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Verso” ufficiale dell’Associazione Culturale “L’Alveare” - Anno I n ° 2 - Marzo/Aprile Buon Compleanno AUSCHWITZ Son morto con altri cento, son morto ch’ero bambino passato per il camino e adesso sono nel vento. Ad Auschwitz c’era la neve, il fumo saliva lento nel freddo giorno d’inverno e adesso sono nel vento. Ad Auschwitz tante persone ma un solo grande silenzio è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento. Io chiedo come quell’uomo può uccidere un suo fratello eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento. Ma ancora tuona il canno- ne e ancora non è contento di sangue la bestia umana e ancora ci porta il vento. Io chiedo quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare e il vento si poserà. Francesco Guccini 1 LA MEMORIA RENDE LIBERI L’elaborazione delle tragedie della storia permette di riscrivere un futuro di pace. Si è celebrata in tutta Italia la giornata della memoria. Una data di riflessione su di un bene capace di unire più generazioni. Contro revisionismi ed opportunità politiche. Il 27 gennaio scorso si è celebra- ta in Italia “La giornata della memoria“ per ricordare la Shoa, l’Olocausto degli Ebrei perpetrato dai nazisti. E’ stato questo il punto di non ritorno dell’Umanità; ci ha pensato poi la bomba atomica sganciata sulle città del Giappone a far salta- re l’ultimo ponte alle nostre spalle. L’uomo ha perso definitivamente la sua innocenza, ha perso Dio e la ragione, ed è diventato un lutto errante. Non c’è stata nessuna reli- gione e nessun illuminismo che abbia potuto impedirlo. Dopo che il fumo della guerra si è ritirato dalle macerie, e nitido è apparso a tutti ciò che poteva essere rico- struito e ciò che poteva essere solo ricordato, Primo Levi ha scritto Meditate che questo è stato: / Vi comando queste parole. / Scolpitele nel vostro cuore / Stando in casa andando per via, / Coricandovi alzandovi; / Ripetetele ai vostri figli. / O vi si sfaccia la casa, / La malattia vi impedisca, / I vostri nati torcano il viso da voi”. Il nuovo peccato originale del- l’uomo poteva essere espiato solo nel costante monito del ricordo. La memoria, dunque, come costruttri- ce di pace. Fuoco di sentinella nella notte. E l’Europa del dopo- guerra, pur divisa, non ne ha smar- rito la bussola. Si è data una politi- ca, una moneta ed ora anche una costituzione comune. Il risultato è che da oltre mezzo secolo i suoi popoli non incrociano le armi. Tutto questo ha avuto però un prezzo: come ogni Pax della storia anche questa che stiamo vivendo è il risultato di una pressione milita- re continua per cui si manteneva un certo ordine e si riduceva la conflittualità al centro dell’ “Impero” a prezzo di tante piccole ma sanguinosissime guerre perife- riche. Per cui la nostra pace si ottiene sempre “grazie” alla guerra subita da altri. Ma il “salto di qualità” del terrori- smo internazionale, che ha riporta- to la guerra al centro dell’Impero, tra le nostre sicure case d’Occidente, sembra mettere in discussione questa dottrina geo- politica e militare fondata sul motto romano “se vuoi la (tua) prepara la guerra (altrui)”. Cosicché oggi appare auspicabi- le perseguire “piccole paci”che nel lungo periodo possano disinnesca- re le tensioni di una guerra perma- nente. Cominciare con una piccola pace a Gerusalemme sarebbe già decisivo perché, come ha scritto Umberto Eco “la pace universale è come il desiderio dell’immortalità, così difficile da soddisfare che le religioni promettono l’immortali- tà non prima ma dopo la morte. Una piccola pace invece è come il gesto del medico che guarisce una ferita. Non una promessa d’im- mortalità ma almeno un modo per ritardare la morte.Ripartiamo quindi dalla condivi- sione di tutte le tragedie della storia perché la memoria non diventi uno strumento fazioso ed ideologico. Del resto avere dei ricordi non basta: bisogna saperli dimenticare per ritrovarli nei segni, nei sogni, nelle parole e nelle azioni di ogni giorno. La memoria è come un gran- de archivio, che ammuffirebbe se qualcuno non ne spalancasse le porte e le finestre all’aria e alla luce. Ma le colpe dei padri ricadono sui figli quando gli stessi figli sono come i padri. Senza finestre. Allevare generazioni massimaliste obbliga gli altri ad espiare le pro- prie colpe ed a nascondere le nostre, fomenta tensioni, genera mostri culturali. Chi sostiene che i campi di sterminio nazisti siano una mera invenzione dei vincitori e lo stalinismo appena un’infelice forma di governo, è figlio di queste posi- zioni. Non esistano dunque i partigiani della memoria, ma per noi Italiani restino condivisi i valori fondanti dell’antifascismo, della resistenza e del cattolicesimo liberale. A tutti quelli che, aprendo i loro armadi e scendendo dalle barricate, stanno compiendo sforzi in questa direzio- ne, diciamo grazie per la loro incoe- renza. Fioravante Serraino L’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz, reso tristemente riconoscibile dall’iscrizione “Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi). L’Associazione Culturale “L’Alveare” è nata nel febbraio del 2002.A dicembre il lancio del suo organo d’informa- zione: “Il Ronzio”. Bilancio sicuramente soddisfacente, considerando che alla fine del 2001 si pensava a qualco- sa (o stavamo sognando?), ma non ad un giornale! L’associazione, traino (inesauribile…forse) per il gior- nale, materializza un’esigenza: un luogo, anche come simbolo, dove poter condividere degli interessi.E dopo un periodo di “carboneria” abbiamo deciso di renderla pub- blica con la speranza di condividere con altre persone questa esigenza. Analizzando questo primo anno emerge, a mio avviso, soprattutto la disponibilità nel condividere le proprie idee e le proprie conoscenze. Ma l’aspetto più interessan- te è come tale disponibilità sia andata oltre l’associazio- ne, aprendosi. Il confronto tra noi, in principio, è stato necessario per consolidarci come gruppo. Certamente, è stata di aiuto una visione compatta di quanto ci interessava: politica, società, etica, morale, religione, musica … e contempora- neamente l’assenza o quasi di discordanze ha consolida- to il rapporto. Tuttavia l’inevitabile interazione con il mondo esterno ha influito, fortunatamente, su ogni nostra singola posizione, modificandola. Di conseguenza le singole esperienze hanno fatto sì che vi fosse una sorta di antitesi con l’avvio di un processo di sintesi che non terminerà mai, senza che ciò interferisca sulla disponi- bilità al dialogo che ha contraddistinto il passato. Seguendo questa linea e maturando giorno dopo gior- no si è giunti alla consapevolezza di confrontarsi sem- pre, e rendere la disponibilità al dibattito una caratteri- stica peculiare. Queste, secondo me, le ragioni fondamen- tali della nascita del giornale sia a parziale completa- mento delle nostre, seppure minime, esperienze sia come sprone per il futuro. Non mancheranno i dibattiti accesi e le divergenze, sia internamente che esternamente, ma questi saranno i benvenuti poiché rappresenteranno il sale del confronto dialettico ed i presupposti fondamentali, accantonando momentaneamente le proprie idee, per ascoltare altre opinioni. In questo anno, avendo incontrato nuove per- sone, l’associazione è cresciuta. Ed in particolare mi rife- risco agli amici Elvira e Luciano, rispettivamente diret- tore e responsabile della veste grafica del giornale, i quali hanno recepito con entusiasmo le nostre finalità dive- nendo parte integrante dell’associazione. “Il Ronzio“ rappresenta, e spero solo cronologicamente, l’ultima prova della voglia di dialogo, coerentemente con le varie iniziative di carattere sociale e divulgativo intra- prese in passato, sperando che il 2003 non sia solo un anno di conferma di quanto fatto ma che sia prevalente- mente un anno migliore. La strada intrapresa è sicuramente non facile. Siamo coscienti che quanto realizzato non accadeva da molto (i tempi sono cambiati ed il confronto è stato sostituito da una sorte di “dialettica massonica”) e che la fase più impegnativa è appena iniziata. Tuttavia, sono fiducioso nel futuro poiché sembrano esserci i presupposti per pro- seguire in modo compatto al fine di raggiungere gli intenti prefissi resistendo ad eventuali progetti di colo- nizzazione. Siamo consapevoli, nonostante la denomina- zione dell’associazione, che la cultura non è sempre sino- nimo di un titolo accademico oppure di un plebiscito e che parlarne troppo logora, ma allo stesso modo la rite- niamo uno strumento di civiltà, fondamentale per non ingannare se stessi e gli altri, e per non partecipare al banchetto dell’ipocrisia. Per ogni compleanno che si rispetta si pone il problema del regalo e dei buoni propositi.Regali non ne vogliamo, se non che chi legittimamente ci critica non metta un dubbio la nostra buona fede. Quanto ai buoni propositi vorremmo che in tutti, soci, redattori, lettori e quanti altri, crescesse una costante e progressiva voglia di dia- logo al fine di realizzare una matura integrazione socia- le, pur mantenendo le proprie peculiarità. Affermando ciò, penso immediatamente alla nuova fase in cui la nostra società, finora chiusa e rurale, è entrata: da luogo di emigrazione per interi decenni, è divenuta terra di immigrazione.Una fase, senza dubbio, transitoria ed inevitabilmente portatrice di pregiudizi. Sono convinto, tuttavia, che la mancanza della consa- pevolezza che oltre il nostro orizzonte ci siano altre socie- tà composte sempre da uomini è la causa principale dei timori e dei pregiudizi. Società da conoscere con cui misurarsi ed interagire, e difenderle dall’omologazione sociale; eventualmente anche scontrarsi, mantenendo sempre e comunque, un giudizio complessivamente sere- no, e rifiutando chi, in cerca di facili e necessari proseli- ti, inneggia ad una nostra presunta ed alquanto ridicola superiorità. Un’integrazione auspicata è necessaria al fine di una convivenza senza pregiudizi nel rispetto di tutti. Ecco, riuscire ad aprirsi ad altre opinioni e punti di vista può essere l’inizio del processo di antitesi per tutti coloro che, restando nella nostra terra, non sono stati investiti dal fenomeno dell’emigrazione. Inoltre, considero questo sforzo utile anche nel ricordo e nel rispetto delle difficol- tà incontrate dai nostri nonni e in maniera minore dai nostri genitori che in società meno aperte hanno sofferto per il distacco dalle loro origini. Arturo Stabile

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“Verso” ufficiale dell’Associazione Culturale “L’Alveare” - Anno I n ° 2 - Marzo/Aprile

Buon Compleanno

AUSCHWITZ

Son morto con altri cento,son morto ch’ero bambinopassato per il camino eadesso sono nel vento.Ad Auschwitz c’era la neve,il fumo saliva lentonel freddo giorno d’invernoe adesso sono nel vento.Ad Auschwitz tante personema un solo grande silenzioè strano non riesco ancoraa sorridere qui nel vento.Io chiedo come quell’uomopuò uccidere un suo fratelloeppure siamo a milioni inpolvere qui nel vento.Ma ancora tuona il canno-ne e ancora non è contentodi sangue la bestia umanae ancora ci porta il vento.Io chiedo quando sarà chel’uomo potrà impararea vivere senza ammazzaree il vento si poserà.

