ossequio verso le donne.

VI. E anzitutto v’è il terribile scoglio della vanagloria, più funesto di quello di cui narrano portenti i mitologi; questo infatti molti riuscirono a sfuggirlo incolumi tragittando; per me invece quello è tanto minaccioso, che non posso guardarmi dal suo malo influsso, nemmeno ora che nessuna necessità mi spinge verso quel baratro; se poi alcuno mi affidasse questa dignità, sarebbe come legarmi le mani all’indietro e espormi alle fiere che dimorano su quello scoglio, per esserne quotidianamente dilaniato. Quali sono queste fiere? violenza, ignavia, invidia, contese, calunnie, accuse, menzogne, ipocrisia, insidie, istanze a danno d’innocenti, compiacenza per le sconvenienze dei propri colleghi, rammarico per i loro successi, brame di lode, avidità d’onore (ciò che più di tutto tira alla. rovina l’anima dell’uomo); discorsi tenuti per pavoneggiarsi, adulazioni servili, corteggiamenti indegni, disprezzo dei poveri, ossequiosità poi ricchi, onori affatto irragionevoli e favori biasimevoli, che recano pericolo a chi li dà e a chi li riceve; timore servile, degno soltanto dei peggiori schiavi, scatti d’audacia, gran modestia all’esterno e nessuna in realtà, accuse di assenti e

Page 34: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

34

punizioni inflitte specialmente ai deboli e fuor di misura, mentre con quelli che sono circondati di potenza non s’osa nemmeno aprire bocca. Tutte queste fiere e altre più ancora, nutre quello scoglio, nelle quali chi incappa una volta, è per forza ridotto a tale schiavitù, da compiere in grazia delle donne, azioni che non è bello neanche nominare. La legge divina le ha escluse da questo ministero, ma esse si sforzano di invaderlo; e poiché nulla possono da se stesse, fanno ogni cosa per mezzo di altri; e si arrogano tanta potenza, da approvare o eliminare i sacerdoti come a loro piace. E rovesciato l’ordine, questo che è proverbiale si può qui vedere avverato: i sudditi guidano i magistrati; e fossero uomini almeno, ma sono proprio quelle a cui non è nemmeno dato l’incarico d’insegnare: che dico insegnare? il beato Paolo non permise loro neppur di parlare nella comunità ecclesiastica. E io ho udito uno raccontare, che tale baldanza hanno acquistata, da muovere rimproveri ai capi delle Chiese e imperversare contro di quelli, più fieramente che non facciano i padroni coi propri servi. Ma non creda alcuno che io voglia sottoporre tutti a queste accuse; vi sono invero, vi sono molti che sfuggono a queste reti e sono in maggior numero di quelli che vi si perdono.

Disordini provenienti da elezioni ispirate a favoritismo e dominate da spirito partigiano. Chi si sente impari all’ufficio, anche a elezione fatta dovrebbe ritirarsi.

VII. Ma io non vorrei attribuire al sacerdozio la cagione di questi mali, a meno che fossi pazzo; ché non s’incolpa il ferro degli omicidi, né il vino dell’ubriachezza, né la forza dell’oltraggio, né il coraggio s’incolpa della stolta audacia; ma ognuno che ha senno dice esserne cagione quelli che dei doni impartiti da Dio non fanno il debito uso, e quelli castiga. E ben a ragione il sacerdozio potrebbe accusare noi, quando non l’esercitiamo rettamente; ché non esso è a noi cagione dei mali sopraddetti, ma siamo noi che, per quanto da noi dipende, l’inquiniamo di tante e tali immondezze, affidandolo a uomini volgari. Questi poi, non avendo prima conosciute le loro anime né considerato il peso dell’istituzione, accettano bensì bramosamente la dignità conferita, ma quando vengono all’azione, ottenebrati dall’inettitudine loro, riempiono di infiniti mali i popoli che a loro furono affidati. Questo, sì, questo per poco non accadeva anche a me, se Dio non m’avesse presto sottratto a quei pericoli, risparmiando la Chiesa e l’anima mia.

O dimmi, donde credi tu che nascano nelle chiese tanti scompigli? da nessun’altra parte, io credo, che dall’eseguirsi senza cura e a casaccio la scelta e l’elezione dei dirigenti; la testa che dovrebbe essere la parte più salda, per frenare e mantenere in equilibrio gli spiriti perversi esalati da basso dal resto del corpo, se ella stessa è inferma e inetta a reprimere quelle morbose esalazioni, s’infermerà ancor più di quello che non sia, e rovinerà insieme con se stessa il rimanente del corpo. A evitare ciò nel presente caso, Iddio mi trattenne al livello dei piedi, dove la sorte prima m’aveva collocato.

Ma ben molte altre, o Basilio, oltre quanto fin qui fu detto, sono le virtù che il sacerdote deve possedere, e che io non possiedo; e prima di tutto questa, di purificare affatto l’anima propria dalla brama di questa dignità. Che se egli per avventura sentirà vivo desiderio per questa carica, raggiunta che l’abbia accende una fiamma più veemente, e volendosi deporlo a forza, commette innumerevoli perversità pur di serbarsela, sia che occorra adulare o tollerare cosa vile e indegna, o sacrificare grandi somme: tralascio ora che alcuni hanno riempito le chiese di uccisioni e messo sossopra le città disputandosi questa dignità; parrebbe infatti ad alcuno che io narri cose incredibili. Ma bisogna, a mio avviso, nutrire un tal timore di questo incarico, da volersene sottrarre fin da principio, né, raggiunto che uno l’abbia, attendere i giudizi altrui, se mai gli accada di commettere un fallo degno della deposizione, ma prevenendoli, uscire di carica egli stesso; così è anche

Page 35: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

35

probabile che attiri sopra di sé la misericordia di Dio. Ma il persistere in carica oltre il convenevole, equivale a privarsi d’ogni perdono e vie più accendere l’ira di Dio, aggiungendo al primo un secondo e più grave fallo. Ma nessuno mai sopporterà tal cosa, perché l’agognare quest’onore è vizio funesto. Né dico ciò per contraddire al beato Paolo, ma anzi in piena armonia con le parole sue; che dice egli infatti? "Se alcuno brama l’episcopato, brama una cosa buona" (1Tim.3,1); e io ho detto che è vizio funesto non già il bramare la cosa, ma la dignità e il potere.

VIII. Credo pertanto doversi tal brama cacciare con ogni cura dall’anima, né soffrire che questa cominci ad esserne dominata, anche affine di poter compiere ogni cosa con libertà. Colui che non brama d’esser designato a quella potestà, non teme neppur d’esserne deposto; non temendolo potrà agire in tutto a norma della libertà che s’addice ai Cristiani; mentre coloro che temono e tremano d’esserne deposti, sopportano una schiavitù amara e piena di miserie, e sovente sono nella necessità di offendere gli uomini e Dio. Tale non ha da essere la disposizione dell’anima, ma come vediamo nelle battaglie i soldati valorosi combattere con ardore e cadere con fortezza, così anche quelli che giungono a questo ufficio, debbono saperlo esercitare e all’uopo deporre, come si addice a uomini cristiani, certi che una tale deposizione non diminuisce la corona del ministero. Che se poi taluno soffrisse una tale vicenda senz’aver nulla commesso di sconveniente e indegno del posto che occupa, procurerebbe la punizione per quelli che ingiustamente lo deposero e a se stesso maggior ricompensa: "Beati siete voi quando gli uomini vi malediranno e vi perseguiteranno e diranno di voi falsamente ogni male per causa mia; rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt. 5,11-12). Ciò qualora alcuna sia tolto di seggio dai propri colleghi, o per invidia, o per far piacere ad altri, o per inimicizia o per altra ingiusta ragione. Quando poi gli occorra di sopportare ciò anche per opera degli avversari, credo inutile aggiungere parole, per dimostrare quanto guadagno quelli gli procurino con la loro perversità. Conviene adunque ricercare da ogni parte e diligentemente investigare, che non si celi ardendo qualche scintilla di quel desiderio. Invero c’è da esser contenti se anche coloro che si mantengono da principio liberi da tal brama, riescano a sfuggirvi qualora siano cascati nella dignità; che se poi alcuno nutre in se stesso questa fiera terribile e selvaggia prima ancora di toccare in sorte l’onore, non si può dire in qual fornace immerga se stesso dopo averlo raggiunto. Io per certo (né credi che voglia mentire con te per modestia) ero molto preso da questa bramosia, il che insieme con tutto il resto mi infuse non minore, sgomento, e mi decise a questa fuga. Come gli amanti dei corpi sentono più fiero il tormento della passione fin che è loro concesso di starsi vicino agli amati; e quando si siano spinti il più lontano possibile dall’oggetto di loro brame, pongono fine anche alle loro smanie; così anche i bramosi di questa potestà, quando si ‘trovano vicini a essa il loro male diviene insopportabile; ma qualora ne abbiano perduta la speranza, spengono in se stessi in un con l’aspettativa, anche il desiderio. Ciò non era piccolo pretesto: e se anche non ve ne fosse stato altro, bastava per escludermi da questa dignità.

Prudenza e fortezza sono virtù più necessarie al sacerdote che le austerità e i digiuni.

IX. Ora s’aggiunge un’altra virtù non minore di questa. Qual è? Deve il sacerdote essere sobrio e perspicace, e munirsi da ogni parte d’infiniti occhi, dovendo vivere non solo a:e stesso, ma a vantaggio d’una tanta moltitudine. Ora, che io sia pigro e debole e appena sufficiente alla mia salvezza, tu stesso l’ammetteresti, sebbene per l’amicizia sia più di tutti sollecito nel nascondere i miei difetti. Non parlarmi ora di digiuni né di vigilie né di sonni su nuda terra né d’altre austerità corporali; sai del resto quanto io sia lontano anche da queste; ma se pure mi vi fossi dedicato con ardore, non avrebbero potuto per nulla giovarmi in questo ministero. Potrebbero bensì quelle

Page 36: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

36

austerità recare grande giovamento a un uomo che se ne stia rinchiuso nella sua cella unicamente occupandosi di se stesso; ma a chi è diviso fra tanta moltitudine e sollecitato da cure diverse per ciascuno dei suoi sudditi, come potrebbero recare un considerevole incremento al progresso di quelli, se egli non possederà un’anima pieghevole ad un tempo e fortissima?

Non meravigliarti se insieme a quelle austerità io richiedo un’altra prova della virtù dell’anima. Noi vediamo essere per nulla difficile lo sprezzare i cibi, le bevande e i soffici letti, specialmente a coloro che menano vita rustica e furono allevati così fin dalla più tenera età, come anche a molti altri, quando la disposizione fisica e la consuetudine rende meno sensibile l’asprezza di quei travagli; ma il sopportare l’ingiuria, l’insolenza, il parlar grossolano, i dileggi da parte degl’inferiori, sian profferiti a caso o con giusta causa, e i biasimi mossi senza motivo e infondatamente dai superiori e dai propri sudditi, non è virtù di molti, ma a stento d’uno o due (); onde si potrebbe vedere talora persone che in quelle austerità erano forti, dare ora siffattamente nelle vertigini, da imperversare peggio delle fiere più selvagge; or questi tali dobbiamo massimamente escludere dai recinti del sacerdozio. Che il vescovo non languisca d’astinenza né vada a piedi nudi, non recherà alcun detrimento alla comunità ecclesiastica; mentre invece l’asprezza d’animo produce grandi malanni, sia in chi ne è agitato, sia nei suoi vicini; né alcuna minaccia di Dio sovrasta a coloro che non si danno a quelle pratiche, mentre a coloro che montano in furia senza ragione, è minacciata la geenna e il fuoco di essa. Come colui che è preso da vanagloria, quando abbia afferrato il dominio sopra il popolo offre al fuoco maggior materia; così chi è incapace di frenare lo sdegno quando è solo o nella conversazione di pochi, ma facilmente perde le staffe; qualora gli sia affidata la supremazia di tutta una moltitudine, simile a una fiera punzecchiata da ogni parte e da moltissimi, egli non potrà mai starsi in pace, e procurerà a’ suoi sudditi innumerevoli mali. Nulla intorbida più la purezza della mente e la trasparenza dei pensieri, che un animo sfrenato e che si lascia trascinare da grande impeto: "Questo (dice la Scrittura) rovina anche i saggi" (Prv 5,1). E come in un combattimento notturno, l’occhio dell’anima ottenebrato non trova modo di discernere gli amici dai nemici, né le persone volgari da quelle distinte, ma con tutti egualmente usa le stesse maniere, rassegnandosi a sopportare il male che gliene possa venire, pur di soddisfare la voluttà dello spirito; poiché l’ardore della collera è una specie di voluttà, anzi più duramente della voluttà esso tiranneggia l’anima sconvolgendone interamente la sana costituzione; onde spinge facilmente all’arroganza, a inimicizie intempestive, all’odio infondato, e continuamente dispone a eccitare malcontenti inutilmente e senza motivo, e tante altre cose simili costringe a fare e dire, sentendosi l’anima trascinata da gran tumulto di passione, né avendo dove appoggiare il suo sforzo per resistere a tale impeto.

X. "Ma ormai non sopporterò più a lungo, quel tuo fare ironico, disse; poiché chi non conosce quanto tu sii lontano da questo difetto?"

"E che, soggiunsi, o fortunato, vuoi tu dunque spingermi vicino al rogo, e istigare la fiera accovacciata? o non sai che in ciò mi sono moderato non per virtù mia propria, ma per amore della quiete, e che chi ha tale disposizione è cosa desiderabile che, standosene solo o colla compagnia di uno o due amici soltanto, possa sottrarsi a quell’incendio, non che dal cadere nell’abisso di tante sollecitudini? Poiché in questo caso, non solo se stesso, ma molti altri insieme con lui trascinerebbe nel precipizio della rovina, rendendoli meno solleciti per mantenersi nella giusta misura; infatti il più delle volte la moltitudine dei sudditi è disposta naturalmente a guardare i costumi dei capi come un modello archetipo e foggiare se stessa a norma di quelli. Or come potrebbe uno sedare i loro gonfiori quando egli stesso è gonfio? chi fra la plebe desidererebbe diventare moderato, mentre

Page 37: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

37

vede il capo che facilmente cede alla collera? Non è possibile affatto che le mancanze dei sacerdoti restino celate, ma anche le minime ben presto diventano palesi.

Il sacerdote deve risplendere col buon esempio

Un atleta fino a che se ne rimarrà in casa senza venire alle mani con alcuno, potrà bensì celarsi anche se debolissimo; ma tosto che deponga la veste per affrontare la lotta, ben presto diverrà oggetto di disprezzo; così anche quelli fra gli uomini che vivono questa vita privata e tranquilla, hanno per velario delle proprie colpe la solitudine; ma qualora siano tirati in mezzo, allora sono costretti a deporre la solitudine come un vestito, e per mezzo dei movimenti esterni mostrare ignude a tutti le anime loro. Pertanto, come le loro virtù giovano a molti ridestandone l’emulazione, così pure le loro mancanze rendono altri più schivi del travaglio che la virtù richiede e li dispone all’indolenza dinanzi alle fatiche di serie intraprese. Deve dunque la bellezza dell’anima di lui risplendere da ogni parte per poter rallegrare e insieme illuminare le anime dei suoi spettatori. Le colpe dei volgari, commesse per così dire al buio, sono di rovina soltanto per chi le commette; ma la trascuratezza d’un personaggio distinto e noto a molti, reca danno comune a tutti, rendendo i caduti sempre più restii ai sudori per le opere buone, e d’altra parte provocando all’arroganza quelli che vogliono attendere a se stessi. Inoltre, i falli della gente comune, anche se divengono palesi, non infliggono nessuna piaga considerevole; ma quelli che siedono su questo culmine di dignità, primariamente sono visibili a tutti; poi anche se cadono in difetti minimi, le cose piccole appiano grandi agli altri, perché tutti misurano la colpa non in ragione della sua propria entità, ma in ragione del grado di chi l’ha commessa. Onde il sacerdote ha da essere circondato, come d’armi d’acciaio, da attenzione continua e da costante moderazione, e guardarsi da ogni lato che alcuno vedendo qualche parte scoperta e negletta, non infligga una ferita mortale. Tutti stanno all’intorno pronti a colpire e abbattere, non solo nemici e avversari, ma molti anche di quelli che simulano amicizia. Bisogna rendere le anime disposte come Dio un tempo mostrò essere i corpi di quei santi nella fornace di Babilonia; l’alimento poi di questo fuoco non è sarmento né pece né stoppa, ma altre cose ben peggiori; né si tratta di quel fuoco sensibile, ma li avvolge la voracissima fiamma della gelosia, elevandosi da ogni parte, investendoli e scrutandone la vita, con più lena che quel fuoco i corpi di quei giovinetti; se pertanto troverà una piccola traccia di paglia, subito l’avvolge e arde quella parte corrotta, mentre il resto della fabbrica, anche se risplenda più che i raggi del sole, resta fra quel fumo tutto bruciacchiato e annerito.

Anche i piccoli difetti tornano a disdoro del sacerdote.

XI. Fino a che la vita del sacerdote sarà ben regolata in tutto, egli non soccomberà all’insidia, ma se trascura anche solo un punto, come è facile essendo uomo e navigando attraverso il pelago mal fido di questa vita, nulla gli gioveranno tutte le altre virtù per sfuggire alle lingue degli accusatori; ma quella piccola deficienza adombra tutto il resto; tutti vogliono giudicare il sacerdote non come rivestito di carne e partecipe della natura umana, ma quasi fosse un angelo e libero dalla miseria comune. E come tutti temono e adulano un tiranno finché serba il potere, perché non possono toglierlo di mezzo, ma quando vedano decadere la sua potenza, deposto il rispetto fin allora simulato, quelli che poco prima gli erano amici, d’un tratto si fanno nemici e avversari, e esaminando tutte le sue malvagità gliele imputano a colpa e lo spogliano del dominio; così anche riguardo ai sacerdoti, quelli che poco prima, mentre era in potenza, lo onoravano e gli s’inchinavano, quando scorgono una piccola occasione, s’apprestano energicamente a travolgerlo non solo quale tiranno, ma come qualcosa di peggio. E come quello teme le guardie della sua

Page 38: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

38

persona, così questo ha da paventare soprattutto i vicini e i suoi compagni di ufficio; ché nessuno agogna maggiormente la sua dignità e nessuno conosce i fatti suoi più addentro di loro, perché essendogli vicini, se alcunché di simile gli accada, lo conoscono prima degli altri; e qualora ricorrano alla calunnia, facilmente possono trovare fede e togliere di mezzo il calunniato ingrandendo le cose piccole, (ché la parola dell’Apostolo viene qui invertita, e "se un membro soffre, godono tutte le altre membra, e se viene esaltato un membro, tutte le altre membra ne soffrono" 1Cor. 12,26) tranne che uno sappia con grande circospezione far fronte a tutto. Or dunque tu mi mandi a tale guerra? e credesti che l’anima mia fosse da tanto da affrontare una lotta si varia e multiforme? ma donde e da chi l’apprendesti? che se Dio ti ha parlato, metti fuori il responso, e mi persuaderò; se poi non l’hai, e rechi il suffragio a norma degli uomini, cessa di più oltre ingannarti. Ché trattandosi di fatti miei è più giusto credere a me che ad altri, poiché "nessuno conosce le cose dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è dentro di lui" (1Cor. 2,11). Ma se anche prima non lo credevi, penso che ora, da quanto ti ho detto ti sarai convinto che se avessi accettato questa dignità avrei esposto alla derisione me stesso e i miei elettori, e con grande iattura me ne sarei dovuto tornare a questo tenore di vita in cui ora mi trovo. Non solo la gelosia, ma assai più forte di essa, la brama di questa carica sembra armare la moltitudine contro chi ne è investito; a quel modo che i figli bramosi di denaro sopportano con pena la vecchiezza dei padri, così taluni di costoro quando vedono protrarsi lungamente la durata dell’episcopato, non essendo loro lecito di toglierlo di mezzo, si studiano di congedarlo, tutti desiderando di sostituirlo e aspettando ognuno che la dignità venga a cadere nelle sue mani.

Disordini che talora accadevano nella elezione al sacerdozio. La professione monastica e l’età avanzata non sono titoli sufficienti di idoneità al sacerdozio

XII. Vuoi che ti mostri un altro aspetto di questa lotta, ripieno, di innumerevoli pericoli? Va’ a spiare nelle feste pubbliche, dove è costume di far le elezioni dei capi ecclesiastici, e vedrai il sacerdote fatto segno a tante accuse quanta è la moltitudine dei sudditi. Allora quelli a cui spetta il conferire l’onore si scindono in molti partiti, e si potrebbe vedere il collegio dei presbiteri non concorde né nei suoi membri né con quegli che ottiene l’episcopato; ognuno fa parte da se stesso, scegliendosi chi questo chi quel candidato. E ne è cagione il considerare tutti non ciò che unicamente si dovrebbe considerare, cioè la virtù dell’anima, ma il tenere conto d’altri pretesti come di titoli valevoli all’assecuzione di questa dignità; onde: "Questi, dice taluno, sia approvato perché è di alto ceto; quest’altro perché possiede molta ricchezza né avrà bisogno di vivere a carico dell’entrate ecclesiastiche; quest’altro perché proviene da parte avversaria". E così, cercano di far prevalere sopra gli altri chi un proprio amico, chi un congiunto, chi un adulatore; nessuno vuol prendere in considerazione la persona idonea, né si cura di fare alcun assaggio dell’anima. Io invece sono tanto lontano dal menare buone queste ragioni per l’approvazione dei candidati al sacerdozio, che anche se uno mostrasse grande pietà, cosa che contribuisce per me non poco per l’esercizio di quella carica, non ardirei di ammetterlo subito in grazia di quella, se non possedesse insieme con la pietà anche molta saggezza. Poiché io ho veduto molti che erano stati rinchiusi tutta la vita e consumatisi nei digiuni, i quali finché poterono starsi soli e curarsi soltanto de’ fatti propri, ebbero merito dinanzi a Dio, e ogni giorno aggiungevano progresso non piccolo in quella filosofia; quando poi s’introdussero fra la moltitudine e furono posti nella necessità di correggere l’ignoranza del volgo, gli uni si mostrarono fin da principio incapaci di questa missione, gli altri, forzati a durarvi, deposta la primitiva osservanza recarono i massimi danni a se stessi, né procurarono agli altri il minimo vantaggio. Ma neppure se taluno abbia passato tutto il suo tempo rimanendosi nell’ultimo gradino del ministero e sia giunto a estrema vecchiaia, dovremo elevarlo a più alta carica

Page 39: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

39

semplicemente per riguardo alla sua età; e che farci, se anche dopo raggiunto quel termine l’individuo sia rimasto inadatto all’uopo? Né io dico tali cose per disprezzo alla vecchiezza, né con intento di escludere per legge da questa soprintendenza coloro che vengono dalla schiera dei monaci è avvenuto infatti che molti provenienti da quel ceto risplendettero in quest’ufficio ma nell’intento di dimostrare questo principio: che se né la sobrietà per sé sola, né la tarda vecchiaia potrebbero bastare a garantire l’idoneità di chi ottiene il sacerdozio, tanto meno possono valere a tale scopo i pretesti prima enumerati. Ma v’è chi ne propone altri ancor più assurdi; ché taluni sono collocati nelle file del Clero affinché non si gettino dalla parte degli avversari; altri per le loro perversità, ad evitare che trascurati non abbiano a perpetrare gravi mali; ma si può dar cosa più illegale di questa, che uomini perversi e pieni di colpe fino ai capelli, vengano lisciati per quel motivo stesso per il quale dovrebbero esser puniti, e che in grazia di quello per cui non dovrebbero nemmeno varcare le soglie della chiesa, abbiano a salire alla dignità sacerdotale? Cercheremo noi ancora, dimmi, la causa dello sdegno di Dio, mentre esponiamo ministeri così santi e tremendi a essere profanati da uomini o malvagi e affatto indegni di riguardo alcuno? quando vengono incaricati gli uni di presiedere a uffici che loro non convengono affatto, gli altri d’uffici affatto superiori alle loro capacità, faranno sì che la Chiesa non dissomigli per nulla dall’Euripo.

Il male che proviene alla Chiesa dalla abusiva intromissione delle persone estranee nella elezione o nella deposizione dei membri del sacerdozio

XIII. Io, più indietro, deridevo i magistrati civili perché eseguiscono le distribuzioni delle cariche non a norma della virtù che è nelle anime, ma a norma delle ricchezze o dell’età o della dignità umana; ma quando intesi che tale stoltezza aveva invaso anche le nostre istituzioni, non giudicai questo un male equivalente dell’altro. Qual meraviglia infatti, che uomini mondani e bramosi della gloria che deriva dal volgo, e che ogni cosa fanno per acquistare denaro, commettano simili errori, quando coloro che professano il distacco da tutte queste cose, non si comportano meglio di quelli, ma mentre hanno impegnata la lotta per i beni celesti, come se avessero a decidere di un pezzo di terra o d’altra cosa simile, prendono senz’alcun criterio uomini volgari e li pongono a capo di interessi tali per cui il Figlio unigenito di Dio non si peritò di deporre la sua gloria e farsi uomo, d’assumere la forma di schiavo, d’essere sputacchiato e flagellato, e di morire della morte più ignominiosa? Né si arrestano qui, ma aggiungono altre irregolarità più assurde; poiché non solo ammettono gl’indegni, ma ne discacciano gli idonei: come se fosse necessario che dall’una e dall’altra parte venga rovinata la sicurezza della Chiesa, o come se non bastasse il primo motivo per accendere lo sdegno di Dio, così ne aggiungono un secondo non meno tristo; ché mi parve cosa egualmente funesta tanto l’escludere gli idonei, quanto lo spingere dentro gli inetti: e ciò avviene affinché il gregge di Cristo non possa trovare sollievo da alcuna parte, né possa in alcun modo respirare. Tali cose non sono degne di mille fulmini? o non sono meritevoli d’una geenna più violenta, e non solo di quella a noi minacciata? Ma ciò non ostante si trattiene e sopporta tali iniquità "Colui che non vuole la morte del colpevole, bensì che si converta e viva" (Ez. 23,23). Chi può adeguatamente ammirare la di lui mitezza? come degnamente esaltarne la misericordia? T seguaci di Cristo corrompono le istituzioni di Cristo più dei nemici e degli avversari suoi, ed egli buono, si mostra ancora benigno e chiama i colpevoli a ravvedimento; gloria a te, o Signore, gloria a te quale abisso di benignità in te? quale copia di longanimità? quelli che per il tuo nome da volgari e ignobili sono divenuti nobili e cinti d’onore, usano dell’onore contro chi ne li ha rivestiti e osano audacie inaudite, e imperversano contro le cose sante, allontanando e scacciando i degni, affinché i malvagi possano con tutta calma e con piena impunità mettere sottosopra ogni cosa che loro aggrada. E se vuoi apprendere le cause di questo male, le troverai simili a quelle prima addotte, ché

Page 40: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

40

hanno tutte una sola radice, e come taluno direbbe, madre, la gelosia; esse poi non sono d’una stessa specie, ma differiscono fra loro. Questo, dice uno, sia scacciato perché è giovane; quest’altro perché non sa adulare; quell’altro perché cadde in disgrazia del tale; quell’altro, per non far dispiacere al tale, qualora vedesse rifiutato il suo protetto e approvato costui; quest’altro poi perché è affabile e moderato, quest’altro ancora perché è temuto dai colpevoli; quest’altro per altro motivo, ché non esitano a trovare pretesti quanti ne vogliano, e qualora non n’abbiano altro, adducono quello del gran numero dei sacerdoti, asserendo non doversi in massa elevare a questa dignità, ma con calma e a poco a poco; e possono trovare quante altre cagioni vogliono. Or mi piace chiederti a questo punto: Che deve fare il vescovo contrariato da tali venti opposti? come starà fermo fra tanto ondeggiare? come respingerà tutti questi assalti? Ché se disporrà la bisogna con retta riflessione, tutti si dichiarano nemici e avversari a lui ed agli eletti, e ogni cosa faranno per animosità contro di lui, suscitando rivolte ogni giorno e infliggendo mille insulti agli eletti, finché o gli abbiano deposti o abbiano fatto luogo ai loro raccomandati. Accade come quando un pilota avesse nella nave che varca Tacque, dei pirati insieme naviganti e insidianti senza posa e in ogni istante a lui, ai marinai e agli altri viaggiatori: e se anteporrà il riguardo verso di quelli alla sua propria salvezza, accogliendo chi non dovrebbe, avrà Dio nemico invece ch’essi, del che qual cosa v’è più tremenda? e d’altra parte i rapporti con loro gli si faranno più difficili di prima, prestandosi tutti reciprocamente soccorso e rendendosi per tal guisa più forti. E come quando, per venti impetuosi scatenatisi da parti opposte, il mare fin allora tranquillo, d’improvviso infuria, si solleva e travolge i naviganti; così la pace della Chiesa quando accolga nel suo seno uomini corruttori, si riempie di procella e di molti naufragi.

XIV. Pensa pertanto quale deve essere colui che ha da andar incontro a sì gran tempesta e cavarsela bene da sì forti ostacoli, opposti a ciò che sarebbe di vantaggio comune: deve essere insieme serio e non altezzoso, temuto e accondiscendente, imperativo e popolare, imparziale e cortese, umile e non servile, forte e dolce, affine di poter combattere con buon esito contro tutte queste difficoltà. Si deve far avanzare con molta fermezza, anche se tutti s’opponessero, il candidato idoneo, e quegli che non è tale, con la stessa fermezza e anche se tutti cospirino contro, non promuoverlo, ma aver di mira una cosa sola, cioè l’edificazione della comunità ecclesiastica, né alcuna cosa compiere per simpatia o per animosità. Ti par dunque che io mi sia ritirato con buona ragione da questo ufficio e da questo ministero? ma tuttavia non t’ho ancora esposto tutto; ho altro da dirti: però ti prego, non stancarti di tollerare che un tuo amico e familiare voglia farti persuaso intorno a ciò di cui lo accusi. Ché tali cose non sono soltanto utili per la difesa che tu avrai a far di me, ma anche per il disimpegno dell’ufficio stesso ben presto ti saranno di non lieve giovamento. È necessario che chi s’incammina per questa carriera di vita, quando abbia prima ben indagato ogni cosa, allora solo s’accinga al ministero; e per qual motivo mai? perché se non altro non gli toccheranno amare sorprese quando si trovi a tali incontri, se già di tutto avrà chiara nozione.

Governo delle vedove e difficoltà che presenta. Cura degli ospiti e degli infermi. Responsabilità del vescovo come amministratore

Vuoi dunque ora che io tratti prima del governo delle vedove, o della sollecitudine per le vergini, o della difficoltà che presenta la parte giudiziaria? Ché in ognuna di queste bisogne diversa é la preoccupazione, e più grande che la preoccupazione é il timore. E per principiare da quella parte che si crede essere più facile delle altre, la cura delle vedove sembra non arrecare altre brighe a chi se ne occupa, se non quelle riguardanti le spese necessarie; ma non é così; anche qui c’è bisogno di lungo esame, quando si tratta di accoglierle, perché l’ascriverle senza criterio e a casaccio, ha

Page 41: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

41

prodotto innumerevoli mali. Talora infatti esse hanno mandato in malora le case, violato i matrimoni; spesso si sono infamate con furti, con frodi e col perpetrare altre simili iniquità; ora il mantenere tali soggetti a spese della Chiesa, provoca punizione da parte di Dio e i peggiori biasimi da parte degli uomini, mentre poi rende più restii quelli che sarebbero disposti a beneficare. Chi sopporterebbe infatti che i beni che egli aveva deciso di dare a Cristo, siano dissipati in pro di quelli che disonorano il nome di Cristo? Bisogna quindi fare lunga e diligente indagine, affinché non danneggino la mensa delle indigenti non solo quelle dette di sopra, ma né anche quelle che sono in grado di provvedere al proprio sostentamento. Dopo questa ricerca, sopravviene altra briga non piccola, per far sì che il loro nutrimento scorra abbondante come da sorgenti, né si esaurisca mai: l’indigenza forzata è una miseria in certa guisa insaziabile, querula e sconoscente; si richiede grande sagacia e grande diligenza per chiudere loro la bocca, togliendo qualsiasi pretesto di accusa. Ora molti, appena vedono un tale che sia superiore all’avidità di ricchezza, subito lo designano come idoneo a quest’amministrazione; ma io non credo che gli possa bastare tale magnanimità; questa si richiede bensì prima d’ogni altra dote (ché senza di ciò egli sarebbe un flagello anziché un protettore, e un lupo anziché un pastore), ma insieme con questa conviene cercare se ne possieda un’altra; quest’altra, che è causa d’ogni bene per gli uomini, è la longanimità, che guida l’anima ormeggiandola in porto tranquillo. Il ceto delle vedove, per la indigenza, per l’età e per la sua stessa natura, dimostra una certa smodata indiscrezione, è meglio dir così, onde gridano fuor di luogo, menano querele invano, si rammaricano per cose di cui dovrebbero saper grado, accusano di cose alle quali era invece da far buon viso: e il reggitore deve tollerare tutto con fortezza, senza perdere le staffe né per le noie intempestive, né per gli irragionevoli biasimi; è giusto commiserare quel ceto per i disagi propri della sua sorte, anziché rampognarlo, ché l’accrescere il peso delle loro sventure e aggiungere all’ambascia dell’indigenza anche quella del maltrattamento, sarebbe estrema crudeltà. Onde un tale sapientissimo uomo, guardando l’avidità e l’alterigia propria della natura umana e avendo appreso che l’indole della povertà é così terribile da abbattere anche l’anima più generosa e indurla spesso a mostrarsi sfacciata nel richiedere le stesse cose, affinché taluno non monti in ira per esser da altri supplicato né per le continue richieste infastidito, diventi avversario quegli che doveva recare loro soccorso, lo dispone a mostrarsi accessibile al bisogno, dicendo: "Piega il tuo orecchio al povero senza infastidirti e rispondi a lui con pacata mansuetudine" (Eccl. 4,8). Lasciando da parte il cercatore importuno e che potrebbe dire a chi giace nella miseria? parla a chi é in grado di sopportare la debolezza di quello, esortandolo a sollevare il povero con la dolcezza dello sguardo e l’affabilità della parola, prima di porgergli la limosina.

Larghezza e buone maniere nel beneficare

XV. Che se poi alcuno si astenga bensì dall’appropriarsi i beni destinati a quelle, ma le copra di innumerevoli contumelie, le insulti e monti in furia contro di esse, non solo non avrà alleviato la confusione che loro ispira la povertà, col largire soccorsi, ma avrà cagionato loro un maggior affanno con i maltrattamenti. Ché sebbene, spinte dalla necessità del ventre, esse diventano assai impudenti, non ostante ciò soffrono a queste maniere violente; quando adunque per l’urgenza della fame sono necessitate a chiedere, e col chiedere s’inducono a comportarsi sfrontatamente, indi per la loro sfrontatezza vengono coperte di rimproveri, allora un molteplice peso di abbattimento apportatore di densa tenebra, si stende su l’anima loro. Chi si occupa di loro dovrà quindi essere tanto longanime, non solo da non accrescere la loro confusione con modi irritati, ma anche da attutire la maggior parte di quella che hanno già, con parole di conforto. Poiché, come chi godendo di grande abbondanza, se riceve insulto non sente la comodità che arreca il possesso delle sostanze per il colpo dell’offesa ricevuta; così quegli che ascolta parole affabili e che accetta l’offerta

Page 42: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

42

accompagnata da una voce confortatrice, si rallegra maggiormente e gioisce, e il soccorso a lui largito gli si duplica per le buone maniere onde è porto. E queste cose non dico da me stesso, ma secondo colui che ha fatta la prima esortazione: "Figlio, dice, nel beneficare non recare vituperio, e in ogni dono non recare dolore con le tue parole; non forse la rugiada lenirà l’arsura? così é migliore la parola che il dono. Ecco che la parola é al di sopra della buona largizione e l’una e l’altra sono presso l’uomo che gode fama di giusto" (Eccl. 18,15-17). Né solo giusto e longanime dev’essere chi soprintende alle vedove, ma non deve esser da meno come amministratore; il che se manchi in lui, trarrà a non minor rovina le sostanze dei poveri. Già taluno cui fu affidato questo ministero e che aveva radunato molto oro, non se lo divorò lui, ma neppur lo spese a vantaggio dei bisognosi, tranne di pochi; la maggior parte ripose e conservò fino a che sopraggiunto il tempo perverso, lo abbandonò nelle mani dei nemici. C’è bisogno dunque di molta previdenza, si da non prodigare né lesinare le provvigioni della Chiesa, ma distribuire subito ai poveri le somme offerte e radunare i tesori della Chiesa a norma delle intenzioni dei sudditi. Inoltre l’accoglienza degli ospiti e la cura degli infermi, qual dispendio di denaro non credi tu che richiedano, quale sollecitudine e prudenza da parte di chi ne é incaricato? le spese che tali bisogne richiedono non sono affatto minori di quelle di cui ho detto poc’anzi; spesse volte di necessità sono anche maggiori: onde chi vi soprintende dev’essere sagace nel procurare con circospezione e assennatezza, in guisa da disporre i proprietari a largire i loro beni con zelo e senza rammarico, per non danneggiare le anime dei donatori mentre provvede al sollievo degli infermi. Più ancora conviene qui far prova di longanimità e serietà; perché i malati sono una classe di difficile contentatura e d’animo debole; onde se non si circondano da ogni parte di premura e di sollecitudine, basta anche quella piccola trascuratezza per cagionare all’infermo grande tristezza.

Governo e cura delle vergini. Sollecitudini e ansie che ne derivano al vescovo e al sacerdote che ne é incaricato

XVI. Riguardo poi alla cura delle vergini é tanto più grande il timore quanto più eccellente é l’oggetto e quanto più regale é questo atto in confronto degli altri; invero anche nella schiera di queste sante persone si sono già introdotti numerosissimi soggetti ripieni di innumerevoli mali; onde é maggiore in questo caso l’affanno. Or come non é eguale cosa se cada in fallo una fanciulla libera o la sua ancella, così anche v’è differenza fra la vergine e la vedova. Per queste ultime infatti é cosa indifferente il far leggerezze, l’ingiuriarsi a vicenda, l’adulare, il mostrarsi sfrontate, l’apparire dappertutto e gironzolare per la piazza; ma la vergine si é disposta a più alto certame ed é emula d’una più alta filosofia; professa di mostrare sulla terra la condizione degli angeli e si propone di effettuare, pur circondata di questa carne, le virtù proprie delle potenze incorporee; onde a lei non s’addice il far lungi e escursioni, né le si permette di affastellare parole inutili e vane; di contumelie poi e di adulazioni non deve conoscere neppure il nome; per queste ragioni essa ha bisogno di più accurata custodia e di maggior soccorso, ché il nemico della santità sempre più fiero le fronteggia e assedia, pronto, se taluna vacilli e cada, a ingoiarsela; molti poi sono gli uomini insidiatori, e a tutto ciò s’aggiunge l’imperversare della natura; onde debbono schierarsi contro doppio ordine di nemici: quelli che assalgono all’esterno e quelli che agitano nell’interno. Grande pertanto é il timore di chi vi presiede, maggiore ancora il pericolo e l’affanno se talvolta (ciò che non accada mai) gli venisse commesso qualche fallo involontario. Ché se "la figlia rinchiusa toglie il sonno al padre" (Eccl. 42,9) e l’ansia a riguardo di lei lo tiene sveglio, sì grande essendo il timore ch’essa non rimanga sterile, o che trapassi l’età buona, o che sia disamata dal suo fidanzato; quale fiducia avrà colui che ha da affannarsi non per questi motivi, ma per altri di questi assai maggiori? Qui non l’uomo viene tradito, ma lo stesso Cristo; né la sterilità genera solo infamia ma il danno di

Page 43: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

43

essa finisce con la rovina dell’anima. "Ogni albero, dice, che non fa buon frutto, viene tagliato e gettato sul fuoco" (Mt. 3,10); e quando sia odiata dallo sposo non basterà prendere il libello di ripudio, e andarsene, ma s’avrà in pena dell’odio la punizione eterna. Inoltre il padre carnale ha molti mezzi che gli rendono agevole la custodia della figlia: v’è la madre, la nutrice, lo stuolo delle ancelle; la sicurezza della casa poi viene in aiuto al genitore per la custodia della vergine. Non le si permette di uscire continuamente in piazza, né qualora vi si rechi é necessitata a mostrarsi ad alcuno di quelli che s’incontrano con lei, giovando l’oscurità della sera non meno delle mura domestiche, per velare colei che non vuol farsi vedere; s’aggiunga a tutto ciò ch’essa é libera da ogni causa che la potrebbe forzare a mostrarsi in presenza d’uomini, perché né la sollecitudine delle cose necessarie né le macchinazioni degl’iniqui, né altro simile motivo la costringe a questi incontri, avendo essa il padre che s’occupa in vece sua di tutte queste faccende. Perciò ella non ha che una sola preoccupazione, di non fare né dire alcuna cosa indegna del decoro proprio del suo stato. Qui invece molte cause rendono al padre difficile, anzi persino impossibile la custodia; egli non potrebbe tenerla rinchiusa insieme con lui, ché tale coabitazione non é né conveniente, né priva di pericoli; se anche essi non ne soffrono danno e perdurano nel serbare intatta la santità loro, tuttavia per le anime che hanno scandalizzate, avranno a rendere non minor conto che se avessero peccato insieme. Or non essendo ciò possibile, non torna facile né anche l’intuire i moti dell’anima, né reprimere quelli che si agitano sregolatamente e coltivare sempre più quelli composti e ordinati e guidarli al meglio; né torna agevole il sistemare le uscite. La povertà e la mancanza di protezione non gli permettono d’essere diligente indagatore della decenza che loro si conviene; infatti quando la vergine é costretta a provvedere da se stessa a ogni sua necessità, ha molti pretesti per uscirsene in giro, qualora voglia far disordini; ci vuole pertanto qualcuno che imponga loro di rimanere sempre e in casa e tolga di mezzo simili occasioni, procurando loro sia la sufficienza del necessario sia una persona la quale presti loro servizio per questi bisogni; é d’uopo anche impedirle di recarsi ai funerali e alle vigilie; perché quell’astuto serpente sa spargere il suo veleno anche fra le opere buone, onde bisogna che la vergine se ne stia trincerata e poche volte in tutto l’anno esca fuori di casa, quando motivi imprescindibili e urgenti ne la costringano.

Che se taluno dicesse non esservi affatto bisogno che il vescovo compia direttamente alcuno di questi uffici, sappi bene che le preoccupazioni e i biasimi riguardo a ciascuno d’essi si rivolgono sempre a lui. E’ molto meglio ch’egli disimpegnando da se stesso ogni faccenda eviti le accuse che è giocoforza sopportare in grazia de’ falli altrui, piuttosto che scaricandosi del ministero, paventare le punizioni dovute a ciò che altri ha commesso. Inoltre colui che esercita da se stesso queste cariche, compierà ogni cosa con molta agevolezza, mentre invece chi ha da far ciò dopo d’aver persuaso la volontà di tutti, non riceve dall’aver rinunziato a far da sé un sollievo corrispondente alle noie e agitazioni cagionategli dai contraddittori e da quelli che si opporranno alle sue decisioni. Ma non potrei enumerare tutte le preoccupazioni relative alle vergini; già quando si tratti di iscriverle esse arrecano brighe non ordinarie a chi é incaricato di questa amministrazione.

Difficile compito dell’amministrare la giustizia con imparzialità. Pericoli che possono presentarsi al vescovo per la suscettibilità delle varie classi di persone a cui deve usare cortesia.

XVII. La parte poi che riguarda i giudizi arreca infiniti pesi, grande fatica e tali difficoltà, quali non incontrano neppure i giudici dei tribunali civili. Ché difficile é trovare il giusto, e che colui che lo trova non lo corrompa. Né solamente fatica e difficoltà, ma vi si incontra pure non lieve pericolo; già taluni dei più deboli essendo stati coinvolti in processi, né trovando protezione, finirono per naufragare nella fede. Poiché molti offesi non meno degli offensori detestano chi non li soccorre, e

Page 44: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

44

non vogliono considerare né l’intricatezza delle questioni, né la tristezza delle circostanze, né la dignità ecclesiastica: sono giudici inesorabili che conoscono una sola difesa, cioè la liberazione dai malanni da cui sono oppressi; chi non é in grado di loro fornirla, anche se adduca mille ragioni non sfuggirà in alcun modo alla loro condanna. E poiché ho parlato di protezione, ti svelerò un altro motivo di biasimi: se colui che occupa la carica episcopale non va ogni giorno in giro per le case come un vagabondo, ne vengono indicibili malcontenti. Non solo gli ammalati, ma anche i sani vogliono esser visitati, indotti a ciò non da riverenza, ma piuttosto per pretesa d’onore e di considerazione. Che se per l’urgenza di qualche bisogno e a vantaggio della comunità ecclesiastica gli accada di visitare più assiduamente alcuno dei più ricchi e potenti, subito gliene verrà taccia di servilismo e di adulazione. Ma che parlo io di protezione e di visite? anche solo dal modo di salutare sopportano tal peso di accuse da esserne sovente oppressi e abbattuti per lo scoraggiamento; persino degli sguardi hanno da rendere ragione; molti poi sottopongono a rigoroso esame ciò che quelli fanno ingenuamente, indagano sul tono della voce, sull’espressione degli occhi, sulla misura del sorriso: "al tale, dicono, ha rivolto il discorso con sorriso marcato, con aspetto giulivo e voce sonora; a me invece guardò poco e trascuratamente"; e se quando parla e molti stanno seduti insieme con lui, non porta l’occhio in giro da ogni lato, una parte di loro se ne adonterà come d’un insulto.

Chi dunque se non assai forte, potrà resistere a tali accusatori sia per sfuggire a ogni loro imputazione, sia per purgarsene dopo che gli fu inflitta? per vero bisognerebbe non aver affatto accusatori; ma se ciò é impossibile, almeno bisognerebbe poter liberarsi dalle loro accuse; che se anche ciò torna difficile e taluni si dilettano nel muovere querele, allora bisogna resistere fortemente all’abbattimento che ne deriva. Più facilmente sopporterebbe l’accusatore chi fosse incolpato per giusto motivo; ché non essendovi giudice più fiero della coscienza, quando siamo sopraffatti da questo che é più terribile, sopportiamo più facilmente quelli esterni che sono più benigni. Ma colui che non ha a rimproverarsi alcuna colpa, qualora venga accusato senza cagione si eccita tosto a sdegno e si abbatte facilmente nello scoraggiamento, se prima non si sia esercitato a sopportare le noie del volgo; ché non é possibile che uno falsamente accusato e condannato non si conturbi e non soffra qualche cosa per tanta iniquità.

Ma chi direbbe poi le afflizioni che debbono soffrire quando sia necessario espellere qualcuno dalla comunità ecclesiastica? e fosse pure che il male consistesse solo nell’afflizione l ma v’è anche non poca rovina; poiché v’è timore che punito oltre i giusti limiti quegli patisca ciò che fu detto dal beato Paolo, e venga assorbito da eccessivo dolore. Onde anche qui occorre gran diligenza affinché un mezzo di giovamento non diventi per lui occasione di un danno maggiore. Come un medico che non avesse inciso convenientemente la ferita, egli subirà in comune l’ira di Dio, eccitata da ciascuna delle colpe che quegli commetterà dopo una simile cura. Or quali punizioni dovrà attendersi, quando uno non deve solo rendere ragione delle mancanze da lui commesse, ma trovasi esposto a estremo pericolo anche per i falli altrui? Che se dovendo dar conto delle nostre proprie mancanze noi paventiamo di non poter sfuggire a quel fuoco, che cosa dovrà aspettarsi di soffrire chi avrà a difendersi da tante colpe? Che poi ciò sia vero, odi il beato Paolo che lo dice, o piuttosto non lui ma Cristo che in lui parla: Ubbidite ai vostri capi e assoggettatevi a loro perché essi vegliano sulle anime vostre come quelli che hanno da renderne conto. È questo dunque un lieve timore? non è possibile affermarlo. Ma tutte queste cose bastano per convincere anche i più increduli c ‘restii, che io ho deciso quella fuga non perché accecato da arroganza e vanagloria, ma solo perché temevo di me stesso e per riguardo alla maestà dell’ufficio.

Page 45: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

45

Libro quarto

Intermezzo II. Alla osservazione di Basilio, che Giovanni non ha sollecitato la dignità, questi risponde, con esempi e similitudini, che anche chi non ha brigato per essere eletto é responsabile di ogni deficienza ed errore in cui avesse a cadere

I. Udite queste cose Basilio stette alquanto sopra pensiero, indi: "Ma questo tuo timore, disse, avrebbe ragion d’essere se tu ti fossi adoperato per ottenere questa dignità; colui infatti che col brigare per ottenerla dichiara d’essere idoneo al disimpegno dell’ufficio, se commette errori dopo che gli fu affidata, non potrà ricorrere al pretesto della sua inesperienza, poiché egli già prima si privò di questa difesa, col correre avanti e coll’afferrare il ministero; né chi spontaneamente e di propria volontà vi si sobbarcò, potrà poi dire: "Ho fatto questo sbaglio senza volerlo; contro mia volontà ho pervertito quel tale". Ché colui che avrà da giudicare questa causa, gli dirà: "E come mai, conoscendo quella tua inesperienza, e non avendo tu senno sufficiente per dar mano a quest’arte senza far sbagli, ti adoperasti per sobbarcarti e osasti intraprendere opere superiori alle tue forze? chi vi ti obbligava? chi vi ti trascinò a forza mentre tu resistevi e fuggivi?". Ma tu non ti sentiresti certamente dire alcunché di simile; né tu avresti da fare a te stesso qualche rimprovero di tal genere; é a tutti palese infatti che non hai sollecitato né molto né poco quell’onore, ma altri ti procurava la promozione; onde appunto ciò che toglie a quelli il perdono delle eventuali colpe, fornisce a te un saldo fondamento di difesa.

A queste parole io scuotendo il capo e un poco sorridendo, mi stupii della sua semplicità, indi soggiunsi: "Ben vorrei io pure che le cose stessero così come tu dici, o incomparabile uomo fra tutti, e non già per poter assumere quello a cui sono sfuggito. Ma quand’anche niuna pena mi fosse riservata per aver governato il gregge di Cristo a casaccio e senz’esserne capace, mi sarebbe tuttavia peggiore d’ogni castigo il dover io, incaricato di uffici tanto grandi, apparire così miserabile al cospetto di Colui che me li aveva affidati. E per qual motivo bramerei io che questa tua opinione non fosse priva di fondamento? certamente perché fosse dato a quei miseri (ché così hanno da chiamarsi quelli che non riescono a disimpegnare lodevolmente quest’incarico, anche se mille volte tu vada dicendo che vi furono trascinati per forza e che peccano involontariamente) perché fosse dato a costoro di sfuggire a quel "fuoco inestinguibile, alla tenebra esteriore, al verme imperituro, all’essere separato e perire insieme con gli ipocriti" (Mt. 24,51); ma che? non é così, non é così! e ti proverò se ti piace, la verità di ciò che dico, con l’esempio del principato, la cui eccellenza presso Dio non é sì grande quanto quella del sacerdozio.

Esempi di Saul, Eli, Mosè

II. Quel Saul figlio di Cis, non diventò re per esservisi adoperato, ma muovendo in cerca delle asine, si recò dal profeta per chiederne novelle e quegli allora gli fece parola del regno; e nemmeno così egli si spinse avanti, pur avendone udito parlare da un profeta, ma se ne ritraeva e vi s’opponeva dicendo: "Chi sono io, e quale é la casa di mio padre?" (1Re 9,21). Ma che? avendo egli malamente usato dell’onore accordatogli da Dio, valsero forse quelle sue parole a sottrarlo allo sdegno di colui che gli aveva conferito la regia potestà? E ben poteva egli dire a Samuele quando lo rimproverava: "Forse accorsi io spontaneamente alla dignità regia? o forse da me stesso mi vi spinsi sopra? io volevo pur vivere la vita inerte e quieta dei privati, tu invece mi trascinasti a questo onore; ma Se io mi fossi rimasto in quell’umile stato, avrei agevolmente evitate queste colpe, ché essendo io uno del volgo e oscuro, non sarei stato mandato a quest’impresa, né Dio m’avrebbe affidata la

Page 46: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

46

guerra contro gli Amaleciti; non essendone incaricato, non sarei mai caduto in questa colpa". Ma tutto ciò é insufficiente alla difesa, né solo è insufficiente, ma anche pericoloso, e tale da sempre più accendere lo sdegno di Dio. Colui che fu onorato oltre il suo merito, non deve già addurre la grandezza dell’onore a discolpa dei suoi falli, ma invece valersi della sollecitudine di Dio a suo riguardo come d’uno stimolo a maggior perfezione. Chi crede a sé lecito peccare per aver toccato in sorte un onore più grande, altro non fa se non additare la benignità di Dio come cagione delle proprie colpe, come hanno costume di dire sempre gli empi e quelli che sogliono governare trascuratamente la propria vita. Noi non dobbiamo comportarci così, né dobbiamo cadere nella loro pazzia, ma dobbiamo in tutto aggiungere l’opera nostra secondo le nostre forze, e retta serbare la lingua e il pensiero. Neppure Eli (per venire ora al nostro argomento, cioè al sacerdozio, lasciando da parte il principato) si adoperò per acquistare il potere, ma che gli giovò questo, quand’ebbe prevaricato? Che dico acquistare? per la necessità della legge, non avrebbe nemmeno potuto sfuggirlo se avesse voluto; poiché egli apparteneva alla tribù di Levi e gli era gioco forza assumere la potestà che gli veniva dall’alto per via degli antenati; eppure anch’egli subì non piccola pena per le crapule dei suoi figli. Ma che? quegli stesso che fu il primo sacerdote degli Ebrei e del quale tante cose disse il Signore a Mosè, poiché non fu capace di resistere da solo contro la stoltezza di tanta moltitudine, non andò forse vicino alla rovina, se la protezione del fratello non avesse rimosso lo sdegno di Dio? E dacché ho ricordato Mosè, é opportuno mostrare la verità del mio assetto anche dalle vicende a quello occorse. Quello stesso beato Mosè era tanto lungi dall’usurpare il dominio sugli Ebrei, che lo ricusò anche quando gli fu conferito; e imponendogli Dio di accettarlo, si oppose a tal segno da muovere all’ira chi ne lo investiva; né solo allora, ma anche in seguito mentre esercitava il potere, sarebbe morto volentieri per esserne esonerato: "Fammi morire, dice infatti, se vuoi fare a me in tal guisa" (Nm. 11,15). Ebbene? Quando egli ebbe peccato all’acqua, valsero forse questi reiterati rifiuti a difenderlo e a muovere Dio a perdonargli? e per qual altro motivo fu privato della terra promessa? per nessun altro motivo, come tutti sappiamo, che per questo peccato, per il quale quel mirabile uomo non poté ottenere ciò che ottennero i suoi sudditi, ma dopo le molte fatiche e angustie, dopo quell’indicibile errare, le guerre e i trofei, morì fuori dalla terra per la quale aveva durato tutti quei travagli; e dopo aver sostenuto i pericoli del pelago, non godette i vantaggi del porto. Vedi come non solo a quelli che usurpano questo potere, ma anche a quanti vi giungono per opera altrui, non. rimane alcuna difesa dei falli in cui sono caduti? E per vero, mentre costoro, che sebbene investiti da Dio della dignità vi si rifiutarono ripetutamente, nondimeno subirono sì grave pena, e nulla valse a sottrarre da tale pericolo né Aronne, né Eli, né quell’uomo beato, quel santo, quel profeta, quel mirabile e mansueto fra tutti gli uomini della terra e che parlava a Dio come a un amico; difficilmente a me che tanto sono lungi dalla virtù di quello, potrà servire di difesa la consapevolezza di non aver per nulla sollecitato questa carica; tanto più quando molte di queste ordinazioni avvengono non per impulso della grazia di Dio, ma per l’opera di uomini. Dio aveva pur scelto Giuda, l’aveva collocato in quella santa schiera e gli aveva conferita insieme cogli altri la dignità apostolica, anzi, a lui aveva dato qualcosa di più che agli altri, cioè l’amministrazione del denaro. Ebbene? poi ch’ebbe usato di queste due prerogative contrariamente allo scopo, tradendo Colui ch’era stato incaricato di predicare e rovinando malamente i beni di cui gli s’era affidata l’amministrazione, forse che sfuggi alla pena? anzi, per ciò appunto si procurò un castigo maggiore; e ben a ragione. Ché non si deve usare degli onori che Dio conferisce, per offenderlo, sebbene per maggiormente compiacerlo. Che se altri, per essere stato maggiormente onorato, stimasse giusto per questo di sfuggire la pena quando gli fosse dovuta, farebbe lo stesso di qualcuno degl’infedeli Giudei, il quale udendo Cristo che dice: Se non fossi venuto né avessi parlato loro, non sarebbero colpevoli, e: "Se non avessi operato fra loro tali prodigi quali nessun altro operò, non sarebbero colpevoli" (Gv. 12,6), rimproverasse il Salvatore e Benefattore dicendo: "E perché sei tu

Page 47: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

47

venuto e hai parlato? perché compiesti quei prodigi, per aver poi a punirci più fortemente?". Queste sarebbero certamente parole da pazzo e da delirante furioso; ché il medico non venne già per condannarti ma piuttosto per curarti e liberarti completamente dalla tua infermità: tu invece spontaneamente ti sottraesti alle sue mani; or dunque abbiti più aspra la pena. A quel modo che cedendo alla cura ti saresti liberato anche dai malanni anteriori, così se tu fuggi il medico quando ti s’avvicina, non potrai più detergerti da questi, e non potendolo subirai la pena di essi e dell’aver resa vana la sua cura, per quanto dipendeva da te. Onde non sosteniamo eguale giudizio da Dio prima di essere onorati e dopo aver ricevuto gli onori, ma molto più severo dopo, ché colui che non diventò migliore in seguito ai benefici ricevuti, é giusto che sia più duramente punito. Or dunque, poi che a me appare insufficiente questa difesa e tale non solo da non salvare coloro che vi cercano rifugio, ma da esporli a maggior pericolo, fa d’uopo che tu mi mostri un altro scampo.

Se uno sa di essere inetto al ministero, deve sottrarsene, senza badare a riguardi personali

III. "E quale mai? poiché io non sono ormai in grado di governare me stesso, tanto m’hai reso trepidante e atterrito con queste tue parole".

"No, dissi io, te ne prego e te ne scongiuro, non voler tanto abbatterti; c’è senza dubbio lo scampo sicuro: per me debole esso consiste nel non mettermivi affatto; per te che sei forte invece, nel riporre la speranza in null’altro che, dopo la grazia di Dio, nel non fare nulla che sia indegno di questo dono né di Dio che lo largisce. Ché per certo sono meritevoli della massima punizione coloro che dopo aver raggiunta questa potestà dopo di averla sollecitata, ne fanno poi cattivo uso o per negligenza, o per malignità, o anche per inesperienza; ma non per questo é riservato alcun perdono a coloro che non trafficarono per conseguirla, ma anch’essi restano privi di qualsiasi difesa. Poiché fa d’uopo, mi pare, quand’anche moltissimi chiamino e sforzino d’accedervi, non badare a loro, ma saggiando anzitutto l’anima propria e ogni cosa diligentemente indagando, così poi acconsentire a quelli che spingono. Nessuno oserebbe assumersi l’amministrazione di una casa senz’essere amministratore; né alcuno s’accingerebbe a trattare i corpi malati essendo ignaro dell’arte medica; ma se pur fossero molti che lo spingessero a forza, vi s’opporrebbe, né arrossirebbe di palesare la propria incapacità; e chi ha da essere incaricato della cura di tante anime, non esaminerà prima se stesso, ma se pur sia il più inetto di tutti, accetterà il ministero, perché il tale glielo impone, o il tale ve lo sforza, o per non offendere il tale altro? E come non precipiterà se stesso insieme con quelli in un danno palese? potendo egli salvarsi da se stesso, rovina gli altri insieme con lui; donde potrà dunque sperare salvezza? donde ricevere perdono? chi intercederà allora per noi? forse quelli che ora vi ci sforzano e a forza ci trascinano? ma costoro stessi chi li salverà in quell’ora? anch’essi hanno bisogno d’altri per poter sfuggire al fuoco. E per persuaderti che ora dico ciò non per incuterti spavento ma al tutto secondo verità, ascolta ciò che dice il beato Paolo a Timoteo suo figlio adottivo e diletto: "Non ti fare fretta d’imporre le mani ad alcuno e non prendere parte ai peccati degli altri" (1Tim. 5,22); vedi da qual biasimo non solo, ma anche da qual castigo ho liberato, per quanto stava da me, quelli che volevano spingermi a questa carica? Però che, come agli eletti non servirà di sufficiente difesa il dire: non venni di mio arbitrio, ho accettato senza prevedere la mia mala riuscita; così neppure agli elettori può giovare qualche cosa, se dicano di non aver conosciuto l’eletto; ma appunto per questo diviene maggiore l’accusa, perché promossero chi non conoscevano, onde quello che si stimava servire di difesa, viene ad aggravare l’imputazione. Come non sarebbe strano infatti, che quelli che vogliono comperare uno schiavo, lo mostrino ai medici e richiedano persone garanti della compera, e interroghino i vicini, né si assicurino dopo tutto ciò, ma esigano un lungo tempo per farne la prova; mentre coloro che hanno

Page 48: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

48

da iscrivere alcuno a tanto ministero, senza fare alcun altro esame, ve lo aggiudichino agevolmente e senza badare, purché a taluno sembri bene designarvelo in grazia del favore o del disfavore altrui, tralasciando ogni altra ricerca? Chi intercederà allora per noi, quando gli stessi che dovrebbero perorare la nostra causa avranno essi pure bisogno d’intercessori?

Tanto l’elettore quanto il candidato devono ponderare con molta cura prima di scegliere o di lasciarsi eleggere. Il giudizio di Dio sarà severo per gli uni e per gli altri se avranno agito con leggerezza.

IV. Bisogna dunque che anche chi ha da imporre le mani, premetta accurata indagine, e ancor più deve farlo il consacrando; ché se egli avrà gli elettori partecipi del castigo, per le colpe in cui sarà caduto; non vi sfuggirà per altro egli stesso, bensì ne subirà uno maggiore: a meno che coloro che lo promossero abbiano così agito per qualche motivo personale, contrariamente a quanto sembrava loro retto. Perché se saranno colti in fallo per questo lato, e conoscendo un candidato come indegno, lo promossero per qualche pretesto, le proporzioni della pena saranno eguali anche per loro, e anzi, maggiori saranno a quelli che investirono del potere un indegno; ché se uno conferisce la potestà a chi s’accinge a rovinare la Chiesa, sarà egli colpevole dei danni da quello perpetrati. Se poi egli non avrà da rendere conto ad alcuno per queste colpe, ma dica d’essere stato ingannato dall’opinione del volgo, neppure in tal caso resta impunito, tuttavia subirà una pena alquanto minore di quella dell’eletto; e Perché? Perché é bensì probabile che gli elettori siano indotti a ciò ingannati dalla falsa opinione pubblica, ma l’eletto non potrebbe già dire: "Io non conoscevo me stesso" come altri potrebbero dire di non aver conosciuto lui; pertanto, siccome egli va incontro a più aspra punizione che quelli i quali ve lo promossero, così deve far l’esame di se stesso con maggior cura di loro, e quand’anche essi per ignoranza ve lo trascinassero, facendosi avanti deve esporre diligentemente le ragioni con le quali dissipi il loro inganno, e così, dimostrando se stesso indegno della promozione, sfuggirà l’incarico di sì gravi incombenze. Per qual motivo infatti, trattandosi di strategia o di navigazione o d’agricoltura o di altre professioni, il contadino non sceglierebbe di navigare, né il soldato di lavorare la terra, né il pilota di esercitare la milizia, quando pure si minacciassero di mille morti? certamente perché ciascun d’essi prevede il pericolo derivante dalla propria inesperienza; e frattanto useremo tanta previdenza là ove il danno versa intorno a interessi piccoli, né cederemo all’imposizione di chi ci sforza, e dove invece a quelli che mancando di capacità assumono il sacerdozio é serbata la pena eterna, trascuratamente e a casaccio ci sobbarcheremo al rischio, adducendo poi a scusa la violenza altrui? Per certo non lo sopporterà Colui che allora ci avrà da giudicare: giacché bisognava mostrare maggior fermezza riguardo alle cose spirituali che a quelle materiali; or invece saremo trovati a non aver nemmeno mostrata l’eguale. Dimmi infatti: se prendendo noi un tale per architetto mentre non lo fosse, lo chiamassimo all’opera, e quegli venendo e ponendo mano al materiale radunato per la fabbrica, mandasse in malora e legname e pietre, e costruisse l’edificio in guisa tale che presto rovini, basterà forse a sua difesa l’esservisi accinto per comando d’altri e non essersi proposto spontaneamente? Non basterà affatto, e ben a ragione e giustamente; ché ben doveva egli ricusare, non ostante che altri lo chiamassero. Or dunque, mentre niuna speranza di sfuggire la pena rimane a chi mandò in malora il legname e le pietre, colui che rovina le anime e governa malamente, crederà giovargli per essere assolto, l’esservi stato obbligato da altri? E come non sarebbe ciò molto ingenuo? e lascio che nessuno potrebbe venire obbligato, qualora non volesse. Ma soggiaccia pure egli a quanta violenza si voglia e a molteplici raggiri per esser fatto cadere; forse ciò lo libererà da pena? no, te ne prego, non inganniamoci fino a tal segno, né simuliamo di ignorare ciò che é palese persino ai piccoli fanciulli;

Page 49: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

49

ché non ci potrà giovare questa simulazione d’ignoranza, quando saremo chiamati a giudizio. Tu non brigasti per ottenere questa carica, conscio com’eri di tua debolezza: benissimo, ma bisognava che con la stessa intenzione t’opponessi a coloro che vi ti chiamavano; o forse tu eri debole e inetto solo fintantoché niuno ti chiamava, e come si trovò chi era disposto a conferirti l’onore, d’un tratto diventasti forte? ciò é ridicolo e insulso, e degno di gravissimo castigo. Per questo appunto il Signore esorta "colui che vuole edificare una torre, a non porre il fondamento prima d’aver computato le proprie sostanze, per non offrire ai presenti infiniti pretesti di scherno contro di lui" (Lc. 14,28). Per quello il danno si riduce alla derisione, qui invece la pena é il "fuoco inestinguibile, il verme imperituro, lo stridore dei denti, la tenebra esteriore e l’essere separato e collocato insieme con gli ipocriti" (Mt. 25,30).

La Chiesa é il corpo mistico di Cristo.

Ma i miei accusatori non vogliono saper nulla di tutto questo, ché diversamente avrebbero senza dubbio cessato di biasimare chi non vuol porsi inutilmente a rovina. Non ci é proposto l’esame circa l’amministrazione di frumento, né di biade, né di bovi e pecore, né di alcun’altra simile cosa, ma circa lo stesso corpo di Gesù. Poiché la Chiesa di Cristo, secondo il beato Paolo, é il corpo di Cristo; onde bisogna che quegli a cui esso é affidato, lo serbi in sanità e bellezza grandissima, d’ogni parte badando che né macchia né ruga né altra deformità abbia mai a distruggere quella bellezza e maestà: e che altro é ciò, se non far si che quel corpo appaia, per quanto può conseguirlo l’umana virtù, degno del purissimo e beato capo che vi sta sopra? Ché se quelli che bramano acquistare il vigore atletico hanno bisogno di medici e di maestri di ginnastica, di dieta accurata, di continuo esercizio e d’altre infinite cautele, potendo l’omissione, anche di piccole attenzioni, frustrare e rovinare ogni altra cura: quelli che sono sortiti a servire questo corpo, il quale deve scendere in giostra non contro altri corpi, ma con le potenze invisibili, come potranno serbarlo intatto e sano, se non superano di molto l’umana virtù e non conoscono perfettamente la cura adatta per l’anima?

Fine dell’intermezzo. II. Ripresa dell’argomento intorno alle virtù sacerdotali. eloquenza e magistero della parola. Necessità della parola per confondere gli eretici (nemici esterni) e le vane superstizioni (nemici interni).

V. O forse ignori che questo corpo soggiace a più malattie e insidie che la nostra carne, e che più presto di essa va in rovina e più difficilmente viene risanato? A quelli che curano gli altri corpi si offre varietà di medicine, diversi apparecchi meccanici e nutrimenti adattati agli infermi; spesso anche la natura del clima bastò da sola a ricondurre i malati a sanità; altra volta il sonno intervenendo a tempo debito, liberò il medico da ogni fatica. Qui invece non c’è da contare su alcuna di queste cose; una sola via e un sol mezzo di cura si offre, oltre le opere, quello cioè che é fornito dal magistero della parola. Questo é lo strumento, il cibo, la temperatura di clima più perfetta; questo fa le veci di medicina, di cauterio, di ferro; se occorra bruciacchiare o tagliare, di questo bisogna valersi, e ove esso manchi, farà pur difetto ogni altro rimedio. Con esso risvegliamo anche l’anima assopita e la ricomponiamo se diviene tumescente, tagliamo via il superfluo, riempiamo le lacune e compiamo ogni altra operazione opportuna per il benessere dell’anima. Per conseguire la miglior direzione della vita, giova la vita d’un altro che stimoli a emularla; ma qualora l’anima sia offesa per opera di falsi dogmi, v’è gran bisogno della parola, non solo per la sicurezza di quei di casa, ma anche per le guerre provenienti dal di fuori. Poiché se alcuno avesse la spada dello spirito e lo scudo della fede, tanto da poter compiere prodigi, e mediante i portenti chiudere la bocca agli sfrontati, forse non avrebbe alcun bisogno dell’aiuto della parola; o piuttosto, nemmeno

Page 50: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

50

allora tornerebbe inutile la virtù di essa, ma anzi molto necessaria; e per vero il beato Paolo se ne valse, sebbene dappertutto egli fosse ammirato per i suoi miracoli. E anche un altro dei membri di quel coro, raccomanda di adoperarsi a conseguire questa facoltà, dicendo: "Pronti sempre a dar soddisfazione a chiunque vi domandi ragione della speranza che avete dentro di voi" (1Pt. 3,15); tutti poi essi affidarono il governo delle vedove a Stefano ed a’ suoi compagni per nessuno altro motivo che per attendere al "ministero della parola" (At. 6,2). Certamente non con la stessa sollecitudine andremmo in cerca della parola se avessimo la potenza che deriva dai miracoli; ma se di quella potenza non rimane neppure la traccia, mentre da ogni parte insorgono molti e assidui nemici, non ci rimane che armarci di quella, sia per non esser colpiti dagli strali degli avversari, sia per colpirli alla nostra volta.

La Chiesa è come città mistica oppugnata da molti nemici

VI. Bisogna pertanto usare molta diligenza affinché la parola di Gesù Cristo abiti in noi abbondantemente; non dobbiamo star preparati per una sola specie di battaglia, ma questa guerra é molteplice e combattuta da differenti nemici; essi non usano tutti le stesse armi, né a uno stesso modo fanno forza contro di noi. Onde chi s’accinge a sostenere la guerra contro di tutti, deve conoscere le arti di tutti: essere al tempo stesso arciere e fromboliere, generale e capitano, soldato e comandante, pedone e cavaliere, combattente di flotta e di fortezza. Nelle guerre gli eserciti, attendendo ciascuno a una data operazione, respinge con questa gli assalitori; qui invece non accade così, ma se chi vuol vincere non conosce tutte le specie dell’arte, il diavolo é capace, anche per una parte sola che rimanga a caso trascurata, d’introdurre i suoi predoni e far strage delle pecore; ma non vi riesce, qualora sappia esservi un pastore fornito di ogni conoscenza e pienamente istruito delle sue insidie; bisogna pertanto ben munirsi da ogni parte. Fino a che una città si trova ben fortificata tutt’intorno, può ridersi dei suoi assedianti, rimanendosi in grande sicurezza, ma se si riesca ad aprire nel muro una breccia anche soltanto come una porticina, non le sarà più d’altro giovamento la sua cinta, sebbene in tutto il resto ancor intatta e forte. Così é della città di Dio: fin che la ricinge da ogni parte invece di muro la sagacia e la prudenza del pastore, ogni artificio dei nemici ridonderà a loro scorno e derisione, mentre gli abitanti se ne staranno dentro al sicuro; ma se alcuno riesca a farla cessare in qualche parte, pur non distruggendola interamente, rovina per così dire tutto il resto per causa di quella parte. E che sarà, se mentre [il pastore] sa destramente combattere contro i Gentili, facciano strazio di essa i Giudei? o se vinti questi due nemici, la saccheggino i Manichei; o se dopo aver superato anche costoro, i partigiani del fato uccidano le pecore dentro raccolte? Occorre forse numerare tutte le eresie del diavolo, alle quali se non sappia resistere accortamente il pastore, potrà il lupo anche con una sola di esse divorare la maggior parte delle pecore? Inoltre, i soldati d’un esercito debbono sempre attendersi la vittoria o la sconfitta da parte di oppositori e combattenti; qui invece succede molto diversamente; spesso infatti la battaglia rivolta contro altri, diede la vittoria a tali che non vennero a pugna al primo scontro, né durarono fatica alcuna, ma se ne stavano inerti e seduti. Accade anche talora, che uno non molto addestrato a simile gioco, trafitto dalla sua stessa spada, divenga ridicolo agli amici ed ai nemici. Per esempio cercherò di renderti palese anche con un caso particolare ciò che dico coloro che accolgono la follia, di Valentino e Marcione e quanti sono affetti dalla stessa infermità di quelli, rigettano la legge data da Dio a Mosè dal catalogo delle divine Scritture; i Giudei all’opposto la venerano a tal segno da ostinarsi a osservarla interamente, anche se l’età più non lo comporta e contrariamente all’insegnamento divino; la Chiesa di Dio invece, evitando l’eccesso degli uni e degli altri, s’attiene al giusto mezzo e non permette di soggiacere al giogo di essa, né soffre che sia disprezzata, ma ancorché abrogata la approva, per aver essa giovato a suo tempo. Or chi ha da opporsi agli uni e agli

Page 51: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

51

altri deve conoscere questa giusta misura; ché se volendo ammaestrare i Giudei mostrando loro che s’attengono intempestivamente alla legge antica, comincerà ad attaccarla smodatamente, porge non piccola presa a quegli eretici che vorrebbero lacerarla; se poi volendo chiudere la bocca a questi, prenda ad esaltarla oltre misura, ammirandola come se fosse necessaria anche al presente, eccoti che apre la bocca ai Giudei. Così pure quelli che sono presi dalla pazzia di Sabellio e quelli che partecipano la furia di Ario, per eccesso tanto gli uni che gli altri si dipartirono dalla sana fede; essi tutti sono detti Cristiani, ma chi ricerchi i loro dogmi troverà gli uni per nulla migliori dei Giudei, se non in quanto hanno diverso nome; gli altri molto somiglianti all’eresia di Paolo di Samosata, e lontani tutti dalla verità. Anche qui v’è gran pericolo, e la via é stretta e intricata, isolata d’ambo i lati da precipizi; e v’è non piccolo timore che mentre [il pastore] vuol sottomettere l’uno, non resti offeso dall’altro. Ché se uno proclama una sola divinità, tosto Sabellio trae la parola al suo perverso concetto; se poi la separa, dicendo il Padre distinto dal Figlio e dallo Spirito Santo, si fa innanzi Ario per ridurre a una diversità di sostanza la distinzione delle persone; bisogna invece evitare e fuggire tanto l’ampia confusione di quello, come la pazzesca separazione di costui, proclamando un’unica sostanza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e facendo rilevare le tre ipostasi distinte: così potremo bloccare le uscite agli uni e agli altri. Potrei dirti di molte altre difficoltà, contro le quali se uno non lotta con vigore e sagacia, se n’andrà coperto d’innumerevoli ferite.

Insidie provenienti dai membri stessi della comunità. Superstizioni e malignità

VII. Chi potrebbe poi enumerare i pettegolezzi di questi, di casa? essi non sono minori degli assalti di quei di fuori anzi danno maggior briga a chi ha l’incarico d’ammaestrare. Gli uni spinti da zelo indiscreto, si occupano senza criterio e inutilmente di ciò che non reca alcun vantaggio a chi l’apprende, né é d’altra parte possibile apprenderlo; altri chiedono ragione a Dio dei suoi giudizi, sforzandosi come di scandagliare un grande abisso; però che "i tuoi giudizi, dice, sono un abisso grande" (Sl. 36,6). Pochi poi troveresti che siano solleciti della fede e del retto vivere, la maggior parte invece occupati nel fare e ricercare quello che non si può trovare e trovato muove Dio a sdegno. Ché quando ci sforziamo d’apprendere ciò che Egli non ha voluto che noi conoscessimo, non riusciremo a saperlo (e come potremmo se Dio non lo vuole?) e ci sovrasterà unicamente il pericolo derivante dall’essere andati investigandolo. Ma pur stando così le cose, quando uno riesca con l’autorità a chiudere la bocca a quelli che cercano tali arcani impossibili a conoscersi, si buscherà la taccia d’arrogante e ignorante; onde anche qui bisogna andar molto cauti, sì che il reggitore si sottragga a questioni fuor di luogo, e nello stesso tempo sfugga alle sopraddette accuse. Per tutte queste difficoltà non c’è offerto altro aiuto che quello che viene dalla parola; se taluno é privo di questa forza, le anime degli uomini a lui soggetti saranno in condizioni non migliori di navicelle continuamente sbattute da tempesta, dico degli uomini più infermi e più curiosi; onde il sacerdote ha da porre in opera ogni mezzo per acquistarsi tale potenza.

Elogio di S. Paolo

VIII. "Or dunque, disse Basilio, perché Paolo non si curò di eccellere in questa virtù? egli non si vergogna della povertà di parola, ma confessa apertamente di essere idiota, e ciò scrivendo ai Corinzi, che erano ammirati per abilità di eloquio e ne andavano molto superbi".

"Questo, risposi, questo é ciò che rovinò molti e li rese più inerti nel magistero di verità; ché incapaci di indagare accuratamente la profondità dei concetti dell’Apostolo, e di penetrare il senso delle parole, consumarono tutto il loro tempo in letargo e fra sbadigli, coltivando questa idiozia: non

Page 52: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

52

già quella per cui Paolo chiama se stesso idiota, bensì un’altra da cui egli era tanto lontano quanto nessuno altro uomo che é sotto il cielo. Ma questo discorso ci aspetti al momento opportuno; frattanto io dico questo: poniamo pure ch’egli fosse per questo riguardo idiota, com’esci vogliono; orbene, che cosa importerebbe ciò per noi? Egli invero possedeva una forza molto più possente della parola e capace di operare molto maggior bene; ché al solo suo apparire, senza pur che parlasse, era tremendo per demoni; quelli d’adesso già non varrebbero a effettuare ciò che altra volta fecero i "semicinzi" (At. 19,12) di Paolo, quand’anche s’unissero insieme con infinite preci e lacrime. Col pregare, Paolo risuscitò i morti e operava tali altri portenti da essere creduto dai pagani una divinità; inoltre prima di uscire da questa vita fu fatto degno d’essere rapito fino al terzo cielo e intendere parole che alla natura umana non è permesso di udire. Quelli d’adesso invece (non posso dir nulla di disgustoso e offensivo, ché non parlo per inveire contro di loro, bensì per esprimere la mia ammirazione) come non rabbrividiscono paragonando se stessi ad un tale uomo? E se lasciando da parte i prodigi veniamo a considerare la vita di quel beato, e investighiamo la sua condotta angelica, in questa più ancora che nei miracoli, vedrai l’atleta di Cristo riportare la palma. Chi può degnamente dire del suo zelo e della sua moderazione, dei continui pericoli, delle cure costanti, degli incessanti affanni per le Chiese, del partecipare le infermità altrui, delle molte premure, delle straordinarie persecuzioni, e del morire ogni giorno? Qual parte del mondo, qual continente, qual mare non conobbe le fatiche di quel giusto? persino le lande disabitate lo conobbero e l’accolsero frequentemente in pericolo. Egli sofferse ogni sorte di insidie e riportò ogni genere di vittoria, né mai cessò di combattere e di riportare corone. Ma non so come m’indussi a vituperare quell’uomo: poiché i suoi pregi superano ogni parola, la mia poi di tanto, quanto i valenti parlatori mi vincono in eloquenza. Tuttavia anche così, ché quel beato non mi giudicherà dal risultato ma dall’intenzione, non mi tratterrò dal dire anche quello che supera di tanto il già detto, quanto egli supera tutti gli altri uomini. Che è ciò? dopo tante virtù dopo le innumerevoli corone, egli pregava di poter andare nella geenna e d’essere condannato alla pena eterna, perché si salvassero e si unissero con Cristo quei Giudei, che lo lapidarono e lo avrebbero anche ucciso se avessero potuto; chi amò Cristo fino a tal segno? seppure deve questo chiamarsi amore, o non forse qualcosa d’altro più grande che l’amore. E noi ci paragoneremo ancora a lui, dopo tanta grazia ch’egli ricevette dall’alto, dopo sì gran virtù da lui manifestata in se stesso? e qual maggiore audacia di questa?"

Eloquenza di S. Paolo

IX. E ora mi studierò anche di dimostrare che egli non era così idiota come quelli pensano. Essi invero chiamano idiota non solo chi non possiede la forbitezza dell’eloquenza pagana, ma chi neppure sa combattere per i dogmi della verità, e stimano rettamente: ma Paolo non disse già d’essere idiota sotto tutti e due questi aspetti, bensì sotto uno soltanto, e per confermarlo stabilisce chiaramente la distinzione, dicendo d’essere idiota nella parola, ma non nella conoscenza. Se io cercassi la levigatezza di Socrate, la maestà di Demostene, la gravità di Tucidide o la sublimità di Platone, in tal caso s’avrebbe da addurre quella testimonianza di Paolo; ma ora lascio da parte tutte quelle doti e tutto il superfluo adornamento dei pagani, né m’importa nulla della dicitura né dello stile: sia pur concesso d’aver povertà di frase e una combinazione di parole semplice e senza ricercatezza; soltanto nessuno sia idiota quanto a dottrina e a precisione di dogmi; né per palliare la propria indolenza sottragga a quel beato la maggiore fra le sue doti e quello che gli merita maggior lode.

S. Paolo cominciò il suo apostolato predicando e per mezzo della eloquenza ottenne i primi risultati

Page 53: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

53

Con qual mezzo infatti, dimmi, confuse egli i Giudei che abitavano in Damasco, mentre non aveva ancora incominciato a operare prodigi? con quale vinse gli Ellenisti? Perché fu mandato a Tarso? Non forse perché egli fu vittorioso con la parola e tanto gl’incalzava da provocarli persino a toglierlo di vita, non potendo sopportare in pace la sconfitta? eppure colà non aveva ancor cominciato a compiere miracoli; né alcuno potrebbe dire che la maggior parte lo ammirassero per la fama dei suoi portenti e che quelli che lo prendevano di mira fossero sgominati dalla riputazione ch’egli godeva, ché fino a quel punto egli vinceva unicamente con la forza della sua parola. Con qual mezzo combatté e venne a discussione in Antiochia contro i giudaizzanti? e quell’Areopagita originario di quella superstiziosissima città, non divenne forse suo seguace egli e sua moglie attratto unicamente dal suo discorso? ed Eutico, come cadde dalla finestra? non forse per aver egli atteso a udire fino a notte inoltrata l’insegnamento della parola di lui? E a Tessalonica e a Corinto? e a Efeso e nella stessa Roma? non passava interi giorni e notti continuamente inteso a esporre le Scritture? chi potrebbe ripetere i suoi discorsi agli Epicurei e agli Stoici? Andrei ben per le lunghe, se volessi ricordare ogni cosa! Se dunque e prima dei miracoli e contemporaneamente a questi, appare aver egli fatto grande uso della parola, come oseranno ancora dire idiota colui che fu da tutti massimamente ammirato per la valentia nel discutere e nel concionare? Per qual motivo infatti i Licaoni lo credettero Ermes? l’essere essi ritenuti come dei deriva dai miracoli; ma che lui fosse preso per Ermes non fu già per i miracoli, bensì per la sua parola. Ed in che cosa quel beato sorpassò gli altri Apostoli e per qual ragione egli è molto celebrato da tutti nel mondo? come mai è ammirato sopra tutti non solo da noi, ma altresì dai Giudei e dagli Elleni? non è forse per l’efficacia delle sue epistole, colla quale edificò non solo i fedeli di quel tempo, ma ancora quelli che furono d’allora fino al presente e che saranno fino al giorno della parusia di Cristo, né cesserà di farlo finché duri l’umana stirpe? Queste sue scritture sono di baluardo come muro d’acciaio per tutte le Chiese del mondo, di guisa che [l’Apostolo] come un valorosissimo campione è tuttora fra noi "conducendo in servaggio ogni intelletto all’ubbidienza di Cristo, distruggendo le macchi nazioni e qualunque altura che si innalza contro la scienza di Dio" (1Cor. 10,5). Tutto ciò egli compie per mezzo di quelle epistole che ci ha lasciate, meravigliose e piene di sapienza divina. Le sue scritture poi non valgono soltanto a distruggere i dogmi fallaci e confermare i veri, ma anche per ben vivere ci sono di non piccolo aiuto. Valendosi di esse infatti i capi delle Chiese, governano, edificano e innalzano a spirituale bellezza quella pura vergine che egli impalmò a Cristo, allontanano le infermità che cadono su di lei e le conservano la sanità acquistata. Tali medicine e di tanta efficacia ci ha lasciato quell’idiota, e le conoscono per prova coloro che incessantemente se ne valgono. Da ciò adunque appare manifesto che egli dedicò grande cura all’acquisto di questa dote.

X. Odi anche quello che dice scrivendo al suo discepolo: "Attendi alla lettura, all’esortare e all’insegnare" (1Tim. 4,13); indi aggiunge il frutto che ne deriva, dicendo: "Così facendo salverai te stesso e quelli che ti ascoltano" (1Tim. 4,16b). E ancora: "Al servo del Signore non si conviene di litigare: ma di essere mansueto con tutti, pronto a istruire, paziente" (1Tim. 4,13); e proseguendo soggiunge: "Ma tu attendi a quello che hai imparato e a quello che ti é stato affidato, sapendo da chi l’hai appreso, e che dalla fanciullezza conoscesti le sacre lettere le quali possono istruirti" (2Tim. 3,14); e inoltre: "Tutta la Scrittura é divinamente ispirata, dice, e utile a insegnare, a redarguire, a correggere, a formare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto" (2Tim. 3,16-17). Ascolta ancora ciò che egli prescrive a Tito parlando dell’elezione dei vescovi: "Però che il vescovo dev’essere dedito a quella parola fedele che é secondo la dottrina, affinché sia capace di convincere i contraddittori" (Tt. 1,9). Come mai uno essendo idiota, com’essi dicono, potrà convincere i contraddittori e ridurli al silenzio? e qual bisogno c’è di attendere alla lettura e alle Scritture, se s’ha da far buon viso a questa idiozia? ma queste cose sono pretesti e scuse, e nient’altro che un tentativo

Page 54: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

54

per dissimulare l’inerzia e la pigrizia. "Ma, essi dicono, tali precetti sono dati ai sacerdoti"; certo dei sacerdoti appunto noi ora parliamo; ma per convincerti che sono rivolti anche ai sudditi, odi ancora ciò ch’egli con altre parole in altra epistola raccomanda: "La parola di Cristo abiti in voi con pienezza in ogni sapienza" Col. 3,16); e ancora: "Il vostro discorso sia sempre con grazia asperso di sale, in guisa da distinguere come abbiate a rispondere a ciascheduno" (Col. 4,11); ora questa esortazione, d’esser pronti alla difesa, è rivolta a tutti; scrivendo poi ai Tessalonicesi: "siate, dice, di edificazione l’uno all’altro, come pur fate" (Tess. 5,11). E quando discorre dei sacerdoti: "I presbiteri che governano bene sian riputati meritevoli di doppio onore; massimamente quelli che si affaticano nel parlare e nell’insegnare" (1Tim. 5,17). Poiché il termine più perfetto dell’insegnamento si raggiunge quando [i maestri] riescano a trarre i discepoli alla santa vita ordinata da Cristo, sia con le loro parole, sia con le loro opere; ché il fare non basta da solo per esercitare il magistero; né la sentenza è mia, bensì del Salvatore stesso: "Chi avrà e operato e insegnato, questi sarà chiamato grande" (Mt. 5,19). Or se l’operare equivalesse all’insegnare, la seconda parte era superflua, e sarebbe bastato dire: "Chi avrà operato"; ma col distinguere l’una cosa dall’altra, dimostra che una parte [del magistero] consiste nelle opere, un’altra nella parola, e che hanno bisogno reciproco l’una dell’altra per la perfetta edificazione. O non odi ciò che dice quel vaso eletto di Cristo ai presbiteri degli Efesini: "Per la qual cosa siate vigilanti, rammentandovi come per tre anni non cessai giorno e notte d’ammonire con lacrime ciascuno di voi?" (At. 20,31). Che bisogno c’era allora di lacrime o d’ammonizione di parole, mentre la sua vita apostolica splendeva di tanta luce?

L’esempio apostolico non basta da solo. Bisogna che vi si unisca, come dimostra lo stesso S. Paolo, l’efficacia della parola

XI. Questa [sua vita] può bensì essere in gran parte d’impulso per l’adempimento dei precetti, né direi che anche per quello scopo basti da sola a esercitare ogni efficacia, ma quando ci si muove guerra intorno ai dogmi e tutti ci combattono appoggiandosi sulle Scritture stesse, quale forza potrà mostrare in tal caso l’esempio della vita di lui? Qual frutto si ricaverà dall’esempio dei tanti sudori di lui, se non ostante quelle fatiche taluno per la sua grande incapacità cadendo nell’eresia venga scisso dal corpo della Chiesa, cosa ch’io ho pur visto accadere a molti? Qual vantaggio verrà a lui dalla fortezza (dell’Apostolo)? nessuno, come nessun vantaggio verrebbe dal serbare retta la fede, qualora la vita diventi corrotta. Per questi motivi appunto bisogna che chi deve ammaestrare gli altri abbia grande perizia di queste battaglie; ché se anche egli rimanga al sicuro senza subire danno da’ suoi contraddittori, tuttavia la moltitudine dei meno istruiti che è a lui soggetta, vedendo il capo ridotto al silenzio senz’aver di che rispondere agli avversari, attribuirà la sconfitta non alla debolezza di lui, ma all’essere egli intaccato nel dogma; onde per l’incapacità d’uno solo, gran parte del popolo viene tratta a rovina. Ché se pure non si schierino interamente dalla parte degli avversari, tuttavia sono condotti per forza a dubitare di ciò che dovrebbero credere con sicurezza, né possono più aderire con la medesima fermezza a quanto per l’innanzi accoglievano con fede incrollabile; ma per la sconfitta del maestro, sorge nelle loro anime tale tempesta, da finire anche con un funesto naufragio; or qual rovina e qual fuoco s’accumuli sul capo di quel misero per ciascuno di questi perduti, non c’è bisogno che tu l’apprenda da me, sapendolo tu pure perfettamente. E dunque dovrà chiamarsi arroganza e vanagloria il non voler esser cagione della rovina di tanti, né procurare a me stesso un maggior castigo di quello che ora mi è serbato colà? chi potrebbe dir ciò? nessuno per certo, tranne chi voglia inutilmente biasimare o sfoggiare senno sui casi altrui.

Libro quinto

Page 55: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

55

Il vescovo come maestro e oratore. Contegno e esigenze dell’uditorio

I. Ho dimostrato a sufficienza di quanta abilità dev’essere fornito il maestro per potere far fronte agli assalti contro la verità; debbo ora parlare di un’altra incombenza oltre quelle accennate, che è causa di infiniti pericoli; o piuttosto, direi che non essa lo sia, ma coloro che non sanno adempierla come si conviene; poiché l’opera per se stessa può essere strumento di salvezza e pegno di molti beni, quando trovi per ministri uomini diligenti e virtuosi. Qual è quest’incombenza? la gran fatica consacrata ai discorsi che si tengono pubblicamente al popolo. Anzitutto la maggior parte dei sudditi non vogliono comportarsi di fronte agli oratori come dinanzi a maestri, ma trapassando il livello di discepoli, assumono l’atteggiamento degli spettatori che assistono agli spettacoli profani; e come il popolo là si divide, e gli uni si dichiarano per questo, gli altri per l’altro, così anche qui, fra loro divisi, parte sostengono un tale, parte un tal altro, e ascoltano le cose predicate solo per applaudire o per biasimare. Né questo è il solo male, ma ve n’è un altro non minore: se accade che un oratore inserisca nel suo discorso qualche brano di fattura altrui, è fatto segno a dileggio più che un ladro volgare; spesso anche senza che plagio vi sia, ma solo per un sospetto, lo trattano come chi è colto con le mani nel sacco. Ma che dico brani di fattura altrui? Non è neppure lecito a uno di valersi più volte delle sue stesse opere; poiché non per trarne vantaggio, ma unicamente per diletto sogliono ascoltare la maggior parte, sedendo come fossero giudici di citarèdi e di tragèdi così la facoltà dell’eloquenza che poco fa sottoposi a censura, diventa qui tanto desiderabile quanto nemmeno lo è ai sofisti obbligati a discutere fra di loro. Anche in queste circostanze pertanto c’è bisogno di un’anima generosa e molto al disopra della mia piccolezza, per reprimere la disordinata e perniciosa voluttà della moltitudine e indirizzare l’uditorio verso una meta. più vantaggiosa, di modo che il popolo gli vada dietro docilmente e non sia egli trascinato dalle loro velleità. Ciò non è dato ottenere se non con questo duplice mezzo: disprezzo delle lodi e efficacia di parola.

Non bisogna dar troppo peso alle approvazioni e ai biasimi dell’uditorio

Il. Ove l’uno manchi, l’altro torna inutile, per la separazione dal primo; se uno pur nutrendo disprezzo per la lode, non esponga un insegnamento con grazia e asperso di sale, diviene facilmente oggetto di scherno per la maggior parte, nulla guadagnando da quella sua superiorità d’animo; se poi si diporti bene per questo lato e si lasci soggiogare dall’opinione che s’esprime con applausi fragorosi, ne verrà eguale danno a lui e alla moltitudine, poiché egli, preso dal desiderio della lode, si dedicherà al ministero della parola più per acquistare favore che per recare vantaggio. Onde, come colui che non avendo brama di gloria né sapendo parlare affatto, non cede alla voluttà del popolo, ma nemmeno può recargli qualche notevole giovamento, così pure chi è trascinato dal desiderio di elogi, mentre avrebbe da dire quello che può rendere migliore il popolo, invece di ciò espone quello che meglio serve a dilettarlo, traendone in compenso lo strepito degli applausi.

L’ottimo capo ha da esser quindi ben munito da ambe le parti, onde non rovinare l’una per mezzo dell’altra. Quando egli sorgendo in mezzo dice cose adatte a scuotere gli inerti, ma poi incespica, s’interrompe ed è costretto a vergognarsi per incapacità, tosto si disperde il frutto delle cose dette; ché quelli che furono ripresi, rattristati per le parole loro indirizzate e non potendo altrimenti resistergli, lo colpiscono schernendo la sua ignoranza, e credono così di nascondere i rimproveri da lui ricevuti. Conviene pertanto che come un ottimo auriga, spinga se stesso alla perfezione di questi due pregi in guisa da poterne far uso secondo il bisogno: quando sarà irreprensibile di fronte a tutti,

Page 56: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

56

allora potrà con quanta autorità gli piaccia punire o perdonare secondo il caso tutti i suoi sudditi: ma prima d’aver raggiunto questo termine non gli sarà facile agire in tal guisa. Si deve poi estendere la magnanimità non solo fino al disprezzo delle lodi, ma più oltre, affinché il frutto non rimanga incompleto.

Mentre si sprezza il capriccio mutevole della folla, bisogna però troncare i maligni sospetti e le insinuazioni calunniose

III. Qual altra cosa pertanto bisogna disprezzare? La gelosia e l’invidia: non è bene temere e paventare oltre misura le intempestive calunnie (poiché il capo necessariamente deve sopportare biasimi irragionevoli) né il passarvi sopra con troppa bonarietà; ma anche se sono false e scagliate da gente volgare, bisogna studiarsi di soffocarle repentinamente. Nulla infatti contribuisce più della folla a creare una fama buona o cattiva; avvezza ad ascoltare e parlare senza criterio, ripete a casaccio tutto quanto le viene all’orecchio, senza preoccuparsi affatto se sia vero o falso. Non bisogna quindi stare noncuranti della folla, ma troncare al più presto i maligni sospetti, sforzandosi di convincere i maldicenti quand’anche fossero dei più irragionevoli, né lasciare alcun mezzo intentato per distruggere la cattiva opinione. Se poi, pur avendo noi posto in opera ogni mezzo, i calunniatori non vogliano persuadersi, allora conviene disprezzarli; ché se taluno si lascerà abbattere per simili vicende, non potrà mai far nulla di nobile e degno d’ammirazione; l’abbattimento e le continue ansie hanno funesta efficacia per spegnere l’energia dello spirito e piombarlo in estrema sfinitezza. Il vescovo ha da comportarsi coi suoi sudditi come un padre coi figli ancor molto piccini; come non ci conturbiamo qualora questi ci insultino o ci percuotano, o se piangano, né molto diamo loro retta quando ridono e ci fanno festa, così non bisogna lasciarci soggiogare dalle lodi della folla né essere oppressi per i suoi biasimi, quando sono mossi senza motivo. Ma ciò è difficile, o caro, e forse anche, credo, impossibile; non so se ad alcun uomo riesca di non gioire delle lodi; or chi ne gioisce è naturale che nutrisca desiderio di riceverne, e chi desidera di riceverne è giocoforza che sia rattristato, sfiduciato, agitato e afflitto quando gli venga negata la lode. Come quelli che godono della ricchezza, qualora cadano in miseria restano oppressi, e assuefatti com’erano alle mollezze non possono adattarsi a vivere grossolanamente, così anche i bramosi di elogi, non solo se vengano ingiustamente biasimati, ma anche se non sono costantemente acclamati, si sentono l’anima sfinita come per farne, specialmente quando per avventura ne fossero stati [prima] lautamente pasciuti, o quando per soprappiù sentono che altri riscuote applausi. Quali brighe e quali affanni credi tu non abbia pertanto a incontrare chi si espone al cimento del magistero con lo stimolo di questa bramosia? L’anima sua non sarà mai libera da ansie e tormenti, come non può essere il mare libero da marosi

L’eloquenza esige un costante esercizio per conservare la sua efficacia

IV. Ma non potrà sottrarsi a un assiduo travaglio neppure quando possieda gran potenza di parola, cosa che non è facile trovare se non in pochi; poiché, essendo l’eloquenza frutto di studio anziché dono di natura, quando pure alcuno ne abbia raggiunto il culmine, ne perde affatto l’esercizio se non alimenta questa sua facoltà con costante diligenza e fatica; onde il travaglio diviene maggiore per i più istruiti che per i più idioti; non è infatti eguale a questi e a quelli il danno della trascuratezza, ma è di tanto maggiore, di quanto diverso è il corredo di cultura degli uni e degli altri. A questi ultimi nessuno muoverebbe rimprovero se parlando espongono solo inezie; quelli invece se non mettono in mostra cose sempre superiori alla fama in che tutti li tengono, subito sono fatti segno a critiche; inoltre agli altri si prodigano grandi elogi anche per piccolo merito, ma se i pregi di quelli non sono

Page 57: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

57

molto meravigliosi e abbaglianti, non soltanto si nega loro la lode, ma anche si scagliano loro contro numerosi vituperi; già, gli uditori siedono giudici non tanto delle cose dette, quanto del dicitore, onde quanto più uno supera tutti gli altri nell’eloquenza, tanto più gli è d’uopo di laboriosa cura. A lui invero non è lecito soggiacere nemmeno a ciò che è comune alla natura umana, cioè al non fare perfettamente ogni cosa, ma se i suoi discorsi non sono proporzionati all’altezza della sua rinomanza, ne esce carico degli scherni e delle critiche innumerevoli di tutti. Nessuno considera che un abbattimento sopravvenuto, le lotte e le preoccupazioni, spesso anche l’irritazione, possono oscurare la limpidezza del pensiero e impedire che i concetti vengano espressi con chiarezza, né che essendo egli in tutto uomo, non gli è possibile mantenersi sempre dello stesso umore e sempre col vento in poppa, ma naturalmente deve talvolta venire meno e mostrarsi al disotto del proprio livello; nulla, come dico, di tutto questo vogliono considerare, ma gli fan colpa di tutto come se giudicassero d’un angelo. È poi particolarmente proprio dell’uomo il far poco caso di grandi e numerosi pregi che si trovino in persona vicina; se invece in essa appaia una colpa, per quanto piccola e d’antica data, ognuno se ne accorge tosto, se ne fa severo censore e a ogni occasione vi ritorna sopra; onde spesso un difetto piccolo e comune sminuì la fama di molti e grandi uomini.

V. Vedi, o ottimo, che v’è bisogno di operosità sopra tutto per chi è fornito d’eloquenza; e oltre all’operosità gli occorre anche tanta tolleranza quanta non ne occorre a tutti quelli di cui ti ho parlato sopra. Molti infatti gli si oppongono di continuo senza ragionare, nulla avendo da rinfacciargli, ma solo eccitati dall’essere egli in fama presso tutti: bisogna ch’egli sappia sopportare la fastidiosa gelosia di costoro. Non riuscendo essi a celare quest’odio loro maledetto, che ingiustamente nutrono, vengono a ingiurie, a maligne critiche, calunniando di nascosto e imperversando a faccia aperta; onde un’anima che cominciasse ad affliggersi e irritarsi per ciascuno di questi incontri, morrebbe anzi tempo di crepacuore. Non solo da se stessi gli fanno guerra, ma s’adoperano anche per avere l’aiuto di altri; e spesso scelto qualcuno che non sa affatto ben parlare, cominciano a levarlo a cielo con lodi, e vanno magnificandolo oltre il suo merito, gli uni facendo ciò per ignoranza, gli. altri per ignoranza ed invidia al tempo stesso, più per togliere la fama a quell’altro, che per far apparire mirabile chi in realtà non è tale. Ma quel generoso non ha da combattere soltanto contro costoro, bensì spesso anche contro la rozzezza di tutto il popolo. Poiché il pubblico non è composto tutto di uomini eccellenti, ma la maggior parte dell’assemblea sono gente volgare, mentre gli altri poi, pur essendo più istruiti dei primi, tuttavia sono lontani dal poter apprezzare l’eloquenza molto più di quanto il volgo sia al disotto di loro; sicché rimangono a stento uno o due che possiedano tale capacità. Quindi accade necessariamente che chi meglio parla, spesso raccoglie minori applausi e talvolta persino ne rimane privo affatto. Anche di fronte a questi ingiusti apprezzamenti deve comportarsi con fortezza e perdonare a quelli che ciò fanno per ignoranza, e quelli che invece vi sono spinti da invidia, compiangerli come miserabili e degni di pietà; né deve stimare che il suo valore venga menomato per i giudizi sì degli uni che degli altri. Ché anche un eccellente pittore e superiore nell’arte a tutti gli altri, qualora vedesse un quadro dipinto da lui con ogni cura censurato da profani, non avrebbe per certo da avvilirsi e riputare cattiva l’opera sua in forza del giudizio di quelli; come nemmeno dovrebbe giudicare meravigliosa e affascinante un’opera in sé cattiva, sol perché desta l’ammirazione degli idioti. L’artefice ottimo dev’essere anche giudice lui solo delle opere sue, e queste s’hanno a ritenere buone o cattive quando l’intelletto che le ha prodotte avrà dato questi suffragi, senza neppur badare all’opinione degli estranei, soggetta a errore e incompetente. Ora chi affronta il cimento del magistero non deve badare agli elogi degli estranei, né l’anima sua deve essere abbattuta qualora gli siano negati, ma componendo i suoi discorsi in guisa da piacere a Dio (questo dev’essere per lui il criterio supremo per giudicare dell’ottima fattura d’essi, non gli applausi, né gli elogi), se verrà lodato anche dagli uomini, non

Page 58: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

58

rifiuti i loro encomi, ma se gli uditori non glie ne concedono, non ne vada in cerca né se ne affligga. Sufficiente sollievo delle fatiche, e maggiore di ogni altro sarà per lui la coscienza del suo sforzo di indirizzare e disporre il suo insegnamento in modo da incontrare l’approvazione divina.

L’oratore sacro ha bisogno di grande fede e fortezza d’animo

VI. Se egli invece viene ad essere soggiogato dal desiderio di lodi irragionevoli, nessuno vantaggio ricaverà dalle sue molte fatiche né dalla sua bravura nel parlare, perché l’anima non potendo poi sopportare i biasimi inconsiderati del volgo, rallenta nell’ardore e cessa di applicarsi con cura al magistero della parola; bisogna perciò esercitarsi soprattutto nel disprezzo delle lodi., ché se non si unisce questo, non basta il saper ben parlare per serbare in vigore questa facoltà. Ma se alcuno consideri bene anche la condizione di chi non è riccamente fornito di questa dote, troverà che anch’egli non ha minor bisogno di sprezzare l’applauso; egli infatti sarà nella necessità di commettere molti falli, trovandosi al disotto dell’opinione comune; incapace di rivaleggiare coi predicatori famosi, non si periterà di tendere loro insidie, nutrire invidia contro di essi, di biasimarli ingiustamente e di macchiarsi di molte simili colpe, tutto osando quand’anche avesse da perderci l’anima, pur di riuscire ad abbassare la fama di quelli fino al livello della propria nullità. Inoltre rifuggirà dai sudori necessari per l’opera sua, come se l’anima gli fosse gravata da torpore; e invero il molto travagliarsi per ottenere una scarsa messe di applausi, basta per abbattere e avvolgere in profondo letargo colui che non sa sprezzare la lode; anche l’agricoltore quando lavora un terreno poco produttivo e deve coltivare la ghiaia, presto abbandona la fatica, se non sia sostenuto da grande tenacia nel continuare la sua impresa, o se non tema il sovrastare della carestia. Se coloro che pur sanno parlare con molta autorità hanno bisogno di tanta cura per conservarsi questa loro dote, colui che non ha messo nulla in serbo, ma deve tuttavia porsi in grado di potersi presentare al pubblico, a quali difficoltà, turbamenti e angustie non dovrà sottostare, per raccogliere da grande fatica qualche piccolo frutto? Che se poi uno di quelli che stanno più in basso di lui e occupano una carica inferiore, riesca ad acquistarsi per questo lato una maggior rinomanza, allora ci vuol proprio un’anima quasi celeste, per non cadere in preda all’invidia né lasciarsi abbattere dallo scoramento; perché l’essere egli superato nel successo per opera d’un suo subalterno, mentre egli è posto in maggior dignità di grado, e sopportare ciò generosamente, non è virtù comune, ma propria di un’anima d’acciaio. Quando il più favorito sia persona affabile e moderata assai, allora il rammarico diventa in qualche modo sopportabile; ma se è un tipo arrogante, borioso e avido di gloria, sarebbe a quell’altro più desiderabile la morte ogni giorno, tanto questi gli renderà amara l’esistenza, censurandolo apertamente, schernendolo di nascosto, sottraendogli gran parte dell’autorità, bramoso di tutta usurparsela. E in tutto ciò ha come appoggio sicuro l’audacia nel parlare e il favore della plebe a suo riguardo e l’essere nelle grazie di tutti i sudditi. E non vedi tu quanta brama di discorsi si è ora infiltrata nelle anime dei Cristiani e come quelli che vi danno opera sono in onore non solo presso i pagani, ma anche tra i fedeli? E chi sopporterebbe questa confusione, che mentre egli predica, tutti se ne stiano zitti e stimino di essere importunati, sospirando la fine del discorso come liberazione da un tormento; mentre invece l’altro anche se parla a lungo, l’ascoltano con entusiasmo, e accennando egli a finire si conturbano, e se fa di tacere, si adontano? Sono cose che se anche ora ti sembrano piccole e disprezzabili, per non averle tu ancora provate, bastano però a spegnere l’entusiasmo e paralizzare le energie dello spirito, se uno levandosi al disopra di ogni umano affetto non si studi di comportarsi come le potenze incorporee, le quali non soggiacciono né a invidia né a vanagloria, né ad altra simile infermità. Se dunque v’ha un uomo di tale tempra che sappia mettere sotto i piedi questa belva inafferrabile, invincibile e selvaggia che è la pubblica opinione e troncarne le numerose teste, anzi da non lasciarle né anche da principio spuntare, quegli

Page 59: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

59

potrà agevolmente respingere i frequenti assalti e godere come di un porto tranquillo; ma finché non ne sarà liberato, egli imporrà all’anima sua una guerra molteplice, continuo affanno, e il peso dello scoramento e d’ogni altra angustia. E a che enumerare le rimanenti difficoltà? Nessuno può né dirle né comprenderle, se non si sia trovato egli stesso in mezzo a queste brighe.

 Libro sesto

Riepilogo. Difficoltà del ministero e virtù necessarie. Conclusione della difesa. Il pensiero di dover rendere conto al Giudice supremo della salute spirituale dei sudditi, incute grande timore.

I. Così stanno le cose quaggiù, come hai udito; quelle poi che riguardano l’altra vita, come potremo sopportarle, essendo noi costretti a rendere ragione di ciascuno di coloro che ci furono affidati? Il danno non si limiterà allora alla vergogna, ma trarrà seco una punizione eterna. Se già l’ho ricordato, non tralascerò ora di ripetere il detto: "Siate ubbidienti ai vostri prelati e siate ad essi soggetti, poiché essi vegliano come dovendo rendere conto delle anime vostre" (Eb. 18,17); ché il timore di questa minaccia mi agita continuamente lo spirito. Se per chi scandalizza minimamente uno solo "conviene che gli sia sospesa al collo una pietra da mulino e venga precipitato nel mare" (Mt. 18,6) e se "quanti offendono la coscienza dei fratelli, peccano contro lo stesso Cristo" (1Cor. 8,12), chi infligge tanta rovina non a uno, o due, o tre, ma a un popolo intero, che cosa non dovrà soffrire in pena e quale castigo non avrà da riceverne? Né si può incolpare l’inesperienza, né rifugiarsi nella scusa dell’ignoranza, né addurre come pretesto la violenza e la costrizione subita: tale pretesto potrebbe farlo valere chiunque fra i sudditi, qualora fosse il caso, riguardo alle proprie colpe, più facilmente di quello che un capo possa addurlo a scusa delle colpe altrui. E perché mai? perché chi é incaricato di correggere l’ignoranza degli altri e porre in guardia contro la guerra diabolica quando s’avvicina, non potrà certo pretessere l’ignoranza propria, né dire: "Non ho udito la tromba, né ho potuto prevedere la battaglia". Poiché, per questo, come dice Ezechiele, t’ha fatto sedere, per suonare la tromba anche per gli altri e preannunziare le calamità future. Onde la pena sarà inesorabile, anche se uno solo andasse perduto. Ché "se all’avvicinarsi della spada, dice, la sentinella non suoni la tromba al popolo, per annunziarla, e la spada venendo prenda un uomo, questi veramente per colpa sua é rapito, ma del sangue di lui domanderò conto alla sentinella" (Ez. 33,6).

Custodia dei sensi e purezza angelica necessaria al sacerdote

Cessa pertanto di spingermi verso una pena tanto inesorabile: non si tratta né di comando militare né di dignità regia, ma di un’istituzione tale che richiede una virtù angelica. L’anima del Sacerdote dev’essere più pura dei raggi del sole, affinché lo Spirito Santo non lo abbandoni e affinché possa dire: "Vivo non già io, ma vive in me Cristo" (Gal. 2,20). Ché se gli anacoreti del deserto, lontani, dalla città e dai pubblici ritrovi e da ogni strepito proprio di quei luoghi, godendo interamente il porto e la bonaccia, non s’inducono a confidare nella sicurezza di quella loro vita, ma aggiungono infinite altre attenzioni, munendosi da ogni parte e studiandosi di fare o dire ogni cosa con grande diligenza, per potersi presentare al cospetto di Dio con fiducia e intatta purezza, per quanto é possibile alle umane facoltà; qual forza e violenza ti pare che farà d’uopo al vescovo, per sottrarre l’anima sua da ogni macchia e serbarne intatta la spirituale beltà? A lui occorre per certo maggior

Page 60: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

60

purezza che a quelli, e frattanto, proprio lui che ne ha maggior bisogno è esposto a maggiori occasioni necessarie, nelle quali può essere contaminato, se con assidua sobrietà e vigilanza non renda l’anima sua inaccessibile a quelle insidie. La grazia della persona, le movenze affettate, il camminare ricercato, l’esilità della voce, gli occhi imbellettati, la tintura delle gote, la disposizione delle trecce, le chiome impatinate, lo sfarzo delle vesti e la varietà dei monili, la bellezza delle gemme, il profumo degli unguenti e tutte le attrattive di cui va in cerca il sesso femminile, bastano a turbare l’anima qualora non sia bene inaridita con rigorosa temperanza. Del resto nulla di strano che uno sia inquietato da simili cose, ma ciò che riempie di stupore e di sgomento é che il diavolo può percuotere e trafiggere le anime degli uomini mediante oggetti affatto contrari a quelli.

II. Taluni infatti essendo sfuggiti a quelle trappole, caddero in altre assai diverse. Lo sguardo trascurato, la capigliatura ispida, il vestito sudicio, l’aspetto dimesso, i modi semplici, il parlar naturale, l’incesso comune, la voce piana, il vivere in povertà, l’essere oggetto di disprezzo senza appoggio e in abbandono, dopo aver mosso a compassione l’osservatore, finirono per trascinarlo a estrema rovina: onde molti, scampando dalle prime reti tese dai monili, unguenti, abiti sfarzosi, e tutto il resto sopra ricordato, caddero con tutta facilità in queste altre così diverse da quelle, e vi soccombettero. Se dunque mediante la povertà e la ricchezza l’ornamento e l’aspetto dimesso, i modi affettati e quelli trascurati, in una parola mediante tutti gli oggetti sopra enumerati si accende la guerra contro l’anima dello spettatore, e d’ogni intorno gli tendono insidie, come potrà egli respirare, stretto nel cerchio di tanti scogli? quale scampo potrà trovare, non dico per non soccombere alla violenza, ché ciò non é molto difficile, ma per serbare l’anima sua tranquilla e libera da immondi pensieri? Lascio da parte gli onori che sono cagione di mali infiniti; quelli che provengono dalle donne sbolliscono bensì con l’assiduità della modestia, ma possono anche far cadere chi non sa mantenersi sempre vigilante contro tali insidie; quanto poi a quelli offerti dagli uomini, se uno non li accoglie con molta superiorità di spirito, soggiace a due affezioni contrarie, quali la servile

adulazione e la stolta iattanza, costretto a inchinarsi a quelli che dovrebbero stare a’ suoi cenni, reso aspro contro i minori dal favore accordatogli e spinto così nel baratro della presunzione. Queste cose dico io; ma il danno che da ciò proviene nessuno potrebbe pienamente comprenderlo, senz’averne fatto esperienza, ché a chi si trova all’atto pratico é giocoforza che ne accadano di peggiori e più rovinose.

Il ministero dedicato al popolo é più difficile che il governo di comunità monastiche

Colui che preferisce la quiete si trova libero da ogni peso: onde se talora un pensiero vano gli suggerisce qualcosa di simile, la fantasia é debole e facile a spegnersi, non somministrandosi dall’esterno per mezzo della visione, materia all’incendio. Inoltre il monaco teme solo per se stesso; se mai é costretto a stare in angustia anche per altri, si tratta d’un numero piccolissimo; e se fossero più numerosi, lo sono sempre meno di quelli che sono nelle chiese, e procurano al prelato cure assai più lievi, non solo per il piccolo numero, ma anche perché tutti sono liberi dalle faccende mondane e non hanno da preoccuparsi né per i figli né per la moglie né per null’altro di simile. Questo li fa più docili ai superiori, ed anche l’aver essi in comune l’abitazione, in guisa che le loro mancanze si possono diligentemente avvertire e correggere, il che é di non piccola importanza per il progresso nella virtù.

Page 61: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

61

Invece la maggior parte di quelli che sono soggetti al vescovo é occupata nelle cure materiali, il che li rende più indolenti per quanto si riferisce alle opere spirituali, onde il maestro deve, per così dire, seminare quotidianamente, affinché la parola del magistero possa con l’assiduità essere finalmente afferrata dagli uditori. La sfondata ricchezza, la posizione elevata, la pigrizia derivante dal lusso, e molte altre cause oltre a queste, soffocano i semi deposti; spesso poi la fitta delle spine non lascia neppur cadere la sementa fino a poter germogliare; anche l’eccesso della tribolazione e le strette dell’indigenza, i soprusi continui e altre cause contrarie alle prime, possono ritrarre dalla sollecitudine per le cose di Dio. Delle loro colpe poi non può venire in chiaro al vescovo neppur la minima parte; e come potrebbe essere diversamente se non conosce nemmeno di vista il maggior numero de’ sudditi?

La responsabilità dinanzi a Dio. Grandezza del rito eucaristico

III. Tali difficoltà offrono al vescovo i suoi rapporti col popolo; ma se alcuno investiga i suoi rapporti con Dio, troverà che le altre sono al confronto un nulla, tanto maggiore e più complessa é la cura che questi richiedono. Colui il quale é mallevadore di tutta una città, ma che dico città? di tutto il mondo, e che deve propiziare Iddio per le colpe di tutti, non solo de’ vivi ma anche de’ trapassati, di quale virtù non dev’essere egli fornito? Io non stimo possa bastare per tale intercessione né la fiducia di Mosè, né quella di Elia. E per vero [il vescovo], come custode di tutto il mondo e padre di tutti, si presenta a Dio supplicandolo di sedare le guerre e comporre i disordini, implorando pace, prosperità e privatamente e pubblicamente la pronta liberazione di tutte le calamità da cui ciascuno é afflitto; perciò egli deve tanto superare tutti coloro per i quali intercede, quanto é ragionevole che il prelato superi [in dignità] i suoi subalterni. Quando poi invoca lo Spirito Santo e compie il tremendo sacrificio e viene in assiduo contatto col comune Signore di tutte le cose, in qual grado, dimmi, lo porremo noi? e qual purezza e austerità non richiederemo da lui? pensa quali hanno da essere le mani che si gran cose amministrano, quale la lingua che pronunzia quelle parole, e come dev’essere più immacolata e santa che mai l’anima che deve accogliere un tanto Spirito? Allora assistono al sacerdote anche gli angeli, onde il Santuario e lo spazio intorno all’altare si riempie di potenze celesti, in omaggio [al Signore] presente. Ciò si può asseverare anche da quanto é altra volta accaduto; io stesso ho udito da un tale raccontare che un certo vecchio, uomo meraviglioso e favorito da rivelazioni, gli aveva confidato d’essergli stata una volta concessa una simile visione, e che durante quel tempo aveva scorto d’improvviso una moltitudine di angeli, com’egli li poteva vedere, cinti di fulgide vesti, facenti corona all’altare e starsene inchinati, in atto simile a’ guerrieri in presenza del re; e io lo credo. Un altro pure mi raccontò, non riferitogli da chicchessia, ma lui stesso esser stato degnato di vedere e udire che coloro i quali stanno per dipartirsi da questa vita, se abbiano partecipato. ai misteri con intatta coscienza, al loro spirare gli angeli in guardia d’onore ne li conducono, per riverenza al sacramento da loro ricevuto. Tu invece non rabbrividisci nello spingere a sì santa azione un’anima come la mia, e nel sollevare alla dignità de’ sacerdoti uno avvolto in sordide vesti e che Cristo respinse anche dal ceto degli altri convitati!

Il sacerdote é sale della terra e luce del mondo

L’anima del sacerdote deve splendere come luce che illumina tutta la terra, mentre la mia é ravvolta dalla perversa coscienza in si fitta tenebra, che sempre vi sta sommersa né può mai con fiducia volger lo sguardo al suo Signore. I sacerdoti sono il sale della terra, mentre invece la mia insipienza

Page 62: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

62

e totale inesperienza, chi le tollererebbe di buon grado, se non voi altri, per la consuetudine d’eccessivo affetto? Ché [il sacerdote] dev’essere non soltanto puro come lo richiede un tanto ministero, ma anche molto prudente e pratico di molte faccende; non deve conoscer gli affari materiali meno di quelli che vi si trovano in mezzo, e tuttavia deve esserne distaccato non meno dei monaci che abitano i monti. Egli deve essere versatile, perché ha da far con uomini che hanno moglie, figli, servitù, sono circondati da grandi ricchezze, trattano la cosa pubblica e occupano alte cariche: versatile, dico, non subdolo, né adulatore né ipocrita, ma pieno di libertà e di franchezza, sapendo però accondiscendere docilmente qualora le circostanze lo richiedano, mostrandosi a un tempo affabile e austero. Non bisogna infatti comportarsi allo stesso modo con tutti i sudditi, come non sarebbe opportuno ai medici procedere con uno stesso criterio con tutti gli ammalati, né al pilota conoscere una sola manovra per combattere contro i marosi. E per vero anche questa nave é premuta da continue tempeste; tempeste che non solo assalgono dall’esterno, ma sorgono anche dall’interno, onde v’è d’uopo di grande accondiscendenza, ma insieme di grande attenzione. Tutte queste cose, sebbene fra loro diverse, cospirano a un fine unico: la gloria di Dio e l’edificazione della Chiesa.

Confronto tra il monaco e il sacerdote

IV. Grande é la professione monastica e costa molta fatica; ma chi paragoni quei travagli al conveniente disimpegno dell’episcopato, troverà tanta differenza quanta ve n’ha fra un uomo del volgo e un re. Sebbene là sia grande la fatica, tuttavia la lotta é sostenuta in comune dal corpo e dall’anima, anzi nella maggior parte essa dipende dalla costituzione del corpo; se questo non é vigoroso la passione rimane assopita, né può effondersi nell’azione; onde anche gli assidui digiuni, il dormire su nuda terra, le veglie protratte, il non lavarsi, la dura fatica e tutti gli altri esercizi che servono a mortificare il corpo, sono messi in disparte, essendo privo di vigore quello che dovrebbe venire represso. Qui invece l’arte è puramente dell’anima, né ha d’uopo del benessere del corpo per dimostrare la sua virtù. Infatti, a che gioverebbe la forza del corpo per evitare l’arroganza, l’irascibilità, la precipitazione, ed essere invece sobri, prudenti, ordinati, e mostrare tutte le altre doti con cui il beato Paolo ci descrive in tutte le sue parti l’immagine del perfetto vescovo? Non si potrebbe dir ciò riguardo alle virtù proprie dei monaci.

Ma come ai prestigiatori occorrono molti ordigni e ruote e corde e coltelli, mentre il filosofo ha l’arte sua riposta tutta nell’anima senza bisogno di strumenti esterni, così anche nel nostro caso, il monaco ha bisogno della buona costituzione corporale e di luoghi adatti al suo esercizio, che non siano troppo lontani dal consorzio degli uomini, che abbiano la quiete propria delle regioni disabitate e che inoltre non difettino di un’ottima temperatura dell’atmosfera; però che nulla riesce più intollerabile delle intemperie per chi é già estenuato dai digiuni; non parlo poi delle brighe che essi hanno necessariamente per prepararsi le vesti e il vitto, dovendo ogni cosa fare da se stessi. Il vescovo invece non dovrà occuparsi di tutto ciò per servire alle proprie necessità, ma esente da tali lavori, egli partecipa a tutte le manifestazioni della vita che non recano danno, custodendo tutta la sua scienza in serbo nel ripostiglio dell’anima. Che se taluno ammira quelli che se ne stanno in disparte, anch’io direi che ciò è segno di fortezza, non però un saggio sufficiente di tutta

la virtù che è nell’anima: chi siede al timone standosene chiuso nel porto, non offre adeguata prova dell’arte sua, ma se uno riesca a salvare la nave in mezzo al pelago e alla procella, nessuno oserà negare ch’egli sia un ottimo pilota.

Page 63: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

63

La vita solitaria non porge molte occasioni di provare la virtù.

V. Pertanto non ci dovrebbe destare un’ammirazione esageratamente grande il monaco, che standosene solo non soffre turbamenti né commette grandi e numerose colpe: egli non ha le occasioni che stimolano e risvegliano l’anima. Invece, quando uno dedicandosi a intere moltitudini e costretto a sopportare i disordini di tutti, sa mantenersi diritto e forte, guidando l’anima fra le tempeste come se fosse in bonaccia, questi sarebbe degno d’essere acclamato e ammirato da tutti, ché ha offerto una prova sufficiente della sua fortezza. Non devi pertanto meravigliarti se io, fuggendo i ritrovi e le compagnie numerose, non vado incontro a molti biasimi, come non sarebbe degno di ammirazione che io dormendo evitassi le colpe, o fuggendo la lotta non m’occorresse di cadere, o astenendomi dal combattere non fossi vinto. Ma chi, dimmi, chi può denunziare e smascherare la mia perversità? questo tetto e questa cella? ma essi non sanno articolare parola. O forse mia madre che più d’ogni altro conosce le mie tendenze? ma fra me e lei non c’è nulla di comune né mai siamo venuti a qualche contrasto, e se anche ciò fosse avvenuto, non c’è madre tanto disamorata e ostile verso la sua prole, da accusare e perseguitare in faccia a tutti senza che alcun motivo ne la costringa, quello che essa ha generato, partorito ed allevato. E tu pure, che più di tutti sei solito a levarmi a cielo con lodi presso chiunque, non ignori che se si sottoponesse a rigorosa prova l’anima mia, la si troverebbe in molte parti viziata; se vuoi persuaderti che io non parlo così per modestia, ricordati quante volte, discorrendosi fra noi di tali faccende, ebbi a dirti che se mi si proponesse di significare in quale condizione vorrei ottenere lode, se nel governo della Chiesa oppure nella vita monastica, io avrei dato coi pieni voti la preferenza alla prima. Né mai ho cessato di esaltare [parlando] con te quelli che sapevano egregiamente disimpegnare quel ministero: or dunque nessuno potrebbe negare che io non avrei fuggito quell’[ufficio] che tanto ammiravo, se ne fossi stato all’altezza. Ma che? nulla é più dannoso nel governo della Chiesa, di questa certa inerzia e trascuratezza, che altri stimano una specie d’ascesi, mentre io penso ch’ella non sia altro se non un velarne della mia propria inettitudine, col quale io posso celare la maggior parte delle mie mancanze, impedendo che siano conosciute. Chi é avvezzo a godere di questa inoperosità e vivere in grande quiete, anche se é dotato di grandi qualità viene conturbato e disorientato dall’inerzia, e la mancanza d’esercizio tronca una parte non piccola delle sue energie: che se poi oltre al tenersi lontano da tali cimenti, é anche di carattere indolente, come appunto é il caso mio, qualora abbia assunto questo ministero non farà più di quanto farebbe una statua di marmo. Ecco la ragione per cui anche di quanti vengono da quel genere di palestra a questi cimenti, pochi ottengono buon esito; la maggior parte di loro vanno incontro al comune biasimo, perdono le staffe e soggiacciono a vicende disgustose e tristi; e nulla di straordinario in questo, che quando gli esercizi e le palestre non sono proporzionati allo stesso genere di cimenti, per nulla differisce uno che sia allenato, da un altro che non sia tale. Infatti colui che scende in questo stadio deve spregiare la gloria, dominare l’irascibilità ed essere pieno di grande prudenza; ora chi preferisce la solitudine non ha occasione di esercitarsi in queste virtù, perché non ha molti che lo molestino, onde sia condotto a reprimere l’impeto dell’animo; non ha ammiratori né acclamatori che lo ammaestrino a tenere a vile gli applausi della moltitudine; né d’altra parte possono [i monaci] darsi piena ragione della grande prudenza che si richiede nel ministero ecclesiastico. Pertanto, quando essi vengono al cimento di lotte delle quali non hanno curato l’esercizio, si turbano, danno nelle vertigini, sono ridotti all’impotenza, e accade spesso che molti, oltre che non ne acquistano, vi perdono anche le virtù che prima possedevano.

Il ministero offre molte occasioni pericolose. Difficile cura del ceto femminile

Page 64: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

64

VI. "Allora Basilio: E che? disse, dovremo noi porre allora al governo della Chiesa persone avvolte negli affari mondani, preoccupate da interessi materiali, impigliate in contese e ingiurie e ripiene di innumerevoli perversità?"

"Calmati, risposi, o mio caro; ché quando si tratta della scelta dei sacerdoti non s’ha nemmeno da pensare a tali soggetti; dico che a quei solitari si deve preferire uno che mentre tratta e pratica con tutti, possa conservare intatta e inalterata la purezza, la calma, la santità, la fortezza, la sobrietà e tutte le altre doti che splendono nei monaci; perché colui il quale avendo molti difetti, pure riesce con la solitudine a celarli e renderli innocui, astenendosi dal trattare con alcuno, posto che sia nel mezzo della bisogna, altro non otterrà se non di rendersi ridicolo, con rischio di peggio.

Ciò appunto sarebbe per poco capitato a me, se la misericordia di Dio non avesse in fretta ritirato il fuoco dal mio capo; chi ha sortito un’indole tale, non può celarla quando venga messo in vista, ma allora tutto viene smascherato; e come il fuoco prova i metalli, così la prova del ministero esamina le anime degli uomini; onde se uno é iracondo, o pusillanime, o vanaglorioso, o millantatore, o se abbia qualsiasi altra pecca, tosto ne discopre e svela i difetti. Né soltanto li rivela, ma li rende più forti e perniciosi: le piaghe del corpo stropicciate, più difficilmente guariscono, e così pure le passioni dell’anima stimolate e irritate imperversano maggiormente, spingendo a maggiori colpe quelli che ne sono agitati. [L’esercizio del ministero] accende in chi non sta’ in guardia la bramosia di gloria, lo rende presuntuoso e avido di ricchezza; lo trascina al lusso, alla rilassatezza, all’indifferenza e a poco a poco ad altri vizi che da questi derivano. Molte sono là in mezzo le circostanze che possono distruggere il temperamento dell’anima e troncare il retto cammino, e anzitutto le conversazioni con le donne; non lice invero al capo della comunità ecclesiastica e a cui spetta la cura di tutto il gregge, occuparsi soltanto del sesso maschile e trascurare le donne, le quali hanno bisogno di maggiore assistenza essendo esse più facilmente cedevoli alle mancanze; ma chi occupa la carica di vescovo deve prendersi a cuore l’integrità loro, se non in maggiore, almeno in eguale proporzione. Bisogna pertanto visitarle quando sono inferme, consolarle quando sono tribolate, redarguire quelle che si mostrano indolenti e prestare aiuto a quelle che sono oppresse. Ora, nell’esercizio di queste opere, il maligno trova molti accessi, se uno non si munisce con gran cura; lo sguardo colpisce e turba lo spirito, né soltanto quello delle svergognate, ma anche quello delle pudiche; le loro adulazioni soggiogano e i loro favori rendono schiavi, di guisa che la carità ardente, che per se stessa é fonte d’ogni bene, pub divenire fonte d’ogni male per quelli che non l’esercitano con le debite precauzioni. Già di per sé le cure assidue ottundono l’acume del pensiero e da agile lo rendono più pesante del piombo, mentre poi d’altra parte l’irascibile invadendo ravvolge a guisa di fumo tutto l’interno)".

L’insidia della calunnia e la necessità di guardarsene.

VII. Chi potrebbe poi enumerare i danni rimanenti, cioè le ingiurie, le calunnie, le censure mosse dai superiori e dai sudditi, dai saggi e dagli insipienti? Quest’ultima genia specialmente, destituita di retto criterio, é incontentabile e difficilmente ascolta ragioni; ora il buon prelato non deve disinteressarsi neanche di costoro, ma presso tutti deve studiarsi di togliere di mezzo le cagioni delle loro querele, usando molta affabilità e dolcezza, perdonando le accuse ingiustificate anziché adontarsene e montare in ira. Se il beato Paolo temeva di destare sospetto di frode nei suoi discepoli, e perciò si assunse altri nell’amministrazione delle entrate "affinché alcuno non ci abbia da vituperare per questa abbondanza di cui siamo dispensatori" (2Cor. 8,20), come non dovremmo noi adoperarci in ogni maniera per allontanare i cattivi sospetti anche se falsi, privi di qualsiasi

Page 65: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

65

fondamento e lontanissimi dalla nostra riputazione? Invero da nessun vizio noi siamo tanto lontani quanto lo era Paolo dal furto: e sebbene egli tanto distasse da questa mala azione, non trascurò tuttavia l’eventuale sospetto della moltitudine, per quanto irragionevole e folle esso fosse; e certo era una follia sospettare qualcosa di simile per quella beata e mirabile anima; ma nondimeno egli molto per tempo toglie di mezzo le cause d’un sospetto tanto stolto e quale niuno poteva concepirlo, tranne che avesse perduto la testa. Non pose in non cale la stoltezza del volgo, né disse: "A chi mai potrebbe venire in animo un tale dubbio a mio riguardo, mentre tutti mi onorano e ammirano sia per i miracoli, sia per l’equità onde la mia vita risplende?" ma tutto al contrario, egli previde e s’aspettò tale maligna supposizione e l’estirpò dalla radice, anzi non permise neppur che cominciasse a formarsi; e per qual motivo? "Perciò, dice, provvediamo al bene non solo dinanzi al Signore, ma anche dinanzi agli uomini" (2Cor. 8,21). Tale cura, anzi maggiore, si deve usare, non solo per togliere di mezzo e impedire le cattive dicerie quando sono sorte, ma per prevedere da lontano da qual parte possano sorgere e togliere i pretesti che possono provocarle, né aspettare che esse prendano corpo e vadano aggirandosi di bocca in bocca, poiché allora non sarà facile soffocarle, ma molto difficile e presso che impossibile; ciò poi non é privo di danno perché non può accadere senza scandalo di molti. Ma fino a quando seguiterò ad andar in traccia dell’introvabile? ché l’enumerare tutte le difficoltà che qui s’incontrano, sarebbe la stessa cosa che misurare l’acqua del mare. Se anche uno si sia purificato da ogni passione, il ché é impossibile, per giungere a correggere i falli altrui deve sopportare infiniti disagi: se poi s’aggiungono le proprie deficienze, pensa quale abisso di angustie e di affanni non deve patire quegli che voglia vincere i vizi suoi e degli altri!

Bisogna far fruttare i talenti

VIII. Ma tu, disse Basilio, non devi sopportare fatiche e non hai forse affanni anche standotene solo?

"Ne ho per certo, risposi, anche così; come é possibile infatti, essendo uomo e vivendo questa tribolata vita, starsene affatto libero da pene e lotte? Ma come non é eguale cosa il cadere in un pelago sterminato e il traghettare un fiume, così pure differiscono le pene di questo stato e

quelle dell’altro. Certamente anch’io desidererei, potendolo, essere di aiuto ad altri e ciò é per me oggetto di molto desiderio; ma se non è possibile recare giovamento ad altri, purché almeno mi riesca di porre in salvo me stesso e sottrarmi al naufragio, me ne starò contento anche solo di. Questo".

"E tu credi, disse, che ciò sia gran cosa? e pensi davvero di poterti salvare senza occuparti del vantaggio di altri?".

"Tu dici bene e giustamente, risposi; poiché neppure io posso credere che abbia a salvarsi chi non sopporta alcuna fatica per procurare la salute altrui; neppure quel miserabile infatti, guadagnò nulla col non sminuire il talento, ma appunto il non averlo aumentato ricavandone il doppio, fu la sua rovina. Tuttavia io stimo che all’accusa di non aver salvato altri, seguirà una punizione più mite che all’altra, d’aver io rovinato e me ed altri, essendomi fatto peggiore dopo conseguita sì gran dignità. Ora io reputo che tale sarà la pena quale richiede la grandezza delle colpe; ma assunta che avessi la carica, non solo doppia e tripla, ma d’assai volte maggiore, per averne scandalizzato un numero più grande, e per aver, dopo un maggior onore, offeso Dio che me l’aveva conferito".

Page 66: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

66

Più si richiede da Dio a chi fu elevato a maggior dignità

Per ciò appunto [Iddio] accusando più fortemente gli Israeliti, dimostra ch’essi sono degni di maggior castigo, per esser caduti in colpa dopo tanto onore loro accordato, dicendo una volta: "Voi soli ho io conosciuti di tutte le famiglie della terra; per questo vi punirò di tutte le vostre iniquità" (Am. 3,2). E altra volta: "E de’ vostri figlioli scelsi i profeti, e dalla vostra gioventù quelli da consacrarsi" (Am. 2,11). E prima de’ profeti, volendo dimostrare che le colpe ricevono molto maggior castigo quando sian commesse da’ sacerdoti che non quando lo sono dai privati, impone di offrire per i sacerdoti un sacrificio corrispondente a quello offerto per tutto il popolo, volendo dimostrare che le piaghe del sacerdote richiedono maggior cura, e tanta quanta se ne richiede per il popolo intero; non vi sarebbe bisogno certo di più grande cura se esse non fossero per se stesse più maligne: e tali esse sono appunto, non già per natura, ma perché rese più gravi dalla dignità rivestita dal sacerdote che le ha contratte. E che dico gli uomini che rivestono la dignità? le figlie stesse dei sacerdoti, benché nessun rapporto diretto abbiano col sacerdozio, soggiacciono a più aspro castigo pe’ loro peccati, a causa della dignità paterna; eppure la colpa era eguale in loro e nelle figlie dei privati, sì le une che le altre essendo ree di fornicazione; ma a queste ultime fa più dura la punizione la superiorità d’onore. Vedi con quanta copia d’esempi Iddio ti dimostra che esige maggior pena dal capo che non dai sudditi; però che [Dio] il quale inflisse più grande punizione alla figlia per causa del padre: da questo, che fu ad essa cagione di aumentarle i tormenti, non richiederà per certo eguale pena che dagli altri, ma assai più grande. E ben a ragione; ché il danno non si arresta in lui, ma rovina anche le anime dei più deboli che a lui tengono volto lo sguardo: ciò volendo insegnare Ezechiele distingue il giudizio degli arieti da quello delle pecore.

La vita ritirata protegge un animo debole

IX. Ti par dunque ch’io tema d’un ragionevole timore? E oltre a quanto ho detto [aggiungi] che ora ho pur d’uopo di fatica per non essere totalmente sopraffatto dalle passioni dell’anima, ma nondimeno riesco a tollerare tale travaglio e non mi ritraggo dal combattimento. E per vero anche al presente sono soggiogato dalla vanagloria, ma spesso m’è pur dato di rialzarmi, e conosco le cause della caduta; talora anche faccio severo rimprovero all’anima per essersene resa schiava. Anche al presente sorgono in me desideri viziosi, ma essi accendono una più languida fiamma, non avendo gli occhi esteriori alcun mezzo di porgere esca al fuoco: non mi occorre punto di parlar male d’alcuno o d’intendere altri a parlarne, non avendo io conversazione con alcuno; né potrebbero invero queste pareti dire anche una sola parola. Non mi riesce però egualmente di sottrarmi all’irascibilità, sebbene non vi sia chi mi vi ecciti; ché spesso assalendomi il ricordo d’uomini perversi e delle loro malvagità, mi sommuove lo spirito; per altro quest’agitazione non va fino agli eccessi, ché ben presto l’anima accesa si ricompone, e la persuado a calmarsi, dicendo esser cosa inutile ed estremamente stolta l’affannarsi de’ fatti altrui trascurando le cose proprie. Ma se io andassi fra la moltitudine e cadessi in preda d’infiniti turbamenti, non potrei certamente rivolgermi simili ammonimenti, né trovare le riflessioni che possano esercitare su di me una tale disciplina. Ma come chi è travolto in un precipizio da una corrente o da altra forza, può bensì prevedere la rovina in cui andrà a finire, ma non è dato a lui di escogitare alcuno scampo, così pure io qualora cadessi in si gran turbine di passioni, potrei scorgere la punizione aumentarmisi di giorno in giorno, ma non mi sarebbe agevole come ora serbare il dominio di me stesso: il reprimere in ogni caso queste turbolente malattie [dello spirito] non mi riuscirebbe così facilmente come prima. Ho un’anima inferma e piccina, facile preda non solo di queste passioni ma d’una di tutte più fiera: l’invidia; essa poi non sa sostenere con moderazione né le contumelie né gli onori, ma in modo eccessivo rimane

Page 67: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

67

incitata da quelle, da questi soggiogata. Come le fiere terribili quando sono ben tarchiate e vigorose abbattono quelli che si fanno a pugnare con loro, specialmente se questi sono deboli e inesperti; se invece alcuno le smunga con la fame, addormenta i loro impeti e spegne la maggior parte di loro forza, di guisa che anche chi non è molto valente può cimentarsi con loro in lotta e in caccia, così è anche delle passioni dell’anima: chi le indebolisce riesce a sottoporle a sani ragionamenti; chi invece le nutrisce lautamente rende a se stesso più fiera la lotta contro di esse e se le rende tanto terribili da aver poi a passare tutta la vita in loro schiavitù e sotto il loro incubo. Or qual è il nutrimento di queste fiere? della vanagloria sono gli onori e le lodi; dell’arroganza, la grande autorità e potestà; dell’invidia, i buoni esiti dei propri colleghi; dell’avarizia, l’ambizione di quelli che possono largire denaro; dell’intemperanza, il lusso e i continui trattenimenti colle donne e via dicendo. Tutte queste passioni, se io esco all’aperto, mi assaliranno e strazieranno l’anima spaventose, e impegneranno meco una guerra più feroce. Mentre invece fin che me ne sto qui ritirato, ci vorrà bensì grande sforzo per soggiogarle, ma pur le soggiogherò con la grazia di Dio e non avranno più altra forza che di latrare. Per ciò io sto attaccato a questa stanzetta, senza uscirne, senza conversazioni né compagnie, e sopporterò di udire infinite altre accuse simili, e me ne purgherei di buon grado, pur dolendomi e rammaricandomi di non poter farlo. Io non potrei agevolmente essere uomo di società e nello stesso tempo serbare intatta la sicurezza presente; onde prego di compatire piuttosto che accusare chi ha voluto sottrarsi a tale cimento.

Grande timore di Giovanni al pensiero di recare danno alla Chiesa

X. Ma non ti persuado ancora: è dunque tempo di rivelarti anche quello che unicamente tenevo celato e che forse sembrerà a molti incredibile; ma ciò non ostante io non arrossirò di metterlo in pubblico. Che se le cose dette da me saranno prova di coscienza contaminata e d’innumerevoli colpe, poi che Dio, il quale ha da giudicarmi, conosce esattamente tutto, che cosa potrà venirmene di più dalla ignoranza degli uomini? Or qual è dunque il secreto? Da quel giorno in cui facesti nascere in me questo sospetto [di essere mio malgrado consacrato], più volte il mio corpo corse pericolo d’essere totalmente paralizzato, tanto era il timore e l’abbattimento che s’era impadronito dell’anima mia. Considerando io l’eccellenza, la santità, la spirituale bellezza, l’ordine e il decoro della Sposa di Cristo, e d’altra parte pensando ai miei vizi, non cessavo di rimpiangere e quella e me stesso, e continuamente fra gemiti e sgomento andavo dicendo tra me: "Chi dunque poté dare un simile consiglio? o qual gran peccato ha commesso la Chiesa di Dio? come ha ella mosso siffattamente a sdegno il suo Signore, da essere data in balìa di me vilissimo fra tutti, e subire una tal confusione?". Tali cose rivolgendo fra me medesimo, né potendo sopportare pur il pensiero di un fatto così assurdo, io me ne stavo muto come gli epilettici, impotente a nulla vedere o ascoltare. Cessato poi quello sgomento, ché venne pur il tempo in cui cominciò a dileguarsi, vi succedevano le lacrime e lo scoramento; saziatomi di lacrime sottentrava di nuovo il timore conturbandomi, sconvolgendomi e sovvertendomi l’intelletto. In tal tempesta vissi tutto questo tempo, mentre tu ciò ignoravi e credevi che io godessi tranquillità; ma ora tenterò di scoprirti il turbine dell’anima mia, ché anche in vista di ciò ben presto mi darai venia, cessando di muovermi accuse. Or come farò io a svelarti me stesso? ché se tu volessi averne una chiara conoscenza, ciò non potrebbe altrimenti farsi che mettendo a nudo il mio stesso cuore; ma poiché ciò è impossibile, cercherò almeno, come mi sarà dato, di mostrarti con tenue sembianza la caligine del mio sbigottimento, di modo che tu possa averne anche solo un’idea.

Allegoria finale. La fidanzata mistica

Page 68: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

68

Supponiamo che a un uomo sia promessa sposa la figlia del re di tutta la terra che è sotto il sole, e questa fanciulla sia bella d’ineffabile bellezza, tale da sorpassare anche l’umana natura e superare di gran lunga in bellezza le altre donne tutte quante; che oltre a ciò essa possieda tali doti di spirito da lasciarsi indietro assai la schiatta intera degli uomini che furono e che saranno; che per leggiadria di costumi sorpassi tutti i confini della saggezza e faccia impallidire con lo splendore del proprio aspetto la beltà corporale; supponiamo che il promesso sposo sia acceso per questa vergine non solo a cagione di queste doti, ma oltre a ciò senta verso di lei una particolare tendenza, una passione di tal forza da eclissare al confronto anche gli amatori più deliranti che mai siano stati. Poniamo poi che mentre è bruciato da un tal fuoco, venga a sapere che quella sua meravigliosa amata è in procinto di essere sposata da uomo da nulla, ignobile di stirpe, deforme di corpo e più meschino di ogni altro. Ti ho io così rappresentato qualche piccola parte del mio affanno? ti basta ch’io mi limiti a questa immagine? certo credo che basti per rappresentarti il mio sbigottimento, e appunto per darti un’idea di quello, te l’ho esposta. Ma ora verrò ad un’altra rappresentazione, per dimostrarti la grandezza del mio timore e della mia trepidazione.

L’esercito e l’armata navale affidati a un contadinello

XI. Sia dunque un esercito composto di pedoni, di cavalieri e d’uomini di mare; e copra il mare la moltitudine delle triremi, e coprano le campagne e le vette dei monti le falangi dei fanti e dei cavalieri. E riverberi al sole il suo splendore il rame delle armi, mentre contro i raggi di lassù mandati, vibri il fulgore degli elmi e degli scudi: lo strepito delle aste e il nitrito de’ cavalli si levi fino al cielo, né si veda più mare o terra, ma rame e ferro appaia da ogni parte.

Incontro a questi si schierino i nemici, uomini fieri e spietati e sia imminente ormai il momento della battaglia. Indi alcuno preso ad un tratto un garzoncello di quelli che sono allevati nei campi e nulla sanno all’infuori del zufolo e del bastone da pastore, lo rivesta delle armi di rame; lo conduca quindi a torno tutto quanto l’esercito e gli mostri le varie compagnie con i loro comandanti, gli arcieri, i frombolieri, i capitani, i generali, i fanti di grave armatura, i cavalieri, i lanciatori, le triremi e i trierarchi, gli armati che sopra quelle stanno, la moltitudine delle macchine poste sulle navi; gli mostri poi

anche tutte quante le schiere dei nemici e certe facce spaventevoli, la strana foggia delle armi, l’infinita loro moltitudine; i precipizi, i profondi burroni e i dirupi dei monti. Poi gli mostri ancora dalla parte dei nemici e cavalli volanti per via d’incantesimi, e fanti portati per l’aria e ogni opera e specie di magia. Gli venga poi anche enumerando i casi della guerra: nubi di saette, nembi di dardi, quell’immensa caligine, oscurità e tenebrosissima notte prodotta dal nembo degli strali, sì da impedire con la sua densità i raggi del sole, la polvere che non meno della tenebra acceca gli occhi, i torrenti di sangue, i gemiti dei cadenti, le urla di chi sta ancor in piedi, i cumuli dei distesi a terra, le ruote asperse di sangue, i cavalli con i loro cavalieri stramazzati bocconi per la moltitudine dei cadaveri giacenti, la terra di tutto ciò confusamente coperta, e sangue e dardi e frecce e zoccoli di cavalli e teste d’uomini insieme, e braccia e ruote e schinieri e petti trapassati, cervella cosparse sul filo delle spade, punte di saette infrante, e, nelle punte, occhi infilzati. Gli enumeri anche i casi dell’armata navale: delle triremi, quali incendiate in mezzo alle acque, quali affondate in un con i soldati; il mugolio dell’onde, il tumulto dei marinai, il grido delle ciurme, la spuma dei flutti mescolata col sangue che piove su tutte le navi; e cadaveri, altri sui tavolati, altri sommersi, altri galleggianti, altri sbalzati sul lido, altri avvolti dall’onde sì da chiudere alle navi la strada. Indi, mostrati a lui diligentemente tutti

Page 69: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

69

questi luttuosi casi di guerra, vi aggiunga ancora i mali della prigionia e la schiavitù peggiore d’ogni morte; e ciò detto gli imponga senz’altro di salire subito a cavallo e assumere il comando di tutto l’esercito. Or credi tu forse che a quel comando potrà bastare quel garzoncello, o piuttosto al primo aspetto non rimarrà egli subito senza respiro.

Le forze infernali schierate contro la Chiesa di Cristo e i suoi sacerdoti. Le ferite dell’anima. Confronto fra la pugna materiale e la lotta spirituale

XII. Né credere che io esageri la cosa con le mie parole, né reputarle [troppo] grandi, perché noi chiusi nel corpo come in una prigione nulla possiamo vedere di ciò che è invisibile; poiché se tu potessi mai scorgere con questi occhi [materiali] la tenebrosissima oste e la furibonda accozzaglia del diavolo, vedresti un apparato di guerra molto maggiore e terribile di questo. Là non v’è rame né ferro, né vi sono cavalli o carri o ruote; non fuoco né strali né alcun ordigno bellico di quelli visibili, ma altre molto più spaventose macchine. A quei nemici non occorre né corazza, né scudo, né spada, né asta; e tuttavia la sola vista di quell’infinito esercito basta a tramortire l’anima che non sia molto ardita e oltre la propria forza non sia favorita copiosamente dalla provvidenza di Dio. E se fosse possibile, sciogliendosi da questo corpo, poter osservare liberamente e senza timore tutta l’oste schierata di quello, e scorgere visibilmente la guerra apprestata contro di noi, potresti vedere non già rivi di sangue, né cadaveri, ma tale strage di anime e tanto aspre ferite, che la descrizione guerresca fatta da me più sopra, sarebbe stimata da chiunque in paragone nient’altro che un giochetto da fanciulli, un trastullo anziché una guerra, tanti sono quelli che ogni giorno vengono colpiti. Le ferite poi non infliggono una eguale morte, ma quella [morte] differisce tanto da questa quanto l’anima differisce dal corpo; poiché quando l’anima tocca una ferita e cade, non giace insensibile come il corpo [morto] ma viene quindi tormentata immediatamente dallo struggimento della mala coscienza; e dopo il trapasso da questa vita, nell’ora del giudizio viene consegnata alla pena eterna. Che se taluno poi rimanesse insensibile alle ferite del diavolo, il danno per lui si accresce appunto per quell’insensibilità; infatti, chi dopo una prima ferita non prova rimorso, facilmente ne toccherà una seconda e dopo questa un’altra; ché quell’immondo, qualora incontri un’anima intorpidita e noncurante delle prime ferite, non cessa di colpirla fino all’ultimo respiro. E se volessi esaminare il genere di battaglia, la troveresti molto più violenta e svariata; ché nessuno conosce tanta specie di frode e d’inganno quante colui; quel maledetto infatti trae da esse la sua maggior potenza; né alcuno potrebbe nutrire sì implacabile inimicizia contro i suoi più feroci avversari, quale il maligno nutre contro l’umana natura. Se poi alcuno esamini l’accanimento con cui quegli combatte, troverà cosa ridicola il paragonarvi [quello consueto] fra uomini; e se scegliendo le più rabbiose e feroci belve, vorrà contrapporle alla furia di quello, le troverà al confronto mansuetissime e docilissime, tanto furore quegli esala nell’assalire le nostre anime. La durata poi della battaglia qui [fra noi] è breve, e pur nella sua brevità occorrono frequenti intervalli: il sopravvenire della notte, la stanchezza della strage, il tempo di prendere cibo e molte altre circostanze permettono al soldato di riposare, di svestire l’armatura e respirare alcun poco, rifocillarsi con cibo e bevanda e con molti altri mezzi riacquistare il pristino vigore. Ma col maligno, non è dato mai deporre le armi né prendere sonno a chi voglia serbarsi affatto incolume; è forza che l’una o l’altra accada di queste due cose: o cadere e soccombere se si spoglia [delle armi], o rimanere continuamente in piedi armato e vigilante. Ché quegli senza tregua insiste con tutto il suo campo, spiando le nostre disattenzioni, adoperando egli maggior diligenza alla nostra rovina, che noi stessi alla nostra salvezza. Inoltre il non esser egli da noi veduto e il sopraggiungerci di

Page 70: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

70

sorpresa, cose che più d’ogni altra sono causa di infiniti danni per chi non è in continua vigilanza, presentano questa lotta come assai più scabrosa di quella.

Commiato, augurio finale e promessa di amichevole assistenza e di conforto reciproco

XIII. Qui adunque tu volevi che io assumessi il comando dei soldati di Cristo? ma ciò sarebbe stato un guidare l’esercito in pro del diavolo: quando colui che deve porre in

ordine e tenere in disciplina gli altri, è privo d’ogni esperienza e debolissimo, tradendo con la sua incapacità quelli che gli furono affidati, farà da capitano per il diavolo più che per Cristo.

Ma perché gemi? perché versi lacrime? non è degna di compianto la mia sorte, ma di letizia e giubilo.

"Non però la mia, disse, ch’è invece degna d’infinito rammarico! ora soltanto ho potuto comprendere in quale [abisso] di mali mi hai condotto lo sono venuto da te per sapere che cosa potessi rispondere in difesa ai nostri accusatori; tu mi rimandi dopo aver aggiunto affanno ad affanno; già non mi preoccupo più ormai di ciò che risponderò a quelli in difesa, ma piuttosto di ciò che risponderò a Dio riguardo a me stesso e alle mie colpe. Ma ti prego e scongiuro, se alcuna sollecitudine hai delle mie vicende, se alcuna consolazione in Cristo, se alcun conforto della carità, se viscere di compassione; ben sai che tu più di tutti m’hai spinto a questo cimento: porgimi la mano, e non cessare un istante di dire e operare quanto giovi a indirizzarmi, ma più ancora che per il passato intratteniamo la nostra intima conversazione". "E io sorridendo: e che potrò io darti, quale aiuto ti potrò fornire per sopportare il peso di tanto ufficio? ma pur se ciò ti è caro, fa’ animo, o diletto; nel tempo in cui ti sarà dato respirare da quelle cure, io ti sarò vicino per confortarti, né alcuna cosa tralascerò di quanto è in mio potere.

A questo punto quegli più dirottamente piangendo si alzò; io abbracciatolo e baciatolo in fronte, lo rimandai confortandolo a sopportare fortemente la sua sorte. Credo, dissi, fidando in Cristo che ti ha chiamato e t’ha preposto alle sue pecorelle, che da questo ministero ti verrà tanta fiducia, che in quel giorno accoglierai pur me pericolante nell’eterno tuo tabernacolo.

NOTA: le citazioni sono spesso riportate, dallo stesso Crisostomo, a memoria, lievemente modificate o abbreviate per motivi stilistici, nei casi in cui sono testuali è utilizzata la LXX o la Volgata

 

San Basilio di Cesarea

Page 71: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

71

DISCORSO AI GIOVANI

I. Molte sono le ragioni, ragazzi miei, che mi spingono a darvi quei consigli che giudico i migliori e che credo possano esservi utili, nel caso li seguiate. Infatti l’essere arrivato a questa età, l’aver affrontato ormai molte prove e l’aver preso parte abbastanza alle alterne vicende della sorte che tutto insegna, mi hanno reso tanto esperto delle cose umane da poter mostrare la via più sicura a chi da poco si è incamminato lungo il sentiero della vita. Per grado di parentela io vengo subito dopo i vostri genitori, così che non nutro per voi meno affetto di loro. D’altra parte, se non interpreto male i vostri sentimenti, credo che neanche voi, guardando me, sentiate la mancanza dei vostri genitori. Se dunque farete tesoro delle mie parole, sarete al secondo posto della graduatoria di merito stilata da Esiodo; altrimenti, senza che sia io a dovervi dire qualcosa di spiacevole, basterà che vi ricordiate dei suoi versi: «Ottimo è colui che da se stesso vede ciò di cui ha bisogno; buono chi segue ciò che gli viene mostrato da altri; ma chi non è capace né dell’una né dell’altra cosa, è del tutto inetto».Non meravigliatevi poi se a voi, che pur frequentate ogni giorno la scuola e avete familiarità con i più illustri degli antichi scrittori grazie alle opere che ci hanno lasciato, io dico d’averci personalmente trovato qualche cosa di davvero utile. Io vengo a consigliarvi appunto questo: non bisogna che voi, affidando a questi personaggi una volta per tutte il timone della vostra intelligenza, come si fa con una nave, li seguiate dovunque vi portino, ma, accogliendo quanto hanno di utile, sappiate anche ciò che bisogna lasciai perdere. Comincerò dunque a spiegarvi quali siano queste cose e con quali parametri debbano essere valutate.

Page 72: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

72

II. Noi, ragazzi miei, crediamo che la vita dell’uomo in questo mondo non abbia un valore assoluto, né consideriamo o definiamo vero bene ciò che circoscrive la sua utilità entro i limiti di questa vita. Perciò non riteniamo degna di essere desiderata né la nobiltà di nascita né la forza fisica o la bellezza o la statura del corpo, né gli onori del mondo né il potere e nemmeno ciò che si potrebbe dire grande tra le cose umane. E neppure invidiamo quelli che posseggono tali beni, ma ci spingiamo ben oltre con la speranza e facciamo tutto nella prospettiva di un’altra vita.Di conseguenza, affermiamo che bisogna amare e ricercare con tutte le forze tutto ciò che ci aiuta a raggiungere una tale vita; quanto invece non ci orienta ad essa va trascurato come cosa di nessuna importanza. Come sia poi questa vita e dove e in che modo noi la vivremo, sarebbe troppo lungo da spiegare rispetto allo scopo che qui mi sono proposto, e ci vorrebbero interlocutori più maturi di voi. Per darvi un’idea di ciò che intendo, basterà forse dire solo questo, che, cioè, se uno potesse abbracciare col pensiero e mettere insieme tutta la felicità che c’è stata al mondo da quando gli uomini esistono, scoprirebbe che essa non è paragonabile nemmeno alla più piccola parte di quei beni; anzi, troverebbe che la totalità dei beni di quaggiù è distante per valore dal più piccolo bene di lassù più di quanto l’ombra e il sogno sono lontani dalla realtà. O piuttosto, per usare un esempio più appropriato, quanto l’anima è sotto ogni aspetto più preziosa del corpo, tanta è l’una vita è differente dall’altra.A quest’altra vita ci conduce la Parola di Dio con l’insegnamento dei suoi misteri. Ma fin tanto che per l’età non siamo in grado di comprenderne il senso profondo, ci esercitiamo con l’occhio dell’anima su altri libri non del tutto diversi, come su ombre e specchi, imitando quelli che fanno le esercitazioni militari. Questi, una volta acquisita esperienza nei movimenti delle braccia e nella marcia cadenzata, da questo addestramento ricavano poi profitto per le vere battaglie. Dobbiamo anche noi credere di aver dinanzi una battaglia, la più dura di tutte le battaglie, per la quale dobbiamo fare tutto e sforzarci il più possibile per prepararci ad essa; e bisogna consultare poeti, storici, oratori e tutte quelle persone da cui possa venirci un qualche aiuto per il bene della nostra anima.Come i tintori che, solo dopo aver preparato con trattamenti particolari la stoffa che deve ricevere la tintura, vi applicano il colore vivo, il rosso porpora o qualunque altro, così anche noi, se vogliamo che rimanga indelebile in noi l’idea del bene, solo dopo essere stati preparati con gli studi profani, comprenderemo i misteri dei sacri insegnamenti. Così, una volta abituati a guardare il sole riflesso nell’acqua, potremo fissare il nostro sguardo direttamente nella luce.

III. Se dunque tra le lettere profane e quelle sacre c’è qualche affinità, il conoscerle entrambe ci sarà senz’altro utile; in caso contrario, il metterle a confronto e capirne la differenza servirà non poco a confermarci nella scelta migliore. Ma a che cosa potremo paragonare i due insegnamenti per farcene un’immagine adeguata? Come una pianta ha sì per suo proprio carattere quello di caricarsi di frutti nella giusta stagione, ma porta anche come ornamento le foglie che stormiscono sui rami, così anche l’anima, sebbene il suo frutto caratteristico sia la verità, non è sconveniente che si circondi di sapienza profana come di foglie che diano al frutto riparo e un aspetto piacevole. Si dice del resto che il grande Mosè, così famoso nel mondo per la sua saggezza, solo dopo aver esercitato la mente nelle scienze degli Egiziani, si dette alla contemplazione dell’Essere. E come lui, ma in epoca più recente, dicono che il saggio Daniele prima abbia imparato a Babilonia la sapienza dei Caldei e si sia poi dedicato allo studio delle cose divine.

IV. Si è già detto abbastanza che questi insegnamenti profani non sono inutili per l’anima. Rimarrebbe da dire in che modo voi dobbiate accostarvi ad essi.

