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cabl@grammi N° 4 - 2016 Intervista a Manuele Bertoli Taciturno Viagggio negli USA (New York)

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N° 4 - 2016

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Editoriale 3

Il Cabla si racconta 4Visita presso la sede Schindler di LocarnoVisita all’inceneritore dei rifiuti cantonaliIl segretariato della Fondazione DiamanteGuardando avantiIl mio viaggio personale

Fuori dal Cabla 14Intervista a S. Rossi e D. Lilla, scuole medie VaresiIl mio primo stage all’esterno

Zona VIP 17Intervista a Manuele Bertoli

Note di vita 22I nostri caniIl Karate ShotokanLa mia vita in appartamento DGiovanni Martinelli lo sport nel cuore e nell’animaAllenamenti di nuoto SISL LocarnoTaciturno

AppassionARTI 31Viaggio negli USA (New York)LIBRarsIPoesie di Pasquale D.

Webside 39

Sommario

Il nome della nostra rivista si rifà da un lato alla parola «cablogrammi», i dispacci tele-grafici d’altri tempi trasmessi per mezzo di cavi elettrici sottomarini, questo per simbo-leggiare il desiderio di comunicare tra il nostro mondo di diversamente abili e il mondo inteso come società tutta, anche se le distanze sembrano, di primo acchito, molto grandi, oceaniche appunto.Ma la “o” di cablogrammi si trasforma magicamente in “@”, il simbolo per eccellenza della moderna comunicazione globale tramite internet, ad indicare che le distanze di comu-nicazione nella nostra società postmoderna dell’informazione non esistono più e, quindi, esprimendo il desiderio di un intenso dialogo tra utenti, operatori, famiglie, società tutta.Infine, leggendo il titolo, compare già all’inizio, in modo del tutto naturale, il nome del no-stro laboratorio CABLA della Fondazione Diamante, dove è nata quest’idea di comunicare con la presente rivista.

Roberto C.

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Questo numero della nostra rivista è dedicato al cambia-mento. Cambiamento a livello della organizzazione delle rubri-che, della grafica generale, del programma utilizzato per l’impaginazione. Ci sem-brava interessante quindi dedicarlo a questo tema che tanto attira e impaurisce la maggior parte di noi. Non abbiamo, la pretesa di ap-profondire questo concet-to che meriterebbe ben più di un editoriale per essere sviluppato, ma speriamo di lanciarvi qualche spunto di riflessione.Cosa ci spinge a voler cam-biare o no?Si cambia per necessità, per sano istinto di soprav-vivenza, quando si sta male

o quando si desidera rag-giungere un obiettivo che ci sta a cuore. Non si cambia “tanto per cambiare” perchè l’essere umano è attaccato alle sue rassicuranti abitu-dini. Però in realtà, tutti noi siamo in continuo cambia-mento, mutamento: mentre sto scrivendo questo testo le mie cellule si stanno ri-generando; alcune muoiono ed altre nascono. Forse è anche questo che ci intimo-risce del cambiamento; que-sto continuo ciclo di morte e rinascita, che appartiene ad ogni essere vivente. La vita è comunque, che lo vogliamo o no, cambiamento!Per quel che riguarda la no-stra rivista, che è in conti-nua evoluzione e mutazione, così come i nostri progetti

di vita, abbiamo sentito il bisogno di migliorarci, un po’ per desiderio e un po’ per necessità: di semplificarci la vita, di cambiare alcuni aspetti, soprattutto nella sua forma. Questo cambia-mento è stato discusso e condiviso, come sempre nel nostro progetto, e ha dato vita a questo nuovo numero che ci sembra comunque fe-dele alle sue radici ma inno-vativo nel suo look.

Cosa ne pensate?

Saremmo felici di leggere i vostri commenti inviati a: [email protected]

Buona lettura

Nora C.coordinatrice cabl@grammi

Editoriale

Quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento

-Proverbio cinese-

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Noi utenti del la-boratorio Cabla il 21 ottobre scor-so ci siamo reca-ti alla Schindler di Locarno, una delle ditte con la quale colla-boriamo da anni svolgendo dei la-vori di cablaggio. Alcuni lavori ri-guardano la preparazione di sacchetti, da noi confezio-nati, contenenti il materiale, usato dalla Schindler per, montaggi.

Durante la visita abbiamo vi-sto dove vengono utilizzati i prodotti che noi solitamente produciamo per loro. Abbia-mo visitato diversi reparti nei quali vengono assembla-ti i quadri di comando degli ascensori, delle scale mobili e dei tapis roulants. La visi-ta ci ha coinvolti perchè tut-ti eravamo curiosi di capire dove finivano i lavori che noi svolgiamo per loro al Cabla. Siamo stati loro ospiti e ci hanno mostrato un documen-tario con il quale ci spiegava-no le loro produzioni in diver-si luoghi del mondo, essendo la Schindler una multinazio-nale di fama mondiale.

Abbiamo seguito un percor-so didattico studiato per mostrarci la produzione e lo sviluppo di varie parti che compongono gli ascensori e

gli altri prodotti dell’a-zienda. Molto interes-sante il passaggio che abbiamo fatto alla tor-re di controllo dove si collaudano i vari tipi di componenti e all’inter-no della quale vengono eseguiti i test e le si-mulazioni in tempo re-ale dei nuovi prototipi di ascensori, prima di essere introdotti nel

ciclo produttivo.Siamo stati accompagnati da

un tecnico specializzato il quale, viste le sue competen-ze in materia, oltre ad aver illustrato con molta profes-sionalità ciò che ci interes-sava, su é reso disponibile a rispondere alle nostre do-mande.Tra l’altro, la visita ci è ser-vita per migliorare la nostra conoscenza delle collabora-zioni che svolgiamo per la ditta Schindler.

Enza C.Michel B.Antonio L.

Visita presso la sede Schindler di Locarno

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Nella primavera del 2015, noi del Cabla, a gruppetti, siamo andati a visitare l’in-ceneritore dei rifiuti can-tonali ubicato a Giubiasco (ICTR). Siamo andati a Giubiasco con i furgoncini della nostra

Fondazione.L’inceneritore è un impianto utilizzato per lo smaltimento dei rifiuti non riciclabili, me-diante un processo di com-bustione ad alta temperatu-ra che dà come prodotti di rifiuto, gas, ceneri e polveri. È un impianto che si chiama anche termovalorizzatore, perché raduna tutti i rifiuti delle economie domestiche, cioè di tutte le famiglie, ol-tre ai residui della depura-zione delle acque del Canton Ticino e Moesano e li brucia per eliminarli.I lavori per costruirlo sono iniziati nel 2006 e si sono conclusi nel 2010. Il termo-valorizzatore è attivo 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno. L’impianto Cantonale di Ter-

movalorizzazione dei rifiuti (ICTR) può essere conside-rato uno degli impianti più moderni d’Europa. Durante la notte, il fine settimana e i giorni festivi sono presen-ti 3 addetti responsabili del buon funzionamento dell’im-

pianto. Il catalizzatore ridu-ce gli ossidi d’azoto (NOx) e ossida le diossine e i furani. Grazie all’immissione di am-moniaca (NH3), i fumi e gli NOx vengono trasformati in azoto N2 e vapore acqueo (H2O). Quando siamo arrivati al termovalorizzatore ci han-no fatto vedere un filmato sui rifiuti, su come venivano separati e riciclati. Dopo ci hanno regalato dei sacchi in stoffa per fare la spesa, poi ci hanno fatto fare un giro orientativo mostrandoci an-che la benna con una mac-china a forma di polipo per prendere i rifiuti e portarli nel forno per bruciarli. La macchina a forma di polipo veniva controllata da un ad-

detto in una cabina. Il forno era molto grande e all’inter-no c’era del fuoco che ci ha impressionato.In Europa ci sono più di 350 impianti di questo tipo. In Olanda sorgono alcuni fra i piu’ grandi inceneritori d’Eu-

ropa, che permetto-no di smaltire, cioè di eliminare fino a un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti all’anno. A Brescia c’è il termovalorizzatore più grande d’Europa che nel 2006 è sta-to proclamato miglior impianto del mondo da un’associazione di esperti tecnici, di scienziati e di indu-strie di tutto il mon-do. Nella provincia di Milano c’è invece uno

dei più moderni.Negli impianti più moderni il calore sviluppato durante la combustione dei rifiuti vie-

Visita all’inceneritore dei rifiuti cantonali

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ne riutilizzato per produrre energia elettrica, o calore per il teleriscaldamento, cioè per il riscaldamento delle case delle famiglie.

Però il rendimento di tali im-pianti è molto minore rispet-to a quello di una normale centrale elettrica e solo una piccola minoranza è collega-

ta a sistemi di riscal-d a m e n t o , e pertanto viene recu-perata solo l’elettrici-tà.I f u m i dell’incene-ritore, non sono noci-vi agli abi-tanti che vivono nei

pressi. Infatti uno studio effettuato in Gran Breta-gna afferma che il rischio di contrarre il cancro è estre-mamente basso, anche se in Italia per legge tali impianti devono essere tenuti lontani dai centri abitati. Alla fine della visita siamo ri-masti contenti e ringraziamo il Cabla per aver organizzato una gita a scopo culturale ed ambientale.

Eric S.Maurizio B.Pasquale D.

https://it.wikipedia.org/wiki/inceneritorewww.aziendarifiuti.ch

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Una parte degli utenti del Cabla si è recata con il pul-mino a Manno per visitare la nuova sede del segretariato FD, con l’intento di cono-scerne il funzionamento e le persone che ci lavorano e con le quali a volte dialoghia-mo al telefono.La sede del segretariato FD è situata nella zona indu-striale di Manno ed è facil-mente raggiungibile sia con i mezzi pubblici sia con quelli privati.Siamo stati accolti caloro-samente dal responsabile amministrativo, che ha pure precisato con piacere che è la prima volta che un grup-po di una struttura della FD rende visita al segretariato.La sede del segretariato è grande e composta di vari locali: ricezione, ufficio con-tabilità, uffici della dire-

zione, archivio, sala pausa e una grande sala conferenza. Durante la visita abbiamo vi-sionato assieme alle persone che lavorano al segretariato, delle diapositive con infor-mazioni sull’organizzazione della Fondazione Diamante.L’organigramma mostra che la FD é suddivisa in 13 la-boratori, 4 foyer e 5 nego-zi. Poi ci hanno fatto notare che in 10 anni sia i collabora-tori che gli utenti sono in co-stante crescita e raggiunge-vano a fine 2014 le cifre di 194 collaboratori (+22% ri-spetto al 2004) e 602 uten-ti (+31%). Gli utenti sono sia in laboratori, sia in foyer come pure esterni, seguiti tramite sostegno abitativo e/o inserimenti lavorativi. Il segretariato è composto da un responsabile ammini-strativo, con 4 sezioni: con-

tabilità, personale, utenti e segreteria, per un totale di 8 persone per una percen-tuale lavorativa del 650%. In particolare per la con-tabilità abbiamo saputo che vengono fatte 19 differenti contabilità per le strutture della FD con circa 5000 fat-ture annue ricevute e circa 4000 fatture annue emesse. Un altro importante compito del segretariato è quello di gestire i contratti di lavoro, i salari e le assenze del per-sonale e degli utenti.Dopo la presentazione ab-biamo fatto visita nei vari locali per conoscere le per-sone che vi lavorano e le mansioni che vi svolgono quotidianamente. Alla fine della visita abbiamo potuto gustare tutti assieme una buona merenda.Ci è piaciuto particolarmen-

Il segretariato della Fondazione Diamante

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te capire come funziona l’amministrazione della FD di cui prima non sapevamo molto. Ad esempio, la ge-stione delle fatture che ci ha permesso di meglio com-prendere come vengono am-ministrati i costi e i ricavi della FD. Si tratta di un pic-colo mondo con una grande mole di lavoro amministrati-

vo per gestire le schede del personale: gli operatori re-sponsabili e il segretariato scrivono ogni informazione del personale e gestiscono le schede vacanze, i certificati di malattia, ecc. È pure im-portante la gestione del bi-lancio economico della FD: si tratta di cifre molto grandi che ci hanno impressionato.

