Verso una Architettura Resiliente

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LE RACCOLTE DEL COVILE MICHAEL MEHAFFY NIKOS A. SALÌNGAROS V E R S O U N ' A R C H I T E T T U R A R E SI L I E N T E < Numeri 801, 803, 805, 807, 809. F ir e n z e novembre MMXV www.ilcovile.it f

Transcript of Verso una Architettura Resiliente

☞ La cornice di copertina è ripresa da Speculum peregrinarum quaestionum, di Bartholomei Sibille, 1534.

INDICE

N° parteGli insegnamenti della biologia. 801 ICome il verde non sempre sia tale. 803 IIIl cubo moderni sta. 805 IIILa geometria della resilienza. 807 IVProgettare Agile . 809 V

VERSOUN'ARCHITETTURA

RESILIENTE

f

BAANNOXIV N°801 1° LUGLIO 2014

RIVISTA APERIODICA

DIRETTA DA

STEFANO BORSELLI dIl Covilef RISORSE CONVIVIALI

E VARIA UMANITÀ

ISSN2279–6924¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila

N E L L A T R A D U Z I O N E D I S T E F A N O S I L V E S T R I .

MICHAEL MEHAFFY & NIKOS A. SALÌNGAROS

VERSO UN'ARCHITETTURA RESILIENTEPARTE PR IMA: GL I INSEGNAMENTI

DELLA BIOLOG IA.;

Con questo numero inizia la pubblicazione delle cinque parti di «Toward Resilient Architeures», il capitale saggiodi Mehaffy e Salìngaros uscito dal marzo al dicembre 2013 sul blog di Metropolis Magazine (www.metropoli-smag.com). Degli stessi autori si veda, nel Covile n° 770 dello scorso settembre, «Il fondamentalismo geometrico».

ESILIENZA è ormai un vocabolo comu-nemente utilizzato dagli ambientali-sti. In alcuni ambiti, sta superando

nell’utilizzo il termine sostenibilità, altrettantodiffuso. In parte ciò può considerarsi legato aeventi catastrofici quali l’uragano Sandy, chesi sono aggiunti a un sempre più crescente elen-co di eventi devastanti quali tsunami, periodi disiccità, ondate di calore. Sappiamo di non po-ter tenere conto nella progettazione di tuttiquesti eventi eccezionali, ma potremmo porta-re i nostri edifici e le nostre città a meglio reagi-

Rre quando soggetti a fenomeni climatici di-struttivi, tornando in seguito più facilmentealla normalità. A dimensioni maggiori, dobbia-mo confrontarci con le traumatiche conseguen-ze legate ai cambiamenti climatici, al consumoe riduzione delle risorse naturali, tutto ciò dacollegare a vari pericoli per la sopravvivenzadel genere umano. Abbiamo bisogno di realiz-zazioni più resilienti non per assecondare lamoda del momento, ma come necessità per so-pravvivere nel lungo periodo.

Il Covile, ISSN 2279–6924, è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sen- si della Legge sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Direttore: Stefano Borselli. ☞Redazione:Francesco Borselli, Riccardo De Benedetti, Aude De Kerros, Pietro De Marco, Arman- do Ermini, Marisa Fadoni Strik, Luciano Funari, Giuseppe Ghini, Ciro Lomonte,Roberto Manfredini, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Al- manacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, StefanoSerafini, Stefano Silvestri, Massimo Zaratin. ☞ © 2012 Stefano Borselli. Questa rivi- sta è licenziata sotto Creative Commons. Attribuzione. Non commerciale. Non operederivate 3.0 Italia License. ☞Email: [email protected]. ☞Arretrati www.ilcovile.it ☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris Orna-ment della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini, www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.

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Oltre a dimostrarsi una buona idea, chiedia-moci cosa si possa definire resiliente in terministrutturali. Quale lezione possiamo trarne co-me progettisti? In particolare, cosa possiamoimparare dalla evidente qualità resiliente dei si-stemi naturali? Sicuramente molto, come si ve-drà qui nel seguito.

M SISTEMI RESILIENTI E NON RESILIENTI.

NIZIAMO riconoscendo l’incredibilecomplessità e sofisticazione della tec-nologia attuale, comprendendo le

tecnologie industriali fino ai sistemi costrutti-vi. Tali tecnologie, in termini generali, si pre-sentano superbamente stabili all’interno deipropri parametri di progetto. Si tratta di queltipo di stabilità che C. H. Holling, pionieredella teoria della resilienza in ecologia, definìcome «resilienza ingegneristica». Ma si trattadi sistemi che spesso al di fuori dei loro sistemioperativi, progettuali, non si dimostrano resi-lienti. Problemi sorgono dalle conseguenzeinattese delle esternalità, sovente con risultatidisastrosi.

I

Un buon esempio è fornito dalla centrale nu-cleare di Fukushima, in Giappone. Per anni haoperato senza problemi, producendo in modoaffidabile elettricità per l’intera regione, un evi-dente caso di «resilienza ingegneristica». Ma

non possedeva ciò che Holling ha definito «re-silienza ecologica», ossia la resilienza agli scon-volgimenti spesso imprevedibili che i sistemiecologici devono affrontare. Una imprevedibi-le calamità si è concretizzata nel convergere diterremoto e tsunami, a colpire la centrale nel2010 causando una catastrofica crisi nucleare.La sicurezza dei reattori di Fukushima era ga-rantita da un antiquato sistema di derivazionestatunitense, utilizzato negli anni sessanta, incui il sistema di raffreddamento in emergenzaera alimentato elettricamente. Con l’assenza dienergia elettrica, inclusa quella fornita dai ge-neratori di riserva, il sistema per il controllo inemergenza diventò non operativo e si verificòcosì la fusione del nocciolo nei reattori. Veden-do quanto successo, si può dire anche che fuun errore centralizzare la produzione elettricadella regione, costruendo sei reattori nucleariuno di fianco all’altro. Il problema posto daeventi caotici devastanti è quello di essere perdefinizione imprevedibili. Se lo compariamoad altri fenomeni naturali, la probabilità di unterremoto accompagnato da uno tsunami ri-sulta fra l’altro relativamente maggiore (sep-pure di poco). Si pensi quale difficoltà com-porterebbe predire il luogo e il tempo dellacollisione di un asteroide, o ancora più diffi-cile, prepararsi alle sue conseguenze. I fisici siriferiscono a questo tipo di eventi caotici co-

dIl Covilef N° 801

A sinistra, uno schema in cui si può notare una sovra concentrazione di componenti aventi dimensione maggiore;a destra una rete distribuita di nodi, rete che dimostra un maggiore grado di resilienza.

Disegno di Nikos A. Salingaros.

| ( 3 ) |me a «condizioni lontane dall’equilibrio». Sitratta di un problema a cui i progettisti stannoponendo sempre più attenzione, tanto più au-mentano eventi terribili quali l’uragano San-dy, che è definibile come una combinazionecaotica di tre diversi uragani, che dopo averdevastato i Caraibi si sono abbattuti nel 2012sulla costa orientale degli Stati Uniti.

Come non bastassero questi pericoli im-prevedibili, l’umanità stessa sta contribuendoall’instabilità del sistema. A complicare ulte-riormente la situazione, noi siamo oggi respon-sabili dell’aumento del disordine, grazie allanostra tecnologia sempre più complessa e allesue interazioni imprevedibili e devastanti. Icambiamenti climatici sono una conseguenzadi tali sconvolgimenti, uniti però alle comples-se e instabili infrastrutture che costruiamolungo le coste, in luoghi vulnerabili. (Infatti,le infrastrutture in Giappone sono state pe-santemente danneggiate su un’area molto va-sta grazie al caotico effetto domino legato al-l’incidente di Fukushima.) L’intrusione dellanostra tecnologia all’interno della biosfera haportato i sistemi naturali in condizioni lonta-ne dal loro stato di equilibrio, e il risultato ditutto ciò sono gli sconvolgimenti catastrofici acui assistiamo come mai prima d’ora.

M LE LEZIONI DALLA BIOLOGIA.

OSA possiamo imparare dai sistemibiologici? In primo luogo, che sonoincredibilmente complessi. Si pren-

da, come esempio, la ricca diversità che pre-senta una foresta tropicale, tale da generare incontinuo complesse interazioni tra gli innu-merevoli elementi di cui è composta. E molteforeste tropicali si mantengono stabili per mi-gliaia di anni, nonostante gli innumerevolisconvolgimenti ed eventi dirompenti di cui èoggetto il loro ecosistema. Come possiamocomprendere e applicare la lezione derivanteda simili caratteristiche strutturali? Ci sembrapossibile partendo da quattro indicatori ricava-bili dai sistemi biologici distribuiti (non cen-tralizzati) che illustreremo poi nel dettaglio:

C

1) Hanno una struttura interconnessa a rete;2) Presentano diversità e ridondanza (indica-tore evidente di efficienza);3) Mostrano un’ampia distribuzione di strut-ture nelle varie scale dimensionali, inclusequelle di minori dimensioni;4) Hanno capacità di auto adattamento e autoorganizzazione. Ciò in genere (ma non sem-pre) si ottiene utilizzando l’informazione tra-smessa geneticamente.

La rete costituita da Internet si presentacome un esempio a noi familiare di strutturainterconnessa. Internet fu inventata dai mili-

1° Luglio 2014 Anno XIV

Una ripresa dallo spazio dell’uragano Sandy, 28 ottobre 2012Foto da LANCE MODIS Rapid Response Team, NASA GSFC.

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tari statunitensi con lo scopo di garantire loscambio di informazioni in caso di attacco. An-che i sistemi biologici presentano strutture in-terconnesse, come possiamo rilevare ad esem-pio nei sistemi circolatori del sangue e degliormoni, o nelle connessioni neuronali del cer-vello. I tessuti viventi danneggiati parzial-mente sono spesso in grado di ricostituirsi,così come il cervello può ricostruire conoscen-ze e abilità perdute, realizzando nuovi e alter-nativi percorsi neuronali. La chiave di un talecomportamento sembra essere l’insieme di re-lazioni interconnesse, sovrapponibili e adatta-bili. Basandosi su ridondanza, diversità, fles-sibilità, gli esempi tratti dalla biologia contrad-dicono il limitato concetto di efficienza ricava-bile dal pensiero meccanicistico. Il nostro cor-po ha due reni, due polmoni e due emisferi delcervello, ognuno dei quali può ancora funzio-nare nel caso l’altro sia danneggiato o distrut-to. Un ecosistema presenta in genere svariatespecie viventi, ciascuna delle quali può estin-guersi senza che per questo l’intero sistemavenga distrutto. Di contro, un sistema agri-colo basato su una monocoltura è altamentevulnerabile anche da un solo parassita o dauna qualsiasi altra singola minaccia. Le mono-culture sono terribilmente fragili. Sono effi-cienti solo quando si trovano nelle condizioni

ideali, ma tendono a degenerare in fallimenticatastrofici nel lungo periodo (e questa potreb-be essere una buona definizione per la nostraattuale situazione generale!). Per quale moti-vo la distribuzione di strutture in tutte le di-verse scale dimensionali risulta tanto impor-tante? Per un verso, è un modo di produrre di-versità. Inoltre le strutture di minori dimen-sioni, che compongono e supportano le strut-ture a maggiori dimensioni, tendono a facilita-re la rigenerazione e l’adattamento. Se il tessu-to vivente di un organo viene danneggiato, nerisulta più semplice la ricostruzione a partiredalle piccole cellule che lo costituiscono, cosìcome è più semplice e praticabile la riparazio-ne di un muro danneggiato nel caso questo siacostituito da piccoli mattoni.

Auto organizzazione e auto adattamentosono anch’essi attributi fondamentali dei siste-mi viventi e della loro evoluzione. In effetti,tale incredibile capacità di auto strutturazioneè una delle caratteristiche più importanti ri-scontrabili nei processi biologici. Come fun-ziona? Abbiamo visto che richiede connessio-ni, diversità e distribuzione di strutture allediverse dimensioni. Ma necessita in più dellacapacità di conservare e ricostruire modellipreesistenti, così da comporre via via modellisempre più complessi. In biologia di frequente

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Mappa di Internet: paradigma di una rete resiliente, resilienza dovuta in parte proprioalla varietà di scale dimensionali e alla ridondanza.

Immagine: Opte Proje/Wikimedia.

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ciò si ottiene utilizzando la memoria genetica,in cui strutture che codificano modelli di basevengono poi riutilizzate e incorporate in mo-delli sempre più evoluti. Uno degli esempi piùnoti in tal senso è ovviamente presentato dalDNA: la trasformazione evolutiva degli orga-nismi che usano il DNA ha gradualmentecostituito un mondo che si è evoluto a partireda virus e batteri fino a ben più complessi or-ganismi viventi.

M COME APPLICARE LA LEZIONE BIOLOGICA AI PROGETTI UMANI PER AUMENTARNE LA RESILIENZA .

OME possiamo applicare tali indica-zioni strutturali per creare città re-silienti, o per migliorare zone vulne-

rabili nelle città, rendendole più resilienti? Svi-luppando i concetti già elencati nella listaprecedente, le città resilienti presentano le se-guenti caratteristiche principali:

C

1. Hanno reti interconnesse, sia nei percorsi chenelle relazioni. Non si ha una netta distin-zione in zone ben definite a seconda delleattività che si svolgono in esse, delle di-verse fruizioni a cui sono destinate, o di-stinzione netta dei percorsi, tutte separa-zioni queste che rendono le città vulnerabi-li e destinate al fallimento.

2. Hanno diversità e ridondanza di attività,tipologie, obbiettivi e popolazione. Nelle cittàresilienti risiedono diversi tipi di persone,che svolgono attività tra le più disparate,ognuna delle quali potrebbe essere in gra-do di garantire la sopravvivenza del siste-ma di fronte a una crisi (la cui natura eorigine non può essere mai nota inanticipo).

3. Hanno un’ampia distribuzione di strutturenelle diverse scale dimensionali, dal modellodi pianificazione a scala regionale (il piùvasto) fino al più piccolo dettaglio. Com-binandosi con i punti (1) e (2) visti in pre-cedenza, si ottengono strutture le più di-verse, interconnesse, che possono inoltremodificarsi localmente in modo relativa-mente semplice (ciò in risposta al mutaredei bisogni). Si può paragonare tutto ciò alcomportamento di un edificio costruito inmattoni, facilmente riparabile nel caso diun qualche danneggiamento (all’oppostodel comportamento di un edificio costrui-to in pannelli prefabbricati, dove la ripara-zione ha minori possibilità di riuscita epuò consigliarsi la sostituzione completadei pannelli compromessi). Come conse-guenza del punto (3), le città (e loro parti)possono adattarsi e organizzarsi in risposta

1° Luglio 2014 Anno XIV

Distribuzione di elementi interconnessi a varie scale dimensionali.Disegno di Nikos A. Salìngaros.

| ( 6 ) |al mutamento dei bisogni, tanto su scala spa-ziale che temporale, in risposta a qualsiasinecessità. Vale a dire che l’ambiente urba-no può auto organizzarsi. Tale processopuò divenire sempre più evidente con ilprogredire degli scambi evolutivi e la tra-sformazione dei saperi e concetti tradizio-nali, allo scopo di incontrare i veri bisognidell’umanità e l’ambiente naturale da cuil’umanità dipende.

Le città resilienti si sviluppano con moda-lità del tutto specifiche. Una città con similicaratteristiche è in grado di custodire i modellio le informazioni più antichi, costruendo apartire da essi, e allo stesso tempo ha la capa-cità di rispondere al cambiamento con l’inseri-mento di nuovi adattamenti. Negli spazi urbaniresilienti non si produce mai una completanovità, ma si introducono sempre novità sele-zionate sulla base degli effettivi bisogni. Qual-siasi cambiamento viene testato attraverso laselezione, proprio come i cambiamenti in unorganismo nel corso dell’evoluzione vengonoselezionati sulla base di quanto positivo si di-mostra il comportamento dell’organismo nelproprio ambiente. Ciò impedisce per lo più ilverificarsi di mutazioni drastiche e disconti-nue. Le città resilienti mostrano pertanto unastruttura conservativa, pur potendo verificarsiin esse anche profonde trasformazioni struttu-rali. In tempi di risorse naturali sempre piùscarse e di cambiamenti climatici, come questi

elementi possono contribuire in pratica a ren-dere resiliente un contesto urbano? Chiunquepuò osservare come una città con vie intercon-nesse, comprendendo anche percorsi pedonali,sia più facilmente percorribile a piedi e menodipendente dalle macchine rispetto a una cittàche presenti una rigida gerarchia di percorsistradali, in cui tutto il traffico viene canalizza-to in un numero limitato di collettori o arterie.In modo analogo, una città pensata per funzio-nare con un mix di funzioni è in grado di me-glio adattarsi al cambiamento rispetto a una cit-tà in cui vengono rigidamente separate le di-verse monoculture che la compongono.

