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INTORNO ALLE COSE - diario avariato - Di Alphonse Doria VI Guardavo l’esito del termometro come una sentenza che implacabile arrivava: 38 e mezzo! costringendomi a quella degenza inopportuna. Stava passando così il secondo giorno, vedevo la luce dalla finestra che imbruniva, rattristandomi profondamente, mi sentivo solo e impotente al mio destino. Più passava il tempo meno erano le possibilità di rincontrare lei. Pensavo a quel suo nome Speranza, sicuramente sarà un nome di famiglia, ma in quel preciso momento assumeva una

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INTORNO ALLE COSE- diario avariato -

DiAlphonse Doria

VI

Guardavo l’esito del termometro come una sentenza che implacabile arrivava: 38 e mezzo! costringendomi a quella degenza inopportuna. Stava passando così il secondo giorno, vedevo la luce dalla finestra che imbruniva, rattristandomi profondamente, mi sentivo solo e impotente al mio destino. Più passava il tempo meno erano le possibilità di rincontrare lei. Pensavo a quel suo nome Speranza, sicuramente sarà un nome di famiglia, ma in quel preciso momento assumeva una valenza diversa, dava un tocco di mistero a quell’incontro. Mi ripetevo dentro me che il mistero è solo una verità da conoscere e dentro una verità ve ne sono altre ancor più profonde, così all’infinito, sta all’uomo e al suo cammino, andare avanti. Poi mi scrollavo da dosso tutti questi assiomi che ancor più mi rabbrividivano, perché mi ponevano sempre più solo al mondo racchiuso in quella stanza, alieno ad ogni cosa, quasi …

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Sentivo dei passi lenti, scendevano uno dopo l’altro, erano loro. Bussarono, delicatamente, entrò lei con un pentolino e un piatto:

-T’ho portato un po’ di brodo, come va?

Di seguito entrò il marito silenzioso, ma con un viso da orso Baloo, sistemò sul tavolo il tovagliolo, il piatto le posate, versò il brodo.

-Ce la fai ad alzarti? Se vuoi ti imbocco io, non essere timido con me!

-Ce la faccio, siete molto gentili, grazie!

-Tua madre ha telefonato, le ho detto una bugia, che eri fuori, come ti senti magari le fai una telefonata.

-Si, meglio così. Ha fatto bene, quella è capace precipitarsi qui in un istante! Subito si mette in apprensione per niente.

-Hai preso un bel raffreddore, devi mangiare, hai bisogno di forza per le medicine che ti ha prescritto il dottore.

Il signore Antonio era ancora silenzioso, rattristito, vedermi abbattuto lì sul cuscino gli suscitava qualcosa che andava oltre me. Ero malconcio, abbattuto, non mi sentivo le forze, ma per farli contenti con tutta l’energia e la volontà mi sono alzato, era il minimo che potevo fare. Con premura la signora Rosa, prese una coperta dall’armadio e me la pose sulle spalle, mentre il signore Antonio mi guidò sostenendomi verso la sedia. Mangiai lentamente, quel brodo era gustoso, vi era della carne di pollo e qualche foglia di prezzemolo, dopo ho saputo che non era pollo ma carne di piccione giovane. Fu quando il signore Antonio mi spiegò che quella carne mi avrebbe aiutato a guarire per le sue virtù e proteine.

- prima tutti i signori avevano le loro colombaie, e i loro monsù facevano delle vere e proprie prelibatezze.- Aggiunse lei.

Dopo un po’ incominciai a sentirmi meglio, più rinfrancato, mi andai subito a coricare, lei mi fece una iniezione, di non so cosa, mentre lui si è seduto accanto, era pronto a dirmi qualcosa, esitava, non ero così in

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forza da poterlo spingere a sbottonarsi. Quando poi mi sono ripreso mi sono tornati alla mente questi momenti e incominciai ad indagare.

Si, quella stanza aveva racchiuso in se un segreto, un ricordo che stava affiorando. Intorno alle cose di quella stanza io avevo suscitato l’anamnesi di un loro preciso momento di vita rimasto indelebile.

Tutt’e due, sempre con descrizione non mi abbandonarono nella solitudine, capivano la mia tristezza e a volte diventava disperazione, allora cercavano di distrarmi, ma in punta di piedi. La signora Rosa era ormai in pensione, mi ha parlato, tanto per distrarmi, della sua vita. Era un suo modo di aprirsi e farmi aprire per conoscerci, visto che non avevo dato loro questa possibilità fin’ora, scambiando solo parole formali.