Francesco Guccini

1

LA MEMORIA RENDE LIBERIL’elaborazione delle tragedie della storia permette di riscrivere un futuro di pace.

Si è celebrata in tutta Italia la giornata della memoria. Una data di riflessione su di un bene capace di unirepiù generazioni. Contro revisionismi ed opportunità politiche.

Il 27 gennaio scorso si è celebra-ta in Italia “La giornata dellamemoria“ per ricordare la Shoa,l’Olocausto degli Ebrei perpetratodai nazisti.

E’ stato questo il punto di nonritorno dell’Umanità; ci ha pensatopoi la bomba atomica sganciatasulle città del Giappone a far salta-re l’ultimo ponte alle nostre spalle.L’uomo ha perso definitivamentela sua innocenza, ha perso Dio e laragione, ed è diventato un luttoerrante. Non c’è stata nessuna reli-gione e nessun illuminismo cheabbia potuto impedirlo. Dopo cheil fumo della guerra si è ritiratodalle macerie, e nitido è apparso atutti ciò che poteva essere rico-struito e ciò che poteva essere soloricordato, Primo Levi ha scritto“Meditate che questo è stato: / Vicomando queste parole. / Scolpitelenel vostro cuore / Stando in casaandando per via, / Coricandovialzandovi; / Ripetetele ai vostri figli. /O vi si sfaccia la casa, / La malattiavi impedisca, / I vostri nati torcano ilviso da voi”.

Il nuovo peccato originale del-l’uomo poteva essere espiato solonel costante monito del ricordo. Lamemoria, dunque, come costruttri-ce di pace. Fuoco di sentinellanella notte. E l’Europa del dopo-guerra, pur divisa, non ne ha smar-rito la bussola. Si è data una politi-ca, una moneta ed ora anche unacostituzione comune. Il risultato èche da oltre mezzo secolo i suoipopoli non incrociano le armi.Tutto questo ha avuto però unprezzo: come ogni Pax della storiaanche questa che stiamo vivendo èil risultato di una pressione milita-re continua per cui si mantenevaun certo ordine e si riduceva laconflittualità al centro dell’“Impero” a prezzo di tante piccolema sanguinosissime guerre perife-riche.

Per cui la nostra pace si ottienesempre “grazie” alla guerra subitada altri.

Ma il “salto di qualità” del terrori-smo internazionale, che ha riporta-to la guerra al centro dell’Impero,tra le nostre sicure cased’Occidente, sembra mettere indiscussione questa dottrina geo-politica e militare fondata sulmotto romano “se vuoi la (tua)prepara la guerra (altrui)”.

Cosicché oggi appare auspicabi-le perseguire “piccole paci”che nellungo periodo possano disinnesca-re le tensioni di una guerra perma-

nente. Cominciare con una piccolapace a Gerusalemme sarebbe giàdecisivo perché, come ha scrittoUmberto Eco “la pace universale ècome il desiderio dell’immortalità,così difficile da soddisfare che lereligioni promettono l’immortali-tà non prima ma dopo la morte.Una piccola pace invece è come ilgesto del medico che guarisce unaferita. Non una promessa d’im-mortalità ma almeno un modoper ritardare la morte.”

Ripartiamo quindi dalla condivi-sione di tutte le tragedie della storiaperché la memoria non diventi unostrumento fazioso ed ideologico.Del resto avere dei ricordi nonbasta: bisogna saperli dimenticareper ritrovarli nei segni, nei sogni,nelle parole e nelle azioni di ognigiorno.La memoria è come un gran-de archivio, che ammuffirebbe sequalcuno non ne spalancasse leporte e le finestre all’aria e alla luce.Ma le colpe dei padri ricadono suifigli quando gli stessi figli sonocome i padri. Senza finestre.

Allevare generazioni massimalisteobbliga gli altri ad espiare le pro-prie colpe ed a nascondere lenostre, fomenta tensioni, generamostri culturali. Chi sostiene che icampi di sterminio nazisti siano unamera invenzione dei vincitori e lostalinismo appena un’infelice formadi governo, è figlio di queste posi-zioni.

Non esistano dunque i partigianidella memoria, ma per noi Italianirestino condivisi i valori fondantidell’antifascismo, della resistenza edel cattolicesimo liberale. A tuttiquelli che, aprendo i loro armadi escendendo dalle barricate, stannocompiendo sforzi in questa direzio-ne, diciamo grazie per la loro incoe-renza.

Fioravante Serraino

L’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz, reso tristemente riconoscibile dall’iscrizione “Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi).

L’Associazione Culturale “L’Alveare” è nata nel febbraiodel 2002.A dicembre il lancio del suo organo d’informa-zione: “Il Ronzio”. Bilancio sicuramente soddisfacente,considerando che alla fine del 2001 si pensava a qualco-sa (o stavamo sognando?), ma non ad un giornale!

L’associazione, traino (inesauribile…forse) per il gior-nale, materializza un’esigenza: un luogo, anche comesimbolo, dove poter condividere degli interessi. E dopo unperiodo di “carboneria” abbiamo deciso di renderla pub-blica con la speranza di condividere con altre personequesta esigenza.

Analizzando questo primo anno emerge, a mio avviso,soprattutto la disponibilità nel condividere le proprieidee e le proprie conoscenze. Ma l’aspetto più interessan-te è come tale disponibilità sia andata oltre l’associazio-ne, aprendosi.

Il confronto tra noi, in principio, è stato necessario perconsolidarci come gruppo. Certamente, è stata di aiutouna visione compatta di quanto ci interessava: politica,società, etica, morale, religione, musica … e contempora-neamente l’assenza o quasi di discordanze ha consolida-to il rapporto. Tuttavia l’inevitabile interazione con ilmondo esterno ha influito, fortunatamente, su ogninostra singola posizione, modificandola. Di conseguenzale singole esperienze hanno fatto sì che vi fosse una sortadi antitesi con l’avvio di un processo di sintesi che nonterminerà mai, senza che ciò interferisca sulla disponi-bilità al dialogo che ha contraddistinto il passato.

Seguendo questa linea e maturando giorno dopo gior-no si è giunti alla consapevolezza di confrontarsi sem-pre, e rendere la disponibilità al dibattito una caratteri-stica peculiare. Queste, secondo me, le ragioni fondamen-tali della nascita del giornale sia a parziale completa-mento delle nostre, seppure minime, esperienze sia comesprone per il futuro.

Non mancheranno i dibattiti accesi e le divergenze, siainternamente che esternamente, ma questi saranno ibenvenuti poiché rappresenteranno il sale del confrontodialettico ed i presupposti fondamentali, accantonandomomentaneamente le proprie idee, per ascoltare altreopinioni. In questo anno, avendo incontrato nuove per-sone, l’associazione è cresciuta. Ed in particolare mi rife-risco agli amici Elvira e Luciano, rispettivamente diret-tore e responsabile della veste grafica del giornale, i qualihanno recepito con entusiasmo le nostre finalità dive-nendo parte integrante dell’associazione.

“Il Ronzio“ rappresenta, e spero solo cronologicamente,l’ultima prova della voglia di dialogo, coerentemente conle varie iniziative di carattere sociale e divulgativo intra-prese in passato, sperando che il 2003 non sia solo unanno di conferma di quanto fatto ma che sia prevalente-mente un anno migliore.

La strada intrapresa è sicuramente non facile. Siamocoscienti che quanto realizzato non accadeva da molto(i tempi sono cambiati ed il confronto è stato sostituitoda una sorte di “dialettica massonica”) e che la fase piùimpegnativa è appena iniziata. Tuttavia, sono fiduciosonel futuro poiché sembrano esserci i presupposti per pro-seguire in modo compatto al fine di raggiungere gliintenti prefissi resistendo ad eventuali progetti di colo-nizzazione. Siamo consapevoli, nonostante la denomina-zione dell’associazione, che la cultura non è sempre sino-nimo di un titolo accademico oppure di un plebiscito eche parlarne troppo logora, ma allo stesso modo la rite-niamo uno strumento di civiltà, fondamentale per noningannare se stessi e gli altri, e per non partecipare albanchetto dell’ipocrisia.

Per ogni compleanno che si rispetta si pone il problemadel regalo e dei buoni propositi. Regali non ne vogliamo,se non che chi legittimamente ci critica non metta undubbio la nostra buona fede. Quanto ai buoni propositivorremmo che in tutti, soci, redattori, lettori e quantialtri, crescesse una costante e progressiva voglia di dia-logo al fine di realizzare una matura integrazione socia-le, pur mantenendo le proprie peculiarità.

Affermando ciò, penso immediatamente alla nuovafase in cui la nostra società, finora chiusa e rurale, èentrata: da luogo di emigrazione per interi decenni, èdivenuta terra di immigrazione. Una fase, senza dubbio,transitoria ed inevitabilmente portatrice di pregiudizi.

Sono convinto, tuttavia, che la mancanza della consa-pevolezza che oltre il nostro orizzonte ci siano altre socie-tà composte sempre da uomini è la causa principale deitimori e dei pregiudizi. Società da conoscere con cuimisurarsi ed interagire, e difenderle dall’omologazionesociale; eventualmente anche scontrarsi, mantenendosempre e comunque, un giudizio complessivamente sere-no, e rifiutando chi, in cerca di facili e necessari proseli-ti, inneggia ad una nostra presunta ed alquanto ridicolasuperiorità.

Un’integrazione auspicata è necessaria al fine di unaconvivenza senza pregiudizi nel rispetto di tutti. Ecco,riuscire ad aprirsi ad altre opinioni e punti di vista puòessere l’inizio del processo di antitesi per tutti coloro che,restando nella nostra terra, non sono stati investiti dalfenomeno dell’emigrazione. Inoltre, considero questosforzo utile anche nel ricordo e nel rispetto delle difficol-tà incontrate dai nostri nonni e in maniera minore dainostri genitori che in società meno aperte hanno soffertoper il distacco dalle loro origini.