Page 73: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

73

Prima di tutto, per cominciare dai poeti, non bisogna prestare attenzione indistintamente a tutto quel che troviamo presso di loro, dal momento che alcuni trattano argomenti di ogni genere; ma quando vi narrano le imprese o i discorsi di uomini virtuosi, bisogna amarli ed imitarli e cercare soprattutto di essere simili a loro. Ma ogni qualvolta passano a rappresentare uomini malvagi, bisogna rifuggire queste letture, tappandoci le orecchie non meno di quanto i poeti dicono che Ulisse rifuggì il canto delle Sirene. Infatti, l’abitudine ai discorsi cattivi è come una via verso le azioni. Bisogna pertanto custodire l’anima con ogni cura, affinché attraverso la dolcezza delle parole non assumiamo, senza accorgercene, qualcosa di deleterio, come chi insieme al miele beve i veleni.Dunque non loderemo i poeti quando rappresentano persone che insultano o dicono scurrilità o amoreggiano o si ubriacano, né quando riducono la felicità ad una tavola imbandita e a canti dissoluti. E ancor meno daremo loro ascolto quando trattano dei loro dei, e soprattutto quando ne parlano come se fossero molti e discordi tra loro. Presso di loro, infatti, il fratello è in contrasto col fratello, il padre con i figli e c’è guerra implacabile tra figli e genitori. Lasceremo poi agli attori gli adultéri degli dei, i loro amori ed accoppiamenti alla luce del giorno, e soprattutto quelli del loro capicoro, ossia del sommo Giove, come lo chiamano, del quale si raccontano cose che se si dicessero degli animali farebbero comunque arrossire. Lo stesso devo dire dei prosatori soprattutto quando scrivono per sedurre gli uditori. Degli oratori poi non imiteremo l’arte volta all’inganno. Né nei tribunali né in altra circostanza, infatti, ci è permessa la menzogna, a noi che abbiamo scelto la via diritta e vera della vita e a cui la legge vieta di intentare processi. Ma piuttosto sceglieremo quegli scritti nei quali è lodata la virtù o condannato il vizio.Come dai fiori le altre creature ricavano solo il piacere del profumo o del colore, mentre le api vi attingono anche il miele, allo stesso modo da questi scritti, quanti non vi cercano soltanto il fascino e la dolcezza, possono ricavare anche un qualche giovamento per l’anima. Dobbiamo appunto accostarci a tali opere seguendo in tutto l’esempio delle api. Esse non si posano indistintamente su tutti i fiori né cercano di portar via tutto da quelli sui quali si posano; ma prendendo soltanto quanto è necessario al loro lavoro, lasciano perdere il resto. E anche noi, se siamo saggi, una volta attinto da quelle opere quanto ci è utile ed è conforme alla verità, il resto lo trascureremo. E come nel cogliere una rosa evitiamo le spine, così nel cogliere in questi libri quanto ci è utile, staremo attenti a ciò che è dannoso.Come prima cosa, dunque, bisogna esaminare bene ciascun aspetto di tali studi e adeguarli al nostro scopo, sistemando, secondo il proverbio dorico, la pietra a fil di piombo.

V. E siccome alla nostra vita, quella vera, dobbiamo tendere per mezzo della virtù ed è a questa che molti elogi sono stati fatti dai poeti, dai prosatori e ancor più dai filosofi, bisogna dedicarsi in modo particolare a questo genere di scritti. Non è infatti piccolo vantaggio che nell’animo dei ragazzi si crei una certa familiarità e dimestichezza con la virtù, poiché gli insegnamenti ditali scrittori si imprimono nel profondo del loro animo ancora tenero e sono di per sé indelebili. Con quale altra intenzione pensiamo che Esiodo abbia scritto questi versi, che tutti recitano, se non per esortare i giovani alla virtù? «La via che conduce alla virtù è all’inizio aspra, difficile, piena di molto sudore e fatica e malagevole».Perciò non è da tutti accedervi, a causa della sua ripidità, o giungere facilmente alla cima, una volta intrapresa la salita. Però chi è arrivato in alto può vedere come essa sia piana e bella, come sia facile, agevole e migliore dell’altra che conduce al vizio e che, come disse questo stesso poeta, è affollata per la sua stessa accessibilità. A me infatti sembra che Esiodo per nessun’altra ragione abbia scritto queste cose se non per esortarci alla virtù, per invitare tutti ad essere virtuosi e perché, lasciandoci scoraggiare dalle difficoltà, non desistiamo dal raggiungere la meta. E naturalmente se

Page 74: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

74

anche qualche altro ha elogiato la virtù in modo analogo, dobbiamo accogliere le sue parole, dal momento che ci conducono allo stesso fine.Io ho sentito dire da una persona abile nell’interpretare il pensiero del poeta che tutta la poesia di Omero è un elogio della virtù e che tutto in lui, eccetto quanto è marginale, porta a questo. Emblematici quei versi in cui parla del condottiero dei Cefalleni salvato nudo dal naufragio: prima infatti dice che la principessa solo al vederlo provò un senso di rispetto, tanto era lontano dal doversi vergognare di apparire nudo, proprio perché il poeta lo rappresentò adorno di virtù a mo’ di vesti; poi anche dagli altri Feaci fu stimato tanto degno che, abbandonando la mollezza nella quale vivevano, lo ammiravano e lo invidiavano tutti; e nessuno dei Feaci avrebbe allora desiderato essere altro che Ulisse, e per giunta Ulisse scampato da un naufragio.In questi versi quell’interprete del pensiero del poeta sosteneva che Omero dice quasi gridando: O uomini, dovete preoccuparvi della virtù, che sopravvive al naufragio e farà apparire il naufrago, restituito nudo alla spiaggia, più onorevole dei fortunati Feaci. Ed è proprio così! E mentre gli altri beni non appartengono al proprietario più che a qualsiasi altra persona, passando dall’uno all’altro come nel gioco dei dadi, la virtù è l’unico possesso che non ci può essere tolto e rimane durante la vita e anche dopo la morte. Appunto per questo anche Solone mi pare abbia detto ai ricchi: «Noi non scambieremo la nostra virtù con la loro ricchezza, poiché quella è stabile, le ricchezze degli uomini invece passano dall’uno all’altro».Un analogo concetto esprimono quei versi di Teognide in cui dice che Dio, chiunque egli sia, fa pendere la bilancia delle sorti umane ora da una parte ora da un’altra: «Ora sono ricchi, ora non possiedono nulla».Ed anche il sofista Prodico di Ceo filosofeggia con parole simili in qualcuno dei suoi scritti riguardo al vizio e alla virtù: anche a lui dobbiamo volgere la nostra attenzione, perché non è un autore da trascurare. Questo è pressappoco il ragionamento di Prodico, per quel che ricordo del suo pensiero; le parole precise mi sfuggono, so solo che, semplicemente e senza metrica, raccontava che quando Eracle era giovanissimo, più o meno della vostra età, mentre stava decidendo quale delle due vie percorrere, o quella che attraverso la fatica conduce alla virtù o l’altra ben più comoda, gli si presentarono due donne: erano la Virtù e il Vizio. Esse, pur tacendo, lasciavano immediatamente intravedere dal loro atteggiamento la differenza. L’una infatti, ricercatamente acconciata per apparire bella, straripava di sensualità e si trascinava dietro tutto lo sciame dei piaceri; ostentava tutto ciò e, promettendo ancor di più, cercava di attrarre a sé Eracle. L’altra invece era magra e smorta, austera nello sguardo, e diceva cose del tutto diverse: non prometteva nulla di voluttuoso né di dolce, ma sudori senza fine e fatiche e pericoli, per terra e per mare; premio di tutto ciò era divenire dio, come diceva il racconto di Prodico; e appunto questa Eracle finì per seguire.

VI. E quasi tutti coloro che si sono guadagnati una certa fama per la loro saggezza, chi più chi meno, ciascuno secondo le proprie forze, hanno tessuto nei loro scritti l’elogio della virtù. Questi noi dobbiamo ascoltare, cercando di tradurre nella nostra vita le loro parole. Perché colui che conferma con i fatti quella filosofia che altri predicano solo a parole, «è il solo saggio, gli altri sono ombre che si agitano».Il che mi fa venire in mente il paragone di un pittore che rappresentasse un uomo di straordinaria bellezza, e quest’uomo fosse in realtà tale quale egli l’ha riprodotto nel suo ritratto. Poiché lodare splendidamente la virtù in pubblico e fare lunghi discorsi su questo tema, e poi in privato stimare il piacere più della temperanza e il guadagno più della giustizia, è cosa, direi, che si addice ad attori che calcano la scena, i quali spesso recitano il ruolo di re e di potenti, mentre non sono né re né potenti e forse neppure uomini liberi. Un musicista del resto non accetterebbe di avere una lira scordata né il direttore di un coro dei coristi che non fossero perfettamente intonati: e ci potrà

Page 75: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

75

invece essere qualcuno che sia in disarmonia con se stesso e che conduca una vita non coerente con le sue parole? Ma dirà con Euripide che «la lingua ha giurato, ma il cuore ne è rimasto esente» e cercherà di sembrare onesto invece di esserlo? Ma questo è il massimo della disonestà, se dobbiamo credere a Platone, ossia l’apparire onesti senza esserlo!

VII. Accogliamo, pertanto, quelle opere che contengono insegnamenti sulla virtù. E poiché le azioni virtuose degli antichi sono giunte a noi o per tradizione diretta oppure conservate negli scritti dei poeti o dei prosatori, non dobbiamo trascurare l’utile che possiamo trarne.Per esempio, un individuo della piazza insultava Pericle, senza che questi gli desse importanza; e così per tutto il giorno continuarono l’uno a ricoprirlo d’insulti senza tregua, l’altro a non farci caso. Scesa ormai la sera e fattosi buio, quando quello si decise a malincuore ad andarsene, Pericle lo fece accompagnare con una torcia per non sprecare neanche quell’occasione di esercitare la virtù.Un altro esempio. Un tale, infuriato contro Euclide di Megara, lo minacciò giurando che l’avrebbe ucciso; di rimando, l’altro giurò che l’avrebbe calmato e fatto desistere dalla collera. Quanto sarebbe bene richiamare alla memoria qualcuno di questi esempi quando si è presi dall’ira! Non bisogna infatti dar retta a quella tragedia che dice: «Basta lo sdegno ad armare la mano contro i nemici».La cosa migliore sarebbe non lasciarsi affatto trasportare dall’ira e, se ciò non è facile, perlomeno non permettere di andar troppo oltre, usando come freno la ragione.Ma torniamo ad occuparci di esempi di virtù. Un tizio, avventatosi contro Socrate, il figlio di Sofronisco, prese a colpirlo senza risparmio in pieno viso. Socrate non oppose resistenza, ma lasciò che il forsennato sfogasse tutta la sua rabbia, al punto che il viso gli diventò tutto gonfio dai pugni. Quando poi quello smise di picchiarlo, si dice che Socrate non fece altro che scriversi sulla fronte: Opera del tale, proprio come uno scultore firma la sua statua. E questa fu la sua vendetta.Credo sia bene che i ragazzi della vostra età imitino questi esempi, che sostanzialmente concordano con i nostri principi. Il comportamento di Socrate, infatti, è molto simile al nostro comandamento, che ci prescrive di porgere l’altra guancia a chi ci percuote. Altro che vendicarsi! L’esempio di Pericle e di Euclide è invece in sintonia con quell’altro comandamento che insegna a sopportare chi ci perseguita e a tollerare pazientemente la loro ira, e anche con quello che ci esorta a pregare per il bene dei nemici, e non a maledirli. E così chi si sarà formato su questi esempi, non riterrà impossibile attuare gli insegnamenti del Vangelo.Non vorrei tralasciare neppure l’aneddoto di Alessandro, il quale, dopo aver fatto prigioniere le figlie di Dario, pur famose per la loro straordinaria bellezza, non si degnò neppure di vederle, poiché giudicava vergognoso che chi aveva vinto degli uomini si lasciasse vincere da donne. Ebbene, questo esempio coincide col precetto evangelico, secondo cui: «Chi ha guardato una donna per desiderio, anche se di fatto non ha commesso adulterio, solo per aver accolto il desiderio nel suo cuore, non è esente da colpa».Anche l’esempio di Clinia, uno dei discepoli di Pitagora, è difficile credere che si accordi con i princìpi cristiani per puro caso e non invece per volontà di emulazione. Che cosa fece? Costui, pur essendogli possibile evitare una multa di tre talenti con un semplice giuramento, preferì pagare anziché giurare, anche se avrebbe giurato il vero. Pare quasi che avesse già udito quel comandamento che ci proibisce di giurare.

VIII. Ma torniamo a quello che dicevo all’inizio, che cioè non bisogna accogliere tutto indistintamente, ma solo quanto torna utile. Sarebbe infatti vergognoso evitare i cibi dannosi e non fare invece alcun conto delle letture che nutrono la nostra anima, ingurgitando tutto ciò che ci capita come un torrente in piena. Che senso avrebbe che, mentre un timoniere non abbandona la nave al

Page 76: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

76

capriccio dei venti ma la dirige verso il porto, un arciere tenta di colpire il segno, un fabbro o un falegname cercano di realizzare la loro arte, noi invece restassimo indietro a tali artigiani nel saper riconoscere lo scopo del nostro agire? Non è infatti possibile che il lavoro degli artigiani abbia un fine, mentre la vita umana non abbia uno scopo, in vista del quale tutto deve fare e dire colui che non vuole assomigliare agli animali privi di ragione. Altrimenti, saremmo simili a navi senza ancora, perché nessun criterio razionale presiederebbe alla guida dell’anima, trasportati alla deriva qua e là lungo la vita.È un po’ come avviene nelle gare sportive o, se vuoi, in quelle musicali, dove gli esercizi vengono fatti appunto in funzione di quelle gare per le quali ci sono in palio dei premi; e a nessuno che si eserciti nella lotta o nel pancrazio interessa suonare la cetra o il flauto. Non faceva di certo così Polidamante, ma, prima di partecipare ai giochi olimpici, si allenava fermando i carri in corsa e aumentava così la sua forza. Anche Milone non mollava la presa dal proprio scudo, che aveva per di più unto d’olio, ma resisteva agli urti quasi fosse una statua saldata col piombo. Insomma, tali esercizi servivano loro da preparazione alle gare. Se costoro, trascurando la polvere e le palestre, si fossero invece dedicati alle musiche dei cantori frigi Marsia e Olimpo, avrebbero ottenuto premi e gloria o piuttosto non avrebbero evitato una figuraccia nelle gare atletiche?D’altro canto, nemmeno Timoteo perdeva il suo tempo nelle palestre, trascurando la musica. Altrimenti non gli sarebbe stato possibile eccellere fra tutti nella musica, dove raggiunse un livello tale da riuscire, a suo piacimento, ad esaltare l’anima con un’armonia grave e austera per poi calmarla e intenerirla con una tonalità più morbida. Si racconta ad esempio che, mentre suonava il flauto nel modo frigio davanti ad Alessandro, lo eccitò al punto che nel bel mezzo del banchetto questi corse alle armi e poi, addolcendo il tono, lo riportò tra i commensali. Tanta è l’efficacia che procura l’esercizio, sia nella musica sia nelle gare sportive, per il raggiungimento dello scopo!Siccome ho parlato di premi e di atleti, vorrei ricordare che questi uomini, dopo aver sostenuto prove su prove, aver in mille modi accresciuto la loro forza, aver versato tanto sudore negli allenamenti e ricevuto tanti colpi a scuola di ginnastica e dopo essersi scelto come regime di vita non quello più comodo, ma quello prescritto dagli istruttori; insomma, per non farla troppo lunga, comportandosi in modo che tutta la vita prima della gara non sia altro che un esercizio preparatorio ad essa, solo allora affrontano lo stadio e si sottopongono ad ogni fatica e pericolo per conquistare una corona d’ulivo o di apio o d’altro del genere ed esser proclamati vincitori dall’araldo.E noi, che per la gara della vita abbiamo in palio premi meravigliosi per quantità e grandezza tanto che è impossibile descriverli a parole, pensiamo di riuscire ad afferrarli con una mano, dormendo fra due guanciali e vivendo in tutta tranquillità? Ma allora nella vita avrebbe più valore la pigrizia; e il famoso Sardanapalo otterrebbe il primo posto tra gli uomini felici o anche, se vuoi, quel Margite, che Omero – se proprio di Omero è l’opera – disse non aver mai né arato né zappato né fatto alcunché di importante nella vita! Non è vero piuttosto il detto di Pittaco secondo cui è difficile essere virtuosi? Infatti, solo dopo esser passati attraverso molte prove, potremmo, e pure a stento, ottenere quei beni, che, come dicevo, non hanno paragone in questo mondo.Perciò non dobbiamo darci all’ozio né barattare grandi speranze col benessere di un momento, se non vogliamo attirarci la vergogna e subire castighi, non tanto quaggiù tra gli uomini (per quanto anche questo non sarebbe di poco conto per chi ha un po’ di senno), quanto in quei luoghi di pena, sotto terra o in qualunque altro punto dell’universo si trovino. Chi dunque involontariamente viene meno al proprio dovere, potrà anche ricevere da Dio un qualche perdono; ma chi deliberatamente ha scelto il male, nessuna scusa potrà sottrarlo ad una pena ben più severa.

IX. Che faremo allora? domanderà qualcuno. Cos’altro se non avere cura dell’anima e trascurare tutto il resto? Non dobbiamo pertanto essere schiavi del corpo se non quanto è strettamente

Page 77: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

77

necessario. Bisogna invece dare all’anima il meglio, liberandola, attraverso una tensione morale, da quella specie di prigione in cui si trova per la comunanza con le passioni del corpo e, al tempo stesso, cercando di rendere il corpo più forte delle stesse passioni. Diamo sì al ventre il necessario, ma non quanto c’è di più piacevole, come fanno coloro che pensano solo a cercare organizzatori di banchetti e cuochi, setacciando tutta la terra e il mare, come se dovessero pagare un tributo ad un duro padrone. Fanno pena per questa loro frenesia, giacché non soffrono meno di coloro che sono condannati all’inferno: è come cardare lana nel fuoco, portare acqua con un colabrodo e versarla in un recipiente forato, senza vedere un termine a tali fatiche.Aver poi eccessiva cura dei propri capelli e dell’abbigliamento è, come diceva Diogene, o da infelici o da delinquenti. E dico che dei ragazzi come voi dovrebbero ritenere vergognoso essere ed avere la nomea di bellimbusti esattamente come prostituirsi o insidiare le nozze altrui. Che differenza infatti potrebbe mai esserci, almeno per chi ha buon senso, tra l’indossare un abito di lusso o portare un cappotto di scarsa qualità, purché non gli manchi qualcosa che lo protegga dal freddo e dal caldo? Così, anche per le altre cose, non bisogna procurarsi niente oltre il necessario né occuparsi del corpo più di quanto lo richieda il bene dell’anima. Infatti, per un uomo, che sia veramente degno di questo nome, essere un vanesio tutto dedito all’aspetto fisico non è meno vergognoso che abbandonarsi senza dignità a qualsiasi altra passione.In effetti, far di tutto affinché il corpo goda del maggior benessere possibile è tipico di chi non conosce sé stesso e non comprende quella saggia massima, secondo cui l’uomo non è quel che appare, ma occorre una saggezza superiore, in virtù della quale ciascuno di noi possa conoscere chi mai sia. E a chi non ha reso sgombra la propria mente raggiungere questa autocoscienza è più difficile che fissare il sole a chi è malato agli occhi. La purificazione dell’anima, poi, per dirvela in poche parole ma in modo esauriente, consiste nel disprezzare i piaceri dei sensi: non soddisfare gli occhi con le vuote esibizioni degli illusionisti oppure con spettacoli di corpi traboccanti di sensualità e non riempirsi le orecchie di una musica che ti rovina l’anima. Da una musica del genere infatti sono solite derivare passioni meschine e degradanti.Noi dobbiamo cercare invece quell’altro genere di musica, che è migliore e che porta ad una condizione migliore, quella cioè usata da David, il poeta dei canti sacri, per placare, a quel che dicono, la follia del re. Raccontano che anche Pitagora, imbattutosi in un’allegra comitiva di ubriachi, chiese al flautista che li guidava di cambiare musica e di intonare il modo dorico: a quella melodia tornarono in sé al punto che, buttate via le corone, se ne ritornarono a casa pieni di vergogna. Altri invece al suono del flauto vanno in delirio come dei coribanti o delle baccanti. Tanta è la differenza tra l’ascoltare una musica sana ed una cattiva! Perciò dovete evitare la musica che oggi è di moda proprio come quanto c’è di più vergognoso al mondo.Quanto poi a spruzzare nell’aria profumi di ogni tipo che danno piacere all’odorato e a spalmarsi di creme, mi vergogno anche solo di proibirvelo. Che cosa poi si potrebbe dire sul fatto che non bisogna cercare i piaceri del tatto e del gusto, se non che questi costringono chi li ricerca a vivere come animali, dediti come sono al ventre e a quel che c’è più giù?In una parola, chi non vuole sprofondare nei piaceri sensuali come nel fango, non deve preoccuparsi del corpo o averne cura solo in quanto, come dice Platone, ci dà una mano per acquistare la sapienza. Analogo è il pensiero di Paolo, il quale ci ammonisce che non bisogna avere alcuna cura del corpo per non alimentare le passioni. Che differenza c’è tra chi si preoccupa del benessere del corpo senza avere alcuna stima dell’anima che pure ne è padrona, e chi si cura degli strumenti senza occuparsi per niente dell’arte che si esprime con essi? Occorre al contrario frenare il corpo, tenerne a bada gli assalti come quelli di una belva e usare la ragione come una frusta per placare i tumulti che da esso arrivano all’anima; e non, allentando ogni freno del piacere, lasciare che la ragione ne sia travolta, come un auriga trascinato dalla furia di cavalli sbrigliati.

Page 78: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

78

Anche di Pitagora dovete ricordarvi, il quale, notando che uno dei suoi discepoli con la ginnastica e con la buona tavola ingrassava troppo, gli disse: «Allora, quando la smetterai di renderti il carcere più duro?». Proprio per questo dicono che anche Platone, prevedendo il danno che poteva derivare dal corpo, scelse a bella posta l’Accademia, luogo insalubre dell’Attica, per inibire la troppa floridezza del fisico come si fa con l’eccessivo rigoglio delle viti. Ed io stesso ho sentito dei medici dire che il troppo benessere è pericoloso. Poiché dunque la cura eccessiva del corpo è dannosa al corpo stesso e per di più è d’impaccio all’anima, è chiaramente una follia assoggettarsi ad esso e rendersene schiavi. Se invece ci abituassimo a ridimensionarlo, nessuna altra cosa al mondo sarebbe in grado di attrarci. A che potranno ancora servire infatti le ricchezze, una volta disprezzati i piaceri del corpo? Francamente non saprei, a meno che non procuri un qualche piacere far la guardia a tesori nascosti, come fanno i draghi nelle fiabe.Chi è stato educato a rapportarsi a queste cose con lo spirito di una persona libera, sarà ben lontano dallo scegliere di fare, nelle parole e nei fatti, qualche cosa di basso e vergognoso. Poiché tutto ciò che va oltre la necessità – fossero anche le pepite della Lidia o il frutto delle formiche aurifere –, tanto più costui lo disprezzerà, quanto meno ne avrà bisogno. E determinerà lo stesso bisogno in base alle esigenze della natura, e non secondo i piaceri. Quelli che invece eccedono i limiti del necessario, analogamente a quanti scivolano lungo un pendio non avendo alcun punto d’appoggio, non smettono mai di correre a precipizio, ma quanto più accumulano, di altrettanto hanno bisogno o anche di più per il soddisfacimento dei loro piaceri, secondo quanto dice Solone, figlio di Esecestide: «Non esiste per gli uomini un termine stabilito alla ricchezza».Su questo punto ci fa da maestro anche Teognide, quando dice: «Non amo arricchirmi né me lo auguro, ma mi sia concesso di vivere di poche cose e senza malanni».Io ammiro anche in Diogene il disprezzo totale delle cose umane: egli si dimostrò più ricco perfino del Gran Re, perché gli occorreva molto meno di lui per vivere. E noi, se anche non abbiamo le ricchezze di un Pizio di Misia e tanti e tanti ettari di terreno e un numero infinito di capi di bestiame tanto da non potersi contare, non saremo comunque soddisfatti? In realtà io credo che non bisogna desiderare la ricchezza che non si ha; e quando la si possiede, non bisogna vantarsi tanto di possederla, quanto di saperla bene usare. A questo proposito calza bene l’aneddoto di Socrate, il quale ad un uomo ricco che si vantava dei propri beni disse che non lo avrebbe ammirato prima di aver dimostrato di saperne usare. E se Fidia e Policleto si fossero vantati dell’oro e dell’avorio, con cui fecero l’uno la statua di Zeus agli Elei e l’altro quella di Era agli Argivi, si sarebbero resi ridicoli nell’andar fieri di una ricchezza altrui anziché dell’arte che aveva reso quell’oro più bello e più prezioso. E noi, pensando che la virtù umana non basti da sola come ornamento, crediamo di agire con minor ridicolo?Oppure disprezzeremo le ricchezze e disdegneremo i piaceri dei sensi per poi cercare le adulazioni e le lusinghe, imitando così l’ipocrisia e la scaltrezza della volpe di Archiloco? Ma non c’è nulla che un uomo saggio debba evitare di più che vivere secondo l’opinione altrui e guardare a ciò che pensa la gente anziché farsi guidare nella vita dalla retta ragione. Cosicché, anche se dovesse contraddire il mondo intero, essere disprezzato e correre dei rischi per amore dell’onestà, niente lo distoglierebbe dallo scegliere ciò che ha riconosciuto come giusto.Chi non fosse così, in che cosa potrebbe essere diverso da quel famoso mago egizio, il quale, tutte le volte che lo voleva, diventava pianta, animale, fuoco, acqua o qualsiasi altra cosa? Infatti, un individuo del genere ora loderà la giustizia davanti a quanti la onorano, ora invece sosterrà il contrario non appena s’accorge che è l’ingiustizia ad essere tenuta in onore, proprio come fanno gli adulatori. E come il polpo, a quel che si dice, cambia colore a seconda del fondale su cui si trova, così anche lui cambierà parere a seconda delle opinioni delle persone con cui si trova.

Page 79: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

79

X. Ma queste cose noi le impareremo in maniera più completa nella nostra bibbia; per ora accontentiamoci di tracciare un abbozzo della virtù ricavandola dagli insegnamenti profani. Infatti, chi sa accuratamente raccogliere l’utile da ogni cosa fa come i grandi fiumi che arricchiscono la loro portata ricevendo l’acqua dai vari affluenti. Anche il detto di «aggiungere il poco al poco», conviene intenderlo in riferimento non tanto all’aumento delle ricchezze quanto a qualsiasi conoscenza. Così Biante al figlio, che salpava per l’Egitto e gli domandava che cosa dovesse fare per renderlo quanto mai felice, rispose: Procurati provviste per la vecchiaia», intendendo per provviste la virtù, pur limitandola entro piccoli confini, in quanto ne riduceva l’utilità ai ristretti termini della vita umana.Per conto mio, se anche mi si parlasse della vecchiaia di Titono o di Argantonio o anche di quella del più longevo al mondo, cioè Matusalemme, il quale si dice che sia vissuto 970 anni, e se anche si calcolasse tutto il tempo dal momento in cui l’uomo cominciò ad esistere, ne riderei come di un pensiero puerile, considerando quella lunga età senza tramonto, di cui non è possibile col pensiero concepire un termine più di quanto non si possa supporre una fine per l’anima immortale. Per tale vita io vorrei esortarvi a procurarvi delle provviste, smuovendo ogni pietra, come dice il proverbio, da cui possa venirvi un qualche aiuto in tal senso.E se ciò è difficile e richiede fatica, non per questo dobbiamo perderci d’animo; ma, ricordandoci del consiglio di chi disse che ciascuno deve scegliersi il tipo di vita più alto e aspettare che diventi piacevole con l’abitudine, dobbiamo puntare al meglio. Sarebbe infatti vergognoso trascurare l’occasione presente e rimpiangere poi il passato, quando lamentarsi non servirà più a nulla.Ebbene, delle cose che considero più importanti alcune ve le ho dette, ma altre ve ne indicherò nel corso di tutta la vita. E voi, fra le tre tipologie di malati, cercate di non somigliare a quelli che sono incurabili e non fate che la malattia dell’animo sia analoga a quella di chi è malato nel corpo. Infatti, quelli che soffrono di lievi malattie, vanno da soli dai medici; quelli che sono affetti da malattie più gravi, li chiamano a casa loro; quelli infine che sono presi da una forma di delirio assolutamente incurabile non li fanno nemmeno entrare quando vanno a visitarli. Guardatevi che questo non succeda ora a voi, respingendo chi viene a darvi i consigli più saggi.

Sant'Eucherio di Lione

Page 80: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

80

FORMULE DELL'INTELLIGENZA SPIRITUALE

a Veranio

Prefazione

Come segno di paterna sollecitudine, ho scritto e ora ti invio queste formule per comprendere secondo lo spirito i termini latini, affinché tu intenda nel modo più facile il senso di quanto si nasconde negli scritti divini. Infatti, poiché la lettera uccide mentre lo spirito vivifica (2Cor 3, 6), è più che mai necessario penetrare in quei discorsi spirituali con spirito vivificante. Che l’intera Scrittura vada intesa allegoricamente, ci ammonisce essa stessa nel Vecchio Testamento: Voglio aprire a sentenza la mia bocca, proferire gli enigmi dei tempi antichi (Sal 77, 2), oppure quanto è scritto nel Nuovo Testamento: Tutte queste cose diceva Gesù alla folla in parabole, e non parlava loro se non per parabole (Mr 4,33-34). Non fa dunque specie che la parola divina, rivelata dalla bocca di profeti e apostoli, si ritragga dal modo consueto di scrivere, e mostri in superficie solo le cose facili da comprendere, nascondendo nell’interiorità le eccelse; giustamente dunque si sono separate, sia per forma che per valore, le sacre parole di Dio dagli altri scritti, così che la dignità di quei celesti aromi non vada svelata ovunque e confusamente, esponendo ciò che è sacro ai cani e le perle ai porci (Mt 7, 6), e lasciando portare al volgo i vasi sacri e nascosti del tempio (Nm 4, 15-20). Al pari di quella colomba d’argento con la coda dorata (Sal 67, 14), il principio di qualsiasi scrittura divina rifulge come l’argento, ma le parti più occulte sono un oro sfolgorante. Fu dunque giusto nascondere agli

Page 81: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

81

occhi volgari la purezza di quegli scritti, coperta nel suo segreto come da un pudico velo: e sono gli stessi misteri celesti che per ordine divino proteggono quegli scritti, nello stesso modo in cui la divinità è celata dal suo medesimo segreto. Quando perciò troviamo scritto nei libri santi “gli occhi del Signore, la bocca del Signore, il grembo, la mano, i piedi del Signore” o anche “le armi del Signore”, non dobbiamo certo pensare che la fede cattolica della Chiesa voglia delimitare Dio con un corpo – lui che è invisibile, illimitato, immutabile e infinito; sembrò però necessario esporre tali cose per figure che vanno interpretate con l’assistenza dello Spirito Santo. Qui sta quell’interno del Tempio del Signore (Ez 40), qui il sancta sanctorum dei misteri, illuminati di enigmi. Come dice la tradizione, il corpo della Sacra Scrittura consiste della lettera o della storia; la sua anima del senso morale, detto metaforico [tropicus]; lo spirito dell’intelligenza superiore, detta anagogia. Questa triplice norma delle Scritture la osserviamo convenientemente nella confessione della Santa Trinità che ci santifica totalmente, affinché si conservino integri il nostro spirito, l’anima e il corpo senza sofferenza, fino al ritorno e al giudizio di Nostro Signore Gesù Cristo (1Ts 5, 23). Anche la scienza di questo mondo divide la sua filosofia in tre parti: fisica, etica e logica, cioè naturale, morale e razionale. La scienza naturale riguarda le cause di natura, contenute nell’universo; la morale considera i costumi; la razionale, che invece tratta delle cose più alte, ci rassicura che Dio è padre di tutto. Questa tripartizione della scienza non contrasta affatto con la distinzione della nostra dottrina, e i dotti hanno reputato che la filosofia celeste della Scrittura sia esposta secondo la storia, la tropologia e l’anagogia. La storia dunque pone nella nostra mente la verità dei fatti e la fiducia nella narrazione; la tropologia volge i mistici alla purificazione della vita e della mente; l’anagogia conduce ai misteri delle forme celesti. Alcuni pensano si debba considerare l’allegoria come quarto tipo di questa scienza, poiché secondo loro con essa conosciamo per tempo gli eventi e anticipiamo le ombre delle cose future. Possiamo indicare tutto ciò con esempi confacenti: quanto si considera secondo la narrazione storica è il cielo, secondo la tropologia è la vita celeste, secondo l’allegoria è l’acqua del battesimo, secondo l’anagogia sono gli angeli, in accordo con quanto è scritto: Lodino il Signore le acque sopra il cielo (Sal 148, 4).Sappi inoltre che ogni insegnamento della nostra religione è sgorgato da quella fonte di duplice scienza, la prima parte della quale è detta pratica e la seconda teorica, vale a dire attiva e contemplativa. Per la prima si trascorre la vita attiva nella purificazione dei costumi, l’altra è volta alla contemplazione delle cose celesti e alla discussione delle Scritture divine. La scienza attiva si diffonde su diversi studi, mentre quella contemplativa si occupa solo di due: la discussione sulla narrazione storica e la spiegazione dell’intelligenza spirituale.Abbandonando ora queste cose, ti propongo le formule che ti ho promesso per la conoscenza spirituale, esponendo i simboli che si presentano per i termini che appaiono nel testo divino. Preghiamo dunque il Signore che ci riveli le cose nascoste nelle sue Scritture, e presentiamo le più segrete così come sono percepite dall’intelletto, secondo quest’ordine:

I. I nomi di DioII. Quelle che sono dette le membra di Dio, e ciò che significano

III. Le creature superneIV. Le creature terreneV. Gli esseri animati

VI. Nomi di coseVII. L’interno dell’uomo

VIII. Strumenti e mezziIX. Il significato di vari verbi e paroleX. Gerusalemme e le cose a lei contrarie

XI. I numeri e il loro significato allegorico

Page 82: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

82

Spieghiamo dunque i significati dei termini e delle parole, interpretando al meglio le allegorie, così come ci suggerisce la grazia divina.

I. I nomi di Dio

Dio onnipotente è Padre, Figlio e Spirito Santo, uno e trino: uno per natura e trino nelle persone; unico ad essere invisibile, immenso e infinito – l’unico incircoscritto, immutabile, incorporeo, immortale – ovunque presente e nascosto, ovunque tutt’intero e immenso.È invisibile, poiché non può certo esser visto nella sua essenza, come dice l’Apostolo: Poiché nessuno l’ha mai visto, né lo può vedere (1Tm 6, 16); e nel Vangelo: Nessuno mai vide Dio (Gv 1, 18).È incorporeo, perché non consiste di un’unione di membra e fattezze. Così è detto veracemente nel Vangelo: Dio è Spirito, e quanti l’adorano devono adorarlo in spirito e verità (Gv 4, 24).È immenso, perché la sua qualità e quantità non può essere misurata da alcuna creatura, onde Salomone pregò supplice: Se il cielo e la terra non ti contengono, tanto meno basterà questo tempio che ti ho edificato (3Re 8, 27).È incircoscritto, perché non delimitabile.È inlocale, perché non passa da un posto all’altro, né alcun luogo riesce a trattenerlo; tramite Isaia, dice di se stesso: Il cielo è il mio seggio, la terra lo sgabello dei miei piedi (Is 66, 1); e tramite Geremia: Non colmo forse il cielo e la terra? (Ger 23, 24). Della sua immensità parla il profeta nel salmo, confidando in Dio stesso: Se salissi in cielo, là tu sei; se scendessi nell’inferno, sei presente (Sal 138, 8); e ne parla anche il libro di Giobbe: È più alto del cielo, e che puoi fare? È più profondo dell’abisso, e che puoi saperne? È più lungo della terra e più largo del mare (Gb 11,8), poiché infatti riempie il cielo e la terra, e certo non v’è luogo privo della sua essenza. È sopra ogni cosa per reggere e governare, sotto ogni cosa per portare e sostenere – non con peso di lavoro, ma con infaticabile forza, perché nessuna sua creatura si sostiene da sola, senza essere da lui conservata. È fuori da tutto, ma non ne è escluso.È immutabile, poiché ciò che è non può certo mutare, come egli stesso dice attraverso il profeta Malachia: Io sono il Signore, e non muto (Ml 3, 6). Perciò Dio è detto immutabile, perché la sua anima non è afflitta da ira, furore, pentimento, dimenticanza, ricordo o altre simili cose: è difatti semplice la sua natura, immutabile e imperturbata. Non ha e non è altro da se stessa, ma essa stessa è ciò che ha ed è.È immortale, perché in nessun modo può morire, come attesta l’Apostolo: Lui solo possiede l’immortalità e abita una luce inaccessibile, che nessun uomo ha mai veduto, né può vedere (1Tm 6, 16).Al contrario, sparsi per i divini libri, la Scrittura Sacra descrive in Dio i moti dell’anima e le membra umane, cioè il capo, i capelli, gli occhi, le palpebre, le orecchie e tutte le altre membra – o i moti dell’anima, cioè l’ira, il furore, la dimenticanza, il pentimento, il ricordo, e altro. Chi comprende queste cose rettamente secondo la narrazione, non deve intenderle in modo carnale, come fanno i Giudei e molti eruditi eretici, che pensano Dio come corporeo e insediato in un luogo – di lui ogni cosa va invece intesa e creduta spiritualmente. Se qualcuno crede che in Dio vi siano membra umane o moti dell’anima in senso umano, senza dubbio fabbrica idoli in cuor suo.Dunque, come si diceva, leggiamo in senso figurato il capo di Dio, e dobbiamo intendervi la sua stessa essenza divina, che precede tutto, e a cui ogni cosa è soggetta (1Cor 11,3).Interpretiamo i capelli del suo capo come i santi angeli, o i virtuosi eletti; di ciò è scritto nel libro di Daniele: Mentre stavo osservando, furono disposti dei troni e un Antico di giorni si assise. Il suo vestito era candido come neve e come lana pura erano i capelli della testa (Dn 7, 9): qui si vogliono

Page 83: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

83

infatti significare con la veste candida di Dio e coi capelli del suo capo gli angeli e i puri santi. Inoltre, i capelli sono paragonati alla lana pura perché Dio fosse inteso come l’Antico di giorni.Si dice che Dio ha occhi, poiché egli vede tutto e nulla gli è nascosto. Dice infatti l’Apostolo: Nessuna cosa al mondo sfugge allo sguardo di Dio, ma tutto è chiaro e svelato ai suoi occhi (Eb 4, 13). Si possono altrimenti intendere come la considerazione della sua grazia; così è nel salmo: Gli occhi del Signore sono sopra i giusti (Sal 33,16). In secondo luogo, gli occhi del Signore sono i suoi precetti, con cui ci somministra il lume del sapere. Nel salmo: È chiaro il precetto del Signore e illumina gli occhi (Sal 18, 9).Le palpebre del Signore sono i suoi giudizi nascosti e incomprensibili, oppure indicano nei divini libri il suo linguaggio spirituale; di questi sacramenti e giudizi nascosti e imperscrutabili dice il salmo: Le sue palpebre interrogano i figli degli uomini (Sal 10, 5), cioè li esaminano.Si dice che Dio ha orecchie perché ode tutto e nulla per lui è celato nel silenzio; di ciò è scritto nel libro della Sapienza: L’orecchio del cielo ode tutto e non gli è nascosto nemmeno il sussurro delle mormorazioni (Sap 1, 10).Le narici di Dio sono il suo soffio nel cuore dei fedeli, come si dice nel libro dei Re: Sale il fumo dalle sue nari (2Re 22, 9), cioè aspira il pentimento lacrimoso dei penitenti.Il volto di Dio è la conoscenza da parte di tutti della sua divinità, e su questa conoscenza è scritto nei salmi: Mostraci il tuo volto e saremo salvi (Sal 79, 4), cioè, dacci la conoscenza di te, palesata agli uomini dal Figlio dell’uomo, come dice il Vangelo: Nessuno conosce il Padre, eccetto il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo (Mt 11, 27). Altrove il volto di Dio significa l’invisibile essenza della divinità del Figlio di Dio; di essa il Signore, rispondendo per mezzo di un angelo a Mosè, dice: Mi vedrai da tergo, ma la mia faccia non potrai vederla (Es 33, 23), come se dicesse: la mia divinità invece non la potrai vedere.La bocca di Dio è il Figlio del Padre, cioè il Cristo Signore; perciò Isaia profeta annuncia ai Giudei: Perché provocammo la sua bocca all’ira (Is 1, 20). Altrimenti, la sua bocca può esser presa come la sua parola o il suo comando; annunciando la parola di Dio, i profeti dicono: La bocca di Dio così ha parlato.La parola di Dio è il Figlio di Dio Padre, per mezzo del quale tutto fu fatto; dice il salmo: Dio creò i cieli con la sua parola (Sal 32, 6). Altrove: Inviò la sua parola a risanarli (Sal 106, 20); e nel Vangelo secondo Giovanni: In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio (Gv 1,1).La lingua di Dio, in senso mistico, significa lo Spirito Santo, grazie al quale Dio Padre manifestò il suo segreto agli uomini; per cui nel salmo è detto: La mia lingua è la penna di uno scriba veloce (Sal 44,2).Le labbra di Dio, in senso mistico, simbolizzano l’accordo dei due Testamenti; di essi è scritto nei Proverbi: Nel suo giudizio la sua bocca non erra (Sal 16, 10).Per le braccia di Dio Padre si intendono il Figlio suo e lo Spirito Santo. Così parla in Isaia: E le mie braccia giudicheranno i popoli (Is 41, 5). Preso singolarmente, il braccio di Dio si riferisce al Figlio: Ebbene, tu Signore Iddio traesti il suo popolo dalla terra d’Egitto con mano forte e braccio teso (Ger 32, 21). Perciò il Figlio è detto braccio di Dio Padre, perché la creatura eletta gli è connessa.La destra di Dio Padre è il Figlio unigenito, che nel salmo assume persona umana: La destra del Signore compì prodezze (Sal 117, 16). Altrimenti, la destra del Signore indica l’eterna felicità del Padre: nel salmo così il Padre dice al Figlio: Siedi alla mia destra (Sal 109, 1). È detta anche “destra di Dio” ogni creatura eletta in cielo e in terra, così come per la sua sinistra si intende ogni creatura falsa, cioè i | demoni e gli empi che, posti a sinistra [nel Giudizio], patiscono gli eterni supplizi (Mt 25, 33).

Page 84: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

84

La mano di Dio Padre è il Figlio suo, a modo e mezzo del quale tutto fu fatto, come dice in Isaia: Tutto fece la mano mia, e ogni cosa fu fatta (Is 66, 2). In altro senso, la mano di Dio è intesa come il suo potere; così nel libro del profeta Geremia: Come l’argilla nella mano del vasaio, così voi siete in mano mia, casa d’Israele (Ger 18, 6). Parimenti, la mano indica la frusta, sul colpo della quale è scritto nel profeta Sofonia: Stenderò la mia mano sopra Giuda e sugli abitanti d’Israele, e disperderò da questo luogo i resti di Baal (Sof 1, 4), ecc.; ma Giobbe, colpito dal Signore, disse felice: La mano di Dio mi ha toccato (Gb 19,21).Il dito di Dio vale particolarmente per lo Spirito Santo, perché da esso fu scritta la legge sulle due tavole del monte Sinai (Es 32,16). Egli scrisse quanto lo Spirito Santo gli dettava. Di esso il Signore dice nel Vangelo: Se io scaccio i demoni col dito di Dio (Lc 11, 20). Come infatti il dito con la mano e il braccio, e la mano col braccio e il corpo sono uno per natura, così il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono tre persone ma una sola sostanza divina.Le dita di Dio in senso plurale significano i santi profeti, per mezzo dei quali lo Spirito Santo con la sua ispirazione traccia i libri della legge e della profezia; di ciò si parla nel salmo: Vedrò i cieli, opera delle tue dita (Sal 8, 4) – certo, come dicevamo, qui si intendono con i cieli i libri suddetti, e con le dita i santi profeti.L’immagine di Dio Padre invisibile è il suo Figlio unigenito; su ciò l’Apostolo: Egli è l’immagine dell’invisibile Dio (Col 1, 15). Dio Padre generò la propria immagine nel Figlio suo non da altra cosa, ma da se stesso, cioè dalla sua sostanza, in modo che risultasse simile e identica in tutto. In altro senso, invece, quest’immagine è l’anima dell’uomo, che Dio non generò da se stesso, cioè dalla sua sostanza -come credono molti eretici – ma creò dal nulla. In altro modo ancora, possiamo intenderla l’immagine di qualsiasi re che genera da se stesso, nel proprio figlio, un simile, come l’uomo dall’uomo. Infine, è come l’immagine impressa da un anello nella cera, che non è tale per se stessa, poiché il figlio è per natura ciò che è il padre.Per il cuore di Dio Padre si intende misticamente l’arcano della sapienza, dal quale la Parola – cioè suo Figlio – impassibilmente generò senza inizio, come Dio stesso dice tramite il profeta: Effuse il mio cuore una buona parola (Sal 44, 2).Si dice che Dio ha le ali perché, quasi al modo di un uccello coi suoi pulcini, raduna gli eletti sotto di sé per nutrirli e proteggerli dalle insidie dei diavoli e dalla malvagità umana. Perciò il profeta dice: Proteggimi sotto l’ombra delle tue ali (Sal 16, 8).Si dice che Dio ha le spalle, perché sorregge le parti deboli della Chiesa come sulle sue spalle. Di ciò parla il salmo: Ti sosterrà con le sue spalle (Sal 90, 4).Il suo ventre si interpreta come l’origine segreta dell’esistenza; dice il salmo: Ti ho generato dal mio ventre prima dell’aurora (Sal 109,3). Oppure, il suo ventre allude in senso mistico ai suoi inafferrabili e imperscrutabili giudizi – di questo giudizio nascosto è scritto nel libro di Giobbe: Dal seno di chi è uscito il ghiaccio, e la brina del cielo chi l’ha generata? (Gb 38, 29).Le terga rappresentano l’incarnazione del Figlio di Dio: di questa parte posteriore parlò il Figlio a Mosè sul Sinai, attraverso l’angelo: Vedrai le mie terga, ma la mia faccia non la puoi vedere (Es 33, 25).I piedi di Dio sono l’appoggio della sua forza, poiché egli è ovunque e tutto gli è sottomesso, e così dice tramite Isaia: Il cielo è il mio seggio, ma la terra è lo sgabello dei miei piedi (Is 66, 1). In altro senso, i piedi intendono l’incarnazione del Figlio di Dio, che è sottomesso alla divinità come i piedi lo sono alla testa. Come il capo esprime la divinità, così i piedi rappresentano l’umanità, e di ciò è scritto nell’Esodo: Mosè, Aronne, Nadab, Abin e i settanta anziani d’Israele salirono. E videro il Dio d’Israele: sotto i suoi piedi vi era come una lastra lavorata di zaffiro , simile in chiarezza al cielo stesso (Es 24, 10). Ma, come si volle mostrare chiaramente con la lastra di zaffiro le creature celesti, cioè i santi angeli, così il cielo sereno indica la santa Chiesa degli eletti, fondata a beneficio

Page 85: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

85

degli uomini, e sopra queste due cose create regna in perpetuo il Figlio di Dio fatto uomo, come dice il salmo: Tutto hai posto sotto i suoi piedi (Sal 8, 8). Altrimenti, i piedi di Dio (o di Gesù Cristo) simbolizzano i santi predicatori, di cui è scritto nel Deuteronomio: Chi si accosta ai suoi piedi, partecipa della sua scienza (Dt 33, 5).La veste del Figlio di Dio talvolta figura la sua carne, che i libri sacri assimilano alla divinità; di questa veste profetizza Isaia: Chi è costui che arriva da Edom, da Bosra con le vesti tinte? (Is 63, 1). Oppure, le vesti del Signore valgono per la santa Chiesa, che gli è unita per fede e per amore; di ciò scrive il salmo: Il Signore regna e indossa la bellezza (Sal 92, 1). E in altro salmo, sempre sul Signore: Di maestà e bellezza ti rivesti, avvolto nella luce come in una veste (Sal 103, 2).Il manto di Cristo è la Chiesa, su cui è scritto nel libro del Genesi: Lava nel vino la sua veste, cioè la sua carne nel sangue della passione, e nel sangue dell’uva il suo mantello (Gn 49, 1), cioè la Chiesa.I calzari di Nostro Signore Gesù Cristo simbolizzano misticamente la sua incarnazione, poiché si è degnato di assumere la mortalità dell’umano genere. Dice nel salmo, tramite il profeta: Sull’Idumea porrò i miei calzari (Sal 59, 10), cioè manifesterò la mia incarnazione alla folla dei pagani.Il passo è l’avvento del Figlio di Dio nel mondo, e il suo ritorno al Padre. Di ciò dice il salmo: Ecco, appare o Dio il tuo passo, il passo del mio Dio, il mio Re che è nel santuario (Sal 67, 25). Dal cielo scende nel grembo della Vergine, poi nasce ed è posto nella mangiatoia (Lc 2, 7). Quando ebbe compiuto tutto ciò per cui era stato mandato dal Padre, fu crocifisso; deposto che fu dalla croce (At 13, 29), fu sepolto secondo il corpo, ma l’anima scese all’inferno; infine, il terzo giorno resuscitò dal sepolcro con la forza della sua divinità, e quaranta giorni dopo la resurrezione, sotto lo sguardo degli apostoli ascese al cielo, dove siede alla destra del Padre (At 1,9; Mc 16, 19), cioè nella sua gloria; questi sono infatti i passi del Figlio di Dio, la sua discesa e ascesa, di cui leggiamo nelle Sacre Scritture.Dio è detto ascendere quando il Figlio, rapita da noi la carne, l’ha condotta nel cielo come una preda (Sal 67, 19), perché, prendendola con sé in cielo, dove giammai prima era stata, ha trascinato quasi come prigioniera la natura umana, che prima invece era trattenuta dal diavolo nella prigione del mondo.Si legge che Dio nasconde il volto (Dt 32, 20) quando nega la sua conoscenza ad alcune genti per le loro colpe, come è avvenuto ora al popolo giudeo, perché, avendo ricusato il Figlio di Dio, ha perso la cognizione del vero Dio, e così fu per tutte le genti che non hanno conosciuto il Signore.Si dice che il Signore mostra il volto (Sal 79,4) quando, con la considerazione della propria grazia e segreta ispirazione, penetra nei cuori di chi lo vuole (certo in quello dei suoi eletti) e infonde la forza per amarlo.Si dice che Dio siede, non certo in modo corporale come gli uomini, ma in potenza per governare con ragionevolezza le creature, come è nel salmo: Regna Iddio sulle genti e si asside sul santo suo trono (Sal 46, 9). Si dice anche che Dio siede sopra i Cherubini (Sal 98, 1), che significano la moltitudine e pienezza della sapienza – con ciò si intendono i santi angeli o le menti degli uomini spirituali, dove Dio presiede e regna invisibile. Infatti egli siede in coloro che sono pieni della sua sapienza e del suo amore. Nei Proverbi di Salomone sta scritto: La sua anima è la sede della sapienza [passim in Pro]; ma Cristo è la sapienza di Dio Padre (1Cor 1, 24), che si dice sieda nelle anime dei santi.Si dice che Dio discende nel mondo, quando nella creatura umana opera qualcosa di nuovo che prima non c’era; così si dice che il Figlio di Dio è disceso, quando attraverso la Vergine Maria fece sua la carne per la nostra redenzione, e si degnò di divenire vero uomo, senza abbandonare ciò che era, ma acquisendo quanto non era. Di questa discesa, che è l’incarnazione, sta scritto nel salmo: E incurvò i cieli e discese, e gran buio era sotto i piedi suoi (Sal 17, 10). Ha incurvato i cieli, poiché, prima del suo avvento, mandò come messaggeri gli angeli e i profeti ad annunciare la sua venuta. Era gran

Page 86: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

86

buio sotto i suoi piedi, perché gli empi, per la loro malvagità, non poterono riconoscere la sua incarnazione, e nemmeno ora lo possono.Si dice che Dio passa oltre, quando si allontana dal cuore di certi uomini, dove la fede è stata sostituita quasi d’improvviso dalla malafede e dalla colpa, e trapassa ad altri, come fece dai Giudei ad altre genti, dagli eretici ai cattolici, da chiunque non è religioso a chi lo è.Si dice che Dio retrocede e passa ad altro, quando, in modo non certo locale e visibile, ma non visto è solito fare altra cosa con giudizio segreto e giusto.Si dice che Dio cammina, non quando passa da un luogo ad un altro – poiché è empio credere ciò – ma quando diletta il cuore dei santi come se vi camminasse, com’è scritto: Abiterò in loro e camminerò, e sarò il loro Dio (2Cor 6, 16). In altro senso, il camminare di Dio significa quando i predicatori santi [con le loro parole] passano da un luogo all’altro [del discorso].Il parlare di Dio, senza suono di voce o qualsivoglia rumore, significa l’ispirazione del retto intelletto e della sua volontà, nascostamente nelle menti dei santi; oppure la rivelazione del futuro ai santi profeti. Questo parlare di Dio si può intendere, come vogliono alcuni, in tre modi. Il primo modo è per mezzo di una creatura subordinata, come apparve a Mosè in un rovo (Es 3, 2); o come ad Abramo (Gn 18), a Giacobbe (Gn 32, 24) e ad altri santi, ai quali si degnò di apparire tramite gli angeli. Il secondo modo è nei sogni, come a Giacobbe (Gn 28, 12), a Zaccaria profeta (Zc 4, 1), a Giuseppe sposo di Maria (Mt 1,20) e altri santi, cui volle rivelare il suo segreto. Il terzo modo, infine, non è per il tramite di una creatura visibile o di un uomo, ma solo toccando invisibilmente e facendo parlare con una segreta ispirazione i cuori, come è scritto nei libri dei profeti, quando questi stessi esclamano, improvvisamente ispirati dallo spirito divino: Il Signore così ha parlato (Is 77).Il guardare di Dio è approvare le buone azioni, com’è nel Genesi: Dio vide tutto quanto aveva fatto, ed ecco era molto buono (Gn 1,31), cioè indicò agli intelligenti le cose buone. In altro modo, il guardare di Dio è il suo biasimo quando scorge la malvagità umana; così in Isaia: Il Signore guardò e il male passò nei suoi occhi (Is 59, 15). In altro modo, il guardare di Dio significa rendere noi vedenti, com’è nel salmo: Scrutami, o Dio, e conosci il mio cuore (Sal 138, 28), e poco dopo: E vedi se è in me la strada del male (ibid.). Un simile modo di esprimersi si trova anche nel libro di Giobbe, dove si parla della sapienza di Dio Padre col maggior numero possibile di cose notevoli. Di Dio Padre vien detto: Allora Egli la vide e la manifestò, la stabilì e tutta la scrutò (Gb 20, 28), cioè ci rende vedenti, capaci di indagare e predicare, e altri capaci di raccontare.Il conoscere di Dio è il rendere edotti, come dice l’angelo ad Abramo: Ora conosco che tu temi il Signore (Gn 22, 12). Infatti, non conosce certo nel tempo chi sa tutto prima che avvenga, perciò si chiama il conoscere di Dio il rendere edotti, cosi come quanti prima erano sconosciuti a se stessi, tramite le sue prove e domande rendono sé manifesti a sé. In tal modo parla Iddio sulla legge data, tramite Mosè, al popolo d’Israele: Così li metterò alla prova per vedere se camminano nella legge o no (Es 16, 4).L’ignorare di Dio è la disapprovazione di certe persone false, come nel Vangelo: Non so dove siete! Allontanatevi da me, voi tutti che avete commesso l’iniquità (Lc 13, 27).Si parla dello zelo di Dio, quando egli non vuole che una sua creatura si perda, e spesso castiga, afferra e fustiga, e fustigando riconduce a sé. Si parla però anche dello zelo di Dio quando egli non vuol lasciare nessun peccatore impunito, poiché è giusto e detesta ogni ingiustizia.Si parla dell’ira di Dio, non per un moto o una qualsiasi perturbazione d’animo – che a lui in nessun modo può accadere – ma perché colpisce con un giusto castigo le creature che sbagliano – cioè gli empi e i peccatori – e rende loro quanto meritano: questo castigo divino è perciò chiamato il suo furore (Sal 6, 1).Si parla del pentimento di Dio, non certo perché in maniera umana si dispiaccia per le azioni passate – non può infatti pentirsi delle azioni commesse chi ne conobbe gli effetti prima che accadessero –

Page 87: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

87

ma perché si vuole intendere il suo mutare le cose stabilite, così che quanto prima era in un modo viene cambiato in altro modo; dal bene al male per il peso delle colpe – così ad esempio si legge che il Signore si pentì d’aver costituito re Saul (1Re 15, 11); o com’è avvenuto per i Giudei che, nonostante fossero il popolo di Dio, son divenuti per la loro empietà la sinagoga di Satana (Ap 2, 9). Viceversa, muta dal male al bene, come quando è avvenuto ai gentili, che prima non erano il popolo di Dio, e ora per sua grazia lo sono divenuti (Rom 9, 26). Fu certo così che, con segreto giudizio divino, il traditore Giuda, decaduto dal grado di apostolo (At 1, 18), fu precipitato nel baratro infernale. Invece il ladrone, che prima agiva secondo il vizio dell’avidità, fu trasportato dalla croce al paradiso (Lc 32,43). Possiamo chiamare pentimento di Dio i cambiamenti dal bene al meglio, dal bene al male, dal male al bene, ed essi avvengono o per la severità del suo giudizio, o per la sua misericordia, com’è scritto nel libro di Geremia (Ger 18, 8).Si dice che Dio non si pente, quando le cose stabilite non mutano in alcun modo, com’è nel salmo: Giurato ha il Signore e non si pente (e dice il Padre al Figlio): Tu sei sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedech (Sal 109, 4). Il Padre dice al Figlio di Dio di essere sacerdote, non secondo la divinità, ma secondo l’umanità, in quanto ha offerto a Dio Padre per noi un degno sacrificio con la sua passione e morte: essendo questo un sacrificio, egli è sacerdote.Si parla del dimenticare di Dio, quando egli non usa compassione verso certi empi e peccatori, e questo non certo per crudeltà (che in Dio non esiste), ma per un suo giudizio segreto e giusto.Si dice che Dio indurisce il cuore di certi malvagi – com’è scritto di Faraone, re d’Egitto (Es 7, 3) – non perché Dio onnipotente compia ciò con la propria forza (sarebbe empio il crederlo), ma, semplicemente, quanti stanno perpetrando questi mali non sono perseguitati dalle loro colpe e, per durezza di cuore, non decidono di cambiare: è come se egli, col suo giusto giudizio, permettesse loro di indurirsi.Il dormire di Dio significa il Figlio del Padre che s’è degnato di morire per noi dopo essersi incarnato: e si predisse che la sua morte sarebbe stata un dolce sonno, come egli stesso aveva detto tramite il profeta Geremia: Perciò mi destai e vidi, e dolce mi fu quel sonno (Ger 31, 26). In altro modo, il dormire di Dio intende la sua fede che, [come sospesa] tra le fortune di questo mondo e i cuori dei fedeli, non rimane desta ma dorme [è cioè allo stato potenziale]. Lo stesso Gesù alluse a questo sonno, quando donni in mare aperto tra i flutti (Mr 4, 38). Oppure, il dormire di Dio è soccorrere più tardi gli inquieti, come nel salmo: Destati, perché dormi, o Signore? (Sal 43, 23), ecc.Il vegliare di Dio è palesarsi chiaramente a difesa dei suoi eletti.

II. Quelle che son dette le membra di Dio, e ciò che significano

Gli occhi del Signore intendono l’esame divino. Nel salmo: Gli occhi del Signore sono sopra i giusti (Sal 33, 16). Le palpebre di Dio sono i suoi giudizi che scrutano i figli degli uomini: questi giudizi sono ininterrotti e mai intralciati dall’oscurità delle cose; sono confermati dalla conoscenza, anche se non [ancora] emessi. Le orecchie del Signore indicano quando si degna di esaudire; nel salmo: E porge l’orecchio alle loro suppliche (ibid.). La bocca del Signore è la sua Parola verso gli uomini. Nel profeta: La bocca del Signore ha detto (Is 1, 20). La parola del Signore è il Figlio. Nel salmo: Effonde il mio cuore una fausta parola (Sal 44, 2).Il braccio o la mano del Signore sono il Figlio, attraverso il quale tutto fu fatto. Nel profeta: E il braccio del Signore a chi sarà rivelalo? (Is 53, 1). La destra del Signore è la stessa cosa, come nel salmo: La destra del Signore fece prodezze (Sal 117, 16). Il dito di Dio significa lo Spirito Santo, in quanto separa i buoni [dai malvagi] e dà ad ognuno il suo, sia esso uomo o angelo. Infatti, in nessun altro nostro membro oltre alle dita appare la separazione. Non stupirti per la diversità tra le varie parti del corpo, e considera invece il significato dell’unità del corpo. Il grembo del Signore è il

Page 88: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

88

segreto da cui promanò il Figlio. Nel salmo: Dal grembo, prima dell’aurora, li generai (Sal 109, 3). I piedi del Signore sono la fermezza dell’eternità. Nel salmo: Ed era buio sotto i suoi piedi (Sal 17, 10). Le orme del Signore sono i segni delle sue opere nascoste. Nel salmo: E non si vedono le tue orme (Sal 76,20). Il passo del Signore è la sua apparizione e venuta. Nel salmo: Vedranno il tuo ingresso, o Dio (Sal 67, 25).Le armi del Signore sono il suo soccorso ai santi. Nel salmo: Impugna le armi e lo scudo (Sal 34, 2). Lo scudo è la protezione del Signore. Nel salmo: Signore, come uno scudo ci hai cinto della tua bontà (Sal 5,13). L’asta è la punizione divina degli empi. Nel salmo: Vibra l’asta e sbarra la via (Sal 34, 3). L’arco è la tensione delle minacce divine. Nel salmo: Tese il suo arco e lo preparò (Sal 7, 13). Le frecce sono i precetti divini, gli apostoli o i profeti. Nel salmo: Lanciò le sue frecce e li disperse (Sal 17,15). Oppure: Le frecce sono in mano al potente (Sal 126, 4; 119, 4). La spada è la vendetta, o la parola del Signore. Dice l’Apostolo: La parola di Dio è infatti viva ed efficace e più affilata di qualunque spada a due tagli (Eb 4, 12). Lo stesso vale per la spada a due tagli [romphea = rumpia].La tromba del Signore è la manifestazione della sua voce. Nell’Apostolo: Al segnale dato con la voce dell’arcangelo e la tromba di Dio (1 Ts 4,15). Il carro di Dio è il suo seggio, cioè la natura tetramorfa dei Vangeli. Nel salmo: Il suo carro è più grande di diecimila (Sal 77, 18). La verga del Signore è l’annuncio del regno, o l’afferrare la disciplina. Nel salmo: La verga della giustizia, la verga del suo regno (Sal 44, 7).La mano del Signore sono le sue minacce o punizioni. Il bastone del Signore è il sostegno della sua consolazione. Nel salmo: La verga e il tuo bastone stessi mi hanno consolato (Sal 22, 4). Oppure, il bastone del Signore indica la santa croce o la dottrina della santa Chiesa; o ancora, il bastone è un qualsiasi sostegno, come nel libro di Tobia: Il bastone della nostra vecchiaia (Tb 5, 23).

III. Le creature superne

I carboni sono il fuoco della carità, o degli esempi, o del pentimento. Nel salmo: Con carboni distruttivi (Sal 119, 4). Il fumo è l’inizio della compunzione futura, o la minaccia di Dio stesso. Nel salmo: Sale il fumo nella sua ira (Sal 17, 9). In altro senso, il fumo nocivo agli occhi è la vanità. Il fuoco è lo Spirito Santo. Negli Atti degli Apostoli: Apparvero quindi ad essi come delle lingue di fuoco separate e si posarono sopra ciascuno di loro, sicché tutti furono ripieni di Spirito Santo (At 2, 3).Il cielo indica gli apostoli, o i santi, poiché il Signore dimora in loro. I cieli narrano la gloria di Dio (Sal 18, 2). Nella Sacra Scrittura, talvolta i cieli designano le sostanze superiori del mondo, separate da noi, che ignoriamo i loro limiti; di esse è difficile parlare, ma non impossibile a coloro che comprendono Dio, come fece l’Apostolo, rapito fino al terzo cielo (2Cor 12, 2); da ciò bisogna escludere i cieli materiali. Si dicono cieli del santo apostolo i predicatori della parola di verità – noi siamo come innaffiati dalla pioggia di questi cieli, affinché germogli in tutto il mondo la messe della Chiesa. I cieli sono inoltre le anime sante e giuste, dove Dio dimora come nel tempio della fede e della carità. In altro senso, il cielo è la Santa Scrittura, che riluce a noi col sole della sapienza, la luna della scienza, e le stelle degli esempi e delle virtù degli antichi padri: perché Il cielo si stende come una tenda (Sal 103,2), e discutono gli eruditi e quanti scrivono con un linguaggio non spirituale se esso si formi davanti alla nostra vista. Le nubi sono i profeti o i santi, che fanno piovere il verbo di Dio. In Isaia: Comanderò alle nubi di non lasciar più cadere pioggia su di essa (Is 5, 6). I tuoni sono i detti del Vangelo, che risuonano come tuono celeste, uscendo dalle parole di Dio. Nel salmo: La voce del tuo tuono nel turbine (Sal 76, 19), cioè nel tutto. I lampi sono gli splendori del Vangelo. Nel salmo: Rischiarano le lue folgori il mondo (ibid.). Le folgori sono le potenze o le

Page 89: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

89

parole di Gesù Cristo. Nel salmo: E moltiplicò le folgori, e scompigliò loro, cioè i nemici, o i Giudei.Col nome degli angeli si allude nelle Sante Scritture al Signore, come attesta Isaia: E il suo nome sarà Angelo dell’eccelso consiglio. Talvolta ciò vale per lo stesso coro angelico, come dice Cristo a Pietro: Credi forse che io non possa pregare il Padre mio, e che non mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? (Mt 26, 53). Altre volte ancora si allude ai cittadini della Gerusalemme celeste, presi tra gli uomini, come dice il Signore nel Vangelo: Nella resurrezione, infatti, non si sposa né si è sposati, ma si è come angeli di Dio nel cielo (Mt 22, 30). Talora si vuol significare il popolo dei fedeli: Ha stabilito i confini dei popoli, secondo i numeri dei figli d’Israele (Dt 32, 8), cioè degli angeli di Dio. Con questo nome [di angelo] si designa anche un qualsiasi giusto, come fa il Signore a proposito di Giovanni Battista: Ecco, o mondo, davanti a te il mio angelo (Mt 11, 10). Talvolta si intendono anche i predicatori o sacerdoti, com’è scritto: Poiché le labbra del sacerdote devono custodire la scienza [divina] e si cerca dalla sua bocca la legge [di Dio], perché egli è l’angelo del Signore degli eserciti (MI 2, 7). E l’Apostolo: La donna deve portare velato il suo capo in chiesa, per riguardo agli angeli (1 Cor 11, 10), cioè ai vescovi; e a qualsiasi fedele che predichi e viva il bene, si attribuisce il nome di angelo. Infine, il diavolo e i suoi rinnegati sono detti angeli del male perché, pur perdendo la dignità di angeli, non persero né la natura, né la sottigliezza angeliche; tramite questi angeli del male (Sal 77, 49) aumenteranno le avversità e le infermità, fino a dove e quando Dio lo permetterà. Coi Troni si intendono gli angeli, i santi o lo stesso potere di regnare. Nel salmo: Il tuo è trono di Dio nei secoli dei secoli (Sal 44, 7). O altrove, a proposito del diavolo: Porrò il mio trono a settentrione (Is 14, 13). La sedia è la stessa cosa, gli angeli o i santi su cui siede il Signore, deliberando per loro tramite i loro giudizi. Nel salmo: Dio siede sopra il suo seggio (Sal 46, 9).Il sole è il Signore Gesù Cristo, che splende sulla terra. Secondo Salomone, alla fine [del mondo] i falsi diranno: Dunque il sole di giustizia non splenderà su noi (Sap 5,6). Altrimenti, significa la persecuzione: Col sorgere del sole, si disseccarono (Mt 13, 6). La luna è la Chiesa, perché in questo mondo splende come in una notte. Nel salmo: Hai fatto la luna per segnare il tempo (Sal 103,19). Si può anche intendere come la fragilità della carne perché, col decrescere dei suoi movimenti mensili, rappresenta il nostro venir meno nella morte. Le stelle sono i santi, o i dotti, o i sapienti nella giustizia. In Daniele: I dotti splenderanno come stelle (Dn 12, 3).Le nebbie sono il velame dei misteri di Dio; talvolta rappresentano anche gli angeli di Dio. Nel profeta: E le nebbie sono la polvere dei suoi piedi (Ne 1, 3). In altro senso, sono la cancellazione dei peccati: Ho cancellato le tue colpe come nubi, e come nebbia i tuoi peccati (Is 44, 22). Le tenebre sono la copertura dei divini segreti. Nel salmo: E la tenebra è sotto i suoi piedi (Sal 17, 10). L’abisso è la profondità delle Scritture. Nel salmo: L’abisso chiama l’abisso (Sal 41,8). Oppure, si può intendere come abisso la profondità del Vecchio e del Nuovo Testamento, per cui l’abisso chiama l’abisso significa il Vecchio Testamento che annunzia il Nuovo. Ma un abisso è pure la mente umana, che non può comprendere se stessa, per cui il profeta disse: L’abisso dal profondo leva la sua voce (Abc 3, 10), che è il pensiero. Se la mente umana non penetra se stessa, a maggior ragione non basta per comprendere la forza della natura divina – lodi dunque l’uomo [il Signore] con accresciuta umiltà. In altro senso, certo l’abisso è i giudizi di Dio, per cui l’abisso chiama l’abisso (Sal 35, 7; 41, 8) significa anche quando per segreto giudizio divino il peccatore passa dai mali di questo mondo a quelli eterni, e dal fuoco delle passioni alle fiamme della Gehenna. La rugiada è la parola di Dio, e dunque ciò che inumidisce i cuori degli uomini: Mandate dall’alto, o cieli, la rugiada (Is 45, 8). E nel salmo: Come la rugiada dell’Ermon, che discende sul monte Sion (Sal 132, 3). La pioggia è i precetti o gli ordini del Signore, o le parole dei santi apostoli: essa infatti irriga la terra, cioè gli uomini. Nel salmo: Una pioggia spontanea versasti, o Dio, sul tuo retaggio (Sal 67,

Page 90: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

90

10). La neve sta per il candore della giustizia e il battesimo. Nel salmo: Mi laverai e sarò più bianco della neve (Sal 50, 9). La grandine è le minacce del Signore che sferzano i superbi. Nel salmo: Grandine e carbone infuocalo (Sal 17, 13). O altrove: Con la grandine distrusse le loro vigne (Sal 77, 46). Si intende anche col freddo della neve e la durezza della grandine la vita dei perversi, che gelano per l’inerzia e si perdono per la durezza della malvagità. La brina è l’astinenza, perché con essa si rinfresca il calore del corpo. Nel salmo: Sono come un otre nella brina (Sal 118, 83). La tempesta è l’assalto delle persecuzioni e delle tribolazioni. Nel salmo: Poiché mi ha salvalo dalla meschinità d’animo e dalla tempesta (Sal 54, 9). Il ghiaccio è la durezza dei peccati. In Salomone: Come il ghiaccio al sereno, così si sciolgono i tuoi peccati (Ec 3,17). I venti sono le anime dei santi. Nel salmo: Trascorreva sulle ali dei venti (Sal 17, 11). Oppure, in senso negativo, in Matteo: Soffiarono i venti (Mt 7, 25). Il vento d’aquilone è il diavolo, o gli uomini sleali, o i mali, o il freddo dei peccati. Nel profeta: Dall’aquilone divampano i mali della terra. E altrove: Alzati, o aquilone (Cn 4, 16), cioè, ritirati. Il destro è la stessa cosa; in Salomone: L’aquilone è un vento inclemente (Pro 25, 23). Si chiama anche col nome di destro, perché il diavolo si arroga il nome di destro, come se fosse valente; o, se si vuole, perché il destro, a chi volta le spalle, diventa l’occidente, cioè il peccato. L’austro è il calore della fede. Nel salmo: Come un torrente nell’austro (Sal 125, 4). È anche lo Spirito Santo, come in quel luogo: Alzati, o aquilone, e vieni, o austro (Cn 4, 6); cioè, arretra, o diavolo, e vieni, o spirito di vita. L’aria è il parlare a vuoto. Nell’Apostolo: Combatto, ma non come uno che dà colpi nell’aria (1Cor 9, 26), cioè, tentando di colpire il vuoto.Le stagioni sono la giusta ripartizione della volontà divina. Nel salmo: Fece la luna per la divisione del tempo (Sal 103, 19). La primavera è il rinnovarsi della vita, o tramite il battesimo, o grazie alla resurrezione. Nel salmo: Hai fatto l’estate e la primavera (Sal 73, 17). L’estate è la prefigurazione della futura letizia. L’inverno è la vita presente, la persecuzione e la tribolazione. Nel Vangelo: Pregate che la vostra fuga non debba venire d’inverno o di sabato (Mt 24, 20). Gli anni talvolta significano l’eternità: I tuoi anni non hanno fine (Sal 101, 28). Altre volte indicano la brevità di questa vita, come in questo caso: Gli anni nostri sono come una ragnatela (Sal 49, 9). I mesi, che raggruppano i giorni, indicano la raccolta delle anime o la perfezione dei santi, come qua: Sarà di mese in mese (Is 66, 23): vale a dire, nel riposo di quelli che sono già ora perfetti. Il giorno e la notte sono la giustizia e l’iniquità, la fede e la slealtà, le cose favorevoli e le avverse. Nel salmo: Il Signore manda di giorno la sua misericordia, e nella notte la manifesta (Sal 41, 9). Con i giorni si intende anche l’illuminazione della grazia divina attraverso i differenti doni della virtù. Oppure, il giorno indica l’angelo traditore, e infatti Giobbe così parla di lui: Lo maledicano quelli che maledicono il giorno (Gb 3, 8). Col nome di notte si intende anche l’errore e la cecità dell’ignoranza o anche l’asprezza della morte. La luce e le tenebre hanno principalmente gli stessi significati del giorno e della notte. Nella lettera di Giovanni: Chi ama il proprio fratello rimane nella luce; ma chi odia il proprio fratello è nelle tenebre (1Gv 2, 10). La luce anche simboleggia l’attenzione del cuore, e l’ombra la protezione divina. Nel salmo: Proteggimi sotto l’ombra delle lue ali (Sal 16, 8). Altrimenti, è la dimenticanza, o i peccati: Siedono nelle tenebre e nell’ombra della morte (Sal 106, 10). Talvolta l’ombra è il piacere dei peccati, come in Giobbe: Dorme nascosto nell’ombra (Gb 41, 16). Oppure, l’ombra può essere l’oblio della morte, o la morte carnale, o la contraffazione diabolica. La luce significa il Signore, o qualsiasi giusto, come nel Vangelo: Era la luce vera, che viene in questo mondo a illuminare tutti gli uomini (Gv 1, 9). E l’Apostolo: Eravate una volta nelle tenebre, ma ora siete luce nel Signore (Ef 5, 8). Sta anche per l’illuminazione della fede, e per la vita. L’ora vale (come crede qualcuno) per cinquecento anni, così come quando si indica col giorno l’intera durata di questo mondo; nella lettera di Giovanni: Figlioli miei, è l’ultima ora (1GV2, 18).L’oriente è il Salvatore, poiché da quella parte sorge la luce; in Luca: Ci ha visitati l’Oriente dall’alto (Lc 1, 78); e in Zaccaria: Ecco l’uomo, il cui nome è Oriente (Zc 6, 12). L’occidente è la mancanza di

Page 91: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

91

una vita migliore. Nel profeta: Tramonta per noi il sole a mezzogiorno. Il settentrione ha sempre significato negativo, come dice il profeta del diavolo: Porrò il mio seggio a settentrione ; e altrove: Dal settentrione si diffonderanno i mali (Ger 1, 14). Il mattino è la luce delle buone azioni, o il battesimo, o la resurrezione del Signore. Nel salmo: Al mattino starò in piedi davanti a te, e ti guarderò (Sal 5, 5); e altrove: Dalla veglia mattutina fino a notte Israele spera nel Signore (Sal 129, 6), cioè dalla resurrezione del Signore – nostra speranza – fino alla fine del tempo, cioè al giorno del giudizio. Con la mattina si intende anche la prosperità di questa vita, come in quel luogo: Guai a te, o terra, che per re hai un ragazzo, e i tuoi principi banchettano fino al mattino (Ec 10, 16); banchettano fino al mattino coloro che sono innalzati dalle fortune di questo mondo, e dovranno invece aspettare fino all’ultimo per godere dell’eternità. Il mezzogiorno è l’evidente chiarezza delle dottrine e dei fatti. In Salomone: Dove riposi al meriggio (Cn 1, 7). E, in senso negativo, nel Salmo: [Non temerai] il demone meridiano (Sal 90, 6), cioè manifesto. La sera è il termine della vita, o del tempo, o il castigo; nel salmo: Sarà pianto la sera, ma gioia il mattino (Sal 29, 6). L’aurora significa la mente dei giusti, che abbandona le tenebre del peccato, sorge alla luce, illuminata dal sole della giustizia (Cn 4, 9).[La stella] Arturo, che brilla sull’asse del cielo con i raggi di sette stelle, rappresenta la Chiesa universale, raffigurata nell’Apocalisse tramite sette chiese e sette candelabri (Ap 1, 20). Orione, che sta ad oriente nel peso dell’inverno, incarna i santi martiri che, dovendo sopportare il peso dei persecutori e staccarsi dalle persone amate, giungono come d’inverno alla condizione celeste. Le Iadi – così chiamate dalla lettera greca ‘y’, che richiamano alla vista – portano pioggia quando sorgono, e indicano i santi predicatori che piovono parole per irrigare in modo salubre i cuori degli uomini: infatti sono dette yetòs in greco e imber in latino.

IV. Le creature terrene

La terra è l’uomo stesso. Nel Vangelo: Un altro cadde in terra buona (Mr 4, 8). Altrove: Terra sei, e terra ritornerai (Gn 3, 19). In senso negativo è il peccatore: Mangerai terra per tutti i giorni della tua vita (Gn 3, 14). In altro modo, si intende per “terra” quanti sono occupati con le cose terrene, e possono raggiungere la vita eterna solo diffondendosi in elemosine e lacrime, per cui nel salmo: Chiama i cieli dall’alto, e la terra a giudicare il popolo suo (Sal 49, 4). La terra asciutta [arida] è gli uomini improduttivi: Per coprire la terra di malizia e inganno (Ecli 37, 3). La polvere è i peccatori e la vanità della carne; nel salmo: Come polvere sparsa dal vento (Sal 1, 4). Il fango è la pania dei peccati, nel salmo: Traimi dal fango, ch’io non affondi (Sal 48,15). O, in altro senso, in Giovanni: Fece del fango e me lo spalmò sugli occhi (Gv 9, 11). I monti sono la Chiesa, gli apostoli o i santi, secondo l’altezza delle virtù; nel salmo: Che scende sul monte Sion (Sal 132, 3). O nel profeta: Il monte della casa del Signore sarà stabilito in cima ai monti (Is 2, 2). Così pure, in altro senso, il profeta: Prima che i vostri piedi urtino nei monti tenebrosi (Ger 13, 16), cioè gli eretici. I colli sono i santi di minor merito; nel salmo: I monti e tutti i colli (Sal 148, 9). Altrimenti, in altro senso, nel Vangelo: Ogni monte e colle sarà abbassato (Lc 3, 5). Le valli sono la contrizione del cuore umile; nel salmo: E le convalli abbonderanno di frumento (Sal 64, 14). Oppure, in altro senso, nel profeta: La valle dei figli di Ennon (Ger 19,2). La pietra è Cristo, per la sua stabilità; nell’Apostolo: E questa pietra era il Cristo (1Cor 10, 4). I sassi sono talvolta il Cristo, o i santi; nel salmo: Il sasso respinto dai costruttori (Sal 117, 22). Oppure: Si staccò senza opera della mano dal monte un sasso e riempì la terra intera (Dn 2, 35). Oppure: Costruitevi come pietre vive (1Pt 2, 5). In altro senso, sono gli stolti e gli uomini dal cuore duro: Anche da queste pietre Dio può suscitare dei figli ad Abramo (Mt 3, 9). E altrove: Toglierò il cuore di pietra dal cuore vostro (Ez 36, 26).

Page 92: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

92

Il campo è questo mondo; nel Vangelo: Il campo è il mondo (Mt 13, 38). Altrimenti, il campo è la disciplina degli studi celesti, dove è nascosto un tesoro (ibid., 41), cioè il desiderio del cielo. Le campagne sono i santi, o le Sacre Scritture, perché sono il pascolo delle anime; nel salmo: Tra i pascoli mi pose (Sal 22,2). La coltivazione è i santi, che sono coltivati da Dio; nell’Apostolo: Voi siete il campo di Dio (1Cor 3, 8). L’agricoltore è Dio; nel Vangelo: Io sono la vera vite, e il Padre mio è l’agricoltore (Gv 15, 1). I solchi sono i cuori dei santi; nel salmo; Ne abbeveri i solchi (Sal 64, 11). Il seme è la predicazione divina; nel Vangelo: Il seminatore uscì per seminare il suo seme (Lc 8, 5). La messe è l’abbondanza, o la ricchezza di fedeli; nel Vangelo: Alzate gli occhi e guardate i campi che biondeggiano di messi (Gv 4, 35); e altrove: La mietitura è la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli (Mt 13, 39). I covoni sono i frutti della giustizia; nel salmo: Nel portare i loro covoni (Sal 125, 6). La stoppia è gli aridi verso la fede, o i fatui; nell’Apostolo: Legno, fieno e stoppia (1Cor 3, 13); e nel profeta: Me sventurato, che sono diventato come uno spigolatore (Mic 7, 1), cioè: non trovai frutti di opere buone. E altrove: La riunione dei peccatori è come stoppia accumulata (Ecli 21, 10). L’aia è la Chiesa; nel Vangelo: Pulirà bene la sua aia (Mt 3, 12). Il vaglio è l’esame della giustizia divina: Egli ha in mano il vaglio (ibid.). Il frumento è la parola di Dio, o i santi, o i suoi eletti; nel Vangelo: Radunerà il suo frumento nel granaio (ibid.). L’orzo è la lettera della legge; nel Vangelo: C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo (Gv 6,9), cioè la lettera, i cinque libri di Mosè. La paglia è i peccatori; nel Vangelo: Ma brucerà la paglia con fuoco inestinguibile (Mt 3,12); e Geremia: Che ha in comune la paglia col grano? – dice il Signore (Ger 23, 28). La zizzania è gli scandali e i mal viventi; nel Vangelo: Venne il nemico, e seminò la zizzania in mezzo al grano (Mt 13, 25).La vigna è la Chiesa, o il popolo d’Israele; nel salmo: Una vigna svellesti dall’Egitto (Sal 79, 9). O in senso negativo: Poiché la loro vite vien dalle vigne di Sodoma (Dt 32, 32). La vite è il Cristo; nel Vangelo: Io sono la vera vite (Gv 15, 1). O, in altro senso, come nel Cantico del Deuteronomio, vedi sopra. I tralci sono gli apostoli, o i santi; nel Vangelo: Io sono la vera vite, e voi i tralci. In senso negativo, come sopra, nel Deuteronomio: E i loro tralci da Gomorra. I grappoli sono i frutti della giustizia; in Isaia: Aspettavo che producesse il grappolo (Is 5,4). O in senso negativo: E la loro uva è uva di fiele (Dt 32,32). Il grappolo è la Chiesa o il corpo del Signore; nei Numeri: E per quel grappolo d’uva, portato dai figli d’Israele (Nm 13, 24). La vendemmia è la fine del mondo, o la punizione del popolo; nel salmo: E la vendemmiano tutti i passanti (Sal 79,13); e Gioele: Lasciate le falci e vendemmiate le vigne della terra, perché le loro uve sono mature (GÌ 3, 13). Il torchio è l’altare, poiché a questo si portano le offerte come al primo i frutti; così in Isaia: E vi scavò un tino (Is 5, 2). Altrimenti, il torchio è la pressione delle tribolazioni all’interno della santa Chiesa, con cui si esaminano i fedeli. Nel titolo del salmo: Sempre per i torchi (Sal 8, 1).Il fieno è il popolo, la carne o la vanagloria. In Isaia: Ogni carne è come il fieno, e tutta la sua gloria è come il fiore del fieno (Is 40, 6). L’erba è la letizia, o i primi tentativi di miglioramento dell’anima. Nel Genesi: Produce la terra l’erba verde (Gn 1, 11). O, in senso negativo: Al mattino è come l’erba che germoglia, [alla sera inaridisce e muore] (Sal 89, 6). I fiori sono Cristo, o il segno della giustizia, o l’inizio del fare il bene; come dice nel Cantico lo sposo: Ristoratemi coi fiori (Cn 2, 5). Il giglio è Cristo, o gli angeli, per il candore della giustizia. In Salomone: Sono un fiore dei campi e un giglio delle valli (ibid. 2, 1). Le rose sono i martiri, per il rosso del sangue; in Salomone: Come la rosa fiorisce sulle umide correnti. Le viole sono i confessori, per la somiglianza con le loro vesti scure; nel Cantico dei Cantici: I fiori sono apparsi sulla terra (Cn 2, 12). Le selve sono le genti; nel salmo: La trovammo nelle radure della selva (Sal 131, 6). Da queste selve uscirono due orsi agli ordini di Eliseo (4Re 2, 24), ed essi sono allegoricamente Vespasiano e Tito, re dei Romani, che dopo 42 anni dall’ascensione al cielo [di Cristo] sbranarono dei fanciulli giudei [con le persecuzioni]. I boschi sono le ombre e le oscurità della Scrittura divina; nel salmo: [Il Signore] spoglia le foreste (Sal

Page 93: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

93

28,9). La legna è il peccatore destinato al fuoco. O, in senso buono: E sarà come un albero piantato (Sal 1, 3). Il legno è anche il nome della santa Croce, come nel profeta: Gettiamo il legno nel suo pane (Ger 11, 19), cioè: appendiamo Cristo alla croce della carne. Altrove: Stavo raccattando un po’ di legna (3Re 17, 12). Oppure, il legno significa i giusti e i peccatori, come in Salomone: E se un albero cade ad austro o ad aquilone, là dove cade rimane (Ec 11, 3): perché nel giorno della morte il giusto cade ad austro e il peccatore ad aquilone, essendo il giusto condotto alla letizia dal suo ardore spirituale, mentre il peccatore, per la sua freddezza di cuore, è respinto all’angelo traditore. La radice è l’origine; nell’Apostolo: Se la radice è santa, lo sono anche i rami (Rm 11, 16); e, in senso negativo, nel salmo: Svellerà la radice tua dalla terra dei vivi (Sal 51,7). L’albero è anche Cristo nella sua resurrezione, così come era stato il seme nella sua morte. Il ramo è l’eredità: nell’Apostolo: Se la radice è santa, lo sono anche i suoi rami (Rm 11, 16). O, in altro punto, in Daniele: Tagliate i suoi rami (Dn 4, 11). Oppure, i rami sono le sentenze dei santi Padri; nel Vangelo: Altri tagliavano rami dagli alberi (Mt 21, 8). La foglia è la parola della dottrina; nel salmo: E la sua foglia non cade a terra (Sal 1,3). Altrimenti, la foglia ò la veste e l’ornamento con cui la grazia divina dona protezione. In senso negativo: Non trovò altro che foglie senza frutti (Mt 21, 19), cioè parole senza frutto; perciò l’Apostolo ammonisce affinché amiamo non solo a parole e con la lingua, ma coi fatti e la verità (1Gv 3, 18). L’uomo è anche paragonato alla foglia che cadde dall’albero in paradiso. I pomi sono i frutti della virtù dei santi; nel Cantico: E mangi i suoi frutti (Cn 5, 1). La palma è il compimento o la vittoria; nel salmo: Il giusto fiorisce come la palma (Sal 91, 13). La palma infatti cresce lentamente, ma rimane a lungo verde: così la santa Chiesa giunge a una prospera fede con gran difficoltà, ma ha speranza di restarvi grazie alla gran copia di fedeli. La palma nella parte inferiore è stretta dagli avvolgimenti della sua corteccia, ma si espande nella parte superiore con il suo bel verde: così qui in basso la vita degli eletti è spregevole, ma là in alto è bella. V’è qualche altra cosa per cui la palma differisce da tutti gli alberi: infatti ogni altro tipo di pianta, che cresce ampia per la sua forza e secondo il terreno, si fa più piccola verso l’alto, e più s’innalza e più s’assottiglia; la palma invece è stretta verso il basso, ed espande la forza dei rami e dei frutti in alto, aumentando sempre più verso la cima. Gli altri alberi sono simili alle anime volte alle cose terrene, ampie quaggiù, ma strette verso l’alto, perché senza dubbio i piaceri mondani si rinforzano nelle cose terrene, ma sono deboli in quelle celesti: non temono di affaticarsi a morte per la gloria temporale, ma non fanno il minimo sforzo per la speranza dell’eternità – sopportano qualsiasi oltraggio per un guadagno terreno, ma non vogliono patire per il celeste profitto nemmeno il lieve insulto di una sola parola. E se stanno tutto il giorno in piedi accanto al giudice terreno, sono pieni di vigore; ma se stanno in preghiera davanti a Dio anche solo per un’ora, sono subito stanchi. Al contrario, con la regolarità della palma si indica la vita profittevole dei giusti, che non sono abili né negli studi terreni, né in quelli celesti, ma sopravanzano tutti gli studiosi nell’offrirsi a Dio, e saranno ricordati alla consumazione del mondo. Perciò fu scritto quel veridico ammonimento: Il giusto fiorisce come la palma, ecc. I cedri sono gli uomini di forza eccelsa; nel salmo: Come cedro del Libano si espande (Sal 91, 15); e, in senso negativo, indicano i superbi e gli orgogliosi, come nel salmo: Il Signore infrange i cedri del Libano (Sal 28, 5). L’ulivo è il santo che abbonda dei frutti della misericordia divina; nel salmo: Sono come un ulivo fruttifero nella casa del Signore (Sal 51, 10). L’oleastro è l’uomo che non produce frutti, o il pagano: Se tu sei stato tagliato in un oleastro e innestato contrariamente alla tua natura (Rm 11,24). Il fico è talvolta la sinagoga; nel Vangelo: E subito il fico si seccò (Mt 21, 19); e in Abacuc: Il fico non porta frutto (Abc 3, 17). Il fico può essere considerato in senso positivo e negativo, come in Geremia: E mi mostrò deifichi buonissimi e altri pessimi (Ger 24, 3); e il Signore a Natanaele: Sotto il fico (cioè sotto il peccato originale) ti ho visto (pronto per la redenzione: Gv 1, 48). Per “fico” si intende anche la natura umana o la sinagoga priva di fede, che, per quanto in posizione favorevole, cadde da sola senza mostrare il frutto del precetto divino o delle buone azioni, per cui il Signore per

Page 94: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

94

tre anni cercò in lei il frutto senza trovarlo, visitandola e ammonendola tre volte (Lc 13, 7), cioè prima della legge, durante la legge e nel tempo della grazia. Prima della legge la sostenne con la tolleranza; nel tempo della grazia si è reso palese con la presenza della sua incarnazione; durante la legge ammonì e insegnò. Ciò nonostante, essa durante questi tre tempi rimase infruttuosa e disseccò dalle radici. Il sicomoro è detto fico insipido: su di esso salì Zaccheo, poiché era piccolo di statura (Lc 19, 4), e il Signore lo vide: perché chi estirpa con umiltà la sapienza del mondo, ammirerà intimamente la sapienza di Dio. Saliamo dunque prudenti sul sicomoro, e manteniamo quella lodevole e saggia stoltezza, se il cielo avrà voluto donarcela. Non sono infatti considerati stolti in questo mondo quanti non cercano le cose perdute, ma regalano ciò che possiedono, liberano i ladri, non ricambiano le ingiustizie subite e, secondo i precetti del Signore, si dimostrano pazienti in ogni cosa?L’issopo è un’erba bassa che nasce sulla pietra, e si dice che le sue radici penetrino i sassi; cura soprattutto i polmoni. Nei polmoni viene simboleggiata la superbia, poiché in essi dimora il rigonfiamento e l’affanno. Così [curandoli], l’issopo indica l’umiltà e la pazienza. Il biancospino, le ortiche, i cardi, i rovi, la marruca e tutte le piante spinose significano le persone crudeli, fraudolente, superbe e tutti i malvagi, mai toccati dalla mansuetudine e dalla bontà e che possono essere corrette solo col dolore. Le stesse piante significano anche i vizi e il tormento delle tentazioni, come nel Genesi: [La terra] ti produrrà spine e triboli (Gn 3, 18). I melograni sono la Chiesa, composta di molte genti e differenti grazie; nel Cantico: La tua guancia è uno spicchio di melograno (Cn 4, 3). In altro senso, le mele sono i frutti delle buone azioni, ben olenti, cioè provvisti di buona reputazione e dei risultati dei buoni costumi. La canna è il peccatore, e colui che è fiacco nella fede e debole nella tentazione; nel Vangelo: Non spezzerà la canna rolla (Mt 12,20). La canna è anche l’aiuto degli infermi; in Isaia: Ecco, li fidi dell’Egitto, quel pezzo di canna rotta, che punge e ferisce la mano di chi vi si appoggia (Is 36, 6). Il rovo, secondo alcuni, prefigura la Vergine Maria, perché il Salvatore nacque come una rosa dal roveto del corpo umano, e perché essa sostenne la forza della folgore divina senza contatto virile. Nell’Esodo: Gli apparve il Signore in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto, e vide che il roveto bruciava, ma senza consumarsi (Es 3, 2). In altro senso, il roveto ardente che non si consuma rappresenta il popolo giudaico che, pur ottenendo per primo le fiamme della legge divina, in nessun modo riuscì ad evitare la punizione del peccato. Le spine sono talvolta i dannosi affanni per le ricchezze e le preoccupazioni mondane, che soffocano l’animo; nel Vangelo: Una parte cadde tra le spine (Lc 8, 6); e oltre: [Quelli caduti tra le spine] sono coloro che hanno ascoltato, ma poi a poco a poco si lasciano sopraffare dalle ricchezze e dai piaceri della vita (ibid. 14). Il tribolo simbolizza gli aculei dei vizi e delle tentazioni; nel Genesi: [La terra] ti produrrà spine e triboli (Gn 3, 18).Le fonti sono il battesimo: Come il cervo agogna alla fonte delle acque (Sal 41, 2). La fonte infatti è Cristo, come nel salmo: L’anima mia ha sete di Dio, fonte vivente (ibid.); e Zaccaria: In quel giorno zampillerà una fonte dalla casa di Davide (Zc 13, 1), ecc. Oppure, in senso negativo, come dice l’Apostolo: Fonti senz’acqua (2Pt 2, 17). Le acque sono le tentazioni; nel salmo: Forse saremo inghiottiti dalle acque (Sal 23,4). Così pure: Le acque entrarono fino all’anima mia (Sal 68, 2). Oppure, in senso buono, in Geremia: Hanno abbandonalo me, fonte d’acqua viva (Ger 2, 13); e in Isaia: Voi assetati, venite tutti all’acqua (Is 55, 1), cioè alla dottrina. Talvolta con “acqua” si intende nella Sacra Scrittura lo Spirito Santo e la sua infusione, come nel Vangelo: Dal ventre di chi crede in me sgorgheranno fiumi d’acqua viva (Gv 7, 38). Oppure si esprime con l’acqua il coro degli angeli; così nel salmo: E le acque sopra il cielo lodino il nome del Signore (Sal 148, 4). Oppure, la scienza sacra, come nel libro della Sapienza: Li abbevererà l’acqua della sapienza (Ecli 15, 3). E altrove: Acque profonde sgorgano dalla bocca d’un uomo (Pro 18, 4). Anche la scienza malvagia è indicata con l’acqua; così in Salomone la donna che incarna l’eresia, blandisce con queste astute parole: Le acque rubate sono più dolci (Pro 9, 17). L’acqua significa pure la prosperità di questo

Page 95: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

95

mondo, come nel salmo: Abbiamo attraversato il fuoco e l’acqua, e ci hai condotto al refrigerio (Sal 55, 12). Il fuoco e l’acqua sono entrambi pericolosi, come nel Vangelo: L’ha gettato sovente nel fuoco e nell’acqua, per farlo perire (Mr 9, 21). Quando in questo mondo si vive nelle difficoltà e nella sfortuna, è come essere nel fuoco; quando invece si nuota nell’abbondanza e nella prosperità, è come essere nell’acqua. Con le acque si indicano anche i popoli: Le acque sono le moltitudini e i popoli (Ap 17, 15). Esse però non significano solo il vagabondare delle genti, ma anche le anime dei buoni che seguono i precetti della fede; così è in Isaia: Beati voi che seminerete presso le acque (Is 32,20). L’acqua indica anche il battesimo, come dice Giovanni Evangelista: Tre sono che rendono testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue (1Gv 5, 8). Infatti lo Spirito ci ha resi figli adottivi di Dio, l’onda della fonte sacra ci ha lavati e il sangue del Signore ci ha redenti.Il torrente è l’irruenza della persecuzione, o il trascorrere della morte. Nel salmo: Berrà dal torrente per via (Sal 109, 7). Oppure: Un torrente attraversò l’anima nostra (Sal 123, 5). In senso positivo: E li inebrierai con un torrente di delizie (Sal 35, 9). Si chiamano torrenti anche i santi predicatori, perché, come i torrenti confluiscono adunando le acque durante l’inverno, mentre poi si prosciugano col sopraggiungere del sole estivo, così i santi predicatori ci inondano in questa vita col verbo divino, ma, quando sfavillerà la luce della patria eterna, essi cesseranno di predicare. I fiumi sono i popoli dei miscredenti: Sopra i fiumi di Babilonia (Sal 136, 1). O altrove, in senso buono: Dal suo intimo scaturiscono fiumi d’acqua viva (Gv 7, 38), cioè lo spirito di molteplici grazie; così nel salmo: L’impeto del fiume rallegra la città di Dio (Sal 45, 5). Il lago è l’inferno; nel salmo: Mi hai calato nel lago profondo (Sal 87,7), cioè, in quel luogo infernale dove i peccatori stanno in solitudine a scontare le loro pene. Il mare è il mondo secolare, o i popoli; nel salmo: Questo mare grande e spazioso (Sal 102, 25). Per “mare” si intendono anche le Sacre Scritture, come in Ezechiele: Le ruote e la loro struttura sembravano il mare (Ez 1, 16). Giustamente infatti si paragonano le Scritture all’immagine del mare, perché il contenuto delle loro parole è confermato dall’acqua del battesimo. I pesci sono i santi, o talvolta i peccatori; nel Vangelo: Tirarono una rete piena di grossi pesci (Gv 21, 11). Oppure, in senso negativo: Buttarono via i [pesci] cattivi (Mt 13, 48). D’altra parte, i pesci possono anche significare una fede autentica: allo stesso modo infatti in cui un pesce nasce, vive e cresce sotto la superficie dell’acqua, cosi la fede in Dio genera nel cuore, attraverso i pianti di questa vita e i gemiti incessanti, le gioie dell’altra vita; lo spirito si consacra alla grazia invisibile tramite l’acqua del battesimo, e la divina protezione nutre con aiuto invisibile, perché non perisca e stia in buona salute, ben agendo e considerando la ricompensa, anch’essa invisibile. Di ciò parla l’Apostolo: Poiché le cose visibili sono nel tempo, ma le invisibili sono eterne (2Cor 4, 18). Invece il pesce secco indica la passione, e i flutti sono le tentazioni; nel salmo: Tutte le onde e i tuoi flutti sono passati su di me (Sal 41,8).I flutti indicano anche il timore di Dio, come nel libro di Giobbe: Ho sempre temuto il Signore, come fosse una rigonfia procella su di me (Gb 31, 25). Le onde hanno lo stesso significato: Rimase immobile l’onda fluente (Es 15, 8). Le isole sono le anime, o la Chiesa di Dio, che sono colpite dai flutti di molteplici tentazioni; nel salmo: Si rallegrino tutte le isole (Sal 96, 1). La spiaggia è la fine del mondo; nel Vangelo: Quando [la rete] è piena, i pescatori la tirano a riva, poi seduli mettono i [pesci] buoni nei canestri (Mt 13, 48). La sabbia del mare è la innumerevole moltitudine delle genti; nel Genesi: E moltiplicherò il tuo seme, che sarà come le stelle del cielo (cioè i santi), oppure come la sabbia che è sul lido del mare (i peccatori) (Gn 22, 17).

V. Gli animali

Gli uccelli sono i santi, che si sollevano col cuore verso le cose superiori; nel Vangelo: E fa rami sì grandi, che gli uccelli del cielo possono mettersi al riparo della sua ombra (Mr 4,32). Si intendono

Page 96: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

96

anche con gli uccelli i pensieri superflui, indicati dai rapaci che disturbavano il sacrificio di Abramo, e Abramo li scacciava (Gn 15, 11). Se infatti nel sacrificio dell’orazione insorgono e si intromettono dei pensieri molesti, essi insozzano i cuori dei giusti – vanno perciò subito scacciati con la mano garbata del discernimento, affinché la tenebra della tentazione non occulti il volto del cuore e non lo tocchi con piaceri illeciti. Il volo è l’estasi dei santi in Dio, o nella comprensione delle Scritture; nel salmo: Ch’io m’involi e abbia pace (Sal 54, 7). Per tutti i volatili vale quanto dicemmo per gli uccelli. In senso negativo designano i demoni superbi, come nel Vangelo: Parte del seme cadde lungo la strada, e i volatili del cielo lo mangiarono (Lc 8, 5); perché gli spiriti maligni che assediano le menti umane, mentre infliggono i pensieri nocivi, sradicano la parola di vita dalla memoria. Le ali sono i due Testamenti; in Ezechiele: Ciascuno [dei quattro viventi] velava il proprio corpo con due ali (Ez 1, 23). Le ali sono anche le virtù dei santi, con cui si sollevano alla contemplazione o al cielo – oppure sono la protezione divina. Le penne sono le Scritture; nel salmo: Le penne della colomba argentea (Sal 67, 14). Il nido è la Chiesa, oppure il riposo elevato dei santi; nel salmo: E la tortora trova il nido ove porre i suoi pulcini (Sal 83, 4). Altrimenti, il nido è la buona coscienza, dove viene covata la prole dei buoni pensieri, poi partoriti con gran travaglio come fossero figli. Nel salmo: I figli tuoi sono come rampolli d’ulivo attorno alla tua mensa (Sal 127, 3).I pulcini sono i santi; nel salmo, come sopra, o nel libro di Giobbe: I suoi pulcini lambiscono il sangue (Gb 39, 30): ciò si dice dei figli della santa Chiesa, che bevono il sangue di Cristo. E, in senso negativo, in Salomone: Lo divorino i pulcini dell’aquila (Pro 30, 17). Le aquile sono i santi; nel Vangelo: Dovunque vi sarà il cadavere, qui si raduneranno le aquile (Mt 24, 28): perché le sante anime, quando escono dal corpo, si riuniscono a Cristo, che morendo si fece cadavere per loro. L’aquila significa anche Cristo, come in Salomone: Il levarsi dell’aquila in cielo (Pro 30, 19), cioè, l’ascensione di Cristo. E, in senso negativo: Lo divorino i pulcini dell’aquila (vedi sopra). Così è in Geremia, riguardo agli spiriti maligni: Agili erano i nostri inseguitori, più che le aquile in cielo (Lam 4, 19). Con le aquile si indicano anche le sciagure terrene. Lo struzzo indica un qualsivoglia eretico o filosofo o ipocrita che, seppur rivestito con le penne della sapienza, pur tuttavia non vola. In Isaia: Sarà dimora degli sciacalli e soggiorno degli struzzi (Is 34, 13). Lo struzzo, inoltre, depone le uova ma non cura i pulcini – così l’ipocrita va dicendo ogni cosa rettamente, e tuttavia non genera discendenza tramite l’esempio di una buona vita, come nel libro di Giobbe: Lo struzzo abbandona in terra le sue uova, e dimentica che qualcuno può calpestarle (Gb 39, 14). Il pellicano è Cristo, Signore nella Passione, o un santo eremita. Nel salmo: Somiglio a un pellicano nel deserto (Sal 101, 7). Il corvo è la nerezza dei peccati, o i demoni; in Salomone: Sia cavato dai corvi del torrente e delle rupi (Pro 30, 17). O, in senso positivo, nel Cantico dei Cantici, circa lo sposo: I suoi capelli sono neri come il corvo (Cn 5, 11). La pernice è il diavolo; nel profeta: La pernice fa schiudere le uova non sue (Ger 17, 11). La colomba è lo Spirito Santo; nel Vangelo: Ho veduto lo Spirito scendere dal cielo a guisa di colomba (Gv 1, 32). Oppure, in senso negativo, come nel profeta: Ed Efraim fu come una colomba immota e senza cuore (Ez 7, 16). La tortora è lo Spirito Santo, o un uomo santo, o l’intelligenza spirituale; nel Cantico: Già si sente la voce della tortora sulla nostra terra (Cn 2, 12). La colomba, inoltre, indica la Scrittura sacra quando parla apertamente, mentre la tortora significa lo Spirito Santo che si manifesta nella Scrittura con alti e oscuri misteri. La colomba è anche la semplicità, e la tortora la castità, poiché se perde il primo compagno non ne cerca un altro. Lo sparviero significa, credo, la persona avida e superba, come nel salmo secondo gli Ebrei: L’abete è la casa dello sparviero. Il falco rappresenta talvolta il santo che ghermisce il regno di Dio: come quello, infatti, cambia le penne e abbandona il gusto radicato per l’inganno, decidendo d’un sol colpo di cambiare in bene la propria vita. In Giobbe: Forse che nella tua sapienza si copre di piume il falco? Il gufo è Cristo, o un santo disprezzato dai miscredenti; nel

Page 97: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

97

salmo: Sono come un gufo in mezzo alle macerie (Sal 101, 7). Il passero è talvolta il Signore, o l’uomo santo; nel salmo: Anche il passero trova una casa (Sal 87, 4). Altrimenti, può anche significare un cristiano che, al pari degli eretici, pensa di aver solo per sé il Cristo, chiamato “monte” nella Scrittura: Trasvola sul monte come un passero (Sal 10, 2). Il gallo è il Signore, o un santo; in Salomone: Il gallo passeggia giocondo tra le galline (Pro 30, 31). E in Giobbe: Chi ha dato intelligenza al gallo (Gb 38, 36). O altrove: Ti spazzerà via come un gallo di pollaio (Is 22, 17). Con il termine di gallo si intendono anche i santi predicatori che, nelle tenebre della nostra vita attuale, si dedicano ad annunciare, quasi come cantassero, la luce della vita che verrà; dicono infatti: “La notte è finita e il giorno si avvicina”. È scritto che il gallo si muove come avesse I vestiti tirati su alle reni (Pro 30, 31); così i predicatori, che annunciano tra le tenebre di questa notte il vero mattino, limitano i flussi della lussuria nelle loro membra, seguendo ciò che dice il Signore: Abbiate sempre i fianchi cinti (Lc 12, 35). Si ascrive anche al gallo l’intelligenza che scende dall’alto, la forza data per dono del cielo al saggio, affinché discerna la verità e ne conosca il quando e il come, il cosa e il perché; e non una sola esortazione va bene per tutte queste cose, poiché diverse sono le loro nature. La gallina è la sapienza, o la Chiesa, o l’anima; nel Vangelo: Come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali (Mt 23, 37). I pipistrelli sono le persone nefande, perdute nelle tenebre dell’idolatria; nel profeta: Per adorare le talpe e i pipistrelli (Is 2, 20): essi indicano infatti i pensieri immondi che vengono introdotti dai demoni.Lo scarabeo è il profeta: E lo scarabeo gridò dal legno, come si ritiene [da quello della croce] abbia fatto il Signore. Le locuste sono i popoli; nel Vangelo: Si nutriva di locuste (Mt 3,4). Si intende talvolta col termine di locuste il popolo giudeo, talaltra i pagani convertiti, o la lingua degli adulatori, o per similitudine [col volo] la resurrezione del Signore, o la vita dei predicatori. Le api sono un’immagine della verginità o della sapienza; in Salomone: Guarda l’ape e come lavora (Pro 6, 6). E, in senso negativo, nel profeta: E l’ape dalla terra d’Assur (Is 7, 18). M’hanno circondato come api (Sal 117, 12), cioè i malvagi e gli iracondi. Poiché le api hanno il miele in bocca e il pungiglione nascosto nella coda, col loro nome si intendono anche coloro che lusingano con la lingua, ma feriscono con nascosta malignità; parlando, nutrono infatti con un dolce miele, e in pari tempo feriscono col pungiglione. Lo stesso nome [delle api] può contrassegnare i detti dei prudenti, com’è scritto: Un favo di miele sono le parole del buono (Pro 16, 14). La mosca è il diavolo, o un suo ministro, o la lordura dell’idolatria; in Salomone: Una mosca morta guasta una coppa d’unguento profumato (Ec 10, 1).Le bestie sono il diavolo, o gli uomini crudeli; nel salmo: Non abbandonare alle bestie l’anima che confida in te (Sal 73, 19). Il leone è il Signore, o l’Apostolo. Ha vinto il leone della tribù di Giuda (Ap 5, 5). Oppure, in senso negativo: Il diavolo, nostro avversario, si aggira come un leone (1Pt 5, 8). La leonessa simbolizza i superbi o gli sconsiderati. Il leopardo è il diavolo o il peccatore variamente corrotto; nel profeta: È forse possibile che l’Etiope muti la sua pelle, e il leopardo il mantello chiazzato? (Ger 13, 27). L’elefante rappresenta il grande peccatore; nei Re si portano innanzi a Salomone scimmie ed elefanti (3Re 10,22). L’orso è il diavolo, o i principi spietati, o gli insidiatori. Nei Re: E uscirono due orsi che li divorarono (4Re 2, 24): con essi si indicano gli imperatori romano Tito e Vespasiano, che annientarono gli Ebrei. Il cervo è Cristo, o i santi; nel salmo: Come anela il cervo alle fonti dell’acqua (Sal 41, 2). E in altro salmo: I monti eccelsi sono per i cervi, le rocce son di dimora ai ricci (Sal 103, 18), significando questi ultimi quanti si dedicano alla vita contemplativa. Il lupo è il diavolo, o un eretico; nel Vangelo: Dentro son lupi rapaci (Mt 7, 15). O, in senso positivo: Beniamino è un lupo rapace (Gn 49, 27), con cui si intende l’apostolo Paolo. Il cinghiale è il diavolo; nel salmo: La va brucando il cinghiale (Sal 79, 14). La tigre è talvolta la boria femminile; nel libro di Giobbe: La tigre vien meno, per mancanza di preda (Gb 4, 11). L’unicorno è citato nel salmo: È caro come il figlio dell’unicorno (Sal 28, 6); si riferisce

Page 98: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

98

a una forza eccezionale, o ai santi che sostengono la parola unica di Dio. E altrove: È salva ma inerme dai corni degli unicorni (Sal 21, 22). In senso negativo sta perqualsiasi superbo o violento, o per chi ha fede in uno solo dei due Testamenti; per questo il salmista, parlando a nome di Nostro Signore sofferente, dice: Liberami dai corni degli unicorni. Il rinoceronte indica una persona forte, sia in senso negativo che positivo; nel libro di Giobbe: Consentirà il rinoceronte a servirti? (Gb 39, 9). L’onagro è l’eremita, o quanti stanno lontani dal volgo; in Giobbe: Chi ha dato la libertà all’onagro? (Gb 39, 5). L’onagro può anche significare il popolo giudeo, com’è detto in seguito nello stesso libro: E chi lo sciolse dai vincoli?; cioè, i vincoli dei precetti. Il cerbiatto è Cristo, o i santi, per la varietà delle grazie; in Salomone: Somigli, mio diletto, a una gazzella, o a un cerbiatto (Cn 2, 9). La gazzella ha lo stesso significato. La lepre è il timorato di Dio; nel salmo: La roccia è il rifugio delle lepri e dei ricci. Del riccio si è già detto sopra: i ricci sono una debole progenie, che si rifugia tra le rocce. La volpe è l’eretico, o il diavolo, o il peccatore astuto; nel Vangelo: andate a dire a quella volpe (Lc 13,32). L’animale è l’uomo carnale. Il giumento è chi manca d’intelligenza e di parola, o talvolta i mansueti; nel salmo: E stava presso a te come giumento (Sal 72, 22); talvolta si intendono i lussuriosi, come nel luogo seguente: Si sono putrefatti i giumenti nel loro sterco (Gl 1, 17). Il cavallo è l’uomo santo; in Abacuc: Poiché tu sali sopra i tuoi cavalli (Abc 3, 8). E, in senso negativo: Inutile è il destriero alla vittoria (Sal 32, 17), indicando la persona irragionevole. Nel salmo: Non essere come un destriero, o un mulo senza intendimento (Sal 31, 9). L’asino indica il corpo umano, o il popolo pagano; nel Vangelo: Condussero a Gesù l’asina e il puledro, misero loro addosso i mantelli, e ve lo fecero sedere sopra (Mt 21, 7). Con gli asini si vuole anche significare la pigrizia degli stolti, di cui parla Mosè: Non arare con un bove e un asino aggiogati insieme (Dt 22, 10), cioè, non predicare insieme al prudente e allo sciocco: [con il passo sopra citato si vuole indicare] la semplicità dei fedeli, che sono condotti con la guida di Cristo a Gerusalemme, cioè alla visione della pace. Perciò è detto: L’asino conosce la greppia del suo padrone (Is 1, 3). Al contrario, l’asino può designare la smodata lussuria degli sfrontati, come dice il profeta: La loro carne è come quella degli asini (Ez 23, 20). L’asina è la carne, o la plebe che non conosce Dio: vedi la citazione evangelica sopra. Il cammello simbolizza i ricchi carichi di beni temporali, o di costumi guasti; nel Vangelo: È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli (Mt 19, 24). Ma il termine di cammello può anche indicare lo stesso Signore: Scolate la zanzara e inghiottite il cammello (Mt 23, 24): s’intende qui con chiarezza il Signore che, umiliatosi spontaneamente, ha sopportato con la sua dolorosa passione il peso della nostra debolezza, l’ago della sofferenza pungente, e delle penose ferite. La zanzara ferisce ronzando, il cammello invece si piega volontariamente per prendere su di sé i pesi: dunque i Giudei scolarono la zanzara, perché chiesero che fosse rilasciato un bandito turbolento, e inghiottirono il cammello perché con alte grida han preteso che si togliesse la vita a Colui che era disceso [dal cielo] per prendere su di sé il fardello della nostra mortalità. I tori indicano i capi dei popoli; nel salmo: Grossi tori mi stringono attorno (Sal 21, 13). I buoi sono gli apostoli, che sotto il giogo di Cristo arano il mondo col vomere del Vangelo; nel salmo: T’involerò bovi e capretti (Sal 65, 15). I buoi significano anche la follia degli sciocchi, come giustamente dice Salomone: Ed egli turbato la segue, come un bue condotto al macello (Pro 7, 22); il termine di bue indica anche chi si dedica alla vita attiva, come in Mosè: Non legare il bue che sta trebbiando (Dt 25, 4); e dice il Signore: L’operaio merita il suo nutrimento (Mt 10, 10). Le vacche indicano quanti sono carichi di vizi carnali; nel salmo: Tra le vacche dei popoli (Sal 67,31): le vacche simbolizzano pure tutti i fedeli raccolti nella Chiesa, mentre accolgono i precetti della sacra parola, come se portassero su di sé l’arca del signore: la maggior parte di loro ha dei pubblici legami carnali, ma non deviano dalla retta via, perché hanno in mente l’arca del Signore (1Re 6, 12). Il vitello è Cristo, o i santi; nel salmo: Torneranno sul tuo altare i vitelli (Sal 50, 21). E in altro senso: Molli vitelli mi

Page 99: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

99

stringono d’attorno (Sal 21, 13), cioè i dissoluti. I maiali sono i peccatori immondi; nella lettera di Pietro: La scrofa, lavata, torna a rivoltolarsi nel brago (2Pt 2, 22). Gli arieti sono gli apostoli, o i principi della Chiesa; nel salmo: Date al Signore i figli degli arieti (Sal 28, 1). Le pecore sono i fedeli del popolo; nel Vangelo: Le mie pecore ascoltano la mia voce (Gv 10, 27); le pecore indicano pure le persone molto semplici, poco portate ai ragionamenti sottili. In Salomone: Pasci le anime delle tue pecore (Pro 27,23). I capri sono i peccatori, o i pagani; in Daniele: Ecco venire dall’occidente un capro, che percorse tutta la terra senza toccare il suolo (Dn 8, 5). O, in senso positivo: Ti offrirò buoi e capri (Sal 65,15). Le capre sono i giusti che talvolta compaiono tra le nazioni; in Salomone: I tuoi riccioli sono greggi di capre, ondulanti sulle pendici di Galaad (Cn 6, 4). Allo stesso modo in cui le capre cercano il loro posto sulle vette, così i santi puri cercano il posto celeste col battesimo e la penitenza; perciò l’Apostolo dice: La nostra dimora è nei cieli (Fil 3, 20). Le capre selvatiche sono le anime inselvatichite dalle vane dottrine dei filosofi, ma poi entrate nella Chiesa grazie al santo Vangelo. Gli agnelli sono Cristo, o gli apostoli o i santi; nel Vangelo: Pasci i miei agnelli (Gv 21, 15). I capretti sono i peccatori, o i moti della carne; nel Vangelo: I capretti alla sinistra (Mt 25, 33). Le talpe sono gli idoli o gli eretici che non vedono la verità; in Isaia: Per adorare le talpe e i pipistrelli (Is 2, 20). Il cane è il diavolo o un giudeo o un pagano; nel salmo: [Scampa] dalla zampa del cane la vita mia (Sal 20, 21). E in altro senso, nell’Ecclesiaste: Meglio un cane vivo che un leone morto (Ec 9, 4). Qui col leone si intende il diavolo e con il cane il peccatore, perché questo può venire alla fede o al pentimento, ma l’altro no. Il cane indica anche i predicatori pigri: Cani muti che non sanno abbaiare (Is 46, 10).Le rane sono i demoni; nell’Apocalisse: Poi vide uscire dalla bocca del dragone tre spiriti immondi, simili a rane. Essi sono spiriti di demoni (Ap 16, 13). Le rane sono anche gli eretici che indugiano nella mota di pensieri vilissimi, e gracidano senza cessa con inutile loquacità. La formica è la persona previdente e lavoratrice; in Salomone: Vai a veder la formica, o pigro! (Pro 6, 6). Il verme indica Cristo, che ha assunto la figura umana per umiltà; nel salmo: Ma io sono un verme e non un uomo (Sal 21, 7). O, in altro senso, in Isaia: Il loro verme non morrà (Is 66,24), intendendo il verme la coscienza del peccato, o il turbamento dei cattivi pensieri. La ragnatela simbolizza la fragilità umana; nel salmo: E hai dissolto la mia anima come una ragnatela (Sal 38, 12). Le tele del ragno sono il lavoro della concupiscenza terrena, tanto sottile e inconsistente che il vento della morte lo spazza via. Il serpente è il diavolo, o gli uomini malvagi; nel Vangelo: Serpenti, razza di vipere (Mt 23, 33). In altro senso, nel Vangelo: Come Mosè innalzò nel deserto il serpente(Gv 3,14); il serpente significa anche i prudenti: Siate prudenti come i serpenti (Mt 10, 16). Il drago è il diavolo, o un persecutore manifesto; nel salmo: Tu sfracellasti la testa del drago e la desti in pasto agli Etiopi (Sal 73, 14). Lo scorpione è il diavolo o un suo ministro; nel Vangelo: Vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni (Lc 10, 19). La vipera indica le stesse cose; nel Vangelo: Razza di vipere (Lc 3, 7).

VI. Su vari termini

L’essere umano [homo] indica l’integrità umana o la mente; nel Genesi: Dio fece l’uomo a propria immagine e somiglianza (Gn 1, 26). E in senso negativo, nel salmo: Sorgi o Signore, non prevalga l’uomo (Sal 9, 20), cioè la carne, o il diavolo. Può essere anche nominato per indicare il biasimo, come nell’Apostolo: Infatti, dal momento che ci sono tra noi contese e gelosie, non siete voi forse carnali e non camminate secondo l’uomo? (1Cor 3, 4); e altrove: Un uomo nemico ha fatto ciò (Mt 13, 28), intendendo il diavolo. Inoltre, l’Apostolo dice uomo del peccato e figlio della perdizione (2Ts 2, 3), intendendo l’Anticristo; ma l’uomo è chiamato anche carne: E ogni carne vedrà la salvezza di Dio (Lc 3, 6). Si intende con anima sia quella degli uomini sia quella degli animali,

Page 100: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

100

come in Giobbe: In suo potere è l’anima di ogni vivente e lo spirito di ogni carne [umana] (Gb 12, 10). Egli eleva l’anima razionale degli uomini fino alla comprensione spirituale, mentre vivifica nei sensi corporei l’anima degli esseri irrazionali.L’uomo maschio [vir] è lo spirito, cioè la mente; nell’Apostolo: L’uomo è capo della donna (1Cor 11, 3). L’uomo può anche essere inteso in senso negativo; nel Genesi: Era una vergine di bell’aspetto e nessun uomo l’aveva conosciuta (Gn 14,16), cioè il diavolo, che corrompe la maggior parte della mente col pensiero. La donna è l’anima, o la carne umana. Essa può significare il sesso: Mandò suo Figlio, fatto da una donna e nato sotto la Legge (Gal 4,4). Può anche significare la debolezza, come nel Saggio: Meglio malizia d’uomo che bontà di donna (Ecli 42, 14). La vergine è la Chiesa, o le anime sante; nell’Apostolo: Vi ho fidanzati a un solo sposo, per presentami a Cristo, come a una vergine pura (2Cor 11, 12). E in senso negativo: Scendi, mettiti a sedere nella polvere, vergine, figlia di Babilonia! (Is 47, 1), cioè anima sterile alla bontà, figlia ipocrita e malvagia del disordine. Il re è il Signore; nell’Apostolo: Re dei re, Signore dei signori ( 1 Tm 6,15). In senso negativo, è il diavolo: È il re di tutti i figli della superbia (Gb 41,25). La regina è la Chiesa; nel salmo: La regina è alla tua destra (Sal 44, 10). La regina simbolizza anche l’anima che governa il corpo. Il padre è il Signore; nel profeta: Sarò per voi come un padre, e voi sarete per me come figli e figlie, dice il Signore onnipotente (Ger 31, 9); e nel Vangelo: Uno infatti è il Padre vostro, che è nei cieli (Mt 23, 9). Altrove, circa il diavolo: Perché menzognero è il loro padre; padre della menzogna e di tutto quanto è estraneo alla verità. La madre è la Chiesa, o la Gerusalemme celeste; nell’Apostolo: La Gerusalemme celeste è invece libera, e questa è la nostra madre (Gal 4,26). Si intende anche chi con buone parole genera ed educa a Cristo dei fedeli: in tal senso, come afferma lo stesso Cristo, esistono madri di entrambi i sessi. Il fratello è Cristo, o il prossimo; nel salmo: Io narrerò il tuo nome ai miei fratelli (Sal 21, 23); il Signore stesso disse: Andate e annunziate ai miei fratelli (Mt 28, 10). La sorella è la Chiesa, la Sinagoga, o l’anima di Cristo; nel Cantico: Sorella, mia sposa (Cn 4, 9). Marito e moglie sono Cristo e la Chiesa, la comprensione spirituale e la narrazione delle Scritture; nell’Apostolo: E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo amò la Chiesa (Ef 5, 25). Lo sposo è Cristo, poiché fu promesso dal Padre fin dal principio; nel salmo: Egli n’esce qual sposo dall’alcova (Sal 18, 6). E nel Vangelo: È sposo chi ha la sposa (Gv 3, 29). La sposa è la Chiesa, che era stata promessa solennemente da Dio; nel Cantico: Vieni dal Libano, o sposa, vieni dal Libarlo (Cn 4, 8). Il figlio è il popolo dei credenti; nell’Apostolo: Sicché non sei più servo, ma figlio, e se sei figlio, sei anche erede per la grazia di Dio (Gal 4,7); figlio è anche il Signore: Se dunque il Figlio vi avrà liberato (Gv 8, 26). La figlia è l’anima fedele, o la Chiesa; nel salmo: Odi, o figlia, e guarda (Sal 44, 11); e in senso negativo: Vigila sulla figlia indocile (Ecli 42,11), cioè sulla volubilità dell’anima. I parenti sono i prossimi alla fede, e quanti usano misericordia al debole; in Salomone: Venite, mangiate, bevete e inebriatevi, o parenti (Cn 5, 1). Gli amici indicano coloro che sono in accordo con Dio; nel Vangelo: Voi siete miei amici (Gv 15, 24). L’anziano significa il compimento della giustizia; nel Genesi: Abramo morì anziano e pieno di giorni (Gn 25, 8). In Salomone: La sapienza costituisce la veneranda canizie dell’uomo, e l’età senile è la vita immacolata (Sap 4, 9). In senso negativo, su Salomone: Divenuto vecchio, il suo cuore fu sviato (3 Re 11,4). I giovani indicano coloro che sono ardenti di Dio; nella lettera di Giovanni: Scrissi a voi, o giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno (1 Gv 2, 14). In senso negativo, nei libri dei Re su Roboamo: Non avendo ascoltato il consiglio degli anziani, per seguire quello dei giovani (3Re 12, 14). O anche: Guai a te, o terra, che per re hai un ragazzo (Ec 10, 16). Il fanciullo indica la mente umile e semplice; nel Vangelo: Hai nascosto queste cose ai saggi e ai prudenti e le hai rivelate ai fanciulli. Sempre nel Vangelo: Se non vi convertite e non diventate come fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18, 3). E l’Apostolo: Nella malizia fatevi bambini, e uomini maturi nel giudicare (1Cor 14, 20). O in altro

Page 101: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

101

senso, sempre nell’Apostolo: Quand’ero fanciullo, parlavo come un fanciullo (1Cor 13, 11). Il fanciullo indica anche il Cristo, che si umiliò fino a morire (Fil 2, 8). La meretrice è l’anima peccatrice, che ha abbandonato il proprio marito celeste, cioè il Cristo, e ha concepito col diavolo i parti adulterini dell’iniquità; in Geremia: La tua fronte è diventata come quella di una meretrice (Ger 3, 3). I lavoratori sono gli apostoli, o i predicatori del Vangelo; nel Vangelo: La messe è grande, ma gli operai sono pochi (Mt 9, 27). Il pastore è il Signore: Io sono il buon pastore (Gv 10, 11). Il pastore indica anche l’apostolo; nel Vangelo: Pasci le mie pecore (Gv 21, 17); e in senso negativo: Andò a fare il pastore di porci (Lc 15, 15), cioè dei pensieri immondi. I mercenari sono coloro che servono il Signore non tanto per amor suo, quanto per un guadagno terreno; nel Vangelo: Quanti mercenari di mio padre hanno pani in abbondanza? (Lc 15, 17). I pescatori sono gli apostoli, o i dotti; nel Vangelo: Vi farò pescatori di uomini (Mt 4, 15). Il medico è Cristo, o un dotto; in Salomone: Medico è un uomo mansueto di cuore. Oppure: Non han bisogno del medico i sani, ma gli ammalati. Il ricco è un fedele ricolmo di beni spirituali; nell’Apostolo: Perché in lui voi siete stati ricolmi di ogni ricchezza, in ogni scienza e parola (1Cor 1, 5); il ricco è anche il Cristo: Ricco verso tutti coloro che l’invocano (Rm 10, 10). E in altro senso, nel Vangelo: Guai a voi, o ricchi (Lc 6, 24). Il povero è l’umile; nel Vangelo: Vi era un povero chiamato Lazzaro (Lc 16, 24). E anche: Beati i poveri di spirito (Mt 5, 3); Il povero è anche Cristo, o l’apostolo: Cristo si è fatto povero, perché noi fossimo ricchi (2Cor 8, 9). E in senso negativo, nel salmo: Che troppo siamo fatti miseri (Sal 78, 8).L’abito simbolizza chi possiede l’integrità del battesimo, o, della fede, o la veste della giustizia; nel Vangelo: Scorse un uomo che non era in abito da nozze (Mt 22, 11); e l’Apostolo: Perché quanti siete stati battezzati in Cristo, siete pure rivestiti di Cristo (Gal 3, 27). Il nudo è chi manca del sacramento del battesimo, di un aiuto divino, o di buone opere; nell’Apocalisse: Tu sei misero e nudo (Ap 3, 17). E, in senso positivo, nel Vangelo: Ma lui, lasciato il lenzuolo, scappò via nudo (Mr 14, 52), cioè nudo di beni terreni. I vivi sono i giusti; nel salmo: Sarò gradito al Signore e starò nella regione dei vivi (Sal 114, 9). E in altro senso, in Salomone: Felici i morti più dei vivi (Ec 4, 2). I morti sono i peccatori, o i miscredenti; nel Vangelo: Lasciale che i morti seppelliscano i loro morti (Mt 8, 22). E in senso positivo: Beati i morti che muoiono nel Signore (Ap 14, 13). Anche: Voi infatti siete morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio (Col 3, 3). I cadaveri sono i corpi dei miscredenti; nel profeta: E riempio la valle di Giosafat coi cadaveri dei morti. O in altro senso: Hanno deposto i cadaveri dei tuoi servi (Sal 78, 2). O altrimenti: Vedranno gettare i cadaveri di quanti mi furono ribelli (Is 66, 24). Il sepolcro è il corpo del peccatore, che trattiene in sé un’anima morta per i vizi; nel Vangelo: Siete simili a sepolcri imbiancati che, visti di fuori paiono splendidi, ma dentro son pieni d’ossa di morti (Mt 23, 27). In modo diverso parla però il profeta circa il sepolcro del Signore: E il suo sepolcro sarà glorioso (Is 11, 10).

VII. All’interno dell’uomo

L’interno dell’uomo significa l’anima razionale; nell’Apostolo: All’interno dell’uomo e nei vostri cuori abita Cristo, per la fede (Ef 3, 16). La testa è Cristo; nell’Apostolo: Il capo dell’uomo è Cristo (1Cor 11,3). La sommità del capo è il vertice della giustizia; in Salomone: Ti porrà sulla cima del capo una corona di grazia (Pro 4, 9). O in altro senso: La cima nella chioma a chi va attorno coi suoi misfatti (Sal 67, 22), cioè la più alta nequizia. I capelli sono la bellezza della giustizia, o il pensiero; nel Vangelo: I capelli del vostro capo sono numerati (Mt 10, 30). Il collo è la santa Scrittura, come nel Cantico: Il tuo collo è come la torre di Davide, da cui pendono mille scudi, tutti armatura di prodi (Cn 4, 4), cioè testimonianza della Sacra Scrittura. In altro senso il collo è la superbia: Poiché le figlie di Sion camminano a testa alta (Is 3, 16). La nuca è la superbia:

Page 102: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

102

Duri di cervice (At 7, 51). Gli occhi sono l’intelletto fedele e semplice; nel Vangelo: Beati i vostri occhi, perché vedono (Mt 15, 16); e altrove: Il saggio ha gli occhi nella testa (Ec 2, 14), cioè l’intelletto nel cuore. In senso negativo, nel Vangelo: Ma se l’occhio tuo è guasto (Mt 6, 23). Le orecchie sono l’obbedienza del fedele: E i nostri orecchi perché sentono (Mt 13, 16). Il naso è il soffio della fede, del bene e della virtù; in Giobbe: E il soffio di Dio nelle mie narici (Gb 27, 3). Oppure: Il tuo naso è qual torre del Libano (Cn 7, 4). E in senso negativo: Dalle narici esce fumo (Gb 41, 11), cioè il diavolo. Le fauci sono il giudizio dell’intelligenza; nel libro di Giobbe: E le mie fauci non si esercitano forse sulla sapienza? E in senso negativo: Ho le fauci rauche (Sal 68, 4). La bocca è la parola stessa; nel salmo: Il giusto ha sempre in bocca cose savie (Sal 36, 30). La lingua ha lo stesso significato; nel salmo: E la sua lingua parla rettamente (ibid.). Simbolizza anche la Scrittura: La mia lingua è un calamo di scriba veloce (Sal 44, 2). I denti sono i santi predicatori, che fanno pregustare giustamente la vita di cui parlano: così, a proposito della sposa, è detto: I tuoi denti sono come un gregge di pecore tosate che salgon dal bagno: ciascuna ha due gemelli, e tutte son feconde (Cn 4, 2). In senso interiore, dice Geremia: Mi ha straziato gran copia di denti (Lam 3, 16); i denti sono infatti quanti pensano separatamente gli uni dagli altri, come se mangiassero, masticassero e trasmettessero i loro pensieri al ventre della memoria.Le ascelle, che sono l’inizio delle braccia, significano il principio delle buone opere: perciò esse non sono mosse dal pigro, come dice la Scrittura: Il pigro nasconde la mano sotto l’ascella (Pro 19, 24). Le spalle sono la forza di chi sostiene; dice il profeta a proposito del Signore, destinato a portare la croce: La forza è sulle sue spalle (Is 9, 6). La mano è il lavoro; nel salmo: Nell’innocenza ho monde le mani (Sal 25, 6); e significa anche la potenza: Mi hanno fatto le lue mani (Sal 118, 73). La destra è le opere buone; nel Vangelo: Non sappia la sinistra ciò che fa la destra (Mt 6, 3). La sinistra sono le opere malvagie – oppure, la destra è la vita eterna, la sinistra quella temporale, così: La sinistra sua è sotto il mio capo, e la destra mi stringe nell’amplesso (Cn 2, 6).Il petto è il segreto dell’intelligenza; nel Vangelo: Il discepolo prediletto da Gesù stava appoggiato sopra il suo petto (Gv 13, 23). Il ventre è la capacità della ragione; in Abacuc: Il mio ventre è commosso (Abc 3, 16). Il ventre significa anche la mente, come in Geremia: Il ventre mi duole (Ger 4, 19); essa è il ventre del corpo spirituale, non di quello fisico, e infatti il profeta aggiunge: Il mio cuore è turbato (ibid.). E il Signore dice nel Vangelo: Dal ventre di chi crede in me scaturiranno fiumi d’acqua viva (Gv 7,38). I reni sono i sentimenti più intimi; nel salmo: Tutta la notte m’hanno sconvolto i miei reni (Sal 15, 7). Nell’uomo, nulla è più celato del cuore e dei reni, perciò la Scrittura dice: Dio scruta i cuori e i reni (Sal 7, 10). I lombi sono la forza d’animo; nell’Apostolo: Cingete i lombi delle vostre menti (Ef 6, 14); indicano anche la lussuria, come nel Vangelo: Abbiate sempre i fianchi cinti (Lc 12, 35), e in Giobbe: Cingi qual prode i tuoi lombi (Gb 38, 3). L’ombelico è l’appetito della concupiscenza; in Giobbe: Qual potenza sotto l’ombelico del suo ventre! (Gb 40, 11); con l’ombelico si allude ai genitali femminili, così come i lombi si riferiscono a quelli maschili. L’adipe è la floridezza della grazia divina, o l’abbondanza della sapienza superna. In senso negativo, l’adipe è la grossolanità della malvagità; nel salmo: Hanno chiuso il loro adipe (Sal 16, 10).Le ossa sono la fermezza d’animo; nel salmo: Tutte le mie ossa dicono: Signore, chi li è simile? (Sal 34, 10) E in senso negativo, in Giobbe: Le loro ossa sono come una canna piena d’aria (Gb 40, 13). Altrimenti, sono i consigli fraudolenti dei ministri dell’Anticristo, come nel salmo: Dio disperse le ossa degli assedianti (Sal 52, 6). Il midollo è l’infusione della carità e delle altre virtù, come nel salmo: Ti offrirò olocausti ricchi di midollo (Sal 65, 15). Le viscere sono il sentimento della pietà e della misericordia; nell’Apostolo: Se avete nei visceri pietà per me (Fil 2, 1). E in altro senso, si dice di Giuda negli Atti degli Apostoli: Sicché si sparsero tutte le sue viscere (At 1,18). La pelle indica coloro che sono attenti solo all’esteriorità, ma sono marci dentro. I peli rappresentano i

Page 103: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

103

pensieri della vita già trascorsa, e che vanno tagliati via; perciò Mosè ammonisce: Radano i Leviti tutti i peli del loro corpo (Nm 8, 7). Il sangue è l’atto carnale; nel salmo: Dal sangue mi salva, o Dio, mia salvezza (Sal 50, 16). E altrove: Né la carne né il sangue possono ereditare il regno di Dio (1Cor 15, 50). E Osea: Il sangue provoca sangue (Os 4, 2). Oppure, in senso positivo, nell’Apostolo: E il sangue di Gesù Cristo ci purifica da ogni peccato (Eb 9, 14) La carne è l’uomo esteriore; nell’Apostolo: La carne ha desideri contrari a quelli dello spirito, e lo spirito li ha opposti a quelli della carne (Gal 5, 17). La carne è la conformità alla natura: Questa è ossa delle mie ossa e carne della mia carne (Gn 2, 23); e altrove: Il Verbo si fece carne (Gv 1, 14). E l’Apostolo: Ora voi non siete nella carne, ma nello spirito (Rm 8, 9). La carne indica anche la conformità alla colpa: Il mio spirito non permarrà per sempre negli uomini, perché essi sono carne (Gn 6, 3). Le ginocchia rappresentano il riconoscimento dell’umiltà; negli Efesini: E ora piego le ginocchia del mio cuore (Ef 3, 14), e nel salmo: Le mie ginocchia sono indebolite dal digiuno (Sal 108, 24). Talvolta sono le virtù della fede; nel profeta: Risparmierò settemila uomini che non hanno piegato le ginocchia dinanzi a Baal (3Re 19,18). I piedi sono il corso della vita, la stabilità della mente o la fede; nel salmo: E posano ormai i nostri piedi (Sal 121, 2). E in senso negativo: Lesti sono i loro piedi per spargere il sangue (Sal 13,3). Il calcagno è l’inganno dei vizi; nel Genesi: Ella ti schiaccerà il capo e tu l’insidierai al calcagno (Gn 3, 15). Oppure, è la fine dell’azione, come nel salmo: Essi osservano i miei calcagni (Sal 55,7). Il passo è il successo nelle opere; nel salmo: Nei tuoi sentieri il mio passo non vacilla (Sal 16, 5). Le piante dei piedi sono i segni delle virtù; nel salmo: Affinché non si muovano le piante dei miei piedi. E in altro senso, in Salomone: La vita degli empi è come un’impronta nel mare.La stola è la veste del battesimo o della fede; nel Vangelo: Portate subito la stola più bella (Lc 15, 22). Il cilicio è la testimonianza del pentimento; nel Vangelo: Già da gran tempo avrebbero fatto penitenza cinti di cilicio e ricoperti di cenere (Mt 11, 21). La cintura è chi è cinto dall’azione dello spirito; nel salmo: Mi hai cinto di gioia (Sal 29, 12). La fascia è la purezza di cuore; dice l’Apostolo: Cinti al petto d’una fascia d’oro (Ap 15, 6). Le scarpe sono la preparazione della pace; nell’Apostolo: Calzate i vostri piedi per preparare la pace del Vangelo (Ef 6, 15). Le armi sono l’interiorità dell’uomo; nello stesso luogo: Rivestitevi della corazza della giustizia, dello scudo della fede, dell’elmo della salvezza e della spada dello spirito, che è la parola di Dio (ibid.).

VIII. Cibi, oggetti e strumenti

II pane è Cristo, o la parola di Dio; nel Vangelo: Io sono il pane vivo (Gv 6, 41); e altrove: Mettiamo legno nel suo pane (Ger 11,19), cioè il suo corpo in croce. Il pane può anche significare un cattivo insegnamento: Il pane mangiato di nascosto è più gustoso (Pro 9, 17). Il vino ha lo stesso significato: Bevete il vino che ho preparalo per voi (Pro 9, 5). Il vino è anche la sicurezza della rettitudine: Versandovi olio e vino (Lc 10,34), perché col vino si inaspriscono le ferite, e con l’olio si curano. L’olio è la misericordia, o lo Spirito Santo; nel salmo: Con l’olio sacro lo unsi (Sal 88, 21). In altro senso: L’olio del peccatore non unge il mio capo (Sal 140, 5), intendendosi l’adulazione. La carne di maiale indica i peccati; nel salmo: Sono sazio di cane di porco. Il pane azzimo è il cuore sincero, senza il fermento della malizia; nell’Apostolo: Negli azzimi di purità e verità ( 1 Cor 5, 8). L’uovo è la speranza consapevole dei fedeli. O, in senso negativo: Chi mangia le loro uova muore (Is 49, 5), cioè dei disonesti ed esperti nel male. Il fior di farina è la purezza della mente e la forza della carità; nel Levitico: Chi vorrà fare un’offerta al Signore, offra fior di farina (Lv 2, 1). La focaccia è l’offerta dell’umiltà; nel Genesi: Svelta, prendi tre misure di farina, impastala e fanne delle focacce (Gn 18, 6). E in senso negativo: Efraim è come una focaccia non rivoltata (Os 7, 8). Il latte è l’integrità della mente; nella lettera di Pietro: Desiderate il latte spirituale epuro (1Pt 2,2). In altro senso, si intendono gli inesperti nella Chiesa: Vi dovetti dare del latte e non del cibo solido, perché non

Page 104: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

104

lo potevate ricevere (1Cor 3,2); qui il latte significa la pochezza dell’intendimento. Il latte cagliato significa il condensarsi dei vizi; nel salmo: Il loro cuore è come latte cagliato (Sal 118, 70). Il sale è il condimento della saggezza; nel Vangelo: Voi siete il sale della terra (Mt 5, 13) e: Abbiate sale in voi (Mr 9, 48). Il miele è la dolcezza dei precetti divini; nel salmo: Son dolci al palato i tuoi precetti, più che il miele alla bocca! (Sal 118, 103) Oppure, in Salomone: Trovando del miele, mangiane solo quanto li basta, non riempirtene per poi vomitarlo (Pro 25, 16), cioè: Non interrogarti su ciò che ti è inaccessibile (Ecli 3, 22). Il fiele è l’amarezza della cattiveria; nel salmo: Mi han dato per cibo del fiele (Sal 68, 22). L’aceto è l’asprezza della mente corrotta; nel salmo: Alla mia sete han dato da bere aceto (Sal 68, 22). L’aceto è anche il biasimo dei dotti, come in Salomone: Cantar canzoni a un cuore afflitto è come spargere aceto sopra una piaga (Pro 25, 20).La pece è la nera sozzura dei delitti; in Salomone: Chi tocca la pece, ne rimane sporcato (Ec 13, 1). La sicera è il compimento di qualche malvagità o astuzia; nel Vangelo: Non berrà né vino né sicera (Lc 1, 15). Il calice è la passione del Signore; nel salmo: Prendi il calice della salvezza (Sal 115, 13).E il Signore medesimo: Padre, allontana da me questo calice (Mr 14,36). Oppure, in senso negativo: Il calice d’oro di Babilonia (Ger 51,7). Il vino puro è la purezza di giudizio e della verità, o il calore della fede; nel salmo: Piena di puro vino (Sal 74, 9). La feccia è l’ultimo giudizio; nel salmo: E ne bevono pur le fecce (ibid.). Oppure, significa quanti riposano sicuri nel peccato; onde, nel profeta: Riposava nella sua feccia (Ger 48,11). Il cibo è la parola o la volontà del Signore; nel Vangelo: Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 4, 34). La bevanda è la stessa cosa; nel salmo: L’inebri del tuo fiume di delizie (Sal 35, 9), cioè dello Spirito santo. E il salmista: Nella compunzione mescolo la mia bevanda col pianto (Sal 101, 10). O in altro senso: Il Regno dei cieli non è cibo e bevanda (Rm 14, 17).Le dispense sono i ricettacoli; nel Cantico del Deuteronomio: Nelle loro dispense è il terrore. La bisaccia è la preoccupazione per il nutrimento e gli ostacoli di questo mondo; nel Vangelo: Non prendete bisaccia da viaggio (Mt 10, 9). La borsa è il tesaurizzare in Dio; nel Vangelo: Fatevi borse che non si consumino (Lc 12, 33). E in altro senso: Non ci sarà che una borsa per tutti (Pro 1, 14), cioè l’avarizia. Il denaro è le parole divine; nel Vangelo: Tu dovevi dunque mettere il mio denaro in mano ai banchieri (Mt 25, 27). È anche la sapienza, per cui in Salomone: La sapienza nascosta e il tesoro occulto di quale utilità possono essere? (Ecli 20,30). Il vello è il popolo; nel salmo: E scende come la pioggia sul vello (Sal 71, 6). Il lino è la forza spirituale, o il candore, o la sottigliezza delle Scritture; nell’Esodo: Poi farai delle tuniche di lino per i figli di Aronne (Es 28,40). O in senso negativo: Non indossare vesti di lana e lino tessuti insieme (Dt 22, 11). Gli otri sono i vasi del corpo umano; nel Vangelo: Devi mettere il vino nuovo in otri nuovi (Lc 5, 38). La farina è l’opera buona, o la scienza; nel Vangelo: Una donna ha nascosto [il lievito] in tre misure di farina (Lc 13, 21). O, in senso negativo, è i vani pensieri, come nel profeta: Prendi la mola e macina la farina (Is 47, 2). La macina è il volgersi della vita; nel Vangelo: Due donne che saranno a macinare alla macina (Mt 24, 41). Le due pietre della macina possono anche significare i due Testamenti, e col lavoro degli studiosi si muta il frumento del Vecchio Testamento nella farina del Vangelo.Tutti questi termini che occorrono nel testo della lezione sacra, siano o no presi in senso più o meno scoperto, possono significare in diversi modi sia persone sia tempi o luoghi, oppure incarnare immagini adatte all’argomento grazie all’interpretazione allegorica. Infatti per abisso si può intendere, come abbiamo detto sopra, sia la profondità delle Scritture che l’immensità delle acque: Irruppero tutte le fonti del grande abisso (Gn 7, 11). L’abisso è anche gli ineffabili giudizi di Dio; nel salmo: Sono un profondo abisso i tuoi giudizi (Sal 35,7). L’abisso è, parimenti, l’inferno: Chi scenderà nell’abisso? per far cioè risalire Cristo dai morti? (Rm 10,7). L’abisso è pure i cuori degli uomini tenebrosi per i misfatti: L’abisso disse: “Non è in me” (Gb 28, 14), cioè la sapienza. Il fuoco, come

Page 105: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

105

abbiamo ricordato sopra, può significare lo Spirito Santo, come dice Paolo: Il nostro Dio è un fuoco che consuma (Eb 12, 29). Inoltre, il fuoco è la carità circondata dalle proprie fiamme. Il fuoco è anche la tribolazione; nel Salterio: Come l’argento ci passasti al fuoco (Sal 65, 10). Oppure: Passammo attraverso il fuoco e l’acqua (ibid. 12). Il fuoco è l’ira: Ch’io li consumi nel fuoco della mia ira, dice il Signore. Il fuoco è la voluttà: I loro cuori si disfano come in un fuoco. Il fuoco è anche il pensiero cattivo: Allora il fuoco consumerà i ribelli (Eb 10, 27). È inoltre la virtù della carità: Il carro di Dio è fiamma, e le sue ruote un fuoco ardente (Dn 7, 9). Come abbiamo già detto, l’ombra è la protezione divina, ma talvolta indica anche i peccati: Siedono nelle tenebre e nell’ombra della morte (Sal 108, 10). Altrove è il castigo; in Giobbe: L’ombra della morte e il disordine (Gb 10, 22). E come l’ombra non è lontana da ciò di cui è ombra, così la morte non è lontana dal castigo apportatore di morte. Talvolta l’ombra è il piacere dei peccati; in Giobbe sul diavolo: Riposa nell’ombra, nel segreto del canneto e della palude (Gb 40,21).Al contrario, una cosa può essere simbolizzata da diverse altre. Ricordiamo come le due pietre da macina possono significare i due Testamenti, ma questi possono anche essere rappresentati da due cherubini, come nell’Esodo (Es 25, 20); da due animali, in Abacuc; due pietre, nell’Esodo (Es 17,6) e nel Cantico dei Cantici (Cn 2, 14), dove il velo protegge sia la sposa sia Mosè; i due monti di bronzo in Zaccaria, abbondanti di mirteti, dalla cui ombra escono quadrighe con cavalli rossi, neri, bianchi e pezzati (Zc 6, 1). Ma non ci è sembrato possibile proseguire nell’elenco dei molteplici significati dei singoli nomi, a causa della vastità di un simile lavoro; torniamo perciò a quel modo e tipo d’interpretazione che poco sopra abbiamo abbandonato per le necessità del discorso.Le ceste [cophini] sono gli apostoli; nel Vangelo: E degli avanzi se ne raccolsero dodici ceste piene (Mt 14,20). O altrove: Le sue mani si sono occupate della cesta (Sal 80, 7), cioè sono state legate dalla servitù e tribolazione portata dagli Egizi. La sedia [cathedra] è la dottrina: Sia lodato nel consesso [in cathedra] degli anziani (Sal 106,32). O in altro senso: E non si insedia sulla cattedra della pestilenza (Sal 1,1), cioè sulla dottrina degli eretici. Lo sgabello è l’assoggettamento; nel salmo: Finché avrò posto i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi (Sal 109, 1). Oppure, è l’umanità di Cristo, come nel salmo: Prostratevi dinnanzi allo sgabello dei suoi piedi (Sal 98,5). La bilancia è l’equità, o la potenza del governo di Dio; in Isaia: Pesò i monti con la stadera e i colli con la bilancia (Is 40, 12). La cenere è la futilità della fragilità umana; in Salomone: Perché si insuperbisce, chi non è che terra e cenere? (Ecli 10, 9). La pentola è la stirpe; nel salmo: Moab è la pentola della mia speranza (Sal 59, 10), perché la stirpe di Cristo secondo la carne è discesa da Ruth di Moab. In altro senso, la pentola è la cottura della tribolazione; nel profeta: Vedo una pentola che bolle e che viene da settentrione (Ger 1, 13). Le lampade sono le anime risplendenti di giustizia; nel Vangelo: E prepararono le loro lampade (Mt 25, 7). Oppure, sono la chiarezza dei miracoli, o le parole dei predicatori, che sprezzano gli sciocchi, com’è in Giobbe: Lampada che sprezza i pensieri degli sciocchi (Gb 12, 5). Le tenebre sono i piaceri o le dottrine erronee, come nel salmo: Faceva della tenebra un velame (Sal 17, 12). Oppure è il castigo o l’ostilità, come in Isaia: Io formo la luce e creo le tenebre (Is 45, 7). La lucerna è la Chiesa, o l’anima; nel Vangelo: Siano cinti sempre i vostri fianchi e le lucerne accese (Lc 12, 35). Altre volte, le lucerne sono le opere buone: Così risplenda la vostra luce, affinché si vedano le vostre opere buone (Mt 5, 16). Il moggio è il corpo umano, o la lettera della legge, o il popolo dei Giudei; nel Vangelo: Non si accende la lucerna per porla sotto il moggio (Mt 5,15). Oppure, è il giusto giudizio o l’equilibrio della mente nel rapportarsi al prossimo e a Dio; perciò dice Mosè: Giusto sia il tuo moggio (Lv 19, 36). Il candelabro è la Chiesa, o il corpo del Signore, o la santa Scrittura; nel profeta: E vidi a destra dell’altare due candelabri accesi (Zc 4, 2). La mensa significa l’altare, o il nutrimento spirituale; nel salmo: Tu prepari innanzi a me la mensa (Sal 22, 5).

Page 106: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

106

La chiave è l’apertura della scienza spirituale; in Luca: Guai a voi, dottori della Legge, perché vi siete presa la chiave della scienza, ma voi non siete entrati e avete impedito quelli che volevano entrare (Lc 11, 52). Le chiavi sono anche le virtù della giustizia, della misericordia e della pietà; nel Vangelo: Ti darò le chiavi del Regno dei cieli (Mt 16, 19). I chiodi sono il timor di Dio, come nel salmo: Conficca il timore di Te nelle mie carni (Sal 118, 20). Oppure, sono i dotti nella nobile scienza, come in Salomone: Le parole dei sapienti sono come pungoli e chiodi piantati in alto (Ec 12, 11). Le spranghe sono le barriere contro i sacrileghi nei confronti dei precetti divini; nel salmo: Perché ha rafforzato le spranghe alle tue porte (Sal 147, 12). L’ascia e la mannaia sono la persecuzione dei malvagi; nel salmo: L’han frantumata con ascia e bipenne (Sal 73,6). La scure bipenne è il duplice tormento, come nel salmo precedente. La lancia è l’anima del giusto, che si spande scagliata come una lancia. Oppure è la morte, come nel salmo: Scampa la mia anima dalla lancia, o Dio (Sal 21, 21). La spada [gladius] è la parola di Dio, come nell’Apostolo: La spada dello spirito, cioè la parola di Dio (Ef 6, 17). Oppure è la lingua del falso testimone, come nel salmo: Le loro zanne sono come lance e frecce, spada acuta la lingua (Sal 56, 5). La nave è la Chiesa; nel Vangelo: La barca, intanto, in mezzo al mare veniva sbattuta dai flutti (Mt 14, 24). L’uomo è sovente paragonato anche a una piccola nave, perché come il navigatore governa la barca, così l’uomo deve prestare attenzione a governare i suoi pensieri. Le reti sono la predicazione; nel Vangelo: Gettate le reti per la pesca (Lc 5,4). Le travi sono il peccato più grave; nel Vangelo: Leva prima la trave dal tuo occhio (Mt 7, 5). La pagliuzza è il peccato più lieve; nel Vangelo: E poi potrai vedere per togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello (ibid.). La rete è l’inganno; nel salmo: Una rete hanno teso ai miei piedi (Sal 56, 7). Le funi sono la sorte o l’eredità; nel salmo: Caddero per me le funi in buon terreno (Sal 15, 6). Oppure, le funi sono i peccati: Guai a coloro che attirano a sé i peccati come una lunga fune (Is 5, 18). E altrove: Le funi dei peccatori mi hanno avvinto (Sal 118, 61). La ruota è la terra, o la vita umana; nel salmo: La tua voce è un tuono nella ruota (Sal 76, 19). Altrimenti: Dio mio, fa che siano come in una ruota (Sal 82, 14), cioè rendili incostanti e instabili nella loro malvagità. Oppure, significa entrambi i Testamenti, come in Ezechiele (Ez 1,16). La spugna è la vuota mancanza di fede dei Giudei; nel Vangelo: Inzuppata una spugna nell’aceto, la posero in cima ad una canna d’issopo, e gliel’accostarono alla bocca (Gv 19, 29). La scala è il progresso dei santi; nel Genesi: E vide in sogno una scala che, appoggiata sopra la terra, con la cima arrivava al cielo, e per essa gli angeli di Dio salivano a scendevano (Gn 28, 12). La scopa è la cura della superstizione tramite la vana gloria; nel Vangelo: E tornando la trovò pulita con la scopa (Lc 11,25). Le stoppie sono la folla dei malevoli per vizi e peccati, come nel profeta: La riunione dei peccatori è come stoppa accumulata (Ecli 21,9). La perla è la dottrina del Vangelo, o la speranza nel Regno dei cieli; nel Vangelo: Trovata una perla preziosa, va, vende quanto ha e la compra (Mt 13, 46). L’anello è il segno della fede; nel Vangelo: E mettetegli un anello nella mano (Lc 15, 22). Ciò è inteso anche nel salmo: È come un segno su di noi il lume del tuo volto, o Signore (Sal 4, 7). I mantelli [chlamides] sono l’ornamento del valore; in Salomone: Ha fatto mantelli per suo marito (Pro 31, 22): qui si intende un vestito confezionato con due colori (cioè i due Testamenti).L’oro è la comprensione interiore delle Scritture; nel salmo: Le piume del suo dorso sono d’oro (Sal 67, 14). Oppure, è la divinità di Cristo, com’è detto dello sposo nel Cantico: La testa sua è oro puro (Cn 5, 11); altrimenti, è lo splendore della Gerusalemme celeste, come testimonia di aver visto Giovanni: La città è d’oro puro (Ap 21, 18). O è la sapienza; Salomone dice che nella bocca del sapiente v’è un tesoro indimenticabile. O ancora, è lo splendore della santità, il cui improvviso mutamento è lamentato da Geremia: Ah, come s’è offuscato l’oro, s’è alterato l’oro più fino (Lam 4, 1). L’argento è le Sacre Scritture, o la comprensione della lettera o narrazione; nel salmo: Le parole di Dio sono parole pure, argento sette volte purgato nel fuoco (Sal 11, 7). O in senso negativo: Il loro oro e il loro argento si sono arrugginiti (Gc 5, 3): i peccatori, quando raggiungono

Page 107: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

107

la fornace della Gehenna, sono come la schiuma e la ruggine che nella fucina l’argento deposita dal gocciolatoio. Le pietre preziose sono gli apostoli, o i santi, o le stesse azioni virtuose; nell’Apocalisse: I basamenti del muro della città sono ornati d’ogni sorta di pietre preziose (Ap 21,19). Il bronzo indica una fede simulata e vana; nell’Apostolo: Sarei come un bronzo che suona (1Cor 13, 1). O in altro senso: Hai fatto delle mie braccia un arco di bronzo – cioè le hai rese forti e salde. Il ferro è la tribolazione, o l’uomo stesso: Un ferro ha trapassato l’anima sua (Sal 104, 18). Il piombo è il peso dei peccati. Il vaso di terracotta è la fragilità della carne; nell’Apostolo: Abbiamo questo tesoro in vasi di terracotta (2Cor 4, 7).

IX. Il significato di alcuni verbi

Edificare significa compiere opere buone, o insegnare bene; nell’Apostolo: Se qualcuno edifica su questo fondamento con oro, argento o pietre preziose (1Cor 3, 12), cioè con le azioni di diverse virtù. Distruggere significa compiere il male o insegnarlo; in Salomone: Uno edifica e l’altro distrugge (Ecli 34,23). Mondare è spurgare dai vizi; nel Vangelo: Gesù lo toccò, dicendo: «Sii mondato: lo voglio». E subito fu mondato dalla sua lebbra (Mt 8, 3). Stare in piedi significa sussistere nella fede; nell’Apostolo: State ritti e saldi nella fede (1Cor 16, 13). Camminare è tendere a Dio; nel salmo: E me ne andrò per un ampio cammino (Sal 118,45). Stare seduti è riposare umilmente in Dio; nel Vangelo: Sedete qui in città (Lc 24, 49). Giacere indica soccombere ai vizi e alle tentazioni; nel Vangelo: E la trovò che giaceva a letto (Mt 7, 30). Correre è affrettarsi verso il bene; nell’Apostolo: Correte per ottenerlo (1Cor 9,24). Vegliare significa sorvegliare il proprio cuore, o rinascere in Dio; nel salmo: Dalla veglia mattutina fino alla notte (Sal 129, 6). E l’Apostolo: Siate giustamente zelanti e non peccate (1Cor 15, 34). O altrove: Vigilate, mantenetevi costanti nella fede, operate virilmente (1Cor 16, 13). Dormire è riposare presso Dio dopo il trapasso; nel salmo: Chi dorme non si risolleverà? (Sal 40, 9). Altrimenti, dormire significa essere intorpiditi dal sopore dei peccati; nell’Apostolo: Destati, tu che dormi (Ef 5,14). Arrossire di vergogna per il male è ottimo, per il bene è pessimo; perciò è detto: C’è una vergogna che è peccato e una che è onore (Ecli 4,25). Salire indica il progresso verso Dio: L’ascensione è nel suo cuore (Sal 83, 6). Scendere è allontanarsi da Dio; nel Vangelo: Un certo uomo discendeva da Gerusalemme a Gerico (Lc 10, 30).La via è Cristo; nel Vangelo: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6). Altrimenti, la via è la vita dell’uomo; nel salmo: Ti ho esposto le mie vie e mi hai esaudito (Sal 118, 26). E in Salomone: Mangino il frutto delle loro vie (Pro 1, 31). La via spaziosa è cosparsa di allettamenti peccaminosi; nel Vangelo: Ampia è la porta e spaziosa la via che porta alla perdizione (Mt 7, 13); stretta, angusta e ricca di tribolazioni è la via che porta alla vita ; nel Vangelo: Stretta è la porta e angusta la via che porta alla vita (ibid.). La via diritta è quella ordinata dai precetti divini; in Isaia: Appianate i suoi sentieri (Is 40, 3); la via contorta è quella che allontana dai precetti di Dio; in Isaia: E le vie contorte saranno mutate in diritte, quelle aspre saranno appianate (ibid.). La via piana è quella livellata dall’obbedienza ai precetti; in Isaia, come sopra. L’aspra è quella resa orribile dalla disobbedienza. Volta a destra è la via giusta, a sinistra quella che si volge all’ingiustizia; nel Vangelo: E metterà le pecore a destra e i capri a sinistra (Mt 25, 33), cioè verso la parte dell’ingiustizia. La fossa è l’inganno o la caduta nella morte; nel salmo: Innanzi a me scavata hanno una fossa (Sal 56, 7). Il pozzo è il diavolo, o l’inferno; nel salmo: E non chiuda su di me il pozzo la sua bocca (Sal 68, 16). E, in senso positivo, nel Genesi: Al pozzo del giuramento (Gn 46, 1), cioè all’acqua della fede. Oppure, è l’inizio della fede, come nel Cantico: Fontana di giardini, zampillo d’acqua viva (Cn 4, 15). La fonte è Cristo, come nel salmo; La mia anima ha sete di Dio, fonte viva (Sal 41, 3). Oppure, è i doni di Dio, come nel salmo: E apparvero le fonti delle acque (Sal 17, 16).

Page 108: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

108

Altrimenti, in senso negativo, sono i maestri delle dottrine pervertite e che agiscono ingiustamente, come in Pietro: Costoro sono come fonti senz’acqua (2Pt 2, 17). Il torrente è la forza delle tentazioni che percuote la mente, come nel salmo: Un torrente è passato sopra la nostra anima (Sal 123,5). Altrimenti, è la freddezza dei peccati, per essere liberato dalla quale Davide dice: Rivolgi, Signore, la nostra prigionia, come i torrenti nella terra australe (Sal 125,6). La sanità è l’integrità della mente; nel salmo: Ti ho chiamato e mi hai sanato (Sal 29, 3). La debolezza [languor] è la malattia dei vizi; nel salmo: Egli davvero si è addossato le nostre debolezze (Is 53,4). La lebbra è la contaminazione dei peccati; nel Vangelo: E subito fu mondato dalla sua lebbra (Mt 8, 3).