L’informazione ricevuta è stata abbondante e chiara e le persone che ci hanno ac-colto erano ben disposte a informarci.

Mirella F.Michel B.

Roberto C.

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In linea con il cambiamento grafico della rivista Cabl@grammi, vorrei presentarmi e raccontare parte del mio cammino e dei cambiamenti avvenuti che mi hanno por-tato al Laboratorio Cabla.Nato a Locarno nel 1983, dopo aver concluso la scuola obbligatoria e poi la Scuola di Diploma (ex. Propedeuti-ca), come parecchi ticinesi ho proseguito i miei studi oltralpe. Più precisamen-te all’EESP di Losanna dove ho conseguito il Bachelor in Animazione Socio-culturale e dove, tra scuola e alcu-ne esperienze lavorative in Foyer (Fondation Heben-E-zer) ho trascorso 6 anni. Trasferitomi poi nel Canton Friborgo con la mia com-pagna (Valentina), dove lei avrebbe seguito un Master in insegnamento speciale, ho avuto l’occasione di lavo-rare al centro d’animazione socio-culturale del quartie-re di Schoenberg. Conser-vo un bel ricordo di quei 4

anni passati sulle rive della Sarine, un lavoro ad una per-centuale veramente piccola (40%) ma che mi ha per-messo di sperimentarmi in diversi ambiti (soprattutto con i giovani e con le diver-se comunità straniere del quartiere). L’indotto econo-mico ridotto di quel posto di lavoro era compensato da parecchio tempo libero che mi ha permesso di dedicarmi al altre attività di mio gradi-

mento e di svolgere paralle-lamente altri lavori più ma-nuali. Per periodi più o meno brevi ho lavorato come me-tal costruttore, falegname e “tuttofare”; nonostante io non sia un professionista in nessuno di questi ambiti ho accumulato esperienze che mi sarebbero tornate utili. Alla fine del percorso for-mativo di Valentina ci siamo trovati ad un bivio, doveva-mo fare una scelta sul da farsi. Diverse possibilità ed idee ci sono passate per la testa, dopo lunga riflessione una ha preso il sopravven-to su tutte le altre, ovve-ro avevamo entrambi molta voglia di tornare in Ticino a vivere. Presa questa impor-tante decisione restava da definirne la modalità; la vo-glia di rientrare era tanta ma tornare senza un periodo di transizione ci sembrava un po’ brutale. È così che ha preso forma il progetto di un viaggio in Asia per fare una sorta di “cuscinetto” tra la

Guardando avanti

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nostra esperienza in Svizze-ra romanda e quella futura in un cantone che dal punto di vista lavorativo per noi era un’incognita. Abbiamo così deciso di lasciare tutto ed investire i nostri magri ri-sparmi in questa avventura. Siamo partiti il 6 di gennaio 2014 con in tasca un bigliet-to aereo di sola andata per Mumbay e abbiamo deposi-tato i nostri oggetti nel bun-ker di un amico. Si è tratta-to di un’esperienza davvero forte, arricchente e di cre-scita personale, un percorso di quasi un anno che ci ha portati prima sacco in spalla,

poi in bicicletta, dall’India fino alla nostra terra natia, il Ticino. Un percorso non pro-gettato che prendeva forma di giorno in giorno e che ci ha portati a visitare luoghi incantevoli e soprattutto grazie alla bicicletta anche luoghi forse poco accessibili altrimenti. Gli incontri fat-ti lungo il cammino ci hanno insegnato molte cose che nessuna scuola potrebbe ri-uscire a trasmettere tanto efficacemente. Abbiamo ri-cevuto delle grandi lezioni di tolleranza, d’accoglienza e di generosità nei nostri confronti, a tal punto che

a volte ci sentivamo quasi a disagio. Questa parentesi della nostra vita ha inesora-bilmente trovato una fine, un po’ perché le economie fatte non erano eterne, un po’ an-che perché una certa voglia di stabilità cominciava a pro-filarsi all’orizzonte.Non eravamo ancora su suo-lo elvetico che per una serie di circostanze favorevoli ho avuto un’offerta di lavoro al centro di registrazione per richiedenti d’asilo che veni-va ad aprire le sue porte a Losone. È così che alla fine di novembre 2014, siamo rien-trati in Svizzera e che pochi giorni più tardi mi sono tro-vato confrontato al mestie-re di “assistente” a me nuovo e sconosciuto. Mi è piaciu-to molto poter avvicinare il mondo della migrazione e potermi fare un’opinione da un angolo differente da quello che è spesso propo-sto dai media. Ho incontrato persone provenienti preva-lentemente dal continente africano e dal Medio Orien-te, persone che a differenza di me hanno dovuto affron-tare un viaggio lungo e dif-

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ficile non per scelta ma per necessità e che nonostante tutte le difficoltà attraver-sate hanno conservato una grande umanità. Dopo poco meno di un anno di lavoro al centro di Losone, ho visto un concorso per un posto di educatore al Labo-ratorio Cabla.Concorso che ho deciso di fare un po’ per sfida, per ve-dere se avessi avuto qualche possibilità di ottenere il la-voro, nonostante un’eviden-te mancanza d’esperienza e di continuità. A mia grande sorpresa sono stato ritenu-to come candidato e chia-mato per un colloquio. Dal momento che sto scrivendo

questo articolo per la rivi-sta cabl@grammi immagino che il colloquio non sia an-dato troppo male: una nuova sfida che ho accettato con entusiasmo. Un luogo dove ho trovato dei colleghi ca-paci, che mi hanno permesso di ritagliarmi il mio spazio e con i quali potrò crescere professionalmente. Un’uten-za variegata e stimolante che offre l’opportunità di sperimentarmi e confron-tarmi con i miei limiti, così da cercare di superarli ed evolvere. È davvero una bel-la opportunità che mi è sta-ta offerta e che cercherò di sfruttare al meglio.Per coronare il tutto all’ini-

zio di dicembre 2015 sono diventato padre di una pic-cola Medea. Per riprende-re un po’ il tema iniziale del cambiamento, mi sembra che di quelli che ho vissuto in questi ultimi anni, che si tratti in ambito lavorativo che personale, questo sia il più significativo.

Didier O.

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Sono Simonida e ho svolto un breve stage di tre settima-ne al laboratorio Cabla per mettermi le idee in chiaro su quali potevano essere le mie possibilità per il futuro.Durante questo periodo mi è stato chiesto se avessi pia-cere di scrivere un articolo per il Cabl@grammi (che tra l’altro trovo un progetto in-teressantissimo) ed ho ac-cettato con grande piacere.In queste due pagine vorrei raccontare chi sono, che cosa ho fatto nel passato, cosa mi ha portato ad essere qui oggi e quali sono i miei progetti futuri.Sono una ragazza di 21 anni con una passione per la fotografia le-gata alla passione per i viaggi. Amo infatti tantissimo viaggiare e laddove vado non per-do mai occasione per fare qualche scatto. Purtroppo per ora non ho ancora abbastanza soldi per fare gran-di viaggi, al momento mi accontento di visitare la Svizzera e alcuni paesi eu-ropei non troppo distanti da casa come Spagna, Francia, Germania e Italia.Nell’adolescenza ho avuto qualche problema nel tro-vare la mia strada, credo infatti che dopo le scuole dell’obbligo sia molto diffi-cile decidere ed avere ben in chiaro che cosa si voglia fare per il resto della vita, ho deciso di iscrivermi al Liceo Cantonale di Lugano:

credevo che avendo ancora quattro anni a disposizione avrei capito che cosa volevo fare da grande.Non è stato così, in seconda liceo il mio interesse per lo studio è calato tantissimo: volevo lavorare e guadagna-re il prima possibile per ave-re la mia indipendenza eco-nomica. Ho lasciato gli studi liceali per intraprendere il percor-so nella scuola commerciale

di Massagno, ma già dopo pochi mesi ho capito che il lavoro d’ufficio non faceva per me.Abbandonata anche quella scuola ho cercato un posto di lavoro in una casa per an-ziani: stare con le persone ed aiutarle era ciò che mi ri-usciva meglio!Ho trovato in poco tempo un posto di lavoro alla casa per anziani Opera Charitas a Massagno e a settembre dello stesso anno ho inizia-

to il mio apprendistato come operatrice sociosanitaria.Sono stati tre anni bellissimi e molto faticosi nello stesso momento.Seppur giovanissima, grazie a quell’esperienza, sono ma-turata tanto e ho acquisito una grande consapevolezza di quelli che sono i miei limiti e soprattutto le mie risorse. Sempre in quel periodo ho messo la testa a posto, ho capito che iniziare a lavora-

re con il solo scopo di guadagnare per po-ter fare quello che volevo non faceva per me; d’un tratto tut-to mi è stato chiaro: volevo continuare a studiare.Il diploma prima e la maturità professio-nale dopo sarebbero stati i miei primi tra-guardi.La mia motivazione non è mai stata così alta, dovevo solo ca-pire tra due strade qual era quella giusta per me: da un lato

avevo la possibilità di iscri-vermi alla Supsi per diven-tare educatrice e dall’altro la mia scelta ricadeva sulla facoltà di psicologia all’uni-versità.È proprio per questo motivo che sono venuta al Cabla per fare uno stage osservativo e capire effettivamente qual è il lavoro dell’educatore. Ho trovato questo stage utilis-simo per la mia scelta, sono giunta alla conclusione che i miei interessi lavorativi e

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soprattutto scolastici non corrispondono con il percor-so proposto dalla Supsi, ma si avvicinano maggiormente alla facoltà di psicologia.A parte questo devo dire che l’esperienza al Cabla è stata bellissima e molto sti-molante: ho conosciuto delle persone meravigliose sia tra gli utenti che tra gli educa-tori.A settembre quindi comin-cerò il mio nuovo percorso, prima di tutto dovrò fare l’anno passerella per otte-

nere la maturità federale la quale mi permetterà l’entra-ta all’Università, ancora non ho deciso dove studierò: Zu-rigo è la mia città preferita all’interno della Svizzera ma la lingua tedesca mi mette un po’ di paura, il francese invece mi piace molto di più come lingua ed è per questo che probabilmente sceglierò Friburgo o Losanna come de-stinazione degli studi!Con questo articolo vorrei in conclusione ringraziarvi di cuore per avermi accettata

con così tanto entusiasmo e gentilezza fin dal primo giorno che ho messo piede all’interno del laboratorio!Auguro a tutti voi un gran-dioso futuro perché ve lo meritate davvero e ricorda-te : la vita è un viaggio mera-viglioso, non lasciate che gli imprevisti vi impediscano di essere le persone che siete, ognuno prima o poi troverà il suo posto nel mondo.