Se troviamo in una città una ampia diversi-tà, ben distribuita su più livelli dimensionali,la città è più facilmente adattabile di fronte anuove esigenze, e la sua risposta a seguito dipossibili crisi sarà migliore, potendo esprimer-si in ognuno e in tutti i diversi livelli di scala.L’ambiente urbano durante una crisi distrutti-va viene a costituire un perno, all’interno di unqualche livello dimensionale, attorno cui lastruttura elabora una complessa risposta multidimensionale. In tal modo è possibile l’autoorganizzazione di nuove attività economichecon nuove risorse, e questo nel momento in cuile risorse esistenti cominciano a scarseggiare.

dIl Covilef N° 801

Un sistema resiliente complesso coordina la propria risposta a un fenomeno di disturbo, e tale risposta coinvolge ogni sin-gola scala dimensionale, dalla minore alla maggiore.

Disegno di Nikos A. Salìngaros

| ( 7 ) |M L’EVOLUZIONE DELLE CITTÀ NON RESILIENTI.

UAL È la situazione attuale? Gran par-te delle nostre città sono state (e losono ancora) costruite partendo da

un modello di pianificazione nato in un’epocadi energia fossile a basso costo e in cui si eraconvinti della necessità di separare l’ambienteurbano in zone diverse, secondo un pensieromeccanicistico. Ne è risultato un ambienteurbano rigido da molti punti di vista, non re-siliente; un ambiente che nella migliore dellerealizzazioni si presenta con una qualche re-silienza ingegneristica, ma è tale solo prenden-do in considerazione un ben definito obiettivo,e di certo non è in grado di produrre alcunaresilienza ecologica. La risposta che tali cittàpossono dare alle emergenze ambientali è limi-tata e comporta un elevato dispendio di ener-gia, basta ricordare come il modello di piani-ficazione urbana dominante nel XX secolo fos-se definito dai seguenti criteri, decisamentenon resilienti:

Q

1. Le città sono strutture razionali, con struttu-re ad albero (con uno schema a piramidedall’alto verso il basso), non solo nella defi-nizione delle vie e dei percorsi in genere,ma anche nella distribuzione delle funzionie attività.

2. L’efficienza richiede l’eliminazione della ri-dondanza. La diversità è percepita concet-tualmente come caotica. Il modernismopreferisce la pulizia visiva, una suddivisio-ne ordinata degli spazi e gruppi omogenei,in cui vengono privilegiati gli elementi amaggiore dimensione.

3. L’età delle macchine detta i limiti struttu-rali e spaziali. Secondo i maggiori teoricidella città modernista, la meccanizzazioneprende il comando (Giedion); l’ornamentoè un crimine (Loos); e gli edifici più si-gnificativi appaiono come oggetti scultorei(Le Corbusier, Gropius, e altri).

4. Un qualsiasi riferimento al materiale geneti-co proveniente dalla tradizione, viene perce-pito come una violazione dello spirito del

tempo, lo spirito dell’epoca delle macchine, eperciò visto come un tentativo reazionarioda non tollerare. Al di sopra di ogni consi-derazione e opportunità progettuale, si ele-vano a paradigma e si privilegiano la no-vità e l’amore per il nuovo. L’evoluzionedelle strutture è consentita solo all’internodei concetti astratti della cultura visiva, incui i bisogni umani sono valutati attraversoi parametri della stessa cultura (parametriideologici, specialistici e estetizzanti).

Dal punto di vista della teoria della resi-lienza, tutto ciò presenta un modo per genera-re città non resilienti. Non è un caso se i pio-nieri di tali tipo di città fossero, di fatto, i so-stenitori di una forma di industrializzazionealtamente energivora, in un tempo in cui nonsi erano ancora del tutto comprese le conse-guenze di tali scelte. Ecco, ad esempio, quan-to nel 1935 scrive Le Corbusier, uno dei teori-ci più influenti dell’architettura moderna, for-nendo un modello per la dispersione urbana:

Le città diverranno parte della campagna; po-trò vivere a 50 chilometri dal mio ufficio, conla mia casa circondata da alberi; la mia segreta-ria potrà a sua volta vivere a 50 chilometri dal

1° Luglio 2014 Anno XIV

EDIZIONI SETTECOLORII LIBRI DEL COVILE

1 KONRAD WEISS, La piccola creazione, pp. 80 € 10.2 AA. VV., Konrad Weiß, Epimeteo, Carl Schmitt e Felizitas, pp. 116 € 10.3 ARMANDO ERMINI, La questione maschile oggi, pp. 212 € 14.4 AA .VV. , I l Forte to . D e st ino e cata strofe d e l cat to comunismo , pp . 2 04 € 1 4 .

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41R.

| ( 8 ) |lavoro, nella direzione opposta alla mia, sem-pre in un luogo circondato dal verde. Entrambipotremo possedere un’autovettura. Utilizzere-mo pneumatici, motori, strade e consumeremobenzina e lubrificanti. Tutto ciò comporterà lacreazione di molto lavoro… sufficiente per tutti.

Purtroppo, non ce n’è più per tutti! Sta rapida-mente volgendo al termine il breve periododei combustibili fossili disponibili in abbon-danza, e con esso l’epoca dell’architettura ur-bana non resiliente che si è diffusa in tutto ilmondo. Dobbiamo essere preparati a quantosta per accadere. Analizzando il tutto dalpunto di vista della teoria della resilienza, lesoluzioni non possono essere semplici aggiusta-menti tecnologici, come molti ingenuamentecredono. È necessario condurre analisi appro-fondite e modificare la struttura del sistema:certo non una cosa semplice da ottenere, con-siderando che tale cambiamento non produrràprofitti almeno nel breve periodo.

M POST SCRIPTUM: UNA LEZIONE DALLA NOSTRA STORIA EVOLUTIVA.

I tende a vivere trascinati dal pre-sente, escludendo sia il passato cheil futuro dalla nostra mente. Pur in

un’epoca in cui l’informazione abbonda, il pas-sato si percepisce come remoto, astratto, unasuccessione di immagini al pari di una proiezio-ne cinematografica. Finiamo così con l’ignora-re da dove veniamo, e il percorso che ci hacondotti alla nostra meravigliosa cultura tec-nologica. Non siamo preparati a sufficienzaper comprendere quale debbano essere le no-stre scelte future. Nella nostra cultura ad altocontenuto tecnico, si è convinti che il futuronon porterà sorprese. Ma nuove ricerche inantropologia, antropogènesi e genetica sembra-

S

no provare che gli esseri umani sono letteral-mente creature derivanti dal cambiamento cli-matico. Grazie a un complesso lavoro di ri-cerca, sappiamo oggi che 195.000 anni fa i no-stri antenati erano ormai prossimi all’estin-zione, ridotti a poco più di mille superstiti con-centrati sulla costa meridionale dell’Africa, acausa di un devastante periodo di siccità checolpì l’intero continente. La risposta conse-guente portò a diversificare, cercando nuovefonti di cibo e sviluppando le relative tecnolo-gie per acquisirlo: ami per pescare, uncini,cesti, vasi sono alcune delle innovazioni del-l’epoca. Ne derivò anche la necessità di svilup-pare un linguaggio più complesso, adatto acoordinare le strategie più sofisticate nate percacciare e raccogliere. Sappiamo anche che10.000 anni fa ci dovemmo adattare a unabreve glaciazione, che ci spinse a innovareutilizzando nuove tecnologie agricole, e comeconseguenza nuove forme stanziali. Tali inno-vazioni comparvero in modo simultaneo invarie parti del mondo, allora di certo nonconnesso, suggerendo così che fossero le con-dizioni climatiche ad aver innescato tali scelte.

Ora stiamo per affrontare il terzo grandeadattamento della nostra storia collegato alcambiamento climatico. Ma questa volta siamonoi, con le nostre tecnologie, ad aver provo-cato il cambiamento del clima. Per poterci a-dattare con successo, dovremo comprendere leopportunità di innovare ancora, utilizzando almeglio le nostre tecnologie e realizzazioni. Ilnostro confortevole stile di vita (nel ricco oc-cidente e in quelle classi socio economiche chealtrove possono permettersi di copiarci) è dicerto meno resiliente di quanto si voglia in ge-nere ammettere. Se vogliamo continuare nellanostra importante storia di civiltà tecnologica,dobbiamo prendere a cuore le lezioni che pro-vengono dalla teoria della resilienza.

dIl Covilef N° 801Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiß Der christliche Epimetheus)

BAANNO XIV N°803 15 LUGLIO 2014

RIVISTA APERIODICA

DIRETTA DA

STEFANO BORSELLI dIl Covilef RISORSE CONVIVIALI

E VARIA UMANITÀ

ISSN2279–6924¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila

N E L L A T R A D U Z I O N E D I S T E F A N O S I L V E S T R I .

MICHAEL MEHAFFY & NIKOS A. SALÌNGAROS

VERSO UN'ARCHITETTURA RESILIENTEPARTE SECONDA: COME IL VERDE

NON SEMPRE S IA TALE.;

Continua la pubblicazione delle cinque parti di «Toward Resilient Architeures», il saggio di Mehaffy e Salìngaros comparso dalmarzo al dicembre 2013 sul blog di Metropolis Magazine (www.metropolismag.com). La prima parte è uscita nel numero 801.

PESSO si verifica un dato inaspettatonei cosiddetti edifici sostenibili: nelmisurarne in campo, nel corso della

loro normale attività, le qualità ambientali, sidimostra che sono molto meno sostenibili diquanto venga affermato. In alcuni casi si tro-va che le prestazioni reali sono innegabilmen-te meno performanti di edifici meno recenti.In un articolo del 2009 («Some buildings notliving up to green label»), nel New York Times

Sviene documentato il problema, citando mol-te attuali icone del costruire sostenibile. Trale ragioni di un tale fallimento, il Times foca-lizza l’attenzione sull’uso indiscriminato del-le pareti vetrate, sul progetto di edifici a pian-ta larga, in cui molto dello spazio utilizzabilerisulta lontano dalle pareti esterne, rendendocosì necessario l’utilizzo massiccio sia dell’il-luminazione artificiale che di sistemi per laventilazione meccanica.

Il Covile, ISSN 2279–6924, è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sen- si della Legge sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Direttore: Stefano Borselli. ☞Redazione:Francesco Borselli, Riccardo De Benedetti, Aude De Kerros, Pietro De Marco, Arman- do Ermini, Marisa Fadoni Strik, Luciano Funari, Giuseppe Ghini, Ciro Lomonte,Roberto Manfredini, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Al- manacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, StefanoSerafini, Stefano Silvestri, Massimo Zaratin. ☞ © 2012 Stefano Borselli. Questa rivi- sta è licenziata sotto Creative Commons. Attribuzione. Non commerciale. Non operederivate 3.0 Italia License. ☞Email: [email protected]. ☞Arretrati www.ilcovile.it ☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris Orna-ment della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini, www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.

Con il progetto dell’Anara Tower, prima della sua cancellazione, si voleva costruire il più alto grattacielo diDubai, e creare un’icona della sostenibilità, nonostante una facciata esposta a ovest interamente vetrata, unutilizzo di materiali prodotti con alto dispendio energetico, e la posa di una enorme e singolare turbina eolica,

non funzionale ma di solo scopo decorativo.Immagine prodotta da WS Atkins PLC.

| ( 2 ) |Forse anche in risposta a quanto riportato

dalla stampa, la Municipalità di New York hapoi approvato una norma che impone la pub-blicazione delle effettive prestazioni energeti-che negli edifici. Ciò ha svelato che altre ico-ne della sostenibilità presentano dati delu-denti: sempre il Times nell’articolo «City’sLaw Tracking Energy Use Yields SomeSurprises» ha pubblicato la notizia che il nuo-vo e sfavillante 7 World Trade Center, già do-tato in precedenza del livello Oro all’internodella certificazione LEED, con il sistema dicertificazione governativo Energy star ha ot-tenuto solo 74 punti, quando 75 è il punteg-gio minimo per ottenere la certificazione E-nergy Star e poter così definirsi edificio adalta efficienza energetica. In una tale modestavalutazione energetica non sono comunqueentrati nemmeno i materiali utilizzati per ilnuovo 7 World Trade Center, materiali nellacui produzione viene utilizzata un’elevataquantità di energia. A peggiorare ancora lasituazione, nel 2010 è stata intentata una cau-sa civile ($100 Million Class Aion Filed Aga-inst LEED and USGBC) nei confronti del-l’organizzazione US Green Building Council,proprietaria del sistema di certificazione LE-

ED (Leadership in Energy and Environmen-tal Design). Il querelante nella causa asserivache l’organizzazione USGBC si distinguevanel promuovere il sistema LEED attraverso«pratiche commerciali fuorvianti, pubblicitàmendaci e ingannevoli», argomentando inol-tre come l’USGBC finisse così con il danneg-giare tanto gli enti pubblici quanto i privati,dato che il sistema LEED non comportavanell’esercizio i livelli di risparmio energeticoprevisti e pubblicizzati. La causa non vennealla fine accolta, ma il sito internet Treehug-ger preannunciò all’epoca, con altri siti diinformazione, che «vi potranno essere moltealtre citazioni in giudizio», e ciò basandosi sul-le evidenze illustrate nella causa. Ma chiedia-moci come può accadere che la volontà di au-mentare la sostenibilità porti alla situazioneopposta. Un problema che si nota in molti ap-procci verso la sostenibilità è quello di nonmettere in discussione la tipologia edilizia im-plicita per l’intervento. Ci si limita ad aggiun-gere solo nuove componenti verdi alla co-struzione, quali nuovi sistemi meccanici piùefficienti e migliori isolanti termici alle pare-ti. Una tale concezione della sostenibilità,con elementi aggiunti in modo quasi forzoso,

dIl Covilef N° 803

Una tipologia edilizia energivora con intere facciate vetrate, tipica degli anni sessanta, messa a confronto conun edificio a facciata continua dotato di certificazione LEED. Quali differenze notate? Parafrasando Albert

Einstein, non possiamo risolvere problemi utilizzando lo stesso schema di base che li ha prodotti.Disegno di Nikos A. Salingaros.

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| ( 3 ) |ha come svantaggio di lasciare inalterate leforme sottese e i sistemi strutturali che gene-rano le stesse. Il risultato a cui si giunge puòessere illustrato ricorrendo alla legge delleconseguenze inaspettate. Il risultato ottenu-to in un settore è vanificato in qualche altrocampo, a causa di interazioni aggiuntive nonpreviste.

Si consideri come rendere sempre più effi-cienti i sistemi energetici attivi, tenda a ridur-re il totale complessivo dell’energia utiliz-zata, e come possibile conseguenza a ridurneil costo complessivo sostenuto. Ma, di con-tro, l’abbassarsi del costo complessivo soste-nuto per l’energia porta gli utenti a esseremeno attenti nell’utilizzo della stessa ener-gia, un fenomeno conosciuto con il nome diParadosso di Jevons. L’aumento dell’efficien-za energetica diminuisce i costi sostenuti, eaccresce la domanda, aumentando così il li-vello dei consumi e cancellando i risparmiiniziali. Ne deriva una lezione, che non è pen-sabile di considerare il consumo energeticoseparatamente da altri fattori. Dobbiamopensare in modo più ampio possibile all’ideadi energia, includendo l’energia contenutanei materiali, insieme ad altri fattori.