Così mi ha raccontato che ha lavorato come infermiera, in ospedale, mentre il signore Antonio come imbianchino, quelli di un tempo con la pompa, per abitazioni modeste. Ora si stavano godendo la pensione e qualche risparmio. La camera l’affittavano per avere qualche presenza giovane nella loro casa, un diversivo, un po’ di vita. La signora Rosa era una persona molto sensibile, percepiva le mie ansie, mentre il signore Antonio era più silenzioso, ma il suo volto esprimeva ancor più di mille discorsi. Da quando mi ero ammalato avevano proprio cambiato modo di rapportarsi, di guardarmi, ero entrato a fare parte della loro intimità.

Lei mi rassicurava che sarei guarito immediatamente, però dovevo stare calmo.

-Devi trovare la tua armonia, nulla è più importante di te, in questo preciso momento, per questo non mi piace vederti abbattuto, poi alla tua età … Capisco che fuori di qui magari ci sarà una lei e ti mette in ansia non incontrarla.

Aveva ragione, era così, era questo che non mi faceva concentrare su di me, lei, tanto da domandarmi se questa volta era amore e se questo era l’amore che tanto è stato discusso da letterati, artisti e canzonettari di sempre e che io ho deriso.

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Quando rimasi solo, tra gli bollori della mia pelle e i brividi di freddo che tre coperte addosso non riuscivano ad attutire, nonostante la medicina, la mia mente incominciò ad andare libera, tra riflessioni e fantasie.

Pensavo la prima volta che andai via dal mio paese, per un viaggio di quindici giorni, quando tornai mi ero accorto con sorpresa e dispiacere, che tutto procedeva senza di me, sia in casa mia, sia tra i miei amici, anzi molti non si accorsero nemmeno della mia mancanza. Quando andai al bar e trovai la mia solita compagnia presa alla solita partita a carte, li salutai, loro risposero, nessuno mi chiese niente, anzi Carmelo mi disse di stare in silenzio che il momento era grave, perché quella mano decideva chi doveva pagare le granulose. “Il mondo gira lo stesso anche senza di te!” Questo mi sono detto quel giorno.

Provai a chiamare a telefono Teresa, la madre mi rispose che non c’era. Dov’era? Dopo scoprii che si era fidanzata con uno più grande di lei, una cosa seria. La nostra storia era stata un gioco sia per lei che per me, anche se avevo ancora stampate le sue labbra sulle mie per quel primo bacio, e provai una rabbia che sbollii iniziando a fumare, per fortuna ho smesso subito. Ma il mondo girava lo stesso anche senza di me. Mi concentrai su questo, sulla mia solitudine, la bellezza del proprio silenzio, dei propri pensieri, riflessioni, analisi, insomma mi appassionai alla lettura, a scavare dentro le parole, i modi di dire, a cercare di demolire le verità erette a tempio dalla gente che mi stava attorno.

Ho creduto di abbattere l’amore tra due persone come se quella fosse una verità. Ma né quello mio era stato amore, né l’amore tra due individui è una verità. E’ solo un momento, un innamoramento, esiste finché dura, finché si alimenta, poi diventa qualcos’altro da gestire diversamente, perciò demolivo solo qualcosa che non era. Ma i miei discorsi che svuotavano di significato l’amore e le conseguenze relazionali colpivano e divertivano i miei amici.

Tanto è che per disprezzo di questo sentimento giocai con relazioni espressamente svuotate da qualsiasi valore, solo un corpo che cerca un altro, così ora all’università, attratto da qualche lei, lontana da suo piccolo

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centro, si sentiva libera e disinibita, pertanto abbastanza consenziente e predisposta. Questo era il mio andare alla Casa dello Studente.

Ora mi trovavo con questo nuovo sentimento per Speranza che mi spiazzava, eppure sapevo che non poteva essere ciò che non esiste. Allora perché, anche se non riuscivo a comporre il suo volto nella sua interezza non potevo dimenticare la forma sinuosa delle sue labbra? Non potevo dimenticare il suo parlare veloce leggermente roco? Quel suo profumo che invadeva la mia mente come una nebbia, non permettendomi così di vedere con lucentezza i miei pensieri, quelli di sempre?

Maledetta febbre, maledetto termometro!

Mi arrivava sommesso il parlottare della televisione e una sirena per le strade di quella città, tutto mi bolliva in testa, mentre scorgevo dalla finestra quella notte dal cielo limpido, pulito, che permetteva quello scorcio di luna, tanto bastava a tenermi compagnia, dove fuggire lontano per sotterrare lassù le mie paure per i giorni futuri e le mie ansie germogliate da quelli di ieri, solo con quei rumori lontani di un mondo che girava anche senza di me, mi abbandonai definitivamente ad un sonno giusto.