X. Gerusalemme e le cose a lei contrarie

Gerusalemme è la Chiesa, o l’anima; nel salmo: Loda, o Gerusalemme (Sal 147, 12). Bisogna notare che tutto quanto s’adatta alla Chiesa, altrettanto si può riferire all’anima. Sion è la stessa cosa; nel salmo: Loda il tuo Dio, o Sion (ibid.). I figli di Sion sono i figli della Chiesa; nel salmo: Esultino i figli di Sion nel loro re (Sal 149, 2). Le figlie di Gerusalemme sono la stessa cosa, cioè le anime dedite alla vita celeste; in altro senso, le figlie sono le anime inferiori, come nel libro della Sapienza: Se hai delle figlie, custodiscile (Ecli 7, 26). La tenda [tabernaculum] è il corpo del Signore, o la Chiesa; nel salmo: Nel sole ha posto la sua tenda (Sal 18, 6). Altrimenti è la patria celeste, come nel salmo: Perché entrerò nel luogo della tenda (Sal 41,5). L’arca è la carne del Signore, o i cuori dei santi, pieni di Dio; nel salmo: Tu e l’arca della tua santificazione (Sal 131, 8). Oppure, l’arca è la Chiesa, che racchiude quanti si salveranno; nel Genesi: Non scampò che Noè, con quelli che erano con lui nell’arca (Gn 7, 23). Le due tavole di pietra credo che significhino i due testamenti, o i due precetti dell’amore verso Dio e verso il prossimo; nell’Esodo: E disse il Signore a Mosè: «Tagliati due tavole» (Es 34, 1). La legge significa i precetti divini; nel salmo: La legge del Signore è perfetta (Sal 18, 8). Lo scritto è il contratto del peccatore col diavolo, redatto dalla mano dell’iniquità; nell’Apostolo: Lo scritto del peccato che era contro di noi (Col 2, 14). Il patto è l’accordo della grazia divina con l’uomo; nel salmo: Ho visto quelli che non mantenevano il patto. L’alleanza [testamentum] è il consolidamento della volontà divina; nel profeta: e confermerò la mia alleanza col regno di Giuda (Eb 8, 8), con scalpello di ferro (Gb 19, 24), cioè l’ardente volontà del verbo divino.Il prepuzio è la vita pagana; nell’Apostolo: È stato chiamato un incirconciso? Non sia circonciso ( 1 Cor 7,18), cioè, anche chi viene dal popolo pagano alla fede di Cristo, non sia circonciso. La circoncisione è lo spogliarsi dei vizi; nell’Apostolo: Siete stati circoncisi non da mano d’uomo, ma nello spogliarvi del corpo di carne (Col 2, 11). Il corno è la forza, o il regno; nel Primo dei Re: E diede potenza al corno del suo unto (1Re 2, 10). La porpora è il martirio cruento; nell’Esodo: Ognuno di cuor generoso porli un’offerta al Signore: oro, argento e bronzo, giacinto, porpora, scarlatto e bisso (Es 35, 5). I fili sono le parole della fede conservate con diligenza, come nel salmo: Splendida avanza la figlia del re, nel manto dai fili d’oro (Sal 44, 14). Lo scarlatto ha lo stesso significato della porpora, oppure può simbolizzare l’ardore di carità, o il ricordo della croce; nell’Esodo, vedi sopra. Il bisso è la castità, o il candore della continenza; nell’Esodo, vedi sopra. Il giacinto è il colore scuro dei confessori; nell’Esodo, vedi sopra.Il paramento omerale significa le opere che si compiono col braccio; nell’Esodo: Fecero il paramento omerale con oro, giacinto, porpora, scarlatto e bisso ritorto (Es 39, 2). Il pettorale significa le dottrine, o la dichiarazione della ragione che viene dal petto; nell’Esodo: E fecero il pettorale, lavorato a ricamo come il paramento omerale (Es 39, 8). La veste talare è la dottrina più segreta e perfetta; nell’Esodo: E fecero la veste talare tutta di tessuto color giacinto, da mettere sotto l’umbone (Es 39, 20). La lamina aurea frontale è una prefigurazione della croce; nell’Esodo:

Page 109: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

109

Fecero pure una lamina aurea, e vi iscrissero le lettere col segno della santità del Signore (Es 39, 29), cioè il nome di Dio o Tetragrammaton. Il tempio è il corpo del Signore, o di un santo; nell’Apostolo: Voi infatti siete il tempio del Dio vivente (2Cor 6,16). E il Signore dice: Disfate voi questo tempio (Gv 2,19). L’altare è l’altezza della fede; nel salmo: E torneranno sul tuo altare i vitelli (Sal 50,21). Il sacrificio è il dono della giustizia; nel salmo: Sacrificale il sacrificio della giustizia (Sal 4, 6). Oppure è la lode a Dio, come nel salmo: Il sacrificio di lode è mia gloria (Sal 49, 23). L’olocausto rappresenta colui che è tutto acceso dalla fede; nel salmo: Offrirò a te pingui olocausti (Sal 65, 15). L’ostia è Cristo, o l’anima dedita a Dio; nell’Apostolo: Oblazione e ostia di soave odore a Dio (Ef 5,2). La mirra è la prova del destino mortale; nel salmo: Son mirra, aloe, cassia tutte le tue vesti (Sal 44,9). L’incenso è la forza della preghiera, come nel salmo: A te levo la mia preghiera come incenso (Sal 140,2). Il profumo è la grazia diffusa del nome di Cristo; in Salomone: Un profumo diffuso è il tuo nome (Cn 1,3). Il sancta sanctorum è tutti i misteri più nascosti del Signore, o il Regno dei cieli; nella lettera agli Ebrei: Cristo infatti non entrò in un santuario fatto da mano d’uomo, che fosse soltanto immagine del vero, ma entrò nel cielo stesso per presentarsi addirittura davanti a Dio e intercedere per noi (Eb 9, 24).Il sabato è il riposo spirituale; nel Genesi: Il Signore si riposò da tutte le sue opere (Gn 2, 2). Oppure, in Isaia: Se ti asterrai dal profanare il sabato (Is 58, 12). Altrimenti, in senso negativo: La videro i suoi nemici e derisero il suo sabato (Lam 1, 7), ecc. La Quaresima è un’immagine della travagliata vita presente; nel Vangelo: Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti (Mt 4,2). La Pasqua è il preannunzio del trapasso del Signore: Prima della festa di Pasqua, sapendo Gesù che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre (Gv 13, 1). La Pentecoste è la manifestazione della beatitudine futura, o la remissione; nel Levitico: contate sette settimane complete, fino al giorno successivo (Lv 25, 10). La città di Dio è la Chiesa, o l’anima; nel salmo: Nella città del nostro Dio (Sal 48,2). Il cittadino è il fedele; nell’Apostolo: Ma siete diventati concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio (Ef 2, 19). Le mura significano i baluardi della Sacra Scrittura, o i profeti, o i santi; nel salmo: Siano rialzate le mura di Gerusalemme (Sal 50, 20); o in altro senso: Per il mio Dio travalico le mura (Sal 17, 30). Le torri sono gli apostoli, o tutti i perfetti; nel salmo: E prosperitàentro le tue torri (Sal 121,7). Le porte sono le Sacre Scritture, o la giustizia, o gli apostoli, o gli angeli; nel salmo: Innalzatevi, o porte eternali (Sal 23, 7). Altrimenti, in altro senso: Perché larga è la porta e ampia la via che porta alla morte (Mt 7, 13). Le piazze sono l’estesa beatitudine dei santi; nell’Apocalisse: Le piazze della città sono d’oro puro, trasparente come cristallo (Ap 21, 21). Le fondamenta sono Cristo, o la fede; nell’Apostolo: Nessuno può infatti gettare altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Gesù Cristo (1Cor 3,11). La muraglia a secco [maceria] è la legge, o la custodia degli angeli; nel Cantico d’Isaia: E la circondò d’una muraglia, vi infisse delle pertiche e piantò dei vitigni (Is 5, 2). La casa è l’anima dove abita Cristo, o la Chiesa; nel Salmo: Andiamo nella casa del Signore (Sal 121, 1). La sala da pranzo [coenaculum] è i meriti elevati, o l’altezza della scienza; nel Vangelo: E vi mostrerà un grande cenacolo al piano superiore (Lc 22, 12). L’entrata [ostium] è l’apertura della fede; nell’Apostolo: Mi si è offerta un’occasione [ostium] grande e promettente (1Cor 16, 9). Il portiere è Cristo che dice: Chi per me passerà, sarà salvo (Cn 2, 9). La colonna è il firmamento, o la stabilità dello spirito; nell’Apostolo: Giacomo, Cefa e Giovanni, che sono reputati come colonne (Gal 2,9). La parete significa talvolta la costruzione delle buone opere; nel Cantico: Eccolo, è qui dietro la parete e guarda attraverso le finestre (Cn 2, 9). Le finestre sono la vista, l’udito e gli altri sensi, come sopra nel Cantico; oppure in senso negativo: La morte è entrata dalle finestre (Ger 9, 12). Il gradino è l’ascesa spirituale; nel titolo dei salmi: Cantico dei gradini. Procedono sempre più forti (Sal 83, 8). Il pavimento è l’umiliazione, o l’afflizione dell’anima o, se si vuole, il chinarsi a terra; nel salmo: L’anima mia è prostrata sul pavimento (Sal 118,25).

Page 110: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

110

Il salterio indica le opere buone; nel salmo: Col salterio soave e con la cetra (Sal 80, 3). La cetra rappresenta il petto dei devoti nel quale, per così dire, stanno come corde le virtù, cioè i beni spirituali; nel salmo: Alzati, salterio con la cetra, cioè le opere [buone] assieme alla fede; oppure, se si preferisce riferire ciò al Signore stesso, la resurrezione della carne assieme alla forza divina. Il decacordo simboleggia i dieci comandamenti, oppure i cinque sensi dell’uomo esteriore più quelli dell’uomo interiore; nel salmo: Sul decacordo, col canto e con la cetra (Sal 91,4). L’organo è l’uomo, o chi è stato accolto dal Signore; nel salmo: Lodatelo con le corde e l’organo (Sal 150, 4). Il timpano è il corpo indebolito dal digiuno; nel salterio: Lodatelo col timpano e il coro (ibid.). Il coro è la concordia; vedi il salmo precedente. La tromba indica il levare la voce nella predicazione di Dio; nel profeta: Risuona la tua voce come una tromba (Is 58, 1). I cimbali sono le labbra che confidano nel Signore, o l’amore verso Dio e il prossimo; nel salmo: Lodatelo sui cimbali sonori (Sal 150, 5). Il giubilo è il grido più fervido dello spirito; nel salmo: Lodatelo coi cembali giubilanti (ibid.).L’Egitto è questo mondo, o il popolo pagano; nel salmo: Ricchi doni vengon dall’Egitto (Sal 67, 32). L’Etiopia è la Chiesa formata da quanti furono pagani; nel salmo: Accorre l’Etiopia e alza le mani a Dio (ibid.); o in altro senso: L’hai data in pasto al popolo etiope (Sal 73, 14). Babilonia è il mondo, oppure Roma; nell’Apocalisse: E la grande Babilonia fu ricordata davanti a Dio, perché le fosse dato il calice del vino della sua ardente indignazione (Ap 16, 19). I nemici sono il diavolo, o i vizi; nel salmo: Non sia turbato nel parlare ai nemici sulla porta (Sal 126, 5). I ladri figurano gli eretici e i falsi profeti; nel Vangelo: Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e assassini (Gv 10, 8). I popoli [gentes] sono i vizi; nel Pentateuco: Quando il Signore Iddio tuo t’avrà introdotto nel paese, al quale sei diretto per prenderne possesso, numerosi popoli cadranno davanti a te (Dt 7, 1). O in altro senso: Popoli tutti, battete le mani (Sal 46, 2). I combattimenti sono la lotta contro la negligenza spirituale e la contesa dei vizi; nell’Apostolo: Egli stesso è infatti la nostra pace (Ef 2,14). La vittoria simbolizza il trionfo sul diavolo o sugli ostacoli; nell’Apostolo: Ma sia ringraziato Dio, che ci dà la vittoria mediante il Signor Nostro Gesù Cristo (1Cor 15, 17). Il premio indica la ricompensa dei meriti acquisiti; nell’Apostolo: Corro verso la meta, per conseguire il premio della superna vocazione in Dio (Fil 3, 14). La corona significa la mercede dell’eterna gloria mediante la giustizia; nell’Apostolo: Ormai non mi resta che ricevere la corona di giustizia (2Tm 4, 8). Poiché il compimento del profitto spirituale porta alla corona, con essa termina anche l’interpretazione spirituale di tutti questi termini, che con grande difficoltà abbiamo riunito, senza poi contare quanti sono provvisti di un duplice senso.

XI. I numeri

Dopo esserci occupati dei nomi, trattiamo infine brevemente dei numeri, poiché si conoscono molti casi di calcolo mistico inerente le cose sacre.

Uno – Questo numero riconduce all’unità divina; nel Pentateuco: Ascolta, Israele: il Signore, Iddio tuo, è l’unico Dio (Dt 6,4). E l’Apostolo: Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo (Ef 4, 5). E l’arca di Noè, che rappresenta la Chiesa, misura un cubito [per quanto concerne le finestre] (Gn 6, 16), perché la quiete eterna si compie nella contemplazione dell’unico Dio.

Due – Si riferisce ai due Testamenti della Legge divina; nei Re: E nel Santuario fece due cherubini di legno d’ulivo, alti dieci cubiti ciascuno (3Re 6, 23). Due sono anche i precetti della carità, l’amore verso Dio e quello verso il prossimo. Due nel campo, due alla macina, due a letto (Lc 17,34) si legge nel santo Vangelo.

Page 111: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

111

Tre – La Trinità; nella lettera di Giovanni: Tre danno testimonianza in cielo, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e tre danno testimonianza in terra, lo spirito, l’acqua e il sangue (1Gv 5,7). E nel Genesi: Tre tralci (Gn 40, 10).

Quattro – I quattro Vangeli; in Ezechiele: E nel mezzo apparve la figura di quattro viventi (Ez 1, 5); come anche i quattro fiumi del Paradiso (Gn 2, 10). Il nome del Tetragrammaton si scrive con quattro lettere ebraiche. La croce si espande in quattro raggi, come dice Abacuc: I raggi stanno nelle sue mani (Abc 3,4).

Cinque -1 cinque libri di Mosè, i cinque portici (Gv 5, 2), i cinque pani (Gv 6, 9), le cinque piaghe (Gv 20, 35) nel corpo del Signore. L’Apostolo: In chiesa preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza (1Cor 14, 19).

Sei – Il sesto giorno [della Creazione] in cui il Signore fece l’uomo e tutti gli animali terrestri; nel Genesi: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza (Gn 1,26). E poco oltre: E si fece sera e mattina, il sesto giorno (ibid. 31). Il numero sei racchiude la perfezione: perciò si racconta che Dio portò a compimento il mondo in sei giorni, e ai cinque [i libri di Mosè] si aggiunse l’uno, cosicché la legge è completata grazie al Vangelo. Sei sono le età del mondo: cinque già trascorsero, e la sesta va da Giovanni Battista e dall’incarnazione di Cristo fino alla fine del mondo; perciò Dio creò nel sesto giorno l’uomo a sua immagine, così come in questa sesta età si è mostrata, per mezzo del Vangelo e secondo l’immagine di chi ci ha creato, la riforma della nostra anima. Le sei età significano anche le sei idrie che il Signore comandò di riempire d’acqua, e in esse l’acqua fu mutata in vino (Gv 2, 6); in ciò dobbiamo intendere la manifestazione di Cristo secondo la Legge e i profeti, poiché questi sei tempi sono distinti e separati secondo una serie, quasi come vasi vuoti destinati ad essere riempiti dal Cristo. I tempi senz’altro sarebbero trascorsi vuotamente se in essi il Signore Gesù Cristo non avesse predicato: e dunque invece le idrie sono colme, cioè le profezie sono adempiute.

Sette – Nel settimo giorno, quando tutto fu compiuto, il Signore si riposò; nel Genesi: E il settimo giorno il Signore si riposò da tutte le opere compiute (Gn 2, 2). Questo numero, a motivo della sua composizione aritmetica, rappresenta per la natura umana la massima perfezione: esso infatti consta del primo pari e del primo dispari, cioè del primo numero divisibile e del primo indivisibile; perciò il giubileo, che rappresenta la pace perfetta, si compone di sette settimane. Da ciò anche i sette spiriti che stanno innanzi al trono di Dio (Ap 1, 4); e i sette pani con cui Cristo saziò quattromila persone (Mt 15, 34) significano la settiforme grazia dello Spirito Santo.

Otto – Il giorno della resurrezione del Signore; nel titolo del salmo: Alla fine sull’ottava (Sal 6, 1).

Nove – Il mistero dell’ora nona, in cui il Signore spirò; nel Vangelo: E verso l’ora nona Gesù gridò a gran voce (Mt 27,46). Sono anche nove i nomi delle pietre preziose, e nove le gerarchie angeliche.

Dieci – Il decalogo, cioè le dieci parole che furono scritte sulle due tavole; nel salmo: T’inneggerò sull’arpa decacorde (Sal 143, 9).

Undici – Gli apostoli; nel Vangelo: Gli undici discepoli andarono in Galilea (Mt 28, 16). Il numero undici, poiché supera il dieci per un’unità, può anche essere preso a significazione della trasgressione e del suo biasimo; per questo l’apostolo Pietro non permise che il numero degli apostoli rimanesse fermo a undici [dopo l’esclusione di Giuda Iscariota], ed elesse Mattia (At 1, 26), che divenne il dodicesimo della serie. Perciò la vecchia legge comanda di fare undici teli dipelo di capra (Es 26, 7), che significano gli atti di penitenza per purgarsi dai propri peccati. L’undicesima ora (Mt 20,6) è anche detta dai Pagani “età decrepita”.

Page 112: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

112

Dodici – Gli apostoli; nel Vangelo: Questi sono i nomi dei dodici apostoli (Mt 10, 2). Questo numero indica anche la moltitudine di quanti giudicheranno tutto [assieme al Signore] (Mt 19, 28), poiché le due parti del settenario (il quale spesso è preso a significare il mondo), cioè il tre e il quattro, se moltiplicate l’una per l’altra compongono il dodici.

Quattordici – Il mistero delle generazioni del Signore; nel Vangelo: Da Abramo a Davide sono quattordici generazioni (Mt 1, 17).

Quindici – I quindici gradini del tempio di Salomone; in base a questo numero furono scritti i cosiddetti quindici salmi graduali, dal salmo Ad Dominum cum tribularer (119) fino al salmo Laudate nomen Domini (133).

Sedici – Il numero dei profeti.

Ventidue – Il mistero dei libri divini, secondo la Scrittura degli Ebrei.

Ventiquattro – Il mistero del numero degli anziani; nell’Apocalisse: E sui troni ventiquattro anziani (Ap 4, 4). Anche le ventiquattro classi in cui il re Davide divise i sacerdoti addetti al ministero del Tempio, estraendoli poi a sorte (1 Par, 24, 7 segg.).

Trenta – Il frutto dei coniugi fedeli [a Cristo]; nel Vangelo: E una parte fruttò cento volte, un’altra sessanta e un’altra trenta (Mt 13, 8) – questa si riferisce ai coniugi, le sessanta volte alle vedove e le cento volte alle vergini.

Trentatré – Il mistero degli anni in cui trascorse l’incarnazione di Cristo; ciò è adombrato dall’Apostolo, quando dice: Finché tutti insieme arriviamo all’unità della fede, alla piena conoscenza del figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo (Ef 4, 13).

Quaranta – Il mistero della Quaresima; nel Vangelo: E fu condotto dallo spirito nel deserto per quaranta giorni (Lc 4, 2). E la virtù del Decalogo è moltiplicata dai quattro libri del Vangelo: così compiamo i comandi del Decalogo se badiamo alla perfezione ai quattro santi libri del Vangelo; così, con la moderazione, le veglie, le orazioni e le altre cose che l’Apostolo ricorda come armi della giustizia (2Cor 6, 7), raggiungiamo i premi della vita immortale.

Quarantadue – Il numero delle tappe nel deserto, o delle generazioni succedutesi da Abramo fino al Signore Gesù Cristo (Mt, 1).

Quarantasei – Quarantasei anni sono occorsi per fabbricare il Tempio (Gv 2, 20), cioè per la sua riedificazione dopo Salomone, al tempo del ritorno degli Ebrei dopo l’esilio [babilonese]. Il numero di questi anni si confà molto armoniosamente alla perfezione del corpo del Signore.

Cinquanta – La Pentecoste; negli Atti degli Apostoli: Venuto dunque il giorno della Pentecoste (At2, 1).

Sessanta – Il frutto dovuto alle vedove e alle persone sobrie; nel Vangelo: E alcuni fruttarono sessanta volte (Mt 13,8).

Settantadue – Il numero degli anziani eletti da Mosè (Nm 11,24), o dei discepoli scelti dal Signore; nel Vangelo: Dopo questo, il Signore ne designò ancora altri settantadue e li inviò a due a due innanzi a sé, in ogni città (Lc 10, 1).

Cento – Il frutto dei martiri e delle vergini; nel Vangelo: Altri fruttarono cento volte (Mt 13, 8). Questo numero significa la perfezione assoluta; perciò è detto degli eletti: Chiunque avrà lasciato casa, fratelli, sorelle — e tutto quel che segue – riceverà il centuplo e avrà in eredità la vita eterna

Page 113: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

113

(Mt 19,29). Cento indica anche la misura del tempo, come in Isaia: Chi morirà a cent’anni, morirà giovane, ecc. (Is 65, 20). È anche, nel Vangelo, la centesima pecora (Lc 15, 4) che Cristo pose sulle sue sacre braccia e riportò verso la patria celeste.

Mille – Il numero mille rappresenta la perfezione di tutti i numeri e il completamento di tutte le opere buone; così dice Pietro nella lettera: Una cosa, o carissimi, non dovete ignorare, ed è che un giorno davanti al Signore è come mille anni (2Pt 3, 8). Infatti nella cognizione di Dio il passato, il presente e il futuro sono tutti un solo presente, e ciò che nello scorrere del tempo a noi pare breve o lungo è per lui uguale.

Abbiamo esposto questi noti numeri sacri solo a titolo di esempio: ve ne sono invero molti altri, e tutti santi: le loro modalità le troverai tu stesso, considerando con attenzione il testo sacro.

Page 114: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

114

Sant'Ambrogio di Milano

LA PENITENZA

LIBRO PRIMOCapitolo 1

Se il fine supremo delle virtù è il progresso delle masse, la mitezza, indubbiamente, è la virtù che eccelle su tutte. Essa non suscita il risentimento delle persone che giudica colpevoli, anzi, dopo averle condannate, le mette in condizione di farsi perdonare. E' la sola, inoltre, che, emula del dono divino della redenzione universale, ha esteso i confini della Chiesa, frutto del sangue del Signore, esercitando un'azione moderatrice con consiglio salutare e di natura tale che le orecchie degli uomini sono in grado di prestare ascolto, le menti non fuggono lontano, gli animi non nutrono timore.Chi infatti, si propone di correggere i difetti della fragilità umana deve sorreggere e, in qualche modo, soppesare sulle sue spalle la debolezza stessa, non già disfarsene. Il pastore, quello ben noto del Vangelo, non ha abbandonato la pecora stanca, ma se l'è messa in spalla. Salomone dice: "Non essere troppo giusto". La dolcezza ha il compito, appunto, di lenire la giustizia. Con quale animo, infatti, si potrebbe sottoporre alle tue cure chi hai in antipatia ed è convinto che sarà non già oggetto di pietà, bensì di disprezzo da parte del suo medico?Gesù ha avuto misericordia di noi non per allontanarci, ma per chiamarci a sé. E' venuto mite, umile. Ha detto: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati, e io vi ristorerò". Il Signore, dunque, guarisce senza eccezioni, senza riserve. A ragione, ha scelto discepoli che, interpreti del suo volere, raccogliessero e non tenessero lontano il popolo di Dio. Ovviamente, non sono da annoverare tra i discepoli di Cristo coloro i quali pensano che la durezza sia da preferire alla dolcezza, la superbia all'umiltà e che, mentre invocano per sé la divina pietà, la negano agli altri, come appunto fanno i dottori Novaziani che si fregiano dell'appellativo di "puri".

Page 115: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

115

Quale tracotanza maggiore della loro? La scrittura dice che "neppure il neonato è immune da colpa"; David grida: "Mondami dal mio peccato". Dunque, i Novaziani sono più obbedienti al Signore di David, dalla cui gente Cristo ha voluto nascere, in virtù del mistero dell'Incarnazione? Più ligi verso Dio di David, alla cui posteriorità appartiene la reggia celeste, il grembo, cioè, della Vergine che ha ricevuto il Salvatore del mondo? Quale crudeltà maggiore del concedere la penitenza e, al tempo stesso, di sbarrarle il passo? Negare il perdono, infatti, cosa significa se non togliere ogni incentivo a pentirsi? Contrito di tutto cuore può essere soltanto chi nutre fiducia nella clemenza.

Capitolo 2I Novaziani sostengono che non possono essere reintegrati nella comunione dei fedeli coloro che sono caduti in apostasia. Se facessero eccezione per il solo peccato di sacrilegio come non passibile di condono, mostrerebbero durezza, ma sarebbero, almeno, coerenti con la loro dottrina e in contrasto soltanto con gli insegnamenti divini. Il Signore, infatti, ha condonato tutti i peccati senza alcuna eccezione. I Novaziani, invece, alla maniera degli Stoici, pensano che tutte le colpe si debbano valutare parimenti e che debba per sempre rinunciare ai celesti misteri sia chi abbia sgozzato un gallo, come si dice, del pollaio, sia chi abbia strangolato il proprio padre. Come, dunque, possono escludere dai sacramenti la sola categoria dei rei di apostasia, quando, per giunta, proprio i Novaziani affermano che è cosa assai deplorevole estendere a molte persone il castigo che conviene a poche?Essi dicono che onorano il Signore, giacché riconoscono il diritto di condonare i peccati a lui solo. Coloro, invece, che violano coscientemente la legge del Signore e sovvertono il magistero che egli ha loro affidato offendono assai gravemente Dio. Cristo medesimo ha detto nel Vangelo: "Riceverete lo Spirito Santo" e a chi "rimetterete i peccati" sono a lui rimessi, "e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Dunque, rende onore maggiore chi ubbidisce ai comandi o chi disubbidisce?La Chiesa ottempera all'uno e all'altro comando: a quello di non rimettere la colpa e a quello dell'assolverla. L'eresia, invece, è spietata nell'esecuzione del primo dei due imperativi, disubbidiente nell'altro. Pretende legare ciò che non intende sciogliere, non vuole sciogliere ciò che ha legato. Si condanna manifestamente da se medesima. Il Signore, infatti, ha voluto che il diritto di assolvere e quello di non assolvere siano del tutto identici. Ha garantito entrambi e a pari condizioni. E' ovvio che chi non possiede l'uno, non può possedere l'altro diritto. Infatti, in conformità agli insegnamenti di Dio, chi ha il potere di condannare ha anche quello di perdonare. Logicamente, l'affermazione dei Novaziani cade. Col negare a sé la potestà del condonare sono costretti a rinunciare a quella del non assolvere. Come potrebbe essere lecita l'una e non l'altra potestà? A chi è stato fatto dono di entrambe o è chiaro che sono possibili l'una e l'altra o nessuna delle due. Alla Chiesa sono, dunque, lecite entrambe, all'eresia né l'una né l'altra. A ben considerare, tale facoltà è stata data, infatti, ai soli sacerdoti. A ragione, pertanto, la Chiesa che ha ministri legittimi si arroga l'uno e l'altro diritto, l'eresia non può, al contrario, farlo, poiché non ha sacerdoti di Dio. Col non rivendicare le due potestà, l'eresia sentenzia nei propri riguardi, che, non avendo ministri legittimi, non può attribuirsi un loro diritto. Nella sfacciata tracotanza è dato intravedere un'ammissione, sia pure timida.Tieni anche presente: chi riceve lo Spirito Santo, riceve la potestà di assolvere e di non assolvere i peccati. Sta scritto: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Dunque, chi non può assolvere non possiede lo Spirito Santo, dal momento che è lo Spirito Santo, appunto, a far dono del ministero sacerdotale e la sua

Page 116: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

116

autorità è nel condonare e nel non rimettere le colpe. Come perciò i Novaziani potrebbero rivendicare un dono di chi mettono in dubbio l'autorità, la potestà?Che dire della loro enorme sfacciataggine? Lo Spirito di Dio è incline alla pietà, non già alla durezza. Essi, al contrario, non vogliono ciò che egli dice di volere e fanno ciò che egli afferma di non gradire. Eppure il castigare si addice al giudice, il perdonare, invece, all'indulgente. Tu che appartieni alla setta dei Novaziani saresti, pertanto, più tollerabile coll'assolvere che col non condonare. Col non essere indulgente peccheresti di disubbidienza verso Dio, coll'usare misericordia, elargiresti il perdono, dimostrando di provare, almeno, pietà di chi vive nell'afflizione.

Capitolo 3Ma i Novaziani affermano che, eccettuate le colpe più gravi, concedono il perdono alle più lievi. Non certo Novaziano, l'origine prima della vostra eresia. Egli fu convinto che non dovesse concedersi ad alcuno la possibilità di conseguire il perdono. Evidentemente non se la sentiva di legare ciò che non era poi in grado di sciogliere, e di incorrere nel rischio che, una volta condannata la colpa, ci si attendesse da lui il condono. Voi, dunque, mettete sotto accusa vostro padre con questo modo di ragionare, con la distinzione, cioè, che fate tra peccati, a giudizio vostro, assolvibili e quelli che reputate irrimediabili. Dio, però, che ha garantito a tutti clemenza e che ha concesso ai sacerdoti, senza alcuna riserva, la potestà del perdono, non fa distinzioni. Soltanto, chi avrà ecceduto nella colpa, ecceda parimenti nel fare penitenza. Più gravi i peccati, più abbondanti lacrime sono necessarie per lavarli. Non si può, quindi, dare l'assenso a Novaziano che rifiutò a tutti il perdono, né a voi che, emulando e a un tempo condannando il maestro, spegnete ogni ardore di pietà quando occorrerebbe maggiormente alimentarlo. La pietà di Cristo ci ha insegnato che più gravi sono i peccati, più validi sostegni necessitano a sopportarne il peso.Quale iniquità è questa del dovere rivendicare le cose possibili a concedersi e riservare a Dio le impossibili? Che altro significa ciò se non scegliere per sé le situazioni suscettibili di misericordia e lasciare al Signore la materia tutta passibile di inflessibile castigo? Privo di significato è per voi il passo biblico: "Resti fermo che Dio è verace e ogni uomo mentitore, come dice la Scrittura: affinché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole e trionfi quando sei giudicato". Dio medesimo dice: "Voglio l'amore e non il sacrificio", affinché comprendiamo che il Signore è largo di misericordia e non già inflessibile nel rigore. Come può essere, perciò, gradito a Dio il sacrificio che gli offrite? Voi ripudiate la pietà, egli, invece, afferma di non volere la morte, ma l'emendamento del peccatore.L'Apostolo, suo fedele interprete, dice: "Dio mandò il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato, e in vista del peccato, ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi". Non dice "a somiglianza della carne", perché Cristo ha assunto la realtà della carne umana, non la parvenza. Né dice "a somiglianza del peccato", giacché "egli non ha commesso peccato" ma ha preso le sembianze del peccato per la nostra salvezza. E' venuto "a somiglianza di carne del peccato", cioè ha assunto la parvenza della carne peccatrice. Perciò "somiglianza", poiché sta scritto: "E' uomo e chi sa conoscerlo?". Era, cioè, uomo nella carne in conformità alla natura dell'uomo, e poteva essere conosciuto. Era uomo fornito di doti trascendenti l'umana possibilità, l'uomo, pertanto, di cui è detto "chi sa conoscerlo?". Aveva la nostra carne, ma era immune dai difetti di questa.Non era stato, infatti, generato come gli altri uomini dall'accoppiamento del maschio e della femmina. Concepito dallo Spirito Santo e dalla Vergine, aveva assunto un corpo mortale, non solo non macchiato da alcuna colpa ma neppure sfiorato da quell'ignominioso miscuglio di sostanze proprio della nascita o del concepimento. Noi mortali nasciamo, infatti, all'insegna del peccato. Il nostro primo vedere la luce è già nella colpa, come leggiamo in David: "Ecco nella colpa sono stato

Page 117: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

117

generato, nel peccato mi ha concepito mia madre". La carne di Paolo era il corpo della morte, come egli dice: "Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?". La carne di Cristo ha condannato quel peccato dal quale il Signore, nascendo, fu immune, e che, morendo, ha crocifisso, affinché nella nostra carne, ove prima era macchia a causa della colpa, ci fosse giustificazione in virtù della grazia."Che diremo dunque in proposito" se non ciò che l'Apostolo ha detto: "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ha donato ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?". Cristo, dunque, difende, Novaziano accusa. L'uno ha redento gli uomini perché siano salvi, l'altro condanna a morte. Il primo dice: "Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite", l'altro, al contrario, afferma: Non sono misericordioso. Cristo dice: "Troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio carico leggero", Novaziano, invece, impone un grave peso, un duro giogo.

Capitolo 4Le argomentazioni finora addotte sono sufficienti ad intendere in quale misura Gesù è propenso a perdonare. Tuttavia egli in persona ti sia maestro. Volendoci, infatti, mettere in condizione di affrontare le violenze della persecuzione, dice: "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l'anima; temete piuttosto chi ha il potere di inviare l'anima e il corpo nella Geenna". Più avanti: "Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi, invece, mi rinnegherà davanti agli uomini, anche io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli".Quando testimonia, lo fa per tutti, senza eccezione; quando rinnega, non ripudia tutti. Sta scritto: "Chiunque mi riconoscerà, anche io lo riconoscerò", cioè testimonierò tutti. Più innanzi avrebbe dovuto dire: "Chiunque, invece, mi rinnegherà". Perché, non apparisse ripudiare tutti, ha però aggiunto: "Chi, invece, mi rinnegherà davanti agli uomini, anche io lo rinnegherò". Assicura a tutti la grazia, non minaccia a tutti la punizione. Esalta quando è di pertinenza dell'indulgenza, rimpicciolisce ciò che è proprio della vendetta.Così sta scritto non solo nel libro del Vangelo di Gesù che si intitola secondo Matteo, ma si può leggere anche in quello che va sotto il nome di Luca. Ciò perché tu sappia che entrambi si sono soffermati sull'argomento, e a bella posta.Abbiamo riportato quanto sta scritto. Ricapitoliamo ora il pensiero. Dice: "Chiunque mi riconoscerà", cioè, chi mi testimonierà, qualunque genere di vita conduca, qualunque sia la sua condizione, troverà in me chi saprà ricompensarlo della testimonianza. Quando è detto "chiunque" non si esclude dalla ricompensa nessuno che lo testimonierà. Non ugualmente chiunque rinnegherà, sarà rinnegato. Può verificarsi che qualcuno non reggendo alla tortura ripudi con la bocca, ma nel suo intimo adori Dio.Metteresti forse sullo stesso piano chi ripudia spontaneamente e chi ha commesso sacrilegio indotto dai supplizi e non già di sua volontà? E' riprovevole sostenere che non è di alcun peso presso Dio la clemenza che, invece, ha valore presso gli uomini, quando si tratta di atleti. Spesso negli agoni dei pagani vediamo che il popolino ama incoronare anche gli sconfitti, quando sia rimasto soddisfatto del loro modo di condurre la gara e, soprattutto, abbia constatato con i propri occhi che accidentalmente gli atleti sono stati privati della vittoria con raggiri o inganni. Cristo tollererà che sia negato il perdono ai suoi atleti che soltanto per un poco ha visti vacillare davanti ai supplizi della tortura?

Page 118: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

118

Non terrà conto dei tormenti del supplizio, egli che, se ripudia, non rinnega per l'eternità? David dice: "Dio non ci respingerà per sempre". Dovremo, dunque, prestare orecchio al seguace dell'eresia, il quale, al contrario, afferma che Dio ripudia per sempre? David dice: "Dio non toglierà mai la sua misericordia di generazione in generazione o si dimenticherà di avere pietà". Il profeta grida, e c'è gente che va insinuando che la divina pietà può essere suscettibile di dimenticanza?

Capitolo 5Ma essi asseriscono di fare ragionamenti del genere, giacché, a loro giudizio, ammettere che Dio perdoni persone contro le quali ha in precedenza manifestato la sua ira significa attribuirgli natura mutevole. Dunque? Ripudieremo gli oracoli del Signore e daremo credito alle opinioni dei Novaziani? Dio deve essere stimato sulla base delle sue parole, non delle affermazioni degli altri. Una prova convincente della sua misericordia? Non forse, per bocca del profeta Osea, quasi come rappacificato, perdona gente che poco prima minacciava? Dice: "Che dovrò fare di te, Efraim, che dovrò fare di te, Giuda?". Più innanzi: "Come trattarti? Dovrei ridurti allo stato di Adma e di Zeboim?". E' adirato, eppure con sentimento, direi, paterno, è dubbioso circa la pena da irrogare al peccatore. Il Giudeo è colpevole, Dio, tuttavia, vaglia con scrupolo i fatti. Aveva detto: "Dovrei ridurti allo stato di Adma e di Zeboim?", città queste che, vicine a Sodoma, avevano avuto in sorte analoga distruzione. Subito, però, aggiunge: "Il mio cuore si è commosso, la mia pietà è in preda al turbamento; non voglio agire secondo l'impulso della mia ira".Non è forse chiaro che Gesù si sdegna con noi peccatori allo scopo di convertirci mediante il terrore suscitato dalla sua collera? La sua ira non comporta vendetta, bensì suona preludio di indulgenza. Ha detto: "Se piangerai contrito, ti salverai". Attende, pertanto, i nostri sospiri, quelli temporali, per condonare gli eterni. Esige il nostro pianto per elargire la misericordia. Nel Vangelo, mosso a pietà dalle lacrime della vedova, ne ha richiamato in vita il figlio. Vuole il nostro pentimento per potere fare ricorso alla grazia, la quale si fermerebbe stabilmente in noi, se non cadessimo nella schiavitù del peccato. Offendiamo Dio con le colpe, ed egli si adira affinché facciamo atto di contrizione. Umiliamoci, dunque, per metterci in condizione di meritare pietà, non castigo.Ti sia maestro Geremia, il quale dice: "Il Signore non ripudierà per sempre, ma se umilierà avrà anche pietà secondo la sua grande misericordia. Chi umilia contro il suo desiderio non ripudia certo i figli degli uomini". Queste sono le parole che leggiamo nei Lamenti di Geremia. Da esse e dalle seguenti desumiamo che il Signore umilia "sotto i suoi piedi tutti coloro che sono incatenati sulla terra", affinché possiamo sottrarci al suo castigo. Ma non umilia di tutto cuore il peccatore sino a terra, giacché solleva "l'indigente dalla polvere" e rialza "il povero dall'immondizia". Chi si ripromette di concedere il perdono, non umilia di tutto cuore.Dio non umilia con tutto il sentimento chi si è macchiato di colpa, tanto meno, chi non ha peccato di tutto cuore. Ha detto a proposito dei Giudei: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me". In questa maniera potrebbe esprimersi nei riguardi di alcuni dei lapsi: Mi hanno rinnegato con le labbra, ma sono insieme a me con il cuore. La tortura li ha vinti, ma la slealtà non ha avuto il sopravvento. Non c'è, pertanto, valido motivo perché alcuni neghino loro il perdono. Il persecutore medesimo, infatti, ne ha testimoniato la fede al punto da tentare di distruggerla con i supplizi. Hanno ripudiato una sola volta, ma testimoniano ogni giorno. Hanno rinnegato con la bocca, ma testimoniano di continuo con i gemiti, con gli ululati, con le lacrime, con le parole schiette, sincere. Hanno ceduto alla tentazione del diavolo, ma temporaneamente. Il demonio si è dovuto allontanare da loro non essendo riuscito a guadagnarli alla sua causa. Si è ritirato innanzi al loro pianto, all'afflizione del pentimento. Li aveva aggrediti come cosa altrui, li ha perduti quando erano sua preda.

Page 119: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

119

Non è forse il caso medesimo che si verifica allorché gli abitanti di una città vinta sono trascinati prigionieri? Vengono menati in schiavitù, ma non certo di loro volontà. Sono costretti ad emigrare in terra straniera, con il cuore, però, non si allontanano dal paese, portano con sé, nell'animo, la patria e si adoperano in tutti i modi per rientrarvi. Che dunque? Quando uomini, così disposti, finalmente ritornano, ci potrebbe essere chi suggerisca che non si debbano degnamente accogliere, che si debbano, cioè, tributare loro onori minori, per la viva preoccupazione che il nemico abbia un qualche pretesto per sfogare l'ira? Se tu perdoni chi è armato e ha opposto forza a forza, non sei disposto ad essere indulgente verso chi aveva come unica arma la fede?Se chiediamo il parere del diavolo a proposito di codesti lapsi, non pensi che direbbe: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me?" Come può essere con me chi non ripudia Cristo? Coloro che nel cuore ne custodiscono l'insegnamento, soltanto in apparenza mi adorano. Io mi illudevo che professassero la mia dottrina. Più grave suona la condanna nei miei riguardi, allorché rinnegano teorie delle quali hanno acquisito conoscenza. E' certo che Cristo mena trionfo più grande quando li accoglie al loro ritorno. Tutti gli angeli tripudiano. Infatti, è più grande gloria per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. Si trionfa su di me nel cielo, su di me nel mondo. Cristo non subisce danno quando persone venute da me in lacrime ritornano nel seno della Chiesa, sentendo di essa rimpianto. Senza dire che dietro il loro esempio corro pericolo anche per i miei fidi. Potrebbero imparare che non c'è vantaggio a stare in un luogo in cui gli uomini non sono affatto adescati dai beni immediati e che, invece, c'è profitto grandissimo dove i lamenti, le lacrime, i digiuni sono preferiti alle opulente imbandigioni".

Capitolo 6Voi, dunque, o Novaziani, li mettete al bando? Ciò che altro significa se non togliere loro la speranza del perdono? Il Samaritano non abbandonò chi era stato lasciato mezzo morto dai predoni. Curò le sue ferite con l'olio e con il vino. Prima, però, vi versò solo l'olio come lenimento. Caricò il ferito sopra il suo giumento, trasportando su di esso tutti i suoi peccati. Né il pastore abbandonò la pecorella smarrita.Voi, invece, esclamate: "Non mi toccare". A titolo di giustificazione, dite: "Non è il nostro prossimo" con superbia maggiore di quella del dottore della legge che voleva mettere alla prova Cristo. Infatti, domandò: "Chi è il mio prossimo?". Rivolge una domanda. Voi, invece, rifiutate di prestare le cure a chi avreste dovuto. Ve ne siete allontanati alla maniera del sacerdote e siete passati oltre noncuranti come il levita. Né date ospitalità nella locanda a colui per il quale Cristo pagò due denari e di cui ti ordina di diventare il prossimo, per potergli più agevolmente usare misericordia. Il tuo prossimo non è chi è stretto a te dai vincoli di identica natura, bensì chi è unito a te da legami di pietà. Tu ostenti, però, di non conoscerlo, innalzandoti "gonfio di vano orgoglio nella mente carnale, senza essere stretto, invece, al capo". Se ti tenessi stretto al capo, comprenderesti che non devi abbandonare uno "per il quale Cristo è morto". Ti accorgeresti, ancora, che tutto il corpo, col tenerlo strettamente unito e non con lo smembrarlo, progredisce nella conoscenza di Dio, in virtù del vincolo della carità e mediante il riscatto del peccatore.Quando depauperate la penitenza di ogni frutto, voi non dite altro che questo: Nessuno che sia stato ferito entri nella nostra locanda. Nessuno sia sanato nel grembo della Chiesa. Presso di noi non si prestano cure agli ammalati. Siamo sani, per noi il medico è superfluo. Infatti, Cristo in persona ha detto: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati".Capitolo 7Il novaziano si allontana con pretesti dalla tua Chiesa, o Gesù, io, invece, sono ad essa venuto tutto intero. Il novaziano dice: "Ho comprato dei buoi", ma non si sobbarca al giogo soave di Cristo;

Page 120: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

120

impone al suo collo un peso assai grave, insopportabile. Ha trattenuto, offeso, ucciso i tuoi servi dai quali era stato invitato, giacché li ha imbrattati con la macchia di un battesimo ripetuto. Invia, dunque, servi ai crocicchi delle strade. Chiamo a raccolta buoni, cattivi. Fai entrare nella tua Chiesa infermi, ciechi, zoppi. Ordina che la tua casa sia riempita. Ammetti tutti alla tua cena. Chi tu inviterai, lo renderai degno, se disposto a seguirti. A ragione è gettato fuori chi non avrà indossato la veste nuziale, l'abito cioè della carità, della grazia. Fai chiamare, ripeto, tutti a raccolta.La tua Chiesa non si sottrae con pretesti alla tua cena. Il novaziano rifiuta il tuo invito. Nessuno della tua famiglia dice: "Sto bene, non mi occorre il medico", bensì: "Guariscimi, o Signore, e io sarò guarito; salvami e sarò salvato". E' il simbolo della Chiesa la donna che ti si è accostata alle spalle e ha toccato il lembo della tua veste. "Pensava, infatti: Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita". La Chiesa mette a nudo le sue piaghe, domanda che vengano curate.Tu, o Signore, desideri guarirci tutti. Eppure non tutti si sottopongono alle tue cure. Non certo il novaziano che ritiene di essere sano. Tu dichiari di essere ammalato, ti fai compartecipe delle infermità anche del più piccolo dei fratelli. Dici: "Ero malato e mi avete visitato". Il novaziano non è disposto a fare visita al più piccolo dei fratelli, nella cui persona tu desideri essere visitato. Tu dici a Pietro che adduce pretesti perché non gli lavassi i piedi: "Se non ti laverò i piedi, non avrai parte con me". Come possono avere parte con te i Novaziani i quali non accettano le chiavi del regno dei cieli, giacché sostengono che i peccati non possono essere rimessi?Eppure hanno ragione quando fanno affermazioni del genere. Non sono, infatti, eredi di Pietro, dal momento che non ne possiedono la sede, anzi la straziano con scisma sacrilego. Hanno però torto, quando sostengono che non possono essere condannati i peccati in seno alla Chiesa. A Pietro è stato detto: "A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli". Paolo, "lo strumento eletto" del Signore, dice: "A chi voi perdonerete qualcosa, perdono anche io; infatti, anche io se ho perdonato qualcosa, l'ho perdonata per amore vostro al cospetto di Cristo". Perché leggono Paolo, se pensano che si è macchiato di sacrilegio con l'arrogarsi la potestà di Dio? Ma, in verità, egli ha rivendicato un dono elargitogli, non si è impossessato di un bene non dovutogli.

Capitolo 8Il Signore vuole che i suoi discepoli abbiano potere illimitato. Esige che i suoi umili servi operino nel suo nome i miracoli che egli compiva quando era uomo. Dice: "Compirete opere superiori a queste". Ha concesso loro di risuscitare i morti. Pur potendo ridonare a Saulo l'uso della vista, lo ha inviato da Anania suo discepolo, affinché in virtù della sua benedizione riacquistasse la facoltà di vedere che aveva perduta. Ha ordinato a Pietro di camminare con lui sulla distesa del mare. Poiché l'Apostolo appariva pauroso, lo ha biasimato. Con la pochezza della fede, infatti, aveva sminuito la grazia elargitagli. Ha concesso ai discepoli anche di essere la luce del mondo. Poiché un giorno sarebbe disceso dal cielo e ad esso sarebbe asceso, ha rapito in cielo Elia, per restituirlo alla terra, quando gli fosse sembrato opportuno. Poiché avrebbe battezzato in Spirito Santo e fuoco, ha preannunziato mediante Giovanni il sacramento del battesimo.Ha elargito, insomma, ogni potere ai discepoli. Afferma in proposito: "Nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno". Tutto ha concesso ai discepoli. La loro potestà umana viene però meno, allorché la grazia del dono divino è operante.Perché mai, o Novaziani, imponete le mani e avete fede nell'effetto della benedizione, se per caso un malato guarisce? Perché vi arrogate la potestà di purificare le persone dall'immondo contagio del demonio? Perché battezzate, se non è possibile che i peccati siano rimessi per opera dell'uomo? Nel battesimo, indubbiamente, è il condono di ogni colpa. Che differenza c'è se i sacerdoti in virtù della

Page 121: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

121

penitenza o del battesimo rivendicano la potestà loro concessa? Si tratti dell'uno o dell'altro sacramento, l'ufficio sacerdotale non muta.Tu sostieni che nel battesimo è operante la grazia dei misteri. Non forse nella penitenza? Il nome di Dio non è in essa operante? Che dunque? Se vi conviene, fate vostra la grazia, altrimenti la rinnegate? E' un indizio di temeraria tracotanza, e non certo di santo timore, il fatto che odiate le persone che vogliono fare penitenza. Si sa, non ve la sentite di sopportare piagnistei di gente in lacrime. I vostri occhi non tollerano vesti miserande, squallore di persone in gramaglie. Ciascuno di voi, o delicati miei, con sguardo sprezzante, con cuore tronfio, impronta gli accenti a schifiltosità e dice: "Non mi toccare, perché sono puro".Il Signore ha detto a Maria Maddalena: "Non mi toccare", ma non ha aggiunto "perché sono puro". Ed era puro davvero! Tu, o seguace di Novaziano, hai l'ardire di proclamarti senza macchia, tu che, ammesso che lo fossi per merito delle tue opere, già con il solo dichiarare di esserlo ti insudiceresti di impurità? Isaia dice: "Me misero e sventurato, poiché sono un uomo dalle labbra impure e dimoro in mezzo a un popolo dalle labbra impure!". Tu dici: "Sono puro", quando, come sta scritto, "non lo è neppure un neonato"? David esclamò: "Mondami dal mio peccato". Eppure la grazia di Dio spesso lo perdonò come persona assai misericordiosa. Tu puro, che sei così ingiusto da non avere pietà e da osservare "la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello" e da non accorgerti "della trave che hai nel tuo occhio"? Chi è ingiusto è impuro al cospetto di Dio. Quale iniquità maggiore del pretendere che ti siano rimesse le colpe e che non si debbano, invece, condonare al supplice? Quale ingiustizia più grande del giustificarti da te medesimo di una colpa per la quale condanni un altro, sebbene i tuoi peccati siano più gravi?Gesù, sul punto di annunziare la remissione dei peccati, a Giovanni che gli dice: "Io devo essere battezzato da te e tu vieni da me" ha risposto: "Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia". Il Signore è venuto dal peccatore. Egli che era immune da colpa, ha domandato di ricevere il battesimo, pur non avendo bisogno di purificazione. Chi potrebbe, dunque, sopportare persone come voi che ritenete di non avere necessità di essere purificati ad opera della penitenza, giacché dite di esserlo in virtù della grazia, quasi che sia ormai un assurdo per voi commettere peccato?

Capitolo 9Ma replicheranno che sta scritto: "Se un uomo pecca contro un altro uomo, si pregherà Dio per lui, ma se un uomo pecca contro il Signore, chi potrà intercedere per lui?". Innanzi tutto, come ho affermato in precedenza, ti lascerei anche muovere obiezioni del genere, se tu escludessi dalla possibilità del pentimento i sacrileghi soltanto. Tuttavia la domanda quale tormentoso dubbio potrebbe cagionare? Non sta scritto: "Nessuno intercederà per lui", ma "chi intercederà", cioè, si pone il quesito chi possa pregare per lui in tale eventualità, non si fa esclusione di sorta.Nel salmo 14, 1 leggiamo: "O Signore chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sul tuo santo monte?". Non già nessuno vi abiterà, bensì il virtuoso, né afferma che nessuno vi dimorerà, ma il prescelto. A conferma di questa verità, non molto dopo nel Salmo 23, 3 dice: "Chi salirà il monte del Signore, chi starà sul suo luogo santo?". Cioè, non un uomo qualsiasi, di bassa levatura, ma di condotta esemplare, di merito eccezionale. Perché ti convinca che quando è detto "chi" non s'intende "nessuno", bensì "qualcuno", dopo aver domandato: "Chi salirà il monte del Signore?", ha aggiunto: "Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non ha ricevuto invano la sua anima." In altro passo: "Chi dotato di sapienza intenderà queste parole?". Forse dice che nessuno le comprende? Ancora, nel Vangelo: "Chi è l'amministratore fedele e saggio, che il Signore ha posto a capo della sua servitù per distribuire a ciascuno, a tempo debito, la razione di cibo?". Perché ti sia chiaro che ha alluso a persona esistente e non già immaginaria, ha aggiunto: "Beato quel servo che il padrone,

Page 122: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

122

arrivando, troverà al suo lavoro". In questo senso anche, secondo me, è detto: "Dio, chi è simile a te?" E' da escludere "nessuno", perché il "Figlio è l'immagine del Padre".Non diversamente è da interpretare: "Chi intercederà per lui?", cioè, qualcuno che meni vita senza macchia deve pregare per chi ha commesso peccato contro il Signore. Quanto più grave è la colpa, tanto più c'è necessità di un valido patrocinio. Non uno qualsiasi della folla, ma Mosè pregò per il popolo dei Giudei, allorché essi, trascurando la fede giurata, adorarono la testa del vitello. Forse Mosè commise errore? Non direi, giacché meritò che la sua preghiera fosse esaudita. Cosa, d'altra parte, non avrebbe conseguito un uomo così predisposto che si sacrificava per il suo popolo dicendo: "Ora se tu perdoni loro il peccato, rimettilo, altrimenti cancellami dal libro della vita"? Puoi constatare che non alla maniera di un patrocinatore molle, schifiltoso, si guarda dall'arrecare offesa, colpa questa che, invece, il novaziano afferma di temere. Avendo a cuore la causa comune, dimentico della propria, Mosè non aveva paura di commettere peccato pur di sottrarre, liberare i Giudei dal pericolo che loro derivava dall'aver offeso Dio.A ragione, dunque, sta scritto: "Chi intercederà per lui?". Un uomo, cioè, della levatura di Mosè disposto a sacrificarsi per i peccatori o di Geremia che, nonostante Dio gli avesse comandato: "Tu non pregare per questo popolo", levò ugualmente suppliche e ottenne il perdono. Del resto, il Signore medesimo impietosito dall'intercessione del profeta e dalla preghiera del veggente così santo, rivolge la parola a Gerusalemme. La città, infatti, si era pentita dei peccati e aveva pregato: "Signore onnipotente, Dio d'Israele, un'anima angosciata, uno spirito tormentato grida verso di te. Ascolta, Signore, abbi pietà". Dio le ordina di spogliarsi delle vesti del dolore, di porre fine ai gemiti della penitenza. Così, infatti, è scritto alla fine del libro: "Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell'afflizione, rivestiti dello splendore della gloria chi ti viene da Dio per sempre".

Capitolo 10Dobbiamo trovare patrocinatori di tale specie quando si tratta di colpe assai gravi. Se, infatti, persone qualsiasi esercitano la mediazione, non è dato loro ascolto.Non potrà, quindi, avere alcun valore l'obiezione che fate, ricavandola dall'epistola di Giovanni il quale dice: "Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio darà la vita a chi commette un peccato che non conduce alla morte. C'è infatti un peccato che conduce alla morte, per questo dico di non pregare". L'Evangelista non rivolgeva la parola a Mosè, a Geremia, ma a un popolo costretto a ricorrere al patrocinio di qualcuno che preghi per le sue colpe; a un popolo che è pago di supplicare Dio per i peccati più leggeri, nel convincimento che la remissione dei più gravi si debba riservare soltanto alle preghiere degli uomini giusti. Come Giovanni avrebbe potuto affermare che non si deve pregare per una colpa che conduce alla morte, quando aveva letto nella scrittura che Mosè aveva pregato, e con successo, per la trasgressione della legge di Dio commessa volontariamente dai Giudei e che anche Geremia aveva levato suppliche al Signore?Come Giovanni avrebbe potuto sostenere che non si deve pregare per un peccato che conduce alla morte, egli che proprio nell'Apocalisse ha scritto del comando impartito al Vescovo della Chiesa di Pergamo? Scrive: "Hai presso di te seguaci della dottrina di Balaan, il quale insegnava a Balak a provocare la caduta dei figli di Israele, spingendoli a mangiare carni immolate agli idoli e ad abbandonarsi alla fornicazione. Così pure hai di quelli che seguono la dottrina dei Nicolaiti. Ravvediti, dunque, altrimenti verrò da te". Non vedi che Dio esige la penitenza per garantire il perdono? Nell'Apocalisse, ancora, dice: "Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: al vincitore darò da mangiare la manna".Forse Giovanni ignorava che Stefano aveva pregato per i suoi persecutori, i quali avevano in odio persino il nome di Cristo, e che aveva detto a proposito dei lapidatori: "Signore, non imputare loro

Page 123: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

123

questo peccato"? Ci è dato constatare in Paolo quale fosse l'effetto della preghiera. Egli che era a guardia dei mantelli degli uomini che scagliavano le pietre, non molto tempo dopo diventò Apostolo in virtù della grazia di Cristo: eppure era stato un persecutore

Capitolo 11Poiché il discorso verte sull'epistola cattolica di Giovanni, indaghiamo se quanto egli ha detto nel Vangelo collimi con l'interpretazione da voi data. Scrive: "Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna". Se tu desiderassi richiamare alla fede un lapso, lo esorteresti a credere o a non credere? Indubbiamente, a credere. Ma chi crede, secondo quanto il Signore sentenzia, avrà vita eterna. Come ti può essere, dunque, vietato di pregare per una persona cui è dovuta la vita eterna? Non è forse la fede un dono della grazia divina e l'Apostolo, appunto, dove tratta della "diversità dei carismi" insegna che "a uno è donata la fede per mezzo dello Spirito"? I discepoli dicono al Signore: "Aumenta la nostra fede". Chi ha fede ha la vita; chi ha la vita non è escluso dal perdono. Afferma: "Chiunque crede in lui non muoia". Quando dice "chiunque" non c'è limitazione, esclusione di sorta. Non si fa eccezione per il lapso, sempre, s'intende, che si penta convenientemente della colpa.Sappiamo di tante e tante persone che dopo il peccato si sono adeguatamente fortificate e hanno patito nel nome di Dio. Non possiamo vietare che facciano parte della schiera dei martiri, se Gesù lo ha loro concesso. Abbiamo forse l'ardire di sostenere che non è stata restituita la vita a chi Cristo ha donato la corona del martirio? Dopo la caduta a numerosi peccatori è restituita, dunque, la corona, se patiscono il martirio. Parimenti, sempre che credano, è concessa di nuovo la fede. Fede che è un dono di Dio. Sta scritto: "Da Dio vi è stato concesso non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui". Forse chi riceve la grazia di Dio, non ne ottiene la pietà?Né è grazia unica, bensì duplice, questa da cui scaturisce che chi crede è anche disposto a soffrire per Gesù. Chi crede ha, dunque, la grazia, e anche un'altra, nel caso che la sua fede sia coronata dal martirio. Pietro non fu privo della grazia prima del martirio; quando, però, lo patì, conseguì anche l'altra. Molte persone che non hanno avuto la grazia di soffrire per amore di Gesù, hanno avuto quella di credere in lui.Perciò è detto: "Affinché chiunque crede in lui, non muoia". Chiunque, cioè, qualunque sia la condizione di vita, qualsivoglia il peccato, se nutre fede non deve temere la morte. Può verificarsi, infatti, il caso che qualcuno discendendo da Gerusalemme a Gerico, cadendo, cioè, dall'agone del martirio nelle passioni della vita, negli allettamenti del secolo, sia ferito dai predoni, vale a dire, dai persecutori, e lasciato semivivo venga trovato dal Samaritano. Può darsi che costui che è il guardiano delle nostre anime - Samaritano significa, appunto, custode - non passi oltre, ma lo curi, lo guarisca.Forse non passa oltre, giacché scorge in lui qualche segno di vita che lascia sperare nella guarigione. Non comprendete che anche il lapso è semivivo, se la fede non è del tutto spenta in lui? E' morto chi ha per sempre bandito Dio dal cuore. Chi non lo ha scacciato del tutto, ma, alla prova della tortura, lo ha soltanto temporaneamente misconosciuto, è semivivo. Se, d'altra parte, è morto, perché affermi che deve pentirsi, dal momento che ogni possibilità di guarigione gli è ormai preclusa? E' semivivo: versa, allora, l'olio, e, ancora, il vino che sia mescolato con l'olio, un lenimento, insomma, che gli alimenti il calore e, a un tempo, lo rimorda nella coscienza. Caricalo sul tuo giumento, affidalo all'oste, paga due denari perché sia curato, sii per lui il suo prossimo. Non lo sei se non fai opera di misericordia. Può essere detto "il prossimo" chi gli ha prestato assistenza, non già inferto ferite mortali. Se vuoi meritare l'appellativo di "prossimo", Cristo ti dice: "Va' e anche tu fa' lo stesso".

Page 124: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

124

Capitolo 12Soffermiamoci su un altro passo del medesimo tenore: "Chi crede nel Figlio ha la vita eterna, chi, invece, non crede nel Figlio, non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui". Se l'ira di Dio rimane, deve, ovviamente, avere avuto un inizio, e da qualche colpa, poiché prima quest'uomo non ha avuto fede. Appena, quindi, uno crede, la collera di Dio, si allontana, la vita si avvicina. Credere in Cristo è lucrarsi la vita. Infatti, "chi crede in lui non è condannato".Ma i Novaziani replicano che chi crede in Cristo deve scrupolosamente osservare il suo verbo. Affermano, infatti, che nella Scrittura si leggono queste parole del Signore: "Io come luce sono venuto al mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolterà le mie parole e le osserverà, io non lo condanno". Egli non condanna, tu, invece, ti ergi a giudice? Il Signore dice: "Affinché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre", cioè, sebbene sia stato nell'oscurità, non vi resti per sempre, ma corregga l'errore, si liberi della colpa, creda nei miei insegnamenti. Infatti, ho detto: "Non ho piacere della morte del peccatore, bensì che desista dalla sua condotta". Ho già affermato che "chiunque crede in me non è condannato". Sono del medesimo parere. "Sono venuto, infatti, non già per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per opera mia". Volentieri perdono, mi mostro indulgente senza esitazione, "voglio l'amore e non il sacrificio", giacché il giusto attesta la sua devozione mediante il sacrificio, il peccatore si procura la salvezza in forza della misericordia. "Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori". Nella legge è il sacrificio, nel Vangelo l'amore; " La legge fu data per mezzo di Mosè", la grazia in virtù mia. Quale discorso più limpido di questo del Signore?Più innanzi dice: "Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna". Credi forse che chi non si è emendato recepisca le parole del Signore? Non lo direi. Chi si corregge accoglie il verbo di Cristo. La parola del Signore, infatti, vuole, appunto, significare che ciascuno di sua volontà deve allontanarsi dal peccato. Perciò è necessario che o tu ripudi il pensiero da lui espresso o che ne sia pago, se non sei in grado di confutarlo.Chi desiste dal peccato e rifugge dalle colpe deve osservare i precetti del Signore. Non è da credere che egli esprimendosi come si è detto si sia riferito a chi è stato sempre ubbidiente alla sua parola. Se avesse inteso in questa maniera, avrebbe aggiunto "sempre". Dal momento che non lo ha aggiunto, ovviamente, ha parlato di chi è stato osservante delle parole che ha udito. Ha prestato loro ascolto per correggere il suo errore. Ha custodito, pertanto, quello che ha udito.Quanto sia cosa spietata che debba per sempre essere condannato chi almeno dopo aver peccato ha osservato gli insegnamenti del Signore, può ben insegnartelo egli stesso che non ha rifiutato il perdono a gente che non ha ubbidito alla sua legge. Sta scritto nel testo del Salmo: "Se violeranno i miei statuti e non osserveranno i miei comandi, punirò con la verga il loro peccato e con flagelli la colpa, ma non toglierò loro la mia grazia". Il Signore promette a tutti misericordia.Ma perché tu non creda che si tratta di pietà indiscriminata, c'è distinzione tra gli uomini che sono stati sempre ubbidienti ai comandi celesti e quelli caduti in colpa per errore o in forza delle circostanze. Ancora, perché tu non pensi che il giudizio divino possa in qualche modo essere limitato dal nostro argomentare, presta attenzione. Il Signore dice: "Se un servo conoscendo la volontà del padrone non ha agito in conformità, riceverà molte percosse, ne riceverà, invece, poche, se non l'ha conosciuta". Il Signore accoglie, dunque, entrambi, purché abbiano fede, giacché "Dio castiga ogni figlio che accoglie". Indubbiamente, non consegna alla morte chi punisce. Sta scritto "Il Signore mi ha provato duramente, ma non mi ha consegnato alla morte".

Capitolo 13Infine, Paolo insegna che non bisogna abbandonare persone che hanno commesso peccato che cagiona morte, bensì castigarle con i pani delle lacrime e con la bevanda del pianto, in maniera,

Page 125: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

125

tuttavia, che l'afflizione sia contenuta. Questo, appunto, significa: "e li abbevererai di lacrime con misura", in modo, cioè, che l'angoscia abbia un limite, affinché il penitente non soccomba all'eccessiva tristezza. Scrive ai Corinzi: "Che volete? Debbo venire a voi con il bastone, o con amore e con spirito di dolcezza?". Il bastone non vuole significare spietatezza. Egli aveva letto: "Tu lo batterai con la verga, salverai però la sua anima dalla morte".Quale significato avesse "venire con il bastone", ce lo insegnano la sua invettiva contro l'immoralità, l'accusa dell'incesto, il biasimo dell'orgoglio di cui erano gonfie persone che avrebbero dovuto, invece, piangere, e, infine, il verdetto pronunziato contro il reo che era escluso dalla comunione e dato in balia di Satana, per la morte della carne e non dell'anima. Come il Signore non diede al diavolo alcun diritto sull'anima di Giobbe, bensì gli concesse la padronanza assoluta del corpo, così il reo è dato da Paolo a Satana per la distruzione della carne, perché il serpente lambisse la sua terra, senza nocumento, però, dell'anima.Muoia, dunque, la nostra carne ai desideri, sia pure in catene, in schiavitù, non muova guerra alla legge dello spirito. Muoia, soggiacendo a salutare servitù, secondo l'esempio di Paolo. L'Apostolo torturava il corpo per renderlo schiavo, con l'intento di dare maggiore credito alla parola, se la legge della carne non sembrasse affatto essere in guerra con quella dello spirito. La carne, infatti, muore quando la sua saggezza si trasferisce allo spirito; non è più allora sapiente nelle cose materiali, ma nelle spirituali. Oh, mi fosse concesso di vedere la mia carne ammalarsi, così da non essere più trascinato prigioniero della legge del peccato e non vivere nella carne, bensì nella fede di Cristo! E', pertanto, grazia più grande nella infermità che nella salute del corpo. Il Signore amò intensamente Paolo, eppure non volle liberarlo dalla malattia della carne. Allorché l'Apostolo gli domandò di allontanare l'infermità dal corpo, rispose: "Ti basta la mia grazia; la potenza, infatti, si manifesta pienamente nella debolezza". Paolo attesta di trovarsi maggiormente a suo agio nelle infermità: "Quando sono debole è allora che sono forte". La virtù dell'animo raggiunge la perfezione, quando la carne è ammalata.Abbiamo chiarito il pensiero di Paolo. Soffermiamoci sul significato delle parole, per quale motivo, cioè, ha detto di aver dato il reo "in balia di Satana, per la morte della carne". La spiegazione è nel fatto che il diavolo ci mette alla prova. Suole arrecare, infatti, infermità a ciascuna delle membra e cagionare malattia all'intero corpo. Afflisse, appunto, il santo Giobbe con orrenda piaga dai piedi alla testa, poiché il Signore gli aveva dato potestà assoluta sulla carne, dicendo: "Eccolo nelle tue mani! Soltanto, risparmia la sua anima". L'Apostolo esprime analogo concetto, quando dice che ha dato un individuo "siffatto in balia di Satana per la morte del corpo, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo".Autorità grande, grazia insigne quella che può imporre al demonio di distruggersi da se medesimo! Si distrugge, infatti, quando da debole rende forte l'uomo che egli desidera dolosamente abbattere con l'indurlo in tentazione. Ne fiacca la carne, ma rinvigorisce lo spirito. L'infermità del corpo caccia via il peccato, la dissolutezza rafforza, invece, la colpa della carne.Il diavolo rimane beffato, si morde con i suoi stessi denti. Arma contro di sé chi si era illuso di prostrare. Ferisce il santo Giobbe, ma lo fornisce di armi migliori, giacché costui, pur avendo il corpo ricoperto di orrenda piaga, soffrì i morsi del diavolo, senza risentire l'effetto velenoso. Fu, appunto, a lui opportunamente detto: "Potrai tu pescare il dragone con l'amo, scherzerai con lui come con un uccello, lo legherai così come il fanciullo il passero, porrai su di lui la tua mano".Il demonio, puoi constatarlo, viene schernito da Paolo. Alla maniera del fanciullo nella profezia, l'Apostolo introduce la mano nella bocca dell'aspide, senza che il serpente gli arrechi danno. Lo trae fuori dalle tenebre, fa del suo veleno un antidoto spirituale, trasformandolo in farmaco. Il veleno è per la morte della carne, l'antidoto per la salvezza dell'anima. Ciò che è di danno al corpo, riesce di utilità allo spirito.

Page 126: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

126

Mangi pure il serpente la mia terra, addenti la carne, riduca a brandelli il corpo. Il Signore dica di me: "Eccolo nelle tue mani! Soltanto, risparmia la sua anima". Grande davvero è la potenza di Cristo il quale impone la custodia dell'uomo al demonio che pure non ha altra mira se non il nostro danno! Rendiamoci, dunque, propizio il Signore. Quando Cristo regna, il diavolo si trasforma addirittura in guardiano della preda. Ubbidisce, sia pure di cattivo animo, agli ordini divini e, quanto vuoi spietato, esegue comandi improntati a misericordia.Ma perché mai vado elogiando lo spirito di ubbidienza del demonio? Egli sia sempre il cattivo per antonomasia, e Dio, che muta la malvagità del diavolo in grazia per il nostro bene, sia sempre il buono. Satana vuole fare danno, ma non può, se Cristo lo vieta. Ricopre di piaghe la carne, ma custodisce l'anima. Inghiotte la terra, preserva, però, lo spirito. D'altra parte sta scritto: "Allora i lupi e gli agnelli pascoleranno insieme, il leone e il bue si ciberanno di paglia, il serpente di terra quasi fossi pane. E non cagioneranno, dice il Signore, danno e distruzione sul suo santo monte". E' questo il verdetto di condanna del serpente: "Mangerai terra". Quale terra? Quella di cui è detto: "Terra sei e terra tornerai".Capitolo 14Il serpente mangia questa terra, se Gesù è misericordioso verso di noi, così che l'anima soffra per la debolezza della carne, ma non si bruci a causa del calore del corpo e dell'ardore della membra. "E' meglio sposarsi che ardere". C'è una fiamma, infatti, che avvampa dentro di noi. Dunque, affinché non ci bruciamo la veste dell'io interiore e la vorace fiamma della dissolutezza non logori l'abito esterno dell'anima, cioè, la sua tunica di pelle, non dobbiamo tenere stretto il fuoco nel grembo della mente, nel segreto del cuore. Occorre varcare la fiamma. Se qualcuno, perciò, incappa nel fuoco divampante dell'amore, spicchi un salto e lo attraversi. Non trattenga l'impudico desiderio, avvincendolo con i lacci dei cattivi pensieri. Non stringa a sé i legami con i nodi di una mente unicamente assorta dalla bramosia. Non rivolga troppo spesso gli occhi alla appariscente bellezza di una prostituta. La ragazza non sollevi lo sguardo al volto del giovane. Se ha per caso guardato ed è rimasta colpita, lo sarà ancora maggiormente, se curiosa fisserà gli occhi.La consuetudine, almeno, ci sia maestra. La donna si vela il capo perché il suo pudore sia salvaguardato tra la folla, perché il volto si sottragga facilmente agli occhi del giovane. E' necessario che si ricopra del velo nuziale per non essere esposta a causa di occasionali incontri a ferite infertele da altri o che sia essa a cagionare. La piaga, comunque, in entrambi i casi, è lei a subirla. E se si vela il capo perché non sia vista o sia essa a vedere - quando la testa è coperta, il volto anche è nascosto -, ancora di più deve ammantarsi del velo del pudore, affinché, anche in mezzo alla folla, rimanga come appartata.Ammettiamolo pure: l'occhio si è casualmente posato. L'animo, però, non si soffermi con desiderio. Non è colpa il vedere, ma dobbiamo guardarci che da esso scaturisca il peccato. L'occhio corporale vede, il pudore dell'animo, tuttavia, tenga a freno gli occhi del cuore. Abbiamo il Signore maestro di spiritualità e, a un tempo, di dolcezza. Il profeta ha detto: "Non guardare alla bellezza di una cortigiana". Il Signore, tuttavia, ha affermato: "Chiunque guarderà una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore". Non ha detto: "Chiunque guarderà" ha commesso adulterio, ma "chiunque guarderà per desiderarla". Non vuole imporre limiti di sorta alla vista, bensì fa questione di sentimento. Santo è il pudore che ama tenere a freno gli occhi del corpo, così che spesso non vediamo addirittura ciò che ci è innanzi. Apparentemente l'occhio vede ogni cosa che gli si para davanti, ma se non si aggiunge l'intenzione, questo nostro vedere, di cui la carne ci dà possibilità, riesce vano.Dunque, vediamo con la mente più che con il corpo. La carne abbia pure veduto il fuoco, non teniamoci, però, la fiamma stretta in grembo, nel segreto, cioè, della mente, nell'intimo dell'animo. Non facciamo penetrare il fuoco nelle ossa, non incateniamoci da noi stessi, non parliamo con gente

Page 127: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

127

da cui emani ardente la fiamma della colpa. L'eloquio della ragazza è nodo che avvince i giovani. Le parole dell'adolescente sono lacci d'amore per la giovinetta.Giuseppe fece esperienza di un fuoco del genere, allorché la femmina desiderosa d'adulterio gli parlò. La donna meditò di adescarlo con le sue parole. Ricorse alle malizie tutte delle labbra, non riuscì, però, ad imprigionare l'uomo casto. La voce del pudore, la serietà dell'eloquio, le briglie della prudenza, l'ossequio della fede, l'esercizio della castità, sciolsero i lacci che la donna intendeva stringere. La svergognata non poté accalappiarlo con le sue reti. Tese la mano e lo afferrò alla veste per stringere il nodo. Le parole della donna sfacciata sono le reti della cupidigia, la mano il vincolo della sua passione. Non reti, non lacci ebbero ragione dell'uomo casto. Scosse via la veste, il nodo fu sciolto. Non trattenne la fiamma nel grembo della mente e impedì, pertanto, che la carne si bruciasse.Non comprendi, dunque, che il nostro animo è la fonte del peccato? La carne è innocente, ma per lo più è lo strumento della colpa. Pertanto, non ti lasciare soggiogare dal desiderio che suscita la bellezza. Il diavolo tende reti infinite, tagliole di ogni specie. L'occhio della cortigiana è il laccio che accalappia l'amante. I nostri occhi stessi sono reti. Sta scritto: "Non lasciarti adescare dai tuoi occhi". Noi medesimi tendiamo le reti che ci avvolgono e stringono. Siamo noi ad intrecciarci nodi. Perciò, si legge: "Ciascuno è catturato con le funi dei suoi peccati".Orsù, passiamo attraverso il fuoco dell'adolescenza, le fiamme dell'età giovanile. Attraversiamo l'acqua, ma non indugiamo in essa, per non restare sommersi nel profondo delle fiumane. Varchiamole, dunque, così da dire: "L'anima nostra è passata attraverso le acque impetuose". Se uno, infatti, riesce a superarle è salvo. D'altronde, il Signore afferma: "Se dovrai attraversare le acque, io sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno". Il profeta dice: "Ho visto l'empio trionfante ergersi al di sopra dei cedri del Libano; sono passato e non c'era più". Passa, dunque, attraverso le vanità del secolo e vedrai del tutto fiaccata la tracotanza degli empi. Anche Mosè, varcando i fiumi di questo mondo, ebbe una visione sublime, e disse: "Passerò attraverso, contemplerò questo meraviglioso spettacolo". Se avesse perseverato nei vizi del corpo, nelle fallaci passioni del secolo, non avrebbe contemplato i misteri ineffabili.Varchiamo, dunque, anche noi questo fuoco dell'incontinenza. Paolo non ne ha avuto certo paura: se lo ha temuto, è stato soltanto per amore nostro. Infliggendo, infatti, castighi al corpo, lo aveva messo in condizione di non nutrire paura per sé. Dice: "Fuggite la fornicazione". Fuggiamo, dunque, lontano dalla lussuria che ci incalza, ci insegue, e non è già alle nostre spalle, bensì in noi stessi. Guardiamoci dal trascinarcela con noi, mentre cerchiamo in ogni modo di sfuggirle. Siamo, sì, disposti spesso a sottrarci a lei, ma se non la eliminiamo, ce la portiamo con noi invece di disfarcene. Passiamole, dunque, attraverso con un salto, perché non ci dica: "Camminate nelle fiamme del vostro fuoco che avete acceso per voi". Come chi "porta il fuoco nel petto si brucia le vesti", così chi cammina sul fuoco non può non bruciarsi i piedi. Sta scritto: "Chi camminerà sulla brace senza scottarsi i piedi?".Il fuoco è esiziale. Non alimentiamolo con la dissolutezza. La lussuria si pasce di imbandigioni, si nutre di piacevoli raffinatezze, si infiamma con le libagioni, divampa allorché siamo ubriachi. Ma ancora più funesti sono gli allettamenti delle parole che inebriano l'animo con il vino, per così dire, della vite di Sodoma. Guardiamoci, tuttavia, anche dall'uso del vino che è a nostra disposizione e per il cui effetto la carne diventa ebbra, la mente vacilla, l'anima tentenna, il cuore ondeggia. Il precetto con cui Paolo esorta Timoteo: "Fa' uso di un po' di vino a causa delle tue frequenti malattie", vuole significare che se il vino, da un lato, quando il corpo è in balia delle passioni, ne accresce il peccaminoso ardore, dall'altro, somministrato, invece, quando la carne è resa gelida dalla malattia, dà sollievo allo spirito. Se il corpo è in preda del dolore, la mente è afflitta, la tua tristezza, però, si muterà in gioia.

Page 128: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

128

Non avere, perciò, timore, se la tua carne è data in pasto: la tua anima non è divorata. David dice di non avere paura, poiché, come leggiamo, i nemici mangiavano la sua carne, non lo spirito: "Quando mi assalgono i malvagi per straziarmi la carne, sono essi, i nemici che mi tormentano, a inciampare e a cadere". Il serpente cagiona morte soltanto a se stesso. Chi egli stritola gli è affidato perché lo faccia risorgere dopo averlo abbattuto e la resurrezione dell'uomo diventi la sconfitta della belva. Nella Scrittura Paolo ci addita in Satana l'autore della distruzione e infermità della carne e del corpo: "Mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di Satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia". Paolo ha imparato a curare i malati con le medicine medesime che hanno restituito a lui la vita.

Capitolo 15Da buon maestro ha promesso l'uno o l'altro dei farmaci, ma ha finito col fare dono di entrambi. E' venuto "con il bastone", poiché ha allontanato dalla santa comunione chi si era macchiato di colpa. A ragione, appunto, è detto che chi viene separato dal corpo di Cristo è dato in balia a Satana. Ma è venuto anche "con amore e spirito di dolcezza", sia perché ha abbandonato il reo nelle mani di Satana in maniera, però, da salvarne l'anima, sia perché ha reintegrato nei sacramenti chi prima aveva escluso.E' necessario, infatti, da una parte, che chi è caduto in colpa grave resti segregato, perché "un poco di lievito" non faccia fermentare "tutta la pasta", dall'altra, che il vecchio lievito sia purificato. Occorre, cioè, sia purificare in ciascuno l'uomo vecchio, l'uomo esterno con le sue azioni, sia nella moltitudine chi ha messo radici nel peccato e si è infangato di colpe di ogni specie. Opportunamente è detto che bisogna purificarlo, non già gettare via. Ciò che è mondato serve ancora: è, infatti, purificato, affinché l'utile che presenta sia separato dall'inutile. Ciò che, invece, è gettato via non offre possibilità d'impiego.Già da allora, perciò, l'Apostolo ha ritenuto che il reo dovesse essere reintegrato nei sacramenti, se manifestasse la volontà di essere mondato. A ragione dice "purificate". Chi è redento dal peccato e mondato nell'animo in forza delle preghiere e del pianto di tutti, consegue la purificazione mediante le opere dell'intero popolo ed è lavato dalle lacrime del medesimo. Cristo, infatti, ha permesso che la Chiesa, la quale meritò in grazia del suo avvento che tutti fossero salvi ad opera di uno solo, potesse riscattare uno solo ad opera di tutti.Questo è il significato del pensiero di Paolo, che le parole non rendono chiaro. Riflettiamo ora sull'espressione usata dall'Apostolo: "Purificate il lievito vecchio per essere pasta nuova, poiché siete azzimi". La Chiesa, da una parte, si addossa il peso del peccatore verso il quale deve dimostrare pietà con pianto, preghiera, afflizione. Deve, cioè, aspergersi, per così dire, completamente del suo lievito, affinché i residui di colpa nel penitente siano purificati ad opera di tutti, in virtù, direi, di un'azione collettiva di misericordia e di pietà scevre di debolezza. D'altra parte, poi, la Chiesa, come ce lo insegna la donna del Vangelo, che di essa, appunto, è simbolo, mescola il fermento nella farina, finché l'intera massa lieviti in modo che possa essere consumata in tutta la sua purezza.Il Signore mi ha insegnato nel Vangelo di quale lievito si tratti. Dice: "Non capite che non alludevo al pane, quando vi ho detto: Guardatevi dal lievito dei Farisei e dei Sadducei? Allora essi compresero che egli non aveva detto che si guardassero dal pane, ma dalla dottrina dei Farisei e dei Sadducei". Questo è, dunque, il lievito, l'insegnamento, cioè, dei Farisei e il disputare dei Sadducei, che la Chiesa intride nella sua farina, mitigando il significato letterale troppo duro della legge mediante l'interpretazione spirituale e frantumandolo con la macina delle sue argomentazioni. Trae, per così dire, dall'involucro del senso letterale quello più profondo, ineffabile dei misteri e infonde

Page 129: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

129

la fede nella resurrezione, in virtù della quale si celebra la pietà di Dio e si crede che i morti risuscitino.Né mi sembra fuori luogo la similitudine a proposito del passo evangelico, se è vero che regno dei cieli e riscatto del peccatore costituiscono un tutt'uno. Buoni o cattivi, cospargiamoci della farina della Chiesa, affinché tutti diventiamo nuova pasta. Il Signore, perché nessuno temesse che la mescolanza di un lievito corrotto alterasse la massa, ha detto: "Affinché siate nuova pasta, poiché siete azzimi". L'impasto, cioè, vi restituirà alla purezza perfetta della vostra innocenza. Quindi, allorché proviamo pietà, noi non siamo infangati dalla colpa di un altro, bensì dobbiamo ascrivere il riscatto del reo a grazia concessaci, senza che la nostra primitiva purezza subisca alterazioni. Perciò, ha aggiunto: "Cristo nostra Pasqua, è stato immolato". La passione di Gesù ha arrecato universale beneficio, ha donato la redenzione ai peccatori pentitisi delle ignominie perpetrate.Nell'attendere alla penitenza, lieti in vista del riscatto, "imbandiamo dunque" il buon cibo. Non vi è alimento più soave della dolcezza, della misericordia. All'imbandigione, alla gioia non si mescoli invidia nei riguardi del peccatore redento, affinché il fratello acrimonioso di cui parla il Vangelo non si escluda da se medesimo dalla casa del padre. Mostrò, infatti, risentimento verso chi era stato accolto, giacché si augurava in cuor suo che fosse, invece, per sempre bandito.Voi Novaziani siete del tutto simili a costui, non potete negarlo. Avete, infatti, rinunziato, come dite, a radunarvi nella Chiesa, poiché era stata data speranza ai lapsi di ritornare nel suo grembo in virtù della penitenza. Ma è pretesto specioso questo che avanzate. Novaziano, in verità, tramò lo scisma, in seguito al grave colpo della mancata elezione a vescovo.Non capite, dunque, che l'Apostolo ha fatto la profezia nei vostri riguardi? Non dite a voi forse: "Siete gonfi d'orgoglio piuttosto che esserne afflitti, in modo che si tolga di mezzo a voi chi ha compiuto una tale azione"? Non c'è dubbio che il reo allora è tolto di mezzo, quando la colpa è cancellata. L'Apostolo non afferma che il peccatore deve essere bandito dalla Chiesa, allorché consiglia di purificarlo.

Capitolo 16Se l'Apostolo ha condonato la colpa, appellandovi a quale autorità, voi sostenete, invece, che non si deve concedere il perdono? Chi più ubbidiente alla legge di Cristo, Novaziano o Paolo? L'Apostolo sapeva che il Signore è misericordioso e che si mostra offeso dal rigore eccessivo e non già dalla clemenza dei discepoli.Giacomo e Giovanni dicevano di invocare dal cielo il fuoco che consumasse le persone non disposte ad accogliere il Signore. Gesù, però, li ha rimproverati, dicendo: "Non sapete di quale spirito siete. Il Figlio dell'uomo, infatti, non è venuto per condurre alla perdizione le anime degli uomini, ma per salvarle". Ha detto: " Non sapete di quale spirito siete", poiché erano del suo medesimo. A voi, invece, dice: Non siete del mio spirito, giacché non emulate la mia clemenza, ripudiate la mia pietà, rinnegate la penitenza che volli venisse praticata nel mio nome dai miei apostoli.Invano dite di annunziare la penitenza, se non ne ammettete il frutto. Le ricompense, gli utili, ci sono di stimolo al lavoro. Gli uomini sono sollecitati a una qualche attività o dai premi o dai frutti, ed ogni impegno viene meno con la dilazione dei premi e dei frutti. Il Signore, affinché la fede dei discepoli diventasse più ardente in virtù dei profitti immediati, ha detto che chi, abbandonati tutti i propri beni, lo seguisse, riceverebbe "sette volte tanto" nella vita presente e nella futura. Ha promesso "in questa vita" per togliere ogni senso di fastidio che potesse derivare dalla dilazione. Ha aggiunto "nella futura", perché già nella presente tu imparassi a credere che ti sono dovute ricompense in quella a venire. Il provento di beni immediati è garanzia di futuri.

Page 130: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

130

Se, pertanto, chi è reo di colpe esercita la penitenza per amore di Cristo, come può essere ricompensato "in questa vita" se non lo riammettete alla comunione dei fedeli? E' mia volontà che il colpevole nutra speranza nel perdono, lo domandi con le lacrime, lo chieda con i gemiti, lo invochi con il contributo di pianto di tutto il popolo, e scongiuri perché gli sia usata clemenza. Se due, tre volte la sua riammissione non è stata consentita, sia convinto di non avere innalzato suppliche con il dovuto ardore. Versi lacrime più copiose, si ripresenti ancora più miserabile nell'aspetto, abbracci i piedi, li lavi con il pianto, non se ne distacchi, finché Gesù dica di lui: "Gli sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato".Ho conosciuto persone che nell'esercitare la penitenza hanno scavato il volto con le lacrime, solcato le guance con il pianto irrefrenabile, disteso a terra il corpo perché tutti lo calpestassero. Con il volto scarno e pallido per il digiuno hanno rivelato fattezze di morte in un corpo ancora vivo.

Capitolo 17Attendiamo forse che essi da morti ottengano il perdono, se già da vivi hanno rinunziato alla vita? L'Apostolo dice: "Per quel tale è già sufficiente il castigo che gli è venuto dai più, cosicché voi dovreste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo perché egli non soccomba a eccessiva tristezza". Come "il castigo che gli è venuto dai più" è sufficiente alla punizione, così la preghiera innalzata dai più lo è al perdono. Il Maestro di spiritualità, consapevole della nostra debolezza e interprete della bontà divina, esige che si rimetta il peccato. Vuole che si presti opera di conforto, affinché il penitente non soccomba a tristezza per la stanchezza cagionatagli da un lungo rinvio.L'Apostolo ha , perciò, concesso il perdono. Né soltanto lo ha elargito, ma ha voluto che l'amore di carità verso il peccatore fosse più intenso ancora. Chi è caro a Dio non è spietato, ma mite. Né si è limitato a perdonare, bensì ha voluto che tutti lo imitassero. Ha detto che è stato misericordioso per amore del prossimo, perché molti non si rattristassero per una sola persona: "A chi voi avete perdonato, perdono anche io, e lo faccio per voi davanti a Cristo, perché non cadiamo in balia di Satana, di cui non ignoriamo le macchinazioni". Con accortezza gira alla larga dal serpente chi è consapevole dei suoi tranelli infiniti ed esiziali. Il demonio non trama che il male. Ci è sempre intorno per cagionare morte. Dobbiamo, perciò, stare all'erta, perché quello che dovrebbe essere per noi il farmaco non diventi per lui materia di trionfo. Faremmo il suo gioco, se chi potesse salvarsi mediante il perdono, dovesse dannarsi a causa dell'afflizione eccessiva.Perché fosse poi chiaro che allude al peccatore che ha ricevuto il battesimo, ha aggiunto: "Vi ho scritto nella lettera di non mescolarvi con gli impudichi di questo mondo". E più avanti: "Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello ed è impudico o avaro o idolatra". I rei che aveva stretti al medesimo giogo in vista del castigo, ha voluto che lo fossero anche al fine di ottenere il perdono. Aggiunge: "Con questi tali non dovete neanche mangiare insieme". Quanta severità nei riguardi degli ostinati, eppure quanta benevolenza verso coloro che pregano! Contro gli uni si leva in armi giacché Cristo è stato offeso, a favore degli altri invoca il soccorso del Signore.Ma sta scritto: "Ho dato questo individuo in balia di Satana per la morte della sua carne". Qualcuno, pertanto, potrebbe turbarsi e domandare: "Come può avere ottenuto il perdono, se la carne è morta del tutto? Non è forse chiaro che l'uomo redento sia nel corpo che nell'anima è anche salvato sia nell'uno che nell'altra? Possono, di conseguenza, l'anima senza il corpo, o il corpo senza l'anima, indissolubilmente legati come sono nell'azione, nell'opera, essere partecipi del castigo o del premio?". Si risponda che nel passo in esame "morte" non significa totale annientamento, bensì castigo della carne. Chi è morto al peccato vive in Dio. Le lusinghe, perciò, della carne cessano. Essa muore ai desideri per rinascere alla castità e alle opere sante.Quale esempio migliore di quello che ci offre la madre di tutti? La terra, dal cui grembo siamo tratti, se interrompiamo l'assiduo lavoro dei campi, appare squallida, muore quasi ai vigneti, agli oliveti in

Page 131: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

131

essa piantati. Non perde, tuttavia, la linfa vitale, quella che potremmo dire la sua anima. In seguito, infatti, se riprendiamo a coltivarla e gettiamo i semi che maggiormente si adattano alla natura del terreno, risorge, dando frutti più rigogliosi. Non deve, dunque, sembrare strano se è detto che la nostra carne muore. Dobbiamo, cioè, intendere che non ha per sempre cessato di vivere, ma è stata repressa la sua inclinazione al peccato. 

LIBRO SECONDOCapitolo 1

Nel libro precedente abbiamo trattato non pochi argomenti che incoraggiano a far penitenza. Poiché, tuttavia, è possibile aggiungerne ancora molti altri, è nostra intenzione proseguire nel banchetto cui è stato dato inizio, perché non sembri che abbiamo lasciato rosicchiati per metà i cibi apprestati dal nostro argomentare.E' necessario esercitare la penitenza con zelo, ma anche con tempestività. Ciò, ad evitare che il padre di famiglia della parabola evangelica, il quale piantò l'albero di fico nella sua vigna, non venga a ricercare su di esso il frutto e, non trovandolo, dica al vignaiolo: "Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno?". L'albero verrebbe abbattuto, se non lo impedisse il vignaiolo che dice: "O padrone, lascialo ancora quest'anno, finché io gli zappi attorno e vi metta il concime"; soltanto nel caso che il rimedio riesca inutile, il fico venga allora reciso.Spargiamo, perciò, anche noi il concime su questo campo di cui siamo i proprietari. Seguiamo l'esempio degli agricoltori operosi, i quali senza vergogna nutrono la terra con grassa fanghiglia e cospargono i campi di sporca cenere allo scopo di raccogliere più abbondanti i frutti.L'Apostolo insegna come concimare, quando dice: "Stimo spazzatura tutti i beni del mondo, al fine di guadagnare Cristo". Egli "sia nella cattiva che nella buona fama" si è guadagnato di riuscire a lui gradito. Aveva infatti letto che Abramo, mentre ammetteva di essere polvere e cenere, si procurò con la sublime umiltà la grazia di Dio; così anche che Giobbe, sedendo in mezzo alla cenere, ottenne di nuovo tutto ciò che aveva perduto. Ancora, aveva letto il vaticinio di David: Dio solleva "l'indigente dalla polvere" e rialza "il povero dall'immondizia".Confessiamo, dunque, anche noi al Signore i nostri peccati senza rossore. Certamente, incute vergogna il mettere a nudo le colpe, ma questa vergogna, appunto, ara il suo podere, recide le spine eterne, toglie via i pruni, fa prosperare i frutti che ritenevi morti per sempre. Segui le orme di chi arando convenientemente il suo terreno si procacciò frutti eterni. L'Apostolo dice: "Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, preghiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo". Anche tu, se arerai in questo modo, spargerai semi spirituali. Ara, per stroncare il peccato, per procurarti il frutto. L'Apostolo ha arato per recidere nel suo io lo stato d'animo del persecutore. Quale incoraggiamento più grande ci poteva essere dato da Cristo perché aspirassimo al nostro miglioramento, quanto il convertire e assegnarci come maestro chi era stato persecutore?

Capitolo 2Tuttavia, anche se confutati dal manifesto esempio di Paolo e dei suoi scritti, i Novaziani si ostinano a muovere cavilli. L'autorità della parola dell'Apostolo, affermano, è loro di garanzia. A prova, adducono il passo della lettera agli Ebrei: "Quelli che furono una volta illuminati, gustarono il dono celeste, diventarono partecipi dello Spirito Santo e gustarono la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro, è impossibile che, caduti, si rinnovino una seconda volta, di nuovo crocifiggendo il Figlio di Dio e pubblicamente trionfando".Sarebbe forse in Paolo incoerenza tra parola e azione? Egli ha rimesso la colpa al peccatore di Corinto in virtù della penitenza: come avrebbe poi potuto ripudiare la sua decisione? Ovviamente,

Page 132: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

132

giacché mai avrebbe potuto demolire il suo edificante insegnamento, dobbiamo ritenere che non ha espresso un concetto antitetico, ma soltanto diverso. Noi diciamo antitetico un pensiero che è in contrasto con se stesso; diverso, invece, un pensiero che ha una sua ragione di essere. Non è, dunque, da considerare antitetico un concetto che non è in opposizione bensì a sostegno di un altro. Una volta trattato il tema relativo alla necessità di perdonare chi esercitasse la penitenza, l'Apostolo non poteva tacere di chi ritiene che il battesimo debba ripetersi. Prima, quindi, è stato necessario rassicurarci che, se alcuni cadessero in colpa postbattesimale, sarebbe stato loro perdonato, affinché, disperando essi nell'indulgenza, la stolida illusione di ripetere il battesimo non li conducesse fuori di strada. Successivamente, ha creduto necessario convincerci con logica argomentazione che il battesimo non deve essere rinnovato.L'Apostolo si è riferito, dunque, al battesimo. Lo desumiamo agevolmente dalle parole con cui ha espresso l'impossibilità "che, caduti, si rinnovino in forza della penitenza". Ci rinnoviamo, infatti, in virtù del battesimo. Mediante questo sacramento nasciamo una seconda volta, come asserisce lo stesso Paolo: "Siamo stati sepolti con lui nella morte mediante il battesimo, perché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova". In altro passo: "Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l'uomo nuovo creato secondo Dio". Ancora: "La tua gioventù sarà rinnovata come quella dell'aquila". L'aquila, infatti, dopo la morte rinasce dalle sue ceneri, così come noi, una volta morti al peccato, di nuovo, in virtù del sacramento del battesimo, nasciamo a Dio, di nuovo siamo creati. Uno solo, perciò egli insegna, è il battesimo. Appunto, in altro luogo afferma: "Una sola fede, un solo battesimo".E' evidente, in chi viene battezzato è crocifisso il Figlio di Dio. Mai la nostra carne avrebbe potuto cancellare il peccato, se non fosse stata crocifissa in Cristo. Perciò, sta scritto: "Tutti noi che siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella sua morte". Più avanti: "Se, infatti, siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua resurrezione; sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui". Dice ai Colossesi: "Siete stati sepolti con lui nel battesimo, in lui siete anche stati risuscitati". Così sta scritto, affinché crediamo che Cristo medesimo viene crocifisso in noi, perché in virtù sua i nostri peccati siano mondati ed egli, che è il solo a poter rimettere le colpe, affigga alla croce il documento scritto del nostro debito. Trionfa in noi sui Principati e Potestà, giacché sta scritto: "Ha fatto pubblico spettacolo dei Principati e Potestà, trionfando su di loro in se medesimo".Dunque, ciò che afferma nella lettera agli Ebrei: "E' impossibile che, caduti, si rinnovino in forza della penitenza, una seconda volta crocifiggendo il Figlio di Dio e trionfando pubblicamente", bisogna credere che è stato detto a proposito del battesimo in cui crocifiggiamo in noi il Figlio di Dio, affinché per opera sua il mondo sia crocifisso a noi. E meniamo, in certo senso, un trionfo mentre assumiamo una morte simile alla sua. Infatti "ha fatto pubblico spettacolo" sulla croce "dei principati e Potestà" e ha su di loro trionfato, affinché anche noi, a somiglianza della sua morte, trionfassimo sui Principati, con il sottrarci per sempre al loro giogo. Una sola volta Cristo è stato crocifisso, una sola volta "è morto al peccato": non ci sono, dunque, più battesimi, ma uno soltanto.Che dire poi a proposito di questo insegnamento relativo ai battesimi, del quale Paolo ha parlato nel passo che precede quello in esame? Poiché nella legge ne erano consentite varie forme, a ragione biasima coloro che indagano le verità elementari del Verbo e trascurano ciò che è perfetto. Ci ammaestra che sono state completamente distrutte tutte le specie di battesimi della legge e che uno è il battesimo nei sacramenti della Chiesa. Pertanto, ci esorta ad abbandonare le verità elementari del Verbo e a mirare al perfetto. Dice: "Questo intendiamo fare, se Dio lo permette". Senza l'aiuto del Signore, nessuno può raggiungere la perfezione.

Page 133: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

133

Potrei ancora dire a chi sostiene che il passo si riferisce alla penitenza: "le cose impossibili all'uomo, non lo sono a Dio". Quando vuole, il Signore può perdonare i peccati, anche quelli che disperiamo possano essere rimessi. Dunque, Dio può rimettere ciò che appare a noi impossibile ad ottenersi. Sembrava anche cosa assurda che il peccato fosse cancellato con il lavacro. Naaman Siro, appunto, non credette che in questo modo potesse essere sanata la lebbra che lo tormentava. Dio, però, che ci ha fatto dono di una così grande grazia, diede concretezza a ciò che appariva irrealizzabile. Parimenti, sembrava impossibile che venissero rimessi i peccati ad opera della penitenza. Eppure Cristo concesse questa potestà agli Apostoli ed essi la trasmisero all'ufficio sacerdotale. L'impossibile è diventato realtà. L'Apostolo, tuttavia, ci fa comprendere con il suo veritiero argomentare che egli ha inteso parlare del battesimo, perché nessuno avesse in animo di ripetere il sacramento.

Capitolo 3Né, d'altra parte, l'Apostolo si sarebbe schierato contro l'insegnamento così limpido di Cristo, il quale a proposito del peccatore che fa penitenza si è valso di una similitudine. Infatti, il giovane "partito alla volta di un paese straniero", dilapidò l'intero patrimonio ricevuto dal padre, menando vita dissipata. Poi, costretto a nutrirsi di ghiande, sentì vivo il rimpianto dei pani del genitore. Eppure fu ritenuto degno dell'anello, dei calzari e, per giunta, del sacrificio di un vitello, sacrificio simbolo della passione del Signore mediante la quale ci è stato elargito il sacramento celeste.Bene a proposito è detto "partito alla volta di un paese straniero", giacché si era tenuto lontano dai sacri altari. Il che significa, vivere segregato dalla Gerusalemme celeste, dall'abitazione civica, per così dire, e familiare dei santi. Perciò l'Apostolo afferma: "Dunque, non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio".Sta scritto: "Dilapidò il suo patrimonio". A proposito, è detto lo "dilapidò", giacché la fede del giovane vacillava nelle opere. La "fede" è "fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono". E' la solida base su cui poggia interamente la nostra speranza.Né appaia strano che languisse per fame chi sentiva mancanza del cibo divino. Sentendone, appunto, privazione, disse: "Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre ho peccato contro il cielo e contro di te". Non comprendete forse che ci è detto con chiarezza che se siamo esortati a pregare, è, appunto, per renderci meritevoli del sacramento? Voi, Novaziani, vorreste, invece, privarci del frutto della penitenza? Togli al timoniere la speranza dell'approdo: si aggirerà senza meta nel mezzo delle onde. Nega la corona al lottatore: neghittoso se ne starà sdraiato nell'arena. Priva il pescatore del provento della pesca: subito smette di gettare le reti. Pertanto, chi soffre la fame della sua anima, come potrebbe con devozione pregare Dio, se non avesse fede nel divino nutrimento?Il figliol prodigo dice: "Ho peccato contro il cielo e contro di te". Confessa il peccato che cagiona morte, affinché non crediate che sia a ragione ripudiato chi fa penitenza di una qualsiasi colpa. Ha peccato "contro il cielo", cioè, contro il regno celeste o contro l'anima sua; ha commesso peccato mortale, e al cospetto di Dio al quale è detto: "Ho peccato contro te solo e ho fatto ciò che è male innanzi a te".Eppure così prontamente si guadagna il perdono, che , al suo ritorno, quando si trovava "ancora lontano", il padre muove a lui incontro e "lo bacia" con il bacio simbolo della santa pace. Comanda che "si porti la lunga veste", l'abito, cioè, nuziale, senza il quale si è scacciati dal banchetto. Gli "pone al dito l'anello", il pegno della fede, il contrassegno dello Spirito Santo. Ordina che siano portati "i calzari". Infatti, chi è sul punto di celebrare la Pasqua del Signore e sta per mangiare l'agnello deve necessariamente avere il piede al riparo dagli assalti degli spiriti del male e dai morsi del serpente. Comanda che sia sacrificato "il vitello", poiché "Cristo, nostra Pasqua, è stato

Page 134: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

134

immolato". Ogni volta che assumiamo il sangue di Cristo, annunciamo la morte del Signore. Come egli si è immolato per tutti una sola volta, così, ogni volta che ci sono rimessi i peccati, assumiamo il sacramento del suo corpo, per riscattarci dalle colpe mediante il suo sangue.La parola del Signore ha stabilito senza possibilità di equivoco che la grazia del sacramento deve essere restituita alle persone che si sono macchiate di colpe quanto vuoi infamanti, purché ne facciano ammenda con cuore contrito e con confessione sincera. E' ovvio, dunque, che voi Novaziani non avete possibilità di legittimare la vostra condotta.

Capitolo 4Siamo a conoscenza che siete soliti muoverci obiezioni, perché sta scritto: "Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro". Eppure, sulla base di questo passo, ogni vostra obiezione è distrutta, annientata. Sta scritto: "Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonato agli uomini". Perché voi non perdonate? Perché stringete legami che non sciogliete? Perché intrecciate nodi che non allentate? Perdonate, almeno, gli altri ed emettete pure verdetto di condanna nei riguardi di persone che voi sulla base del testo del Vangelo ritenete che non possano mai più ottenere clemenza, giacché hanno peccato contro lo Spirito Santo.Vediamo, però, quali persone sono queste che il Signore incatena, considerando i passi che precedono quello in esame, così da avere idee più chiare al riguardo. I Giudei dicevano: "Costui scaccia i demoni in nome di Beelzebub, principe dei demoni". Gesù ha risposto: "Ogni regno discorde cada in rovina, e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. Ora se Satana scaccia Satana, egli è discorde con se stesso. Come potrà, dunque, reggersi il suo regno? E se io scaccio i demoni in nome di Beelzebub, i vostri figli in nome di che li scacciano?".Possiamo constatare che si allude alle persone che andavano dicendo che Gesù scacciava i demoni ad opera di Beelzebub. Il Signore ha loro risposto che l'eredità di Satana era passata a chi paragonava il Salvatore di tutti al demonio e riponeva la grazia di Cristo nel regno del diavolo. Poiché ci convincessimo che aveva alluso a questa bestemmia, ha aggiunto: "Razza di vipere, come potete dire cose buone voi che siete cattivi?". Pertanto afferma che non può toccare il perdono alle persone che così bestemmiano.Simone, depravato dalla pratica della magia, si era illuso di potersi procurare con il denaro la grazia che Cristo dava mediante l'imposizione della mano e l'infusione dello Spirito Santo. Pietro, pertanto, gli dice: "Non v'è parte né sorte alcuna per te in questa cosa, perché il tuo cuore non è retto, davanti a Dio. Pentiti, dunque, di questa tua iniquità e prega il Signore se mai ti sia perdonato questo pensiero. Ti vedo, infatti, chiuso nei lacci dell'iniquità e in file amaro". Puoi constatare che Pietro avvalendosi dell'autorità apostolica condanna chi bestemmiava contro lo Spirito Santo nella folle vanità di essere mago. Maggiormente lo reputa colpevole in quanto mostrava di non avere pura consapevolezza della fede. Nonostante ciò, non lo privò della speranza del perdono, anzi lo invitò al pentimento.Il Signore, dunque, ha risposto alla bestemmia dei Farisei. Non concede loro la grazia che proviene dalla sua potestà e che consiste nella remissione delle colpe. Essi, infatti, pensavano che il celeste potere del Signore si fondasse sul soccorso del diavolo. Afferma anche che erano soggetti allo spirito del male, poiché gettavano il seme della discordia nella Chiesa del Signore. Con le sue parole allude agli eretici, agli scismatici di ogni tempo, ai quali nega il perdono. Se ogni colpa ricade sul singolo che la commette, quella degli scismatici fa risentire i suoi effetti su tutti. Soli si propongono di annullare la grazia di Cristo, riducono a brandelli le membra della Chiesa per amore della quale Gesù ha patito e ci ha fatto dono dello Spirito Santo.

Page 135: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

135

Infine, perché sappiate che parla dei rei di scisma, sta scritto: "Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde". A maggior chiarimento ha aggiunto: "Perciò, dico a voi: qualunque peccato o bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata". Quando dice: "Perciò, dico a voi", non ha manifestato forse il proposito che noi comprendessimo ciò soprattutto? A ragione ha aggiunto: "L'albero buono produce buoni frutti, il cattivo, invece, frutti cattivi". Una comunità di malvagi non può produrre che frutti cattivi. L'albero, dunque, è la Chiesa, i frutti dell'albero buono i figli della medesima.Ritornate, dunque, nel grembo della Chiesa, se mai ve ne siete allontanati sacrilegamente. Ai peccatori che si convertono è assicurato il perdono. Sta scritto: "Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato". Il popolo dei Giudei che diceva nei riguardi di Gesù: "Egli ha un demonio", "Scaccia i demoni nel nome di Beelzebub", e che ha crocifisso il Signore, è chiamato al battesimo dalla parola di Pietro, perché si alleggerisca dell'ignominioso peso di infamia così grande.Non dobbiamo stupirci se voi che ripudiate la vostra salvezza, la neghiate agli altri, siano pure costoro che vi domandano di fare penitenza gente della vostra risma. L'ineffabile misericordia del Signore, a mio giudizio, non avrebbe rifiutato neppure a Giuda il perdono, se avesse fatto atto di pentimento, non al cospetto dei Giudei, ma di Cristo. Dice: "Ho peccato, poiché ho tradito il sangue innocente". La risposta: "Che ci riguarda? Veditela tu". Parlate forse diversamente voi, quando chi ha commesso una colpa anche minore vi confessa il proprio peccato? Che altro rispondete se non: "Che ci riguarda? Veditela tu". Parole del genere comportano la corda, e il castigo è tanto più ferale quanto minore è la colpa.Ma se essi non intendono convertirsi, fatelo almeno voi che, commettendo colpe di natura diversa, siete precipitati in basso dalle alte vette dell'innocenza e della fede. Abbiamo "un buon Padrone" che è disposto a perdonare tutti. Ti ha invitato per bocca del profeta, dicendo: "Io, io cancello i tuoi peccati e non ne conserverò ricordo. Tu, però, siine memore e lasciamoci giudicare".

Capitolo 5Muovono, tuttavia, cavilli a proposito delle parole dell'Apostolo, poiché ha detto "se mai", e pensano che Pietro non abbia affatto garantito la remissione dei peccati al penitente. Ma si soffermino un po' a considerare di chi parla. Simone non credeva secondo fede, ma tramava soltanto frodi. Anche il Signore a chi gli dice: "Ti seguirò", risponde: "Le volpi hanno le loro tane". Se, dunque, il Signore in persona ha vietato che chi egli vedeva subdolo lo seguisse, quale stupore che l'Apostolo non abbia assolto chi dopo il battesimo si è allontanato da Dio e, come egli ha detto, era avvinto nei lacci dell'infamia?.Questa sia risposta sufficiente alle obiezione dei Novaziani. Io, d'altra parte, sono dell'opinione che né Pietro abbia dubitato, né che, trattandosi di questione così importante, si debba togliere ad essa ogni credito per il condizionamento causato da un solo vocabolo. Ammettiamo che Pietro si sia mostrato reticente: non forse anche Dio che dice al profeta Geremia: "Sta' nell'atrio della casa del Signore e riferisci a tutte le città di Giuda, che vengono per adorare nel tempio del Signore, tutte le parole che ti ho comandato di annunziare loro; non tralasciare neppure una parola: forse presteranno ascolto e torneranno"? Si affermi, dunque, che Dio ignorava il futuro.In verità con quel vocabolo non si esprime affatto l'idea del dubbio. E' da notare che un uso del genere è frequente nelle divine Scritture, data la semplicità del loro linguaggio. Il Signore, ad esempio, dice ad Ezechiele: "Figlio dell'uomo, ti invierò alla casa di Israele, da coloro che mi hanno amareggiato, essi e i loro padri sino ad oggi, e dirai loro: Il Signore dice queste parole, se mai ascolteranno e ne proveranno terrore". Dio ignorava se si sarebbero convertiti o meno? L'espressione, quindi, non è sempre di chi dubita.

Page 136: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

136

Del resto, anche gli antichi sapienti di questo mondo, i quali fanno consistere tutta la loro valentia nella scrupolosa scelta delle parole, non hanno impiegato in tutti i passi delle loro opere in senso dubitativo il vocabolo che in latino suona "forte", in greco "tacha". Ad esempio, affermano che il primo dei loro poeti dicesse: "La forse vedova", nel senso: "Presto sarà vedova". In altro passo: "Forse, infatti, tutti gli Achei facendo impeto ti uccideranno". Non poteva certo dubitare che se tutti gli Achei avessero fatto impeto contro un solo uomo, questi non sarebbe stato sopraffatto dalla moltitudine dei nemici.Ma noi dobbiamo avvalerci di esempi nostri, non già altrui. Trovi, appunto, nel Vangelo che il Figlio medesimo fa dire al Padre, dopo che i servi da lui inviati alla sua vigna erano stati feriti: "Manderò il Figlio mio dilettissimo, forse avranno rispetto di lui". In altro passo, il Figlio dice a proposito della sua persona: "Voi non conoscete né me né il Padre mio; se, infatti, conosceste me, forse conoscereste anche il Padre mio".Se Pietro, dunque, si è espresso mediante le parole medesime che Dio ha usate senza che ne derivasse detrimento alla sua sapienza, perché non ammettere che anche l'Apostolo le abbia impiegate senza che la sua fede subisse limitazione? D'altronde, non avrebbe potuto avanzare dubbi sul dono di Cristo, giacché il Signore gli aveva concesso la potestà di rimettere i peccati. Maggiormente, perciò, gli incombeva l'obbligo di non dare adito ai sottili cavilli degli eretici. Scopo, infatti, di costoro è unicamente il rendere vana la speranza degli uomini, per ingenerare nelle persone che sono in preda della disperazione la persuasione che è necessario ripetere il battesimo.Gli Apostoli, però, conformemente a quanto aveva loro insegnato Cristo, si sono fatti maestri di penitenza, hanno assicurato il perdono, hanno rimesso il peccato. Così anche David, il quale ha detto: "Beati coloro le cui colpe sono rimesse e i cui peccati sono coperti; beato l'uomo cui il Signore non ha addebitato il peccato". Ha detto beato colui la cui colpa è rimessa mediante il battesimo, e colui il cui peccato è coperto dalle opere buone. Chi esercita la penitenza deve non solo lavare la colpa con le lacrime, ma occultare con azioni migliori e ricoprire quasi le infamie del passato, perché non gli sia addebitato il peccato.Copriamo, dunque, le nostre iniquità con le opere compiute dopo aver peccato. Emendiamo le colpe con le lacrime, perché il Signore ci oda mentre ci lamentiamo, così come ascoltò Efraim che piangeva. Dio medesimo ha detto: "Ho prestato ascolto, ho udito Efraim rammaricarsi". E ha ripetuto le parole medesime di Efraim che si lamentava: "Tu mi hai castigato e io ho subito il castigo; come un torello non sono stato domato". Il torello, infatti, ruzza, abbandona la greppia, perciò Efraim "come un torello, non è stato domato". Se ne sta lontano dalla greppia, giacché ha abbandonato "la greppia del Padrone" e, seguendo Geroboamo, ha adorato i vitelli. Calamità questa che il profeta Aronne aveva vaticinato che sarebbe accaduta: il popolo, cioè, dei Giudei sarebbe caduto nell'apostasia. Perciò, facendo penitenza dice: "Convertimi e io mi convertirò, poiché tu sei il mio Padrone; poiché mi sono pentito dopo il mio smarrimento e, dopo che ti ho conosciuto, ho pianto sui giorni della confusione; mi sono umiliato al tuo cospetto, giacché ho provato l'onta ignominiosa e ti ho testimoniato".Possiamo constatare che si debba esercitare la penitenza, con quali parole, con quali lacrime. Egli chiamò addirittura "giorni della confusione" quelli del peccato. Regna, infatti, confusione quando Cristo è ripudiato.Umiliamoci, dunque, innanzi a Dio. Non rimaniamo nella soggezione della colpa. Vergognamoci al ricordo dei nostri peccati e non meniamone vanto quasi fossero bravura alla maniera di alcuni che si esaltano perché il pudore è stato da loro debellato e la giustizia soffocata. La nostra conversione sia tale che proprio noi che non conoscevamo Dio possiamo testimoniare agli altri e il Signore commosso da questo nostro mutamento d'animo, risponda: "Dalla mia giovinezza tu sei, o Efraim, il figlio mio caro, il figlio, per così dire, prediletto. Me ne ricorderò sempre più vivamente, giacché le

Page 137: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

137

mie parole sono impresse in lui. Perciò, ha detto il Signore, mi sono mostrato sempre sollecito nei suoi riguardi e avrò misericordia di lui".Quale pietà ci promette, lo dice più innanzi: "Ho reso ebbra l'anima tutta che era sitibonda e ho saziato l'anima tutta che era affamata: perciò, mi sono destato e ho guardato; il mio sonno mi pare soave". Intendiamo chiaramente che il Signore garantisce a tutti i suoi sacramenti. Perciò, tutti facciamo ritorno a lui.

Capitolo 6Ma se essi non intendono convertirsi, fatelo almeno voi, che commettendo colpe di natura diversa, siete precipitati in basso dalle alte vette dell'innocenza e della fede. Abbiamo un buon Padrone che è disposto a perdonare tutti. Ti ha invitato, per bocca del profeta, dicendo: "Io, io cancello i tuoi peccati e non ne conserverò ricordo. Tu però, siine memore affinché possiamo sottoporci a giudizio". Dice: "Io non ne conserverò il ricordo, tu, invece, siine memore", cioè: "Non richiamo alla memoria le colpe che ti ho rimesse, quasi avvolte, per così dire, nell'oblio. Invece, "Tu siine memore". Dice: "Io non ne conserverò il ricordo" in virtù della grazia concessa, "Tu siine memore" per il miglioramento conseguito. Siine memore e tieni presente che ti è stato condonato il peccato, non perché, quasi persona senza macchia, ne meni vanto e, col volerti giustificare, ti renda maggiormente colpevole. Se desideri essere perdonato, confessa la tua colpa. Una confessione fatta con cuore contrito scioglie i nodi del peccato.Puoi vedere che cosa "Dio, il tuo Dio" pretende da te: che tu conservi il ricordo della grazia avuta e non ne meni vanto "quasi che non l'abbia ricevuta". Puoi constatare con quale garanzia di perdono ti esorta ad attestare la colpa. Bada, perciò, che coll'opporre resistenza ai divini precetti non abbia a precipitare nella irreligiosità dei Giudei. Ad essi il Signore dice: "Abbiamo intonato un canto per voi e non avete danzato, abbiamo cantato nenie lamentose, e non avete pianto".Un parlare comune questo, ma sublime il riposto significato. La necessità è, quindi, che non ci si lasci fuorviare dalla banale interpretazione del passo e si creda che ci siano imposti istrionici atteggiamenti di danza sfrenata e teatrali stravaganze: comportamento questo peccaminoso anche nella prima adolescenza. Dio ha comandato la danza che David eseguì davanti all'arca del Signore. Tutto ciò che conferisce prestigio alla religione è consentito. Non si deve, perciò, provare vergogna di qualsiasi forma di ossequio che dia contributo alla scrupolosa osservanza del culto di Cristo.Non si parla, pertanto, della danza che si accompagna a lussuria raffinata, ma che ci mette in grado di muovere il corpo senza indolenza e di non lasciare che le membra impoltriscano a terra e perdano ogni vitalità a causa dell'appesantito incedere dei passi. Paolo danzava spiritualmente allorché agile entrava in lizza per il nostro bene. Egli non apprezzava i traguardi raggiunti, desiderava nuove mete, puntava diritto al premio di Cristo. Tu anche, sul punto di ricevere il battesimo, sei esortato a levare le mani al cielo, ad avere più agili i piedi per poter ascendere all'eterno. Questa è la danza alleata della fede e compagna della grazia.Questo, dunque, l'arcano significato. "Abbiamo intonato per voi un canto, quello del Nuovo Testamento, e non avete danzato", non avete innalzato l'animo alla grazia spirituale. "Abbiamo cantato nenie lamentose e non avete pianto", cioè, non vi siete pentiti. Il popolo dei Giudei giacque nell'abbandono appunto perché non fece penitenza e rifiutò la grazia: penitenza della quale era stato banditore Giovanni, grazia di cui era stato elargitore Cristo. Questa la dona, per così dire, il Padrone, quella l'annunzia il servo. La Chiesa custodisce l'una e l'altra. E' così in grado di conseguire la grazia e di non ripudiare la penitenza. L'una, infatti, è dono di chi elargisce con generosità, l'altra è rimedio atto a guarire chi ha peccato.

Page 138: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

138

Geremia non ignorò quale portentoso farmaco fosse la penitenza. Nei Lamenti fece ad essa ricorso in favore di Gerusalemme. Con queste parole ci fa vedere la città che fa penitenza: "Amaramente ha pianto nella notte, le lacrime scendono sulle guance; nessuno le reca conforto fra tutti i suoi amanti. Le strade di Sion sono in lutto". Ha aggiunto: "Per tali cose io piango" e "gli occhi miei si sono offuscati per le lacrime, perché chi mi confortava è lontano da me". Possiamo notare che Gerusalemme stimava dolorosissimo questo insieme di mali, perché mancava chi la confortasse nell'afflizione. Come voi, dunque, o Novaziani, pensate di togliere persino il conforto con il negare la speranza di una penitenza fruttuosa?Prestino attenzione le persone che fanno penitenza, come debbano attendervi, con quale ardore d'animo, con quale interiore sconvolgimento, con quale mutamento di cuore: "Guarda, o Signore, quanto sono in angoscia; le mie viscere sono agitate" dal mio pianto, "il mio cuore è sconvolto dentro di me".Hai appreso quale debba essere l'ardore dell'animo, quale la fede del cuore. Impara ora come debba regolarti nel comportamento esteriore. Il profeta dice: "Gli anziani della figlia di Sion siedono a terra in silenzio, hanno cosparso di cenere il loro capo, si sono cinti di sacco, hanno fatto curvare a terra le vergine elette di Gerusalemme. I miei occhi si sono consunti per le lacrime", si sono offuscati, "le mie viscere sono sconvolte", la mia gloria "è stata sparsa a terra".Anche il popolo di Ninive così pianse e riuscì ad evitare il preannunziato sterminio dei suoi abitanti. La penitenza è farmaco di tale efficacia che abbiamo l'impressione che Dio medesimo muti consiglio. Dipende, perciò, da te soltanto il sottrarti al castigo. Il Signore vuole essere pregato, esige fede, suppliche in suo onore. Tu sei uomo, eppure pretendi di essere pregato per elargire il perdono. Pensi, dunque, che Dio sia disposto a concederti misericordia senza che tu lo solleciti?Il Signore in persona pianse su Gerusalemme affinché, pur non essendo essa disposta, ottenesse il perdono in virtù delle lacrime di Dio. Egli vuole che piangiamo per evitare il castigo. E' scritto nel Vangelo: "O figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse".David, pianse e ottenne che la divina pietà allontanasse la morte dal popolo che periva. Allorché, infatti, gli fu proposto di scegliere tra tre cose, optò per quella che gli permettesse maggiormente di fare tesoro della pietà del Signore. E tu ti vergogni di piangere le tue colpe, quando David ha comandato persino ai profeti di versare lacrime per il bene dei popoli?Anche Ezechiele ebbe l'ordine di piangere su Gerusalemme e ricevette il volume al cui inizio è scritto: "Lamenti, canti, guai". Due argomenti tristi e uno piacevole. Chi, infatti, piangerà di più su questa terra, sarà salvo nella vita futura. "Il cuore dei saggi è in una casa in lutto, il cuore degli stolti in una casa in festa". Il Signore in persona dice: "Beati voi che piangete, perché riderete".

Capitolo 7Versiamo, dunque, lacrime finché c'è tempo, perché ci sia assicurata l'eterna felicità. Temiamo il Signore, sollecitiamone la pietà con il confessare le nostre colpe. Poniamo rimedio ai nostri errori, riparo ai falli, affinché non si dica anche di noi: "Ohimè o anima, l'uomo pio è scomparso dalla terra, non c'è tra gli uomini chi è disposto ad emendarsi".Perché provi vergogna di confessare le tue colpe innanzi al Signore? Egli dice: "Confessa le tue infamie, affinché sii giustificato". Agli occhi di chi è tuttora nella colpa è fatto balenare il premio della giustificazione. Infatti, chi ammette spontaneamente le colpe è giustificato. "Il giusto nel proemio del suo discorso accusa se stesso". Il Signore sa tutto, vuole, però, sentire la tua voce, non già per punire ma per perdonare. Non vuole che il diavolo si faccia gioco di te, ti accusi di tenere celate le colpe. Previeni il tuo accusatore. Se ti accusi da te stesso, non dovrai temere alcun accusatore. Se ti denunzierai da te medesimo, morto che tu sia, risusciterai.

Page 139: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

139

Cristo verrà al tuo sepolcro. Se vedrà che Marta, la solerte massaia, versa lacrime per te e così Maria, la quale piamente, come la santa Chiesa, ascoltava la parola di Dio e "scelse per sé la parte migliore", proverà pietà. Vedendo che moltissimi piangono la tua morte dirà: "Dove lo avete deposto?", cioè, in quale ordine di peccatori, in quale grado di penitenti?. Lasciatemi vedere chi piangete, perché egli in persona mi commuova con le sue lacrime. Che io veda se è definitivamente morto al peccato di cui si invoca il perdono.La gente gli dice: "Vieni e vedi". Che significa "vieni"? Venga la remissione dei peccati, la vita dei morti, la loro resurrezione, "venga il tuo regno" a questo peccatore.Gesù, dunque, verrà e comanderà che sia tolta la pietra, che il reo si è posta da se stesso sulle spalle. Cristo avrebbe potuto agevolmente smuovere il sasso con una parola di comando. La natura insensibile non è davvero sorda ai suoi ordini. Mediante l'occulta potenza di un miracolo avrebbe potuto facilmente spostare la pietra sepolcrale. Alla sua morte, infatti, moltissime tombe di morti si spalancarono, d'un tratto essendosi smosse le pietre. Ma ordinò agli uomini di togliere il sasso, affinché, nella realtà, da una parte, gli increduli credessero in ciò che era innanzi ai loro occhi e vedessero il morto risuscitare, nella tipologia, d'altra parte, perché intendessero che ci elargiva la grazia di liberarci dal peso dei peccati, i macigni, per così dire, che schiacciano i rei. E' compito nostro smuovere i pesi, è ufficio di Cristo ridonare la vita, fare uscire dai sepolcri le persone sciolte dai lacci della colpa.Vedendo il grave peso che opprime il peccatore, Gesù versa lacrime. Non permette che la Chiesa pianga da sola. Ha pietà della prediletta e dice a chi è morto: "Vieni fuori", cioè, tu che sei immerso nel buio della coscienza, nella sozzura dei misfatti, vieni fuori come da una prigione di delinquenti, metti a nudo la tua colpa per ottenere giustificazione. Infatti, "ci si confessa con la bocca in vista della salvezza".Se tu, chiamato da Cristo, ammetterai il tuo peccato, subito si infrangeranno i serrami, si spezzeranno tutti i legami, anche se il cadavere in putrefazione emani forte fetore. La salma di Lazzaro che era morto da quattro giorni mandava cattivo odore nella tomba. Ma Cristo, "la cui carne non vide corruzione" rimase per tre giorni nel sepolcro. Non conobbe, infatti, i vizi della carne, la cui sostanza consta dei quattro elementi originari. Il fetore del cadavere è forte quanto vuoi, ma svanisce del tutto appena il santo profumo si spande. Ecco, il defunto riacquista la vita. Si ordina alle persone che tuttora vivono nel peccato di sciogliere i lacci, di liberare il volto del defunto dal sudario con cui occultava la verità della grazia ricevuta. Viene impartito il comando di togliergli il sudario dal viso, di denudargli il volto, giacché il reo ha ricevuto il dono del perdono. Chi ha ottenuto la remissione dei peccati non ha motivo di vergognarsi.Tuttavia, nonostante la grazia ineffabile del Signore e il sublime miracolo, frutto della sua divina munificenza, in un momento che doveva essere di generale letizia, i sacrileghi erano in fermento. Tenevano consiglio contro Cristo, tramavano l'uccisione di Lazzaro. Non vi accorgete, dunque, che voi, o Novaziani, siete destinati ad essere i degni successori di quei sacrileghi, gli eredi della loro spietatezza? Anche voi siete sdegnati, promuovete riunioni contro la Chiesa. Vedete, infatti, che nel suo grembo i morti ritornano alla vita, risuscitano, quando il perdono dei peccati è stato loro elargito. Pertanto, per quanto dipende da voi, volete uccidere, in forza dell'odio, le persone risorte a nuova vita.Ma Gesù non revoca i benefici concessi. Li rende più grandi con la sua munificenza. Subito è tornato a visitare chi aveva risuscitato e, per festeggiarne la resurrezione, lieto viene alla cena, che la Chiesa gli ha imbandita. Chi era morto prende parte al banchetto, come appunto sta scritto, tra i commensali di Cristo.

Page 140: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

140

Le persone tutte che vedono con l'occhio puro della mente e che non conoscono odio - la Chiesa vanta, appunto, figli di tale specie - si meravigliano che chi ieri e l'altro ieri era nel sepolcro è ora tra coloro che siedono a mensa insieme a Gesù.Maria in persona unge i piedi di Cristo. I piedi, giacché uno dei deboli è stato strappato a morte. Tutti, infatti, formano il corpo di Gesù, ma senz'altro, alcuni sono le membra superiori. L'Apostolo che diceva: "Voi cercate una prova che Cristo parla in me", era la bocca di Cristo. Così anche i profeti per mezzo dei quali il Signore annunziava il futuro. Oh, fossi io degno di essere il suo piede e Maria mi cospargesse del prezioso profumo, mi ungesse, mi rendesse indenne dal peccato!Il caso di Lazzaro si ripete ogni qual volta un peccatore, anche se emani fetore, è reso mondo dal balsamo della fede preziosa. Fede che consegue grazia così grande, che quella casa in cui il giorno precedente il morto mandava cattivo odore tutta intera è pregna di buon profumo.La casa di Corinto mandava fetore, quando leggiamo: "Si parla di adulterio tra voi quale neppure tra i pagani". C'era puzzo, giacché un poco di lievito aveva alterato tutta la pasta. Tuttavia, comincia a sentirsi il buon profumo, quando è detto: "Se avete perdonato qualcosa a qualcuno, anche io la perdono; infatti anche io se ho perdonato qualcosa, l'ho perdonata per il vostro bene nel nome di Cristo". Pertanto, liberato il peccatore, ci fu grande gioia nella casa. La dimora intera mandò buon odore in virtù del soave profumo della grazia. Perciò, consapevole di aver cosparso tutti del balsamo dell'apostolica benedizione, egli dice: "Siamo innanzi a Dio il buon profumo di Cristo fra quelli che si salvano".Tutti sono lieti allorché il profumo si è sparso. Il solo Giuda non è d'accordo. Così anche ora chi è sacrilego, chi è traditore, si mostri pure contrariato, muova biasimi. Gesù, però, rimprovera Giuda, giacché costui non intende quale medicina portentosa sarebbe stata la morte di Cristo e non comprende il senso riposto di una sepoltura così importante. Il Signore, infatti, ha patito, è morto per riscattarci dalla morte. Egli giudica prezzo sublime della sua passione l'essere il peccatore assolto dalle colpe ed innalzato a ineffabile grazia, così che tutti vengano e dicano, levando lodi al Signore: "Mangiamo e facciamo festa, perché costui era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". Se qualche pagano obietterà: "Perché mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?", gli rispondiamo: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati".

Capitolo 8Fai vedere, dunque, al medico la tua piaga, perché tu sia curato. Se non gliela mostrerai, egli la conosce, ma desidera ascoltare la tua voce. Netta le tue cicatrici con le lacrime. In questa maniera, appunto, la donna di cui è parola nel Vangelo, si è mondata dal peccato, dal fetore della sua iniquità. Si è resa libera dalla colpa, nel lavare i piedi di Gesù con le lacrime.Volesse il cielo, o Gesù, che tu mi destinassi a lavare i piedi che hai imbrattati mentre incedevi entro di me! Oh, potessi tu concedermi di nettarli nel sudiciume con cui li ho infangati con il mio cattivo operare! Ma donde attingere l'acqua viva con cui lavarli? Non ho a disposizione l'acqua, bensì le lacrime. Oh, potessi con esse purificare me stesso, mentre lavo i tuoi piedi! Come fare, perché tu dica di me: "Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato"? Ben di più avrei dovuto amare, lo ammetto, e fin troppo mi è stato condonato. Sono stato, infatti, chiamato al sacerdozio dopo essere vissuto sino a quel momento tra il frastuono delle cause forensi e le beghe paurose della pubblica amministrazione. E' mio timore, pertanto, apparire ingrato, se dimostrerò un amore minore, giacché molto di più mi è stato condonato.Ma non posso stimare tutti all'altezza della donna la quale, meritatamente, è stata preferita anche a Simone che offriva il pranzo al Signore. Essa ha, infatti, dato lezione alle persone che intendono lucrarsi il perdono. Ha baciato i piedi di Cristo, li ha lavati con le lacrime, asciugati con i capelli e cosparsi di olio profumato.

Page 141: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

141

Il bacio simboleggia la carità. Il Signore ha detto: "Mi baci egli con il bacio della sua bocca". I capelli cosa altro significano se non che tu sappia che è necessario invocare il perdono dopo aver disprezzato ogni prestigio che derivi dalle insegne delle alte cariche di questo mondo, e che ti getti bocconi al suolo, e che, prostrato, cerchi pietà? L'unguento simboleggia il profumo del buon mutamento d'animo. David era re, eppure diceva: "Ogni notte inonderò di pianto il mio letto, irrorerò di lacrime il mio giaciglio". Meritò, pertanto, una grazia ineffabile: tra i suoi discendenti fu scelta la Vergine che doveva, partorendo, dare alla luce Cristo. La peccatrice pentitasi, dunque, meritatamente per i motivi detti è lodata nel Vangelo.Tuttavia, se non siamo in grado di uguagliarla, Gesù sa venire in soccorso dei deboli. Se non c'è la donna che possa apprestare il banchetto, offrire l'unguento, portare con sé "la fonte dell'acqua viva", Cristo in persona viene alla tomba.Volesse il cielo che ti degnassi di accostarti a questo mio sepolcro, o Gesù, e mi lavassi con il tuo pianto! I miei occhi, infatti, si sono inariditi, le mie lacrime non bastano a lavare le mie colpe. Se piangerai per me, sarò salvo. Se sarò degno che tu per un poco versi lacrime per me, mi chiamerai fuori dalla tomba del corpo e dirai: "Esci fuori". Pronunzierai queste parole, affinché i miei pensieri non siano in catene nel carcere della carne, ma ne escano fuori verso Cristo, possano spaziare alla luce, così che io non mediti le opere delle tenebre, ma della luce. Chi ha in animo di peccare, non altro desidera che farsi schiavo della sua coscienza.Chiama, dunque, fuori il tuo servo. Anche se avvinto dai legami del peccato, con i piedi incatenati, con le mani strette da nodi, anche se per sempre sepolto ai pensieri e alle "opere morte", se mi chiamerai, uscirò fuori libero. Sarò "uno tra quelli che siedono a mensa" al tuo banchetto. Tutta la tua casa emanerà la fragranza del prezioso profumo, se custodirai chi ti sei degnato di riscattare. Si dirà: Costui non è stato allevato nel seno della Chiesa, non è stato domato da fanciullo, ma, a forza, è stato trascinato fuori dai tribunali, strappato dalle follie del secolo. Avvezzo ad ascoltare la voce del banditore, si è assuefatto al cantico del salmista. Ecco, tiene fede al sacerdozio, non già per suo merito, ma in virtù della grazia di Cristo, e siede tra i convitati della mensa celeste.Preserva, o Signore, il tuo dono. Custodisci il bene che mi hai elargito, anche se da esso rifuggissi. Ero consapevole, infatti, di non meritare di essere chiamato vescovo, giacché mi ero votato al secolo. Ma "per grazia" tua "sono ciò che sono". Sono senza dubbio l'infimo di tutti i vescovi, l'ultimo per merito. Tuttavia, poiché mi sono sobbarcato a qualche travaglio per la tua santa Chiesa, custodisci questo frutto. Non permettere che chi già sull'orlo della perdizione è stato da te chiamato al sacerdozio, ora, che è tuo ministro, soccomba. Mi hai chiamato, perché impari a condolermi di tutto cuore dei travagli del peccatore. Virtù questa davvero grande. Sta appunto scritto: "Non gioire dei figli di Giuda nel giorno della loro sventura, non dire parole altezzose nel giorno della loro angoscia". Mi hai chiamato, perché, ogni volta che si tratta della colpa di un lapso, senta di lui pietà e non lo riprenda con durezza, bensì provi dolore e pianga. Ciò, affinché, nel momento in cui verso lacrime su di un altro, pianga su me stesso e possa dire: "Tamar è più giusta di me".E' ammissibile che una giovinetta sia caduta nel peccato, ingannata e tratta alla rovina dalle circostanze che sono incentivo al cattivo operare. Però, se pecchiamo quando siamo avanti negli anni, la legge della carne muove guerra in noi a quella dello spirito, ci rende schiavi del peccato, ci induce a fare, insomma, ciò che non vorremmo. La giovinetta ha, almeno, come giustificazione gli anni, io nessuna. Essa deve imparare, io insegnare. Perciò, "Tamar è più giusta di me".Incolpiamo qualcuno di cupidigia del denaro? Domandiamo prima se non abbiamo operato anche noi dimostrando la medesima bramosia. Allora ognuno di noi dica: "Tamar è più giusta di me". Infatti "l'attaccamento al denaro è la radice dei mali": insensibilmente, come radice che si estende sotto terra, fa il nostro corpo sua preda.

Page 142: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

142

Ci siamo adirati contro qualcuno: un laico, e non un vescovo, può essere perdonato per aver agito sotto l'impulso dell'ira. Rimproveriamoci da noi stessi, diciamo: "Chi è incolpato di essere iracondo è più giusto di me". Parlando così ci metteremo nella condizione che Gesù o qualcuno dei discepoli non dica di noi: "Tu osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello".Non vergogniamoci, perciò, di ammettere che la nostra colpa è più grave di quella di chi, a nostro giudizio, deve essere sottoposto ad accusa. Così, appunto, si è espresso Giuda che muoveva rimproveri a Tamar: richiamandosi alla mente la propria colpa, dice: "Tamar è più giusta di me". Affermazione che ha un profondo senso riposto e, a un tempo, suona insegnamento morale. Non fu attribuita colpa a Giuda, giacché si accusò da se stesso, prima che altri lo denunziasse.Che io, dunque, non gioisca per la colpa di nessuno, bensì ne provi dolore! Sta scritto: "Non gioire troppo della mia sventura, mia nemica! Se sono caduta, mi rialzerò; se siedo nelle tenebre, il Signore sarà la mia luce. Sopporterò lo sdegno del Signore, perché ho peccato contro di lui, finché egli mi renda ragione. Emetterà il verdetto su di me, mi farà uscire alla luce e vedrò la sua giustizia. La mia nemica lo vedrà, sarà coperta di vergogna, lei che mi diceva: Dove è il Signore Dio tuo? I miei occhi la vedranno e sarà calpestata come fango della strada". Giustamente, poiché chi esulta per la rovina degli altri, tripudia per la vittoria del diavolo. Addoloriamoci, dunque, allorché sentiamo che è andato in perdizione un uomo "per cui Cristo è morto" che non trascura neppure "la pagliuzza nella messe".Dio voglia che questa "pagliuzza nella messe", il vuoto gambo del mio frutto, non sia gettata via da lui, ma raccolta! Infatti, dice: "Ahimè! Sono diventato come chi raccoglie la pagliuzza nella messe e chi racimola alla vendemmia". Oh, possa egli mangiare in me almeno le primizie della sua grazia, anche se i frutti ulteriori non debbano riuscirgli graditi!

Capitolo 9Sia, dunque, nostro convincimento che bisogna fare penitenza e che ad essa tiene dietro il perdono. Una remissione, tuttavia, frutto di fede e non, per così dire, di un nostro credito. C'è profondo divario tra il rendersi meritevoli di qualche cosa e l'arrogarsene il diritto. La fede ottiene in forza quasi di obbligazione scritta, la presunzione, invece, è propria di chi è arrogante e non già di chi domanda. Perché tu sia nella condizione di ottenere ciò in cui speri, prima devi far fronte al tuo pegno. Comportati da onesto debitore, così che per pagare la cambiale non debba far ricorso ad altro prestito, bensì possa soddisfare, mediante le ricchezze che ti provengono dalla fede, all'interesse del debito contratto a tuo nome.Ha maggiore possibilità di pagare chi è debitore di Dio che dell'uomo. Questi esige denaro in cambio di denaro, e il debitore non sempre lo ha pronto. Dio si accontenta, invece, della buona disposizione d'animo che è in tuo potere attestare. Non è povero chi è debitore del Signore, tranne che non si renda indigente da se stesso. Non ha da vendere, possiede, però, i mezzi con cui pagare. Le preghiere, le lacrime, i digiuni, sono le ricchezze del buon debitore e beni più sostanziosi che se uno offra senza fede il denaro ricavato dalla vendita di proprietà.Povero era Anania, allorché, venduto il podere, consegnava agli Apostoli il denaro che, lungi dal liberarlo dal debito contratto innanzi a Dio, doveva implicarlo in nodi stretti. Ricca era, invece, la vedova, la quale mise due piccole monete nella cassa delle offerte. Di lei è detto: "Questa vedova, povera, ha messo più di tutti". Dio non domanda denaro, ma schiettezza di fede.La colpa, credo, può essere mitigata mediante elargizioni ai poveri, purché la fede aggiunga credito ai donativi. A che offrire le proprie sostanze, se l'ardore di carità non si accompagna all'oblazione?

Page 143: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

143

Alcuni non mirano che a soddisfare alla vanità personale, a conseguire la fama che può derivare dall'essere munificente. E' loro intento apparire persone virtuose agli occhi del popolino, poiché hanno elargito tutte le sostanze. Vanno in cerca del premio del secolo presente, non mettono, però, in serbo quello del futuro. Se, infatti, "hanno già ricevuto la loro ricompensa" su questa terra, non possono sperare in quella dell'aldilà.Altri, dopo aver donato i beni alla Chiesa in seguito a impulso precipitoso e non già a matura riflessione, hanno ritenuto opportuno di revocare la donazione. Sia l'uno che l'altro modo di comportarsi non è stato per loro redditizio, in quanto il primo, dettato da inconsulto consiglio, l'altro, informato a sacrilegio.Alcuni, poi, si pentono di aver spartito gli averi con i poveri. Ma chi esercita la penitenza non deve affatto avere rincrescimento in materia, perché non abbia a pentirsi di essersi pentito. Non pochi, infatti, per timore dell'eterno castigo, consapevoli delle loro colpe, domandano di fare penitenza e, una volta ammessi, si tirano indietro per la vergogna di doverla esercitare pubblicamente. Essi, a mio parere, hanno domandato di fare penitenza delle malefatte e la fanno, invece, delle buone opere da loro compiute.Alcuni, ancora, invocano la penitenza, ma allo scopo unico di essere reintegrati nella comunione dei fedeli. Non desiderano mondarsi, ma stringere con lacci il ministro di Dio. Non sgravano la loro coscienza, fanno violenza a quella del sacerdote, cui è stato comandato: "Non date le cose sante ai cani e non buttate le vostre perle davanti ai porci". Si deve, cioè, vietare che persone imbrattate di immonde iniquità siano riammesse alla santa comunione.Osservate queste persone: sono lì a passeggiare. Indossano abiti nuovi, mentre sarebbe stato loro conveniente essere in gramaglie, lamentarsi per avere infangato la veste della grazia battesimale. Le donne si sovraccaricano le orecchie di grosse, preziose perle: sono costrette, addirittura, a piegare le nuche, mentre bene avrebbero dovuto tenerle basse per amore di Cristo e non dell'oro, e versare, a un tempo, lacrime su se stesse per aver perduto la perla preziosa, la celeste.Altri sono convinti che pentirsi significhi escludersi dai divini sacramenti. Sono giudici fin troppo spietati di se stessi. Si assegnano il castigo, rifiutano il rimedio. Sarebbe stato, invece, opportuno che si dolessero della pena inflittasi, poiché a causa di essa rimangono defraudati dalla divina grazia.Altri, giacché è data speranza di fare ammenda delle colpe, credono che sia loro implicitamente concessa facoltà di continuare a peccare a piacimento. Ma la penitenza è rimedio del peccato, non già incentivo. Il farmaco è necessario alla ferita, non viceversa. Domandiamo il rimedio per curare la piaga, non già desideriamo questa per avere modo di applicarvi il medicamento. Fragile è, d'altra parte, la speranza che si affida al tempo. Ogni tempo è sempre incerto, né tutte le speranze gli sopravvivono.

Capitolo 10Forse qualcuno potrebbe tollerare che tu provi vergogna di invocare Dio e non, invece, di pregare l'uomo, e che tu abbia ritegno di supplicare il Signore, cui il tuo modo di operare non sfugge, e non, invece, di fare palesi le tue colpe all'uomo, cui possono rimanere nascoste? Non vuoi che, se preghi, ci sia gente che lo sappia e possa riferirlo? Eppure, se si tratta di dare soddisfazione all'uomo, non ti accosti forse a un gran numero di persone, le scongiuri perché interpongano i buoni uffici, ti prostri alle ginocchia, baci i piedi, metti innanzi i figli innocenti, perché invochino pietà per il padre? Ostenti, tuttavia, neghittosità a fare ciò nella Chiesa, a supplicare Dio, a ricercare il patrocinio dei fedeli, perché preghino per te. Nella Chiesa si arreca disonore col non confessare le colpe, giacché tutti siamo peccatori. In essa merita di più chi è più umile, ed è più giusto chi maggiormente disprezza se stesso.

Page 144: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

144

La madre Chiesa pianga per la tua salvezza e lavi la tua colpa con le lacrime. Cristo ti veda nella tua afflizione e dice: "Beati voi che piangete, perché riderete". Egli gradisce che più persone preghino per una sola. Nel Vangelo, mosso a pietà delle lacrime della vedova, poiché erano moltissimi a piangere per lei, ne richiamò il figlio alla vita. Esaudì prontamente Pietro che pregava affinché Dorcade risuscitasse, poiché i poveri gemevano per la morte della donna. Perdonò subito l'apostolo che aveva versato amarissime lacrime. Se anche tu piangerai in tal maniera, Cristo rivolgerà a te gli occhi e la colpa sarà cancellata. L'esercizio del dolore allontana la morbosa cupidigia del peccare, la seduzione della colpa. Ci travagliamo per le iniquità perpetrate e, intanto, teniamo lontane quelle che potremmo commettere. Dalla condanna della colpa scaturisce una disciplina dell'innocenza.Nulla, perciò, ti distolga dall'esercitare la penitenza. Ne sei partecipe con i santi, e voglia il cielo che tu riesca ad emulare il loro pianto! David "si nutriva di cenere come di pane; mescolava il pianto alla sua bevanda". Ora maggiormente gioisce, poiché versò più abbondantemente le lacrime. Dice: "Fiumi di lacrime discesero dai miei occhi".Giovanni pianse molto e, come dice, gli furono rivelati i misteri di Cristo. Non così la donna che travolta dal peccato, non versò lacrime come avrebbe dovuto: se la spassava, indossava abiti di porpora e scarlatto, faceva sfoggio di molto oro e di pietre preziose. Meritatamente, pertanto, si strugge nel travaglio di un pianto senza fine.Alcuni sono convinti che si possa più volte fare penitenza. Essi "sono presi da desideri indegni di Cristo". Se attendessero, infatti, alla penitenza di tutto cuore, non crederebbero alla necessità di doverla ripetere. "Uno solo è il battesimo", una sola è la penitenza, quella, s'intende, che si fa in pubblico. Ogni giorno, infatti, dobbiamo pentirci del peccato, ma, mentre la penitenza giornaliera è dei peccati più lievi, la pubblica è delle colpe di maggiore entità.Mi sono imbattuto più spesso in persone che hanno conservato la loro innocenza che non in gente che abbia atteso a pentirsi con coerenza. Credi forse che si possa parlare di penitenza là dove si intriga in vario modo per ottenere cariche, regna il bere sfrenato, viene praticato l'accoppiamento carnale? Bisogna dire con decisione addio al secolo, abbandonarsi al sonno meno di quanto la natura esiga, alternarlo con lamenti, romperlo a mezzo con gemiti, riservarlo alla preghiera. E' necessario, insomma, vivere come se fossimo per sempre morti al nostro modo di condurre l'esistenza terrena. L'uomo deve rinnegare se stesso, trasformarsi radicalmente, come la tradizione racconta a proposito di un giovane. Costui, dopo aver amato una cortigiana, partì alla volta di un paese lontano. Cancellata che ebbe dall'animo la passione, ritornò e si imbatté nella donna che aveva amata. Essa, meravigliata che il giovane non le rivolgesse neppure la parola e pensando, quindi, di non essere stata riconosciuta, incontratolo di nuovo, gli disse: "Sono io", e l'altro: "Ma io non sono più io".Il Signore, perciò, a ragione dice: "Chi vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua". I morti e sepolti con Cristo non devono, quasi fossero ancora in vita, avere l'animo rivolto alle cose di questo mondo. Paolo dice: "Non toccate, non prendete tutte le cose destinate a scomparire con l'uso. L'uso di per sé della vita cagiona, infatti, la corruzione dell'innocenza.

Capitolo 11La penitenza, dunque, è un bene. Se essa non esistesse, tutti differirebbero la grazia del battesimo alla vecchiaia. A una ipotesi assurda del genere, valga come risposta che è preferibile possedere un qualcosa da rattoppare che non avere da ricoprirsi. Ma nemmeno gli abiti rappezzati una sola volta possono ancora essere usati come nuovi, quelli, invece, cuciti e ricuciti finiscono con il logorarsi del tutto. Il Signore, quando dice: "Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino", ha sufficientemente ammonito coloro che rinviano la penitenza. Ignoriamo in quale ora viene il ladro,

Page 145: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

145

non sappiamo se la nostra anima ci sarà richiesta la notte stessa. Dio scacciò Adamo dal paradiso subito dopo la colpa. Non frappose indugi, ma, perché facesse penitenza, lo privò delle delizie e, immediatamente, lo rivestì di una tunica di pelle, non già di seta.Quale giustificazione c'è perché tu debba rinviare? Forse quella di commettere un maggior numero di peccati? Dunque, perché Dio è buono, tu vuoi essere malvagio, e "ti prendi gioco dei tesori della sua bontà e pazienza"? La mitezza del Signore dovrebbe, al contrario, essere per te incitamento a pentirti. Appunto, il santo David dice a tutti: "Venite, adoriamo e prostriamoci innanzi a lui e piangiamo al cospetto di nostro Signore che ci ha creati". Il medesimo David, come sai, versa lacrime sul peccatore che è morto senza pentirsi. In un caso del genere non rimane altro che provare forte dolore e piangere. Egli dice: "Figlio mio Assalonne, figlio mio Assalonne"! Chi è definitivamente morto va pianto senza alcuna riserva.A proposito degli esuli, che, raminghi dagli aviti confini fissati dalla legge di Mosè, si erano infangati dei peccati di questo mondo, odi che canta: "Sui fiumi di Babilonia, là sedemmo e piangemmo al ricordo di Sion". Il salmista vuole insegnare che la stirpe dei rei di apostasia deve provvedere al ravvedimento, quando i colpevoli sono ancora in condizione di avere tempo a disposizione e in situazione suscettibile di mutamento. Perciò, ricorre all'esempio dei Giudei trascinati in miseranda schiavitù come prezzo della colpa.Non c'è dolore maggiore di quello che prova chi nella schiavitù del peccato si ricorda dei supremi beni dai quali è decaduto, ha tralignato. Si è, infatti, allontanato dal meraviglioso, sublime proposito di approfondire la conoscenza di Dio, per rivolgersi a ciò che è materiale, effimero.Adamo pensò di nascondersi, non appena avvertì la presenza di Dio. Tentò di celarsi, quantunque lo ricercasse, lo chiamasse con parole che dovevano trafiggere il cuore di lui che si nascondeva: "Adamo, dove sei?". Cioè, perché ti celi, perché ti occulti, perché eviti il Signore che desideravi vedere? La colpa rimorde la coscienza al punto tale che, anche senza il giudice, si punisce da se stessa e desidera occultarsi. Non riesce, però, a celarsi agli occhi di Dio.Nessuno che sia in colpa deve arrogarsi, quindi, il diritto, l'uso illecito dei sacramenti. Sta scritto: "Hai peccato? Fermati". Lo dice anche David nel salmo cui si è accennato: "Appendemmo le nostre cetre ai salici di quella terra". Più avanti: "Come cantare il cantico del Signore in terra straniera?". Se la carne combatte con lo spirito ed è riluttante a lasciarsi guidare dall'anima, ad ubbidirle, è terra straniera che non è dissodata dal lavoro del contadino e non produce, pertanto, i frutti della carità, della pazienza, della pace. Perciò, meglio fermarsi, quando non si è in grado di attendere alle opere della penitenza, affinché nell'esercitarla non capiti di agire in modo da dovere ancora ad essa far ricorso. Se, infatti, non è stata una sola volta bene usata e opportunamente praticata, non si ricava alcun frutto dalla penitenza cui si è atteso e ci è tolta la possibilità di valercene successivamente.Quando la carne oppone resistenza, è necessario, allora, che lo spirito sia rivolto a Dio. Se le opere vengono meno, la fede porti soccorso. Se le seduzioni della carne o le potestà nemiche incalzano, lo spirito sia assorto in Dio. Quando, infatti, la carne sferra il suo attacco, corriamo i pericoli più gravi. Eppure alcuni, con tutte le loro forze, fanno violenza all'anima, tentando di privarla di ogni sostegno. Perciò, è detto: "Distruggete, distruggete, anche le sue fondamenta".David, appunto, mosso a pietà da lei esclama: "Figlia infelice di Babilonia!". Senz'altro è sventurata, giacché è ormai figlia di Babilonia, non più di Dio. Invoca in suo favore l'intervento di chi possa guarirla: "Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà sulla pietra". Beato, cioè, chi spezzerà contro Cristo i pensieri caduchi, peccaminosi, e fiaccherà tutti gli impulsi non conformi a ragione, in virtù di una cosciente autocritica: chi, ad esempio, in balia di un amore adulterino possa tenere lontano lo struggente desiderio del congiungimento carnale con una prostituta e rinunziare alla passione per guadagnarsi Cristo.

Page 146: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

146

Dunque, abbiamo appreso innanzi tutto che occorre fare penitenza, e ciò quando la bramosia di peccare si è spenta; ancora, che nella schiavitù del peccato dobbiamo essere rispettosi, non già arroganti. A Mosè che desiderava sempre più addentrarsi nella conoscenza del mistero celeste, è detto: "Togliti i sandali dai piedi". A maggior ragione è necessario, quindi, che noi liberiamo i piedi della nostra anima dai legami del corpo e sciogliamo i passi dai nodi che ci avvincono a questo mondo.

San Gregorio Magno

Page 147: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

147

REGOLA PASTORALE

di san Gregorio Magno, Pontefice romano, a Giovanni Vescovo della Città di Ravenna

Gregorio al reverendissimo e santissimo Giovanni, fratello nell’episcopato

Carissimo fratello, con intenzione umile e benevola tu mi rimproveri di aver voluto sottrarmi al peso della cura pastorale cercando di nascondermi, ma perché non sembri a certuni che tale peso sia leggero, intendo scrivere in questo libro tutto quello che penso della sua gravità, affinché chi è libero da esso non vi aspiri con leggerezza, e chi vi ha aspirato con leggerezza abbia gran timore di averlo ottenuto.La materia trattata in questo libro si divide in quattro parti, per accostare l’animo del lettore con ordinate argomentazioni, come i passi successivi di un cammino. Infatti occorre che chiunque sia chiamato al più alto grado del governo pastorale — quando gli eventi storici lo richiedono — valuti seriamente come vi giunge; e se vi giunge legittimamente consideri qual è la sua vita; e se la sua vita è buona, qual è il suo insegnamento; e se il suo insegnamento è corretto, egli deve essere quotidianamente consapevole, con ogni possibile considerazione, della propria debolezza; e così non avvenga che o la sua umiltà lo sottragga dall’accedere alla dignità o la sua condotta di vita contrasti con essa; la sua dottrina si allontani da una buona condotta di vita o la presunzione gli faccia esaltare la propria dottrina. Quindi innanzitutto sia il timore a moderare il desiderio; poi sia la

Page 148: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

148

condotta di vita a confermare un magistero che viene assunto da chi non lo cercava; quindi è necessario che quanto di bene si manifesta nel modo di vivere del Pastore si diffonda anche attraverso la sua parola. Resta infine che la considerazione della propria debolezza abbassi ai suoi occhi il valore di ogni opera buona che egli compie, affinché la gonfiezza dell’esaltazione non la cancelli agli occhi del Giudice occulto.Molti però, che sono simili a me per ignoranza, mentre non sanno misurare se stessi, bramano di insegnare ciò che non hanno imparato e tanto più giudicano leggero il peso del magistero, quanto meno sanno valutarne la grandezza. Costoro si sentano biasimati fin dal principio di questo libro e poiché, indotti e precipitosi come sono, mirano ad occupare la rocca della dottrina, siano respinti dalla temerarietà della loro precipitazione fin dalla soglia del nostro discorso.

Page 149: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

149

PARTE PRIMA

REQUISITI DEL PASTORE D’ANIME

1 — Gli ignoranti non osino accostarsi al magistero

Non c’è arte che uno possa presumere di insegnare se non dopo averla appresa attraverso uno studio attento e meditato. Quanta è dunque la temerarietà con cui gli ignoranti assumono il magistero pastorale, dal momento che il governo delle anime è l’arte delle arti. Chi non sa che le ferite dei pensieri sono più nascoste di quelle delle viscere? E tuttavia si dà spesso il caso di persone che non conoscono neppure le regole della vita spirituale ma non temono di professarsi medici dell’anima, mentre chi ignora la virtù terapeutica delle medicine si vergognerebbe di passare per medico del corpo. Ma poiché ormai per volontà di Dio ogni autorità del secolo presente si inchina con riverenza di fronte alla religione, non sono pochi coloro che dentro la Santa Chiesa aspirano alla gloria di una dignità dietro l’apparenza del governo delle anime. Aspirano a passare per maestri, bramano di superare gli altri e — come afferma la Verità — amano i primi saluti in piazza, i primi posti nelle cene, e le prime sedie nelle riunioni (cf. Mt. 23, 6-7). Essi sono tanto più incapaci di assolvere degnamente all’ufficio della cura pastorale che hanno assunto in quanto sono pervenuti al magistero dell’umiltà solo con l’orgoglio; giacché nell’insegnamento perfino la lingua si confonde quando si insegna qualcosa di diverso da ciò che si è imparato. Contro costoro il Signore si lamenta per mezzo del profeta dicendo: Da sé hanno regnato, non designati da me; sono divenuti principi ed io non l’ho saputo (Os. 8, 4). Infatti, coloro che, senza il sostegno di alcuna virtù, non chiamati per vocazione divina ma accesi dalla propria cupidigia non conseguono ma rapiscono il più alto grado del governo delle anime, regnano di proprio arbitrio, non per decisione del sommo reggitore. Tuttavia, il Giudice delle coscienze mentre li eleva non li riconosce, poiché certo nel suo giudizio di condanna egli ignora coloro che pure, nella sua permissione, tollera. Perciò egli dice a certuni che vanno da lui dopo aver compiuto addirittura dei miracoli: Allontanatevi da me operatori di iniquità, non so chi siete (Lc. 13, 27). E così viene aspramente rimproverata dalla voce della Verità la ignoranza dei Pastori, quando essa dice per mezzo del profeta: Perfino i pastori non hanno saputo comprendere (Is. 56, 11). E ancora il Signore li respinge dicendo: Pur avendo in mano la legge non mi hanno conosciuto (Ger. 2, 8). Dunque, la Verità si lamenta di non essere conosciuta da costoro e dichiara di non riconoscere il primato di chi non la conosce, giacché è certo che quanti non conoscono le cose del Signore, non sono conosciuti da lui, secondo la testimonianza di Paolo che dice: Se qualcuno poi ignora sarà ignorato (1 Cor. 14, 38). Naturalmente poi, a questa ignoranza dei Pastori corrispondono spesso i demeriti dei sudditi, perché quantunque sia tutto a loro proprio carico se i Pastori non possiedono il lume della conoscenza, tuttavia per un rigoroso giudizio accade che a causa della loro ignoranza inciampino anche coloro che li seguono. Di qui la Verità stessa dice nell’Evangelo: Se un cieco presta la sua guida a un altro cieco, cadono ambedue nella fossa (Mt. 15, 14). E il salmista, non esprimendo un desiderio del suo animo, ma nell’esercizio del suo ministero profetico, dichiara: Si oscurino i loro occhi perché non vedano, e piega sempre di più il loro dorso (Sal. 68, 24). Gli occhi sono chiaramente coloro che posti innanzi a tutti al grado sommo della dignità, hanno assunto il compito di fare da guide nel cammino; e quelli che al loro seguito aderiscono ad essi sono giustamente chiamati dorsi. Dunque, se gli occhi si oscurano, il dorso si piega: così quando coloro che guidano perdono la luce della conoscenza, quelli che seguono si

Page 150: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

150

curvano inevitabilmente sotto il peso dei peccati.

2 — Non occupino il posto del governo delle anime coloro che nel loro modo di vivere non adempiono a quanto hanno appreso con lo studio

Ci sono poi alcuni che investigano le regole della vita spirituale con esperta cura, ma poi calpestano con la loro condotta di vita ciò che riescono a comprendere con l’intelligenza: subito si mettono a insegnare ciò che hanno imparato con lo studio ma non con la pratica; e combattono con i loro costumi ciò che predicano con le loro parole. Così avviene che quanto il pastore cammina per terreni scoscesi il gregge che lo segue cade nel precipizio. Perciò il Signore si lamenta per mezzo del profeta contro la spregevole scienza dei Pastori, dicendo: Mentre voi bevevate acqua limpidissima, intorbidavate l’altra con i vostri piedi e le mie pecore si nutrivano di quanto voi avevate calpestato con i vostri piedi e bevevano l’acqua che i vostri piedi avevano intorbidato (Ez. 34, 18-19). I Pastori bevono acqua limpidissima quando attingono alle acque correnti della verità con retta intelligenza, ma è come intorbidare quella stessa acqua con i propri piedi il corrompere gli studi di una meditazione santa con una cattiva condotta di vita. Sono poi pecore che bevono l’acqua intorbidata dai piedi di quelli, i sudditi che non seguono le parole che ascoltano, ma imitano solo ciò che vedono, cioè gli esempi di una vita depravata. Infatti essi hanno sete di quanto viene loro detto con le parole, ma poi sono pervertiti dalle opere e allora è come se nei loro bicchieri bevessero fango perché le sorgenti si sono inquinate. Perciò è pure scritto per mezzo del profeta: I cattivi sacerdoti sono laccio di rovina per il mio popolo (cf. Os. 5,1; 9,8). E sempre dei sacerdoti dice ancora il Signore: Sono divenuti per la casa di Israele pietra di inciampo per l’iniquità (Ez. 44, 12). In verità nessuno nuoce di più nella Chiesa di chi portando un titolo o un ordine sacro conduce una vita corrotta, giacché nessuno osa confutare un tale peccatore e la colpa si estende irresistibilmente con la forza dell’esempio quando, a causa della riverenza dovuta all’ordine sacro, il peccatore viene onorato. Ma pur essendo indegnissimi, fuggirebbero la responsabilità di una colpa così grave se valutassero con attento orecchio del cuore la sentenza della Verità che afferma: Chi avrà scandalizzato uno solo di questi piccoli che credono in me è meglio per lui che gli si appenda una macina d’asino al collo e lo si getti nel profondo del mare (Mt. 18, 6). Dove la macina d’asino significa quel faticoso ritornare su se stessi della vita del secolo, e il profondo del mare indica la condanna eterna. Pertanto, chi rivestitosi dell’apparenza della santità rovina gli altri con la parola e con l’esempio, sarebbe certo stato meglio per lui che lo avessero trascinato a morte le sue azioni terrestri quand’era nello stato laicale, piuttosto che le sue funzioni sacre lo avessero indicato agli altri — nella sua colpa — come esempio da imitare. Giacché se almeno fosse caduto da solo lo avrebbe tormentato una pena infernale comunque più tollerabile.