Vi sono poi altre conseguenze che si pre-sentano inaspettate. Un caso emblematico èdato a Londra dall’icona della sostenibilità, ilCetriolo progettato da Foster & Partners nel2003, dove il sistema di ventilazione naturaleè compromesso dall’inserimento di vetrate diseparazione, necessarie per la sicurezza dellediverse attività. Le finestre, quando lo con-sentono, vengono così aperte a causa del cat-tivo funzionamento del sistema di ventilazio-ne naturale, mentre dovrebbero rimaneresempre chiuse. L’ambizioso obbiettivo di ot-tenere un sofisticato sistema di ventilazionenaturale ha portato paradossalmente il risulta-to di peggiorare la qualità dell’edificio.

M NESSUN EDIFICIO È UN’ISOLA.

ROBLEMI ancora maggiori si hannoquando progetti di edilizia sosteni-bile trattano gli edifici in modo se-

parato dai relativi contesti urbani. Si consi-deri il caso emblematico («Driving to GreenBuildings») della Fondazione ChesapeakeBay, che ha deciso di spostare la propria sedenel primo edificio al mondo certificato a li-vello LEED Platino, questo ha comportatoperò l’abbandono di un vecchio edificio situa-to al centro di Annapolis nel Maryland a fa-vore del nuovo edificio in periferia, nella cuicostruzione si sono impiegate energia e risor-se aggiuntive. In tale situazione, consideran-do solo gli spostamenti giornalieri degli im-piegati, che rappresenta la quantità di ener-gia impegnata nei trasporti, si annulla il ri-sparmio di energia ottenuto con il nuovoedificio. La teoria della resilienza, illustratanella prima parte del nostro saggio, definisceil problema nella sua essenza. I sistemi posso-no sembrare ben costruiti all’interno dei pro-pri parametri progettuali iniziali, ma poi in-teragiscono inevitabilmente con molti altrisistemi, spesso in modo imprevedibile e nonlineare. Cerchiamo piuttosto un metodo pro-gettuale più robusto, che possa combinarecriteri vari e ridondanti (a rete), e operi a va-rie scale dimensionali garantendo un gradodi flessibilità elevato al progetto. Questi crite-ri possono apparire astratti, ma sono esatta-mente simili a quelli definiti per la progetta-zione nell’architettura passiva. Negli edificipassivi gli abitanti possono aggiustare e adat-tare l’edificio alle condizioni climatiche, a-prendo o chiudendo le finestre o gli infissiesterni, prendendo luce naturale e aria ester-na. Questi progetti arrivano così a un mag-giore grado di definizione e dettaglio perrispondere in modo adeguato alle condizioniambientali esterne. Ospitano diversi sistemicon più funzioni, quali le pareti esterne cheoltre ad avere funzione strutturale possonoaccumulare o cedere calore grazie alla pro-pria massa termica. Presentano inoltre spazi

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interconnessi che possono essere facilmentericonfigurati per nuovi usi, con modifiche re-lativamente a basso costo (al contrario dellatipologia a pianta flessibile, tipologia chenon dà mai i risultati attesi). Gli edifici passi-vi svolgono più funzioni e in genere non sonoprogettati per soddisfare unicamente un’este-tica di moda o un utilizzo rigidamente setto-riale. E l’elemento forse più importante, nonvengono isolati dal contesto e dal tessutourbano, ma interagiscono in vario modo conla città per ottenerne benefici a più livelli.

M LE PRESTAZIONI DEI VECCHI EDIFICI A VOLTE SONO MIGLIORI…

OLTI vecchi edifici presentano untale approccio passivo, semplice-mente perché si era obbligati a sfrut-

tare tale approccio. In epoche in cui l’ener-gia era costosa (o semplicemente non dispo-nibile), in cui spostarsi non era facile, gli e-difici venivano naturalmente raggruppati in-sieme nei centri urbani. La loro forma e o-rientamento sfruttava la luce naturale, tipi-camente con piccole finestre ben posizionatee muri portanti con elevata capacità termica.Le forme semplici e compatte in tali edificiconsentivano praticamente infinite configu-razioni. Di fatto, molti degli immobili urbanidi maggior pregio oggi derivano da progettidi recupero di edifici molto più antichi. I ri-sultati di un simile approccio si riflettono inbuone prestazioni nel contenimento dei con-sumi energetici. Mentre il World Trade

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Città costruite utilizzando un linguaggio la cui caratteristica principale è quella di massimizzare il consumo dicombustibile da origine fossile. Nel corso dell’epoca del petrolio si è dimostrata una strategia di successo per

l’economia, ma ora si sta profilando come una catastrofe.Disegno di Nikos A. Salingaros.

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| ( 5 ) |Center 7 di New York presenta una classifica-zione energetica al di sotto della minima am-missibile per le nuove costruzione (75 su 100è la minima ammessa nella città di NewYork), edifici di più vecchia costruzione, ri-strutturati con l’applicazione delle stesse in-novative tecnologie in tema di riscaldamen-to, condizionamento e illuminazione, neescono molto meglio: Empire State Buildingha una classificazione pari a 80, il ChryslerBuilding 84. Ma per gli edifici il solo fatto es-sere datati non è garanzia di successo.L’edificio MetLife/PanAm costruito nel1963 (progetto Walter Gropius & PietroBelluschi), ora vecchio di mezzo secolo, hauna classificazione energetica con un deso-lante 39. Un’altra icona del secolo scorso, laLever House (progetto Skidmore, Owings &Merrill del 1952), ha ottenuto punteggioenergetico pari a 20. La peggiore prestazio-ne energetica è quella del Seagram Building,iconico grattacielo progettato da LudwigMies Van der Rohe, aperto nel 1958, con unpunteggio energetico incredibilmente basso,uguale a 3. Ma quali problemi hanno taliedifici? Come si può leggere nel primo artico-lo del New York Times, sono edifici con in-tere facciate vetrate, ampie aree finestrate,planimetrie a pianta larga oltre a vari altri li-miti. A un livello più profondo, così come ini-ziamo a comprendere grazie alla teoria dellaresilienza, sono privi di quelli che possonoconsiderarsi come vantaggi cruciali in temadi resilienza presenti negli edifici più vecchi.Può esserci qualcosa nella stessa tipologia edi-lizia che non è resiliente. La stessa forma ar-chitettonica modernista presenta un proble-ma in sé, qualcosa che, in accordo con un ap-proccio sistemico, nessuna applicazioneverde può compensare.

M L’ARCHITETTURA NELL’ETÀ DEL PETROLIO.

L critico dell’architettura PeterBuchanan ha recentemente scritto,nella rivista inglese The Archi-

teural Review, che la causa di tutti questifallimenti è da ricercare direttamente allefondamenta stesse del modello modernista,proclamando la necessità di un radicale ri-pensamento di molti assiomi indiscussi («TheBig Rethink: Farewell To Modernism —And Modernity Too»). Il Modernismo è diper sé insostenibile, scrive, poiché si è svilup-pato in un periodo in cui i combustibili deri-vati dal petrolio erano disponibili in abbon-danza ed economici. L’energia fossile ali-mentava gli spostamenti dei pendolari verso iprimi quartieri modernisti, mantenendo benriscaldati gli ampi spazi interni alle abita-zioni, nonostante il largo utilizzo di vetro e isottili muri esterni. Gli stabilimenti petrol-chimici creavano molecole complesse e ini-ziavano la produzione di estrusioni semprepiù esotiche.

I

L’architettura modernista è pertanto un’archi-tettura dissipatrice di energia, possibile solo inpresenza di combustibili fossili abbondanti eaccessibili,

continua Buchanan.Come la periferia diffusa che ha generato,l’architettura modernista appartiene a un’epo-ca al tramonto che gli storici hanno già defini-to come l’epoca del petrolio.

Buchanan non è l’unico a chiedere unprofondo ripensamento delle basi stesse delmodernismo. Oggi è diventato di moda framolti architetti attaccare il modernismo, ab-bracciando invece vari tipi di stili post moder-ni e all’avanguardia. Buchanan raggruppatutti questi stili in un’unica categoria chedefinisce post modernismo decostruttivista. Eprosegue affermando che i decostruttivistinon hanno in realtà trasceso il paradigmamodernista, che pure condannano: continua-no per lo più a lavorare all’interno dei po-stulati industriali e delle metodologie inge-gneristiche tipiche dell’età del petrolio. Anco-

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ra una volta, la teoria della resilienza ci con-sente di comprendere le criticità insite in que-sto insieme di linguaggi architettonici, naticon il post moderno, criticità insite proprioalla base della loro concezione progettuale (eche successivamente saranno esaminate neldettaglio). Paradossalmente, il modello pro-gettuale moderno è ora vecchio di almeno unsecolo, e appartiene a un’epoca in cui si appli-cava l’ingegneria della resilienza, vale a direun tipo di resilienza pensata a partire da para-metri progettuali ben definiti, e quindi inca-pace di confrontarsi con eventi imprevedibiliderivanti da interazioni con altri sistemi (tipoil trasporto urbano, o sistemi ecologici reali).Come abbiamo visto, il tipo di linguaggio mo-dernista e i suoi discendenti sono connessi alparadigma lineare di tipo ingegneristico, epertanto non possono in pratica associare ap-procci diversi e ridondanti (a rete), o lavoraresu più livelli dimensionali, o assicurare unadattabilità spinta fino nei minimi dettagliagli elementi progettati, sebbene possano cer-care di farlo almeno a livello simbolico. Al dilà di qualche affermazione discutibile (che avolte assume le caratteristiche di una massic-cia campagna pubblicitaria), tutti questi lin-guaggi architettonici non riescono a raggiun-gere quella resilienza ecologica teorizzata daC. H. Holling. Ciò sembra suggerire una im-portante chiave di lettura per le scarse pre-stazioni energetiche negli edifici e luoghiispirati al modernismo, così come si rileva

nelle analisi dopo l’utilizzo. Sotto questaluce, i vari tentativi innovativi di trascendereil modernismo appaiono più come tentatividi confezionare in modi nuovi le identichesottese (e non resilienti) tipologie strutturali,aventi le stesse metodologie industriali. Macome Albert Einstein ebbe ad affermare:«Un nuovo modo di pensare è essenziale sel’umanità vuole sopravvivere ed evolvere ver-so più alti livelli». Proprio in quanto non èpossibile aumentare la resilienza di un siste-ma con la semplice aggiunta di nuovi di-spositivi, tipo pannelli solari, a queste tipolo-gie edilizie tipiche del vecchio modernismoindustriale, non neanche possibile ottenerebenefici significativi da semplici adattamentiprogettuali, per quanto abbaglianti, e da unpensiero ecologico di facciata, rimanendo al-l’interno di un progetto che in sostanza nasceda un sempre identico processo industriale.Per il futuro abbiamo necessità di un granderipensamento degli stessi metodi e sistemiche definiscono il processo costruttivo.

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Curiosamente, dopo un secolo di liberi progetti sperimentali, il linguaggio formale modernista torna alle tra-dizionali scatole vetrate.

Disegno di Nikos A. Salingaros.

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| ( 7 ) |M UN’ONDATA DI NEO MODERNISMO.

OME se non bastasse, in anni recentisi è assistito all’impressionante ri-torno di un modernismo ancora più

sfrontato. Per quanto visto, si può parlare diun movimento decisamente reazionario: stia-mo assistendo a un movimento che evidenziaun ritorno alle origini, un movimento checome altri si fonda più su ideologie che nonsulla realtà. Il neo modernismo in voga oggioscilla passando da forme scatolari completa-mente bianche, con un vago sentore retrò, siaper gli edifici, gli interni che per gli arredi,fino a rischiose e avveniristiche costruzioni.Dal punto di vista estetico, qui le forme ar-chitettoniche sono appariscenti e a volte spi-golose, ma trovano sempre l’apprezzamentodi alcuni (in maggioranza architetti).

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Non tutti comunque sembrano apprezzarequesta nuova/vecchia estetica. Alcuni vedonole nuove realizzazioni come sterili, sgrade-voli, con un effetto devastante per le zone li-mitrofe e la città in genere. Chi le difende at-tacca i detrattori come potenziali reazionari,nostalgici, o incapaci di accettare l’inevitabi-le progresso necessario in una cultura dinami-ca. Una simile lotta per le proprie preferenzeestetiche continua a imperversare, con gli e-sponenti del neo modernismo che rivendica-no ovunque possibile il loro primato comeavanguardia stilistica. Di certo, le mode sonopasseggere e l’architettura non fa certoeccezione: da circa un secolo il modernismoin architettura vive periodi di successo alta-lenante, di pari passo con accese discussionicirca i propri valori estetici. Discussioni chenon si sono mai sopite. Critiche pari a quelledi Buchanan sono sempre state presenti: nelcorso degli anni sessanta e settanta del secoloscorso personaggi quali Christopher Alexan-der, Peter Blake, Jane Jacobs, David Watkin,e Tom Wolfe hanno mosso fulminanti criti-che all’architettura dominante, ma ben pocoè mutato. Ma ora qualcosa è cambiato, stia-mo ponendo di nuovo domande impellenti ri-guardo alla resilienza di un tale tipo di co-

struzioni, in un periodo in cui abbiamo neces-sità di valutare e migliorare in modo rigorosola loro resilienza. Come abbiamo già indica-to, la radice del problema non è solo nelleconsuetudini particolari e pratiche di utiliz-zo di costose facciate vetrate, di edifici in-gombranti e trasparenti, assemblati a partireda componenti non comuni basate molto suprodotti plastici. Lontana dal concetto stessodi sostenibilità è forse l’idea stessa di edificiocome icona affascinante che celebra la pro-pria novità, idea che rappresenta l’essenzastessa del modernismo. Con il passare deltempo, gli edifici modernisti sono condanna-ti a essere sempre meno nuovi e perciò menoutili, non più per il motivo per cui sono staticostruiti. Le immacolate superfici prodotteindustrialmente nel periodo modernista (orapresenti nel post modernismo e nel movi-mento decostruttivista) sono destinate a de-teriorarsi, esposte alle intemperie e a degra-darsi in ogni caso. Le accattivanti novità diun periodo sono destinate a divenire le bruttu-re abbandonate di quello successivo, una per-dita inevitabile per un’élite completamentepresa dalla moda del momento. Nel frattem-po i criteri per un costruire resilienti, umili enaturali, vengono messi da parte, nella corsaad abbracciare le novità tecnologiche ultimee di maggior successo, corsa che alla fineproduce una serie di fallimenti disastrosi einaspettati. Non è questo chiaramente il mo-do di prepararsi a un futuro sostenibile, inogni senso.

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| ( 8 ) |M IL MODERNISMO RAPPRESENTA QUALCOSA DI PIÙ DI UNO STILE.