Simonida S.

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Intervista incrociata a Stefano Rossi (aiuto-custode) e Dario Lilla (custode) alle scuole medie di Via Varesi

1. Parlateci un pò della vo-stra esperienza di inseri-mento lavorativo, come è nato questo progetto? Cosa fa Stefano?

Dario: Stefano ha frequen-tato le scuole medie in Via Varesi e, alla fine degli studi i suoi genitori hanno chie-sto se era possibile svolgere uno stage come aiuto custo-de. Volevano vedere come avrebbe reagito all’entrata nel mondo del lavoro. Visto che già conosceva l’ambien-te, ed era ben voluto da tut-ti, io ho accettato volentieri di accompagnarlo in questo inserimento lavorativo. Pas-sato l’anno di prova, abbiamo fatto un contratto indeter-minato. All’inizio Stefano non aveva una simpatia nei miei confronti e non mi ac-cettava. Poi quando ho as-sunto il posto del custode precedente che è andato in pensione, Stefano si è av-vicinato e si è creata una sintonia lavorativa. All’inizio Stefano non accettava di svolgere i vari compiti: assi-stenza alla direzione, ai do-centi, manutenzione interna ed esterna della scuola (la-vori di elettricità e altro),

giardinaggio e raccogliere la spazzatura. Ho dovuto quindi spiegargli quali erano questi compiti, la loro impor-tanza e utilità per la sede. Stefano ha iniziato lenta-mente ad accompagnarmi nei lavori e adesso svolge varie attività: utilizza macchinari come il soffiatore per le fo-glie in giardino e la macchina tagliaerba.

Inoltre Stefano fa le pulizie e si occupa delle fotocopie (ha imparato ad utilizzare la fotocopiatrice).

Stefano: Cambio i sacchi, apro e chiudo i cancelli del-la scuola, ho la mia chiave personale e tutte le mat-tine apro i cancelli. Faccio

le fotocopie, controllo se la macchina delle fotocopie ha la carta: se non c’è la carta la rimetto. Quan-do arrivano gli allievi col fo-glietto dei do-centi faccio le fotocopie che

desiderano.Tutto il giorno mi occupo di lavare, asciugare, stendere e piegare gli stracci delle signore che fanno le puli-zie. Abbiamo anche raccolto le foglie, tagliato l’erba con la nuova macchina piccola e sono migliore del Dario a ta-gliare l’erba in collina, tiro su le foglie.

2. Quali difficoltà avete riscontrato come le avete superate, chi vi ha soste-nuto?

Dario: da quando è qua, Ste-fano ha fatto una crescita professionale molto forte. Una volta rifiutava i lavori e invece adesso li fa in au-tomatico: questo è un gran successo sia per lui, che per me. Ogni tanto bisogna riprenderlo un po’, però si può tranquillamente contare su di lui. Anche durante una mia lunga assenza Stefano è riuscito a portare avanti i lavori in maniera autonoma.

Stefano: all’inizio è stato difficile, non ero abituato a lavorare. Ho un libro di la-voro dove scrivo quello che faccio, cosa imparo. Io all’i-nizio non volevo farlo il libro di lavoro.

3. Stefano cosa ti piace del tuo lavoro?

Il mio caro collega Dario: è bravo, preciso, ogni tanto mi corregge ma ne ho biso-gno. Ho imparato tante cose perchè le ho viste fatte dal Dario.Il mio lavoro va bene, mi

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piace vedere tante persone. Non mi piace quando i ragaz-zi buttano le cose per terra. Tutti mi rispettano e io mi faccio rispettare.A scuola non c’è nessuno che mi prende in giro.

4. Stefano, hai fatto anche un’esperienza in un labora-torio protetto (il Cabla), come è andata?

Così così. Il Cabla non è il mio posto. Quando uscivo dal Cabla ero tutto bianco, non mi sentivo bene lì; non mi piaceva né il lavoro né l’ambiente. Io faccio par-te delle persone che stanno meglio fuori dal laboratorio, inserito nel mondo del lavo-ro “normale”. In laboratorio mi mancava il contatto con gli altri anche se è vero che sono stato poco tempo. I la-vori erano meno variati che qui alla scuola media.

5. Stefano cosa vedi nel tuo futuro lavorativo? Hai del progetti?

Io ho un progetto in mente: vado a vivere alle Hawaii. Scherzi a parte, ho tanti progetti personali ma a livel-lo lavorativo ho due lavori: da una parte rimango come aiuto-custode e dall’altra mi piacerebbe diventare diret-tore alla Manor. Quest’anno come obiettivo ho imparato ad utilizzare la macchina da lavare e adesso sono il re-sponsabile della lavanderia.

Nora C.Eric S.

Michel B.

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Sono Nicole e da nove anni lavoro al Cabla. Da qualche anno ho il ruolo di telefoni-sta del laboratorio: rispon-do alle chiamate in entra-ta, annoto i messaggi per gli operatori e le comande dei clienti. Per imparare ad ampliare le mie conoscenze professionali ho deciso di provare a fare un’esperien-za lavorativa all’esterno del Cabla, ma sempre in un altro laboratorio della Fondazione Diamante nell’ambito dei la-vori d’ufficio. Visto che qua rispondo già al telefono e faccio un pò di lavori d’uffi-cio allora ho deciso di pro-vare a fare una nuova espe-rienza per magari imparare nuovi lavori che qua non fac-ciamo. Mi piacerebbe fare uno stage presso il laborato-rio AUTOnomie. In effetti sono già andata a fare una visita del loro laboratorio e più in specifico dell’ufficio. Ho incontrato il responsa-bile Carmine e gli educatori

Walter e Simona.Sto aspettando di iniziare lo stage perchè stanno ancora costruendo il nuovo ufficio. Mi piacerebbe fare mezza giornata di lavoro alle AU-TOnomie e mezza al Cabla. Viste le mie difficoltà le-gate alla vista, ho scelto di iniziare un’esperienza in un altro laboratorio, magari un giorno andrò a lavorare all’e-sterno.

Mi piacerebbe fare i lavori d’ufficio tipo fare le fotoco-pie, rispondere al telefono, classare dei fogli, scrivere al computer. Già adesso, da diversi anni, faccio la rice-zionista del Cabla e rispon-do a tutti i telefoni. Questo lavoro mi è sempre piaciuto tantissimo e lo faccio molto volentieri. Sono una ragazza socievole e mi piace avere contatti con i clienti e con i fornitori delle varie azien-de. Ho imparato a usare i nuovi telefoni, trasferire le chiamate ai vari operatori e ad annotare i messaggi. An-noto i vari appuntamenti de-gli operatori sulla mia agen-da del lavoro cosi quando la gente chiama sò chi è pre-sente e chi è all’esterno.Al momento della stesura di questo articolo sto aspet-tando la data di inizio del mio stage, nel prossimo nu-mero vi racconterò la mia esperienza!!!

Nicole C.

Il mio primo stage all’esterno

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Quali studi ha fatto?

Dopo il ginnasio sono anda-to alla scuola magistrale. Ai tempi era dopo la scuola dell’obbligo e durava 4 anni fino all’ottenimento della pa-tente di maestro di scuola elementare. Quindi, di base, io sono maestro di scuola elementare ma non ho mai insegnato perchè ai miei tempi era un settore con un alto tasso di disoccupazio-ne: tanti uscivano dalla ma-gistrale e pochi insegnavano. In seguito sono andato all’u-niversità di Ginevra dove ho ottenuto la licenza in giuri-sprudenza. Ci racconta brevemente la sua avventura politica?

La mia passione politica è nata quando ero ragazzo, verso i 15-16 anni. Negli anni ’70 erano aperte diverse questioni politiche molto im-portanti; me ne ricordo due in particolare. La prima, il movimento anti-nucleare di cui alcuni ricorderanno la fa-mosa spilletta “nucleare no grazie”. Poi quella relativa al servizio civile, che allora non c’era perchè tutti i ragazzi

erano obbligati a fare il ser-vizio militare e non avevano alcuna alternativa. Sono con-tento che a distanza di tanti anni, oggi il servizio civile sia un successo e l’energia nu-cleare penso stia per essere abbandonata. Da lì, una serie di altri interessi mi ha por-tato a cominciare quella che potremmo definire “la car-riera politica” nelle istitu-zioni. Dapprima in consiglio comunale a Balerna appena tornato dagli studi a Gine-vra, poi in municipio, ma per poco tempo perchè poi sono venuto ad abitare nel locar-nese con quella che sarebbe poi diventata mia moglie.Quando sono tornato dagli studi, lavoravo per l’Asso-ciazione inquilini ed avevo un ruolo all’interno di essa che mi ha fatto conoscere a livello ticinese e facilitato l’accesso in Gran Consiglio nel 1998 dove sono stato fino al 2011. Quindi ho fatto

un pò tutta la trafila, il “cur-sus honorum” come si diceva una volta.

Secondo lei, la popolazione ticinese partecipa attiva-mente alla vita politica o a progetti per la collettività?