3 — Il peso del governo delle anime. Bisogna disprezzare le avversità e temere la prosperità

Abbiamo voluto dimostrare in breve, con quel che abbiamo detto sopra, quanto sia grave il peso del governo delle anime, perché nessuno che non sia in grado di sostenerlo osi accostarsi temerariamente ai ministeri sacri e, per la bramosia di raggiungere il luogo della massima dignità, si assuma invece la guida della perdizione. Per questo Giacomo mette piamente in guardia dicendo: Non vogliate, fratelli miei, divenire maestri in molti (Giac. 3, 1). E perciò lo stesso Mediatore fra Dio e gli uomini rifuggi dall’assumere il regno sulla terra, lui che superando la scienza e la conoscenza anche degli spiriti celesti regna nei cieli prima dei secoli. Difatti è scritto: Gesù, dunque, sapendo che sarebbero venuti per rapirlo e farlo re, fuggì di nuovo sul monte, lui solo (Gv. 6, 15). Eppure chi avrebbe potuto regnare senza colpa sugli uomini come colui che avrebbe regnato,

Page 151: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

151

così., sulle sue creature? Ma poiché era venuto nella carne proprio per questo, non solo per redimerci con la sua passione ma anche per ammaestrarci con la sua vita e offrirsi come esempio per quelli che lo seguivano, perciò non volle divenire re, ma si avviò spontaneamente al patibolo della croce, fuggi la gloria della somma dignità che gli veniva offerta, ricercò la pena di una morte obbrobriosa. Ciò evidentemente perché noi sue membra imparassimo a fuggire i favori del mondo, a non temere affatto i terrori della morte, ad amare le avversità per difendere la verità, a evitare con timore la prosperità, perché questa con la gonfiezza che l’accompagna corrompe il cuore, mentre le avversità lo purificano attraverso la sofferenza. Nella prosperità l’animo si innalza, ma nell’avversità, anche se prima si fosse innalzato, si prostra. Nella prosperità l’uomo dimentica ciò che è, ma nell’avversità anche non volendolo è richiamato quasi per costrizione a ricordarsene. Nella prosperità spesso anche il bene compiuto prima si corrompe, ma nell’avversità viene cancellato ciò che di male si è commesso anche nel corso di un lungo tempo. Infatti, per lo più sotto il magistero dell’avversità il cuore è come costretto dalla disciplina, ma se poi si innalza fino al più alto grado di governo, per l’esperienza della gloria si muta ben presto fino all’esaltazione. Così Saul, che in un primo tempo era fuggito per non essere fatto re considerandosene indegno (cf. 1 Sam. 10, 22), poi come ebbe assunto la guida del regno si gonfiò, e bramoso di essere onorato davanti al popolo, per non essere rimproverato pubblicamente, rinnegò perfino colui che l’aveva unto re (cf. 1 Sam. 15, 17-30). Così David, approvato quasi in ogni sua azione dal giudizio di Dio, appena non si senti più oppresso dalla persecuzione ruppe nella superba ferita del peccato (cf. 2 Sam. 11, 3 ss.) e divenne rigido e crudele nel volere la morte di un uomo nobile, mentre era stato molle e senza forza nel desiderio dissoluto di una donna. Lui che prima aveva saputo salvare piamente i malvagi imparò poi a desiderare l’uccisione anche dei buoni con fredda determinazione (cf. 2 Sam. 11, 15). Infatti una volta pur trovandosi nelle mani il suo persecutore non volle colpirlo, ma in seguito uccise un soldato devoto, con danno, inoltre, dell’esercito che già si trovava in difficoltà. E la colpa lo avrebbe certamente strappato e portato ben lontano dal numero degli eletti, se il castigo divino non lo avesse richiamato al perdono (cf. 2 Sam. 12).

4 — L’occupazione del governo delle anime per lo più dissipa l’unità dello spirito

Spesso le cure assunte col governo delle anime disperdono il cuore in diverse direzioni così che ci si ritrova incapaci di affrontare problemi singoli perché la mente confusa è divisa in molte occupazioni. Perciò un sapiente avvertito ammonisce: Figlio non applicarti a molte attività (Sir. 11, 10). E ciò per dire che la mente divisa in diverse operazioni non può raccogliersi pienamente nella considerazione esigente di ciascuna; e mentre è trascinata al di fuori da una cura prepotente, si svuota di quella unità dello spirito prodotta dall’intimo timore: diviene sollecita nella disposizione di cose esteriori, e ignara solamente di sé, sa pensare a molte cose ma non conosce se stessa. Infatti, quando si immerge più del necessario in occupazioni esterne è come se, distratta lungo un viaggio, si dimenticasse della meta cui era diretta e così, noncurante di attendere all’esame di se stessa, non considera neppure quali danni riceve da ciò e ignora l’entità del suo peccato. In effetti Ezechia non credette di peccare quando mostrò agli ospiti stranieri i depositi dei profumi (cf. 2 Re 20, 13), ma per questa azione che egli aveva stimato lecita dovette portare l’ira del Giudice nella condanna per i suoi discendenti (cf. Is. 39, 4-8). Accade spesso che molte azioni per sé lecite e tali che, quando sono compiute, riscuotono l’ammirazione dei sudditi, provochino però una esaltazione dell’animo anche nel solo pensiero, e questa, quantunque non si manifesti all’esterno con azioni inique, attira su di sé l’ira senza riserve del Giudice. Poiché è nell’intimo colui che giudica ed è l’intimo che è giudicato; e quando pecchiamo nel cuore ciò che compiamo in noi resta nascosto agli uomini ma il Giudice stesso è testimone del nostro peccato. Infatti il re di Babilonia non peccò di superbia

Page 152: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

152

solamente quando giunse a pronunciare parole superbe, poiché egli udì dalla bocca del profeta la sentenza della sua condanna quando ancora non si era esaltato con le sue parole (cf. Dan. 4, 16 ss.). Egli poi, in precedenza, aveva lavato la sua colpa quando aveva riconosciuto onnipotente il Dio che aveva offeso, predicandolo a tutte le genti che aveva sottomesse (cf. Dan. 3, 98-100); ma in seguito esaltato per l’affermazione del suo potere, compiaciuto di aver compiuto grandi cose, si antepose a tutti nel suo pensiero, e quindi si inorgoglì al punto di esclamare: Non è questa la grande Babilonia che io ho edificato come cosa del mio regno, merito della mia forza, gloria della mia maestà? (Dan. 4, 27) Furono certamente queste parole che dovettero sostenere apertamente la vendetta di quell’ira che l’intima esaltazione aveva acceso. Infatti il severo Giudice aveva veduto già da prima ciò che invisibilmente era in lui e che rimproverò poi pubblicamente con la punizione: lo trasformò in animale irrazionale, lo separò dal consorzio umano, lo associò per la sua mente sconvolta alle bestie della campagna, affinché per un giudizio evidentemente severo e tuttavia giusto, finisse col non essere più un uomo colui che si era stimato grande al di sopra degli uomini (cf. Dan. 4, 28-30). Così, proponendo questi esempi, non intendiamo disapprovare il potere in sé, ma difendere la debolezza del cuore dalla brama di raggiungerlo, affinché gli imperfetti non osino impadronirsi della massima dignità del governo delle anime, né coloro che vacillano sul terreno piano si arrischino a porre il piede sul precipizio.

5 — Alcuni chiamati alla massima dignità del governo delle anime potrebbero giovare col loro esempio, ma rifiutano cercando la propria quiete

Ci sono in effetti alcuni che ricevono doti eccellenti di virtù e vengono esaltati per i loro grandi doni capaci di sostenere gli altri nell’esercizio della vita ascetica. Costoro sono puri per l’amore della castità, forti di quel vigore che è frutto dell’astinenza, sazi del delizioso nutrimento della dottrina, umili nella loro paziente longanimità, saldi della forza dell’autorità, benigni a motivo della loro pietà, rigorosi di quella severità che è propria della giustizia. Costoro però escludono per lo più anche se stessi da questi doni che non hanno ricevuto per sé soli ma anche per gli altri, se quando siano chiamati alla massima dignità del governo delle anime rifiutano di accettarla. E poiché pensano al loro guadagno e non a quello altrui, si privano proprio di quei doni che desiderano possedere a uso privato. Perciò infatti la Verità dice ai discepoli: Non può restare nascosta una città posta su un monte, né si accende una lampada e la si pone sotto un moggio, ma sopra il candelabro perché faccia luce per tutti coloro che sono in casa (Mt. 5, 15). Perciò dice a Pietro: Simone di Giovanni, mi ami? (Gv. 21, 17) E lui che subito aveva risposto che lo amava si sentì dire: Se mi ami, pasci le mie pecore (Gv. 21, 17). Se dunque la cura pastorale è testimonianza d’amore, chiunque ricco di virtù rifiuta di pascere il gregge di Dio ha in ciò stesso la prova che egli non ama il Pastore sommo. Perciò Paolo dice: Se Cristo è morto per tutti, dunque tutti sono morti, e se è morto per tutti resta che coloro che vivono non vivano pia per sé ma per colui che è morto per loro ed è risorto (2 Cor. 14, 15). Perciò ancora Mosè dice che un fratello che sopravvive al fratello morto senza figli ne sposi la moglie e generi figli a nome del fratello; e se rifiuterà di prenderla la donna gli sputi in faccia e il parente più prossimo di lei gli tolga un sandalo, e la sua abitazione sia detta casa dello scalzato (cf. Deut. 25, 5). Ora, il fratello morto è certamente colui che apparendo dopo la sua gloriosa risurrezione disse: Andate, dite ai miei fratelli (Mt. 28, 10). Egli è come morto senza figli, poiché non ha completato il numero dei suoi eletti, e allora al fratello superstite viene ordinato di ricevere la sua sposa.Poiché è certamente cosa degna che la cura della Santa Chiesa venga imposta a chi più di ogni altro è in grado di governarla. E se egli non vuole, la donna gli sputa in faccia, giacché chiunque non ha cura di giovare agli altri coi doni che ha ricevuto, la Santa Chiesa gli rimprovera anche ciò che egli

Page 153: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

153

fa di buono ed è come se gli gettasse saliva in faccia. Ma egli è anche colui a cui viene tolto il sandalo da un piede così che la sua casa sia detta dello scalzato, poiché è scritto: Calzati i piedi per prepararsi al annunciare l’Evangelo della pace (Ef. 6, 15). Dunque proteggiamo ambedue i piedi coi sandali se ci prendiamo cura degli altri come di noi stessi; ma è come se perdesse con vergogna il sandalo da un piede colui che pensando alla propria utilità trascura quella del prossimo. Così, come abbiamo detto, ci sono alcuni ricchi di grandi doni i quali ardono dal desiderio della sola contemplazione e rifiutano di assoggettarsi all’utilità del prossimo attraverso il servizio della predicazione, perché amano la quiete appartata e aspirano alla meditazione in solitudine. Se si dovesse giudicarli con rigore sotto questo aspetto, essi sono responsabili nei confronti di tante anime, quante sono quelle cui avrebbero potuto giovare venendo a stare fra gli uomini. In effetti con quale pensiero colui che avrebbe potuto brillare nella sua dedizione a vantaggio del prossimo prepone il proprio ritiro alla utilità degli altri, quando lo stesso Unigenito del Sommo Padre, per giovare a molti, è uscito dal seno del Padre (cf. Gv. 1, 18; 8, 42; ecc.) per venire fra gente come noi?

6 — Coloro che fuggono il peso del governo delle anime per umiltà sono veramente umili quando non resistono al decreto divino

Ci sono poi alcuni che rifiutano solo per umiltà, per non essere cioè preferiti a coloro ai quali si stimano inferiori. La loro umiltà, se si circonda anche delle altre virtù, è certamente vera agli occhi di Dio, perché essa non si ostina a respingere ciò cui le viene ordinato di sottomettersi come cosa utile. Non è veramente umile cioè colui che capisce di dovere stare alla guida degli altri per decreto della volontà divina e tuttavia disprezza questa preminenza. Se invece è sottomesso alle divine disposizioni e alieno dal vizio dell’ostinazione ed è già prevenuto con quei doni coi quali può giovare agli altri, quando gli viene imposta la massima dignità del governo delle anime, egli deve rifuggire da essa col cuore, ma pur contro voglia deve obbedire.

7 — Si dà spesso il caso che alcuni aspirino lodevolmente all’ufficio della predicazione, e altri lodevolmente vi si lascino attirare costretti

Sebbene non di rado ci sia chi lodevolmente aspira all’ufficio della predicazione, c’è anche chi lodevolmente vi si lascia attirare se è costretto. Possiamo renderci conto facilmente di ciò se pensiamo all’opposto atteggiamento di due profeti: uno si offrì spontaneamente per essere mandato a predicare, l’altro pieno di timore si rifiutò. Isaia infatti si offri di propria iniziativa al Signore che chiedeva chi mandare, dicendo: Eccomi, manda me (Is. 6, 8). Geremia invece è mandato e tuttavia resiste umilmente per non esserlo, dicendo: Ah, ah, ah, Signore Dio, ecco non so parlare perché sono un ragazzo (Ger. 1, 6). Ecco, usci fuori una parola diversa dall’uno e dall’altro, ma essa non sgorgò da una diversa sorgente d’amore, giacché due sono i precetti della carità, cioè l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Isaia bramando di giovare al prossimo con la vita attiva aspira all’ufficio della predicazione; mentre Geremia desiderando di aderire sinceramente all’amore del Creatore attraverso la contemplazione oppone che egli non deve essere mandato a predicare. Pertanto l’uno aspirò lodevolmente a ciò di cui l’altro lodevolmente ebbe terrore: questo non voleva guastare, parlando, i frutti di una tacita contemplazione, quello non volle sentire, tacendo, i danni di un’attività nutrita solo di desiderio. Tuttavia bisogna penetrare sottilmente l’animo di ambedue e capire che chi rifiutò non resistette fino all’ultimo; e colui che volle essere mandato, prima si vide purificato dal carbone acceso dell’altare (cf. Is. 6, 6-7) a significare che nessuno osi accostarsi ai ministeri sacri senza essere stato purificato, o anche che colui che la grazia celeste ha scelto non

Page 154: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

154

contraddica superbamente sotto il pretesto dell’umiltà. Dunque, poiché è molto difficile che una persona qualsiasi possa riconoscere di essere stata purificata, è più che sicuro declinare l’ufficio della predicazione; tuttavia, come s’è detto, non bisogna insistere con ostinazione nel rifiutarlo quando si riconosce che è volontà celeste l’assumerlo. Si tratta di due disposizioni dell’animo a cui Mosè aderì mirabilmente poiché, dovendo essere guida di una moltitudine tanto grande, non volle ma obbedì (cf. Es. 3, 10 – 4, 18). Forse sarebbe stato superbo se avesse assunto la guida di una popolazione numerosissima senza trepidazione, e sarebbe ancora risultato superbo se avesse rifiutato di obbedire all’ordine del Creatore. Così, in ambedue i casi, egli fu insieme umile e soggetto, poiché misurando se stesso non volle essere capo del popolo e tuttavia acconsenti fidando sulle forze di colui che glielo ordinava. Da questo esempio si rendano conto certe persone irriflessive, di quanto è grande la loro colpa, se per il proprio desiderio non temono di essere preposti ad altri, quando — pur dietro l’ordine di Dio — uomini santi temettero di assumere la guida del popolo. Mosè trepida dietro l’invito del Signore, e un inetto qualunque anela ad un ufficio d’onore. Così, chi è spinto a cadere con forza sotto i propri pesi offre volentieri le sue spalle per caricarsi di quelli altrui: non ha la forza di sopportare il peso di cui è già carico e aumenta quel che porta.

8 — Alcuni bramano il potere e si appropriano di una affermazione dell’Apostolo ai fini della propria concupiscenza

Per lo più coloro che bramano il potere si appropriano della parola con cui l’Apostolo dice: Se qualcuno desidera l’episcopato desidera un buon ufficio (1 Tim. 3, 1), e l’adoperano ai fini della propria concupiscenza. Egli tuttavia pur lodando il desiderio volge subito in motivo di timore ciò che ha lodato, perché immediatamente aggiunge: Occorre però che il vescovo sia irreprensibile (1 Tim. 3, 2); e continuando poi a enumerare le virtù necessarie, chiarisce in che cosa consiste questa irreprensibilità. Incoraggia quanto al desiderio, ma incute timore col precetto come se dicesse apertamente: Lodo ciò che voi cercate, ma prima imparate bene che cos’è che cercate, perché se trascurate di misurare voi stessi, la vostra consapevolezza non appaia tanto più disonorevole, in quanto ha fretta di mostrarsi a tutti rivestita della dignità episcopale. Così, colui che fu grande maestro del ministero pastorale, da un lato spinge i suoi ascoltatori e incoraggia, dall’altro li trattiene col timore, per difenderli dalla superbia, con la descrizione della perfetta irreprensibilità, e per disporli alla vita che li attende lodando l’ufficio da loro richiesto. È da notare però che egli parlava così in un tempo in cui chiunque fosse a capo del popolo veniva condotto per primo ai supplizi del martirio. Allora sì era cosa lodevole aspirare all’episcopato, quando si sapeva con certezza che attraverso di esso si sarebbe giunti alle più gravi torture. Anche per questo il ministero dell’episcopato viene definito con l’espressione buon ufficio, quando è detto: Se qualcuno desidera l’episcopato, desidera un buon ufficio (1 Tim. 3, 1). Pertanto, colui che cerca l’episcopato per la gloria di quell’onore e non per il buon ufficio di questo ministero, testimonia da sé, per se stesso, che non è l’episcopato ciò a cui egli aspira. In effetti, non solo egli non ama affatto l’ufficio sacro, ma non sa neppure che cosa sia, lui che anelando alla massima dignità del governo pastorale, nei pensieri nascosti della sua mente si pasce della sottomissione altrui, gode della lode rivolta a sé, esalta il suo cuore al pensiero dell’onore, esulta per l’abbondanza dei beni affluenti da ogni parte. Così si cerca il guadagno del mondo, proprio sotto l’apparenza di quella dignità attraverso la quale i guadagni del mondo si sarebbero dovuti distruggere. E quando la mente medita di impadronirsi del sommo grado dell’umiltà avendo di mira la propria esaltazione, muta e deforma nell’intimo ciò a cui aspira esteriormente.

Page 155: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

155

9 — La mente di coloro che vogliono dominare spesso si lusinga con il finto proposito di compiere opere buone

Ma per lo più coloro che bramano di ricevere il magistero pastorale si pongono in animo anche il proposito di qualche opera buona, e quantunque nella loro aspirazione a quel magistero abbiano di mira la propria esaltazione, tuttavia considerano a lungo col pensiero le grandi cose che faranno e avviene che in essi tutt’altra cosa è ciò che la loro intenzione soffoca nel profondo, da ciò che la considerazione superficiale rappresenta al loro animo. Infatti, non di rado il pensiero mente a se stesso riguardo a sé e si immagina — quanto al bene operare — di amare ciò che di fatto non ama, e — quanto alla gloria del mondo — di non amare ciò che ama. E bramando il potere del primato, mentre lo cerca diviene timoroso verso di esso, ma quando l’ha ottenuto si fa audace. Infatti, finché è proteso ad esso, trepida di non arrivarci, ma una volta arrivato, immediatamente giudica che quanto ha ottenuto gli fosse dovuto di pieno diritto. E quando incomincia a godere mondanamente del primato ottenuto, si dimentica volentieri di tutto quanto aveva meditato di compiere con spirito religioso. Perciò è necessario che quando l’immaginazione va oltre i limiti di ciò che è praticamente realizzabile, subito l’attenzione della mente sia richiamata alle opere compiute in precedenza, perché ciascuno valuti quanto è stato capace di compiere da suddito e così si renda immediatamente conto se può, come prelato, compiere le opere buone che si è proposto. Perché colui che stando all’ultimo posto non ha cessato di insuperbire non è per nulla in grado di apprendere l’umiltà quando sia salito al luogo più alto. Non sa fuggire la lode che gli viene ampiamente tributata, colui che ha imparato a bramarla quando ne era privo. Né può vincere la cupidigia colui che si dispone a provvedere a molti, mentre prima per sé solo non gli bastavano i propri beni. Pertanto ciascuno scopra se stesso dall’esame della sua vita passata perché nella sua brama di potere l’immaginazione non lo illuda. Del resto, per lo più al posto di governo si perde perfino l’uso del bene operare che si osservava in una vita tranquilla, giacché sul mare calmo anche un inesperto sa guidare diritta una nave, ma se il mare è mosso da ondate tempestose anche un marinaio esperto ci si trova in difficoltà. E che cosa è il culmine del potere se non una tempesta per la mente? In essa la navicella del cuore è agitata dal fluttuare dei pensieri, spinta incessantemente qua e là fino ad infrangersi per gli improvvisi eccessi nel parlare e nell’agire, come contro degli scogli. E così tra questi frangenti, quale via occorre seguire e quale linea tenere se non questa: che chi è ricco di virtù venga costretto ad accedere al governo delle anime, e chi è privo di virtù sia costretto a non accostarvisi? Se il primo resiste in modo assoluto, veda di non dover essere giudicato come colui che ha nascosto il denaro ricevuto dopo averlo avvolto in un fazzoletto (cf. Lc. 19, 20). Perché avvolgere il denaro nel fazzoletto significa nascondere i doni ricevuti, nell’ozio di una molle rilassatezza. D’altra parte, chi brama il governo delle anime badi che attraverso l’esempio di un agire perverso non si trovi ad essere di inciampo per coloro che vogliono entrare nel Regno; alla maniera dei farisei, i quali — secondo la parola del Maestro — non ci entrano loro né permettono che ci entrino gli altri (cf. Mt. 23, 13). Costui deve poi anche considerare che, quando il presule eletto assume la cura del popolo, è come un medico che si accosta ad un malato. Dunque, se nel suo agire sono ancora vive le passioni, con quale presunzione si affretta a medicare chi è stato percosso, colui che porta la propria ferita sul volto?

10 — Come deve essere chi si accosta al governo delle anime

Pertanto, in tutti i modi deve essere trascinato, a divenire esempio di vita, colui che morendo a tutte le passioni della carne vive ormai spiritualmente; ha posposto a tutto il successo mondano; non teme alcuna avversità; desidera solamente i beni interiori. Pienamente conformi alla sua intima

Page 156: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

156

disposizione, non lo contrastano né il corpo con la sua debolezza né lo spirito col suo orgoglio. Egli non è condotto a desiderare i beni altrui, ma è largo dei propri. Per le sue viscere di misericordia si piega ben presto al perdono ma non deflette dalla più alta rettitudine, passando sopra più di quanto conviene. Non commette nulla di illecito, ma piange come proprio il male commesso dagli altri. Compatisce la debolezza altrui con tutto l’affetto del cuore, gioisce dei beni del prossimo come di successi suoi. In tutto ciò che fa si mostra imitabile agli altri, così che con loro non gli avviene di dover arrossire nemmeno per fatti passati. Si studia di vivere in modo tale da essere in grado di irrigare, con le acque della dottrina, gli aridi cuori del suo prossimo. Attraverso la pratica della preghiera, ha imparato per esperienza che può ottenere da Dio ciò che chiede, lui cui in modo speciale è detto dalla parola profetica: Mentre ancora tu parli, io dirò: Eccomi, sono qui (Is. 58, 9). Infatti, se venisse qualcuno a prenderci per condurci come suoi intercessori presso un potente adirato con lui e che, per altro, non conosciamo, noi risponderemmo subito: non possiamo venire ad intercedere perché non sappiamo niente di lui. Dunque, se un uomo si vergogna di farsi intercessore presso un altro uomo che non conosce, con quale animo può attribuirsi la funzione di intercedere per il popolo presso Dio, chi non sa di godere la familiarità della sua grazia con la sua condotta di vita? O come può chiedergli perdono per gli altri uno che non sa se egli è placato verso di lui? A questo proposito, un’altra cosa occorre temere con maggiore sollecitudine, cioè che colui che si crede possa placare l’ira, non la meriti a sua volta a causa del proprio peccato. Giacché sappiamo tutti molto bene che se chi viene mandato a intercedere è già sgradito per se stesso, l’animo di chi è irato viene provocato a cose peggiori. Pertanto, chi è ancora stretto dai desideri terreni veda di non accendere più gravemente l’ira del Giudice severo e mentre gode del suo luogo di gloria, non divenga autore di rovina per i sudditi.

11 — Com’è colui che non deve accostarsi al ministero

Ciascuno dunque misuri saggiamente se stesso, perché non osi assumere la funzione di governo a sua condanna se in lui regna ancora il vizio; e non aspiri a divenire intercessore per le colpe degli altri colui in cui permane la depravazione del suo peccato. Perciò viene detto a Mosè dalla voce celeste: Parla ad Aronne: chiunque appartenente a famiglie della tua discendenza avrà un difetto, non offrirà pani al Signore Dio suo né si accosterà per servirlo (Lev. 21, 17). Poi prosegue immediatamente: Se sarà cieco, zoppo, col naso troppo piccolo o troppo grande e storto, con una frattura a un piede o a una mano, sia gobbo o cisposo, con albugine nell’occhio, la scabbia, l’erpete nel corpo, l’ernia (Lev. 21, 18). È cieco chi non conosce la luce della contemplazione celeste, e avvolto dalle tenebre della vita presente, incapace di guardare con amore alla luce che deve venire, non sa dove dirigere i passi del suo operare. Perciò è detto nella profezia di Anna: Custodirà i passi dei suoi santi, e gli empi taceranno nelle tenebre (1 Sam. 2, 9). Zoppo, invece, è colui che vede con certezza dove deve dirigersi, ma per debolezza d’animo non sa mantenersi perfettamente sulla via della vita, che pure vede; e ciò perché i passi del suo operare non seguono efficacemente gli sforzi del suo desiderio, là dove esso mira, cioè a una condizione virtuosa a cui non sa innalzarsi la sua molle consuetudine di vita. Perciò infatti Paolo dice: Rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite e raddrizzate le vie per i vostri passi, perché qualcuno zoppicando non erri ma piuttosto sia guarito (cf. Ebr. 12, 12-13). Ha il naso piccolo colui che non è adatto a osservare la misura della discrezione. In effetti, col naso distinguiamo odori gradevoli e sgradevoli, dunque è giusto rappresentare col naso la discrezione con la quale scegliamo le virtù e riproviamo i peccati. È perciò che si dice, in lode della sposa: Il tuo naso è come torre sul Libano (Cant. 7, 4), poiché è evidentemente con la discrezione che la Santa Chiesa scorge quali tentazioni procedono da singole cause e, come chi osserva dall’alto, riconosce le guerre dei vizi che stanno per sopravvenire.

Page 157: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

157

Ma ci sono alcuni che per non essere stimati troppo poco intelligenti si impegnano spesso più del necessario in certe analisi ricercate in cui poi falliscono per l’eccessiva sottigliezza. Perciò è detto anche: o col naso grande e storto. Questo infatti rappresenta la sottigliezza eccessiva del discernimento che, per essere cresciuto oltre il conveniente, confonde da se stesso il retto procedere della sua attività. Ha il piede o la mano fratturata colui che non sa percorrere in alcun modo la via di Dio ed è completamente escluso dalle buone opere, perché non ne partecipa neppure imperfettamente come lo zoppo, ma è del tutto estraneo ad esse. Gobbo, poi, è colui cui il peso delle sollecitudini terrene fa abbassare il capo affinché non si volga mai a guardare verso l’alto, ma sia attento solamente a ciò che viene calpestato nei luoghi più bassi. E se qualche volta gli avviene di sentire parlare dei beni della patria celeste, gravato com’è dal peso di una consuetudine perversa, non volge ad essi gli occhi del cuore, poiché colui che è tenuto curvo a terra dalla consuetudine delle cure terrene, non è capace di drizzare verso l’alto la sua meditazione. È di costoro che il salmista dice: Sono incurvato e umiliato in ogni tempo (Sal. 37, 7). Anche la Verità in persona rimprovera la loro colpa, dicendo: Il seme caduto fra le spine sono coloro che dopo avere udito la parola, se ne vanno e vengono soffocati dalle sollecitudini, dalle ricchezze e dai piaceri della vita e non portano frutto (Lc. 8, 14).Il cisposo è colui il cui ingegno è lucido e acuto per la conoscenza della verità, e tuttavia le sue azioni carnali lo oscurano. In effetti, negli occhi cisposi le pupille sono sane, ma le palpebre, malate per la continua secrezione di umore si gonfiano, e per la frequenza di questo deflusso si indeboliscono così che anche la acutezza della pupilla ne resta menomata. E ci sono alcuni la cui sensibilità resta ferita da una vita dedita ad attività carnali: la sottigliezza d’ingegno consentirebbe loro di scorgere ciò che è retto, ma essi sono oscurati dalla pratica di un agire depravato. Così è cisposo colui a cui la natura ha fatto acuta la sensibilità ma il suo comportamento corrotto la confonde. Ben vien detto loro, per mezzo dell’angelo: Ungi col collirio i tuoi occhi per vedere (Ap. 3, 18). Allora ungiamoci gli occhi col collirio per vedere e aiutiamo con la medicina di un buon operare l’acutezza del nostro intelletto, per conoscere lo splendore della vera luce. Ha l’albugine nell’occhio colui al quale l’accecamento, prodotto dalla sua presunzione di sapienza e di giustizia, non permette di vedere la luce della verità. Infatti, se la pupilla dell’occhio è nera, vede, ma se porta una macchia bianca, non vede nulla. Poiché è chiaro che, se l’uomo nella sua meditazione si riconosce stolto e peccatore, giunge all’esperienza della chiarezza interiore. Se invece egli si attribuisce la candida lucentezza della sapienza e della giustizia, si esclude da sé dalla conoscenza della luce divina; e tanto meno riesce a penetrare la chiarezza della vera luce, quanto più per la sua presunzione si esalta ai propri occhi. Come è detto di certuni: Dicendo di essere sapienti sono divenuti stolti (Rom. 1, 22). È poi affetto da scabbia persistente colui che è dominato da una incessante richiesta della carne. Infatti, nella scabbia è come se l’ardore delle viscere affiorasse sulla pelle, e con essa giustamente si designa la lussuria poiché se la tentazione del cuore si affretta a esprimersi negli atti, è appunto un ardore intimo che prorompe come scabbia della pelle, e ormai esteriormente copre il corpo di piaghe; poiché il piacere che non si sa reprimere nel pensiero, domina poi anche nell’azione. E Paolo si preoccupava di come togliere il prurito dalla pelle quando diceva: Non vi colga alcuna tentazione se non umana (1 Cor. 10, 13); come a dire: è certamente umano che il cuore sopporti una tentazione, ma è demoniaco, nella lotta con la tentazione, lasciarsi vincere da essa mettendola in opera. Similmente è come chi ha l’erpete nel corpo chiunque ha l’animo devastato dall’avidità, che se non è contenuta nelle piccole cose è inevitabile che si espanda oltre misura. L’erpete in effetti ricopre il corpo in modo indolore e, senza alcun fastidio di colui che ne è colpito, si ingrandisce deturpando il decoro delle membra; allo stesso modo l’avidità, mentre dà quasi l’impressione di procurare piacere a colui che ne è preso, di fatto gli piaga l’anima e mentre gli rappresenta al pensiero quanto può ancora giungere a possedere, lo accende alla

Page 158: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

158

discordia senza provocargli però dolore alla ferita, perché promette, all’animo che arde per essi, abbondanza di beni derivanti dalla colpa stessa. Ma il decoro deturpato delle membra significa che la bellezza delle altre virtù è corrotta a causa dell’avidità, e come l’erpete devasta tutto il corpo, così l’avidità distrugge l’animo con tutti gli altri vizi, secondo l’insegnamento di Paolo che dice: La cupidigia è radice di tutti i mali (cf. 1 Tim. 6, 10). E il malato di ernia è chi non pratica il vizio e tuttavia ne ha la mente gravata dal pensiero continuo e smodato; e se di fatto non è trascinato fino all’atto del peccato, tuttavia il suo animo gode del piacere della lussuria senza alcuno stimolo a resistergli. Si ha, come è noto, la malattia dell’ernia quando l’umore viscerale scende nelle parti virili che si gonfiano in modo certo molesto e indecoroso. Pertanto, con malato d’ernia, si intende colui che trascorrendo alla lascivia con ogni suo pensiero, porta nel cuore un peso vergognoso, e quantunque non esprima nell’atto questa depravazione, non riesce però a strapparsene con la mente; e non è capace di innalzarsi decisamente alla pratica delle buone opere perché è gravato di nascosto da questo peso turpe. Perciò, a chiunque sia gravato di qualcuno di questi vizi è proibito offrire pani al Signore, perché non possa in alcun modo sciogliere i peccati degli altri lui che è ancora preda dei propri. Dunque, poiché abbiamo indicato in breve in qual modo uno può accostarsi degnamente al magistero pastorale, e come lo debba temere chi ne è indegno, ora intendiamo mostrare in che modo, colui che vi sia pervenuto in modo degno, debba vivere in esso.

Page 159: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

159

PARTE SECONDA

LA VITA DEL PASTORE

1 — Come si deve mostrare nell’esercizio del governo delle anime colui che vi sia giunto legittimamente

Il comportamento del presule deve essere di tanto superiore a quello del popolo, quanto la vita del pastore differisce, ordinariamente, da quella del gregge. Infatti è opportuno che egli si dia cura di misurare con sollecitudine quale necessità lo costringa ad una rigorosa rettitudine, perché è per lui che il popolo è chiamato gregge. Bisogna allora che egli sia puro nel pensiero, esemplare nell’agire, discreto nel suo silenzio, utile con la sua parola; sia vicino a ciascuno con la sua compassione e sia, più di tutti, dedito alla contemplazione; sia umile alleato di chi fa il bene, ma per il suo zelo della giustizia sia inflessibile contro i vizi dei peccatori; non attenui la cura della vita interiore nelle occupazioni esterne, né tralasci di provvedere alle necessità esteriori per la sollecitudine del bene interiore. Ma ora vogliamo riprendere in una trattazione più estesa queste qualità che abbiamo ristrette brevemente nell’enunciazione.

2 — La guida delle anime sia pura nel pensiero

La guida delle anime sia sempre pura nel suo pensiero, affinché nessuna immondezza contamini colui che ha assunto questo ufficio ed egli sia in grado di lavare anche i cuori altrui dalle macchie dell’impurità; perché bisogna che abbia cura di essere pulita la mano che si adopera a pulire ciò che è sudicio, e non renda ancora più sporco ciò che va toccando mentre è ancora infangata. Perciò è detto per mezzo del profeta: Purificatevi voi, che portate i vasi del Signore (Is. 52, 12). Infatti portano i vasi del Signore coloro che si assumono di condurre le anime ai santuari eterni, con la fedeltà della propria condotta di vita. Dunque, vedano in se stessi quanto debbano essere purificati, quelli che dentro la promessa che hanno fatto di sé portano vasi viventi al tempio eterno. Perciò viene prescritto dalla parola divina che sul petto di Aronne aderisca, legato con nastri, il razionale del giudizio (cf. Es. 28, 15), affinché il cuore del sacerdote non sia posseduto da pensieri oscillanti ma sia tenuto stretto solo dalla sapienza dello spirito: e non pensi a nulla di incerto o di inutile colui che, stabilito come esempio per gli altri, deve sempre mostrare, con l’austerità della vita, quanta sapienza abbia nel cuore. E si ha cura di aggiungere che in questo razionale si scrivano i nomi dei dodici patriarchi; infatti, portare di continuo i padri scritti sul petto significa meditare senza interruzione la vita degli antichi, e il sacerdote procede in modo irreprensibile quando fissa il suo sguardo senza posa sugli esempi dei padri che l’hanno preceduto, considera incessantemente le orme dei santi e reprime pensieri illeciti per non oltrepassare il limite di un agire ordinato. Ed è anche appropriato il nome di razionale del giudizio, poiché il sacerdote deve sempre discernere con esame sottile e retto il bene e il male e studiare attentamente come si accordino gli oggetti e i mezzi, il tempo e il modo; e non cercare mai nulla per sé ma considerare vantaggio proprio il bene altrui. Perciò là è scritto: Porrai sul razionale del giudizio la dottrina e la verità, che staranno sul petto di Aronne quando entrerà davanti al Signore, e porterà il giudizio dei figli di Israele sul suo petto, davanti al Signore, sempre (Es. 28, 30). Per il sacerdote, portare il giudizio dei figli di Israele sul petto davanti al Signore, significa trattare le cause dei sudditi avendo di mira solo la volontà del Giudice interiore, perché ad essa nulla si mescoli di umano in ciò che egli dispensa come

Page 160: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

160

rappresentante di Dio né alcun risentimento personale inasprisca l’ardore della correzione. E quando si mostra pieno di zelo contro i vizi altrui, persegua innanzitutto i propri perché una invidia nascosta non contamini la pacatezza del giudizio, o non la turbi un’ira precipitosa. Ma considerando il sacro terrore che si deve a colui che sta sopra a tutto, cioè l’intimo Giudice, non si devono governare i sudditi senza grande timore: quel timore che mentre umilia l’animo di chi governa lo purifica, perché la presunzione spirituale non lo esalti né lo contamini il piacere carnale o non lo oscurino sconvenienti pensieri terrestri, frutto della cupidigia di cose mondane. Tutte queste tentazioni non possono non assalire l’anima di chi governa, ma è necessario affrettarsi a lottare contro di esse per vincerle affinché, per il fatto che l’anima tarda a respingerle, il vizio che la tenta con la suggestione non la sottometta con la mollezza del piacere e non la uccida con la spada del consenso.

3 — La guida delle anime sia sempre esemplare nel suo agire

La guida delle anime sia esemplare nel suo agire per potere annunciare ai sudditi, col suo modo di vivere, la via della vita; e il gregge che va dietro alla voce e ai costumi del Pastore, proceda più con l’aiuto dei suoi esempi che delle sue parole. Infatti, chi per dovere indeclinabile del suo ministero è tenuto a dire cose elevate, dal medesimo dovere è costretto a mostrare cose elevate nei fatti; giacché il cuore degli ascoltatori è più facilmente penetrato dalle parole che trovano conferma nella vita di chi parla, il quale con l’esempio aiuta ad eseguire ciò che comanda a parole. Perciò è detto per mezzo del profeta: Sali su un monte eccelso, tu che evangelizzi Sion (Is. 40, 9). Cioè, chi pratica la divina predicazione deve mostrare che, abbandonando le più basse attività terrestri, sta saldo al di sopra delle cose; e tanto più facilmente può attirare i sudditi verso il meglio, quanto è con il merito della sua vita che egli grida le verità celesti. Per questo, per la legge divina, nel sacrificio il sacerdote riceve la spalla destra separata dal resto (cf. Es. 29, 22), perché la sua condotta non sia solo utile ma anche esemplare, il suo agire sia retto non solo tra i cattivi ma egli superi per le virtù della sua vita anche i sudditi che operano il bene come è superiore a loro, per la dignità dell’Ordine. A lui, poi, viene assegnata, come cibo, oltre alla spalla, anche la parte tenera del petto, perché quanto gli è prescritto di prendere dal sacrificio impari ad immolarlo in se stesso al Creatore. Ed egli non deve solamente meditare retti pensieri nel suo petto, ma invitare quanti lo osservano ad azioni elevate, indicate dalle spalle: non aspiri alla prosperità della vita presente, non tema le avversità, disprezzi le lusinghe del mondo come per un intimo senso di terrore, ma poi, ai terrori che esse suscitano, non badi, volgendosi al conforto della dolcezza interiore. E per questo la parola divina ordina pure che le spalle del sacerdote siano avvolte dal velo omerale (cf. Es. 29, 5), perché egli sia sempre difeso dall’ornamento delle virtù contro l’avversità e contro la prosperità affinché, secondo la parola di Paolo, avanzando con le armi della giustizia a destra e a sinistra (cf. 2 Cor. 6, 7) e indirizzando ogni sforzo solo verso i beni interiori, non pieghi né da un lato né dall’altro verso alcun basso piacere.Non lo esalti la prosperità, non l’abbatta l’avversità, nessuna lusinga lo alletti fino a fargli ricercare il piacere; l’asprezza delle difficoltà non lo spinga alla dispersione, e così, senza che alcuna passione trascini verso il basso la tensione del suo spirito, egli possa mostrare di quanta bellezza il velo omerale ricopra le sue spalle. Ed è anche giustamente prescritto che il velo omerale sia d’oro, di violaceo, di porpora, di scarlatto tinto due volte e di bisso ritorto (cf. Es. 28, 8), per dimostrare di quante virtù debba risplendere il sacerdote. Ora, nell’abito del sacerdote, soprattutto rifulge l’oro poiché in lui deve brillare principalmente una intelligenza sapiente. Ad esso si aggiunge il violaceo che risplende di riflessi d’oro, affinché attraverso ogni conoscenza a cui perviene, egli non ricerchi basse soddisfazioni, ma si innalzi all’amore delle cose celesti; e non avvenga che mentre si lascia

Page 161: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

161

prendere incautamente dalle lodi che gli vengono rivolte, resti privo proprio dell’intelligenza della verità. All’oro e al violaceo si mescola pure la porpora, per indicare cioè che il cuore sacerdotale, mentre spera le cose somme che predica, deve reprimere anche in se stesso le suggestioni dei vizi e contraddire ad essi come in virtù di un potere regale, poiché egli deve avere sempre di mira la nobiltà di una continua intima rigenerazione e difendere, coi suoi costumi, l’abito del regno celeste. Di questa nobiltà dello spirito, per mezzo di Pietro è detto: Ma voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale (1 Pt. 2, 9). E anche riguardo a questo potere di sottomettere i vizi, siamo confortati dalla parola di Giovanni che dice: Ma a quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio (Gv. 1, 12). Ed è considerando la dignità di questa potenza che il salmista dice: Per me sono stati molto onorati i tuoi amici, o Dio, quanto è stato rafforzato il loro principato (Sal. 138, 17).Poiché è certo che l’animo dei santi si leva verso le più grandi altezze principalmente quando, all’esterno, essi sono visibilmente sottoposti all’abiezione. Inoltre, all’oro, al violaceo e alla porpora si aggiunge lo scarlatto tinto due volte, a significare che agli occhi del Giudice interiore ogni bene di virtù deve adornarsi della carità, e tutto quanto risplende davanti agli uomini, alla presenza del Giudice occulto deve essere acceso dalla fiamma dell’amore intimo. Ed è evidente che la carità, in quanto ama Dio e il prossimo, rifulge quasi di una doppia tintura. Pertanto, colui che anela alla bellezza del Creatore, ma trascura di occuparsi del prossimo, oppure si occupa del prossimo ma è torpido nell’amore di Dio, per avere trascurato uno di questi due precetti, non sa portare lo scarlatto tinto due volte, sul velo omerale. Resta ancora però, senza dubbio, che quando lo spirito è teso verso i comandamenti della carità, la carne deve macerarsi nell’astinenza. Perciò si aggiunge allo scarlatto il bisso ritorto. Infatti il bisso nasce dalla terra con un aspetto splendente, e che cosa può essere designata dal bisso se non la castità luminosa per la dignità di un corpo puro? Ed essa si intreccia, ritorta, alla bellezza del velo omerale perché la castità è portata al candore perfetto della purezza quando la carne si affatica nell’astinenza. E quando, tra le altre virtù progredisce anche il merito di una carne umiliata, è come bisso ritorto che risplende nella varia bellezza del velo omerale.

4 — La guida delle anime sia discreta nel suo silenzio, utile con la sua parola

La guida delle anime sia discreta nel suo silenzio e utile con la sua parola affinché non dica ciò che bisogna tacere e non taccia ciò che occorre dire. Giacché come un parlare incauto trascina nell’errore, così un silenzio senza discrezione lascia nell’errore coloro che avrebbero potuto essere ammaestrati. Infatti, spesso, guide d’anime improvvide e paurose di perdere il favore degli uomini hanno gran timore di dire liberamente la verità; e, secondo la parola della Verità, non servono più alla custodia del gregge con lo zelo dei pastori ma fanno la parte dei mercenari (cf. Gv. 10, 13), poiché, quando si nascondono dietro il silenzio, è come se fuggissero all’arrivo del lupo. Per questo infatti, per mezzo del profeta, il Signore li rimprovera dicendo: Cani muti che non sanno abbaiare (Is. 56, 10). Per questo ancora, si lamenta dicendo: Non siete saliti contro, non avete opposto un muro in difesa della casa d’Israele, per stare saldi in combattimento nel giorno del Signore (Ez. 13, 5). Salire contro è contrastare i poteri di questo mondo con libera parola in difesa del gregge; e stare saldi in combattimento nel giorno del Signore è resistere per amore della giustizia agli attacchi dei malvagi. Infatti, che cos’è di diverso, per un Pastore, l’avere temuto di dire la verità dall’avere offerto le spalle col proprio silenzio? Ma chi si espone in difesa del gregge, oppone ai nemici un muro in difesa della casa di Israele. Perciò di nuovo viene detto al popolo che pecca: I tuoi profeti videro per te cose false e stolte e non ti manifestavano la tua iniquità per spingerti alla penitenza (Lam. 2, 14). È noto che nella lingua sacra spesso vengono chiamati profeti i maestri che, mentre mostrano che le cose presenti passano, insieme rivelano quelle che stanno per venire. Ora, la parola

Page 162: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

162

divina rimprovera costoro di vedere cose false, perché mentre temono di scagliarsi contro le colpe, invano blandiscono i peccatori con promesse di sicurezza: essi non svelano le iniquità dei peccatori perché si astengono col silenzio dalle parole di rimprovero. In effetti le parole di correzione sono la chiave che apre, poiché col rimprovero lavano la colpa che, non di rado, la persona stessa che l’ha compiuta ignora.Perciò Paolo dice: (Il vescovo) sia in grado di esortare nella sana dottrina e di confutare i contraddittori (Tit. 1, 9). Perciò viene detto per mezzo di Malachia: Le labbra del sacerdote custodiscano la scienza e cerchino la legge dalla sua bocca, perché è angelo del Signore degli eserciti (Mal. 2, 7).Perciò per mezzo di Isaia il Signore ammonisce dicendo: Grida, non cessare, leva la tua voce come una tromba (Is. 58, 1). E invero chiunque si accosta al sacerdozio assume l’ufficio del banditore perché, prima dell’avvento del Giudice che lo segue con terribile aspetto, egli lo preceda col suo grido. Se dunque il sacerdote non sa predicare, quale sarà il grido di un banditore muto? Ed è perciò che lo Spirito Santo, la prima volta, si posò sui Pastori in forma di lingue (Atti, 2, 3), poiché rende subito capaci di parlare di Lui, coloro che ha riempiti. Perciò viene ordinato a Mosè che il sommo sacerdote entrando nel tabernacolo si accosti con tintinnio di campanelli, abbia cioè le parole della predicazione, per non andare con un colpevole silenzio incontro al giudizio di colui che lo osserva dall’alto. È scritto infatti: Perché si oda il suono quando entra e quando esce dal santuario in cospetto del Signore, e non muoia (Es. 28, 35). Così il sacerdote, che entra o che esce, muore se da lui non si ode suono, poiché attira su di sé l’ira del Giudice occulto se cammina senza il suono della predicazione. Inoltre, quei campanelli sono descritti come opportunamente inseriti nelle sue vesti, perché le vesti del sacerdote non dobbiamo intenderle altrimenti che come le sue buone opere, per testimonianza del profeta che dice: I tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia (Sal. 131, 9). Pertanto, i campanelli sono inseriti nelle sue vesti, perché insieme al suono della parola, anche le opere stesse del sacerdote proclamino la via della vita. Ma quando la guida delle anime si prepara a parlare, ponga ogni attenzione e ogni studio a farlo con grande precauzione, perché se si lascia trascinare a un parlare non meditato, i cuori degli ascoltatori non restino colpiti dalla ferita dell’errore; e mentre forse egli desidera di mostrarsi sapiente non spezzi stoltamente la compagine dell’unità. Perciò infatti la Verità dice: Abbiate sale in voi e abbiate pace tra voi (Mc. 9, 49). Col sale è indicata la sapienza del Verbo. Pertanto chi si sforza di parlare sapientemente, tema molto che il suo discorso non confonda l’unità degli ascoltatori. Perciò Paolo dice: Non sapienti più di quanto è opportuno, ma sapienti nei limiti della sobrietà (Rom. 12, 3). Perciò nella veste del sacerdote, secondo la parola divina, ai campanelli si uniscono le melagrane (Es. 28, 34). E che cosa viene designato con le melagrane se non l’unità della fede? Infatti, come nelle melagrane i molti grani dell’interno sono protetti da un’unica buccia esterna, così l’unità della fede protegge tutti insieme gli innumerevoli popoli che costituiscono la Santa Chiesa e che si distinguono all’interno per la diversità dei meriti. Così, affinché la guida delle anime non si butti a parlare da incauto, come già si è detto, la Verità stessa grida ai suoi discepoli: Abbiate sale in voi e abbiate pace tra voi, come se attraverso la figura della veste del sacerdote dicesse: Aggiungete melagrane ai campanelli affinché, in tutto ciò che dite abbiate a conservare con attenta considerazione l’unità della fede. Inoltre, le guide delle anime debbono provvedere con sollecita cura, non solo a non fare assolutamente discorsi perversi e falsi, ma a non dire neppure la verità in modo prolisso e disordinato, perché spesso il valore delle cose dette si perde quando viene svigorito, nel cuore di chi ascolta, da una loquacità inconsiderata e inopportuna. Questa medesima loquacità, poi, che è certamente incapace di servire utilmente gli ascoltatori, contamina anche colui che la esercita. Per cui è ben detto per mezzo di Mosè: L’uomo che soffre di flusso di seme, sarà immondo (Lev. 15, 2). Di fatto, la qualità del discorso udito è seme di quel pensiero che gli terrà dietro nella mente degli ascoltatori, poiché la parola, ricevuta

Page 163: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

163

attraverso l’orecchio, nella mente genera il pensiero. È per questo che, dai sapienti di questo mondo, il bravo predicatore è chiamato seminatore di parole (cf. Atti, 17, 18). Dunque, chi patisce flusso di seme è dichiarato impuro, perché chi è soggetto a una eccessiva loquacità si macchia con quel seme da cui — se l’avesse effuso in modo ordinato — avrebbe potuto generare nei cuori degli ascoltatori la prole del retto pensiero; ma se lo sparge con una loquacità inconsiderata, è come chi emette il seme, non al fine di generare ma per l’impurità. Perciò anche Paolo, quando esorta il discepolo ad insistere nella predicazione dicendo: Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che giudicherà i vivi e i morti, per il suo avvento e il suo regno, predica la parola, insisti opportunamente, importunamente (2 Tim. 4, 1-2); prima di dire importunamente premise opportunamente, perché è chiaro che nella considerazione di chi ascolta, l’importunità appare in tutta la sua qualità spregevole se non sa esprimersi in modo opportuno.

5 — La guida delle anime sia vicino a ciascuno con la compassione e sia più di tutti dedito alla contemplazione

La guida delle anime sia vicino a ciascuno con la compassione e sia più di tutti dedito alla contemplazione, per assumere in sé, con le sue viscere di misericordia, la debolezza degli altri, e insieme, per andare oltre se stesso nell’aspirazione delle realtà invisibili, con l’altezza della contemplazione. E così, se guarda con desiderio verso l’alto non disprezzi le debolezze del prossimo o se viceversa, si accosta ad esse, non trascuri di aspirare all’alto. Perciò infatti Paolo è condotto in Paradiso e vi scruta i segreti del terzo cielo (cf. 2 Cor. 12, 2 ss.), e tuttavia, pur assorto in quella contemplazione delle cose invisibili, richiama l’acutezza della sua mente al letto dell’unione carnale e definisce come questa debba essere vissuta nella sua intimità, dicendo: A causa della fornicazione, ciascun uomo abbia la propria moglie e ciascuna donna abbia il proprio marito. Il marito dia alla moglie quanto le deve; e similmente, la moglie al marito (1 Cor. 7, 2). E poco dopo: Non privatevi l’uno dell’altro se non temporaneamente e d’accordo, per attendere alla preghiera, e di nuovo ritornate insieme perché Satana non vi tenti (1 Cor. 7, 5). Ecco, egli viene già introdotto ai segreti celesti e tuttavia per la sua accondiscendente misericordia investiga il letto dell’unione carnale, e quello sguardo del cuore che egli, già innalzato, rivolge alle cose invisibili lo piega pieno di compassione verso i segreti di creature inferme. Oltrepassa il cielo con la contemplazione e tuttavia non tralascia, nella sua sollecitudine, di occuparsi del giaciglio dell’unione carnale; poiché, congiunto strettamente alle realtà più alte e insieme alle infime dall’intimo abbraccio della carità, egli è rapito potentemente verso l’alto per virtù del suo spirito, ma per la sua misericordia, nella mitezza del suo animo, si fa debole negli altri. Perciò infatti dice: Chi è debole e io non sono debole? Chi patisce scandalo e io non brucio? (2 Cor. 11, 29). E perciò ancora dice: Con i Giudei sono divenuto come Giudeo (1 Cor. 9, 20). Evidentemente mostrava ciò non con la perdita della fede, bensì con l’estendere la sua misericordia, così che trasferendo in sé la persona degli infedeli potesse imparare da se stesso come avrebbe dovuto avere compassione degli altri e fare a loro il bene che — nella medesima condizione — avrebbe rettamente voluto fosse fatto a lui. E di nuovo perciò dice: Se usciamo di mente è per Dio; se siamo sobri è per voi (2 Cor. 5, 13), poiché nella contemplazione egli sapeva salire oltre se stesso, ma sapeva ugualmente moderare se stesso per condiscendenza verso i suoi ascoltatori. Per questo Giacobbe, quando il Signore risplendeva su di lui in alto ed egli in basso unse la pietra, vide angeli che salivano e scendevano (cf. Gen. 28, 12): a significare, cioè, che i veri predicatori non solo anelano verso l’alto con la contemplazione, al Capo santo della Chiesa, cioè al Signore, ma nella loro misericordia scendono pure in basso, alle sue membra. Ugualmente Mosè entra ed esce tanto frequentemente dal Tabernacolo: dentro, è rapito dalla contemplazione; fuori, è pressato dalle necessità di creature

Page 164: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

164

inferme. Dentro, medita i misteri di Dio; fuori, porta i pesi delle realtà carnali. Ma pure, quando si tratta di casi dubbi egli ricorre sempre al Tabernacolo e davanti all’arca del testamento consulta il Signore: certo per offrire un esempio alle guide delle anime perché, quando nelle decisioni di carattere esterno si trovano nell’incertezza, ritornino sempre al proprio cuore come . al Tabernacolo; sarà come se fossero davanti all’arca del testamento a consultare il Signore, se riguardo a ciò per cui dentro di sé sono in dubbio, ricercheranno nel loro intimo le pagine della parola sacra. Perciò la Verità stessa che ci si è mostrata nell’assunzione della nostra umanità, sul monte si immerge nella preghiera, ma nelle città opera i miracoli (cf. Lc. 6, 12): evidentemente per appianare la via dell’imitazione alle buone guide delle anime, perché se anche sono già protese alle somme altezze della contemplazione, sappiano tuttavia mescolarsi compatendo alle necessità di creature inferme. Poiché la carità si eleva a meravigliosa altezza quando si trascina con misericordia fino alle bassezze del prossimo; e con quanto maggior benevolenza si piega verso le infermità tanto più potentemente risale verso l’alto. Coloro che presiedono si mostrino tali che quanti sono loro soggetti non arrossiscano di affidar loro i propri segreti, affinché, quando si sentono come bambini nella lotta contro i flutti delle passioni, ricorrano al cuore del Pastore come al seno di una madre; e col sollievo della sua esortazione e le lacrime della sua preghiera lavino le impurità della colpa che preme e minaccia di contaminarli. Per questo davanti alla porta del tempio c’è il mare di bronzo, cioè il bacino per la purificazione delle mani di chi entra, ed è sostenuto da dodici buoi i quali sporgono con la parte anteriore mentre la posteriore resta nascosta (cf. 1 Re 7, 23-25). Che cosa significano i dodici buoi se non tutto l’ordine dei Pastori, dei quali, secondo il commento che ne fa Paolo, la Scrittura dice: Non mettere la museruola al bue che trebbia (1 Cor. 9, 9)? Di essi non vediamo le opere compiute apertamente, ma ignoriamo ciò che li attende nella segreta retribuzione del severo Giudice. Tuttavia quando essi con la loro paziente accondiscendenza dispongono il prossimo alla confessione purificatrice è come se portassero su di sé il bacino davanti alle porte del tempio, affinché chiunque si sforza di entrare per la porta dell’eternità, manifesti al cuore del Pastore le sue tentazioni e — per così dire — lavi il suo pensiero e le sue azioni nel bacino dei buoi. Accade pure spesso che il Pastore nell’ascoltare benevolmente le tentazioni altrui ne diviene vittima egli stesso come senza dubbio resta inquinata quella medesima acqua del bacino, nella quale si purifica la moltitudine del popolo. Infatti mentre riceve l’impurità di coloro che si lavano, l’acqua viene come a perdere la sua limpida purezza, ma non si deve temere che avvenga lo stesso del Pastore, poiché Dio che pensa a tutto con cura minuziosa lo strappa alla sua tentazione tanto più facilmente quanto maggiore è la misericordia con cui egli si carica della tentazione altrui.

6 — La guida delle anime sia umile alleato di chi fa il bene; e per il suo zelo della giustizia sia inflessibile contro i vizi dei peccatori

La guida delle anime sia umile alleato di chi fa il bene e per il suo zelo della giustizia sia inflessibile contro i vizi dei peccatori; così non si anteponga in nulla ai buoni, e quando la colpa dei malvagi lo esige, non esiti a riconoscere il potere del suo primato. In tal modo, lasciando da parte la dignità che riveste, si consideri uguale ai sudditi che vivono operando il bene, e verso i malvagi non tema di affermare i diritti della verità e della giustizia. Infatti, come ricordo di avere scritto nei libri morali (Moralia, lib. 21, cap. 10), è certo che gli uomini sono tutti uguali per natura ma, variando l’ordine dei meriti, la colpa pospone gli uni agli altri. Però, anche la diversità che procede dal peccato è regolata dalla disposizione divina affinché, siccome non ogni uomo è in grado di mantenersi in questa condizione di eguaglianza, ci siano alcuni uomini governati da altri. Perciò tutti coloro che presiedono, in se stessi non debbono considerare il potere del proprio grado ma l’eguaglianza secondo natura; non godano dunque di governare sugli uomini ma di giovare loro. I nostri antichi

Page 165: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

165

padri, del resto, furono pastori di pecore, non re di uomini; e quando il Signore disse a Noè e ai suoi figli: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra, subito aggiunse: E terrore di voi e tremore sia su tutti gli animali della terra (Gen. 9, 1). Evidentemente, se viene prescritto che debba esserci questo terrore e tremore sugli animali della terra, viene senz’altro proibito che esso possa esercitarsi sugli uomini. L’uomo è stato preposto per natura agli animali bruti, non agli altri uomini; e perciò gli viene detto che gli animali e non gli uomini lo devono temere; quindi voler essere temuto da un eguale corrisponde ad una esaltazione contro natura. E tuttavia è necessario che le guide delle anime incutano timore ai sudditi quando esse si accorgono che quelli non hanno alcun timore di Dio, affinché coloro che non hanno paura dei giudizi divini temano di peccare almeno per una paura umana. Infatti, coloro che sono preposti ad altri non insuperbiscono nella ricerca di questo timore, poiché con essa non cercano la propria gloria ma la giustizia dei sudditi: nell’esigere timore per sé da coloro che conducono una vita malvagia è come se governassero animali e non uomini, perché è per quella parte di loro con cui si comportano da bestie che i sudditi debbono giacere persino prostrati dalla paura. Ma spesso chi guida delle anime, per il fatto stesso di essere preposto ad altri si gonfia nell’esaltazione del suo pensiero: tutto è a sua disposizione, i suoi ordini vengono prontamente eseguiti secondo il suo desiderio, tutti i sudditi sono pronti a lodarlo ampiamente se fa qualcosa di buono e sono privi di autorità per contraddirlo per quello che fa di male, anzi, per lo più sono disposti a lodarlo anche quando dovrebbero disapprovarlo; allora il suo animo si innalza al di sopra di sé sedotto da tutto ciò che gli viene elargito dal basso. Così, circondato all’esterno da grandissimo favore, si svuota interiormente della verità e dimentico della sua realtà profonda si disperde compiacendosi dell’apprezzamento altrui e si crede tale quale è la sua fama al di fuori, non quale dovrebbe riconoscersi nel proprio intimo. Disprezza i sudditi, non li riconosce uguali a sé secondo l’ordine naturale e si immagina di avere superato, anche per i meriti della propria vita, coloro che gli stanno sottoposti a motivo di un potere datogli in sorte. Si giudica più sapiente di tutti coloro dei quali si vede più potente. Nella stima che ha di se stesso si è come stabilito su una cima e sdegna di guardare agli altri come a uguali, lui che pure è legato a loro dalla condizione di una, uguale natura. E così diviene simile a colui di cui è scritto: Vede ogni sublime altezza ed egli stesso è re sopra tutti i figli della superbia (Giob. 41, 25), a colui cioè che aspirando a un luogo più elevato e disprezzando la comune vita degli angeli dice: Porrò la mia dimora presso l’Aquilone e sarò simile all’Altissimo (cf. Is. 14, 13-14). Pertanto egli scoprì dentro di sé, per mirabile giudizio divino, un abisso di abiezione poiché al di fuori si era innalzato al culmine del potere. E così diviene simile all’angelo apostata l’uomo che sdegna di essere simile agli altri uomini. Similmente Saul, dopo avere ben meritato per la sua umiltà, si gonfiò di superbia per l’altezza del suo potere; per l’umiltà fu scelto ma fu riprovato per la superbia, secondo la testimonianza del Signore che dice: Non ti costituii forse capo tra le tribù di Israele quando eri piccolo ai tuoi occhi? (1 Sam. 15, 17). Prima si era visto piccolo coi suoi occhi ma poi, sostenuto dalla sua potenza mondana, non si vedeva più piccolo. Infatti, preferendo se stesso a paragone degli altri poiché aveva un potere superiore a tutti, si stimava più grande di tutti. Ma come — mirabilmente — per essere piccolo davanti a se stesso fu grande davanti a Dio, quando appari grande davanti a se stesso divenne piccolo davanti a Dio. Dunque accade spesso che l’animo si gonfia perché è grande il numero di coloro che gli sono soggetti e, adulato dalla sola altezza della sua potenza, esso si corrompe effondendosi nella superbia. Ma questa potenza, evidentemente, la regge bene chi sa tenerla in pugno e insieme combatterla; la regge bene chi sa, con essa, erigersi sopra le colpe, e con essa sa essere uguale agli altri. Infatti la mente umana spesso si esalta anche quando non si sostiene su alcun potere; quanto più si leverà in alto se le si aggiunge anche il potere. Però il potere può essere ben esercitato da chi sa trarre da esso ciò che giova e sa vincere le tentazioni che esso ispira e, pur possedendolo, sa vedersi uguale agli altri e insieme sa anteporsi ai peccatori per lo zelo della

Page 166: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

166

punizione. E se consideriamo l’esempio del primo Pastore, possiamo riconoscere più pienamente in che cosa consiste questa discrezione. Infatti Pietro che pure teneva il primato nella Santa Chiesa, per volontà di Dio, ricusò di accogliere i segni di una venerazione fuor di misura da Cornelio, uomo buono che faceva il bene, il quale gli si era umilmente prostrato; ma riconoscendosi invece simile a lui gli disse: Alzati, non farlo, sono un uomo anch’io (Atti, 10, 26). Quando però scopri la colpa di Anania e di Saffira (cf. Atti, 5, 5), mostrò subito per quale potenza egli fosse divenuto preminente sugli altri. Infatti con una sola parola colpi la loro vita che egli aveva conosciuto col discernimento spirituale e si ricordò di essere la somma autorità nella Chiesa contro i peccati; cosa che non volle riconoscere di fronte a fratelli buoni e attivi nel bene, per un onore che gli veniva tributato con trasporto. E in questo caso, la santità delle opere meritò di essere accolta in una comunione tra uguali; nell’altro, lo zelo della punizione provocò l’esercizio del potere. Paolo non si considerava preposto ai fratelli attivi nel bene quando diceva: Non facciamo da padroni della vostra fede, ma siamo cooperatori della vostra gioia (2 Cor. 1, 23). E aggiunge subito: infatti voi state saldi nella fede (ibid.), come per spiegare quello che aveva premesso dicendo: Perciò, non facciamo da padroni sulla vostra fede, perché voi state saldi nella fede; infatti noi siamo uguali a voi in ciò in cui riconosciamo che restate fermi. Ed era come non considerarsi preposto ai fratelli quando diceva: Siamo divenuti un bambino piccolo in mezzo a voi (1 Tess. 2, 7); e ancora: E noi vostri servi per Cristo (2 Cor. 4, 5). Ma quando scopri la colpa che avrebbe dovuto essere corretta, subito si ricordò di essere maestro, dicendo: Che cosa volete? Devo venire da voi con la verga? (1 Cor. 4, 21). Colui che presiede regge bene il sommo potere quando domina sui vizi piuttosto che sui fratelli; ma quando i superiori correggono i sudditi peccatori è necessario che in virtù del loro potere attendano con sollecitudine a punire le colpe, per il dovere cui sono tenuti di conservare la disciplina. Tuttavia, per conservare l’umiltà, si riconoscano nello stesso tempo uguali a quegli stessi fratelli che vengono corretti da loro, anzi sarebbe spesso cosa degna che nella nostra tacita considerazione anteponessimo a noi stessi le medesime persone che correggiamo. Infatti i loro vizi vengono puniti per mezzo nostro col rigore della disciplina, mentre in ciò che noi stessi commettiamo di male non siamo scalfiti neppure da una parola di rimprovero da parte di alcuno. Siamo dunque tanto più obbligati presso il Signore quanto più impunemente pecchiamo presso gli uomini. D’altra parte, la nostra correzione fa tanto più liberi i sudditi davanti al giudizio divino in quanto Egli non lascia impunite qui le loro colpe. Così bisogna conservare l’umiltà nel cuore e la disciplina nelle opere. Ma detto questo, bisogna anche guardare saggiamente che le esigenze del governo non restino vanificate da una custodia impropria dell’umiltà e se un superiore si abbassa più del conveniente non possa più trattenere poi la vita dei sudditi sotto il vincolo della disciplina. Dunque, le guide delle anime restino ferme a quell’atteggiamento esteriore che assumono in vista dell’utilità degli altri e conservino nell’intimo quella disposizione che le fa temere grandemente quanto alla stima di sé. Tuttavia i sudditi devono poter percepire, da certi segni di sobria spontaneità, che esse sono umili e vedere così ciò che devono temere dalla loro autorità e conoscere ciò che devono imitare della loro umiltà. Pertanto, i superiori, quanto maggiore appare all’esterno la loro potenza tanto più non cessino di provvedere a deprimerla interiormente ai propri occhi, evitando che il pensiero ne sia tutto preso, l’animo sia rapito dal compiacimento di sé e non sia più in grado di tenere sottomessa quella potenza, alla quale si sottomette per libidine di dominio. Infatti, affinché l’animo del superiore non venga rapito dal compiacimento del suo potere fino all’esaltazione, un sapiente ha giustamente detto: Ti hanno stabilito guida, non ti esaltare ma sii tra di loro come uno di loro (Sir. 32, 1). Perciò anche Pietro dice: Non come padroni delle persone a voi toccate in sorte, ma fatti a forma del gregge (1 Pt. 5, 3). Perciò la Verità stessa invitandoci ai più alti meriti della virtù dice: Sapete che i capi delle nazioni le dominano e i grandi esercitano il potere su di loro . Non così sarà tra voi, ma chiunque vorrà essere maggiore fra voi sarà vostro servo, e chi vorrà essere primo tra

Page 167: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

167

voi sarà vostro schiavo, come il Figlio dell’uomo non è venuto a essere servito ma a servire (Mt. 20, 25). Di qui il senso delle parole che si riferiscono a quel servo esaltato per il potere ricevuto, ma poi lo attenderanno i supplizi: Che se quel servo malvagio dirà in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire; e incomincerà a battere i suoi conservi e mangerà e berrà con gli ubriachi; verrà il padrone di quel servo nel giorno in cui non l’aspetta e in un’ora che non sa, e lo separerà e la sua parte sarà con gli ipocriti (Mt. 24, 48 ss.). Ed è giustamente considerato ipocrita colui che col pretesto della disciplina muta il ministero del governo in esercizio di dominio. E tuttavia spesso si pecca gravemente se nei confronti dei malvagi si custodisce più l’eguaglianza che la disciplina. Infatti, Eli che, vinto da una falsa pietà, non volle punire i figli peccatori, colpi se stesso insieme ai figli con una crudele condanna presso il severo Giudice (cf. 1 Sam. 4, 17-18); e perciò egli si sente dire dalla parola divina: Hai onorato i tuoi figli pia di me (1 Sam. 2, 29). E Dio rimprovera i Pastori per mezzo dei profeti dicendo: Non avete fasciato ciò che si era fratturato, non avete ricondotto ciò che era rigettato (Ez. 34, 4). Si riconduce chi è rigettato quando col vigore della sollecitudine pastorale si richiama alla condizione di giustizia chiunque è caduto nella colpa. E la fasciatura stringe la frattura quando la disciplina reprime la colpa, affinché la piaga non degeneri fino alla morte se non la stringe la severità del castigo. Ma spesso la frattura si fa più grave se viene fasciata senza precauzione e la ferita duole maggiormente se le bende la stringono in modo eccessivo. Perciò è necessario che, quando per porvi rimedio si comprime nei sudditi la ferita del peccato, si abbia grande sollecitudine di moderare la stessa correzione perché, mentre si esercita verso i peccatori il dovere della disciplina, non si venga meno ai sentimenti di pietà. Bisogna cioè avere cura che la pietà faccia apparire ai sudditi madre colui che li guida, e la disciplina glielo mostri padre. E pertanto bisogna provvedere con pronta e avvertita prudenza che la correzione non sia troppo rigida o la misericordia troppo permissiva. Infatti, come abbiamo già detto nei Libri Morali (Moralia, lib. 20, cap. 8), sia la disciplina che la misericordia vengono meno se si esercita l’una senza l’altra; invece, nelle guide delle anime, devono trovarsi verso i sudditi una misericordia che provvede secondo giustizia insieme a una disciplina rigida secondo pietà. Ed è perciò che nell’insegnamento della Verità quell’uomo semivivo viene condotto all’albergo dalla sollecitudine del Samaritano (cf. Lc. 10, 34) e gli vengono somministrati vino e olio nelle sue ferite, chiaramente perché, per esse, egli sperimenti la pungente disinfezione del vino e il conforto dell’olio che lenisce. È assolutamente necessario che chi ha l’ufficio di curare le ferite somministri attraverso il vino il morso pungente del dolore e attraverso l’olio la tenerezza della pietà, giacché col vino si purifica il putridume e con l’olio si nutre e si ristora per la guarigione. Così, bisogna mescolare la dolcezza con la severità; bisogna fare come un giusto contemperamento dell’una e dell’altra affinché i sudditi non restino esasperati da troppa asprezza e neppure infiacchiti da una eccessiva benevolenza. Ciò è ben rappresentato dall’arca del Tabernacolo — secondo la parola di Paolo — nella quale si trovano insieme alle tavole la verga e la manna (cf. Ebr. 9, 4); cioè, se nell’anima della buona guida spirituale, insieme alla scienza della Sacra Scrittura c’è la verga della correzione, ci sia anche la manna della dolcezza. Perciò dice David: La tua verga e il tuo bastone mi hanno consolato (Sal. 22, 4), perché la verga ci colpisce e il bastone ci sostiene e se c’è la correzione della verga che ferisce ci sia anche la consolazione del bastone che sostiene. E così ci sia l’amore, non tale però che renda molli; ci sia il rigore non tale però che esasperi; ci sia lo zelo che tuttavia non infierisce oltre misura; ci sia la pietà che risparmia ma non più di quanto conviene; affinché nell’esercizio del governo, conciliando giustizia e clemenza, il superiore muova il cuore dei sudditi col timore ma usi con loro dolcezza, e con questa dolcezza li costringa al rispetto che il timore ispira.

7 — La guida delle anime non attenui la cura della vita interiore nelle occupazioni esterne, né tralasci di provvedere alle necessità esteriori per la sollecitudine del bene interiore

Page 168: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

168

La guida delle anime non attenui la cura della vita interiore nelle occupazioni esterne, né tralasci di provvedere alle necessità esteriori per la sollecitudine del bene interiore, affinché, dedito alle attività esterne non venga meno alla vita spirituale oppure occupato solo in essa manchi di rendere quel che deve al prossimo nell’attività esterna. Accade spesso infatti che alcuni, dimentichi di essere stati preposti ai fratelli per le loro anime, si dedicano con ogni sforzo del cuore al servizio degli interessi secolari, e l’essere presenti a questi li fa esultare di gioia, e anche quando sono assenti anelano ad essi, giorno e notte, nell’agitazione di un pensiero inquieto. Quando poi, forse per una interruzione occasionale, sono quieti da essi, questa stessa quiete li affatica ancor peggio; infatti giudicano un piacere essere oppressi dall’attività e considerano una fatica non faticare in occupazioni terrestri. Così accade che, mentre godono di essere incalzati da inquietudini mondane, ignorano i beni interiori che avrebbero dovuto insegnare agli altri. Per cui sicuramente anche la vita dei sudditi intorpidisce poiché, mentre essi aspirano al progresso spirituale, inciampano contro l’esempio del superiore come contro un ostacolo che si trova lungo il cammino. Infatti quando la testa è malata anche le membra perdono vigore, e nella ricerca del nemico non serve che l’esercito segua con prestezza se la stessa guida del cammino perde la strada. Nessuna esortazione innalza gli animi dei sudditi e nessun rimprovero è castigo efficace contro le loro colpe, poiché sebbene colui che è preposto alle anime eserciti l’ufficio di giudice terreno, la cura del Pastore non è rivolta alla custodia del gregge e i sudditi non possono cogliere la luce della verità perché, quando interessi terreni occupano i sensi del Pastore, la polvere spinta dal vento della tentazione acceca gli occhi della Chiesa. Perciò il Redentore del genere umano, volendoci trattenere dalla ingordigia del ventre, dopo aver detto: Fate attenzione che i vostri cuori non siano gravati dalla gozzoviglia e dall’ubriachezza, subito aggiunse: o nelle preoccupazioni di questa vita; e poi ancora introduce il timore proseguendo con forza: che non vi sopravvenga improvviso quel giorno (Lc. 21, 34). E di quale venuta si tratti lo manifesta dicendo: Verrà infatti come un laccio su tutti coloro che siedono sulla faccia di tutta la terra (Lc. 21, 35). Quindi ancora dice: Nessuno può servire a due padroni (Lc. 16, 13). Perciò Paolo interdice le anime religiose dal commercio col mondo dichiarando o piuttosto consigliando pressantemente: Nessuno che militi per Dio si immischi in affari secolari per potere piacere a colui che l’ha arruolato (2 Tim. 2, 4). Perciò prescrive alle guide della Chiesa di essere liberi da altri interessi e mostra loro come provvedere quando si tratti di cercare consigli, dicendo: Pertanto, se avrete delle liti riguardo a interessi secolari stabilite come giudici persone da niente nella Chiesa (1 Cor. 6, 4), perché all’amministrazione dei beni terreni servano quelli che sono non dotati di alcun dono spirituale. Come se dicesse apertamente: poiché non sanno penetrare le realtà interiori, operino almeno per le necessità esterne. Perciò Mosè, che parla con Dio (cf. Es. 18, 17-18), viene giudicato dal rimprovero di Ietro, uno straniero, perché serve con una fatica inutile alle faccende terrene del popolo, e riceve subito il consiglio di stabilire altri al posto suo a dirimere le liti, per potere lui stesso più liberamente conoscere i misteri spirituali e insegnarli al popolo. Pertanto tocca ai sudditi svolgere le attività di grado inferiore, e alle guide delle anime meditare le verità somme affinché il darsi cura della polvere non oscuri l’occhio preposto a fare da guida nel cammino Infatti, tutti coloro che presiedono sono capo dei sudditi e senza alcun dubbio è il capo che deve provvedere dall’alto a che i piedi siano in grado di percorrere la via diritta e non si intorpidiscano nel procedere del viaggio, quando il corpo si incurva e il capo si piega verso terra. Ma con quale disposizione interiore colui che è preposto alle anime esercita sugli altri la dignità pastorale se lui stesso è preso dalle attività terrene che dovrebbe rimproverare negli altri? È chiaramente questo che il Signore, dall’ira della giusta retribuzione, minaccia per mezzo del profeta dicendo: E come il popolo così sarà il sacerdote (Os. 4, 9). E il sacerdote è come il popolo quando colui che esplica un ufficio spirituale compie esattamente le stesse cose di coloro che vengono

Page 169: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

169

ancora designati dai loro interessi carnali. Vedendo questo, il profeta Geremia piange, con grande dolore ispirato dalla sua carità, e lo raffigura nella distruzione del tempio dicendo: Come si è annerito l’oro e si è mutata la sua splendida lucentezza, le pietre del santuario sono state disperse in capo a tutte le piazze (Lam. 4, 1). Che cosa si intende infatti con oro, che è il metallo più prezioso di tutti, se non l’eccellenza della santità? Che cosa si esprime con splendida lucentezza se non la riverenza che ispira la dignità religiosa amabile a tutti? Che cosa significano le pietre del santuario, se non le persone insignite di ordini sacri? Che cosa si raffigura col nome di piazze, se non la larghezza della vita presente? Infatti nella lingua greca la larghezza è detta platos ed è certo per la larghezza che le piazze sono chiamate così. Ma la Verità in persona dice: Larga e spaziosa è la via che porta alla perdizione (Mt. 7, 13). L’oro pertanto annerisce quando una vita che deve essere santa si contamina con attività terrestri. La splendida lucentezza si muta quando diminuisce la stima che si era fatta di certuni i quali si credeva vivessero religiosamente. Infatti quando qualcuno, chiunque sia, lascia il costume di una vita santa per immischiarsi in attività terrestri, la riverenza che egli ispirava, divenuta oggetto di disgusto, impallidisce agli occhi degli uomini come la vivezza di un colore alterato. E anche le pietre del santuario vengono sparse nelle piazze quando coloro, che per il decoro della Chiesa avrebbero dovuto attendere solo ai misteri dello spirito, come nel segreto del Tabernacolo, vagano invece fuori, sulle larghe vie degli affari mondani. In effetti, le pietre del santuario erano fatte per comparire nell’interno del Santo dei Santi sulla veste del sommo sacerdote; ma quando i ministri della religione non sanno esigere, coi meriti della loro condotta di vita, l’onore dovuto dai sudditi al loro Redentore, allora le pietre del santuario non sono ornamento del pontefice. Esse giacciono sparse sulle piazze perché coloro che portano gli ordini sacri, dediti alla larghezza dei loro piaceri, sono tutti presi dagli affari terreni. E occorre notare che non dice che sono sparsi nelle piazze, ma in capo alle piazze, poiché mentre si occupano delle cose del mondo aspirano ad apparire in alto, per mantenersi sulle larghe vie, per l’allettamento del piacere, e insieme in capo alle piazze, per l’onore che viene attribuito alla santità. Del resto possiamo anche intendere senza difficoltà che le pietre del santuario siano invece quelle medesime con cui il santuario era stato costruito; in questo caso quelle pietre giacciono in capo alle piazze quando gli uomini insigniti degli ordini sacri si pongono con desiderio al servizio di affari mondani mentre prima sembrava che la loro gloria consistesse nel servizio delle cose sante. Così, gli affari mondani si devono assumere talvolta per esigenze di carità, ma non si devono mai ricercare con passione, per evitare che esse, gravando l’animo di chi le predilige, lo trascinino avvinto al proprio peso, dalle regioni celesti giù nel profondo. Ma si dà anche il caso che alcuni assumano effettivamente la cura del gregge, ma aspirano tanto per sé di essere liberi di dedicarsi alle cose spirituali che non si occupano per nulla affatto di cose esterne. Allora, poiché essi trascurano totalmente le cure materiali, non soccorrono in nulla le necessità dei sudditi e per lo più la loro predicazione viene sdegnata e non vengono ascoltati volentieri poiché rimproverano l’agire dei peccatori, ma poi non amministrano loro quanto è necessario alla vita presente. Infatti la parola della dottrina non penetra nella mente del bisognoso se una mano misericordiosa non la raccomanda al suo cuore. E invece, il seme della parola germina facilmente quando la pietà di chi predica lo irriga nel petto di colui che ascolta. Perciò è necessario che la guida delle anime possa infondere le verità spirituali e anche provvedere alle necessità esteriori con una attenzione del pensiero che però non gli danneggi. Così, i Pastori siano ferventi degli interessi spirituali dei loro sudditi, purché in questo non tralascino di provvedere pure alla loro vita esteriore. Infatti, come abbiamo detto, è comprensibile che l’animo del gregge non creda alla predicazione che dovrebbe accogliere, se il Pastore tralascia la cura dell’aiuto esterno. Perciò il primo Pastore ammonisce con sollecitudine dicendo: Scongiuro gli anziani che sono tra voi, io anziano come loro e testimone dei patimenti di Cristo e fatto partecipe della sua gloria che deve essere rivelata in futuro, pascete il gregge di Dio che è tra voi. Ed egli stesso spiega a questo punto

Page 170: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

170

quale pascolo intenda, se del cuore o del corpo, poiché aggiunge subito: Governandolo non per costrizione ma spontaneamente, secondo Dio, non per turpe guadagno ma volontariamente (1 Pt. 5, 1). E certo, con queste parole, previene piamente i Pastori perché, mentre soddisfano l’indigenza dei sudditi, non uccidano se stessi con la spada dell’ambizione, e se per loro mezzo il prossimo riceve il sollievo di aiuti materiali, loro stessi poi non rimangano digiuni del pane della giustizia. Paolo eccita questa sollecitudine dei Pastori dicendo: Chi non ha cura dei suoi, soprattutto dei familiari, ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele (1 Tim. 5, 8). E così, tra queste cose, bisogna però sempre temere e prestare vigile attenzione che mentre si trattano affari esterni non se ne venga sommersi, privati dell’intimo fervore; poiché spesso, come abbiamo già detto, le guide delle anime piegano improvvisamente il loro cuore a servire le cure temporali, e così si raffredda l’amore nel loro intimo, ed espandendosi al di fuori non temono di vivere nell’oblio, col pretesto di doversi occupare delle anime. Pertanto, la cura che pure si deve avere nei confronti dei bisogni materiali dei sudditi deve essere necessariamente contenuta entro certi limiti. Perciò si dice bene in Ezechiele: I sacerdoti non si radano il capo, né si tacciano crescere i capelli, ma li accorcino tagliandoli (Ez. 44, 20). Infatti sono giustamente chiamati sacerdoti coloro che presiedono ai fedeli per offrire loro una guida sacra. I capelli del capo sono i pensieri della mente volti a cure esteriori e finché nascono insensibilmente sul capo designano le cure della vita presente, le quali crescono, senza quasi che ce ne accorgiamo, da una sensibilità trascurata poiché nascono talvolta in modo inopportuno. Dunque, poiché tutti quelli che presiedono devono avere di fatto delle sollecitudini esteriori, senza d’altra parte dedicarsi ad esse con eccessiva passione, giustamente si proibisce ai sacerdoti di radersi il capo e di farsi crescere i capelli, affinché non taglino radicalmente da sé i pensieri che riguardano la vita materiale dei sudditi, né d’altra parte diano loro troppo spazio in modo da farli crescere. Perciò è ben detto: Accorcino i capelli tagliandoli, evidentemente nel senso che se pure, per quel che è inevitabile, possono nascere preoccupazioni di cure materiali, tuttavia esse devono essere tagliate ben presto perché non crescano smodatamente. Pertanto, quando la vita materiale viene protetta attraverso la pratica di una previdenza esteriore — e in più non è ostacolata dalla tensione spirituale, quando questa è illuminata — è allora che i capelli sul capo del sacerdote vengono conservati perché coprano la pelle, ma vengono tagliati perché non chiudano gli occhi.

8 — La guida delle anime, col suo zelo, non abbia di mira il favore degli uomini; e tuttavia sia attento a ciò che ad essi deve piacere.

Oltre a ciò, è pure necessario che la guida delle anime esplichi una vigile cura perché non la spinga la bramosia di piacere agli uomini, e quando si dedica assiduamente ad approfondire le realtà interiori o distribuisce provvidamente i beni esteriori, non cerchi di più l’amore dei sudditi che la verità; e quando sostenuto dalle sue buone azioni sembra, estraneo al mondo, il suo amore di sé non lo renda estraneo al Creatore. Infatti è nemico del Redentore colui che, attraverso le opere giuste che compie, brama di essere amato dalla Chiesa in luogo di Lui; ed è così reo di pensiero adultero, come il servo per mezzo del quale lo sposo manda doni alla sposa ed egli brama di piacere agli occhi di lei. Poiché quando l’amor proprio si impadronisce della guida delle anime, talvolta la trascina a una mollezza disordinata, talvolta al contrario ad un aspro rigore. Il suo spirito è portato alla mollezza dall’amor proprio quando, pur vedendo i sudditi peccare, non trova opportuno castigarli per non indebolire il loro amore verso di lui, e non di rado accarezza con le adulazioni quegli errori dei sudditi che avrebbe dovuto rimproverare. Perciò è detto bene, per mezzo del profeta: Guai a coloro che cuciono cuscinetti per ogni gomito e fanno guanciali per teste di ogni età, per rapire anime (Ez. 13, 18). Porre cuscinetti sotto ogni gomito è confortare con blanda adulazione le anime che vengono meno alla propria rettitudine e si ripiegano nei piaceri di questo

Page 171: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

171

mondo. Ed è come accogliere su un cuscino o su un guanciale il gomito o il capo di uno che giace, quando si sottrae il peccatore alla durezza della punizione e gli si offrono le mollezze del favore, così che chi non è colpito da alcuna aspra contraddizione giaccia mollemente nell’errore. E le guide delle anime che amano sé stesse, senza alcun dubbio offrono di queste cose a coloro che temono gli possano nuocere nella loro ricerca della gloria mondana. Infatti esse opprimono con l’asprezza di un rimprovero sempre duro e violento quelli che vedono non avere alcuna forza contro di loro, e non li ammoniscono mai benignamente ma, dimentiche della mitezza del Pastore li terrorizzano in forza del loro potere. La parola di Dio li rimprovera giustamente dicendo per mezzo del profeta: Voi comandavate su di loro con austerità e con prepotenza (Ez. 34, 4). Infatti, amando più se stessi che il loro Creatore, si ergono contro i sudditi con tracotanza e non guardano a quello che hanno dovere di fare ma a ciò per cui hanno la forza; senza alcun timore del giudizio che seguirà, si gloriano sfrontatamente del loro potere temporale purché possano compiere con ogni licenza anche cose illecite e nessuno dei sudditi li contraddica. Pertanto, colui che desidera vivere perversamente, e che gli altri tuttavia ne tacciano, testimonia contro se stesso di desiderare che si ami lui più della verità, che non vuole venga difesa contro di lui. E non esiste certamente nessuno che viva in questo modo e, almeno entro un certo ambito, non pecchi. Vuole invece che si ami la verità più di lui, chi non vuol essere risparmiato da nessuno ai danni della verità. Perciò infatti Pietro riceve volentieri il rimprovero di Paolo (cf. Gal. 2, 11 ss.); perciò David ascoltò umilmente la correzione di un suddito (cf. 2 Sam. 11, 7 ss.); poiché le buone guide di anime non sanno amare se stessi di un amore particolare e considerano un umile ossequio, da parte dei sudditi, una parola ispirata da una libera purezza d’animo. Ma è soprattutto necessario che la cura del governo delle anime sia temperata da tanta sapiente moderazione che i sudditi possano esprimere con libera parola quanto hanno rettamente avvertito, anche se poi questa libertà non deve essere tale da erompere in superbia; perché non accada che se si concede ai sudditi una eccessiva libertà di parola, essi abbiano poi a perdere l’umiltà della vita. Bisogna pure sapere che è opportuno che le buone guide delle anime desiderino di piacere agli uomini, ma solo per attirare il prossimo all’amore della verità attraverso la dolcezza della stima che esse ispirano; non per desiderare di essere amate, ma per fare dell’amore di cui sono oggetto come una via attraverso la quale introdurre all’amore del Creatore i cuori di coloro che ascoltano. Poiché è difficile che, per quanto dica la verità, sia ascoltato volentieri, un predicatore che non è amato. Dunque, chi presiede deve applicarsi a farsi amare per potere essere ascoltato; e tuttavia non deve cercare amore per se stesso, per non essere trovato come chi, nell’occulta tirannide del suo pensiero, si oppone a colui che per via del suo ufficio sembra servire. Ciò suggerisce bene Paolo quando ci manifesta gli aspetti nascosti della sua dedizione, dicendo: Come anch’io piaccio a tutti in ogni cosa (1 Cor. 10, 33). E tuttavia dice di nuovo altrove: Se piacessi ancora agli uomini non sarei servo di Cristo (Gal. 1, 10). Dunque, Paolo piace e non piace perché, nel suo desiderio di piacere, non cerca di piacere lui, ma che agli uomini piaccia la verità attraverso di lui.

9 — La guida delle anime deve essere attenta nella consapevolezza che non di rado i vizi si travestono da virtù

La guida delle anime deve anche sapere che non di rado i vizi si travestono da virtù Infatti spesso l’avarizia si nasconde sotto il nome di parsimonia e, al contrario, la prodigalità sotto l’appellativo di generosità. Spesso una accondiscendenza senza discrezione è considerata pietà, e un’ira sfrenata zelo virtuoso; spesso un’azione precipitosa passa per rapidità efficiente e la lentezza dell’agire per prudenza deliberata. Perciò è necessario che la guida delle anime discerna con vigile cura virtù da vizi, perché l’avarizia non si impadronisca del suo cuore ed egli si compiaccia di apparire parco

Page 172: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

172

nella sua amministrazione; oppure si vanti, magari con l’aria di commiserare la propria liberalità, quando c’è stato qualche sperpero per la sua prodigalità; o trascini all’eterno supplizio i sudditi rimettendo il peccato che avrebbe dovuto colpire; o colpendo con crudeltà il peccato, pecchi egli stesso più gravemente; o, tratti con leggerezza, con una fretta troppo anticipata, ciò che si sarebbe potuto trattare correttamente e con ponderazione o, differendo il compimento di una buona azione, ne converta in peggio il risultato.

10 — Quale debba essere la discrezione della guida delle anime nel correggere e nel dissimulare ; nello zelo e nella mansuetudine

Bisogna pure sapere che occorre talvolta dissimulare con prudenza i vizi dei sudditi ma che pur dissimulandoli bisogna mostrare di conoscerli. Talvolta, colpe manifeste bisognerà tollerarle per un certo tempo, talvolta invece, quando sono nascoste, esaminarle diligentemente; talvolta riprenderle con dolcezza; talvolta al contrario rimproverarle con forza. Alcune in effetti, come abbiamo detto, bisogna dissimularle con prudenza e tuttavia mostrare di conoscerle, affinché il peccatore sapendo di essere noto come tale, e di essere tuttavia sopportato, arrossisca di aumentare quelle colpe che vede tollerate in silenzio nei suoi confronti, e fattosi giudice di se stesso si punisca, lui che la clemente pazienza della sua guida, per parte sua, scusa. È chiaro che con questa dissimulazione il Signore corregge la Giudea, quando dice per mezzo del profeta: Hai mentito e non ti sei ricordata di me né hai meditato in cuor tuo; perché io tacevo quasi come uno che non vede (Is. 57, 11). Dunque dissimulò le colpe e lo fece notare, in quanto tacque contro il peccatore ma non tacque il fatto stesso di avere taciuto. Alcune colpe manifeste, invece, bisogna tollerarle per un certo tempo; finché cioè l’opportunità della situazione non sia tale da consigliare un’aperta correzione. Infatti le ferite operate troppo presto si infiammano maggiormente, e se i medicamenti non vengono graduati in modo conveniente nel tempo, è chiaro che non rendono al medico la loro utilità. Ma quando il superiore deve cercare tempo per infliggere la correzione ai sudditi, è proprio sotto il peso di quelle colpe che si esercita la sua pazienza. Perciò dice bene il salmista: Sul mio dorso hanno fabbricato i peccatori (Sal. 128, 3). Poiché è sul dorso che portiamo i pesi, egli si lamenta che sul suo dorso i peccatori hanno fabbricato, come se dicesse apertamente: Porto addosso come un peso coloro che non posso correggere. Alcune colpe invece, che sono nascoste, vanno esaminate diligentemente perché, se se ne manifestano alcuni segni, la guida delle anime possa scoprire tutto ciò che si nasconde, chiuso, nell’animo dei sudditi e, presentandosi il momento della correzione, possa conoscere dai più piccoli segni di vizio le colpe maggiori. Perciò giustamente viene detto ad Ezechiele: Figlio dell’uomo, fora la parete. E subito il profeta prosegue: E quando ebbi forato la parete mi apparve una porta. E mi disse: Entra e vedi le orribili abominazioni che costoro commettono qui. Ed entrato vidi; ed ecco ogni tipo di rettili e di animali abominevoli e tutti gli idoli della casa di Israele erano dipinti sulla parete (Ez. 8, 8-10). È chiaro che Ezechiele rappresenta le persone dei superiori, e la parete la durezza dei sudditi. E che cosa significa forare la parete se non aprire la durezza del cuore con penetranti indagini? Quando ebbe forato la parete apparve una porta, perché quando la durezza del cuore si spacca cedendo alle attente indagini o alle sapienti correzioni, è come se si mostrasse una porta dalla quale si vedono tutte le profondità dei pensieri in colui che viene ammonito. Per cui è ben detto ciò che segue quel punto: Entra e vedi le orribili abominazioni che costoro commettono. Ed è uno che entra per vedere delle abominazioni, colui che, andando oltre certi segni che appaiono all’esterno, penetra i cuori dei sudditi in modo che gli risultino chiari tutti i loro pensieri illeciti. E quindi prosegue: Ed entrato vidi; ed ecco ogni tipo di rettili e animali abominevoli. Nei rettili sono indicati i pensieri del tutto terreni, negli animali i pensieri già un poco sollevati da terra ma ancora alla ricerca di un compenso terreno.

Page 173: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

173

Infatti i rettili aderiscono alla terra con tutto il corpo, mentre gli animali con gran parte del corpo sono sospesi da terra e tuttavia continuano a essere inclinati verso di essa per l’appetito della gola. Così i rettili sono oltre la parete, quando nella mente si rivolgono pensieri che non si innalzano mai dai desideri terreni. E ci sono pure animali oltre la parete, quando pensieri e meditazioni, sia pure giusti e onesti, sono tuttavia ancora asserviti a mire di guadagni e onori temporali: per sé, in effetti, sono già quasi elevati da terra ma si sottomettono ancora alle realtà più basse per la loro ambizione che è paragonabile a un desiderio di gola. Perciò ancora prosegue giustamente: E tutti gli idoli della casa di Israele erano dipinti sulla parete. In effetti è scritto: E l’avarizia, che è schiavitù agli idoli (Col. 3, 5). Dunque è giusto che dopo gli animali si descrivano gli idoli, poiché sebbene alcuni si drizzino già da terra per l’agire onesto, tuttavia per la loro disonesta ambizione si riadagiano per terra. Ed è ben detto: Erano dipinti, perché, quando gli aspetti delle cose esterne vengono assorbiti interiormente, viene come dipinto nel cuore quello che si pensa e si delibera sulla base di quelle false immagini. Pertanto, occorre sottolineare che prima c’è il foro nella parete, quindi si vede la porta e infine viene manifestata la occulta abominazione. Ciò evidentemente perché in ciascuno si danno prima i segni esterni del peccato, quindi si mostra la porta dell’iniquità manifesta e infine si spalanca ogni male che si nasconde nell’intimo. Alcuni peccati però vanno ripresi con dolcezza; infatti, quando non si pecca per malizia ma solo per ignoranza o per debolezza, è assolutamente necessario che la stessa correzione del peccato sia temperata da grande moderazione: tutti, finché siamo in questa carne mortale, soggiacciamo alla debolezza della nostra natura corrotta, così ciascuno deve apprendere da se stesso come si debba essere misericordiosi nei confronti della debolezza altrui affinché, se si lascia trasportare a pronunciare parole di rimprovero troppo accese contro la debolezza del prossimo, non gli accada di apparire uno che si è dimenticato di sé. Perciò Paolo ammonisce giustamente: Se qualcuno sarà colto in qualche peccato, voi che siete spirituali istruite questo tale in spirito di mansuetudine, considerando te stesso perché anche tu non sia tentato (Gal. 6, 1); come se dicesse apertamente: Quando vedi qualcosa di spiacevole dovuto alla debolezza altrui, pensa a ciò che sei; perché nello zelo del rimprovero lo spirito si moderi, se teme anche per se stesso ciò che rimprovera ad altri. Altri peccati invece si devono rimproverare con forza, affinché chi ha commesso la colpa e non ne conosce l’entità la apprenda dalla bocca di colui che lo rimprovera. E se qualcuno è portato a considerare con leggerezza il male commesso, lo tema molto, al contrario, per la severità di chi glielo rimprovera aspramente. Ed è certamente dovere della guida delle anime mostrare con la predicazione la gloria della patria celeste, manifestare quanto son grandi le tentazioni dell’antico nemico, che si nascondono nel cammino di questa vita, e correggere con zelo grande e severo i peccati dei sudditi che non devono essere tollerati con leggerezza, perché non sia considerato lui stesso reo di tutte le colpe se il suo sdegno non si accende contro quelle. Perciò è ben detto in Ezechiele: Prenditi un mattone e lo porrai davanti a te e disegnerai su di esso la città di Gerusalemme. E subito prosegue: E disporrai l’assedio contro di essa, edificherai le opere di difesa, costruirai un terrapieno, e porrai contro di essa gli accampamenti e metterai intorno gli arieti. E subito per sua protezione gli viene suggerito: E tu prenditi una teglia di ferro e la porrai come un muro di ferro fra te e la città (Ez. 4, 1-3). E di chi è figura il profeta Ezechiele se non dei maestri? Giacché gli vien detto: Prenditi un mattone e lo porrai davanti a te e disegnerai su di esso la città di Gerusalemme. E in realtà i santi dottori si prendono un mattone quanto attirano a sé il cuore di terra degli ascoltatori per istruirli. E pongono davanti a sé quel mattone evidentemente nel senso di custodirlo con tutta la tensione dello spirito. E ricevono l’ordine di disegnare su di esso la città di Gerusalemme, perché predicando a cuori di terra pongono ogni loro cura a dimostrare quale sia la visione della pace celeste. Ma poiché invano si cerca di conoscere la gloria della patria celeste se non si conosce la grandezza delle tentazioni dell’astuto nemico che vi fanno irruzione, si prosegue opportunamente: Disporrai l’assedio contro di essa e edificherai le opere di difesa. E i

Page 174: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

174

santi predicatori indubbiamente dispongono un assedio intorno al mattone su cui è disegnata la città di Gerusalemme, quando dimostrano a un cuore terreno ma già in ricerca della patria celeste quanto essa sia soggetta nel tempo di questa vita agli assalti ostili dei vizi. Infatti quando si mostra in qual modo ciascun peccato insidia coloro che avanzano [nel cammino spirituale] è come se dalla voce del predicatore si disponesse un assedio intorno alla città di Gerusalemme. Ma poiché non solo devono risultare chiari gli assalti dei vizi ma anche come ci fortifichi la custodia delle virtù, giustamente si prosegue: Edificherai le opere di difesa. Queste difese, il predicatore santo le edifica quando dimostra quali virtù si oppongono a quei vizi. E poiché quando aumenta la virtù per lo più crescono le guerre della tentazione, si aggiunge giustamente ancora: E costruirai un terrapieno e porrai contro di essa gli accampamenti e metterai intorno gli arieti. Infatti costruisce un terrapieno, il predicatore, quando annuncia l’entità della tentazione crescente. Ed erige accampamenti contro Gerusalemme, quando predice le caute e quasi inavvertibili insidie dell’astuto nemico, alla onesta intenzione degli ascoltatori. E pone arieti intorno, quando fa conoscere gli aculei delle tentazioni, che ci circondano da ogni parte in questa vita e sono capaci di perforare il muro delle virtù. Ma quantunque la guida delle anime riesca a suggerire sottilmente tutte queste consapevolezze, se egli non arde di uno spirito di gelosia contro i peccati dei singoli, non si procura assoluzione in eterno; perciò, in quel luogo, ancora giustamente si prosegue: E tu prenditi una teglia di ferro e la porrai come un muro di ferro tra te e la città. Con teglia si intende l’ardore dello spirito, e con ferro la forza del rimprovero. Che cosa infatti fa ardere e tormenta il maestro con più acutezza che lo zelo di Dio? E Paolo, che bruciava per l’ardore di questa teglia diceva: Chi è infermo e io non sono infermo? Chi è scandalizzato e io non brucio? (2 Cor. 11,29) E poiché chiunque è acceso dallo zelo di Dio è custodito in eterno da una forte custodia, per non dovere essere condannato per la negligenza, è detto giustamente: La porrai come muro di ferro fra te e la città. Infatti, la teglia di ferro è posta come muro di ferro fra il profeta e la città, nel senso che, quando le guide delle anime manifestano un forte zelo, questo stesso zelo essi lo conservano come forte difesa fra sé e gli ascoltatori, affinché se saranno troppo indulgenti nella correzione non siano poi abbandonati alla vendetta [divina]. Soprattutto però bisogna sapere, che se l’animo del maestro si esaspera nel rimprovero, è molto difficile che egli una volta o l’altra non prorompa a dire qualcosa che non deve dire. E per lo più accade che, quando si corregge la colpa di sudditi con grande impeto, la lingua del maestro è trascinata ad eccedere nelle parole; e, quando il rimprovero è acceso oltre misura, il cuore dei peccatori si deprime fino alla disperazione. Perciò è necessario che quando il superiore si rende conto di avere colpito l’animo dei sudditi con eccessiva durezza, nella sua esasperazione, ricorra alla penitenza dentro di sé per ottenere perdono, col suo pianto, di fronte alla Verità, anche per ciò in cui pecca per eccessivo zelo. A ciò corrisponde, in figura, il precetto del Signore che per mezzo di Mosè dice: Se uno andrà con un suo amico nel bosco, semplicemente a tagliar legna, e gli sfuggirà di mano il manico della scure, e il ferro caduto dal manico colpirà l’amico e l’ucciderà; egli fuggirà in una delle città sopraddette e vivrà; perché non accada che il parente prossimo di colui di cui è stato sparso il sangue, spinto dal dolore, lo insegua, lo prenda e colpisca la sua vita (Deut. 19, 5-6). Dunque, noi andiamo nel bosco con l’amico ogni volta che ci disponiamo a ricercare i peccati dei sudditi, e tagliamo semplicemente legna quando recidiamo, con disposizione d’animo pietosa, i vizi dei peccatori. Ma quando il rimprovero si trascina fino a divenire più aspro del necessario, è allora che la scure sfugge di mano; e quando le parole della correzione si fanno troppo dure il ferro cade dal manico, per cui colpisce e uccide l’amico colui che, proferendo parole ingiuriose, spegne nel suo ascoltatore lo spirito di carità. Infatti l’animo di colui che subisce la correzione immediatamente precipita nell’odio se questo rimprovero va oltre i limiti. Ma è necessario che, chi colpisce incautamente la legna e uccide il prossimo, fugga verso tre città per vivere protetto in una di esse; perché colui che, voltosi a lacrime di penitenza, si nasconde sotto la

Page 175: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

175

speranza la fede e la carità nell’unità del sacramento non è considerato reo dell’omicidio commesso. E il parente prossimo dell’ucciso, quando lo troverà non lo ucciderà; perché quando verrà il severo Giudice, che si è unito a noi facendosi consorte della nostra natura, senza dubbio non perseguirà il reato della sua colpa col castigo poiché fede speranza e carità lo nascondono sotto il suo perdono.

11 — Quando la guida delle anime debba essere dedita alla meditazione della legge sacra

Ma tutto ciò si compie debitamente dalla guida delle anime se, animato dallo spirito del timore e dell’amore, ogni giorno con diligenza, medita i precetti della Parola sacra, affinché le parole della divina ammonizione ricostruiscano in lui la forza della sollecitudine e della previdente attenzione verso la vita celeste, che viene distrutta incessantemente dalla pratica della vita tra gli uomini. E chi, attraverso la comunione con le persone del mondo, è ricondotto alla vita dell’uomo vecchio, con il desiderio della comunione si rinnova a un amore incessante della patria spirituale. Infatti, nel parlare con gli uomini il cuore si disperde, e constatando con certezza che, spinto dal tumulto delle occupazioni esteriori, decade dalla sua condizione, deve avere una cura incessante di rialzarsi attraverso la dedizione allo studio [sacro]. Perciò Paolo ammonisce il discepolo preposto al gregge, dicendo: Fino alla mia venuta attendi alla lettura (1 Tim. 4, 13). Perciò David dice: Come amo la tua legge, Signore, tutto il giorno è la mia meditazione (Sal. 118, 97). Perciò il Signore dà ordine a Mosè a proposito del trasporto dell’arca, dicendo: Farai quattro anelli d’oro che porrai ai quattro angoli dell’arca, e farai delle stanghe di legno di acacia e le coprirai d’oro e le infilerai negli anelli ai lati dell’arca così che sia portata con quelle, che saranno sempre infilate negli anelli e non ne verranno mai estratte (Es. 25, 12 ss.). Che cosa è rappresentato dall’arca se non la Santa Chiesa? Si ordina poi che ad essa vengano aggiunti quattro anelli agli angoli, e ciò senza dubbio significa che essa, per il fatto che si estende dilatandosi nelle quattro parti del mondo, è annunciata cinta dei quattro libri del Santo Evangelo. E si fanno stanghe di legno di acacia da infilarsi nei medesimi anelli per il trasporto, pérché bisogna cercare maestri forti e perseveranti come legno che non imputridisce, i quali, sempre intenti allo studio dei libri sacri, annuncino l’unità della Santa Chiesa portando l’arca come inseriti in quegli anelli, poiché portare l’arca con le stanghe significa, per i buoni maestri, condurre la Santa Chiesa alle rozze menti degli infedeli attraverso la predicazione. E le stanghe devono essere pure ricoperte d’oro, cioè i maestri mentre con i loro discorsi predicano agli altri devono risplendere anche loro per la luminosità della vita. E giustamente, riferendosi a loro si aggiunge: Le quali saranno sempre dentro gli anelli e non saranno mai estratte da essi, perché evidentemente è necessario che chi veglia all’ufficio della predicazione non cessi dall’amoroso studio della lettura sacra. E l’ordine che le stanghe siano sempre negli anelli è in vista dell’opportunità indeclinabile di trasportare l’arca senza che si generi alcun ritardo nell’inserimento delle stanghe; ciò significa che quando un Pastore viene interrogato dai sudditi riguardo a un qualche contenuto spirituale, è veramente vergognoso se egli si mette a cercare la risposta proprio quando deve risolvere una questione. Ma le stanghe sono inserite negli anelli perché i maestri che meditano sempre nel loro cuore la Parola sacra alzino l’arca del testamento senza indugi, e insegnino senza incertezze in qualunque necessità. Perciò dice bene il primo Pastore della Chiesa ammonendo gli altri Pastori: Pronti sempre a rispondere a chiunque vi chiede ragione della speranza che è in voi (1 Pt. 3, 15). Come se dicesse apertamente: Le stanghe non siano mai tolte dagli anelli affinché nessun indugio intralci il trasporto dell’arca.

Page 176: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

176

PARTE TERZA

COME DEVE INSEGNARE E AMMONIRE I SUDDITI UNA GUIDA DELLE ANIME

CHE HA BUONA CONDOTTA DI VITA

Prologo

Poiché abbiamo indicato come deve essere il Pastore, ora intendiamo dimostrare quale debba essere il suo insegnamento. Infatti, come insegnò molti anni prima di noi Gregorio di Nazianzo di venerabile memoria, non a tutti si adatta un unico e medesimo genere di esortazione poiché sono diversi la natura e il comportamento di ciascuno, e spesso ciò che giova agli uni nuoce agli altri. Così accade non di rado che certe erbe adatte a nutrire alcuni animali ne uccidono altri o che un leggero fischio che acquieta i cavalli eccita i cagnolini; e una medicina che fa passare una malattia ne aggrava un’altra; e il pane che rinvigorisce le persone forti uccide i bambini piccoli. Dunque, il discorso di chi insegna deve essere fatto tenendo conto del genere degli ascoltatori per essere adeguato a quella che è la condizione propria dei singoli e tuttavia non decadere dal suo proprio genere che è di servire alla comune edificazione. Infatti che cosa sono le menti degli ascoltatori se non, per così dire, corde ben tese di una cetra che l’artista tocca con diversa intensità per produrre un’armonia che si accordi col canto?E le corde danno un’armonia ben modulata, perché sono toccate da un unico plettro ma con vibrazioni diverse. Perciò il maestro per edificare tutti nell’unica virtù della carità deve toccare il cuore degli ascoltatori con una sola dottrina ma con un diverso genere di esortazione.

1 — Nell’arte della predicazione bisogna osservare una grande diversità di modi

Infatti deve essere diverso il modo con cui si ammoniscono gli uomini e le donne. Diversa l’ammonizione per i giovani e per i vecchi; per i poveri e per i ricchi; per gli allegri e per i tristi; per i sudditi e per i prelati; per i servi e per i padroni; per i sapienti di questo mondo e per gli incolti; per gli sfrontati e per i timidi; i presuntuosi e i pusillanimi; gli impazienti e i pazienti; i benevoli e gli invidiosi; i semplici e gli insinceri; i sani e i malati; coloro che temono i castighi e perciò conducono una vita innocente e quelli tanto induriti nell’iniquità che neppure i castighi li correggono; i taciturni e i chiacchieroni; i pigri e i precipitosi; i mansueti e gli iracondi; gli umili e gli orgogliosi; gli ostinati e gli incostanti; i golosi e i temperanti; quelli che distribuiscono per misericordia i propri beni, e coloro che fanno di tutto per rapire quelli degli altri; quelli che né rapiscono i beni altrui né elargiscono i propri, e coloro che distribuiscono ciò che hanno e tuttavia non desistono dal rapire i beni altrui; i litigiosi e i pacifici; i seminatori di discordia e gli operatori di pace; coloro che non intendono rettamente le parole della legge divina, e coloro che, invece, le intendono certo rettamente ma non ne parlano umilmente; coloro che sono in grado di predicare degnamente ma temono di farlo per eccessiva umiltà e quelli a cui sarebbe proibito da qualche difetto o dall’età e tuttavia l’irruenza li spinge a farlo; quelli che prosperano in tutto quel che desiderano nei beni temporali, e quelli che, pur accesi di desiderio delle cose mondane, durano la fatica di una pesante fortuna avversa; quelli che sono vincolati dal matrimonio, e quelli che sono liberi dal vincolo matrimoniale; quelli che hanno esperienza di unione carnale, e quelli che non l’hanno; quelli che piangono peccati di opere, e quelli che piangono peccati di pensiero; quelli che

Page 177: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

177

piangono i peccati e tuttavia non se ne staccano, e quelli che se ne staccano e tuttavia non li piangono; quelli che addirittura lodano le azioni illecite che compiono, e quelli che accusano le loro depravazioni ma non le evitano; quelli che sono vinti da una improvvisa concupiscenza, e quelli che restano prigionieri della colpa con deliberazione; quelli che commettono frequentemente peccati, sia pure minimi, e quelli che si custodiscono dai piccoli ma talvolta’affondano nei più gravi; quelli che non incominciano neppure a fare il bene, e quelli che dopo averlo incominciato non lo portano a termine; coloro che fanno il male di nascosto e il bene in pubblico, e quelli che nascondono il bene che fanno e tuttavia lasciano che si pensi male di loro per certe loro azioni pubbliche. Ma non ci sarebbe alcuna utilità a passare in rassegna in una breve enumerazione tutte queste situazioni se non esponessimo anche, con la maggiore brevità possibile, i modi dell’ammonizione adatti a ciascuna di esse. Dunque deve essere diverso il modo di ammonire gli uomini e le donne poiché agli uni bisogna imporre obblighi più gravi affinché gravi doveri li rendano sempre operanti nell’esercizio del bene; alle altre invece bisogna imporre pesi più leggeri che le convertano come accarezzandole. Diverso deve essere il modo di ammonire i giovani e i vecchi poiché è la severità dell’ammonizione che per lo più guida i primi nel loro progresso mentre è un’amorevole preghiera che dispone i secondi a un agire migliore. Poiché è scritto: Non sgridare un anziano ma pregalo come un padre (1 Tim. 5, 1).

2 — Come bisogna ammonire i poveri e i ricchi

Diverso è il modo di ammonire i poveri e i ricchi poiché agli uni dobbiamo offrire il sollievo della consolazione di fronte alla tribolazione, agli altri invece il timore di fronte all’esaltazione. Al povero, il Signore dice, per mezzo del profeta: Non temere perché non sarai confuso. E non molto tempo dopo dice con dolcezza: Poverina, sbattuta dalla tempesta (Is. 48, 10). E ancora la consola dicendo: Ti ho scelto nel crogiolo della povertà (Is. 54, 4. 11). Paolo, al contrario, a proposito dei ricchi dice al discepolo: Ai ricchi di questo secolo ordina di non essere superbi e di non sperare nelle loro incerte ricchezze (1 Tim. 6, 17); dove occorre notare che il maestro dell’umiltà non dice: prega ma ordina, perché quantunque si debba usare misericordia alla debolezza, non si deve onore all’orgoglio. Dunque, ciò che è giusto dire a tali persone viene loro tanto più giustamente comandato quanto più esse si gonfiano nell’esaltazione del loro pensiero riguardo a realtà che passano. Di costoro il Signore dice nell’Evangelo: Guai a voi, ricchi, che avete la vostra consolazione (Lc. 6, 24). Poiché infatti essi ignorano in che cosa consistono le gioie eterne e si consolano con la ricchezza della vita presente. Bisogna allora offrire consolazione a coloro che ardono nel crogiolo della povertà, mentre agli altri, che si esaltano nella consolazione della gloria mondana, occorre insinuare il timore; affinché i poveri apprendano che possiedono ricchezze che non vedono e i ricchi sappiano che non possono conservare le ricchezze che vedono. Spesso tuttavia la qualità dei costumi inverte l’ordine delle persone, per cui il ricco è umile e il povero orgoglioso. Subito allora la parola del predicatore deve adattarsi alla vita di chi ascolta così da colpire con tanto maggior rigore l’orgoglio nel povero in quanto neppure la povertà che gli è stata imposta riesce a piegarlo; e con tanta più dolcezza accarezzi l’umiltà dei ricchi in quanto neppure la ricchezza che inorgoglisce li esalta. Tuttavia non di rado anche il ricco superbo deve essere placato con dolce esortazione, perché spesso dure ferite si alleviano con medicamenti leggeri e la furia dei pazzi è ricondotta al senno da un medico amorevole, così che quando si viene loro incontro con dolcezza si mitiga la malattia, dell’insania. Infatti bisogna penetrare senza negligenza il significato più profondo di ciò che accadeva quando lo spirito avverso invadeva Saul, e David calmava la sua follia con la cetra (cf. 1 Sam. 16, 23); giacché, a che cosa si accenna attraverso Saul se non all’orgoglio dei potenti? E a che cosa attraverso David se non all’umile vita dei santi? Dunque, quando Saul è

Page 178: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

178

afferrato dallo spirito immondo, la sua follia è moderata dal canto di David perché quando il sentimento dei potenti si muta in furore a causa dell’orgoglio, è opportuno che esso sia richiamato alla sanità della mente, dalla pacatezza del nostro parlare come dal dolce suono della cetra. Ma talvolta, quando si tratta di confutare dei potenti di questo mondo, occorre prima metterli alla prova usando delle similitudini come se si trattasse di affare che non riguarda loro; e quando avranno proferito una giusta sentenza come rivolta a un altro, allora con i modi opportuni bisogna colpirli direttamente con l’accusa della loro colpa, affinché il cuore, gonfio della sua potenza mondana, non si erga contro chi lo rimprovera — poiché è col suo stesso giudizio che questi calpesta il suo collo superbo — ed esso non provi a difendersi in alcun modo, legato com’è dalla sentenza pronunciata con la sua stessa bocca. Perciò, infatti, il profeta Natan era venuto ad accusare il re con l’aria di chiedere un giudizio contro un ricco in difesa di un povero (cf. 2 Sam. 12, 1-15), affinché il re prima pronunciasse la sua sentenza e solamente dopo ascoltasse il suo peccato, senza poter contraddire ciò che era giusto, secondo quanto egli stesso aveva proferito contro di sé. E così l’uomo santo considerando insieme il peccatore e il re, secondo un mirabile procedimento, prima legò il re temerario attraverso la confessione quindi lo troncò con l’accusa; per un poco celò chi veramente cercava ma colpi improvvisamente colui che teneva stretto. Forse avrebbe agito su di lui con minore efficacia se fin dal principio del discorso avesse voluto colpire apertamente la colpa, mentre anticipando la similitudine rese più acuto il rimprovero che essa nascondeva. Era venuto come un medico da un malato, vedeva che la ferita doveva essere tagliata ma dubitava della pazienza del malato; pertanto, nascose il bisturi sotto la veste e trattolo improvvisamente lo conficcò nella ferita, perché il malato lo sentisse tagliare prima di vederlo e non si fosse rifiutato di sentirlo se l’avesse veduto in precedenza.

3 — Come bisogna ammonire gli allegri e i tristi

Diverso è il modo di ammonire gli allegri e i tristi. Agli allegri evidentemente bisogna presentare le tristezze che tengono dietro al castigo; ai tristi invece i gaudii promessi come frutto del regno. Gli allegri imparino dalla durezza delle minacce ciò che devono temere; i tristi ascoltino le gioie del premio che già possono pregustare. Ai primi, infatti, è detto: Guai a voi che ora ridete, poiché piangerete (Lc. 6, 25); gli altri invece ascoltano l’insegnamento del medesimo maestro: Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore gioirà e nessuno vi toglierà la vostra gioia (Gv. 16, 22). Alcuni però non diventano allegri o tristi per le circostanze ma lo sono per temperamento nativo e ad essi bisogna certamente far conoscere che ci sono dei vizi verso i quali certi temperamenti sono più proclivi: infatti le persone allegre sono facili alla lussuria, le tristi all’ira. Perciò è necessario che ognuno consideri non solamente ciò che deve sostenere a causa del suo temperamento, ma anche ciò che lo preme da vicino con peggiore pericolo, perché non avvenga che, mentre lotta contro ciò che deve sopportare, si trovi a soccombere davanti a quel vizio dal quale pensa di essere libero.

4 — Come bisogna ammonire i sudditi e i prelati

Diverso è il modo di ammonire i sudditi e i prelati, affinché l’assoggettamento non annienti i primi e la posizione elevata non esalti i secondi. Quelli non compiano meno di ciò che è stato loro ordinato, e questi non ordinino pila di quanto giustamente si può compiere; i primi siano sottomessi umilmente e gli altri presiedano con moderazione. Infatti, per quanto si può anche intendere in modo figurato, ai sudditi viene detto: Figli, obbedite ai vostri genitori, nel Signore; e per i prelati c’è il precetto: E voi, padri, non provocate all’ira i vostri figli (Col. 3, 20-21). I primi imparino come disporre il proprio intimo agli occhi del Giudice occulto; e gli altri come offrire all’esterno

Page 179: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

179

esempi di una vita buona anche a coloro che sono stati loro affidati. I prelati, infatti, devono sapere che se commettono azioni perverse sono degni di morire tante volte quanti sono gli esempi di perdizione che essi offrono ai loro sudditi. Perciò è necessario che si custodiscano dalla colpa con una cautela tanto maggiore in quanto non sono soli a morire, a causa delle loro azioni perverse, ma sono rei delle anime altrui che essi hanno distrutto con i loro cattivi esempi. Così occorre ammonire i sudditi, che saranno severamente puniti se non sapranno farsi trovare liberi da colpa, almeno quanto a se stessi; e i prelati, che saranno giudicati degli errori dei sudditi anche se essi si sentono tranquilli per quanto li riguarda personalmente. I sudditi abbiano una cura tanto pila sollecita del proprio dovere in quanto non devono preoccuparsi degli altri; ma i prelati provvedano agli interessi altrui senza tralasciare di curare i propri, e per questi siano ferventi e solleciti come in nulla devono essere pigri a custodire quanti sono stati loro affidati. Infatti a colui che deve provvedere solo a se stesso viene detto: Va’ dalla formica, pigro, e considera le sue vie e impara la sapienza (Prov. 6, 6); ma all’altro viene fatta una terribile ammonizione quando gli è detto: Figlio mio, ti sei impegnato per il tuo amico, hai dato la tua mano a un estraneo e ti sei preso al laccio con le parole della tua bocca e sei prigioniero dei tuoi propri discorsi (Prov. 6, 1). Infatti, impegnarsi per un amico equivale a prendere su di sé l’anima di un altro a rischio della propria vita; per questo poi si dà anche la mano a un estraneo, perché l’animo si lega a una preoccupazione e a una sollecitudine che prima non aveva. Ed egli è preso al laccio dalle parole della sua bocca e prigioniero dei propri discorsi, perché mentre è costretto a dire cose buone a coloro che gli sono stati affidati è necessario che prima egli stesso custodisca ciò che dice, ed è quindi propriamente preso al laccio dalle parole della sua bocca quando è costretto dalla coerenza a non abbandonarsi a una vita diversa da quanto egli va insegnando. E perciò presso il severo Giudice egli è costretto ad adempiere, praticamente, tutto quanto risulta che egli ha imposto agli altri a parole. Segue poi subito e opportunamente l’esortazione: Dunque, fa’ quanto ti dico, figlio mio, e liberati poiché sei caduto nelle mani del tuo prossimo, corri, affrettati, sveglia il tuo amico, non dare sonno ai tuoi occhi, non sonnecchino le tue palpebre (Prov. 6, 3-4). Chi infatti è preposto agli altri come esempio di vita è ammonito non solo a vegliare lui stesso ma anche a svegliare l’amico. Giacché non basta, perché la sua vita sia buona, che vegli, se non separa dal torpore del peccato anche colui a cui presiede. Ed è detto bene: Non dare sonno ai tuoi occhi, non sonnecchino le tue palpebre. Dare sonno agli occhi significa trascurare affatto la cura dei sudditi cessando l’attenzione per loro. E le palpebre sonnecchiano quando i nostri pensieri sanno che cosa bisogna rimproverare ai sudditi ma lo dissimulano, resi indolenti dalla pigrizia. Infatti, dormire profondamente è non conoscere e non correggere le azioni dei sudditi, mentre non è dormire ma sonnecchiare, il conoscere ciò che va rimproverato e tuttavia non correggerlo coi giusti rimproveri, per una specie di pigra noia dello spirito. Ma, sonnecchiando, l’occhio cade nel sonno profondo, e ciò avviene per lo più quando chi governa non taglia il male che conosce, e quindi poi, a causa della sua negligenza, può giungere addirittura al punto di non sapere più riconoscere il peccato commesso dai sudditi. Pertanto, bisogna ammonire coloro che governano ad avere gli occhi attentissimi, dentro di sé e attorno, attraverso una accurata vigilanza e ad adoperarsi per divenire animali celesti (cf. Ez. 1, 18): quegli animali celesti che vengono descritti tutti pieni di occhi di dentro e di fuori (cf. Ap. 6, 6). Ed è certo cosa degna che tutti quelli che governano abbiano occhi rivolti dentro di sé e attorno e, mentre cercano di piacere nel loro intimo al Giudice interiore, offrendo all’esterno esempi di vita scorgano anche ciò che va corretto negli altri. I sudditi poi vanno ammoniti a non giudicare temerariamente la vita dei loro superiori, se capita di vederli fare qualche cosa degna di rimprovero, perché non accada che, mentre giustamente rimproverano cose malfatte, poi per un impulso orgoglioso, sprofondino in mali peggiori. Bisogna ammonirli che, quando considerano le colpe dei superiori, non diventino arroganti verso di loro, ma se si danno di fatto in essi alcune gravi colpe, le discernano così però da non rifiutarsi, in ogni caso,

Page 180: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

180

di portare nei loro confronti il giogo del rispetto dovuto, costretti a ciò dal timore di Dio. Ciò si dimostra meglio portando l’esempio di quanto fece David: una volta che Saul, il suo persecutore, era entrato in una grotta per evacuare, e là c’era David coi suoi uomini — il quale già da lungo tempo portava il peso della sua persecuzione — questi, poiché i suoi lo incitavano a colpire Saul, li persuase con la risposta che non si doveva mettere le mani sull’unto del Signore. Tuttavia si alzò di nascosto e gli tagliò il lembo del mantello (cf. 1 Sam. 24, 4 ss.). Che cosa rappresenta Saul se non le cattive guide delle anime; e David, se non i buoni sudditi? Pertanto, Saul che evacua designa i superiori empi che estendono la malizia concepita nel cuore a compiere opere maleodoranti, e mostrano nell’aperta esecuzione dei fatti i pensieri colpevoli del loro intimo. E tuttavia David ebbe timore di colpirlo perché le pie menti dei sudditi che si astengono da ogni pestifera maldicenza non colpiscono la vita dei superiori, con la spada della loro lingua, anche quando li rimproverano per la loro imperfezione. E se pure talvolta, per la loro debolezza fanno fatica ad astenersi dal parlare di certe mancanze dei superiori più gravi e manifeste, e tuttavia lo fanno umilmente, è come se tagliassero in silenzio l’orlo del mantello; perché questo mancare verso la dignità del superiore, sia pure senza nuocere e di nascosto, equivale a rovinare la veste del re costituito su di loro. Ma essi poi rientrano in se stessi e si rimproverano aspramente perfino di quel leggerissimo taglio operato con la parola. Perciò si trova giustamente scritto in quel luogo: Dopo ciò David percosse il suo cuore, per aver tagliato l’orlo del mantello di Saul (1 Sam. 24, 6). Dunque, le azioni dei superiori non bisogna ferirle con la spada della bocca, anche quando si giudica che sia giusto rimproverarle. Se però qualche volta la lingua si lascia andare anche per pochissimo contro di loro, bisogna che il cuore si stringa per il dolore del pentimento finché rientri in se stesso e, avendo peccato contro l’autorità che gli è preposta, tema molto il giudizio di colui che gliel’ha preposta. Perché quando pecchiamo contro i superiori contravveniamo a quella disposizione che ce li ha preposti. Perciò anche Mosè, quando venne a sapere che il popolo si lamentava contro di lui e contro Aronne, disse: Che cosa siamo noi? La vostra mormorazione non è contro di noi, ma contro il Signore (Es. 16, 8).

5 — Come bisogna ammonire i servi e i padroni

Diverso è il modo di ammonire i servi e i padroni. I servi, bisogna ammonirli a considerare sempre in se stessi l’umiltà della loro condizione; i padroni, a non dimenticare la propria natura per la quale sono creati uguali ai loro servi. I servi bisogna ammonirli a non disprezzare i loro padroni per non offendere Dio insuperbendo e contraddicendo alla sua disposizione; ma bisogna ammonire anche i padroni che, a loro volta, insuperbiscono contro Dio riguardo al suo dono se non riconoscono uguali a sé, per la comune natura, coloro che, per la loro condizione, tengono sottomessi.I servi bisogna ammonirli a sapere di essere servi dei loro padroni; i padroni bisogna ammonirli a riconoscere di essere conservi dei loro servi. Agli uni infatti è detto: Servi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne (Col. 3, 22). E ancora: Coloro che sono sotto il giogo della servita giudichino i loro padroni degni di ogni onore (1 Tim. 6, 1); ma agli altri è detto: E voi, padroni, fate lo stesso con loro rinunciando a minacciarli, sapendo che il padrone vostro e loro è nei cieli (Ef. 6, 2).

6 — Come bisogna ammonire sapienti e incolti

Diverso è il modo di ammonire i sapienti di questo mondo e gli incolti. I sapienti, bisogna ammonirli a perdere la scienza di ciò che sanno; gli incolti invece, a desiderare di sapere ciò che non sanno. Negli uni la prima cosa da distruggere è il fatto che essi si giudicano sapienti; negli altri, bisogna ormai edificare tutto ciò che si conosce della sapienza celeste, poiché in loro non c’è alcuna

Page 181: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

181

superbia e con ciò è come se avessero preparato i loro cuori a ricevere quell’edificio. Coi sapienti bisogna affaticarsi perché divengano più sapientemente stolti: abbandonino la sapienza stolta ed imparino la sapiente stoltezza di Dio (cf. 1 Cor. 1, 25); agli incolti invece, bisogna predicare in modo che, dalla loro apparente stoltezza si accostino più da vicino alla vera sapienza. Infatti, ai primi è detto: Se qualcuno di voi sembra sapiente in questo secolo, diventi stolto per essere sapiente (1 Cor. 3, 18); e agli altri è detto: Non molti sapienti secondo la carne (1 Cor. 1, 26). E ancora: Dio ha scelto le cose stolte del mondo per confondere i sapienti (1 Cor. 1, 27). Per lo più ci vogliono ragionamenti per convertire i primi; per gli altri, molto spesso valgon meglio gli esempi. A quelli, pertanto, giova rimanere vinti nelle loro argomentazioni; per questi invece, in genere è sufficiente che conoscano azioni altrui degne di lode. Perciò il grande maestro, debitore verso i sapienti e verso gli insipienti (Rom. 1, 14), insegnando agli Ebrei, tra i quali alcuni erano sapienti e altri anche piuttosto rozzi, e parlando loro del compimento dell’Antico Testamento, superò la loro sapienza con l’argomento: Quanto è antiquato e vecchio è presso alla morte (Ebr. 8, 13). Ma poi, rendendosi conto che alcuni si potevano trascinare solamente con la forza degli esempi, aggiunse nella medesima lettera: I santi sperimentarono schemi e battiture e inoltre catene e carcere, furono lapidati, segati, sottoposti a dure prove, uccisi di spada (Ebr. 11, 36-37). E ancora: Ricordatevi dei vostri superiori che vi hanno parlato la Parola di Dio e, considerando quale fu il termine della loro esistenza, imitatene la fede (Ebr. 13, 7). E così vinceva gli uni con la forza del ragionamento; e gli altri li persuadeva ad elevarsi a una vita superiore attraverso una dolce imitazione.

7 — Come bisogna ammonire gli sfrontati e i timidi

Diverso è il modo di ammonire gli sfrontati e i timidi. I primi, infatti, nulla vale a trattenerli dal vizio della sfrontatezza se non un duro rimprovero, mentre gli altri per lo più si dispongono al meglio con una esortazione moderata. Quelli non si accorgono di fare il male se non ricevono rimproveri da più parti; a convertire i timidi, per lo più è sufficiente che il maestro gli richiami alla mente con dolcezza le loro mancanze. Gli sfrontati, li corregge meglio chi li affronta con un violento rimprovero, ma coi timidi si raggiunge un miglior risultato se si sfiora appena ciò che in essi occorre rimproverare. Perciò il Signore, rimproverando apertamente il popolo sfrontato dei Giudei, dice: La tua fronte è divenuta come quella di una donna prostituta: non hai voluto arrossire (Ger. 3, 3). E di nuovo conforta colei che si vergogna, dicendo: Ti dimenticherai della vergogna della tua adolescenza, e non ricorderai l’obbrobrio della tua vedovanza, perché sarà tuo Signore colui che ti ha fatta (Is. 54, 4-5). E Paolo sgrida apertamente anche i Galati che peccavano con sfrontatezza, dicendo: O Galati insensati, chi vi ha affascinato? (Gal. 3, 1) E ancora: Siete così stolti che dopo avere incominciato con lo spirito finite con la carne? (Gal. 3, 3). Ma le colpe dei timidi le rimprovera quasi con compassione, dicendo: Ho gioito grandemente nel Signore che finalmente sono rifioriti i vostri sentimenti verso di me, come già li avevate ma eravate presi [da altro] (Fil. 4, 10). E così, col rimprovero duro toglieva le colpe degli uni, e con parole più dolci copriva la negligenza degli altri.

8 — Come bisogna ammonire i presuntuosi e i pusillanimi

Diverso è il modo di ammonire i presuntuosi e i pusillanimi. Quelli infatti, sono molto sicuri di sé e rimproverano sdegnosamente gli altri; questi invece, troppo consci della propria debolezza, per lo più si lasciano andare alla disperazione. I primi hanno una straordinaria altissima stima di tutto ciò che compiono; gli altri giudicano affatto spregevole ciò che fanno e perciò si scoraggiano e disperano. Per questo, chi deve riprendere le azioni dei presuntuosi, deve discuterle con grande

Page 182: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

182

sottigliezza per dimostrare loro che ciò in cui essi piacciono a se stessi, dispiacciono a Dio. È allora infatti che li correggiamo meglio, cioè quando dimostriamo loro che quel che credono di aver fatto bene è fatto male, così che proprio di dove si crede di aver raggiunto la gloria provenga un utile turbamento. Spesso però, quando proprio non si rendono conto per nulla di peccare di presunzione, si correggono più rapidamente se restano confusi per il rimprovero rivolto a un’altra colpa più manifesta scoperta in loro, così che da ciò di cui non sono in grado di difendersi riconoscano che non sostengono rettamente ciò che difendono. Perciò Paolo, rivolgendosi ai Corinzi che vedeva presuntuosamente gonfi gli uni verso gli altri dire che uno era di Paolo, l’altro di Apollo, l’altro di Cefa, l’altro di Cristo (cf. 1 Cor. 1, 12), tirò fuori quel peccato di incesto che era stato commesso presso di loro e restava impunito, dicendo: Si sente dire che si dà una fornicazione tra di voi, e una tale fornicazione quale non è ammissibile neppure fra i gentili, e cioè che uno abbia come sua la moglie di suo padre. E voi vi siete gonfiati e non avete fatto piuttosto lutto, perché fosse tolto di tra voi colui che ha commesso una tale azione (1 Cor. 5, 1-2). Come se dicesse apertamente: Perché nella vostra presunzione dite di essere di questo e di quello, voi che mostrate di non essere di nessuno per questa negligenza con cui vi siete sciolti da ogni legame? Al contrario, riconduciamo al bene i pusillanimi in modo più appropriato se ci informiamo indirettamente di qualche loro buona azione e, lodandola, li confortiamo nello stesso momento in cui li dobbiamo accusare rimproverandogliene altre; affinché la lode ricevuta sostenga la loro timidezza mentre riceve il castigo dal rimprovero della colpa. Spesso tuttavia otteniamo un risultato più utile con loro se richiamiamo anche solo ciò che hanno fatto di bene; e se hanno compiuto qualche cosa di irregolare non glielo rimproveriamo come una colpa già commessa, ma ci limitiamo a distoglierli da quella come se dovessero ancora commetterla, affinché la benevolenza manifestata accresca in loro le azioni che approviamo, mentre contro le azioni che dobbiamo rimproverare più che il rimprovero abbia maggiore efficacia presso di loro una esortazione riguardosa. Perciò il medesimo Paolo, vedendo che i Tessalonicesi fermi nella predicazione ricevuta erano turbati da un senso di paura come per una prossima fine del mondo, prima loda quanto scorge in loro di forte, e solo dopo, con caute ammonizioni, rafforza la loro debolezza. Dice infatti: Dobbiamo ringraziare sempre Dio per voi, fratelli, come è degno, perché la vostra fede aumenta e abbonda in ciascuno di voi la carità vicendevole; così che noi stessi ci gloriamo per voi nelle chiese di Dio, per la vostra pazienza e la vostra fede (2 Tess. 1, 3-4). E dopo avere premesso queste lodi lusinghiere riguardo alla loro vita, poco dopo prosegue dicendo: Vi preghiamo tuttavia, fratelli, per la venuta del nostro Signore Gesti Cristo e il nostro riunirci in Lui, che non vi lasciate smuovere troppo presto dal vostro sentire né spaventare da spirito o da discorso o da lettera come fosse stata scritta da noi, come se il giorno del Signore fosse imminente (2 Tess. 2, 1). Così, da vero maestro, fece in modo che prima si sentissero lodati per ciò che riconoscevano di sé, e quindi si sentissero esortati rispetto a ciò che dovevano seguire; affinché la lode premessa rafforzasse il loro spirito per accogliere senza turbamento la ammonizione che sarebbe seguita. E sebbene sapesse che essi erano turbati dal timore della prossima fine, non li rimproverava per questo, ma come se ignorasse addirittura la cosa, quasi non si fosse ancora data, li preveniva affinché non si turbassero. E questo perché, mentre per quel lieve cenno potevano credere che il loro maestro avesse addirittura ignorato questo aspetto in loro, temessero però sia di meritare il rimprovero sia di essere in ciò conosciuti da lui.

9 — Come si devono ammonire gli impazienti e i pazienti

Diverso è il modo di ammonire gli impazienti e i pazienti. Infatti, agli impazienti bisogna dire che trascurando di frenare la loro natura precipiteranno in molte azioni inique contro la loro stessa intenzione, perché evidentemente il furore spinge l’animo dove non desidererebbe essere trascinato

Page 183: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

183

e, senza che uno se ne renda conto, provoca turbamenti, di cui poi egli si duole quando ne prende coscienza. Bisogna dire pure agli impazienti che quando agiscono come folli per impulso di un moto precipitoso, a stento si rendono conto delle proprie azioni cattive solo dopo che le hanno compiute. Coloro che non contrastano per nulla le proprie emozioni, turbano anche ciò che forse avevano compiuto tranquillamente, e per un improvviso impulso distruggono tutto ciò che forse avevano costruito con lunga e provvida fatica. Per il vizio dell’impazienza si perde perfino la virtù, poiché è scritto: La carità è paziente (1 Cor. 13, 4). Pertanto, se non è paziente affatto non è carità. Anche la stessa scienza che alimenta le altre virtù è dissipata dal vizio dell’impazienza, infatti è scritto: La scienza dell’uomo si apprende attraverso la pazienza (Prov. 19, 11); per cui tanto meno uno si mostra dotto quanto meno si dimostra paziente. E neppure può compiere con verità il bene a parole, se nella vita non sa sopportare in pace i difetti altrui. Inoltre, per questo vizio dell’impazienza lo spirito resta ferito dalla colpa dell’arroganza, perché quando uno non sopporta di essere disprezzato in questo mondo, se ha qualche bene nascosto si sforza di ostentarlo, così attraverso l’impazienza è condotto all’arroganza e, per non poter sopportare il disprezzo, mettendo in mostra se stesso si gloria con l’ostentazione. Perciò sta scritto: È meglio il paziente dell’arrogante (Qo. 7, 9); poiché evidentemente il paziente preferisce sopportare qualsiasi male piuttosto di far conoscere con l’ostentazione i suoi beni nascosti. L’arrogante, al contrario, preferisce vantarsi di qualche bene, anche falsamente, pur di non dover sopportare neppure il più piccolo male.Pertanto, poiché quando si abbandona la pazienza va distrutto anche il resto di bene che si è compiuto, giustamente in Ezechiele si trova il precetto che sull’altare di Dio si faccia una cavità perché si conservino gli olocausti che vi stanno sopra (cf. Ez. 43, 13). Infatti se nell’altare non ci fosse la cavità i resti di quel sacrificio sarebbero dispersi dal vento. Ma che cosa dobbiamo intendere per altare di Dio se non l’anima del giusto che pone su di sé, davanti agli occhi di Lui, quanto di bene ha compiuto come sacrificio? E che cos’è la cavità dell’altare se non la pazienza dei buoni che umilia il loro spirito per sopportare le avversità e lo mostra come adagiato nel fondo di una fossa? Si faccia dunque una cavità nell’altare, affinché il vento non disperda il sacrificio che vi sta sopra; cioè, lo spirito degli eletti custodisca la pazienza per non perdere, a causa del vento dell’impazienza, anche ciò che di bene ha compiuto. Ed è giusto che quella medesima cavità, secondo quanto è descritto, sia di un solo cubito; poiché è naturale che se non si abbandona la pazienza si conserva la misura dell’unità. Per cui anche Paolo dice: Portate a vicenda i vostri pesi, e così adempirete la legge di Cristo (Gal. 6, 2). Poiché la legge di Cristo è la carità dell’unità che compiono solamente coloro i quali, anche quando portano grave peso, non trascendono. Ascoltino gli impazienti ciò che sta scritto: È meglio un paziente che un uomo forte, e chi domina il suo animo pia che un conquistatore di città (Prov. 16, 32). Vale meno infatti una vittoria contro delle città, giacché ciò che in questo caso si sottomette è qualcosa di esterno; ma è molto di più ciò che si vince con la pazienza, poiché è l’anima che si lascia vincere da se stessa e si sottomette se stessa quando la pazienza la spinge a frenarsi dentro di sé. Ascoltino gli impazienti ciò che la Verità dice ai suoi eletti: Nella vostra pazienza possederete le vostre anime (Lc. 21, 19). Infatti siamo stati creati in modo così mirabile che lo spirito possiede l’anima e l’anima possiede il corpo; ma all’anima è rifiutato il suo diritto di possedere il corpo se essa non è prima posseduta dallo spirito. Pertanto il Signore, insegnandoci che nella pazienza possediamo noi stessi, ci ha insegnato che la pazienza è custode della nostra condizione naturale. Perciò possiamo conoscere quanto sia grande la colpa dell’impazienza se per essa perdiamo perfino il possesso di ciò che siamo. Ascoltino gli impazienti ciò che ancora dice Salomone: Lo stolto sfoga tutto il suo animo, il sapiente invèce attende e lo serba per l’avvenire (Prov. 29, 11). Per l’impulso dell’impazienza avviene che tutto l’animo si sfoghi al di fuori, ed è naturale che l’agitazione lo riversi all’esterno poiché nessuna sapiente

Page 184: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

184

disciplina lo trattiene interiormente. Ma il sapiente attende e lo serba per l’avvenire. Infatti, se viene offeso non desidera vendicarsi subito, poiché anche dovendo sopportare preferisce trattenersi, tuttavia non ignora che tutto riceverà la giusta vendetta nell’ultimo giudizio. Al contrario, bisogna ammonire i pazienti a non dolersi interiormente di ciò che sopportano al di fuori, per non corrompere nell’intimo con la peste della malizia l’intensità di quel sacrificio ricco di virtù che immolano interiormente; e la colpa di questo dolore, non riconosciuta come tale dagli uomini, ma peccato di fronte all’esame divino, non divenga tanto peggiore proprio in quanto davanti agli uomini pretende di passare per virtù. Dunque bisogna dire ai pazienti che si studino di amare coloro che sono costretti a sopportare, perché se la pazienza non è accompagnata dalla carità, la virtù che ostenta non si muti nella peggiore colpa dell’odio. Perciò Paolo, dopo avere detto: La carità è paziente, aggiunge subito: La carità è benigna (1 Cor. 13, 4), volendo mostrare chiaramente che essa non cessa di amare con benignità coloro che sopporta con pazienza.Perciò il medesimo egregio maestro, esortando i discepoli alla pazienza con le parole: Ogni asprezza e ira e sdegno e clamore e ingiuria sia tolta da voi (Ef. 4, 31), come dopo averli già tutti ben disposti esteriormente, si rivolge al loro intimo e aggiunge: con ogni malizia; poiché, evidentemente, invano si toglie all’esterno lo sdegno, il clamore e l’ingiuria se nell’intimo domina la malizia madre dei vizi; e invano si incide al di fuori dei rami il male se esso si conserva nell’intimo della radice, pronto a riaffiorare moltiplicato. Perciò la Verità stessa dice: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per coloro che vi perseguitano e vi calunniano (Lc. 6, 27-28). Dunque è virtù davanti agli uomini sopportare i nemici, ma davanti a Dio la virtù è amarli, poiché Dio accoglie soltanto quel sacrificio che la fiamma della carità accende davanti ai suoi occhi sull’altare delle buone opere. Perciò dice ancora ad alcuni pazienti ma non caritatevoli: Perché vedi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello e non vedi la trave nel tuo occhio? (Mt. 7, 3), significando che il turbamento dell’impazienza è la pagliuzza, ma la malizia in cuore è la trave nell’occhio. Infatti il soffio della tentazione agita il filo di paglia, ma la malizia consumata porta la trave quasi senza scosse. E giustamente in quel passo si prosegue: Ipocrita, getta via prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai per gettare la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello (Mt. 7, 5), come se dicesse all’anima malvagia che si rode interiormente e all’esterno invece si mostra santa per la pazienza: prima fa’ uscire da te la tua pesante malizia e poi rimprovera agli altri la loro leggera impazienza, affinché il tollerare i peccati altrui non sia per te peggio, se non ti sforzi a vincere lo spirito di simulazione. Suole anche accadere spesso alle persone pazienti che, proprio nel momento in cui o sopportano avversità o ricevono ingiurie, non si sentano spinte da nessun risentimento e mostrino così una pazienza tale che permette loro di conservare anche l’innocenza del cuore. Ma quando, passato un po’ di tempo, richiamano alla memoria ciò che hanno dovuto sopportare, accendono in sé il fuoco del risentimento e vanno a cercare gli argomenti per vendicarsi; e con questa intima ritrattazione mutano in malizia la mansuetudine che avevano conservato nella pazienza. Allora il maestro li soccorre ben presto se gli manifesta la causa di questo mutamento. Infatti l’astuto avversario muove guerra contro due tipi di persone: uno lo accende spingendolo ad offendere per primo, l’altro lo provoca a restituire l’offesa ricevuta; mentre riesce subito vincitore sul primo che si è lasciato persuadere all’ingiuria, resta poi vinto da colui che porta tranquillamente l’offesa ricevuta. Pertanto, vincitore del primo che è riuscito a soggiogare agitando il suo animo, si erge con tutta la sua potenza contro l’altro e si irrita che questi gli resista con forza e vinca; ma poiché non poté turbarlo nell’attimo stesso in cui riceveva l’ingiuria, rinunciando per il momento alla lotta aperta e attaccando il suo pensiero con una suggestione segreta, cerca il tempo adatto per trarlo in inganno. Infatti ha perduto nel pubblico combattimento e arde di esercitare nascostamente le sue insidie. Così, nel tempo del riposo, ritorna all’animo del vincitore e gli richiama alla memoria le perdite materiali subite o le ferite delle ingiurie, e maggiorando grandemente quanto di male gli è

Page 185: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

185

stato inflitto glielo mostra intollerabile e gli turba la mente con tanta tristezza, che spesso l’uomo paziente, divenuto prigioniero dopo la vittoria, arrossisce di avere sopportato tranquillamente quelle offese, si duole di non averle ricambiate e cerca, se si offra l’occasione, di renderne di peggiori. A chi dunque sono simili costoro se non a quelli che per la loro forza riescono vincitori in campo aperto, ma per la loro negligenza in seguito si lasciano fare prigionieri dentro le mura della città? A chi sono simili se non a coloro che una improvvisa e grave malattia non li strappa alla vita, ma li uccide una leggera febbre recidiva? Così bisogna ammonire le persone pazienti a fortificare il loro cuore dopo la vittoria perché il nemico battuto in aperto combattimento non mediti di insidiare le mura del pensiero; e temano maggiormente la malattia che riprende a serpeggiare più insidiosamente, perché il nemico astuto non goda poi dell’inganno con una esultanza tanto maggiore in quanto, ora calpesta i colli dei suoi vincitori che prima si ergevano contro di lui.

10 — Come si devono ammonire i benevoli e gli invidiosi

Diverso è il modo di ammonire i benevoli e gli invidiosi. Bisogna ammonire i benevoli a gioire dei beni altrui così da desiderare di farli propri. Lodino con vero amore le azioni del prossimo così da moltiplicarle anche, imitandole; perché se nella sosta della vita presente assistono alla gara altrui come devoti sostenitori ma insieme come spettatori pigri, non restino, dopo la gara, senza premio quanto pin ora, durante la gara, non hanno faticato; e, allora, non debbano guardare afflitti alle palme di coloro davanti alle cui fatiche, ora, persistono in ozio. Poiché pecchiamo gravemente se non amiamo ciò che gli altri fanno di bene, ma non traiamo motivo di ricompensa se, per quanto sta in noi, non imitiamo ciò che amiamo. Perciò alle persone benevole bisogna dire che se non si affrettano per nulla ad imitare il bene che approvano con la loro lode, a loro piace la santità delle virtù come agli stolti spettatori piace la vanità delle arti ludiche. Costoro infatti esaltano coi loro applausi le imprese di aurighi e di attori e tuttavia non desiderano essere tali quali vedono essere coloro che lodano. Li ammirano per ciò che hanno compiuto di piacevole, tuttavia evitano di piacere allo stesso modo.Bisogna dire ai benevoli che quando guardano alle azioni del prossimo rientrino nel proprio cuore e non si vantino di azioni altrui; non lodino il bene mentre rifiutano di compierlo, pöiché tanto più gravemente devono essere colpiti dall’estremo castigo coloro a cui è piaciuto ciò che non hanno voluto imitare. Bisogna ammonire gli invidiosi a valutare attentamente la cecità di coloro che vengono meno per il successo degli altri e si struggono per la gioia altrui. Quanto grande è l’infelicità di coloro che diventano peggiori perché vedono migliorare gli altri e, mentre guardano aumentare la fortuna altrui, stretti dall’afflizione in se stessi, muoiono per la peste che hanno nel loro cuore. Che cosa ci può essere di più infelice di costoro che la pena per la constatazione della felicità altrui rende più cattivi? Invero, se amassero i beni degli altri che non possono avere per sé, li farebbero propri. Poiché essi sono tutti stabiliti nella fede, come molte membra in un solo corpo, le quali sono certo diverse per la diversità delle funzioni, ma per il fatto stesso della loro corrispondenza reciproca diventano una cosa sola (cf. 1 Cor. 12, 12-30). Per cui avviene che il piede vede attraverso l’occhio e gli occhi camminano per mezzo dei piedi, l’ascolto delle orecchie serve alla bocca e la lingua che sta in bocca concorre con gli orecchi alla propria funzione; il ventre sostiene l’attività delle mani e le mani lavorano per il ventre. Pertanto, è dalla stessa condizione del corpo, che riceviamo ciò che dobbiamo conservare nel nostro agire. E così è troppo vergognoso non imitare ciò che siamo. È certamente nostro ciò che amiamo negli altri anche se non possiamo imitarlo; e ciò che è amato in noi diviene di chi l’ama. Perciò gli invidiosi misurino quanto è grande la potenza della carità che rende nostre senza fatica le opere della fatica altrui. E così bisogna dire agli invidiosi che quando non si custodiscono per nulla dall’invidia, sprofondano nella malizia

Page 186: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

186

antica dello scaltro nemico, perché di lui è scritto: Per l’invidia del diavolo la morte entrò nel mondo (Sap. 2, 24). Infatti, poiché egli aveva perduto il cielo, lo invidiò all’uomo appena creato, ed essendosi perduto lui volle accrescere la sua perdizione perdendo ancora altri. Bisogna ammonire gli invidiosi a rendersi conto di quanto siano grandi le cadute per le quali cresce la rovina sotto cui essi giacciono, poiché sé non gettano via l’invidia dal cuore precipitano in una aperta iniquità di opere. Se infatti Caino non avesse invidiato il sacrificio gradito [a Dio] del fratello, non sarebbe giunto a spegnere la sua vita. Perciò è scritto: E il Signore riguardò ad Abele e ai suoi doni; ma non riguardò a Caino e ai suoi doni. E Caino si adirò fortemente e gli cadde il volto (Gen. 4, 4). E così, l’invidia per il sacrificio fu il germe del fratricidio, ed egli tagliò via chi non sopportava fosse migliore di lui, affinché non fosse più in alcun modo. Bisogna dire agli invidiosi che mentre si consumano interiormente per questa peste essi uccidono anche ogni altra cosa buona sembrino avere dentro di sé. Perciò è scritto: La sanità del cuore è vita della carne, l’invidia è putredine delle ossa (Prov. 14, 30). Che cosa si intende per carne se non le azioni molli e deboli, e per ossa se non quelle forti? Eppure accade spesso che alcuni i quali appaiono deboli in alcune loro azioni, hanno l’innocenza del cuore e altri invece si comportino in maniera forte agli occhi degli uomini e tuttavia nei confronti del bene altrui si consumino nell’intimo, per la peste dell’invidia. Pertanto è ben detto: La sanità del cuore è vita della carne, perché se si custodisce l’innocenza del cuore, anche se l’agire esterno talvolta è debole, prima o poi si irrobustisce. E si aggiunge correttamente: L’invidia è putredine delle ossa, perché per il vizio dell’invidia, agli occhi di Dio vanno perdute anche quelle azioni che agli occhi degli uomini sembrano da forti; infatti l’imputridire delle ossa per l’invidia significa il deperire di certe cose anche forti.

11 — Come si devono ammonire i semplici e gli insinceri

Diverso è il modo di ammonire i semplici e gli insinceri.I semplici bisogna lodarli perché si studino di non dire mai il falso, ma bisogna ammonirli che sappiano ogni tanto tacere il vero. Come il falso nuoce sempre a chi lo dice, così talvolta ad alcuni nuoce ascoltare la verità. Perciò il Signore, temperando il suo discorso col silenzio, davanti ai discepoli, dice: Ho molte cose da dirvi ma ora non potete portarle (Gv. 16, 12). Pertanto bisogna ammonire i semplici a dire la verità badando sempre all’utilità allo stesso modo che sempre utilmente evitano l’inganno. Bisogna ammonirli ad aggiungere al bene della semplicità quello della prudenza, affinché abbiano quella sicurezza che viene dalla semplicità senza perdere quell’attenzione propria della prudenza. Perciò infatti dice il dottore delle genti: Voglio che voi siate sapienti nel bene ma semplici nel male (Rom. 16, 19). Perciò la Verità stessa ammonisce i suoi eletti dicendo: Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe (Mt. 10, 16). Perché evidentemente nel cuore degli eletti l’astuzia del serpente deve rendere acuta la semplicità della colomba, e insieme la semplicità della colomba deve temperare l’astuzia del serpente, affinché essi non si lascino sedurre ad eccedere nell’esercizio della prudenza né, per la semplicità, divengano torpidi nell’uso dell’intelligenza.Al contrario, bisogna ammonire gli insinceri a riconoscere quanto sia grave colpa la fatica di quella doppiezza, che essi sostengono. Infatti, per il timore di essere scoperti cercano sempre giustificazioni cattive e sono sempre agitati da sospetti che li rendono paurosi. Ma niente è più sicuro della purezza, a propria difesa; niente più facile a dirsi della verità. Infatti il cuore costretto a proteggere la propria falsità dura una pesante fatica, e perciò è scritto: La fatica delle loro labbra li ricoprirà (Sal. 139, 10). La fatica, che ora riempie e soddisfa, allora ricoprirà perché opprimerà con atroce retribuzione l’animo di colui che ora tira fuori d’impaccio a prezzo di una leggera inquietudine. Perciò si dice in Geremia: Hanno insegnato alla loro lingua a dire la menzogna, si

Page 187: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

187

sono affaticati per commettere l’iniquità (Ger. 9, 5), come se dicesse apertamente: Coloro che potevano essere amici della verità senza fatica, si affaticano per peccare e mentre rifiutano di vivere semplicemente, si adoperano con tutte le loro forze per morire. Infatti, non di rado, se sono colti in fallo, mentre rifuggono dal farsi riconoscere quali sono, si nascondono sotto il velo della falsità e si affaccendano per giustificare ciò in cui stanno peccando e che è già apertamente visibile; così che spesso colui che ha cura di correggere le loro colpe, ingannato dalle nebbie di questa aspersione di falsità, ha quasi l’impressione di aver perduto di vista ciò che ormai teneva per certo a loro riguardo. Perciò all’anima che pecca e si giustifica si dice, per mezzo del profeta che rettamente la rappresenta nella Giudea: Là ebbe la sua tana il riccio (Is. 34, 15). Col nome di riccio si indica la doppiezza di una mente impura che si difende con astuzia, e ciò chiaramente perché il riccio, nel momento in cui viene preso, mostra tutto intero il corpo e si vedono capo e piedi, ma appena è stato preso si raccoglie tutto in una palla, tira dentro i piedi, nasconde il capo e di colpo scompare tutto nella mano di chi lo tiene, mentre appena prima si mostrava tutto intero. Così certamente sono le anime insincere quando vengono sorprese nelle loro prevaricazioni. Infatti si vede il capo del riccio perché si vede quando il peccatore incomincia ad accostarsi alla colpa; si vedono i piedi del riccio perché si conoscono le tracce del peccato commesso. E tuttavia, con l’addurre subito le sue giustificazioni, l’anima insincera tira dentro i piedi, cioè nasconde tutte le tracce della sua iniquità; sottrae il capo, perché con le sue mirabili difese dimostra di non avere neppure dato inizio a qualcosa di male, e resta come una palla in mano di chi lo tiene. Il quale improvvisamente non si ritrova più tutto quanto aveva già compreso di lui poiché ha di fronte un peccatore avvolto e chiuso nel segreto della sua coscienza; e lui stesso, che lo aveva veduto tutto intero nel coglierlo sul fatto, tratto in inganno dai raggiri di una maliziosa difesa, ancora tutto intero lo ignora. Il riccio dunque ha una tana nei reprobi, esso che raccogliendosi in se stesso nasconde le doppiezze di un animo malizioso nelle tenebre della giustificazione. Ascoltino gli insinceri ciò che è scritto: Chi cammina nella semplicità, cammina con fiducia (Prov. 10.9); poiché la semplicità dell’azione è fiducia di una grande sicurezza. Ascoltino ciò che è detto dalla bocca del sapiente: Lo Spirito Santo fugge una dottrina di falsità (Sap. 1, 5). Ascoltino ciò che ancora è offerto dalla testimonianza della Scrittura: La sua conversazione è coi semplici (Prov. 3, 32). Infatti il conversare di Dio è il rivelare i suoi misteri ai cuori degli uomini attraverso l’illuminazione della sua presenza. Pertanto si dice che conversa coi semplici perché col raggio della sua visita illumina sui misteri celesti i loro cuori che non sono oscurati da alcun’ombra di doppiezza. Il peccato delle persone doppie, poi, è un peccato speciale, perché esse ingannano gli altri con l’azione doppia e perversa e insieme si gloriano come fossero più astuti di loro; e poiché non considerano la severità della retribuzione che riceveranno, esultano miseramente del proprio danno. Ma ascoltino come sopra di loro il profeta Sofonia stenda la forza della punizione divina, dicendo: Ecco, viene il giorno del Signore, grande e terribile, giorno d’ira quel giorno, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nebbia e di turbine, giorno di suono di tromba su tutte le città fortificate e su tutti gli angoli elevati (cf. Sof. 1, 15-16; Gioe. 2, 2). Infatti, che cosa si intende per città fortificate se non gli animi sospettosi e sempre circondati di false giustificazioni, i quali ogni volta che viene rimproverata la loro colpa respingono da sé i dardi della verità? E che cosa è indicato con angoli elevati (poiché negli angoli c’è sempre una doppia parete) se non i cuori insinceri? I quali mentre fuggono la semplicità della verità, per la stessa perversità della loro doppiezza, in qualche modo si ripiegano e, quel che è peggio, per la loro stessa colpa di insincerità si esaltano nei loro pensieri come avessero raggiunto l’apice della astuzia. Dunque il giorno del Signore, pieno di vendetta e di castigo, verrà sulle città fortificate e sugli angoli elevati, perché l’ira dell’ultimo giudizio distruggerà i cuori umani chiusi dalle difese contro la verità, e scioglierà le pieghe della loro doppiezza. Allora infatti cadranno le città fortificate perché saranno condannati gli animi che non si sono lasciati penetrare da Dio. Allora crolleranno gli angoli elevati

Page 188: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

188

perché i cuori che si edificano, attraverso l’astuzia della falsità, saranno atterrati dalla sentenza di giustizia.