A tale punto di vista, per quale mo-tivo i linguaggi e le metodologieprogettuali del modernismo si dimo-

strano così tenacemente persistenti? La rispo-sta è che il modernismo non rappresenta solouno stile architettonico, che può più o menopiacere. È parte integrante di un’idea inclu-siva, totalizzante in maniera singolare, e cheriguarda tutti i campi dell’attività umana,dall’estetica alla strutture architettoniche,all’urbanistica, tecnologia, cultura, interes-sando alla fine l’intera nostra civiltà. Unatale idea ha avuto una profonda influenza nel-lo sviluppo degli insediamenti moderni, sia intermini positivi che negativi, e (alla luce del-la teoria della resilienza) ha contribuito pe-santemente alla situazione attuale in cui tro-viamo le nostre città e la nostra civiltà. Leorigini del modernismo in architettura sonostrettamente legate alle aspirazioni dell’ini-zio del ventesimo secolo, e agli ideali uma-nitari, compreso lo zelo utopistico, collegatealle visioni di società ideali del periodo. I mo-dernisti videro, nella nascente tecnologia in-dustriale dell’epoca, la promettente capacitàdi portare una nuova era di prosperità e qua-lità della vita per l’intera umanità. Al suoculmine, molti furono rapiti dalle apparenti,infinite possibilità conseguenti all’utopia tec-nologica. Da ciò iniziò a svilupparsi una teo-ria raffinata circa la necessità di nuove struttu-re architettoniche e nuove forme di linguag-gio da utilizzare per il futuro, teoria ancorapoco studiata fin nelle sue ultime conseguen-ze. I fautori di tale pensiero ancora oggi af-fermano senza alcun dubbio che è il moder-nismo a portare meglio di qualunque altromovimento la bandiera della sostenibilità. Dicerto molte cose sono state migliorate nelcorso di questo ordine tecnologico: possiamocurare varie malattie, lavorare con meno fa-tica, mangiare cibi esotici, viaggiare in vei-coli confortevoli e spostarci velocemente, etanto altro possiamo realizzare che avrebbe

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impressionato i nostri antenati. Ma insieme atutto ciò il nuovo ordine ha causato calamitàambientali, penuria e distruzione di risorsenaturali, per non parlare dell’erosione dei fon-damenti su cui si basano l’economia e la no-stra stessa vita. Oggi in un tempo di crisiconvergenti, è arrivato il momento di metterein discussione gli assiomi di un tale ordineindustriale, insieme alla complicità del mo-dernismo architettonico nel porsi come sortadi accattivante involucro per lo stesso siste-ma. La sua storia risale all’inizio del ventesi-mo secolo, a un importante ma piccolo grup-po di scrittori, intellettuali, architetti, fra iquali spicca l’architetto austriaco Adolf Lo-os. Dovremo considerare con attenzione quan-to accadde allora, al significato di una tale ere-dità e alle terribili sfide che ci attendono oranella progettazione.

dIl Covilef N° 803Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiß Der christliche Epimetheus)

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BAANNO XIV N°805 3 AGOSTO 2014

RIVISTA APERIODICA

DIRETTA DA

STEFANO BORSELLI dIl Covilef RISORSE CONVIVIALI

E VARIA UMANITÀ

ISSN2279–6924¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila

N E L L A T R A D U Z I O N E D I S T E F A N O S I L V E S T R I .

MICHAEL MEHAFFY & NIKOS A. SALÌNGAROS

VERSO UN 'ARCHITETTURA RESILIENTEPARTE TERZA : IL CUBO MODERNISTA.

;

Continua la pubblicazione delle cinque parti di «Toward Resilient Architeures», il saggio di Mehaffy e Salìngaros comparso dal marzoal dicembre 2013 sul blog di Metropolis Magazine (www.metropolismag.com). Le prime due parti sono uscite nei numeri 801 e 803.

NTRIAMO in un’epoca che chiede unlivello sempre maggiore di resilien-za e sostenibilità nei nostri sistemi

tecnologici, e dobbiamo analizzare con occhinuovi e in profondità i fondamenti stessi del-l’architettura e urbanistica odierne. Analisidei parametri energetici condotte durante lo

Esvolgimento della normale attività mostranoin molti edifici che, sia per nuove realizzazio-ni che per le ristrutturazioni, il loro compor-tamento è in sostanza al di sotto del minimoatteso. In alcuni casi degni di nota, i risultatiottenuti sono decisamente sconfortanti (siveda «Per un’architettura resiliente — Parte

Il Covile, ISSN 2279–6924, è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sen- si della Legge sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Direttore: Stefano Borselli. ☞Redazione:Francesco Borselli, Riccardo De Benedetti, Aude De Kerros, Pietro De Marco, Arman- do Ermini, Marisa Fadoni Strik, Luciano Funari, Giuseppe Ghini, Ciro Lomonte,Roberto Manfredini, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Al- manacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, StefanoSerafini, Stefano Silvestri, Massimo Zaratin. ☞ © 2012 Stefano Borselli. Questa rivi- sta è licenziata sotto Creative Commons. Attribuzione. Non commerciale. Non operederivate 3.0 Italia License. ☞Email: [email protected]. ☞Arretrati www.ilcovile.it ☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris Orna-ment della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini, www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.

Le matematiche frattali che troviamo in natura hanno una somiglianza impressionante con le de-corazioni realizzate dall’uomo, come si può vedere dalla forma frattale qui riprodotta, generatada una equazione che produce partizioni finite. Non si tratta di una semplice coincidenza: i moti-vi decorativi per gli essere umani sono una specie di collante che aiuta a connettere gli spazi incui viviamo. Ne deriva che l’eliminazione dei motivi ornamentali ha conseguenze di ampia porta-

ta sulla possibilità delle strutture ambientali di formare un tutto coerente e resiliente.Immagine: Brirush/Wikimedia.

| ( 2 ) |seconda: come il verde non sempre sia tale»).Il problema è che il sistema urbano esistente,sviluppatosi nell’era industriale con ampia di-sponibilità di energia da fonti fossili, si sta di-mostrando fondamentalmente limitato. E co-minciamo a comprendere che non è possibilerisolvere i problemi utilizzando gli stessi stru-menti che inizialmente hanno contribuito acrearli. Viviamo in un mondo lontanodall’equilibrio, come suggerisce la stessa teoriadella resilienza, e non possiamo contare su unapproccio ingegneristico, meccanicistico, atali problemi, perché ciò porta solo a una se-rie di conseguenze impreviste. Quello di cuiabbiamo bisogno è l’innata abilità di governa-re le crisi sistemiche, del tipo che vediamo pe-riodicamente nei sistemi biologici. Nella pri-ma parte di questo saggio si sono descritte va-rie caratteristiche tipiche delle strutture resi-lienti, compresa la connettività ridondante (arete), la ricchezza nella diversità, la presenzadi strutture su più livelli dimensionali, e ladefinizione minuziosa fin nei minimi dettagli.Si è notato anche che molte delle costruzionipiù antiche presentano, in maniera evidente eben definita, tali qualità, che identificano ap-punto le strutture resilienti, e nella stesse pro-cedure di valutazione ambientale tali costru-zioni ottengono sorprendenti risultati positi-vi. Nonostante tutto questo, nel corso del-l’ultimo secolo, durante l’era industriale, sisono perse le qualità presenti negli edifici resi-lienti. Quale è stata causa di tale perdita?

È opinione comune che la nostra civiltà ab-bia intrapreso un percorso pratico ed efficien-te nella produzione di beni, iniziato nel mo-mento in cui i metodi preesistenti si sono dimo-strati superati e anti moderni. Secondo un si-mile punto di vista, le nuove architetture sononate grazie al contributo ineludibile di forzeal di fuori del nostro controllo, e sono espres-sione di un emozionante spirito del tempo con-nesso alla civiltà industriale. I nuovi edificidovevano avere linee essenziali, essere belli esoprattutto essere stilisticamente adeguati.Questo fu il pensiero che diede vita allo stile

modernista e al suo linguaggio, ancora attualee diffuso tra gli architetti, e parte di un movi-mento che sotto varie forme ha dominato ilmondo per circa un secolo. Le scelte stilisti-che e tipologiche influiscono sul comporta-mento degli edifici in termini di sostenibilità eresilienza, e a dimostrazione di ciò è disponi-bile una sempre maggiore serie di evidenze.Consideriamo ora il contributo della scienzariguardo alla bontà di un tale approccio nelcampo dell’architettura. La scienza ci porta aconcludere che la visione modernista del-l’ambiente costruito appare di per sé non mo-derna e insostenibile. Ciò che oggi rimane delmodernismo è una quantità di teorie prive dicredito nei più svariati settori, dalla culturaalla tecnologia, dalla geometria della perce-zione fino alla forma degli edifici, teorie chenon sono mai state correttamente dimostratedagli stessi proponenti. Lungi dall’essere unprodotto inevitabile di forze storicheinesorabili, l’evidenza dimostra che le formeprogettuali dominanti nel XX secolo sonostate definite a partire da scelte che si posso-no far risalire a un gruppo ristretto di indivi-dui. La storia conduce a uno sparuto gruppodi architetti e teorici tra Germania, Svizzerae Austria, originandosi dalla critica all’orna-mento e da ciò sviluppando idee che presente-ranno implicazioni del tutto imprevedibili.

M IL SUCCESSO DEL PENSIERO DI ADOLF LOOS.

EL famoso saggio del 1908 Orna-mento e delitto, Adolf Loos, architet-to e scrittore austriaco, introdusse

argomenti a favore di un’estetica minimalistae industriale, argomenti che ancora oggiinfluenzano il modernismo e il neo moderni-smo. Tali argomentazioni si fondano, inmodo paradossale, sull’idea della superioritàculturale dell’uomo moderno (sic), idea ormainon più accettata da alcuno, uomo modernoche Loos identifica con il nord europeo.Loos proclamò inoltre che, nella nuova epo-ca di produzioni moderne e lineari, siamo di-ventati del tutto incapaci di produrre «detta-

N

dIl Covilef N° 805

| ( 3 ) |gli ornamentali autentici». Ma si chiese an-che se fossimo solo noi incapaci di creare ilnostro proprio stile, al contrario di quantoavessero fatto prima di noi un qualsiasi negro(sic) o qualsiasi altra razza. Certamente no,noi siamo anche più avanzati, più moderni.Lo stile della nostra epoca deve presentarsicon la povertà estetica definita attraverso ma-teriali dalle linee essenziali, prodotti indu-strialmente, segno di progresso e superiorità.Così, gli ornamenti della nostra civiltà sareb-bero diventati gli stessi edifici minimalisti, in-sieme a tutti gli altri prodotti di naturaindustriale, celebrando così lo spirito di unagrande nuova epoca. Continuare nella ricercadell’ornamento rappresentava per Loos uncrimine. Gli abitanti della Papuasia, scrisse,non si sono evoluti raggiungendo lo stato mo-rale e culturale dell’uomo moderno, e nellaPapuasia ci si tatua il corpo nell’ambito dipratiche primitive. In modo analogo, Loosaffermò che «l’uomo moderno che si fa tatua-re è un criminale o un degenerato». Pertanto,ne dedusse, chi ancora utilizza l’ornamento èallo stesso infimo livello dei criminali, o de-gli abitanti della Papuasia.

Sviluppato a partire da un punto di vista so-stanzialmente razzista, il saggio di Loos i-dentificava una serie di quattro dogmi, che sisono insinuati nella cultura architettonica, ri-manendo fino a oggi praticamente indiscussi.

1) Fondamentalismo geometrico. L’avanzaredel progresso tecnologico impone inevitabil-mente l’eliminazione dei dettagli e degli or-namenti, ponendo in primo piano le struttu-re che mettono a nudo (e celebrano) l’abilitàtecnologica e l’essenzialità geometrica.2) Determinismo architettonico. Il caratteregeometrico di ogni nuova addizione a quantogià costruito può solo esprimersi tramite latecnologia specifica del momento storico (ov-viamente da intendersi in termini stilistici).3) Pregiudizio tipologico. Ne deriva che tuttele tipologie architettoniche, derivate dalleepoche precedenti, sono completamente in-

compatibili con la modernità, e non sono de-gne di considerazione. Si rifiuta il recupero ditipologie preesistenti, che nelle civiltà più im-portanti ha sempre rappresentato un momen-to di passaggio evolutivo, e questo per la pri-ma volta nella storia.4) L’eccezionalità modernista. La civiltà uma-na è giunta a uno stadio culturale mai primad’ora verificatosi e superiore a qualsiasi altraciviltà del passato, un livello che si eleva ol-tre i limiti storici delle precedenti civiltà gra-zie alla tecnologia. L’architettura potrà servi-re una tale tecnologia in modo appropriatopartendo da progetti derivati da un linguag-gio limitato a poche forme, anche queste ri-cavate da quanto prodotto dalla tecnologiadel XX secolo. Nessun altro linguaggio archi-tettonico si può considerare in tal senso ade-guato o autentico.

3 Agosto 2014 Anno XIV

La croce cerimoniale etiope in argento,esposta durante le processioni liturgiche,rappresenta un sofisticato frattale di tipomatematico. Loos forse ha voluto insinua-re che allo stesso livello dei criminali pos-siamo porre anche i praticanti di tutte lemillenarie tradizioni religiose, in cui i ri-tuali sono fondati su ornamenti, oggetti

artistici, canti, musiche e danzeDisegno di Nikos A. Salingaros.

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Definiamo così la caratteristica salientedel linguaggio modernista: impiegare la pro-duzione in serie di componenti meccaniche,standardizzate nel senso più limitativo deltermine (eliminando manufatti complessi,l’utilizzo di strumenti e utensili manuali, e dielementi architettonici articolati). Si trattadi una strategia ben precisa volta a ottenereeconomie di scala e rendere efficiente la pro-duzione di grandi quantità di beni. Le compo-nenti industriali, quali pannelli piani, elemen-ti architettonici dai contorni rettilinei, squa-drati e disadorni, vengono standardizzate perottenere facilmente un assemblaggio a bassocosto.

Proprio a causa delle sue limitazioni,questo tipo di linguaggio produsse nuove for-me sorprendenti, in qualche modo inquie-tanti, prontamente adattate a metafora, espres-sione di una grande nuova epoca. Le sem-plici, essenziali forme furono subito abbinatealle forme affusolate dei nuovi veicoli, espres-sioni di incredibile velocità, quali treni, aereie navi. Di conseguenza, ciò rinforzò la visio-ne degli edifici dalle linee semplici come me-tafora dell’epoca delle macchine, sebbene un

edificio non possa di certo muoversi. In un’e-poca elettrizzata dalle promesse del futuro,un linguaggio così radicale divenne inaspet-tatamente popolare e soppiantò i rivali deltempo, molti dei quali sono ormai completa-mente dimenticati. Linguaggi architettoniciinnovativi si svilupparono nel periodo, fra cuiJugendstil, lo stile Secessione, Art Nouveau, ilLiberty, Edoardiano, Art and Crafts, cosìcome il primo F. L. Wright. Di fatto, Loos in-tese contestare proprio il linguaggio relativa-mente innovativo dell’Art Nouveau, e non glistraordinari lavori degli ultimi progettistivittoriani, come in parte si ritiene oggi.

M L’UTILIZZO DEL MARCHIO COMMERCIALE UNITO

ALLA FANTASCIENZA.

ON le prime forme di tecnologiaindustriale, caratterizzate dallaproduzione in serie di parti mec-

caniche, si distinse Peter Behrens, contempo-raneo di Loos in Germania. Conosciutocome padre del marchio industriale, Behrensassunse il minimalismo industriale come stru-mento estetico per costruire un’immaginecommerciale semplificata, avendo l’obiettivo

C

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Alcune contraddizioni erano evidenti nelle teorie di Adolf Loos, già al tempo in cui vennero elaborate.A sinistra, un esempio di gioielleria in argento, stile Art Nouveau, prodotto di larga diffusione creato daP. A. Coon nel 1908. A destra, una teiera in argento, realizzata a mano da C. Dresser nel 1879, nello sti-le dell’estetica della macchina. L’estetica della macchina rappresentò una metafora artistica scelta da

Loos per la modernità, non dettata da vere necessità funzionali.Disegno di Nikos A. Salingaros.

| ( 5 ) |di aumentare le vendite del proprio clienteAEG (industria equivalente all’americana Ge-neral Eleric). Behrens creò loghi sorpren-denti, pubblicità, ed edifici che furono di fat-to trasformati in giganteschi tabelloni pub-blicitari, per consentire di far conoscere le so-cietà e vendere i loro prodotti. Nell’iniziarequesto fondamentale percorso, Behrens riu-scì a risolvere in modo magistrale quella chesi presentava come una criticità per tutti iprogettisti, desiderosi di offrire i loro serviziin una nuova epoca di standardizzazione eprodotti di massa. Dal momento che la formadell’edificio non era più definita in loco, attra-verso processi costruttivi artigianali, ma veni-va a costituirsi da una combinazione di partistandardizzate (industrializzazione conside-rata superiore, certamente più economica), ilproblema per il progettista era quello di crea-re lavori individuabili e distinti in senso este-tico. La soluzione si delineò creando unavisione stilizzata del futuro, eccitante, pro-dotta dall’industria (e nello specifico dal desi-gn industriale). Si devono così trasformaregli edifici e gli oggetti in tabelloni su cui mar-chiare la nostra società e i nostri talenti diprogettisti visionari, portando la civiltà versouna nuova esaltante epoca. Oltre ciò, questemodalità progettuali preconfezionate ebberoil fascino speciale di una grande nuova espres-sione artistica, rappresentate grazie alle dotiartistiche di Behrens e dei suoi collaboratori.