È difficile dirlo. Secondo me la politica in generale si è molto trasformata negli ultimi anni. Ha infatti preso il sopravvento la comunica-zione politica, diciamo, più il marketing che l’approfon-dimento. Per cui tutto è di-ventato una specie di gran bazar, dove se ne sentono un pò di tutti i colori, tra cui una serie di cose total-mente inverosimili che non hanno nessuna prospettiva, nessuna possibilità di essere realizzate né di essere se-riamente approfondite. C’è sempre meno spazio per il confronto chiaro e realista, quello più politico che sen-sazionalista. Io forse appar-

Intervista a Manuele Bertoli

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tengo alla vecchia scuola e quindi oggigiorno faccio un pò fatica perchè tutto diven-ta quasi più slogan che con-tenuto. Su questa base non sò quanto la popolazione sia in grado di farsi un’opinione approfondita. Sono un pò i punti deboli della democra-zia diretta, che è comunque un valore molto importan-te, a patto però che le posizioni espresse abbia-no qualche fon-damento. Un pò ci si deve infor-mare, altrimenti ci si fida solo dei cartelloni, degli slogan, o di due o tre “frasi fat-te” e questo oggi non è più suffi-ciente.

Secondo lei la scuola gioca un ruolo a livello di informazione e sensibilizzazio-ne al dibattito politico?

Sicuramente la scuola gioca un ruolo e poten-zialmente è un luogo privilegia-to per far passare una se-rie di messaggi e valori. Pe-ro`la scuola è inserita nella società; e quindi da un lato dà delle cose proprie, ma dall’altra parte assorbe an-che un certo modo di essere della società. Io l’ho sem-pre detto in Gran Consiglio: non si può immaginare che la scuola sia un luogo dove vengono trasmessi dei valo-ri che la società non ricono-

sce. L’esempio più semplice è quello del rispetto: si pre-tende che la scuola insegni il rispetto, ma se ci guardiamo in giro non è che abbiamo una società particolarmen-te rispettosa né dei singoli individui né delle istituzioni. La scuola deve fare la sua parte, ma la società deve fare la sua. Non si può imma-

ginare che la scuola risolva problematiche che arrivano da fuori, anche se la scuola ha indubbiamente un ruolo importante.

Come convive con il suo handicap e come lo ha inte-grato rispetto al suo ruolo di Consigliere di Stato?

Io ho sempre sostenuto, e ne sono convinto, che in-

dipendentemente dall’han-dicap che una persona ha, l’importante è riuscire ad accettarlo. L’handicap c’è, si può stare a discuterne in lungo e in largo sul perchè e il per come, ma dal momento che c’è, bisogna fare con gli strumenti che si hanno. Io per esempio, non pretendo di giocare a basket perchè

non posso farlo, farò altre cose, cercherò di fare quello che sono in grado di fare. La politica sono in grado di farla, per cui, da questo pro-filo non mi sento limitato. Ci sono delle cose che non posso fare, come leggere dei discorsi, che in parte è una cosa che mi dà fasti-dio perchè in certi momenti delicati mi piacerebbe po-terlo fare al fine di usare le parole giuste al momento giusto. Ma dall’al-tra parte, ho im-parato anche a fare discorsi sen-za leggere. Può es-sere difficile, ma i

discorsi sono più veri perchè li racconti in maniera sponta-nea, dunque penso che, come per ogni situazione, esistano vantaggi e svantaggi. La disabilità nel lavoro va presa cosi; evidentemente poi dipende anche dal tipo di disabilità. Insistere sulle cose che non sono fattibi-li non è molto giudizioso. Ci sono tante cose che si pos-

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sono fare anche con un han-dicap e voi qui lo dimostrate nel quotidiano.Ci sono poi tutta una serie di cose che sono importanti sia a livello di mezzi ausi-liari ma anche di istituzioni. Io, per esempio, ho fatto gli studi universitari grazie all’assicurazione invalidità e sono loro riconoscente per avermi aiutato finanziaria-mente nel momento in cui, finita la magistrale e senza un lavoro, con la prospettiva di diventare cieco (perchè questo lo sapevo), ho potuto “riciclarmi” facendo gli stu-di universitari. Mi hanno in particolare aiutato i mezzi informatici che mi sono stati dati. Per esempio, quando ho finito l’università non c’era ancora il computer parlan-te. Già lì non ci vedevo più e sono stato assunto all’asso-ciazione inquilini senza vede-re e senza gli strumenti per poter vedere. Era tutto un “bric a brac” organizzativo abbastanza complicato. Per fortuna in quegli anni hanno iniziato ad uscire una serie di strumenti di supporto che oggi sono dei dinosau-ri dell’informatica. Ma se io fossi nato dieci anni prima, probabilmente avrei avuto un buco di almeno 7-8 anni di inattività lavorativa, il che sicuramente avrebbe cam-biato la mia vita. Ho avuto quindi “fortuna” di vivere nel mondo dei computer parlanti e degli ingranditori. Il modo in cui si affronta un handicap dipende dunque da tanti fat-tori, organizzativi, persona-li, di istruzione ma anche di aiuti concreti come appunto i mezzi ausiliari.

Cosa le piace fare nella vita privata nel tempo libero ?

Nella vita privata mi piac-ciono tante cose. Prioritaria rimane la mia famiglia. Certo il tempo dedicato all’attività pubblica, al lavoro è parec-chio ma cerco di riservarmi un pò di spazio privato per la famiglia.Ho molti interessi, in parti-colare la musica e lo sport. Faccio un pò di nuoto, vado a sciare in inverno. Ho in giro anche un vecchio tan-dem che non uso mai. Anche lì, con lo sci c’è il sistema di comunicazione via radio, per cui vado a sciare con qual-cuno che mi guida seguendo-mi e dandomi le indicazioni. Col nuoto invece, nuotando a crawl, una delle difficoltà è quella di restare nella corsia della piscina. Abbiamo però trovato un sistema un pò ar-tigianale: metto un elastico in vita che è collegato con una corda tesa sott’acqua, per cui la corda mi guida, un pò come un filobus. All’interno della Fondazio-ne Diamante, si è fatta

una riflessione sulle con-seguenze del cambiamento (nel 2005) dalla formazione empirica a quella biennale. Abbiamo constatato che l’accompagnamento di per-sone con disabilità duran-te la formazione biennale risulta più difficile perchè più standardizzato. Quali sono i suoi feed-back rispetto alla formazione biennale?

Va detto innanzitutto che le regole vengono da Berna; non sono cose che abbiamo deciso noi a Bellinzona ma sono norme federali e dun-que noi dobbiamo cercare di applicarle stando dentro una serie di paletti che dob-biamo rispettare. Dobbiamo però anche trovare la suffi-ciente flessibilità per fare in modo di dare una pro-spettiva a tutti. L’idea del biennale, e precedentemen-te dell’empirico, è comunque quella di dare un titolo che abbia un valore vero a perso-ne che hanno una difficoltà nell’arrivare a certi conte-nuti. Credo che lì il percorso debba essere il più flessibile possibile, senza snaturare il

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titolo né modificare i pun-ti di arrivo, ma facendo in modo che il percorso sia il più accompagnante possibi-le. Qualche margine di ma-novra l’abbiamo, e dobbiamo sfruttarlo al massimo per riuscire a fare in modo che il percorso sia un percorso produttivo, positivo e non un percorso ad ostacoli. Certo tutte le formazioni necessitano comunque un im-pegno perchè sono un lavoro, qualcosa di oneroso per chi le affronta. Ecco, questo è un pò il contesto in cui ci troviamo. Dopo credo che, come in tutte le cose, ci sia una grande distanza tra le cose scritte sulla carta e la realtà effettiva. Inoltre le realtà dei vari settori (quel-lo tecnico, quello commer-ciale, quello socio-sanitario) di formazione sono molto di-verse l’una dall’altra; a volte le differenze sono dovute a percorsi storici diversi e

forse non sono neanche più attuali.

Una constatazione emersa in Fondazione, era quella dell’importanza di iniziare prematuramente l’accom-pagnamento al passaggio dalla scuola dell’obbligo alla formazione professionale, lei cosa ne pensa?

Questo è un tema che vale per tutte le scuole. Io lo vedo anche adesso che stia-mo discutendo il progetto “La scuola che verrà”, dove si vuole, a livello di scuola dell’obbligo ordinaria, fare un lavoro più legato a un con-vincimento. Non vorremmo più un orientamento legato a meccanismi prettamente burocratici come può esse-re una media matematica, ma più un tipo di percorso legato ad un bilancio delle competenze. In base a que-ste competenze la scuola in

seguito indica, raccoman-da, una determinata strada piuttosto che altre. E que-sto in funzione dei punti di forza e delle debolezze dell’alunno; però alla fine la scelta è dell’allievo, non dei docenti o della scuola. Adesso a scuola si fa la co-siddetta educazione delle scelte. Si spiega dunque ai ragazzi e alle ragazze l’im-portanza di fare una scelta. Inoltre per poter decidere bisogna prima conoscere e non aspettare che arri-vi l’orientatore a dire cosa secondo lui si può fare. Per questo bisogna aiutare i ra-gazzi a non farsi condizio-nare dagli stereotipi, ma accompagnarli nella ricerca delle informazioni utili.Questo lavoro deve essere fatto anche nel settore del-la scuola speciale ed è lì che l’accompagnamento deve es-sere il più approfondito pos-sibile.

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Poi intervengono molti fat-tori: c’è un’attesa da parte dell’economia nei confronti della scuola che si aspetta che cambi in due anni. Questo è impossibile, c’è una parte della scuola che deve essere convinta della necessità che tutti i docenti partecipino all’orientamento dei ragazzi perchè non può essere solo il ruolo dell’orientatore pro-fessionale ma della scuola tutta insieme. L’orientatore fa quello che deve fare, ma non decide per gli altri: lui ti dà gli strumenti ma se tu non ti dai la pena di informarti poi è un pò facile dare la col-pa all’orientamento. A mio avviso non deve però neanche essere un problema se dopo la scuola dell’obbligo la prima scelta non è quel-la giusta, perchè comunque anche se passa un anno la persona fa delle esperienze, matura, cambia. È importan-te che alla fine del percor-so le cose siano abbastanza flessibili per permettere di iniziare da una parte e finire da un’altra, che si arrivi dove bisogna andare, senza per-dere troppo tempo e avendo in mano un titolo.Devo dire che i nostri dati sono buoni; abbiamo quasi il 95% di ragazze e ragazzi che hanno un titolo del se-condario: che sia una matu-rità liceale, professionale o un attestato di capacità e mi sembra un bel traguardo. Quello che è necessario e fondamentale nell’accompa-gnamento formativo, e quin-di nella scuola, è il lavoro di rete, tematica centrale del progetto “La scuola che

verrà”. C’è ancora troppo in-dividualismo: c’è bisogno di cooperazione. Da un lato da parte dei docenti per lavora-re insieme e presentare una scuola più simile, una messa in comune anche del sistema di valutazione. Due docenti dovrebbero essere in grado di scambiarsi le correzio-ni degli studenti ed avere grosso modo gli stessi dati. I docenti di scuola elemen-tare sono quelli che collabo-rano maggiormente, si scam-biano informazioni perchè essendo soli nell’insegnare più materie hanno anche più bisogno di collaborare con i colleghi. Dall’altra parte credo sia anche importante la coope-razione tra docenti ed al-tre figure professionali. Il contributo metodologico di figure esterne all’insegna-mento può anche apportare elementi importanti oltre ai contenuti di disciplina. Que-sto però è un discorso che non si risolve con una legge o con una regola, ma con un tipo di organizzazione e so-prattutto con un lavoro di

tipo culturale: cultura della gestione pedagogica della scuola. Non è semplice, ma penso che questa sia una battaglia che va fatta. Spe-ro che non ci siano troppi ostacoli portati dai docenti per paura di cambiar qualco-sa. I cambiamenti certo non sono facili da accettare ma se vengono accolti con lo spi-rito giusto possono portare ad importanti miglioramenti.