12 — Come si devono ammonire i sani e i malati

Diverso è il modo di ammonire i sani e i malati. Bisogna ammonire i sani a esercitare la salute del corpo a vantaggio della salute dello spirito perché, se piegano ad un uso malizioso la grazia della buona salute che hanno ricevuto, proprio per questo dono non diventino peggiori e meritino poi supplizi tanto più gravi quanto più ora essi non temono di usare male dei più larghi beni di Dio. Bisogna ammonire i sani che non disprezzino l’occasione di una salute da meritare per l’eternità, poiché è scritto: Ecco, ora è il tempo gradito, ecco ora il tempo della salvezza (2 Cor. 6, 2). Bisogna ammonirli che, se non vogliono piacere a Dio quando possono, può accadere che non lo possano quando lo vorranno troppo tardi. Da ciò infatti viene che poi la Sapienza abbandona coloro che prima ha chiamato a lungo nel loro rifiuto, dicendo: Vi ho chiamato e avete detto di no; ho teso la mia mano e nessuno ha guardato; avete disprezzato ogni mio consiglio e avete trascurato i miei rimproveri; anch’io riderò nella vostra fine e vi schernirò quando vi accadrà ciò che temevate (Prov. 1, 24 ss.). E ancora: Allora mi invocheranno e non ascolterò; si leveranno la mattina e non mi troveranno (Prov. 1, 28). Pertanto, quando si disprezzala salute del corpo ricevuta per operare il bene, ci si rende conto di quale grande dono fosse, quando la si è perduta; e alla fine si cerca senza frutto ciò che, concesso al momento adatto, non è stato utilmente posseduto. Perciò è ben detto ancora, per mezzo di Salomone: Non consegnare ad altri il tuo onore e i tuoi anni al crudele, perché non si riempiano gli stranieri con la tua forza e il frutto delle tue fatiche finisca in casa altrui, e negli ultimi giorni tu pianga, quando avrai consumato le tue carni e il tuo corpo (Prov. 5, 9 ss.). Chi sono infatti gli stranieri, per noi, se non gli spiriti maligni separati dalla sorte della patria celeste? E qual è il nostro onore se non l’essere creati a immagine e somiglianza del nostro Creatore, nonostante che siamo fatti di corpo e di fango? O chi altri è il crudele se non quell’angelo apostata, il quale con la sua superbia colpi se stesso con la pena di morte e, ormai perduto, non volle risparmiare la morte al genere umano? E così, consegna il suo onore agli stranieri colui che, fatto a immagine e somiglianza di Dio, amministra il tempo della sua vita coi piaceri che sono propri degli spiriti maligni. Consegna i suoi anni al crudele, chi dissipa il tempo di vita ricevuto, secondo la volontà dell’avversario signore del male. E qui bene si aggiunge: Perché non si riempiano gli stranieri della tua forza, e il frutto delle tue fatiche finisca in casa altrui. Infatti chiunque si affatica, con la forza del corpo che ha ricevuto e la sapienza della mente che gli è stata assegnata, non a esercitare la virtù, ma a soddisfare i vizi, non accresce la propria casa con le sue forze, ma certamente — praticando sia la lussuria sia la superbia così da accrescere, con l’aggiunta di se stesso, il numero dei perduti — moltiplica le dimore degli stranieri, cioè le azioni degli spiriti immondi. E poi opportunamente si aggiunge: E tu pianga, negli ultimi giorni, quando avrai consumato le tue carni e il tuo corpo. Spesso, infatti, la salute del corpo che si è ricevuta viene dissipata coi vizi; ma quando improvvisamente è sottratta, quando la carne viene afflitta da tormenti, quando l’anima già è incalzata ad uscire, si ricerca, quasi per vivere bene, quella salute perduta che si è goduta a lungo, male. E allora si lamentano gli uomini di non aver voluto servire Dio, quando ormai non possono più servire, per rimediare ai danni della propria negligenza. Per cui altrove è detto: Quando li uccideva, allora lo cercavano (Sal. 77, 34). Al contrario, bisogna ammonire i malati a sentirsi tanto più figli di Dio quanto più li castigano i colpi della correzione. Infatti, se Egli non avesse disposto di dare l’eredità a coloro che corregge, non si curerebbe di istruirli attraverso le sofferenze. Perciò il Signore dice a Giovanni per mezzo dell’angelo: Io rimprovero e castigo quelli che amo (Ap. 3, 19). Perciò ancora è scritto: Figlio mio, non trascurare

Page 189: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

189

la correzione del Signore, non stancarti di essere rimproverato da lui. Poiché Dio castiga chi ama e colpisce ogni figlio che accoglie (Ebr. 12, 5-6). Perciò il salmista dice: Molte sono le tribolazioni dei giusti, ma da tutte li ha liberati il Signore (Sal. 33, 20). Perciò pure il santo Giobbe dice, gridando nel dolore: Se sarò giusto non leverò la testa, sazio di tribolazione e di miseria (Giob. 10, 15). Bisogna dire ai malati che, se credono che sia loro la patria celeste, è necessario che patiscano fatiche in questa come in terra straniera. È per questo infatti che, per essere poste senza rumore di martelli nella costruzione del tempio del Signore, le pietre vennero squadrate di fuori; per significare cioè che ora noi siamo percossi dalle sferze di fuori, per essere poi posti dentro, nel tempio di Dio, senza i colpi della correzione, affinché tutto ciò che in noi è superfluo ora, lo tagli via la battitura, e allora, nell’edificio, ci tenga uniti la sola concordia della carità.Bisogna ammonire i malati a considerare la durezza dei colpi con cui vengono castigati i figli carnali, e solamente in vista di eredità terrene. E perché allora ci è pesante la pena della correzione divina, per la quale si riceve una eredità che non andrà mai perduta e si evitano supplizi che dureranno sempre? Perciò infatti dice Paolo: Del resto, noi abbiamo avuto come educatori i nostri padri secondo la carne, e rispettavamo; non obbediremo molto di pia al padre degli spiriti e vivremo? Quelli invero ci educavano secondo la loro volontà e per un tempo breve, ma questo ci educa per ciò che è utile a ricevere la sua santificazione (Ebr. 12, 9-10). Bisogna ammonire i malati a considerare quanta salute del cuore sia la sofferenza del corpo, la quale richiama la mente alla conoscenza di sé e restituisce il ricordo della propria debolezza, che spesso la salute rigetta; e così lo spirito, portato fuori di sé a gonfiarsi di orgoglio, si ricorda a quale condizione è soggetto proprio per quella carne colpita che deve sostenere. E ciò è rettamente rappresentato da Balaam (se effettivamente avesse voluto seguire obbediente la voce di Dio) proprio in quell’essere ritardato nel suo cammino. Infatti Balaam vuole giungere alla mèta che si è prefisso ma l’animale che egli guida ostacola il suo desiderio (cf. Num. 22, 23 ss.). In effetti, l’asina trattenuta dalla proibizione dell’angelo vede ciò che lo spirito dell’uomo non riesce a vedere, poiché spesso la carne resa tarda dalla sofferenza, con la percossa che patisce indica Dio allo spirito, mentre lo stesso spirito che governa la carne non lo vedeva; e così la carne [sofferente] trattiene l’ansietà dello spirito di colui che brama di progredire in questo modo, come di chi sta percorrendo un cammino, finché gli illumina l’invisibile che gli si oppone. Per ciò anche, per mezzo di Pietro, è ben detto: Ricevette la correzione della sua follia: un muto giumento parlando con voce umana impedì la stoltezza del profeta (2 Pt. 2, 15). E avviene che un uomo folle sia corretto da un giumento muto, quando una mente esaltata, si ricorda per l’afflizione della carne di quel bene dell’umiltà che avrebbe dovuto custodire. Ma Balaam non ottenne il dono di questa correzione proprio perché, andando per maledire, mutò le parole ma non la mente. Bisogna ammonire i malati a considerare quale grande dono sia la sofferenza del corpo, che scioglie i peccati commessi e impedisce quelli che si sarebbero potuti compiere e, prodotta da piaghe esterne, infligge ferite di penitenza all’animo colpito. Perciò è scritto: Il livido della ferita porta via il male, e così le piaghe nei recessi del ventre (Prov. 20, 30). Infatti il livido della ferita porta via il male perché il dolore delle percosse scioglie i pensieri e le azioni inique. Con la parola ventre si suole intendere la mente perché, come il ventre consuma i cibi, la mente meditando scioglie le preoccupazioni. E che la mente sia detta ventre, lo insegna il proverbio: Lo spirito dell’uomo è lampada del Signore, che scruta tutti i recessi del ventre (Prov. 20, 27); come se dicesse: l’illuminazione del soffio divino, quando viene nella mente dell’uomo, illuminandola, la mostra a se stessa, essa che prima della venuta dello Spirito Santo poteva portare pensieri cattivi e non sapeva pensare. Pertanto, il livido della ferita porta via il male e così pure le piaghe nei recessi del ventre, perché quando siamo percossi all’esterno, veniamo richiamati, silenziosi e afflitti, al ricordo dei nostri peccati, e riportiamo davanti ai nostri occhi tutto quanto abbiamo compiuto di male; e ciò che patiamo di fuori ci procura maggiormente dolore nell’intimo

Page 190: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

190

per ciò che abbiamo fatto. Quindi avviene che più abbondantemente che le ferite aperte del corpo, ci lavi la piaga nascosta del ventre, perché la ferita nascosta del dolore sana la malizia del cattivo operare. Bisogna ammonire gli ammalati a conservare la virtù della pazienza, a considerare incessantemente quanto grandi mali il nostro Redentore sopportò da coloro che aveva creato. Egli sostenne i tanto volgari oltraggi della derisione e degli schemi, lui che rapisce ogni giorno le anime dei prigionieri dalla mano dell’antico nemico, ricevette gli schiaffi degli insultatori; lui che ci lava con l’acqua della salvezza non ritrasse la faccia dagli sputi dei perfidi; lui che con la sua intercessione ci libera dagli eterni supplizi, tollerò in silenzio le battiture; lui che ci assegna eterni onori tra i cori degli angeli, sopportò i pugni; lui che ci salva dalle punture dei peccati, non rifiutò di sottoporre il capo alle spine; lui che ci inebria in eterno di dolcezza, ricevette l’amarezza del fiele nella sua sete; lui — che pure essendo uguale al Padre per la divinità, lo adorò per noi — adorato per irrisione, tacque; lui che prepara la vita ai morti, essendo lui stesso la vita, giunse fino a morire. Perché allora si giudica crudele che l’uomo sopporti castighi di Dio in cambio dei suoi mali, quando Dio ha sopportato mali tanto grandi dagli uomini in cambio dei suoi beni? O chi può esserci che, sano di mente, sia ingrato per essere stato colpito, se colui che visse in questo mondo, senza peccato, non se ne andò da questo mondo senza castigo?

13 — Come si devono ammonire coloro che temono i castighi e coloro che li disprezzano

Diverso è il modo di ammonire coloro che temono i castighi, e perciò conducono una vita innocente, e coloro tanto induriti nell’iniquità che neppure i castighi li correggono. A coloro che temono i castighi bisogna dire che né desiderino come gran cosa i beni temporali dei quali vedono godere anche i cattivi; né fuggano come intollerabili i mali presenti, poiché non ignorano che in questo mondo spesso essi colpiscono anche i buoni. Bisogna ammonirli, se desiderano veramente essere privi di mali, ad avere orrore degli eterni supplizi; non restino però in questo timore dei supplizi, ma nutrendosi di carità crescano fino alla grazia dell’amore, poiché sta scritto: La carità perfetta caccia il timore (1 Gv. 4, 18). Ed è ancora scritto: Non avete ricevuto spirito di servitù ancora per il timore, ma spirito di adozione a figli nel quale gridiamo: Abbà, Padre (Rom. 8, 15). Perciò il medesimo maestro dice ancora: Dove è lo Spirito del Signore, là c’è la libertà (2 Cor. 3, 17). Dunque, se è il terrore della pena che trattiene dal commettere il male, non è certo la libertà di spirito a possedere l’animo di colui che è atterrito. Infatti, se non temesse la pena non c’è dubbio che commetterebbe la colpa. E così il cuore, legato dalla schiavitù della paura, ignora la grazia della libertà, poiché il bene si deve amare per se stesso e non sono le pene che devono spingere a compierlo. Infatti, chi fa il bene perché teme il male dei castighi, vorrebbe solo che non esistesse ciò che teme per potere osare di compiere ciò che è lecito. Da cui risulta più chiaramente che si perde l’innocenza davanti a Dio poiché si pecca di desiderio davanti ai suoi occhi. Al contrario, coloro che neppure i castighi trattengono dall’iniquità, vanno colpiti con rimprovero tanto più aspro quanto maggiore è l’insensibilità del loro indurimento. Spesso infatti occorre respingerli, pur senza disprezzo, e lasciare che la disperazione incuta il terrore e quindi subito l’ammonizione li riporti alla speranza. Così, bisogna pronunciare severamente contro di loro le sentenze divine, perché siano richiamati alla coscienza di sé dalla considerazione del supplizio eterno. Ascoltino che si è compiuto contro di loro ciò che sta scritto: Se pestassi lo stolto nel mortaio come grani d’orzo sotto i colpi del pestello, non verrebbe tolta da lui la sua stoltezza (Prov. 27, 22). Contro costoro il profeta si volge con lamenti al Signore, dicendo: Li hai stritolati ed hanno rifiutato di accogliere la correzione (Ger. 5, 3). Ed è ciò che dice il Signore: Ho ucciso e distrutto questo popolo e tuttavia non si sono ritratti dalle loro vie (Ger. 15, 7). E poi di nuovo dice: Il popolo non è ritornato a colui che lo percuote (Is. 9, 13). Quindi, con la voce dei castigatori, il profeta si lamenta dicendo:

Page 191: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

191

Abbiamo curato Babilonia ma non è guarita (Ger. 51, 9). Si intende che Babilonia viene curata e tuttavia non guarisce, quando il cuore turbato dal cattivo operare ode le parole della correzione, ne riceve i castighi e tuttavia trascura di ritornare al retto cammino della salvezza. Perciò il Signore rimprovera il popolo di Israele prigioniero e tuttavia non convertito dalla sua iniquità, dicendo: La casa di Israele si è mutata per me in scoria: tutti costoro sono rame stagno ferro e piombo dentro la fornace (Ez. 22, 18). Come se dicesse apertamente: Volli purificarli col fuoco della tribolazione e cercai di farli diventare oro e argento, ma mi sono riusciti rame stagno ferro e piombo, perché anche nella tribolazione si sono buttati nei vizi e non nella virtù. Rame, perché quando lo si percuote dà suono più ampio degli altri metalli; pertanto colui che sotto i colpi che riceve rompe nel suono della mormorazione risulta rame dentro la fornace. Lo stagno, invece, trattato con arte, prende l’aspetto dell’argento e pertanto, chi nella tribolazione non si astiene dal vizio della simulazione diventa stagno nella fornace. Chi insidia alla vita del prossimo si serve del ferro, e così è ferro nella fornace chi, pure nella tribolazione, non perde la malizia di nuocere. E c’è anche il piombo che è il più pesante degli altri metalli; e nella fornace si rivela piombo colui che è tanto oppresso dal peso del suo peccato che, anche posto nella tribolazione non si solleva dai suoi desideri terreni. Perciò ancora è scritto: Con molta fatica si sudò e non usci da essa tutta la sua ruggine , neppure col fuoco (Ez. 24, 12). Cioè, ci invia il fuoco della tribolazione per purgarci dalla ruggine dei vizi, che è in noi; ma non perdiamo la ruggine neppure col fuoco quando, pure tra i castighi, non ci asteniamo dal vizio. Perciò il profeta dice ancora: Invano li ha fusi il fonditore: le loro malizie non si sono consumate (Ger. 6, 29). Ma bisogna anche sapere che spesso, quando persistono a non correggersi nella durezza dei castighi, bisogna blandirli con una dolce ammonizione, perché non di rado sono le parole miti e le carezze che trattengono dalle azioni inique quelli che non si lasciano correggere dalle punizioni, come anche spesso certi malati, che una forte bevanda medicinale non riesce a curare, vengono risanati da acqua tiepida; e alcune ferite che non possono curarsi incidendo, guariscono con impacchi di olio. Così il duro diamante che non resta minimamente scalfito dal ferro, diviene molle nel leggero sangue di capri.

14 — Come bisogna ammonire i taciturni e i chiacchieroni

Diverso è il modo di ammonire coloro che tacciono troppo e coloro che sono sempre pronti a parlare molto. Bisogna suggerire a coloro che parlano troppo poco che, mentre vogliono fuggire — in modo poco avvertito — certi vizi, restano nascostamente implicati in vizi peggiori. Spesso infatti, frenando la lingua oltre misura, devono portare in cuore un eccessivo peso di parole, e così, tanto più i pensieri ribollono nella mente quanto più li costringe la custodia forzata di un silenzio privo di discernimento, e si espandono tanto più ampiamente quanto più si giudicano al sicuro perché non si mostrano fuori, a chi potrebbe riprenderli. Perciò spesso la mente monta in superbia e disprezza come deboli coloro che sente parlare; ma mentre chiude la bocca del suo corpo, non si rende conto di quanto si apre ai vizi col suo insuperbire. Infatti comprime la lingua e innalza il pensiero e mentre non considera affatto la sua malizia, dentro di sé accusa tutti tanto più liberamente quanto più lo fa in segreto. Perciò bisogna ammonire coloro che tacciono troppo, ad adoperarsi con sollecitudine a conoscere non solo come si debbano mostrare al di fuori, ma anche come si debbano disporre interiormente così da temere di più l’occulto giudizio divino in seguito ai loro pensieri che il rimprovero del prossimo in seguito ai loro discorsi. Infatti è scritto: Figlio mio, fa’ attenzione alla mia sapienza e piega l’orecchio alla mia prudenza per custodire i pensieri (Prov. 5, 1). Poiché niente in noi è più instabile del cuore, che si allontana da noi ogni qual volta è trascinato via sull’onda dei cattivi pensieri. Perciò infatti il salmista dice: Il mio cuore mi ha abbandonato (Sal. 39, 13). E perciò, ritornando in se stesso dice: Il tuo servo ha trovato il suo cuore per pregarti (2

Page 192: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

192

Sam. 7, 27). Pertanto, il cuore solito a disperdersi, si ritrova quando il pensiero è frenato dalla vigilanza. Spesso poi, quando coloro che tacciono troppo patiscono qualche ingiustizia, cadono in un dolore tanto più aspro quanto meno parlano del dolore che devono sopportare; perché se dicessero tranquillamente la sofferenza che è stata loro inflitta, il dolore uscirebbe dalla coscienza. Infatti le ferite chiuse fanno soffrire di più e quando il pus che infiamma dentro viene espulso, il dolore si apre alla guarigione. Pertanto, coloro che tacciono più del conveniente devono sapere che non è bene aumentare la forza del dolore tra le sofferenze che sopportano, per il fatto di trattenersi dal parlare. Bisogna ammonirli a non tacere al prossimo, se lo amano come se stessi, ciò di cui giustamente lo rimproverano, giacché con la medicina della parola si concorre alla salute di ambedue: si frena dalla cattiva azione colui che la compie (cf. Lev. 19, 17), e con l’apertura della ferita si allevia la fiamma del dolore di colui che la sostiene. Infatti, coloro che si volgono a guardare i peccati del prossimo e poi trattengono la lingua nel silenzio, è come se, viste delle ferite, sottraessero ad esse il medicamento, e divengono doppiamente causa di morte in quanto non hanno voluto curare l’infezione come avrebbero potuto. Dunque, bisogna frenare la lingua con discrezione e non legarla indissolubilmente, poiché sta scritto: Il sapiente tacerà fino al tempo opportuno (Sir. 20, 7); nel senso cioè che, quando vede l’opportunità, tralasciata la censura del silenzio, dicendo quanto è conveniente si adopera per l’utilità. E ancora sta scritto: C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare (Qo. 3, 7). Cioè bisogna calcolare con discrezione l’alternarsi dei momenti diversi, perché la lingua non scorra inutilmente sulle parole quando dovrebbe invece trattenersi; o non si trattenga pigramente quando potrebbe utilmente parlare. Ciò che ben considera il salmista dicendo: Poni, Signore, una custodia alla mia bocca e una porta intorno alle mie labbra (Sal. 140, 3). Infatti non chiede che gli sia posta una parete davanti alla bocca, ma una porta che, evidentemente, si apre e si chiude; perciò anche noi dobbiamo imparare con prudenza il momento opportuno perché la voce apra la bocca con discrezione, e ancora il momento opportuno perché il silenzio la chiuda. Al contrario, bisogna ammonire coloro che sono sempre pronti a parlare molto, che siano pronti a rendersi conto di quanto vengon meno alla loro rettitudine col diffondersi in tante parole. Giacché la mente umana è come l’acqua, che quando è trattenuta si raccoglie verso l’alto poiché tende a risalire là di dove è scesa, ma lasciata andare viene meno perché si sparge inutilmente nei luoghi più bassi. Infatti, ogni volta che la mente si dissipa in vane parole fuori dalla censura del proprio silenzio, è condotta fuori di sé come per tanti rivoletti. Perciò non è più capace di rientrare in se stessa, alla conoscenza di sé, perché dispersa nelle molte parole si chiude fuori dal nascondimento dell’intima meditazione; e si scopre tutta alle ferite del nemico insidioso perché nessuna protezione la circonda e la custodisce. Perciò è scritto: Come una città aperta e senza giro di mura, così è l’uomo che non può trattenere il suo animo quando parla (Prov. 25, 28); giacché la città della mente non possiede il muro del silenzio ed è aperta alle frecce del nemico, e quando si butta fuori di se stessa attraverso le parole, si mostra tutta all’avversario. Ed egli la espugna senza fatica tanto più in quanto anche lei stessa, che viene vinta, combatte contro di sé col suo continuo parlare. Ma per lo più, poiché la mente negligente è spinta a cadere per gradi, se trascuriamo di guardarci dalle parole oziose, giungiamo a quelle dannose; così che, prima si gode a parlare degli altri, poi si morde la vita di coloro di cui si parla, con la detrazione, e infine la lingua rompe fino alle aperte offese. E di qui si seminano le provocazioni, nascono le risse, si accendono le fiamme dell’odio, si estingue la pace dei cuori. Perciò, bene è detto per mezzo di Salomone: Chi lascia andare l’acqua, dà principio alle contese (Prov. 17, 14). Lasciare andare l’acqua significa abbandonare la lingua allo sproloquio. Al contrario, è detto ancora in senso buono: Le parole che procedono dalla bocca dell’uomo sono acque profonde (Prov. 18, 4). Pertanto, chi lascia andare l’acqua dà principio alle contese perché chi non frena la lingua dissipa la concordia. E perciò in senso inverso è detto: Chi impone silenzio allo stolto, mitiga le ire (Prov. 26, 10). Che poi colui il

Page 193: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

193

quale è dedito alle chiacchiere non possa mantenere la rettitudine della giustizia, lo attesta il profeta che dice: L’uomo linguacciuto non va diritto sulla terra (Sal. 139, 12). Perciò, pure Salomone dice ancora: Nel molto parlare non mancherà il peccato (Prov. 10, 19). Perciò Isaia dice: Il silenzio è coltivazione della giustizia (Is. 32, 17), significando chiaramente che la giustizia dell’animo resta desolata se non la risparmia il parlare smodato. Perciò Giacomo dice: Se qualcuno pensa di essere religioso e non tiene a freno la sua lingua ma seduce il suo cuore, la sua religione è vana (Giac. 1, 26). Perciò dice ancora: Ognuno sia pronto ad ascoltare ma lento a parlare (Giac. 1, 19). E di nuovo, definendo la potenza della lingua, dice: È un male irrefrenabile, piena di veleno mortifero (Giac. 3, 8). Perciò la Verità stessa ci ammonisce dicendo: Di ogni parola oziosa che avranno detto, gli uomini dovranno rendere conto il giorno del giudizio (Mt. 12, 36). Ed è oziosa ogni parola che non sia giustificata da una ragionevole necessità o dall’intenzione di una pia utilità. Se dunque si esige il rendiconto di una parola oziosa, pensiamo quale pena attenda il molto parlare in cui si pecca anche con parole che arrecano danno.

15 — Come si devono ammonire i pigri e i precipitosi

Diverso è il modo di ammonire i pigri e i precipitosi. I primi bisogna persuaderli a non perdere quei beni di cui differiscono l’adempimento; gli altri invece bisogna ammonirli che, col prevenire incautamente, per la loro fretta, il tempo di fare certe opere buone, rischiano di mutarne i meriti. E così bisogna inculcare nei pigri che ciò che speso non vogliamo fare al momento opportuno mentre lo possiamo, poco dopo, quando lo vorremmo, non ne siamo più in grado; poiché la stessa pigrizia della mente, se non viene accesa e stimolata da un ardore appropriato, viene uccisa del tutto, quanto al desiderio delle buone opere, da un torpore sotterraneo e crescente. Perciò è detto apertamente per mezzo di Salomone: La pigrizia fa venire sonno (Prov. 19, 15). Il pigro infatti, nella rettitudine del suo sentire, si può dire che veglia, nonostante il torpore del suo non far nulla; ma si dice che la pigrizia fa venire sonno, perché, se si cessa dalla pratica del bene operare a poco a poco si perde anche la vigilanza del retto sentire. Perciò giustamente prosegue: E l’anima indolente soffrirà la fame (Prov. 19, 15). Infatti, poiché non si dirige verso l’alto col suo sforzo, con la trascuratezza di sé, si espande verso il basso, nei suoi desideri; e non essendo costretta dal vigore di interessi elevati, è ferita dalla fame di una bassa cupidigia, così che quanto più trascura di legarsi alla disciplina tanto più si dissipa, affamata, nei desideri dei piaceri. Perciò ancora dal medesimo Salomone è scritto: Ogni ozioso vive nei desideri (cf. Prov. 21, 26). Perciò la Verità stessa ci annuncia che quando uno spirito immondo è uscito da una casa questa è pura, ma se quando quello ritorna essa è vuota, viene poi occupata da spiriti tanto più numerosi (cf. Mt. 12, 44). Spesso il pigro, mentre trascura di fare le cose necessarie, alcune se le immagina difficili e altre le teme infondatamente; e trovata la scusa con cui giustificare il suo timore, pretende di dimostrare che il suo dormire in ozio non è ingiustificato. A lui bene viene detto per mezzo di Salomone: Il pigro non ha voluto arare per il freddo; dunque in estate andrà a mendicare, e non gliene daranno (Prov. 20, 4). Il pigro non ara per il freddo quando, costretto dal sonno della pigrizia, trascura di fare le opere buone che deve; non ara per il freddo quando tralascia di fare cose importanti per timore di piccoli mali in contrario. Ed è ben detto: In estate andrà a mendicare e non gliene daranno, infatti chi ora non fatica nelle buone opere, quando il sole del giudizio apparirà più bruciante, in quella estate, mendicherà senza ricevere nulla perché invano andrà a questuare all’ingresso del Regno. E di nuovo per mezzo del medesimo Salomone si dice giustamente a costui: Chi bada al vento non semina; e chi considera le nubi non miete (Qo. 11, 4). Che cosa si esprime col vento se non la tentazione degli spiriti maligni? E che cosa con le nubi, che sono mosse dal vento, se non le ostilità di uomini iniqui? Evidentemente, le nubi sono spinte dai venti perché gli uomini iniqui sono eccitati dal soffio degli spiriti immondi;

Page 194: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

194

pertanto, chi bada al vento non semina, e chi considera le nubi non miete mai, perché chi teme la tentazione degli spiriti maligni e chi teme la persecuzione di uomini iniqui né semina il grano delle buone opere né taglia i covoni della santa retribuzione. Al contrario, i precipitosi che prevengono il tempo delle buone azioni, ne pervertono il merito e spesso cadono nel male perché non hanno alcun discernimento del bene. Essi non indagano quale sia il momento giusto di compiere qualcosa, ma per lo più se ne rendono conto solo quando l’hanno fatta, con l’accorgersi che così non avrebbero dovuto farla. Ad essi, come a chi ascolta, viene detto da Salomone: Figlio, non fare nulla senza consiglio, e dopo che l’hai fatto non ti pentirai (Sir. 32, 24). E ancora: Le tue palpebre precedano i tuoi passi (Prov. 4, 25). Le palpebre precedono i passi quando retti consigli prevengono il nostro agire. Chi infatti trascura di considerare in precedenza ciò che prevede di fare, drizza i suoi passi, chiude gli occhi e giunge al termine del suo cammino, ma non si fa precedere dalle sue stesse previsioni e perciò cade a terra più rapidamente, perché non fa attenzione, attraverso la palpebra del consiglio, a dove deve mettere il piede dell’opera.

16 — Come si devono ammonire i mansueti e gli iracondi

Diverso è il modo di ammonire i mansueti e gli iracondi. Spesso infatti, quando i mansueti hanno qualche responsabilità di guida, soffrono di una certa lentezza di decisione unita alla loro mitezza; e per lo più, per via di una pacatezza eccessivamente rilassata, addolciscono oltre il necessario il vigore della severità. Al contrario, gli iracondi, quando ricevono posti di governo, quanto più si lasciano travolgere dall’impeto dell’ira all’esagitazione della mente, tanto più turbano anche la vita dei sudditi disperdendone la tranquillità e la pace. Quando il furore li spinge a trascendere inconsideratamente, ignorano ciò che fanno nell’impeto dell’ira e anche il male che nell’impeto dell’ira ricevono da se stessi. Spesso però, ciò che è più grave, giudicano lo stimolo della propria ira zelo di giustizia; e quando il vizio passa per una virtù, senza timore si accumula colpa su colpa. Infatti, spesso, i mansueti intorpidiscono per la noia della rilassatezza; e gli iracondi peccano per zelo di rettitudine. Pertanto, per i primi, si tratta di un vizio che nascostamente si aggiunge a una virtù; agli altri invece, il proprio vizio appare come virtù ardente. Dunque, bisogna ammonire quelli a fuggire ciò che hanno presso di sé, e questi a badare a ciò che hanno in sé; quelli discernano ciò che non hanno, questi ciò che hanno: i mansueti abbraccino la sollecitudine; gli iracondi bandiscano l’agitazione. Bisogna ammonire i mansueti che si studino di avere spirito di emulazione per la giustizia; e gli iracondi ad aggiungere la mansuetudine a questo medesimo spirito che essi credono di possedere. Perciò infatti lo Spirito Santo ci si è mostrato come colomba e come fuoco, per presentarci tutti quelli che riempie, mansueti per la semplicità della colomba e ardenti per il fuoco dello zelo. Pertanto, non è pieno dello Spirito Santo né colui che, tranquillo della sua mansuetudine, tralascia il fervore dello zelo, né colui che ancora per l’ardore dello zelo, perde la virtù della mansuetudine. Ma forse ci spieghiamo meglio se portiamo come esempio il magistero di Paolo, il quale, a due discepoli, forniti di non diversa carità, dà tuttavia consigli diversi, per la predicazione. Infatti, ammonendo Timoteo dice: Confuta, esorta e rimprovera con ogni pazienza e dottrina (2 Tim. 4, 2); ammonisce anche Tito dicendo: Di’ queste cose ed esorta e confuta con ogni autorità (Tit. 2, 15). A che cosa si deve che egli applichi tanto sapientemente la sua dottrina che, nel proporla, ad uno consiglia l’autorità e all’altro la pazienza, se non al fatto che conosceva lo spirito più mansueto di Tito e quello un poco più fervido di Timoteo? Perciò infiamma quello, con l’amore dello zelo e modera questo, con la dolcezza della pazienza: aggiunge ciò che manca all’uno e toglie ciò che è di troppo nell’altro; si sforza di stimolare il primo e di frenare il secondo, e come grande agricoltore della Chiesa che ha ricevuto, annaffia alcuni rami perché crescano, e altri che vede crescere più del normale li pota affinché non accada che, o non crescendo non portino frutto o

Page 195: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

195

crescendo eccessivamente perdano quello che hanno già dato. Ma è molto diversa l’ira che accompagna l’emulazione per la giustizia, dall’ira che turba un cuore agitato e senza pretesto di giustizia. Nel primo caso, infatti, essa si estende disordinatamente a ciò che è doveroso, nell’altro invece si accende sempre indebitamente. Perciò bisogna sapere che gli impazienti differiscono dagli iracondi in ciò, che quelli non sopportano ciò che viene loro imposto da altri; questi invece sono loro a provocare ciò che gli altri devono sopportare. Infatti gli iracondi, spesso, assalgono anche coloro che si ritirano, provocano occasioni di risse, godono di affaticarsi in contese. Costoro tuttavia si correggono meglio se ci si tira indietro nell’eccitazione della loro ira, perché in quel momento ignorano ciò che viene detto loro, ma ritornati in sé, accolgono tanto più liberamente le parole di esortazione quanto più arrossiscono di essere stati sopportati in pace. Giacché, qualunque cosa giusta si dica a una mente ebbra di furore, le parrà sempre sbagliata. Perciò anche, a Nabal ubriaco, Abigail tacque lodevolmente la sua colpa che, altrettanto lodevolmente, gli disse solo quando egli ebbe smaltito il vino (cf. 1 Sam. 25, 37); e perciò egli poté conoscere il male che aveva compiuto e che non gli fu detto quando era ubriaco. Quando però gli iracondi assalgono gli altri in modo che essi non possano in alcuna maniera ritirarsi, bisogna affrontarli non con aperto rimprovero ma usando verso di loro il riguardo di un certo cauto rispetto. Cosa che si intende meglio con l’esempio di Abner. Di lui, quando Asael lo inseguiva con violenza precipitosa e incauta, è scritto: Abner parlò ad Asael dicendo: Ritirati, non inseguirmi che io non sia costretto a trafiggerti in terra. Ma quello disprezzò l’avvertimento e non volle ritirarsi. Allora Abner lo colpi con la parte posteriore della lancia, nell’inguine, e lo trafisse e mori (2 Sam. 2, 22-23). E di chi è figura Asael se non di coloro che quando il furore li coglie con violenza, li trascina a precipizio? Costoro sono da evitare tanto più cautamente nell’impeto dell’ira in quanto ne sono anche trascinati come folli; perciò anche Abner — che nella nostra lingua significa lucerna del padre — fugge; perché la lingua dei maestri, che indica la luce celeste di Dio, quando vede la mente di qualcuno portata per i precipizi del furore, e trascura di restituire le frecce delle sue parole contro l’irato, è come chi non vuol ferire il suo persecutore.Ma quando gli iracondi non si acquietano con alcun ragionamento e, come Asael non cessano di perseguitare e comportarsi da pazzi, è necessario che coloro i quali cercano di trattenere i furiosi, non si erigano anch’essi con furore, ma mostrino tutta la possibile tranquillità; facciano cioè qualche sottile osservazione che colpisca indirettamente l’animo di colui che infuria. Perciò anche Abner, quando ristette contro colui che lo inseguiva, non lo trapassò con la lancia diritta ma rovesciata; poiché percuotere con la punta corrisponde ad affrontare d’impeto con un aperto rimprovero; invece, ferire con la parte posteriore della lancia vale toccare tranquillamente il furioso con qualche argomento e vincerlo quasi risparmiandolo. Asael tuttavia cadde subito perché le menti eccitate, mentre sentono che si ha riguardo per loro, toccate con tranquillità nell’intimo dalla ragionevolezza delle risposte, cadono improvvisamente da quello stato di esaltazione a cui si erano innalzati. Così, coloro che sotto un leggero colpo piombano dall’impeto del loro ardore, sono come chi muore quasi senza ricevere ferita di spada.

17 — Come si devono ammonire gli umili e gli orgogliosi

Diverso è il modo di ammonire gli umili e gli orgogliosi. Ai primi bisogna suggerire quanto sia vera quella superiorità che possiedono nella speranza; gli altri bisogna persuaderli quanto nulla valga la gloria temporale che essi, pur tenendola stretta, non possiedono. Ascoltino gli umili quanto è eterno ciò a cui aspirano e quanto è transitorio ciò che trascurano; e gli orgogliosi ascoltino quanto è passeggero ciò che ambiscono ed eterno ciò che perdono. Ascoltino gli umili, dalla maestra voce della Verità: Chi si umilia sarà esaltato (Lc. 18, 14); ascoltino gli orgogliosi: Chi si esalta sarà

Page 196: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

196

umiliato (Lc. 18, 14). Ascoltino gli umili: L’umiltà precede la gloria (Prov. 15, 33); ascoltino gli orgogliosi: Lo spirito si esalta prima della rovina (Prov. 16, 18). Ascoltino gli umili: A chi volgerò lo sguardo se non all’umile e tranquillo e che teme le mie parole? (Is. 66, 2); ascoltino gli orgogliosi: Perché insuperbisce la terra e la cenere? (Sir. 10, 9). Ascoltino gli umili: Dio volge lo sguardo alle cose umili (Sal. 137, 6); ascoltino gli orgogliosi: e conosce da lontano le alte (Sal. 137, 6). Ascoltino gli umili: Poiché il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito ma per servire (Mt. 20, 28); ascoltino gli orgogliosi: poiché la superbia è l’inizio di ogni peccato (Sir. 10, 15). Ascoltino gli umili: poiché il nostro Redentore umiliò se stesso fatto obbediente fino alla morte (Fil. 2, 8); ascoltino gli orgogliosi ciò che è scritto del loro capo: Egli è re sopra tutti i figli della superbia (Giob. 41, 25). Dunque, la superbia del diavolo fu l’occasione della nostra perdizione, e l’umiltà di Dio fu trovata argomento della nostra redenzione. Infatti il nostro nemico, creatura come tutte, volle apparire innalzata su tutte; ma il nostro Redentore, pur rimanendo grande su tutte,. si degnò di diventare piccolo fra tutte. Si dica dunque agli umili che nel loro abbassarsi si elevano alla somiglianza di Dio; si dica agli orgogliosi che con il loro innalzarsi cadono ad imitazione dell’angelo apostata. Perciò, che cosa c’è di più basso dell’orgoglio, che nel tendersi al di sopra di sé si allontana dalla misura della vera altezza? E che cosa è più sublime dell’umiltà che nell’abbassarsi fino al fondo si unisce al suo Creatore, il quale rimane al di sopra dell’altezza più eccelsa? C’è tuttavia dell’altro che in essi si deve valutare con prudenza, poiché spesso alcuni restano ingannati dalla apparenza di umiltà e altri peccano per ignoranza del proprio orgoglio. Spesso infatti ad alcuni che si stimano umili si unisce un timore che non deve essere portato a uomini; mentre non di rado l’affermazione di una propria franchezza accompagna gli orgogliosi; e così, quando bisogna rimproverare certi vizi altrui, i primi tacciono per timore, e tuttavia pensano di tacere per umiltà; i secondi invece parlano con l’impazienza dell’orgoglio e si immaginano di parlare mossi da una libera rettitudine. Dunque, la colpa della paura, sotto l’apparenza dell’umiltà, trattiene quelli dal rimproverare i vizi altrui; mentre, sotto l’immagine di uno spirito libero, la sfrenatezza dell’orgoglio spinge questi a fare rimproveri che non devono, o a fare più rimproveri di quel che devono. Perciò gli orgogliosi vanno ammoniti a non essere franchi di quanto è conveniente; e gli umili a non stare sottomessi più di quanto è opportuno, affinché i primi non voltino in difesa della giustizia l’esercizio della superbia, e i secondi, quando si applicano a sottomettersi agli uomini più del necessario, non siano spinti a rispettare anche i loro vizi. Bisogna però considerare che spesso si correggono più utilmente gli orgogliosi, se mescoliamo le correzioni con qualche incoraggiamento di lode. Infatti, bisogna riconoscere altre cose buone che sono in loro o, se non ci sono, dire almeno quelle che potrebbero esserci; solo allora si deve togliere quanto c’è in loro di male che a noi dispiace, quando cioè è stato fatto precedere il ricordo delle loro cose buone e che ci piacciono, con cui il loro cuore si è disposto a un ascolto placato. Infatti, anche i cavalli irrequieti li tocchiamo prima con mano leggera, per sottometterceli poi più pienamente anche con le frustate; e a un bicchiere di amara medicina si aggiunge la dolcezza del miele perché ciò che deve giovare alla salute non debba essere gustato proprio col sapore di un’aspra amarezza; e invece, mentre il gusto resta ingannato dalla dolcezza, l’umore mortifero viene espulso con l’amarezza. Pertanto, nell’accusa rivolta agli orgogliosi, l’inizio deve essere temperato con la lode, affinché con l’accoglimento degli elogi che amano, essi accettino insieme le correzioni che odiano. Ma spesso possiamo persuadere meglio e più utilmente gli orgogliosi, se facciamo passare il loro progresso piuttosto come pin vantaggioso per noi che per loro, se chiediamo che il loro miglioramento si compia più per noi che per loro stessi. Poiché è facile che l’orgoglio si pieghi al bene se crede che la propria condiscendenza giovi ad altri. Perciò Mosè che aveva Dio come guida e attraversava il deserto dietro la nuvola d’aria, volendo allontanare il suo parente Hobab dalla consuetudine pagana e sottometterlo alla signoria di Dio onnipotente, [lo pregò dicendo]: Noi

Page 197: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

197

partiamo per il luogo che il Signore ci darà; vieni con noi affinché ti facciamo del bene perché il Signore ha promesso dei beni a Israele. Ma poiché quello gli rispose: Non verrò con te ma ritornerò alla terra dove sono nato, aggiunse subito: Non ci abbandonare, perché tu conosci in quali luoghi attraverso il deserto, dobbiamo porre l’accampamento e sarai nostra guida (Num. 10, 29 ss.). Certo l’ignoranza riguardo al viaggio non angustiava l’animo di Mosè, lui che la conoscenza della divinità aveva dilatato alla scienza della profezia; che la colonna precedeva all’esterno, e che il colloquio familiare della conversazione assidua con Dio istruiva, all’interno, su ogni cosa. Ma evidentemente, da uomo avveduto, che stava trattando con un ascoltatore orgoglioso, lo pregò di un aiuto per poterglielo dare: cercava in lui una guida per il viaggio, per potergli essere guida alla vita. E agi in modo che l’ascoltatore superbo tanto più si offrisse alla voce che lo attirava verso beni migliori quanto più si sentiva considerato necessario; ma proprio nello stimarsi come colui che precede chi lo esorta, di fatto obbediva alle sue parole.

18 — Come si devono ammonire gli ostinati e gli incostanti

Diverso è il modo di ammonire gli ostinati e gli incostanti. Ai primi bisogna dire che essi si stimano più di quello che sono e perciò non acconsentono ai consigli altrui; i secondi bisogna convincerli che poiché si disprezzano e non hanno alcuna considerazione di sé, i loro pensieri mancano di fermezza e così mutano il loro giudizio a seconda dei momenti. A quelli bisogna dire che se non si stimassero migliori degli altri, non posporrebbero i consigli di tutti alla propria decisione; a questi bisogna dire che se fissassero comunque l’attenzione del proprio animo a ciò che sono, il vento dell’instabilità non li trascinerebbe per tanta diversità di posizioni. A quelli è detto per mezzo di Paolo: Non siate prudenti presso voi stessi (Rom. 12, 6). Al contrario, questi si sentono dire: Non facciamoci portare in giro da ogni vento di dottrina (Ef. 4, 14). Di quelli, per mezzo di Salomone è detto: Mangeranno il frutto della loro via e si sazieranno dei loro consigli (Prov. 1, 31). Di questi, ancora lo stesso scrive: Il cuore degli stolti sarà mutevole (Prov. 15, 7). Infatti il cuore dei sapienti è sempre uguale a se stesso, perché mentre riposa su persuasioni rette è costante nel bene operare. Ma il cuore degli stolti è mutevole perché mostrandosi vario nell’instabilità, non rimane mai ciò che è stato prima. E poiché certi vizi, come ne generano altri da se stessi così da altri nascono, è importantissimo sapere che tanto più riusciamo a toglierli, attraverso la correzione, quanto più asciughiamo la fonte stessa della loro amarezza. E in effetti, l’ostinazione è generata dalla superbia, l’incostanza dalla leggerezza. Perciò bisogna ammonire gli ostinati a riconoscere l’orgoglio del proprio pensiero e ad applicarsi per vincere se stessi, perché mentre all’esterno rifiutano con disprezzo di lasciarsi vincere dai giusti consigli di altri, interiormente non siano tenuti prigionieri dalla superbia. Bisogna ammonirli a considerare che il Figlio dell’uomo, che ha sempre una sola volontà col Padre, per offrirci l’esempio di come spezzare la nostra volontà, dice: Non cerco la mia volontà ma la volontà del Padre che mi ha mandato (Gv. 5, 30). Egli che, per meglio raccomandare la grazia di questa virtù, affermò che l’avrebbe conservata nell’ultimo giudizio, dicendo: Io non posso fare nulla da me stesso, ma come ascolto giudico (Gv. 5, 30). Dunque, con quale coscienza l’uomo disdegna di sottostare alla volontà altrui, quando il Figlio di Dio, e dell’uomo, venuto a manifestare la gloria della sua potenza, afferma di non giudicare da se stesso? Al contrario, bisogna ammonire gli incostanti a rafforzare la loro mente con la fermezza Infatti essi inaridiscono in sé i frutti della mutevolezza, se prima strappano dal cuore la radice della leggerezza, perché si costruisce un edificio stabile quando si provvede prima un luogo solido in cui porre le fondamenta. Pertanto, se prima non si provvede a togliere la leggerezza dalla mente, non si vince per nulla l’incostanza del pensiero. Paolo mostra di essere stato alieno da costoro, quando dice: Ho forse usato della leggerezza? Oppure penso secondo la carne così che in me ci siano il si e il no? (2 Cor.

Page 198: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

198

1, 17). Come se dicesse apertamente: Non sono mosso dal vento della instabilità perché non soggiaccio al vizio della leggerezza.

19 — Come si devono ammonire gli intemperanti nel cibo e i parchi

Diverso è il modo di ammonire i golosi e i temperanti. Infatti nei primi il vizio è accompagnato dall’eccesso del parlare, dalla leggerezza dell’operare e dalla lussuria; agli altri si unisce spesso l’impazienza e spesso anche la superbia. Infatti, se la loquacità smodata non rapisse i golosi, quel ricco di cui si dice che banchettava splendidamente ogni giorno non sarebbe stato arso più gravemente nella lingua. Infatti dice: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a bagnare la punta del suo dito nell’acqua, per dare sollievo alla mia lingua, perché sono tormentato in questa fiamma (Lc. 16, 24). Con queste parole, certamente si mostra che banchettando ogni giorno, aveva peccato più frequentemente con la lingua, egli che pur ardendo tutto cercava refrigerio soprattutto per essa. E ancora l’autorità della Sacra Scrittura attesta che la leggerezza dell’operare segue immediatamente i golosi, dicendo: Il popolo si sedette per mangiare e bere, e si alzò per divertirsi (Es. 32, 6). E spesso la voracità trascina costoro fino alla lussuria, perché quando il ventre si distende nella sazietà, si eccitano gli stimoli della libidine. Perciò all’astuto nemico, che apri la sensualità del primo uomo alla bramosia del frutto e la strinse poi col laccio del peccato, è detto dalla voce divina: Striscerai sul petto e sul ventre (cf. Gen. 3, 14), come se gli venisse detto apertamente: dominerai suoi cuori umani coi pensieri cattivi e la golosità. Che poi la lussuria tenga dietro ai golosi, lo attesta il profeta, che mentre racconta ciò che è manifesto denuncia ciò che è nascosto, dicendo: Il principe dei cuochi distrusse le mura di Gerusalemme (cf. 2 Re, 25, 10. LXX). Infatti il principe dei cuochi è il ventre, al quale si presta gran cura da parte dei cuochi, perché possa riempirsi di cibi nel piacere. Le mura di Gerusalemme poi, sono le virtù dell’anima innalzate verso il desiderio della pace celeste. Pertanto il principe dei cuochi abbatte le mura di Gerusalemme, perché mentre il ventre si distende per la ingordigia, le virtù dell’anima vengono distrutte dalla lussuria. Al contrario, se per lo più, la impazienza non scuotesse le menti dei temperanti dalla loro tranquillità, Pietro non direbbe: Sforzatevi di unire la virtù alla vostra fede, e alla virtù la scienza e alla scienza la temperanza; per aggiungere subito oculatamente: e alla temperanza la pazienza (2 Pt. 1, 5). Ammoni cioè i temperanti ad avere quella pazienza che sapeva mancare loro. E ancora: se la colpa della superbia non trapassasse i pensieri dei temperanti, Paolo non avrebbe detto affatto: Chi non mangia non giudichi chi mangia (Rom. 14, 3). E poi, parlando ad altri nel restringere il campo dei precetti per coloro che si gloriavano per la virtù dell’astinenza, aggiunse: Tutte cose che possiedono certo un aspetto di sapienza nella loro religiosità umiltà e austerità del corpo, ma non hanno alcun valore contro la soddisfazione della carne (Col. 2, 23). In ciò va notato che nella sua argomentazione, il predicatore egregio accosta alla scrupolosità un certo aspetto di umiltà, poiché quando il corpo viene indebolito più del necessario dall’astinenza, si manifesta esteriormente umiltà, ma proprio per questa umiltà si insuperbisce gravemente nell’intimo. E se non fosse vero che l’animo talvolta si gonfia d’orgoglio per la virtù dell’astinenza, il fariseo non avrebbe enumerato con diligente presunzione questa virtù fra i suoi grandi meriti, dicendo: Digiuno due volte la settimana (Lc. 18, 12). Pertanto bisogna ammonire i golosi che, mentre sono dediti al piacere dei cibi, non si facciano trafiggere dalla spada della lussuria, e vedano con quanta forza, attraverso il mangiare, li insidiano la loquacità e la leggerezza della mente, affinché mentre servono con la mollezza il ventre non si trovino crudelmente stretti nei lacci dei vizi. Infatti, tanto più ci si allontana dal secondo genitore quanto più, col tendere la mano ad uso smodato del cibo, si ripete la caduta del primo genitore. Ma al contrario, bisogna ammonire i temperanti a fare molta attenzione che, mentre fuggono il vizio della gola, non si generino, quasi dalla stessa virtù, vizi ancora

Page 199: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

199

peggiori; così che mentre macerano la carne, lo spirito erompa nell’impazienza. Poiché la vittoria sulla carne non costituisce più una virtù, se lo spirito si lascia vincere dall’ira. Ma talvolta, quando il cuore dei temperanti riesce a trattenersi dall’ira, lo coglie come una gioia insolita che lo corrompe, e il bene della astinenza si perde quanto meno si custodisce dai vizi spirituali. Perciò giustamente è detto per mezzo del profeta: Nei giorni dei vostri digiuni si manifestano le vostre volontà (cf. Is. 58, 3 - LXX). E poco dopo: Voi digiunate nelle liti e nelle risse e fate a pugni (cf. Is. 58, 4). La volontà si riferisce alla gioia e il pugno all’ira. Invano dunque si prostra il corpo con l’astinenza, se il cuore, abbandonato a moti disordinati, si dissipa nei vizi. E ancora, bisogna ammonire i temperanti a custodire la loro astinenza sempre intatta, senza credere mai che essa rappresenti una virtù eccelsa presso il Giudice occulto, perché se si dovesse credere che in essa ci sia gran merito, il cuore non si esalti nell’orgoglio. Perciò infatti è detto per mezzo del profeta: È forse questo il digiuno che ho scelto? Spezza invece il tuo pane a chi ha fame e conduci a casa tua i pellegrini bisognosi (Is. 58, 5.7). In ciò dunque bisogna considerare come viene stimata piccola la virtù dell’astinenza, che non si raccomanda se non per la presenza di altre virtù. Perciò Gioele dice: Santificate il digiuno (Gioe. 1, 14). Infatti, santificare il digiuno significa mostrare a Dio una astinenza del corpo resa degna per l’aggiunta di altre virtù. Bisogna ammonire i temperanti a tenere presente che essi offrono un’astinenza gradita a Dio solo quando i cibi che sottraggono al proprio nutrimento li distribuiscono ai bisognosi. Bisogna sapientemente ascoltare ciò che il Signore rimprovera, per mezzo del profeta, dicendo: Quando digiunavate e piangevate, il quinto e il settimo mese, per questi settant’anni, forse facevate un digiuno per me? E quando avete mangiato e bevuto, non avete mangiato forse per voi stessi e bevuto per voi stessi? (Zac. 7, 5 s.). Infatti non si digiuna per Dio ma per sé, quando ciò che in certi tempi si sottrae al ventre, non lo si distribuisce ai bisognosi, ma lo si custodisce per offrirlo di nuovo al ventre in altri momenti. E così, affinché la golosità non faccia decadere gli uni dalla stabilità dello spirito, e la mortificazione della carne non faccia inciampare gli altri con l’orgoglio, ascoltino i golosi dalla bocca della Verità: Badate a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano nella crapula e nell’ubriachezza e nelle preoccupazioni di questo mondo (Lc. 21, 34). E quindi aggiunge a ciò l’utile timore: E sopravvenga improvviso su di voi quel giorno. Infatti sopravverrà come un laccio su tutti coloro che siedono sulla faccia di tutta la terra (Lc. 21, 35). E i temperanti ascoltino: Non ciò che entra nella bocca corrompe l’uomo, ma ciò che esce dalla bocca corrompe l’uomo (Mt. 15, 11). Ascoltino i golosi: Il cibo è per il ventre e il ventre è per i cibi: ma Dio distruggerà questi e quello (1 Cor. 6, 13). E ancora: Non in gozzoviglie e ubriachezze (Rom. 13, 13). E ancora: Il cibo non ci raccomanda a Dio (1 Cor. 8, 8). Ascoltino i temperanti: Perché tutto è puro per i puri; ma per i corrotti e gli infedeli niente è puro (Tit. 1, 15). Ascoltino i golosi: Loro dio è il ventre e la loro gloria in ciò che è la loro vergogna (Fil. 3, 19). Ascoltino i temperanti: Alcuni si allontaneranno dalla fede (1 Tim. 4, 1); e poco dopo: Alcuni proibiscono di sposarsi, vogliono che ci si astenga dai cibi, che Dio ha creato perché siano presi con rendimento di grazie dai fedeli e da coloro che hanno conosciuto la verità (1 Tim. 4, 3). Ascoltino i golosi: È bene non mangiare carne e non bere vino, né ciò, per cui il tuo fratello si scandalizza (Rom. 14, 21). Ascoltino i temperanti: Prendi un poco di vino per via dello stomaco e delle tue frequenti debolezze (1 Tim. 5, 23). Ciò perché gli uni non imparino a non desiderare disordinatamente i cibi della carne e gli altri non osino condannare ciò che essi non desiderano e tuttavia è stato creato da Dio.

20 — Come si devono ammonire coloro che distribuiscono i propri beni e coloro che rapiscono quelli altrui

Diverso è il modo di ammonire coloro che già elargiscono i propri beni con misericordia, e coloro che ancora si danno da fare per rapire i beni degli altri. I primi infatti bisogna ammonirli a non

Page 200: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

200

innalzarsi con pensiero superbo su coloro a cui elargiscono i beni terreni, e non si stimino migliori perché vedono gli altri sostenuti coi loro mezzi. Infatti il padrone di una casa terrena, nel distribuire i ruoli e i servizi dei servi, stabilisce questi a governare e quelli a essere governati dagli altri. Ordina ai primi di provvedere il necessario ai secondi, e a questi di prendere ciò che hanno ricevuto da quelli. E tuttavia spesso coloro che governano, dispiacciono al padrone di casa, e restano invece nella sua grazia coloro che sono governati. Coloro che sono dispensatori si trovano a meritare la sua ira; gli altri, che sottostanno alla distribuzione fatta dai primi, restano senza ricevere danno. Dunque, bisogna ammonire coloro che già dispensano con misericordia ciò che possiedono, a riconoscersi come posti dal Padrone celeste a dispensare aiuti temporali, e a offrirli tanto più umilmente quanto più capiscono che quel che dispensano è roba altrui. E quando considerano di essere stati costituiti nel servizio di coloro cui elargiscono i beni ricevuti, la superbia non esalti il loro animo, ma lo trattenga invece il timore. Perciò è necessario che badino con grande cura a non distribuire in modo indegno i beni che gli sono stati affidati, e a darne così a chi non devono darne, o a non darne affatto a chi devono qualcosa; a dare molto a chi devono dar poco, o a darne poco a chi devono dar molto; a disperdere inutilmente, per precipitazione, ciò che distribuiscono o a tardare a dare a chi chiede, affliggendolo così in modo colpevole. Non si insinui qui l’intenzione di ricevere gratitudine; e il desiderio di una lode passeggera non estingua lo splendore del donare. L’offerta del dono non sia accompagnata da una opprimente tristezza, ma neppure l’animo di chi offre si rallegri più del conveniente; e quando avranno compiuto tutto per bene, non attribuiscano nessun merito a se stessi così da perdere, tutto in una volta, quanto di bene hanno compiuto. Infatti, per non attribuire a sé la virtù della propria liberalità, ascoltino ciò che è scritto: Se qualcuno esercita un ufficio, lo faccia secondo la capacità che Dio gli comunica (1 Pt. 4, 11). Per non gioire smodatamente delle proprie beneficenze, ascoltino ciò che è scritto: Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili, abbiamo fatto quello che dovevamo fare (Lc. 17, 10). E perché la tristezza non guasti la liberalità, ascoltino ciò che è scritto: Dio ama chi dà con gioia (2 Cor. 9, 7). Affinché non cerchino una lode passeggera in cambio del dono, ascoltino ciò che è scritto: Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra (Mt. 6, 3), cioè: a un dono fatto con intenzione pia, non si mescoli la gloria della vita presente, e il desiderio della lode non tocchi un’azione giusta. Affinché non cerchino il contraccambio della grazia fatta, ascoltino ciò che è scritto: Quando fai un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici o i tuoi fratelli o i parenti o i vicini ricchi, perché non avvenga che essi ti ricambino l’invito e tu ne abbia il compenso; invece, quando fai un pranzo, invita i poveri, i malati, gli zoppi, i ciechi; e sarai beato perché loro non hanno da restituirti (Lc. 14, 12 ss.). E affinché non si tardi a dare ciò che va dato in fretta, ascoltino ciò che è scritto: Non dire al tuo amico: Va’ e ritorna e domani ti darò, quando puoi dare subito (Prov. 3, 28). Affinché, sotto il pretesto della liberalità, non dissipino inutilmente ciò che possiedono, ascoltino ciò che è scritto: Sudi, l’elemosina nella tua mano1. E perché non diano poco là dove è necessario molto, ascoltino ciò che è scritto: Chi semina con parsimonia, mieterà pure con parsimonia (2 Cor. 9, 6). Affinché, dove basta poco non offrano molto, e poi loro stessi, non potendo in alcun modo sopportare l’indigenza, erompano nell’impazienza, ascoltino ciò che è scritto: Non perché ci sia sollievo per gli altri e tribolazione per voi, ma perché nell’uguaglianza, la vostra abbondanza supplisca la loro indigenza, e la loro abbondanza venga a supplire la vostra indigenza (2 Cor. 8, 13-14). Infatti, quando l’animo di chi dà non sa sopportare l’indigenza, se si priva di molto cerca un’occasione di impazienza contro se stesso. Poiché prima bisogna predisporre l’animo alla pazienza e solo allora distribuire molto o anche tutto, perché non vada perduta la mercede della liberalità prestata; e la mormorazione che inoltre si aggiungerebbe non faccia perire

1 Uno dei detti del Signore di cui si ignora la fonte. Si ritrova in sant’Agostino (Enarr. in Ps. 102, 12; e in Ps. 146, 17) e in altri autori medievali.

Page 201: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

201

più gravemente l’anima per il fatto che non si riesce a sopportare in pace l’improvviso bisogno. Affinché non avvenga che non diano nulla affatto a coloro cui qualcosa, anche poco, bisogna dare, ascoltino ciò che è scritto: Da’ a chiunque ti chiede (Lc. 6, 30). Ma affinché non diano, anche poco, a chi non debbono assolutamente nulla, ascoltino ciò che è scritto: Da’ al buono e non accogliere il peccatore: fa’ il bene all’umile e non dare all’empio (Sir. 12, 5-6). E ancora: Poni il tuo pane e il tuo vino sul sepolcro del giusto, e non mangiarne né berne insieme con i peccatori (Tob. 4, 18). Infatti offre ai peccatori il suo pane e il suo vino colui che dà sussidi agli iniqui perché sono iniqui; perciò anche parecchi ricchi di questo mondo, mentre i poveri di Cristo sono afflitti dalla fame, mantengono con effusa liberalità gli istrioni. Chi invece dà il suo pane a un povero, anche peccatore, non perché è peccatore ma perché è uomo, evidentemente non mantiene un peccatore ma un povero giusto, poiché in lui non ama la colpa ma la. natura. Bisogna ammonire coloro che già distribuiscono i propri beni con misericordia, ad attendere con gran cura, mentre le elemosine redimono i peccati commessi, a non commetterne degli altri; e non stimino venale la giustizia di Dio così da pensare di poter peccare impunemente proprio mentre si preoccupano di distribuire denari per i peccati. Infatti l’anima vale più del cibo e il corpo più del vestito (Mt. 6, 25); chi allora dà cibo o vestito ai poveri, ma si macchia con l’iniquità dell’anima o del corpo, ha offerto ciò che vale di meno alla giustizia e ciò che vale di più al peccato; infatti, a Dio ha dato i suoi beni, e al diavolo se stesso. Al contrario, bisogna ammonire coloro che ancora si danno da fare per rapire i beni degli altri, ad ascoltare con sollecitudine quanto dice il Signore venendo al giudizio. Infatti dice: Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero pellegrino e non mi avete accolto, nudo e non mi avete coperto, infermo e in carcere e non mi avete visitato (Mt. 25, 42-43). E ad essi, subito prima dice: Allontanatevi da me, maledetti, nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli (Mt. 25, 41). Ecco, quelli non ascoltano affatto questa sentenza perché abbiano commesso rapine e ogni genere di violenze, ma tuttavia vengono abbandonati al fuoco dell’eterna geenna. Da ciò bisogna dedurre quanto sarà grande la pena che colpirà coloro che rapiscono i beni altrui, se vengono colpiti con una punizione tanto grande coloro che semplicemente conservano troppo gelosamente i propri. Valutino con quale peccato li avvince il bene rapito se quello che non è stato semplicemente partecipato sottopone a una tale pena. Valutino che cosa meriti una ingiustizia inferta, se è degno di così grande castigo l’avere mancato di offrire pietà. Quando si propongono di rubare i beni altrui, ascoltino ciò che è scritto: Guai a colui che moltiplica i beni non propri: fino a quando accumula contro di sé denso fango? (Ab. 2, 6). Per un avaro, cioè, accumulare il peso di denso fango significa accumulare guadagni terrestri col peso del peccato. Quando bramano di dilatare sempre più l’ampiezza della loro abitazione, ascoltino ciò che è scritto: Guai a voi che aggiungete casa a casa e unite campi a campi fino ai confini del paese. Forse abitate solo voi in mezzo alla terra? (Is. 5, 8). Come se dicesse apertamente: Fin dove volete estendervi, voi che, in questo mondo che è di tutti, non potete avere altri partecipi della vostra fortuna? In effetti voi opprimete i vostri vicini, ma trovate sempre contro chi farvi valere per estendervi. Quando anelano ad aumentare il loro denaro, ascoltino ciò che è scritto: L’avaro non si riempie col denaro e chi ama le ricchezze non trarrà frutto da esse (Qo. 5, 9). Certo ne trarrebbe frutto se volesse distribuirle bene senza amarle, ma chi le conserva con amore le abbandonerà assolutamente senza frutto. Quando ardono di riempirsi di tutte le ricchezze insieme, ascoltino ciò che è scritto: Chi ha fretta di arricchirsi non sarà senza colpa (Prov. 28, 20); infatti è certo, che chi aspira ad aumentare le sue ricchezze, trascura di evitare il peccato e, catturato come un uccello, mentre fissa avidamente l’esca di beni terreni, non si accorge da quale laccio di peccato resta strangolato. Quando desiderano guadagni di qualsiasi genere, del mondo presente, e ignorano i danni che dovranno patire in quello futuro, ascoltino ciò che è scritto: L’eredità per la quale ci si affretta in principio, alla fine non avrà benedizione (Prov. 20, 21). Cioè,

Page 202: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

202

da questa vita noi traiamo inizio per giungere a ottenere benedizione alla fine; pertanto, chi ha fretta di ereditare in principio, taglia via da sé la sorte della benedizione alla fine. Poiché, mentre per il peccato di avarizia bramano di moltiplicare qui i loro beni, là resteranno diseredati del patrimonio eterno. Quando o ambiscono a molti beni o possono raggiungere tutto quanto hanno ambito, ascoltino ciò che è scritto: Che cosa giova all’uomo se guadagna tutto il mondo ma reca danno alla sua anima? (Mt. 16, 26). È come se la Verità dicesse apertamente: Che cosa giova all’uomo raccogliere tutto quello che esiste fuori di lui, se danna questa sola cosa che è lui stesso? Tuttavia spesso si corregge più rapidamente l’avarizia degli uomini rapaci, se nelle parole di chi li ammonisce si dimostra quanto sia fugace la vita presente; se si richiama la memoria di coloro che a lungo hanno cercato di arricchire in questa vita e tuttavia non poterono restare a lungo a godere delle ricchezze ottenute, poiché la morte improvvisa, di colpo e tutto in una volta, ha portato via tutto ciò che, non di colpo né tutto in una volta, la loro iniquità aveva messo insieme; ed essi non solamente lasciarono qui le ricchezze rubate, ma condussero con sé, al giudizio, le accuse di rapina. Ascoltino dunque gli esempi offerti da costoro, che senza dubbio loro stessi condannano a parole, affinché quando queste parole di condanna rientrano nel loro cuore, arrossiscano almeno di imitare coloro che giudicano.

21 — Come bisogna ammonire coloro che non bramano i beni altrui, ma si tengono i propri e coloro che pur distribuendo i propri, rapiscono tuttavia quelli degli altri

Diverso è il modo di ammonire coloro che né bramano i beni altrui né elargiscono i propri; e coloro che distribuiscono i beni che hanno e tuttavia non desistono di rapire quelli altrui. Bisogna ammonire coloro che né bramano i beni altrui né elargiscono i propri, a sapere che quella terra dalla quale sono stati presi è comune a tutti gli uomini e perciò produce anche i mezzi di sopravvivenza a tutti allo stesso modo. Pertanto vanamente si considerano innocenti coloro che rivendicano ad uso privato il dono comune di Dio; i quali, quando non distribuiscono ciò che hanno ricevuto, operano in qualche modo l’assassinio del prossimo; perché quasi ogni giorno ne uccidono tanti, quanti sono i poveri che muoiono mentre essi nascondono presso di sé quegli aiuti che erano loro. Infatti, quando distribuiamo agli indigenti qualunque cosa, non elargiamo roba nostra ma restituiamo loro ciò che ad essi appartiene; e assolviamo piuttosto a un debito di giustizia più che compiere opere di misericordia. Perciò la Verità stessa parlando di nome non bisogna ostentare la misericordia, dice: Badate di non fare la vostra giustizia davanti agli uomini (Mt. 6, 1). E a ciò si accorda pure il salmista che dice: Disperse, diede ai poveri, la sua giustizia rimane in eterno (Sal. 111, 9). Infatti, dopo avere nominato la liberalità esercitata verso i poveri, preferisce chiamarla giustizia e non misericordia, poiché è certamente giusto che quanto viene distribuito dal comune Signore, chiunque ne riceve lo usi a vantaggio comune. Perciò anche Salomone dice: Chi è giusto darà e non cesserà (Prov. 21, 26). Bisogna anche ammonirli a stare molto attenti che l’agricoltore esigente si lamenta contro il fico che non dà frutto perché, oltre a ciò, tiene occupato il terreno. Il fico, cioè, tiene il terreno occupato senza frutto quando l’animo degli avari conserva inutilmente ciò che avrebbe potuto giovare a molti. Il fico occupa senza frutto il terreno quando lo stolto opprime con l’ombra della pigrizia un luogo che un altro sarebbe stato in grado di sfruttare col sole delle buone opere. Costoro tuttavia spesso sogliono dire: Usiamo ciò che ci è stato dato e non cerchiamo la roba d’altri, e se non agiamo in modo degno di una ricompensa di misericordia, tuttavia non commettiamo nulla di male. E pensano così perché evidentemente chiudono l’orecchio del cuore alle parole celesti; infatti neppure il ricco dell’Evangelo, che vestiva di porpora e di bisso e banchettava splendidamente ogni giorno (cf. Lc. 16, 19 ss.), aveva rapito i beni altrui, ma è dimostrato che egli aveva usato dei propri senza frutto; e dopo questa vita lo accolse la geenna vendicatrice, non perché

Page 203: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

203

aveva compiuto qualcosa di illecito, ma perché si era dato tutto alle cose lecite con uso smodato. Bisogna ammonire questi avari a rendersi conto che la prima offesa la fanno a Dio, poiché a colui che dà loro tutto, essi non rendono alcun sacrificio di misericordia. Perciò il salmista dice: Non darà a Dio la sua espiazione né il prezzo del riscatto della sua anima (Sal. 48, 8-9). Infatti dare il prezzo del riscatto è rendere una buona opera alla grazia che ci previene. Perciò Giovanni esclama: La scure è ormai alla radice dell’albero. Ogni albero che non fa buon frutto sarà tagliato e gettato nel fuoco (Lc. 3, 9). Dunque, coloro che si giudicano innocenti perché non rubano i beni altrui, faranno bene a prevedere il colpo della scure vicina e a rigettare il torpore di una improvvida sicurezza, affinché, mentre trascurano di portare il frutto di buone opere, non vengano tagliati via del tutto dalla presente vita, come da una rigogliosa radice. Al contrario, bisogna ammonire coloro che distribuiscono ciò che hanno e poi non cessano di rapire i beni altrui, a non aspirare di apparire sommamente munifici e così divenire peggiori sotto l’apparenza del bene. Costoro infatti, distribuendo senza discrezione i propri beni, non solo, come abbiamo già detto, cadono nella mormorazione dell’impazienza, ma poi, costretti dal bisogno, ripiegano fino all’avarizia. Che cosa c’è dunque di più infelice dell’animo di coloro per i quali l’avarizia nasce dalla liberalità e la messe dei peccati è come avesse il suo seme nella virtù? Così bisogna innanzi tutto ammonirli a sapere conservare con raziocinio i propri beni e quindi a non ambire a quelli degli altri; se infatti la colpa non viene bruciata alla radice proprio nel suo stesso espandersi, la spina dell’avarizia, diffondendosi per i rami, non si secca mai. Pertanto si toglie l’occasione di rubare, se in precedenza si stabiliscono con chiarezza i limiti del diritto di possedere. Allora solo, coloro che sono stati così ammoniti, ascoltino in che modo devono distribuire, secondo misericordia, ciò che possiedono; cioè, quando avranno imparato a non mescolare il bene della misericordia con la malizia del furto, giacché essi ricercano poi, con la violenza, ciò che hanno elargito con la misericordia. Ma altra cosa è fare misericordia per i peccati e altra peccare per fare misericordia; che, fra l’altro, non si può nemmeno più chiamare misericordia, poiché non può dare dolce frutto l’albero che diviene amaro per il veleno di una radice pestifera. È perciò, infatti, che per mezzo del profeta il Signore rimprovera gli stessi sacrifici dicendo: Io, il Signore, che ama la giustizia e odia la rapina nel sacrificio (Is. 61, 8). Perciò ancora disse: Abominevoli sono i sacrifici degli empi, che vengono offerti dal delitto (Prov. 21, 27). Poiché essi spesso sottraggono anche ai poveri ciò che offrono a Dio. Ma con quanto biasimo li rifiuti, il Signore lo dimostra dicendo, per mezzo di un sapiente: Chi offre un sacrificio con le sostanze dei poveri è come uno che immola un figlio alla vista di suo padre (Sir. 34, 24). Infatti, che cosa può esserci di pila insopportabile che la morte del figlio davanti agli occhi del padre? Si manifesta così con quanta ira sia riguardato questo sacrificio che viene paragonato al dolore di un padre privato del figlio. E tuttavia spesso pesano quel che danno, ma omettono di considerare quel che rubano. Contano quel che danno come fosse una paga, ma rifiutano di pesare attentamente le colpe. Ascoltino pertanto ciò che è scritto: Chi ha raccolto le paghe le ha messe in un sacchetto bucato (Ag. 1, 6), poiché si vede, quando si mette il denaro in un sacchetto bucato, ma non si vede quando lo si perde. Pertanto, coloro che guardano a quanto elargiscono, ma non considerano quanto rapiscono, mettono le paghe in un sacchetto bucato, perché certamente le accumulano guardando alla speranza di ricompensa cui si affidano; ma senza guardare le perdono.

22 — Come bisogna ammonire i litigiosi e i pacifici

Diverso è il modo di ammonire i litigiosi e i pacifici. Infatti, i litigiosi bisogna ammonirli a sapere con assoluta certezza che, per quanto grandi siano le virtù di cui abbondano, non di meno non possono diventare spirituali, se trascurano di restare uniti al prossimo nella concordia. Poiché è scritto: Frutto, poi, dello spirito è carità, gioia, pace (Gal. 5, 22). Dunque, chi non ha cura di

Page 204: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

204

conservare la pace, rifiuta di portare il frutto dello spirito. Perciò Paolo dice: Dal momento che ci sono fra voi gelosie e contese, non siete carnali? (1 Cor. 3, 3). Perciò di nuovo dice pure: Cercate la pace con tutti e una vita santa senza la quale nessuno vedrà Dio (Ebr. 12, 14). Perciò ancora ammonisce dicendo: Solleciti a conservare l’unità dello spirito: nel vincolo della pace: un solo corpo e un solo spirito, come siete stati chiamati ad una sola speranza della vostra chiamata (Ef. 4, 3-4). Dunque, non si giunge all’unica speranza della chiamata se non si corre verso di essa con l’animo unito al prossimo. Ma spesso ci sono alcuni che, quanto più sono i doni particolari che ricevono, tanto più insuperbiscono perdendo il dono più grande che è quello della concordia; come sarebbe uno che soggioga la propria carne più degli altri, frenando la gola, e trascuri di andare d’accordo con coloro a cui è superiore nell’astinenza. Ma chi separa l’astinenza dalla concordia, consideri ciò che dice il salmista: Lodatelo col timpano e il coro (Sal. 150, 4). Infatti il timpano suona per la percussione di una pelle secca, invece nel coro le voci concordano tutte insieme; e così chi affligge il corpo ma abbandona la concordia, loda certo Dio col timpano, ma non lo loda col coro. Spesso, poi, una maggiore scienza, mentre innalza certuni, li divide dalla comunione con gli altri, e in un certo senso, quanto più sanno, tanto più diventano incapaci della virtù della concordia.Dunque, costoro ascoltino che cosa dice la Verità in persona: Abbiate sale in voi e abbiate pace tra voi (Mc. 9, 49). La sapienza, cioè, non è un dono di virtù, ma causa di condanna. Infatti, quanto più uno è sapiente, tanto più gravemente pecca, e perciò meriterà il supplizio senza possibilità di scusa, perché, se avesse voluto, con la sua prudenza avrebbe potuto evitare il peccato. A costoro è detto giustamente per mezzo di Giacomo: Che se avete zelo amaro e ci sono contese nel vostro cuore, non gloriatevi e non dite menzogne contro la verità. Questa non è sapienza che scende dall’alto, ma è sapienza terrena, animale, diabolica. Invece, la sapienza che è dall’alto, innanzitutto è pudica, quindi pacifica (Giac. 3, 14-15.17). Pudica, cioè, perché è casta nell’intendere, e pacifica perché non si separa affatto con l’esaltazione dalla comunione col prossimo. Bisogna ammonire i litigiosi a conoscere che non immolano alcun sacrificio di opere buone a Dio, per tutto il tempo in cui non concordano nella carità col prossimo. Infatti, è scritto: Se mentre offri il tuo dono all’altare ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia là il tuo dono e va’ prima a riconciliarti col tuo fratello e poi vieni a offrire il tuo dono (Mt. 5, 23-24). Da questo precetto, bisogna considerare di chi sia la offerta che viene respinta e quanto sia intollerabile la colpa che viene così indicata. Infatti, se tutti i peccati vengono cancellati per il bene compiuto in seguito, consideriamo quanto sia grande il peccato della discordia, che se non viene distrutto radicalmente non permette al bene di seguirlo. Bisogna ammonire i litigiosi, se distolgono gli orecchi dai precetti celesti, ad aprire gli occhi del cuore a considerare come si comportano le creature degli ordini più bassi; come gli uccelli di una stessa specie, volando tutti insieme non si lasciano, gli uni con gli altri; e come gli animali, che pure sono senza intelligenza, pascolano a gruppi. Poiché, se guardiamo con attenzione, la natura irrazionale nell’accordo con se stessa indica quanto sia grande il peccato che la natura razionale commette con la discordia; poiché questa, con l’applicazione della ragione, ha perduto ciò che quella custodisce per istinto naturale. Bisogna, al contrario, ammonire i pacifici, a non amare più del necessario la pace che possiedono, così da non aspirare a raggiungere quella eterna. Spesso infatti la tranquillità esteriore tenta più gravemente l’attenzione degli animi così che quanto meno moleste sono le condizioni in cui essi si trovano, tanto meno amabili divengono quelle cui sono chiamati; e quanto più dilettano le presenti, tanto meno si ricercano le eterne. Per cui, la Verità stessa, distinguendo la pace terrena da quella celeste e volendo eccitare i discepoli, dalla pace presente a quella eterna, dice: Lascio a voi la pace, vi do la mia pace (Gv. 14, 27). Lascio, cioè, la pace transitoria e do quella durevole. Se dunque il cuore si fissa in quella pace che è stata lasciata, non perviene mai a quella che deve essere data. Pertanto bisogna conservare la pace presente in modo da amarla e insieme disprezzarla, affinché, se la si ama smodatamente, l’animo dell’amante

Page 205: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

205

non sia colto in peccato. Perciò bisogna anche ammonire i pacifici, a non rinunciare a rimproverare i cattivi costumi degli uomini, per un eccessivo desiderio di assicurarsi una pace umana, così che, consentendo ai peccatori, non si distacchino dalla pace del loro Creatore; e mentre temono all’esterno gli improperi degli uomini, non siano colpiti dalla rottura dell’alleanza interiore. Che cos’è infatti una pace passeggera se non un’impronta della pace eterna? Che cosa ci può essere di più stolto che amare delle impronte sulla polvere e non amare la persona che ve le ha impresse? Perciò David, stringendosi tutto alla alleanza della pace interiore, afferma di non conservare la concordia coi malvagi dicendo: Non odio forse, Dio, quelli che ti odiano, e non mi struggo sopra i tuoi nemici? Li odio di un odio perfetto, sono divenuti miei nemici (Sal. 138, 21-22). Infatti, odiare i nemici di Dio con odio perfetto significa amare che essi esistano e rimproverare ciò che essi fanno; perseguire i costumi dei cattivi e giovare alla loro vita. Bisogna dunque considerare con quanta colpa si conserva la pace coi malvagi, se ci si acquieta nella rinuncia a riprenderli, dal momento che un profeta così grande offre come un sacrificio a Dio il fatto di avere eccitato contro di sé, per Dio, l’inimicizia degli empi. Perciò si dice che la tribù di Levi, impugnate le spade, percorrendo tutto l’accampamento, poiché non volle risparmiare i peccatori che meritavano di essere colpiti, consacrò la mano di Dio (cf. Es. 32, 27 ss.). Perciò Finees, disprezzando il favore di uomini peccatori, colpi coloro che si univano con le madianite e con la sua ira placò l’ira del Signore (cf. Num. 25, 9). Perciò la Verità stessa dice: Non pensate che sia venuto a portare la pace sulla terra. Non sono venuto a portare la pace ma la spada (Mt. 10, 34). Infatti, quando incautamente stringiamo amicizia coi malvagi, ci leghiamo alle loro colpe. Perciò Giosafat che è esaltato con tanti elogi riguardo alla sua vita passata, quasi in punto di morte viene rimproverato per la sua amicizia col re Achab; a lui infatti è detto dal Signore, per mezzo del profeta: Hai portato aiuto all’empio e ti sei unito, per l’amicizia, con coloro che odiano il Signore; perciò meriteresti l’ira del Signore, ma in te sono state trovate opere buone perché hai tolto i boschi sacri dalla terra di Giuda (2 Cr. 19, 2-3). Quanto più la nostra vita concorda per l’amicizia coi perversi tanto phi, solo per questo, essa si distingue ormai da colui che è sommamente giusto. Bisogna ammonire i pacifici di non temere di turbare la propria pace temporale, se ricorrono a parole di correzione. E ancora bisogna ammonirli a conservare interiormente con intatto amore la medesima pace che esteriormente si turba per la voce alzata nell’invettiva. David mostra di avere saggiamente conservato ambedue quando dice: Con coloro che odiano la pace ero pacifico, quando parlavo con loro mi facevano guerra senza motivo (Sal. 119, 7). Ecco, quando parlava gli facevano guerra; e tuttavia anche così era pacifico, perché né cessava di rimproverare coloro che infuriavano né tralasciava di amare coloro che rimproverava. Perciò anche Paolo dice: Se è possibile, per quanto sta in voi, abbiate pace con tutti gli uomini (Rom. 12, 18). Volendo esortare i discepoli ad avere pace con tutti, premise: Se è possibile, e aggiunse: per quanto sta in voi. Poiché era difficile che potessero essere in pace con tutti se avessero dovuto rimproverare delle cattive azioni. Ma quando, per il nostro rimprovero, la pace esteriore resta turbata nei cuori dei malvagi, è necessario che essa si conservi inviolata nel nostro cuore. Perciò dice giustamente: per quanto sta in voi, come se dicesse: Poiché la pace consiste nel consenso di due parti, se essa viene cacciata da coloro che sono rimproverati, sia conservata tuttavia integra nel cuore di voi che rimproverate. Perciò lo stesso, di nuovo, ammonisce i discepoli dicendo: Se qualcuno non ubbidisce a quanto diciamo con questa lettera, notatelo, e non mescolatevi con lui, affinché resti confuso (2 Tess. 3, 14). E subito aggiunge: E non consideratelo come nemico ma correggetelo come un fratello (2 Tess. 3, 15); come se dicesse: Sciogliete la pace esterna con lui, ma quella interiore riguardo a lui custoditela nel fondo del cuore, affinché il vostro dissenso ferisca il cuore del peccatore in modo che, tuttavia, non si allontani dai vostri cuori la pace che non avrete rinnegato.

Page 206: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

206

23 — Come si devono ammonire i seminatori di discordie e gli operatori di pace

Diverso è il modo di ammonire i seminatori di discordie e gli operatori di pace. I primi bisogna ammonirli a riconoscere di chi sono seguaci, poiché è dell’angelo apostata che sta scritto, quando fu seminata la zizzania tra il buon seme: Un nemico ha fatto questo (Mt. 13, 28). E di un suo membro è anche detto, per mezzo di Salomone: L’apostata, uomo inutile, avanza con volto maligno, fa cenno con gli occhi, stropiccia col piede, parla col dito, con cuore malvagio concepisce il male, e in ogni tempo semina discordie (Prov. 6, 12). Ecco, chiama prima apostata colui che vuole chiamare seminatore di discordie, perché, se per la perversione del cuore non fosse caduto prima, interiormente, dal cospetto del Creatore — allo stesso modo dell’angelo insuperbito — non sarebbe poi uscito a seminare discordie all’esterno, lui che bene viene descritto come chi fa cenno con gli occhi, parla con le dita e stropiccia col piede. Poiché è all’interno, la custodia che conserva l’ordinato comportamento esterno delle membra. Ma chi ha perduto l’equilibrio dell’animo si abbandona, al di fuori, a movimenti scomposti, e con la mobilità esteriore indica come nessuna radice lo tenga saldo interiormente. Ascoltino i seminatori di discordie ciò che è scritto: Beati gli operatori di pace poiché saranno chiamati figli di Dio (Mt. 5, 9), e traggano da ciò, inversamente, la conclusione che, se saranno chiamati figli di Dio coloro che operano la pace, sono senza dubbio figli di Satana coloro che la turbano. Ma tutti coloro che, a causa della discordia, si separano dalla pianta verde dell’amore, inaridiscono. E quantunque essi producano frutti di buone opere nelle loro azioni, questi non valgono assolutamente nulla perché non nascono dall’unità della carità. Perciò considerino, i seminatori di discordie, in quanti molteplici modi peccano, loro che, nel commettere una sola azione malvagia, di fatto sradicano dai cuori umani tutte insieme le virtù. Ma poiché nulla è più prezioso per Dio della virtù dell’amore, niente è più desiderabile dal diavolo che la distruzione della carità. Dunque, chiunque seminando discordie uccide l’amore del prossimo, serve come familiare al nemico di Dio perché, sottraendo ai cuori feriti la virtù, per la cui perdita egli cadde, taglia ad essi la via dell’ascesi spirituale. Al contrario, bisogna ammonire gli operatori di pace a non trarre con leggerezza il peso di un’azione così importante, quando non conoscano le persone tra cui debbono stabilire la pace. Infatti, come è molto dannoso che non ci sia pace tra i buoni, cos’ è dannosissimo che ci sia pace tra i cattivi. Pertanto, se la malizia dei malvagi li unisce nella pace, certo la loro forza si accresce di cattive azioni, perché quanto più concordano nel male tanto più vigorosamente si buttano ad affliggere i buoni. Perciò infatti la voce divina parlando contro gli strumenti di quel dannato, cioè contro i predicatori dell’Anticristo, dice al beato Giobbe: Le membra della sua carne congiunte fra loro (Giob. 41, 14). Perciò dei suoi satelliti si dice, sotto l’immagine delle squame: Una si congiunge all’altra e neppure un soffio passa fra di esse (Giob. 41, 7). Poiché i seguaci di quello, quanto meno sono divisi tra di loro dall’ostilità, frutto della discordia, tanto più gravemente si uniscono per la strage dei buoni. Dunque, colui che unisce gli iniqui, facendo pace fra loro, dispensa forze all’iniquità, poiché perseguitando i buoni unanimemente, li affliggono ancor peggio. Perciò l’egregio predicatore, prigioniero per la grave persecuzione di Farisei e Sadducei, vedendoli pericolosamente uniti contro di sé, curò di dividerli fra di loro, quando gridò dicendo: Fratelli, io sono Fariseo figlio di Farisei e vengo giudicato riguardo alla speranza nella risurrezione dei morti (Atti, 23, 6). E poiché i Sadducei negavano la risurrezione dei morti e la speranza in essa, mentre i Farisei ci credevano, secondo i precetti della parola divina, si creò una divisione nell’unanimità dei persecutori, e per questa Paolo usci illeso da quella turba che prima, unita, lo aveva ferocemente stretto. Pertanto bisogna ammonire coloro che si applicano a ristabilire la pace, ad infondere innanzitutto nei cuori dei malvagi l’amore della pace interiore, perché poi la pace esteriore possa giovare a loro, così che il riceverla, mentre il loro cuore è intento alla esperienza della pace intima, valga a non trascinarli al male; e mentre guardano avanti, verso la

Page 207: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

207

pace celeste non si servano in alcun modo di quella terrena per divenire peggiori. Ma quando i malvagi sono tali che non sono capaci di nuocere ai buoni, anche se lo desiderano, è certo che tra costoro occorre stabilire la pace terrena anche prima che essi siano in grado di conoscere quella celeste, affinché coloro che la malizia della propria empietà esaspera contro l’amore di Dio, divengano mansueti almeno per l’amore del prossimo; e passino, come partendo da ciò che è vicino, a qualcosa di migliore, cioè ascendano a quella pace del Creatore che è loro lontana.

24 — Come si devono ammonire gli ignoranti nella dottrina sacra e i dotti che però non sono umili

Diverso è il modo di ammonire coloro che non intendono rettamente le parole della legge sacra e coloro che certo le intendono rettamente ma non ne parlano umilmente. I primi vanno ammoniti a considerare che essi mutano, per sé, un sanissimo bicchiere di vino in un bicchiere di veleno, e con un ferro da chirurgo, si feriscono con una ferita mortale, quando con esso uccidono ciò che in loro è sano, mentre avrebbero dovuto tagliare ciò che è malato. Bisogna ammonirli a considerare come la Sacra Scrittura sia per noi quale lampada posta nella notte della vita presente (cf. Sal. 118, 105), ma se essi non intendono rettamente le sue parole è come se quelle si oscurassero perdendo la loro luce. Certo non sarebbe un errore intenzionale a trascinarli a una comprensione distorta, se prima non li avesse gonfiati la superbia. Infatti, considerandosi più sapienti degli altri, rifiutano con disprezzo di seguirli sulla via di una migliore comprensione, e per estorcere, all’autorità dell’opinione del volgo, il nome di scienza per il proprio insegnamento, si danno un gran daffare a demolire le rette interpretazioni di altri e a rafforzare i propri errori.Perciò giustamente si dice per mezzo del profeta: Sventrarono le donne incinte in Galaad per allargare i loro territori (Am. 1, 13). Infatti con Galaad si intende il «cumulo della testimonianza», e poiché tutta insieme, la congregazione della Chiesa, attraverso la confessione [dei suoi membri], serve alla testimonianza della verità, non è senza senso che per Galaad si intenda la Chiesa che, per bocca di tutti i fedeli, attesta ciò che è vero riguardo a Dio. Per donne incinte si intendono le anime che in virtù dell’amore divino, concepiscono la comprensione della Parola e giungono al compimento del tempo sono pronte a partorire, con la manifestazione delle opere, quella comprensione che avevano concepita. E dilatare il proprio territorio significa estendere la fama della propria opinione. Dunque, sventrarono le donne incinte in Galaad per allargare il proprio territorio, poiché evidentemente gli eretici uccidono, con una predicazione perversa, i cuori dei fedeli che già avevano concepito una qualche comprensione della verità, e diffondono la fama di una loro scienza. Con la spada dell’errore squarciano i cuori dei piccoli, già gravidi della concezione della Parola, e creano, per il proprio errore, la opinione di dottrina. Dunque, quando ci sforziamo di istruire costoro perché non errino col pensiero, è necessario che prima li ammoniamo a non cercare una gloria vana. Infatti, se si strappa la radice dell’esaltazione, di conseguenza i rami della dottrina depravata inaridiscono. Bisogna ammonirli anche che, col generare errori e discordie, non mutino in sacrificio a Satana proprio quella legge di Dio data precisamente per impedire sacrifici a Satana. Perciò attraverso il profeta il Signore si lamenta dicendo: Ho dato loro frumento, vino e olio, e per loro ho moltiplicato argento e oro che hanno usato per Baal (Os. 2, 8).Dunque, riceviamo frumento dal Signore quando in espressioni oscure, tolta la copertura della lettera, attraverso il midollo dello spirito, cogliamo l’intimo della legge. Il Signore poi ci offre il suo vino quando ci inebria con l’alta predicazione della sua Scrittura. E ci dà pure il suo olio quando, con precetti più aperti, dispone con dolce leggerezza la nostra vita. Moltiplica l’argento, quando ci amministra parole piene della luce della verità. E ci arricchisce pure d’oro quando irraggia il nostro cuore con la percezione del sommo fulgore. Tutte queste cose gli eretici le offrono a Baal, poiché, con la comprensione corrotta, pervertono ogni cosa nei cuori dei loro ascoltatori. E col frumento di

Page 208: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

208

Dio, col vino e l’olio e ugualmente l’argento e l’oro, immolano un sacrificio a Satana, poiché piegano parole di pace all’errore che genera discordia. Perciò bisogna ammonirli a considerare che quando, con animo perverso, creano discordia, per giusto giudizio di Dio, sono loro stessi a morire uccisi da parole di vita. Al contrario, bisogna ammonire coloro che intendono, certo rettamente, le parole della legge, ma non ne parlano umilmente, ad esaminare se stessi alla luce dei discorsi sacri, prima di proporli agli altri, perché non accada che nel perseguire le azioni altrui, trascurino se stessi; e mentre intendono rettamente ogni cosa della Sacra Scrittura non tralascino di fare attenzione solamente a ciò che in essa si dice contro coloro che si esaltano. Poiché è disonesto e ignorante, il medico che desidera curare la ferita altrui e ignora quella di cui egli stesso soffre. Pertanto, coloro che non predicano umilmente le parole di Dio, bisogna certamente ammonirli — quando si applicano a medicare i malati — a esaminare anzitutto il veleno della peste che portano addosso, affinché mentre curano gli altri non muoiano loro. Bisogna ammonirli a considerare che lo spirito con cui parlano non contrasti con la santità della Parola, e non accada che nella loro predicazione dicano una cosa e ne mostrino un’altra. Ascoltino dunque ciò che è scritto: Se uno parla, siano come discorsi di Dio (1 Pt. 4,11). Pertanto perché coloro che pronunciano parole che non sono loro proprie, se ne vantano come se fossero loro? Ascoltino ciò che sta scritto: Parliamo come da Dio, di fronte a Dio, in Cristo (2 Cor. 2, 17). Infatti parla da Dio, di fronte a Dio, colui che capisce di avere ricevuto da Dio la parola della predicazione e cerca, con essa, di piacere a Dio e non agli uomini. Ascoltino ciò che è scritto: È abominazione del Signore ogni arrogante (Prov. 16, 5). Poiché, evidentemente, mentre cerca la propria gloria nella parola di Dio, usurpa il diritto di colui che la dà, e non teme di posporre alla lode di sé colui dal quale ha ricevuto proprio ciò che viene lodato. Ascoltino ciò che viene detto al predicatore per mezzo di Salomone: Bevi l’acqua della tua cisterna e quella che sgorga dal tuo pozzo; le tue sorgenti scorrano al di fuori e dividi le acque nelle piazze. Abbile tu solo e non vi siano stranieri partecipi con te (Prov. 5, 15-17). Dunque, il predicatore beve acqua dalla sua cisterna, quando rientrando nel suo cuore ascolta, lui per primo, ciò che dice. Beve l’acqua che scorre dal suo pozzo, se viene irrigato dalla sua parola. Ed è ben detto ciò che si aggiunge: Le tue sorgenti scorrano al di fuori e dividi le acque nelle piazze (Prov. 5, 16); poiché è giusto che beva lui, prima, e poi predicando faccia rifluire sugli altri. Infatti, fare scorrere le fonti al di fuori significa infondere esteriormente agli altri la forza della predicazione. Dividere poi le acque nelle piazze corrisponde a dispensare il divino discorso ad un grande numero di ascoltatori a seconda della qualità di ciascuno. E poiché per lo più, mentre la parola di Dio si diffonde e giunge a conoscenza di molti, si insinua il desiderio di una gloria vana, dopo che è stato detto: Dividi le acque sulle piazze, giustamente si soggiunge: abbila tu solo e non vi siano stranieri partecipi con te. Chiama cioè stranieri gli spiriti maligni dei quali, per mezzo del profeta si dice, con la voce di un uomo nella tentazione: Stranieri sono insorti contro di me e dei forti hanno cercato la mia vita (Sal. 53, 5). Dice dunque: Dividi le acque nelle piazze e tuttavia abbile tu solo; come se dicesse apertamente: È necessario che tu serva esteriormente la predicazione in modo da non unirti, attraverso l’esaltazione, agli spiriti iniqui e da non ammettere, nel ministero della parola divina, i tuoi nemici coane tuoi partecipi. Pertanto, dividiamo l’acqua nelle piazze e tuttavia la possediamo da soli, quando esteriormente diffondiamo ampiamente la predicazione e tuttavia non aspiriamo affatto ad ottenere la lode degli uomini attraverso di essa.

25 — Come bisogna ammonire coloro che rifiutano l’ufficio della predicazione per eccessiva umiltà e coloro che se ne impadroniscono con fretta precipitosa

Diverso è il modo di ammonire coloro che, pur essendo in grado di predicare degnamente, temono di farlo per eccessiva umiltà, e quelli a cui sarebbe proibito da qualche difetto o dall’età e tuttavia

Page 209: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

209

l’irruenza li spinge a farlo. Infatti, coloro che potrebbero predicare utilmente ma ne rifuggono per umiltà eccessiva bisogna ammonirli, a dedurre da esempi di minor conto, l’entità di quel che essi trascurano affatto in cose di maggior conto. Se infatti essi nascondessero, a dei prossimi bisognosi, del denaro in loro possesso, ne faciliterebbero senz’altro la rovina. Vedano allora con quale colpa si legano, dal momento che, sottraendo a dei fratelli peccatori la parola della predicazione, nascondono medicine di vita ad anime che stanno morendo. Perciò dice bene un sapiente: Sapienza nascosta e tesoro non visto, quale utilità in ambedue? (Sir. 20, 32). Se la fame sfinisse la popolazione ed essi custodissero nascosto del frumento, sarebbero senza dubbio autori di morte. Considerino dunque con che pena meritano di essere colpiti loro, che, mentre le anime muoiono di fame della Parola, non distribuiscono il pane della grazia ricevuta. Perciò bene è detto per mezzo di Salomone: Chi nasconde il grano sarà maledetto tra i popoli (Prov. 11, 26); poiché nascondere il grano significa trattenere presso di sé le parole della predicazione santa. Una tale persona viene maledetta tra i popoli perché per la ‘sola colpa del silenzio, viene condannata in proporzione a quella che sarà la pena di molti, che avrebbe potuto correggere.Se ci fosse chi conosce bene l’arte medica e vedesse una ferita da incidere e tuttavia ricusasse di farlo, peccherebbe certamente come responsabile della morte del fratello solo per pigrizia. Vedano dunque quanto sia grande la colpa in cui si avvolgono, coloro che mentre riconoscono le ferite dei cuori trascurano di curarle col taglio delle parole. Perciò è anche ben detto per mezzo del profeta: Maledetto chi tiene lontano la sua spada dal sangue (Ger. 48, 10), poiché tener lontano la spada dal sangue corrisponde a trattenere la parola della predicazione dall’uccidere la vita carnale. E di questa spada di nuovo è detto: E la mia spada mangerà le carni (Deut. 32, 42). Costoro dunque, quando nascondono presso chi sé la parola della predicazione, ascoltino con terrore le divine. sentenze pronunciate contro di loro. Ascoltino che colui, il quale non volle commerciare il talento, lo perdette insieme con la sentenza di condanna (cf. Mt. 25, 24 ss.). Ascoltino come Paolo tanto più si considerò puro del sangue dei suoi prossimi, quanto più non li risparmiò dal colpire i loro vizi dicendo: Affermo davanti a voi, oggi, che sono puro del sangue di tutti: infatti non mi sottrassi dall’annunziarvi ogni consigliò di Dio (Atti, 20, 26-27). Ascoltino ciò che Giovanni ammonisce con voce angelica, quando è detto: Chi ascolta dica: Vieni (Ap. 22, 17); certo, perché colui nel quale si insinua una voce interiore chiami altri e trascini là, dove egli stesso è rapito, affinché non trovi le porte chiuse, nonostante sia stato invitato, se si avvicina a mani vuote a colui che lo chiama. Ascoltino Isaia, il quale, poiché aveva taciuto dal ministero della parola, illuminato dalla luce celeste, con grande voce di pentimento, rimprovera se stesso dicendo: Guai a me, perché ho taciuto (Is. 5, 5). Ascoltino ciò che è promesso per mezzo di Salomone, cioè che sarà moltiplicata la scienza della predicazione in colui che avendola già ottenuta non si trattiene da essa per il vizio della indolenza. Dice infatti: L’anima che benedice sarà impinguata e chi inebria è lui pure inebriato (Prov. 11, 25). Infatti, chi benedice esteriormente predicando, accoglie la pinguedine della crescita interiore; e mentre non cessa di inebriare l’animo degli ascoltatori col vino della Parola, cresce a sua volta inebriato dalla bevanda del dono così moltiplicato. Ascoltino ciò che David offri in dono a Dio, poiché non nascose la grazia della predicazione che aveva ricevuto, dicendo: Ecco, non terrò chiuse le mie labbra, Signore, tu lo sai: non ho nascosto nel mio cuore la tua giustizia, la tua verità e la tua salvezza ho proclamato (Sal. 39, 10-11). Ascoltino ciò che si dice nel colloquio dello sposo con la sposa: Tu che abiti nei giardini, gli amici [ti] ascoltano; fammi udire la tua voce (Cant. 8, 13). È la Chiesa che abita nei giardini, e conserva le pianticelle ben coltivate delle virtù per un rigoglio interiore. E gli amici che ascoltano la sua voce sono gli eletti e coloro che desiderano la parola della sua predicazione. Ed anche lo sposo desidera di udire quella voce, poiché anch’egli anela alla sua predicazione attraverso le anime dei suoi eletti. Ascoltino come Mosè, vedendo che Dio era adirato col popolo e ordinando di dare il via alla vendetta, con la spada, dichiarò che erano

Page 210: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

210

dalla parte di Dio coloro che senza esitazione avrebbero colpito il delitto dei peccatori, dicendo: Se uno è del Signore, si unisca a me; ponga ogni uomo la spada sulla sua coscia: andate e tornate da porta a porta attraversando l’accampamento nel mezzo e ciascuno uccida il fratello e l’amico e il suo prossimo (Es. 32, 27). Porre la spada sulla coscia è anteporre l’amore della predicazione ai piaceri della carne, poiché, quando uno desidera di parlare di cose sante, bisogna che abbia cura di sottomettere le suggestioni illecite. Andare, poi, da una porta all’altra è passare col rimprovero da un vizio all’altro, poiché da essi entra la morte per l’anima. Attraversare il campo nel mezzo significa vivere nella Chiesa con tanto disinteresse che colui il quale rimprovera le colpe dei peccatori non si deve piegare a favorire alcuno. Perciò giustamente si aggiunge: L’uomo forte uccida il fratello, l’amico e il suo prossimo. Cioè, uccide il fratello, l’amico, il prossimo, colui che quando scopre qualcosa degno di punizione, non risparmia dalla spada del rimprovero neppure coloro che ama per legame di parentela. Se dunque è detto appartenente a Dio colui che è eccitato dallo zelo dell’amore divino a colpire i vizi, negano certamente di essere di Dio coloro che rifiutano di rimproverare, in quanto possono, la vita di uomini carnali. Al contrario, coloro ai quali, o una imperfezione naturale o l’età proibisce l’ufficio della predicazione e tuttavia vi sono spinti dall’irruenza, bisogna ammonirli a non tagliarsi la via di un miglioramento successivo coll’arrogarsi, nella loro irruenza, il peso di un ufficio così grave; e a non perdere anche ciò che avrebbero potuto compiere, prima o poi ma al tempo giusto, coll’impadronirsi, fuori tempo, di ciò di cui non sono capaci; e quindi di non mostrare di avere giustamente perduto questa scienza della predicazione, perché si sono sforzati a ostentarla impropriamente. Bisogna ammonirli a considerare che, se i piccoli degli uccelli vogliono volare prima di avere tutte le penne, dal luogo che abbandonano, nella brama di salire in alto, precipitano nel profondo. Bisogna ammonirli a considerare che, se si pone il peso di una travatura sopra strutture recenti e non ancora consolidate, non si fabbrica una abitazione ma un crollo. Bisogna ammonirli a considerare che se le donne partorissero i figli concepiti prima che fossero pienamente formati, non riempirebbero le case, ma le tombe. È perciò, infatti, che la Verità stessa, che pure avrebbe potuto dare subito una tale forza a chi voleva, per lasciare un esempio a quelli che sarebbero venuti in seguito, perché non avessero la presunzione di predicare quando non fossero ancora in grado di farlo, dopo avere pienamente istruito i discepoli sulla virtù della predicazione, aggiunse immediatamente: Voi però rimanete nella città finché siate rivestiti della virtù dall’alto (Lc. 24, 49). Dunque noi restiamo in città se ci chiudiamo nel chiostro del nostro animo per non andare vagando coi discorsi all’esterno; e usciamo invece fuori di noi stessi per istruire anche gli altri, solo allora quando ci siamo rivestiti pienamente della virtù divina. Perciò è detto per mezzo di un sapiente: Giovane, parla solo se ti è proprio necessario, e se sei interrogato due volte, allora incomincia a parlare (Sir. 32, 10). È perciò che il medesimo nostro Redentore, pur essendo creatore e sempre, nella manifestazione della sua potenza, dottore degli angeli, nei cieli; in terra, non volle essere maestro degli uomini prima dei trent’anni; ciò evidentemente per infondere nei precipitosi la forza di un sanissimo timore, in quanto anch’egli stesso che non avrebbe potuto cadere, non predicava la grazia di una vita perfetta se non dopo avere compiuto l’età; poiché sta scritto: Quando ebbe dodici anni, il bambino Gesù rimase a Gerusalemme (Lc. 2, 42), e poco dopo si aggiunge di lui, il quale era stato ricercato dai genitori: Lo trovarono nel Tempio che sedeva in mezzo ai dottori, li ascoltava e interrogava (Lc. 2, 46). Dunque, bisogna considerare attentamente che, quando si parla di Gesù dodicenne che sedeva in mezzo ai dottori, si dice che viene trovato a interrogare, non a insegnare. Con questi esempi, evidentemente, si vuole dimostrare che nessuno, che non ne abbia la forza, deve osare insegnare, se quel bambino, con le sue domande, volle essere istruito; lui, che per la potenza della sua divinità aveva dispensato la parola della scienza ai suoi stessi dottori. Ma quando per mezzo di Paolo si dice al discepolo: Ordina queste cose e insegna; nessuno disprezzi la tua adolescenza (1 Tim. 4, 11-12),

Page 211: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

211

dobbiamo intendere che, nel discorso sacro, talvolta la giovinezza è chiamata adolescenza. E ciò si dimostra subito citando ad esempio le parole di Salomone: Gioisci giovane, nella tua adolescenza (Qo. 11, 9). Infatti se non avesse inteso l’una e l’altra come una cosa sola, non avrebbe chiamato giovane colui che ammoniva nella sua adolescenza.

26 — Come bisogna ammonire coloro a cui tutto, e coloro a cui nulla accade secondo la loro volontà

Diverso è il modo di ammonire coloro che prosperano nei beni temporali, in tutto quanto desiderano, e coloro che, pure accesi di desiderio delle cose mondane, durano la fatica di una pesante fortuna avversa. Infatti, i primi bisogna ammonirli a non trascurare di cercare colui che dà, dal momento che hanno tutto quanto basta al loro desiderio; e a non fissare il proprio animo nelle cose che sono loro date, così da amare il cammino verso la patria, invece che la patria stessa; a non mutare gli aiuti ricevuti per il viaggio in ostacoli al raggiungimento della meta e, dilettati dalla luce notturna della luna, a non rifuggire dalla vista luminosa del sole. Così, bisogna ammonirli a non credere che tutti quanti i beni che conseguono in questo mondo siano il premio di quel che hanno meritato, e non, invece, sollievo dalla sventura; levino la mente contro i favori del mondo, per non soccombere in essi col cuore tutto preso dal loro diletto. Infatti, chiunque nella considerazione del suo cuore non reprime la prosperità di cui gode con l’amore di una migliore vita, rende i vantaggi di una vita che passa occasione di una morte perpetua. È perciò infatti che coloro i quali si rallegrano dei successi di questo mondo vengono rimproverati, in persona degli Idumei che si lasciarono vincere dalla loro prosperità, quando è detto: Si presero la mia terra in eredità con gioia, con tutto il cuore, con tutta l’anima (Ez. 36, 5). E da queste parole si può considerare che non è solamente perché godono, ma è perché godono con tutto il cuore e con tutta l’anima che vengono colpiti con un severo rimprovero. Perciò dice Salomone: Il rifiuto dei piccoli li ucciderà e la prosperità degli stolti li perderà (Prov. 1, 32). Perciò Paolo ammonisce dicendo: Chi compra come se non possedesse, chi usa di questo mondo come se non ne usasse (1 Cor. 7, 30). Ciò, per dire che quanto abbiamo in abbondanza deve servirci esteriormente così da non distoglierci l’animo dall’amore della gioia celeste. Le cose che ci offrono un aiuto, finché siamo nell’esilio, non indeboliscano in noi il lutto dell’intimo stato di pellegrini; e non godiamo, come gente felice, di beni passeggeri, noi che ora ci vediamo infelici, lontano da quelli eterni. È perciò infatti che la Chiesa dice, con la voce degli eletti: La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia (Cant. 2, 6). Dio ha posto la sua sinistra, cioè la prosperità della vita presente, sotto il capo, e la preme la tensione verso l’amore sommo; ma la destra di Dio l’abbraccia poiché la Chiesa nella offerta di sé è tutta contenuta nella sua eterna beatitudine. Perciò ancora è detto per mezzo di Salomone: Lunghezza di giorni nella sua destra, e nella sua sinistra le sue ricchezze e la sua gloria (Prov. 3, 16). E insegna, così, come si debbano usare ricchezze e gloria che egli pone nella mano sinistra. Perciò dice il salmista: La tua destra mi fa salvo (Sal. 107, 7). Infatti non dice mano, ma destra, evidentemente per indicare, dicendo destra, che era la salvezza eterna che egli cercava. Perciò ancora è scritto: La tua destra Signore ha infranto i nemici (Es. 15, 6. LXX); infatti i nemici di Dio, quantunque nella sua sinistra si avvantaggino, dalla destra sono infranti, poiché per lo pin la vita presente innalza i malvagi, ma l’avvento della felicità eterna li condanna. Bisogna ammonire coloro che godono della prosperità in questo mondo, a considerare accortamente che la prosperità di questa vita talvolta è data proprio per incitare ad una vita migliore e altra volta invece per una più piena dannazione eterna. È perciò infatti che viene promessa al popolo israelita la terra di Canaan, perché prima o poi sia incitato alle speranze eterne. Né d’altra parte quel rozzo popolo avrebbe creduto alle promesse di Dio,. riguardanti il futuro, se non avesse ricevuto, da colui che le aveva fatte, qualcosa anche al presente.

Page 212: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

212

Dunque, per dare una più solida certezza alla [sua] fede nei beni eterni, non è solo con la speranza che lo si attira a quei beni, ma è pure coi beni temporali che lo si conduce a sperare. E ciò è chiaramente attestato dal salmista che dice: Diede ad essi i territori delle genti e possedettero il frutto delle fatiche di quei popoli, perché custodissero i suoi decreti e ricercassero la sua legge (Sal. 104, 44). Ma quando l’anima dell’uomo non corrisponde con le buone opere a Dio, che è largo verso di essa, proprio a causa di quei beni che si crede le siano alimento alla pietà, essa viene più giustamente condannata. Perciò, infatti, si dice ancora per mezzo del salmista: Li hai abbattuti mentre si consolavano (Sal. 72, 18). Poiché, quando i reprobi non corrispondono ai doni di Dio con opere di giustizia, quando abbandonano completamente se stessi in questa vita e si lasciano andare alla sovrabbondanza del benessere, ciò per cui esteriormente hanno successo è la causa della loro caduta spirituale. Ed è perciò che al ricco tormentato nell’inferno si dice: Hai ricevuto beni nella tua vita (Lc. 16, 25). Infatti anche il cattivo riceve beni in questa vita, proprio per questo, cioè per ricevere più pienamente il male nell’altra; poiché qui non si è convertito neppure per mezzo di quei beni. Al contrario, coloro che pure accesi di desiderio delle cose mondane, durano la fatica di una pesante fortuna avversa, bisogna ammonirli ad apprezzare con attenta considerazione, con quanta grazia il Creatore, che dispone tutto, vigila su di loro, non permettendo che si lascino andare ai loro desideri. Giacché, al malato senza speranza di guarigione, il medico concede di prendere tutto ciò che desidera, ma chi si crede possa guarire, si proibiscono molte cose di cui egli sente voglia. Inoltre, non diamo soldi in mano ai bambini, ai quali pure riserviamo tutto intero il patrimonio in quanto ne sono eredi. Perciò dunque, gioiscano della speranza della eredità eterna, coloro che sono umiliati dall’avversità della vita temporale, perché, se la dispensazione divina non li riguardasse come fatti per la salvezza eterna, non li frenerebbe sotto il governo della disciplina. Pertanto bisogna ammonire coloro che, accesi dal desiderio di beni temporali, durano la fatica di una pesante fortuna avversa, a considerare con premura che spesso anche i giusti, quando la potenza mondana li esalta, sono afferrati come in un laccio dalla colpa. Così, come abbiamo già detto nella prima parte di quest’opera (I, par. 3), David amato da Dio fu più giusto nel periodo del suo servizio che quando giunse al regno. Infatti, da servo, per amore della giustizia, ebbe timore di colpire l’avversario che aveva nelle mani (cf. 1 Sam. 24, 18); da re, invece, indotto dalla lussuria, uccise un soldato devoto con studiata frode (cf. 2 Sam. 11, 7). Chi, dunque, potrà cercare senza danno ricchezze, potere e gloria se queste cose furono dannose perfino a colui che le ebbe senza averle cercate? Chi, in mezzo ad esse, potrà salvarsi senza correre la fatica di un grande pericolo, se colui che era stato preparato ad esse dalla scelta di Dio rimase turbato dalla colpa che vi si era insinuata? Bisogna ammonirli a considerare come non si ricorda che Salomone — il quale viene descritto come chi cadde nell’idolatria pur dopo aver ricevuto tanta sapienza (1 Re, 11, 4 ss.) — avesse avuto in questa vita alcuna avversità prima di cadere, ma dopo che gli fu concessa la sapienza, lasciò andare completamente il suo cuore, che nessuna tribolazione, neppure la più piccola, aveva custodito con la sua disciplina.

27 — Come si devono ammonire i coniugati e i celibi

Diverso è il modo di ammonire quelli che sono vincolati dal matrimonio, e quelli che sono liberi dal vincolo matrimoniale. Bisogna ammonire i primi, quando pensano vicendevolmente l’uno all’altro, a studiarsi di piacere al coniuge in modo da non dispiacere al Creatore; e trattino le cose di questo mondo così: da non tralasciare di aspirare a quelle che sono di Dio; e godano dei beni presenti così da temere tuttavia, con viva attenzione, i mali eterni; e piangano i mali presenti in modo dà fissare però, con intatta consolazione, la loro speranza nei beni eterni, dal momento che sanno che ciò che fanno passa, e ciò cui aspirano resta; né i mali del mondo spezzino il loro cuore; poiché la speranza

Page 213: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

213

dei beni eterni lo conforta; né i beni della vita presente lo ingannino, poiché lo rattrista il timore dei mali del giudizio futuro. E così, l’animo degli sposi cristiani è insieme debole e fedele, tale che non è capace di disprezzare pienamente tutti i beni temporali, e tuttavia è capace di unirsi, nel desiderio, alle realtà eterne; e quantunque per ora giaccia nel piacere della carne, si rinvigorisce con l’alimento della speranza celeste. Dunque se nel viaggio usa delle cose del mondo, spera in quelle di Dio come frutto della meta raggiunta; e non si consegni interamente a ciò che fa per non cadere del tutto da ciò che avrebbe dovuto sperare con forza. Paolo esprime bene e brevemente ciò, dicendo: Chi ha moglie sia come se non l’avesse; e chi piange come se non piangesse; e chi gode come se non godesse (1 Cor. 7, 29-30). Poiché ha moglie come se non l’avesse, colui che con lei usa della consolazione della carne, in modo che mai, tuttavia, per amore di lei, si piega, dalla rettitudine della migliore intenzione, ad azioni depravate. Ha moglie come se non l’avesse, colui che, vedendo come tutte le cose sono transitorie, tollera per necessità la cura della carne, ma lo spirito attende con tutto il desiderio le gioie eterne. Piangere non piangendo è piangere le avversità esteriori sapendo tuttavia godere della consolazione della speranza eterna. E, ancora, godere non godendo è innalzare tanto l’animo dalle bassezze, che esso non cessi mai di temere le realtà supreme. E qui, appropriatamente, poco dopo aggiunge pure: Passa, infatti, la figura di questo mondo (1 Cor. 7, 31). Come se dicesse apertamente: Non amate stabilmente il mondo, dal momento che ciò stesso che amate non può rimanere; vanamente fissate il cuore come se foste destinati a rimanere, mentre fugge colui stesso che amate. Bisogna ammonire i coniugi a tollerare a vicenda, con pazienza, ciò in cui talvolta l’uno dispiace all’altro; e a salvarsi esortandosi a vicenda. Infatti è scritto: Portate a vicenda i vostri pesi e così adempirete la legge di Cristo (Gal. 6, 2). E la legge di Cristo è la carità; poiché per essa egli ci ha donato largamente i suoi beni e con mitezza ha portato i nostri mali. Dunque, adempiremo la legge di Cristo come i suoi imitatori quando offriremo benignamente i nostri beni e sosterremo con spirito di pietà i mali del nostro prossimo. Bisogna ammonirli pure a badare, ciascuno di essi, non tanto a ciò che l’uno deve sopportare dall’altro quanto a ciò che l’altro deve sopportare di suo. Se infatti ciascuno considera i pesi che lui fa portare, porta a sua volta più leggermente i pesi altrui che deve sostenere. Bisogna ammonire gli sposi a ricordarsi che essi sono uniti allo scopo di avere figli, e quando, servendo ad una unione sfrenata, mutano il momento della propagazione in pratica del piacere, considerino che, anche se ciò non avviene al di fuori dell’unione matrimoniale, tuttavia nel matrimonio stesso essi oltrepassano i diritti del matrimonio. Per cui è necessario che, con frequenti orazioni, cancellino ciò che, per la mescolanza col piacere, macchia la bellezza dell’atto coniugale. È perciò infatti che l’Apostolo, esperto di medicina celeste, non ammaestrò tanto i sani, quanto mostrò i rimedi ai malati dicendo: Quanto a ciò che mi avete scritto: È bene per l’uomo non toccare donna; ma per rimedio alla fornicazione ciascuno abbia la propria moglie e ciascuna abbia il proprio marito (1 Cor. 7, 1-2). Ma se mise avanti il timore della fornicazione, certo non stabili il precetto per quelli che stanno saldi in piedi, bensì mostrò un letto a coloro che cadono perché non rovinassero in terra. Perciò ancora, ai vacillanti, aggiunse: Il marito dia alla moglie ciò che le deve e così la moglie al marito (1 Cor. 7, 3); ma, nel fare ad essi qualche concessione riguardo al piacere, nell’ambito di una onestissima unione, aggiunse: Ma questo lo dico per indulgenza, non per comando (1 Cor. 7, 6); e accenna evidentemente che si tratta di colpa; poiché parla di un oggetto di indulgenza, ma di colpa tale che tanto più presto è condonata in quanto con essa non si compie qualcosa di illecito in sé, ma piuttosto non si contiene, in un ambito di moderazione, ciò che di per sé è lecito. Ed è ciò che Lot esprime bene in se stesso quando fugge Sodoma in fiamme e tuttavia, trovando Segor, non sali subito la montagna (cf. Gen. 19, 30). Fuggire Sodoma in fiamme significa rinunciare agli incendi illeciti della carne, e l’altezza dei monti è la purezza delle persone continenti. Ora, sono certamente come chi sta sul monte perfino coloro che, pur aderendo all’unione carnale, tuttavia non si abbandonano ad alcun piacere della carne al di fuori di quell’atto compiuto per avere

Page 214: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

214

figli. Stare sul monte, cioè, significa non cercare nella carne se non il frutto della generazione. Stare sul monte significa non aderire carnalmente alla carne. Ma poiché ci sono molti che rinunciano ai peccati della carne e tuttavia, posti nello stato matrimoniale; non ne osservano solamente i diritti del suo debito uso, usci appunto Lot da Sodoma e tuttavia non giunse subito sui monti, a indicare che quando già è abbandonata la vita degna di condanna, l’altezza della continenza coniugale non è però ancora raggiunta in tutta la sua perfezione. Ma c’è nel mezzo la città di Segor, per salvare il debole che fugge, poiché naturalmente, quando i coniugi si uniscono a causa dell’incontinenza, fuggono la caduta del peccato e tuttavia si salvano per condiscendenza. È come se trovassero una piccola città che li difende dal fuoco, poiché una tale vita coniugale non è certo mirabile per la virtù e tuttavia è sicura dal castigo. Perciò il medesimo Lot dice all’angelo: C’è qui vicino una piccola città in cui posso rifugiarmi e mi salverò in essa. Non è forse modesta, e la mia anima vivrà in essa? (Gen. 19, 20). Dunque, è detta vicino e tuttavia è indicata come sicura per la salvezza, poiché la vita coniugale non è separata di molto dal mondo e tuttavia non è estranea alla gioia della salvezza. I coniugi però, in tale stato, custodiscono la loro vita come in una piccola città, quando intercedono per se stessi con suppliche assidue. Perciò viene detto anche al medesimo Lot, per mezzo dell’angelo: Ecco, ho ascoltato le tue preghiere anche in questo: non distruggerò la città in favore della quale hai parlato (Gen. 19, 21); poiché è chiaro che non è condannata quella vita matrimoniale in cui i coniugi si rivolgono a Dio con la supplica, riguardo alla quale anche Paolo ammonisce dicendo: Non privatevi l’uno dell’altro se non d’accordo e per un tempo stabilito, per essere liberi per la preghiera (1 Cor. 7, 5). Al contrario, coloro che non sono legati nel matrimonio bisogna ammonirli a servire tanto pin rettamente i comandamenti divini quanto meno li inclina alle cure del mondo il giogo dell’unione carnale; e poiché non sono gravati dal peso lecito del matrimonio, non gravi su di loro il peso illecito della preoccupazione terrena, ma l’ultimo giorno li trovi tanto più pronti quanto più leggeri; e poiché, liberi come sono, possono compiere opere tanto più meritorie, non le trascurino così da meritare, per questo, supplizi tanto più gravi. Ascoltino l’Apostolo, il quale, volendo formare alcuni alla grazia del celibato, non disprezzò il matrimonio, ma respinse le cure mondane che nascono da esso dicendo: Ciò lo dico per vostra utilità, non per gettarvi un laccio; ma per indicarvi ciò che è onesto e offre la possibilità di servire Dio senza impedimento (1 Cor. 7, 35). Dal matrimonio, dunque, procedono le preoccupazioni terrene, e perciò il maestro delle genti volle persuadere i suoi ascoltatori a cose migliori perché non si legassero alla preoccupazione terrena. Pertanto, il celibe, trattenuto dall’impedimento delle cure temporali, è uno che non si è sottoposto al matrimonio e tuttavia non è sfuggito ai suoi pesi. Bisogna ammonire i celibi a non pensare di potersi unire a donne di liberi costumi, senza incorrere nel giudizio di condanna. Infatti, quando Paolo inserì il vizio della fornicazione fra tanti peccati esecrabili, indicò la sua gravità dicendo: Né i fornicatori né gli idolatri né gli adulteri né gli effeminati né gli omosessuali né i ladri né gli avari né gli ubriachi né i maldicenti né i rapaci possiederanno il regno di Dio (1 Cor. 6, 9-10). E ancora: I fornicatori e gli adulteri li giudicherà Dio (Ebr. 13, 4). Pertanto se sopportano le. tempeste delle tentazioni con pericolo della salvezza, bisogna ammonirli a cercare il porto del matrimonio, infatti è scritto: È meglio sposarsi che ardere (1 Cor. 7, 9). Non è colpa se si sposano, purché in precedenza non si siano impegnati con voti a uno stato di vita più perfetto. Infatti, chi si era proposto un bene maggiore, rende illecito il bene minore che prima gli sarebbe stato lecito. Perciò è scritto: Nessuno che mette la mano all’aratro e si volta a guardare indietro è adatto al regno dei cieli (Lc. 9, 62). Dunque, chi si era rivolto a un interesse più forte è convinto a guardare indietro se, abbandonati i beni maggiori, ripiega sui minimi.

28 — Come bisogna ammonire quelli che hanno esperienza dei peccati della carne e quelli che non l’hanno

Page 215: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

215

Diverso è il modo di ammonire coloro che conoscono i peccati della carne e quelli che ne sono ignari. Quelli che ne hanno esperienza, bisogna ammonirli a temere il mare, almeno dopo il naufragio, e a guardarsi con orrore dai pericoli della loro perdizione che già conoscono; ed essi, che sono stati salvati dalla pietà di Dio dopo avere commesso il male, non debbano morire ripetendolo malvagiamente. Così, all’anima che pecca e non cessa mai dal peccare è detto: Sei divenuta sfrontata come una meretrice e non vuoi arrossire (Ger. 3, 3). Pertanto bisogna ammonirli, se non hanno voluto conservare integri i beni naturali ricevuti, ad applicarsi, a riparare almeno quelli infranti. È assolutamente necessario, per loro, considerare quanti sono quelli che, in un così grande numero di fedeli, si custodiscono illibati e convertono gli altri dall’errore. Come pensano di difendersi costoro se, mentre altri restano saldi nella loro integrità, essi non rinsaviscono neppure dopo avere sentito il danno? Come pensano che potranno difendersi se, mentre molti conducono con sé altri al Regno, essi non riconducono neppure se stessi al Signore che li attende? Bisogna ammonirli a considerare i peccati passati e ad evitare i futuri. Perciò, il Signore, per mezzo del profeta, ricorda alle menti corrotte in questo mondo — rappresentate dalla Giudea — le colpe commesse, affinché arrossiscano di contaminarsi con colpe future, dicendo: Hanno fornicato in Egitto, hanno fornicato nella loro adolescenza; là fu compresso il loro petto e furono violati i loro seni verginali (Ez. 23, 3). In Egitto viene compresso il petto, quando la volontà del cuore dell’uomo soggiace al turpe desiderio di questo mondo. In Egitto vengono violati i seni verginali, quando i sensi naturali ancora integri in se stessi, restano viziati dalla corruzione della concupiscenza che preme. Bisogna ammonire coloro che hanno esperienza di peccati della carne a guardare con vigile cura, con, quanta benevolenza Dio ci allarghi il seno della sua pietà, quando dopo il peccato ritorniamo a Lui, là dove dice, per mezzo del profeta: Se un uomo avrà rimandato la moglie ed essa andandosene prenderà un altro marito, forse egli tornerà ancora da lei? Non sarà stata macchiata e contaminata quella donna? Ma tu hai fornicato con molti amanti, tuttavia ritorna a me, dice il Signore (Ger. 3, 1). Ecco, una donna fornicatrice e per questo abbandonata è proposta come un esempio di giustizia; e a noi, se dopo la caduta ritorniamo, non viene offerta giustizia ma pietà. Da ciò possiamo renderci conto di quanto sia grande la iniquità con cui pecchiamo se non torniamo a lui dopo il peccato, mentre lui ci risparmia con tanta pietà quando ancora lo stiamo compiendo; o quale sarà l’indulgenza per gli iniqui, che egli non cessa di chiamare dopo la colpa. Questa misericordia della chiamata è ben espressa per mezzo del profeta quando si dice all’uomo che si è ribellato: E i tuoi occhi vedranno il tuo maestro e le tue orecchie udranno la parola di chi ti ammonisce dietro le spalle (Is. 30, 20). Poiché il Signore ammoni di fronte il genere umano, quando in paradiso, all’uomo appena creato, e ancor saldo nel suo libero arbitrio, stabili quello che avrebbe potuto fare e non fare. Ma l’uomo voltò le spalle di fronte a Dio, quando insuperbendo disprezzò i suoi ordini. E tuttavia il Signore non l’abbandonò nella superbia, lui che diede la legge per richiamarlo, mandò angeli ad esortarlo e apparve egli stesso nella nostra carne mortale. Dunque, stando dietro le nostre spalle, ci ammonisce, lui che anche disprezzato ci chiamò a riottenere la grazia. Ciò che dunque poté essere detto al profeta in generale per tutti gli uomini insieme, è necessario sentirlo in particolare dei singoli. Infatti, quando uno conosce i precetti della volontà di Dio, prima di commettere il peccato è come se ascoltasse le parole del suo ammonimento standogli di fronte. Ed è ancora stare davanti al suo volto, il non disprezzare Dio col peccato. Ma quando, abbandonato il bene dell’innocenza, l’uomo brama e sceglie l’iniquità, ha già voltato le spalle al suo volto. E tuttavia ancora, standogli dietro le spalle, il Signore lo segue e lo ammonisce e vuole persuaderlo, anche dopo la colpa, a ritornare a lui. Richiama chi si è rivolto indietro, non riguarda le colpe commesse, dilata il seno della sua misericordia a colui che ritorna. Ascoltiamo dunque la voce che ci ammonisce se, almeno dopo il peccato, ritorniamo al Signore che ci invita. Se non vogliamo

Page 216: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

216

temere la giustizia, dobbiamo arrossire della pietà di chi ci chiama perché è tanto più grave l’iniquità con cui egli è disprezzato, quanto più, pur disprezzato, egli non disdegna di chiamare ancora. Al contrario, bisogna ammonire coloro che non hanno esperienza di peccati della carne, a temere con tanta maggior cura di rovinare nel precipizio, quanto più in alto stanno. Bisogna ammonirli a sapere che quanto è più in vista il posto in cui sono collocati, tanto più frequenti sono le frecce con cui l’insidiatore li assale. Egli con tanto maggior ardore suole rialzarsi, quanta più è la forza da cui si vede vinto; e tanto più si indigna d’essere vinto, in quanto vede combattergli contro gli integri accampamenti della carne inferma. Bisogna ammonirli a non cessare di raccogliere i premi [della vittoria], e così, senza dubbio, calpesteranno volentieri le fatiche delle tentazioni che devono sopportare. Se infatti si mira alla felicità a cui si attinge eternamente, diviene lieve ciò che si fatica ed è però passeggero. Ascoltino ciò che è detto per mezzo del profeta: Queste cose dice il Signore agli eunuchi che hanno osservato i miei sabati, che hanno scelto ciò che io voglio e hanno mantenuto il mio patto: darò loro nella mia casa e nelle mie mura un luogo e un nome migliore che ai figli e alle figlie (Is. 56, 4-5). Sono eunuchi coloro che, trattenuti i moti della carne, tagliano in se stessi l’amore dell’opera iniqua. E quale sia il posto che essi hanno presso il Padre, è manifesto, poiché nella casa del Padre, cioè nella dimora eterna, essi sono preferiti anche ai figli. Ascoltino ciò che è detto per mezzo di Giovanni: Questi sono coloro che non si sono contaminati con donne: infatti sono vergini e seguono l’Agnello dovunque vada (Ap. 14, 4). E cantano quel cantico che nessuno può pronunciare se non quei centoquarantaquattromila. Cantare poi, loro soli, il canto all’Agnello è godere con lui in eterno, sopra tutti i fedeli, anche dell’incorruzione della carne. E che tuttavia gli altri eletti possano sentire il cantico, pur non potendo pronunciarlo, è perché la carità li fa lieti della eccelsa beatitudine di quelli, quantunque loro non possano raggiungerla. Ascoltino, gli ignari dei peccati della carne, ciò che la Verità stessa dice di questa integrità: Non tutti comprendono questa parola (Mt. 19, 11). Accenna alla sua grandezza negando che sia di tutti; e avvertendo che difficilmente è compresa, fa intendere a chi ascolta con quanta cautela, quando si sia compresa, debba essere conservata. Bisogna dunque ammonire coloro che non hanno esperienza di peccati della carne, a sapere che la verginità è superiore al matrimonio, e tuttavia a non esaltarsi nei confronti degli sposati affinché, scegliendo la verginità e posponendosi agli altri, non abbandonino ciò che stimano il meglio e si custodiscano dall’esaltarsi vanamente. Bisogna ammonirli a considerare che spesso la vita delle persone continenti deve arrossire del confronto con l’operosità di chi vive nel secolo, quando questi operano oltre ciò che è richiesto dalla loro situazione, e quelli non eccitano il loro cuore in corrispondenza al loro stato. Perciò è ben detto per mezzo del profeta: Arrossisci, Sidone, dice il mare (Is. 23, 4). Infatti, quando la vita di colui che appare ben difeso e, in un certo senso, stabile, viene riprovata nel confronto con quella di chi vive nel secolo, sbattuto dai flutti di questo mondo, è come se Sidone fosse indotta alla vergogna dalla voce del mare. Giacché spesso molti che, dopo aver commesso peccati della carne, ritornano al Signore, si prestano con tanto più ardore nelle buone opere, quanto più si vedono degni di condanna per quelle cattive. E d’altra parte, certuni che perseverano nell’integrità del corpo, vedendo di avere meno di che dolersi, pensano che sia pienamente sufficiente, quanto a loro, l’innocenza della propria vita e non infiammano il loro spirito con alcuno stimolo che ne ecciti il fervore. Così accade per lo più che sia più gradita a Dio una vita ardente d’amore dopo il peccato, che una innocenza giacente nel torpore della propria sicurezza. Perciò è detto per voce del Giudice: Le saranno rimessi i molti peccati perché ha molto amato (Lc. 7, 47); e: Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore pentito che per novantanove giusti per i quali non c’è bisogno di penitenza (Lc. 15, 7). E lo possiamo capire facilmente dalla stessa pratica se pensiamo a come giudichiamo noi con la nostra mente: infatti noi apprezziamo di più una terra che arata — dopo essere stata coperta di spine — produce ricchi frutti, di quella che non ha mai avuto spine e tuttavia, anche coltivata, produce messe sterile. Bisogna

Page 217: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

217

ammonire gli ignari del peccato carnale, a non preferirsi agli altri per via dell’eccellenza di uno stato superiore, quando ignorano quanto siano migliori le opere di quelli dello stato inferiore, poiché, nell’esame del giusto Giudice, la qualità delle azioni muta i meriti dello stato di vita. Chi infatti — per trarre esempi dalla realtà — non sa che nella natura delle gemme il carbonchio è più prezioso del giacinto? Ma tuttavia, il colore ceruleo del giacinto è preferito al pallido carbonchio, poiché ciò in cui quello è inferiore per lo stato naturale viene avvalorato dalla bellezza dell’aspetto, e questo, che per lo stato naturale è più prezioso, viene oscurato dalla qualità del colore. Così dunque fra gli uomini: alcuni, posti in uno stato superiore, sono peggiori: altri, posti in uno stato inferiore, sono migliori: perché questi, vivendo bene, vanno oltre la sorte della condizione più bassa; mentre quelli diminuiscono il merito della condizione superiore, perché non le corrispondono con i costumi.

29 — Come bisogna ammonire coloro che piangono peccati di opere e coloro che piangono peccati solo di pensiero

Diverso è il modo di ammonire coloro che piangono peccati di opere, e coloro che piangono peccati di pensiero. Bisogna ammonire i primi a lavare con un pianto perfetto i peccati compiuti, per non essere maggiormente stretti dal debito dell’azione commessa, ma diminuire col pianto la soddisfazione dovuta. Poiché è scritto: Ci ha dato da bere lacrime in misura (Sal. 79, 6), per dire, cioè, che l’animo di ciascuno, nel suo pentimento, beva tante lacrime di compunzione, quanto ricorda di essersi inaridito lontano da Dio, nelle colpe. Bisogna ammonirli a ricondurre incessantemente davanti ai propri occhi i peccati commessi, e ad agire nella propria vita in modo che quelli non debbano più essere veduti dal severo Giudice. Perciò David, quando pregava dicendo: Distogli i tuoi occhi dai miei peccati (Sal. 50, 11), poco sopra aveva detto: Il mio delitto mi sta sempre davanti (Sal. 50, 5); come se dicesse: Chiedo di non guardare al mio peccato perché io stesso non cesso di guardarlo. Perciò anche, per mezzo del profeta, il Signore dice: E non mi ricorderò dei tuoi peccati, ma tu ricordateli (Is. 43, 25-26. LXX). Bisogna ammonirli a considerare i peccati uno per uno, e mentre per ciascuno piangono la sozzura del loro errore, con le lacrime purifichino insieme sé e quelli, interamente. Perciò è detto bene, per mezzo di Geremia, pensando ai singoli peccati della Giudea: Il mio occhio ha fatto scendere acque divise (Lam. 3, 48); poiché noi facciamo scendere dagli occhi corsi d’acqua divisi, quando spargiamo per ogni singolo peccato la sua parte di lacrime. Infatti l’animo non prova dolore nello stesso unico momento per tutti i peccati insieme, ma mentre la memoria è toccata più acutamente ora dall’uno ora dall’altro, commovendosi per ciascuno singolarmente, essa si purifica di tutti insieme. Bisogna ammonirli a confidare con certezza nella misericordia che chiedono, per non morire sotto la forza di una eccessiva afflizione. Poiché infatti non sarebbe pietà, nel Signore, porre davanti agli occhi dei peccatori i peccati da piangere, se per parte sua volesse poi colpirli severamente. È evidente infatti, che egli ha voluto sottrarre al suo giudizio coloro che ha fatto giudici di se stessi, prevenendoli con la sua misericordia. Perciò infatti è scritto: Preveniamo il volto del Signore con la confessione (Sal. 94, 2). Perciò è detto per mezzo di Paolo: Se ci giudicassimo da noi stessi non verremmo giudicati (1 Cor. 11, 31). E ancora bisogna ammonirli ad avere così quella fiducia che viene dalla speranza, e tuttavia a non intorpidire in una incauta sicurezza. Spesso, infatti, l’astuto avversario, quando vede l’animo, che egli insidia col peccato, afflitto per la propria rovina, lo seduce con gli allettamenti di una pestifera sicurezza. Ciò è espresso in figura dove si ricorda l’episodio di Dina. È scritto: Dina usci per vedere le donne di quella regione; ma quando la vide Sichem, figlio di Emor eveo, principe di quel paese, si innamorò di lei e la rapi e dormi con lei violando la sua verginità e la sua anima si uni con lei e alleviò con le carezze la sua tristezza (Gen. 34, 1-3). E Dina esce per vedere le donne

Page 218: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

218

della regione straniera, ogni volta che un’anima, trascurando l’oggetto del suo proprio amore e curandosi di attività che le sono estranee, vaga al di fuori della sua condizione e del suo proprio stato. E allora Sichem, principe del paese, la viola, ovvero il diavolo, trovatala presa da occupazioni esterne, la corrompe; e la sua anima si uni con lei, poiché la vede unita a sé nell’iniquità. E quando l’anima, rientrata in sé dalla colpa, si accusa e tenta di piangere il peccato commesso, allora il corruttore richiama ai suoi occhi le speranze e le sicurezze vane, per sottrarla alla utile tristezza; perciò giustamente si aggiunge: e alleviò con le carezze la sua tristezza. Ora, infatti, le parla dei più gravi peccati di altri; ora le dice che quanto ha fatto non è niente e ora che Dio è misericordioso ora le promette che ci sarà in seguito dell’altro tempo per fare penitenza, affinché l’anima condotta attraverso questi inganni tenga in sospeso l’intenzione del pentimento, e poiché, ora, nessun peccato la rattrista, non riceva, poi, alcun bene, e sia, allora, più pienamente sommersa dai supplizi, essa che, ora, gode perfino nei peccati. Bisogna, invece, ammonire coloro che piangono peccati di pensiero, a considerare accuratamente tra le pieghe misteriose dell’animo, se hanno peccato solamente col piacere o anche col consenso. Spesso, infatti, il cuore è tentato e trae piacere dalla malizia della carne, e tuttavia contrasta con la ragione a quella malizia; cosicché, nel segreto del pensiero, ciò che piace rattrista, e ciò che rattrista piace. Ma talvolta l’animo viene talmente assorbito nel baratro della tentazione da non resisterle affatto, e, invece, da seguirla deliberatamente dove il piacere lo spinge; e così che, se si offre la possibilità esteriore, è pronto a consumare gli intimi desideri, attuandoli coi fatti. E ciò non è più colpa di pensiero, quando la colpisce la giusta punizione del severo Giudice, ma è peccato di opera, poiché quantunque la mancanza della possibilità di attuazione distolga esteriormente il peccato, nell’intimo, la volontà l’ha compiuto con l’opera del consenso. Nel progenitore abbiamo imparato che sono tre i modi con cui perfezioniamo la malizia di ogni colpa: la suggestione, il piacere, il consenso. La prima si compie attraverso il nemico, il secondo attraverso la carne, il terzo con lo spirito. Infatti, l’insidiatore suggerisce il male, la carne si sottopone al piacere e, all’ultimo, lo spirito vinto consente ad esso. In effetti, il serpente suggerì il male, Eva, come carne, si sottomise al piacere; Adamo, come spirito, vinto dalla suggestione e dal piacere, acconsenti (cf. Gen. 3, 1 ss.). E così, riconosciamo il peccato dalla suggestione, restiamo vinti dal piacere e ci leghiamo col consenso. Pertanto, bisogna ammonire coloro che piangono peccati di pensiero, a considerare con cura l’entità della loro caduta nel peccato, affinché la misura del loro pianto corrisponda alla rovina interiore che essi avvertono in se stessi e valga a risollevarli, e non siano indotti ad attuare, con le opere, quei cattivi pensieri che meno li affliggono. Ma soprattutto bisogna incutere timore in loro, non però in modo che ne restino, anche per poco, spezzati. Poiché spesso Dio misericordioso tanto più in fretta lava i peccati del cuore, in quanto non permette che essi sfocino nelle opere; e il male solamente pensato è più rapidamente sciolto, poiché non si lega così strettamente all’effetto dell’opera. Perciò è detto bene per mezzo del salmista: Dissi: confesserò contro di me le mie iniquità al Signore e tu hai rimesso l’empietà (Sal. 31, 3) del mio cuore. Egli infatti ha sottoposto l’empietà del cuore, poiché ha indicato di voler confessare i peccati di pensiero. E mentre dice: Dissi: confesserò, e subito aggiunse: E tu hai rimesso, mostra quanto sia facile su di essi il perdono: mentre ancora si ripromette di chiedere ha già ottenuto, perché, dato che la colpa non era pervenuta all’atto, la penitenza non dovesse giungere al grado del supplizio, ma l’afflizione del pensiero lavasse il cuore che solo la malizia del pensiero aveva macchiato.

30 — Come bisogna ammonire coloro che non si astengono dai peccati che piangono, e coloro che si astengono da quelli commessi ma non li piangono

Diverso è il modo di ammonire coloro che piangono i peccati commessi e tuttavia non se ne

Page 219: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

219

staccano, e quelli che se ne staccano e tuttavia non li piangono. Infatti, bisogna ammonire i primi a sapere considerare con cura che invano si purificano piangendo, coloro che si macchiano vivendo nel peccato, poiché si lavano con le lacrime per poter ritornare, lavati, alla lordura. Perciò infatti è scritto: Il cane è ritornato al suo vomito e la scrofa lavata a rotolarsi nel fango (2 Pt. 2, 22). Il cane, cioè, quando vomita rigetta certamente il cibo che gli opprimeva lo stomaco, ma quando ritorna al vomito, di cui si era alleggerito, si appesantisce di nuovo. E coloro che piangono i peccati commessi, certamente rigettano, confessandola, la malizia con cui si erano malamente saziati e che opprimeva l’intimo dell’animo, ma la riprendono su di sé quando la ripetono dopo averla confessata. E la scrofa, con l’arrotolarsi nel fango dopo essersi lavata, ritorna più sporca di prima. E chi piange i peccati, e tuttavia non rinuncia ad essi, si sottopone alla pena di una colpa maggiore, poiché disprezza proprio quel perdono che poté ottenere con le lacrime, ed è come se si rotolasse nell’acqua fangosa; poiché, mentre sottrae al suo pianto la purezza della vita [ottenuta con esso], davanti agli occhi di Dio rende sordide perfino quelle lacrime. Perciò ancora è scritto: Non dire due volte una parola nella preghiera (Sir. 7, 15); infatti, dire due volte una parola nella preghiera corrisponde a commettere, dopo il pianto, ciò che è necessario tornare a piangere. Perciò è detto per mezzo di Isaia: Lavatevi, siate puri (Is. 1, 16); infatti, chi non custodisce l’innocenza della vita dopo il pianto, trascura di conservarsi puro dopo il lavacro. Pertanto, si lavano e tuttavia non sono puri, coloro che non cessano di piangere i peccati commessi, ma continuano a commettere azioni degne di pianto. Perciò è detto, per mezzo di un sapiente: Se uno si lava dopo aver toccato un morto e poi lo tocca di nuovo, che cosa serve che si sia lavato? (Sir. 34, 30). Si lava, cioè, dopo aver toccato un morto, chi si purifica col pianto dal peccato; ma tocca il morto dopo il lavacro, colui che dopo le lacrime ripete la colpa. Bisogna ammonire coloro che piangono i peccati commessi e tuttavia non se ne staccano, a riconoscersi, davanti agli occhi del Giudice severo, simili a quelli che si presentano di fronte a certi uomini e li blandiscono mostrando grande sottomissione, ma allontanandosi procurano loro inimicizie e danni con effetti atroci. Che cosa significa infatti piangere la colpa se non mostrare a Dio l’umiltà della propria devozione? E che cos’è comportarsi iniquamente dopo avere pianto il peccato, se non praticare superba inimicizia verso colui che si era pregato? Così attesta Giacomo che dice: Chi vuole essere amico di questo secolo, si costituisce nemico di Dio (Giac. 4, 4). Bisogna ammonire coloro che piangono i peccati e tuttavia non se ne staccano, a considerare attentamente che per lo più tanto inutilmente i cattivi si muovono a compunzione per la giustizia, quanto spesso i buoni sono tentati al male senza danno. Avviene cioè che, per una mirabile misura della loro disposizione interiore, corrispondente ai loro meriti, quando quelli fanno qualcosa di buono che tuttavia non portano a termine, assumono una superba fiducia, perfino mentre continuano a compiere il male; e costoro — quando vengono tentati dal male cui per altro non consentono — quanto più la loro debolezza li fa esitanti, tanto più, attraverso l’umiltà, puntano i passi del loro cuore, con fermezza e verità, alla giustizia. Balaam, infatti, guardando agli attendamenti dei giusti dice: Muoia la mia anima la morte dei giusti e i miei ultimi momenti siano simili a quelli di costoro (Num. 23, 10); ma quando si fu allontanato il tempo della compunzione, offrì il suo consiglio contro la vita di coloro ai quali aveva chiesto di divenire simile anche nella morte. E quando trovò un’occasione per [soddisfare] la sua avarizia, subito dimenticò tutto quanto aveva desiderato per sé nell’innocenza (cf. Ap. 2, 14). Perciò, invero, il maestro e predicatore delle genti, Paolo, dice: Vedo un’altra legge, nelle mie membra, lottare contro la legge dello spirito e condurmi prigioniero sotto la legge del peccato che è nelle mie membra (Rom. 7, 23). Egli certamente viene tentato, proprio per essere più fortemente consolidato nel bene dalla consapevolezza della propria infermità. Com’è dunque che quello è portato alla compunzione e tuttavia ciò non lo fa avvicinare alla giustizia; mentre questi è tentato eppure la colpa non lo macchia, se non che — come apertamente si manifesta — il bene incompiuto non giova ai cattivi né

Page 220: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

220

il male non consumato non condanna i buoni? Al contrario, bisogna ammonire coloro che si staccano dal peccato e però non lo piangono, a non stimare perdonate quelle colpe che essi non purificano col pianto, anche sé non le moltiplicano col loro agire. Infatti, uno scrittore che cessa dallo scrivere non cancella ciò che ha scritto in precedenza solo per il fatto di non aggiungervi altri scritti. Né è sufficiente che uno che proferisce ingiurie taccia, per dare soddisfazione, mentre è necessario che contraddica con parole di umile sottomissione quelle pronunciate precedentemente con superbia. Né un debitore è assolto perché non aggiunge debiti a debiti, ma lo è se scioglie quelli con cui è legato. E cose, quando pecchiamo nei confronti di Dio, non diamo soddisfazione solamente se cessiamo di peccare, ma non facciano seguire anche le lacrime, di contro a quei piaceri che abbiamo amato. Se infatti in questa vita non ci fossimo macchiati di nessuna colpa di opere, la stessa nostra innocenza, finché ancora siamo qui, non sarebbe sufficiente alla nostra sicurezza, perché molte azioni illecite busserebbero alla nostra anima; con quale pensiero, allora, si sente sicuro, uno che per le colpe che ha commesso è testimone a se stesso di non essere innocente? Né, d’altra parte, Dio si pasce delle nostre sofferenze, ma invece cura le malattie dei peccati con medicamenti contrari ad essi, affinché noi, che ci siamo allontanati, presi dal diletto dei piaceri, ritorniamo amareggiati nel pianto e, dopo essere caduti lasciandoci andare ad azioni illecite, ci rialziamo trattenendoci anche da quelle lecite; e il cuore che era stato invaso da una gioia insana, arda di una tristezza salutare: esso, che l’esaltazione della superbia aveva ferito, sia curato dall’abiezione di una vita umile. Perciò, infatti, è scritto: Ho detto agli iniqui: non agite iniquamente, e ai peccatori: non alzate la testa (Sal. 74, 5). E i peccatori alzano la testa se non si umiliano a penitenza per la cognizione della propria iniquità. Perciò di nuovo è detto: Un cuore contrito e umiliato Dio non disprezza (Sal. 50, 19). Infatti, chi piange i peccati ma non se ne distacca, spezza il suo cuore ma non si cura di umiliarlo; chi poi ha già lasciato il peccato ma non lo piange, umilia già il cuore, ma tuttavia rifiuta di spezzarlo. Perciò Paolo dice: Voi foste tutte queste cose, ma siete stati lavati, ma siete stati santificati (1 Cor. 6, 11); perché, cioè, una vita più corretta santifica coloro che l’afflizione delle lacrime, lavandoli, rende puri. Perciò Pietro, vedendo alcuni atterriti dalla considerazione dei loro peccati, li ammonisce dicendo: Fate penitenza: ciascuno di voi sia battezzato (Atti, 2, 38). Volendo parlare del Battesimo, premette il pianto della penitenza, affinché, prima, versassero su di sé l’acqua della propria afflizione e, quindi, si lavassero col sacramento del Battesimo. Con quale pensiero vivono sicuri del perdono, coloro che trascurano di piangere le colpe passate, quando lo stesso sommo Pastore della Chiesa credette che si dovesse aggiungere anche la penitenza al sacramento che principalmente estingue i peccati?

31 — Come bisogna ammonire coloro che lodano le azioni illecite di cui sono consapevoli; e coloro che, pur condannandole, tuttavia non se ne guardano

Diverso è il modo di ammonire coloro che addirittura lodano le azioni illecite che compiono; e quelli che accusano le loro depravazioni ma non le evitano. Bisogna ammonire i primi, infatti, a considerare che spesso peccano più con le parole che con le opere. Infatti, con le opere compiono il male solo per se stessi; ma con la bocca offrono il male a tante persone quante sono le menti di coloro che ascoltano e che essi istruiscono con la lode dell’iniquità. Bisogna ammonirli a temere almeno di seminare quei mali che essi trascurano di sradicare. Bisogna ammonirli ad accontentarsi della loro personale perdizione. E ancora — se non temono di essere malvagi —, bisogna ammonirli ad arrossire almeno di mostrarsi ciò che sono. Spesso, infatti, si fugge la colpa volendo nasconderla, perché se l’animo arrossisce di apparire ciò che, tuttavia, non teme di essere, avviene talvolta che arrossisca di essere ciò che evita di apparire. Ma quando il peccatore si fa notare con impudenza, quanto più liberamente compie qualsiasi mala azione, tanto più la considera anche

Page 221: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

221

lecita, e quanto più la giudica lecita senza dubbio affonda in essa maggiormente. Perciò è scritto: Hanno reso pubblico il loro peccato, come Sodoma, e non l’hanno nascosto (Is. 3, 9). Infatti, se Sodoma avesse nascosto il proprio peccato, avrebbe peccato ancora nel timore, ma aveva perduto fino in fondo i freni del timore, essa che non andava a cercare le tenebre per commettere la colpa. Perciò di nuovo è scritto: Il grido di Sodoma e di Gomorra si è moltiplicato (Gen. 18, 20); poiché il peccato è detto voce quando è azione colpevole, ma è detto anche grido quando è commesso in libertà. Al contrario, bisogna ammonire coloro che accusano le loro depravazioni, ma non le evitano, a considerare prudentemente che cosa diranno a propria scusa di fronte al severo giudizio di Dio, essi che, secondo il loro stesso giudizio, sono inescusabili riguardo alle loro colpe. Così, che altro sono costoro, se non accusatori di se stessi? Parlano contro le colpe, e con le loro opere trascinano se stessi come rei. Bisogna ammonirli a vedere che è dalla sentenza ancora nascosta del giudizio che la loro mente è illuminata perché veda il male che commette; e tuttavia non cerca di vincerlo. Così quanto meglio vede, tanto peggio va in rovina perché riceve la luce dell’intelligenza e non abbandona le tenebre dell’agire depravato. Infatti, poiché trascurano la scienza ricevuta in aiuto, la voltano in testimonianza contro di sé; e con quella luce di intelligenza, che certo avevano ricevuto per poter cancellare i peccati, aumentano il castigo. La loro malizia, cioè, quando opera quel male che pur discerne e giudica, degusta già qui il giudizio futuro poiché, mentre si conserva colpevole per il castigo eterno, neppure qui, intanto, è assolta dal suo stesso esame; e tanto più gravi tormenti dovrà ricevere là, quanto più, qui, non abbandona il male anche quando essa stessa lo condanna.Perciò, infatti, la Verità dice: Il servo, che conosceva la volontà del suo Signore e non ha preparato né ha fatto secondo la sua volontà, riceverà molte percosse (Lc. 12, 47). Perciò dice il salmista: Discendano vivi nell’inferno (Sal. 54, 16). Perché vivi sanno e sentono le cose che si compiono intorno a loro, i morti invece non possono sentire nulla. Così scenderebbero morti nell’inferno se commettessero il male senza conoscerlo, ma quando conoscono il male, e ciononostante lo fanno, discendono nell’inferno di iniquità, viventi, miseri e consapevoli.

32 — Come bisogna ammonire coloro che peccano per impulso e coloro che peccano deliberatamente

Diverso è il modo di ammonire coloro che sono vinti da una improvvisa concupiscenza, e coloro che restano prigionieri della colpa con deliberazione. Bisogna ammonire i primi a badare a se stessi, dovendo affrontare quotidianamente la guerra della vita presente, e a proteggere, con lo scudo di un pronto timore, il cuore che non è in grado di prevedere le ferite che può ricevere; abbiano così grande terrore dei dardi nascosti dell’insidioso nemico, e in un combattimento tanto oscuro si trincerino negli accampamenti del cuore, con una attenzione continua. Infatti, se il cuore è abbandonato dalla sollecita vigilanza, resta aperto alle ferite, poiché l’astuto nemico colpisce il petto tanto più liberamente, quanto più lo sorprende nudo della corazza della previdenza. Bisogna ammonire coloro che restano vinti da una improvvisa concupiscenza a distogliersi dalla eccessiva cura delle cose terrene, poiché mentre si coinvolgono smodatamente in realtà transitorie, ignorano da quali dardi di colpe restano trafitti. Perciò, la voce di chi è colpito mentre dorme viene anche espressa per mezzo di Salomone, il quale dice: Mi colpirono, ma non sentii dolore; mi trascinarono e non me ne accorsi. Quando veglierò e ritroverò ancora il vino? (Prov. 23, 35). La mente che dorme dimentica della sua sollecitudine viene colpita e non sente dolore, perché, come non vede i mali incombenti, così non riconosce neppure quelli che ha commesso; viene trascinata e non se ne accorge, perché è condotta attraverso le seduzioni dei vizi e tuttavia non si alza per custodirsi. Essa, in verità, desidera vegliare per ritrovare ancora il vino, perché quantunque sia oppressa dal terrore

Page 222: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

222

del sonno, via dalla custodia di se stessa, si sforza tuttavia di vegliare per le cure del secolo, per essere sempre ebbra dai piaceri; e mentre dorme, rispetto a ciò per cui avrebbe dovuto prudentemente vegliare, desidera di essere sveglia per altre cose per le quali avrebbe potuto lodevolmente dormire. Perciò più sopra, sta scritto: E sarai come chi dorme in mezzo al mare e come un pilota assopito che ha lasciato il timone (Prov. 23, 34). Infatti dorme in mezzo al mare, colui che, posto nelle tentazioni di questo mondo, trascura di prevedere i moti erompenti dei vizi, come cumuli di onde sovrastanti; ed è come un pilota che perde il timone, la mente che perde la tensione sollecita a governare la nave del corpo. Poiché è perdere il timone in mare il non mantenere una attenzione previdente, tra le tempeste di questo secolo. Infatti, se il pilota stringe con attenta cura il timone, ora dirige la nave contro i flutti ora taglia obliquamente l’impeto dei venti. Così, quando la mente governa l’anima con vigilanza, ora calpesta e vince alcune passioni ora, con previdenza, ne aggira altre, e così., con fatica sottomette quelle presenti, e con la previdenza si rafforza contro i combattimenti futuri. Perciò ancora si dice, dei forti combattenti, della patria celeste: La spada di ognuno è sulla coscia per via dei timori notturni (Cant. 3, 8). Si pone la spada sulla coscia, quando con la punta della santa predicazione si doma la malvagia suggestione della carne. Con la notte, poi, si esprime la cecità della nostra debolezza, poiché di notte non si vede nulla di ciò che può sovrastare ostilmente. E la spada di ognuno è posta sulla coscia per i timori notturni, poiché evidentemente gli uomini santi, col fatto che temono le tentazioni che non vedono, si mantengono sempre pronti alla tensione del combattimento. Perciò, ancora, si dice della sposa: Il tuo naso come torre che è nel Libano (Cant. 7, 4); infatti, ciò che non vediamo con gli occhi spesso lo prevediamo dall’odore. Col naso, poi, distinguiamo anche gli odori buoni dai cattivi. Dunque, che cosa si designa con naso della Chiesa, se non la previdente discrezione dei santi? E il naso è anche detto simile a una torre che è nel Libano, poiché la previdenza discreta dei santi è posta tanto in alto che vede le lotte delle tentazioni prima che vengano, e quando sono venute gli sta contro ben difesa. Infatti, le lotte future che vengono previste, quando si sono fatte presenti hanno minor forza, poiché quando uno si fa sempre più preparato contro i colpi, il nemico che si crede inatteso viene reso impotente proprio perché è stato previsto. Al contrario, bisogna ammonire coloro che si fanno prigionieri della colpa con deliberazione, a considerare con attenta previdenza che, col compiere il male deliberatamente, provocano contro di sé un giudizio più severo, così che li colpisce una sentenza tanto più dura, quanto più strettamente li legano alla colpa i vincoli della deliberazione. Forse laverebbero più in fretta i loro peccati col pentimento, se vi fossero caduti solamente per precipitazione; infatti il peccato indurito dal consiglio è anche più duro da assolvere, e se la mente non disprezzasse in ogni modo i beni eterni, non perirebbe cadendo nella colpa deliberata. Dunque, coloro che cadono per la precipitazione e coloro che periscono per la deliberazione differiscono in ciò, che questi ultimi, quando peccando cadono dalla condizione di giustizia, per lo più cadono insieme anche nel laccio della disperazione. Perciò, per mezzo del profeta, il Signore rimprovera non tanto i peccati di precipitazione quanto quelli dovuti a una passione coltivata, dicendo: Che non erompa come fuoco il mio sdegno e si accenda, e non ci sia chi lo spegne, per la malizia delle vostre passioni. Quindi, una seconda volta irato, dice: Vi visiterò secondo il frutto delle vostre passioni (Ger. 4, 4; 23, 2). Dunque, i peccati commessi con deliberazione differiscono dagli altri, perché il Signore non persegue tanto il fatto del peccato, quanto la premeditazione del peccato; giacché, nel fatto, si pecca spesso per debolezza, spesso per negligenza; ma nella premeditazione, si pecca sempre per intenzione maliziosa. Al contrario, bene si dice, per mezzo del profeta, a proposito dell’uomo beato: Non siede nella cattedra di pestilenza (Sal. 1, 1). Cattedra suole essere il seggio del giudice o del presidente, e sedere nella cattedra di pestilenza corrisponde a compiere il peccato con giudizio deliberato: sedere nella cattedra di pestilenza corrisponde a discernere il male con la ragione e tuttavia commetterlo con deliberazione. È come chi siede su una cattedra di

Page 223: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

223

consiglio perverso chi è innalzato da una esaltazione iniqua tanto grande da tentare di compiere il male perfino attraverso il consiglio. E come coloro che, sostenuti dall’autorità della cattedra, sono superiori alle folle che li assistono, così i peccati, ricercati con premeditazione, superano quelli di coloro che rovinano per precipitazione. Pertanto bisogna ammonire chi si lega alla colpa anche con la deliberazione, a dedurre da tutto ciò quale sarà la vendetta con cui, prima o poi, dovranno essere colpiti, loro che ora si fanno non compagni ma principi dei peccatori.

33 — Come bisogna ammonire coloro che cadono in peccati minimi ma frequenti, e coloro che guardandosi dai minimi restano talvolta sommersi da quelli gravi

Diverso è il modo di ammonire coloro che commettono spesso peccati, sia pur minimi, e coloro che si custodiscono dai piccoli, ma talvolta affondano nei gravi. Bisogna ammonire coloro che cadono frequentemente in colpe sia pur piccole, a non considerare quali, ma quanti peccati, commettono. Infatti, se quando pesano le loro azioni disdegnano di temerle, devono averne paura quando le contano. Poiché sono profondi i gorghi dei fiumi, e sono piccole ma innumerevoli le gocce di pioggia che li riempiono; e la sentina che cresce nascostamente produce lo stesso effetto di una tempesta che infuria palesemente. E sono piccolissime le ferite che si aprono nelle membra per la scabbia, ma quando la loro quantità, divenuta innumerevole, si estende, uccide la vita del corpo come una grave ferita inflitta nel petto. Perciò è scritto: Chi disprezza le cose piccole a poco a poco viene meno (Sir. 19, 1). Infatti, chi trascura di piangere e di evitare i peccati minimi cade dalla condizione di giustizia, non di colpo, ma, poco alla volta, tutto. Bisogna ammonire coloro che frequentemente cadono in cose minime, a considerare con cura che spesso si pecca più rovinosamente con una colpa piccola che con una più grande. Poiché, la più grande, quanto prima è riconosciuta come colpa, tanto più rapidamente viene emendata: mentre la minore, che è valutata nulla, ha effetti tanto peggiori, quanto più tranquillamente continua a essere praticata. Per cui avviene spesso che il cuore avvezzo a peccati leggeri non ha in orrore neppure quelli gravi e, nutrito dalle colpe, giunge a una certa sicurezza nel male; e tanto disdegna di temere le colpe più gravi, quanto, nelle più piccole, ha imparato a peccare senza timore. Al contrario, bisogna ammonire coloro che si guardano dalle colpe piccole, ma talvolta sprofondano nelle gravi, ad aprire gli occhi su se stessi con sollecitudine, giacché, mentre il loro cuore si esalta perché si custodisce dalle piccole colpe, essi vengono divorati, dallo stesso baratro della loro esaltazione, a commettere peccati ancora più gravi; e, mentre al di fuori dominano le piccole colpe ma dentro si gonfiano di vanagloria, finiscono con l’abbattere anche al di fuori, con colpe più gravi, l’animo che, dentro, è stato vinto dalla malattia della superbia. Pertanto bisogna ammonire coloro che si custodiscono dai peccati piccoli ma talvolta sprofondano nei gravi, a non cadere, interiormente, là dove, esteriormente, stimano di stare in piedi; e, nella retribuzione del Giudice severo, l’esaltazione non divenga una via di minore giustizia, che trascini alla fossa della colpa più grave. Infatti, coloro che, esaltatisi vanamente, attribuiscono alle proprie forze la custodia di un bene minimo, giustamente abbandonati, si coprono di colpe più gravi e, cadendo, imparano che il loro stare in piedi non derivava da loro; ciò, affinché mali immensi umilino il cuore che beni minimi esaltano. Bisogna ammonirli a considerare che, con colpe più gravi si caricano di una grossa responsabilità, e tuttavia spesso nelle piccole buone azioni che custodiscono, peccano più rovinosamente perché, con le prime compiono cose inique, ma per mezzo delle altre tengono coperta agli uomini la loro iniquità. Per cui avviene che, quando commettono davanti a Dio i peccati maggiori, ciò è iniquità aperta; e quando custodiscono piccole buone azioni davanti agli uomini, è santità simulata. Perciò infatti si dice dei Farisei: Filtrano il moscerino e inghiottiscono il cammello (Mt. 23, 24); come se dicesse apertamente: lasciate da parte i peccati piccoli e divorate quelli grandi. È perciò che ancora si

Page 224: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

224

sentono rimproverare dalla bocca della Verità: Pagate la decima della menta, dell’aneto, e del cimino e trascurate ciò che è più importante nella legge: la giustizia, la misericordia, la fedeltà (Mt. 23, 23). E occorre ascoltare con attenzione, perché quando parla delle decime più piccole, ricorda intenzionalmente, fra le erbe, le ultime ma profumate; certo per mostrare che i simulatori, quando custodiscono le piccole buone azioni, cercano di spandere l’odore di una santa opinione di se stessi; e quantunque tralascino di compiere i beni più grandi, hanno cura dei piccoli che, a giudizio umano, spandono profumo in lungo e in largo.