Arturo Stabile

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L’ARGONAUTA

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Sono stato provocato dalla lettura dell’articolo diArturo Stabile; e così mi sono venute queste note chevogliono essere una forma di dialogo con Arturo cheapprezzo molto per il suo approccio dignitosamenteumano e attento alla realtà. E’ proprio proseguendoquesta “osservazione” di tutto il reale ( = Universo)che mi sono tornati alla mente i versi di Leopardi:

“Che fai tu, Luna, in ciel? dimmi, che fai,Silenziosa Luna?...Dimmi, o Luna: a che valeAl pastor la sua vita,La vostra vita a voi? dimmi: ove tendeQuesto vagar mio breve,Il tuo corso immortale?(…) E quando miro in cielo arder le stelle;Dico fra me pensando:A che tante facelle?Che fa l’aria infinita, e quel profondoInfinito seren? che vuol dir questaSolitudine immensa? ed io che sono?”

Fin dal liceo queste domande le ho sentite cosìmie e così vere che mi sono sempre chiesto:ma comemai c’è una domanda così chiara e così prepotentenel cuore dell’Uomo di ogni tempo e di ogni situa-zione geografica?

A mano a mano che conoscevo gli uomini,soprattutto attraverso gli studi umanistici, ma nonsolo, mi ha sempre sorpreso ritrovare, puntualmente,tracce di queste domande nella poesia, nell’arte esoprattutto nella musica. Essa mi ha sempre commos-so particolarmente perché mi sembra che esprima,più di ogni altra espressione umana, la nostalgia diuna risposta a “quella” domanda che è il suo pensierodominante.

Insomma proprio osservando il cuoredell’Uomo, mi sembra di registrare un’evidenza: se

c’è quella domanda ci deve pur essere “LA risposta”.Ma la seconda grande scoperta, frutto sempre di

una semplice osservazione, è che qualsiasi rispostaogni Uomo ha creduto di trovare, si è sempre dimo-strata insufficiente, inadeguata; è come se lasciassesempre fuori un aspetto della realtà; non esiste unarisposta umana in grado di spiegare esaurientementetutto lo spessore di quella domanda!

Pertanto anche l’ipotesi dell’uomo al centrodell’Universo la trovo ”stretta” alle misure del cuoredell’Uomo che, se anche riuscisse a conoscere e spie-gare tutto ciò che lo circonda, si sentirebbe comunque“soffocare” da questo cerchio immenso, ma pur sem-

pre chiuso.Il primo Uomo, credo, che ha utilizzato la ragio-

ne secondo tutte le sue possibili capacità è statoPlatone quando afferma:

“Mi sembra, Socrate, e forse sarai anche tu delmio parere, che essere così sicuri su certe questioni,sia una cosa impossibile o, per lo meno, molto diffi-cile, almeno in questa vita; d’altronde, io penso cheil non esaminare da un punto di vista critico le coseche si son dette, il lasciar perdere il problema, primadi averlo indagato sotto ogni aspetto, sia propriodell’Uomo dappoco; quindi, in casi simili, non c’èaltro da fare: o imparare da altri, come stanno lecose, o trovare da sé, oppure, se questo è impossibile,accettare l’opinione degli uomini, la migliore s’in-tende, e la meno confutabile con essa, come su diuna zattera, varcare a proprio rischio il gramaredell’esistenza, a meno che uno non abbia la possibi-lità di far la traversata con più sicurezza e conminor rischio su una barca più solida, cioè conl’aiuto di una rivelazione divina.” (Fedone XXXV)

La risposta quindi, che deve esserci alla doman-da che Leopardi ha messo a tema, non può se non tro-varsi oltre l’orizzonte della ragione e che proprio laragione dell’uomo può cogliere in tutta la sua neces-sità. L’ipotesi di Platone dunque, è il vertice a cui laragione può giungere, spalancandosi a percepirne lapossibilità. E se “l’incognito” si fosse veramente rive-lato? C’è un solo fatto storico, accaduto 2000 anni fain un piccolo paesino della Palestina, che si è affac-ciato alla storia dell’Umanità con questa pretesa: sì,Dio si è rivelato; è venuto tra gli uomini facendosiUomo e il suo nome è Gesù di Nazareth.

E se fosse tutto vero?

Savino Gaudio

Ha detto Pio IX che “tutto è perduto conla guerra, ma nulla è perduto con la pace”.Ma la pace non è figlia della geopolitica.Bensìdi un nuovo umanesimo che concentri glisforzi sulla dignità ed il rispetto per la vita.Eper far questo bisogna muovere da un puntofondamentale: quella “giustizia sociale” piùvolte invocata da mons. Riboldi nel suoapplauditissimo intervento tenuto il 3 gen-naio scorso nella chiesa madre San Nicola diBari nell’ambito della seconda, e più che maiattuale, edizione della Fiaccolata per la Pace,

organizzata dalla Pro-Loco di Aquara.Un’omelia laica per i suoi contenuti

civili e di denuncia.Precisa,spietata, ironica,esoprattutto legittimata dall’esperienza umanae pastorale di mons.Riboldi:per molti anni inprima linea contro la mafia a Palermo, quan-do è stato il padre spirituale del pool diCaponnetto (toccante il ricordo umano diFalcone e Borsellino), e contro la camorraquando è stato vescovo di Acerra. Spesso l’u-nico punto di riferimento culturale per unanuova coscienza civile a cui in quelle aree la

commistione fra crimine e politica ha semprecercato di tarpare le ali.

Insomma l’immagine e la sostanza di unanuova Chiesa, che può piacere ai laici e avvi-cinare i giovani in cerca di risposte. Quellamilitante e progressista, moralizzante e nonteologale, che si sporca le mani perché è alfianco della gente nel condividerne e ascol-tarne i problemi e le sofferenze.Semplicemente la Chiesa di Cristo.

Antonio Stabile

L’uomo al centro, oppure oltre?Riceviamo e volentieri pubblichiamo la risposta di un lettore all’articolo “L’uomo: centro dell’Universo?”, comparso sul primo numero del giornale.

Da Platone a Leopardi emerge la necessità metafisica della ragione di cercare una risposta alle grandi domande della vita.

Raffaello. La scuola di Atene (1509 - 1510). Stanza della Segnatura,Vaticano. E’ questa la pittura che meglio accredita per l’Urbinate iltitolo di “Poeta della Civiltà”. L’affresco s’inserisce nel tema generaledella Stanza della Segnatura, quale illustrazione della Verità rag-giunta per mezzo della Scienza.

Non c’è pace senza giustiziaLa visita ad Aquara di Mons. Antonio Riboldi, per anni in prima linea contro il crimine organizzato.

Gli uomini di buona volontà saranno costruttori di pace: contro ogni fanatismo e neo imperialismo, con-tro il malcostume ed il malaffare della politica.

CRONACA

Raffaello. Ritratto di un cardinale (1510 – 1512).

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ATTUALITA’: AMBIENTE

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Quando ho cominciato ad occuparmi di ricerchesulla lontra, mi sono subito messa l'anima in pace, inquanto avrei avuto pochissime possibilità di vedere innatura un animale con abitudini prevalentemente not-turne e così riservato e schivo.Avrei potuto concentrare i miei sforzi in lunghi appo-stamenti notturni nell'inten-to di essere gratificata da unasua fugace apparizione. Hoinvece preferito, almeno peradesso, dirigere la mia atten-zione alla ricerca delle suetracce, come un investigato-re che si affida ad indizi percercare la verità.

“(...) Tutto ciò che riguar-da la lontra è strano e sin-golare oltre ogni dire: ilgenere di vita che conducenell’acqua, i movimenti delcorpo, il modo di procac-ciarsi il cibo e le facoltà intellettuali.La lontra è certamente uno deglianimali più graziosi e simpaticidella fauna terrestre”.

Con queste parole Alfred EdmundBrehm, nella sua opera “La vita deglianimali”, pubblicata in Italia agli inizidel secolo scorso, fornisce un profilodi uno dei mammiferi europei più elu-sivi e misteriosi.

Quando i fiumi erano ancora ricchidi acqua e di vita, quando gli ecosiste-mi acquatici erano integri e conserva-ti, la lontra, silenziosa predatrice deicorsi d’acqua, era comune e abbon-dante in tutta la regione Paleartica.Anche in Italia, circa un secolo fa, lalontra era distribuita dappertutto, conuna popolazione abbondante.Fino aglianni sessanta, ogni piccolo fiume e torrente ed ognistagno e palude ha ospitato numerose coppie di que-sto agile carnivoro.

Tra i mustelidi, la lontra (Lutra lutra) è una specieinconfondibile per le grandi dimensioni (la puzzola, lamartora, la donnola e la faina, suoi parenti più stretti,sono tutti molto più piccoli), per il comportamento esoprattutto per gli ambienti che frequenta.

Le sue dimensioni variano da un metro ad un metro eventi centimetri, il peso dai sei ai quindici kg. La testa èarrotondata con piccole orecchie e muso leggermenteschiacciato. Gli occhi sono vispi e i baffi sottili e lunghi.Le zampe, con i piedi palmati, sono corte e robuste, ilcorpo idrodinamico e la coda è lunga circa la meta delcorpo ed è schiacciata. La pelliccia scura sul dorso echiara sul ventre è spessa ed impermeabile.

Quando la lontra si tuffa in acqua alla ricerca di cibo,è silenziosissima; può nuotare sott’acqua diversi minu-ti con forti movimenti della coda e delle zampe ante-riori.Cerca con straordinaria abilità ed eleganza anguil-le e ciprinidi (alborella, cavedano), ma anche trote e

occasionalmente rane e natrici. Si nutre inoltre di gam-beri e granchi che cerca su lunghi tratti di fiume.

Pur essendo un animale notturno, in alcuni luoghi, seestremamente tranquilli,può essere attiva anche di gior-no. Teme molto l'uomo, ed evita le campagne aperte.Preferisce, invece, gli angoli più ricchi di vegetazione

ripariale e palustre.Pur essendo un animale solitario, ama molto ilgioco e la vita sociale, soprattutto nei primi annidi vita, quando dopo i pasti si diverte a rincor-rere piccoli insetti e ad esplorare nuovi territorialzandosi a volte sui piedi posteriori e annusan-do l'aria con circospezione.

La scomparsa della lontra dalla maggior partedegli ambienti fluviali europei è dovuta ad unaserie di cause concatenanti a partire dalla finedegli anni cinquanta. La caccia indiscriminataed ingiustificata è stata tra le prime azioni diret-te a minacciare l’elegante mammifero. Basti

pensare che in Italia, finoal 1971 la lontra venivaconsiderata una specienociva, da combattere eaddirittura da sterminare(la caccia è stata consenti-ta fino al 1977, mentre neiventi anni precedenti,oltre mille lontre sonostate uccise).