Nora C.Mariarosa L.

Roberto C.

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Noi siamo degli appassiona-ti di cani. In effetti tutti e due, da tanti anni, abbiamo dei cani.

Paola: il cane della mia sorel-la è piccolo, bravo, mangia, dorme in casa nella sua cuc-cia e lo portiamo fuori per fare i suoi bisogni. Il cane di mia sorella si chiama Clarine, è grande, beige e gli piace stare in giardino. Quando la mia sorella lavora, la Clarine sta in ufficio insieme a lei.

Isael: il mio cane si chiama Bajuma, è un cucciolo di colo-re nero. Ogni tanto lo porto fuori a passeggiare insieme alla mia mamma. Anche il mio dorme nella cuccia, abbaia quando vuole qualcosa. Prima della Bajuma la mia famiglia aveva un cane di nome Laika e uno di nome Joy che erano più grandi della Bajuma. Alla Bajuma piace giocare con i legni, glieli lancio e lei va a prenderli.

Isael B.Paola C.

I nostri cani

Il Karate Shotokan

Cari lettori della Rivista Cabl@grammi, mi presento: mi chiamo Romina ed ho 34 anni, dal 2010 lavoro pres-so l’Atelier Cabla e mi tro-vo bene sia con gli educatori che con i miei colleghi di la-voro. Ho deciso di scrivere questo articolo riguardante il Karate perché più che es-sere un’attività sportiva per me personalmente è stata, e

lo è tuttora, una filosofia di vita per mente, corpo e spi-rito.All’età di 7 anni molto spes-so guardavo con mio padre film d’azione dove vi erano combattimenti di Karate con attori del tipo Jean-Claude Van Damme, Bruce Lee, ecc. Con il tempo, mia madre mi iscrisse in palestra a Karate, e mi resi conto che in verità

questa disciplina aveva a che fare con tutto meno che con quei film che avevo visto in tv e ne rimasi un pò delusa. Nonostante la mia delusione, continuai a praticare il Kara-te fino a 15 anni, età in cui riuscii ad ottenere la cintu-ra blu. Per diversi anni rima-si ferma, fino a che decisi di ricominciare.Fu un’emozione per me per-

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ché rividi dopo tutto quel tempo i miei vecchi maestri, soprattutto sensei Rikuta Koga che, a parte qualche capello bianco, non era cam-biato per niente, addirittura

vidi i miei stessi compagni di Karate del tempo che erano cresciuti e che insegnavano ai piccoli principianti. Pen-sando a tutte queste emo-zioni, al tempo che è tra-scorso, mi rendo conto che praticare il Karate oltre che essere una filosofia di vita, tempra la crescita, il carat-tere e la mente, e mi pento di non aver continuato a pra-

ticarlo, comunque mai dire mai.Con questa mia breve intro-duzione vorrei fornirvi qual-che informazione riguardan-te il Karate.

Buona lettura :-)

IntroduzioneIl Karate è tra le più efficaci e antiche arti marziali di di-fesa, originaria dell’isola giappo-nese di Okinawa; essa prevede il combattimento e l’autodifesa a mani nude, senza l’ausilio di armi.La parola ka-ra-te significa mano vuota. At-tualmente viene

praticato in versione spor-tiva nei paesi occidentali. Questa disciplina nel passa-to veniva praticata solo da uomini, ma con il passare dei secoli anche le donne si mi-sero a praticarla.Il fine ultimo di questa disci-plina è che l’allievo si senta libero e realizzato, ma pri-ma di raggiungere questo traguardo, l’individuo deve

costantemente impegnarsi a ricercare il proprio equili-brio, un insegnamento a com-battere senza combattere, diventar forte modellando il carattere, guadagnando con-sapevolezza, gusto della vita e rispetto verso gli altri.

Storia del Karate in brevePrima del 1900 si sa poco riguardo alla sua storia per-ché vi erano poche docu-mentazioni, e anche perché l’arte veniva tramandata oralmente di generazione in generazione. Dal 1900 in poi la storia risulta più detta-gliatamente documentata. La storia del Karate par-te dall’isola giapponese di Okinawa dove si praticava in segreto l’Okinawa-te che significa l’arte di Okinawa, praticata solo da nobili e tramandata da padre in fi-glio. La nascita del Karate si pensa che sia dovuta al fatto che a quei tempi vi era la proibizione dell’uso delle armi.Negli anni 1700-1800 le con-dizioni economiche dei nobili cambiarono, e fu con questo loro impoverimento che il Karate si espose alle varie classi sociali. I nobili dive-

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nuti ormai poveri tramanda-vano l’arte del Karate ad un gruppo ristretto di persone, così facendo si ebbe una di-spersione dell’arte originale e si gettarono le basi per nuovi stili di Karate.Vi furono anche giappone-si che partirono per la Cina per magari 2 o 3 anni per imparare le loro arti marzia-li, che si dice, si fusero con l’arte del Karate di Okinawa.

I diversi stili di KarateIl più diffuso oggi è il Sho-tokan, di cui è fondatore Funakoshi, stile che basa l’efficacia delle proprie tec-niche su agili spostamenti e attacchi penetranti.Gli altri sono; Shotokai, Goju-Ryu, Shorin-ryu, Shi-to-ryu, Wado-ryu, Ue-chi-ryu, Kyokushinkai, Ashihara, Enshin, Shidokan, Seido Juku, Ten Ryu Kai, Ten Ryu Kai, Shinseikai, Ryuei-ryu.

Principi morali del Dojo Kun (luogo dove si studia e si segue la via) riferito al ShotokanNel Dojo Kun nello Sho-tokan si hanno come princi-pali principi il miglioramento del carattere, il percorrere la via della sincerità, il raf-forzamento della costanza dello spirito, l’apprendimen-to del rispetto universale, e l’acquisizione dell’autocon-trollo.

Il kimonoIl karate-gi o kimono. Con-siste in due parti: uwagi (giacca) e zubon (pantaloni) usualmente portati con una obi (cintura) colorata. Esso

è costituito da un cotone bianco e da una cintura co-lorata che designa il grado raggiunto dal praticante.

Il significato del colore delle varie cinture, kyu e danLa prima ossia quella bian-ca rappresenta la purezza, il nuovo studente cintura bianca potrebbe essere de-scritto come puro, essendo comp le -tamente ignorante dei re-quisiti di quest’ar-te. La pu-rezza è persa non a p p e n a il primo esercizio è effet-tuato nel dojo.La cintura gialla: rappresen-ta l’asserzione, ed è l’ulti-ma dei “principianti”. Dopo questa cintura, il karateka comincia a prendere il con-trollo della sua vita, del suo corpo e del suo ambiente.La cintura arancione rappre-senta la stabilità. Durante tutto il training di cintura arancione, si sviluppano le basi del karate. Si dimenti-cano tutte le idee su come combattere e si impara a conoscere il proprio corpo. Chiunque sia stato in questa fase vi dirà che questo è il livello dove hanno imparato a conoscere meglio il loro corpo. Si scoprono muscoli di cui non si sapeva nemme-no l’esistenza! E ‘anche qui che si inizia a sviluppare un

senso di equilibrio e coor-dinamento tra le varie par-ti del corpo, con particolare attenzione alla presa di po-sizione. Si dovrebbe inoltre avere familiarità con “l’eti-chetta del dojo” in questa fase.La cintura verde rappresen-ta l’emozione e la sensibilità. Cintura verde (midori obi) segna il primo dei livelli più avanzati. È simile a ricomin-

ciare dal principio, ma qui tutto cambia e la serietà del karate diventa evidente. Av-vengono i cambiamenti di li-vello anche a causa del fatto che una cintura verde inizia ad allenarsi e confrontarsi con le cinture avanzate di gran lunga superiori in cono-scenze ed esperienze.La cintura blu rappresenta la fluidità e l’adattabilità. Ora il karateka comincia a lavo-rare sulla parte superiore del corpo, la forza, la fles-sibilità e la coordinazione. È qui che si impara a supe-rare la voglia di apprendere tutto e subito, e in caso di successo, la formazione di-venta un piacere. Lo studen-te comincia a sentire i bene-fici della formazione con un

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maggior senso di benessere, di un rimbalzo più grande nel proprio passo e in generale una forma fisica migliore. Qui il karateka deve iniziare a prendere il controllo della mente e del corpo. Questo potrebbe assumere la for-ma di non mostrare dolore quando viene colpito durante il combattimento, non mo-strare stanchezza duran-te l’allenamento, non pulire la goccia di sudore dal naso perché non è stato detto di farlo ancora, non sbadigliare nonostante l’eccessiva stan-chezza, ecc.La cintura marrone rappre-senta la praticità e la cre-atività, è il punto in cui gli studenti iniziano a creare le proprie tecniche e combina-zioni. Cominciano a “trovare” se stessi ed entrano più in profondità. Attraverso l’imi-tazione e la copiatura di tec-niche e modi delle cinture alte, l’esperienza e la perso-nalità del karateka comincia ad emergere.La cintura nera rappresenta la realizzazione, è un nuovo inizio, una rinascita, diven-tando di nuovo un debuttan-te. In nessun caso si tratta di una destinazione. Piutto-sto, è una nuova e importan-te tappa di un lungo viaggio. E’ uno stato dell’essere. Si impone l’attenzione a come ci comportiamo e pensiamo e agiamo, ed è il culmine di crescita personale che si è raggiunto attraverso molte ore di formazione e di intro-spezione.Il Kyu serve a misurare il

grado di raggiungimento del livello ottenuto a parti-re dal 6° kyu (cintura bian-ca) andando fina alla cintura marrone in maniera decre-scente. Invece quando si è cintura nera per determina-re il livello di apprendimen-to vengono usati i dan, che partono dal 1° dan andando in modo crescente.