34 — Come bisogna ammonire coloro che non incominciano neppure a fare il bene, e coloro che dopo averlo incominciato non lo portano a termine

Diverso è il modo di ammonire coloro che non incominciano neppure a fare il bene e coloro che, dopo averlo incominciato, non lo portano a termine. Quanto ai primi, non bisogna far loro presente, innanzitutto, ciò che devono sanamente amare, ma distruggere ciò a cui si applicano maliziosamente. Infatti, non vanno dietro a ciò di cui sentono parlare senza averne l’esperienza, se prima non comprendono quanto sia nocivo quello che hanno sperimentato; giacché non desidera di essere rialzato, colui che ignora perfino di essere caduto; e colui che non sente il dolore della ferita, non ricerca il rimedio per sanarla. Dunque, bisogna prima mostrare quanto sia vano ciò che amano, e poi con molta cautela bisogna insinuare quanto sia utile quello che tralasciano. Vedano, prima, che quel che amano è da fuggire, e poi, senza difficoltà, si renderanno conto che è amabile ciò che fuggono. Accolgono meglio, infatti, ciò di cui non hanno esperienza, se riconoscono per vero quanto è stato loro dimostrato su ciò che conoscono per esperienza. Allora, dunque, imparano con pieno desiderio a cercare le cose vere e buone, quando cioè abbiano compreso con giudizio sicuro di essere stati vanamente attaccati a cose false. Ascoltino quindi, che il piacere dei beni presenti è destinato a passare ben presto, e tuttavia la loro causa permarrà per una vendetta senza fine, poiché, ora, viene sottratto loro, contro voglia, ciò che piace; e, allora, ciò che procura dolore, sarà loro riservato come supplizio, ancora contro voglia. E così abbiano un salutare terrore delle medesime cose da cui traggono un piacere che li danna, affinché l’animo, che resta colpito alla vista dei danni profondi della sua propria rovina e si accorge di essere giunto sull’orlo del precipizio, rivolga indietro i suoi passi e, nel vivo timore di ciò che prima amava, impari ad amare ciò che disprezzava. Perciò viene detto a Geremia, mandato a predicare: Ecco, oggi ti ho costituito sopra le genti e sopra i regni, perché tu sradichi e distrugga, disperda e dissipi, ed edifichi e pianti (Ger. 1, 10); perché, se prima non avesse distrutto ciò che era perverso, non avrebbe potuto edificare utilmente ciò che era retto; se non avesse sradicato dai cuori dei suoi ascoltatori le spine di un amore vano, è certo che, invano, avrebbe piantato in loro le parole della santa predicazione. Perciò Pietro, prima abbatte per poi costruire, quando non ammoniva i Giudei riguardo a ciò che ormai avrebbero dovuto fare, ma li rimproverava di ciò che avevano fatto, dicendo: Gesù Nazareno, uomo approvato da Dio tra voi, per i miracoli, i prodigi, i segni che Dio operò in mezzo a voi, attraverso lui, come voi sapete: quest’uomo, consegnato per un disegno prestabilito dalla prescienza di Dio, lo avete ucciso inchiodandolo per mano di empi, ma Dio lo ha risuscitato, avendo sciolto le doglie dell’inferno (Atti, 2, 22-24). Disse così, evidentemente, affinché, abbattuti dalla consapevolezza della propria crudeltà, con quanta maggior tensione avrebbero ricercato l’edificazione della santa predicazione, tanto più utilmente l’ascoltassero. E quindi, subito rispondono: Che cosa dobbiamo fare, allora, fratelli? E ad essi viene detto: Fate penitenza e ciascuno di voi sia battezzato (Atti, 2, 37-38). Essi non avrebbero certamente fatto alcun conto di queste parole di edificazione, se prima non avessero trovato la salutare rovina della loro propria distruzione. Perciò Paolo, quando risplendette su di lui la luce mandata dal cielo, non udì ciò che avrebbe dovuto fare di bene, ma ciò che aveva fatto di

Page 225: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

225

male. Infatti, quando prostrato chiedeva: Chi sei, Signore? Gli fu subito risposto: Io sono Gesù Nazareno che tu perseguiti. E alla sua seconda immediata richiesta: Signore, che cosa ordini che faccia? Viene aggiunto subito: Alzati ed entra in città e là ti sarà detto che cosa è bene che tu faccia (Atti, 9, 24 ss.; 22, 8 ss.). Ecco, il Signore, parlando dal cielo, rimprovera le azioni del suo persecutore e tuttavia non mostra immediatamente che cosa avrebbe dovuto fare. Ecco, ormai tutto l’edificio del suo orgoglio era crollato e, divenuto umile dopo la sua rovina, cercava di essere riedificato. Ma la superbia viene distrutta e tuttavia le parole dell’edificazione vengono ancora trattenute, evidentemente perché il crudele persecutore giaccia a lungo abbattuto, e poi, tanto più solidamente risorga nel bene, quanto più, prima, era caduto, rovesciato fin dalle fondamenta, dal primitivo errore. Pertanto, coloro che non hanno ancora incominciato a compiere alcun bene devono, prima, essere rovesciati dalla loro rigida perversità, dalla mano della correzione; per essere, poi, rialzati alla condizione di chi agisce rettamente. Poiché è come quando tagliamo un albero per innalzarlo, poi, alla copertura di un edificio: esso non viene impiegato immediatamente nella costruzione, perché prima si secchi il suo umore nocivo; e quanto più questo si asciuga nel suo interno, tanto più solidamente può essere sollevato in alto. Al contrario, bisogna ammonire coloro che non portano a termine il bene iniziato, a considerare con molta attenzione che, col non adempiere quanto si sono proposti, strappano via anche ciò a cui avevano dato inizio. Se, infatti, ciò che sembra di dover fare non cresce per una sollecita applicazione, diminuisce anche ciò che era stato ben compiuto. Poiché, in questo mondo, la vita umana è come una nave che sale contro la corrente di un fiume: non le è permesso di stare ferma in un luogo, perché scivola di nuovo verso il basso, se non si sforza di salire verso l’alto. Dunque, se la forte mano di chi opera non conduce a perfezione il bene intrapreso, la stessa interruzione dell’operare lotta contro quanto è già stato compiuto. Ed è ciò che è detto per mezzo di Salomone: Chi è molle e trascurato nel suo operare è fratello di chi dissipa il proprio lavoro (Prov. 18, 9). Poiché è chiaro che, chi non esegue rigorosamente quanto ha iniziato di buono, la trascuratezza della sua negligenza è come la mano di un distruttore. Perciò l’angelo dice alla Chiesa di Sardi: Sii vigilante e consolida le altre cose che stavano per morire, infatti non trovo complete le tue opere davanti al mio Dio (Ap. 3, 2). Dunque, poiché le sue opere non erano state trovate complete davanti a Dio, prediceva che sarebbero morte anche quelle altre che erano state compiute. Infatti, se ciò che in noi è morto non si riaccende a vita, si estingue anche ciò che, in un certo senso, si conserva ancora vivo. Bisogna ammonirli a considerare che avrebbe potuto essere più tollerabile non intraprendere la via del giusto, piuttosto che tornare indietro dopo averla intrapresa; infatti, se non si voltassero a guardare indietro, non languirebbero nel torpore, dopo l’attività iniziata. Ascoltino dunque ciò che è scritto: Sarebbe stato meglio non conoscere la via della giustizia che voltarsi indietro dopo averla conosciuta (2 Pt. 2, 21). Ascoltino ciò che è scritto: Magari fossi freddo o caldo; ma poiché sei tiepido e né freddo né caldo, incomincerò a vomitarti dalla mia bocca (Ap. 3, 15-16). Caldo è chi intraprende attivamente il bene e lo porta a termine; freddo è chi non incomincia neppure ciò che dovrebbe terminare. E come dal freddo, attraverso la tiepidezza, si passa al calore; così dal calore, attraverso la tiepidezza si ritorna al freddo. Dunque, chi vive avendo perduto il freddo della incredulità ma non supera la tiepidezza e non aumenta il suo calore così da ardere; mentre permane nella nociva tiepidezza, senza più nessuna speranza di quel calore, non fa altro che tornare freddo. Ma, come prima di diventare tiepido l’essere freddo conservava la speranza, così ora, la tiepidezza, dopo essere stato freddo, è senza speranza. Infatti, chi è ancora nel peccato, non perde la fiducia nella conversione; ma chi, dopo la conversione, è tiepido, si è sottratto anche quella speranza che poté avere da peccatore. Si richiede, dunque, che uno sia o caldo o freddo, per non essere vomitato essendo tiepido, affinché, se non è ancora convertito, lasci una speranza di conversione riguardo a sé o, se è già convertito, sia sempre più ardente nella pratica della virtù; e non sia vomitato come tiepido per

Page 226: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

226

essere ritornato a causa della sua inerzia, dal calore che si era proposto, al freddo dannoso.

35 — Come bisogna ammonire coloro che fanno il male di nascosto e il bene apertamente ; e quelli che agiscono viceversa

Diverso è il modo di ammonire coloro che fanno il male di nascosto e il bene in pubblico, e coloro che nascondono il bene che fanno e tuttavia lasciano che si pensi pubblicamente male di loro per certe loro azioni pubbliche. Infatti, bisogna ammonire i primi a valutare la rapidità con cui i giudizi umani volano via, e come, invece, restano stabili quelli divini. Bisogna ammonirli a tenere gli occhi della mente fissi al termine delle cose, poiché l’attestazione delle lodi umane passa, e la sentenza divina, che penetra ciò che è nascosto, si rafforza fino alla retribuzione eterna. Pertanto, mentre pongono i loro peccati davanti al giudizio divino, e le loro azioni giuste davanti agli occhi degli uomini, il bene che compiono pubblicamente resta senza testimone, ma non senza testimone eterno rimane ciò che di male essi compiono di nascosto. Così, nascondendo agli uomini le proprie colpe, e manifestando le virtù, mentre nascondono ciò per cui avrebbero dovuto essere puniti; di fatto lo svelano; e svelando ciò per cui avrebbero potuto essere premiati, di fatto lo nascondono. Giustamente la Verità li chiama sepolcri imbiancati, belli all’esterno ma pieni di ossa di morti (cf. Mt. 23, 27), perché occultano all’interno i mali dei vizi, ma con la dimostrazione di certe azioni blandiscono la vista degli uomini, con la sola apparenza esteriore della giustizia. Pertanto, bisogna ammonirli a non disprezzare le azioni rette che compiono, ma ad attribuire ad esse un più grande merito; infatti, condannano gravemente ciò che fanno di buono, coloro che stimano un compenso sufficiente per esso il favore umano, giacché, quando per una azione retta si cerca una lode passeggera, si vende a poco prezzo una cosa degna di un compenso eterno. Ed è di un tale prezzo che la Verità dice: In verità vi dico, hanno ricevuto la loro mercede (Mt. 6, 2). Bisogna ammonirli a considerare che mentre si mostrano malvagi nelle azioni nascoste e tuttavia offrono di sé pubblicamente esempi di buone opere, indicano che bisogna seguire ciò che essi fuggono, gridano che è amabile ciò che essi odiano e, da ultimo, vivono agli occhi degli altri, ma a se stessi muoiono. Al contrario, bisogna ammonire coloro che fanno nascostamente il bene e tuttavia per qualche loro azione pubblica permettono che si pensi male di loro, a non uccidere in sé altri, con l’esempio di una cattiva stima, mentre vivificano sé stessi, con la potenza di un retto agire; a non amare il prossimo meno che sé stessi, e a non versare veleno pestifero nei cuori attenti alla considerazione del loro esempio, mentre loro stessi bevono vino salubre. Poiché, in questo caso, non giovano alla vita del prossimo; e nell’altro la gravano molto; applicandosi, cioè, [da un lato] ad agire rettamente di nascosto, e [dall’altro] a seminare, per certe loro azioni, una cattiva opinione di sé come esempio per gli altri. Infatti, chi è già in grado di mettersi sotto i piedi la brama della lode, opera a danno dell’edificazione se nasconde il bene che compie; e colui che non mostra l’azione che deve essere imitata è come se, dopo aver gettato il seme che deve germinare ne strappasse le radici. Perciò infatti, la Verità disse, nell’Evangelo: Vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli (Mt. 5, 16). Dove pure è pronunciata quell’altra sentenza che sembra comandare tutto il contrario dicendo: Guardate di non compiere la vostra giustizia di fronte agli uomini per essere visti da loro (Mt. 6, 1). Che cosa significa allora che il nostro operare deve essere compiuto in modo da non essere visto, e tuttavia, secondo il precetto, deve essere visto, se non che tutto ciò che facciamo deve essere nascosto perché non siamo noi a riceverne lode, e deve essere manifestato perché accresciamo così la lode del Padre celeste? Infatti, quando il Signore ci proibiva di compiere la nostra giustizia davanti agli uomini, subito aggiunse: Per essere visti da loro. E quando comandava che le nostre opere buone dovevano essere viste dagli uomini, subito aggiunse: Affinché glorifichino il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, alla fine delle sentenze mostrò in che senso non

Page 227: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

227

devono essere viste e in che senso devono esserlo, affinché il cuore di chi la compie non cerchi che la sua opera sia veduta, per causa sua, e tuttavia non la nasconda, a gloria del Padre celeste. Perciò accade che per lo più un’opera buona possa essere nascosta anche se avviene pubblicamente e, ancora, sia come pubblica pur compiendosi di nascosto. Infatti, chi, in un’azione compiuta in pubblico, non cerca la propria gloria ma quella del Padre celeste, nasconde ciò che ha fatto, poiché ha considerato come testimone solo colui a cui si è preoccupato di piacere. E colui che nel suo segreto brama di essere scoperto e lodato nella sua opera buona, anche se nessuno ha veduto ciò che egli ha compiuto, egli ha tuttavia fatto ciò davanti agli uomini, poiché ha condotto con sé, nella sua buona opera, tanti testimoni quante sono le lodi umane che ha ricercato nel suo cuore. E quando una cattiva stima, che ha valore anche se non nasconde un peccato, non viene cancellata dalla mente di chi la considera, per l’esempio che essa rappresenta è come una colpa offerta all’imitazione di tutti quelli che vi prestano fede. Perciò spesso accade che coloro i quali, con negligenza, permettono che si pensi male di loro, non compiono per se stessi alcuna iniquità e tuttavia, attraverso tutti coloro che li avranno imitati, peccano ripetutamente. Perciò, a coloro che mangiano cibi immondi senza contaminarsi, quanto a sé, ma scandalizzano i deboli con questo modo di cibarsi, inducendoli in tentazione, Paolo dice: Guardate che la vostra libertà non diventi inciampo per i deboli (1 Cor. 8, 9). E ancora: E per la tua coscienza perirà il fratello debole per il quale Cristo è morto. E così, peccando contro i fratelli e colpendo la loro debole coscienza, peccate contro Cristo (1 Cor. 8, 11-12). Perciò Mosè, dopo aver detto: Non dirai male di un sordo, aggiunse: Né porrai un inciampo davanti a un cieco (Lev. 19, 14). Dire male di un sordo equivale a criticare un assente che non può ascoltare; e porre un inciampo davanti a un cieco corrisponde ad agire con discernimento e tuttavia offrire occasione di scandalo a chi non ha la luce della discrezione.

36 — Dell’esortazione che bisogna prestare a molti, tale da aiutare le virtù dei singoli, così che per essa non aumentino i vizi contrari a quelle virtù

Queste sono le avvertenze che il Pastore d’anime deve osservare nella diversità della predicazione, per contrapporre con sollecitudine medicine adatte alle ferite dei singoli. Ma se è di grande impegno il servire alle situazioni individuali, nell’esortazione dei singoli, se è molto faticoso istruire ciascuno, in quanto lo può direttamente riguardare, con la dovuta considerazione, tuttavia è di gran lunga più faticoso farlo, nello stesso tempo e con il medesimo discorso, nei. confronti di ascoltatori numerosi e sottoposti a passioni diverse; e il discorso deve essere regolato con tanta arte da adattarsi ai singoli ascoltatori coi loro diversi vizi, e insieme da non contraddirsi; da passare tra le passioni seguendo un solo tracciato, ma come una spada a due tagli, incidendo i tumori dei pensieri carnali da parti opposte, così che si predichi l’umiltà ai superbi in modo che però ai timidi non aumenti il timore; ai timidi si infonda sicurezza, in modo che però non cresca la sfrenatezza dei superbi. Si predichi agli oziosi e ai torpidi la sollecitudine del bene operare in modo che però non si accresca la licenza di una attività smodata negli inquieti. Si ponga una misura agli inquieti in modo che però il torpore degli oziosi non si senta sicuro. Si spenga l’ira degli impazienti in modo che però, ai remissivi e ai tranquilli non aumenti la negligenza. I tranquilli siano eccitati allo zelo, in modo che però non si aggiunga fuoco agli iracondi. Si infonda spirito di larghezza nel dare agli avari in modo che però non si allentino i freni della liberalità smodata ai prodighi; e si predichi ai prodighi la parsimonia in modo che però negli avari non aumenti la custodia dei beni destinati a perire. Si lodi il matrimonio agli incontinenti, in modo che però coloro che già sono continenti non siano richiamati alla lussuria. Ai continenti poi si lodi la verginità del corpo in modo che però i coniugi non siano indotti a disprezzare la fecondità della carne. Bisogna predicare i beni in modo che d’altro

Page 228: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

228

canto non ne traggano giovamento i mali. Bisogna lodare i beni più alti in modo che non restino disprezzati i minori; e bisogna alimentare i minori perché se si pensa che siano per sé sufficienti, non si sia trattenuti dall’aspirare ai sommi.

37 — Dell’esortazione che si deve a una persona soggetta a passioni contrarie

È certo grave fatica per un predicatore essere attento, in un discorso rivolto a pin persone, ai moti nascosti dei singoli e alle loro cause e, come avviene negli esercizi in palestra, destreggiarsi nell’arte di volgersi in diverse direzioni; tuttavia egli si sottopone a una fatica molto maggiore quando è costretto a predicare a una sola persona soggetta a vizi opposti. Spesso infatti si dà il caso di qualcuno di carattere gaio che poi di colpo si deprime terribilmente per il sopraggiungere di una improvvisa tristezza. Il predicatore deve allora fare si che venga tolta la tristezza improvvisa ma in modo che non cresca la gaiezza prodotta dal temperamento; e sia frenata la gaiezza del temperamento in modo che però non aumenti la tristezza che viene all’improvviso. Uno è gravato da una abituale smodata precipitazione, però, ogni tanto, la forza di una improvvisa paura lo trattiene da qualcosa ché bisogna eseguire con fretta. Un altro è gravato da una abituale smisurata paura, però ogni tanto è spinto da una precipitazione temeraria in qualcosa che desidera. E allora, nel primo, bisogna reprimere la paura sorta improvvisamente in modo che però non aumenti la precipitazione coltivata a lungo; e nel secondo bisogna reprimere la precipitazione improvvisa, in modo che però non si rafforzi la paura dovuta al temperamento. Quale meraviglia che i medici delle anime abbiano tanta cura di queste cose, se coloro che non curano i cuori ma i corpi si regolano con una discrezione cos’ sapiente? Spesso infatti una terribile malattia opprime un debole corpo e ad essa si deve venire in aiuto con rimedi vigorosi, ma tuttavia il corpo debole non sostiene il rimedio forte; allora il medico deve studiare in che modo togliere la malattia sopravvenuta senza aumentare la sottostante debolezza del corpo, perché insieme con la malattia non venga meno la vita. Perciò mette insieme il rimedio con tanta discrezione da ovviare alla malattia e nello stesso tempo aiutare il malato. Dunque, se la medicina del corpo, applicata in modo unitario, può agire in sensi opposti (la medicina infatti è veramente tale quando con essa si rimedia alla malattia sopravvenuta e si viene in aiuto anche al temperamento che vi è sottoposto), perché la medicina dell’animo applicata da una sola e medesima predicazione non dovrebbe essere in grado di ovviare a malattie morali di diverso ordine, essa che è tanto più sottilmente praticata, in quanto si tratta di condizioni spirituali?

38 — Talvolta occorre lasciare sopravvivere vizi più leggeri per togliere i più gravi

Ma poiché spesso irrompe una malattia dovuta al concorrere di due vizi, dei quali forse uno preme in modo più grave dell’altro, più leggero; è senza subbio più giusto venire in fretta in aiuto contro quel vizio per cui si corre rapidamente alla morte. E se per evitare una morte prossima, non si può contenere questo, senza che cresca il coesistente vizio contrario, occorre che il predicatore tolleri che attraverso la sua esortazione, questo ultimo, per un artificioso accomodamento, subisca una crescita, pur di poter trattenere l’altro dalla vicina morte. Ciò che egli opera non aumenta la malattia del suo ferito, cui egli applica il rimedio, ma gli conserva la vita finché trovi il momento adatto per ricercare la sua salvezza. Spesso avviene che qualcuno, per non sapersi affatto trattenere dall’ingordigia dei cibi, viene assalito dagli stimoli della lussuria che ormai sta per vincerlo ed egli, atterrito dal timore di soccombere in questa lotta, mentre si sforza di contenersi con l’astinenza, è travagliato dalla tentazione della vanagloria. In questa situazione non è possibile che si estingua un vizio senza che se ne alimenti un altro. Dunque, quale peste occorre combattere con più ardore se non quella che preme con maggiore pericolo? Allora bisogna tollerare che, provvisoriamente, in chi

Page 229: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

229

esercita la virtù dell’astinenza cresca un po’ di orgoglio purché egli viva, piuttosto che lo uccida del tutto la lussuria generata dall’ingordigia. Perciò Paolo, considerando il suo debole ascoltatore esposto all’alternativa, o di un agire ancora perverso o di compiacersi per il compenso della lode degli uomini, per il suo agire retto, dice: Vuoi non temere l’autorità? Fa’ il bene e riceverai lode da essa (Rom. 13, 3). Infatti, né il bene va fatto per non dovere temere chi ha il potere in questo mondo né per ricever con esso la gloria di una lode passeggera. Ma considerando che un cuore debole non può giungere a tanta fortezza da voler sfuggire insieme al male e alla lode, il gran dottore, nella sua ammonizione, mentre gli toglie una cosa gli concede l’altra; infatti, concedendogli ciò che è più leggero, gli tolse il più grave, in modo che non essendo in grado di abbandonare tutto in una sola volta, l’animo veniva lasciato alla consuetudine di un certo suo vizio per essere liberato senza fatica da un certo altro.

39 — Non bisogna assolutamente predicare cose troppo alte alle menti deboli

Occorre che il predicatore non attiri l’animo del suo ascoltatore al di là delle sue forze, affinché la corda della mente non si spezzi mentre viene tesa, per cosa dire, oltre il suo potere. Infatti, quando sono molti ad ascoltare, i discorsi troppo elevati si devono contenere e riservare solo per pochi. Perciò la Verità in persona dice: Chi credi che sia il dispensatore fedele e prudente che il padrone ha stabilito sulla sua famiglia perché dia a ciascuno a suo tempo la misura di grano? (Lc. 12, 42). E la misura di grano esprime lo stile del discorso perché non accada che si dia a un cuore angusto qualcosa che esso non può contenere e questo si versi al di fuori. Perciò Paolo dice: Non ho potuto parlarvi come a spirituali, ma come a carnali. Come a bambini in Cristo, vi ho dato da bere latte e non cibo solido (1 Cor. 3, 1). Perciò Mosè, uscendo dall’intimità con Dio, vela, davanti al popolo, il volto ancora raggiante (cf. Es. 34, 31); certo perché, alle turbe, esso non parla dei misteri della luce interiore. Perciò, attraverso di lui, viene prescritto dalla parola divina che se qualcuno ha scavato una cisterna e ha trascurato di ricoprirla, deve pagare il prezzo di un bue o di un asino che vi sia caduto dentro (cf. Es. 21, 33-34). Poiché, se i rozzi cuori dei suoi ascoltatori non possono contenere le acque correnti della profonda dottrina cui egli è pervenuto, è considerato reo meritevole di pena qualora, per le sue parole, una mente, sia pura sia impura, resta presa nello scandalo. Perciò viene detto al beato Giobbe: Chi ha dato l’intelligenza al gallo? (Giob. 38, 36). Infatti, il predicatore santo che grida in questo tempo oscuro è come il gallo che canta nella notte, quando dice: È ormai ora di sorgere dal sonno (Rom. 13, 11); e ancora: Vegliate, giusti, e non peccate (1 Cor. 15, 34). Ma il gallo è solito emettere un alto canto nelle ore più profonde della notte, e invece, quando l’ora del mattino è più vicina, produce suoni più tenui e leggeri, poiché chi predica opportunamente grida in modo chiaro ai cuori ancora ottenebrati e non fa alcun accenno ai misteri nascosti, affinché siano in grado di ascoltare discorsi più sottili sulle cose celesti quando si avvicinano alla luce della verità.

40 — La predicazione nelle opere e nelle parole

Ma ritorniamo soprattutto con ardore di carità a quanto abbiamo già detto sopra, che cioè ogni predicatore si faccia sentire più con i fatti che con le parole, e imprima le sue orme per chi lo segue, attraverso una buona vita, piuttosto che mostrare con le parole la mèta verso cui essi devono camminare. Poiché anche questo gallo, che il Signore prende come esempio nelle sue parole, per indicare il tipo del buon predicatore, quando già si prepara a cantare, prima scuote le ali e percuotendosi da solo si fa più sveglio; chiaramente perché è necessario che coloro, i quali si accingono alla santa predicazione, siano prima vigilanti e dediti al bene operare, perché non pretendano di scuotere gli altri con le parole, mentre in se stessi dormono nell’inerzia: scuotano se

Page 230: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

230

stessi, prima, con azioni elevate, e solo allora rendano gli altri solleciti del ben vivere; prima colpiscano sé con le ali della meditazione e con attento esame colgano ciò che in loro giace nell’inutile torpore e lo correggano con severa riprensione; e solo allora regolino con le parole la vita degli altri. Prima abbiano cura di punire i propri peccati con pianto e poi denuncino ciò che è degno di punizione negli altri; e prima di fare risuonare parole di esortazione, gridino con le opere tutto ciò che hanno intenzione di dire.

PARTE QUARTA

COME IL PREDICATORE, COMPIUTA OGNI COSA NEL MODO DOVUTO,

DEVE RITORNARE IN SE STESSO, PERCHÉ LA VITA O LA PREDICAZIONE

NON LO ESALTI

Ma poiché spesso, quando la predicazione scorre copiosamente nei modi convenienti, l’animo di chi parla si esalta in se stesso per la gioia nascosta di questa dimostrazione di sé, è necessaria una grande cura perché esso si lasci ferire dai morsi del timore e non accada che colui il quale, curando le loro ferite, richiama gli altri alla salvezza, si inorgoglisca lui per negligenza della salvezza sua propria; e mentre giova al prossimo, abbandoni se stesso e cada, mentre fa rialzare gli altri. Spesso, infatti, la grandezza della virtù fu occasione di perdizione per alcuni, perché per la confidenza nelle proprie forze acquistano una disordinata sicurezza, così che poi, per negligenza, in modo imprevisto muoiono. Infatti, quando la virtù resiste ai vizi, per un certo piacere di essa, l’animo ne resta lusingato, e avviene che la mente di chi opera bene rigetti il timore che la fa essere attenta ai vizi; riposi sicura nella confidenza di sé; e quando essa è presa nel torpore, l’astuto seduttore le enumera tutte le sue buone opere e la esalta nel pensiero orgoglioso di essere superiore agli altri. Quindi, agli occhi del giusto Giudice, il ricordo della virtù diviene una fossa per la mente, perché ricordando ciò che ha compiuto, mentre si innalza in se stessa, cade di fronte all’autore dell’umiltà. Perciò è detto all’anima che insuperbisce: Quanto pia sei bella, scendi e dormi con gli incirconcisi (Ez. 32, 9); come se dicesse apertamente: Poiché ti elevi per la bellezza della virtù, dalla tua stessa bellezza sei spinta a cadere. Perciò, l’anima che insuperbisce per la virtù, viene riprovata — personificata in Gerusalemme — quando è detto: Eri perfetta nella mia bellezza, che io avevo posto su di te, dice il Signore; ma fidando nella tua bellezza, hai fornicato nel tuo nome (Ez. 16, 14-15). Giacché l’animo si esalta, per la fiducia nella propria bellezza, quando lieto per i meriti delle sue virtù, si gloria ai suoi occhi nella propria sicurezza. Ma attraverso questa medesima fiducia è condotto alla fornicazione, perché quando i suoi stessi pensieri illudono la mente prigioniera, gli spiriti maligni la corrompono, seducendola attraverso innumerevoli vizi. Si noti che è detto: Hai fornicato nel tuo nome, perché quando il cuore abbandona il rispetto della guida celeste, cerca subito una lode personale, e incomincia ad attribuirsi ogni bene che ha ricevuto per servire all’annuncio di colui che gliel’ha donato; desidera dilatare la gloria della sua fama; fa di tutto per apparire degna di ammirazione a tutti. Pertanto fornica in suo nome, colei che abbandonando il talamo legale giace sotto lo spirito corruttore per la brama della lode. Perciò David dice: Ha consegnato alla prigionia la loro virtù e la loro bellezza in mano al nemico (Sal. 77, 61). Giacché la virtù è consegnata alla prigionia e la bellezza in mano all’avversario, quando l’antico nemico domina un cuore illuso

Page 231: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

231

dall’esaltazione per una buona opera; e tuttavia questa esaltazione della virtù, sebbene non vinca completamente, tenta spesso, comunque, anche l’animo degli eletti; ma quando, dopo essersi esaltato, viene abbandonato, allora è richiamato al timore. Perciò David ancora dice: lo dissi nel mio benessere: Non sarò scosso in eterno (Sal. 29, 7). Ma poiché si gonfiò nella confidenza nella propria virtù, poco dopo aggiunge che cosa dovette sopportare: Hai distolto il tuo volto e sono stato turbato (Sal. 29, 8); come se dicesse apertamente: Mi sono creduto forte tra le mie virtù, ma abbandonato, ho riconosciuto quanto è grande la mia debolezza. Perciò ancora dice: Ho giurato e stabilito di custodire i giudizi della tua giustizia (Sal. 118, 106). Ma poiché non era in potere della sua forza rimanere fermo nella custodia che aveva giurato, subito scopri la propria debolezza, per cui immediatamente si buttò nella preghiera dicendo: Sono stato umiliato fino in fondo, Signore, dammi vita secondo la tua parola (Sal. 118, 107). Poiché spesso la guida celeste prima di fare progredire coi doni richiama alla mente il ricordo della debolezza, perché non ci si gonfi per le virtù ricevute. Perciò il profeta Ezechiele, ogni volta che è condotto a contemplare le cose celesti, viene chiamato prima figlio dell’uomo, come se il Signore lo ammonisse apertamente dicendo: perché tu non innalzi il tuo cuore nell’esaltazione, considera attentamente ciò che sei, affinché quando penetri le verità somme riconosca di essere uomo; e mentre sei rapito al di là di te, tu sia richiamato sollecitamente a te stesso dal freno della tua debolezza. Perciò è necessario che quando l’abbondanza delle virtù ci lusinga, l’occhio della mente ritorni alle sue debolezze e si costringa a voltarsi indietro per guardare non ciò che ha fatto rettamente, ma ciò che ha trascurato di fare, perché, mentre nel ricordo della debolezza, il cuore si abbatte, sia rafforzato nella virtù presso l’autore dell’umiltà. Poiché spesso Dio onnipotente, quantunque in gran parte renda perfette le menti delle guide delle anime, tuttavia, per una piccola parte, le lascia imperfette, affinché, quando risplendono per le loro ammirabili virtù, si struggano per il fastidio della propria imperfezione e non si innalzino per quanto è in loro di grande, mentre ancora si travagliano nel loro sforzo contro difetti minimi; ma poiché non sono capaci di vincere questi ultimi resti di imperfezione, non osino insuperbire per i loro atti eminenti. Ecco, nobilissimo uomo, spinto dalla necessità di accusare me stesso e tutto attento a mostrare quale debba essere il Pastore, ho dipinto un uomo bello, io cattivo pittore, che, ancora sbattuto dai flutti dei peccati, pretendo di guidare gli altri al lido della perfezione. Ma in questo naufragio della vita, ti supplico, sostienimi con la tavola della tua preghiera e, poiché il mio peso mi fa affondare, sollevami con la mano dei tuoi meriti.

Page 232: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

232

San Teofane il Recluso

SULLA PREGHIERA DEL CUOREAvete letto della preghiera del cuore, non è vero? E sapete che cosa è dall'esperienza pratica. Solo con l'aiuto di questa preghiera l'ordine necessario dell'anima è mantenuto saldamente; solo attraverso questa preghiera possiamo preservare il nostro ordine interiore indisturbato anche quando è distratto dalle preoccupazioni domestiche. Questa sola preghiera rende possibile adempiere l'ingiunzione dei Padri: le mani al lavoro, la mente e il cuore con Dio. Quando questa preghiera si innesta nel nostro cuore, allora non ci sono interruzioni interne ed essa continua a fluire sempre nello stesso modo uniforme.Il cammino verso la realizzazione di un sistematico ordine interiore è molto difficile, ma è possibile conservare questo stato d'animo (o uno simile) durante i vari e inevitabili compiti che dovete eseguire, e ciò che lo rende possibile è la preghiera di Gesù, quando si innesta nel cuore. Come può innestarsi così? Chi lo sa? Ma succede. Chi lotta è sempre più consapevole di questo innesto, senza sapere come è stato raggiunto. Per lottare per questo ordine interiore, dobbiamo camminare sempre alla presenza di Dio, ripetendo la preghiera di Gesù il più frequentemente possibile. Non appena vi è un momento libero, iniziate di nuovo ancora una volta, e l'innesto sarà raggiunto ...

La preghiera del cuore, e il calore che l'accompagna

Pregare significa stare spiritualmente davanti a Dio nel nostro cuore in glorificazione, ringraziamento, supplica, e penitenza contrita. Tutto deve essere spirituale. La radice di ogni preghiera è il timore devoto di Dio, da questo deriva la fiducia Dio e la fede in Lui, la presentazione di se stessi a Dio, la speranza in Dio, e la capacità di tenerci uniti a lui con sentimento d'amore, nell'oblio di tutto il creato. Quando la preghiera è potente, tutti questi sentimenti e movimenti spirituali sono presenti nel cuore con corrispondente vigore. In che modo la preghiera del cuore ci aiuta in questo? Attraverso la sensazione di calore che si sviluppa dentro e intorno al cuore come

Page 233: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

233

effetto di questa preghiera ... Quando preghiamo dobbiamo stare nella nostra mente di fronte a Dio, e pensare a lui solo. Eppure vari pensieri continuano a forzare la propria strada nella mente, e trascinandola la allontanano da Dio. Al fine di insegnare la mente a fissarsi su una cosa, i santi Padri utilizzavano brevi preghiere e hanno preso l'abitudine di recitarle incessantemente. Quest'incessante ripetizione di una breve preghiera manteneva la mente sul pensiero di Dio e disperdeva tutti i pensieri irrilevanti. I Padri hanno adottato varie brevi preghiere, ma è la preghiera di Gesù che tra di noi si è radicata in modo particolare ed è più comunemente impiegata: 'Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore' Quindi ecco che cos'è la preghiera di Gesù. Si tratta di una tra varie brevi formule di preghiera, recitata come tutte le altre. Il suo scopo è di mantenere la mente sul pensiero unico di Dio. Chi si è abituato a questa preghiera e la usa in modo corretto, in realtà ricorda Dio incessantemente.Poiché il ricordo di Dio in un cuore sinceramente credente è naturalmente accompagnato da un senso di pietà, di speranza, di ringraziamento, di devozione alla volontà di Dio, e da altri sentimenti spirituali, la preghiera del cuore, che produce e conserva questo ricordo di Dio, è chiamata preghiera spirituale. È giusto che sia chiamata così solo quando è accompagnata da questi sentimenti spirituali. Ma se non accompagnata da tali sentimenti rimane orale come qualsiasi altra preghiera dello stesso tipo. Qual è il significato di questo calore che accompagna la pratica della preghiera? Al fine di mantenere la mente su un oggetto con l'utilizzo di una breve preghiera, è necessario conservare l'attenzione e quindi portarla nel cuore: fintanto che la mente rimane nella testa, dove i pensieri si scontrano l'uno con l'altro, non ha tempo per concentrarsi su una cosa. Ma quando l'attenzione scende nel cuore, vi attira tutte le forze dell'anima e del corpo in un punto. Questa concentrazione di tutta la vita umana in un unico luogo si riflette immediatamente nel cuore con una sensazione speciale che è l'inizio del futuro calore. Questa sensazione, debole all'inizio, diventa col tempo più forte, più solida, più profonda. In un primo momento è solo un tepore, si sviluppa in una sensazione di calore e concentra l'attenzione su di sé. Così avviene che, mentre nelle fasi iniziali l'attenzione è conservata nel cuore con uno sforzo di volontà, a tempo debito questa attenzione, per propria forza, fa nascere il calore nel cuore. Questo calore poi mantiene l'attenzione senza sforzo particolare. Da questo punto, i due si sostengono l'un l'altro, e devono rimanere inseparabili, perché la dispersione dell'attenzione raffredda il calore, e la diminuendo del calore indebolisce l'attenzione. Da questo segue una regola di vita spirituale: se manteniamo il cuore vivo verso Dio, saremo sempre nel ricordo di Dio. Questa regola è stabilita da san Giovanni Climaco.

Si pone ora la questione se questo calore è spirituale. No, non è spirituale. È normale calore fisico. Ma dal momento che mantiene l'attenzione della mente nel cuore, e, quindi vi aiuta lo sviluppo dei movimenti spirituali descritti in precedenza, è chiamato spirituale, a condizione, tuttavia, che esso non sia accompagnato da piacere sensuale, per quanto lieve, ma mantenga anima e corpo in modo sobrio. Da ciò ne consegue che, quando il calore che accompagna la preghiera del cuore non include sentimenti spirituali, non dovrebbe essere chiamato calore spirituale, ma semplicemente sangue caldo. Non vi è in sé nulla di negativa in questa sensazione di sangue caldo, a meno che non sia collegata con il piacere sensuale, per quanto lieve. Se è così collegata, è dannosa e deve essere soppressa. Le cose cominciano ad andare male quando il calore si muove in parti del corpo più basse rispetto al cuore. E va ancora peggio quando, nel godimento di questo calore, immaginiamo che questo sia tutto ciò che conta, senza preoccuparci dei sentimenti spirituali o anche del ricordo di Dio, e fissiamo il nostro cuore solo allo scopo di avere questo calore. Questo corso sbagliato è di tanto in tanto è possibile, anche se non per tutti, né in ogni momento. Deve essere notato e corretto, altrimenti rimane solo il calore fisico, che non dobbiamo considerare come calore spirituale o frutto della grazia. Questo calore è spirituale solo quando è accompagnato dall'impeto spirituale della

Page 234: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

234

preghiera. Chiunque lo chiama spirituale senza questo movimento si sbaglia. E chiunque immagina che sia frutto di grazia è ancora più in errore. Il calore pieno di grazia è di natura particolare ed è solo questo che è veramente spirituale. È distinto dal calore della carne, e non produce alcun cambiamento notevole nel corpo, ma si manifesta con una sottile sensazione di dolcezza. Ognuno può facilmente identificare e distinguere il calore spirituale da questa sensazione particolare. Ognuno deve farlo da se stesso: questo non è un affare degli altri.

Il modo più semplice per acquisire la preghiera incessanteAcquisire l'abitudine della preghiera del cuore, in modo che essa si radichi in noi stessi, è il modo più semplice per ascendere alla regione della preghiera incessante. Gli uomini di maggior esperienza hanno scoperto, attraverso l'illuminazione di Dio, che questa forma di preghiera è un mezzo semplice ma molto efficace per stabilire e rafforzare l'intera vita spirituale e ascetica, e nelle loro regole di preghiera hanno lasciato riguardo a questo metodo istruzioni dettagliate.In tutti i nostri sforzi e lotte ascetiche, cerchiamo la purificazione del cuore e la restaurazione dello spirito. Ci sono due modi per arrivarci: la via attiva, la pratica delle fatiche ascetiche, e la via contemplativa, il ritorno della mente a Dio. Con il primo modo l'anima si purifica e così riceve Dio; con il secondo modo il Dio di cui l'anima diventa consapevole scaccia egli stesso ogni impurità e quindi viene a dimorare nell'anima purificata. L'insieme di questo secondo modo si riassume nella singola preghiera del cuore, come dice san Gregorio il Sinaita: 'Dio si acquisisce o mediante l'attività e il lavoro, o con l'arte di invocare il nome di Gesù'. Egli aggiunge che il primo modo è più lungo del secondo, che a sua volta è più rapido ed efficace. Per questo motivo alcuni dei santi Padri hanno dato primaria importanza, tra tutti i diversi tipi di esercizio spirituale, alla preghiera del cuore. Essa illumina, fortifica, e anima; sconfigge tutti i nemici visibili ed invisibili, e conduce direttamente a Dio. Guardate quanto è potente ed efficace! Il Nome del Signore Gesù è il tesoro di tutte le cose buone, il tesoro della forza e della vita nello Spirito. Ne consegue che dobbiamo fin dall'inizio dare istruzioni complete sulla pratica della preghiera del cuore a tutti coloro che si pentono e cominciano a cercare il Signore. Solo in seguito dobbiamo introdurre il principiante ad altre pratiche, perché in questo modo egli può trovare stabilità e consapevolezza spirituale più rapidamente, e raggiungere la pace interiore. Molte persone, non sapendolo, possono sprecare il loro tempo e fatica senza andare oltre le attività formali ed esterne dell'anima e del corpo.La pratica della preghiera è chiamata 'arte', ed è molto semplice. Stando con coscienza e attenzione nel cuore, grida incessantemente: 'Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me', senza tenere nella mente alcun concetto visivo o immagine, credendo che il Signore ti vede e ti ascolta. È importante mantenere la consapevolezza nel cuore, e così facendo si controlla leggermente il respiro in modo da tenere il tempo con le parole della preghiera. Ma la cosa più importante è credere che Dio è vicino e sente. La preghiera si dice per l'orecchio di Dio solo. All'inizio questa preghiera rimane per lungo tempo soltanto un'attività come un'altra, ma con il tempo passa nella mente e infine mette radici nel cuore. Ci sono deviazioni da questo giusto modo di pregare, perciò dobbiamo impararlo da qualcuno che sa tutto su di esso. Gli errori si verificano di preferenza quando l'attenzione è nella testa e non nel cuore. Chi mantiene la sua attenzione nel cuore è al sicuro. Ancor più al sicuro è chi in ogni momento si aggrappa a Dio nella contrizione, e prega di essere liberato dall'illusione.

'Tecniche' e 'metodi' non hanno importanza: una cosa sola è essenzialeLa preghiera: 'Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me' è una preghiera orale come le altre. Non ha niente di speciale in sé, ma riceve tutto il suo potere dallo stato d'animo in cui è fatta.

Page 235: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

235

I vari metodi descritti dai Padri (seduti, facendo prosternazioni, e utilizzando altre tecniche durante l'esecuzione di questa preghiera) non sono adatti a tutti: infatti, senza una guida personale, sono in realtà pericolosi. È meglio non provarli. C'è solo un metodo che è obbligatorio per tutti: stare con l'attenzione nel cuore. Tutte le altre cose sono superflue, e non conducono al nocciolo della questione. Si dice del frutto di questa preghiera, che non c'è nulla di più elevato al mondo. Questo è sbagliato. Come se si trattasse di qualche talismano! Niente nelle parole della preghiera e nella loro pronuncia può da solo portare il suo frutto. Il risultato può essere ricevuto senza questa preghiera, e anche senza la preghiera orale, ma semplicemente dirigendo la mente e il cuore verso Dio. L'essenza di tutta la cosa è stabilisi nel ricordo di Dio, e camminare alla sua presenza. Si può dire a qualcuno: 'Segui qualsiasi metodo desideri - recita la preghiera di Gesù, esegui inchini e prosternazioni, vai in chiesa: fai ciò che desideri, cerca solo di essere sempre in costante ricordo di Dio'. Ricordo di aver incontrato un uomo a Kiev che diceva: 'Non ho usato alcun metodo, non conoscevo la preghiera di Gesù, ma per misericordia di Dio, io cammino sempre alla sua presenza. Ma come questo è avvenuto, io stesso non lo so, Dio me lo ha dato!' È molto importante comprendere che la preghiera è sempre data da Dio: altrimenti possiamo confondere il dono della grazia con un certo successo personale.

La gente dice: raggiungete la preghiera di Gesù, perché è la preghiera interiore. Questo non è corretto. La preghiera di Gesù è un buon mezzo per arrivare alla preghiera interiore, ma di per sé non è preghiera interiore, ma esterna. Coloro che raggiungono l'abitudine della preghiera di Gesù fanno molto bene. Ma se si fermano solo a questo e non vanno oltre, si fermano a metà strada.Anche se stiamo recitando la Preghiera di Gesù, ci è ancora necessario mantenere il pensiero di Dio: altrimenti la preghiera è cibo secco. È bene che il nome di Gesù si unisca alla vostra lingua. Ma con questo è ancora possibile non ricordarsi per nulla di Dio a tutti e anche accogliere pensieri opposti a lui. Di conseguenza, tutto dipende da una cosciente e libera attenzione a Dio, e da uno sforzo equilibrato per mantenere se stessi in questo stato.

Perché la Preghiera di Gesù è più forte di altre preghiereLa preghiera di Gesù è come qualsiasi altra preghiera. È più forte di tutte le altre preghiere solo in virtù del nome onnipotente di Gesù, nostro Signore e Salvatore. Ma è necessario invocare il suo nome con una piena e incrollabile fede, con una profonda certezza che egli è vicino, ci vede e ci sente, presta attenzione di tutto cuore alla nostra richiesta, ed è pronto ad adempierla e a concedere ciò che cerchiamo. Non c'è nulla di cui vergognarsi in una tale speranza. Se l'adempimento avviene a volte in ritardo, questo può essere perché chi ha fatto la richiesta non è ancora pronto a ricevere quello che chiede.

Non è un talismanoLa preghiera del cuore non è un talismano (un anello o una pietra dai poteri magici). Il suo potere viene dalla fede nel Signore, e da una profonda unione della mente e del cuore con lui. Con tale disposizione, l'invocazione del nome del Signore diventa molto efficace in molti modi. Ma una semplice ripetizione delle parole non significa nulla.

La ripetizione meccanica non porta a nullaNon dimenticate che non dovete limitarvi a una ripetizione meccanica delle parole della preghiera del cuore. Questo non porterà a nulla se non all'abitudine di ripetere la preghiera automaticamente con la lingua, senza nemmeno pensarci. Non vi è, naturalmente, nulla di sbagliato in questo, ma costituisce solo l'estremo limite esterno dell'opera.

Page 236: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

236

La cosa essenziale è stare coscientemente alla presenza del Signore, con timore, fede e amore.

Preghiera orale e interioreSi può recitare la preghiera di Gesù con la mente nel cuore senza movimento della lingua. Questo è meglio della preghiera orale. Utilizzate la preghiera orale come supporto alla preghiera interiore. A volte è necessaria al fine di rafforzare la preghiera interiore.

Evitare i concetti visiviNon tenete alcuna immagine intermedia tra la mente e il Signore quando praticate la preghiera di Gesù. Le parole pronunciate sono solo un aiuto, e non sono essenziali. La cosa principale è stare davanti al Signore con la mente nel cuore. Questo, e non le parole, è la preghiera spirituale interiore. Le parole qui sono la parte essenziale della preghiera più o meno come le parole di ogni altra preghiera. La parte essenziale è dimorare in Dio, e questo camminare davanti a Dio significa che si vive con la convinzione della coscienza che Dio è in noi, come è in ogni cosa: si vive nella ferma certezza che egli vede tutto ciò che è all'interno di noi, e lo conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi. Questa consapevolezza dell'occhio di Dio che guarda il nostro essere interiore non deve essere accompagnata da alcun concetto visivo, ma deve limitarsi a una semplice convinzione o sentimento. Un uomo in una stanza calda sente come il calore avvolge e lo penetra. Lo stesso deve essere sulla nostra natura spirituale l'effetto della presenza onnicomprensiva di Dio, che è come il fuoco nella stanza del nostro essere.Le parole 'Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me' sono solo lo strumento e non l'essenza del lavoro, ma sono uno strumento molto forte ed efficace, perché il nome del Signore Gesù è una fonte di paura per i nemici della nostra salvezza e di benedizione per tutti coloro che lo cercano. Non dimenticate che questa pratica è semplice, e non deve avere nulla di fantasioso a riguardo. Pregate per ogni cosa il Signore, la sua purissima Madre, il vostro angelo custode, ed essi vi insegneranno ogni cosa, direttamente o tramite altri.

Immagini e illusioniPer non cadere in illusioni, praticando la preghiera interiore, non permettevi alcun concetto, immagine o visione. Infatti le fantasie vivaci, che guizzano avanti e indietro, e i voli di fantasia non cessano neanche quando la mente si trova nel cuore e recita la preghiera: e nessuno è in grado di governare le fantasie, tranne coloro che hanno raggiunto la perfezione per la grazia del santo Spirito, e hanno acquisito la stabilità della mente per mezzo di Gesù Cristo.

Dissipare tutte le immagini dalla menteMi chiedete della preghiera. Trovo negli scritti dei santi Padri, che quando pregate dovete dissipare tutte le immagini dalla vostra mente. Questo è ciò che anch'io cerco di fare, sforzandomi di capire che Dio è ovunque, e quindi (tra l'altro) anche qui, dove si trovano i miei pensieri e sentimenti. Io non posso riuscire a liberarmi completamente dalle immagini, ma a poco a poco esse evaporano sempre di più. Arriva un punto in cui scompaiono completamente.

Page 237: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

237

Beato Giustino Martire

APOLOGIAIndirizzoI. - 1. All’imperatore Tito Elio Adriano Antonino Pio Cesare Augusto e al figlio Verissimo filosofo, ed a Lucio, figlio del Cesare filosofo e, per adozione, del Pio, amante del sapere, al Sacro Senato ed a tutto il popolo romano.2. Io, Giustino, di Prisco, figlio di Baccheio, nativi di Flavia Neapoli, città della Siria di Palestina, ho composto questo discorso e questa supplica, in difesa degli uomini di ogni stirpe ingiustamente odiati e perseguitati, io che sono uno di loro.II.- 1. La ragione suggerisce che quelli che sono davvero pii e filosofi onorino e amino solo il vero, evitando di seguire le opinioni degli antichi qualora siano false. Infatti la retta ragione suggerisce non solo di non seguire chi agisce o pensa in modo ingiusto, ma bisogna che in ogni modo e al di sopra della propria vita, colui che ama la verità, anche se è minacciato di morte, scelga sia di dire sia di fare il giusto.2. Voi dunque godete in ogni luogo la fama di essere pii e filosofi e custodi della giustizia e amanti della sapienza: se poi davvero anche lo siete, sarà dimostrato.3. Eccoci infatti dinanzi a voi non per adularvi attraverso questi scritti né per parlarvi in modo accattivante, ma per chiedervi di pronunciare il giudizio secondo il criterio di un attento e preciso esame, senza attenervi a pregiudizi né al desiderio di piacere a gente superstiziosa: ritorcereste la condanna contro di voi stessi, con un comportamento irragionevole e seguendo una cattiva fama ormai inveterata.

Page 238: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

238

4. Noi infatti siamo persuasi che non possiamo subire alcun male da alcuno, a meno che si provi che siamo operatori di malvagità o che si riconosca che siamo malvagi: voi potete sì ucciderci, ma non nuocerci.Esaminare le accuseIII.- 1. Ma affinché nessuno pensi che queste siano parole senza senso e temerarie, riteniamo giusto che siano prese in esame le accuse mosse ai cristiani, e che, qualora esse si dimostrino rispondenti al vero, siano puniti come conviene punire i convinti colpevoli; se invece non si può provare nulla, la vera ragione non consente di trattare ingiustamente, a causa di una cattiva fama, uomini innocenti: o meglio, trattare ingiustamente voi stessi, che ritenete giusto intervenire (penalmente) secondo un impulso irrazionale anziché secondo un giudizio di discrezione.2. Chiunque sia saggio dimostrerà bella e giusta solo questa richiesta, che i sudditi rendano conto delle proprie azioni e delle proprie parole, come irreprensibili; e che, a loro volta, i governanti giudichino non secondo violenza o tirannicamente, ma seguendo pietà e sapienza. In tale modo sia i governanti sia i sudditi potrebbero godere della felicità.3. Disse in un passo anche uno degli antichi: “Se e governanti e sudditi non sono filosofi, non è possibile che le città siano felici.4. Nostro dovere, dunque, è di offrire a tutti la prova della nostra vita e delle nostre dottrine, affinché per colpa di coloro che vogliono ignorare quanto ci riguarda, proprio noi non paghiamo il fio di colpe che essi commettono per cecità; quanto a voi, è vostro dovere - secondo quanto richiede la ragione - dimostrarvi buoni giudici, ascoltandoci.5. Ingiustificabile sarà in seguito la vostra azione dinanzi a Dio se, dopo aver conosciuto i fatti, non agirete secondo giustizia.Non è accettabile la condanna del Solo “nome” cristianoIV. - 1. L’appellativo di un nome non si giudica né buono né cattivo, senza i fatti che sottostanno al nome stesso; del resto, per quanto attiene al nostro nome che ci viene contestato, noi siamo ottimi.2. Ma se, da una parte, non riteniamo giusto chiedere di essere assolti a causa del nome, qualora si dimostri che siamo colpevoli, così, d’altra parte, se non si trovano prove che commettiamo del male a causa del nome con cui siamo chiamati e di come viviamo, è vostro dovere adoperarvi per non dover pagare il fio alla giustizia per il fatto di punire ingiustamente coloro la cui colpevolezza non è provata.3. Infatti non sarebbe ragionevole che dal nome derivasse o lode o biasimo, se non si potesse dimostrare dalle opere la bontà o la malvagità di una cosa.4. Infatti non siete soliti condannare tutti coloro che sono accusati davanti a voi, prima che siano convinti di colpa. Invece, nei nostri confronti, usate il nome come prova, mentre, per quanto riguarda il nome, dovreste piuttosto punire i nostri accusatori.5. Infatti ci si accusa di essere cristiani: ma non è giusto odiare ciò che è buono.6. Viceversa: se uno degli accusati nega, a parole, affermando di non esserlo, voi lo lasciate andare libero, come se non aveste nulla di cui accusarlo come colpevole; se invece uno ammette di esserlo, voi lo punite per la sua ammissione. Bisogna invece esaminare la vita, sia di colui che confessa sia di colui che nega, affinché appaia chiaro, attraverso le opere, come ciascuno sia.7. Come, infatti, alcuni, appreso dal maestro Cristo a non negare, quando sono interrogati offrono buon esempio, allo stesso modo altri, vivendo male, offrono un’occasione a quelli che intendono accusare indiscriminatamente tutti i cristiani di empietà e di ingiustizia. 8. Ma neppure questo è giusto! Infatti, si pongono l’etichetta ed assumono l’atteggiamento di filosofi certuni che non compiono nulla degno di tale professione. Sapete come con l’unica denominazione di filosofi siano chiamati, tra gli antichi, anche uomini che hanno professato ed insegnato teorie opposte.

Page 239: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

239

9. Alcuni di costoro insegnarono l’ateismo, ed i poeti proclamano che Zeus è dissoluto, insieme ai suoi figli; eppure coloro che seguono gli insegnamenti di quelli non sono da voi imprigionati, anzi stabilite premi ed onori a chi, con belle parole, oltraggia questi dèi.L’influsso dei demoniV. - 1. Che significato può dunque avere ciò? Per noi, che professiamo di non commettere alcun male né di seguire tali dottrine atee, voi non apprestate processi regolari, ma, spinti da irragionevole passione e dalla sfera dei demoni malvagi, ci condannate senza processo e senza riflessione.2. Ma la verità sarà proclamata! Poiché anticamente cattivi demoni, facendo apparizione, violarono donne, corruppero fanciulli e mostrarono paurose visioni agli uomini, tanto che ne erano spaventati costoro, che non erano capaci di giudicare i fatti che capitavano con il lume della ragione, ma, preda della paura ed ignorando che quelli fossero demoni cattivi, li chiamavano dèi e ciascuno col nome che ciascun demone si assegnava.3. Quando poi Socrate con discorso ispirato alla verità e alla critica cercava di porre in chiaro questi fenomeni, e di allontanare gli uomini dai demoni, questi demoni, per opera di uomini che si compiacciono del male, fecero sì che anche lui fosse ucciso come ateo ed empio.Affermarono che voleva introdurre nuovi demoni: nello stesso modo operano nei nostri confronti.4. Infatti non solo tra i Greci queste menzogne furono confutate dalla ragione attraverso Socrate, ma anche fra i barbari dal Logos in persona, che prese forma e divenne uomo e si chiamò Gesù Cristo: obbedendo a Lui noi diciamo che i demoni, i quali hanno operato in codesto modo, non solo non sono buoni, ma sono cattivi ed empi, poiché non compiono nemmeno azioni simili agli uomini amanti della virtù.È ingiusto affermare che i cristiani sono ateiVI. - 1. Di qui ci è anche derivata l’accusa di atei. Certo ammettiamo di essere tali rispetto a questi supposti dèi, ma non certo rispetto a Dio verissimo, padre di giustizia e di sapienza e di ogni virtù, e immune da malvagità.2. Lui veneriamo e adoriamo, e il Figlio che da Lui è venuto e che ci ha insegnato queste dottrine, con l’esercito degli altri angeli buoni che Lo seguono e Lo imitano e lo Spirito Profetico: li onoriamo con ragione e verità trasmettendo con generosità quanto abbiamo imparato a chiunque voglia apprenderlo. VII. - 1. Ma - dirà qualcuno - è già accaduto che alcuni, arrestati, siano stati dimostrati colpevoli.2. Certo: ogni volta che esaminate la vita degli accusati, spesso voi ne condannate molti, ma non certamente a causa di chi è stato accusato in precedenza.3. Siamo perfettamente d’accordo anche su questo: che, come tra i Greci quanti professano dottrine a loro gradite sono chiamati con l’unico nome di filosofi, anche se le loro teorie sono contrastanti, così vi è una sola denominazione comune, d’imputazione, anche per quanti, tra i barbari, vissero e furono considerati sapienti: sono tutti chiamati cristiani.4. Per questo riteniamo giusto che siano prese in esame le azioni di quanti sono denunziati dinanzi a voi, affinché colui che è giudicato reo sia punito in quanto colpevole, non in quanto cristiano. Se poi uno è innocente, sia liberato in quanto cristiano innocente.5. Noi non pretenderemo che arriviate a punire gli accusatori: a loro bastano, infatti, la malvagità che hanno in sé e l’ignoranza del bene.No alla menzogna!VIII. - 1. Considerate che per il vostro bene noi diciamo queste cose, dal momento che dipenderebbe da noi negare quando siamo sottoposti a giudizio.2. Ma noi non vogliamo vivere col dire menzogne. Infatti, bramando la vita eterna e pura, noi aspiriamo al soggiorno con Dio Padre e Creatore di tutte le cose e ci affrettiamo a confessare,

Page 240: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

240

persuasi e fiduciosi che questo possano ottenere coloro che con le loro opere, dimostrano a Dio di averlo seguito e di aver desiderato di vivere con Lui, là dove il male non ha più potere.3. Dunque, per dirla in breve, è questo quanto noi ci aspettiamo ed abbiamo appreso da Cristo, e che insegniamo.4. Similmente Platone sosteneva che Radamante e Minosse puniranno i malvagi che giungeranno dinanzi a loro. Noi diciamo che accadrà lo stesso fatto, ma per opera di Cristo, e nei loro stessi corpi, unitamente alle anime di quelli, condannate alla pena eterna, e non solo della durata di mille anni, come egli sosteneva.5. Se, dunque, qualcuno dirà che questo non è credibile o non è possibile, tale errore riguarda noi e non altri, fino al momento in cui ci si dimostri, nei fatti, colpevoli di qualche delitto.Assurdità dell’idolatriaIX. - 1. Ma né con frequenti sacrifici né con corone di fiori noi onoriamo quelli che gli uomini, dopo averli effigiati e posti nei templi, chiamarono dèi, poiché sappiamo che sono oggetti inanimati e morti e privi della forma di Dio (infatti pensiamo che Dio non abbia una forma tale quale alcuni dicono di aver imitato per onorarli), ma hanno il nome e la forma di quei malvagi demoni che sono apparsi.2. Ma che bisogno c’è di dire a voi, che ben lo sapete, in quale modo gli artisti trattano la materia, scolpendo e tagliando e fondendo e battendo? Spesso, perfino ad oggetti vili, dopo aver cambiato solo la forma e aver loro dato una figura, pongono il nome di dèi.3. II che non solo noi riteniamo irragionevole, ma anche offensivo di Dio, il quale, dotato di gloria ed aspetto ineffabili, in questo modo darebbe nome ad oggetti corruttibili e bisognosi di cura.4. E che gli artefici di tali oggetti siano dissoluti e che possiedano i vizi tutti quanti (per non annoverarli ad uno ad uno), voi lo sapete bene; corrompono anche le giovani schiave che lavorano con loro.5. Quale demenza scegliere uomini dissoluti per plasmare e creare dèi da offrire alla venerazione, e porre simili guardie a custodia dei templi dove essi sono collocati, non vedendo che è scelleratezza pensare e dire che degli uomini siano custodi di dèi!Superiorità della fede in DioX. - 1. Noi invece abbiamo appreso che Dio non ha bisogno di offerte materiali da parte di uomini, dal momento che vediamo che è Lui stesso a somministrare ogni cosa; abbiamo imparato, e ne siamo convinti e crediamo, che Egli accoglie solo coloro che imitano il bene che è in Lui, cioè sapienza e giustizia e benignità, e tutto ciò che è proprio di Dio, il quale non può prendere alcun nome che Gli si imponga.2. Abbiamo appreso anche che Egli, in quanto è buono, ha creato in principio tutte le cose dalla materia informe per gli uomini; e se questi si mostreranno, nei fatti, degni del Suo volere, abbiamo appreso che diverranno degni di vivere con Lui regnando insieme con Lui, resi incorruttibili ed immuni dal dolore.3. Come infatti, all’inizio, trasse alla vita chi non esisteva, così riteniamo che saranno giudicati degni dell’immortalità e della vita presso di Lui coloro che, nelle loro scelte, preferiranno ciò che Gli è gradito.4. Incominciare ad esistere non dipendeva da noi; ma seguire ciò che gli è caro, scegliendo con le facoltà razionali di cui Egli stesso ci fece dono, questo sì ci persuade e ci conduce alla fede.5. E crediamo che sia un vantaggio per tutti gli uomini non essere impediti dall’imparare queste dottrine, ma anzi essere spinti verso di esse.6. Quanto infatti non furono in grado di fare le leggi umane, lo avrebbe compiuto il Logos divino, se i cattivi demoni non avessero disseminato menzogne ed empie accuse prendendo come alleate le

Page 241: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

241

passioni, che in ognuno sono del tutto malvagie e per natura varie. Ma nessuna di queste accuse ci riguarda.XI. - 1. E voi, sentito dire che noi attendiamo un regno, senza riflessione avete supposto che parlassimo di un regno umano, mentre parliamo di quello divino, come appare anche dal fatto che, interrogati da voi, confessiamo di essere cristiani, pur sapendo che per chi confessa è riservata, come pena, la morte.2. Se, infatti, ci attendessimo un regno terreno, negheremmo per non essere uccisi e cercheremmo di vivere nascosti per conseguire il nostro scopo: ma, dal momento che abbiamo le speranze rivolte non al presente, non ci diamo pensiero di coloro che ci uccidono: in ogni modo si deve morire.Siamo vostri alleati per la paceXII.- 1. Più di tutti gli uomini noi vi siamo utili ed alleati per la pace, dal momento che questo è il nostro pensiero: è impossibile che sfugga a Dio il malfattore o l’avido o l’insidiatore, o anche l’uomo virtuoso, e ciascuno va verso un’eterna pena o salvezza, secondo che meritano le sue azioni.2. Se tutti gli uomini conoscessero queste verità, nessuno sceglierebbe il male per poco tempo, sapendo di avviarsi alla condanna eterna attraverso il fuoco, ma con ogni mezzo si imporrebbe una disciplina e si adornerebbe di virtù per ottenere i beni che provengono da Dio e tenersi lontano dalle punizioni.3. Infatti coloro che, a motivo delle leggi da voi imposte, cercano di nascondersi e compiere il male - essi compiono il male perché sanno che è possibile occultarsi a voi che siete uomini -, se comprendessero, e fossero persuasi, che è impossibile che a Dio sfugga qualcosa, non solo compiuto ma anche pensato, anche per le pene minacciate dall’alto sarebbero, sotto ogni aspetto, cittadini onesti, così come anche voi consentirete.4. Ma sembra che voi temiate che tutti agiscano rettamente e che non abbiate poi più chi punire: ma questo sarebbe proprio da carnefici, non di buoni principi!5. Noi siamo persuasi che anche questo sia opera di demoni malvagi - come abbiamo detto sopra -, i quali pretendono sacrifici e culto da parte di uomini che non vivono secondo ragione; ma non possiamo supporre che agiate irrazionalmente voi che ricercate pietà e filosofia.6. Se poi anche voi, come gli sciocchi, stimate le usanze più della verità, fate pure quel che potete; anche i potenti, quando antepongono l’opinione alla verità, possono tanto quanto dei ladri in un deserto.7. Ma il Logos dimostra che non otterrete buoni auspici, quel Logos di cui sappiamo che, dopo Dio che l’ha generato, non esiste alcuna autorità più regale e più giusta.8. Come infatti tutti evitano di ricevere in eredità dal padre povertà o dolori o cattiva fama, così pure il saggio non sceglierà ciò che il Logos suggerisce non doversi scegliere.9. Che tutto questo avverrà, lo predisse - posso affermarlo - il nostro Maestro, figlio ed inviato del Padre e Signore dell’universo, Gesù Cristo, dal quale abbiamo derivato anche il nome di cristiani.10. Di conseguenza siamo anche ben fermi in tutto ciò che ci è stato insegnato da Lui, poiché i fatti confermano che si compie tutto quanto Egli aveva predetto. Ed è certo opera di Dio sia predire le cose prima che avvengano sia mostrare che sono accadute conforme alla predizione.11. Potremmo dunque anche a proposito di questi fatti terminare senza aggiungere altro, consci di chiedere cose giuste e vere: ma poiché sappiamo che non è facile che un’anima preda dell’ignoranza si trasformi in breve tempo, abbiamo pensato di aggiungere qualche breve argomentazione per persuadere gli amanti della verità, sapendo che non è impossibile fugare l’ignoranza, se le si contrapponga la verità.Noi non siamo ateiXIII. - 1. Dunque, quale persona ragionevole non ammetterà che noi non siamo atei, dal momento che veneriamo il creatore di questo universo e diciamo che Egli non ha bisogno di sangue e di

Page 242: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

242

libagioni e di profumi, come ci è stato insegnato, e Lo lodiamo, per quanto possono le nostre forze, con espressioni di preghiera e rendimento di grazie per tutto ciò che ne riceviamo, poiché sappiamo che il solo onore degno di Lui è non consumare nel fuoco ciò che da Lui ci viene per il nostro sostentamento, ma distribuirlo fra noi stessi e a quanti ne hanno bisogno?2. Sappiamo essergli grati, innalzandogli lodi e inni per essere stati creati e per tutti i mezzi atti a procurarci benessere per tutte le qualità dei prodotti e la varietà delle stagioni, ed elevandogli preghiere per vivere poi nell’incorruttibilità, a nostra volta, attraverso la fede in Lui.3. Dimostreremo poi che a ragione noi veneriamo Colui che ci è stato maestro di queste dottrine, e per questo è stato generato, Gesù Cristo, crocifisso sotto Ponzio Pilato, governatore della Giudea al tempo di Tiberio Cesare; abbiamo appreso che Egli è il figlio del vero Dio, e Lo onoriamo al secondo posto, ed in terzo luogo lo Spirito Profetico.4. In questo credono di dimostrare la nostra follia, dicendo che noi diamo il secondo posto, dopo l’immutabile ed eterno Dio, creatore di tutte le cose, ad un uomo posto in croce, poiché non conoscono il mistero che vi è dentro: questo vi esortiamo a considerare attentamente, poiché ci apprestiamo a spiegarvelo.La vita nuovaXIV.- 1. Vi diciamo innanzitutto di guardarvi dal farvi trarre in inganno dai demoni da noi prima accusati, e dal lasciarvi distogliere dal venire a piena conoscenza e dal comprendere quanto vi si dice (si sforzano infatti di avervi come schiavi e servitori: talvolta attraverso apparizioni di sogni, talvolta attraverso astuzie di magia, riducono in proprio potere tutti coloro che in nessun modo lottano per la propria salvezza); così come anche noi, dopo aver creduto nel Logos, ci siamo allontanati da loro, e seguiamo il solo ingenerato Iddio, per mezzo del Suo Figlio.2. Noi che prima godevamo della dissolutezza, ora amiamo solo la continenza; noi che usavamo arti magiche, ora ci siamo consacrati al Dio buono ed ingenerato; noi che ambivamo, più degli altri, a conseguire ricchezze e beni, ora mettiamo in comune anche ciò che abbiamo e lo spartiamo con i bisognosi.3. Noi che ci odiavamo l’un l’altro e ci uccidevamo e non spartivamo il focolare con coloro che non erano della nostra stirpe o avevano diversi costumi ora, dopo la manifestazione di Cristo, viviamo in comunità e preghiamo per i nemici e ci sforziamo di persuadere quanti ingiustamente ci odiano affinché, vivendo secondo i buoni comandamenti di Cristo, abbiano la bella speranza di ottenere, insieme con noi, la stessa ricompensa da parte di Dio, signore di tutte le cose.4. Per non sembrarvi sofisticare, abbiamo ritenuto fosse bene, prima della dimostrazione, richiamare alcuni pochi insegnamenti di Cristo stesso; sia poi compito vostro, di imperatori potenti quali voi siete, esaminare se quanto abbiamo appreso e insegniamo, risponda a verità.Brevi e concisi sono i suoi discorsi: Egli infatti non era un sofista, ma la Sua parola era potenza di Dio.Alcuni insegnamenti di CristoXV. - 1. Dunque, riguardo alla continenza, disse così “Chi guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio in cuor suo dinanzi a Dio”.2. E ancora: “Se il tuo occhio destro ti scandalizza, cavatelo; infatti è meglio per te entrare con un occhio solo nel regno dei cieli che essere gettato con tutti e due nel fuoco eterno”,3. E ancora: “Chi prende in moglie una donna ripudiata da un altro uomo, commette adulterio”.4. E: “Vi sono alcuni resi eunuchi dagli uomini; vi sono alcuni generati eunuchi; vi sono ancora alcuni che si resero eunuchi per il regno dei cieli; ma non tutti comprendono ciò”.5. Ugualmente anche coloro che contraggono un secondo matrimonio secondo la legge umana sono peccatori dinanzi al nostro Maestro, così come coloro che guardano una donna per desiderarla:

Page 243: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

243

infatti viene respinto da Lui non solo chi è adultero di fatto ma anche chi desidera commettere adulterio, poiché a Dio sono palesi non solo le azioni, ma anche le intenzioni.6. E molti uomini e donne di sessanta o settanta anni, che fin da fanciulli furono ammaestrati negli insegnamenti di Cristo, perseverano incorrotti. E mi vanto di potervi mostrare uomini siffatti sparsi in ogni classe.7. C’è forse bisogno di parlare dell’innumerevole moltitudine di coloro che si sono convertiti da una vita dissoluta e hanno appreso questa verità? Infatti Cristo non ha chiamato alla conversione i giusti e i sobri, ma gli empi e i dissoluti e gli ingiusti.8. Così disse: “Non sono venuto a chiamare a conversione i giusti, ma i peccatori”. Il Padre celeste vuole infatti la conversione del peccatore, piuttosto che la sua punizione.9. Quanto poi all’amore verso tutti, così insegnò: “Se amate coloro che vi amano, che cosa fate di nuovo? Infatti anche gli impuri lo fanno. Ma io vi dico: - Pregate per i vostri nemici e amate chi vi odia e benedite coloro che vi maledicono e pregate per coloro che vi calunniano”.10. Quanto poi al fare parte dei beni con i bisognosi, e a non fare nulla per ottenere gloria, così disse: “A chiunque chiede, date, e non fuggite chi vuol chiedervi un prestito. Se infatti prestate a coloro dai quali sperate di ricevere indietro, che cosa fate di nuovo? Anche i pubblicani fanno così”.11. “Ma voi non vogliate accumularvi tesori sulla terra, dove tarlo e ruggine li consumano ed i ladri li rubano; ma accumulate tesori per voi nei cieli, dove né tarlo né ruggine consumano. Che gioverà infatti all’uomo se egli guadagna il mondo intero, ma perde la sua anima? O che cosa darà in cambio di essa? Accumulate dunque tesori nei cieli, dove né tarlo né ruggine li consumano”. E: “Siate benigni e misericordiosi, come anche il Padre vostro è benigno e misericordioso e fa levare il sole sui peccatori e sui giusti e sui cattivi”.12. “Non preoccupatevi di che mangerete o di che vestirete. Non valete voi più degli uccelli e delle fiere? Eppure Dio li nutre. Dunque non preoccupatevi di che mangerete e di che vestirete. Il Padre vostro dei cieli sa infatti che avete bisogno di questo. Cercate invece il regno dei cieli e tutte queste cose vi saranno date in sovrappiù. Infatti dove è il tesoro, là è anche la mente dell’uomo”.13. E ancora: “Non fate queste cose per essere visti dagli uomini; se no, non avrete ricompensa dal Padre vostro che è nei cieli”. XVI. - 1. Quanto poi all’essere tolleranti e servizievoli verso tutti, e non iracondi, queste sono le Sue parole: “A chi ti percuote una guancia, offri anche l’altra, e non impedire chi ti toglie la tunica o il mantello”.2 “Chi poi si adira, è colpevole di fuoco. Chi ti costringe a seguirlo per un miglio, seguilo per due. Risplendano le vostre buone opere dinanzi agli uomini, affinché essi, vedendole, ammirino il Padre vostro che è nei cieli”.3. Non bisogna opporre resistenza, né egli ha voluto che fossimo imitatori dei malvagi, ma ci esortò ad allontanare tutti dall’ignominia e dal desiderio del male, attraverso la tolleranza e la mansuetudine.4. E questo possiamo mostrarlo anche a proposito di molti, che un tempo furono nelle vostre file: da violenti e dispotici che erano, cambiarono vita, trascinati dal seguire la fortezza di vita dei vicini o dall’osservare la mirabile pazienza di loro compagni vessati, o anche dal mettere a prova i colleghi di lavoro.5. Quanto al non fare, in senso assoluto, giuramenti, e al dire sempre la verità, queste sono le Sue prescrizioni: “Non giurate affatto; ma il vostro sì sia sì e il no, no; tutto ciò che è in più, viene dal maligno”. 6. E che bisogna adorare il solo Dio ci persuase dicendo così: “Il massimo comandamento è questo: adorerai il Signore Dio tuo e Lui solo servirai con tutto il tuo cuore e con tutta la tua forza, il Signore Iddio che ti ha creato”.

Page 244: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

244

7. E quando gli si avvicinò un tale e gli disse: “Maestro buono”; Egli gli rispose con queste parole: “Nessuno è buono, se non l’unico Dio che tutto ha creato”.8. Coloro poi che non si ritrovano a vivere i suoi comandamenti, non si riconoscano come cristiani, anche se, con la lingua, ripetono gli insegnamenti di Cristo. Infatti disse che si sarebbero salvati non quelli che parlano soltanto ma quelli che compiono anche i fatti.9. E disse così: “Non chiunque mi dice - Signore, Signore - entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”.10. “Infatti chi ascolta me, e fa quanto io dico, ascolta Colui che mi ha mandato”. 11. “Molti mi diranno - Signore, non mangiammo e bevemmo e compimmo miracoli nel Tuo nome? - Ed allora io dirò ad essi: - Allontanatevi da me operatori di iniquità”.12. “Allora sarà pianto e stridore di denti, quando i giusti risplenderanno come il sole e gli ingiusti saranno mandati nel fuoco eterno”.13. “Molti infatti verranno nel mio nome, vestiti di fuori di pelli di pecora, mentre dentro sono lupi rapaci: dalle loro opere li riconoscerete. Ogni albero che non produce buoni frutti viene tagliato e gettato nel fuoco”.14. Chiediamo dunque anche a voi che si puniscano coloro che vivono non coerentemente con i Suoi insegnamenti e che di cristiano hanno solo il nome.Siamo sudditi leali dell’imperoXVII. - 1. Noi cerchiamo di pagare, prima di tutti gli altri, dovunque, tasse e tributi ai vostri incaricati, come Egli ci ha insegnato.2. In quel tempo infatti alcuni si avvicinarono a Lui e gli chiedevano se bisognasse pagare i tributi a Cesare. Ed Egli rispose: “Ditemi: di chi reca l’effigie la moneta” “Di Cesare, dissero”, ed Egli di rimando a loro: “Date dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”.3. Pertanto solo Dio sì, noi adoriamo, ma, per tutto il resto di buon grado serviamo a voi riconoscendovi imperatori e capi di uomini, mentre facciamo voti che si trovi in voi saggezza di pensiero, insieme al potere imperiale.4. Se poi ci disprezzerete, mentre pur preghiamo e mettiamo ogni cosa alla luce del sole, non saremo noi ad essere danneggiati, poiché abbiamo fede, o meglio, siamo convinti che ciascuno pagherà la pena attraverso il fuoco eterno, a misura delle azioni e gli sarà chiesto conto in proporzione delle facoltà che ha ricevuto da Dio, come Cristo ci ha indicato quando ha detto: “A chi più Dio ha dato, più sarà anche richiesto”.L’immortalità dell’anima e la risurrezioneXVIII. - 1. Volgete lo sguardo alla fine di ciascuno degli imperatori precedenti, come siano morti della morte comune a tutti. Se questa conducesse alla cessazione di ogni sensibilità, sarebbe un guadagno per tutti gli ingiusti.2. Ma poiché a tutti coloro che sono vissuti rimane la sensibilità ed è apprestata una punizione eterna, non trascurate di persuadervi e di credere che queste sono cose vere.3. Le negromanzia, infatti, e le osservazioni di fanciulli incontaminati e le evocazioni di anime umane e gli spiriti che, presso i maghi, sono detti evocatori di sogni e loro assistenti e tutti i fenomeni che avvengono per opera dei conoscitori di scienze occulte, vi persuadano che anche dopo la morte le anime mantengono le facoltà sensitive;4. ve ne persuadano anche gli uomini posseduti e agitati dalle anime dei defunti, che tutti chiamano indemoniati e furiosi, e quelli che voi chiamate oracoli di Anfiloco e di Dodona e della Pizia, e quanti altri esistono di tal genere,5. e gli insegnamenti degli scrittori - Empedocle e Pitagora e Platone e Socrate, e la fossa nominata da Omero e la discesa di Ulisse alla scoperta di quei misteri - e di quanti affermano cose simili.

Page 245: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

245

6. A1 pari di essi date retta, dunque, anche a noi: noi che, non meno di loro, anzi di più, crediamo in Dio, noi che speriamo di riprendere i nostri corpi, anche se morti e gettati nella terra, poiché diciamo che nulla è impossibile a Dio.XIX - 1. E, per chi ci pensa bene, qualora non esistessimo nel corpo, cosa potrebbe apparire più incredibile del fatto che qualcuno ci dicesse che da una piccola stilla del seme umano è possibile che derivino e ossa e nervi e carne, manifestata con la forma che noi vediamo?2. Immaginiamo ora per ipotesi: se voi non foste così come siete né foste generati da tali persone, e qualcuno, mostrandovi il seme umano e poi un’immagine dipinta, affermasse con assoluta certezza che da un simile seme nasce un essere siffatto, prima di vederlo, voi ci credereste? Nessuno oserebbe negare che non gli credereste!3. Nello stesso modo, perché non avete ancora visto un morto resuscitare siete dominati dall’incredulità.4. Ma, come all’inizio non avreste creduto che potessero nascere uomini così fatti da una piccola stilla, eppure li vedete formati, così dovete pensare che non sia impossibile che i corpi umani, dissolti e disfatti nella terra come semi, al momento opportuno, per ordine di Dio, risorgano e “si rivestano di incorruttibilità”.5. Non si può dire quale potenza degna di Dio ammettano coloro che dicono che ogni cosa torna a ciò da cui fu generata, e che neppure Dio può nulla contro questa legge; ma noi ne deduciamo che non avrebbero creduto fosse possibile che mai si generassero esseri siffatti, tali quali vedono, cioè se stessi e tutto l’universo: e generati da quali elementi!6. Abbiamo imparato che è meglio credere anche a ciò che è impossibile, sia alla nostra natura sia agli uomini, piuttosto che non credervi, come gli altri, poiché sappiamo che anche il nostro Maestro Gesù Cristo ha detto: “Ciò che è impossibile presso gli uomini, è possibile presso Dio”.7. E disse anche: “Non temete coloro che vi uccidono e, dopo, non possono fare alcunché; temete invece colui che può, dopo la morte, gettare sia l’anima sia il corpo nella Geenna”.8. La Geenna è il luogo dove sono destinati ad essere puniti quanti sono vissuti iniquamente e non credono che avverrà quanto Dio attraverso Cristo, ci ha insegnato.Teorie pagane affini...XX. - 1. Sia la Sibilla sia Istaspe profetarono la distruzione, attraverso il fuoco, di ciò che è corruttibile.2. I filosofi chiamati Stoici insegnano che anche Dio stesso si dissolve nel fuoco, ed affermano che il mondo, dopo una trasformazione, risorgerà. Noi invece pensiamo che Dio, creatore del tutto, sia qualcosa di superiore a ciò che muta.3. Se dunque noi sosteniamo alcune teorie simili ai poeti ed ai filosofi da voi onorati ed alcune anche superiori e divine e, soli, possiamo dimostrarvele, perché siamo ingiustamente odiati più di tutti?4. Quando diciamo che tutto è stato ordinato e prodotto da Dio, sembreremo sostenere una dottrina di Platone; quando parliamo di distruzione nel fuoco, quella degli Stoici; quando diciamo che le anime degli iniqui sono punite mantenendo la sensibilità anche dopo la morte, e che le anime dei buoni, liberate dalle pene, vivono felici, sembreremo sostenere le stesse teorie di poeti e di filosofi;5. quando diciamo che non bisogna adorare opere di mano umana, siamo d’accordo con il comico Menandro e con quanti espressero le stesse idee. Dimostrarono infatti che il creatore è superiore a ciò che è creato.... anche a proposito di Gesù CristoXXI. - 1. Quando noi diciamo che il Logos, che è il primogenito di Dio, Gesù Cristo il nostro Maestro, è stato generato senza connubio, e che è stato crocifisso ed è morto e, risorto, è salito al cielo, non portiamo alcuna novità rispetto a quelli che, presso di voi, sono chiamati figli di Zeus.

Page 246: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

246

2. Voi sapete infatti di quanti figli di Zeus parlino gli scrittori onorati da voi: Ermete, il Logos interpretativo e maestro di ogni arte; Asclepio, che fu anche medico e, colpito dal fulmine, ascese al cielo; Dioniso, che fu dilaniato; Eracle, che si gettò nel fuoco per sfuggire alle fatiche; i Dioscuri, figli di Leda; e Perseo, figlio di Danae; e Bellerofonte, che di tra gli uomini ascese con il cavallo Pegaso.3. Che bisogno c’è poi di parlare di Arianna, e di quanti, al pari di lei, si dice siano stati trasformati in astri? O dei vostri imperatori che, morti, sempre ritenete degni dell’immortalità, anzi producete persino qualcuno che giura di aver visto il Cesare cremato, elevarsi dalla pira verso il cielo!4. Ma a chi già conosce questi fatti non è necessario dire quali azioni si raccontino di ciascuno dei cosiddetti figli di Zeus; dirò solo che tutto questo è stato scritto per aiutare ed esortare i discepoli: tutti infatti stimano bello farsi iettatori degli dei!5. Ma da ogni anima retta sia lontano questo convincimento circa gli dei, che persino colui che, secondo loro, è re e genitore di ogni cosa, Zeus, sia parricida e figlio di simile padre, e che, vinto dalla smania di malvagi e turpi piaceri, sia arrivato a corrompere Ganimede e molte donne, e che i suoi figli abbiano continuato a compiere azioni simili alle sue. Invece, come abbiamo già detto, furono i demoni cattivi a compiere queste azioni. Noi abbiamo appreso che ottengono l’immortalità solo coloro che conducono una vita santa e virtuosa, vicino a Dio e crediamo che coloro che vivono iniquamente e non si pentono sono puniti nel fuoco eterno.XXII.- 1. Il Figlio di Dio, chiamato Gesù, se anche fosse solo uomo comune per sapienza, sarebbe degno di essere chiamato figlio di Dio. Infatti tutti gli scrittori chiamano Dio padre sia degli uomini sia degli dei.2. Se poi, come abbiamo affermato sopra, noi affermiamo che Egli è stato generato da Dio come Logos di Dio stesso, in modo speciale e fuori dalla normale generazione, questa concezione è comune alla vostra, quando dite che Ermete è il Logos messaggero di Zeus.3. Se poi qualcuno ci rimproverasse il fatto che Egli fu crocifisso anche questo è comune ai figli di Zeus annoverati prima, i quali, secondo voi, furono soggetti a sofferenze.4. Anche di loro infatti si narrano patimenti di morte non eguali, ma diversi. Cosicché neppure nella particolarità della sofferenza Egli sembra essere inferiore; anzi, come abbiamo promesso, nel seguito del discorso dimostreremo che è anche superiore; o meglio, questo e già dimostrato: infatti chi è superiore si rivela dalle opere.5. Se poi diciamo che è stato generato da una vergine, anche questo sia per voi un elemento comune con Perseo.6. Quando affermiamo che Egli ha risanato zoppi e paralitici ed infelici dalla nascita, e che ha resuscitato dei morti, anche in queste affermazioni appariremo concordare con le azioni che la tradizione attribuisce ad Asclepio.I tre argomenti che intende trattareXXIII. - 1. Affinché ormai appaia evidente anche questo, vi dimostreremo che quanto noi diciamo, per averlo imparato da Cristo e dai Profeti che lo precedettero, è la sola verità, e che è più antica di tutti gli scrittori; e che chiediamo di essere creduti non perché diciamo le stesse cose ma perché diciamo la verità:2. che il solo Gesù Cristo è stato propriamente generato figlio di Dio, Suo Logos e primogenito e potenza operatrice e, fatto uomo per Sua volontà, ci ha dato questi insegnamenti per la liberazione e la rigenerazione del genere umano;3. e che, prima che si facesse uomo tra gli uomini, alcuni - intendo dire i cattivi demoni già nominati - per bocca dei poeti si affrettarono a raccontare come veramente accaduti i fatti di cui favoleggiarono, nello stesso modo che anche crearono infamie e nefandezze, che ci vengono rinfacciate, e di cui non esiste alcun testimone né alcuna prova.

Page 247: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

247

a) Noi soli siamo perseguitatiXXIV. - 1. In primo luogo accade che, pur sostenendo idee simili a quelle dei Greci, noi soli siamo odiati a causa del nome di Cristo, e, pur non facendo nulla di male, siamo uccisi come colpevoli, mentre altri, chi qua chi là, venerano alberi e fiumi e topi e gatti e coccodrilli e molti altri animali privi di ragione: anzi, non sono venerati da tutti sempre gli stessi, ma gli uni in un luogo gli altri in un altro, cosicché appaiono irreligiosi, gli uni rispetto agli altri, per il fatto che non venerano gli stessi elementi.2. L’unica colpa che ci potete imputare è che non veneriamo gli stessi dèi che venerate voi, e che non portiamo libagioni ai morti, né grasso di vittime, né corone sulle tombe, né facciamo sacrifici.3. Ma sapete benissimo che le stesse cose dagli uni sono ritenute dèi, dagli altri bestie, dagli altri ancora vittime sacrificali.b) Ora disprezziamo la divinità che un tempo adoravamoXXV 1. In secondo luogo: tra tutto il genere umano, noi - che anticamente adoravamo Dioniso figlio di Semele, ed Apollo figlio di Latona (e c’è da vergognarsi anche solo a pronunciare quali azioni compirono per amore di maschi), e Persefone e Afrodite impazzite di folle passione per Adone (di esse celebrate persino i misteri), o Asclepio o qualunque altro dei cosiddetti dèi - noi abbiamo preso a disprezzarli, con l’aiuto di Gesù Cristo, anche se siamo minacciati di morte;2. e ci siamo consacrati al Dio ingenerato ed immune da dolore. Siamo certi che Egli non fece violenza, per folle passione, né ad Antiope né ad altre donne simili, né a Ganimede; che non venne liberato grazie all’intervento di quel centimano per il soccorso ricevuto da Teti, né che per quel beneficio si fece pensiero che Achille, figlio di Teti, per la concubina Briseide rovinasse molti Greci.3. Anzi noi abbiamo pietà di quanti vi credono: ben sappiamo che sono i demoni la causa di tutto ciò.c) I sedicenti dèi, suscitati dai demoni, non furono perseguitatiXXVI. - 1. In terzo luogo: anche dopo l’ascesa di Cristo al cielo, i demoni continuavano a suscitare uomini che dicevano di essere dèi; e questi non solo non furono perseguitati da voi ma furono stimati degni di onore.2. Così un tale Simone di Samaria di un villaggio chiamato Gitton, - il quale sotto l’imperatore Claudio compiva prodigi magici, per mezzo dell’arte dei demoni che operavano in lui, nella vostra città imperiale di Roma - fu ritenuto dio, è stato onorato da voi di una statua; questa statua è stata eretta nel fiume Tevere tra i due ponti, con la scritta in latino: “Simoni deo sancto”.3. E quasi tutti i samaritani, e pochi anche di altri popoli, lo riconoscono e lo adorano quale primo dio. Sostengono anche che una certa Elena, che si accompagnava con lui in quel tempo, e che prima era stata in un lupanare, è il primo pensiero emanato da lui.4. Sappiamo poi che un tale Menandro, anche lui samaritano, del villaggio di Capparetea, fattosi discepolo di Simone e posseduto anche lui dai demoni, recatosi ad Antiochia, ingannò molti attraverso l’arte magica: egli persuase anche i suoi seguaci che non sarebbero morti. E vi sono tuttora alcuni di quella scuola che ci credono.5. Vi è poi un certo Marcione del Ponto, il quale tuttora insegna ai suoi seguaci a credere che esiste un altro Dio superiore al creatore. Costui, in mezzo ad ogni genere di uomini, con l’aiuto dei demoni, è riuscito a far sì che molti pronuncino bestemmie e neghino che Dio sia creatore dell’universo, e ammettano che un altro, il quale sarebbe superiore a Lui, ha compiuto cose maggiori di lui.6. Tutti coloro che si ispirano ad essi, come abbiamo detto, sono chiamati cristiani, nello stesso modo che tra i filosofi anche coloro che non hanno in comune le stesse teorie, hanno in comune la stessa denominazione.

Page 248: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

248

7. Se poi compiano quelle nefandezze di cui si favoleggia, rovesciamento di lampada ed accoppiamenti impudichi e pasti di carni umane, non sappiamo. Sappiamo però che non sono né perseguitati né uccisi da voi, almeno a causa delle loro dottrine.8. E’ stato da noi composto anche un trattato contro tutte le eresie che sono sorte: se volete leggerlo, ve lo faremo avere.Perché non esponiamo i neonatiXXVII. - 1. A noi, per non commettere alcuna ingiustizia o empietà, è stato insegnato che è proprio dei malvagi esporre i neonati: prima di tutto, perché vediamo che sono tutti avviati alla prostituzione, e non solo le fanciulle, ma anche i giovinetti; e, come si dice che gli antichi allevassero greggi di buoi o di capre o di pecore o di cavalli, così ora allevano anche fanciulli solo per farne un uso vergognoso. Similmente, presso tutto il popolo, ecco torme di donne e di ermafroditi e di uomini abominevoli comportarsi secondo questa nefandezza2. e voi ne traete guadagni e tributi ed imposte, mentre bisognerebbe estirparli dalla vostra terra.3. E qualcuno di questi profittatori, oltre alle unioni nefande ed empie e sfrenate, se capita si unisce al figlio o ad un parente od al fratello.4. Alcuni prostituiscono anche i propri figli e le mogli; altri apertamente si evirano per impudicizia e celebrano i misteri in onore della madre degli dèi; e ad ognuno di quelli che da voi sono ritenuti dèi si attribuisce un serpente come grande simbolo e mistero.5. Tutto ciò che è compiuto da voi apertamente ed è tenuto in onore, voi lo attribuite a noi, come se fosse rovesciato ed assente il lume di Dio. Ma questo non reca danno a noi, che siamo ben lontani dal compiere qualcuna di queste azioni, bensì a chi le compie e rende falsa testimonianza.XXVIII. - l. Da noi infatti il capo dei demoni malvagi è chiamato serpente e satana e diavolo, come voi potete apprendere anche da un esame dei nostri scritti. Di lui Cristo ha predetto che sarà cacciato nel fuoco con il suo esercito e con gli uomini che lo seguono, per essere puniti per l’eternità.2. L’indugio di Dio nel non compiere ancora tutto questo è a beneficio del genere umano: Egli infatti preconosce che alcuni si salveranno attraverso il pentimento, anche di quelli che non sono ancora nati.3. Egli in principio ha creato il genere umano dotato di ragione e capace di scegliere il vero ed il buon agire, cosicché gli uomini non hanno giustificazione davanti a Dio, in quanto sono dotati di ragione e di capacità di discernimento.4. Se qualcuno non crede che Dio si occupi di costoro, o dovrà con artifizi ammettere che Egli non esiste o che, pur esistendo, gode del male, o che rimane simile a una pietra, e che virtù e iniquità non sono nulla, e che gli uomini giudicano le cose buone o cattive solo secondo l’opinione soggettiva: e questa è gravissima empietà ed iniquità.XXIX. - 1. Inoltre: badiamo che i neonati non siano esposti, affinché non succeda che qualcuno degli esposti muoia, perché non raccolto, e noi diveniamo omicidi. D’altra parte, o fin dall’inizio non ci dovevamo sposare, se non per allevare i figli, oppure, rifiutando il matrimonio, vivere nella perfetta castità.2. E già uno dei nostri (per persuadervi che non è un rito misterico presso di noi l’unione libera) ad Alessandria consegnò uno scritto al governatore Felice chiedendogli di permettere al medico di evirarlo. Infatti i medici del luogo dicevano che non si poteva fare senza il permesso del governatore.3. E poiché in nessun modo Felice volle sottoscrivere, il giovane rimase casto, contento della buona coscienza sua e di quanti sentivano come lui.4. Non riteniamo fuor di luogo ricordare qui anche Antinoo, vissuto ai nostri tempi, che tutti, per paura, erano spinti a venerare come dio, pur sapendo chi fosse e di dove venisse.

Page 249: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

249

La persona di Gesù, il CristoXXX. - 1. Affinché nessuno ci faccia questa obiezione: “Che cosa impedisce che anche colui che da noi è chiamato Giusto, uomo figlio di uomini, abbia compiuto per arte magica quelli che chiamiamo miracoli, e per questo sia sembrato essere figlio di Dio?”, è ormai il momento di darne la dimostrazione, non credendo per fede a coloro che li narrano, ma necessariamente persuasi da quanti profetarono prima che i fatti accadessero, dal momento che vediamo con i nostri occhi che i fatti sono accaduti ed accadono così come è stato profetato e questa non potrà non apparire anche a voi - così crediamo a dimostrazione più probante e più vera.I Profeti e i loro vaticiniX . Dunque, certi uomini tra i Giudei sono stan Profeti di Dio, ed attraverso di loro lo Spirito Profetico preannunciò quanto sarebbe accaduto, prima che accadesse. I re dei Giudei che si avvicendarono nel tempo, come vennero in possesso delle Profezie, le custodirono con zelo - esattamente come furono pronunciate quando quelli profetavano - in libri composti dagli stessi Profeti, nella loro lingua ebraica.2. Quando Tolomeo, re d’Egitto, apprestava una biblioteca e cercava di raccogliervi gli scritti di tutti gli uomini, avuta notizia anche di queste Profezie, mandò a chiedere all’allora re dei Giudei, Erode, di inviargli i libri dei Profeti.3. Ed il re Erode gli inviò i libri scritti nella lingua ebraica, come ho detto prima.4. Però, poiché il loro contenuto non era comprensibile agli Egizi, di nuovo mandò a chiedere di inviargli dei traduttori in lingua greca.5. Fatto ciò, i libri sono rimasti presso gli Egizi fino ad ora, e si trovano dovunque, presso tutti i Giudei. Questi, però, pur sapendoli leggere, non ne comprendono il contenuto, ma ci ritengono avversari e nemici, e, come voi, ci uccidono e ci perseguitano quando possono, come potete constatare anche voi.6. Infatti, anche nella recente guerra Giudaica, Barkokeba, il capo della rivolta dei Giudei, comandava che venissero condotti a crudeli supplizi solo i cristiani, se non rinnegavano e bestemmiavano Gesù Cristo.7. Tuttavia è proprio nei libri dei Profeti che trovammo vaticinato il nostro Gesù Cristo, la sua venuta, la sua nascita da una vergine, il suo divenire uomo, il suo guarire ogni malattia e ogni infermità, il suo risuscitare i morti; trovammo che sarebbe stato odiato, ignorato e crocifisso, che sarebbe morto e risorto e salito al cielo; che è ed è chiamato figlio di Dio, e che alcuni uomini sono inviati da Lui ad annunziare queste cose a tutto il genere umano e che avrebbero creduto in Lui di preferenza i pagani.8. Egli fu preannunziato una volta cinquemila anni, una volta tremila, una volta duemila, ed ancora mille, e un’altra volta ottocento anni prima della Sua comparsa, poiché, nel succedersi delle generazioni, ci furono svariati Profeti.XXXII. - 1. Mosè, il primo dei Profeti, disse esattamente così: “Non mancherà capo di Giuda né comandante disceso dai suoi lombi finché venga Colui a cui è riservato; ed Egli sarà l’atteso delle genti, che lega alla vite il suo puledro, che purifica nel sangue dell’uva la sua veste”.2. Sta a voi dunque esaminare attentamente ed apprendere fino a quando ci fu un capo ed un re proprio ai Giudici: fino alla comparsa di Gesù Cristo, il nostro maestro ed interprete delle profezie incomprese, come fu predetto dal divino Spirito Profetico per bocca di Mosè; che cioè non sarebbe mancato un capo dei Giudei finché fosse venuto Colui al quale il regno era riservato.3. Giuda infatti è il capostipite dei Giudei, e da lui essi presero anche il nome. E voi avete incominciato a regnare sui Giudei e siete divenuti signori di tutta la loro terra, dopo la Sua comparsa.

Page 250: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

250

4. La frase: “Egli sarà l’atteso delle genti” era profetica del fatto che da parte di tutte le genti vi sarebbe stata l’attesa della sua nuova comparsa: questo voi potete vedere con i vostri occhi e persuadervene dai fatti. Da tutte le genti infatti si attende Colui che fu crocifisso in Giuda dopo il quale vi fu consegnata subito, come conquista di guerra, la terra dei Giudei.5. La frase “che lega alla vite il suo puledro e che purifica nel sangue dell’uva la sua veste” era un segno per indicare quanto sarebbe accaduto a Cristo e quanto sarebbe stato da Lui compiuto.6. Infatti un puledro d’asina stava legato ad una vite all’ingresso di un villaggio ed Egli comandò che i suoi discepoli subito glielo conducessero; quando gli fu condotto, vi salì, vi si sedette ed entrò in Gerusalemme, dove c’era il più grande tempio dei Giudei, che in seguito da voi fu distrutto. E dopo fu crocifisso, affinché si compisse il resto della profezia.7. Infatti le parole: “che purifica nel sangue dell’uva la Sua veste” erano profetiche della passione che stava per subire, per purificare col sangue quanti credono in Lui.8. Infatti quella che dal divino Spirito, tramite il profeta, è chiamata “veste”, sono gli uomini che credono in Lui, nei quali abita il divino seme di Dio, il Logos.9. Quello che è chiamato “sangue dell’uva” indica che Colui che sarebbe apparso ha sì sangue, ma non da seme umano, bensì da potenza divina.10. E la prima potenza, dopo Dio, Padre e signore di ogni cosa, è il Logos, Suo figlio. In che modo questi abbia preso carne umana e sia diventato uomo, diremo in seguito.11. Come infatti non un uomo, ma Dio, ha creato il sangue della vite, così era anche indicato che il Suo sangue sarebbe stato generato non da seme umano, ma da potenza di Dio, come abbiamo detto.12. Ed Isaia, un altro Profeta, profetando gli stessi avvenimenti con altre parole disse: “Sorgerà un astro da Giacobbe e verrà su un fiore dalla radice di Jesse. E nel braccio di lui spereranno le nazioni”.13. Un astro luminoso sorse ed un fiore germogliò dalla radice di Jesse: Cristo.14. Fu infatti generato, per potenza di Dio, da una vergine del seme di Giacobbe, padre di Giuda, padre dei Giudei come s’è detto. E Jesse ne è stato il progenitore, secondo la profezia, perché, nella successione della stirpe, è figlio di Giacobbe e di Giuda.La concezione verginaleXXXIII. - 1. E ancora; ascoltate come fu esattamente profetato da Isaia che sarebbe stato generato da una vergine. Così infatti fu detto: “Ecco la vergine porterà nel ventre e partorirà un figlio e lo chiameranno col nome ‘Dio con noi’”.2. Infatti ciò che era incredibile e giudicato impossibile a verificarsi presso gli uomini, Dio predisse attraverso lo Spirito Profetico che sarebbe avvenuto, affinché, quando fosse accaduto, non ci si rifiutasse di credere, ma si credesse perché era stato predetto.3. E perché non succeda che qualcuno, fraintendendo la profezia, ci contesti ciò che noi contestammo ai poeti, quando riferiscono che Zeus per passione si accostò a donne, cercheremo di chiarire le parole.4. Dunque l’espressione: “Ecco la vergine porterà nel ventre” indica che la vergine concepì senza unione; se infatti fosse stata unita a chicchessia, non sarebbe stata più vergine. Invece la virtù di Dio, entrata nella vergine, l’adombrò e la rese incinta, pur rimanendo ella vergine.5. E l’angelo di Dio, inviato in quella circostanza alla stessa vergine, le diede il lieto annunzio dicendo: “Ecco concepirai nel tuo ventre per opera dello Spirito Santo e concepirai un figlio e sarà chiamato figlio dell’Altissimo e lo chiamerai Gesù: Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”: così ci insegnarono coloro che tramandarono la memoria di tutto ciò che riguarda il nostro Salvatore, ai quali prestiamo fede, dal momento che - come abbiamo detto - anche per bocca di Isaia, già nominato sopra, lo Spirito profetico aveva predetto la Sua nascita.

Page 251: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

251

6. E’ lecito dunque pensare che lo Spirito e la Virtù di Dio non siano altro che il Logos, che è anche primogenito di Dio, come, indicò Mosè, il profeta di cui abbiamo prima parlato. E fu questo Spirito che, entrato nella Vergine ed adombratala, non attraverso l’unione, ma per la virtù, la rese incinta.7. La parola “Gesù”, nome di lingua ebraica, corrisponde al vocabolo greco “Salvatore”.8. Per questo l’angelo disse alla Vergine: “E lo chiamerai Gesù: Egli infatti salverà il Suo popolo dai suoi peccati”.9. Anche voi, suppongo, ammetterete che coloro che profetano, da null’altro sono ispirati se non dal Logos divino.BetlemmeXXXIV. - 1. Udite come un altro profeta, Michea, abbia predetto persino in quale terra sarebbe nato. Disse così: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la più piccola tra i principi di Giuda: da te infatti uscirà un capo che pascerà il mio popolo”: quello è appunto il villaggio, nella terra dei Giudei, distante trentacinque stadi da Gerusalemme, nel quale nacque Gesù Cristo, come potete apprendere dai registri del censimento fatto sotto Cristo, vostro primo procuratore in Giudea.Altre profezieXXXV. - 1. Sul fatto poi che Cristo sarebbe rimasto nascosto agli altri uomini dalla nascita fino alla maturità - cosa che avvenne -, sentite quanto fu predetto.2. Ecco le parole precise: “E’ stato generato per noi un fanciullo e ci è stato dato un giovinetto, sulle cui spalle è il potere”. Questo indica la potenza della croce, su cui pose le spalle quando fu crocifisso, come sarà dimostrato chiaramente dal seguito del mio discorso.3. Ed ancora lo stesso profeta Isaia, ispirato dallo Spirito profetico, disse: “Io distesi le mie mani su un popolo incredulo e dissenziente, su uomini che camminavano su una via non buona. Ora mi chiedono un giudizio ed osano avvicinarsi a Dio”.4. Ancora, con parole diverse, per bocca di un altro Profeta, dice: “Essi mi trafissero piedi e mani e buttarono la sorte sulla mia veste”.5. Ma Davide, il re e profeta che pronunciò queste parole, non subì nulla di tutto ciò. Fu invece Gesù Cristo a distendere le mani, e ad essere crocifisso dai Giudei, che parlavano contro di Lui e negavano che Egli fosse il Cristo. Infatti, come aveva detto il Profeta, per scherno Lo posero su di un seggio e Gli dissero: “Giudicaci”.6. La frase: “Mi trafissero le mani ed i piedi” era la spiegazione dei chiodi infissi sulla croce, nelle mani e nei piedi di Lui. Dopo averlo crocifisso, i suoi crocifissori trassero a sorte la Sua veste e la divisero tra loro. Che tutto questo sia veramente accaduto, potete apprenderlo dagli Atti redatti sotto Ponzio Pilato.7. A prova che era stato veramente vaticinato il fatto che si sarebbe seduto su un puledro di asina e sarebbe entrato in Gerusalemme, citeremo le parole della profezia di un altro Profeta, Sofonia. Eccole: “Gioisci fortemente, figlia di Sion, annunzia, figlia di Gerusalemme; ecco viene a te, mansueto, il tuo re, cavalcando un’asina ed un asinello, puledro di una giumenta”.Fu il divino Logos a muovere le labbra dei ProfetiXXXVI. - 1. Quando udite le parole dei Profeti pronunziate come se fossero loro, non crediate che siano pronunziate da essi stessi sotto ispirazione, bensì dal Logos divino che le muove.2. Questi infatti ora preannunzia il futuro sotto forma di predizione, ora parla come in persona di Dio, Signore e Padre di ogni cosa, ora come in persona di Cristo, ora come in persona di popoli che rispondono al Signore od al Padre Suo: una cosa simile si può vedere anche presso i vostri scrittori, che introducono vari personaggi dialoganti, pur essendo uno solo colui che scrive il tutto.3. Non comprendendo questo, i Giudei, che pure hanno i libri dei Profeti, non riconobbero Cristo neppure quando comparve; anzi, odiano noi, poiché affermiamo che Egli è venuto e dimostriamo che è stato da loro crocifisso, come era stato annunziato.

Page 252: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

252

Vari modi con cui lo Spirito profetico parlaXXXVII. - 1. Affinché anche questo vi sia chiaro, attraverso il già nominato profeta Isaia, queste parole furono pronunziate, dalla persona del Padre: “I1 bue conobbe il suo possessore e l’asino la mangiatoia del suo padrone, ma Israele non conobbe me ed il mio popolo non mi comprese. Guai a te, nazione peccatrice, popolo pieno di peccati, seme malvagio, figli senza legge; avete abbandonato il Signore”.2. Ancora, in altro luogo, mentre lo stesso profeta parla similmente in persona del Padre: “Quale casa mi edificherete? - dice il Signore -; il cielo è a me trono e la terra sgabello dei miei piedi”.3. Ed ancora in un altro passo: “Odia l’anima mia i vostri noviluni ed i vostri sabati, e non sopporto il grande giorno del digiuno ed il vostro ozio; né se verrete per essere visti da me vi esaudirò. Le vostre mani sono piene di sangue. Se anche portate fior di farina, incenso, oggetto di ribrezzo è per me. Non voglio grasso di agnelli e sangue di tori. Chi infatti ha chiesto questi sacrifici dalle vostre mani? Sciogli invece ogni vincolo di ingiustizia, strappa i lacci di rapporti violenti, copri chi non ha tetto ed è nudo, spezza il tuo pane con chi ha fame”.4. Potete dunque comprendere quali siano gli insegnamenti dati attraverso i Profeti da Dio stesso.XXXVIII. - 1. Quando lo Spirito profetico parla in persona di Cristo, si esprime così: “Io stesi le mie mani verso il popolo incredulo e contraddicente su coloro che camminavano per una strada non buona”.2. Ed ancora: “Ho offerto il mio dorso ai flagelli, e le mie guance alle percosse, e non distorsi il mio volto dalla vergogna degli sputi. Ed il Signore fu mio aiuto, per questo non mi ritrassi, ma resi il mio volto come dura pietra, capii che non avrei sentito vergogna, poiché è vicino colui che mi ha giustificato”.3. E di nuovo quando dice: “Essi gettarono la sorte sulla mia veste e mi traforarono piedi e mani. Ma io mi coricai e dormii, e mi rialzai, poiché il Signore mi ricevette”.4. Ed ancora quando dice: “Mormorarono con le labbra scossero il capo dicendo: ‘Liberi se stesso’”.5. Voi potete conoscere che tutto questo fu operato contro Cristo per opera dei Giudei. Infatti, dopo averlo crocifisso, muovevano le labbra e scuotevano il capo dicendo: “Egli che ha risuscitato i morti, liberi se stesso”!XXXIX. - 1. Quando lo Spirito Profetico parla per annunziare il futuro, si esprime così: “Da Sion infatti uscirà una legge, il Logos del Signore da Gerusalemme, e giudicherà nel mezzo delle genti ed accuserà molto popolo. E ridurranno le loro spade in aratri e le loro lance in falci e non impugneranno più la spada, gente contro gente, e non impareranno più a fare la guerra”.2. E che così è avvenuto, potete persuadervene.3. Infatti da Gerusalemme uscirono nel mondo dodici uomini: erano ignoranti ed incapaci di parlare, ma, per la potenza di Dio, rivelarono a tutto il genere umano che erano mandati da Cristo ad insegnare a tutti la sua parola. E noi, che un tempo ci uccidevamo l’un l’altro, non solo non facciamo guerra ai nemici, ma, per non mentire né ingannare quelli che ci giudicano, volentieri moriamo confessando il Cristo.4. Potremmo infatti applicare qui il detto: “La lingua ha giurato, ma il cuore non ha giurato”.5. Ma sarebbe ridicolo che, mentre dei soldati, raccolti ed arruolati per voi, tengono fede al giuramento fattovi, anteponendolo alla propria vita ed alla patria ed a tutti i loro congiunti, quando voi non potete offrir loro nulla di incorruttibile, noi invece, che bramiamo l’immortalità, non sopportassimo ogni pena per conseguire, da chi può darcelo, ciò che desideriamo!Sugli apostoli e su CristoXL. - 1. Ascoltate come sia stato vaticinato anche riguardo a coloro che preannunziarono la Sua dottrina ed indicarono la Sua venuta, quando il già nominato profeta e re parlò così per opera dello

Page 253: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

253

Spirito Profetico: “Il giorno al giorno proferisce parole e la notte alla notte dà notizia. Non sono colloqui né discorsi di cui non si sentano le voci. A tutta la terra giunse il loro suono ed ai confini della terra abitata le loro parole. Nel sole pose la Sua dimora ed Egli, come sposo che esce dal suo talamo, esulterà come un gigante a percorrere la via”.2. Oltre a queste, abbiamo ritenuto cosa buona ed opportuna far menzione anche di altre parole profetiche dello stesso Davide, dalle quali potete apprendere a quale stile di vita lo Spirito Profetico esorti gli uomini e come indichi la coalizione contro Cristo intrapresa da Erode, re dei Giudei, dai Giudei stessi, e da Pilato, vostro procuratore presso di loro, con i suoi soldati; e come Egli sarebbe stato creduto da ogni razza di uomini, e come Dio lo chiami Figlio e Gli abbia promesso la sottomissione di tutti i nemici; ed in che modo i demoni, per quanto sta in loro, tentino di sfuggire al potere sia di Dio, Padre e Signore di ogni cosa, sia di Cristo stesso; e come Dio chiami tutti al pentimento, prima che giunga il giorno del giudizio.3. Così è detto: “Beato l’uomo che non camminò nel consiglio degli empi e non si soffermò nella via dei peccatori, e non si sedette sulla cattedra di uomini malvagi, ma il suo volere è nella legge del Signore e sulla Sua legge mediterà giorno e notte. E sarà come albero piantato lungo le correnti delle acque, che darà il suo frutto a suo tempo, e le sue foglie non cadranno, e tutto quanto farà riuscirà bene. Non così gli empi, non così, ma simili a polvere, che il vento disperde dalla faccia della terra. Per questo non si leveranno gli empi nel giudizio, né i peccatori nel consiglio dei giusti, poiché il Signore conosce la via dei giusti, e la via degli empi rovinerà”.4. “A che fremettero le genti, ed i popoli meditarono cose nuove? Insorsero i re della terra, ed i principi convennero insieme contro il Signore e contro il Suo Cristo, dicendo: ‘Spezziamo i loro vincoli e strappiamo da noi il loro giogo’. Colui che abita nei cieli riderà di loro, ed il Signore li schernirà; allora parlerà ad essi dalla Sua ira, e nella Sua collera li sconvolgerà. Ma io fui costituito da Lui re su Sion, Suo monte santo, per annunciare il comandamento del Signore. Il Signore mi disse: - Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato, chiedimi e ti darò le genti in eredità, ed i confini della terra in tuo possesso. Li pascerai con la verga di ferro, come vasi di argilla li spezzerai. Ed ora, intendete; imparate, voi tutti giudici della terra. Servite il Signore in timore ed esultate in Lui con tremore. Abbracciatene l’insegnamento, affinché mai il Signore si adiri e voi roviniate dalla via giusta, qualora improvvisamente divampi la Sua ira. Beati tutti coloro che hanno confidato in Lui”.XLI. - 1. Ed ancora in un’altra profezia, lo Spirito Profetico, per bocca dello stesso Davide, preannunziò che Cristo, dopo essere stato crocifisso, avrebbe regnato. Così disse: “Cantate al Signore, terre tutte, ed annunziate di giorno in giorno la salvezza di Lui; poiché grande è il Signore e molto degno di lode, terribile al di sopra di tutti gli dèi; poiché tutti gli dèi delle genti sono simulacri e demoni, ma Dio creò i cieli. Gloria e lode al Suo cospetto, e forza e vanto nel luogo della sua santità; rendete gloria al Signore, padre dei secoli. Prendete doni ed entrate al Suo cospetto e adoratelo nei Suoi santi templi. Tema al Suo cospetto tutta la terra e si corregga e non vacilli. Gioiscano le genti. Il Signore regnò” dal legno.Profezie di eventi futuri come già avvenutiXLII. - 1. Talvolta lo Spirito Profetico parla del futuro come se fosse già avvenuto, come si può comprendere anche dalle parole riportate sopra: chiariremo anche questo, perché la cosa non offra motivi di contestazione ai lettori.2. Gli eventi chiaramente conosciuti come destinati a compiersi, li predice come già avvenuti. Che così si debbano intendere, prestate attenzione, ché ve lo spiegherò.3. Davide fece le profezie di cui ho parlato, millecinquecento anni prima che Cristo, fatto uomo, fosse crocifisso; ma nessuno di quanti vissero prima di Lui, crocifisso, offrì gioia alle genti, così come nessuno neppure dopo.

Page 254: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

254

4. Invece il nostro Gesù Cristo, crocifisso e morto, resuscitò, e regnò dopo essere asceso al cielo; e per l’annuncio che da parte sua è stato portato dagli Apostoli a tutte le genti c’è gioia per quanti attendono l’immortalità annunciata da Lui.I1 problema del libero arbitrioXLIII. - 1. Perché nessuno, da quanto è stato da noi detto, ci pensi sostenere che gli avvenimenti soggiacciono inesorabilmente al fato, per il fatto di essere predetti come preconosciuti, scioglieremo anche questo nodo.2. Noi abbiamo appreso dai Profeti, e dimostriamo essere vero, che le punizioni e le pene e le buone ricompense vengono assegnate a ciascuno secondo il merito delle sue azioni. Perché, se non fosse così, ma tutto si compisse per destino, non esisterebbe per nulla il libero arbitrio. Se infatti fosse già stabilito che l’uno sia buono e l’altro cattivo, né quello sarebbe da lodare, né questo da biasimare.3. D’altra parte, se il genere umano non ha facoltà di fuggire il male, e di preferire il bene per libera scelta, non è responsabile, qualsiasi azione compia.4. Noi dimostriamo invece che l’uomo è virtuoso o fa il male per libera scelta.5. Vediamo infatti che un medesimo uomo passa da un comportamento a quello opposto.6. Se fosse stabilito che egli sia o cattivo o buono, non sarebbe mai soggetto a comportamenti contrapposti, né muterebbe più volte. Non ci sarebbero né i buoni ne i cattivi, poiché si dimostrerebbe che il destino è la causa sia del bene sia del male, e che esso perciò è contraddittorio in se stesso; oppure che noi riteniamo vero quanto riportato prima, che cioè virtù o vizio non sono nulla, e le cose sono buone o cattive solo a giudizio personale: il che, come la retta ragione dimostra, è massima empietà e ingiustizia.7. Noi invece sosteniamo che fato ineluttabile è soltanto questo, che esiste un premio per chi sceglie il bene, e parimenti giusti castighi per chi sceglie il contrario: perché Dio ha fatto l’uomo non come gli altri esseri, come alberi e quadrupedi, incapaci di agire per libera scelta. Infatti non sarebbe meritevole né di ricompensa né di lode, se non scegliesse egli stesso il bene, ma fosse buono per natura; né, se fosse cattivo, sarebbe giusto che ricevesse una punizione, poiché non sarebbe tale per una scelta, bensì perché non potrebbe essere diverso da come è.Anche Platone si rifà a MosèXLIV. - 1. Questi insegnamenti ci diede il santo Spirito Profetico dicendo, per bocca di Mosè, che Dio così parlò al primo uomo da Lui plasmato: “Ecco dinanzi a te il bene ed il male; scegli il bene”.2. Ed ancora, attraverso Isaia, l’altro Profeta, a questo proposito così parlò in persona di Dio, Padre e Signore di tutte le cose: “Lavatevi, purificatevi, sgombrate le iniquità dalle vostre anime, imparate a fare il bene, proteggete l’orfano e rendete giustizia alla vedova; e poi venite e discutiamo - dice il Signore -; e se anche i vostri peccati sono come porpora, li renderò bianchi come lana; e se sono come cremisi, li renderò bianchi come neve. E se volete e mi ascoltate, gusterete i beni della terra; ma se non mi ascolterete, una spada vi divorerà. Poiché la bocca del Signore così ha parlato”.3. La frase citata: “Una spada vi divorerà” non significa che i disobbedienti saranno uccisi con spade; la spada di Dio è il fuoco, di cui divengono pasto quanti scelgono di operare il male. Per questo dice: “Una spada vi divorerà. Poiché la bocca del Signore così ha parlato”. Se avesse parlato di una spada che taglia e che subito separa, non avrebbe detto “divorerà”.4. Cosicché, quando Platone disse: “La colpa è di chi sceglie, Dio non è responsabile”, prese il concetto da Mosè, poiché Mosè è più antico anche di tutti gli scrittori greci.5. Tutte le teorie formulate da filosofi e poeti sull’immortalità dell’anima, o sulle punizioni dopo morte, o sulla contemplazione delle cose celesti, o su simili dottrine, essi le hanno potute comprendere e le hanno esposte prendendo le mosse dai Profeti.6. Per questo appaiono esserci segni di verità presso tutti costoro. Li si può però accusare di non aver inteso giustamente, quando si contraddicono tra loro.

Page 255: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

255

7. Perciò, quando noi diciamo che è stato profetizzato il futuro, non intendiamo dire che esso si compia per fatale necessità; ma Dio, poiché preconosce tutte le azioni degli uomini ed ha stabilito che ciascuno riceverà la ricompensa adeguata al suo comportamento, ci ammonisce, attraverso lo Spirito profetico, che da Lui sarà stabilita una ricompensa degna delle azioni, guidando il genere umano a comprendere ed a ricordare sempre, e mostrando che Egli se ne occupa e provvede.8. E’ per influsso dei demoni cattivi che fu designata la pena di morte contro quanti leggessero i libri di Istaspe o della Sibilla o dei Profeti, per distogliere con la paura gli uomini dal leggerli e dal prendere conoscenza del bene, e per poterli tenere sottomessi a loro.9. Ma non poterono fare ciò fino alla fine. Infatti noi non solo li leggiamo senza paura, ma li offriamo anche al vostro esame - come vedete - sapendo che appariranno graditi a tutti. E se anche riuscissimo a persuadere pochi, avremmo guadagnato moltissimo: come buoni agricoltori, riceveremo la ricompensa del padrone.La glorificazione di CristoXLV. - 1. Sentite come il Profeta Davide preannunziò che Dio, Padre di ogni cosa, avrebbe innalzato al cielo Cristo, dopo la Sua resurrezione dai morti; e che lo avrebbe tenuto finché avesse abbattuto i demoni suoi nemici e si fosse completato il numero dei buoni e dei virtuosi già preconosciuti, per merito dei quali Egli non ha ancora operato la conflagrazione.2. Ecco le Sue parole: “Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché abbia posto i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Uno scettro di potenza ti invierà il Signore da Gerusalemme: e domina in mezzo ai tuoi nemici. Con te il dominio nel giorno della tua potenza, nei fulgori dei tuoi santi; dal seno ti generai prima della stella mattutina”.3. La frase: “Uno scettro di potenza ti invierà da Gerusalemme” è profetica della parola potente, che i Suoi apostoli, usciti da Gerusalemme, diffusero ovunque; e, sebbene sia stabilita la pena di morte contro chi insegna o solo professa il nome di Cristo, noi lo abbracciamo e lo insegniamo dappertutto.4. Se anche voi leggerete queste parole da nemici, non potete far altro che ucciderci, come dicevamo: ma questo non reca alcun danno a noi, bensì procura a voi, ed a tutti quelli che ingiustamente ci odiano e non se ne ravvedono, la punizione eterna attraverso il fuoco.Gli uomini vissuti prima di CristoXLVI. - 1. Affinché nessuno, sragionando, cerchi di distorcere i nostri insegnamenti - poiché affermiamo che Cristo è nato centocinquant’anni fa sotto Cirino, e ci insegnò quello che noi diciamo, qualche tempo dopo, sotto Ponzio Pilato - e obietti che tutti gli uomini che vissero prima sarebbero irresponsabili, noi preverremo e scioglieremo questa difficoltà.2. Ci è stato insegnato che Cristo è il primogenito di Dio, ed abbiamo già dimostrato che Egli è il Logos di cui fu partecipe tutto il genere umano.3. E coloro che vissero secondo il Logos sono cristiani, anche se furono giudicati atei, come, tra i Greci, Socrate ed Eraclito ed altri come loro; tra i barbari, Abramo ed Anania ed Azaria e Misaele ed altri molti, l’elenco delle cui opere e dei cui nomi ora tralasciamo, sapendo che è troppo lungo.4. Cosicché anche quelli che erano nati prima ed erano vissuti non secondo il Logos, furono malvagi e nemici di Cristo ed uccisori di quanti vivevano secondo il Logos. Quanti invece sono vissuti e vivono secondo il Logos, sono cristiani, ed impavidi ed imperturbabili.5. Per quale causa, poi, per virtù del Logos, secondo il volere di Dio, Padre e Signore di ogni cosa, sia stato concepito da una vergine un uomo, e sia stato chiamato Cristo, e, crocifisso e morto, sia resuscitato ed asceso al cielo, chiunque sia dotato di intelligenza potrà comprenderlo da quanto è stato detto.6. Noi pertanto, poiché per ora tale argomento non è necessario alla nostra dimostrazione, passeremo alle dimostrazioni che urgono in questo momento.

Page 256: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

256

La devastazione della GiudeaXLVII. - 1. Quanto al fatto che la terra dei Giudei sarebbe stata devastata, ascoltate ciò che è stato detto dallo Spirito Profetico. Le parole sono pronunciate come per bocca di popoli che si meravigliano dell’accaduto.2. Eccole: “E’ diventata deserta Sion, come un deserto è diventata Gerusalemme; è in maledizione l’edificio, nostro santuario; e la gloria, di cui si vantarono i nostri padri, è stata bruciata e tutti i suoi ornamenti caddero. E di fronte a tali avvenimenti rimanesti immobile e tacesti e gravemente ci umiliasti”: che Gerusalemme sia stata resa deserta, come era stato predetto, non potete non essere persuasi.3. Dal profeta Isaia era stato così predetto, oltre che la sua devastazione, anche il fatto che sarebbe stato proibito a ciascuno di loro di abitarvi: “La loro terra sarà deserta, e dinanzi a loro i nemici la divoreranno, e non vi sarà tra loro chi abiti in essa”.4. Voi sapete benissimo che essa è sorvegliata da voi affinché nessuno vi abiti, e che è comminata la morte per qualunque giudeo sia sorpreso ad entrarvi.La predizione dei miracoliXLVIII- - 1. Udite che fu predetto che il nostro Cristo avrebbe guarito ogni malattia ed avrebbe resuscitato i morti.2. Ecco: “Alla Sua venuta lo zoppo salterà come cervo e sarà sciolta la lingua dei muti; i ciechi vedranno ed i lebbrosi saranno purificati ed i morti resusciteranno e cammineranno”.3. Che Egli abbia compiuto queste azioni, lo potete apprendere dagli Atti redatti sotto Ponzio Pilato.4. E come è stato vaticinato dallo Spirito Profetico che Egli sarebbe stato ucciso insieme con quanti sperano in Lui?5. Ascoltate queste parole di Isaia: “Vedi come il giusto perì e nessuno lo accoglie nel cuore; e gli uomini giusti sono uccisi e nessuno se ne dà pensiero. Dalla faccia dell’ingiustizia è stato tolto di mezzo il giusto, e sarà in pace il suo sepolcro; egli è stato tolto di mezzo”.I Gentili accolgono con gioia il CristoXLIX. - 1. Ed ancora: ecco come è stato predetto dallo stesso Isaia che i popoli che non l’attendevano l’avrebbero adorato, mentre i Giudei, che l’avevano atteso, non l’avrebbero riconosciuto alla Sua comparsa. Le parole sono riferite come pronunciate dalla persona di Cristo stesso.2. Eccole: “Fui conosciuto da quelli che non domandavano di me, fui trovato da quelli che non mi cercavano. Dissi - Eccomi - alle genti che non invocavano il mio nome. Ho disteso le mani ad un popolo incredulo e renitente, a coloro che camminano per una via non retta, bensì seguendo i loro peccati. I1 popolo è quello che mi provoca a sdegno di fronte a me”.3. I Giudei infatti, pur avendo le Profezie, ed essendo sempre in attesa di Cristo, quando venne non Lo riconobbero; non solo: Lo uccisero.4. Invece i Gentili che non avevano mai udito parlare di Cristo, finché gli Apostoli, usciti da Gerusalemme, non Lo fecero conoscere e diffusero le Profezie, pieni di gioia e di fede, rinnegarono gli idoli e si consacrarono al Dio ingenerato, mediante Cristo.5. Ascoltate ora dalle brevi parole di Isaia come fossero preconosciute le calunnie che sarebbero state lanciate contro chi confessa Cristo, e come sarebbero stati sciagurati coloro che Lo bestemmiano, affermando che è conveniente conservare le antiche tradizioni. Ecco le sue parole: “Guai a chi dice amaro il dolce e dolce l’amaro”.La predizione della PassioneL. - 1. Udite le Profezie pronunciate a proposito del fatto che Cristo, fattosi uomo per noi, sopportò di patire e di essere infamato e che di nuovo sarebbe ritornato in gloria.

Page 257: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

257

2. Eccole: “In cambio dell’essere stata consegnata a morte la Sua anima e dell’essere annoverato tra gli iniqui, Egli prese su di sé i peccati di molti e propizierà il perdono agli iniqui”.3. “Ecco il mio servo intenderà e sarà innalzato e molto glorificato. Come molti stupiranno su di te, così il tuo aspetto e la tua fama saranno disprezzati dagli uomini; così molte genti si meraviglieranno ed i re chiuderanno la loro bocca. Poiché coloro ai quali Egli non fu annunziato, crederanno, e quelli che non ne hanno udito parlare comprenderanno”.4. “Signore, chi prestò fede alle nostre parole? E il braccio del Signore a chi fu svelato? L’annunziammo all’aspetto come un fanciullino, come radice in terra arida. Non ha parvenza né splendore, e noi lo vedemmo, e non aveva parvenza né bellezza, ma il Suo aspetto era spregevole e manchevole dinanzi agli uomini; uomo che era coperto di piaghe, cosciente di subire patimenti, poiché il suo volto fu stravolto, disonorato e non considerato. Questi prende su di sé i nostri peccati e soffre per noi, e noi comprendemmo che era sofferente, con piaghe e mali. Egli fu piagato per le nostre iniquità e ridotto allo sfinimento per i nostri peccati. Un ammaestramento di pace è su di Lui, per le Sue lividure noi fummo guariti. Tutti come pecore traviammo, l’uomo dalla sua via traviò; Egli consegnò se stesso per i nostri peccati e non aprì bocca, pur tra i maltrattamenti. Come pecora fu condotto al sacrificio e come agnello muto davanti a chi lo tosa, così non aprì bocca. Nell’umiliazione fu giudicato”.5. Dopo la crocifissione, persino i Suoi discepoli Lo abbandonarono tutti dopo averlo rinnegato; in seguito, però - dopo che fu resuscitato dai morti ed apparve a loro, e dopo che ebbe insegnato a leggere le Profezie nelle quali erano predetti tutti questi avvenimenti -, essi, vistolo ascendere al cielo credettero e ricevettero di lassù la forza inviata loro da Lui, andarono presso ogni stirpe umana, insegnarono queste cose e furono chiamati apostoli.L’Ascensione e la gloriaLI. - 1. Lo Spirito Profetico, per indicarci che chi subisce queste sofferenze ha un’origine inesprimibile e regna sui nemici, così disse:2. “Chi potrà narrare la sua origine? Poiché la Sua vita si innalza dalla terra, per i loro peccati va a morte. Metterò i malvagi di fronte alla sepoltura di Lui ed i ricchi davanti alla Sua morte, poiché non commise iniquità né fu trovato inganno sulla Sua bocca. Ed il Signore vuole purificarlo della piaga. Se voi Lo date per il peccato, la vostra anima vedrà un seme di lunga vita. Ed il Signore vuole strappare dal travaglio l’anima Sua; mostrarGli luce e plasmarlo con l’intelligenza, giustificare il giusto che bene serve a molti; ed i nostri peccati Egli porterà. Per questo avrà in eredità molti e dividerà le spoglie dei forti; per questo fu consegnata a morte la Sua anima e fu annoverato tra gli iniqui ed Egli portò i peccati di molti e per le loro iniquità fu consegnato”.3. Ascoltate come Egli fosse anche destinato ad ascendere al cielo, secondo quanto era stato profetato. Così fu detto: “Alzate le porte dei cieli, apritele, affinché il re della gloria vi entri. Chi è questo re della gloria? Un Signore forte, un Signore potente”.4. Ascoltate come fu predetto dal profeta Geremia anche il fatto che Egli sarebbe ricomparso dai cieli nella gloria. Ecco le sue parole: “Vedi, come un figlio di uomo viene sopra le nubi del cielo ed i suoi angeli con Lui”.Si avvererà anche la seconda venuta di CristoLII - 1. Poiché dunque noi abbiamo dimostrato che gli avvenimenti sono stati tutti vaticinati dai Profeti prima che accadessero, bisogna credere che anche quelli, di cui similmente si è profetizzato l’accadimento, certamente accadranno.2. Come infatti si avverarono gli avvenimenti preannunziati ed ancora sconosciuti, nello stesso modo si avvereranno anche i rimanenti, sebbene non li si conosca e non vi si creda.3. Infatti i Profeti predissero due venute di Lui: una, già accaduta, come uomo senza onore e passibile di sofferenza; l’altra, quando avverrà con gloria dai cieli con la schiera dei Suoi angeli -

Page 258: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

258

come è stato preannunziato -, allorché resusciterà anche i corpi di tutti gli uomini che sono vissuti; e rivestirà quelli dei giusti di immortalità e manderà nel fuoco eterno quelli degli ingiusti, a percepire eternamente sofferenza, con i demoni malvagi.4. Dimostreremo che anche questo è stato predetto.5. Dal profeta Ezechiele così è stato detto: “Si ricongiungerà giuntura a giuntura ed osso ad osso, e le carni ricresceranno. Ed ogni ginocchio si piegherà al Signore ed ogni lingua Lo confesserà”.6. In quale tipo di sensibilità e di pena si troveranno gli ingiusti? Ascoltate quanto fu detto similmente a questo proposito. Ecco le parole: “I1 loro verme non avrà fine ed il loro fuoco non si estinguerà”. Ed allora si pentiranno, quando non servirà più a nulla.7. Dal profeta Zaccaria è stato così profetato quanto diranno e faranno i popoli dei Giudei, quando Lo vedranno comparire nella gloria: “Comanderò ai quattro venti di raccogliere i figli dispersi: comanderò a Borea di portarli ed a Noto di non far opposizione”.8. “Ed allora in Gerusalemme vi sarà gran pianto, ma non pianto di bocche o di labbra, bensì pianto di cuore, e lacereranno non i loro mantelli, ma le loro menti. Si batteranno il petto tribù con tribù ed allora vedranno a chi fecero strazio e diranno: - ‘Perché, Signore ci facesti deviare dalla Tua via? La gloria, di cui si vantarono i nostri padri, si tramutò per noi in vergogna’”.I cristiani provenienti dai GentiliLIII. - 1. Pur potendo citare anche altre Profezie, vi abbiamo rinunciato, giudicando che queste fossero sufficienti a persuadere coloro che hanno orecchie capaci di udire e di intendere; pensiamo anche che costoro possano capire come a noi, ben diversamente dai poeti che hanno raccontato favole intorno ai supposti figli di Zeus, non capita di fare affermazioni senza poterle dimostrare.2. Per quale ragione infatti presterebbero fede ad un uomo crocifisso, credendo che Egli sia il primogenito del Dio ingenerato e che giudicherà tutto il genere umano, se non avessimo trovato intorno a Lui delle prove proclamate prima che Egli comparisse come uomo, e non vedessimo che esse si sono esattamente avverate:3. la terra dei Giudei fatta deserta; persone d’ogni stirpe umana, rese credenti dall’insegnamento dei Suoi apostoli, rifiutare gli antichi costumi, nei cui traviamenti erano vissuti; vedere noi stessi e sapere che vi sono più cristiani, e più sinceri, provenienti dai Gentili che non dai Giudei e Samaritani?4. (Perché tutte le altre stirpi umane sono chiamate, dallo Spirito profetico, Genti, mentre quella giudaica e samaritana sono chiamate tribù di Israele e casa di Giacobbe).5. Riferiremo come è stato profetato che sarebbero stati più numerosi i credenti provenienti dai Gentili che dai Giudei e Samaritani. Così fu detto: “Gioisci, o sterile, che non partorisci; prorompi e grida, tu che non hai doglie, perché molti sono i figli della derelitta, più di colei che ha marito”.6. Tutte le genti, che adoravano le opere delle loro mani, erano infatti derelitte del vero Dio. Invece Giudei e Samaritani, che avevano la parola di Dio detta a loro attraverso i Profeti, e che avevano sempre atteso il Cristo, quando venne non lo riconobbero, eccetto alcuni pochi, dei quali il Santo Spirito Profetico, per bocca di Isaia, aveva predetto che sarebbero stati salvi.7. Disse infatti, come se fossero loro stessi a parlare: “Se il Signore non ci avesse lasciato un seme, saremmo divenuti come Sodoma e Gomorra”.8. Di Sodoma e Gomorra, infatti, racconta Mosè che furono città di uomini empi, e che Dio le distrusse bruciandole nel fuoco e nello zolfo; dei suoi abitanti non sarà salvo nessuno, eccetto uno straniero di stirpe caldea, chiamato Lot. Con lui si salvarono anche le figlie.9. Chiunque voglia, può vedere tutta la loro terra deserta e bruciata e rimasta infeconda. A dimostrazione, poi, che i provenienti dai Gentili erano già previsti come più autentici e più fedeli, riferiremo le parole del profeta Isaia. Eccole: “Israele è incirconciso di cuore, i Gentili di prepuzio”.

Page 259: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

259

10. Prove del genere dunque possono inculcare persuasione in quanti bramano la verità e non seguono le opinioni né sono schiavi delle passioni.I demoni inventarono molte favole...LIV. - 1. Coloro che insegnano le mitiche invenzioni dei poeti non offrono alcuna dimostrazione ai giovani discepoli; anzi, dimostriamo che esse sono state create dai cattivi demoni per ingannare e traviare il genere umano.2. Infatti, avendo udito preannunziare dai Profeti la venuta di Cristo e la punizione degli empi nel fuoco, i demoni offrivano di rimando le favole di molti che si dicevano figli di Zeus, pensando che avrebbero potuto far sì che gli uomini considerassero le Profezie di Cristo come racconti fantastici, simili a quelli propalati dai poeti.3. Questi miti furono diffusi sia tra gli Elleni sia tra tutti i Gentili, dove sentivano maggiormente preannunciare dai Profeti che si sarebbe prestato fede a Cristo.4. Noi spiegheremo come, pur udendo le Profezie dei Profeti, non le capissero bene, ma come, errando, contraffacessero ciò che invece era riferito al nostro Cristo.5. Dunque il profeta Mosè, come abbiamo detto, è più antico di tutti gli scrittori e per bocca sua - come abbiamo già indicato- fu profetizzato così: “Non mancherà un principe da Giuda ed un duce dal suo fianco, finché venga colui al quale è stato riservato. Ed Egli sarà l’atteso delle genti, egli che lega alla vite il suo puledro, e che lava la sua veste nel sangue dell’uva”.6. Udite queste parole profetiche, i demoni favoleggiarono di un certo Dioniso, figlio di Zeus: tramandarono che fu inventore della vite - introducono anche il vino nei suoi misteri - ed insegnarono che, dopo essere stato dilaniato, ascese al cielo.7. Ma poiché dalla profezia di Mosè non era chiaramente indicato se fosse figlio di Dio colui che doveva venire, e se, montato su un puledro, sarebbe rimasto sulla terra od asceso al cielo, e poiché la parola “puledro” poteva indicare il puledro sia di asino sia di cavallo, non sapendo se il vaticinato avrebbe indicato la propria comparsa conducendo un puledro d’asino o di cavallo e se fosse figlio di Dio, come abbiamo detto, o di uomo, inventarono il mito di Bellerofonte, che, uomo nato da uomini, anche lui, sul cavallo Pegaso, era salito al cielo.8. Poiché udirono dall’altro profeta, Isaia, che sarebbe stato generato da una vergine, e che sarebbe salito al cielo da sé, tirarono fuori la storia di Perseo.9. Quando poi conobbero che quanto di Lui era detto, così era scritto nella profezia già citata, “Forte come gigante a correre la via”, parlarono di Eracle, forte e capace di percorrere tutta la terra.10. Quando infine appresero che era stato predetto che Egli avrebbe guarito tutte le malattie e risuscitato i morti, introdussero Asclepio.... ma non poterono imitare il supplizio della croceLV. - 1. Tuttavia in nessun luogo e per nessuno dei cosiddetti figli di Zeus imitarono la pena della crocifissione. Questo non poteva essere da loro compreso, dal momento che tutto ciò che era stato detto al riguardo era in forma di simbolo, come è stato dimostrato.2. E questo, come disse il Profeta, è il più grande segno della forza e del potere di Lui, come dimostra anche ciò che cade sotto i nostri occhi. Considerate infatti tutto ciò che c’è nel mondo: senza questa figura potrebbe costruirsi od avere connessione?3. II mare non si fende, se questo trofeo, col nome di vela, non rimane integro sulla nave. E la terra non è arata senza di esso. Gli zappatori non compiono il loro lavoro - e così i meccanici -, se non hanno arnesi di questa forma.4. La figura dell’uomo non differisce in nulla da quella degli esseri irrazionali, se non nella posizione eretta, nell’avere mani estensibili e nel fatto di portare sul volto, prominente sotto la fronte, quello che si chiama naso, per mezzo del quale l’essere vivente respira: e questo non mostra altro che la forma della croce.

Page 260: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

260

5. Dal Profeta fu detto così: “II respiro della nostra faccia è Cristo Signore”.6. Anche i vostri emblemi - intendo dire vessilli e trofei - dimostrano la potenza di questa figura ed è con essi che voi, dovunque, sfilate, mostrando, anche se lo fate senza avvedervene, i segni del comando e del potere.7. In questa forma ancora elevate le immagini dei vostri imperatori, quando muoiono e voi li chiamate dèi, nelle iscrizioni che vi apponete.8. Pertanto, poiché abbiamo fatto quanto era nelle nostre facoltà per convincervi, attraverso l’argomentazione e l’evidenza di questo segno, ormai sappiamo di non avere colpa anche se non ci credete: il nostro dovere è assolto e terminato.Ancora sugli impostori contrapposti a CristoLVI. - 1. Ma i malvagi demoni non si contentarono, prima della comparsa di Cristo, di dire che sono esistiti i cosiddetti figli di Zeus; anzi, quando, dopo la Sua comparsa e venuta tra gli uomini, appresero come Egli fosse stato preannunziato dai Profeti e si resero conto che fra ogni gente era creduto ed atteso, ancora una volta, come prima avevano mostrato, tiravano fuori altri personaggi: Simone e Menandro di Samaria che, esercitando arti magiche, ingannarono, e tengono tuttora nell’inganno molti.2. Simone, vissuto - come dicemmo prima - tra di voi nella Roma imperiale, sotto l’imperatore Claudio, colpì a tal punto il sacro Senato ed il popolo romano che fu considerato un dio e fu onorato di una statua, come gli altri onorati quali dèi da voi.3. Perciò noi preghiamo il sacro Senato ed il vostro popolo di farsi con voi esaminatori di questa nostra richiesta, affinché, se qualcuno fosse succube delle sue dottrine, possa apprendere la verità e fuggire l’errore. E la statua, se volete, abbattetela.Noi non temiamo le morteLVII. - 1. I cattivi demoni non riescono a persuadere che non esiste il fuoco come punizione per gli empi, così come non poterono tenere nascosta la venuta di Cristo. Solo questo possono fare: che chi vive contro ragione, è cresciuto perversamente nei cattivi costumi ed è schiavo delle false opinioni, ci uccida e ci odi. Noi comunque non solo non li odiamo, ma - come è dimostrato - ne abbiamo pietà e desideriamo persuaderli a cambiare.2. Infatti non temiamo la morte, poiché sappiamo che, comunque, si muore e che non c’è niente di nuovo, ma in questo ordine di cose ritornano sempre le medesime realtà. Se di esse sente nausea chi ne fruisce anche solo per un anno, per essere per sempre liberi da passioni e da bisogni, occorre approdare alle nostre dottrine.3. Se poi si mostrano increduli asserendo che non c’è nulla dopo la morte e dichiarano che i morti raggiungono l’insensibilità, a noi fanno del bene, sottraendoci ai patimenti ed alle necessità di quaggiù; mentre, invece, mostrano se stessi malvagi, non umani e schiavi delle opinioni: infatti ci uccidono non per liberarci, ma per i privarci della vita e del piacere.L’opera nociva di MarcioneLVIII. - 1. Come abbiamo detto, i cattivi demoni esibirono anche Marcione del Ponto, il quale ancora oggi insegna a negare Dio creatore di tutte le cose del cielo e della terra e Cristo Suo figlio, preannunziato dai Profeti; egli annunzia una sorta di altro dio accanto al Creatore dell’universo, e parimenti un altro figlio.2. Molti, prestandogli fede, come se fosse il solo a sapere la verità, si burlano di noi pur non avendo alcuna prova delle loro affermazioni; irragionevolmente, come agnelli afferrati dal lupo, diventano preda delle dottrine atee e di demoni.3. Infatti questi demoni non aspirano ad altro che ad allontanare gli uomini dal Dio che li ha creati e dal Suo primogenito, Cristo. Quanti non riescono ad innalzarsi dalla terra, essi li inchiodarono e li inchiodano alle cose terrene e costruite dalle mani dell’uomo, mentre subdolamente sviano e

Page 261: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

261

gettano nell’empietà quanti intendono volgersi alla contemplazione delle cose di Dio se non sono dotati di salde capacità di ragionamento e non conducono una vita pura e libera da passioni.Come Platone ha attinto dai ProfetiLIX. - 1. Affinché sappiate anche che Platone ha attinto dai nostri maestri - intendiamo dire dalle parole dei Profeti - l’affermazione secondo cui Dio, trattando la materia amorfa, fece il mondo, ascoltate le precise parole di Mosè, che già abbiamo mostrato essere il primo Profeta e più antico degli scrittori greci:2. per mezzo di lui lo Spirito Profetico, rivelando in quale modo, al principio, e da quali elementi Dio abbia creato il mondo, disse così: “In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era invisibile ed informe, e tenebra sull’abisso; e lo Spirito di Dio si librava sulle acque. E Dio disse - Sia la luce - e così fu”.3. È così che Platone, con quanti la pensano come lui, ed anche noi stessi, abbiamo appreso che tutto il cosmo è opera del Logos di Dio con gli elementi prima indicati da Mosè: e voi potete persuadervene.4. Sappiamo che anche quello che i poeti chiamano Erebo è già stato nominato prima da Mosè.LX. - 1. L’affermazione contenuta nel Timeo di Platone a proposito della natura del Figlio di Dio, quando dice: “Lo dispose nell’universo a forma di X”, è stata anch’essa attinta da Mosè.2. Infatti nei libri di Mosè sta scritto che in quel tempo, quando gli Israeliti uscirono dall’Egitto e si trovarono nel deserto, si fecero loro incontro animali velenosi, vipere, aspidi ed ogni sorta di serpenti che uccidevano il popolo; e che, per ispirazione e per opera di Dio, Mosè prese del bronzo, gli diede forma di croce, lo pose sul santo tabernacolo e disse al popolo: “Se guardate a questa figura ed avete fede in essa sarete salvati”.3. Scrisse che, fatto ciò, i serpenti morirono e tramandò che il popolo sfuggì così alla morte.4. Platone, letto questo, non capendo esattamente e non comprendendo che il segno era quello della croce, ma pensando a una X, affermò che la Virtù, che viene seconda dopo il Dio principio primo, è disposta a forma di X nell’universo.5. Quanto al fatto che parli di un terzo principio, si spiega così: egli - come abbiamo detto prima - lesse scritto in Mosè che lo Spirito di Dio si librava sopra le acque. I1 secondo posto lo assegna al Logos di Dio, che dice essere disposto a forma di X nell’universo, ed il terzo allo Spirito di cui è detto che si muoveva sopra le acque. Infatti dice: “Le terze cose intorno al terzo”.6. Ascoltate ora come lo Spirito Profetico abbia preannunziato attraverso Mosè la conflagrazione. Ecco le sue parole: “Scenderà un fuoco eterno e divorerà fino al fondo dell’abisso”.7. Non siamo noi pertanto a professare dottrine eguali ad altri, ma tutti gli altri ad imitare e ripetere le nostre.8. Presso di noi si possono ascoltare ed apprendere da chi neppure conosce il carattere dell’alfabeto, ignoranti e barbari di linguaggio, ma sapienti e fedeli di mente, alcuni persino infermi e privi della vista: dal che si può capire che questo avviene non per sapienza umana, ma per potenza di Dio.Il battesimoLXI. - 1. Esporremo in quale modo ci siamo consacrati a Dio, rinnovati da Cristo, affinché non sembri che, tralasciando questa parte, viziamo in qualche modo la nostra esposizione.2. A quanti siano persuasi e credano che sono veri gli insegnamenti da noi esposti, e promettano di saper vivere coerentemente con questi, si insegna a pregare ed a chiedere a Dio, digiunando, la remissione dei peccati, mentre noi preghiamo e digiuniamo insieme con loro.3. Poi vengono condotti da noi dove c’è l’acqua, e vengono rigenerati nello stesso modo in cui fummo rigenerati anche noi: allora infatti fanno il lavacro nell’acqua, nel nome di Dio, Padre e Signore dell’universo, di Gesù Cristo nostro salvatore e dello Spirito Santo.

Page 262: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

262

4. Poiché Cristo disse: “Se non sarete rigenerati, mai entrerete nel regno dei cieli”: è chiaro a tutti che è impossibile, una volta che si sia nati, rientrare nel ventre della madre.5. E dal profeta Isaia - come prima scrivemmo - è stato detto in che modo sfuggiranno ai peccati coloro che hanno peccato e si pentono. Ecco le sue parole: “Lavatevi, divenite puri, allontanate il male dalle vostre anime, imparate a fare il bene, difendete l’orfano, rendete giustizia alla vedova; allora venite e ragioniamo - dice il Signore. - E se anche i vostri peccati sono come porpora, li renderò bianchi come lana; e se anche sono come cremisi, li renderò bianchi come neve; ma se non mi ascolterete, una spada vi divorerà. Così infatti parlò la bocca del Signore”.6. E in proposito ecco la ragione che apprendemmo dagli apostoli. Poiché, nulla sapendo della nostra prima generazione, secondo necessità siamo stati generati da umido seme per l’unione dei genitori, e per natura abbiamo cattivi costumi e malvagie inclinazioni, per non rimanere figli di necessità e di ignoranza, bensì di libera scelta e di sapienza, e per ottenere la remissione dei peccati commessi prima, su colui che ha deciso di rigenerarsi e si è pentito dei peccati si invoca, nell’acqua, ilnome di Dio, Padre e Signore dell’universo: e questo solo nome pronuncia chi conduce al lavacro colui che deve sottoporvisi.7. Nessuno infatti può dare un nome al Dio ineffabile; e se qualcuno osasse dire che ne esiste uno, sarebbe inguaribilmente pazzo.8. Questo lavacro si chiama “illuminazione”, poiché coloro che comprendono queste cose sono illuminati nella mente. E chi deve essere illuminato viene lavato nel nome di Gesù Cristo, crocifisso sotto Ponzio Pilato; e nel nome dello Spirito Santo, che ha preannunziato per mezzo dei Profeti tutti gli eventi riguardanti Gesù.La controrisposta dei demoniLXII. - 1. Ebbene, sentito parlare di questo lavacro preannunziato dai Profeti, i demoni fecero in modo che chi entrava nei loro templi e intendeva avvicinarsi a loro per offrire libagioni e sacrifici, dovesse aspergersi; ordinano anzi un’abluzione completa prima dell’entrata nei templi dove essi sono collocati.2. Infatti, anche questa regola secondo cui i sacerdoti comandano ai fedeli di entrare nei templi per celebrare i loro riti solo dopo essersi scalzati, i demoni hanno appresa ed imitata da quanto accadde a Mosè, il profeta già citato.3. Infatti nel tempo in cui a Mosè fu ordinato di scendere in Egitto e di trarre fuori il popolo degli Israeliti che là si trovava, mentre egli nella terra d’Arabia pasceva le pecore dello zio materno, da un rovo, sotto forma di fuoco, gli parlò il nostro Cristo e gli disse: “Lèvati i calzari, avvicinati ed ascolta”.4. Ed egli, scalzatosi ed avvicinatosi, udì che doveva scendere in Egitto e condurre fuori il popolo degli Israeliti. Prese forza e vigore da Cristo, che gli aveva parlato sotto forma di fuoco, e, sceso, condusse fuori il popolo dopo aver compiuto gesta grandi e mirabili: se volete conoscerle, le potete apprendere nei particolari dai suoi libri.Il Logos parlò a Mosè dal rovetoLXIII. - 1. Tutti i Giudei anche ora insegnano che il Dio ineffabile ha parlato a Mosè. Per questo lo Spirito Profetico, rimproverandoli per bocca del già nominato profeta Isaia - come scrivemmo sopra - disse: “Il bue conosce il suo padrone e l’asino la mangiatoia del suo padrone, ma Israele non conobbe me ed il suo popolo non mi ascoltò”.2. E Gesù Cristo, egualmente li rimproverò e disse: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio, né il Figlio se non il Padre, e coloro a cui il Figlio l’abbia rivelato”.

Page 263: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

263

3. I1 Logos di Dio è Suo figlio, come abbiamo già detto. Questi è chiamato “inviato” e “nunzio”, poiché è lui ad annunziare che cosa bisogna conoscere, ed è inviato per spiegare quanto viene annunziato, come disse anche il Signore nostro: “Chi ascolta me ascolta colui che mi ha inviato”.4. Questo apparirà chiaro anche negli scritti di Mosè. In essi è detto così: “E parlò a Mosè l’inviato di Dio nella vampa di fuoco dal rovo e disse: Io sono colui che è, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, il Dio dei tuoi padri. Scendi in Egitto e conduci fuori il mio popolo”.5. Se volete, potete apprendere il resto da quei libri, poiché non è possibile riportarne tutto il contenuto.6. Ma queste parole stanno a dimostrare che Gesù Cristo è figlio ed inviato di Dio: egli che prima era Logos, apparso ora in forma di fuoco ora in immagine incorporea, al nostro tempo, per volere di Dio fattosi uomo per amore del genere umano, sopportò anche di patire quanto i demoni gli procurarono per opera degli stolti Giudei.7. Costoro, pur trovando chiaramente scritto nei libri di Mosè “E l’inviato di Dio parlò a Mosè in vampa di fuoco dal rovo, e disse - Io sono colui che è, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe -”, sostengono che queste parole furono pronunciate dal Padre e creatore dell’universo. Proprio per questo lo Spirito Profetico li rimproverò, dicendo: “Israele non mi conobbe ed il popolo non mi comprese”.8. A sua volta Gesù, come abbiamo mostrato, stando in mezzo a loro, disse: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio; nessuno il Figlio se non il Padre, e coloro ai quali il Figlio l’ha rivelato”.9. Poiché dunque i Giudei ritennero che fosse sempre il Padre dell’universo a parlare a Mosè - mentre invece colui che parlava era il Figlio di Dio, che è anche chiamato nunzio ed inviato - giustamente vengono rimproverati sia dallo Spirito Profetico sia dallo stesso Cristo, per non avere riconosciuto né il Padre né il Figlio.10. Quanti infatti affermano che il Figlio è il Padre, sono rimproverati di non conoscere il Padre, e di non sapere che il Padre dell’universo ha un Figlio. Questi, essendo Logos e primogenito di Dio, è anche Dio. Ed Egli prima apparve a Mosè ed agli altri Profeti in forma di fuoco e di immagine incorporea.11. Ora invece, al tempo del vostro impero - come abbiamo detto - fattosi uomo da una vergine, secondo il volere del Padre, per la salvezza di quanti credono in Lui, sopportò di essere ritenuto un nulla e di patire, per poter vincere la morte, morendo e risorgendo.12. Le parole dette a Mosè dal rovo: “Io sono colui che è, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, e il Dio dei tuoi Padri” indicano che essi, anche dopo morti sopravvivono e sono uomini dello stesso Cristo. Infatti, primi fra tutti gli uomini, si diedero alla ricerca di Dio Abramo, padre di Isacco, ed Isacco, padre di Giacobbe, come scrisse anche Mosè.Le favole di Kore e AtenaLXIV. - 1. Da quanto è stato detto prima potete comprendere come l’innalzare la statua della cosiddetta Kore presso le sorgenti delle acque sia stata opera dei demoni, i quali dicono che essa è Figlia di Zeus, per imitazione delle parole di Mosè.2. Mosè infatti disse, come abbiamo scritto sopra: “In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era invisibile ed informe, e lo Spirito di Dio si muoveva sopra le acque”. 3. Ad imitazione dunque dello Spirito di Dio, di cui è detto che si muoveva sull’acqua, parlarono di Kore, figlia di Zeus.4. Con analoga malizia, dissero che Atena è figlia di Zeus, nata senza accoppiamento; ma, non appena compresero che Dio, con un atto di pensiero, creò il mondo attraverso il Logos, sostennero che essa è il primo pensiero.5. Noi riteniamo del tutto ridicolo trasferire una forma di donna a immagine del pensiero. Così pure gli altri cosiddetti figli di Zeus sono condannati dalle loro stesse azioni.

Page 264: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

264

L’EucaristiaLXV. - 1. Noi allora, dopo aver così lavato chi è divenuto credente e ha aderito, lo conduciamo presso quelli che chiamiamo fratelli, dove essi si trovano radunati, per pregare insieme fervidamente, sia per noi stessi, sia per l’illuminato, sia per tutti gli altri, dovunque si trovino, affinché, appresa la verità, meritiamo di essere nei fatti buoni cittadini e fedeli custodi dei precetti, e di conseguire la salvezza eterna.2. Finite le preghiere, ci salutiamo l’un l’altro con un bacio.3. Poi al preposto dei fratelli vengono portati un pane e una coppa d’acqua e di vino temperato; egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell’universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie per essere stati fatti degni da Lui di questi doni.4. Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il popolo presente acclama: “Amen”. La parola “Amen” in lingua ebraica significa “sia”.5. Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua consacrati e ne portano agli assenti.E’ carne e sangue di quel Gesù incarnatoLXVI. - 1. Questo cibo è chiamato da noi Eucaristia, e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato.2. Infatti noi li prendiamo non come pane comune e bevanda comune; ma come Gesù Cristo, il nostro Salvatore incarnatosi, per la parola di Dio, prese carne e sangue per la nostra salvezza, così abbiamo appreso che anche quel nutrimento, consacrato con la preghiera che contiene la parola di Lui stesso e di cui si nutrono il nostro sangue e la nostra carne per trasformazione, è carne e sangue di quel Gesù incarnato.3. Infatti gli Apostoli, nelle loro memorie chiamate vangeli, tramandarono che fu loro lasciato questo comando da Gesù, il quale prese il pane e rese grazie dicendo: “Fate questo in memoria di me, questo è il mio corpo”. E parimenti, preso il calice e rese grazie disse: “Questo è il mio sangue”; e ne distribuì soltanto a loro.4. I malvagi demoni per imitazione, dissero che tutto ciò avveniva anche nei misteri di Mitra. Infatti voi già sapete, o potete apprendere, come nei riti di iniziazione si introducano un pane ed una coppa d’acqua, mentre si pronunciano alcune formule.Nel giorno chiamato “del Sole”LXVII. - 1. Da allora noi ci ricordiamo a vicenda questo fatto. E quelli che possiedono, aiutano tutti i bisognosi e siamo sempre uniti gli uni con gli altri. 2. Per tutti i beni che riceviamo ringraziamo il creatore dell’universo per il Suo Figlio e lo Spirito Santo.3. E nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei Profeti, finché il tempo consente.4. Poi, quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi.5. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere; e, come abbiamo detto, terminata la preghiera, vengono portati pane, vino ed acqua, ed il preposto, nello stesso modo, secondo le sue capacità, innalza preghiere e rendimenti di grazie, ed il popolo acclama dicendo: “Amen”. Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli alimenti consacrati, ed attraverso i diaconi se ne manda agli assenti.6. I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente

Page 265: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

265

per malattia o per qualche altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno.7. Ci raccogliamo tutti insieme nel giorno del Sole, poiché questo è il primo giorno nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo; sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro Salvatore, risuscitò dai morti. Infatti Lo crocifissero la vigilia del giorno di Saturno, ed il giorno dopo quello di Saturno, che è il giorno del Sole, apparve ai suoi Apostoli e discepoli, ed insegna proprio queste dottrine che abbiamo presentato anche a voi perché le esaminiate.Petizione finaleLXVIII. - 1. Se esse vi sembrano contenere ragione e verità, apprezzatele; se invece vi sembrano sciocchezze, disprezzatele come cose sciocche, ma non stabilite la pena di morte, come contro nemici, contro uomini in nulla colpevoli.2. Vi prediciamo infatti che, se perseverate nell’ingiustizia, non sfuggirete al futuro giudizio di Dio. E noi grideremo: “Sia fatto ciò che piace a Dio”.3. In base alla lettera del grandissimo ed illustrissimo imperatore Adriano, vostro padre, noi potremmo chiedere che da voi si ordini di sottoporci a processo, come già ve ne abbiamo pregati: tuttavia non vi sottoponiamo tale richiesta in base al decreto di Adriano: abbiamo invece composto questo appello e questa esposizione perché sappiamo di chiedere cose giuste. 4. Abbiamo anche accluso la copia della lettera di Adriano, affinché riconosciate che diciamo la verità anche a questo proposito.5. Ecco la copia.A Minucio FundanoHo ricevuto una lettera scrittami da Sereno Graniano, uomo illustrissimo, a cui tu sei succeduto. Non mi sembra si debba lasciare questa cosa senza esame, affinché la gente non si agiti, né si offra ai calunniatori la possibilità di fare del male. Se dunque i provinciali possono apertamente sostenere questa istanza contro i cristiani, tanto da rispondere anche dinanzi al tribunale, a questo solo si rivolgano, ma non con petizioni o solo con schiamazzi. Se uno volesse sporgere denunzia, è molto meglio che tu la esamini. Se qualcuno dunque li denuncia e dimostra che hanno fatto qualcosa contro la legge, giudica secondo la gravità della colpa; ma, per Ercole, se si accampasse questa procedura per calunniare, prendi in esame tale malvagità e procura di farne giustizia.

Apologia secondaI. – 1. Gli avvenimenti accaduti nella vostra città, o Romani, sia ieri sia l’altro ieri, sotto Urbico, e simili assurdità commesse dovunque dai magistrati, mi hanno costretto a comporre questo discorso in nostra difesa, che siamo della vostra stessa natura e fratelli vostri, anche se non lo sapete e se non lo volete riconoscere per la gloria delle vostre supposte dignità.2. In ogni luogo, infatti, quanti sono ripresi dal padre e da un vicino o dal figlio o da un amico o da un fratello o dal marito o dalla moglie, per una mancanza (eccetto coloro che sono convinti che gli ingiusti e gli intemperanti saranno puniti nel fuoco eterno, mentre i virtuosi, e quanti sono vissuti imitando Cristo, vivranno con Dio senza sofferenze – intendiamo parlare dei cristiani – ) questi per la loro ostinazione, l’amore dei piaceri e la riluttanza a seguire il bene, e d’altra parte anche i cattivi demoni, per odio contro noi, tenendo tali giudici come schiavi e sottomessi, cioè questi magistrati indemoniati, si apprestano ad ucciderci.3. Ma, affinché vi sia chiaro anche la causa di tutto ciò che è accaduto sotto Urbico, vi esporrò i fatti.