Negli ultimi venti anniinoltre, nel Mezzogiornod’Italia, ma anche nelNord, sono state realizzatenumerose opere pubbli-che che hanno avutocome risultato immediatouno sconvolgimentoimpressionante degli equi-libri ecologici dei corsid’acqua dolce.

Dighe, acquedotti e perfino cementificazioni dei fiumipiù belli. Per la lontra si è trattato del colpo di grazia.Gliareali, dove fino ad alcuni decenni prima il mustelideera distribuito, sono stati prosciugati e il cibo è venutocosì a mancare.

In Italia l'allarme fu lanciato nel 1975 da Philip Wayre,uno dei maggiori esperti mondiali di lontra,e fondatore,in Inghilterra, dell'Otter Trust, il primo centro nato perl'allevamento e la reintroduzione della specie.Nel 1981,nell'Italia settentrionale la lontra risultava scomparsa; inaltre regioni la presenza era sporadica e alcune popola-zioni vitali risultavano presenti solo in Toscana,Campania e Basilicata.

Nelle ultime due regioni, la presenza del mustelide èaccertata ancora oggi.

Nascevano così, anche nel nostro paese, alcuni grup-pi specializzati nella ricerca, nella riproduzione e nell'o-pera di sensibilizzazione del pubblico per contribuire astrappare dall'estinzione la lontra europea.

Sara Di Bello

L’epifania della lontraTutto ciò che riguarda la lontra è strano e singolare oltre ogni dire.

La lontra, assurta a simbolo faunistico del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, è in realtà diffi-cilmente osservabile. Anche perché l’Uomo, nel corso dell’ultimo secolo ne ha devastato ambiente ed abitudini.

Ad Aquara sopravvivono nel Carnevale. In tutto ilcomprensorio degli Alburni e della Valle del Calore sene conteranno non più di una cinquantina, e questononostante che l’asino sia stato fino a pochi decenni faun elemento indispensabile della cultura e del paesag-gio rurale. Animale domestico per eccellenza, oggi inItalia rischia l’estinzione, visto che da dodici razze nesono rimaste cinque e da milioni di esemplari si è scesia poche migliaia.

Ma per tutelare l’asino lo psicologo e psicoterapeu-ta romano Eugenio Milonis ha messo in piedi adIntrodacqua (AQ) un centro che ne raccoglie quaran-ta esemplari denominato Asinomania. Qui ha importa-to l’onoterapia (dal greco onos = asino) già diffusaall’estero e soprattutto in Francia.

In una intervista a l’Espresso (del 26 dicembre 2002,n° 52, pag 203) Milonis spiega perché il somarello èuno strumento molto utile per aiutare bambini conproblemi della sfera cognito-affettiva e piccoli ribelliaffetti da disturbi del comportamento.”Io lo definiscoun animale empatico, capace di entrare in comuni-cazione affettiva, prezioso sotto il profilo della rela-zione. E’ dolce, affettuoso, si avvicina per farsi cocco-lare laddove il cavallo invece è una bestia nervile,che resta distante. E poi non galoppa, camminalento, è meno pericoloso del cavallo che scarta esgroppa appena si muove un filo d’erba. L’asino,invece, si ferma.”

Nel suo centro già molte scolaresche montano i pic-coli somarelli.

E poiché si parla spesso di imprenditoria a voca-zione territoriale come una forma di svilupposostenibile che salvaguardi ambiente e storia, qualemigliore e nobile opportunità è quella di far rivive-re nei propri luoghi la fedeltà e la mitezza di uncompagno a capezza.

Roberto Marino

Asino sarà leiE’ arrivata l’onoterapia: la cura con l’asino.

Altro che “chi lava la capu a lu ciucciu ‘ngi perdil’acqua e lu saponi”. Oggi il somaro diventa maestrodi affetti verso bambini meno fortunati.

Filippo Palizzi. L’asino in imbarazzo. Castello Sforzesco, Milano.

La lontra del Ticino.

La lontra europea.

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MEMORIE IN CORSO

4

Le origini del carnevale sono antichissime. Derivaprobabilmente dai saturnali dell’antichità romana.Anzi, è probabile che le sue radici più lontane deb-bano ricercarsi nelle feste dionisiache.

Il “re” del carnevale (uomo in carne ed ossa, fan-toccio antropomorfo o animale) rappresenta il prin-cipio della licenza e del disordine, che verrà poi eli-minato per combustione, impiccagione, sotterra-mento ed altri mezzi (simbolici o effettivi a secondache si tratti di un essere umano o di un simulacro),così che si possa passare dal caos all’ordine.

Conferma ne viene dal fatto che il carnevale vedeun largo impiego di maschere, in origine tutte conqualche carattere infero, ricordo travisato dei riti incui chi indossava una maschera impersonava sempreun antenato della stirpe. L’elemento di caos vieneintrodotto simbolicamente con il rovesciamento del-l’ordine delle cose. Carnevale è il periodo in cui èlecito satireggiare ogni autorità, istituzione o privile-gio. Si mettono in piazza, in senso proprio e figurato,i difetti e le colpe che la paura e l’ipocrisia tengononascosti per il resto dell’anno.

E’ emblematica in questo senso la maschera dellamorte, che è confinata abitualmente nell’aldilà, madiventa il fulcro di una vera e propria cerimonia diiniziazione quando svela il suo carattere e smette diincutere timore. Mascherarsi vuol dire dunque rove-sciare la propria identità, il proprio essere quotidiano,e diventare “altro”, addirittura la morte.

Per questa sua carica di facilitazione sociale che pote-va essere fonte di rivolta in un mondo irreggimentatoe feudale come quello rurale e pre-industriale, segnatodai cicli della natura e del raccolto, la festa popolare èstata sempre demonizzata e scoraggiata.In questo senso il Carnevale è la testimonianza simbo-lica del tripudio che in tutti i paesi e in tutti i tempicelebrava il finire dei geli invernali e l’inizio del risve-glio della Natura. Il rumore che fanno i festeggiamentisi ricollegherebbe al primitivo grande baccano il cuiscopo era di richiamare alla vita l’addormentata divini-tà solare; mentre il riso e l’allegria avrebbero un signi-ficato rituale, una predisposizione alla catarsi, comeavveniva negli antichi rituali (ad esempio nei Lupercalia Roma).

Questo significato ha anche un riscontro etimologico.La parola dialettale aquarese acciaharìa (baldoria, con-fusione) deriva dal francese charivari, con lo stessosignificato. Gli charivaris erano infatti i capopopolo deitumultuosi carnevali francesi del XIV° e XV° secolo.

Il Carnevale è dunque presente nel dialetto e nellatradizione aquarese. Nelle forme e nei temi universalima anche in un canovaccio tradizionale fondato sualcuni elementi originali: la rappresentazione e l’inve-stitura dei mesi dell’anno che sfilano sugli asini, il cor-teo che è contemporaneamente nuziale e funebre eculmina con un matrimonio propiziatorio ed un rogocatartico (quello del fantoccio di Carnevale portato suuna matra).Risale probabilmente al ventennio fascista

la figura del “neuzo”, il negus di abissina memoria, checon la crona d’arance al collo sfila nel corteo esibitocome bottino di guerra ma che, lontano dalla volontàdel regime , nella sua interazione con il pubblico e conle altre maschere esprime una prima forma di integra-zione sociale e razziale a sottolineare l’ospitalità dellacomunità.

Nessuno dei protagonisti del canovaccio tradiziona-le indossa vere e proprie maschere, ma costumi spessopoveri, iconografici della civiltà contadina. Il mese, adesempio, è sempre riconoscibile, ringiovanito o invec-chiato dall’uso di un trucco povero come il tappo disughero annerito o il pezzo di carbone raffreddato. Labardatura dell’asino è invece affidata al suo portatore.

Ha scritto B. Baczko nel suo libro “Immaginazionesociale”:“… su nessun cammino della loro storia gliuomini camminano nudi, ma hanno bisogno dicostumi, di segni e di immagini, di gesti e figure perriconoscersi lungo la strada”.

A questa necessità, che è anche una condizione,risponde il rito della festa del Carnevale. Essa, perpe-tuando ed interpretando dei simboli, ha sempre con-servato elementi germinali trasgressivi ed utopicimodellandoli ai bisogni storicamente determinati diogni comunità.

Decaduto con l’affievolirsi del sentimento della festae con lo svuotarsi di ogni implicazione “sacrale” (car-nevale deriva da carnem levare = togliere la carne, adindicare l’ultimo eccesso permesso prima dell’avventopenitenziale della quaresima), il Carnevale spesso oggisopravvive per ragioni turistiche.

Fioravante Serraino

L’antropologia del carnevaleTra festa e rivolta i miti del martedì grasso.

Il sovvertimento dell’ordine naturale e sociale delle cose.L’esecuzione di un capro espiatorio.Il rito dei mesi ad Aquara.

Si presenta GENNAIO

I so innaru, lu primu trasitori ri tutti quanti sti misi.Stau ‘nguestioni ccu lu patroni,stau ‘nguestioni ccu lu picuraru.Ma po’, ppi scattamientu r’austuM’angia fotti tuttu st’arrustu.

Si presenta AGOSTO

I so austu, ccu la ‘mbucatoraU miericu mm’ha urdinatu sta suppostaMa ppi sanà sta malatia mia Ngi voli u broli ri sta ‘addinaE ccu riverenza ai facci vostiA bbui vangiu stipatu sta supposta.

Si presenta DICEMBRE

I so dicembri, l’uldimu ascurtatori ri tutti sti misi.Tengu rui porci accisi e dui muglieri frescheE po’, si ni veni chi?! Zi Paulinu e zi Pauloni:Mi sceppani nu pilu ra stu barboni.E ccu riverenza salutu tutti sti nobili signori.

Canzone tradizionale del carnevale aquarese. Di solitofa parte del repertorio di Quaresima che piange lasalma di Carnaluvara, suo marito…senza però disde-gnare di guardarsi attorno.

Tannu lu cori miu stai contendi,quannu lu juornu chiovi e la notti scampa.

Memoria di una sceneggiatura

Sopra e in alto a destra immagini dal Palio di Asti.

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I

Francia I791. Olympe de Gouyes presentaall’Assemblea Costituente una “Declaration desdroits des femmes”; la prima rivendicazione delladonna dopo secoli di sottomissione. Molti conside-rano quell’episodio come l’anno zero del femmini-smo, anche perché manifestazioni analoghe si ten-nero in Inghilterra e Germania.