Tecniche del Karate Sho-tokanLe tre componenti fonda-mentali del Shotokan sono il Kihon, il Kata ed il Kumite.Il Kihon, è la forma di alle-namento base, di parata o di attacco, su cui si basa il Ka-rate. Nella pratica del Kihon si impara a migliorare la propria resistenza e a otte-nere una maggiore rapidità nell’esecuzione; aiuta anche a rafforzare lo spirito com-battivo e l’allievo apprende come gestire le “armi” del nostro corpo. Un elemento importante del Karate è il Kime (breve contrazione mu-scolare isometrica eseguita nell’istante della conclusione della tecnica).Il Kata ha come significato

“forma”, infatti esso è un succedersi di tecniche di pa-rata e attacco prestabilite contro più avversari imma-ginari e forme. Gli elementi fondamentali per eseguire un buon kata sono : la tec-nica, il kime, la potenza (in-dicata dalla formula dove la velocità risulta essere mag-giormente incisiva della for-za), l’espressività, il ritmo.Il termine giapponese Ku-mite viene tradotto con la parola combattimento, però tale termine è incomple-to, cioè privo degli elemen-ti compresi nel concetto di kumite. Kumite si compone della parola kumi, che signi-fica “mettere assieme”, e della sillaba te, che significa “mano”. Per kumite si inten-de quindi l’incontrarsi con le mani: nel confronto reale come in quello di palestra è necessario un avversario. Lo scopo del vero combatti-mento è quello di abbattere l’avversario, quello del ku-mite è la crescita reciproca dei praticanti.

Romina D.A.

http://www.karate-do.it/testo3.htm http://www.karate-shotokan.it/karate/storia/index.htlm http://www.kyokushinkaikan.it/cinture_significati.htlm

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Sono Aline, e dall’inizio di luglio 2011 abi-to in un bell’ap-partamento, in un grande attico con una terrazza enorme e la vista sul lago insieme ad altri coinquilini che si chiamano Nunzia, Danie-le e Martino. A cena arrivano al-tri ospiti e in ogni momento è bello stare in gruppo; ognuno può par-

lare della sua giornata di lavoro. Lunedì, martedì, giovedì e venerdì arriva-no gli educatori in appartamento ad aiutarci a cu-cinare. Il mer-coledì é il giorno in cui possiamo provare a fare le cose da soli; facciamo espe-rienza. Invece di lunedì faccia-mo le pulizie in stanza e ognuno

si organizza a pulire i loca-li in comune. Tutti i giovedì facciamo la riunione insieme per pianificare chi cucina in settimana e ognuno può sce-gliere che giorno fare il bu-cato. Io vado d’accordo con i miei coinquilini, ma quella con cui mi trovo meglio è Nunzia.Un week-end si e uno no vado a casa dei miei genitori ad Arcegno. Mi piace andare a mangiare al loro ristorante e portare a spasso i miei due nipotini.

Aline S.

La mia vita in appartamento D

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Ciao sono Giovanni Martinelli utente del laboratorio Cabla della Fondazione Diamante. Ho sempre avuto passio-ne e attrazione per tutto cio’ che in qualche modo mi lega al mondo dello sport, sia quello che seguo in TV - infatti sono tifosissimo della Juventus, del Locarno e dell’Ambri Piotta - ma so-prattutto quello che pratico personalmente.Da molti anni mi cimento in molti sport e nonostante non sia piu’ tanto giovane, conti-nuo ancor oggi a praticare sci, bocce, atletica, nuoto, ginnastica e come hobby mi piace ballare.Sono convinto che lo sport faccia bene sia a livello fisico

ma anche mentale e sociale, infatti ho imparato a condi-videre vittorie e sconfitte con i miei compagni sportivi e a socializzare con loro pri-ma e dopo le competizioni. Il praticare molti sport mi ha permesso di frequentare molte persone e conosce-re tanti luoghi e bellissime città in Svizzera, ma anche all’estero.Ho avuto molti monitori che mi hanno seguito con pazien-za e molta professionalità e ai quali sarò sempre grato. Ricordo in particolare con grande affetto il compianto Aurelio Mazzoleni, il quale nutriva per me tanto affet-to e la sua prematura scom-parsa mi ha dato da un lato tanta tristezza ma dall’altro serbo con felicità le molte belle avventure e trasferte che abbiamo fatto insieme.Sono sicuro che dal cielo lui ci aiuterà comunque sempre.Le moltissime medaglie che ho vinto mi ripagano di tan-ti sacrifici e tanta dedizione che dedico all’allenamento in ogni sport che pratico. Sono molto contento quando salgo sul podio per una premiazio-ne ed un ennesima medaglia,

ma so anche rendermi conto che non si può sempre vince-re e quindi a volte devo ac-contentarmi dei piazzamen-ti. So e ho sempre saputo di dare con le mie vittorie tan-ta soddisfazione ai miei ge-nitori ma anche a tutti colo-ro che mi conoscono e tifano per me.Nel 2015 ho ricevuto un im-portante riconoscimento dalla mia città, (Locarno), con la distinzione al merito sportivo insieme all’attua-le allenatore della nazionale Svizzera di calcio Vladimir Pektovic e ad altri sportivi come me. Per me un grande onore e una grande soddi-sfazione personale visto che sono stato anche citato in un articolo della RIVISTA, mensile del Locarnese e valli.Voglio per concludere rin-graziare tutta la mia fami-glia che mi sostiene e stimola ad essere sempre corretto nello sport come nella vita e un grazie a tutti gli sportivi del Ticino.

Testo scritto da Antonio L.in base al racconto e alle in-dicazioni di Giovanni M.

Giovanni Martinelli lo sport nel cuore e nell’anima

Siamo un gruppo numero-so di nuotatrici e nuotatori affiliati alla Società Inva-lidi Sportivi del Locarnese (SISL). Ogni martedì sera dalle 19:00 fino alle 20:00 svolgiamo gli allenamenti di nuoto alle scuole medie di Minusio. Questi allenamenti

sono fatti in previsione delle prossime gare: la prossima è prevista il 4 giugno 2016 al Centro Sportivo di Te-nero. Facciamo molte gare diverse, le discipline sono: 50 rana, 50 dorso, 50 stile libero, la staffetta di 4 per 50 e si possono fare anche

i 100 metri. Gli allenamenti sono molto impegnativi e non tutti partecipano a tutte le discipline.Ogni anno partecipiamo a due o tre gare in tutta la Svizze-ra. Invece ogni quattro anni si svolgono i giochi nazionali Special Olympics: siamo an-

Allenamenti di nuoto SISL Locarno

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dati a quelli di Losanna nel 2002, di Zugo nel 2006, di La Chaux-de-Fonds nel 2010 e di Berna nel 2014, mentre i prossimi giochi saranno a Ginevra nel 2018. Questi giochi si svolgono nell’arco di quattro giorni e sono molto impegnativi ma anche molto divertenti e durante questi quattro giorni siamo sempre nelle vasche in gara. All’inizio dei giochi avviene la cerimo-nia di apertura con la fiamma olimpica e la presentazione di tutte le squadre, ognuna nel proprio costume (il no-stro è rosso e nero). L’ulti-mo giorno si conclude con la cerimonia di chiusura e con l’assegnazione dei prossimi giochi a una nuova città. Alla fine delle gare sono premia-ti i primi tre: abbiamo vinto tante medaglie, ad esempio

due anni fa a Berna io, Nico-le, ho fatto l’oro nei 50 rana, ed io Mariarosa ho fatto l’o-ro nel 50 dorso: è stata una bellissima esperienza.Seguendo regolarmente tut-ti gli allenamenti e le gare, siamo sempre molto impe-gnate e stanche durante l’anno scolastico. Per fortu-na durante l’estate siamo fi-nalmente in vacanza.

Mariarosa L.Nicole C.

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Taciturno è un ragazzo fuori dal comune con delle parti-colarità, che ha un semplice obiettivo, vivere il momento dell’artista. La cosa inte-ressante, se lo conosci nella vita privata, è una persona normale... una persona come tutte le altre ma che vive su un mondo molto diverso: un giovane con i suoi hobby e le sue passioni. Quando indossa il vestito e interpreta il suo personaggio, è tutta un’altra cosa, riesce a coinvolgere e sorprendere il suo pubblico tanto che la giocoleria (Jug-gling) sembra così facile e semplice, ma invece non è così evidente. Non è finita, come tutti gli artisti, Taci-turno è piuttosto originale e creativo ed è molto vicino alla musica e ciò che raccon-ta, è come un sogno: un im-maginario e delle emozioni che vuole condividere con gli altri.

La domanda sorge spontanea, come ha cominciato il Taciturno? È una bella domanda, anzi facciamo un passo indietro. Già all’età di dieci anni, amava fare degli spettacoli. In seguito è en-trato nel Team Benefico. Si trat-tava di una so-cietà fondata da Mino Valsecchi: l’idea era di fare degli spettaco-li utilizzando la ginnastica artistica e il tema dei “clowns”. Ma qual’era lo scopo? Raccogliere dei fon-di da dare alle persone meno fortunate. Taciturno, grazie a suo fratello, si è avvicina-to alla pratica del “diablo” imitandolo, da quel momento ha sviluppato altre tecniche

(palline, “devil stick” e cla-va). Ha cercato il più pos-sibile di introdurre queste nuove passioni nelle sue at-tività, per esempio nel Team Benefico, in colonia e nei suoi minispettacoli privati.Prima di diventare il Ta-citurno, ha partecipato al Team Benefico per ben di-ciassette anni; poi per vari motivi ha dovuto chiudere per sempre. Un anno prima della sua chiusura aveva già pensato di mettersi in pro-prio. Ma alla fine cosa aveva tra le mani?... poco o nien-te! Aveva un po’ d’esperien-za grazie al Team Benefico, alla colonia e agli spettacoli privati. Di una cosa era cer-to, non doveva aspettare qualcun altro per realizzare uno spettacolo o creare una piccola compagnia. È arriva-to il giorno, in cui si è detto: “Adesso basta, devo muo-vermi e provare ad affron-tare le mie paure e capire il mondo dell’artista!”. Da quel

Taciturno

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giorno ha iniziato; aveva uno spettacolo “nel cassetto” già presentato ai suoi paren-ti e che aveva avuto un buon successo... Grazie al Team Benefico, ha potuto presen-tare alcune volte il suo spet-tacolo, ma gli sembrava che gli mancasse qualche cosa. È quindi andato alla ricerca di corsi o d’altro, che poteva-no aiutarlo a migliorare. Ha dunque frequentato diver-si corsi e tuttora ne segue, per esempio di “Clowns” con “Orit Guttman”, di imitazio-ne con “14youstudio”, per l’acrobatica con “The Mo-ving Factory” e in fine con il “Circo fortuna” per per-fezionare la sua giocoleria (Juggling).Com’è nato il suo nome d’ar-te: Taciturno? È stato molto difficile sceglierlo. Inizial-mente aveva trovato il nome “Skip”, ma con il tempo ha visto che questo era molto usato in internet, quindi era

difficile individuarlo in rete. Un giorno stava guardando un telefilm di cui i primi mi-nuti erano girati nel bosco e nel buio: a quel momento ha avuto un’illuminazione... mi chiamerò Taciturno.Ora sta cercando di intro-dursi il più possibile nelle varie manifestazioni, anche grazie ad alcuni contatti avuti tramite il Team Bene-fico ed altri. Per un anno ha dato un corso di giocoleria a dei ragazzi, ma purtroppo ha dovuto poi smettere per mancanza di allievi. Anche se di questi tempi essere cono-sciuto e avere un po’ di fans è molto difficile, non bisogna perdere di vista gli obiettivi. Uno di questi per lui è tro-vare il giusto equilibro, nel numero di spettacoli duran-te l’anno, che non siano né troppi, né troppo pochi. Ha imparato a dare il giusto va-lore all’attesa: saper aspet-tare crede sia il segreto per

trovare l’equilibrio nella vita di tutti i giorni e in quella d’artista. Come tutti gli artisti amato-riali e autodidatti, ha un so-gno nel cassetto. Essere un artista conosciuto ed esibir-si in posti importanti. Sem-plicemente vorrebbe che il suo ruolo d’artista diventas-se un lavoro e gli desse da vivere. Vorrebbe viaggiare e fare spettacoli fuori dalla Svizzera e aprire un corso di giocoleria e acrobatica perché gli piace insegnare. Per il momento resta in Ti-cino, impara il più possibile e quando sarà il momento, par-tirà... deve solo aspettare.