Al centro di tutto questo vi erano la produzio-ne industriale e commercializzazione dei pro-dotti. Lavorando all’interno delle limitazio-ne auto imposte di un tale minimalismo este-tico, l’immagine che Behrens creò fu quelladi potere, produttività industriale, ordine epulizia. Su tutto, dominava la promessa di unfuturo meraviglioso e tecnologico. Una simi-le brillante intuizione preparò la strada a untema dominante del moderno mercato, temache consente di vendere praticamente di tut-to quando viene collegato nei modi adeguatia un’immagine romantica del futuro. Il fasci-no di una tale produzione supera, per defi-nizione, qualsiasi critica che può essere avan-zata nel presente. Si vendono speranza,sogni, e desideri, nonostante che tutto ciò siadestinato ad appannarsi e decadere. La deca-denza si dimostra utile, l’obsolescenza pianifi-cata porta a un ulteriore nuovo e potenziatoprodotto che si vende in sostituzione del prece-dente. Il potere seducente di un messaggioproiettato al futuro non venne dimenticatodai giovani collaboratori di Behrens, ciascu-no destinato ad avere una profonda influenzasull’architettura del XX secolo. I loro nomisono familiari agli architetti: Walter Gropius;Charles-Édouard Jeanneret-Gris (poi notocome Le Corbusier) e Ludwig Mies van derRohe. Agli studenti di architettura si chiededi studiarli e riprodurli nel corso dello stu-dio. Nei decenni successivi proclameranno

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«Il cubo divorò il fiore»: come l’estetica della macchina eliminò tutti gli altri linguaggi architettonici,tratto da Architeure for Beginners di Louis Hellman, 1994.

Illustrazione riadattata e riprodotta da Nikos A. Salingaros.

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«l’architettura totale» (Gropius), a indicarel’inizio dei una «grande epoca nella produzio-ne industriale» (Le Corbusier) e lo «spirito diun’epoca» in cui «less is more» (Mies). Utiliz-zando le parole del loro maggior teorico,Sigfried Giedion, «la meccanizzazione pren-de il sopravvento». Le nostre costruzioni de-vono rispecchiare la realtà ineludibile delmondo moderno. Non si trattò di una prescri-zione stilistica che si poteva o meno trovarevisivamente piacevole. Fu la matrice comple-ta attraverso cui riprodurre il mondo in accor-do a ben definiti concetti dimensionali, distandardizzazione, riproduzione, isolamento;tutto codificato all’interno di una forma dicultura visiva. Divenne (specialmente grazieal CIAM, Congresso Internazionale di Archi-tettura Modernista, un gruppo internaziona-le profondamente influente) il modello di ri-ferimento per le urbanizzazioni che si svilup-parono rapidamente sia negli Stati Uniti chein tutto il mondo dopo la Seconda guerramondiale, e che ancora oggi continuano a rit-mi incredibili in particolare in Cina, India,Brasile. La struttura di questo tipo di urbani-stica ha conseguenza profonde, sia nel beneche nel male, per lo sfruttamento delle risor-se naturali e per altre criticità che contrad-distinguono la nostra epoca. Dalla prospetti-va scientifica attuale quelle strutture urbane

hanno caratteristiche che comportano profon-de conseguenze, se non si segnala il pericolo.Come l’urbanista Jane Jacobs rilevò cin-quant’anni fa, l’approccio modernista nonsembra comprendere la «complessità orga-nizzata» dei sistemi naturali e biologici,complessità che caratterizza anche la biolo-gia e la vita dell’umanità, così come le cittàabitate dagli esseri umani. Il modernismo di-scende invece da una teoria ormai antiquata esenza fondamento, ma totalizzante, compren-dente la natura delle città, la tecnologia e lastessa concezione geometrica del mondo.

Studi scientifici recenti rivelano la com-plessa e ricca geometria degli ambienti vi-venti, compresi quelli abitati dall’uomo. Legeometrie di queste strutture complesse evol-vono nel contesto, in quanto forme adat-tative complesse, attraverso un processo cono-sciuto come morfogenesi adattativa. Da questoprocesso, ne derivano geometrie viventi dalleparticolari caratteristiche. Si differenziano ingruppi di strutture uniche in modo molto sot-tile, e si adattano alle condizioni locali, for-nendo agli ambienti stabilità e resilienza. Siottiene attraverso la loro evoluzione una note-vole complessità ed efficienza, e grande bel-lezza, sotto forma di un percepibile e profon-do ordine.

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Il linguaggio delle forme in natura non è meccanicistico, nel senso moderno del termine. Unica eccezio-ne a noi nota: le uova squadrate di Paperino, in Paperino e il mistero degli Incas di Carl Barks, 1948.

Paperino ridisegnato da Nikos A. Salingaros.

| ( 7 ) |M UNA NUOVA VISIONE SULLA NATURA DELL’AR-CHITETTURA, DELL’ESTETICA E DELL’ORNAMENTO.

HIAVE della resilienza è il modo incui diverse parti geometriche si in-terconnettono in insiemi funzionali

(ma non rigidi) di dimensioni maggiori. Nel-le strutture resilienti con maggiore connota-zione ecologica, tutto ciò si verifica con laformazione di simmetrie nell’arco di più di-mensioni, strettamente interconnesse. Lastruttura che ne deriva ha la caratteristica diun’auto organizzazione di tipo adattativo edevolutivo: relazioni ridondanti (interconnes-sioni a rete), diversità di meccanismi e com-ponenti, capacità di trasferire informazionefra più scale dimensionali, e sottile adattabili-tà degli elementi che la costituiscono. Vi so-no anche prove, dalle neuroscienze così comeda altri campi, che l’esperienza estetica deri-vante da tali strutture non presenta un supe-rficiale aspetto psicologico, quanto piuttostouna sorta di ponte cognitivo che permette disperimentare e interagire con il profondo or-dine del nostro ambiente. La dimensione arti-stica risiede nella forma che si da a un talecollegamento, e nella sua risonanza con altreesperienze emozionali della vita. Le astra-zioni creative vengono aggiunte alla naturalecomplessità del nostro mondo, non lo sostitui-scono. Al pari di artisti consapevoli, i quali la-vorano per migliorare l’ambiente dell’uma-nità, il nostro ruolo è di aumentare, esprime-re e chiarire l’ordine complesso che derivadall’adattamento. Non si tratta certamentedi applicare una serie superficiale di espe-dienti, per ottenere un effetto sensazionale alivello visivo. In una simile visione, l’orna-mento non è paragonabile a una semplice de-corazione. L’ornamento è una precisa catego-ria nell’articolazione delle connessioni tra re-gioni dello spazio per gli esseri umani che licostruiscono. Si può pensare come a una spe-cie di collante indispensabile che permettealle diverse parti dell’ambiente di connettersie rimandare una all’altra, in termini cogniti-vi e anche in un più profondo senso funzio-

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nale. L’ornamento è pertanto uno strumentoimportante nella formazione di una strutturacomplessa di relazioni coerenti e simmetri-che, interne all’ambiente umano.

Cominciamo a comprendere come il lin-guaggio delle forme nell’epoca industriale ab-bia comportato una perdita catastrofica diquesta capacità adattativa per le strutture, in-cludendo anche le conseguenza estremamen-te negative per l’ambiente in cui viviamo. Lanostra epoca ci ha privato anche dei processimentali necessari per esplicitare come concet-ti le caratteristiche delle strutture resilientipresenti nell’ambiente, caratteristiche qualile relazioni a rete interconnesse, la diversità,la connessione a diverse scale dimensionali, el’adattabilità che comprende i minimi detta-gli. Come esempio a livello funzionale, si con-sideri un certo tipo di antenna per telefonocellulare (si veda sopra), in cui l’ornamentoincorporato simile a un frattale permette di ot-timizzare la funzionalità grazie alle sue picco-le dimensioni, ma non può definirsi all’inter-no di una forma di linguaggio minimalista.

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Un semplice ornamento? Viene riprodottaun’antenna frattale, che miniaturizzata consenteai telefoni cellulari la ricezione del segnale. Si ri-leva qui una funzione importante connessa alleforme ornamentali, funzionale nel significato

più profondo del termine.Disegno di Nikos A. Salingaros.

| ( 8 ) |

M IL GRANDE RIPENSAMENTO.

OMINCIAMO a vedere il modello allabase del cambiamento verso la civiltà industriale, avvenuto nel secolo

scorso. L’affidarsi eccessivo sulla standardiz-zazione e produzione di beni, il sorgere diuna società dei consumi dominata da marchie pubblicità, il consumo di risorse, che avvie-ne in modo rapace e insostenibile e vistocome un propellente per l’economia, tuttociò risulta intimamente connesso al linguag-gio delle forme che ci è stato trasmesso, eche non si può certo definire come resiliente.I prodotti che nascono da un tale tipo dilinguaggio formale sono prodotti artistici cherivelano il fallimento della civiltà industria-le. La resilienza non deriva da metaforeartistiche, o verniciando superficialmente ilsolito modello fallimentare, che deriva dallacultura industriale. La resilienza dei sistemibiologici e la loro sostenibilità richiede, difronte a eventi anche caotici, la capacità diadattarsi, durare e mantenere una stabilità di-namica. È la stessa flessibilità cognitiva cheè necessaria per la nascita di innovazioni tec-nologiche. Dovremo uscire dallo schema di

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pensiero modernista per trovare nuoveforme, e nuovi utilizzi per forme antiche,come richiede una evoluzione naturale. Èchiaro che anche la sopravvivenza del no-stro pianeta dipende da ciò. Noi siamo glieredi delle idee di Loos, erronee e limitanti,che possiamo definire come espressione difondamentalismo geometrico e determini-smo architettonico, oltre a indicare l’ecce-zionalità del modernismo e il pregiudizio ra-dicato in un illusorio funzionalismo esteti-co. Tutti dogmi trasmessi dalle élite, e daiproduttori di beni di design, propagandaticome mode e prodotti di qualità. Ancoraoggi una retroguardia reazionaria, facendosiscudo di usurati simboli progressisti, condan-na qualsiasi utilizzo di ornamenti o di model-li decorativi considerando tutto ciò una man-canza di creatività e immaginazione. Ma inun’epoca che necessita di nuove idee, forse èproprio un tale atteggiamento a rivelare unasostanziale mancanza di immaginazione.

dIl Covilef N° 805Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiß Der christliche Epimetheus)

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BAANNO XIV N°807 14 AGOSTO 2014

RIVISTA APERIODICA

DIRETTA DA

STEFANO BORSELLI dIl Covilef RISORSE CONVIVIALI

E VARIA UMANITÀ

ISSN2279–6924¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila

N E L L A T R A D U Z I O N E D I S T E F A N O S I L V E S T R I .

MICHAEL MEHAFFY & NIKOS A. SALÌNGAROS

VERSO UN 'ARCHITETTURA RESILIENTEPARTE QUARTA : LA GEOMETRIA

DELLA RES IL IENZA .;

Continua la pubblicazione delle cinque parti di «Toward Resilient Architeures», il saggio di Mehaffy e Salìngaros comparso dal marzoal dicembre 2013 sul blog di Metropolis Magazine (www.metropolismag.com). Le prime due parti sono uscite nei numeri 801, 803 e 805.

EI capitoli precedenti abbiamo descrit-to le quattro caratteristiche fondamen-tali che caratterizzano i sistemi resi-

lienti, considerando quanto emerge dallo studiodegli ambienti naturali: diversità, struttura a ma-glia interconnessa, distribuzione su più livelli di-mensionali e capacità di autoadattarsi e autorga-nizzarsi. Abbiamo mostrato inoltre come tali ca-ratteristiche consentano a un ambiente di adat-

Ntarsi a crisi e cambiamenti che per altri sistemipotrebbero risultare catastrofici (si veda il capi-tolo I «Gli insegnamenti della biologia»).

Come si è visto, per un futuro più resiliente ènecessario che le nuove tecnologie assumano ta-li caratteristiche, e ne deriva un mutamento radi-cale per i nostri ambienti costruiti.

Le caratteristiche che abbiamo così definitonon rappresentano entità astratte. Piuttosto,

Il Covile, ISSN 2279–6924, è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sen- si della Legge sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Direttore: Stefano Borselli. ☞Redazione:Francesco Borselli, Riccardo De Benedetti, Aude De Kerros, Pietro De Marco, Arman- do Ermini, Marisa Fadoni Strik, Luciano Funari, Giuseppe Ghini, Ciro Lomonte,Roberto Manfredini, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Al- manacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano Se-rafini, Stefano Silvestri, Massimo Zaratin. ☞ © 2012 Stefano Borselli. Questa rivi- sta è licenziata sotto Creative Commons. Attribuzione. Non commerciale. Non operederivate 3.0 Italia License. ☞Email: [email protected]. ☞Arretrati www.ilcovile.it ☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris Orna-ment della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini, www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.

Tre esempi di geometrie resilienti presenti in natura: a sinistra, la struttura delle fibre nel legno, al cen-tro la diffrazione prodotta da un atomo di berillio, a destra il modello di autorganizzazione generato dalcampo magnetico del cobalto. In tutti e tre gli esempi si mostra la geometria tipica collegata alla resi-lienza: simmetria differenziata, maglia interconnessa, variazione di tipo frattale presente a più livelli di-

mensionali e autorganizzazione.Immagini tratte da Christopher Alexander, The Nature of Order vol. I (pp. 256, 266, 288).

| (2) |fanno parte delle caratteristiche geometriche efisiche del nostro mondo, in quanto relazionitra elementi nello spazio. Come si vedrà nel pro-sieguo, le caratteristiche geometriche sopraelencate vengono generate da processi che dan-no vita a sistemi resilienti, e a loro volta le geo-metrie presenti nei sistemi possono consentire,o precludere, un comportamento resiliente de-gli stessi.

M IL RUOLO FONDAMENTALE DELLA MORFOGENESI ADATTATIVA.

RAZIE alle moderne ricerche biologi-che, sappiamo che tutte e quattro lecaratteristiche comuni ai sistemi resi-

lienti sono indicatori di un processo di adatta-mento, molto fine, e tale da produrre una diver-sità evolutiva. Si tratta, in sintesi, del processoevolutivo grazie al quale i sistemi biologici rag-giungono forme incredibilmente complesse, ol-tre a mostrare una notevole resilienza anche insituazioni caotiche nell’intorno. L’architetto ericercatore Christopher Alexander definisce untale processo morfogenesi adattativa, ossia unagenerazione di forme ottenuta da un processopasso passo di trasformazioni evolutive. La mor-fogenesi adattativa, e quanto di notevole com-porta, è base di qualsiasi crescita sostenibile, tan-to dei sistemi naturali che di quelli umani. Ale-xander sostiene che senza una tale capacità siste-mica intrinseca, assistiamo inevitabilmente al di-spiegarsi di un disastro ecologico.1

G

Alexander dimostra anche che la morfoge-nesi adattativa è strettamente connessa a deter-minate geometrie, che egli identifica attraver-so 15 classi di proprietà geometriche. Geome-trie che si definiscono nel corso del processo,e ne influenzano a loro volta l’ulteriore pro-gressione. Se le geometrie sono innaturali, al-lora il processo generativo risulterà esso stessoforzato, e vice versa. In un certo senso, quin-di, la forma e il processo che la definisce sonofacce della stessa medaglia.

Non entreremo qui nei dettagli dell’analisicondotta da Alexander, molto articolata (più di

1 L’argomento specifico è da noi discusso in The RadicalTechnology of Christopher Alexander, disponibile in lingua in-glese.

2.000 pagine contenute nei quattro volumi del-la sua opera principale, The Nature of Order).Ma possiamo descrivere le categorie presenti intali geometrie, mettendo in rilievo alcuni impli-cazioni importanti per la discussione sulla resi-lienza nell’ambiente umano, e sulla sua capa-cità di promuovere benessere. Insieme, gli ele-menti geometrici costituiscono ciò che indiche-remo come Geometria della resilienza.