Del resto, il saggio di J. Stuart Mill,“La soggezio-ne delle donne” (1869), che è la prima trattazionecritica sull’argomento, dimostra, seppur un modopolemico, la considerazione e l’interesse alle riven-dicazioni femminili. L’avvento della rivoluzioneindustriale, difatti, accelerò il processo di ricollo-cazione della donna nella società europea ed occi-dentale, immobilizzata dalla soffocante strutturaverticale e patriarcale.Le donne, in Gran Bretagna prima, e poi in tutto ilmondo occidentale, chiesero di avere gli stessidiritti degli uomini: parità di salario e uguale istru-zione; chiesero nuove strutture sociali, come asili enidi, dove lasciare i bambini mentre erano al lavo-ro. Infine reclamarono il diritto al voto: la battagliaper il suffragio universale vide impegnati agguerri-ti gruppi di donne che vennero chiamate, nonsenza ironia “suffragette” (da “suffragio” cioè“voto”).

La Camera dei Deputati italiana discusse una peti-zione per il voto alle donne nel 1907 e la bocciò: lalotta era stata guidata da Anna Maria Mozzoni e daAnna Kuliscioff. Solo nel 1945 le donne italianeottennero il diritto di andare alle urne: le russe loavevano ottenuto nel 1917, le inglesi nel 1918, le

tedesche nel 1919, le americane nel 1920, le svede-si nel 1921, le francesi nel 1944.

Il cammino era stato lungo e duro: basti pensareche, al momento dell’unità d’Italia, la popolazionefemminile aveva solo il diritto di far testamento, manon poteva, per esempio, né testimoniare in tribu-nale né entrare nei ginnasi Il femminismo modernoè invece nato negli Stati Uniti nella prima metà deglianni Sessanta, intorno a donne come Kate Millet eBetty Friedan.Esso ha combattuto e continua a combattere, sottoaltre forme meno politiche e settarie, per la paritàcon l’uomo (non solo nel campo del lavoro), per ilriconoscimento economico del lavoro domestico,per il diritto ad una maternità cosciente, per la can-cellazione di vecchie leggi repressive.

In Italia l’approvazione di un nuovo codice deldiritto di famiglia (aprile 1975), eliminò l’inferioritàmorale, giuridica ed economica della donna e rap-presentò un decisivo passo avanti sulla strada di unapiù equa considerazione della donna nella sociètà,anche alla luce delle vittorie nei referendum perl’introduzione dell’aborto e del divorzio.

Oggi ancora sopravvive un elemento di straordi-narietà se, ad esempio, pensiamo alla funzione isti-tuzionale del Ministero per le pari opportunità; ed ilfemminismo parla alle singole coscienze non piùcome fenomeno politico o di costume, ma comemomento di confronto del proprio ruolo con leistanze culturali, etiche e civili della società.

Angela Accarino

In principio fu l’I’Olympe de GouyesBreve cronistoria delle conquiste civili e sociali della donna.

Dalle lotte per il diritto al voto alla dimensione odierna la strada dell’emancipazione femminile è lastricata disuccessi. Ma resta un ultimo grande muro da abbattere: l’apprensione più o meno ipocrita e strisciante per laricaduta di quelle “conquiste” nell’ambito familiare e dell’educazione dei figli.

La seconda puntata del nostro progetto editoriale vedeluce in un momento storico importante. Il Ronzio si affac-cia timidamente al terzo anno del terzo Millennio e noi, alsolito animati di buoni propositi, abbiamo deciso di dedi-care un inserto a tutte le donne in occasione dell’ottoMarzo. Anche se qualcuno di noi pensa, o ha sempre rite-nuto, che la Donna è tale ed andrebbe rispettata ogni gior-no, in ogni parte del Globo.

Ma regalare un fiore e ricordare il ruolo di tutte le donneche hanno fatto la storia della nostra Storia è forse ancorapiù importante, all’alba di un inizio millennio che ha giàregistrato una nuova grande guerra e che si appresta, pervolere di pochi e paure di tanti, a prepararne un’altra.

Probabilmente, quando la stampa del nostro bimestralesarà ultimata, staremo ancora assistendo a masochisticishow televisivi sull’opportunità o meno di mandare truppemilitari a sovvertire il regime di Saddam, direzioneBagdad, fucina di un Terrore che ieri si chiamava OsamaBin Laden e che domani Dio solo sa come si chiamerà.

E mentre noi distribuiremo il nostro giornale, buonaparte dell’Umanità, donne comprese, si staranno attivandoin azioni e manifestazioni per scongiurare quella guerrache non avremmo mai più voluto vedere.

E se le leggi della fisica avranno ragione, si verificherà chead ogni azione corrisponderà una reazione uguale e con-traria. Raid aerei, massacri di civili, e consorelle iracheneche piangeranno i loro uomini morti in battaglia o i lorofigli monchi per mine intelligenti. Insomma quel film chenon avremmo più voluto vedere sugli schermi della nostravita o solo la seconda parte di un disegno geopolitico cheambisce al benessere universale ma ragiona sulle leggi diun’economia governata da due sole costanti: Potere ePetrolio. Se tutto questo dovesse accadere rimprovereremoa noi stessi di non aver fatto abbastanza per scongiurarloo assisteremo, impotenti, al volere di organiSoprannazionali che agiscono in guerra per difendere laPace?

Quando avremo distribuito anche l’ultima delle nostrecopie mi piacerebbe incontrare al bar il resto della reda-zione e festeggiare con loro una guerra che si sarebbe volu-ta fare ma che poi non si è più fatta.

Con l’augurio che questo non sia solo il sogno uscito fuoridalla penna di una cronista sognatrice, vi auguro buonalettura e vi esorto ad aberrare ogni forma di conflitto, dalpiù banale, al più universale.

Elvira Ragosta

Scambiatevi una mimosa di pace.

"La guerra non è fatale, non è necessaria, ma è volon-taria, sono gli uomini, determinati uomini, pochi omolti, i responsabili della guerra, anche quando dico-no di non volerla La responsabilità di una guerra èsempre soggettiva, di coloro che la promuovono e vicontribuiscono". (Don Luigi Sturzo)

Botticelli. Venere e Marte (1483 circa).

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LE DONNE E LA STORIA

II

Le donne che hanno compiuto opere paragonabili aquelle degli uomini sono donne che la forza delle istitu-zioni sociali ha proiettato fuori di ogni differenziazionesessuale. Isabella la Cattolica1, Elisabetta d’Inghilterra2,Caterina di Russia3 non erano maschi né femmine: eranodelle regine. Bisogna considerare che la loro femminilità,una volta socialmente abolita, non ha più costituito un’in-feriorità: la proporzione delle regine che ebbero grandiregni è infinitamente superiore a quella dei grandi re. Lareligione opera alla stessa trasformazione: Caterina daSiena4, Santa Teresa5 sono, al di là di qualunque dato bio-logico, anime sante; la loro vita secolare e la loro vitamistica, le azioni e gli scritti, le innalzanoad altezze che pochi uomini hanno rag-giunto.

Abbiamo perciò il diritto di pensare chese le altre donne non poterono lasciareun’impronta nel mondo, ciò dipese dall’es-sere confinate nel dato biologico. Essefurono costrette ad entrare nella vita inmodo negativo ed obliquo. Giuditta6,Carlotta Corday7,Vera Zasulic8 uccisero, ledonne della Fronda cospirarono;durante laRivoluzione, durante la Comune vi furonodonne che lottarono contro l’ordine costi-tuito a fianco degli uomini; in altre parole,è concesso ad una libertà senza diritti esenza potere d’irrigidirsi nel rifiuto e nellarivolta, non di partecipare ad una costru-zione positiva.

Tutt’al più codesta libertà riuscirà amescolarsi per una via traversa alle impre-se dell’uomo. I consigli di Aspasia9,di Mmede Maintenon10, della principessa desUrsins11 furono ascoltati; eppure fu necessario che gliuomini consentissero ad ascoltarli. Gli uomini esageranovolentieri la portata di codeste influenze se vogliono con-vincere le donne ch’esse hanno la parte migliore, ma inrealtà le voci femminili tacciono quando ha inizio l’azio-ne concreta.

Le donne hanno potuto suscitare una guerra, non sug-gerire la tattica di una battaglia; e quanto ad orientare lapolitica, hanno potuto farlo solo nella misura in cui lapolitica si riduce a intrigo. Le vere leve del mondo nonsono mai state nelle loro mani; quindi non hanno eserci-tato un’azione sulla tecnica o sulla economia, non hannocreato o disfatto Stati, non hanno scoperto mondi.Anchese taluni avvenimenti furono scatenati da loro, vi com-parvero in veste più di pretesti che di agenti. Il suicidio diLucrezia12 ebbe solo un valore di simbolo.

Il martirio è concesso a chi soffre; durante le persecu-zioni cristiane, all’indomani delle disfatte sociali o nazio-nali, le donne spesso ebbero la parte di chi testimonia lasua fede col sacrificio; ma un martire non ha mai cambia-to la faccia del mondo. Anche le manifestazioni e le ini-ziative femminili hanno preso valore solo quando unadecisione maschile glielo ha conferito, prolungandonel’efficacia nel tempo.

Le Americane radunate intorno a Mrs. Beeche-Stowe13

eccitarono violentemente l’opinione pubblica contro laschiavitù, ma le vere ragioni della guerra di secessionenon furono sentimentali. La Giornata della Donna dell’ot-to marzo 1917 forse ha precipitato la Rivoluzione russa,ma certo non ne fu che un’anticipazione. La maggior

Donne sull’orlo della storiaLa dimensione accidentale della donna nella storia in un lucido passo di Simone de Beaouvoir.

Spesso i detrattori della donna argomentano in maniera contraddittoria che le donne non hanno mai creato niente di grande e che la loro condizione non ha mai impedito lo sviluppo delle grandi personalità femminili.

parte delle eroine appartengono a una razza un po’ baroc-ca: sono delle avventuriere; oppure delle creature eccen-triche che restano nella memoria per la singolarità del lorodestino più che per l’importanza delle azioni compiute.Giovanna d’Arco14, Mme Roland15, Flora Tristan16 para-gonate a Richelieau, a Danton, a Lenin scoprono una gran-dezza prevalentemente soggettiva: sono figure esemplaripiuttosto che fattori della storia. Il grande uomo scaturiscedalla massa ed è guidato dalle circostanze.

Le donne stanno in margine alla storia, e per ognuna diesse le circostanze sono un ostacolo e non un trampolino.Per cambiare la faccia del mondo bisogna prima esservi

s o l i d a m e n t eancorati; ma ledonne chehanno solideradici nella

società sonoquelle ad ressasottomesse.A meno che nonsiano destinateall’azione perdiritto divino (e

in questo caso hanno dimostrato di avere le stesse capaci-tà dell’uomo) la donna ambiziosa, l’eroina, sono fenomenistrani.Soltanto dopo che le donne hanno cominciato a sen-tirsi a loro agio su questa terra abbiamo visto apparire unaRosa Luxemburg17, una Mme Curie18. Esse dimostranochiaramente che non è l’inferiorità delle donne che hadeterminato la loro insignificanza storica: è la loro insigni-ficanza storica che le ha condannate all’inferiorità.