Joël C.

www.taciturno.ch

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4 gennaio 2016:Ore 8:39 stazione di Tene-ro; saliamo sul treno Tilo che ci porta direttamente a Bel-linzona (città dove andremo a prendere il pullman Giosy Tours per Milano Malpensa).Arrivati all’aeroporto, ci re-chiamo ai ceck-in della Emi-rates1 e facciamo i biglietti in attesa dell’imbarco, dopo aver passato i vari control-li, ci deliziamo con un tran-cio di pizza in uno dei duty free dell’aeroporto. Verso le 16:00 (dato che c’è stata un ora di ritardo) ci imbar-chiamo nella balena dei cieli, ovvero il famosissimo Airbus A380-800 a doppio ponte (Modello, Airbus A380-800, equipaggio 2 piloti e 22 as-sistenti di volo, lunghezza 72,72m, larghezza 79,75m, passeggeri 853 a pieno ca-rico, motori 4 turbofan rol-ls-royce trent 900, spinta 311 kiloton).

Entrati nell’aereo è come entrare in un palazzo di lus-so, si sente un profumo di vaniglia molto buono e la mo-quette color viola con i sedili viola e giallino chiaro danno un aspetto bellissimo all’ae-reo. Mi siedo al mio posto vicino al finestrino e in men che non si dica ci troviamo in volo.Il volo dura 9 ore e 20 min. sorvolando l’atlantico, il Ca-nada per poi atterrare alle 19:20 al JF. Kennedy Air-port. Arrivati ai controlli dei passaporti, visti, compilo il fogliettino datomi in volo dove richiedono quanto sog-giornerai negli United Sta-te of America, in che hotel pernotti e se sei li per turi-smo o lavoro.Passati tutti i controlli e re-cuperate le valigie inizia il primo dilemma americano; proprio in quel momento c’è lo sciopero dei yellow cab2:

olè ecco il benvenuto in America.Ma nel bene o nel male tro-viamo un signore in giacca e cravatta che ci offre un passaggio in limousine. Tut-to bene fino a quando saliti in macchina l’autista non ci dice la cifra: 168$ per rag-g i u n g e r e l’hotel. Ma dato che non abbia-mo altre alternati-ve accet-tiamo e ci d ir ig iamo a Manhat-tan sulla 7th avenue dove si tro-va l’hotel.Arrivati in hotel re-cuperiamo le chiavi e andiamo in

Viaggio negli U.S.A. (New York)

1 Compagnia di bandiera di Dubai2 Taxi gialli

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stanza per posar le valigie e, dopo tutto il rambara-dan tra viaggio in aereo, recupero bagagli e viaggio in limo e con l’ef-fetto del jet-lag non vediamo l’o-ra di buttarci giù per poi svegliarci presto il giorno dopo. Quindi or-ganizziamo velo-cemente la gior-nata di Martedì e poi finalmente riposo.

5 gennaio 2016: il giorno dopo ci svegliamo alle ore 8:00 (1:00 ore lo-cali) e per la prima volta ci buttiamo in strada; ecco-la, New York; tra colossali palazzi che coprono il cielo camminiamo lungo la Broa-dway verso Times Square per cercare un locale dove fare la prima colazione ame-ricana.Da Times Square ci spostia-mo verso il Top of The Rock, dove si trova il Radio City Hall e troviamo un locale che ci sembra adatto, il Cafè Eu-rope.Entrati dentro passiamo su-bito dai -15° ai 25° del loca-le; davanti a noi una vetrina piena di breakfast da sce-gliere fra pancake ripieni di panna montata e frago-le, alle famose frittelle con pancetta e uova al tegamino. Tra l’imbarazzo della scelta io prendo un bicchiere di ge-latina ai lamponi (tanto per provare) e il piatto “brea-kfast today”, ovvero frit-

telle con pancetta, patate al forno e uova al tegamino; in-somma una bomba di calorie per iniziare la giornata.Finita colazione ci dirigiamo verso la nostra meta, l’Empi-re State Building, per fare il ticket per l’entrata. Arri-vati sotto allo skyscraper3 ci rendiamo conto di quan-to è immenso e guardiamo sbalorditi ver-so l’alto, ma proprio nel momento di fare i ticket ci accorgiamo che qualcosa non va. In po-chi minuti la zona si riem-pie di pompie-ri ambulanza e polizia, e in men che non si dica si ac-cumula una grande folla attorno allo skyscraper.Dopo un lungo quarto d’ora

siamo riusciti fi-nalmente ad en-trare nell’edificio.Entrati ci siamo subito trovati di fronte degli inter-ni mai visti prima: pareti e pavimento in marmo pregia-to color red stone con decorazioni vittoriane sui pila-stri di sostegno.Passati i controlli in stile aeroporto ci dirigiamo ver-so gli ascensori che ci porteran-

no all’ottantaseiesimo piano del Empire State Building; gli ascensori come le pareti sono ben decorate, di un co-lore caldo e viaggiano a una velocità di 40 kmh, circa 10 piani in 5 secondi.Raggiunto l’ottantaseiesimo piano abbiamo una vista a

3 Grattacielo in inglese

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360 gradi di tutta Manhat-tan; si riesce a vedere il Chrysler Building, il palazzo della Metlife, Central Park e lo skyline4 del World Trade Center con la Free-dom Tower, e in lontananza Liberty Island.Dopo una bella oretta per scattare foto e fare qual-che video ci rechiamo nuo-vamente nei lift per tor-nare giù e concludere la giornata cenando in un bel ristorantino cinese tra la quarantaduesima e l’ottava.

6 gennaio 2016:Questo giorno lo dedichiamo alla visita della statua del-la libertà e a Hellis Island; prendiamo la metropolitana linea R da Times Square in direzione del World Trade Center e da lì camminiamo fino al porto dove partono i traghetti per le isole.Fatti i biglietti e superati i controlli di sicurezza ci im-barchiamo sul traghetto in

direzione, prima di Liber-ty Island, e poi per Hellis Island.Arrivati a Liberty Island dove si trova la statua del-la libertà ci rechiamo subito al ristorante e ci prendiamo un hamburger con patatine fritte.Dato che la giornata è soleg-giata riusciamo a pranzare fuori. Dopo pranzo ci incam-miniamo sotto la statua per vederla da vicino. Purtroppo non possiamo entrare den-tro a visitare la corona dato che bisognava prenotare per tempo e online; quindi ci ac-contentiamo e la osserviamo dal piazzale principale dove si ha anche una vista magni-

fica dello skyline.Nel tardo pomeriggio invece, ci rechiamo a Hellis Island5; una volta dentro all’edificio si possono notare dei car-retti con dei bagagli sopra. Questo è per far capire alla gente che visita il posto, la difficoltà e la paura di non essere accettati e che quel-li che non vennero accettati dopo un lungo viaggio dovet-tero ritornare indietro.

7 gennaio 2016:Questo è il giorno dove vi-sitiamo il Memorial Museum

del 11 september 2001.Appena entrati nel museo, si notano due delle colonne di sostegno delle torri gemelle, mentre a un piano di sotto si vedono altri resti in acciaio che si son piegati e contor-ti con il calore delle fiamme, un camion dei pompieri quasi interamente schiacciato e il muro di sostegno che venne costruito per evitare che il terreno potesse cedere nel caso in cui entrasse acqua.Poi vediamo una sezione in cui è vietato fare fotogra-fie, dove troviamo vari og-getti che furono raccolti in-sieme alle macerie del tipo... delle scarpe, caschetti da pompieri completamente schiacciati, un ambulanza interamente distrutta, rot-tami del volo United Airli-nes 175, occhiali, stivali e vestiti insanguinati.Mentre all’uscita si trova un grande quadro di una delle torri dove si vede gente che si butta dalle finestre per via dell’impossibilità di salvezza a causa del fumo e

delle fiamme.

4 Lo skyline è il profilo dei diversi grattacieli visti all’orizzonte.5 Hellis Island era un isola dove ai tempi venivano smistati tutti gli immigrati per poi decidere chi era a norma e potese entrare nel suolo americano.

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8 gennaio 2016:Alla visita del museo di sto-ria naturale bisogna dedi-carci tutto il giorno perchè e grandissimo.Siamo entrati verso le 9:00 e per prima cosa vediamo la zona dell’Africa dove ci sono esposti diversi oggetti per riti, sculture stranissime, vestiti, e testoline penzo-lanti per riti africani.Nella zona oceano invece ci accoglie un enorme balenot-tera azzurra in grandezza naturale appesa al soffitto. E anche li possiamo vedere tantissime specie di anima-li marini dai più conosciuti a quelli mai visti prima d’o-ra, come uno strano pesce a triangolo tutto fluorescen-te.Poi vediamo grandi elefanti, giraffe, antilopi, rinoceron-ti, cheeta, (specie di puma) leoni, e altri animali della sa-vana.Poi c’è la zona dello spazio, dove troviamo diversi mine-rali raccolti su Marte e sulla Luna.Vediamo anche degli inte-ressanti mini documentari sullo spazio di circa 15 min.

E per finire vediamo la zona primitiva, con enormi sche-letri in grandezza reale di Diplodocus6, il famoso Ti-rannusaurus-rex, il preda-tore più aggressivo del giu-rassico. Poi vediamo anche il triceratopo, un rinoceronte del giurassico con tre lunghe corna e una criniera molto solida simile a corazza. E per finire ci sono anche gli Homo Sapiens e i Mammuts.