Diventerà chiaro nel seguito che tali geome-trie coincidono con i quattro indicatori dellaresilienza: diversità, struttura a maglia intercon-nessa, distribuzione del sistema su più livelli di-mensionali e capacità di auto adattarsi e autorga-nizzarsi. Qui ci riferiamo a:

1. Geometrie da simmetrie differenziate. La di-versità viene creata da piccole modifiche peradattamenti successivi, su dimensioni limitate,e che via via nascono da cambiamenti successiviapportati alla struttura. Come esempio, ognifiore di un campo è leggermente differente da-gli altri (a meno che non si tratti di un clone).Una tale diversificazione produce geometrieche ci sono familiari, tipo la simmetria locale:un esempio di ciò è dato dal nostro corpo, incui troviamo due mani, due gambe. La ricercascientifica mostra che la capacità di percepirequesto tipo di simmetria (insieme ad altre capa-cità collegate) costituisce un aspetto molto im-portante nell’evoluzione della nostra psicolo-gia, e un attributo ambientale importante per ilbenessere dell’essere umano. La presenza disimmetria generata attraverso la differenziazio-ne appare anche come essenziale per la resi-lienza delle diverse strutture, senza cui derivauna rigidità priva di vita. La differenziazione in-troduce il contrasto, le simmetrie introducono igruppi, e si annulla così l’uniformità.

2. Geometrie da reti interconnesse. La diver-sificazione con la connettività tende a produrrestrutture in sui si evidenzia una gerarchia, ma èimportante notare che tali strutture sviluppanoanche molte relazioni e connessioni ridondanti,che analizzate alle dimensioni maggiori appaio-no irregolari. Ma una simile irregolarità non èda considerare come un difetto, ma come unacomponente essenziale per ottenere strutturecomplesse interconnesse. Gli stessi ambienti

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| (3) |umani che percepiamo come più vitali hanno lacaratteristica comune di presentarsi come strut-ture a rete, in cui il meccanismo interessante de-riva dalla combinazione di connessioni e diver-sità, inclusa la possibilità di percepire unamolteplicità di relazioni ambivalenti. In più,alcuni connessioni si comportano al pari di ele-menti frattali, collegando liberamente insiemetutti i livelli dimensionali in modo non determi-nistico. Essere non vincolati in una qualche di-mensione significa che il sistema lavora inugual modo a tutti i livelli spaziali e temporali,vale a dire che un livello dimensionale non pre-domina sugli altri.

3. Geometrie con gradazione frattale. La di-versificazione che percepiamo di frequente inpiante e animali ha come risultato la produzio-ne di forme simili distribuite in più livelli di-mensionali, forme simili che sono note comefrattali. Lo sviluppo dei tronchi negli alberi è si-mile a quello dei rami, che è simile a quello del-le frasche; le arterie principali hanno forme si-

mili ai piccoli capillari, e così via. Altre formedi differenziazione (quali quelle tra specie) pro-ducono in modo analogo similarità tra livelli di-mensionali (ad esempio, alberi imponenti spes-so appaiono simili a piccole piante, ecc.) e unatale simmetria tra diverse dimensioni contribui-sce alla stabilità della struttura. La capacità dipercepire la simmetria frattale è altresì elemen-to importante nella psicologia evolutiva, talesimmetria è un attributo essenziale per la qua-lità biofilica dell’ambiente umano, in grado difavorire, quando applicata negli spazi pubblici,caratteristiche resilienti quali la percorribilità apiedi, la vivibilità e la vitalità degli spazi.

4. Geometrie da gruppi confinati. Il processodi autorganizzazione necessita dell’interazionetra regioni spaziali adiacenti, in cui le interazio-ni arrivano a definire confini diversi. Tali grup-pi sono in numero relativamente piccolo, e ordi-nati in modo gerarchico nello spazio. Ad esem-pio, una regione di dimensioni maggiori tende-rà a essere delimitata da spazi minori, ciascuno

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Fiori di campo e sullo sfondo una città collinare in Spagna, entrambi gli ambientisi presentano con le quattro classi geometriche sopra illustrate.

Foto di Michael Mehaffy.

| (4) |dei quali diverrà circondato da regioni ancorapiù piccole, e così via. Non è un caso se i nostrisistemi cognitivi utilizzano dei gruppi poco or-dinati (definiti dagli psicologi unità di informa-zione). A causa della naturale formazione di co-nfini e del loro insieme, si verifica in noi quel-la, in apparenza, innata predilezione per corni-ci, addobbi, e altri dettagli ornamentali, chedefiniscono una relazione gerarchica tra regio-ni dello spazio. Lungi così dall’essere degli ele-menti superflui, le decorazioni sembrano mi-gliorare la nostra capacità di percepire relazio-ni coerenti tra elementi spaziali.

Vediamo ora per quale motivo le quattro ca-ratteristiche geometriche sopra descritte sianoassociate alla resilienza. Come dovrebbe esserechiaro da quanto illustrato in precedenza, taligeometrie consentono una maggiore capacitàdi adattamento ai cambiamenti caotici. Nel ca-so delle fibre del legno (prima illustrazione),la ridondanza degli elementi simmetrici, la lorointerconnessione a maglia, la loro efficiente di-stribuzione frattale, nonché la distribuzionedei gruppi di cellule, tutto ciò migliora notevol-mente la resilienza strutturale del legno, la suacapacità di resistere alle tensioni derivanti daeventi imprevisti (si pensi nel caso del legnoagli eventi atmosferici).

M TIPOLOGIE RICORRENTI E INFORMAZIONE GENETICA.

N natura assistiamo al ripetersi dellecaratteristiche geometriche prima de-scritte. Una motivazione di ciò è indi-

viduabile nel meccanismo della ripetizioneadattativa. L’evoluzione biologica spesso riper-corre soluzioni già date in precedenza, per lasemplice ragione che i problemi stessi in gene-re si ripresentano, e quindi sono simili le solu-zioni di tipo adattativo. Si consideri ad esempiola pinna dorsale del delfino che riprende la pin-na dello squalo, soluzione più antica di 300 mi-lioni di anni, e questo perché i fenomeni idrodi-namici e di turbolenza non sono mutati nelcorso del tempo.

I

In modo analogo, le possibili soluzioni aiproblemi posti dall’interagire di moltitudini di

persone, all’interno delle città, hanno essi stes-si molte soluzioni ricorrenti notevolmente stabi-li lungo secoli di esperienza umana. (Le dinami-che delle reti urbane continuano a comportarsiin modi simili, e i modelli di reti urbane ricorro-no di frequente in più epoche e situazioni). Imatematici chiamano attrattori tali modelli ri-correnti all’interno di spazi di soluzioni. E at-trattori possiamo definire anche le geometrie dimodelli o tipi ricorrenti nel mondo naturale.

Un altro meccanismo importante che consen-te la riproduzione delle forme è garantito dalcodice genetico. Quando le soluzioni vengonoraggiunte dopo un laborioso processo adattati-vo, del tipo passo passo, il risultato con le suepreziose informazioni finisce a comporre unmodello. In molti casi, tale modello è riutilizza-bile, consentendo di risparmiare un quantità no-tevole di tempo, energia e fatiche. La natura hascoperto come replicare i modelli organici uti-lizzando le informazioni genetiche poste in unarchivio, e si tratta proprio di ciò che definia-mo come vita.

Qualcosa di simile avviene anche per la tec-nologia umana. Codifichiamo informazione ge-netica in modelli o tipi, che sono poi esplicitatiin diversi processi. Ne risulta un insieme affida-bile di modelli generativi, che producono innu-merevoli e svariate forme, espressione di miria-di di culture, periodi storici e luoghi geograficidiversi. Tale processo generativo offre un’am-pia gamma di applicazioni, dalle grandi espres-sioni artistiche dell’umanità fino alle avventuree sfide creative del singolo.

Potremmo anche dire che tutto ciò è avve-nuto nella storia umana almeno fino all’iniziodel secolo scorso, epoca in cui iniziammo asperimentare la perdita di resilienza e sostenibi-lità tecnologica, con effetti forse distruttivi.

M LA PERDITA, IN EPOCA MODERNA, DI TIPI GENETICI E FORME DIFFERENZIATE.

FFRONTIAMO ora un argomento delica-to, vale a dire uno dei motivi princi-pali della perdita di resilienza nella

nostra epoca. È un dato di fatto innegabile chepraticamente tutte le caratteristiche geometri-

A

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| (5) |che, prima illustrate, sono drasticamente dimi-nuite negli ambienti costruiti dall’uomo, e que-sto a partire dal secolo scorso. Non è un caso,non si tratta di un esito banale, e neanche di uninevitabile tributo al progresso. Si sono conse-gnati i destini dell’umanità a un’estetica superfi-ciale e capricciosa, eletta a fondamento di unaciviltà governata dall’industria, inevitabilmentelimitata alla disponibilità di combustibili fossili.

Le attuali tecnologie costruttive sono vinco-late da rigidità ideologiche, che impedisconolo sviluppo di adeguati processi di adattamen-to, finendo con l’imporre soluzioni in larga mi-sura metaforiche ed estetizzanti. Come abbia-mo già argomentato in altri saggi, siamo difronte all’inevitabile risultato derivante dalruolo affidato al progettista in epoca moderna,visto come difensore e convinto assertore diquanto alla fine conduce a soluzioni malamen-te adattabili (seppur piacevoli esteticamente),

e in grado di generare profitti. Inoltre questesono soluzioni date nei riguardi di un proble-ma astratto, in modo molto visivo, non consi-derando il tutto come un problema di tipo adat-tativo, e siamo quindi di fronte a due problemicompletamente diversi.

Come abbiamo già illustrato (nella terza par-te di questo saggio), la cruda tecnologia indu-striale sviluppatasi nell’ultimo secolo (in un’epo-ca di combustibili fossili a buon mercato, epocaormai avviata verso l’ineluttabile tramonto) haprodotto distorsioni importanti nell’architettu-ra degli insediamenti umani. Ha suggerito, inmaniera errata, che sono sempre da preferire lesoluzioni riproducibili in serie, offrendo un ordi-namento del mondo che lo ha trasformato inefficiente macchina. Una simile distorsione furazionalizzata e accelerata da alcuni architet-ti/artisti, che si ritagliarono un importante ruo-lo come venditori dell’era industriale e dei suoi

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Il complesso dell’Alhambra in Spagna mostra, in modo notevole, tutte le proprietà geometriche tipichequi discusse della resilienza. Il complesso resiste dal XIV secolo, e viene considerato tuttora una delle

meraviglie dell’umanità..Disegno cortesemente concesso da Oleg Grabar, da www.livingneighborhoods.org.

| (6) |prodotti, presentati in modo attraente. Unruolo molto pratico che si è ammantato di reto-rica, piena di fantasie artistiche e progressismopolitico; ma alla fine tutto si è mostrato svinco-lato dalla realtà. Il loro vero scopo era appog-giato e finanziato da committenti pubblici e pri-vati, che avevano propri e ben definiti obiettivie interessi.

Un tipo di tecnologia così pericolosamentelimitata da presentare devastanti conseguenzeecologiche. A livello di pianificazione territo-riale, ha generato periferie sconnesse, segre-gate e in cui si diventa dipendenti dall’automo-bile. Alla scala dell’edificio, ne è risultato unlinguaggio più adatto a diffondere edifici di-scutibili (ma fonti di profitto) con un’eccitantevisione del futuro, piuttosto che a costruire edi-fici e urbanizzazioni resilienti e in grado di ri-spondere alle sfide poste all’umanità. Sono og-gettivi i dati sconfortanti che illustrano il com-portamento ecologico di molti edifici, dall’epo-ca moderna a oggi (e di questo abbiamo parlatonella seconda di questo saggio).

Altra osservazione importante per il nostrotema, la tecnologia sviluppata nell’epoca del pe-trolio ha generato geometrie forzate e innatura-li nell’ambiente costruito. La conseguenza, inaccordo con quanto mostrato finora, non piùche essere un forte limite alle possibilità di svi-luppo di morfogenesi di tipo adattativo, aspettoquest’ultimo indispensabile per creare un am-biente con caratteristiche resilienti.

M ECONOMIE DI SCALA/STANDARDIZZAZIONE CONTRO ECONOMIE LOCALI/DIFFERENZIAZIONE.

ER comprendere come una tale pover-tà geometrica sia nata, dobbiamo guar-dare oltre le particolari geometrie uti-

lizzate dai progettisti, e considerare i processieconomici sottesi che hanno contribuito a gene-rare tali geometrie nel sistema. Per i progettistiè fondamentale affidarsi a due ben precise for-me di utilità economica, definibili come econo-mie di scala ed economie nella standardizzazionedei processi.

P

Abbiamo visto come il fine adattamentoall’ambiente dei sistemi biologici sia difficil-

mente riscontrabile in quanto prodotto dalletecnologie attuali. Ciò in virtù del fatto che que-ste ultime si basano su processi industriali chesfruttano impressionanti economie di scala. Que-ste funzionano con grandi numeri, o su ampiedimensioni. A parità di altri fattori, è di granlunga più economico produrre oggetti identiciin grande numero piuttosto che produrli singo-larmente, o in piccole quantità. Tutto questoviene applicato per computer, automobili, edi-fici e componenti di edifici. Importante corolla-rio è in genere quello di costruire edifici di mag-giori dimensioni, potendo diminuirne così il co-sto per unità di superficie (sempre a parità di al-tre condizioni).

L’altra condizione collegata alla produzioneindustriale risiede nell’economia legata allastandardizzazione. Henry Ford fu uno dei mo-lti innovatori a trarre vantaggio dalla standar-dizzazione di elementi, con l’obiettivo di ridur-re i costi di produzione, oltre a facilitare il loroassemblaggio all’interno di sistemi più grandi.Entrambi questi aspetti produttivi attraverso lastandardizzazione ridussero la forza lavoro. Dinuovo, ciò permise a tutti di acquistare auto,computer e abitazioni. Per l’edilizia, una taleeconomicità si ottenne con l’alta standardizza-zione dei componenti, tanto che oggi gran par-te delle componenti di un edificio (al pari di al-tri prodotti) viene standardizzata e prodotta inserie: porte, finestre, dettagli costruttivi, …(Motivo per cui è prematuro, se non illusorio,parlare di una società post-fordista).

Lo stesso si può dire per gli altri elementiche compongono il nostro ambiente costruito:distributori di benzina, centri commerciali, fastfood, interi quartieri sono stati resi omogenei estandardizzati. In qualche occasione, architettisono indotti ad aggiungere qualche elementoestetico, seduttivo, a queste frettolose riprodu-zioni, senza comunque riuscire a cambiare piùdi tanto. A volte, si realizza un edificio per sol-levare scalpore, unendo immaginazione e trova-te estetiche, ma tutto questo in definitiva si di-mostra solo un abbellimento superficiale appli-cato al solito prodotto standardizzato.

dIl Covilef N° 807

| (7) |M LE ECONOMIE PERDUTE.

A notare che anche i sistemi naturaliutilizzano le economie di scala e lastandardizzazione. Il processo di cre-

scita, governato dalla genetica, sfrutta compo-nenti genetici standardizzati e tipologie ripetu-te. A dire il vero, si tratta di strumenti e aspettiestremamente importanti nei processi naturali.

D

I sistemi naturali si fondano però su una se-rie di ulteriori economie, minimamente conside-rate dalle nostre attuali tecnologie. Ma questimodelli di economie sono cruciali e necessarieper produrre proprio quelle caratteristiche geo-metriche che conducono, come abbiamo vistoin precedenza, alla geometria della resilienza.

Ad esempio, i progettisti tendono a ignorarel’economia del luogo. Trattano ogni componentedi un sistema come se fosse interamente indipen-dente dalla propria posizione fisica, come se fos-se dovunque nel processo di produzione. Ciò ov-viamente non può essere vero, e una componen-te importante per l’efficienza deriva dal consi-derare la prossimità del luogo. Ancora più im-portante di questo, e come si sta qui dimostran-do, la prossimità fisica promuove l’interazionee l’autorganizzazione, uno dei motori più impor-tanti per lo sviluppo economico in termini di re-silienza e uso efficiente delle risorse.