Note al testo.

1. 1451-1504: regina di Castiglia e moglie di Ferdinandod’Aragona, divenne con l’unione dei due regni regina diSpagna.2. 1533-1603: Elisabetta I di Tudor, figlia di Enrico VIII e diAnna Bolena.3. 1729-1796: vedova di Pietro III, gli succedette al trono.4.1347-1380:cercò di ricondurre i papi da Avignone a Roma;lottò per la riforma della Chiesa e la fine dello scismad’Occidente.5. D’Avila 1515-1582: riformò l’ordine carmelitano; i suoiscritti mistici sono molto importanti nella letteratura spa-gnola.6. Eroina biblica; tagliò la testa a Oloferne, liberando cosìBetulia, assediata dagli Assiri.7. Per vendetta politica uccise Marat, uno dei più noti espo-

nenti della rivoluzione francese.8. Rivoluzionaria russa; ucciseTrepov, il sinistro capo della poli-zia di Pietroburgo nel 1878.9. Visse nel v secolo a.C.; donnagreca celebre per culura e man-canza di pregiudizi, fu amata daPericle.10. Francoise d’Aubignè (1635-1719), moglie di Luigi XIV.11. Marianne; giocò un ruoloimportante negli intrighi di cortedi Filippo V, re di Spagna.12.VI secolo a.C.; matrona roma-na, si suicidò per non sopravvive-re all’offesa arrecatale dal figlio diTarquinio il Superbo. L’episodiofu la causa occasionale della cac-ciata dei Tarquini da Roma.13. Harriet (1811-1896): statuni-tense, autrice della Capanna dellozio Tom.14. 1412-1431: giovane contadinache guidò l’esercito francese con-tro l’invasione degli Inglesi; impri-gionata dai Borgognoni fu conse-gnata agli Inglesi, dai quali fu pro-cessata con l’accusa di stregone-ria ed arsa viva.15. Moglie di un ministro girondi-no, fu ghigliottinata nel 1793 daiGiacobini.

16. Si interessò soprattutto alla emancipazione della classeoperaia.17. 1875-1919: tra i maggiori teorici del marxismo e perso-naggio di grande rilievo nella storia del movimento operaiotedesco e polacco, costituì insieme a Karl Liebknecht la Legadi Spartaco per organizzare la rivoluzione proletaria. Fondòcon gli altri spartachisti il Partito Comunista Tedesco.Arrestata per aver organizzato l’insurrezione di Berlino del 5gennaio 1919, fu uccisa.18.Premio Nobel per la fisica nel 1903 col marito Pierre,e dasola nel 1911 per la chimica.

Simone de Beauvoir, da Il secondo sesso.Traduzione diR. Cantini e M.Andreone, Milano, Il Saggiatore / 1969,pp. 173-175.

Modigliani, ritratti di donna.

in alto a sinistra: nudo seduto, 1914.

sotto: donna con la cravatta.

in alto a destra. nudo rosso.

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LE DONNE E LA SOCIETÁ

III

La discriminazione tra i due sessi è diventa-ta oggetto di studio di diverse discipline,soprattutto antropologiche, che hanno volutoscoprire il fondo e l’estensione dell’ideologiache porta alla disuguaglianza tra i sessi a tuttii livelli (economico, legislativo e politico).Tutti gli studiosi sono d’accordo nello stabili-re che ogni società determina i rapporti fra idue sessi in termini di diversità.

In alcune società le donne hanno un potereparziale, ma in nessuna esse conservano unapproccio esclusivo a quei processi politici edeconomici che sono determinanti per ognisocietà, e che restano appannaggio dell’uomo.

Per spiegare questo fenomeno sono statesviluppate diverse teorie che hanno ricercatoun fattore ecumenico per spiegare l’universa-lità del dominio maschile. Una di queste è lateoria biologica, per la quale la diversitá bio-logica (bimorfismo maschio-femmina) dei duesessi determina anche la loro posizione nellasocietà. Un modello portato a sostegno di que-sta teoria è quello dell’uomo cacciatore percui i ruoli sociali dei due sessi si sono deter-minati in maniera evoluzionistica durante l’a-dattamento delle specie scimmiesche all’am-biente. Questo adattamento è in relazione conla presunta dipendenza della specie dalla cac-cia, attività esclusiva dell’uomo; e si è conser-vato nella specie per centinaia di migliaia dianni, tanto che dopo la rivoluzione neolitica(circa 10000 anni fa) esso era già un consoli-dato patrimonio genetico dell’uomo.

Nuovi studi hanno però affiancato alla figu-ra dell’uomo cacciatore, quella della DonnaRaccoglitrice, per nulla subalterna alla primama autonoma nella produzione e nel consumodi cibo, e fondata sul nucleo del rapportomadre-figlio. Tra l’altro questo ruolo sembrarafforzarsi con l’uso della parola e la logica dellinguaggio sulla cui scia la donna diventa l’u-nica depositaria della conoscenza sociale.

Ma queste teorie non possono completa-mente spiegare la ricorrenza storica del feno-meno di subordinazione della donna. Per que-sto è opportuno ricercarne le cause per ognisocietà e per ogni periodo storico.

Così nella nostra società capitalistica la con-dizione della donna, secondo l’antropologaNora Skuteri, è dovuta al doppio ruolo che èchiamata a svolgere: quello della madre-mogliee quello della lavoratrice; ed il secondo è sem-pre vincolato al primo.

Due volte donnaStudio antropoligico sulla condizione della donna nella società fra la teoria biologica e il determinismo storico-culturale.

Oggi alla donna è affidato un duplice ruolo: quello domestico e quello produttivo. Ma i pregiudizi di ordine biologico sono duria morire, tanto che il “senso comune” ancora non la riconosce nella pienezza della dualità fra sfera pubblica e privata.

Così la donna viene utilizzata come “riserva”o come “conveniente fonte lavorativa” dal capi-tale per lavori (commesse, educatrici, segreta-rie) che nessun altro coprirebbe, e dove l’età ela femminilità della donna sono determinanti.

In più il capitale sa che quando queste donnesi sposeranno o partoriranno, abbandoneranno“volontariamente” il loro lavoro e senza crearefastidi rientreranno in seno alla famiglia. Inquesto modo le donne lavoratrici restano dis-organizzate e trattandosi di un lavoro provviso-rio, non competono con i lavori maschili e cer-tamente non rientrano nelle statistiche di dis-occupazione.

Così il capitale sfrutta le donne in quantomadri, ragazze, vedove, ecc. (in altri casi accadecon gli emigrati o quelli di colore): soggettideboli socialmente a cui affidare lavori “nonsociali”. Di conseguenza le donne restano sem-pre sotto la protezione della famiglia paterna odel marito ed il loro salario è considerato com-plementare a quello del padre di famiglia.

Paradossalmente lo stesso vale anche perquelle donne che nella società occupano unposto stabile, riconosciuto e di prestigio: scrit-trici, insegnanti, medici, politici.L’ideologia comune ed il capitale ritengonoche lo spazio naturale delle donne sia la casa inmodo da renderle estranee allo spazio pubbli-co, e di conseguenza devono dimostrare di

continuo la loro bravura (“devono sempreprovare che possono far qualcosa nel modogiusto: scrivere, insegnare, operare, eseguirelavori manuali, ambire alla carriera univer-sitaria.”).

Tuttavia, la valutazione basandosi sempre suparametri maschili, le donne devono sempredimostrare, secondo i criteri degli uomini, diessere all’altezza, meritevoli cioè di quelle pariopportunità che ancora oggi sono lo straordi-nario e non l’ordinario. Per non parlare delpregiudizio, del senso comune, che tende aconservare inferiori le donne perché all’oc-correnza diventino i capri espiatori di ognimale. Ma esistono nella nostra società gli stru-menti civili e culturali per legittimare le aspi-razioni della donna? Si potrebbe partire dallacondivisione e dal sostegno da parte degliuomini e dello Stato della dimensione dome-stica e quindi privata della donna, ad esempioriconoscendo un salario minimo alle casalin-ghe. Perché questa donna è figlia e madre,compagna di vita, che si adopera per il benedella famiglia, sogna ed ha ambizioni comel’uomo. Solo rispettandola raggiungerá il pro-prio equilibrio con se stessa e con la societá,elemento necessario più delle mimose perogni donna.

Georgia Gratsia

Tamara de Lempicka: Sopra: Femme à la guitare a destra: En plain été.

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PAROLE DALL’ALTRA META’DEL CIELO

IV

Che si deve scrivere? Pare che il nostro piccolo io,coi suoi dolori e anche con le sue invincibili gioie,abbia vergogna di farsi avanti tra tanta gente che il pro-prio io lo ha dimenticato completamente: e si nascon-de e rode in silenzio. Il nostro povero io. Perché devonasconderglielo? Mai ho rimpianto di non essere natauomo come lo rimpiango adesso.

Grazia Deledda, da una lettera a Marino Moretti (4 dicem-

bre 1915)

In quest’epoca così curiosa, in cui si incomincia aavere bisogno della fotografiadelle persone, della loromente come del loro abito,potrà forse rivestire qualchevalore un profilo fedele, trat-teggiato senza abilità alcunama con veridicità (...). E poi-ché i ritratti che possediamosono quasi invariabilmentedel sesso maschile, che attra-versa la scena più in primopiano, varrà forse la pena diprendere a modello una delletante donne che si affollanonell’ombra.

Lo studio della storia infattie delle biografie convinceogni persona di buon sensoche queste pallide figure svol-gono un ruolo non dissimileda quello della mano delburattinaio in una danza dimarionette; e il dito è postosul cuore.

E’ vero che per tanti secoli inostri occhi ingenui hannocreduto che quelle sagome danzassero per moto pro-prio, disegnando i passi che volevano; e la luce parzia-le che romanzieri e storici hanno incominciato a get-tare su quell’angolo buio ed affollato dietro le quinteha fatto poco più, sinora, che mostrarci quanti fili cisiano, tenuti da mani ignote, dai cui scatti e strattonidipendono le figure della danza.

Virginia Woolf, da Phyllis e Rosamond

La vita di Elena non era facile; ma ella non si eraaspettata che fosse facile, e quanto alla felicità, quelloera il destino della donna. Il mondo era degli uomini edella lo accettava così. L’uomo era lodato per l’ordinedella sua proprietà e la donna lodava la sua abilità.L’uomo rugghiava come un toro se una scheggia gli sificcava in un dito e la donna soffocava i gemiti, quan-

do metteva al mondo un figlio, per timore di disturbar-lo. Gli uomini sono sgarbati e spesso ubriachi. Le donneignoravano le cattive parole e mettevano gli ubriachi aletto senza parlare. Gli uomini erano rudi e brontoloni,le donne gentili e disposte a perdonare.