Page 266: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

266

La vicenda

II. – 1. Una donna viveva con un marito dissoluto, mentre, in un primo tempo, conduceva vita dissoluta anche lei. Ma, dopo ebbe conobbe gli insegnamenti di Cristo, divenne temperante e si sforzava di persuadere il marito ad esserlo anche lui, riferendogli quegli insegnamenti e preannunciandogli la futura punizione nel fuoco eterno per coloro che non vivono in modo temperante e secondo la retta ragione.2. Ma quello, permanendo nella sua dissolutezza, finì, con la sua condotta, per alienarsi la moglie.3. La donna infatti, ritenendo cosa empia continuare a giacere con un marito che cercava in qualunque modo di procurarsi strumenti di piacere contro la legge di natura e contro il giusto, decise di fare la separazione. Poiché però era esortata dai suoi, che la consigliavano di rimanere ancora, confidando in un futuro pentimento del marito, fece forza a se stessa e rimase.4. Ma dopo che le fu riferito che suo marito, recatosi ad Alessandria, ne faceva di ancora peggiori, per non farsi complice di tali iniquità e scelleratezze, se fosse rimasta con lui nel matrimonio a condividere vita e letto, si separò, ricorrendo a quello che voi chiamate “ripudio”.5. Quel bell’esempio di marito, ben lontano dal rallegrarsi che ella avesse cessato dal comportamento leggero che prima aveva tenuto con servi e mercenari, quando godeva di orge e di ogni turpitudine, e che cercasse di distogliere anche lui dal compiere simili cose, ha sporto accusa contro di lei, che si era separata contro il suo volere, dicendo che era cristiana.6. Ella allora presentò a te, o imperatore, una petizione, chiedendo che prima le fosse consentito di provvedere ai suoi affari; poi, sistemate le sue faccende, si sarebbe difesa dall’accusa: e tu glielo hai concesso.7. Il suo ex–marito, non potendo per il momento dire più nulla contro di lei, si scagliò contro un certo Tolomeo, che le era stato maestro delle dottrine cristiane, e che Urbico condannò. Ecco in qual modo: persuase un centurione, suo amico, che aveva arrestato Tolomeo, a prenderlo e ad interrogarlo solo su questo punto, cioè se fosse cristiano.8. Poiché Tolomeo, amante della verità e per nulla ingannatore né d’animo menzognero, aveva confessato di essere cristiano, il centurione lo fece mettere in catene e lo condannò alla prigione per molto tempo. Alla fine, quando fu condotto dinanzi ad Urbico, fu di nuovo interrogato solo su questo punto, se fosse cristiano.9. E di nuovo egli, consapevole dei beni acquistati attraverso l’insegnamento di Cristo, professò gli insegnamenti della divina virtù. Infatti, chi nega qualcosa, o lo nega perché la condanna o rifiuta la confessione perché sa di esserne indegno od estraneo; ma né l’una né l’altra soluzione sono proprie del vero cristiano.10. Dopo che Urbico ebbe decretato che fosse condotto a morte, un certo Lucio, anche lui cristiano, vedendo che la sentenza era così irragionevole, disse ad Urbico: “Qual è la ragione per cui hai condannato un uomo che non è né adultero né dissoluto né omicida né spogliatore né ladro né infine reo confesso di alcun crimine, ma che soltanto confessa l’appellativo di cristiano? Tu non giudichi, o Urbico, come si conviene all’imperatore Pio, né al filosofo, figlio di Cesare, né al sacro Senato”.11. Quello non replicò nulla, ma disse a Lucio: “Mi sembra che anche tu sia uno di questi”. Poiché Lucio rispose “Certamente”!, ordinò che anch’egli fosse a sua volta condannato a morte.12. Ed egli professava di essergli grato, conscio di essere liberato da simili malvagi padroni e di andare verso il Padre e re dei cieli.13. Ancora un altro, un terzo, si presentò e fu condannato a morte.

Anch’io mi aspetto di essere confitto ad un palo...

Page 267: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

267

III. – 1. Ed anch’io mi aspetto che si ordiscano insidie da parte di qualcuno dei magistrati, e di essere confitto a un palo, quanto meno da Crescente, che si compiace di strepito e di pompa.2. Non merita infatti l’appellativo di filosofo chi su di noi attesta pubblicamente ciò che non conosce, accusando i cristiani di essere atei ed empi, e fa questo per ingraziarsi e compiacere la moltitudine fatua.3. Infatti, se costui ci perseguita senza aver letto le dottrine di Cristo, è uno scellerato, molto peggiore degli ignoranti, i quali spesso si guardano bene dal discorrere di ciò che non conoscono e dall’attestare il falso; se invece le ha lette, non ne ha compreso la magnificenza o, se l’ha compresa, si comporta così per non essere sospettato di essere cristiano: allora è ancora più ignobile e scellerato, dal momento che si lascia attrarre da un’opinione irragionevole e sciocca, nonché dalla paura.4. E desidero che anche voi sappiate che io, dopo avergli posto alcune precise questioni in merito, ho compreso che egli non sa veramente nulla: cosa della quale ho convinto anche lui.5. A prova del fatto che dico la verità, sono pronto a riproporre davanti a voi quelle questioni, se le nostre discussioni non vi sono state riferite: anche questo sarebbe compito non indegno di un imperatore.6. Ma se già vi sono noti i miei quesiti e le sue risposte, allora vi è chiaro che egli non conosce nulla delle nostre dottrine; se invece le conosce, non osa (come invece fece Socrate) parlare per timore di chi l’ascolta: allora, come dissi sopra, si dimostra non amante del sapere, ma amante dell’opinione, incapace di apprezzare il bellissimo detto di Socrate: “Non si deve anteporre l’uomo alla verità”.7. Per un cinico che si pone come fine l’indifferenza, appunto.

Perché non ci diamo la morte

IV. – 1. Ma perché qualcuno non dica: “Uccidetevi tutti da voi stessi, andate subito presso Dio e non dateci più fastidio”, vi dirò per quale causa non lo facciamo e per quale causa, interrogati, confessiamo senza paura.2. Ci è stato insegnato che Dio ha creato il mondo non a caso, ma per il genere umano. Ed abbiamo già detto che Egli si compiace di quanti imitano le Sue virtù, e che invece è scontento di quanti abbracciano i1 male, nelle parole o negli atti.3. Se dunque ci uccideremo tutti, diverremo colpevoli, per quanto dipende da noi, del fatto che nessuno sia più generato, né sia più ammaestrato nei divini insegnamenti e che non esista più genere umano: così facendo agiremmo anche noi contro la volontà divina.4. Però, quando siamo interrogati, non neghiamo, perché siamo coscienti di non aver fatto nulla di male, anzi riteniamo empio non dire tutta la verità: sappiamo che questo è caro a Dio, e ora ci sforziamo di liberarvi anche da questa ingiusta e preconcetta convinzione.

I tormenti sono opera dei cattivi demoni

V. – 1. Se a qualcuno venisse in mente quest’altra obiezione: che, se Dio, come dichiariamo, è nostro soccorritore noi non dovremmo essere dominati e puniti da uomini ingiusti – come noi affermiamo – confuterò anche questa.2. Dio, che ha creato l’universo ed ha subordinato agli uomini le cose terrene ed ha ordinato gli elementi del cielo per la crescita dei frutti e l’avvicendamento delle stagioni ed ha stabilito su di essi una legge divina – ed è chiaro che ha fatto tutto ciò per gli uomini –, affidò la cura degli uomini e di ciò che è sotto il cielo agli angeli che a tal fine stabilì.

Page 268: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

268

3. Ma gli angeli, trasgredendo questo ordine, si diedero ad accoppiamenti con donne e generarono figli, che sono i cosiddetti demoni.4. Inoltre, da allora si asservirono il genere umano, ora con scritture magiche, ora con terrori e supplizi inflitti, ora con l’istituzione di sacrifici e di profumi e di libagioni, di cui hanno bisogno dopo che hanno ceduto alle passioni dei sensi. E tra gli uomini hanno disseminato omicidi, guerre, adulteri, sfrenatezze ed ogni genere di male.5. Di qui, poeti e mitologi, non sapendo che sono gli angeli ed i demoni nati da loro a compiere, contro uomini e donne e città e popoli, le iniquità che raccontavano, le riferivano a Dio stesso ed a quelli che, secondo loro, sono i figli nati dal suo seme ed ai cosiddetti suoi fratelli, Poseidone Nettuno e Plutone, e parimenti ai loro figli.6. E chiamarono ciascuno col nome che ogni angelo aveva imposto a sé ed ai suoi figli.

A Dio non si può dare un nome

VI. – 1. Ma non esiste un nome che si possa imporre al Padre dell’universo, dato che è ingenerato. Infatti qualunque nome, con cui lo si chiami, richiede un essere più antico che gli abbia imposto tale nome.2. Le parole “padre” e “Dio” e “creatore” e “signore” e “padrone” non sono nomi, ma denominazioni derivate dai Suoi benefici e dalle Sue opere.3. Il Figlio di Lui, il solo a buon diritto chiamato “Figlio”, il Logos coesistente e generato prima della creazione, quando all’inizio per mezzo di Lui creò ed ordinò ogni cosa, è chiamato Cristo, perché è stato unto e perché Dio ha ordinato ogni cosa per mezzo di Lui; tale nome contiene anch’esso un significato sconosciuto, così come la parola “Dio” non è un nome, ma un’opinione, innata nella natura umana, di una entità ineffabile.4. Gesù invece è un nome che ha il significato sia di “Uomo” sia di “Salvatore”.5. Infatti, come dicemmo, Egli divenne uomo, concepito per volere di Dio e Padre, per il bene degli uomini che credono in Lui e per la distruzione dei demoni. Anche ora potete persuadervene da quanto accade sotto gli occhi.6. Infatti molti dei nostri, cioè dei cristiani, hanno guarito, e tuttora guariscono, tanti indemoniati, in tutto il mondo e nella nostra stessa città, esorcizzandoli nel nome di Gesù Cristo, crocifisso sotto Ponzio Pilato, fiaccando e cacciando i demoni che li possiedono, mentre tutti gli altri esorcisti, incantatori e somministratori di filtri, non erano riusciti a guarirli.

Il dissolvimento del mondo è ritardato grazie ai cristiani

VII. – l. Perciò Dio ritarda la catastrofe ed il dissolvimento di tutto il mondo, in modo che non esistano più angeli e demoni e uomini cattivi, proprio per il seme dei cristiani, che riconosce essere la causa della conservazione della natura.2. Perché, se ciò non fosse, neppure a voi sarebbe possibile agire ancora così ed essere istigati dai cattivi demoni, ma si abbatterebbe il fuoco del giudizio e dissolverebbe ogni cosa indistintamente, come in antico fece il diluvio, che non risparmiò nessuno, eccetto un uomo solo, con i suoi cari, uomo chiamato da noi Noè, e da voi Deucalione: da lui sono rinati tanti uomini, in parte buoni, in parte cattivi.3. In questo modo noi diciamo che avverrà la conflagrazione, non certo come gli Stoici, – vale a dire per l’assorbimento di tutti gli elementi l’uno nell’altro – il che sembra turpissimo; e neppure affermiamo che gli uomini fanno o subiscono gli eventi per destino, ma che ciascuno agisce bene o pecca per sua libera scelta. E’ ancora per istigazione dei cattivi demoni che i virtuosi, come Socrate

Page 269: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

269

ed altri come lui, sono perseguitati ed imprigionati, mentre Sardanapalo ed Epicuro ed i loro simili sembrano vivere felici nell’abbondanza e nella gloria.4. Non comprendendo questo, gli Stoici affermarono che tutto esisteva per necessità del fato.5. Ma, poiché Dio a1 principio creò il genere sia degli angeli sia degli uomini arbitro di se stesso, secondo giustizia essi riceveranno nel fuoco eterno il supplizio delle colpe commesse.6. E’ proprio di ogni natura creata essere capace di male e di bene. Infatti nessuna sarebbe degna di lode, se non avesse anche la facoltà di volgersi verso l’uno o verso l’altro.7. E lo dimostrano anche gli uomini – che ovunque legiferarono secondo retta ragione o si diedero alla filosofia – con il fatto che consigliarono di fare determinate cose e di astenersi da altre.8. Anche gli Stoici, nella teoria della morale, tengono in grandissima stima proprio quelle prescrizioni, cosicché è evidente che essi sono fuori strada nella loro teoria dei principi e degli elementi incorporali.9. Infatti, se diranno che tutte le azioni degli uomini avvengono per fatalità o che Dio non si distingue dalle cose mutevoli, varie ed eternamente dissolventesi le une nelle altre, apparirà chiaro che essi possiedono solo il concetto di corruttibile, e che Dio stesso, nelle parti e nel tutto, esiste solo nella corruzione; oppure che male e bene sono concetti vani: ma questo va contro ogni assennato intelletto, ragione e spirito.

Il seme del Logos, innato in ognuno

VIII. – l. Sappiamo che sono stati odiati ed uccisi anche i seguaci della dottrina stoica – come, per qualche verso, anche i poeti – almeno quando si sono mostrati moderati nel tema dell’etica, grazie al seme del Logos che è innato in ogni stirpe umana: ad esempio, Eraclito, come abbiamo detto, e, ai nostri tempi, Musonio ed altri.2. Come infatti abbiamo mostrato, i demoni hanno sempre operato in modo che fossero odiati quanti, in qualunque modo, si sforzano di vivere secondo il Logos e di fuggire il male.3. Nessuna meraviglia se i demoni, una volta rivelati colpevoli, ancora di più si sforzano affinché siano odiati coloro che vivono non secondo un frammento del Logos sparso in tutti, ma secondo la conoscenza e la contemplazione di tutto il Logos, che è Cristo. Ma essi, imprigionati nell’eterno fuoco, riporteranno la giusta punizione e la giusta pena.4. Se già ora sono sconfitti dagli uomini nel nome di Gesù Cristo, questa è la dimostrazione della punizione futura che subiranno nel fuoco eterno, essi e i loro cultori: così anche tutti i profeti predissero, e così il nostro maestro, Gesù, ci insegnò.

La pena eterna non è uno spauracchio

IX. – 1. Affinché nessuno riprenda l’affermazione dei cosiddetti filosofi, per i quali sono parole a vanvera e spauracchi le nostre teorie secondo cui gli ingiusti sono puniti nel fuoco eterno (per costoro, noi esorteremmo gli uomini a vivere virtuosamente, servendoci della paura, e non della bellezza ed amabilità della cosa in sé), risponderemo brevemente anche a questa obiezione. Se non è così, o Dio non esiste, o, se esiste, non si cura degli uomini, e la virtù ed il vizio sono parole vane. In questo caso, come dicemmo, a torto i legislatori puniscono quanti violano i buoni ordinamenti.2. Ma poiché non sono ingiusti né loro né il loro Padre, che ci insegna ad agire ad imitazione Sua per mezzo del Logos, non sono ingiusti coloro che vi si conformano.3. Se qualcuno poi accampa la diversità delle leggi degli uomini – dicendo che presso alcuni uomini questo è giudicato buono e quello cattivo e che presso altri uomini ciò che per quelli è cattivo vien ritenuto buono e quello che è buono cattivo –, ascolti anche quanto noi diciamo a questo proposito.

Page 270: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

270

4. Sappiamo che gli angeli cattivi disposero leggi conformi alla loro iniquità e che gli uomini simili a loro se ne compiacciono; ma la retta ragione sopravviene a dimostrare che non tutte le opinioni né tutte le dottrine sono buone, ma che le une sono cattive, le altre buone. Pertanto io a costoro presenterò queste e simili argomentazioni; e sono anche disposto ad ampliarle, qualora ve ne sia bisogno.5. Per ora ritorno al mio argomento.

Noi possediamo il Logos totale

X – 1. La nostra dottrina dunque appare più splendida di ogni dottrina umana, perché per noi si è manifestato il Logos totale, Cristo, apparso per noi in corpo, mente, anima.2. Infatti tutto ciò che rettamente enunciarono e trovarono via via filosofi e legislatori, in loro è frutto di ricerca e speculazione, grazie ad una parte di Logos.3. Ma poiché non conobbero il Logos nella sua interezza, che è Cristo, spesso si sono anche contraddetti.4. Quelli che vissero prima di Cristo e si sforzarono di investigare e di indagare le cose con la ragione, secondo le possibilità umane, furono trascinati dinanzi ai tribunali come empi e troppo curiosi. Colui che più di ogni altro tendeva a questo, Socrate, fu accusato delle stesse colpe che si imputano a noi: infatti dissero che egli introduceva nuove divinità, e che non credeva negli dèi che la città riteneva come tali.5. Invece egli insegnò agli uomini a rinnegare i demoni malvagi, autori delle empietà narrate dai poeti, facendo bandire dalla repubblica sia Omero sia gli altri poeti; cercava anche di spingerli alla conoscenza del Dio a loro ignoto, attraverso la ricerca razionale. Diceva: “Non è facile trovare il Padre e creatore dell’universo, né è sicuro che chi l’ha trovato lo riveli a tutti”.6. Questo è quanto fece il nostro Cristo con la Sua potenza. Infatti a Socrate nessuno credette fino al punto di morire per questa dottrina. A Cristo invece, conosciuto, almeno in parte, anche da Socrate (Egli infatti era ed è il Logos che è in ogni cosa, che ha predetto il futuro per mezzo dei Profeti e per mezzo di se stesso, che si è fatto come noi ed ha insegnato questa verità), credettero non solo i filosofi e dotti, ma anche operai e uomini assolutamente ignoranti, che sprezzarono i giudizi altrui, la paura, la morte. Poiché è potenza del Padre ineffabile e non costruzione di umana ragione.

Siamo lieti di pagare il nostro debito

XI. – 1. Né noi saremmo uccisi né gli uomini ingiusti e i demoni avrebbero la meglio su di noi, se ogni uomo generato non fosse comunque debitore della morte; perciò siamo lieti di pagare il nostro debito.2. Pertanto riteniamo bello ed opportuno riferire a Crescente, ed a quanti come lui delirano, l’episodio narrato da Senofonte.3. Narrò Senofonte che Eracle, giunto a un trivio, incontrò la virtù e il vizio, apparsi sotto forma di donne.4. Il vizio, in molle veste, con volto seducente e fiorente, dagli occhi subito ammaliatori, disse ad Eracle che, se l’avesse seguito, gli avrebbe procurato una vita sempre felice e adorna di sfarzo splendidissimo, simile al suo.5. La virtù invece, di squallido aspetto e in squallide vesti, disse: “Se tu mi darai ascolto, ti ornerai non di ornamenti e di bellezza caduchi o corruttibili, ma di ornamenti eterni e belli”.6. Noi siamo assolutamente convinti che, chiunque fugga ciò che apparentemente è bello e persegua ciò che è reputato aspro ed assurdo, ottiene in cambio la felicità.

Page 271: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

271

7. II vizio infatti, ponendo, a copertura delle proprie azioni, le qualità delle virtù e ciò che è vero bene, tramite l’imitazione delle cose incorruttibili (in realtà esso non ne ha né può fare alcunché di incorruttibile), soggioga gli uomini proni a terra, assegnando alla virtù le proprie inique qualità.8. Ma quelli che hanno capito il vero bene, sono anche incorruttibili per la virtù. Questo bisogna che comprenda ogni persona che ragioni, riguardo ai cristiani, agli atleti ed a quanti compirono quelle azioni che i poeti narrarono a proposito dei falsi dèi: questa è la conclusione che si deve trarre dal nostro disprezzo della morte a cui tutti cercano di sfuggire.

L’approdo al cristianesimo

XII. – l. Infatti io stesso, che mi ritenevo soddisfatto delle dottrine di Platone, sentendo che i cristiani erano accusati ma vedendoli impavidi dinanzi alla morte ed a tutti i tormenti ritenuti terribili, mi convincevo che era impossibile che essi vivessero nel vizio e nella concupiscenza.2. Infatti quale uomo libidinoso o intemperante o che reputi un bene il cibarsi di carne umana potrebbe abbracciare la morte, per essere privato di questi suoi beni, e non cercherebbe invece di vivere sempre la vita di quaggiù e di sfuggire ai magistrati, anziché autodenunciarsi per essere ucciso?3. Ormai anche a questo i cattivi demoni sono giunti, con la collaborazione di alcuni uomini malvagi.4. Essi infatti, per mandare a morte alcuni di noi sulla base di false accuse, trascinano negli interrogatori i nostri servi, o fanciulli o donnicciole, e fra tormenti spaventosi li costringono ad accusarsi di quelle nefandezze di loro invenzione, proprio di quelle che essi apertamente commettono. Ma poiché non ci riguardano, non le teniamo in alcun conto, avendo Dio, ingenerato ed ineffabile, come testimone sia dei nostri pensieri sia delle nostre azioni.5. Che cosa ci impedisce di confessare pubblicamente che anche queste azioni sono oneste, e di dimostrare che sono una filosofia divina, sostenendo che noi celebriamo i misteri di Cronos, se uccidiamo uomini e ci saziamo di sangue (come si dice), esattamente come avviene per l’idolo da voi onorato, che aspergete del sangue non solo di animali, ma anche di uomini, voi che, attraverso la persona più insigne e più nobile, fate l’aspersione del sangue di uomini immolati? Perché non imitiamo Zeus e gli altri dèi nello stuprare fanciulli e nel congiungerci impunemente con donne, adducendo a giustificazione gli scritti di Epicuro e dei poeti?6. Poiché, al contrario, ci sforziamo di persuadere a fuggire simili dottrine e quanti le praticano, insieme con i loro imitatori – come anche adesso abbiamo tentato di fare con questi discorsi –, in tutti i modi ci si fa guerra. Ma noi non ce ne curiamo, poiché sappiamo che Dio è giusto osservatore di tutto.7. Oh, se ci fosse anche adesso qualcuno che salisse su un alto palco e gridasse con voce di tragèda: “Vergognatevi, vergognatevi di addossare ad innocenti ciò che voi fate impunemente, e di attribuire le azioni vostre e dei vostri dèi a costoro, che non ne sono nemmeno minimamente partecipi. Pentitevi, rinsavite”.

Mi vanto di essere cristiano!XIII. – l. Io allora, resomi conto che un velo di menzogna era disteso dai cattivi demoni sulle divine dottrine dei cristiani per traviare gli altri uomini, mi risi sia di chi diffondeva tali menzogne, sia di questo falso velo, sia dell’opinione dei più.2. Io confesso di vantarmi e di combattere decisamente per essere trovato cristiano, non perché le dottrine di Platone siano diverse da quelle di Cristo, ma perché non sono del tutto simili, così come quelle degli altri, Stoici e poeti e scrittori.

Page 272: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

272

3. Ciascuno infatti, percependo in parte ciò che è congenito al Logos divino sparso nel tutto, formulò teorie corrette; essi però, contraddicendosi su argomenti di maggior importanza, dimostrano di aver posseduto una scienza non sicura ed una conoscenza non inconfutabile.4. Dunque ciò che di buono è stato espresso da chiunque, appartiene a noi cristiani. Infatti noi adoriamo ed amiamo, dopo Dio, il Logos che è da Dio non generato ed ineffabile, poiché Egli per noi si è fatto uomo affinché, divenuto partecipe delle nostre infermità, le potesse anche guarire.5. Tutti gli scrittori, attraverso il seme innato del Logos, poterono oscuramente vedere la realtà. Ma una cosa è un seme ed un’imitazione concessa per quanto è possibile, un’altra è la cosa in sé, di cui, per sua grazia, si hanno la partecipazione e l’imitazione.

Apponete il sigillo...

XIV. – 1. Vi preghiamo dunque di apporre il sigillo dell’ufficialità a questo libretto, sottoscrivendo ciò che vi pare valido, affinché anche gli altri conoscano quanto ci riguarda e possano liberarsi dalle false opinioni e dall’ignoranza del bene.2. Essi sono soggetti ai castighi per colpa propria; primo, perché è insita nella natura umana la capacità di conoscere il bene e il male; poi, perché condannano noi, mentre non ci conoscono, di commettere quelle turpitudini che dicono; ed infine perché si compiacciono di dèi che commisero azioni del genere, ed anche ora ne richiedono di simili agli uomini: cosicché, con il condannare noi, come se fossimo rèi di tali delitti, a morte, al carcere o ad atre simili pene, condannano se stessi e non hanno bisogno di altri giudici.

... perché chi legge possa convertirsi

XV. – 1. Disprezzai, tra il mio popolo, anche la dottrina empia ed ingannatrice di Simone.2. Se voi apporrete la vostra firma a questo libretto, noi lo faremo conoscere a tutti, affinché, se possibile, siano indotti a mutare.3. Solo a questo scopo abbiamo composto questi discorsi. Le nostre dottrine, secondo un giudizio assennato, non sono turpi; anzi sono superiori a qualunque filosofia umana; quanto meno, non sono certo simili alle dottrine di Sotade e di Filenide e di Archestrate e di Epicuro od alle altre opere poetiche di tal genere, rappresentate e scritte, di cui a tutti è dato di venire a conoscenza.4. Ma ormai termineremo, avendo fatto quanto era in noi, e con la preghiera che tutti gli uomini, nella loro totalità, siano resi meritevoli della verità. Voglia il cielo, dunque, che anche voi giudichiate, nel vostro interesse, in modo giusto, conforme a pietà e ad amore della sapienza!

Page 273: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

273

San Silvano dell'Athos

SCRITTInote a margine d'un catalogo di Fiori

Un’anima mite e umile è preferibile a questi fiori, e il suo aroma e il suo profumo sono migliori e più belli. Il Signore ha fatto belli questi fiori, ma ama ancor più l’uomo e gli ha donato lo Spirito santo che è più soave del mondo intero e gradito all’anima.

Dio ha fatto i fiori per l’uomo, perché l’anima glorifichi il Creatore nella creatura e lo ami. Non bisogna dimenticare Dio nemmeno per un attimo, né di giorno né di notte, perché ci ama. Amiamolo anche noi con tutte le nostre forze e chiediamogli la misericordia e la forza di poter osservare i suoi santi comandamenti.

Io amo i fiori.Ma ami il Signore e ami i nemici che ti affliggono?Se li ami, allora sei un uomo di bene.I santi amavano versare lacrime davanti a Dio, perché erano lieti di spirito; ma si affliggono a causa nostra, perché viviamo male.

Page 274: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

274

È bene se l’anima è abituata a pregare e a versare lacrime per il mondo intero. Ci sono molti monaci che piangono per il mondo intero: lo so, lo credo. La Madre di Dio ama i monaci obbedienti che si confessano spesso e non accolgono i pensieri malvagi. La Madre di Dio si rattrista molto quando uno conduce una vita disordinata e impura; lo Spirito santo non verrà in quell’anima. In essa ci sarà afflizione, acedia e irascibilità.

Possiamo conoscere Dio attraverso lo Spirito santo e non con la sola intelligenza. L’uomo non conosce Dio alla maniera di un animale privo d’intelligenza. I monaci sanno quanto amano il Signore e quanto il Signore li ama. “Io amo quelli che mi amano” (cf. Gv 14,21), dice il Signore. “Glorificherò quelli che mi glorificano” (1Sam 2,30). È cosa buona essere con Dio: l’anima trova in Dio il proprio riposo. È segno di amore verso Dio mettere in pratica i suoi comandamenti. L’orgoglioso non può amare Dio. Chi ama mangiare molto non può amare Dio come si deve. Per amare Dio bisogna rinunciare a tutto ciò che è terreno, non essere attaccati a nulla, ma pensare sempre a Dio, al suo amore e alla dolcezza dello Spirito santo.

L’obbedienza ci umilia; il digiuno e la preghiera originano a volte pensieri malvagi, che ci f anno digiunare e pregare in modo orgoglioso. Se un novizio si abitua a pensare: “È il Signore che guida il mio starec”, allora sarà facilmente salvato grazie all’obbedienza. Per chi obbedisce, tutto è virtù: la preghiera del cuore che gli è concessa per obbedienza, la commozione e le lacrime. Costui ama il Signore e teme di offenderlo con una trasgressione; poiché il Signore misericordioso gli concede pensieri santi e umili, egli ama il mondo intero e innalza per il mondo preghiere accompagnate da lacrime: così la grazia istruisce l’anima mediante l’obbedienza.

Dobbiamo pensare: il Signore mi ha condotto qui e mi ha affidato a questo starec. Il Signore ci conceda di essere salvati. Il nemico ci tende numerosi tranelli, ma chi manifesta i propri pensieri sarà salvato, perché lo Spirito santo è accordato al padre spirituale per la nostra salvezza.

Il Signore si fa conoscere dai cuori semplici che obbediscono. Il re David era il fratello minore e faceva il pastore (cf. 1Sam 16,11), e il Signore lo amava per la sua mitezza. I miti sono sempre obbedienti. David ha scritto per noi il salterio in forza dello Spirito santo che viveva in lui. Anche il profeta Mosè era pastore, presso suo suocero (cf. Es 3,1): ecco l’obbedienza. Anche la Madre di Dio era obbediente, così come i santi apostoli. È la via che il Signore stesso ci ha insegnato. Dobbiamo custodirla e riceveremo sulla terra i frutti dello Spirito santo.

I disobbedienti sono tormentati da pensieri malvagi: così il Signore vuole insegnarci a essere obbedienti in modo da poter contemplare la sua abbondante misericordia già sulla terra. La nostra mente sarà sempre occupata in Dio, la nostra anima sarà sempre umile.

Quando ero nel mondo, la gente mi lodava, e io credevo di essere buono. Ma quando sono venuto in monastero, allora sì che ho incontrato persone veramente buone: io non valgo quanto il loro mignolo o un laccio dei loro sandali. Ecco come ci si può sbagliare, cadere nell’orgoglio e perdersi. Chi è veramente buono è raggiante di gioia e di letizia e non è come me.

Noi viviamo secondo la nostra volontà e tormentiamo noi stessi. Chi vive secondo la volontà di Dio è buono, gioioso, pacifico. Dimmi, o Adamo, come sfuggire all’afflizione sulla terra? Non c’è consolazione sulla terra: solo tristezza che rode l’anima.

Page 275: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

275

Abbandonati alla volontà di Dio: l’afflizione diminuirà e sarà più leggera, perché l’anima sarà in Dio e troverà in lui consolazione. Il Signore infatti ama l’anima che si è abbandonata alla volontà di Dio e ai padri.

Un’anima chiusa su se stessa non si apre al proprio padre spirituale e cade nell’illusione. Vuole acquisire le realtà elevate, ma questo è un desiderio satanico, dice san Serafino. Dobbiamo allontanare le passioni dell’anima e del corpo e fuggire l’illusione. Il Signore si rivela ai semplici senza malizia (cf. Mt 11,25), non solo ai santi, ma anche ai peccatori. Ecco come il Signore ci ama.

Siamo costantemente in guerra. Se sei caduto nell’illusione, corri subito dal tuo padre spirituale e raccontagli tutto, affinché ti ricopra con il suo epitrachelion2. Sappi che sei stato riconfermato e che il demonio, da te accolto con la tua colpa, se n’è andato. Se non ti penti, non ti correggerai prima della tomba. I demoni entrano ed escono dal nostro corpo. Quando l’uomo cede all’ira, il demonio entra in lui; quando ritrova la pace, il demonio lo lascia.

Se ti metti a pregare Dio e il demonio si leva contro di te non permettendoti di prostrarti in preghiera, allora umiliati e di’: “Nessuno è peggiore di me”. Il demonio sparirà immediatamente. Essi temono enormemente l’umiltà, la contrizione e la confessione sincera. Se ti accorgi che ci sono dei demoni in te e li senti conversare tra loro, non scoraggiarti: abitano il tuo corpo, non la tua anima. Umiliati, ama il digiuno e non bere vodka né vino. Se non hai obbedito al tuo igumeno o al tuo padre spirituale, allora c’è un demonio in te: così accade dopo ogni peccato.

Se uno si confessa senza avere il cuore puro e segue la volontà propria, allora, anche se si accosta ai santi misteri, i demoni abitano nel suo corpo e sconvolgono la mente. Se vuoi che i demoni non abitino in te, allora umiliati, sii obbediente e distaccato, esegui con amore e precisione i servizi che ti vengono chiesti e confessati con cuore puro. Il padre spirituale indossa l’epitrachelion nello Spirito santo ed è simile a nostro Signore Gesù Cristo e risplende in Spirito santo: ecco, quando il padre spirituale parla, lo Spirito santo scaccia il peccato mediante le sue parole. Il padre spirituale e i presbiteri hanno lo Spirito santo. Un anziano vedeva il suo padre spirituale nell’icona di Cristo: ecco quanto il Signore ci ama!

Il Signore ama l’anima coraggiosa perché metta tutta la sua speranza nel Signore. Dobbiamo imitare Adamo nel suo pentimento e nella sua pazienza. Dobbiamo amare e venerare i pastori. Se non riusciamo a vedere in quale grazia dello Spirito santo sono i pastori, è a causa del nostro orgoglio e del fatto che non ci amiamo gli uni gli altri.

All’anima che si converte il Signore concede, in cambio del pentimento, il dono dello Spirito santo. L’anima ama Dio e nessuno può strapparla da questo amore. Il Signore vuole che lo amiamo e che, per amore suo, ci umiliamo. Il Signore vuole che ci rivolgiamo a lui con semplicità, come un bambino a sua madre (cf. Sal 131,2). Se siamo orgogliosi, dobbiamo chiedere a Dio l’umiltà e il Signore concederà all’umile di scorgere i tranelli dell’avversario. Il Signore ci ama molto e ci concede di sapere ciò che avviene in cielo e come vivono i nostri fratelli che ci hanno preceduto e che sono risultati graditi a Dio per la loro umiltà e il loro amore. Il Signore ha mostrato il paradiso ai santi umili.

2 Epitrachelion: stola che il presbitero o il padre spirituale pone sul capo dei penitenti nell’annunciare il perdono; è simbolo della misericordia che “copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4,8).

Page 276: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

276

Il regno di Dio è in noi (cf. Lc 17,21). Dobbiamo esaminare se il peccato vive in noi. Quando il padre spirituale dice una parola, il peccato viene bruciato nell’anima e l’anima sperimenta la libertà e la pace. Se poi l’anima fa penitenza, allora il Signore le fa conoscere la gioia e la letizia in Dio. Allora il regno di Dio è in noi.

L’anima deve umiliarsi profondamente, in ogni istante, al punto da umiliarsi persino durante il sonno. I santi amavano umiliarsi e piangere: per questo il Signore li ha amati e ha concesso loro di conoscerlo. L’amore di Dio si riconosce grazie allo Spirito santo che vive nella nostra chiesa ortodossa.

Se fossimo umili, il Signore ci farebbe vedere il paradiso ogni giorno. Ma siccome non siamo umili, dobbiamo lottare e ingaggiare battaglia contro noi stessi: se vinci te stesso, il Signore ti darà il suo santo aiuto in ricompensa della tua umiltà e della tua fatica.

le lacrime di Adamo

Adamo, padre dell’umanità, in paradiso conobbe la dolcezza dell’amore di Dio; così, dopo esser stato cacciato dal paradiso a causa del suo peccato e aver perso l’amore di Dio, soffriva amaramente e levava profondi gemiti.Il deserto intero riecheggiava dei suoi singhiozzi.La sua anima era tormentata da un unico pensiero: “Ho amareggiato il Dio che amo”.Non l’Eden, non la sua bellezza rimpiangeva, ma la perdita dell’amore di Dio che a ogni istante attrae insaziabilmente l’anima a Dio.Così ogni anima, che ha conosciuto Dio nello Spirito santo e ha poi smarrito la grazia, prova lo stesso dolore di Adamo.L’anima soffre e si tormenta per aver amareggiato il Signore che ama.

Adamo gemeva, sperduto su una terra che non gli procurava gioia; aveva nostalgia di Dio e gridava:“L’anima mia ha sete del Signore, in lacrime lo cerco. Come potrei non cercarlo?“Quando ero con Dio, l’anima mia si rallegrava nella pace e l’avversario non poteva farmi alcun male. Ora invece lo spirito malvagio si è impadronito di me e tormenta l’anima mia. Ecco perché l’anima mia si strugge per il Signore fino a morire e non accetta conforto alcuno; il mio spirito anela a Dio e nulla di terreno lo consola; ho desiderio ardente di rivedere Dio (cf. Sal 42,2 ss.), di goderlo fino a saziarmene.“Nemmeno per un attimo posso dimenticarmi di lui, l’anima mia langue per lui, gemo dal grande dolore. Abbi pietà di me, o Dio, pietà della tua creatura caduta”.Così gemeva Adamo, e un fiume di lacrime gli solcava il volto, scorreva sul petto e cadeva a terra. Il deserto intero riecheggiava dei suoi singhiozzi.Bestie e uccelli erano ammutoliti di dolore.E Adamo gemeva: per il suo peccato tutti avevano perduto la pace e l’amore.

Grande fu il dolore di Adamo dopo la cacciata dal paradiso, ma più grande ancora quando vide il figlio Abele ucciso da Caino. Per l’immane sofferenza piangeva, pensando: “Allora da me usciranno popoli, si moltiplicheranno sulla terra, ma solo per soffrire tutti, per vivere nell’inimicizia e uccidersi a vicenda”

Page 277: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

277

Come oceano immenso era il suo dolore: solo le anime che hanno conosciuto il Signore e il suo ineffabile amore possono capirlo.Io pure ho perso la grazia, e con Adamo imploro: “Abbi pietà di me, Signore. Donami lo spirito di umiltà e di amore”.Come è grande l’amore del Signore! Chi ti ha conosciuto non si stanca di cercarti, e giorno e notte grida: “Desidero te, Signore, in lacrime ti cerco. Come potrei non cercarti? Sei tu che mi hai permesso di conoscerti nello Spirito santo e ora questa divina conoscenza attira incessantemente la mia anima a te”.

Adamo piangeva:

“Il silenzio del deserto, non mi rallegra. La bellezza di boschi e prati, non mi dà riposo. Il canto degli uccelli, non lenisce il mio dolore. Nulla, più nulla mi dà gioia. L’anima mia è affranta da un dolore troppo grande. Ho offeso Dio, il mio amato. E se ancora il Signore mi accogliesse in paradiso, anche là piangerei e soffrirei. Perché ho amareggiato il Dio che amo”.

Adamo, cacciato dal paradiso, sentiva sgorgare dal cuore trafitto fiumi di lacrime. Così piange ogni anima che ha conosciuto Dio e gli dice:

“Dove sei, Signore? Dove sei, mia luce? Dove si è nascosta la bellezza del tuo volto? Da troppo tempo l’anima mianon vede la tua luce,afflitta ti cerca.Nell’anima mia non lo vedo. Perché?In me non dimora. Cosa glielo impedisce? In me non c’è l’umiltà di Cristoné l’amore per i nemici”.

Sconfinato, indescrivibile amore: questo è Dio.Adamo andava errando sulla terra: nel cuore lacrime amare, la mente continuamente in Dio. E quando il corpo esausto non aveva più lacrime da piangere, era lo spirito ad ardere per Dio, non potendo dimenticare il paradiso e la sua bellezza. Ma l’anima di Adamo amava Dio più di ogni altra cosa e, forte di questo amore, a lui incessantemente anelava.Adamo, di te io scrivo; ma tu vedi che troppo debole è la mia mente per capire l’ardore del tuo desiderio di Dio e il peso della tua penitenza.

Page 278: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

278

Adamo, tu vedi quanto io, tuo figlio, soffro sulla terra. In me non c’è più fuoco ormai, la fiamma del mio amore si sta spegnendo.Adamo, canta per noi il cantico del Signore: l’anima mia esulti di gioia nel Signore (cf. Lc 1,47), si levi a cantarlo e glorificarlo, come nei cieli lo lodano i cherubini, i serafini e tutte le potenze celesti.Adamo, nostro padre, canta per noi il cantico del Signore: tutta la terra lo senta, tutti i tuoi figli levino i loro cuori a Dio, gioiscano al dolce suono dell’inno del cielo, dimentichino le sofferenze della terra.Adamo, nostro padre, narra il Signore a noi, tuoi figli! L’anima tua conosceva Dio, conosceva la dolcezza e la gioia del paradiso. E ora tu dimori nei cieli e contempli la gloria del Signore.Narraci come il Signore nostro è glorificato per la sua passione, come vengono cantati i cantici in cielo, come sono dolci gli inni proclamati nello Spirito santo.Narraci la gloria di Dio, quanto è misericordioso, quanto ama la sua creatura.Narraci della santa Madre di Dio, quanto è esaltata nei cieli, quali inni la proclamano beata.Narraci come gioiscono i santi lassù, come risplendono di grazia, come amano il Signore, con quale santa umiltà stanno davanti al suo trono.Adamo, consola e rallegra le nostre anime affrante.Narraci: cosa vedi nei cieli?Non rispondi?Perché questo silenzio?Eppure, la terra intera è avvolta di sofferenza.Tanto ti assorbe l’amore divino da non poterti ricordare di noi?Oppure vedi la Madre di Dio nella gloria e non puoi distogliere gli occhi da quella celeste visione e per questo lasci i tuoi figli nella desolazione, orfani di una parola di affetto? È per questo che non ci consoli e non ci permetti di scordare le amarezze della nostra vita terrena?Adamo, nostro padre, non rispondi?Il dolore dei tuoi figli sulla terra tu lo vedi.Perché dunque questo silenzio? Perché?

Adamo risponde:“Figli miei, amati, non turbate la mia pace. Non posso distogliermi dalla visione di Dio. L’anima mia, ferita dall’amore del Signore, si delizia della sua bontà. Chi vive nella luce del volto del Signore non può ricordarsi delle cose terrene”.

Adamo, nostro padre, hai forse abbandonato noi, tuoi figli ormai orfani? Ci hai lasciati immersi nell’abisso dei mali della terra?Narraci: come piacere a Dio?Ascolta i tuoi figli dispersi sulla terra: il loro spirito si disperde nei pensieri del loro cuore (cf. Lc 1,5 1) e non può accogliere la divinità. Molti si sono allontanati da Dio, vivono nelle tenebre e camminano verso gli abissi dell’inferno.“Non turbate la mia estasi. Contemplo la Madre di Dio nella gloria e non posso distrarre la mente da questa visione per parlare con voi. Contemplo anche i santi profeti e apostoli e sono pervaso di stupore perché li vedo in tutto simili al Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio.“Cammino nell’Eden e ovunque contemplo la gloria del Signore: egli vive in me e mi ha reso simile a lui. A tal punto il Signore glorifica l’uomo!”.

Adamo, parla con noi! Siamo tuoi figli e qui sulla terra soffriamo.

Page 279: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

279

Narraci come ereditare il paradiso, affinché noi pure, come te, possiamo contemplare la gloria del Signore. Le anime nostre soffrono per la lontananza dal Signore, mentre tu nei cieli ti rallegri ed esulti nella gloria divina.Ti supplichiamo: consolaci!

“Figli miei, perché gridate a me?“Il Signore vi ama e vi ha dato i comandamenti della salvezza. Osservateli, soprattutto amatevi gli uni gli altri (cf. Gv 13,34): così troverete riposo in Dio. In ogni istante pentitevi dei vostri peccati: così sarete ritenuti degni di andarvene incontro a Cristo. Il Signore ha detto: ‘Amo quelli che mi amano’ (cf. Gv 14,21) e ‘glorificherò quelli che mi glorificano’ (1Sam 2,30)”.

Adamo, prega per noi, tuoi figli!L’anima nostra è oppressa da molti mali.Adamo, nostro padre, nei cieli tu contempli il Signore che è seduto nella gloria alla destra del Padre; vedi i cherubini, i serafini e i santi tutti; ascolti canti celesti e l’anima tua è rapita da tanta dolcezza. Ma noi, quaggiù, esclusi dalla grazia, siamo costantemente afflitti e abbiamo sete di Dio.Si estingue in noi il fuoco dell’amore del Signore, siamo oppressi dal peso delle nostre colpe. Una tua parola ci sia di conforto; canta a noi un canto che ascolti nei cieli: lo senta la terra intera e gli uomini tutti dimentichino le loro miserie.Adamo, la tristezza ci opprime!

“Figli miei, non turbate la mia pace. Passato è il tempo delle mie sofferenze. Nella dolcezza dello Spirito santo e nelle delizie del paradiso, come ricordarmi della terra?“Questo solo vi dirò: Il Signore vi ama: vivete nell’amore! ‘Obbedite ai vostri superiori’ (Eb 13,17), umiliate i vostri cuori.“Lo Spirito di Dio allora porrà la sua tenda in voi (cf . Gv 1,14). Viene nella quiete e all’anima dona pace; muto (cf. Sal 19,4), testimonia la sua salvezza.“Cantate a Dio con amore e umiltà di spirito: di questo si rallegra il Signore”.Adamo, nostro padre, che fare?Cantare, cantiamo. Ma in noi né amore né umiltà.

“Pentitevi davanti al Signore, e pregate. Concederà ogni cosa agli uomini che tanto ama (cf. Gv 3,16). Anch’io mi sono pentito e ho sofferto per aver amareggiato il Signore, perché per i miei peccati la pace e la gioia erano state tolte dalla faccia della terra. Un fiume di lacrime solcava il mio volto, mi scorreva sul petto e cadeva a terra; il deserto intero riecheggiava dei miei singhiozzi. Non potete penetrare l’abisso della mia afflizione, né il mio pianto a causa di Dio e del paradiso. In paradiso ero felice: lo Spirito di Dio mi colmava di gioia, mi preservava libero da sofferenze.

“Ma, cacciato dal paradiso, fiere e uccelli, che prima mi amavano, presero a temermi e a fuggire lontano; pensieri malvagi mi laceravano il cuore; freddo e fame mi tormentavano; il sole mi bruciava, il vento mi sferzava, la pioggia mi inzuppava: ero sfinito dalle malattie

Page 280: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

280

e da tutte le disgrazie della terra. Ma tutto sopportavo, sperando in Dio contro ogni speranza (cf. Rm 4,18).

“Figli miei, sopportate anche voi le fatiche della penitenza; amate le afflizioni; sottomettete il corpo con l’ascesi e la sobrietà; umiliatevi e amate i nemici (cf. Mt 5,44): lo Spirito santo dimorerà in voi. Allora conoscerete e troverete il regno di Dio.“Ma non turbate la mia pace. Per l’amore di Dio non posso ricordarmi della terra. Ho dimenticato tutte le cose terrene, persino lo stesso paradiso da me perduto, perché contemplo la gloria eterna del Signore e la gloria dei santi che risplendono della stessa luce del volto di Dio”.

Adamo, canta per noi, cantaci il canto celeste: la terra intera lo ascolti e goda della pace di Dio. Sono inni soavi, cantati nello Spirito santo e noi desideriamo ascoltarli.

Adamo aveva perduto il paradiso terrestre. In lacrime lo cercava:“Paradiso mio, paradiso mio, paradiso meraviglioso!”.Ma il Signore nel suo amore gli fece dono, sulla croce (cf. Lc 23,43), di un paradiso migliore di quello perduto, un paradiso celeste dove rifulge la luce increata della santa Trinità.Come contraccambiare l’amore del Signore per noi (cf. Sal 116,12)?

Non disperare!

Il Signore chiama al pentimento l’anima che ha peccato: se essa ritorna al Signore, questi nella sua misericordia la accoglie e le si manifesta.L’anima di un tale uomo ha conosciuto Dio, il Dio buono, pietoso e dolcissimo (cf. Sal 103,8), lo ha amato intensamente e, insaziabile, anela a lui con amore ardente e totale: né giorno né notte, nemmeno per un attimo riesce a separarsi da lui.Quando invece la grazia viene meno, a cosa paragonerò il dolore dell’anima? Con struggente invocazione si rivolge a Dio perché faccia tornare in lei la grazia di cui già ha potuto gustare tutta la dolcezza.Straordinario! Il Signore non ha dimenticato me, sua creatura caduta! C’è chi si dispera perché crede che il Signore non perdonerà il suo peccato. Ma pensieri simili vengono dall’avversario. La misericordia del Signore è tale che noi non riusciamo neanche a percepirla in pienezza. L’anima che nello Spirito santo è stata colmata dall’amore di Dio conosce davvero lo smisurato amore del Signore per l’uomo. Ma quando smarrisce questo amore, allora è angosciata, affranta: la mente non pensa ad altro ma cerca Dio solo. Un diacono un giorno mi raccontava: “Ho visto Satana vestito da angelo di luce e mi ha lusingato dicendomi: ‘Io amo gli ambiziosi: saranno mia proprietà! Tu sei ambizioso e perciò ti prenderò con me!’. Ma io gli risposi: ‘Sono il peggiore di tutti’. Satana, allora, immediatamente sparì”. Anch’io ho vissuto qualcosa di simile quando mi apparvero i demoni. Nella mia paura esclamai: “Signore, vedi che i demoni mi impediscono di pregare. Dimmi tu cosa fare perché fuggano lontano da me”. E il Signore mi confidò: “I demoni non cessano di tormentare le anime orgogliose”. Replicai: “Signore, illuminami: quali pensieri renderanno umile la mia anima?”. Questa la risposta che ricevetti: “Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!”.Da allora iniziai a fare così e tutto il mio essere ha trovato pace in Dio.

Page 281: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

281

L’anima mia impara l’umiltà dal Signore. Mistero insondabile: il Signore mi si è manifestato e ha ferito il mio cuore con il suo amore, poi si è nascosto e ora la mia anima anela a Dio giorno e notte (cf. Sal 42,2 ss.). Egli, come pastore buono e misericordioso, è venuto a cercare me, la sua pecora ferita dai lupi, e mi ha curato.

La pace

Che fare per conoscere la pace nel proprio cuore e nel proprio corpo? Bisogna amare tutti gli uomini come se stessi ed essere pronti a morire in ogni istante. Se pensi alla morte, diventi umile, ti lasci guidare interamente da Dio, desideri essere in pace con tutti e amare tutti. Quando la pace di Cristo entra in te, ti rallegri di essere come Giobbe, seduto sulla spazzatura (cf. Gb 2,8). Gli altri conoscono gli onori, tu invece sei lieto di essere il più maltrattato. L’umiltà di Cristo è una grande cosa, così misteriosa che non si può spiegarla agli altri. Nel tuo amore, ti auguri il bene degli altri più del tuo. Sei felice quando vedi gli altri star meglio di te e sei triste quando vedi gli altri soffrire (cf. Rm 12,15).

Ogni uomo desidera la pace, ma non sa come ottenerla. Un giorno abba Paissios cadde in preda all’ira e invocò il Signore: “Ti prego, liberami dall’ira!”. Il Signore gli apparve e gli disse: “Paissios, se non vuoi adirarti, non desiderare nulla, non giudicare il fratello, non detestare nessuno: così non sarai più preda dell’ira”. Così è infatti: chi rinuncia alla volontà propria per seguire quella di Dio e degli altri avrà sempre la pace nel cuore. Chi invece obbliga gli altri a fare ciò che vuole, non conoscerà mai la pace.

Se qualcosa ti rattrista, pensa: “Il Signore conosce il mio cuore: se questa è la sua volontà, tutto concorrerà al bene mio e degli altri” (cf. Rm 8,28). Così dimorerai sempre nella pace. Se invece cominci a lamentarti e a dire: “Questo non va, non è cosa buona”, allora, per quanto tu digiuni e preghi, il tuo cuore non conoscerà mai la pace.

Vuoi custodire la pace nel cuore? Vigila sul tuo spirito: custodisci i pensieri graditi a Dio e allontana quelli malvagi. Presta attenzione a quanto avviene nel tuo cuore. Chiediti sempre se il tuo cuore è in pace. Se non lo è, chiediti cosa hai fatto di male. Sii sobrio perché il tuo cuore dimori in pace: infatti la pace si perde anche per colpa del corpo.

A volte succede di parlare male di qualcuno che non si conosce e che è un amico di Dio. Preòccupati solo di ciò che riguarda te, di quanto ti viene ordinato dall’igumeno o dal padre spirituale. Allora il Signore ti darà la sua forza perché tu possa obbedire, e sentirai in te i frutti dell’obbedienza: la pace e la preghiera continua. Vivendo in comunità perdiamo la pace di Dio perché non abbiamo imparato ad amare il fratello come ci chiede il Signore. Per esempio: tuo fratello ti insulta e tu lasci che l’ira s’impadronisca del tuo cuore. Lo giudichi e arrivi a detestarlo: allora senti che l’amore ti abbandona e non hai più la pace. Se vuoi avere la pace del cuore, prendi l’abitudine di amare chi ti fa del male e di pregare subito per lui (cf. Mt 5,44). Vuoi la pace del cuore? Chiedi con tutte le forze al Signore: “Concedimi di amare tutti gli uomini”.

Il Signore sa che se non amiamo i nostri nemici non avremo mai la pace del cuore. Per questo ci ha lasciato il comandamento di amare i nemici (cf. Mt 5,44). Se non amiamo i nemici, avremo magari dei momenti di calma, ma non potrà durare. Se invece li amiamo, la pace resterà nel nostro cuore,

Page 282: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

282

giorno e notte. Quando lo Spirito ti concede la pace, guarda di non perderla occupandoti di cose senza importanza. Se dai la pace al fratello, il Signore te ne darà ancora di più. Ma se fai soffrire tuo fratello, la tristezza si impadronirà anche di te.

Per conoscere la pace, medita la legge del Signore, giorno e notte (cf. Sal 1,2). È lo Spirito che ha scritto questa legge, e lo Spirito passerà dalla sacra Scrittura al tuo cuore. Proverai allora una dolcezza così grande che non sentirai più alcun gusto per le cose materiali. Se ami i beni terreni, il tuo cuore si svuota, tu diventi triste, indurito e non hai più voglia di pregare. L’avversario vede che non dimori più in Dio, ti attacca e semina liberamente nel tuo spirito ciò che vuole (cf. Lc 11,24-25). Ti suggerisce un pensiero dopo l’altro e così tu passi tutta la giornata senza quiete e non riesci a contemplare Dio con cuore puro. Se un pensiero impuro ti si affaccia alla mente, caccialo immediatamente: così conserverai la pace del cuore. Se invece lo accogli, perderai l’amore di Dio e non potrai più pregare con fiducia.

Quando perdi la pace?Quando pensi, anche per un attimo, di aver fatto qualcosa di buono;quando ti credi migliore del fratello; quando giudichi qualcuno (cf. Mt 7,1-5); quando rimproveri senza dolcezzae senza amore;quando mangi molto;quando preghi senza zelo.

Se perdi la pace, piangi i tuoi peccati e il Signore te li perdonerà. La gioia e la pace prenderanno nuovamente dimora nel tuo cuore e sentirai lo Spirito stesso dirti: “Ti sono perdonati i tuoi peccati!” (Lc 7,48). Non hai bisogno di altri testimoni: l’odio per il tuo peccato è la prova che il Signore l’ha perdonato.

Come può conservare la pace un igumeno se i fratelli non gli obbediscono? È faticoso per lui, ed è motivo di sofferenza (cf. Eb 13,17). Per conservare la pace deve pensare: “Questi fratelli non mi obbediscono, ma il Signore li ama ugualmente: ha sofferto fino alla morte per la loro salvezza. Allora io devo pregare per loro con tutte le mie forze”. Il Signore concederà poi la pace a colui che prega. Tu sai per esperienza che chi prega si accosta a Dio con fiducia e amore, eppure anche tu sei un uomo peccatore. Ma il Signore ti farà gustare i frutti della preghiera. Prendi l’abitudine di pregare così per coloro che ti sono affidati da Dio: la tua anima conoscerà una pace profonda e un grande amore.Se sei responsabile degli altri e devi giudicare qualcuno per le sue cattive azioni, prega prima il Signore: “Donami un cuore pieno di bontà” (cf. 1Re 3,9-12). Il Signore ama un cuore così. Allora potrai giudicare con giustizia. Se invece giudichi considerando solo le azioni, sicuramente ti sbaglierai e non sarai gradito al Signore.

Un fratello può conservare la pace quando ha un igumeno violento e malvagio? Chi si adira con frequenza soffre molto anche lui: è abitato da uno spirito malvagio e soffre a motivo del proprio orgoglio. Devi essere cosciente di questo e pregare molto per il tuo igumeno che soffre di questo male. Il Signore vede la tua pazienza: perdonerà i tuoi peccati e ti concederà la preghiera ininterrotta.

Page 283: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

283

Pregare per quanti ci odiano e ci fanno soffrire è un’azione molto bella agli occhi di Dio. Il Signore allora ti darà la sua forza, giungerai alla sua conoscenza nello Spirito santo e, nel suo nome, sopporterai ogni dolore con gioia.

Su questa terra siamo tutti inquieti e cerchiamo di essere liberi. Ma che cos’è la libertà? E come diventare liberi? Pochi lo sanno. Anch’io anelo alla libertà e la cerco giorno e notte. Io so che è presso Dio. Dio fa dono della libertà a chi ha il cuore umile e piange i propri peccati. Costui non desidera più fare ciò che gli piace, ma ciò che piace a Dio. Quando uno piange i propri peccati, il Signore gli concede la sua pace e lo rende libero di amare. Non c’è nulla di meglio al mondo che amare Dio e gli altri.Il Signore non vuole la morte del peccatore (cf. Ez 33,11). Quando questi piange le proprie colpe, il Signore gli dà la forza dello Spirito santo. Questa forza produce la pace e l’uomo è libero di essere in Dio con lo spirito e con il cuore. Quando lo Spirito santo perdona i nostri peccati, ci dà la libertà di pregare Dio con uno spirito puro. Allora contempliamo Dio liberamente e in lui troviamo la pace e la gioia. Questo significa essere veramente liberi. Ma senza Dio non si può essere liberi.

Il dono del pentimento

Signore, l’anima mia ti ha conosciuto e ora scrivo della tua misericordia per il tuo popolo.Popoli tutti, non affliggetevi per la difficoltà della vita. Solamente, lottate contro il peccato e invocate l’aiuto di Dio: vi darà il necessario, perché è misericordioso e ci ama.Popoli tutti, l’anima mia desidera che conosciate il Signore e contempliate la sua misericordia e la sua gloria. Ho settantadue anni e la mia morte è vicina: scrivo sulla misericordia del Signore che mi è stata rivelata per mezzo dello Spirito santo.Se solo potessi farvi salire su un alto monte! Dall’alta vetta vedreste il volto mite e misericordioso del Signore e i vostri cuori esulterebbero.In verità vi dico: nulla di buono conosco in me, e i miei peccati sono numerosi, ma la grazia dello Spirito santo ha cancellato i miei peccati.Così so che a tutti coloro che lottano contro il peccato il Signore dona non solo il perdono, ma anche la grazia dello Spirito santo, grazia che rallegra l’anima colmandola di pace, soave e profonda. O Signore, tu ami le tue creature. Ma chi potrebbe conoscere il tuo amore, chi ne gusterebbe la dolcezza, se non lo istruissi tu stesso nello Spirito santo?Allora ti prego, Signore, manda sul mondo - questo mondo che è tuo - la grazia dello Spirito santo, affinché tutti conoscano il tuo amore. Consola gli uomini dal cuore oppresso: nella gioia glorificheranno la tua misericordia.Consolatore buono, con le lacrime agli occhi ti supplico: conforta le anime angosciate degli uomini; fa’ conoscere a tutti i popoli la tua voce soave che annuncia: “Vi sono rimessi i peccati” (cf. Mc 2,5). Sì, o misericordioso, tu solo puoi compiere meraviglie e non vi è meraviglia più grande di questa: amare un peccatore nella sua miseria (cf. Rm 5,6-8). Amare un santo è facile: ne è degno. O Signore, ascolta la preghiera della terra! Tutti i popoli sono angosciati, tutti intristiti nei peccati, tutti privati della tua grazia: vivono tutti nelle tenebre.

Popoli tutti, terra tutta, gridiamo al Signore! La nostra preghiera troverà ascolto: il Signore si rallegra del pentimento e della conversione degli uomini (cf. Lc 15,7.10). Tutte le potenze celesti attendono che anche noi gustiamo la dolcezza dell’amore di Dio e contempliamo la bellezza del suo volto.

Page 284: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

284

Serena e dolce è la vita degli uomini sulla terra se trascorre nel santo timore di Dio. Oggi invece gli uomini vivono secondo volontà e ragione umane, hanno abbandonato i santi comandamenti e confidano di trovare la felicità altrove che nel Signore. Non sanno che solo il Signore è la nostra vera gioia e che solo nel Signore l’uomo trova la felicità.

Come il sole ravviva i fiori del campo, come il vento li culla, così il Signore riscalda l’anima, così le infonde vita.

Il Signore ci ha fatto dono di ogni cosa perché potessimo glorificarlo. Ma il mondo questo non lo capisce. E come potrebbe capire ciò che non ha veduto né provato? Io stesso, quando ero nel mondo, pensavo così: “Essere sano, attraente, ricco e stimato dagli uomini: ecco la felicità!” e avevo motivo di orgoglio. Ma quando ho conosciuto il Signore per mezzo dello Spirito santo, allora ho cominciato a capire che tutta la gloria del mondo è come fumo che il vento disperde.Ora la grazia dello Spirito santo infonde gioia e letizia nell’anima mia: in questa profonda pace contemplo il Signore e dimentico la terra.Signore, riconduci a te il tuo popolo (cf. Lc 1,16): conoscerà il tuo amore e tutti vedranno nello Spirito santo la mitezza del tuo volto. Tutti possano godere già qui sulla terra della visione del tuo volto: contemplandoti come sei, diventeranno simili a te (cf. 1Gv 3,2).Gloria al Signore che ci ha donato il pentimento: nel pentimento tutti saremo salvati, tutti, senza eccezioni. Solo chi non si pente non sarà salvato: io vedo la sua disperazione e perciò piango di compassione per lui. Se ogni anima conoscesse il Signore, se comprendesse quanto ci ama, nessuno dispererebbe della propria salvezza, nessuno alzerebbe lamenti.

Cos’altro dobbiamo aspettare? Che qualcuno intoni per noi una melodia celeste? Ma lo Spirito che opera è l’unico e il medesimo (cf. 1Cor 12,11):

nel cielo, tutto vive per opera dello Spirito santo; sulla terra, a noi è dato il medesimo Spirito santo; nelle chiese di Dio, le divine liturgie si compiono nello Spirito santo; “nei deserti, sui monti, nelle caverne” (Eb 11,38), ovunque gli asceti di Cristo vivono nello Spirito santo.

Se lo custodiamo, ci renderà liberi (cf. Gv 8,31-36) da ogni tenebra, e la vita eterna dimorerà in noi. Se tutti gli uomini si pentissero e osservassero i comandamenti di Dio, avremmo il paradiso sulla terra, perché il regno di Dio è dentro di noi (cf. Lc 17,21). Il regno di Dio è lo Spirito santo, e lo Spirito santo è il medesimo in cielo come in terra.Il Signore dona il paradiso e il regno eterno al peccatore che si pente. Nella sua infinita misericordia fa dono di se stesso, non ricorda i nostri peccati, come non ha ricordato quelli del ladrone sulla croce (cf. Lc 23,39-43).

Page 285: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

285

Grande è la tua misericordia, Signore.Chi potrà renderti grazie in modo adeguato per aver effuso sulla terra il tuo Spirito santo (cf. Gv 19,30)?Grande è la tua giustizia, Signore.Agli apostoli hai promesso: “Non vi lascerò orfani” (Gv 14,18). Noi ora viviamo di questa misericordia e la nostra anima avverte che il Signore ci ama. Chi non lo avverte, si penta: il Signore gli concederà la grazia a guida della sua anima. Se però vedi un peccatore e non ne provi compassione, allora la grazia ti abbandonerà. Abbiamo ricevuto il comandamento dell’amore (cf. Gv 13,34) e l’amore di Cristo ha compassione di tutti, e lo Spirito santo ci infonde la forza di compiere il bene.

Spirito santo, non abbandonarci! Quando tu sei in noi, l’anima avverte la tua presenza, trova in Dio la sua beatitudine: tu ci doni l’amore ardente per Dio.

Il Signore ha tanto amato gli uomini, sue creature (cf. Gv 3,16), che li ha santificati nello Spirito santo e li ha resi suoi simili. Misericordioso è il Signore (cf. Sal 103,8), e lo Spirito santo infonde in noi la forza di essere misericordiosi. Umiliamoci, fratelli. Con il pentimento riceveremo in dono un cuore compassionevole: allora vedremo la gloria del Signore, conosciuta dall’anima e dalla mente per grazia dello Spirito santo.Chi si pente in verità è pronto a sopportare qualsiasi tribolazione: “fatica e travaglio, fame e sete, freddo e nudità” (2Cor 11,27), disprezzo ed esilio, ingiustizia e calunnia; la sua anima infatti è tesa verso Dio e non si preoccupa delle cose del mondo (cf. 1Cor 7,32-34), ma si rivolge a Dio con preghiera pura.Chi è attaccato alle ricchezze e al denaro non può mai dimorare in Dio con spirito puro (cf. Lc 16,13): la sua anima è costantemente preda della preoccupazione di cosa fare di questi beni terreni. Se non si pente sinceramente e non si rattrista per aver peccato davanti a Dio, morirà prigioniero di quella passione, senza conoscere il Signore.Quando ti prendono ciò che possiedi, tu dallo (cf. Mt 5,40-42): l’amore di Dio non oppone rifiuto.Ma chi non ha conosciuto l’amore di Dio non può essere misericordioso: la gioia dello Spirito santo non dimora nella sua anima.

Se il Signore misericordioso ha sofferto per donarci lo Spirito santoche procede dal Padre,se ci ha dato il suo corpo e il suo sangue, allora è evidenteche ci darà anche tutto il resto di cui abbiamo bisogno(cf. Lc 11,9-13; Mt 6,33).

Abbandoniamoci alla volontà di Dio: vedremo la sua provvidenza e il Signore ci colmerà al di là di ogni nostra attesa.

Page 286: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

286

Il Signore perdona i peccati di chi ha compassione del fratello. L’uomo misericordioso non ricorda il male ricevuto: anche se lo hanno maltrattato e offeso, anche se gli hanno tolto ciò che possedeva, il suo cuore non si turba perché conosce la misericordia di Dio. Nessun uomo può rapire la misericordia del Signore: è inviolabile perché abita nell’alto dei cieli, presso Dio (cf. Mt 6,20).Il mio spirito è debole: come candela si spegne al minimo soffio di vento; lo spirito dei santi invece è ardente: come roveto che non si consuma (cf. Es 3,2) non teme alcun vento. Chi mi darà un ardore tale che il mio amore per Dio non conosca riposo, né di giorno né di notte (cf. Sal 132,3-4)? L’amore di Dio è fuoco divorante: per esso i santi sopportarono ogni tribolazione e ricevettero il dono dei miracoli. Guarivano i malati, risuscitavano i morti, camminavano sull’acqua, si sollevavano da terra durante la preghiera, facevano scendere la pioggia dal cielo. Io vorrei imparare solo l’umiltà e la mitezza di Cristo (cf. Mt 11,29): nel suo amore possa io non offendere mai nessuno e giungere a pregare per tutti come per me stesso.

Povero me! Scrivo sull’amore di Dio. Ma Dio non lo amo come dovrei. Per questo, triste e afflitto, come Adamo cacciato dal paradiso, gemo a gran voce: “Signore, abbi pietà di me, tua creatura caduta”. Quante volte mi hai fatto dono della tua grazia! E io nella mia vanagloria non l’ho custodita! Eppure l’anima mia ti conosce, mio Creatore e mio Dio, perciò ti cerco gemendo, come Giuseppe trascinato schiavo in Egitto (cf. Gen 37,28).Ti ho amareggiato con i miei peccati e tu hai distolto da me il tuo volto. L’anima mia desidera te e soffre per la tua lontananza.Spirito santo, non mi abbandonare! Quando ti allontani da me, i pensieri malvagi assalgono il mio cuore: l’anima mia piange lacrime amare.Signora tutta santa, Madre di Dio, tu conosci il mio dolore; vedi che ho amareggiato il Signore e lui mi ha abbandonato. Ti supplico: salva me, creatura di Dio; salva me, servo tuo.

Se pensi male degli uomini, uno spirito malvagio vive in te e ti ispira pensieri malvagi contro i fratelli. Se uno muore senza pentirsi, senza perdonare al fratello, l’anima sua sarà là dov’è lo spirito malvagio che l’ha resa schiava.Questa è la verità: se perdoni, il Signore ti ha perdonato; se non perdoni, il peccato dimora in te (cf. Mt 6,14-15). Il Signore vuole che amiamo il prossimo.

Se sei consapevole che il Signore ama il prossimo, significa che l’amore di Dio è in te; se sei consapevoleche il Signore ama molto le sue creature, se tu stesso hai misericordiaper ogni creatura,se ami i nemici,se ti consideri inferiore a tutti, allorala potente grazia dello Spirito santo è in te.

Chi ha in sé lo Spirito santo – anche se non ne possiede la pienezza – si preoccupa per tutti gli uomini, notte e giorno; il suo cuore soffre per ogni creatura di Dio e in modo particolare per quelli che non conoscono Dio, che si oppongono a lui e che vanno incontro al fuoco dei tormenti. Per

Page 287: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

287

costoro, ancor più che per se stesso, egli prega notte e giorno, affinché tutti si pentano e giungano a conoscere il Signore.

Il Signore pregava per coloro che lo crocifiggevano: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).Stefano, primo diacono, pregava per quelli che lo lapidavano: “Signore, non imputar loro questo peccato” (At 7,60).Anche noi, se vogliamo che la grazia di Dio dimori in noi, dobbiamo pregare per i nemici.Se non hai compassione del peccatore che proverà i tormenti del fuoco, allora in te non dímora la grazia dello Spirito santo ma uno spirito malvagio:

finché hai vita lotta per liberartene con il pentimento.

Ho visto il Signore vivente

Durante la mia infanzia mi chiedevo in che modo il Signore fosse asceso al cielo sulle nuvole e come la Madre di Dio e i santi apostoli avessero visto questa ascensione. Quando però nella giovinezza smarrii la grazia di Dio, l’anima mia si indurì lasciandosi incantare dal peccato, e solo raramente pensavo all’ascensione del Signore. In seguito riconobbi il mio peccato e ne fui molto addolorato: avevo offeso il Signore, smarrendo la fiducia in lui e nella Madre di Dio. Provai un profondo disgusto per il mio peccato e decisi di entrare in monastero, per implorare e supplicare da Dio il perdono per i miei molti peccati.Appena terminato il servizio militare, entrai in monastero, ma poco dopo mi assalirono pensieri carnali che mi spingevano a tornare nel mondo e a sposarmi. Ma io non cessavo di ripetere con risolutezza: “Morirò qui per i miei peccati”. Cominciai a pregare intensamente il Signore affinché nella sua misericordia perdonasse i miei molti peccati. Una volta fui preda dello spirito di disperazione: sembrava che Dio mi avesse rigettato per sempre e che per me non ci fosse più salvezza. Percepivo in me con chiarezza di trovarmi sull’orlo della perdizione eterna e che Dio era inesorabilmente spietato nei miei confronti. Rimasi in preda a questo spirito per più di un’ora. L’angoscia e la tortura provocate da questo spirito sono tali che il semplice ricordo è terribile. L’anima non può sopportarlo a lungo: in momenti simili ci si può perdere per l’eternità. Il Signore misericordioso ha permesso allo spirito della malvagità infernale di muovere guerra all’anima mia.Dopo un po’ mi recai in chiesa per i vespri e, fissando lo sguardo sull’icona del Salvatore, esclamai: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore!”. A quelle parole vidi, al posto dell’icona, il Signore vivente, e la grazia dello Spirito santo mi riempì totalmente l’anima e il corpo. Così conobbi, nello Spirito santo, che Gesù Cristo è Dio, e questa grazia divina fece sorgere in me il desiderio di soffrire per Cristo.Da quel preciso istante l’anima mia anela al Signore, e null’altro più mi rallegra sulla terra: la mia unica gioia è Dio. È lui la mia letizia, la mia forza, la mia speranza, il mio bene.

San Serafino di Sarov

Page 288: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

288

COLLOQUIO CON MOTOVILOV

Era un giovedì. Il cielo era grigio. La terra era coperta di neve. Spessi fiocchi continuavano a turbinare nell’aria quando Padre Serafino iniziò a conversare con me in una radura vicina al suo «piccolo eremitaggio» di fronte al fiume Sarovka che scorreva ai piedi della collina. Mi fece sedere sul ceppo d’un albero da poco abbattuto mentre lui si rannicchiò di fronte a me.— Il Signore mi ha rivelato — disse il grande starez — che dalla vostra infanzia avete sempre desiderato sapere quale sia il fine della vita cristiana. Per questo avete interrogato diverse persone alcune dei quali ricoprivano anche alte cariche ecclesiastiche.Devo dire che dall’età di dodici anni ero perseguitato da quest’idea e che, per questo, avevo rivolto tale domanda a parecchie personalità ecclesiastiche senza mai aver ricevuto una risposta soddisfacente. Lo starez avrebbe dovuto ignorare tutto questo.Ma nessuno — continuò Padre Serafino — vi ha mai detto niente di preciso. Vi consigliarono di andare in chiesa, di pregare, di vivere secondo i comandamenti di Dio, di fare del bene. Tale, vi dissero, era lo scopo della vita cristiana. Alcuni giunsero pure a disapprovare la vostra curiosità, trovandola fuori posto ed empia. Essi avevano torto. Quanto a me, miserabile Serafino, ora vi spiegherò in che consiste realmente questo fine.La preghiera, il digiuno, le veglie e le altre attività cristiane, per quanto possano parere buone, non costituiscono il fine della vita cristiana ma sono il mezzo attraverso il quale vi si può pervenire. Il vero fine della vita cristiana consiste nell’acquisire lo Spirito Santo. Per quel che riguarda la preghiera, il digiuno, le veglie, l’elemosina ed ogni altro tipo di buona azione fatta in nome di Cristo, non sono che dei mezzi per acquisire lo stesso Spirito. 

Page 289: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

289

Nel nome di CristoRicordate che solo una buona azione fatta nel nome di Cristo ci procura i frutti dello Spirito Santo. Tutto quanto non è fatto in suo nome, fosse pure il bene, non ci può ottenere alcuna ricompensa, né nel secolo futuro, né in questa vita mentre su questa terra non ci dona la Grazia divina. È per questo che Gesù Cristo diceva:«Colui che non accumula con me disperde» (Lc 11, 23).Pertanto, si è obbligati a chiamare una buona azione «cumulo» o «raccolta», perché essa resta buona anche se non è fatta in Nome di Cristo. La Scrittura dice: «In ogni nazione colui che teme Dio e pratica la giustizia gli è accetto» (At 10, 35). Il centurione Cornelio, che temeva Dio e agiva secondo giustizia, fu visitato mentre pregava da un angelo del Signore che gli disse: «Manda dunque due uomini a Ioppe e fa’ venire un certo Simone soprannominato Pietro. Da lui ascolterai della parole di vita eterna con le quali sarai salvato con tutta la tua casa» (At 10, 5).Vediamo, dunque, che il Signore utilizza i suoi mezzi divini per permettere a un simile uomo di non essere privato nell’eternità della ricompensa che gli è dovuta. Per ottenerla è necessario che si cominci già da ora a credere in Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio disceso sulla terra per salvare i peccatori e per far acquisire loro la Grazia dello Spirito Santo che introduce i nostri cuori nel Regno di Dio e ci apre la via della beatitudine nella prossima vita. Non va oltre a ciò la soddisfazione arrecata a Dio dalle buone azioni compiute indipendentemente dal Nome di Cristo. Il Signore ci dona i mezzi per perfezionarle. Sta all’uomo approfittarne o meno. È per questo che il Signore dice ai giudei: «Se voi foste ciechi, sareste senza peccato ma voi stessi dite: ‘Noi vediamo!’ Perciò il vostro peccato rimane (Gv 9, 41). Quando un uomo come Cornelio le cui opere non erano fatte nel Nome di Cristo, ma erano gradite a Dio, comincia a credere nel Suo Figlio, queste opere gli sono attribuite come se fossero fatte nel nome di Cristo a causa della sua fede in Lui. (Ebr 11, 6). In caso contrario, l’uomo non ha il diritto di contestare se il bene compiuto non gli è servito a nulla. Questo non succede mai quando una buona azione viene fatta nel Nome di Cristo, perché il bene compiuto in suo Nome non porta solo una corona di gloria nel secolo venturo, ma già ora riempie l’uomo della grazia dello Spirito Santo, com’è stato detto: «Dio dona lo Spirito senza misura. Il Padre ama i Figli; Egli ha posto tutto nelle loro mani» (Gv 3, 34-35). L'acquisizione dello Spirito SantoAcquisire lo Spirito di Dio è dunque il vero fine della nostra vita cristiana al punto che la preghiera, le veglie, il digiuno, l’elemosina e le altre azioni virtuose fatte in Nome di Cristo non sono che dei mezzi per tal fine.— Che significa acquisirlo? Domandai a Padre Serafino. Non ne capisco bene il significato.— Acquisire, ha lo stesso significato di ottenere. Sapete cosa vuol dire acquisire del denaro? Per quanto riguarda lo Spirito Santo è la stessa cosa. Il fine della vita delle persone comuni consiste nell’acquisire denaro, nel fare un guadagno. I nobili, inoltre, desiderano ottenere onori, titoli di distinzione e altre ricompense che lo Stato accorda loro per determinati servizi. L’acquisizione dello Spirito Santo è anche un capitale, ma un capitale eterno, dispensatore di grazie; è molto simile ai capitali temporali e si ottiene con gli stessi procedimenti. Nostro Signore Gesù Cristo, Dio-Uomo, paragona la nostra vita ad un mercato e la nostra attività sulla terra ad un commercio. Egli ci raccomanda: «Negoziate prima ch’io ritorni economizzando il tempo perché i giorni sono incerti» (Lc 19, 12-13; Ep 5,15-16), il che vuol dire: «Sbrigatevi ad ottenere dei beni celesti negoziando i prodotti terreni». Questi prodotti terreni non sono altro che le azioni virtuose fatte in Nome di Cristo le quali ci ottengono la Grazia dello Spirito Santo. La parabola delle vergini

Page 290: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

290

Nella parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte (Mt. 25, 1-13) quando quest’ultime finiscono l’olio viene detto loro: «Andate a comperarlo al mercato». Tornando esse trovano la porta della camera nuziale chiusa e non possono entrare. Alcuni pensano che la mancanza d’olio delle vergini stolte simbolizzi l’insufficienza di azioni virtuose nel corso della loro vita. Tale interpretazione non è esatta. Quale mancanza d’azioni virtuose potevano avere, visto che vengono chiamate comunque vergini, anche se stolte? La verginità è una grande virtù, uno stato quasi angelico che può sostituire tutte le altre virtù. Io, miserabile, penso che mancasse loro proprio lo Spirito Santo di Dio. Praticando le virtù, queste vergini spiritualmente ignoranti, credevano che la vita cristiana consistesse in tali pratiche. Ci siamo comportate in maniera virtuosa, abbiamo fatto delle opere pie — pensavano loro — senza preoccuparsi se avessero ricevuto o no la Grazia dello Spirito Santo. Su questo genere di vita, basato unicamente sulla pratica delle virtù morali senza alcun esame minuzioso per sapere se esse ci rendono — e in quale quantità — la Grazia dello Spirito di Dio, è stato detto: «Alcune vie che paiono inizialmente buone conducono all’abisso infernale» (Pr 14,12)Parlando di queste vergini, nelle sue Epistole ai Monaci Antonio il Grande dice:«Parecchi tra i monaci e le vergini ignorano completamente la differenza che esiste tra le tre volontà che agiscono dentro l’uomo. La prima è la volontà di Dio, perfetta e salvatrice; la seconda è la nostra volontà umana, che per se stessa non e ne rovinosa né salvatrice; la terza — quella diabolica — è decisamente nefasta. È questa terza nemica volontà che obbliga l’uomo a non praticare assolutamente la virtù o a praticarla per vanità o unicamente per il «bene» e non per Cristo. La nostra seconda volontà ci incita a soddisfare i nostri istinti malvagi o, come quella del nemico, c’insegna a fare il «bene» in nome del bene, senza preoccuparsi della grazia che possiamo acquisire. Quanto alla terza volontà, quella salvatrice di Dio, essa ci insegna a fare il bene unicamente per il fine di acquisire lo Spirito Santo, tesoro eterno ed inestimabile, che non può essere uguagliato con nulla al mondo».È proprio la Grazia dello Spirito Santo simbolizzata dall’olio che mancava alle vergini stolte. Esse sono chiamate «stolte» perché non si preoccupano del frutto indispensabile della virtù cioè la Grazia dello Spirito Santo senza la quale nessuno può essere salvato perché «ogni anima è vivificata dallo Spirito Santo per essere illuminata dal sacro mistero dell’Unità Trinitaria» (Prima Antifona al Vangelo del Mattutino). Lo stesso Spirito Santo viene ad abitare nelle nostre anime e questa presenza dell’Onnipotente in noi, questa coesistenza della sua Unità Trinitaria con il nostro spirito non ci è donata che a condizione di lavorare con tutti i mezzi a nostra disposizione per ottenere lo Spirito Santo il quale prepara in noi un luogo degno per quest’incontro, secondo l’immutabile parola di Dio: «Io verrò e abiterò in essi. Sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (Ap 3, 20; Gv 14, 23). È questo l’olio che le vergini sagge avevano nelle loro lampade, olio in grado di bruciare per molto tempo diffondendo una luce forte e chiara per poter permettere l’attesa dello Sposo a mezzanotte ed entrare con lui nella camera nuziale dell’eterna gioia.Quanto alle vergini stolte, vedendo che le loro lampade rischiavano di spegnersi, esse si recarono al mercato ma non poterono tornare prima della chiusura della porta. Il mercato è la nostra vita. La porta della camera nuziale, chiusa per impedire di raggiungere lo Sposo, è la nostra morte umana; le vergini, sia quelle sagge che quelle stolte, sono le anime dei cristiani. L’olio non simbolizza le nostre azioni, ma la Grazia attraverso la quale lo Spirito Santo riempie il nostro essere trasformandoci da corrotti ad incorrotti. Così la Grazia trasforma la morte fisica in vita spirituale, le tenebre in luce, la schiavitù verso le passioni alle quali è incatenato il nostro corpo in tempio di Dio, cioè in camera nuziale dove incontriamo Nostro Signore, Creatore e Salvatore, Sposo delle nostre anime. Grande è la compassione che Dio ha verso la nostra disgrazia. E la nostra disgrazia non è

Page 291: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

291

altro che la nostra negligenza verso la sua sollecitudine. Egli dice: «Io sono alla porta e busso…» (Ap 3, 20), intendendo per «porta» la nostra vita presente non ancora conclusa con la morte. La preghieraOh! Quanto vorrei, amico di Dio, che in questa vita voi siate sempre con lo Spirito Santo. «Vi giudicherò nella situazione in cui vi troverete» dice il Signore (Mt 24, 42; Mc 13, 33-37; Lc 19, 12 e seguenti). È una disgrazia veramente grande se egli ci trova appesantiti dalle preoccupazioni e dalle pene della terra perché Egli potrebbe adirarsi nel qual caso chi gli potrebbe resistere? È per questo che è stato detto: «Vegliate e pregate per non essere indotti in tentazione» (Mt 26, 41), il che comporta non essere privati dallo Spirito di Dio visto che le veglie e la preghiera ci donano la Sua Grazia.Sicuramente ogni buona azione fatta in Nome di Cristo dona la Grazia dello Spirito Santo, ma è soprattutto la preghiera che ottiene ciò al di sopra d’ogni altro mezzo, essendo essa sempre nelle nostre possibilità. Ad esempio, voi avete il desiderio di recarvi in chiesa, ma essa è troppo distante o la liturgia è finita; avete il desiderio di fare l’elemosina, ma non vedete alcun povero o non avete il denaro; volete rimanere vergini ma non avete sufficiente forza per esserlo a causa della vostra costituzione o a causa degli attacchi del nemico davanti ai quali non potete resistere per la debolezza della vostra carne; vorreste fare una buona azione nel Nome di Cristo ma non avete sufficiente forza per eseguirla oppure l’occasione non si presenta. Per quel che riguarda la preghiera nulla la impedisce: ognuno ha la possibilità di pregare, il ricco e il povero, l’uomo benestante e quello indigente, il forte e il debole, il sano e il malato, il virtuoso e il peccatore.Possiamo constatare la potenza della preghiera se osserviamo che essa ottiene i suoi risultati pure se è fatta da un peccatore, basta che sia sincera, come nell’esempio seguente riportato dalla Santa Tradizione. Una prostituta toccata dalla disgrazia d’una madre che stava per perdere il suo unico figlio vedendone la disperazione osò gridare verso il Signore benché fosse ancora insozzata dal suo peccato: «Non per me, orribile peccatrice, ma per le lacrime di questa madre che piange il suo figlio credendo fermamente nella tua misericordia e nella tua Onnipotenza, risuscitaglielo, oh Signore!» E il Signore la esaudì (cfr. Lc 7, 11-15).Questa, amico di Dio, è la potenza della preghiera. Al di sopra d’ogni altra cosa essa ci dona la grazia dello Spirito di Dio ed essa rientra sempre nelle nostre possibilità. Beati saremo noi se Dio ci troverà vigilanti nella pienezza dei doni del suo Santo Spirito. Potremo allora sperare d’essere rapiti al di sopra delle nuvole per incontrare Nostro Signore rivestito di potenza e di gloria il quale giudicherà i vivi e i morti dando a ciascuno il dovuto. […] Vedere Dio— Padre, gli dissi, voi parlate sempre dell’acquisizione della Grazia dello Spirito Santo come il fine della vita cristiana. Ma come la posso riconoscere? Le buone azioni sono visibili. Ma lo Spirito Santo può essere visto? Come posso sapere se Egli è in me oppure no?— Nell’epoca nella quale viviamo, rispose lo starez, si è giunti ad una tale tiepidezza nella fede, a una tale insensibilità nei riguardi della comunione con Dio che ci siamo praticamente distanziati quasi totalmente dalla vera vita cristiana. Oggi alcuni passi della Santa Scrittura ci paiono strani. Ad esempio quello in cui lo Spirito Santo, attraverso la bocca di Mosé, dice: «Adamo vedeva Dio mentre passeggiava nel paradiso» (Gn 3, 8), o quando leggiamo nelle lettere di San Paolo che l’Apostolo viene impedito dallo Spirito Santo a proclamare la parola in Asia e invece lo accompagna in Macedonia (At 16, 6-9). In molti altri passi della Sacra Scrittura si ritrovano simili temi sull’apparizione di Dio agli uomini. […]

Page 292: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

292

Devo ancora io, miserabile Serafino, spiegarvi, amico di Dio, in che consiste la differenza tra l’azione dello Spirito Santo mentre prende misteriosamente possesso dei cuori di coloro che credono in nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo e l’azione tenebrosa del peccato che viene come un ladro sotto l’istigazione del Demonio.Lo Spirito Santo ci ricorda le parole di Cristo e lavora assieme a Lui, guidando i nostri passi solennemente e gioiosamente nella via della pace. L’agitazione prodotta dallo spirito diabolico che si oppone a Cristo ci incita, invece, alla rivolta e ci rende schiavi della lussuria, della vanità e dell’orgoglio.«In verità, in verità vi dico, colui che crede in me non morirà mai» (Gv 6, 47). Colui che per la sua fede in Cristo e in possesso dello Spirito Santo, pure dopo aver commesso per debolezza umana qualsiasi peccato che causa la morte dell’anima, non morirà per sempre, ma sarà resuscitato per la Grazia di Nostro Signore Gesù Cristo il quale ha preso su di sé i peccati del mondo donando gratuitamente grazia su grazia.È proprio parlando di questa Grazia manifestata all’intero mondo e al nostro genere umano dall’Uomo-Dio che il Vangelo dice: «Di ogni essere egli era la vita e la vita era la luce degli uomini» aggiungendo: «la luce illumina le tenebre ma le tenebre non hanno voluto accoglierla» (Gv 1, 4-5). Questo significa che la Grazia dello Spirito Santo ricevuta con il battesimo nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, malgrado le cadute peccaminose, malgrado le tenebre che circondano la nostra anima continua a brillare nel nostro cuore della sua eterna luce divina per gli inestimabili meriti di Cristo. Di fronte ad un peccatore abituale, questa luce di Cristo dice al Padre: «Abbà, Padre, non si infiammi la tua collera contro questo indurimento». Ed in seguito, quando il peccatore si sarà pentito, essa cancellerà completamente le tracce dei crimini commessi, rivestendo l’antico peccatore d’un vestito incorruttibile intessuto con la grazia dello Spirito Santo della cui acquisizione sto continuamente parlando. La grazia dello Spirito Santo è LuceEgli fu trasfigurato davanti a loro e i suoi vestiti divennero bianchi come la neve… (Mt 17, 2)Bisogna ancora che vi dica qualcosa in più affinché comprendiate meglio cosa si intende quando si parla di Grazia divina, come la si può riconoscere, com’è ch’essa si manifesta agli uomini che vengono da essa illuminati poiché la Grazia dello Spirito Santo è Luce.Tutta la Sacra Scrittura ne parla. Davide, l’antenato dell’Uomo-Dio dice: «Un lampo sotto i miei piedi, la tua parola, una luce sulla mia strada» (Ps 118, 105). In altri termini, la Grazia dello Spirito Santo che la legge rivela sotto la forma dei comandamenti divini è il mio faro, la mia luce. È questa la Grazia dello Spirito Santo «che con tanta pena mi sforzo di acquisire, cercando sette volte al giorno la Sua verità» (Ps 118, 164). Come potrò trovare in me, tra le numerose preoccupazioni della mia situazione, una sola scintilla di luce per schiarire il mio cammino ottenebrato dall’odio dei miei nemici?Effettivamente il Signore ha mostrato spesso, davanti a numerosi testimoni, l’azione della Grazia dello Spirito Santo sugli uomini che aveva illuminato e istruito attraverso grandiosi avvenimenti. Ricordate Mosé dopo che si era incontrato con Dio sul Monte Sinai (Es 34, 30-35). Gli uomini non potevano guardarlo perché il suo volto brillava d’una luce straordinaria. Egli fu obbligato a mostrarsi al popolo con il viso coperto da un velo. Ricordate la trasfigurazione del Signore sul monte Tabor: «Egli fu trasfigurato davanti a loro; i suoi vestiti divennero bianchi come la neve…, i discepoli spaventati caddero con il viso a terra mentre Mosé ed Elia apparvero rivestiti della medesima luce. Allora una nube li ricoprì in modo ch’essi non divenissero ciechi». (Mt 17, 1-8 ; Mc 9, 2-8 ; Lc 9, 28-37). È così la Grazia dello Spirito Santo appare come una luce ineffabile a coloro a cui Dio manifesta la sua azione.

Page 293: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

293

— Allora, domandai a padre Serafino, come potrò riconoscere in me la grazia dello Spirito Santo?— È semplicissimo, mi rispose il santo. Dio dice: «Tutto è semplice per coloro che acquisiscono la saggezza» (Pr 14, 6). La nostra sfortuna sta nel fatto che noi non la ricerchiamo proprio, questa Saggezza divina la quale, non essendo di questo mondo, non è presuntuosa. Essa è piena d’amore per Dio e per il prossimo e spinge l’uomo alla propria salvezza. Parlando di questa saggezza il Signore dice:«Dio vuole che tutti siano salvati e giungano alla Saggezza della verità» (1 Tm 2, 4). Ai suoi apostoli ai quali mancava questa Saggezza Egli disse: «Come siete privi di Saggezza! Non avete letto le Sacre Scritture? « (Lc 24, 25-27). Il Vangelo aggiunge «Aprì loro l’intelligenza affinché potessero comprendere le Scritture». Avendo acquisito questa Saggezza, gli Apostoli sapevano sempre se lo Spirito di Dio era con loro oppure no e, pieni di questo Spirito, affermavano che il loro operato era santo e gradito a Dio. È per questo che potevano scrivere nelle loro epistole: «È piaciuto allo Spirito Santo e a noi…» (At 15, 28). Essi inviavano i loro messaggi solo dopo che erano persuasi dalla sua presenza sensibile. Allora, amico di Dio, vedete com’è semplice?— Tuttavia io non comprendo come posso essere assolutamente sicuro di trovarmi nello Spirito Santo. Come posso scoprire in me la sua manifestazione?Il Padre Serafino mi disse:— Vi ho già detto che è estremamente semplice e ve l’ho spiegato in dettaglio com’è che gli uomini si trovano nello Spirito Santo e come bisogna comprendere la sua manifestazione in noi… Che ci vuole ancora?— Occorre, risposi io, che lo capisca veramente bene — Risposi.Allora Padre Serafino mi prese le spalle e, stringendole molto forte, aggiunse:— Siamo tutti e due, tu ed io, nella pienezza dello Spirito Santo. Perché non mi guardi?— Non posso guardarvi, Padre. Dei fulmini lampeggiano dai vostri occhi. Il vostro viso è divenuto più luminoso del sole. Ho male agli occhi…Il Padre Serafino disse:— Non abbiate paura, amico di Dio. Siete diventato anche voi altrettanto luminoso perché anche voi ora siete nella pienezza dello Spirito Santo, altrimenti non avreste potuto vedermi così.Inclinando la sua testa al mio orecchio aggiunse:Ringraziate il Signore di averci donato questa grazia indicibile. Non ho nemmeno fatto il segno della croce. In cuore ho semplicemente pensato e pregato «Signore, rendilo degno di vedere chiaramente, con gli occhi della carne, la discesa dello Spirito Santo, come ai tuoi eletti servitori quando tu ti sei degnato di apparire loro nella magnificenza della tua gloria!» Ed immediatamente Dio ha esaudito l’umile preghiera del miserabile Serafino. Come non ringraziarlo per questo dono straordinario che ci ha accordato? Non sempre Dio manifesta in tal modo la sua grazia ai grandi eremiti. Come una madre amorevole, questa grazia ha consolato il vostro cuore desolato, con la preghiera della stessa Madre di Dio… Ma perché non osate guardarmi negli occhi? Osate farlo senza paura, Dio è con noi.Dopo queste parole sollevai i miei occhi sul suo viso e una paura ancor più grande si impossessò di me. Immaginatevi di vedere al centro del sole, mentre l’astro risplende con i suoi raggi più luminosi del mezzogiorno, il viso d’un uomo che vi parla. Vedete il movimento delle sue labbra, l’espressione cangiante dei suoi occhi, sentite il suono della sua voce, avvertite la pressione delle sue mani sulle vostre spalle ma, allo stesso tempo, non scorgete né le sue mani, né il suo corpo, né il vostro. Non vedete altro che una luce splendente che si propaga tutt’intorno ad una distanza di parecchi metri. Così tale luce era in grado di schiarire la neve che ricopriva il prato e di riflettersi sul grande starez e su me stesso. Si potrebbe mai descrivere bene la situazione nella quale mi trovai allora?

Page 294: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

294

— Cosa sentite ora? Domandò Padre Serafino.— Mi sento straordinariamente bene.— Come «bene»? Cosa volete dire per «bene»?— La mia anima è piena d’un silenzio e d’una pace inesprimibili.— Amico di Dio, questa è la pace di cui parla il Signore quando dice ai suoi discepoli: «Io vi dono la pace ma non come la lascia il mondo. Sono io che ve la dono. Se voi foste di questo mondo il mondo vi amerebbe. Ma io vi ho eletti e il mondo vi odia. Comunque non abbiate timore perché io ho vinto il mondo» (Gv 14, 27 ; 15, 19, 16, 33). È proprio a questi uomini eletti da Dio ma odiati dal mondo che Dio dona la pace da voi sperimentata in questo momento. «Questa pace — dice l’Apostolo — sorpassa ogni comprensione» (Fil 4, 7). L’Apostolo la chiama così perché nessuna parola può esprimere il ben essere dello spirito ch’essa fa nascere nei cuori degli uomini quando il Signore la concede. Lui stesso la chiama «la mia pace» (Gv 14, 27). Essa è frutto della generosità di Cristo e non di questo mondo; nessuna felicità terrena la può dare. Inviata dall’alto, dallo stesso Dio, essa è la pace «di Dio»… Cosa sentite ancora?— Una dolcezza straordinaria.— È la dolcezza di cui parlano le Scritture: «Essi berranno la bevanda della tua casa e tu li colmerai con il torrente della tua dolcezza» (Ps 35, 9). Tale dolcezza trabocca dai nostri cuori, scorre nelle nostre vene, procura una sensazione e una delizia inesprimibile… Cosa sentite ancora?— Una straordinaria gioia in tutto il cuore.— Quando lo Spirito Santo scende sull’uomo con la pienezza dei suoi doni, l’animo umano è riempito d’una gioia indescrivibile; lo Spirito Santo ricrea nella gioia tutto quanto sfiora. È di questa gioia che il Signore parla nel Vangelo quando dice: «Una donna quando giunge la sua ora partorisce nel dolore; ma dopo che ha fatto nascere un bimbo non si ricorda più i suoi dolori, tant’è grande la sua gioia. Anche voi avrete da soffrire in questo mondo, ma quando vi visiterò i vostri cuori saranno nella gioia, una gioia che nessuno potrà rapirvi» (Gv 16, 21-22).Per quanto grande e consolante sia la gioia che sperimentate in questo momento, essa non è nulla se paragonata a quella accennata dal Signore attraverso il suo Apostolo: «La gioia che Dio riserva a coloro che lo amano è al di là di ogni cosa che può essere vista, intesa e sentita dal cuore umano in questo mondo» (1 Cor 2, 9). Quanto ci viene concesso al momento presente non è altro che un acconto di questa gioia suprema. E se, in questo momento, sentiamo dolcezza, giubilo, ben essere, cosa diremo di quell’altra gioia che ci è riservata in cielo, dopo aver pianto su questa terra? Voi avete già abbastanza pianto nella vostra vita e vedete quale consolazione nella gioia via abbia donato il Signore. Ora tocca a noi, amico di Dio, lavorare con tutte le nostre forze per salire di gloria in gloria al fine di «costituire quest’Uomo perfetto, nella forza dell’età, che realizza la pienezza del Cristo» (Ef 4, 13). «Coloro che sperano nel Signore rinnovano le loro forze, hanno le ali delle aquile, corrono senza stancarsi e marciano senza fatica» (Is 40, 31). «Essi procederanno da altezza in altezza e Dio apparirà loro in Sion» (Ps 83, 8). È allora che la nostra attuale gioia, piccola e breve, si manifesterà in tutta la sua pienezza e nessuno potrà rapircela, dato che saremo riempiti di voluttà celesti… Cosa sentite ancora, amico di Dio?— Uno straordinario calore.— Come un calore? Non siamo forse nella foresta in pieno inverno? La neve e sotto i nostri piedi, noi ne siamo coperti ed essa continua a cadere… Di quale caldo si tratta?— D’un caldo simile a quello dei bagni a vapore.— E l’odore è come è come quello del bagno?— Oh no! Nulla sulla terra può essere simile a questo profumo. Quando mia madre viveva ancora amavo ballare e, andando a divertirmi, mi cospargevo del profumo ch’essa comperava nei migliori

Page 295: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

295

negozi di Kazan pagandolo molto caro. Il suo odore non era per niente simile a questo sublime aroma.Il padre Serafino sorrise.— Lo conosco, amico mio, lo conosco altrettanto bene come voi ed è per questo che ve l’ho chiesto. È proprio vero. Nessun profumo sulla terra può essere comparato al buon odore che respiriamo in questo momento, il buon profumo dello Spirito Santo. Sulla terra cosa può assomigliargli? Avete appena detto di sentire caldo come in un bagno. Osservate! La neve che ci sta coprendo non si scioglie al pari di quella che sta sotto i nostri piedi. Il caldo non è dunque nell’aria ma dentro di noi. È quel caldo che lo Spirito Santo ci fa chiedere nella preghiera:«Che il tuo Santo Spirito ci riscaldi!» Con tale calore gli eremiti, uomini e donne, potevano permettersi di sfidare il freddo dell’inverno, circondati com’erano d’un manto di pelliccia, d’un vestito intessuto dallo Spirito Santo.In realtà è così che la Grazia divina abita nel più profondo della nostra anima e nel nostro cuore. Il Signore ha detto «Il Regno dei Cieli è dentro di voi» (Lc 17, 21). Per «Regno dei Cieli» Egli intende la Grazia dello Spirito Santo. Questo Regno di Dio ora è in noi. Lo Spirito Santo ci illumina e ci riscalda. Egli riempie l’aria con diverse profumazioni, fa gioire i nostri sensi e abbevera i nostri cuori con una gioia indicibile. Il nostro attuale stato è simile a quello di cui parla l’Apostolo Paolo «Il Regno dei Cieli non è questione di cibo o di bevanda ma di giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14, 17). La nostra fede non si appoggia su parole di saggezza terrena ma sulla manifestazione della potenza dello Spirito. Lo stato nel quale ci troviamo in questo momento è quello che il Signore aveva visto quando disse: «In verità vi dico, alcuni tra coloro che sono qui non moriranno prima d’aver visto il Regno di Dio venire con potenza» (Mc 9, 1).Ecco, amico di Dio, quale gioia incomparabile il Signore si è degnato di accordarci. Ecco cosa vuol dire essere «nella pienezza dello Spirito Santo». È questo che intendeva san Macario l’egiziano quando scriveva: «Io stesso fui nella pienezza dello Spirito Santo». Da umili che siamo il Signore ci ha riempiti con la pienezza del suo Spirito. Mi sembra che a partire da questo momento voi non avrete più bisogno d’interrogarmi sul modo in cui si manifesta nell’uomo la presenza della Grazia dello Spirito Santo.

Diffusione del messaggio— Questa manifestazione resterà per sempre incisa nella vostra memoria?— Non lo so, Padre, se Dio mi renderà degno di ricordare sempre questi fatti con la precisione di questo momento.— Ma io, mi rispose lo starez, penso che Dio vi aiuterà a conservare queste cose per sempre. Altrimenti non sarebbe stato così velocemente toccato dall’umile preghiera del miserabile Serafino e non avrebbe esaudito così velocemente il suo desiderio. D’altra parte non è solamente a voi che è stato concesso vedere la manifestazione d’una tale grazia, ma attraverso voi, al mondo intero. Fatevi forza perché sarete utile ad altri.

Beato Agostino d'Ippona

Page 296: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

296

LA PAZIENZA

La pazienza di Dio.

1. 1. La virtù dell’anima che chiamiamo pazienza è un dono di Dio così grande che noi parliamo di pazienza anche riferendoci a colui che a noi la dona; e vi intendiamo la tolleranza con cui egli aspetta che i cattivi si ravvedano. È vero infatti che il nome “pazienza” deriva da patire, ma pur essendo vero che Dio non può in alcun modo patire, tuttavia noi per fede crediamo, e confessiamo per ottenere la salvezza, che Dio è paziente. Ma questa pazienza di Dio, come essa sia e quanto sia grande, chi potrà descriverlo a parole? Noi possiamo affermare che egli non può patire nulla, eppure non lo diciamo impaziente ma pazientissimo. La sua pazienza è dunque ineffabile, come è ineffabile la sua gelosia, la sua ira e gli altri moti somiglianti, che se noi pensassimo essere uguali ai nostri, dovremmo escluderli tutti. Noi infatti non ne proviamo alcuno che non sia congiunto a turbamento, mentre è assurdo pensare che la natura divina, che è impassibile, provi turbamento. Dio infatti è geloso senza invidia, si adira senza alterarsi, ha compassione senza addolorarsi, si pente senza doversi ravvedere d’un qualsiasi errore. Così è paziente senza patire. Ora dunque, per quanto il Signore me lo concederà e per quanto lo permette la brevità del presente discorso, parlerò sulla natura della pazienza umana, che noi possiamo acquisire e dobbiamo avere.

La vera pazienza.

2. 2. È risaputo che la pazienza retta, degna di lode e del nome di virtù, è quella per la quale con animo equo tolleriamo i mali, per non abbandonare con animo iniquo quei beni, per mezzo dei quali possiamo raggiungere beni migliori. Pertanto chi non ha la pazienza, mentre si rifiuta di sopportare i mali, non ottiene d’essere esentato dal male ma finisce col soffrire mali maggiori. I pazienti preferiscono sopportare il male per non commetterlo piuttosto che commetterlo per non sopportarlo; così facendo rendono più leggeri i mali che soffrono con pazienza ed evitano mali peggiori in cui cadrebbero con l’impazienza. Ma soprattutto non perdono i beni eterni e grandi, quando non cedono

Page 297: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

297

ai mali temporanei e di breve durata poiché, come dice l’Apostolo, i patimenti del tempo presente non meritano d’essere paragonati con la gloria futura che si rivelerà in noi. Egli dice ancora: La nostra sofferenza, temporanea e leggera, produce per noi in maniera inimmaginabile una ricchezza eterna di gloria.

La grande pazienza dei cattivi.

3. 3. Volgiamo ora lo sguardo, o carissimi, alle fatiche, ai dolori e alle asperità che gli uomini sopportano per ciò che amano spinti dai loro vizi, per tutte quelle cose che quanto più si pensa abbiano ad arrecare felicità tanto più si diventa infelici nel desiderarle. Quanti rischi e molestie affrontano con la più grande pazienza per le false ricchezze, i vani onori e le frivole soddisfazioni. Li vediamo avidi di denaro, di gloria e di piaceri lascivi, che per ottenere le cose desiderate e non perderle quando le hanno ottenute, sopportano il calore, la pioggia, il freddo, i flutti e le burrasche più tempestose, le durezze e incertezze delle guerre, i colpi di piaghe crudeli e orribili ferite. E tutto questo sopportano non per una inevitabile necessità, ma per un atto colpevole della loro volontà.

La forza del desiderio rende tollerabili le fatiche e i dolori.

4. 4. In realtà la gente ritiene che l’avarizia, l’ambizione, la dissolutezza, le attrattive per i vari divertimenti rientrano nell’ambito d’una condotta irreprensibile, almeno finché per soddisfarle non si commettono azioni riprovevoli o delitti condannati dalle leggi umane. Ci sono infatti persone che si sottopongono a grandi fatiche e dolori per acquistare o aumentare il proprio capitale, per conseguire o conservare posti onorifici, per partecipare a gare agonistiche o venatorie, per ottenere plauso allestendo spettacoli teatrali. Se questo riescono a fare senza ledere i diritti altrui, è poco dire che dalla vacuità del popolo essi non vengono disapprovati e così se ne astengono. Al contrario vengono esaltati ed inneggiati; proprio come dice la Scrittura: Il peccatore è lodato nei desideri del suo cuore. In effetti è la forza dei desideri a farci tollerare fatiche e dolori e nessuno accetta spontaneamente di sopportare ciò che fa soffrire, se non per quello che diletta. Ma, come ho detto, le passioni ora nominate son considerate legittime, autorizzate dalla legge, e quanti ardono dal desiderio di appagarle sopportano con estrema pazienza molti disagi e asperità.

La straordinaria resistenza di Catilina.

5. 4. E che dire di quelle persone che sopportano molti e gravissimi disagi per crimini conclamati, e non per punirli ma per commetterli? Non parlano forse gli storici pagani di quel tale, famigerato assassino della patria, dicendo che era capace di sopportare la fame, la sete, il freddo; il suo corpo era in grado di tollerare digiuni, freddi e veglie oltre ogni immaginazione? E che dire dei briganti? Per tendere insidie ai passanti trascorrono notti insonni, e per sequestrare viandanti incolpevoli irrigidiscono sotto ogni genere di intemperie il loro animo e il loro corpo, dediti al male. Si racconta pure che alcuni di loro si torturano l’un l’altro, al segno che l’allenamento per sottrarsi alla pena non si differenzia per nulla dalla pena stessa. È probabile infatti che dal giudice non sarebbero torturati così atrocemente quanto lo si fa dai loro complici per impedire che vengano denunziati dal correo sottoposto a torture. In questi casi tuttavia la pazienza è, se mai, da ammirare, non da lodare; anzi, non è né da lodare né da imitare, poiché non si tratta di pazienza. Si potrà parlare di straordinaria insensibilità, ma non si trova nulla della pazienza; e quindi non c’è niente che possa essere giustamente lodato e niente che possa essere utilmente imitato. E quindi farai bene a giudicare quell’anima degna di tanto maggiore condanna quanto più dedica ai vizi le risorse destinate

Page 298: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

298

all’acquisto delle virtù. La pazienza è socia della sapienza, non schiava della concupiscenza; la pazienza è amica della buona coscienza, non avversaria dell’innocenza.

Criterio per distinguere la vera dalla falsa pazienza.

6. 5. Quando vedi qualcuno che soffre qualche male, non metterti subito a lodarne la pazienza, che è messa in luce solo dalla motivazione della pazienza. Se la motivazione è buona, la pazienza è vera. Se la motivazione non è resa impura dalla cupidigia, allora la pazienza si distingue da quella falsa. Quando la motivazione mira a un crimine, si fa un grande errore a chiamarla pazienza. Infatti non tutti coloro che sanno qualcosa posseggono la scienza; così non tutti coloro che patiscono qualcosa posseggono la pazienza. Solo chi della passione si serve per il bene merita l’elogio della vera pazienza e riceve la corona per la virtù della pazienza.

Sopportare i mali della vita per la beatitudine eterna.

7. 6. Gli uomini dunque sopportano con mirabile fortezza molte pene atroci per soddisfare le passioni, per commettere delitti o, quanto meno, per godere vita e salute nel tempo presente. Ciò è per noi un richiamo a sopportare disagi anche gravi per condurre una vita buona, in modo che alla fine conseguiamo la vita eterna: quella che ci assicura una felicità vera, senza scadenza di tempo, senza diminuzione di ciò che è positivo e vantaggioso. Il Signore disse: Con la vostra pazienza possederete le vostre anime. Non disse: “Le vostre ville”, “i vostri onori”, “i vostri piaceri”, ma le vostre anime. Se dunque un’anima sopporta tanti disagi per possedere cose che la portano alla rovina, quanti non ne dovrà sopportare per possedere ciò che la sottrae alla rovina? E ora dirò una cosa dove non vi è questione di colpa: se uno soffre tanto per la propria salute fisica quando capita in mano ai medici che lo tagliano o bruciano, quanto non dovrà soffrire per la sua salute [eterna] attaccata da nemici furiosi, qualunque essi siano? I medici infatti facendo soffrire il corpo tentano di sottrarre il corpo alla morte; i nemici minacciando pene e morte al corpo sospingono l’anima e il corpo ad essere uccisi nella geenna.

Sopportando si provvede al bene del corpo stesso.

7. 7. C’è di più. Se per amore della giustizia si sacrifica la salute corporale, si provvede in maniera più efficace al bene del corpo stesso. Ciò vale anche se per amore della giustizia si sopportano con grande pazienza le sofferenze corporali e la stessa morte. Della redenzione finale del corpo parla infatti l’Apostolo quando dice: Noi gemiamo in noi stessi aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. E soggiunge: Noi siamo stati salvati nella speranza. La speranza poi, se la si vede, non è speranza. Ciò che infatti vede, come potrebbe uno sperarlo? Se invece speriamo ciò che non vediamo, lo attendiamo con la pazienza.

La pazienza interessa l’anima e il corpo.

8. 7. Quando dunque ci affliggono mali che non ci inducono a commettere il peccato, esercitando la pazienza l’anima acquista il dominio di se stessa; non solo, ma se lo stesso corpo viene per qualche tempo colpito dal dolore o anche dalla morte, attraverso la pazienza lo si recupera per una salute stabile, anzi eterna, e così attraverso il dolore e la morte gli si procura una salute perfetta e un’immortalità felice. Al riguardo il Signore Gesù, volendo esortare i suoi martiri alla pazienza, promise loro che avrebbero ottenuto l’integrità del corpo senza subire la perdita non dico d’un

Page 299: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

299

qualche membro ma nemmeno di un capello. Diceva: Ve lo dico in verità: un solo capello della vostra testa non andrà perduto. E siccome son vere le parole dell’Apostolo: Nessuno ha mai odiato la sua carne, ne segue che il cristiano provvede al bene del suo corpo più con la pazienza che con l’intolleranza, e con il guadagno inestimabile dell’incorruttibilità futura compensa le tribolazioni della vita presente, per quanto grandi possano essere.

8. 8. Sebbene la pazienza sia una virtù dell’anima, tuttavia l’anima la esercita in parte su se stessa, in parte nei riguardi del corpo. La esercita in se stessa quando, senza che il corpo venga leso e toccato, l’anima è spinta dagli stimoli di avversità o da brutture reali o verbali a fare o a dire cose sconvenienti o indecorose; ma lei sopporta con pazienza tutti i mali per non commettere nulla di male con azioni o parole.

La pazienza dell’anima.

9. 8. In virtù di questa pazienza dell’anima noi, sani di corpo, sopportiamo che ci venga rinviata la nostra beatitudine e che ci tocchi di vivere fra gli scandali del tempo presente. A ciò si riferiscono le parole or ora menzionate: Se speriamo ciò che non vediamo, lo attendiamo con la pazienza. Per questa pazienza il santo [re] Davide sopportò le ingiurie di chi lo svillaneggiava e, sebbene potesse facilmente vendicarsi, non solo non si vendicò, ma trattenne dalla vendetta quell’altro che, addolorato, s’era fatto prendere dall’ira, e del suo potere regale si servì più per proibire che per esercitare la vendetta. In quel frangente non era il suo corpo che veniva tormentato da malattie o ferite, ma era il suo animo che, riconoscendo il momento dell’umiliazione, la sopportava per fare la volontà di Dio e per questo ingoiava con somma pazienza l’amara bevanda della contumelia. Questa pazienza ci insegnò il Signore quando disse che ai servi irritati per la mescolanza della zizzania [con il buon grano] e desiderosi di estirparla il padrone di casa rispose: Lasciate che [le due piante] crescano fino al tempo della mietitura. Infatti occorre sopportare con pazienza ciò che non si può eliminare con fretta. Di questa pazienza ci ha offerto un esempio palese lui stesso tollerando quel discepolo, che era ladro, vicino a sé fino al tempo della passione, cioè finché non lo denunziò come traditore. Prima di esperimentare le funi, la croce e la morte, non rifiutò il bacio di pace a quelle labbra menzognere. Tutti questi esempi, e i tanti altri che sarebbe lungo ricordare, rientrano in quel genere di pazienza dove l’anima non soffre per i suoi peccati, ma dentro di sé sopporta pazientemente quei mali che le provengono dal di fuori senza che il corpo ne venga minimamente colpito.

La pazienza dei martiri.

10. 8. C’è un altro campo per esercitare la pazienza: quello in cui l’anima tollera gli affanni e i dolori derivanti dai patimenti del corpo: non certo quelli che soffrono gli uomini stolti o perversi per raggiungere vani ideali o per perpetrare delitti ma, com’ebbe a determinare il Signore, per la giustizia. L’uno e l’altro combattimento sostennero i santi martiri. Vennero infatti coperti di contumelie da parte degli empi, e in quel caso l’animo rimanendo saldo sosteneva come delle sue proprie ferite, mentre il corpo ne era esente; per quanto poi riguarda il loro corpo, essi furono legati, incarcerati, affamati e assetati, torturati, segati, squartati, bruciati, uccisi barbaramente. Con incrollabile fedeltà sottomisero il loro spirito a Dio, mentre nel corpo soffrivano tutto ciò che la crudeltà dei persecutori seppe immaginare.

La pazienza nella lotta contro il diavolo.

Page 300: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

300

10. 9. È più grande la lotta che sostiene la pazienza quando non si tratta d’un nemico visibile che perseguitando con ferocia ti spinge al male (esso è allo scoperto, e chi non gli consente lo vince in maniera palese), ma si tratta del diavolo stesso che, servendosi magari di gente incredula come di suoi strumenti, perseguita i figli della luce ovvero, rimanendo occulto li assale e con ferocia li stimola a fare e a dire cose che dispiacciono a Dio.

La pazienza di Giobbe.

11. 9. L’ira di questo nemico ebbe ad esperimentare il santo Giobbe: da lui fu aspramente provato con le due specie di tentazione, ma in tutt’e due riuscì vincitore con l’immutabile forza della pazienza e le armi della pietà. In principio, rimanendo illeso il corpo, soffrì la perdita di tutto ciò che aveva; e così, prima che il suo corpo subisse tormenti, il suo animo fu lacerato dalla perdita di quei beni che gli uomini hanno più a cuore, e, siccome si pensava che egli servisse Dio in vista di quei beni, ne doveva seguire che perdendoli avrebbe bestemmiato contro di lui. Fu colpito anche dalla morte improvvisa di tutti i figli: li aveva avuti uno dopo l’altro, li perse tutti in una volta; e se erano stati numerosi, questo non fu per accrescere la sua gioia ma per aumentare la sventura. Quando gli toccò di soffrire tutti questi mali, egli rimase fermo nella fedeltà a Dio, sempre unito alla volontà di colui che non avrebbe potuto perdere se non per una scelta della sua propria volontà; e, a posto di tutto quello che perse, gli rimase colui che glielo toglieva, colui nel quale avrebbe trovato ciò che era imperituro. A togliergli i beni infatti non era stato il maligno che l’aveva voluto danneggiare, ma colui che aveva dato a lui il potere di farlo.

Giobbe più avveduto di Adamo.

12. 9. Il nemico lo aggredì anche nel corpo, e lo colpì non solo nei beni che sono al di fuori dell’uomo ma anche nella sua stessa persona, in ogni parte dove gli fu possibile. Dalla testa ai piedi dolori di fuoco, vermi che uscivano, putridume che colava; ma in quel corpo in disfacimento l’animo restava integro e sopportava con pietà inalterata e pazienza invitta gli orribili tormenti d’una carne imputridita. Accanto a lui c’era la moglie, ma al marito non dava alcun aiuto, anzi lo esortava a bestemmiare Dio. Il diavolo, che a Giobbe aveva rapito i figli, nel lasciargli la moglie non si comportò da inesperto nell’arte del nuocere, avendo imparato già in Eva quanto una donna può rendersi utile al tentatore. Solo che questa volta non s’imbatte in un altro Adamo, da poter prendere al laccio tramite la donna. Fra i dolori, costui fu più accorto che non quell’altro fra gli allori: quello era nel godimento e fu vinto, questi era nella sofferenza e vinse; quello credette alle lusinghe, questo non si piegò di fronte ai tormenti. E c’erano anche gli amici: non per confortarlo nella sventura, ma per avanzare sospetti sulla sua colpevolezza. Non credevano infatti che un uomo colpito da tanti mali potesse essere innocente, e la loro lingua pronunziava accuse di colpe che erano estranee alla sua coscienza. E così mentre il corpo soffriva atroci dolori, anche l’anima era flagellata da infondate rampogne. Ma ecco Giobbe sopportare nel corpo i propri dolori, nel cuore le calunnie altrui. Rimproverava alla moglie la stoltezza, agli amici insegnava la sapienza, in tutto conservava la pazienza.

Deprecabile l’impazienza dei donatisti.

13. 10. Guardino a Giobbe quei tali che si danno la morte quando sono ricercati perché vivano.

Page 301: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

301

Togliendosi la vita presente essi si escludono anche da quella futura. Quand’anche li si costringesse a rinnegare Cristo o a commettere peccati contro la giustizia, come succedeva ai veri martiri, essi dovrebbero sopportare tutto con pazienza anziché darsi la morte per impazienza. Se infatti ci si potesse suicidare lecitamente per schivare le sofferenze, il santo Giobbe si sarebbe ucciso senz’altro per sottrarsi ai mali così gravi che la crudeltà del diavolo gli aveva causato negli averi, nei figli e nelle membra del corpo. Ma egli non lo fece. Impensabile infatti che un uomo sapiente come lui compisse su se stesso un gesto che nemmeno la moglie insipiente aveva osato suggerirgli. E se gliel’avesse suggerito, si sarebbe anche in tal caso buscata la risposta che ascoltò quando suggerì la bestemmia: Hai parlato come una donna stupida. Se dalla mano di Dio abbiamo ricevuto i beni, perché non dovremmo accettare anche i mali? Quanto a lui, avrebbe perduto la pazienza sia che fosse morto bestemmiando, come voleva la moglie, sia che fosse morto uccidendosi, come nemmeno lei aveva osato proporgli. In ogni caso sarebbe stato del numero di coloro di cui è stato detto: Guai a chi perde la pazienza! Invece di sottrarsi alle pene, le avrebbe accresciute in quanto, dopo la morte del corpo, sarebbe incorso nei supplizi riservati ai bestemmiatori, o agli omicidi, o a chi è peggio dei parricidi. Il parricida infatti è colpevole più d’ogni altro omicida, poiché uccide non solo un uomo ma un consanguineo, e fra gli stessi parricidi uno è ritenuto tanto più crudele quanto più prossimo è il congiunto che uccide. Ora chi uccide se stesso è peggiore di tutti i parricidi, perché nessuno è vicino a noi più di noi stessi. Quanto dunque non sarà grave la colpa di quei miseri che si infliggono da se stessi delle pene in questa vita e di là debbono scontare non solo quelle dovute alla loro empietà verso Dio ma anche quelle dovute alla crudeltà verso se stessi? Ma essi, per di più, presumono gli onori dei martiri! Anche se avessero sostenuto la persecuzione per una vera testimonianza a Cristo e si fossero uccisi per sfuggire ai persecutori, giustamente si applicherebbero ad essi le parole: Guai a chi perde la pazienza! In che modo infatti si potrebbe concedere loro con giustizia il premio della pazienza se questo andasse a coronare un martirio dovuto all’impazienza? Ovvero, uno che si è sentito dire: Amerai il prossimo tuo come te stesso, come può essere giudicato innocente se commette omicidio contro se stesso, quando è proibito commetterlo contro il prossimo?

La pazienza dei buoni.

14. 11. Vogliano dunque i santi ascoltare dalla Sacra Scrittura alcuni precetti di pazienza: Figlio, se ti presenti a servire Dio, sta’ saldo nella giustizia e nel timore e prepara la tua anima alla tentazione. Umilia il tuo cuore e sii coraggioso: così alla fine si accrescerà la tua vita. Accogli tutto ciò che ti sopraggiunge, e nel dolore sopporta e nella umiliazione sii paziente. Poiché l’oro e l’argento si provano col fuoco, gli uomini accetti [a Dio] nella fornace dell’umiliazione. In un altro testo si legge: Figlio, non venir meno sotto la disciplina del Signore e non stancarti quando da lui sei rimproverato. Egli infatti rimprovera colui che ama e usa i flagelli con il figlio che gli è caro . Quanto qui si dice e cioè: Il figlio che gli è caro corrisponde a gli uomini accetti del testo di prima. È giusto infatti che noi, scacciati dalla originaria felicità del paradiso per un’ostinata voglia di piaceri, vi siamo riammessi mediante l’umile sopportazione delle nostre sventure. Fuggimmo facendo il male, torniamo sopportando il male; lassù operatori di ingiustizia, quaggiù coraggiosi nella prova per amore della giustizia.

La sorgente della pazienza.

Page 302: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

302

15. 12. Dobbiamo ora chiederci da dove procede la vera pazienza, degna del nome di virtù. Ci sono infatti di quelli che l’attribuiscono alle forze della volontà umana, non a quelle che ricevono dall’aiuto divino, ma a quelle che hanno dal libero arbitrio. Ora questo errore nasce dalla superbia ed è l’errore di coloro che abbondano, secondo le parole del salmo: Opprobrio per quelli che abbondano e disprezzo per i superbi. Non è quindi questa la pazienza dei poveri, che non perisce in eterno. Quei poveri che la ricevono da quel ricco al quale si dice: Sei tu il mio Dio, perché non hai bisogno dei miei beni; dal quale viene ogni regalo ottimo e ogni dono perfetto; a lui grida il bisognoso e il povero che loda il suo nome, e chiedendo, cercando e bussando dice: Mio Dio, liberami dalla mano del peccatore, dalla mano di chi trasgredisce la legge e dell’uomo iniquo, perché tu sei, Signore, la mia pazienza, la mia speranza fin dalla mia giovinezza. Ma questa gente stracolma [di sé] non si degna di presentarsi mendicante dinanzi a Dio per ricevere da lui la vera pazienza. Vantandosi della loro falsa pazienza, vogliono confondere il proposito dell’indigente, la cui speranza è il Signore. Non pensano che, essendo uomini, coll’attribuire un risultato così grande alla propria volontà, che è volontà umana, incorrono nella condanna della Scrittura: Maledetto ogni uomo che ripone nell’uomo la sua speranza. Ma ecco che costoro in forza della stessa loro volontà accecata dalla superbia sopportano stenti ed asperità per non dispiacere alla gente o per evitare mali maggiori o per compiacere se stessi o per amore del loro orgoglio presuntuoso. In tal caso, riguardo alla [loro] pazienza bisognerebbe dire quel che l’apostolo san Giacomo dice della sapienza: Questa sapienza non proviene dall’alto, ma è sapienza terrena, animalesca, diabolica. Perché infatti non equiparare la falsa pazienza dei superbi alla loro falsa sapienza? In realtà la vera pazienza viene a noi da colui dal quale ci deriva la vera sapienza. A lui canta quel povero di spirito che dice: A Dio è soggetta la mia anima, perché da lui è la mia pazienza.

Pazienza e volontà umana.

16. 13. Essi rispondono facendo questi ragionamenti: Se la volontà umana senza alcun aiuto di Dio ma con le sole forze del libero arbitrio sopporta tanti mali gravi e orribili, sia nell’animo che nel corpo, per godere del piacere di questa vita mortale e dei peccati; perché allo stesso modo la medesima volontà con le stesse forze del libero arbitrio e senza aspettarsi alcun aiuto da parte di Dio, ma sufficiente a se stessa per la naturale possibilità, non sopporta pazientemente per la giustizia e la vita eterna qualunque fatica o dolore dovesse capitare? Dicono ancora: La volontà dei malvagi è capace, senza l’aiuto divino, di far loro affrontare tormenti per l’iniquità anche prima che altri vengano a torturarli; la volontà di coloro che amano i passatempi della vita terrena, senza l’aiuto di Dio, riesce a far sì che essi perseverino nella menzogna, pur in mezzo a tormenti quanto mai atroci e prolungati, affinché non abbiano a confessare i loro delitti ed essere puniti con la morte. E non sarà in grado la volontà dei giusti, senza l’aiuto d’una forza che le venga dall’alto, di sopportare qualsiasi pena per la bellezza che è propria della giustizia e per amore della vita eterna?

Pazienza, carità e aiuto divino.

17. 14. Quelli che dicono queste cose non comprendono che tra i malvagi uno è tanto più resistente a sopportare qualunque male, quanto in lui è maggiore l’amore del mondo, mentre tra i giusti uno è tanto più forte a sopportare qualunque male, quanto in lui è maggiore l’amore di Dio. Ma l’amore del mondo ha la sua origine dall’arbitrio della volontà, il suo progresso dal diletto del piacere e la sua fermezza dal vincolo dell’abitudine, mentre la carità di Dio è diffusa nei nostri cuori, non certamente da noi, ma dallo Spirito Santo che ci è stato dato. Perciò la pazienza dei giusti viene da colui per mezzo del quale è diffusa la loro carità. Lodando e inculcando questa carità l’Apostolo

Page 303: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

303

dice che essa, fra gli altri pregi, possiede anche quello di sopportare ogni cosa. La carità, dice, è longanime, e dopo un poco: La carità sopporta tutto. Quanto maggiore è dunque nei santi la carità di Dio tanto più facile è per loro sopportare ogni cosa per ciò che amano. Parimenti è dei peccatori: quanto più è grande in loro la cupidigia mondana tanto più riescono a sopportare tutto per soddisfare le loro voglie disordinate. Pertanto la vera pazienza dei giusti deriva da quella sorgente da cui deriva la carità divina; la falsa pazienza dei malvagi deriva dalla sorgente da cui proviene la cupidigia mondana. Ecco quanto dice al riguardo l’apostolo Giovanni: Non amate il mondo né le cose del mondo. Se uno ama il mondo, non c’è in lui l’amore del Padre, poiché tutto ciò che è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e ambizione secolaresca, e questo non proviene dal Padre ma dal mondo. E questa concupiscenza, che non proviene dal Padre ma dal mondo, quanto più è forte e ardente nell’uomo, tanto più quest’uomo diviene paziente di fronte ai disagi e ai dolori che deve affrontare per ciò che desidera. Ne segue, come abbiamo già detto, che una tale pazienza non discende dall’alto, mentre viene dall’alto la pazienza dei santi, che scende dal Padre della luce. Pertanto l’una è terrena, l’altra celeste; l’una animale, l’altra spirituale; l’una diabolica, l’altra divinizzatrice. E la ragione di ciò è che la concupiscenza per la quale i peccatori sopportano tenacemente ogni male deriva dal mondo, mentre deriva da Dio la carità per la quale i buoni sopportano con fortezza tutti i loro mali. Va quindi da sé che l’uomo con la sua volontà, senza l’aiuto di Dio, ha risorse sufficienti per avere la pazienza falsa; e questo uomo diviene tanto più ostinato quanto più cupido, tanto più resistente di fronte ai mali quanto più cresce in malvagità. Quanto alla vera pazienza invece, la volontà umana non è in grado di conseguirla senza l’aiuto divino che la infiammi. Ora questo fuoco è lo Spirito Santo; e finché questo Spirito non viene ad infiammarla d’amore per il Bene inalterabile, la volontà non sarà mai capace di sopportare il male che l’affligge.

Doni di Dio, la carità e la pazienza.

18. 15. Come attestano gli autori divinamente ispirati, Dio è amore, e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. Chi pretende di poter avere la carità di Dio senza l’aiuto di Dio, che altro pretende se non che si possa avere Dio senza Dio? Ora, quale cristiano oserebbe dire questo, se non lo direbbe nessuno che sia soltanto sano di mente? Nell’Apostolo invece ecco come esulta la pazienza vera, pia, fedele, che per bocca dei santi dice: Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati . Dunque non per merito nostro ma per virtù di colui che ci ha amati. Poi prosegue aggiungendo: Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né potenze, né presente né avvenire, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Signore. È questa la carità di Dio che è stata diffusa nei nostri cuori: non conquistata da noi ma diffusa dallo Spirito Santo che ci è stato donato. Viceversa è della concupiscenza dei cattivi, che è all’origine della loro falsa pazienza: essa non proviene dal Padre, come dice l’apostolo Giovanni, ma dal mondo.

Volontà umana e mondo presente.

19. 16. A questo punto qualcuno potrà obiettare: “Se la concupiscenza per la quale i cattivi tollerano ogni sorta di mali per ottenere quanto da loro desiderato deriva dal mondo, come si fa a dire che essa deriva dalla loro volontà?”. Quasi che essi stessi non siano nel mondo quando amano il mondo

Page 304: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

304

abbandonando il Creatore del mondo! Essi infatti si pongono al servizio delle creature e non del Creatore che è benedetto nei secoli. Se quindi Giovanni col nome di mondo ha voluto indicare coloro che amano il mondo, la volontà di gente come questa appartiene senz’altro al mondo; se invece col nome di mondo ha voluto indicare il cielo, la terra e le cose che vi si trovano, ha cioè voluto abbracciare tutto l’insieme del mondo creato, la volontà della creatura, in quanto diversa da quella del creatore, senza alcun dubbio appartiene al mondo. E per questo a tali persone dice il Signore: Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. E agli apostoli diceva: Se voi foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo. Quindi li ammoniva a non attribuire a se stessi quanto oltrepassava i confini della loro umanità e a non pensare che il non appartenere al mondo, di cui aveva parlato, fosse risorsa della natura e non dono della grazia. Diceva così: Poiché voi non siete del mondo ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Essi dunque erano del mondo, e se non erano più mondo ciò dipendeva dal fatto che egli li aveva scelti di fra mezzo al mondo.

Grazia divina e meriti dell’uomo.

20. 17. Non ci sono opere buone antecedenti che meritino questa elezione: che è una elezione di grazia. Lo asserisce l’Apostolo quando scrive: Anche in questo tempo un resto è stato salvato attraverso una elezione di grazia. Ora, se è grazia, non deriva dalle opere; altrimenti la grazia non sarebbe grazia. È dunque, questa, una elezione della grazia, cioè una elezione per la quale gli uomini vengono eletti con un dono della grazia di Dio. È, dico, una elezione della grazia che previene tutti i meriti dell’uomo. Se infatti fosse concessa per un qualche merito di opere buone, non sarebbe più una grazia donata ma un debito che viene retribuito, e quindi non sarebbe esatto chiamarlo grazia. Lo dice lo stesso Apostolo: Dove c’è una ricompensa, questa non viene concessa per grazia, ma come compenso di un debito. Per essere quindi una vera grazia, cioè dono gratuito, essa non deve trovare nell’uomo nulla per cui gli sia dovuta; e questo, come ben si comprende, è detto anche nelle parole: Tu li salverai senza alcunché. È infatti la grazia che dona i meriti; non è essa che viene donata per i meriti. Essa precede la stessa fede, che segna l’inizio di ogni opera buona, come sta scritto: Il giusto vive per la fede. È poi questa grazia che non solo dà l’aiuto ai giusti ma anche la giustizia agli empi: per cui anche quando sostiene i giusti, e sembrerebbe accordata per i loro meriti, nemmeno allora cessa d’essere grazia, poiché è lei che viene in aiuto a quanto essa stessa aveva elargito. Per meritarci questa grazia che precede tutti i meriti di opere buone compiute dall’uomo, Cristo non solo fu ucciso per mano di empi ma morì per gli empi. Egli prima di morire si scelse gli apostoli: i quali certamente non erano giusti ma dovevano essere giustificati da lui, se a loro poteva dire: Io vi ho scelti dal mondo. Diceva dunque loro: Voi non siete del mondo, ma affinché non pensassero che non erano stati mai del mondo subito aggiunse: Io vi ho scelti dal mondo. Evidentemente il non essere del mondo fu un dono ad essi accordato nella elezione fatta dal Signore. E pertanto, se fossero stati scelti per la loro giustizia e non per un dono della sua grazia, non sarebbero stati scelti dal mondo, poiché se erano giusti, essi già non erano del mondo. Ma c’è di più. Se fossero stati scelti perché erano giusti, erano stati loro stessi a scegliersi per primi il Signore. Infatti chi può essere giusto senza scegliersi la giustizia? Ecco però che fine della legge è Cristo per la giustizia di quanti credono [in lui]. Egli infatti per opera di Dio è diventato per noi e giustizia e santificazione e redenzione, affinché, come sta scritto, chi si vanta si vanti nel Signore. Quindi la nostra giustizia è lui.

Anche nel V. Testamento la giustizia era dono di Dio.

Page 305: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

305

21. 18. Da questo si conclude che anche i giusti dell’Antico Testamento, nati cioè prima dell’incarnazione del Verbo, furono giustificati per questa fede in Cristo e per quella giustizia vera che per noi è Cristo, avendo essi creduto che si sarebbe realizzato in futuro ciò che noi crediamo essersi già realizzato. Anch’essi furono salvati mediante la fede ad opera della grazia: quindi non per loro iniziativa ma per un dono di Dio, non in virtù delle opere perché non si inorgoglissero. Le loro opere buone infatti non prevennero la misericordia di Dio ma la seguirono. Tant’è vero che essi udirono [queste parole], anzi essi stessi le scrissero tanto tempo prima che Cristo si incarnasse: Io farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò pietà di chi vorrò aver pietà. Da queste parole di Dio molto tempo dopo l’apostolo Paolo concludeva: Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre ma da Dio che usa misericordia. È anche loro quella voce risuonata tanto tempo prima dell’incarnazione di Cristo: Il mio Dio, la sua misericordia mi previene. Ebbene, come potevano essere senza la fede in Cristo coloro per la cui carità Cristo è stato preannunziato anche a noi, se è vero che senza la fede in lui nessun mortale ha potuto mai essere giusto, né lo può ora, né lo potrà in seguito? Se dunque gli apostoli furono scelti da Cristo quando erano giusti, sarebbero stati loro a scegliersi per primi Cristo, e successivamente, siccome erano giusti, poterono essere da lui scelti.Senza di lui infatti non potevano essere giusti. Ma le cose non sono andate così. Infatti egli disse loro: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi. Per questo dice l’apostolo Giovanni: Non siamo stati noi ad amare [per primi] Dio, ma Dio per primo ha amato noi.

Prima che la grazia ci scegliesse eravamo tutti peccatori.

22. 19. Se le cose stanno così, l’uomo che in questa vita agisce facendo leva sulla propria volontà, prima che Dio l’abbia scelto e l’abbia amato, cos’è se non un peccatore e un empio? Cos’è, dico, l’uomo creatura fuorviata e lontana dal Creatore, se il Creatore non si ricordasse di lui e venisse a sceglierlo gratuitamente e gratuitamente lo amasse? Se scelto e amato [da Dio] egli non viene antecedentemente risanato, egli non può scegliersi [Dio] né amarlo, poiché per la sua cecità non può vedere ciò che deve scegliere e per la sua malattia ha nausea per ciò che deve amare. Qualcuno però potrebbe obiettare: Come fa Dio a scegliersi antecedentemente e ad amare gli iniqui per renderli giusti se è stato scritto: Tu, Signore, hai in odio tutti gli operatori di iniquità? Come crederemo che avvenga questo se non in maniera ineffabile, che ci lascia pieni di stupore? Vien da pensare a un medico buono, che insieme odia e ama il malato: odia il fatto che sia malato, ama la persona da cui vuol allontanare la malattia.

La carità radice della vera pazienza.

23. 20. Questo sia detto riguardo alla carità, senza la quale ci è impossibile acquisire la vera pazienza. In effetti chi nei buoni tutto sopporta è la carità di Dio, come nei cattivi è la cupidigia mondana. Ora questa carità è in noi ad opera dello Spirito Santo che ci è stato donato: per cui, come da lui abbiamo la carità, così da lui abbiamo anche la pazienza. Quanto alla cupidigia mondana invece, quando sopporta con pazienza il peso di qualsiasi sventura può attribuirlo alle forze della volontà umana e vantarsene, ma è come un vantarsi della paralisi d’una malattia, non del vigore della salute. È, questo, un vanto pazzesco: non di chi è paziente ma dissennato. Questa tale volontà infatti tanto più si presenta paziente nel sopportare mali anche atroci quanto maggiore è l’avidità con cui cerca i beni temporali. Così facendo però si mostra priva dei beni eterni.

La volontà perversa e lo spirito del male.

Page 306: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

306

24. 21. Può accadere che lo spirito del male, e chi è con lui associato, con aspirazioni peccaminose a volte renda la volontà umana o delirante nell’errore o ardente nella brama dei diversi piaceri mondani, sconvolgendola e infiammandola con vane fantasie e suggestioni immonde. Tuttavia, quando vediamo che tale volontà cattiva sopporta in modo sorprendente cose intollerabili, non per questo dobbiamo dire che essa sopporti il male per istigazione d’uno spirito immondo estraneo a lei, come accade per la volontà buona, la quale non può essere buona senza l’aiuto dello Spirito Santo. Che la volontà umana può esser cattiva senza che venga a sedurla o a stimolarla un qualche spirito appare assai chiaramente nella storia del diavolo stesso, il quale non risulta che sia diventato diavolo per la spinta d’un altro diavolo ma per colpa della sua volontà. Lo stesso è della volontà cattiva dell’uomo quando la cupidigia l’attira o il timore la frena, quando la gioia la dilata o la tristezza la raggela, eppure essa, nonostante che sia turbata da tutti questi moti dell’anima, affronta sprezzante quanto ad altri o a lei stessa in altri momenti sarebbe oltremodo gravoso. Senza lo stimolo di alcuno spirito esterno essa stessa può traviarsi e scivolare in basso, abbandonando le cose superiori per quelle inferiori. E quanto maggiore ritiene che sia il piacere derivante dalle cose che vuol possedere o teme di perdere, o da ciò che, possedendo, le dà gioia o che, perduto, la addolora, tanto più le sarà facile sopportare, in vista di quel piacere, ciò che le risulta meno gravoso a sopportare in confronto con ciò che ritiene più allettante a possedere. Ad ogni buon conto però, qualunque sia questo piacere, esso deriva dalla creatura, di cui conosciamo le propensioni. Quando infatti si ama una cosa creata, questa è vicina alla creatura che la ama con un contatto e rapporto in certo qual modo familiare, poiché se ne può assaporare direttamente la dolcezza.

Dio ci dona la buona volontà.

25. 22. La delizia che si ha nel possesso del Creatore, della quale dice la Scrittura: E tu li disseterai al torrente della tua delizia, è di tutt’altra natura. Dio infatti non è creatura, come lo siamo noi. Se quindi l’amore per lui non ci viene dato da lui stesso, non c’è altra sorgente da cui possiamo attingerlo. E pertanto la buona volontà, con cui si ama Dio, non può essere nell’uomo se Dio non opera in lui il volere e l’agire. Or eccola questa volontà buona: una volontà soggetta fedelmente a Dio, una volontà accesa da un santo fuoco celeste, una volontà che ama Dio e il prossimo per amore di Dio. È animata dall’amore per il quale l’apostolo Pietro poté rispondere: Signore, tu sai che io ti amo; è animata dal timore, di cui l’apostolo Paolo diceva: Operate la vostra salvezza con timore e trepidazione; è animata dalla gioia, di cui si dice: Gioiosi nella speranza, pazienti nella tribolazione; è animata anche dalla tristezza, che l’Apostolo dice d’aver provato, e grande, per i suoi fratelli. Se dunque questa volontà sopporta amarezze e disagi, è perché la carità di Dio è stata effusa nei nostri cuori, e questo non da altri all’infuori dello Spirito Santo che ci è stato donato.

Dono di Dio la carità di chi ama santamente.

26. 22. È una verità di cui nessun’anima fedele dubita: come è dono di Dio la carità di chi ama santamente, così lo è anche la pazienza di chi sopporta [i mali] con abbandono filiale. Non vuole infatti ingannarci né si inganna la Scrittura, la quale già nei libri dell’Antico Testamento attesta questa verità quando dice a Dio: Tu sei la mia pazienza, e ancora: Da lui viene a me la mia pazienza, mentre un altro profeta afferma che noi riceviamo da lui lo Spirito di fortezza. Negli scritti degli apostoli poi si legge: Per quanto riguarda Cristo, è stato fatto a voi il dono non solo di credere in lui ma anche di patire per lui. Sentendo che si tratta di cosa ricevuta in dono, l’anima non se ne inorgoglisca come se si trattasse di conquista propria.

Page 307: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

307

La pazienza degli scismatici.

26. 23. Ora parliamo di uno che non ha quella carità di Cristo per cui si partecipa all’unità dello spirito e al vincolo della pace con cui la congregazione della Chiesa cattolica è tenuta insieme, ma si trova nello scisma. Se costui per non rinnegare Cristo sopporta con pazienza, spinto dal timore dell’inferno e delle pene eterne, le tribolazioni, le privazioni, la fame, la nudità, la persecuzione, i pericoli, le carceri, le catene, le torture, la spada, il fuoco, le belve o la stessa croce, non dovremo fargli una colpa quando soffre tutto ciò, anzi dobbiamo lodarne la pazienza. Non si potrà mai dire infatti che sarebbe stato meglio per lui se, rinnegando Cristo, avesse evitato tutti quei patimenti che ha subìto per confessarlo. Probabilmente dovremo ritenere che per lui ci sarà un giudizio meno severo che se fosse sfuggito agli stessi patimenti rinnegando Cristo. Nel quale caso le parole dell’Apostolo: Se consegnerò alle fiamme il mio corpo ma non avrò la carità non mi giova a nulla debbono essere intese nel senso che ciò non mi gioverà a nulla per ottenere il regno dei cieli, non che non mi renderà più tollerabile la pena nel giudizio finale.

È dono di Dio anche la pazienza degli scismatici.

27. 24. È giusto indagare se sia dono di Dio o non si debba piuttosto attribuire alle forze della volontà umana la pazienza per la quale lo scismatico, temendo le pene eterne, sopporta dolori temporali non per l’errore che lo portò alla separazione ma per la verità del sacramento o della parola che in lui si è conservata. Occorre essere cauti. Se infatti diciamo che tale pazienza è dono di Dio, si potrebbe anche ritenere che quanti la posseggono fan parte del regno di Dio; se invece diciamo che non è dono di Dio, dovremmo necessariamente concludere che anche senza l’aiuto di Dio e senza un suo dono ci possa essere nella volontà dell’uomo qualcosa di buono. Non è infatti cosa cattiva credere che l’uomo sarà punito con il castigo eterno se rinnega Cristo e per una tal fede sopportare con animo risoluto tutti i supplizi umani.

27. 25. Pertanto non si deve negare che anche questo è dono di Dio, ma occorre precisare che di tutt’altro genere sono i doni concessi ai figli di quella Gerusalemme celeste, che è libera ed è la nostra madre.

Eredi e diseredati nel regno di Dio.

28. 25. Alcuni infatti di questi doni sono, per così dire, beni ereditari per noi che siamo eredi di Dio, coeredi di Cristo; altri invece li possono ricevere anche i figli delle concubine, ai quali vogliamo paragonare i giudei increduli, gli scismatici e gli eretici. È vero infatti che si trova scritto: Scaccia la serva e suo figlio, poiché il figlio della serva non potrà essere erede insieme con il mio figlio Isacco. È vero anche che ad Abramo Dio disse: Da Isacco prenderà nome la tua discendenza, testo che l’Apostolo interpreta dicendo: Cioè non sono figli di Dio i figli della carne, ma come discendenza son considerati i figli della promessa. Con questo egli ci fa comprendere che le parole “figli di Abramo in Isacco” si riferiscono, a motivo di Cristo, a quei figli di Dio che sono corpo e membra di Cristo, cioè che sono la Chiesa di Dio, una, vera, fraterna, cattolica, saldamente ancorata nella santa fede. Non colei che agisce per orgoglio o per timore ma colei che è mossa dall’amore. Nonostante questo, però, rimane vero che anche ai figli delle concubine Abramo, quando li allontanò dal suo figlio Isacco, diede dei doni affinché non restassero del tutto a mani vuote, sebbene non fossero accolti come eredi. Così infatti leggiamo: Abramo diede ogni suo avere al figlio Isacco, ma anche ai figli delle concubine fece dei doni quando li allontanò dal figlio Isacco.

Page 308: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

308

Se dunque noi siamo i figli della Gerusalemme che è la donna libera, rendiamoci conto che anche per i diseredati ci sono doni, sebbene diversi da quelli degli eredi. Eredi poi sono coloro ai quali è detto: Voi non avete ricevuto uno spirito da servi per ricadere di nuovo nel timore, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi nel quale gridiamo: Abbà, Padre.

L’eterna ricompensa dei fedeli pazienti.

29. 26. Gridiamo dunque [a Dio] mossi dallo Spirito di carità; e finché non arriviamo al possesso di quell’eredità dove vivremo per sempre, esercitiamo la pazienza animati da amore filiale, non da timore servile. Finché siamo poveri, gridiamo attendendo d’essere arricchiti dell’eredità celeste. Da lassù abbiamo ricevuto grandi pegni quando Cristo si è fatto povero per arricchirci, e da lui, elevato al possesso delle ricchezze eterne, è stato inviato lo Spirito Santo, che suggerisce ai nostri cuori santi desideri. Noi infatti ora siamo dei poveri, che credono e non contemplano ancora, che sperano e non posseggono ancora; che sospirano col desiderio e ancora non regnano felici; hanno fame e sete e ancora non sono sazi: di questi poveri è la pazienza che non perisce in eterno, non perché anche lassù seguiterà ad esserci la pazienza dove non ci saranno mali da sopportare, ma, se si dice che non perisce in eterno, è perché non resterà infruttuosa. Non andrà perduta in eterno perché eterno sarà il suo frutto. Chi infatti lavorando consegue risultati inconsistenti, deluso nella speranza per la quale lavora, dice giustamente: “Ho sprecato tutto il mio lavoro”. Il contrario è di chi giunge a conseguire quanto si riprometteva con il suo lavoro.Tutto allegro dice: “Non ho sprecato il mio lavoro”. Si dice dunque di un lavoro che non è andato perduto non perché esso dura per sempre ma perché non è stato fatto invano. Così è della pazienza dei poveri di Cristo, degli eredi di Cristo che [da lui] saranno fatti ricchi. Essa non perisce in eterno non perché anche nell’aldilà ci sarà comandato di tollerare pazientemente qualcosa, ma perché godremo della beatitudine eterna in premio di ciò che ora abbiamo sopportato con pazienza. Colui che nel tempo ha dato alla volontà di essere paziente non permetterà che abbia fine la felicità, che è eterna. Pazienza e felicità sono infatti frutto della carità, che è anch’essa un dono [divino].

Beato Agostino d'Ippona

Page 309: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

309

LA MENZOGNA

Introduzione.

1. 1. Riguardo alla menzogna c’è un grosso problema: un problema che spesso anche nei comportamenti della vita di ogni giorno ci crea pensieri. Succede infatti che noi a cuor leggero chiamiamo menzogna ciò che menzogna non è, mentre poi riteniamo lecito il mentire quando si tratta di una menzogna giustificata, come quando è detta a fin di bene o per misericordia. Tratteremo il problema con premura e attenzione, mettendoci alla ricerca insieme con quanti come noi cercano la verità. Se poi abbiamo o no trovato qualcosa, non lo diremo noi parlando con leggerezza, ma al lettore attento lo rivelerà sufficientemente la stessa trattazione. È infatti, il presente, un problema assai oscuro, che nei suoi meandri cavernosi sfugge spesso all’acume dell’investigatore; e succede che a volte ti vedi sfuggire di mano ciò che avevi trovato, mentre a volte te lo vedi riapparire per poi dileguarsi di nuovo. Alla fine tuttavia la nostra disamina, raggiunta una certezza maggiore (per dire così), ci consentirà di delineare la soluzione che adottiamo. E se in questa ci sarà qualcosa di errato (è infatti proprio della verità liberare da ogni errore, mentre la falsità è inclusa in ogni errore), io ritengo che non si sbagli mai con più cautela di quando si sbaglia per l’eccessivo amore alla verità e per un eccesso di zelo nel rigettare la falsità. Questo procedimento è ritenuto un’esagerazione dagli ipercritici, ma, se si interrogasse proprio la verità, essa direbbe che non si è ancora abbastanza in regola. Orbene, chiunque tu sia che vieni a leggere, astieniti dalle critiche prima che abbia letto l’opera intera; così sarai meno severo nel giudicare. Non fermarti poi a sottilizzare sulla forma letteraria, poiché abbiamo speso molto lavoro sul contenuto, volendo anche terminare in breve tempo un’opera così necessaria allo svolgimento della vita quotidiana: motivo per cui la rifinitura dell’eloquio è stata limitata o quasi trascurata del tutto.

Page 310: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

310

Menzogna e non menzogna.

2. 2. È doveroso fare eccezione per lo scherzo, che di fatto nessuno mai ha considerato una menzogna. Lì infatti è manifesto in maniera evidentissima il senso che ha in animo colui che sta scherzando: lo si ricava dalla pronunzia e dall’umore di chi parla, che appunto non è quello di uno che voglia ingannare, sebbene non proferisca la verità [completa]. Una questione diversa è stabilire se un’anima perfetta possa far uso di un tal modo d’esprimersi; ma ora non intendiamo risolvere questo problema. Eccettuiamo dunque lo scherzo, e vediamo per prima cosa come non si debba considerare bugiardo colui che di fatto non dice menzogne.

Definizione di menzogna.

3. 3. Occorre dunque precisare cosa sia la menzogna. In effetti non tutti quelli che dicono delle falsità mentiscono: tale è colui che crede o suppone essere vero ciò che afferma. C’è poi una differenza tra il credere e il supporre: chi crede a volte s’accorge di non conoscere la cosa che crede, sebbene non nutra dubbi di sorta sulla cosa che sente di non conoscere, se in essa crede con assoluta certezza. Viceversa, chi su qualcosa fa supposizioni ritiene di conoscere una cosa che invece non conosce. Ad ogni modo, chi afferma una cosa che nel suo animo o crede o suppone, anche se la cosa in sé è falsa, egli non dice una menzogna. Infatti nel suo parlare asserisce ciò che ha nell’animo e lo asserisce adeguandosi alla sua convinzione, e di fatto considera le cose come egli afferma. Ma anche se non mentisce, non è esente da colpa, se presta fede a cose da non credersi o se pensa di conoscere le cose che viceversa non conosce, anche se si tratta di cose in sé vere. Egli infatti ritiene di conoscere ciò che invece non conosce. mentisce poi sicuramente colui che nell’animo ha una cosa mentre a parole o con qualsiasi mezzo espressivo ne dice un’altra. Per questo, si suol dire che il bugiardo è doppio di cuore, cioè ha due [diversi] pensieri: uno quello che sa o ritiene come vero ma non ne parla, l’altro quello che invece del precedente proferisce con le labbra sapendo o congetturando che è falso. Ne segue che uno, senza mentire, può affermare una cosa falsa, inquanto crede che le cose stiano proprio come egli dice, sebbene di fatto non stiano così. Parimenti può accadere che uno, pur mentendo, dica la verità: come quando uno crede falsa una cosa che egli afferma essere vera, sebbene effettivamente le cose stiano com’egli asserisce. Riteniamo infatti che una persona sia sincera o bugiarda in base al giudizio della sua mente e non in base alla verità o falsità della cosa in sé. Pertanto di uno che dice il falso in luogo del vero, in quanto lo ritiene effettivamente vero, possiamo dire che sia nell’errore o magari che sia un illuso, ma non che sia un mentitore. Nel suo parlare infatti egli non ha in cuore la doppiezza e non intende imbrogliare ma è vittima dell’inganno. La colpa del mentitore sta invece nel desiderio di ingannare, quando dichiara il suo animo, sia che riesca a ingannare, perché si crede alla sua falsa dichiarazione, sia che di fatto non inganni, vuoi perché non gli si crede, vuoi, nel caso che con il desiderio di ingannare dica vero, ciò che non crede vero. In questo caso egli non inganna chi gli crede, sebbene abbia avuto intenzione d’ingannarlo, a meno che nel mentire non arrivi al punto di fargli credere che lui stesso conosce od opina secondo quel che dice a parole.

3. 4. A questo punto ci si potrebbe chiedere (ma si tratta d’una questione quanto mai sottile!) se quando manca l’intenzione di trarre in inganno, manchi del tutto anche la menzogna.

Chi mente?, colui che asserisce il falso con l’intento di non ingannare o colui che dice il vero con il proposito di ingannare?

Page 311: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

311

4. 4. Che diremo infatti di uno che dice il falso su una cosa che ritiene falsa ed egli si comporta così proprio perché ritiene che non gli si presterà fede e col far ciò voglia tener lontano da false conclusioni il suo interlocutore, che peraltro sa per nulla disposto a credergli? Se è menzogna affermare una cosa di cui si sa o si suppone che sia diversa, costui mente, sia pur senza l’intenzione di trarre in inganno. Se invece non si dà menzogna se non quando si afferma una cosa con l’intenzione di ingannare, non commette menzogna colui che, pur sapendo o pensando che la cosa asserita è falsa, dice il falso senza il proposito d’ingannare la persona con cui parla. Egli infatti sa che l’altro non gli presterà fede, e parla così proprio perché sa o congettura che l’altro non crede alle sue parole. Può dunque risultare con chiarezza, almeno in linea dei possibili, che ci sia chi dice il falso per non trarre in inganno il suo interlocutore, e che viceversa ci sia qualche soggetto che dica la verità con l’intenzione d’ingannare. Così, uno che dice la verità perché è convinto che la gente non gli crede, se dice la verità lo fa certo per ingannare: egli in effetti sa di sicuro, o almeno suppone, che quanto da lui detto può esser preso per falso proprio perché lo dice lui. E pertanto, dicendo la verità perché la si prenda come una falsità, egli dice, sì, la verità ma nell’animo vuole ingannare. Si impone quindi la domanda: Chi mente?, colui che asserisce il falso con l’intento di non ingannare o colui che dice il vero con il proposito di ingannare? In effetti il primo sa o immagina di dire il falso, il secondo sa o pensa di dire la verità. Al riguardo abbiamo già sopra affermato che non mente colui che non conosce la falsità delle sue asserzioni, da lui ritenute vere; è invece mentitore colui che dice cose vere credendole false. L’uno e l’altro li si deve giudicare dalle convinzioni che hanno nell’animo. Riguardo agli individui che abbiamo ora elencato la questione non è semplice: e questo dico in primo luogo di uno che sa, o pensa, di dire una cosa falsa, ma la dice allo scopo d’evitare l’inganno. Ecco, ad esempio, uno che, riguardo a una strada, sa che essa è infestata da briganti; e nello stesso tempo egli teme che per quella strada s’incammini una persona la cui salute gli è cara. Sapendo che questa persona non gli presterà fede, egli le può dire che i briganti non ci sono, affinché costui non passi per quella strada, credendola infestata da briganti, per il fatto che a dirgli di no è stato uno al quale egli non presta fede ritenendolo un bugiardo. C’è poi un altro che sa, o crede di sapere, che una cosa è vera, eppure la dice per trarre in inganno. Tale, ad esempio, è colui che a uno che non gli presta fede dice che in una certa via ci sono i briganti conoscendo che lì davvero ci sono; e se gli dice così è perché chi lo ascolta si diriga effettivamente verso quella strada credendo false le parole del collega: di fatto però egli si imbatte nei briganti. Orbene, quale di questi due è mentitore? Colui che preferisce dire il falso per non ingannare o colui che dice la verità con l’intenzione d’ingannare? Colui, dico, il quale dicendo una menzogna ha fatto sì che il suo interlocutore raggiungesse la verità ovvero l’altro che dicendo la verità ha fatto sì che l’interlocutore fosse indotto in errore? Non sarà piuttosto esatto dire che hanno mentito tutti e due: il primo perché volle affermare una falsità, il secondo perché intese trarre in inganno? O diremo per caso che nessuno dei due ha mentito: il primo perché gli mancò l’intenzione d’ingannare, il secondo perché intese affermare la verità? Non discutiamo infatti adesso il problema se l’uno o l’altro abbia peccato ma solo se abbia detto menzogne. Quanto al peccato infatti a prima vista sembrerebbe averlo commesso colui che dicendo la verità ha fatto sì che quello sventurato incappasse nei malandrini, mentre non avrebbe peccato, anzi avrebbe fatto un’opera buona, colui che dicendo il falso ha sottratto quel tizio alla disgrazia. Ma questi esempi si possono invertire, e quindi esserci qualcuno che, non volendo ingannare il prossimo, fa questo per esporlo a una disgrazia più grave. Molti infatti conoscendo la verità di certe cose andarono in rovina poiché le cose erano proprio tali che sarebbe stato meglio se non le avessero mai conosciute. L’altro invece, che vuole ingannare il prossimo, può farlo affinché costui ne tragga un qualche vantaggio: ad esempio certuni si sarebbero suicidati se avessero conosciuto una qualche sciagura capitata realmente ai propri cari; credendo invece a quella falsità si trattennero dal suicidio. In tal modo fu utile a questi ultimi essere stati

Page 312: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

312

ingannati, come fu dannoso ai primi l’aver conosciuto la verità. Non si tratta dunque di appurare quali siano stati i sentimenti con cui l’uno ha detto il falso per non lasciar cadere in inganno e l’altro ha detto il vero volendo ingannare: se cioè volevano giovare o nuocere. Escludendo per ora la questione dei vantaggi o dei danni derivati a coloro cui si parla, vogliamo limitarci a considerare la verità e la falsità delle affermazioni in se stesse e vedere quale dei due soggetti sia reo di menzogna, o se per caso lo siano tutti e due o nessuno dei due. In effetti se è menzogna parlare con l’intenzione di dire il falso, ha mentito naturalmente colui che ha inteso dire una falsità dicendo poi quel che gli è piaciuto dire e dicendolo magari con l’intenzione di non ingannare. Se al contrario è menzogna ogni affermazione fatta con l’intenzione d’ingannare, non ha mentito il primo fra i due ma l’altro, cioè colui che anche dicendo la verità intendeva trarre in inganno. Se poi è menzogna un’affermazione detta col proposito di mescolare il vero con il falso, hanno mentito tutti e due: l’uno perché intese come falsa la sua affermazione, l’altro perché dalla sua affermazione vera intese farla prendere per falsa. Se finalmente la menzogna consiste nell’affermare il falso con l’intenzione d’affermarlo per trarre in errore, non è stato bugiardo nessuno dei due: non il primo in quanto dicendo il falso si riprometteva di indurre alla verità; non il secondo in quanto per indurre alla falsità affermava cose vere. Sarà dunque assente ogni doppiezza ed ogni falsità se affermiamo a tempo e luogo ciò che riteniamo per vero riconoscendolo anche come tale, e ciò che affermiamo è quello che vogliamo richiamare alla mente altrui. Ma si danno casi diversi, quando cioè noi tentiamo di proporre solamente quello che diciamo con le labbra, ma noi stessi crediamo vero ciò che è falso o diamo come noto ciò che ci è sconosciuto o non crediamo a ciò che si dovrebbe credere o affermiamo ciò che non si dovrebbe affermare. In questi casi c’è, sì, l’errore della sconsideratezza ma in nessun modo la menzogna. Non si deve infatti temere nessuna delle suddette definizioni quando l’animo dentro di sé è convinto di affermare una cosa che sa di essere vera, o almeno così opina o crede, e così pure se non vuol far credere altro se non quello che afferma.

Se si diano menzogne che, almeno a volte, siano utili.

4. 5. Molto più importante e necessaria di questa è la domanda se si diano menzogne che, almeno a volte, siano utili. Può quindi rimanere dubbio il problema se dica menzogne uno che non abbia la volontà d’ingannare o magari si dia da fare perché non cada in errore colui al quale parla, sebbene abbia consentito che si ritenessero false le sue parole da colui al quale egli voleva proporre solo la verità; e così può dubitarsi se mentisca colui che deliberatamente dice la verità con l’intenzione d’ingannare. Nessuno certo dubita che mente colui che dice il falso volendo ingannare. Ne segue che certamente dice una menzogna colui che asserisce il falso allo scopo d’ingannare. È dunque cosa evidente che la menzogna è una affermazione falsa proferita con l’intenzione d’ingannare. Se poi soltanto in questo caso ci sia la menzogna, è un’altra questione.

Se qualche volta non sia utile dire il falso con l’intenzione di trarre in inganno.