Altra forma cruciale di economia in natura,l’economia della differenziazione, viene anchequesta per lo più ignorata oggi, portando aconseguenze importanti. La differenziazionecrea diversità, la quale consente un più efficien-te adattamento al variare delle condizioni,così come permette di migliorare la possibilitàdi resistere a problemi imprevisti. La differen-ziazione è una componente chiave dell’adatta-mento, il processo cruciale nell’evoluzione disistemi naturali resilienti. L’adattamento risul-ta di successo quando la differenziazione ri-sponde a forze di tipo adattativo, e ha luogo aun livello dimensionale sufficientemente pic-colo e definito. Sfortunatamente, le attualitecnologie sviluppate dall’umanità non rispon-dono molto bene a tutto ciò, e pertanto non sidimostrano resilienti.

Il punto da comprendere è che le economiedi scala e quelle legate alla standardizzazionenon sono necessariamente da evitare di per sé.Il problema sta nel fatto che il mondo è dive-nuto pericolosamente dipendente da queste ti-pologie particolare, e ha costruito intorno aesse una civiltà industriale pericolosamentesquilibrata. Ne risulta una crescita invidiabile eprosperità per alcuni nel breve termine, ma nellungo periodo otteniamo una perdita di capaci-

14 Agosto 2014 Anno XIV

Tre esempi delle cosiddette città fantasma cinesi, circa 400 nuove città la cui costruzione è pianificataper i prossimi venti anni. Qui, così come nelle nuove urbanizzazioni di tutto il mondo, si utilizzano geo-metrie funzionalmente separate dal contesto, in modo coerente con la teoria architettonica sviluppataall’inizio del XX secolo e governata completamente dalle economie di scala e dalla standardizzazione.La teoria della resilienza mostra come un tale approccio ci stia conducendo verso un completo disastro..

Per cortese concessione di Google Earth e Digital Globe.

| (8) |

tà resiliente e di benessere che ci sta portandoprossimi alla catastrofe.

Inoltre, per i progettisti, una tale perditasi è manifestata nella forma di una povertàgeometrica, come abbiamo già visto sopra, ela perdita collegata nella capacità di sviluppa-re una morfogenesi di tipo adattativo. Questapovertà geometrica, sia nella forma che nelprocesso che la genera, è essa stessa un im-portante contributo alla perdita di resilienzanell’ambiente umano.

M LA RIFORMA NECESSARIA.

ER definizione, i professionisti dellaprogettazione ambientale sono i soliresponsabili del modello di urbanizza-

zione che si è diffuso nel pianeta, e delle suecomponenti più o meno resilienti. Gli stessiprofessionisti possono giocare un ruolo crucia-le nella difficile transizione verso un mondo piùresiliente. Ma, come abbiamo visto ora, ciò puòavvenire solo attraverso un profondo mutamen-to al business as usual, al modello produttivo do-minante. Nello specifico, è urgente una rigoro-sa modifica, un grande ripensamento per dirlacon alcuni, delle teorie alla base del concetto di

P

modernità architettonica, estetica, progettualee anche tecnologica (visione che ormai ha piùdi un secolo).

In questa serie di saggi si propone un tale ri-pensamento, lasciando a voi lettori il giudiziosul valore di quanto espresso. Si è discussa l’in-quietante evidenza degli effetti devastanti dovu-ti al cieco affidarsi a semplificati modelli geo-metrici, che tuttavia presentano il vantaggio digarantire enormi profitti nel breve termine. Citroviamo di fronte a un periodo storico che ac-cumula risorse grazie a una sorta di schemaPonzi,2 che in definitiva è insostenibile e non re-siliente. Per la civiltà, e probabilmente per lastessa sopravvivenza della vita sulla Terra, chiprogetta deve in futuro far propria una geome-tria ambientale più robusta: la geometria dellaresilienza. Si tratta di un passo importante perla necessaria transizione verso la resilienza:l’attenta e adattativa ristrutturazione della no-stra tecnologia, e della nostra economia globa-le, con l’obiettivo di uno sviluppo umano moltopiù resiliente e vivibile.

2 Per schema Ponzi si indica un modello di truffa basato suschema piramidale, dove si promettono agli investitori for-ti guadagni se reclutano nuovi clienti. I guadagni inizialivengono garantiti a tutti dalle sempre nuove e maggiorisomme versate dai clienti, e così via finché il modello inevi-tabilmente crolla lasciando forti guadagni solo nelle manidei primi promotori. (N.d.R.)

dIl Covilef N° 807Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiß Der christliche Epimetheus)

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41R.

BAANNO XIV N°809 25 AGOSTO 2014

RIVISTA APERIODICA

DIRETTA DA

STEFANO BORSELLI dIl Covilef RISORSE CONVIVIALI

E VARIA UMANITÀ

ISSN2279 6− 924¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila

N E L L A T R A D U Z I O N E D I S T E F A N O S I L V E S T R I .

MICHAEL MEHAFFY & NIKOS A. SALÌNGAROS

VERSO UN ’ARCHITETTURA RESILIENTEPARTE QUINTA : PROGETTARE AG ILE .

;

Si conclude la pubblicazione di «Toward Resilient Architeures», il saggio di Mehaffy e Salìngaros comparso dal marzo al dicembre2013 sul blog di Metropolis Magazine (www. metropolismag. com). Le altre parti sono uscite nei numeri 801, 803, 805 e 807.

ENTRE l’umanità si avvia in un XXI seco-lo sempre più tecnologico, dobbiamo con-frontarci con un preoccupante paradosso

storico.M

Nel corso degli ultimi due millenni e mezzo, lanostra specie ha compiuto i ben noti progressi (im-portanti anche se non si sono diffusi ovunque), inparticolare nel perseguire gli antichi ideali di demo-crazia, diritti umani, giustizia ed eguaglianza. Lascienza e la tecnologia hanno anch’esse compiutobrillanti passi in avanti, con l’economia ormai glo-balizzata che ha prodotto una quantità di beni maiprima sperimentata. Miliardi di esseri umani nelmondo hanno migliorato le loro condizioni di salu-

te, sono più scolarizzati e con maggiori possibilitàdi scegliere la propria vita e il proprio futuro.

Eppure, e oggi molti ne sono consapevoli, stia-mo entrando in un’epoca con crescenti minaccealla nostra stessa esistenza, e la causa di tutto ciòsta, paradossalmente, proprio nei nostri successi tec-nologici. Le nostre risorse si stanno velocementeesaurendo, con danni senza precedenti a sistemi na-turali di grande impatto, da cui dipendono la pro-sperità e la vita stessa sul nostro pianeta. La nostratecnologia, e consideriamo qui anche l’economia,sta innescando una sequenza in cascata di conse-guenze imprevedibili e tali da degradare la qualitàdella vita sulla Terra, conseguenze che minacciano

Il Covile, ISSN 2279 6− 924, è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sen- si della Legge sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Direttore: Stefano Borselli. ☞Redazione:Francesco Borselli, Riccardo De Benedetti, Aude De Kerros, Pietro De Marco, Arman- do Ermini, Marisa Fadoni Strik, Luciano Funari, Giuseppe Ghini, Ciro Lomonte,Roberto Manfredini, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Al- manacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano Se-rafini, Stefano Silvestri, Massimo Zaratin. ☞ © 2012 Stefano Borselli. Questa rivi- sta è licenziata sotto Creative Commons. Attribuzione. Non commerciale. Non operederivate 3. 0 Italia License. ☞Email: il. covile@gmail. com. ☞Arretrati www. ilcovile. it ☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris Orna-ment della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini, www. iginomarini. com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.

Per gentile concessione di Steve Slater.

| (2) |ora di essere catastrofiche. Uno degli esempi piùimportanti (ma certo non l’unico) è il cambiamentoclimatico dovuto alle attività umane.

Correlata strettamente alla disfunzione della no-stra tecnologia vi è la disfunzione delle nostre istitu-zioni, in una situazione che consideriamo critica invari ambiti, dal governo alla giustizia. Sta aumen-tando la preoccupante evidenza che le istituzioni ingenere sono incapaci di affrontare i problemi realiche ci attendono, problemi che percepiamo in mo-do frammentario e confuso, impedendo alla nostracultura la capacità di analisi. Siamo in presenza diun insieme di situazioni che fanno presagire eventidisastrosi negli anni a venire. (Da qui il chiaro moni-to espresso dalla grande urbanista Jane Jacobs nelsuo ultimo saggio Dark Age Ahead, [La prossimaetà oscura]).

Una situazione esemplare è rappresentata dalleprofessioni tecniche: architettura, pianificazioneterritoriale e urbanistica. Ricerche condotte nelcampo della psicologia rivelano un abisso tra ciòche la maggior parte delle persone considerano rea-lizzazioni di buona qualità e ciò che architetti, pia-nificatori e urbanisti realizzano (e autocelebrano incontinuazione). La spaccatura è così evidente chenon è raro sentire persone comuni, non condiziona-te dal mercato, rimarcare come la maggior partedei nuovi insediamenti sia brutta, strana o di scarsogradimento (si veda a tal proposito il nostro saggioin lingua inglese «The Archite Has No Clothes»[L’architetto è nudo] pubblicato dalla rivista Onthe Commons).

Sensazioni che vengono avvalorate da studi sulrendimento ambientale di simili luoghi, sebbenepropagandati come verdi da architetti di fama mon-diale. Come si è già argomentato in precedenza(nella seconda parte del nostro saggio: «Come ilverde non sempre sia tale»), molte pretese di soste-nibilità e resilienza vengono smentite da valutazio-ni condotte a occupazione avvenuta, le quali dimo-strano una situazione ben diversa.

Il progetto, nella nostra attuale concezione, è le-gato a una forma patologica di crescita.

Una tale lezione ci ricorda che il problema nonrisiede solo nella necessità di una maggiore effi-cienza nell’uso delle risorse, o nell’aumento dellaquantità di rifiuti riciclata. Grazie a tutte queste at-tenzioni potremo aggiungere solo un piccolo perio-do di proroga alla nostra fine inevitabile. Per potersopravvivere e prosperare, dovremo cambiare dallabase il modo di rapportarci con le risorse del piane-ta, incluse il modo in cui le estraiamo, le trasformia-mo e utilizziamo.

Fra l’altro, ciò implica una fondamentale rivisi-tazione di ciò che si intende per progetto, vale adire per come trasformiamo le risorse al fine di co-struire la struttura del nostro mondo. Dobbiamo ri-conoscere che la nostra attuale idea di progettazioneè legata a una forma patologica di crescita, che si rea-lizza con la produzione di quantità insostenibili dirifiuti e debiti. Potrebbe salvarci un tipo di crescitafondamentalmente più sostenibile, più resiliente,più vicina al modello di crescita evolutiva che ve-rifichiamo nei sistemi biologici. Questo comporte-

dIl Covilef N° 809

A sinistra, in tutto il mondo vengono costruite centinaia di migliaia di comunità separate dal contesto, conspazi falsamente pubblici, come in questa immagine dall’Argentina, dove vediamo un quartiere isolato,completamente dipendente dalle auto. A destra, per contrasto si riporta la struttura a maglia continua, apertae percorribile a piedi di una grande città quale Roma, di cui vediamo qui un estratto dal famoso rilievo di Gio-

van Battista Nolli. Questa struttura a maglia interconnessa presenta profonde implicazione economiche.Foto di Alex Steffler, Wikimedia.

| (3) |rà anche un sistema istituzionale differente,anch’esso resiliente.

È di fondamentale importanza segnalare cheun nuovo modello di crescita deve costituirsi al-l’interno del nostro modo di abitare e vivere il pia-neta Terra: nelle architetture di città, villaggi ecampagne. Una simile architettura ecologicamenteresiliente, seguendo il pioniere della resilienza C. S.Holling, deve essere in grado di affrontare eventicaotici, non lineari, ben oltre i semplici parametridella resilienza ingegneristica. Oltretutto, il nostrosviluppo tecnologico deve diventare antifragile, u-sando la definizione dell’economista Nassim Ni-cholas Taleb, ossia in grado di imparare e migliora-re dal disordine.

Quali cambiamenti nel sistema istituzionale sa-ranno richiesti? Una risposta fondamentale provie-ne dal settore della progettazione software, grazieal metodo noto come Agile.

M SVILUPPARE, NON CREARE SPECIFICHE.

LCUNI anni or sono, nel mondo della pro-grammazione informatica, emersero ledifficoltà generate da codici sempre più di-

sordinati. Interazioni impreviste finivano per pro-durre malfunzionamenti inaccettabili, in numeroanche maggiore di quanto verifichiamo oggi in altricampi. Una fra le soluzioni più efficaci al problemafu chiamata in inglese Agile. Ward Cunningham,tra i primi informatici, comprese allora che stilarela specifica tecnica di un software necessita sempredi definizioni e norme lunghe e complesse, mentreparadossalmente la sua generazione spesso richiedesolo l’implementazione di un insieme molto più

A

semplice di regole generative (e l’utilizzo di un pro-cesso con più iterazioni di tipo adattativo).

Da notare che molti sistemi biologici funziona-no proprio utilizzando una procedura di tipo gene-rativo. Il complesso modello che governa il volo diuno stormo di uccelli, per portare solo un esempio,non si definisce attraverso la rigidità di un proget-to, in cui si dovrebbe specificare la forma dello stor-mo a ogni istante. Per fare ciò sarebbe necessariauna quantità impressionante di dati e istruzioni. In-vece, ogni uccello rispetta una sola semplice regolaper mantenere la sua posizione in relazione alla gui-da e agli uccelli vicini. Dall’interazione di questesemplici istruzioni, traggono origine le splendide ecomplesse geometrie tipiche degli stormi di uccelli.

Come abbiamo scritto in un saggio pubblicatosul sito della rivista Metropolis («Frontiers of Desi-gn Science: Self-Organization»), la bellezza espres-sa da tali modelli è strettamente connessa alla capa-cità di risolvere problemi (tipo la complessità lega-ta alla migrazione degli stormi di uccelli). Gli esse-ri umani sono soliti aggiungere altre sovra struttu-re alle loro realizzazioni rispetto a quanto verifi-chiamo in natura, includendo componenti simboli-che, artistiche, astratte. Ma è sbagliato pensare atali componenti aggiuntive come a elementi che sicomportano in modo fondamentalmente differen-te. Ogni aspetto della struttura, a suo modo, con-tribuisce alla complessa funzione tipica di un siste-ma vivente.

Un approccio Agile ci aiuta a risolvere le sfiderappresentate dalle nostre stesse tecnologie. Invecedi continuare ad aggiungere sempre più elementiposticci, ogni volta che si verifica un qualche mal-

25 Agosto 2014 Anno XIV

Due ospedali a Portland, Oregon. A sinistra, il Providence St. Vincent Medical Center si presenta come uncampus indipendente, che spezza il tessuto urbano circostante. A destra, il Legacy Good Samaritan Medical

Center si dimostra pienamente integrato nella rete viaria e pedonale di Portland.Immagine per gentile concessione Bing.

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funzionamento, occorre operare una trasformazio-ne agile del sistema con cui interagiamo, così damigliorarne la funzionalità vitale. Si tratta spessodi un cambiamento sorprendentemente semplice,da operare in una parte del sistema che può an-ch’essa sorprenderci.

Un approccio Agile consente di risolvere le criticitàgenerate dalle nostre stesse tecnologie.

I semplici principi del metodo Agile si possonoapplicare alla costruzione delle nostre città e archi-tetture, che sono sistemi sicuramente tra i più anti-chi e consolidati nel tempo. Nella riforma che sirende necessaria non si tratta di aggiungere ulterio-ri parti all’attuale sistema operativo, intendendocon questo l’emanazione di ulteriori leggi, norme evincoli. In un tale ambito di discussione, si pensaimmediatamente a interventi del genere, ma si è vi-sto che un tale approccio non ha nessuna efficacia,e questo nella migliore delle ipotesi. I vincoli nor-mativi acuiscono i problemi derivanti da imprevistie situazioni inattese, e non li risolvono affatto.