Era stata educata nella tradizione delle grandi dame ele era stato insegnato a sopportare i propri dolori con-servando il suo sorriso; ed ella intendeva che anche lesue tre figlie fossero, come lei, delle vere signore.Con lefiglie più giovani era riuscita perché,perché Sùsele desi-derava tanto di essere piacente che prestava orecchioattento agli insegnamenti di sua madre, e Carolene era

timida e facile da guidare.Macon Rossella, figlia diGeraldo, la via della signorili-tà fu dura.

Margaret Mitchell,

da Via col vento.

Donne ch’avete intelletto d’amore

Per la 24esima volta nella mia vita, l’8 marzo.Ramoscelli di mimose per me e le mie care. Li acquiste-rò anche quest’anno, all’incrocio di una strada, al sema-foro colmo di donne “extracomunitarie” che mi porge-ranno quel fiore confezionato e magari si chiederannoche senso abbia, per me e per loro. Costerà circa 1 euroil simbolo di un’emancipazione che prima di essere miafu di mia madre, di mia nonna, prima ancora di chissàquante altre donne, protagoniste di una Storia contortae a volte terribilmente maschilista.

E quella donna, foulard in volto, vestiti sporchi e occhiinfelici, sarà la stessa che vendette a mia madre unramoscello di mimose tanti anni fa? L’otto marzo sareb-be anche il giorno della sua festa, ma lei non lo saprà,non lo seppe sua madre e probabilmente non lo sapràsua figlia, lei saprà solo che oggi si guadagna vendendomimose, e questo le basterà.

E anche quest’anno pagherò, agguanterò il simbolodella mia emancipazione, sorriderò alla “straniera” cheme lo avrà venduto e correrò dalle mie care, a brindarea quella parità mia e non solo, a chiedermi se davveroun simbolo floreale possa racchiudere un senso di liber-tà e di dignità universalmente valido. Andrò a pranzofuori con le mie colleghe e festeggerò quella minigonnache, vivaddio, è finalmente lecita e non più sgualdrina.

Ma poi, lo so, accadrà di nuovo. Mi fermerò e per unattimo penserò ai burka che sembrava fossero caduti einvece nascondono ancora tante femminilità, penseròche con l’euro che ho speso per la mia mimosa un bam-bino nordafricano oggi morirà … e mi chiederò, senzafalsa retorica, ma che senso ha la mia emancipazione?Forse quello di poter gridare al mondo che donna èuguale uomo, che Eva non è uguale a peccato? Con quelramoscello di mimosa, che domattina sarà già secco, achi avrò dimostrato di essere cosa?

Avrò santificato la festa della donna sul are pagano diuna globalità falsa, ipocrita e maledettamente occiden-talizzata. Mi sarò accodata al gregge delle donne moder-ne e non mi sarò neppure accorta che molte di esse sottole gonne nascondono i segni di una violenza domestica,di una discriminazione lavorativa, di una ridicolizzatafemminilità da vetrina televisiva.

E allora mi fermo, faccio un passo indietro e decidoche quest’anno, l’otto marzo, lo festeggio a modo mio.Disegno mimose di cartone, scendo giù agli incroci dellamia città e ne regalo una ad ogni donna che incontro,sia essa una straniera o un’italiana. Non so se questo èsolo un buon proposito o eccesso di riflessione di unafemminista radicalizzata.

Auguri a tutte, care donne, vi conosca o no, libo convoi al vostro essere mogli, compagne e mamme, operaieo imprenditrici, mercenarie del sesso o moraliste acca-nite, al vostro essere state figlie e al vostro futuro didonne. Che sotto le vostre gonne non si nascondano piùviolenze, che dietro i vostri foulards siano sempre con-servate intatte le vostre pulsioni femminili. Menomaleche ci siamo, care donne, menomale che ci saremo sem-pre!

Elvira Ragosta

Io donna oggi. Festeggio si, festeggio no

Otto marzo, giornata nazionale delladonna. Fiori e simboli di emancipazione.

Una celebrazione, che stride con la ordinarietàdella condizione femminile nel mondo.

a sinistra:Francesco del Cossa,Figura femminile. Dagli affreschi del Mese di Aprile di Schifanoia.

sotto: Marco Segantini.Ragazza che fa la calza (1890 circa).

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CULTURA

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Siamo tutti un po’ come “quell’uomo a mezz’a-ria / indeciso se scendere a camminare / o resta-re sorpreso / a gravitare in orizzontale”.Costretti ad essere “nei marciapiedi, la vita” quan-do invece vorremmo “che il sogno ci tenga e ci sol-levi”. Cosicché “sempre chiameremo la vita /incompiuta! Come una retta / che non precipiti/ un punto più in là dell’Universo”. Dinanzi aquesta frustrante incompiutezza la fuga non è inavanti, nella speranza del futuro, ma a ritroso, nellalibertà del passato.

E in questo viaggio ci accompagnano, come pie-tre miliari, le cose familiari, le abitudini e le solitu-dini quotidiane schierate a maschera ed epigrafe. E’il dolore etimologico della nostalgia “come ogniritorno mi consuma / il grido della stirpe estin-ta” a farsi volontà. Perché il ritorno è un’àncora,una saldatura, come in Garcia Lorca il “regreso”, aciò che eravamo “Prima della Genesi”. Un nuovobattesimo ed una nuova fonte battesimale. EdAquara, porto di fiume ed attracco di venti, riemer-ge come “quercia del riposo” quasi espiato “sullevecchie panche, sui gradini / dal muschio rap-presi, nei canti / che non s’odono, lontani / comeun coro di ombre” e cullato “nel ricordo di tantemani assuefatte all’umiltà”.

Prima della Genesi: una poetica del ritornoA venti anni dalla sua prematura scomparsa nel ricordo del talento sensibile e crepuscolare di Mario Peduto.

Come in “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad, Mario Peduto scende dalla vita e ne risale il corso: ed è un fiume lussureggiante e sterile che non riconosciamo se non nelsuo nascere.

DICHIARAZIONE(tratta da “Prima della Genesi”)

Il ritorno non si compie nel proprio tempo internoma in quello rituale delle stagioni “l’estate fra lepalpebre chiuse” come “degli ulivi la chioma, (…)/ illanguidiva al vento / chiari verdi occhisognanti / dell’autunno ultimo stelo” e nella pre-ghiera delle donne che “aspettano la carne febbri-le / che migra nel mondo”. Si riaffaccia e ci conso-la, dunque, la forza evocativa del “varco”, di monta-liana memoria: l’evento naturale o metafisico che,come un miracolo, permette di sfuggire al concate-narsi dei fatti obbedienti alle leggi fisiche.

Ora non c’è più solo l’anello che non tiene nellacatena metafisica, lo sbaglio di Natura, una svistacosmica che libera inaspettatamente l’umanità.

Qui a volte è un oggetto a essere inatteso stru-mento di salvezza, per la carica positiva che haassunto come testimone di un’esperienza d’amore,per esempio, o comunque perché carico di beiricordi tanto che “il silenzio splendeva / dellasapienza incantata delle cose”. E la poesia di Marioè essa stessa un “varco”,“na porta abbarata” di unacasa ospitale...perché “vi son momenti / in cui ioserbo / ogni ora e luce / e ardore mi inabissa /fino a lavarmi dalla mia tristezza”.

Fioravante Serraino

Marc Chagall. I fidanzati sopra alla città (1913-1918).

Frontespizio della raccolta “Prima della Genesi”.

Avvicino la voceall’angolo intatto delle tue labbrain questa sera dal lontano turchinopotrò dirti “ti amo!”come un diapason impazzitosu un tono che oscilla l’aria.Sarai la pietra affondatanel mio cuore come nel mare,sarai il corpo e il sangue profano dell’eucarestia;dell’albero sarai scorzafiore e linfa.Vieni ai miei occhi, vienicome il seme alla terra(io la terra e tu il seme):voglio immergermi nel ventocome nelle tue ossa.Voglio che sia di noiun solo respiro.Vuoi?Tu sarai l’animaquando i nostri corpisaranno rugosi legni.NON ora, non ora:noi adessoquasi si tocca DIO!

Mario Peduto

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SOCIETA’

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E’ anacronistico, il fatto che, la nostrasocietà caotica e complicata com’è, lon-tana da spazi predisposti alla riflessione,all’essere autentici, possa essere solovotata all’uso indiscriminato di ordignitecnologici,non lasciando,quindi posto,a quelle comunicazioni estetiche apolli-nee e dionisiache, tanto perfezionate nelmondo ellenico.

Esse, oggi più che mai, rivendicano unposto di primo piano, di cittadini onora-ri nelle nostre fagocitate comunità.Apollo e Dioniso, divinità mitologichedella bellezza e dell’ebbrezza, hannoassunto nel corso del tempo un marcatoruolo simbolico, fino a diventare unbinomio costante nella stessa vitadell’Uomo. La nostra, è certamente l’eraadatta al risorgere e al recupero di que-gli estetismi che ben si annodano all’an-tico culto dionisiaco. E’ spontaneo, dun-que, chiedersi del ruolo dell’arte oggi.

Nietzche, nell’opera “Nascita dellatragedia” sosteneva che apollineo e dio-nisiaco, rappresentano gli unici veriimpulsi modellabili dell’arte, e che dalloro rapporto dialettico, nasce la veraessenza d’essa, come fonte inesauribiledell’espressione umana.

Recuperare dunque, il linguaggio del-l’arte, significa poter guardare in noistessi, e catalizzare le nostre forze inte-riori verso espressioni di bellezza e diarmonia; l’arte costituisce una via privi-legiata per riappropriarsi del proprio Io.

Il materialismo dunque, affermatosi intutte le conoscenze, chiede un’arte chepossegga valori propri, lontana da ine-stetismi e inutili formalismi.

D’altra parte, tutto ciò che esse fa este-riorizzare ai nostri sensi, non è semplicemanifestazione d’essi, ma, rappresenta“evento” di encomiabile valore; in untrasparente, continuo processo simbioti-co con l’Uomo.

EMOZIONI COLORATE AD OTTATI

Ed una cronaca delle emozioni umane,questa volta si è realizzata intorno ad unnuovo incontro con l’arte all’aperto adOttati.

La lodevole iniziativa artistica, da cuihanno preso forma ben ottanta caleido-scopiche pitture murali, svelano, mes-saggi e linguaggi memoriali, incastonatinella levità e nell’intemporalità.