9 gennaio 2016:Usciti dall’ Hotel ci dirigia-mo verso il Top of the Rock dove si trova un negozio dei New York Fire Departmen-tet NYFD; una volta entrati si possono trovare moltissi-me patch di diversi stati e molte magliette e souvenirs.

Lì conosciamo un fire man di nome Giuseppe che ci invi-ta a visitare la caserma dei pompieri. Accettiamo e cosi ci rechiamo a visitare la loro sede. Arrivati dentro, ve-diamo che non è molto gran-de, ci stanno solo 2 camion più una sala buffet e un mini ufficio. Giuseppe ci spiega un pò come funzionano gli al-larmi e come bisogna reagire in caso di soccorso; insomma è stato molto interessante, io sono pure riuscito a inter-vistarlo con la mia reflex e ne son soddisfatto.

10 gennaio 2016:Bene, è il momento della vi-sita della parte più bella di NY: Central Park.Anche oggi è una giornata molto soleggiata e quindi ci incamminiamo già al mattino presto verso il parco.Dopo circa 40 minuti di cam-minata arriviamo finalmen-te a Central Park, il cuore verde della grande mela. Ci fermiamo nei grandi prati e faccio qualche scatto e vi-deo per il mio documentario sulla città e intanto che ci incamminiamo vediamo car-rozze con cavalli, una bella pista di ghiaccio, il Plaza Ho-tel in lontananza e la famosa roccia dove girarono la sce-

6 Dinosauri con un collo lunghissimo e con una lunga coda.

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na del film Home Alone in cui la befana dei piccioni sbuca da dietro le rocce.Verso la fine della gita a Central Park ci fermiamo a prendere qualche souvenirs.

11 gennaio 2016:Ci rechiamo al Rockfeller Center per una bella visita della città dall’alto: entrati cerchiamo gli ascensori dove all’ interno c’è un display vi-deo con una musichetta che fà vedere il lift che sale fino in cima con dei colori che si mischiano tra loro: insomma una mini discoteca.Arrivati in cima abbiamo una prospettiva diversa da quan-do eravamo sull’ Empire Sta-te Building; difatti dal Top of the Rock si ha una bella vista completa dell’ Empire State Building e del Chry-sler Building e anche lì cono-sciamo un securino del posto che è italiano di origini napo-letane. Difatti ci parlava in napoletano e devo dire che faceva un pò strano essere in America e sentirsi parlare in napoletano.Gli ultimi 3 giorni li abbia-mo passati semplicemente

andando per negozi, abbiam visitato chinatown dove ab-biam visto delle bancarelle piene di cose stranissime: pesci secchi, strane foglie secche che al kg costavano la bella cifra di 140$. Poi siamo passati in un ne-gozio di vestiti dove per 18 dollari mi son preso un jeans, una cintura e un berretto.

14 gennaio 2016:È giunto il giorno del rien-tro in Eurpoa. Con gli ultimi acquisti di souvenirs e ma-gliette e un’ultima passeg-giata a Time Square si fanno le 17:00; ora in cui la navetta

ci viene a prendere per por-tarci all’aeroporto J.F. Ken-nedy.Alle ore 22:00 siamo im-barcati di nuovo sull’Airbus A380 della Emirates e alle 12:00 ore locali atterriamo a Malpensa.E qui termina il grande primo viaggio nella terra dei Nati-vi. Gli Stati Uniti d’America. Noi ci vediamo con una pros-sima recensione di viaggi al prossimo numero.

Andrea P.

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È passato gennaio, senza neve e con temperature qua-si primaverili; poi è arrivato marzo con freddo e neve. Vien da dire che il tempo non è più quello d’un tempo... Cer-to che in italiano il fatto che si dica tempo, sia per indica-re quello che passa sia quello che fa, non aiuta... Si diceva che col passare del tempo, il tempo non è più come un tempo (e dai). Che sia una reazione di madre Gaia? Magari per ribellarsi ai so-prusi dell’uomo sulla natura, instaurando, si fa per dire, «La regola dell’equilibrio»1, cioè per far capire all’uomo di far attenzione, ricordan-dosi che «Nel mare ci sono i coccodrilli»2, come dire che ci sono anche cose da teme-re in natura e che bisogna portare quindi rispetto. Che esista una coscienza del-la natura tutta, che James Lovelock chiamava appunto Gaia3, è forse argomento opinabile, non però il fatto che il clima subisca in questi ultimi anni un notevole cam-biamento. Colpa dell’inquina-mento dell’uomo e del rela-tivo effetto serra, ci dicono gli scienziati: ma anche qui la tesi non è unanimemente condivisa.

Gianrico Carofiglio nel ro-manzo «La regola dell’equili-brio» ci presenta l’avvocato Guido Guerrieri, personag-gio ligio ai doveri del proprio mestiere. In questo libro Guerrieri si trova confron-tato all’ostico compito di difendere un giudice dall’ac-cusa di corruzione. Guer-rieri accetta il cliente, suo amico, perchè lo ritiene giu-dice irreprensibile, ma poi si trova a dover affrontare il dilemma di difenderlo ben-chè le indagini lo mostrino colpevole. Come conciliare il rigore deontologico, il suo stile etico e le remore mo-rali con l’impegno assunto?

Ecco che un cambiamento repentino delle prospettive tramite una mossa a sor-presa, benchè non proprio corretta, toglierà Guerrieri dall’impiccio.La tematica trattata da Ca-rofiglio gli permette di ap-profondire argomenti quali il significato di giustizia e i ruoli di avvocati e magistrati nell’esercizio delle loro fun-zioni. Questi argomenti sono ben sviscerati da Carofiglio che parla proprio del suo mestiere, essendo egli stes-so un magistrato oltre che politico e scrittore.Il protagonista Guido Guer-rieri è per certi versi ambi-guo, già nel suo strano hobby della boxe (con surreali dia-loghi al sacco), ma soprat-tutto rappresenta forse una tipologia di avvocato che nei meandri della complessa giurisprudenza tende ormai a scomparire, e perciò pro-prio per il suo rigore si fa apprezzare dal lettore.Vi sono poi, nel romanzo, riferimenti ad altri libri di altri autori, come quello in-titolato «Come parlare di un libro senza averlo mai letto»4, che a discapito del titolo, in realtà è, come ri-ferisce Carofiglio, “... una ri-

LIBRarsI(Voli pindarici nell’arte dei libri)

1 Gianrico Carofiglio, «La regola dell’equilibrio», Einaudi – Un romanzo con protagonista un avvo-cato lacerato da dubbi morali nella difesa di un magistrato, suo amico, accusato di corruzione.2 Fabio Geda, «Nel mare ci sono i coccodrilli», Baldini e Castoldi – La storia vera di Enaiatollah Akbari, profugo afgano che viaggiò per 11 anni per trovare una speranza.3 Gaia è la Coscienza della Terra, è l’antico nome greco della Dea della Terra, ed è anche il nome dell’Ipotesi Gaia di James Lovelock che ha scientificamente dimostrato che la Terra è un gigan-tesco organismo vivente e in qualche modo consapevole che si autoorganizza in modo intelligente.4 Bayard Pierre, «Come parlare di un libro senza averlo mai letto», Excelsior 1881 – Un libro del 2007 che è un “must” per critici letterari e non.

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flessione sull’idea di lettura, sul fatto che fra l’avere let-to e il non avere letto ci sono diverse gradazioni interme-die, e che le definizioni non sono così ovvie come sembra a prima vista.”

Fabio Geda nel libro «Nel mare ci sono i coccodrilli» da voce a Enaiatollah Akbari e alla sua storia di vita vis-suta che pare sia uscita dal-la penna del celebre poeta Omero. Già, perché questa è una storia vera che ricorda le burrascose e imprevedibili vicende di Ulisse nell’ “Odis-sea”. Certo che la drammati-cità, ma soprattutto l’attua-lità di questa storia, ben si discosta dal poema di Omero e ci fa capire quanto il tema dell’immigrazione e la dispe-rata fuga dalle barbarie del-la guerra è argomento che ci tocca da vicino, sia dal pun-to di vista umano, quanto da quello geografico.Si parlava di viaggio, ebbene sì un viaggio lungi dall’essere pregno di gioia e spensiera-tezza, no questo che viene

narrato da Enaiatollah è un viaggio drammatico di un bambino di dieci anni che viene affidato a mani sco-nosciute dalla madre, piena d’amore ma povera di dena-ro, per potergli dare almeno una piccola speranza di poter vivere in un posto migliore, in un posto in cui crescere non significa riuscire ad abi-tuarsi a morte e mutilazioni, bensì giocare, scherzare, ri-dere, ma soprattutto poter essere protagonista della propria vita…Un viaggio durato undici anni, partito dall’Afghanistan, passato da Pakistan, Iran, Turchia, Grecia ed infine giunto in Italia. Un viaggio in cui Enaiatollah ha condiviso sofferenza, dolore, speran-za, sogni con altri viaggiatori della disperazione; molti non ce l’hanno fatta, molti hanno finito il loro viaggio anzitem-po facendo affiorare malin-conia e tristezza nelle paro-le di Enaiatollah durante il suo racconto. Un viaggio che ha cambiato radicalmente il bambino che lo intraprese suo malgrado…Il lieto fine del viaggio rie-sce a mitigare appena l’ama-rezza che cresce durante la lettura ma nello stesso tempo dona speranza e ci dà la consapevolezza che non tutto è perduto, che ci sono persone che amano, aiutano e sostengono. È difficile ca-pire come possa un raccon-to, che narra di una vicenda che avrebbe voluto esser dimenticata, poter essere così preciso, così dettaglia-to, così vero da sembrare assurdo.Fabio Geda ci invita con

questo libro a riflettere su temi di strettissima attua-lità come i flussi migratori, la guerra santa, la perdita di identità, ecc. senza dare un giudizio di valore ma lascian-do al lettore e alla propria capacità critica la riflessio-ne intima e personale.

Roberto C.Eros C.

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Attingere

Il culmine del tumultoL’apice eterogeneo del divenireSottili tendenze, precise razionalitàExtrema – ratioPalese l’infinito sotto di noiLa notte crepuscolare si cela intorno a noiUna resurrezione d’intentiPiatte modalità del nostro subconscioSuoni che riverberanoCome onde dislessiche che cercano la profonda ombra delle nostre parole.

Thor

Paure recondite nell’inconscio collettivoVoluttuose modalitàIl divenire avallato dall’essereEssere derivato o originarioLa pazzia è palesecome la sicurezza è voraceIl folle ride di sèIl niente abbatte il niente,una sorta di oscurantismoLa diabolica feniceSottoboschi aridi e collocati nel bene in sèIl bene è il bene

Poesie di Pasquale D.

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