5. 5. Esaminiamo adesso il genere di menzogne, sul quale tutti sono d’accordo, e cioè se esistano casi in cui sia utile dire il falso anche con l’intenzione di trarre in inganno. Così infatti ritengono alcuni, i quali per convalidare la loro dottrina ricorrono a testimonianze [scritturistiche]. Citano l’esempio di Sara, che avendo riso [della promessa divina], agli angeli disse che non aveva riso. Così Giacobbe: interrogato dal padre, egli rispose dicendo d’essere il suo figlio maggiore, Esaù. Così le ostetriche d’Egitto: perché non fossero uccisi i bambini ebrei che nascevano ricorsero alla menzogna, che lo stesso Dio approvò ricompensando con doni il loro operato. Scegliendo i numerosi episodi [narrati dalla Scrittura], ricordano gli esempi di quegli uomini che nessuno oserebbe dichiarare colpevoli, con la conclusione di farti riconoscere che almeno in certi casi la

Page 313: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

313

menzogna può essere non solo non meritevole di biasimo ma anzi meritevole di elogio. E portano anche delle altre prove, volendo convincere non solo gli uomini che hanno familiarità con i Libri sacri ma tutti gli uomini forniti di comune buon senso. Dicono: Se viene da te uno che tu con la tua bugia potresti sottrarre alla morte, ti rifiuteresti di mentire? Se un malato ti chiede un’informazione che tu sai essergli per niente affatto utile e d’altra parte t’accorgi che a non dargli alcuna risposta sarebbe ancor peggio, tu oserai dire a lui la verità con suo grave danno oppure te ne rimarresti in silenzio, quando con una bugia - in questo caso incolpevole, anzi pietosa - potresti invece contribuire alla sua salute? Con numerosi argomenti di questo genere, o non molto diversi da questi, credono di dover necessariamente concludere che, se c’è un motivo valido che lo esiga, a volte almeno è lecito mentire.

La menzogna nell’Antico Testamento.

5. 6. Quanti son persuasi che mai si deve mentire reagiscono con grande energia, e prima di tutto adducono la prova di autorità desunta dalla divina Scrittura. Nel decalogo infatti si dice: Non dire falsa testimonianza, che è un’espressione generica comprendente ogni sorta di menzogne. In realtà quando si proferisce una parola si rende testimonianza di ciò che ci passa nell’animo. Ma qualcuno potrebbe obiettare che non tutte le menzogne meritano d’essere chiamate «falsa testimonianza». Ebbene cosa potrà costui replicare all’affermazione: La bocca menzognera uccide l’anima? E perché non si pensi che l’espressione sia compresa nel giusto senso anche quando si eccettua il caso di qualche mentitore, si vada a leggere quell’altro passo dove è detto: Tu mandi in perdizione tutti coloro che proferiscono menzogne. Per questo il Signore di sua propria bocca affermò: Sia sulla vostra bocca il sì, sì, e il no, no. Il di più viene dal maligno . In questo senso anche l’Apostolo, quando prescrive di spogliarsi dell’uomo vecchio, denominazione che abbraccia tutti i peccati, con logica stringente pone al principio questa ingiunzione: Pertanto gettate via la menzogna [e] parlate [dicendo] la verità.

In che senso i libri dell’Antico Testamento non insegnano a mentire.

5. 7. Costoro affermano di non sentirsi spaventati dagli esempi di menzogna che si ricavano dai libri dell’Antico Testamento. Infatti quanto accadeva a quei tempi, sebbene realmente accaduto, poteva avere anche un senso figurativo; e quanto avviene o si narra in senso figurato non costituisce menzogna. In effetti ogni affermazione è da rapportarsi a ciò che con essa si afferma; e quindi tutto ciò che accade o viene detto con linguaggio figurato afferma ciò che la figura presenta alla comprensione dell’ascoltatore. Questo è da credersi nei riguardi di quegli uomini che al tempo delle antiche profezie vengono descritti come personaggi autorevoli: e cioè che quanto è scritto nei loro riguardi essi lo hanno fatto o detto con valore profetico. Parimenti non avevano un minor valore profetico le cose che loro accadevano se dallo Spirito profetico furono ritenute meritevoli d’essere ricordate a memoria o trascritte in libri. Quanto alle ostetriche, siccome non è possibile dire che abbiano parlato mosse da Spirito profetico al fine di rappresentare la verità futura, si afferma, è vero, che esse furono approvate e ricompensate da Dio per aver detto al faraone una cosa per un’altra; ma si trattò d’una ricompensa relativa. A loro insaputa poi lo Spirito diede un significato ulteriore al gesto da loro compiuto. Se infatti uno, abituato a mentire per procurare danni al prossimo, in un secondo momento arriva a mentire per fare del bene, certamente ha compiuto un grande progresso. E poi una cosa è presentare come lodevole un gesto in se stesso e un’altra è quando si dice che un atto è migliore di un altro che risulti peggiore. Una cosa infatti è congratularsi con una persona perché sta bene [in salute], e un’altra è congratularsi con un malato perché è migliorato. Del resto, nelle stesse Scritture si dice che anche Sodoma fu giustificata se la si

Page 314: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

314

paragona con le nefandezze commesse dal popolo d’Israele. A questa norma rimandano [i sostenitori della presente teoria] in ogni caso di menzogna che si desume dall’Antico Testamento e che ivi non viene biasimato. Lo stesso se non è possibile biasimarla, anzi se viene approvata in vista dei proficienti e della speranza [di farli progredire], ovvero se non si tratta in alcun modo di menzogne dette con qualche significato recondito.

Nessuna menzogna nei libri del Nuovo Testamento.

5. 8. Nei libri del nuovo Testamento ci sono, è vero, espressioni con senso figurato poste sulla bocca del Signore; ma, eccettuate queste e considerando la vita e i comportamenti dei santi, come anche i loro fatti e detti, non si può citare alcun esempio che, se imitato, induca alla menzogna. Tale la simulazione di Pietro e Barnaba: essa non è soltanto raccontata ma anche disapprovata e corretta. Non è infatti vero, come pensano alcuni, che ricorrendo a una tale simulazione lo stesso Paolo circoncise Timoteo o celebrò personalmente alcuni riti del cerimoniale giudaico; ma, al contrario egli fu sempre mosso da quella libertà di opinione per cui predicava che la circoncisione come non giovava in nulla ai pagani così in nulla nuoceva ai giudei. Per questo egli riteneva che, se non si dovevano costringere i pagani ad osservare le costumanze dei giudei, non bisognava distogliere i giudei dalle usanze dei padri. Ne fan testo le sue parole: Uno è stato chiamato da circonciso? Non si rifaccia il prepuzio. Un altro è stato chiamato col prepuzio? Non si lasci circoncidere. La circoncisione infatti non è nulla, come nulla è il prepuzio: quello che vale è la osservanza dei comandamenti di Dio. Ciascuno rimanga nella condizione di quando fu chiamato. Come si potrebbe rifare il prepuzio quando lo si è asportato? Dice: Non si rifaccia nel senso di «non viva come se si fosse rifatto il prepuzio», e cioè: «Non viva come se su quella parte del corpo, che ha scoperto, protenda di nuovo la pelle», quasi che abbia cessato di essere giudeo. Con lo stesso senso dice altrove: La tua circoncisione s’è mutata in prepuzio. Tutto questo l’Apostolo dice non per costringere i pagani a conservare il prepuzio o i giudei a seguire per forza il costume dei loro padri. Egli non voleva imporre né agli uni né agli altri il comportamento opposto, avendo tutt’e due le genti la facoltà, non la necessità, di rimanere nelle consuetudini di prima. Se pertanto un giudeo avesse voluto, senza recare scandalo ad alcuno, abbandonare le costumanze del giudaismo, l’Apostolo non l’avrebbe certo ostacolato. Che se egli diede ai giudei il consiglio di attenersi alle loro pratiche, lo fece per timore che essi, turbati in cose superflue, non giungessero ad incamminarsi per quelle vie che alla salvezza sono necessarie. E se un pagano avesse voluto farsi circoncidere con l’intenzione di mostrare che non rifuggiva quella pratica come dannosa [per la salvezza] ma la riteneva solo un segno ormai sorpassato nel tempo e quindi per lui del tutto indifferente, certo l’Apostolo non gli avrebbe proibito di circoncidersi. Se è vero infatti che dalla circoncisione non derivava in alcun modo la salvezza, nessun timore che da essa derivasse la rovina. Per questo motivo l’Apostolo circoncise Timoteo. Egli fu chiamato dal popolo degli incirconcisi ma era nato da madre giudea. Ora Paolo per conquistare [alla fede] i suoi connazionali doveva loro mostrare che nella disciplina della Chiesa cristiana non aveva imparato a rigettare sdegnosamente i riti sacri dell’antica legge. Comportandosi così, [Paolo e Timoteo] dimostravano ai giudei che, se i pagani non si sottoponevano a tali pratiche, non era perché fossero cose cattive, e quindi i patriarchi le avevano osservate a loro danno. Egli intendeva solo insegnare che esse non erano più necessarie per la salvezza, dopo la realizzazione di quel grande mistero che tutta la Scrittura dell’Antico Testamento per tanti secoli aveva gestato e messo al mondo con profetici simboli e figure. Egli, Paolo, dietro le pressioni dei giudei avrebbe circonciso anche Tito se non ci fossero stati quei falsi fratelli che, intrufolatisi fra i cristiani, avevano sparso la diceria che egli aveva ceduto di fronte a loro. Riconoscendo in loro la verità, egli si sarebbe arreso di fronte a quei tali che predicavano che secondo il Vangelo la speranza di salvarsi era riposta nella circoncisione della carne e nelle altre

Page 315: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

315

pratiche simili ad essa, e che senza queste pratiche Cristo non avrebbe arrecato alcun giovamento all’umanità. La verità, viceversa, era che Cristo non giovava a nulla a coloro che si facevano circoncidere con la convinzione che in tale rito si trovava la salvezza. Perciò dice: Ecco io, Paolo, vi dico questo: Se vi circoncidete, Cristo non vi gioverà a nulla. Con tale libertà Paolo osservò le pratiche in uso presso i padri, badando solo a questo - e così anche predicando -, che cioè non si credesse annullata la salvezza di cui godono i cristiani perché venivano escluse le antiche osservanze. Pietro al contrario con la sua simulazione costringeva i pagani a vivere da giudei come se la salvezza si trovasse nel giudaismo. Lo attestano le parole di Paolo, che gli disse: Come puoi costringere i gentili a farsi giudei? Non si sarebbe potuto dire che erano costretti se non l’avessero visto osservare quei riti ritenendo che senza di loro non c’era salvezza. Quindi la simulazione di Pietro non ha nulla di simile con la libertà di [coscienza predicata da] Paolo. Noi quindi dobbiamo amare Pietro che volentieri si lasciò riprendere da Paolo, ma non possiamo in alcun modo difendere la [liceità della] menzogna in base all’autorità di Paolo. Costui alla presenza di tutti richiamò al dovere Pietro, per impedire che per il suo esempio i pagani venissero costretti a vivere da giudei. Inoltre Paolo fu coerente con la sua predicazione quando, di fronte a quelli che lo giudicavano nemico delle tradizioni dei padri, in quanto non voleva che venissero imposte ai gentili, non ricusò di rispettarle lui stesso celebrando i riti dell’antico cerimoniale. Ciò facendo, mostrò con sufficiente chiarezza che, dopo la venuta di Cristo, tali pratiche sopravvivevano in queste dimensioni: per i giudei non erano dannose, per i pagani non erano obbligatorie, per nessuno erano necessarie in ordine alla salvezza.

Nessun argomento valido a favore della menzogna dai libri sacri.

5. 9. Nessun argomento valido a favore della menzogna si può quindi ricavare dai libri sacri. Non dall’Antico Testamento, perché non è menzogna ciò che si deve prendere come figura, tanto se si tratta di fatti quanto di detti, ovvero anche perché non si propone alla imitazione dei buoni ciò che nei cattivi, incamminati verso il meglio, si loda rapportandolo con cose peggiori. Non si ricava nemmeno dai libri del Nuovo Testamento, nei quali ci si invita ad imitare il ravvedimento di Pietro più che non la [colpa della] simulazione, come, dello stesso Pietro, dobbiamo imitare le lacrime e non la negazione.

La menzogna è peccato grave.

6. 9. Quanto agli esempi desunti dalla vita ordinaria, asseriscono con la più grande sicurezza [questi dottori] che non vi si deve prestar fede. Nel loro insegnamento infatti essi partono dal principio che la menzogna è un’iniquità; e ciò provano con molti testi della sacra Scrittura, primo dei quali il passo: Tu, Signore, hai in odio quanti commettono azioni inique, mandi in perdizione quanti dicono la menzogna. Infatti, come di solito fa la Scrittura, con lo stico seguente si chiarifica il precedente; e così, siccome la parola «iniquità” ha un significato assai ampio, dobbiamo intendere che, quando si nomina la menzogna, l’autore ha voluto presentarla come una specie nel genere della iniquità. Ovvero se fra menzogna e iniquità c’è una qualche differenza, tanto peggiore è da ritenersi la menzogna quanto più è severa la parola mandare in perdizione rispetto a odiare. Può darsi infatti che Dio abbia in odio qualcuno in maniera piuttosto blanda, cioè non al punto di dannarlo; riguardo al dannato viceversa, tanto più forte è l’odio divino quanto più severa è la punizione inflitta. Orbene, quanti operano l’iniquità egli li odia; invece tutti coloro che dicono menzogne egli addirittura li manda in perdizione. Ammesso questo, chiunque accetta un tale principio come potrà lasciarsi impensierire dagli esempi addotti da quei tali che dicono:»Se viene da te un uomo che con una menzogna tu potresti liberare dalla morte, come ti comporteresti?». Eppure quella morte, temuta

Page 316: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

316

stoltamente dagli uomini che non temono il peccato, è una morte che uccide il corpo, non l’anima, come insegna il Signore nel Vangelo, dove appunto ordina di non temerla. La bocca che proferisce menzogna, viceversa, uccide non il corpo ma l’anima. È scritto in termini quanto mai espliciti: La bocca che dice menzogne uccide l’anima. Come quindi non sarà un’enorme perversione affermare che per conservare ad uno la vita del corpo un altro possa lecitamente morire nello spirito? Infatti l’amore del prossimo ha come punto di riferimento l’amore verso se stessi. Dice: Amerai il prossimo tuo come te stesso. In che maniera dunque potrà uno amare un altro come se stesso, se per dare a costui la vita temporale, egli personalmente si gioca la vita eterna? In realtà, se per dargli la vita temporale uno compromettesse la sua vita temporale non sarebbe questo un amare come se stesso, ma più di se stesso. E ciò oltrepassa la norma imposta dalla sana dottrina. Molto meno sarà lecito perdere la propria vita eterna dicendo menzogne, per [salvare] all’altro la vita temporale. Ovviamente il cristiano non esiterà a sacrificare la propria vita temporale per la vita eterna del prossimo: in questo ci ha preceduti con l’esempio il nostro Signore quando ha dato la vita per noi. Egli infatti diceva a questo riguardo: Questo è il mio comandamento: che vi amiate l’un l’altro come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i suoi amici. A questo proposito nessuno vorrà essere così scervellato da dire che il Signore abbia inteso provvedere ad altro che alla salvezza dell’uomo quando compiva di persona le opere che comandava o quando comandava di compiere le opere che lui faceva. Se pertanto col mentire si perde la vita eterna, è evidente che mai è lecito mentire per giovare in qualsiasi modo alla vita temporale di chicchessia. Che dire infatti di questi tali, che si indispettiscono e vanno sulle furie quando qualcuno si rifiuta di uccidere la propria anima con la menzogna, perché un altro nel suo corpo giunga a vecchiaia? Che dire, insisto, se qualcuno potrebbe scampare la stessa morte mediante un nostro furto o adulterio? Potremo, per ottenere un tale risultato, rubare o commettere adulterio? Costoro non si rendono conto di dover per forza tirare questa conclusione: se un uomo, corda in mano, voglia farsi da te stuprare, affermando ripetutamente che, se non gli si concede quanto richiesto, egli si legherà la corda al collo. In tal caso, dicono costoro, per liberare la sua vita [dalla morte] bisogna acconsentire [alla sua richiesta]. Ebbene, se un tal gesto è assurdo e delittuoso, perché si dovrebbe concedere ad uno di deturpare la propria anima con la menzogna affinché l’altro conservi la vita del corpo? Poiché, se per lo stesso scopo abbandonasse alla corruttela il proprio corpo quel tale sarebbe, a giudizio di tutti, condannato come reo di esecranda turpitudine? In conclusione, su questo problema nulla si deve considerare all’infuori del fatto se la menzogna sia o no una cosa illecita. Ora siccome, stando ai documenti citati sopra, la risposta è affermativa, è da porsi il problema se si possa mentire per salvare una persona come si porrebbe quello se sia lecito commettere il peccato per salvare qualcuno. Si sa però che la salvezza dell’anima non consente questa scelta, poiché non ci si salva se non con la giustizia; anzi la stessa salvezza esige che la collochiamo al di sopra della salute temporale non solo degli altri ma anche di noi stessi. Di fronte a ciò - dicono costoro - cosa concludere se non che, indubbiamente, non si deve mai assolutamente mentire? Non si può infatti affermare che fra i beni d’ordine temporale ce ne sia qualcuno più grande o più prezioso della vita e della salute fisica. E se nemmeno questi beni son da preporsi alla verità, quale motivo possono addurre coloro che ritengono che a volte sia lecito mentire, per dimostrare efficacemente questa loro sentenza?

Non si può mentire nemmeno per difendere il pudore.

7. 10. E veniamo ora al rispetto del corpo. Ecco, fa’ che ti si presenti una persona degna della massima stima e ti chieda insistentemente che tu dica una menzogna perché la insidia uno

Page 317: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

317

stupratore che si potrebbe tenere lontano con una menzogna. In questo caso -dicono certuni - si deve mentire senza alcun dubbio. È facile la risposta: non c’è pudicizia del corpo se non quella che deriva dall’integrità dell’anima. Se s’infrange quest’ultima, necessariamente cade anche l’altra, sebbene all’apparenza essa sembri rimanere intatta. Questo, perché non la si collochi fra i beni corporali, per cui la si possa strappare anche a chi ha volontà contraria. Ne consegue che l’anima non deve in alcun modo contaminarsi con la menzogna per giovare al proprio corpo, sapendo che il corpo rimane intatto se la corruzione non intacca l’anima. Infatti tutto ciò che il corpo subisce per una violenza esterna senza alcuna libidine antecedente deve chiamarsi sopraffazione, non corruttela. O, ammettendo che ogni sopraffazione sia corruttela, non ne segue che ogni corruttela sia riprovevole e viziosa! Lo è soltanto quand’è provocata da affetto libidinoso o quando con tale affetto ad essa si consente. Orbene, quanto l’anima è superiore al corpo, altrettanto più grave è il delitto di chi la corrompe. Là dunque si può conservare la pudicizia dove non ci può essere corruzione che non sia volontaria. Ma ecco che il corpo di una persona viene aggredito da uno stupratore che non si riesce ad ostacolare né opponendogli la forza né ricorrendo a persuasioni o menzogne. In tal caso, dobbiamo confessarlo, la pudicizia del violentato non è compromessa dalla sporca passione dell’aggressore. E siccome non c’è alcun dubbio che l’anima è superiore al corpo, all’integrità del corpo va preferita l’integrità dell’anima: quell’integrità che potremo conservare per sempre. Ora, chi oserà dire che l’anima di colui che proferisce menzogne è integra? Questa in effetti è la definizione esatta della libidine: Appetito dell’anima per il quale ai beni eterni si preferiscono i beni temporali, di qualsiasi genere siano. Ne segue che nessuno può addurre ragioni valide per sostenere che almeno qualche volta è lecito mentire: fino a quando almeno non avrà dimostrato che con la menzogna si può conseguire qualche bene eterno. Ma se è vero che l’uomo tanto più si allontana dall’eternità quanto più si allontana dalla verità, è cosa quanto mai assurda asserire che uno allontanandosi dalla verità possa conseguire un qualsiasi bene. Ovvero, se c’è un qualche bene che sia eterno senza che rientri nella verità, questo non è un vero bene, e pertanto, siccome è un bene falso, non è nemmeno un bene. E come si deve stimare più l’anima che il corpo, così la verità deve stimarsi più dell’anima, con la conseguenza che essa deve essere desiderata dall’anima non solo più del corpo ma anche più di se stessa. Ciò facendo, in quanto gode dell’immutabilità propria della verità più che non della propria mutevolezza, l’anima ci guadagna in integrità e castità. Si pensi a Lot. Essendo talmente giusto da ospitare in casa sua anche gli angeli, diede ai sodomiti le proprie figlie perché abusassero di loro e in tal modo si violassero corpi di femmine e non di maschi 22. Ebbene, con quanto maggiore oculatezza e tenacia non dovrà conservarsi la castità dell’anima perché resti nella verità, se è certo che l’anima stessa è superiore al corpo più di quanto non lo sia un corpo maschile rispetto a un corpo di donna?

Non è lecito mentire per procurare ad alcuno la salvezza.

8. 11. Ci potrà essere chi ritenga lecita la menzogna detta ad uno a vantaggio di un altro per farlo vivere, ovvero perché non venga contrariato nelle cose che gli stanno molto a cuore, e così possa raggiungere, attraverso l’apprendimento, la verità eterna. Costui non si rende conto, prima di tutto, che non c’è nefandezza a commettere la quale non ci si possa costringere quando si avverano le stesse condizioni, come è stato esposto sopra. Inoltre è chiaro che l’autorità stessa della dottrina è eliminata e cessa totalmente se in coloro che vorremmo condurre alla verità, con la nostra menzogna creiamo la persuasione che qualche volta sia necessario mentire. Tener presente che la dottrina rivelata risulta composta di cose che in parte son da credersi mentre altre son da comprendersi: soltanto che alle verità da comprendersi non si può arrivare senza prima credere a quelle che debbono essere credute. Orbene, come si può credere a uno che ritiene, almeno qualche volta, necessaria la menzogna, senza pensare che egli menta anche quando ci ingiunge di credergli?

Page 318: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

318

In base a che si può dedurre con certezza che egli non abbia anche in quel caso un qualche motivo per dire una menzogna»officiosa», come egli la considera? Egli infatti potrebbe pensare che l’interlocutore, spaventato dal racconto falso [che gli viene fatto], si astenga dagli atti di libidine; e pertanto come non dire che in tal modo egli con la sua menzogna abbia anche contribuito a farlo progredire spiritualmente? Notiamo tuttavia che, una volta ammesso e approvato un tale comportamento, va a rotoli tutta la normativa della fede e, scomparsa questa, non si arriva nemmeno alla comprensione [della verità], per ottenere la quale la fede nutre la mente dei piccoli. Pertanto, se si apre il varco per ammettere in qualche situazione la menzogna (anche quella chiamata «ufficiosa”), viene tolta di mezzo ogni norma di verità, la quale è costretta a ritirarsi di fronte alla falsità anche nelle sue forme più stravaganti. Chiunque mente infatti antepone alla verità i vantaggi temporali, o propri o di qualche altro: ma ci può essere qualcosa più perversa di questa? Può anche darsi che uno ricorrendo alla menzogna intenda condurre un altro all’acquisto della verità; costui però nello stesso tempo gl’impedisce il raggiungimento della verità. Volendo infatti conseguire la verità ricorrendo alla menzogna, si rende inattendibile anche quando dice la verità. Pertanto, o non si deve credere ai buoni, o bisogna credere a coloro che ritengono lecito dire menzogne, almeno in qualche caso, o bisogna credere che i buoni non dicano mai menzogne. Di queste tre ipotesi, la prima è perniciosa, la seconda insipiente. Si conclude che i buoni non debbono in nessun caso mentire.

Mentire per evitare mali peggiori.

9. 12. A questo punto la questione della menzogna potrebbe dirsi esaminata e risolta da entrambi i lati, ma la conclusione non deve trarsi con faciloneria. Occorre ascoltare quei tali che dicono non esserci azione così cattiva che non si possa commettere per evitare un male peggiore: e fra queste azioni umane sono da annoverarsi non solo gli atti che gli uomini compiono ma anche quelli che subiscono condiscendendovi. Ci si chiede, ad esempio, se non sia un motivo valido per cui il cristiano possa offrire incenso agli idoli quello di non consentire allo stupro che il persecutore gli minaccia in caso di rifiuto. Alla pari sembra [loro] lecito domandarsi se non sia lecito mentire per evitare la stessa infame sconcezza. Dicono costoro che il consenso prestato nell’offrire incenso agli idoli piuttosto che subire lo stupro non è una passione ma un semplice gesto : per non fare quella sconcezza ecco che uno preferisce offrire l’incenso. Ebbene, con quanto maggiore facilità non avrebbe dovuto scegliere la bugia se con essa gli fosse stato possibile sottrarre il corpo ad una oscenità così mostruosa?

Si critica questa argomentazione.

9. 13. Riguardo a questa argomentazione si possono fare diverse domande. E cioè: se un tale consenso può essere preso come un [semplice] fatto; se si può parlare di consenso dove non ci sia anche l’approvazione; se sia un’approvazione dire: «È meglio subire questo [male] che fare quest’altro»; se abbia agito bene colui che per non subire lo stupro ha offerto incenso agli idoli; se finalmente sia preferibile mentire piuttosto che offrire incenso, qualora capitasse una tale occasione. Orbene, se tale consenso è da ritenersi un fatto, sono omicidi anche coloro che preferiscono farsi uccidere anziché dire una falsa testimonianza; anzi il loro omicidio è più grave [perché commesso] contro se stessi. Perché infatti non dire che essi hanno ammazzato se stessi, se hanno scelto essi stessi che l’atto venisse compiuto contro di loro per non dover cedere alla costrizione? Ovvero, se si ritiene che uccidere un altro sia più grave che uccidere se stesso, che dire se a un martire venisse fatta la seguente proposta: tu non vuoi dire una falsa testimonianza su Cristo né immolare sacrifici ai demoni; ebbene dinanzi ai tuoi occhi ti viene ucciso non un qualsiasi uomo ma tuo padre, e lo si

Page 319: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

319

uccide mentre egli scongiura te, suo figlio, di non permettere col tuo persistere che una tale sventura gli accada. Non è del tutto chiaro in questo caso che, se quel tale rimane saldo nella sua determinazione di dare una testimonianza di assoluta fedeltà [a Cristo], quegli altri, cioè coloro che gli uccidono il padre, sono certo degli omicidi, ma lui stesso non è un parricida? Egli non è stato corresponsabile di quell’enorme delitto avendo preferito che suo padre, uomo magari sacrilego la cui anima stava per andare in perdizione, venisse ucciso da gente estranea anziché macchiare la propria fede con una falsa testimonianza. Il suo consenso non lo ha infatti reso corresponsabile di così enorme delitto se lui personalmente non voleva compiere il male, e di fatto non l’ha compiuto, qualunque cosa abbiano poi fatto gli altri. In effetti, i persecutori che cosa dicono se non: Fa’ tu il male perché non abbiamo a farlo noi? E se davvero avendo fatto noi il male essi non lo facessero, nemmeno in questo caso noi dovremmo dare ad essi l’appoggio del nostro consenso. Ma ecco che essi, pur non dicendo cose come queste, fanno il male: ora perché si dovrebbe essere detestabili malfattori e loro e noi, e non loro soli? In effetti il nostro operare non può chiamarsi consenso, poiché noi non approviamo quello che essi fanno, ma cerchiamo sempre [il bene] e, per quanto sta in noi, ci sforziamo d’impedire che facciano [il male] e, quanto all’azione cattiva, non solo non la compiamo insieme con loro ma la condanniamo detestandola con tutto il nostro animo, per quanto ci è possibile.

Evitare la collaborazione al peccato.

9. 14. Tu replichi: Come si fa a dire che quel tale non compie la tal opera se gli altri non l’avrebbero fatta qualora l’avesse fatta lui? In questa maniera siamo noi che sfondiamo la porta insieme con i predoni, poiché se noi non la tenessimo chiusa loro non la forzerebbero; siamo noi che uccidiamo la gente con gli assassini se per caso sappiamo che ciò essi avrebbero fatto, poiché se noi li avessimo uccisi prima [del delitto], essi non avrebbero ucciso nessuno. Supponiamo ancora che qualcuno ci confessi l’intenzione di commettere un parricidio. Noi siamo suoi conniventi se, potendolo, non lo uccidiamo prima che egli passi all’azione, ammesso che noi non possiamo trattenere l’omicida né impedire [il suo gesto] in altre maniere. In poche parole si può dire: Tu hai commesso [il delitto] insieme con lui, poiché egli non avrebbe potuto commetterlo se tu avessi posto quell’altro atto. Veramente, io non avrei voluto commettere nessuno dei due mali, ma son riuscito ad evitare soltanto quello che era in mio potere. Quanto all’altra parte dell’altrui colpa, io non potendola escludere con un atto della mia volontà, non dovevo impedirla con una colpa mia. Non approva quindi il colpevole colui che si rifiuta di peccare al posto di un altro, e nessuno dei due elementi peccaminosi approva colui che non si compiace di nessuno dei due, ma quello che era in sua facoltà lo esclude anche intervenendo, mentre l’altro lo disapprova solo con la volontà. E ora il caso dell’offerta dell’incenso. A chi fa ad un cristiano la proposta: «Se tu non offrirai l’incenso, ti capiterà questo e questo», egli può rispondere: «Io non scelgo nessuna delle due cose a me proposte, le disapprovo di cuore tutt’e e due e non vi acconsento in alcuna maniera». Con queste parole o simili, certamente vere, si esclude da lui ogni consenso, ogni approvazione; e qualsiasi pena egli subisca da parte loro, è da considerarsi un maltrattamento da lui subìto mentre negli altri un reato commesso. Ma allora, dirà qualcuno, quel tizio doveva subire lo stupro piuttosto che offrire l’incenso? Se domandi che cosa fosse tenuto a compiere, egli non era tenuto a compiere né l’una né l’altra cosa. Se infatti ti dicessi che era tenuto a farne una delle due, dimostrerei che l’approvo; invece io le disapprovo tutt’e e due. Può invece porsi la domanda: Quale delle due cose doveva evitare colui che non poteva evitarle entrambe ma solo una? Risponderei: Doveva evitare quella che era peccato per lui personalmente più che non quella che era peccato per l’altro, e questo anche se il suo peccato era più leggero e quello dell’altro più grave. Salvo una ricerca più approfondita, ammettiamo in via provvisoria che lo stupro sia un peccato più grave che non l’offerta dell’incenso;

Page 320: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

320

nel nostro caso però fare l’offerta è un peccato commesso in prima persona, mentre lo stupro un peccato commesso da un altro, anche se subìto dallo stesso soggetto. Ora il peccato è di chi compie l’opera [cattiva]. Infatti, per quanto l’omicidio sia una colpa più grave del furto, è tuttavia cosa peggiore commettere un furto che subire l’omicidio. Supponiamo dunque che ad un tizio venga proposto di rubare. Se non lo farà, verrà messo a morte, cioè si compirà un omicidio contro di lui. Non potendo evitare tutti e due i mali, egli dovrà evitare quello che è peccato suo piuttostoché quello che è peccato degli altri. Questo non diventerà peccato suo per il fatto che è stato commesso contro di lui e nemmeno perché lo avrebbe evitato se avesse commesso il suo peccato personale.

Mentire per evitare le profanazioni del corpo.

9. 15. Il nocciolo della presente questione si riduce a questo: sapere se nessuno dei peccati altrui, sebbene commesso contro di te, sia imputabile a te qualora tu possa evitarlo con un tuo peccato più leggero e non l’hai fatto. Non si dovrà per caso fare eccezione per le sudicerie con cui ci si imbratta il corpo? In effetti nessuno oserà dire che l’uomo è insudiciato quando lo si uccide o lo si getta in prigione o lo si incatena o lo si flagella o colpisce con altri strumenti di tortura o di strazio. Lo stesso se lo si proscrive o danneggia nelle forme più gravi fino a ridurlo all’estrema nudità, se lo si priva di ogni titolo onorifico e gli si scarica addosso tutta una serie di insulti e vituperi. Qualunque sofferenza fra quelle elencate uno abbia subìto ingiustamente, nessuno sarà così pazzo da dire che egli ne è stato contaminato. Ma poniamo il caso che uno venga coperto di escrementi o che roba come questa gli si sbatta in faccia o cacci in bocca o si abusi di lui come di una prostituta. Il sentimento di tutti, o quasi, aborrisce queste cose, e di chi le ha subite si dice che è stato contaminato e reso immondo. Le conclusioni che derivano da tutto questo sono le seguenti: nessuno deve evitare mediante peccati propri i peccati altrui, qualunque essi siano, eccettuando quelle cose che rendono immondo colui sul quale si commettono; e quindi non si può peccare né per la propria né per l’altrui utilità, ma si deve affrontare il male e sopportarlo con fortezza. Se pertanto non è lecito evitare il male commettendo un qualsiasi peccato, non lo si può evitare nemmeno con la menzogna. Riguardo poi alle aberrazioni che si commettono sull’uomo rendendolo impuro, le dobbiamo evitare anche con peccati nostri: i quali, essendo commessi per evitare appunto tale contaminazione, non meritano nemmeno il nome di peccato. Non è infatti peccato ciò che, se non si facesse, ci attirerebbe [giusti] rimproveri. Si deduce da questo che le cose che si fanno perché non c’è alcun modo di evitarle non sono nemmeno da chiamarsi contaminazione. Anche in tale ipotesi infatti colui che le subisce ha un qualcosa di buono da compiere, e cioè sopportare con pazienza ciò che non gli è possibile evitare. Ora nessuno che fa il bene può essere contaminato dal contatto materiale con qualsiasi cosa [impura]. Dinanzi a Dio è impuro chi commette ingiustizie, mentre il giusto (qualsiasi giusto) è puro; e se non lo è dinanzi agli uomini, lo è certamente dinanzi a Dio, che giudica con verità. Pertanto, quando l’uomo subisce tali affronti, se ha facoltà di evitarli e non li evita, non viene reso impuro dal contatto materiale con le cose ma dal peccato per il quale, dandoglisi la possibilità, non ha voluto evitarli. Qualunque cosa poi sarà stata compiuta per evitarli, non sarà peccato; e quindi, se per evitarli uno fosse ricorso alla menzogna, non avrebbe peccato.

Illecite tutte le menzogne che nuocciono agli altri.

9. 16. Ma non bisognerà per caso eccettuare alcune menzogne, per le quali sia preferibile subire la contaminazione piuttosto che mentire? Se così fosse, ne risulterebbe che non tutto quello che si fa per evitare le sudicerie di cui sopra è esente da colpa. Lo dico di certe menzogne, commettere le

Page 321: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

321

quali è più grave che non subire l’oltraggio. Ecco uno, che un disonesto ricerca per violentarlo sessualmente e che invece con una menzogna si potrebbe tenere nascosto. Chi oserà dire che nemmeno in questo caso è lecito mentire? Ma se per occultarlo bisogna ricorrere a una menzogna che lede la fama altrui, incriminando falsamente questo secondo della contaminazione a cui si voleva sottoporre quell’altro? Se si dicesse, [ad esempio], a quel perverso il nome di un uomo casto e del tutto estraneo a simili disordini: «Va’ dal quel tizio, e lui ti procurerà senz’altro come qualmente tu possa scapricciarti a tuo piacimento. È infatti uno che conosce l’ambiente e ci gongola»? Ammesso che con tali parole si possa distogliere quell’uomo dal perseguire la persona ricercata, non saprei dire se si possa ledere con la menzogna la fama di uno per impedire che sia profanato dalla libidine di quel malintenzionato il corpo d’un altro. In realtà mai bisogna dire menzogne che rechino vantaggio a uno, se un altro ne viene danneggiato, anche se il danno di costui sia inferiore a quello dell’altro, che tu impedisci con la tua menzogna. Fa’ conto che si tratti del pane: se uno si rifiuta di darlo ed è in ottima salute, tu non glielo puoi togliere per sfamare un affamato. Così tu non puoi fustigare un innocente, che non voglia subire la pena, per evitare che un altro [innocente] venga ucciso. Se essi liberamente accettassero la cosa, la si faccia! Accettando loro personalmente, non c’è più lesione.

10. 16. Ci si chiede ora se si può macchiare la fama di una persona anche consenziente attribuendole falsamente il peccato di stupro per impedire che un’altra persona sia stuprata nel corpo. È una questione spinosa, e io non saprei dire se facilmente si possa trovare un motivo per concludere che è giusto macchiare con l’accusa d’uno stupro inventato la fama d’una persona consenziente piuttostoché macchiare col medesimo stupro il corpo di chi vi si oppone.

In fatto di religione la menzogna è sempre illecita.

10. 17. Ora ripensiamo a quel tale a cui si proponeva d’offrire l’incenso agli idoli piuttosto che subire delle sfrenatezze postribolari. Se per evitare questi abusi qualcuno si permettesse d’offendere con la menzogna il buon nome di Cristo, con questo suo comportamento si dimostrerebbe persona del tutto impazzita. Dico di più: egli sarebbe pazzo se per evitare un atto di libidine commesso da un altro, per impedire cioè che si compia un atto che egli subisce senza alcuna sua voglia libidinosa, falsificasse il Vangelo di Cristo lodando Cristo con lodi menzognere. Così facendo, dimostrerebbe di voler evitare la contaminazione del proprio corpo da un estraneo più che evitare di contaminarsi da se stesso nella dottrina che santifica le anime e i corpi. Pertanto occorre assolutamente evitare ogni sorta di menzogne quando si tratta di dottrina religiosa e di tutte quelle espressioni in cui si enunzia la dottrina religiosa, tanto nell’insegnarla quanto nell’apprenderla. Non si pensi che per un qualche verso si possano trovare motivi che autorizzino a mentire in questa materia, se è vero, com’è vero, che nella dottrina religiosa non è lecito mentire nemmeno per rendere più facile l’adesione ad essa. Vanificato o soltanto sminuito di un po’ il peso della verità, tutto rimarrebbe dubbio, perché certe cose, se non le si crede vere, non le si può ritenere nemmeno certe. Pertanto a un espositore o trattatista o predicatore delle verità eterne, o anche a un narratore o banditore di cose temporali che mirano ad edificare l’uomo nella religione o nella santità, sarà lecito tenere occulto per un certo tempo ciò che si ritiene dover restare occulto, ma non sarà mai lecito mentire e nemmeno occultare [la verità] ricorrendo alla menzogna.

Da escludersi tutte le menzogne che recano danno.

11. 18. Una volta stabilito con assoluta fermezza quanto or ora detto, si può con maggiore tranquillità indagare sulle altre menzogne. E come conseguenza logica segnaliamo subito che è da

Page 322: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

322

escludersi qualsiasi menzogna che ingiustamente leda la persona altrui. A nessuno infatti è lecito recare un danno, anche se leggero, per allontanare da un altro un danno magari più grave. Né si debbono tollerare quelle menzogne che, sebbene non nuocciano ad alcuno, non giovano a nessuno mentre nuocciono a chi le proferisce senza un perché. Chi mente così, propriamente merita il nome di impostore. C’è infatti differenza fra mentitore e impostore. È infatti mentitore anche chi mente contro voglia; impostore invece è colui che ama mentire e dentro l’animo in modo abituale si diletta della menzogna. Sono da prendersi in considerazione anche coloro che nel mentire si propongono di accattivarsi il plauso della gente. Costoro non danneggiano né offendono nessuno (questo genere di mentitori li abbiamo già condannati!), ma agiscono così per essere piacevoli nel loro discorrere. Questi tali differiscono dalla categoria degli impostori, di cui parlavamo sopra, perché questi provano gusto nel mentire godendo della falsità della cosa stessa, mentre questi altri intendono piacere per il loro parlare faceto ma vorrebbero piacere più ancora per la verità che dicono. Non trovando facilmente cose vere con cui rendersi graditi agli uditori, preferiscono dire menzogne anziché tacere. È comunque difficile che questi bugiardi riescano una qualche volta a imbastire un racconto del tutto falso; in genere essi mescolano il falso con il vero, quando viene loro a mancare la vena del dire. Queste due specie di menzogna non danneggiano chi vi presta fede, poiché non lo si imbroglia nella dottrina concernente la religione o la verità né in qualcosa che gli rechi profitto o emolumento. A chi crede così è, infatti, sufficiente poter concludere che quanto gli viene raccontato sia potuto realmente avvenire, e in tal modo conservi fiducia nel narratore che non si può prendere per bugiardo senza validi motivi. Che pregiudizio infatti mi reca supporre che il padre o il nonno d’un tale sia stato una buona persona mentre non lo era? O che uno, facendo il soldato, sia arrivato magari in Persia, mentre di fatto non si è allontanato mai da Roma? Tali menzogne però son di grave danno a coloro che le dicono. Nuocciono agli uni perché si allontanano dalla verità per godere della falsità; nuocciono agli altri perché al piacere proprio della verità antepongono il loro piacere personale.

La menzogna che arreca vantaggi.

12. 19. Condannate senza esitazione di sorta queste specie di menzogna, saliamo gradatamente verso il meglio e consideriamo quella menzogna che la gente dice esser propria dei buoni e dei bendisposti: quando cioè chi la proferisce non solo non nuoce a nessuno ma a qualcuno procura vantaggi. Riguardo a questo genere di menzogne, tutta la controversia sta nel decidere se chi offende la verità per giovare a un altro non rechi danno a se stesso. È pacifico, certo, che merita il nome di verità solo quella che illumina le menti con la sua luce interiore e immutabile; tuttavia chi agisce così agisce contro un qualcosa di vero. Pur ammettendo infatti che i sensi del corpo si ingannano, è indubitato che si pone in contrasto con la verità colui che di una cosa asserisce che è così, o non così, senza che tale conclusione gli venga presentata o dalla ragione o dai sensi o da personali congetture o persuasioni. Stabilire quindi se un’affermazione che giova a un altro non nuoccia a chi la dice o non gli nuoccia, perché il danno è compensato dal vantaggio che si reca al prossimo, è una gran questione. Se fosse vero questo, ne seguirebbe che uno può anche procurare vantaggi a se stesso con una menzogna che non nuoce a nessuno. Son questioni collegate fra loro; e se le si accetta, ne derivano conseguenze che lasciano molto sconcertati. Ci si potrebbe chiedere infatti quale danno derivi a un uomo che nuota nell’abbondanza di beni superflui se dagli innumerevoli mucchi di frumento gli si sottragga un moggio, con il quale il ladro possa procurarsi il necessario per vivere. La conseguenza sarebbe che si può impunemente anche rubare e dire falsa testimonianza senza commettere peccato. Ma quale conclusione potrebbe essere più sballata di questa? Ancora: si potrà ammettere che un tizio rubi quel moggio [di frumento] sotto i tuoi occhi e tu, interrogato del fatto, per favorire il povero possa dire una menzogna a coscienza tranquilla,

Page 323: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

323

mentre saresti colpevole se rubassi per rimediare alla tua povertà? Quasi che tu debba amare più il prossimo che non te stesso!... Se ne deduce che le cose sono tutt’e due sconvenienti, e quindi da evitarsi.

Menzogne oneste: ci sono? e quando ci sono?

12. 20. Forse qualcuno vorrà qui aggiungere una qualche eccezione e sostenere che ci siano menzogne innocenti: quelle cioè che, senza nuocere ad alcuno, recano anche dei vantaggi. Si escludono evidentemente quelle dette per occultare o difendere le azioni criminose. È infatti senz’altro riprovevole la menzogna che, pur senza danno per alcuno, anzi con utilità del povero, tuttavia serve ad occultare un furto; ma se non danneggiasse nessuno e a qualcuno recasse utilità né vi si nascondesse o difendesse alcuna azione peccaminosa, diremo che è cosa disonesta? Facciamo l’esempio che tu veda un tizio che sta nascondendo il proprio denaro per non farselo rubare o portar via per forza. Interrogato del fatto, tu dici una menzogna, che non reca danno a nessuno mentre è utile a colui che occulta il denaro. Col tuo mentire non commetteresti peccato, come non è peccato nascondere i propri averi di cui si teme la perdita. Ma se mentendo non pecchiamo in quanto non occultiamo alcuna colpa, né rechiamo danno ad alcuno né a qualcuno rechiamo vantaggi, come la metteremo nei confronti di quel peccato che è la menzogna di per se stessa? Dove sta scritto infatti: Non rubare, sta anche scritto: Non dire falsa testimonianza. Sono cose proibite tutt’e due. Perché dunque dovrebbe essere illecita la falsa testimonianza quando serve a nascondere il furto o qualche altro peccato, ed essere esente da colpa quando la si dice solo per mentire e non per difendere una qualche colpa? Il furto e gli altri peccati sono colpe di per se stessi: che quindi sia lecito fare il peccato, mentre è illecito occultarlo?

Menzogna e falsa testimonianza.

12. 21. È questa una conclusione assurda: e allora che diremo? Che non ci sia falsa testimonianza se non quando si mente per attribuire a qualcuno un delitto, o per nascondere il delitto commesso da qualcuno, o in qualsiasi modo per incolpare qualcuno in tribunale? Il testimone infatti sembra esser necessario al giudice per essere informato sul processo. Ma se la Scrittura facesse menzione del testimone solo a questo riguardo, l’Apostolo non direbbe: Noi risultiamo essere falsi testimoni di Dio se contro Dio abbiamo attestato che egli ha risuscitato Cristo dai morti, mentre invece non l’ha risuscitato. Con tali parole mostra che la falsa testimonianza è una menzogna, anche quando la si dice per elogiare falsamente qualcuno.

Falsa testimonianza e menzogna.

13. 21. Chiediamo se dica una falsa testimonianza colui che mente attribuendo a qualcuno un peccato o nascondendolo, ovvero se in qualche modo reca danno a qualcuno. Se infatti è riprovevole una menzogna che si dice per nuocere alla vita temporale di qualcuno, quanto maggiormente non lo sarà quella che danneggia la vita eterna? Tale è ogni menzogna che verte circa la dottrina religiosa, per cui l’Apostolo chiama falsa testimonianza la menzogna che tocca la persona di Cristo, anche se le parole sembrano contenere una sua lode. Ma supponiamo che si tratti di menzogne dette non per attribuire a qualcuno un peccato o per nasconderlo, menzogne che esulano da inchieste giudiziarie, menzogne dalle quali deriva dell’utile a qualcuno senza che nuocciano ad alcuno. Diremo forse che non sono false testimonianze né menzogne meritevoli di biasimo?

Page 324: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

324

Se mente chi occulta un omicida o un innocente accusato di reato.

13. 22. Che dire pertanto se in casa di un cristiano si rifugi un omicida, o se un cristiano veda dov’egli si è rifugiato, quando di questo venga interrogato da colui che vuol mettere a morte quell’omicida? Dovrà per caso mentire? E se mente, non sarà forse per occultare il peccato, dal momento che quel tale per cui si mente ha commesso una scelleratezza? [Non peccherà] forse perché non gli vien chiesto qualcosa sul fatto peccaminoso ma solo nel luogo dove si è nascosto? Sarebbe dunque un male dire una menzogna per occultare il peccato che uno ha commesso e non sarebbe un male dirla per occultare colui che l’ha commesso? Proprio così, dirà qualcuno. Non si pecca infatti quando si sfugge alla pena capitale ma quando si commette il peccato per cui si merita quella pena. Nella dottrina cristiana poi s’insegna a non disperare del ravvedimento di nessuno e a non chiudere ad alcuno l’accesso alla penitenza. Che dire però dell’evenienza che tu, condotto alla presenza del giudice, venga da lui interrogato proprio del luogo dove quel ricercato si nasconde? Risponderai per caso che non lo sai, mentre invece sai che è in quel luogo? Ovvero dirai: «Non lo so, non l’ho visto «pur sapendolo e avendolo visto? Vorrai dunque dire una falsa testimonianza, uccidendo la tua anima, perché non venga ucciso l’omicida? Vorrai dunque mentire finché non ti trovi di fronte al giudice, mentre quando il giudice ti farà un’esplicita domanda dirai finalmente la verità per non essere un falso testimone? Con il tuo palesare la cosa, tu allora ucciderai quell’uomo! La Scrittura divina infatti condanna severamente colui che rivela il colpevole. Diremo quindi che non ci si renda colpevoli di denunzia quando si risponde con verità al giudice inquirente, mentre si sarebbe rei palesando di propria iniziativa un colpevole per farlo condannare a morte? E che diremo se tu, informato del luogo dove si nasconda un cittadino giusto e innocente, venga interrogato da un giudice, mentre a condannarlo a morte sia un’autorità superiore [al giudice], per cui chi ti interroga sia un esecutore della legge e non il legislatore stesso? Forse che il mentire a pro’ dell’innocente non dovrà dirsi falsa testimonianza, perché a interrogarti non è il [vero] giudice ma un esecutore della legge? Che diremo quindi se ti interrogasse il legislatore in persona o un giudice [competente], il quale perché iniquo stia cercando di condannare a morte l’innocente? Che farai in tal caso? Dirai la falsa testimonianza o rivelerai quell’uomo? E poi, sarà veramente un delatore colui che di sua spontanea volontà indica a un giudice giusto il nascondiglio dell’omicida e non lo sarà colui che, interrogato da un giudice iniquo dove si nasconda l’innocente, da lui perseguitato a morte, rivela colui che si era messo fiduciosamente nelle sue mani? Rimarrai dunque dubbioso e incerto fra il delitto di falsa testimonianza e quello di delazione? Forse che stando in silenzio o ripromettendoti di non dir nulla potrai esser certo di aver evitato tutt’e due i mali? Perché allora, prima di comparire davanti al giudice, non vorrai evitare la menzogna? Evitando la menzogna, eviterai anche la falsa testimonianza, tanto se qualsiasi specie di menzogna è anche falsa testimonianza quanto se non lo è; se invece eviterai ogni falsa testimonianza, intesa come tu vuoi, non eviterai ogni specie di menzogna. Con quanto maggiore fortezza e nobiltà di spirito dirai dunque: Non lo denunzierò e non mentirò!

L’esempio del vescovo di Tagaste, Fermo.

13. 23. Questo fece or non è molto un vescovo di Tagaste che si chiamava Fermo e che nella volontà fu ancora più fermo. Egli aveva nascosto con massima solerzia un uomo che si era rifugiato presso di lui. Richiesto per ordine dell’imperatore, che aveva spedito delle guardie a prelevare quell’uomo, il vescovo rispose che non poteva né mentire né rivelare il nascondiglio del ricercato, e sopportando molti tormenti corporali (in quel tempo gli imperatori non erano cristiani) restò saldo

Page 325: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

325

nella sua decisione. Quando più tardi fu tradotto in presenza dell’imperatore, si mostrò d’una virtù così ammirabile da chiedere e ottenere lui stesso senza difficoltà la grazia all’uomo che aveva tenuto presso di sé. Cosa si potrebbe fare di più forte e coraggioso d’un tale gesto? Ma qualcuno, più pauroso, potrebbe obiettare: Io sarei disposto a tollerare ogni sorta di tormenti e ad affrontare la stessa morte per evitare il peccato; ma se non è peccato mentire quando non si reca danno a nessuno, non si dice falsa testimonianza e si fa del bene a qualcuno, è una stoltezza, anzi un grave peccato, sottoporsi inutilmente a tormenti volontari e gettar via di fronte a nemici imbestialiti la salute e la vita, che forse potrebbero risultare ancora utili. A costui domando perché tema la parola della Scrittura: Non dire falsa testimonianza e non tema quell’affermazione rivolta a Dio: Tu mandi in perdizione tutti coloro che proferiscono menzogne. Risponde: «Non è scritto: Ogni menzogna»; ma io lo intendo come se dicesse: «Tu mandi in perdizione tutti coloro che proferiscono falsa testimonianza». Infatti nemmeno in questo caso si dice: Ogni falsa testimonianza. Dice ancora: «Questa però è collocata fra quegli atti che sono cattivi sotto ogni punto di vista». «Ma non sarà così anche di quel testo che dice: Non uccidere?». Che se l’uccidere è in tutti i casi un’azione cattiva, come scusare da colpa quei giusti che, dopo che fu promulgata la legge, uccisero tante persone? Ti risponde che non uccide di persona colui che è esecutore materiale d’un precetto giusto. Il timore di questi obiettori io lo accetto, ma credo che quell’uomo encomiabile che non volle mentire né denunziare il suo protetto capì meglio la parola della Scrittura e mise in pratica con più coraggio ciò che aveva compreso.

Come rispondere a chi ti chiede dove si nasconde un ricercato.

13. 24. A volte si arriva al caso che non ci si domandi dove si trova colui che è ricercato né siamo costretti a rivelare dove si nasconda colui che, se noi non lo indichiamo, non può essere facilmente scoperto; ma ci si chieda soltanto se stia o meno in quel determinato posto. Se noi lo sappiamo, col nostro stesso tacere lo denunziamo, e così pure se diciamo che non riveleremo mai se egli sia o non sia in quel luogo. Da ciò infatti l’investigatore ricava che effettivamente egli si trova lì, poiché se non vi si trovasse, la persona interrogata che non volesse né mentire né rivelare il nascondiglio risponderebbe semplicemente: Non c’è. In questo modo sia con il nostro silenzio sia con le parole che diciamo riveliamo dove si trovi quell’uomo, e così colui che ne va in cerca entra nel nascondiglio, se ne ha il potere, e lo scopre. Con una nostra menzogna invece avremmo potuto impedire che lo trovasse. In conclusione, se non sai dove si trova non hai motivo per nascondere la verità, ma dovrai confessare che non conosci la cosa. Ecco invece che tu sai dove si trova colui che è ricercato, tanto se lo si cerchi là dove effettivamente si trova quanto se lo si cerchi altrove. Se a te si chiede se sia in quel luogo o in un altro, a questa richiesta (dove sia o dove non sia) tu non devi rispondere: Non ti dirò mai quello che tu cerchi, ma risponderai: So dove si trova, ma a te non lo indicherò mai. Se infatti nel rispondere non dirai niente del posto dichiarando però che dici così perché non lo vuoi rivelare, è come se mostrassi a dito il posto stesso. Susciti infatti un sospetto che non lascia dubbi. Se invece cominci col dire che tu conosci dove si trova ma non vuoi dirlo, può darsi che l’inquirente si tenga lontano da quel posto ma ti carichi di domande perché tu manifesti il suo nascondiglio. E se tu avrai da sopportare qualcosa per essere coscienzioso e benevolo e lo farai con fortezza, nessuno dirà che sei colpevole, ma tutti che meriti lode. Si escludono evidentemente i casi in cui chi ha da soffrire qualcosa lo fa non per motivo di fortezza ma di lussuria e disonestà. Questo tipo di menzogna è l’ultimo, e ne dovremo trattare con più accuratezza.

Si elencano otto specie di menzogna.

Page 326: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

326

14. 25. La prima specie di menzogna, quella che è necessario evitare e fuggire sopra ogni altra, è quella che riguarda la dottrina religiosa. La si deve escludere da tutti senza alcun cedimento. Seconda è quella che danneggia ingiustamente qualcuno: che cioè è tale che a nessuno reca vantaggi mentre nuoce a qualcuno. La terza specie è data da quelle menzogne che, mentre a qualcuno giovano, ad altri recano danno, non però contaminando il corpo sì da renderlo immondo. La quarta è di quelle menzogne che si dicono solo per la voglia di mentire e trarre in inganno, cioè le bugie pure e semplici. La quinta specie è data da quelle menzogne che si dicono per il desiderio di farsi belli per l’arguzia nel parlare. Tutte queste specie di menzogna bisogna assolutamente evitare e disapprovare. C’è poi una sesta specie, che è quella in cui la falsità non arreca danno a nessuno mentre a qualcuno reca vantaggi. È il caso di uno che sa dove si trovi il denaro di un altro, e a chi vuol sottrarglielo ingiustamente dice, ricorrendo alla menzogna, che non lo sa, chiunque sia colui che lo interroga. Settima specie è quella menzogna che, senza nuocere ad alcuno, giova a qualche altro, e chi interroga non è il giudice. Ad esempio, uno mente per impedire che sia condannato a morte un ricercato, non solo se buono e innocente ma anche se colpevole. Rientrano infatti nella dottrina cristiana le massime che non bisogna disperare del ravvedimento di nessuno e che non si deve precludere ad alcuno l’accesso alla conversione. Riguardo a queste due specie di menzogna di solito vengono sollevate grandi controversie, ma di questo noi abbiamo già trattato a sufficienza mostrando la soluzione che preferiamo. È questa: gli uomini e le donne forti, muniti di fede e amanti della verità, debbono evitare anche questi due tipi di menzogna, sostenendo a tal fine le inevitabili molestie, che occorre sopportare con animo retto e grande fortezza. L’ottava specie di menzogne è quella in cui il mentire non danneggia nessuno e giova a qualcuno, preservandolo dall’essere contaminato nel corpo con una di quelle lordure che sopra abbiamo elencate, e non altre. Infatti i giudei ritenevano che fosse una contaminazione anche il mangiare senza lavarsi le mani. Che se qualcuno chiamasse impurità anche questo, io non la ritengo tale che per evitarla si possa mentire. Se però si trattasse d’una menzogna che danneggia qualcuno, anche nel caso che ti preservi da quella contaminazione che la gente aborrisce e detesta [io mi chiederei ancora]: Si deve anche in tal caso dire una menzogna dalla quale non deriva un disordine che rientri tra quelle sudicerie di cui ora stiamo trattando? Ma è una questione diversa. Non si fa più infatti una ricerca sulla menzogna, ma ci si chiede se anche senza mentire si possa procurare a qualcuno un danno per eliminare una contaminazione da una terza persona. Per parte mia, io penserei che ciò non sia affatto lecito, anche se si trattasse di piccolissimi danni, come quello che sopra ho ricordato, cioè la perdita di un solo moggio. È pur vero che lascia molto perplessi il fatto che non dobbiamo arrecare a nessuno nemmeno il più piccolo torto, quando facendolo una qualche persona potrebbe essere riparata o protetta contro la minaccia di uno stupro. Ma questa, come ho detto, è un’altra questione.

Se è mai lecito mentire.

15. 25. Ora occupiamoci della questione accennata: è lecito o no mentire se ci si trovi nella situazione ineludibile o di dire una menzogna o di subire uno stupro o un’altra contaminazione altrettanto esecrabile, anche nel caso che con la menzogna non si danneggi nessuno?

Passi della sacra Scrittura che proibiscono la menzogna.

15. 26. Su questo argomento si aprirà un qualche spiraglio utile alla nostra considerazione quando avremo esaminato i libri dotati di autorità divina che proibiscono la menzogna. In effetti se essi non ci danno alcun fondamento è inutile che noi cerchiamo altrove le soluzioni. Bisogna infatti attenersi ad ogni costo al comando di Dio e seguire di buon grado la sua volontà anche se, per eseguire i suoi comandi, dobbiamo affrontare dei patimenti. Se viceversa rimanesse aperto un qualche varco, in tal

Page 327: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

327

caso non sarebbe obbligatorio rifuggire dalla menzogna. Le divine Scritture infatti descrivono non solo i precetti di Dio ma anche la vita e il comportamento dei santi, e così, qualora il senso di un qualche precetto risultasse oscuro, diventerebbe comprensibile attraverso l’agire dei santi. Bisogna tuttavia eccettuare quegli avvenimenti che si possono prendere in senso allegorico, sebbene non si possa dubitare che si tratti di fatti realmente avvenuti. Tali appunto son quasi tutti gli avvenimenti narrati dai libri dell’Antico Testamento. Chi infatti oserà dire che una qualche narrazione ivi contenuta non rientri fra le prefigurazioni simboliche? In tal senso anche l’Apostolo dice che i figli di Abramo raffigurano i due Testamenti, sebbene essi fossero nati e vissuti secondo l’ordine naturale con cui si propaga una stirpe, come è facilissimo rilevare. Non nacquero infatti in modo tale da poter essere presi come portenti o esseri straordinari, e così indurre l’animo di qualcuno ad attribuire loro un valore simbolico. Lo stesso diciamo di quel dono stupendo conferito da Dio al popolo d’Israele, quando lo liberò dalla schiavitù che l’opprimeva in Egitto, e dei castighi con cui lo punì per i peccati commessi durante la traversata [del deserto], sebbene Paolo affermi che ciò avveniva con valore di simbolo. Quali fatti dunque potrai tu trovare per considerarli una eccezione a questa regola e sui quali oserai affermare con sicurezza che non si possono prendere come una figura? Esclusi pertanto questi avvenimenti, gli altri, cioè le opere dei santi del Nuovo Testamento nelle quali c’è un richiamo chiarissimo perché ne imitiamo la condotta, vanno presi come esempi per comprendere quei passi delle Scritture che contengono precetti.

Porgere l’altra guancia.

15. 27. Leggiamo nel Vangelo: Hai ricevuto uno schiaffo? Presenta l’altra guancia. Orbene, della pazienza noi non troviamo un esempio più forte e sublime di quello datoci dal Signore stesso; eppure egli, quando fu schiaffeggiato non disse: «Eccoti l’altra guancia», ma: Se ho parlato male rimproverami del male; se invece ho parlato bene perché mi percuoti? Con ciò dimostra che l’offerta dell’altra guancia è da farsi nel cuore. È questa una cosa di cui anche l’apostolo Paolo era ben cosciente. Infatti quando fu preso a schiaffi dinanzi al pontefice non disse: «Percuoti anche l’altra guancia», ma: Il Signore ti percuoterà, o muro imbiancato! Tu [che] siedi per giudicarmi secondo la legge, e contro la legge mi fai colpire di percosse... Egli penetrava a fondo nella realtà che il sacerdozio giudaico era ormai diventato tale che, mentre all’esterno rifulgeva per il titolo, all’interno s’era insudiciato con desideri di fango. Dicendo quelle parole, egli illuminato dallo Spirito prevedeva che quell’istituzione sotto i colpi dell’ira divina stava per tramontare; eppure aveva il cuore pronto non solo a ricevere altri schiaffi per amore della verità ma anche a sopportare ogni genere di tormenti, amando sempre coloro da cui li riceveva.

Evitare il giuramento.

15. 28. Sta scritto ancora: Io però vi dico di non giurare in alcun modo; eppure l’Apostolo nelle sue lettere ricorre al giuramento, mostrando in tal modo come si debbano intendere le parole: Vi dico di non giurare in alcun modo. Significano che non deve succedere che a forza di giurare si passi alla facilità nel far uso del giuramento, dalla facilità nel giurare all’abitudine, e dall’abitudine si scivoli poi nello spergiuro. Per questo non si trova che Paolo abbia giurato altrove fuorché nei suoi scritti: qui infatti un’attenta considerazione impedisce alla lingua d’uscire in espressioni incontrollate. Con ciò egli si teneva lontano dal male, di cui è detto: Il di più viene dal male: non il male proprio certamente ma della fragilità di coloro nei quali anche in questo modo si sforzava di generare fiducia. Che egli abbia proferito giuramenti anche quando parlava e non scriveva, non so se la Scrittura ce ne dia una qualche notizia. Quanto invece al Signore, siccome egli dice di non giurare in alcun modo, nemmeno a chi scrive permette di giurare. Ma anche riguardo a Paolo, è delitto

Page 328: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

328

affermare che egli abbia colpevolmente trasgredito un comando [del Signore], specialmente perché le sue lettere sono scritte e propagate per la vita spirituale e la salvezza delle genti. Pertanto intenderemo l’espressione del Vangelo: In alcun modo come pronunciata nel senso che tu, per quanto sta in te, non ammetta, non ami, non desideri con compiacenza il giuramento come se fosse un bene.

Non preoccuparsi del domani.

15. 29. Vale qui quanto diciamo per le parole: Non preoccupatevi del domani, e per le altre: Non preoccupatevi del mangiare, del bere e del vestire. Vediamo in effetti che il Signore aveva una borsa dove venivano depositate le offerte che gli si davano, perché fossero serbate per gli usi necessari giorno per giorno; e negli Atti degli Apostoli leggiamo che gli apostoli erogarono molto denaro ai fratelli che erano nell’indigenza, e questo non per un giorno ma durante la carestia che si protrasse per un tempo assai lungo. Da ciò risulta con sufficiente chiarezza che quei precetti [del Signore] debbono essere intesi nel senso che noi non dobbiamo fare alcun’opera come costretti da necessità, né per l’avidità d’accumulare beni temporali né per il timore d’essere ridotti in miseria.

L’apostolo deve trarre sostentamento dal Vangelo.

15. 30. Nello stesso senso fu detto agli apostoli di non portare nulla con sé nei loro viaggi e di ricavare il vitto dal Vangelo. In un testo lo stesso Signore spiegò il motivo delle sue parole aggiungendo: Poiché l’operaio è degno del suo compenso. Dicendo così mostra chiaramente che si tratta di una concessione, non di un comando, per cui se uno avesse fatto ciò, se cioè nel predicare la parola avesse preso da coloro a cui si rivolgeva qualcosa necessario per vivere, non doveva pensare d’aver commesso una illegalità. Avrebbe potuto, naturalmente, rinunciarvi (e ciò sarebbe stato ancor più encomiabile), come appare evidente nell’apostolo Paolo, il quale tuttavia scriveva: Colui che viene istruito nella parola renda partecipe il catechista di tutti i suoi beni. E in molti altri testi ancora mostra che ciò veniva fatto fruttuosamente da coloro ai quali annunziava la parola, sebbene dica: Io di questa facoltà non mi sono mai avvalso. Il signore dunque, dicendo quelle parole, diede un permesso, non obbligò con un comando. Conclusione: Quando nelle parole non riusciamo a capirne il senso, dall’operato dei santi ricaviamo come bisogna intenderle, mentre se non fossimo trattenuti dai loro esempi, saremmo facilmente portati ad interpretazioni diverse.

La bocca del cuore.

16. 31. Si pone la domanda a quale bocca volesse riferirsi l’autore sacro quando scriveva: La bocca che mente uccide l’anima. Spesso infatti la Scrittura quando nomina la bocca si riferisce agli intimi recessi del cuore, dove si accetta con godimento e si determina ciò che si proferisce con la voce, allorché parliamo secondo verità. Ne segue che quanti godono della menzogna, nel cuore sono mentitori. Potrebbe invece non mentire col cuore colui che, dicendo a parole ciò che non ha nel cuore, lo fa sapendo di commettere del male ma si comporta così per evitare un male maggiore, spiacente di tutt’e due i mali [che gli si presentano]. Coloro che sostengono questo principio dicono che in tal senso bisogna intendere anche la parola della Scrittura: Colui che pronunzia la verità nel suo cuore. Col cuore infatti si deve sempre dire la verità, ma non sempre la si dice con le labbra: ad esempio, se a dire con la voce cose diverse da quelle che si hanno nell’animo costringa il motivo d’evitare un male maggiore. Che effettivamente anche il cuore abbia una bocca lo si comprende dal fatto che là dove ci sono parole non si può escludere che ci sia anche una bocca. Pertanto non sarebbe corretta l’espressione: Colui che parla nel suo cuore, se non si intendesse (e giustamente)

Page 329: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

329

che anche il cuore ha una bocca. Anzi, quello stesso testo dove è scritto che la bocca menzognera uccide l’anima, se si bada bene al contesto non lo si deve (forse) riferire ad altro che alla bocca del cuore. È oscura infatti una risposta quando rimane celata agli uomini: i quali non possono ascoltare [quanto dice] la voce del cuore se non risuona anche sulla bocca del corpo. Dice però la Scrittura nel testo citato che tale voce giunge all’orecchio dello Spirito del Signore, che riempie tutta la terra. Nello stesso brano la Scrittura parla anche di labbra, di voce e di lingua; ma dicendo che son note al Signore non consente altro significato se non quello che si riferisce al cuore. Quando poi di quel suono si dice che colpisce il nostro orecchio, significa che esso non resta celato nemmeno agli uomini. Così infatti sta scritto: Lo Spirito della sapienza è amico dell’uomo e non libera il maldicente dalle sue parole. Dio infatti è testimone dei suoi sentimenti, indagatore verace del suo cuore e ascoltatore della sua lingua. Poiché lo Spirito del Signore riempie tutto l’universo, e colui che contiene tutte le cose [ne] conosce la voce. Per questo, l’uomo che dice cose cattive non può rimanere nascosto, né lo risparmierà il giudizio che viene a punire. Si farà un’indagine sui pensieri dell’empio: l’ascolto dei suoi discorsi verrà effettuato dal Signore, che lo castigherà delle sue azioni inique. Infatti l’orecchio geloso ascolta tutto, né gli è nascosto il chiasso delle mormorazioni. Guardatevi pertanto dalla mormorazione, che non giova a nulla, e impedite alla lingua d’essere maldicente, poiché anche una risposta segreta non rimarrà senza effetto. La bocca che mente poi uccide l’anima. Sembra quindi che le minacce siano rivolte a coloro che ritengono sia nascosto e segreto ciò che pensano e rimuginano nel cuore. Il testo sacro viceversa dimostra che ciò è talmente palese all’orecchio di Dio da chiamarlo addirittura un chiasso.

La bocca del cuore secondo il Vangelo.

16. 32. Anche nel Vangelo troviamo apertamente menzionata la bocca del cuore, tanto che in uno stesso luogo vediamo il Signore far menzione della bocca del corpo e di quella del cuore. Dice: Anche voi siete tuttora privi d’intelligenza? Non capite come tutto ciò che entra per la bocca va nel ventre e si scarica nella fogna? Quanto invece esce dalla bocca proviene dal cuore e questo sì che contamina l’uomo. Dal cuore infatti escono fuori i pensieri cattivi, gli omicidi, gli adulteri, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. E queste sono le cose che contaminano l’uomo. Se interpreti questo brano pensando a un’unica bocca, cioè quella del corpo, che senso darai alle parole: Le cose che escono dalla bocca provengono dal cuore? Dalla bocca del corpo infatti viene fuori anche lo sputo, anche il vomito. Né vorrai dire che non si venga contaminati col mangiare un cibo immondo, mentre ci si contamina col vomitarlo. Ma se questo è cosa quanto mai assurda, dobbiamo concludere che quando il Signore dice: Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore, le sue parole vanno riferite alla bocca del cuore. Pensiamo qui al furto. Esso può essere compiuto (e spesso di fatto lo è) nel silenzio, senza cioè che si levino voci del corpo o della bocca; e sarebbe proprio roba da matti intendere la cosa nel senso che uno si contamina col peccato di furto quando lo confessa o lo rivela, mentre rimane incontaminato quando lo commette in silenzio. Se però le parole del Signore le riferiamo alla bocca del cuore, non c’è alcun peccato che si possa commettere senza parlare. Nessuna colpa infatti si commette senza che esca da quella bocca interiore.

Astenersi dalla mormorazione.

16. 33. Come ci si chiede quale sia la bocca di cui è detto: La bocca che mente uccide l’anima, così ci si può chiedere di quale menzogna si tratti. Sembra infatti che propriamente parli della menzogna detta per detrarre, poiché dice: Astenetevi dalla mormorazione, che non giova in alcun modo, e trattenete la lingua dalla detrazione. Ora questa detrazione si ha quando uno, mosso da malevolenza, con la bocca e la parola proferisce una cosa inventata ai danni di qualcuno; non solo,

Page 330: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

330

ma anche quando in silenzio vuole che quel tale sia creduto così. E questo è detrarre servendosi della bocca del cuore, cosa che, come ivi è detto, non può essere celata o nascosta a Dio.

Non voler proferire alcuna menzogna.

16. 34. Quanto è scritto in un altro passo, e cioè: Non voler proferire alcuna menzogna, dice qualcuno che non equivale a non dire mai alcuna menzogna. Qualche altro invece afferma che in forza di questa testimonianza della Scrittura tutte le specie di menzogna son da disapprovarsi. Infatti la cosa è detta in una forma così generica che, se uno volesse mentire, anche se poi di fatto non mentisca, sarebbe da condannarsi per la stessa sua intenzione. A tale interpretazione conduce il fatto che non vi si dice: «Non proferire alcuna menzogna», ma: Non voler proferire alcuna menzogna. Per cui nessuno dovrà mentire, non solo, ma nessuno dovrà avere la volontà di mentire dicendo falsità.

Elenco di menzogne da cui astenersi.

17. 34. Ecco ora venire un altro che dice: Ma certo!, per il fatto che dice: Non voler proferire alcuna menzogna impone l’obbligo di escludere e tener lontana ogni menzogna dalla bocca del cuore, e lo fa con parole tali che da certe menzogne occorre tenersi lontani anche con la bocca del corpo. Queste sono soprattutto le menzogne riguardanti la dottrina religiosa. Ce ne sarebbero poi altre da cui non ci si dovrebbe astenere dal proferirle con la bocca del corpo, quando lo richiede la necessità di evitare un male maggiore, mentre con la bocca del cuore dobbiamo in ogni caso astenerci da qualsiasi menzogna. In tal caso le parole: Non volere vanno interpretate nel senso che la stessa volontà è identificata con la bocca del cuore, per cui quando mentiamo contro voglia per evitare un male maggiore, la cosa non riguarda la bocca del cuore. C’è poi una terza interpretazione da dare alle parole: Non volere, la quale ti consentirebbe di mentire, escludendo però alcuni tipi di menzogna. Sarebbe come se ti si dicesse: «Non voler credere ad ogni uomo», dove non ti si dice di non credere a nessuno ma di non credere a tutti, sebbene a qualcuno tu possa credere. Riguardo poi alle parole con cui il testo prosegue, e cioè: La frequenza a mentire non arreca alcun bene, a quanto sembra, esse starebbero a significare che non è proibita la menzogna in sé ma la frequenza nel mentire, cioè l’abitudine e la voglia di mentire. In questo abuso cadrebbe evidentemente chiunque ritenesse lecito l’uso indiscriminato di qualsiasi menzogna, non evitando nemmeno quelle che si dicono in materia di fede e di dottrina religiosa. Ma dove potremmo trovare un’enormità più grave di questa, non solo fra le menzogne ma anche fra tutti i peccati? In essa cadrebbe colui che con la volontà acconsente a dire una qualsiasi menzogna, magari semplice, magari innocua, ma la dice non contro voglia, per evitare mali maggiori, ma di proposito, per il gusto di mentire. Il testo in parola dunque può essere inteso in tre modi: primo, non solo non dire alcuna menzogna ma non aver la volontà di dire menzogne di sorta; secondo, non voler dire menzogne nemmeno contro voglia, sebbene ci sia da evitare un male più grave; terzo, non voler dire qualsiasi menzogna ma, escludendo alcuni casi in cui la menzogna è proibita, negli altri sarebbe permessa. Una di queste interpretazioni è sostenuta da coloro che non accettano in nessun caso la menzogna, le altre due sono accettate da coloro che pensano che a volte almeno si può mentire. Sulle parole che seguono [nel testo, e cioè]: La frequenza a mentire non arreca alcun bene, non saprei se le si possa prendere a sostegno della prima fra queste interpretazioni, a meno che non si ritenga che il non mentire affatto e la volontà di escludere ogni sorta di menzogna sia un precetto riguardante i perfetti, mentre la frequenza nel mentire sia un divieto che vale anche per i proficienti. Questo, perché se a tutti fosse ingiunto di non mentire mai e perfino di non nutrire la volontà di mentire, la cosa sarebbe contraddetta da esempi dove almeno alcune menzogne sono approvate da documenti assai

Page 331: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

331

autorevoli. Si potrebbe rispondere così: riguardano i proficienti i divieti di mentire ove ci sia di mezzo l’uno o l’altro dei doveri di carità da praticarsi nella vita presente, ma in generale ogni sorta di menzogna è un male, da evitarsi a tutti i costi dai perfetti e spirituali. Tant’è vero che la frequenza a mentire non è lecita nemmeno ai proficienti. Si è già parlato delle ostetriche egiziane, le cui menzogne furono approvate per l’intenzione che avevano di rendersi utili. C’è infatti un certo avvicinamento nell’amare la vera ed eterna sapienza quando si mente mossi da bontà d’animo, sia pure per procurare a qualcuno la salute nel solo ambito della vita mortale.

Dio disperde tutti i mentitori.

17. 35. Riguardo alle parole della Scrittura: Tu disperdi tutti coloro che proferiscono menzogne c’è chi dice che in esse non viene eccettuata nessuna menzogna ma tutte sono condannate. Al contrario qualcuno dice: Certo che è così, ma si parla solo di coloro che proferiscono menzogne con il cuore, come è stato esposto nel paragrafo antecedente. In effetti dice la verità con il cuore chi detesta la necessità di dover mentire ritenendola una punizione che grava sulla presente vita mortale. Un altro dice: Dio disperde tutti coloro che proferiscono menzogne, ma non tutte le menzogne. Il profeta infatti lascia sottintendere una particolare menzogna, sulla quale a nessuno si concede perdono. È quando uno non solo non riconosce il suo peccato ma lo difende, rifiutandosi di farne penitenza. Gli sembra roba da poco agire male, che anzi, pur volendo apparire giusto, non si sottopone alla medicina della confessione. La differenza stessa delle parole usate non sembrerebbe richiedere altra spiegazione [che questa]. Dice infatti: Tu hai in odio tutti coloro che operano il male, ma non li disperdi se pentiti dicono la verità nella loro confessione e operando la verità vengono alla luce, come è detto nel Vangelo di Giovanni: Chi fa la verità viene alla luce. Al contrario nell’altro testo dice: Tu disperdi tutti coloro che non solo compiono opere da te odiate ma anche proferiscono menzogne, pretendendo una falsa giustizia e ricusando di confessare la colpa e ravvedersi.

Sulla falsa testimonianza.

17. 36. Ora un cenno sulla falsa testimonianza, ricordata tra i dieci comandamenti. Al riguardo non si può in alcun modo sostenere che basti conservare nel cuore la verità mentre con la bocca si dice una falsa testimonianza ai danni di colui per il quale la si dice. Quando si parla con Dio basta certo esser fedeli alla verità con il cuore, ma quando si parla agli uomini occorre dire il vero anche con la bocca, perché all’uomo non è dato penetrare nel cuore. Riguardo però alla testimonianza in se stessa, non è assurdo chiedersi chi sia colui dinanzi al quale si è testimoni. Non siamo infatti testimoni con tutti quelli a cui parliamo, ma solo con coloro a cui compete, o è doveroso, conoscere la verità o credere, per mezzo nostro, alla verità. Tale è il giudice, perché non incorra in errore quando giudica; tale è colui che viene istruito sulla dottrina religiosa, perché non commetta errori nella fede o perché non abbia a dubitare e a restare perplesso sull’autorità del suo insegnante. Se viceversa viene a interrogarti o a chiederti informazioni uno che va in cerca di cose che non lo riguardano o non giova che lui le sappia, costui è uno che vuol trovare non un testimone ma un delatore. Se pertanto a costui rispondi con una menzogna, forse non avrai proferito una falsa testimonianza, ma sei certamente reo di menzogna.

Se una qualche volta sia lecito mentire.

18. 36. Assodato che non è mai lecito proferire una falsa testimonianza, si pone il quesito se una qualche volta sia lecito mentire. Se poi qualsiasi menzogna è una falsa testimonianza, è da vedersi se ammetta qualche compensazione che consenta di mentire per evitare più gravi peccati. È come

Page 332: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

332

per il precetto scritturale: Onora il padre e la madre. Lo si trasgredisce senza colpa quando urge un dovere superiore. Pensiamo a quel tale che il Signore chiamava per annunziare il regno di Dio: a lui fu dal Signore stesso proibito di tributare al proprio padre l’estrema onoranza della sepoltura.

Si discute su Prov 29, 27.

18. 37. Esaminiamo ora il passo della Scrittura che dice: Il figlio che accoglie la parola sarà molto lontano dalla perdizione; quando l’accoglie, l’accoglie per sé e nessuna falsità esce dalla sua bocca. Qualcuno afferma che nel testo citato, e cioè: Il figlio che accoglie la parola, il termine «figlio «non è da riferirsi ad altri che al Verbo di Dio, che è la verità. Pertanto il figlio che accoglie la parola, sarà molto lontano dalla perdizione va riferito a quell’altro testo: Tu disperdi tutti coloro che proferiscono menzogne. Quanto al seguito della frase: Quando l’accoglie, l’accoglie per sé, cosa vi si insinua se non quanto diceva l’Apostolo con le parole: Esamini dunque ciascuno la sua opera e così avrà la gloria in se stesso e non in altri? Chi infatti accoglie la parola, cioè la verità, non per se stesso ma per piacere agli uomini, non la conserverà integra qualora si accorga che con la menzogna può rendersi loro accetto. Se al contrario uno accoglie la parola per sé, mai alcuna falsità potrà uscire dalla sua bocca poiché, per quanto agli uomini possa piacere la menzogna, non si lascerà mai indurre a mentire colui che ha accolto per sé la verità, non quella per cui si piace alla gente ma a Dio. Non si può dire pertanto nel nostro caso che Dio disperde, sì, tutti coloro che proferiscono menzogne ma non ogni menzogna in quanto tale. Viceversa tutte le menzogne nel senso più ampio della parola sono riprovate nel testo: E nulla di falso esce dalla sua bocca. A questo punto qualcuno dirà che il testo potrebbe essere preso nel senso in cui l’apostolo Paolo prese la parola del Signore: Ma io vi dico di non giurare affatto. È questa infatti un’affermazione che esclude ogni giuramento. Lo esclude però dalla bocca del cuore, per cui non è mai consentito approvarlo con la volontà. Può essere invece reso lecito dalla necessità di andare incontro alla debolezza altrui, cioè da un male che affligge il prossimo, al quale non pare ci sia altra possibilità di fargli accettare quanto diciamo se non lo confermiamo col giuramento. La liceità può dipendere anche da quel male che è in noi in quanto, rivestiti come siamo dall’involucro della mortalità, non riusciamo ad esternare il nostro cuore. Se avessimo questo potere, certo non dovremmo ricorrere al giuramento. Inoltre nella presente espressione presa globalmente [è consentito prendere] le parole: Il figlio che accoglie la parola sarà molto lontano dalla perdizione come dette della stessa Verità ad opera della quale tutto è stato creato, la quale resta sempre immutabile. E siccome l’insegnamento della religione mira a condurci alla contemplazione della Verità, può supporsi che le parole: E dalla sua bocca non esce alcuna falsità siano dette affinché non si dica alcunché di falso in ciò che riguarda tale insegnamento. È infatti, questa specie di menzogna, tale che non si deve ammettere alcun motivo che valga a giustificarla; la si deve anzi evitare radicalmente e con somma cura. Quanto alle parole: Nessuna falsità, è assurdo interpretarle come non riferite ad ogni specie di menzogna. E le altre: Dalla sua bocca, secondo l’esposizione precedente, cercherà di riferirle alla bocca del cuore colui che ritiene che in qualche caso sia ammesso mentire.

Gli uomini errano nella valutazione dei beni.

18. 38. La discussione su questo punto si presenta, certo, diversificata. Alcuni infatti sostengono che mai è lecito mentire, e a prova della loro asserzione citano testimonianze dei libri divini; contraddicono altri, i quali ricercano fra le testimonianze degli stessi libri divini parole favorevoli alla menzogna. Nessuno tuttavia può affermare che negli esempi o nelle espressioni scritturali si trovi qualcosa, anche solo apparente, da cui si possa concludere che sia consentito amare la menzogna o soltanto non odiarla. Al massimo si può ricavare che a volte è lecito, ricorrendo alla

Page 333: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

333

menzogna, fare qualcosa che si odia, per evitare un male ancora più detestabile. Facendo così però l’uomo cade nell’errore in quanto subordina cose preziose ad altre meno apprezzabili. Ammesso infatti che si possa tollerare un qualche male perché non abbia a succederne un altro più grave, ciascuno classificherà questi mali non secondo la norma della verità ma secondo le sue inclinazioni e consuetudini, e riterrà più grave non ciò che in realtà è da sfuggirsi con maggiore impegno ma ciò che personalmente ciascuno detesta di più. È questo un vizio prodotto in noi dal disordine nell’amare. Sono infatti due le nostre vite: la vita eterna, promessa da Dio, e la vita temporale che viviamo adesso. Se dunque uno comincia ad amare la presente vita temporale più della vita eterna, si riterrà in dovere di fare ogni cosa per la vita che predilige, e concluderà che non ci sono peccati più gravi di quelli che ledono questa vita o che ingiustamente e illecitamente le sottraggono un qualche vantaggio o la sopprimono del tutto mediante la morte. Odiano pertanto i ladri, i sequestratori, i diffamatori, i torturatori e gli omicidi più che non i dissoluti, gli ubriaconi, gli sporcaccioni, se questi non recano molestia ad alcuno. Non comprendono, o non vogliono prendere veramente sul serio, il fatto che costoro offendono Dio, non perché nuocciano a lui ma perché danneggiano gravemente se stessi rovinando in se stessi i doni, anche di beni temporali, ricevuti da lui e compromettendo con i loro abusi gli stessi beni eterni. Questo vale soprattutto per coloro che son diventati tempio di Dio, come dice l’Apostolo nei confronti di tutti i cristiani: Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Chi profanerà il tempio di Dio, Dio lo abbatterà. È infatti santo il tempio di Dio, e questo tempio siete voi.

Varie specie di peccati.

18. 39. Abbiamo elencato peccati con i quali si danneggia la gente nei beni di questa vita e peccati con cui l’uomo si degrada ma non reca danno a nessuno che opponga resistenza. Ebbene tutti questi peccati, per quanto sembrino arrecare un qualche piacere o vantaggio per la presente vita temporale (senza tale intenzione o finalità nessuno li commetterebbe!), tuttavia nei riguardi della vita eterna sono un impedimento assoluto per coloro che ne sono avviluppati. E di essi alcuni creano impedimento solo a chi li commette, mentre altri sono d’impedimento anche per coloro a danno dei quali si commettono. Quando infatti si sottraggono agli iniqui i beni che si vuol conservare in vista dell’utile che arrecano nella vita presente, peccano soltanto coloro che commettono il male, estraniandosi così dalla vita eterna, e non coloro a danno dei quali si commette il male. Se pertanto uno si lascia togliere tali beni sia per non compiere il male sia per non subire conseguenze più gravi nei riguardi degli stessi beni, non solo non commette peccato ma agisce, nel primo caso, con fortezza e in modo encomiabile; nel secondo con profitto e senza cadere in colpa. Quanto invece ai beni che si tutelano per motivi di santità o di religione, se gli iniqui vorranno sottrarceli ricorrendo alla violenza, potremo salvaguardarli anche ricorrendo a peccati più piccoli, ma non certo recando del danno al prossimo, qualora questa condizione venga posta e ci sia possibilità [d’agire diversamente]. In tal caso quanto si compie per evitare i peccati più gravi cessa d’essere peccato. In questo senso, quando si tratta d’un qualche bene utile, come il denaro o qualche altro oggetto che risulti vantaggioso per il corpo, noi non parliamo di danno se si perde qualcosa per ottenere un guadagno più cospicuo. Allo stesso modo nelle cose sacre non chiamiamo peccato ciò che si compie per non commettere un peccato più grave. Che se si chiama danno anche ciò che si perde al fine di non perdere il di più, potrà anche quella perdita chiamarsi peccato, ma nessuno dubiti che lo si possa commettere per evitare il danno più grave, come nessuno dubita che occorre tollerare un danno minore al fine di evitarne uno maggiore.

Verecondia, castità, verità.

Page 334: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

334

19. 40. Per conseguire la santità dobbiamo esser forniti di queste tre doti: la verecondia del corpo, la castità del cuore, la verità della dottrina. Quanto alla verecondia del corpo, nessuno può violarla senza il consenso e l’approvazione dell’anima. Non è infatti impudicizia una cosa, qualunque sia, che ci raggiunga nel corpo per una violenza esterna senza che noi diamo alcun consenso, anzi restando contrari. Riguardo a questo, possono esserci dei motivi per permettere la cosa ma nessuno per acconsentirvi. Vi acconsentiamo quando approviamo il male e lo vogliamo; non lo vogliamo invece ma solo lo permettiamo quando lo facciamo per evitare una qualche sconcezza più grave. Se al contrario si acconsente all’impudicizia del corpo, un tale atto viola anche la castità del cuore. In effetti la castità del cuore consiste nella volontà rivolta al bene e nell’amore sincero, che non è violato se non quando amiamo e desideriamo ciò che la Verità ci insegna di non dover amare o desiderare. Occorre dunque conservare la nitidezza della dilezione tanto verso Dio quanto verso il prossimo, poiché è con essa che viene consacrata la castità del cuore. Con tutte le forze e con devote suppliche ci si deve impegnare affinché, quando fosse insidiata la pudicizia del nostro corpo, nessuna attrattiva venga a toccare i sensi dell’anima, nemmeno quelli che, essendo più all’esterno, sono collegati con la carne. Se questo non sarà possibile, si conservi la castità del cuore negando il consenso [a tali moti]. Nella castità del cuore è poi importante conservare i requisiti dell’innocenza e della benevolenza, per quel che riguarda l’amore del prossimo, e la pietà per quanto riguarda l’amore di Dio. L’innocenza sta nel non nuocere ad alcuno, la benevolenza si ha quando ci rendiamo utili a chi ci è possibile; la pietà consiste nell’onorare Dio. Quanto alla verità della dottrina, della religione e della pietà, è questa che si viola quando si dicono menzogne, poiché la Verità in se stessa, la Verità somma e nascosta nell’anima che è all’origine della dottrina, non la si può in alcun modo violare. Ad essa si potrà giungere e con lei rimanere ed a lei aderire soltanto allorché questo corpo corruttibile avrà rivestito l’incorruttibilità e questo corpo mortale avrà rivestito l’immortalità. Ma siccome nella vita presente la pietà consiste totalmente in un esercizio con cui si mira ad acquistarla, a questo esercizio fa da guida la dottrina [della fede], che propone e inculca la stessa verità con parole umane e con segni concreti carichi di portata sacramentale. A tal fine anche questa dottrina, che di per sé può essere falsata dalla menzogna, dev’essere con la massima cura conservata incorrotta; e se in tale castità del cuore si fosse violato qualcosa, si procuri in ogni modo di rimediarvi. Se invece anche la dottrina venisse alterata nella sua autorevolezza, non potrebbe esserci più via né di andata né di ritorno per raggiungere la castità del cuore.

La salvaguardia della verecondia non autorizza menzogne.

20. 41. Da tutto quello che è stato detto si ricaverebbe la conclusione che per conservare la verecondia corporale si possa tollerare la menzogna, almeno quella che non lede né la dottrina della fede, né la pietà, né la rettitudine, né la benevolenza. Ma supponete che uno si proponga d’amare la verità, non solo quella che si vede nel contemplare ma anche quella che sta nel dire ciò che è vero in ogni circostanza. Supponete anche che costui con la bocca del corpo ritenga di non dover proferire alcuna parola che non sia stata concepita e vagliata nel proprio animo, preferendo la bellezza genuina derivante dalla fede non solo all’oro, all’argento, alle pietre preziose, ai campi fioriti ma anche alla stessa vita temporale e a tutti i beni del corpo. Non saprei dire come in questo caso ci possa essere chi ragionevolmente dica che ciò facendo egli è in errore. E se egli preferisse quel bene a tutte quelle altre cose e lo valutasse più di loro, lo dovrebbe anche per giustizia preferire ai beni degli altri uomini, che con la sua innocenza e benevolenza deve aiutare a salvarsi. Così amerebbe quella fede perfetta con cui non solo si crede integralmente a ciò che viene detto da autorità superiori e degne di fede, ma anche si proferisce con fedeltà quanto ciascuno giudica [di dover dire] e dice di fatto. In latino infatti la fede è chiamata fides per il fatto che quanto si dice si fa (= fit). Ora uno che mente è chiaro che non mostra una tal fede; e se questa fede viene lesa di meno quando uno

Page 335: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

335

mente perché gli si creda, senza che ci siano peraltro conseguenze moleste per se stesso o dannose per gli altri e si ha, inoltre, l’intenzione di proteggere la salute o la pudicizia del corpo; tuttavia essa è sempre violata, e la violazione avviene proprio là dove è da conservarsi la castità e la santità del cuore. È dunque necessario anteporre la fede perfetta alla stessa pudicizia corporale; e a questa conclusione ci induce non l’opinione dell’uomo, che spesso è dominata dall’errore, ma la Verità stessa, che è assolutamente invincibile. La castità del cuore consiste infatti nell’amore ben ordinato, che non fa porre i beni maggiori al di sotto dei beni minori. Ora bene minore è tutto ciò che può essere violato nel corpo rispetto a ciò che può essere violato nell’anima. E quando uno mente per salvaguardare la pudicizia del corpo, s’accorge certamente che solo la passione sregolata d’un estraneo, non la propria, minaccia di ledere il suo corpo, se egli la respinge per non partecipare alla colpa prestando il consenso. Ebbene, questo consenso dove risiede se non nell’anima? Anche la pudicizia corporale, quindi, non la si può deturpare se non all’interno dell’anima, poiché se l’anima non consente né dà il suo benestare, non si può propriamente parlare di violazione della pudicizia corporale, qualunque oltraggio a danno del corpo si commetta dalla libidine altrui. Se ne deduce che la castità dell’anima deve essere rispettata con cura tanto maggiore [che non quella del corpo] poiché nell’anima si custodisce anche la pudicizia del corpo. Concludendo: per quanto sta in noi, occorre che mettiamo al sicuro, con quelle mura e siepi che sono i buoni costumi e la condotta [irreprensibile], tutt’e due le cose, in modo che non vengano lese da agenti esterni. E se tutt’e due non le si può garantire, chi non vede quale sia quella che occorre sacrificare all’altra? Sappiamo infatti cosa è da valutarsi maggiormente, e cioè l’anima più del corpo, e non il corpo più dell’anima. Come dunque non vedere che la castità del cuore è da anteporsi alla pudicizia del corpo, e non la pudicizia del corpo alla castità del cuore? E riguardo al peccato, cosa si dovrà evitare con più cura: la tolleranza d’una colpa altrui o un’azione cattiva commessa da noi?

Riassunto.

21. 42. Dall’insieme delle discussioni fatte risulta con estrema chiarezza che dalle testimonianze scritturali addotte non ci viene altro monito all’infuori di quello di non mentire mai e poi mai. In realtà nella condotta dei santi e nelle loro opere non si trova alcun esempio di menzogna che debba essere imitato. Questo dico a proposito dei libri che non consentono accezioni figurate o simboliche, ad esempio i racconti riportati negli Atti degli Apostoli. Quanto invece ai fatti e ai detti del Signore narrati nel Vangelo, che ai meno colti sembrano menzogne, sono da prendersi in senso figurato. E così le parole dell’Apostolo: Mi sono fatto tutto a tutti per guadagnare tutti. È esatto interpretarle non nel senso che egli le abbia dette per mentire ma per adeguarsi ai deboli, mosso da tanta carità nel desiderio di liberarli come se egli stesso si trovasse in quel male di cui voleva fossero guariti gli altri. Non si deve dunque mentire quando è in gioco la dottrina religiosa: ciò sarebbe un grave delitto. È questa la prima specie di menzogne, ed è quanto mai detestabile. Non si debbono proferire menzogne della seconda specie, perché non è lecito danneggiare nessuno. Non si debbono proferire menzogne della terza specie, perché non si possono recare vantaggi a uno con danno di un altro. Non si deve mentire con la quarta specie di menzogne, e cioè solleticati dalla voglia di mentire, cosa viziosa di per se stessa. Non si deve mentire con la quinta specie di menzogne, poiché, se non è lecito dire la verità con il solo intento di incontrare il plauso della gente, quanto meno sarà lecito proferire la menzogna, quella menzogna che di per se stessa, appunto perché è menzogna, è cosa disonesta? Non si deve nemmeno mentire con la sesta specie della menzogna; non è infatti cosa ben fatta distorcere la verità della testimonianza, anche se si trattasse di provvedere all’utilità e alla salute temporale di qualsiasi persona. Quanto poi alla salute eterna, nessuno può esservi addotto con l’ausilio della menzogna. Non è infatti possibile che uno si converta alla vita buona per la condotta riprovevole di chi lo porta a conversione, poiché se verso il proselito si potesse agir male, lo stesso

Page 336: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

336

convertito potrà poi fare lo stesso verso gli altri; e così egli non è convertito per compiere azioni buone ma cattive, dal momento che all’imitazione di lui, una volta convertito, si presenta quel falso che gli fu offerto perché si convertisse. Non si deve mentire dicendo menzogne del settimo tipo. Infatti né i vantaggi temporali né la stessa salute di alcuno possono preferirsi al progresso nella fede. Che se anche ci fosse qualcuno che dalle nostre opere buone venisse spinto a un male così brutto da rovinarsi nell’anima e allontanarsi seriamente dalla [vera] religione, neanche per questo dovremmo cessare dal compiere il bene. Dobbiamo anzi tenere ben saldi quei valori a cui siamo obbligati a chiamare e invitare coloro che amiamo come noi stessi. E con animo altamente risoluto dobbiamo sorbire quella massima dell’Apostolo: Per alcuni siamo odore di vita per la vita, per altri siamo odore di morte per la morte: e chi mai è capace di questo? Non si debbono nemmeno dire menzogne dell’ottavo tipo, poiché, se si tratta di beni, è superiore la castità del cuore alla pudicizia del corpo; se si tratta di mali, ciò che noi facciamo è più importante di ciò che subiamo. In queste otto specie di menzogna, uno commette un peccato tanto più lieve quanto più si avvicina all’ottavo tipo, tanto più grave quanto più scende verso il primo. Se poi qualcuno pensasse che esista una qualche specie di menzogna che non sia peccato, mentre si ritiene un onesto truffatore del prossimo, cadrebbe lui stesso in un bruttissimo inganno.

La cecità dei paladini della menzogna.

21. 43. Ma c’è di più. Una cecità così assoluta ha invaso l’anima di alcuni uomini che a loro sembra roba da poco sostenere che certe menzogne non sono peccato, che anzi dicono che a volte è peccato non ricorrere alla menzogna. Difendendo poi l’onestà della menzogna son giunti a dire che lo stesso apostolo Paolo è ricorso a quella prima specie di menzogna, che fra tutte è la più esecrabile. Si riferiscono alla lettera ai Galati, uno scritto che, come gli altri libri biblici, fu composto per l’insegnamento della fede e della vera pietà, e dicono che egli abbia mentito in quel passo dove, parlando di Pietro e Barnaba, dice: Vedendo che non si comportavano rettamente, conforme cioè alla verità del Vangelo. Essi vogliono scusare Pietro dall’errore e da quella distorsione di comportamento in cui era caduto; ma nel loro tentativo, spezzando e distruggendo l’autorità delle Scritture, sovvertono la stessa via della fede, nella quale è riposta la salvezza di tutti gli uomini. E non s’accorgono che facendo così riversano sull’Apostolo non solo la colpa d’una menzogna ma anche quella dello spergiuro, e questo nell’insegnamento stesso della fede, cioè in una lettera in cui annunzia il Vangelo. In essa infatti prima di giungere al fatto da noi ricordato dice: Riguardo a quello che vi scrivo, ecco, dinanzi a Dio io non mentisco. Con questo poniamo termine alla nostra dissertazione. Nel valutare le varie cose che sono state dette e in qualsiasi elaborazione delle medesime, più di tutto il resto si abbia in mente, e nella preghiera, quanto è espresso dal medesimo Apostolo con le parole: Dio è fedele e non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche una via d’uscita perché voi possiate resistere.

Sant'Antonio Abate

Page 337: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

337

LETTERE

Prima Lettera

1. Prima di ogni cosa, cari figli, Antonio vi saluta nel Signore. Credo che uomini e donne, che la grazia di Dio chiama alla predicazione per mezzo del Verbo, appartengano a tre generi di persone. Il primo è costituito da coloro che sono chiamati dalla legge naturale dell’amore posta fin dalla creazione nella loro anima. Quando sono stati toccati dalla parola di Dio, senza alcun indugio, l’hanno seguita sollecitamente. Così accadde per il nostro progenitore Abramo. Quando No vide che egli l’amava per la. legge naturale dell’amore, gli apparve e gli disse: «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò» (Gen 12,1). Abramo senza alcuna esitazione si mostrò pronto alla chiamata. Egli è stato la figura della prima vita di questa istituzione che ancora oggi dura in quanti seguono le sue orme: se si adoperano con zelo cercando il timore di Dio nella pazienza e nella pace, ricevono lode per il loro comportamento perché disposti a seguire l’amore di Dio. Questo è il primo genere di vocazione.Ecco il secondo: alcuni sentono che la legge scritta afferma che vi sono supplizi di ogni specie per i peccatori e sante promesse per coloro che portano frutto nel timore di Dio. Questa testimonianza della legge desta in loro il pensiero di obbedire alla vocazione. Così attestò Davide: «La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima» (Sal 18,8) e ancora: «La tua parola nel rivelarsi illumina, dona saggezza ai semplici» (Sal 118,130). Non mancano molti altri passi, ma non possiamo citarli tutti.Infine, il terzo genere di vocazione. Alcuni dapprima sono stati duri di cuore e hanno perseverato nel peccato, ma Dio, per la sua misericordia, manda loro delle prove per emendarli perché, vinti da queste prove, abbiano coscienza delle loro colpe, si pentano, si convertano, ascoltino la parola, se si sono pentiti sinceramente, e compiano anch’essi opere meritevoli come quelli di cui abbiamo parlato prima. Questi sono i tre modi con cui gli uomini si incamminano sulla strada della

Page 338: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

338

conversione fino a ottenere la grazia e la vocazione di figli di Dio.

2. Credo che alcuni hanno intrapreso il cammino con tutto il cuore e si sono disposti ad affrontare tutte le lotte del nemico fino a sconfiggerlo; lo Spirito Santo li chiama in precedenza per rendere leggera la battaglia e dolci le fatiche della conversione e impone loro una misura stabilita per la penitenza del corpo e dell’anima fino a insegnare loro la via che porta a Dio creatore. E Dio fa violenza, per così dire, all’anima e al corpo perché entrambi siano puri e degni allo stesso modo di diventare eredi.Il corpo diventa puro mediante molti digiuni e veglie, l’anima mediante la preghiera e ogni altra cosa che stronca il desiderio della carne. Lo Spirito di conversione guida costoro e li mette alla prova perché il nemico non li faccia retrocedere. Lo Spirito, poi, che guida le anime comincia ad aprire gli occhi dell’anima perché anch’essa si converta e diventi pura. Allora l’intelletto discerne l’anima dal corpo e lo Spirito gli insegna la purificazione dell’anima e del corpo per mezzo della penitenza. L’intelletto è istruito dallo Spirito e guida ogni nostro moto dell’anima e del corpo e lo rende puro. Lo Spirito discerne tutti i frutti della carne, caratteristici di ogni membro, e che furono la causa della prima trasgressione e riporta ogni membro del corpo alla primitiva condizione. Lo Spirito non ha nulla di estraneo che gli derivi dal nemico. E il corpo è sottomesso all’intelletto e istruito dallo Spirito, come afferma l’apostolo Paolo: «Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù» (1 Cor 9,27). L’intelletto, infatti, si è purificato dai cibi, dalle bevande, dal sonno e per sempre da tutte le passioni e, in virtù della sua purezza, si è liberato da ogni rapporto naturale.

3. Nel corpo, secondo me, ci sono tre tipi di passioni. Vi è quel moto conforme per naturale disposizione al corpo che agisce solo dietro volontà dell’anima ed è ben noto. Vi è poi un altro moto che si ha quando si alimenta il corpo con abbondanti cibi e bevande; il sangue, riscaldato da quanto si è ingerito, eccita il corpo e quel primo moto viene sollecitato dalla concupiscenza.Per questa ragione l’Apostolo dice: «Non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza» (Ef 5,18). E il Signore ordina ai discepoli nel vangelo: «State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni e ubriachezze» (Lc 21,34) soprattutto con la voluttà. A coloro che cercano la misura della purezza dobbiamo dire: «Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù» (1Cor 9,27). Infine, il terzo moto deriva dagli spiriti malvagi che, invidiosi, tentano di distrarre quanti aspirano alla propria santificazione.Se l’anima si mantiene salda di fronte a questi tre moti nel testimoniare ciò che lo Spirito insegna all’intelletto, allora sia la stessa anima che il corpo sono esenti dai suddetti tre mali. Ma se l’intelletto indugia nel testimoniare quanto lo Spirito attesta, allora gli spiriti malvagi seminano nel suo corpo e gli muovono guerra finché l’anima sia spossata e si chieda donde verrà l’aiuto, si converta, si sottometta alla testimonianza dello. Spirito e riabbia la vita. Allora l’anima crede che il suo riposo consiste nel dimorare con Dio e che Dio stesso è la sua pace.

4. Vi ho detto queste cose in merito alla conversione dell’anima e del corpo e in che modo occorre purificarli. Quando l’intelletto è così combattuto, allora si rivolge allo Spirito e comincia a discernere le passioni animalesche che gli derivano dalla sua volontà. Allora l’intelletto, osservando i precetti dello Spirito, diviene partecipe dello stesso Spirito e questo gli insegna a sanare ogni malattia dell’anima e a discernere le passioni conformi per naturale disposizione al corpo e le altre che derivano dall’esterno e sono state mescolate con il corpo dalla testa fino ai piedi a causa della propria volontà.Lo Spirito fissa un limite agli occhi, perché vedano in modo retto e puro, perché non abbiano nulla di estraneo. Lo Spirito indirizza le orecchie ad ascoltare con pace ed esse non vogliono più sentire le

Page 339: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

339

maledizioni e le ingiurie degli uomini, ma soltanto parole di bontà e di misericordia per tutte le creature. Una volta, infatti, sia la vista che l’udito erano ammalati.Poi lo Spirito insegnerà la purezza alla lingua; è infatti per causa sua che l’anima si è gravemente ammalata ed è mediante la lingua che l’anima palesa la sua malattia e ad essa ne attribuisce la colpa. La lingua è un organo dell’anima e questa per essa si è maggiormente ammalata. Dice in proposito l’apostolo Giacomo: «Se qualcuno pensa di essere religioso, ma non frena la lingua e inganna così il suo cuore, la sua religione è vana» (Gc 1,26). In un altro passo dice pure: «La lingua è un piccolo membro e può vantarsi di grandi cose e contamina tutto il corpo» (Gc 3,5-6). Ci sono pure molti altri passi ma io non posso ricordarli tutti. Se l’intelletto è illuminato dallo Spirito, prima ne è purificato e allora ricerca e affida alla lingua parole che non hanno alcuna malvagità, né alcuna volontà del cuore. Si compie allora quel che dice Salomone: «Tutte le parole della mia bocca sono giuste; niente vi è in esse di fallace o perverso» (Pro 8,8). E in un altro passo aggiunge: «La lingua dei saggi risana» (Pro 12,18) e non mancano molte altre cose.Lo Spirito sana anche le mani che un tempo, seguendo la volontà dell’intelletto, compivano cose sconvenienti; ora invece lo Spirito dona loro quel vigore necessario per raggiungere la purezza attraverso le preghiere e le opere di misericordia e le esorta a compiere queste opere. Così in esse si realizza quell’espressione detta a proposito della preghiera: «Le mani alzate come sacrificio della sera» (Sal 140,2), e ancora: «La mano operosa arricchisce» (Pro 10,4).Lo Spirito purifica il ventre per quanto concerne i cibi e le bevande senza essere mai sazio (una volta la volontà sollecitava tale passione) e i demoni lo avevano vinto. Perciò lo Spirito Santo afferma per bocca di Davide: «Con chi aveva uno sguardo superbo e un cuore insaziabile, io non mangiavo» (Sal 100,5). Ma a coloro che chiedono la purezza anche nel cibo, lo Spirito stabilisce un limite sufficiente, adeguato al corpo, in modo che non si provi più la concupiscenza. Perciò Paolo attesta: «Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la glo-ria di Dio» (1Cor 10,31). A causa del ventre sazio i pensieri sono messi in movimento dalla fornicazione, allora lo Spirito istruisce l’intelletto che discerne tre diversi moti e gioisce di essere purificato.Lo Spirito col suo aiuto e con la sua potenza spegne le passioni; lo stesso Spirito dà pace a tutto il corpo e frena i moti passionali. E quanto dice Paolo: «Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi» (Col 3,5) e via di seguito. Poi l’intelletto, unificato dalla potenza dello Spirito, costringe i piedi, se non procedevano sulla via della salvezza che porta a Dio, a camminare secondo la volontà dello Spirito perché compiano opere migliori e tutto il corpo sia trasformato e sottomesso alla potenza dello Spirito. E quel corpo, secondo me, ha già ricevuto parzialmente quel corpo spirituale che riceverà nella risurrezione dei giusti. Ho trattato delle malattie dell’anima che, penetrate nel corpo, lo sconvolgono perché l’anima ha fatto da guida agli spiriti maligni facendoli operare nelle membra del corpo.Ma l’anima, secondo me, ha anche altre passioni che le derivano dall’esterno; quali siano, le esamineremo ora. La superbia, per esempio, trae la sua origine dall’esterno, come la presunzione, l’orgoglio, l’odio, l’invidia, l’ira, la pusillanimità, l’impazienza e altre passioni di minor conto. Chi con tutto il cuore si affida a Dio, riceverà dal Signore, che è bontà, lo Spirito di conversione e lo Spirito, a sua volta, gli farà conoscere i suoi mali perché si possa pentire. I nemici però si adoperano per impedirgli di far penitenza, lo tentano e non gli consentono di pentirsi: ma se egli si mantiene saldo e obbedisce allo Spirito che lo istruisce sul modo di far penitenza, allora il Creatore ha misericordia delle sue fatiche fisiche, dei suoi prolungati digiuni, delle sue lunghe veglie, delle sue meditazioni sulla parola divina, delle sue continue preghiere, della sua rinuncia al mondo e alle opere umane, della sua umiltà, della sua povertà di spirito. Allora il Dio di bontà, vedendo la sua perseveranza in tutte queste cose e la sua pazienza nelle tentazioni, ha pietà di lui e lo aiuta.

Page 340: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

340

Seconda lettera

1. Antonio vi saluta nel Signore, cari e stimati fratelli. Dio non ha visitato le sue creature una sola volta, ma con la sua bontà, la sua grazia e il suo spirito, ha seguito quanti fin dal principio del mondo hanno camminato verso il Creatore secondo la legge dell’alleanza. Gli esseri razionali, messi a morte nell’anima e nei se1si del loro cuore dalla legge dell’alleanza, no sono più in grado di far uso della loro intelligenza come nella condizione primitiva della creazione e, privati ormai della ragione, si fanno schiavi della creatura e non servi del Creatore. Il Creatore dell’universo per la sua grande bontà ci ha visitato per mezzo della legge dell’alleanza. Infatti la nostra natura è immortale. E tutti quelli che per mezzo della legge dell’alleanza sono stati istruiti dallo Spirito Santo e hanno ricevuto lo spirito di figli, hanno potuto adorare il loro Creatore in modo conveniente. Di questi l’apostolo Paolo dice: «Eppure tutti costoro non conseguirono la promessa» (Eb 11,39).

2. Il Creatore per il suo costante amore verso tutti voleva visitarci nelle nostre infermità e nel le nostre dissoluzioni e fece apparire il legislatore Mosè che ci consegnò la legge scritta e gettò le basi della casa della verità, cioè della chiesa cattolica che creò l’unità fra tutti. Dio infatti voleva farci ritornare alla nostra primitiva condizione. Mosè iniziò la costruzione della casa, ma non la portò a termine, l’abbandonò e morì. Dio poi per mezzo del suo Spirito fece apparire l’assemblea dei profeti e anch’essi costruirono sulle fondamenta di Mosè, ma non poterono completare il lavoro; anch’essi l’abbandonarono e morirono.Tutti, rivestiti dello Spirito, videro che la ferita era insanabile perché non c’èra creatura capace di curarla se non il Figlio unigenito, vero intelletto del Padre, immagine di colui che creò a sua immagine ogni creatura razionale. Essi sapevano che il Salvatore è il grande medico, si radunarono tutti insieme e pregarono per noi, membra del loro corpo. Dicevano esclamando: «Non v’è forse balsamo in Galaad? Non c’è più nessun medico? Perché non si cicatrizza la ferita del mio popolo?» (Ger 8,22) e «Abbiamo curato Babilonia, ma non è guarita. Lasciatela e andiamo ciascuno al proprio paese» (Ger 51,9).Dio poi per il suo infinito amore venne da noi e per mezzo dei suoi santi profeti diceva: «Tu, figlio dell’uomo, fa’ il tuo bagaglio da deportato, preparati a emigrare» (Ez 12,3). Egli infatti, «immagine di Dio» (2Cor 4,4), «non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil 2,6-11). Dunque, miei cari, ora vi sia chiaro il senso di queste parole, cioè che il Padre buono «non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi» (Rm 8,32), «schiacciato per le nostre iniquità; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). Con la sua potente parola ci ha radunati da tutte le nazioni, dai confini della terra ai confini del mondo, ha fatto risorgere i nostri intelletti, ha rimesso i nostri peccati, ci ha insegnato che siamo membra gli uni degli altri.

3. Vi prego, fratelli, nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, di capire questo grandioso piano di salvezza; egli si è fatto «come noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). Ogni intelletto razionale, per il quale il Salvatore è venuto, deve comprendere come è stato plasmato, conoscere se stesso, di-

Page 341: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

341

stinguere il bene dal male, perché possa essere liberato per la sua venuta. Infatti coloro che sono stati liberati, grazie al suo disegno di salvezza, sono stati chiamati semi di Dio; questa non è ancora la perfezione, ma soltanto la giustizia del momento che conduce all’adozione filiale.

4. Ma il nostro Salvatore capì che questi sono vicini a ricevere lo spirito di figli; essi lo hanno conosciuto grazie all’insegnamento dello Spirito Santo e Gesù disse loro: «Non vi chiamo più servi; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15). Così divennero audaci nello spirito, conobbero se stessi e la loro natura spiritual ed esclamarono: «Anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così» (2Cor 5,16). Ricevettero lo spirito di figli, come esclama Paolo: «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre» (Rm 8,15). Ora, Signore, noi sappiamo che tu ci hai concesso di essere: «Figli di Dio, eredi di Dio, coeredi di Cristo» (Rm 8,17). Vi sia ben chiaro questo, miei cari: chi trascura la sua crescita spirituale e non dedica ogni suo impegno in questa fatica, la venuta del Salvatore sarà il giorno del giudizio. Il Signore è: «per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita» (2Cor 2,16) perché «egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione» (Lc 2,34).Vi prego, miei cari, in nome di Gesù Cristo di non trascurare la vostra salvezza, ma ciascuno di voi si laceri il cuore e non le vesti (Gi 2,13), perché non ci capiti di indossare invano l’abito esteriore e di prepararci alla condanna. Ora, infatti, è vicino il tempo in cui si manifesteranno le opere di ognu-no di noi. Molte altre cose si dovrebbero dire su punti di minor conto, ma sta scritto: «Da’ consigli al saggio e diventerà ancora più saggio» (Pro 9,9). Saluto tutti voi nel Signore, dal piccolo al grande (At 8,10). Il Dio della pace custodisca voi tutti, miei cari. Amen.

Terza lettera

1. Antonio saluta voi, cari figli d’Israele, secondo la vostra natura spirituale. Poiché siete figli d’Israele, non è necessario che io ricordi tutti i vostri nomi. I nomi, infatti, appartenendo alle cose della terra, sono temporanei. Figli miei, il mio amore per voi non deriva dalla carne, ma dallo spirito che è opera di Dio. Perciò non mi stanco di pregare Dio per voi giorno e notte perché possiate conoscere la grazia che il Signore vi ha donato. Dio non visita una sola volta le sue creature, ma le assiste fin dalla creazione del mondo e in ogni generazione risveglia ciascuno con i doni della sua grazia.Ora, figli, non trascurate di invocare Dio giorno e notte e di far violenza, per così dire, alla bontà del Padre ed egli dal cielo vi manderà colui che vi insegnerà a riconoscere ciò che è bene per voi. Figli, in verità noi abitiamo nella nostra morte, dimoriamo nella casa del ladro, siamo legati dai ceppi della morte. Dunque, non concedete sonno ai vostri occhi, né riposo alle vostre palpebre (Sal 131,4), ma offritevi vittime a Dio in tutta purezza, quella purezza che nessuno può ereditare se non ne sia già in possesso. Figli cari nel Signore, abbiate ben chiare queste parole: se farete il bene, sarete causa di consolazione per i santi, di felicità per gli angeli nel loro ministero, di gioia per Gesù nella sua venuta. Fino a quell’ora i santi e gli angeli non si daranno pace pensando a noi. E darete gioia anche alla mia anima, a me misero che abito in questa casa di fango.In verità, cari figli, questa nostra infermità e questa nostra spiacevole condizione è motivo di dolore per tutti i santi, i quali piangono e gemono per noi davanti al Creatore di tutte le cose. Per questo, per il gemito dei santi Dio si adira per le nostre azioni malvagie. Ma se faremo progressi nella

Page 342: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

342

giustizia, daremo gioia all’assemblea dei santi ed essi con letizia e con gioia innalzano preghiere al Creatore. E il Creatore dell’universo gioisce per le nostre azioni, testimoniate dai suoi santi, e ci concede doni grandissimi.

2. Sappiate che Dio ama sempre le sue creature: la loro natura è immortale e non è destinata a dissolversi insieme col corpo. Dio ha visto la natura spirituale precipitare nell’abisso e trovarvi morte totale. La legge dell’alleanza si è inaridita ma Dio nella sua bontà ha visitato le creature per mezzo di Mosè (cf. II lettera 2). Mosè gettò le fondamenta della casa della verità e desiderò sanare la grande ferita, ma non vi riuscì e partì. Poi di nuovo ci fu l’assemblea dei profeti, i quali co-struirono sulle basi di Mosè, ma anch’essi non riuscirono a sanare la grande ferita del genere umano e si riconobbero impotenti. Poi si riunì l’assemblea dei santi che pregarono il Creatore dicendo: «Non v’è forse balsamo in Galaad? Non c’è più nessun medico? Perché non si cicatrizza la ferita della figlia del mio popolo?» (Ger 8,22) e «Abbiamo curato Babilonia, ma non è guarita. Lasciatela e andiamo ciascuno al proprio paese» (Ger 51,9).Tutti i santi imploravano la bontà del Padre riguardo al Figlio unigenito. Se non fosse venuto, nessuna creatura avrebbe potuto sanare la grande ferita dell’uomo e così il Padre, nella sua bontà, disse: «Tu, figlio dell’uomo, fa’ il tuo bagaglio da deportato, preparati a emigrare» (Ez 12,3). Il Padre «non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi» (Rm 8,32), «schiacciato per le nostre iniquità; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). Ci ha radunati dai confini della terra, ha fatto risorgere il nostro intelletto dalla terra, ci ha insegnato che siamo membra gli uni degli altri.

3. Figli, fate attenzione perché non, si dica di noi ciò che Paolo afferma: «Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti» (Tt 1,16). Ognuno di voi laceri il suo cuore, pianga davanti a Dio e dica: «Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?» (Sal 115,12). Temo, o figli, che si applichi a noi la frase: «Quale vantaggio dalla mia morte, dalla mia discesa nella tomba?» (Sal 29,10). In verità, figli, a voi «parlo come a persone intelligenti» (1Cor 10,15) perché comprendiate quel che attesto: se ognuno di voi non odia tutto ciò che appartiene alla terra, se non rinuncia ad essa e a tutte le sue opere con tutto il cuore, se non innalza al cielo verso il Padre le mani del suo cuore, ebbene costui non potrà essere salvo.Se uno, invece, farà come ho detto, Dio avrà misericordia della sua fatica, gli concederà il fuoco invisibile (= il dono dello Spirito), annienterà tutte le sue impurità e renderà puro lo spirito. Anche lo Spirito Santo abiterà con noi, Gesù starà accanto a noi e noi potremo adorare Dio come si conviene. Ma finché siamo legati alle cose del mondo, siamo nemici di Dio, dei suoi angeli e di tutti i suoi santi.

4. Ora, miei cari, in nome di nostro Signore Gesù Cristo vi prego di non trascurare la vostra salvezza. Questo breve tempo non vi faccia smarrire il tempo eterno, il corpo corruttibile non vi offuschi il regno della luce ineffabile, il luogo dove subite il castigo non vi faccia smarrire il trono degli angeli del giudizio. In verità, figli, il mio cuore si meraviglia e la mia anima è atterrita perché noi tutti ci dilettiamo come se fossimo ubriachi. Ognuno di voi ha venduto se stesso seguendo la propria volontà, noi ci lasciamo dominare da essa e non vogliamo volgere il nostro sguardo al cielo per cercare la gloria celeste, l’opera di tutti i santi per camminare sulle loro orme.Dunque, capite: gli angeli del cielo, gli arcangeli, i troni, le dominazioni, i cherubini, i serafini, il sole, la luna, le stelle, i patriarchi, i profeti, gli apostoli, il diavolo, Satana, gli spiriti del male, il principe dell’aria, insomma, uomini e donne, fin dalla creazione appartengono a un’unica sostanza. Al di fuori di questa c’è soltanto la perfetta e beata Trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito

Page 343: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

343

Santo. Per il malvagio comportamento di alcune creature, Dio fu costretto a imporre loro un nome a seconda delle loro opere. Ma a quelle che maggiormente hanno progredito, darà gloria in abbondanza.

Quarta lettera

1. Antonio saluta nel Signore tutti i suoi cari fratelli di Arsinoe e delle vicinanze e tutti quelli che stanno con loro. Saluto nel Signore voi tutti, miei cari, che vi siete preparati a andare verso Dio, voi piccoli e grandi (At 8,10), uomini e donne, figli d’Israele per la vostra natura spirituale. Figli, ve-ramente è grande la beatitudine che avete ricevuto perché grande è la grazia che è stata concessa a questa vostra generazione. Poiché siete santi visitati da Dio, è bene che nella lotta non vi lasciate prendere dal peso della fatica fino al momento in cui offriate voi stessi come vittime in tutta purezza a Dio. Senza purezza, infatti, nessuno è degno dell’eredità.È importante, miei cari, che voi vi interroghiate sulla natura spirituale nella quale non vi è più né maschio né femmina, ma soltanto quella natura immortale che ha un inizio, ma mai una fine. Bisogna conoscere perché essa è precipitata a tal punto di bassezza e di vergogna da colpire tutti noi. Conta molto sapere questo perché la nostra natura è immortale e quindi non destinata a dissolversi col corpo.

2. Dio vide la gravità della ferita dell’uomo e nella sua misericordia visitò le sue creature. Dopo un certo tempo, per la sua bontà, diede loro la legge, venne in loro aiuto, si servì di Mosè (II Lettera, 2; III Lettera, 2) perché questi consegnasse la legge. Mosè per loro gettò le fondamenta della casa della verità e voleva sanare la grande ferita ma non poté terminare la costruzione della casa. Poi si radunò l’assemblea di tutti i santi e questi chiesero al Padre per la sua bontà di inviare il nostro Salvatore per la salvezza di tutti. Egli è il nostro grande, fedele sacerdote, il vero medico in grado di curare la nostra profonda ferita. Per volontà del Padre, egli fu senza gloria: «Pur essendo di natura divina, spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo (Fil 2,6-7) e consegnò se stesso per i nostri peccati. I nostri peccati lo hanno umiliato, ma «per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5).

3. Per questo, miei cari figli nel Signore, voglio che sappiate che egli per la nostra stoltezza ha assunto la forma della stoltezza, per la nostra debolezza la forma della debolezza, per la nostra povertà la forma della povertà, per la nostra morte la forma mortale; per noi ha sopportato tutte queste cose. Perciò, miei cari nel Signore, non dobbiamo concedere sonno ai nostri occhi, né riposo alle nostre palpebre (Sal 131,4), ma preghiamo e invochiamo con forza la bontà del Padre finché non ci soccorra e possiamo così dare consolazione a Gesù nel giorno della sua venuta, dare efficacia al ministero dei santi che per noi si adoperano supplendo (Gv 4,36) alla nostra negligenza sulla terra ed esortarli a venirci in aiuto nel tempo delle nostre afflizioni. Così godranno «insieme chi semina e chi miete» (1Cor 10,15).

4. Figli, voglio che sappiate quale grande afflizione ho per voi. Vedo infatti la grande vergogna che si abbatte su tutti noi e considero la grande fatica dei santi e i loro gemiti davanti a Dio perché essi vedono tutta la fatica del Creatore e tutti i piani malvagi del demonio e dei suoi servi che meditano sempre il male per la nostra perdizione. I demoni riceveranno la loro eredità all’inferno e per questo vogliono la nostra perdizione perché così aumenta il numero dei dannati.Diletti nel Signore, a voi «parlo come a persone intelligenti» perché conosciate tutto il disegno della

Page 344: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

344

salvezza che il nostro Creatore ha disposto per noi e che ci è stato rivelato mediante la predicazione pubblica e nascosta. Si dice che noi siamo esseri razionali, ma in realtà abbiamo uno spirito irrazionale. Voi non sapete quali siano le numerose macchinazioni e arti del diavolo; egli ci invidia da quando ha saputo che noi abbiamo cercato di riconoscere la nostra vergogna e abbiamo anche cercato il modo di sfuggire a quelle opere che ci rendono suoi complici. E noi non solo non vogliamo obbedire ai malvagi consigli che i demoni seminano nei nostri cuori, ma molti di noi si beffano delle loro macchinazioni. I demoni poi sanno che il Creatore ci ha concesso il suo perdono, che Egli rappresenta la loro morte in questo mondo e che per loro eredità ha preparato la Geenna a causa della loro malvagità.

5. Figli, desidero che sappiate che io prego incessantemente, giorno e notte, Dio per voi affinché egli apra gli occhi del vostro cuore perché vediate i molti mali occulti che i demoni giorno dopo giorno seminano in noi in questo nostro tempo. Voglio che Dio vi conceda la sapienza del cuore e lo spirito di discernimento, perché possiate offrire i vostri cuori quali vittime pure al Padre con molta purezza, senza macchia. In verità, figli, i demoni a ogni occasione danno prova della loro invidia nei nostri riguardi con i loro cattivi disegni, con le loro occulte persecuzioni, con azioni maliziose, con attività seduttrici, con pensieri blasfemi, e inoltre ogni giorno seminano l’infedeltà nei nostri cuori, sollecitano la nostra ammirazione e il nostro stupore per le loro opere.Seminano poi, giorno dopo giorno, la sofferenza in noi, ci avviliscono per fiaccare il nostro vigore, ci insegnano ad essere iracondi l’un l’altro, a maledirci a vicenda, a giustificare le nostre azioni, a condannare quelle degli altri e, anche quando siamo soli, ci sollecitano a giudicare il nostro prossimo. Seminano nei nostri cuori il disprezzo per mezzo della superbia. Per causa loro noi diventiamo duri di cuore, a vicenda ci disprezziamo, nutriamo amarezza gli uni per gli altri, ci scambiamo parole dure, siamo sempre afflitti, accusiamo sempre gli altri e mai noi stessi. Pensiamo che le nostre sofferenze siano causate dal nostro prossimo, e lo giudichiamo dalle apparenze, mentre il ladro ha fissato la sua dimora in casa nostra. Per le contese e le divisioni che ci sono tra di noi cerchiamo la giustificazione nelle parole per apparire giusti davanti a noi stessi.I demoni ci spingono a compiere opere superiori alle nostre possibilità e poi ci impediscono quelle che potremmo fare e chef ci sarebbero di vantaggio. Perciò ci fanno ridere quando dovremmo piangere e ci fanno piangere quando dovremmo ridere; cercano in tutti i modi di allontanarci dalla via della purezza e si servono di molti altri inganni per ridurci in loro schiavitù. Ma non è questo il momento per manifestarvi tutto ciò che riguarda i demoni.Quando i nostri cuori sono pieni di tutti questi pensieri che costituiscono il nostro alimento, allora Dio, dopo aver sopportato a lungo la nostra malvagità, ha pietà di noi e viene a visitarci per convertirci e farci abbandonare questo nostro grave corpo. Allora il male che abbiamo commesso si manifesterà nel nostro corpo perchéesso sia tormentato con disprezzo e poi noi di nuovo rivestiremo questo corpo per la bontà di Dio e così la nostra condizione sarà peggiore della prima (Lc 11,26). Non cessate, dunque, di invocare la bontà del Padre perché il suo aiuto ci accompagni e vi insegni quali cose siano migliori per voi.

6. Figli miei, in verità vi dico che questo corpo nel quale abitiamo è per noi perdizione, è casa dove domina la guerra. Io vi dico che gli spiriti maligni come riempiono l’aria così albergheranno nell’anima di chi si sarà compiaciuto della propria volontà, si sarà sottomesso ai suoi pensieri, accoglierà ciò che viene seminato nel suo cuore e ne godrà, e qui riporrà la speranza del suo cuore come se si trattasse di un grande mistero e se ne servirà per giustificare le sue azioni. La sua anima gli consiglierà il male e mediante il corpo custodirà i mali segreti che tiene celati in se stesso. Su un uomo simile, grande è il potere dei demoni, perché egli non ha voluto disonorarli davanti a tutti.

Page 345: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

345

Non conoscete le loro molteplici macchinazioni? Se le conosceremo, potremo evitare i demoni. Anche se vai in cerca, non troverai il loro peccato, né la loro iniquità è materialmente tangibile perché essi non hanno un corpo visibile. Siamo invece noi che offriamo loro i nostri corpi; la nostra anima accoglie la loro malvagità e l’anima, accogliendo i demoni, li introduce nei nostri corpi. Perciò, figli, non concediamo loro spazio, altrimenti provocheranno l’ira di Dio contro di noi e i demoni prenderanno dimora nelle nostre case e ci scherniranno. Infatti essi sanno che la nostra perdizione viene dal prossimo e dal prossimo ci viene la vita. Chi mai ha visto Dio? Chi gioirà con lui e lo terrà accanto a sé perché non fugga via da lui, ma lo assista nella sua dolorosa condizione? Chi mai ha visto il diavolo farci guerra, impedirci di compiere il bene, aggredirci, assumere un corpo materiale perché lo temiamo e fuggiamo da lui? I demoni agiscono segretamente, siamo noi che li manifestiamo attraverso le loro opere.

7. Tutti quei demoni hanno un’identica sostanza. Quando si separarono da Dio, si formò di loro una grande varietà per la diversità del loro comportamento. Per questa ragione hanno nomi diversi a seconda della loro attività. Alcuni sono stati chiamati arcangeli, altri troni, dominazioni, principati, potestà, cherubini. Hanno avuto questi nomi perché hanno obbedito alla volontà del loro Creatore. Per quanto riguarda gli altri, per il loro malvagio comportamento, sono stati chiamati, e non poteva essere diversamente, calunniatore, Satana; altri furono chiamati demoni, spiriti malvagi e impuri, spiriti seduttori, principi di questo mondo. Di loro vi sono molte altre specie.Alcuni uomini, nonostante il peso del corpo nel quale abitiamo, hanno fatto loro resistenza. Di questi alcuni hanno ricevuto il nome di patriarchi, altri di profeti, re, sacerdoti, giudici, apostoli e molti altri sono stati eletti per le loro rette azioni. Tutti questi nomi furono dati a uomini come a donne, a seconda delle loro azioni, perché tutti hanno una stessa origine. Perciò chi pecca contro il suo prossimo, pecca contro se stesso; chi fa del male al prossimo, fa del male a se stesso; e così chi fa del bene al prossimo, fa del bene a se stesso. In verità, chi può fare del male a Dio? Chi è in grado di nuocergli o di offrirgli riposo? Chi potrebbe servirlo oppure benedirlo come se gli fosse necessaria la sua benedizione? Chi può tributargli l’onore che gli è dovuto? Chi può glorificarlo secondo la sua grandezza?Per questo, finché siamo rivestiti del peso di questo corpo, destiamo Dio in noi stessi esortandoci reciprocamente e consegnandoci alla morte per la salvezza delle nostre anime e per amore l’uno dell’altro; in tal modo manifesteremo quella misericordia che è stata usata per noi. Chi conosce se stesso, conosce tutti; perciò è scritto: «Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza» (Sap 1,14). Queste parole della Scrittura ci istruiscono sulla natura spirituale racchiusa in questo corpo corruttibile. E questa natura spirituale, che non fa parte del corpo fin dall’inizio, un giorno gli verrà tolta. Chi sa di amare se stesso, ama tutti.

8. Miei cari figli, vi prego di non considerare fatica, né di avere a noia l’amore reciproco. Prendete questo corpo di cui siete rivestiti e fatene un altare; su quest’altare collocate tutti i vostri pensieri e davanti a Dio abbandonate ogni malvagio proposito: «Alzate le mani verso il tempio» (Sal 133,2) di Dio, vale a dire innalzate il vostro spirito e implorate da Dio il suo grande fuoco invisibile perché scenda dal cielo su di voi e distrugga l’altare e quanto sopra vi è posto; e tutti i profeti di Baal, i vostri nemici e le loro opere inique, abbiano timore e fuggano davanti a voi come davanti al profeta Elia (1Re 18,38-40). Allora vedrete sul mare come delle orme di uomo che vi porteranno una piog-gia spirituale, la consolazione dello Spirito Paraclito.Miei cari figli nel Signore, stirpe d’Israele, non occorre proclamare la beatitudine o menzionare i nomi del vostro essere corporeo perché questo è destinato alla morte. Voi ben sapete l’amore che nutro per voi: non è un amore carnale, ma spirituale, opera di Dio. Perciò sono sicuro che la vostra

Page 346: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

346

grande beatitudine consiste nel fatto che avete cercato sia di conoscere la vostra miseria che di rinsaldare la vostra natura invisibile che non è destinata a morire col corpo. Perciò credo che vi sia stata concessa la beatitudine in questa vita. Vi sia ben chiaro questo: non crediate che l’intraprendere l’opera di Dio e il progredire in essa sia opera vostra, ma dipende da una certa potenza che sempre vi soccorre.Cercate sempre di offrire voi stessi come vittime a Dio (Rm 12,1) e accogliete con amore la potenza che vi aiuta. Consolerete così Gesù nel suo ritorno, tutta l’assemblea dei santi e anche me, povero uomo che sono rivestito di questo corpo fatto di fango e di tenebra. Vi dico queste cose per con-fortarvi e vi prego perché noi tutti siamo stati creati da un’unica natura invisibile che ha un principio, ma non una fine. Quelli che conoscono se stessi, sanno che la natura che ci unisce è im-mortale.

9. Voglio che sappiate che il nostro Signore Gesù Cristo è il vero intelletto del Padre. Da lui sono state create tutte le nostre nature spirituali a immagine della sua immagine, perché egli è il capo di tutto il creato e del corpo che è la chiesa (Col 1,18). Perciò noi tutti siamo membra, gli uni degli altri «corpo di Cristo» (1Cor 12,27), e «la testa non può dire ai piedi: non ho bisogno di voi» (1Cor 12,11) e «se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1Cor 12,26). E così se un membro si rende estraneo al corpo e non comunica con la testa, ma si compiace delle passioni del corpo, riceve una ferita incurabile e ha dimostrato quale è il suo principio e quale la sua fine.Perciò il Padre della creazione ebbe pietà per questa nostra ferita che non poteva essere sanata da nessuna creatura, ma soltanto dalla bontà dello stesso Padre. Ci mandò allora il suo Figlio unigenito che ha assunto «la condizione di servo» (Fil 2,7) per la nostra schiavitù e ha consegnato se stesso per i nostri peccati. Le nostre iniquità lo hanno umiliato, ma «per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). Ci ha radunati da tutte le nazioni per far risorgere dalla terra i nostri cuori e per insegnarci che noi tutti abbiamo un’unica natura e siamo membra gli uni degli altri. Perciò dob-biamo amarci a vicenda perché chi ama il suo prossimo, ama Dio e chi ama Dio, ama la propria anima.

10. Vi sia ben chiaro, miei cari figli nel Signore, santa stirpe d’Israele, che voi vi preparate ad andare verso il Signore e ad offrire voi stessi come vittime a Dio in tutta purezza, quella purezza che nessuno può ereditare senza già possederla. Non sapete forse, miei cari, che i nemici della virtù meditano il male contro la verità? Perciò siate vigili, non concedete sonno ai vostri occhi, né riposo alle vostre palpebre (Sal 131,4), invocate il vostro Creatore giorno e notte perché dall’alto vi soccorra e preservi in Cristo i vostri cuori e i vostri pensieri.Noi, o figli, abitiamo nella gasa del ladro e siamo legati dai ceppi della morte. In noi c’è negligenza, bassezza, estraneità al bene e tutto questo non solo ci danneggia, ma è causa di sofferenza per tutti gli angeli e i santi di Cristo perché per noi sono afflitti. Questa nostra deplorevole condizione, figli cari, rattrista tutti i santi; invece la nostra salvezza e la nostra glorificazione li rende gioiosi. Sappiate ancora che la bontà del Padre, fin dal suo inizio a tutt’oggi, non cessa di farci del bene, perché sfuggiamo alla morte che abbiamo meritato. Siccome siamo stati creati liberi, i demoni continuamente ci cercano. Ecco perché sta scritto: «L’angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono e li salva» (Sal 33,8).

11. Ora voglio, figli, che sappiate che da quando Dio si è mosso in nostro soccorso fino ad oggi, tutti quelli che si sono allontanati dal bene e hanno compiuto le opere malvagie dei demoni sono considerati figli degli stessi demoni. Lo sanno coloro che appartengono al loro numero e per questo hanno tentato di far sì che ciascuno di noi segua la propria volontà. Sanno che il diavolo è

Page 347: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

347

precipitato dal cielo a causa della superbia e per questa ragione aggrediscono soprattutto coloro che hanno raggiunto un notevole grado di santità perché essi si servono del nostro orgoglio e della nostra vanagloria. Sanno che in questo modo ci hanno allontanati da Dio, sanno che chi ama il prossimo ama Dio, e così i nemici della virtù piantano la loro fonte di divisione nei nostri cuori perché fra di noi ci sia un’inimicizia tale da non consentirci di parlare, neppure a distanza, col nostro prossimo.Voglio, o figli, che sappiate che ci sono stati molti altri che nella loro vita hanno sostenuto grandi fatiche, ma, perché privi di discernimento, sono periti. In verità, figli, non credo che ci si debba stupire se per negligenza e per mancanza di discernimento, voi cadrete al livello del diavolo per aver pensato di essere vicini a Dio e in attesa della luce finirete avvolti dalle tenebre. Perciò Gesù ha voluto che voi vi cingiate di un panno e laviate i piedi ai più piccoli di voi (Gv 13,4-5). Egli stesso ci ha dato l’esempio per insegnarci a non dimenticare la nostra origine. La superbia infatti ha segnato l’inizio della nostra caduta; la superbia è apparsa per prima. Disponetevi, dunque, alla più grande umiltà con tutto il vostro cuore, con tutta la vostra mente, con tutta la vostra anima, con tutto il vostro corpo: solo così erediterete il regno di Dio.

12. In verità, figli miei nel Signore, io prego giorno e notte il mio Creatore dal quale ho ricevuto lo Spirito di aprire gli occhi del vostro cuore perché conosciate l’amore che nutro per voi e di aprire le orecchie del vostro cuore perché possiate intendere la vostra miseria. Chi comprende il suo disonore, cerca subito la grazia alla quale è chiamato, chi comprende la sua condizione mortale, comprende pure la vita eterna. Figli miei, vi «parlo come a persone intelligenti» (1Cor 10,15). In verità temo che lungo la strada siate colpiti dalla fame proprio in un luogo in cui dovreste essere ben forniti. Avrei voluto vedervi di persona, faccia a faccia, ma aspetto il tempo in cui ci potremo ve-dere l’un l’altro, quando non ci saranno più «né lutto, né lamento, né affanno» (Ap 21,4), quando «felicità perenne splenderà sul capo» (Is 35,10) di tutti. Avrei voluto dirvi ancora altre cose, ma «Da’ consigli al saggio e diventerà ancora più saggio» (Pro 9,9). Vi saluto tutti, figli dilettissimi, uno per uno.

Quinta lettera

1. Figli, «conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9). Così, con la sua schiavitù ci ha liberato, con la sua debolezza ci ha confortato, con la sua stoltezza ci ha fatto sapienti. E poi con la sua morte ci darà la risurrezione e ad alta voce potremo dire: «Se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. Le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove» (2Cor 5,16-17). In verità, miei cari nel Signore, se dovessi dettagliatamente parlarvi della parola della libertà con la quale siamo stati liberati, dovrei dirvi molte altre cose, ma non è ancora il tempo di parlarne.Per ora, miei cari figli nel Signore, stirpe santa di Israele, vi saluto tutti secondo la vostra natura spirituale. E bene che voi, che vi siete avvicinati al vostro Creatore, cerchiate la salvezza della vostra anima nella legge dell’alleanza. Per i numerosi peccati, per la cattiveria del nostro animo, per la concupiscenza delle passioni, la promessa si è inaridita e le nostre anime sono cadute. Perciò, per la morte nella quale siamo precipitati, non possiamo comprendere la nostra gloriosa natura spirituale. Ecco perché nelle Sacre Scritture è scritto: «Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,22). Cristo, infatti, è la vita di ogni intelligenza spirituale fra le creature fatte a immagine dell’immagine, che è Cristo stesso, perché egli è il vero intelletto del

Page 348: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

348

Padre, è la sua immagine immutabile. Le creature, fatte a sua immagine, hanno una natura mutevole; per questo ci ha colpito quella sventura nella quale tutti incontriamo la morte e perdiamo la nostra natura spirituale.Perciò, per tutte le cose che sono estranee alla natura, abbiamo acquistato una casa tenebrosa dominata dalla guerra. Sappiate che noi non avevamo alcuna conoscenza della virtù. Dio, nostro Padre, vide la nostra debolezza e, poiché non potevamo abbracciare la verità, per la sua bontà, venne a visitare le sue creature mediante il ministero dei santi.

2. Prego tutti voi, miei cari nel Signore, di capire quel che scrivo perché nutro per voi un amore spirituale, opera di Dio, e non un amore carnale. Preparatevi ad andare dal vostro Creatore, «laceratevi il cuore e non le vesti» (Gi 2,13), sappiate cosa possiamo offrire al Signore per la grazia che ha fatto a noi che qui miseramente abitiamo. Nella sua grande bontà e nel suo infinito amore il Signore si ricorda di noi e non ci ha ripagato, come meritavamo, per le nostre colpe. Egli è stato con noi così buono che ci ha donato il sole in questa valle di tenebre e così pure la luna e le stelle perché confortassero noi, destinati alla morte, per la nostra vanità.Ci sono pure molte altre potenze che egli ha posto al nostro servizio, ma sono nascoste e noi non siamo in grado di vederle con i nostri occhi dei sensi. Cosa daremo noi in cambio al Signore nel giorno del giudizio? Quale dono non ci ha fatto? I patriarchi non hanno forse sofferto per noi? I sacerdoti non ci hanno dato i loro insegnamenti? I giudici e i re non combattevano per noi? I profeti non sono morti per noi? Gli apostoli non sono stati perseguitati per noi? Il Figlio diletto non è morto per noi tutti? Dobbiamo ora prepararci ad andare dal nostro Creatore con purezza. Egli vide che nessun santo o piuttosto nessuna creatura poteva sanare la grande ferita inferta alle sue membra.Perciò il Padre, conoscendo la debolezza dello spirito delle sue creature, ha donato loro la sua misericordia e il suo amore e «non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi» (Rm 8,32), per i nostri peccati. Le nostre iniquità lo hanno umiliato, ma «per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). Con la potenza della sua parola egli ci ha radunato da tutte le nazioni, ha fatto risorgere il nostro spirito dalla terra e ci ha insegnato che siamo membra gli uni degli altri.

3. È opportuno perciò che noi tutti, che siamo andati verso il Creatore, adoperiamo la nostra intelligenza e i nostri sensi per discernere il bene dal male e per riconoscere il piano di salvezza di Gesù grazie alla sua venuta. Egli, infatti, si è fatto «come noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). Per la nostra grande malvagità, per il turbamento causato dal male, per la nostra grave incostanza, la venuta di Gesù è stata tentazione per alcuni, profitto per altri, per alcuni sapienza e potenza (1Cor 1,23-24), per altri risurrezione e vita. Vi sia ben chiaro che la sua venuta è stata giudizio per tutto il mondo. Infatti si legge: «Ecco, verranno giorni – dice il Signore – in cui tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore» (Ger 31,31.34) nome del Signore è arrivato fino ai confini della terra «perché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio» (Rm 3,19).Gli uomini, infatti, «pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria» (Rm 1,21), come al loro Creatore a causa della loro stoltezza che non ha concesso loro di capire la sua sapienza. Ognuno di noi ha venduto se stesso alla propria volontà facendo il male e diventandone schiavo. Perciò Gesù si è privato della sua gloria, si è fatto servo per renderci liberi mediante la sua schiavitù. Noi siamo diventati stolti e per la nostra stoltezza abbiamo fatto ogni specie di male; Cristo si è rivestito di stoltezza per farci sapienti mediante la sua stoltezza. Siamo diventati poveri e per la nostra povertà ogni forza ci è venuta meno; perciò egli si fece povero per farci ricchi di ogni sapienza e di ogni intelligenza mediante la sua povertà.Ma non basta. Egli si è rivestito anche della nostra debolezza per consolarci con la sua debolezza. E

Page 349: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

349

al Padre si fece «obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8) per darci, con la sua morte, la risurrezione e per distruggere colui che aveva il potere della morte, cioè il diavolo. Se veramente libereremo noi stessi con la sua venuta, saremo riconosciuti discepoli di Gesù ed entreremo in possesso dell’eredità di Dio.

4. Ma, miei cari nel Signore, il mio spirito è molto scosso e turbato. Abbiamo l’abito e il nome dei santi, ce ne vantiamo di fronte ai non credenti, ma temo che la parola di Paolo si riferisca proprio a noi: «Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti» (Tt 1,16). Per l’amore che nutro per voi, prego Dio per voi perché meditiate sulla vostra vita e sulla vostra invisibile eredità. In verità, figli, anche se impegneremo tutte le nostre forze per cercare Dio, non faremo nulla di eccezionale; infatti cerchiamo la nostra mercede che ci appartiene per natura. Ogni uomo che cerca Dio o lo serve, cerca secondo la sua natura. Il peccato invece di cui siamo responsabili è al di fuori della nostra natura.In verità, cari figli nel Signore, a vi che vi siete preparati per offrirvi quali vittime a Dio in purezza, noi non abbiamo tenuto nascosta alcuna cosa giovevole ma «testimoniamo quel che abbiamo veduto» (Gv 3,11). Il perché i nemici del bene meditano sempre il male contro la verità. Sappiate che «colui che era nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo spirito» (Gal 4,29) e «tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati» (2Tm 3,12). Anche Gesù sapeva delle sofferenze e delle tentazioni che avrebbero colpito gli apostoli sulla terra e sapeva pure che con la loro pazienza avrebbero annientato tutte le potenze del nemico, cioè l’idolatria. Perciò li confortava dicendo loro: «Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). E li istruiva dicendo: «Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rm 8,18) e «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Se dovessi riferire dettagliatamente ogni parola, dovrei dilungarmi molto, ma sta scritto: «Da’ consigli al saggio e diventerà ancora più saggio» (Pro 9,9).I santi e i giusti, rivestiti di Spirito Santo, pregano sempre per noi perché ci umiliamo davanti a Dio e riacquistiamo la nostra primitiva gloria e indossiamo quell’abito di cui ci siamo spogliati e che è conforme alla nostra natura spirituale. Spesso da parte di Dio Padre arriva una voce a coloro che sono stati rivestiti di Spirito: «Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme» (Is 40,1-2).Dio infatti visita le sue creature e mostra loro la sua bontà. In verità, miei cari, se dovessi ancora dettagliatamente parlarvi di questa parola di libertà, grazie alla quale siamo stati liberati, dovrei aggiungere molte altre cose ma sta scritto: «Da’ consigli al saggio e diventerà ancora più saggio» (Pro 9,9).Il Dio della pace vi conceda la grazia e lo spirito di sapienza perché intendiate le cose che scrive: sono comandamenti del Signore. Il Dio di ogni grazia vi custodisca santi nel Signore fino alla vetta dell’ascensione spirituale. Io prego sempre Dio per la vostra salvezza, miei cari nel Signore, e «la grazia del Signore Gesù Cristo sia con tutti voi» (2Cor 13,13). Amen.

Sesta lettera

Page 350: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

350

1. L’essere razionale che si è preparato ad essere libero per l’avvento di Gesù, conosce se stesso secondo la propria natura spirituale. Chi conosce se stesso, conosce il disegno di salvezza del Creatore e quanto egli compie per le sue creature. Miei cari nel Signore, nostre membra e coeredi dei santi, nel nome di Gesù Cristo prego Dio perché vi conceda il dono dello spirito di sapienza per discernere e conoscere tutto l’amore che nutro per voi. Non è un amore della carne, ma dello Spirito, opera di Dio. Non è necessario che io vi scriva i vostri nomi secondo la carne perché essi sono corruttibili; quando un uomo ha conosciuto il suo vero nome, conoscerà allora anche il nome di verità. Per questo anche Giacobbe (Gn 32,23-31), quando lottò una notte intera con un angelo, conservò il nome di Giacobbe, ma quando spuntò la luce, ebbe il nome di Israele. Il senso di questo nome è spirito che vede Dio.Penso che non ignoriate che nemici del bene meditano sempre il male contro la verità. Per questo motivo Dio non ha visitato le sue creature una sola volta, ma fin da principio alcuni per mezzo della legge dell’alleanza si sono preparati a venire dal loro Creatore. Da essa sono stati istruiti sul modo di adorarlo. La legge dell’alleanza si è inaridita per la sua grande debolezza, per la pesantezza del corpo, per le cattive preoccupazioni e le attività dell’anima si sono fiaccate. Non era possibile il ritorno al primitivo stato della creazione. E poiché la natura è immortale e non si distrugge insieme col corpo, non può essere liberata per i meriti della giustizia; per questa ragione Dio, nella sua bontà, sì è mosso a compassione di lei, e mediante la legge scritta, le ha insegnato come adorare Dio. Dio è uno e la natura spirituale poggia sull’unità. Vi sia ben chiaro questo, miei cari: dove non c’è concordia, la guerra è in agguato.

2. Il Creatore vide la gravità della ferita umana e che era necessaria l’opera del medico. Gesù stesso, Creatore degli uomini, è il medico che li ha guariti, ma ha mandato davanti a sé dei precursori. Mosè che ci ha dato la legge, non avremo timore di affermarlo, è stato uno dei suoi profeti. Lo Spirito che era con Mosè aiutò pure l’assemblea dei santi: tutti hanno pregato Dio perché inviasse il suo Figlio unigenito. Pure Giovanni è uno dei suoi profeti; per questo è scritto: «la Legge e i profeti fino a Giovanni» (Lc 16,16) e «il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono» (Mt 11,12). Coloro che erano rivestiti di Spirito videro che nessuna fra le creature poteva sanare la profonda ferita, ma soltanto la bontà del Padre, cioè il suo Figlio unigenito che il Padre ha mandato come Salvatore di tutta l’umanità. Egli è il grande medico che può sanare la grande ferita. Perciò pregarono Dio e la sua bontà.

3. Il Padre delle creature per la salvezza di noi tutti «non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi» (Rm 8,32). Le nostre iniquità lo hanno umiliato, ma «per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). Con la potenza della sua parola ci ha radunati da tutte le nazioni, da un con-fine all’altro del mondo, ha fatto risorgere dalla terra, i nostri cuori e ci ha insegnato che siamo membra gli uni degli altri. Vi prego, miei cari nel Signore, di capire che queste cose che vi ho scritto sono comandamenti di Dio. Dobbiamo capire la condizione che Gesù ha assunto per noi: si è fatto simile a noi in tutto, «escluso il peccato» (Eb 4,15).Dobbiamo pure accettare di essere liberati con la sua venuta. Egli infatti è venuto per farci sapienti con la sua stoltezza, per farci ricchi con la sua povertà, per consolarci con la sua debolezza, per dare a noi tutti la risurrezione e annientare colui che aveva il potere sulla morte. Allora cesseremo di invocare Gesù secondo la carne perché la sua venuta ci sorregge nel retto servizio fino a distruggere le nostre iniquità. Allora Gesù ci dirà: «Vi ho chiamati amici» (Gv 15,15) e non più servi. Quando gli apostoli giunsero ad accogliere lo spirito di figli, allora lo Spirito Santo insegnò loro ad adorare il Padre in modo conveniente.A me, povero e maledetto di Cristo, l’età cui sono giunto mi ha portato gioia, gemito e pianto.

Page 351: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

351

Infatti molti della nostra generazione hanno indossato la veste di Dio, ma hanno negato la sua potenza. Quelli che si sono preparati ad essere liberati per l’avvento di Gesù, mi arrecano gioia. Ma quelli che trafficano sul nome di Gesù e fanno la volontà del proprio cuore e del proprio corpo, mi arrecano afflizione. Io piango su coloro che hanno considerato la lunghezza del tempo, si sono scoraggiati, si sono privati della veste di Dio e sono diventati simili a bestie. Sappiate che per uomini simili la venuta di Gesù è grande condanna. Ma voi, miei cari nel Signore, sappiate conoscere voi stessi e discernere i tempi e preparatevi ad offrirvi come vittime gradite a Dio.

4. Io scrivo a voi «come a persone intelligenti» (1Cor 10,15) perché voi siete capaci di capire voi stessi. Voi sapete che chi conosce se stesso, conosce Dio è il suo disegno di salvezza per le sue creature. Vi sia ben chiaro che l’amore che nutro per voi non è carnale, ma spirituale, opera di Dio che «è tremendo nell’assemblea dei santi, grande e terribile tra quanti lo circondano» (Sal 88,8). Finché abbiamo degli intercessori presso Dio, preparatevi ad offrire ai vostri cuori quel fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra (Lc 12,49). Esercitate i vostri cuori e i vostri sensi a discernere il bene dal male, la destra dalla sinistra, la saldezza dalla debolezza. Gesù sapeva che la materia di questo mondo è in potere del diavolo. Perciò chiamò i suoi discepoli e disse loro: «Non accumulatevi tesori sulla terra. Non affannatevi per il domani perché il domani avrà già le sue inquietudini» (Mt 6,19.34). In verità, miei cari, il timoniere di una nave si vanta quando i venti sono calmi, ma la perizia del timoniere si vede quando soffiano venti violenti e contrari. Cercate ora di capire il tempo nel quale siamo giunti. Se dovessi parlarvi dettagliatamente della libertà, dovrei aggiungere molte altre cose ma «Da’ consigli al saggio e diventerà ancora più saggio» (Pro 9,9). Vi saluto, cari figli nel Signore, «piccoli e grandi» (At 8,10). Amen.

Settima lettera

1. Antonio vi saluta nel Signore, cari fratelli. Gioite! Non mi stancherò di ricordarmi di voi, membri di questa chiesa cattolica. Voglio che sappiate che l’amore che nutro per voi non è carnale, ma spirituale, opera di Dio. L’amore carnale, infatti, è debole, instabile, sconvolto da venti estranei. Tutti quelli che temono Dio e osservano i suoi comandamenti, sono servi di Dio; non c’è ancora perfezione in questo servizio ma giustizia che conduce allo spirito di figli. Per questo anche i profeti, gli apostoli e tutta l’assemblea dei santi, quelli che sono stati eletti da Dio e ai quali è affidata la predicazione apostolica, furono incatenati da Gesù Cristo per la bontà del Padre. Dice infatti l’apostolo Paolo: «Io Paolo, il prigioniero di Cristo» (Ef 3,1).La legge scritta vi sorregga in questo buon servizio fino a che siamo in grado di vincere tutte le passioni del corpo e di raggiungere la perfezione nella virtù secondo l’insegnamento apostolico. A chi è vicino a ricevere la grazia Gesù dirà: «Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15).Quelli che si sono avvicinati alla grazia e sono stati istruiti dallo Spirito Santo, hanno conosciuto la loro natura spirituale. Perciò Paolo dice loro: «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre”» (Rm 8,15). Così riconoscono il dono che hanno ricevuto da Dio. Noi infatti «siamo figli, eredi di Dio, coeredi di Cristo» (Rm 8,17).

2. Fratelli cari, voi siete partecipi dell’eredità dei santi e tutte le virtù vi appartengono, sono vostre. Non vi lasciate contaminare dalla vita secondo la carne, ma siate sempre presenti davanti a Dio: «La

Page 352: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

352

sapienza non entra in un’anima che opera il male né abita in un corpo schiavo del peccato. Il santo spirito, che ammaestra, rifugge dalla finzione» (Sap 1,4-5). In verità, miei cari, scrivo a voi «come a persone intelligenti» (1Cor 10,15). Voi siete capaci di conoscere voi stessi e chi conosce se stesso conosce Dio, e chi ha conosciuto Dio deve adorarlo in modo conveniente. Miei cari nel Signore, conoscete voi stessi. Chi infatti ha conosciuto se stesso, conosce anche il tempo in cui vive; e chi ha imparato a conoscere il tempo, resta ben saldo e non si lascia deviare da insegnamenti diversi.Circa Ario che in Alessandria levò la sua voce per sostenere dottrine estranee all’Unigenito po-nendo un tempo a colui che è fuori del tempo e un limite, come a una creatura, a colui che non ha limiti e un movimento a chi è fuori del movimento, io dico queste parole: «Se un uomo pecca contro un altro uomo, Dio potrà intervenire in suo favore, ma se l’uomo pecca contro il Signore, chi potrà intercedere per lui?» (1Sam 2,25). Quest’uomo si è accinto ad una grande impresa, ma la sua ferita è incurabile. Se costui avesse conosciuto se stesso, la sua lingua non avrebbe detto cose che ignorava. Ma per quel che è accaduto, è evidente che egli non ha conosciuto se stesso.

Ottava lettera(A Teodoro)

Antonio saluta nel Signore il diletto figlio Teodoro!Sapevo che Dio non avrebbe fatto alcuna cosa se non per rivelare ai profeti suoi servi la sua sal -vifica dottrina. Credevo perciò di non doverti manifestare quanto il Signore da tempo mi aveva rivelato. Ma, dopo che ho visto i tuoi confratelli che erano con Teofilo e con Copre, ho ritenuto di comunicarti la rivelazione: molti di coloro che adorano il Cristo secondo verità peccano anche dopo essere stati battezzati, e questo accade un po’ da per tutto. Ma se implorano la misericordia divina e con animo contrito si pentono, il Signore cancella tutti i loro peccati. Nel giorno in cui questa mia lettera ti sarà consegnata, leggila dunque ai tuoi confratelli perché essi ne possano trarre giovamento. Salutali da parte mia, così come i miei salutano te. Ti auguro ogni bene nel Signore.

Santa Madre Teodora del Deserto

Page 353: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

353

DETTI1. La madre Teodora chiese un giorno al papa Teofilo che cosa significhi la parola dell’Apostolo: riscattando il tempo. Egli le disse: «L’espressione indica il guadagno. Per esempio: c’è un tempo in cui sei offesa? Compra il tempo dell’offesa con l’umiltà e la pazienza e traine guadagno. È tempo di ingiuria? Con la rassegnazione compra il tempo e guadagna; se ti accusano ingiustamente, traine guadagno con la sopportazione e la speranza. Così tutte le avversità, se vogliamo, diventano guadagno per noi».

2. La madre Teodora disse: «Lottate per entrare attraverso la porta stretta. È come per gli alberi: se non passano attraverso gli inverni e le piogge, non possono dare frutti. Così anche per noi, il secolo presente è l’inverno. Soltanto attraverso molte sofferenze e tentazioni possiamo diventare eredi del regno dei cieli»

3. Disse ancora: «È cosa buona cercare l’unione con Dio nella quiete, l’uomo saggio persegue questa quiete. È cosa grande per una vergine o per un monaco, soprattutto per i giovani. Ma sappi che, appena la cerchiamo, il Maligno viene subito ad appesantire l’anima con l’accidia, lo sconforto, i pensieri. E appesantisce anche il corpo con infermità, debolezza, rilassamento delle ginocchia e di tutte le membra, e toglie la forza dell’anima e del corpo. – Sono malato, non posso andare alla liturgia, diciamo. Ma se siamo vigilanti, tutte queste cose scompaiono. Vi era un monaco che era colto da febbre, brividi e dolori di capo quando voleva andare alla liturgia; e così diceva a se stesso: – Ecco, sono malato, e una di queste volte muoio. Ebbene, mi alzerò prima di morire per recarmi alla liturgia! Con questo pensiero si faceva forza e andava alla liturgia. Così finiva la liturgia e finiva anche la febbre. Più volte questo fratello resistette, ripetendosi questo pensiero e recandosi alla liturgia. E vinse il Maligno».

4. La madre Teodora disse anche: «Una volta una persona pia fu insultata da un tale, e gli disse: – Potrei anch’io risponderti cose simili, ma la legge di Dio mi chiude la bocca». Diceva anche che un

Page 354: ortodossooccidentale.altervista.orgortodossooccidentale.altervista.org/alterpages/files/An... · Web viewQuindi ogni sua parte ha diversa ubicazione. L'anima al contrario è tutta

354

cristiano, discutendo con un manicheo riguardo al corpo, gli aveva detto: «Da’ una legge al tuo corpo, e vedrai che il corpo appartiene al Creatore» .

5. Disse ancora, che chi insegna deve ignorare l’amore del potere e la vanagloria. Deve essere estraneo alla superbia, non deve lasciarsi ingannare dalle adulazioni né accecare dai regali, non deve farsi vincere dalla gola né dominare dall’ira. Ma deve essere longanime, mite, soprattutto umile, provato, paziente, sollecito e amante delle anime.

6. La stessa disse ancora che né l’ascesi né le veglie né la fatica salvano, ma soltanto l’umiltà sincera. C’era infatti un anacoreta che cacciava i demoni, e chiese loro: «Che cosa vi fa uscire? Il digiuno?». Dissero: «Noi non mangiamo né beviamo». «Le veglie?». «Noi non dormiamo». «La solitudine?». Dissero: «Noi viviamo nei deserti!». «Ma allora, che cosa vi caccia?». Dissero allora: «Nulla ci vince se non l’umiltà». «Vedi che l’umiltà è il mezzo per vincere i demoni?»

7. Disse ancora la madre Teodora, che c’era un monaco il quale, a causa di molte tentazioni, disse: «Me ne vado di qui!». E mentre stava legandosi i sandali, vide un altro uomo che faceva altrettanto e che gli disse: «Te ne vai forse per causa mia? Guarda, io ti precedo dovunque tu vada».

8. Ella fu interrogata sul problema delle cose che si sentono dire: «Come è possibile, ascoltando abitualmente discorsi mondani e volgari, essere per Dio solo come tu hai detto?». Ed ella dice: «Come quando siedi a tavola e vi sono molti cibi prelibati, e tu ne prendi sì, ma non volentieri, allo stesso modo, anche se giungono alle tue orecchie dei discorsi mondani, tieni il cuore rivolto a Dio e in questa disposizione non li ascolterai volentieri e non ti danneggeranno».

9. Raccontò di un altro monaco il quale fu provato nel corpo da rogna e da grande quantità di pidocchi. E proveniva da famiglia ricca. E i demoni gli dicevano: «Tu sopporti di vivere così, producendo vermi?». Ma per la sua tolleranza egli vinse.

10. Uno degli anziani interrogò la madre Teodora: «Alla risurrezione dei morti come risorgeremo?». Ella disse: «Abbiamo come pegno e come esempio e come primizia colui che per noi è morto e risorto, Cristo Dio nostro».