Un principio centrale, presente nel metodo in-formatico Agile, è quello secondo cui il sistema ope-rativo dovrebbe essere riscritto non specificando ilcomportamento atteso, ma piuttosto creando lecondizioni per cui il comportamento stesso è proba-bile che si venga a generare. In futuro per arrivare arealizzazioni resilienti sarà importante proprio untale approccio generativo al progetto, in cui impiegaretrasformazioni complesse di tipo adattativo e at-tingere a capacità di auto organizzazione tipichedel metodo Agile.

M TRASFORMARE, NON SOSTITUIRE.

N altro principio fondante la progettazio-ne Agile sta nel dedicare tempo alla com-prensione delle strutture esistenti, cer-

cando di trovare una strada agile per la loro trasfor-mazione. Si tratta anche di un approccio più sem-plice rispetto al dover partire da zero, e comprendepoche ma efficaci regole.

U

La progettazione ad oggi viene considerata datutti come un processo che governa l’assemblaggioe la composizione di elementi producendo oggetticonsumabili (inclusi gli edifici). Un simile proces-so conferisce una voluta patina di novità estetica aiprodotti, tanto da promuoverne la desiderabilità(temporanea). (Ciò che spesso si etichetta comegrande espressione artistica, raramente è tale per legenerazioni successive). Un processo lineare cheprocede con la rapida obsolescenza e smaltimentodei prodotti, per rimpiazzarli creando nuovi pro-dotti perfezionati (con nuova vernice estetica).

Questo è un processo fondamentalmente insostenibile.La progettazione di tipo adattativo presenta un

processo di trasformazione continua (e continua-mente benefica e positiva), in cui aspetti di novitàvengono in genere combinati con altri esistenti e ri-correnti. Gli aspetti artistici devono mettersi al ser-vizio di un tale modello evolutivo, non deve essereloro consentito di prenderne il comando. Il proget-to, in accordo a questa definizione, crea una tra-sformazione «da stati esistenti verso altri preferi-ti», secondo la definizione data dal grande eruditoHerbert Simon.

La definizione di Simon di certo genera più do-mande che risposte, ma si tratta delle domande

dIl Covilef N° 809

Due centri commerciali a Portland, Oregon. A sinistra, Washington Square a Tigard, una vasta area isola-ta che si può raggiungere solo in auto. A destra Pioneer Square, nel centro di Portland, si estende su vari isola-

ti, interessando e preservando la rete viaria, ed è percorribile a piedi.Immagine per gentile concessione Bing.

| (5) |giuste. Ad esempio, chi opera la scelta? Deve essereun largo processo democratico, non riservato sola-mente a specialisti, architetti, pianificatori, criticid’arte o costruttori. Ma come è possibile procederein modo intelligente, conciliando in meglio le pre-ferenze di molti attori? Superando la semplicespinta ai consumi, la progettazione sostenibile deveaffrontare anche questa profonda questione civica.

Per di più, una scelta preferibile ad altre non èprefissata di per sé, ma per sua natura una tale situa-zione presenta l’equilibrio ottimale tra un certo nu-mero di fattori. Fattori che sono in continua intera-zione, il che richiede che si sperimenti un processointerattivo, adattativo al fine di ottenere quanto de-siderato.

La progettazione è… un processo evolutivo di sco-perta e ridefinizione, il cui risultato non si può preve-dere in anticipo.

È importante comprendere la situazione esisten-te, e come poterla trasformare. Forse, migliorandola conoscenza della situazione attuale, la percezio-ne di quanto ricercato subirà una trasformazione.Potremmo scoprire che vi sono aspetti nello statoattuale che si potrebbero mantenere. In tal senso,la progettazione è per necessità un processo evolu-tivo di scoperta e definizione, il cui risultato non sipuò prevedere in anticipo.

Con il proliferare delle alternative date nell’evo-luzione del processo, alcune soluzioni potranno es-sere reintegrate (semplicemente perché presentanoancora la soluzione migliore). In natura, un casorilevante è fornito dalla pinna dorsale della foce-

na, che torna a integrare la forma molto più anticadi pinna del pescecane.

Ma nel progetto dell’uomo moderno, abbiamopermesso alla novità artistica di dominare, sosti-tuendosi al processo evolutivo che abbiamo descrit-to. Come già notò Jane Jacobs, una tale confusionedi ruoli rappresenta un male per l’arte, ma ha effet-ti ancora peggiori per le città. Il sistema che domi-na oggi l’architettura e la progettazione, abbellito este-riormente dall’arte e in continua ricerca della novità,è fondamentalmente non resiliente e non sostenibile.

Il ruolo importante ed essenziale dell’arte nellaprogettazione è stato corrotto, trasformato in un ri-vestimento esteriore, portando così a una pericolosaconfusione culturale. Il contributo essenziale del-l’Arte alla comunicazione, alla leggibilità, alla spie-gazione dei significati, viene ora sfruttato come uncavallo di Troia a favore di chi vuole industrializza-re l’ambiente costruito per trarne profitto, senzapreoccuparsi delle conseguenze a lungo termine.

Per migliorare una situazione tanto deteriorataoccorre riprendere modelli da ogni sorgente evolu-tiva, di qualsiasi epoca. Se vogliamo essere vera-mente sostenibili, abbiamo necessità di utilizzare li-beramente, come avviene in natura, la ricorrenzadei modelli geometrici di tipo evolutivo. (Qui si in-cludono i migliori modelli della tradizione umana,evoluti in secoli di storia, ma stupidamente rifiutatidagli ingenui progettisti moderni). All’interno diun sistema resiliente, l’arte può occupare a pieno ti-tolo il ruolo creativo.

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Due università. A sinistra, la Evergreen State College in Olympia, Washington, è un campus isolato e rag-giungibile solo in auto. A destra, la Portland State University si mostra pienamente integrata nella rete viaria

e pedonale di Portland, Oregon.Immagine per gentile concessione Bing.

| (6) |M SEMPLIFICARE E ADATTARE IL SISTEMA OPERATIVO PER LO SVILUPPO.

OLLEGATA strettamente a come progettia-mo, abbiamo la modalità in cui ci rela-zioniamo con gli altri nel processo pro-

duttivo. Oggi la progettazione viene da tutti consi-derata come un processo che viene svolto in un con-testo intricato, da lasciare agli specialisti. Ciò devecambiare.

C

Al contrario, la progettazione deve essere estesaper far propria i cambiamenti, in quello che pos-siamo qui definire come il sistema operativo per losviluppo. Lavorando in modo collaborativo, possia-mo trasformare nel mondo la serie interdipendentedi incentivi, compensi, sanzioni, norme, standard,leggi e modelli, tutti a costituire una specie di siste-ma operativo che genera lo sviluppo delle strutturenell’ambiente (al pari di altri sistemi e manufatti).

Al pari di un sistema operativo per computer, ocome le regole di un gioco, questo sistema operativoper la crescita permette alcune attività ma non altre.Se si vuole che alcuni processi funzionino con modali-tà non permesse al momento, occorre modificare il si-stema operativo, nel nostro caso i modelli e le nor-me per la pianificazione, l’architettura e lo sviluppo.

Molti sono i risultati perversi dell’attuale siste-ma operativo, cioè non sono i risultati che le per-sone avrebbero desiderato all’inizio, ma si produco-no dal modo distorto in cui interagiscono incentivie altre esigenze. Tali incentivi (difficilmente conte-stabili se considerati singolarmente) incoraggianoalcuni a non vedere i risultati negativi, illudendosi(forse in buona fede) che fossero proprio quelli vo-luti. Forse, alcuni vengono fuorviati a ritenere tali

risultati come assolutamente positivi. Possiamodefinire ciò in termini di illusione cognitiva, e per-mette di spiegare il numero di disfunzioni professio-nali a cui oggi assistiamo nell’architettura e nel-l’urbanistica.

Ma l’obiettivo non deve essere quello di incre-mentare il sistema operativo con ulteriori regole eprocedure, fragili a motivo della loro complicazio-ne e del carattere raffazzonato, piuttosto l’obietti-vo è quello di identificare (attraverso un processoculturale evolutivo e adattativo) un insieme relativa-mente semplice e agile di incentivi e processi, ingrado di produrre le condizioni da cui verrà moltoprobabilmente generato il comportamento deside-rato. A volte, la soluzione consiste nel rimuovereelementi troppo complessi e mal funzionanti, altrevolte è opportuno produrre trasformazioni attraver-so modeste addizioni. (E non si tratta affatto di unaingenua ricetta libertaria).

M IL VALORE DELLE ESTERNALITÀ.

L miglior incentivo, in grado di alimenta-re un qualsiasi sistema operativo per la cre-scita, si trova semplicemente nel modo in

cui alla base funzionano i processi economici, ecome certi tipi di economie (ossia strategie perl’efficienza economica e i benefici) vengono ricom-pensate, mentre altre vengono abbandonate. Abbia-mo già illustrato nella «Parte IV: la geometria del-la resilienza» come la forza in termini economicidelle economie di scala e della standardizzazioneabbia preso il sopravvento due altri modelli econo-mici necessari per la resilienza: le economie del luo-go e la differenziazione. Se si corregge questo squili-

I

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Due distretti industriali. A sinistra, l’Intel Ronler Acres a Hillsboro, Oregon, realizzato in un’area a sola de-stinazione industriale. A destra, l’edificio sede della Vestas Wind Systems per il nord America, inserito nellarete viaria e pedonale di Portland, nel contesto di un quartiere in cui vivono anche lavoratori nel settore delle

nuove tecnologie.Immagine per gentile concessione Bing.

| (7) |brio, si apporterà maggiore funzionalità all’econo-mia locale, così come si diversificheranno le attivi-tà economiche. (Un esempio noto è dato da unmercato gestito direttamente dagli agricoltori, ingrado di offrire varietà locali e produzioni stagiona-li. All’opposto si può considerare una varietà stan-dardizzata di mais, che domina il mercato e provo-ca la scomparsa delle varietà locali).

Oggi si verifica una concorrenza impari tra leeconomie di scala e la standardizzazione da unlato, e dall’altro le economie locali e la differenzia-zione. Ciò deriva dal fallimento dei mercati nel va-lutare quello che si può definire come esternalità,ossia fattori di tipo negativo (o positivo) che nonvengono tenuti in debita considerazione nei calcolieconomici di un progetto. Un simile progetto puòquindi finire per danneggiare le risorse esterne, opuò fallire nella creazione di benefici che si sareb-bero potuti ottenere per altra via.

Il problema può essere meglio compreso consi-derando la ineguale competizione tra distinte scaletemporali (ossia tra processi che si sviluppano in in-tervalli di tempo molto diversi). I sistemi umani equelli naturali tendono ad adattarsi alle forze che liminacciano, ma con un tempo di reazione relativa-mente lungo. Per contrasto, la finanza globale sipuò muovere molto velocemente per intervenire inmodo incisivo negli ecosistemi umani e naturali.Siamo di fronte a un nuovo fenomeno nella storia,che i nostri sistemi tecnologici non sono attrezzatiad affrontare. Se le azioni della finanza globale

danneggiano processi a lungo termine, e spesso ciòaccade, in quanto tali azioni sono orientate rigida-mente a ricavare profitti a breve termine, allora ilsistema non è in grado di reagire in tempo.

La vera modernità consiste in… un diverso mododi pensare: occorre progettare per la piena partecipa-zione di tutti gli esseri umani.

Un esempio evidente è lo sfruttamento dellerisorse naturali, che non viene in genere conside-rato finché la risorsa in questione non è così vicinaal totale esaurimento che la sua scarsità ne aumen-ta i costi. Un altro esempio è dato dalle esternalitàlegate allo sviluppo delle periferie. Ai costruttorinon viene chiesto di pagare per i costi esterni (leesternalità) che includono la manutenzione delleinfrastrutture nel tempo, i danni agli ecosistemi,gli impatti sulla salute umana, il degrado della qua-lità dell’aria, e molto altro.

Le economie di scala e la standardizzazione crea-no di per sé esternalità significative, che possonosolo essere riequilibrate dalle più sottili economielocali e dalla differenziazione. Ma se il sistema ope-rativo non fornisce informazioni di ritorno (deltipo di contropartite finanziarie) a favore di questeultime, esse continueranno a essere trascurate, enon vi sarà equilibrio tra i due tipi di economia(come si verifica oggi).

Una cosa che si può fare è quella di dare un prez-zo alle esternalità. Ciò significa, per esempio, paga-re per il carbonio emesso in atmosfera, o per la di-struzione di ecosistemi, o per lo sfruttamento delle

25 Agosto 2014 Anno XIV

Due edifici simili a grandi scatole, che mostrano modelli urbani assai differenti. A sinistra, un magazzi-no IKEA nei sobborghi di Portland, simile a migliaia di altri magazzini nel mondo. A destra, un magazzi-no di vendita Target, che occupa nel centro di Portland due piani (circa 8. 000 metri quadrati) all’interno diun edificio di 18. 000 metri quadrati. Questo fu il primo grande magazzino aperto negli Stati Uniti a ovestdel Mississippi, e ora include un parcheggio adiacente. Le dimensioni dell’edificio a sinistra sono di gran lunga

maggiori di quello a destra.Immagine per gentile concessione Bing.

| (8) |risorse naturali. Occorre che questo valore econo-mico venga espresso attraverso un processo di vastoconsenso, valutato con un largo processo partecipa-tivo, e non deciso da singole parti sociali con bendefiniti interessi al riguardo.

L’applicazione di questo richiede un processopartecipativo, un processo democratico, da sviluppa-re nella maggior parte delle nazioni in cui occorreintrodurre simili riforme. Il processo politico chedovrebbe sviluppare tali riforme è fallito negliUSA, così come in altre nazioni, poiché è influenza-to in modo eccessivo da angusti interessi finanziari.

Connessa a queste considerazioni vi è un’altraimportante riforma economica. Finora, la creativi-tà dell’essere umano viene tassata con una modali-tà simile alla tassazione sullo sfruttamento dellerisorse naturali. Questo nel lungo termine è privodi senso. Abbiamo necessità di una transizione ver-so una forma pubblica di valutazione e determina-zione di prezzo (cioè di tassazione) che valuti eco-nomicamente il consumo e la riduzione delle risor-se in un modo completamente diverso, e in generecon un tributo significativamente più alto, rispettoalla attività creativa delle persone. Riteniamo cheun tale approccio alla politica della tassazione ditipo georgista (così chiamato dall’economista e po-litico statunitense Henry George, vissuto nel XIXsecolo) possa essere un elemento chiave della politi-ca economica al fine di favorire la transizione ver-so un futuro resiliente.

M CONCLUSIONI: VERSO UNA NUOVA MODERNITÀ.

A maggioranza di voi che leggete questosaggio sono, come noi, al vertice della pi-ramide nell’economia globale. Fa riflette-

re riconoscere che il benessere di miliardi di perso-ne (inclusi i nostri discendenti) dipende in modosmisurato dalle nostre azioni negli anni a venire.Affrontiamo il difficile compito di equilibrare laquotidianità con la più grande responsabilità digestire la nostra civiltà e il pianeta.

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È comprensibile il piacere che deriva dalla pas-sione per le continue novità artistiche, degne di in-teresse, generate dalla nostra cultura progettualebasata sul consumo. Ma è sciocco supporre che taleapproccio possa considerarsi in un qualche modoavanzato, sostenibile, o moderno. Nei fatti si trattasolo di ortodossia reazionaria, aggrappata a unavisione della modernità industriale ormai sorpassa-ta e vecchia di un secolo. L’autentica modernitàconsiste nell’accettare i nuovi modelli di crescitaglobale, che includono processi di tipo evolutivo emorfogenesi adattativa. Consiste in un modo di-verso di concepire la progettazione per arrivarealla piena partecipazione di tutti gli esseri umani,avendo come fine la creazione di sistemi viventiospitati da un pianeta vivente.

dIl Covilef N° 809Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiß Der christliche Epimetheus)

Confronto tra edifici oggetto, simili a super isolati, e un tessuto di edifici con una pluralità di destinazionid’uso, in presenza di una rete viaria mista. L’immagine sulla sinistra ricorda più una mostra di sculture che

una città.Immagine per gentile concessione Bing.

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