Le sue mura colorate, oggi, fruisconodi una luce nuova, inconsueta, esse flut-tuano nell’aria immota, emozioni vagan-ti, intrise di amore, di libertà, di tenerez-za, di sogno, legando lo sguardo ancheprofano ad un’atmosfera mistica, piace-volmente smarrita. L’arte, dunque, in

questa occasione si è rilevata capace dicreare e ricreare quel fascino incompa-rabile proiettato al superamento di pre-giudizi ed ipocrisie convenzionali, chemolte volte,purtroppo,sono ancora pre-senti nelle nostre realtà.

La cronaca dell’arte esiste ed esisteanche il suo netto contrasto con l’im-mobilismo.

Non è lo spazio, dunque, non è laforma, né il tempo la sua vera forza, ma,essa risiede nel sentimento puro chel’Uomo riesce ad infonderle.

Il tempo non si ferma, e, l’arte seguesempre il tempo; mi auguro, non solocome artista che ha apportato il propriomodesto segno alla riuscita manifesta-zione ottatese,ma anche come semplice

spettatore di borgata, che le cronachedel linguaggio visivo, possano invaderesenza sorta di pregiudizi, con annotazio-ni sempre più peculiari, altri spazi edobiettivi sulle nostre terre.

La risposta a tanto,non sarebbe solo ditipo estetico,ma,contribuirebbe ad esal-tare quei momenti di sublimazione del-l’esistenza umana, capace di condurcifuori dal silenzio e dal vuoto.

L’arte, corre con l’avanzare delle eresenza appartenere a nessuno, e a nessunluogo, essa, vive semplicemente inmaniera inscindibile le sue stagioniavveniristiche esclusivamente a vantag-gio del patrimonio universale.

Pasquale Sorgente

Cercando...la pura essenza dell’arteSulla via dell’arte in compagnia di Apollo e Dioniso, evocatori di un dualismo che è anche dimensione dell’uomo.

Il linguaggio dell’arte educa alla sensibilità e alla bellezza, canoni essenziali perché l’uomo decifri il mondo e se stesso. L’esperienza simbiotica di Ottati, che ha legatol’albero dell’arte alle radici del territorio.

Ad Aquara esistono spazi grigi. Di nudo cemento.Senza dover riproporre una esperienza ragionata comequella di Ottati, si potrebbe far leva sul sentimento del-l’arte per educare alla bellezza ed alla fantasia gli alun-ni delle scuole elementari e medie.

Cominciando dall’imbrattare il lungo muro chescorta gli studenti lungo via Kennedy fino all’ingressodella scuola; per poi intervenire in tutti quei punti chevenissero individuati come cromaticamente degradati

e degradanti.Chiediamo all’Amministrazione, ai privati,

all’associazionismo locale ed alla scuola di voler pren-dere in considerazione questa ipotesi di “primaveradello spirito”, anche perché il coordinamento e laspesa necessari appaiono sostenibili.

L’obiettivo è un percorso formativo che limita ilcrearsi di sacche di periferia anche nelle nostre picco-le comunità.

Il resto poi, fidatevi, lo farà il Sole, felice di schiu-dere i suoi raggi su quei colori che sono anche i suoiocchi.

Gianpietro Consolmagno

Una tavolozza imbanditaA questo proposito ...

Rosenquist: pittura.

Pasquale Sorgente. Civiltà contadina. Olio su tela. Pasquale Sorgente. Il segreto di Masù. Olio su tela.

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L’inflazione è un processo che porta verso un continuoaumento generale dei prezzi, dal quale poi scaturisce unadiminuzione del nostro potere di acquisto.Le cause chepossono generare questo processo sono molteplici: innan-zitutto può scaturire da un eccesso di offerta di moneta,ossia la moneta presente nel contesto economico è ecces-siva rispetto al numerodi transazioni effettua-te sul mercato; puòessere causata da uneccesso di domandarispetto all’offerta dibeni, oppure da unaumento dei costi diproduzione sia a livellosettoriale, che a livelloglobale.

Il processo inflazioni-stico genererà dellegrosse ripercussionisulle politiche dei red-diti, sulle politiche dirisparmio, sulla compe-titività delle imprese edi conseguenza sull’in-tero sistema economi-co.

La fine del 2002 èstata caratterizzata dagrosse polemiche aproposito del modo dicalcolare l’inflazione edegli effetti che essa hacomportato sulle politiche dei consumi.

Sul ring dei numeri si sono infatti confrontati l’Eurispesche misura un aumento dell’indice dei prezzi al consumoannuo pari al 27%, e l’Istat che invece sosteneva che l’au-mento si attestava intorno al 2,8%.A proposito dell’Istat bisogna aggiungere che alla fine delmese di gennaio 2003 ha rivisto il proprio paniere (è un’o-perazione che viene effettuata ogni anno), sia in terminidei beni che lo compongono, sia in termini di pesi deglistessi; nel nuovo paniere vengono fatti rientrare 34 nuovibeni, tra i quali il miele, le spese per il dentista e le speseper il pediatra, ma soprattutto c’è da rilevare che il pesodelle polizze assicurative al suo interno aumenta del 34%;ci lasciano invece 21 beni tra i quali il walkman, la chitar-ra e lo scaldabagno.

Come si può facilmente notare il gap fra i dati presenta-ti dall’Istat e dall’Eurispes è abissale,quindi ci si chiede chidei due abbia ragione; a mio modesto parere la verità sta ametà strada, di conseguenza bisognerebbe che entrambigli istituti procedessero ad una parziale revisione delleloro metodologie di calcolo.

I due istituti, a mio avviso, fanno due errori di segnoopposto in quanto lo sbaglio sta nell’assegnazione dei pesiall’interno del paniere.L’Eurispes trascura la rilevanza e l’importanza all’internodelle proprie metodologie di calcolo dei beni e dei servizidi non largo consumo assegnando loro un peso ridottorispetto ai normali modelli di acquisto (i quali rispetto aibeni di largo consumo hanno un più elevato valore nomi-nale), dando invece un peso eccessivo, rispetto al norma-le, ai beni di largo consumo.

L’Istat, invece fa il contrario, nel senso che nel proprio

paniere da un peso eccessivo ai beni di non largo consu-mo trascurando un tantino quelli di largo consumo (iquali rispetto a quelli di non largo consumo sono oggettodi un numero di transazioni più elevate).

Allora la soluzione sta nella ricerca, all’interno dei dueistituti, di un equilibrio nell’assegnazione dei pesi dei pro-

dotti che compongono ilpaniere, e soprattuttosarebbe opportuno, anchese mi rendo conto che ciòsarebbe molto oneroso ecomplicato, allargare ilcampione di riferimento,in quanto il territorio ita-liano si presenta alquantoeterogeneo, anche all’in-terno di piccole aree, nelleproprie abitudini di consu-mo.

Comunque aldilà dellametodologia di quantifica-zione del fenomeno, il pro-blema esiste e và affronta-to in quanto può compor-tare seri problemi per lefamiglie, e conseguente-mente per il tessuto eco-nomico del paese.Per questa ragione èopportuno fare delle preci-se riflessioni; infatti a mioavviso l’aumento di anda-tura del processo inflazio-

nistico del 2002, è da imputare essenzialmente all’intro-duzione della moneta unica e quindi possiamo parlare di“inflazione da euro”; questo nonostante le autorità mone-tarie europee avevano previsto il parziale blocco dei prez-zi in concomitanza dell’introduzione della nuova moneta.

Ciò non vuol dire che l’entrata in vigore di un sistemamonetario unico abbia creato dei danni,anzi tutt’altro.Perquanto mi riguarda è stato un processo che ha molto gio-vato all’economia nazionale, soprattutto in termini dicompetitività.

Il motivo per il quale si parla di inflazione da euro è daindividuare essenzialmente in due ordini di fattori: da unaparte all’atto della conversione dei prezzi dalla lira all’eu-ro,molti operatori economici hanno colto la palla al balzoper fissare degli aumenti stratosferici; tuttavia a scanso diequivoci molte volte la colpa non è da far ricadere sui det-taglianti in quanto in molti casi gli aumenti si sono verifi-cati già a monte perché fissati dai produttori o dai grossi-sti.

In più il resto, ma inconsapevolmente, lo abbiamo fattonoi cittadini, nel senso che in noi si è verificata “una per-dita di consapevolezza del valore del denaro”; si immagi-ni che ormai nella nostra abitudine le vecchie mille liresono pari ad un euro ed inoltre a causa dell’elevato nume-ro di monetine che molte volte ci troviamo in tasca, lanostra propensione al consumo aumenta a dismisura.Considerando che questo fenomeno si ripete in un’interapopolazione, provate ad immaginarne le ripercussioni sullivello generale dei prezzi e dopo un’attenta riflessionetraetene le opportune conclusioni.

Pasquale Durso

L’inflazione nominale e l’inflazione percepita

Chi ha ragione sull’inflazione? I dati a confronto con la spesa reale del cittadino.

Le cause, le divergenze di vedute e le ripercussioni della diminuzione del potere di acquisto nei nostrimodelli di consumo e nei nostri stili di vita.

Eugène Delacroix, Mercante arabo ad Algeri.

La fame è un’emergenza senza fine. Eccone i numeripiù recenti forniti dal World Food Programme (WFP)dell’ONU:800.000.000 di persone soffrono la fame;25.000 persone muoiono ogni giorno per mancanza dicibo;400.000.000 sono state le vittime della fame negli ulti-mi 50 anni (l’equivalente della popolazione di StatiUniti, Germania e Francia messe insieme);1.200.000.000 di persone vivono con meno di un dolla-ro al giorno;Il 10 % dei bambini che vive in paesi in via di sviluppomuore prima di aver compiuto i cinque anni;3.000.000.000 di persone non hanno a disposizionel’acqua potabile.

Le emergenze attuali sono l’Africa del Sud e i paesi delcorno d’Africa, la Corea del Nord e l’Afghanistan.L’anno scorso il WFP ha contribuito a nutrire77.000.000 di persone in 82 paesi, ma la mancanza dicibo continua ad uccidere un uomo ogni 3,5 secondimentre nel resto del mondo, nello stesso soffio di tempo,quasi 12 tonnellate di cibo vanno perdute.

Quest’anno la campagna dell’agenzia dell’ONU sichiama FOOD FOR LIFE (www.wfp.org) e mira a ripor-tare l’attenzione su quella che è la più grande piagaumanitaria, anche grazie alla campagna di immaginedevoluta al progetto da una grande casa di abbiglia-mento italiana.

Ancora un piccolo sforzo …

Ci siamo quasi. Al momento di andare in stampa lacifra raccolta dal “Comitato PRO-C.R.I. delegazione diAquara”, per l’acquisto di un defibrillatore semi-auto-matico, è pari a più della metà della spesa. E’ possibileeffettuare il versamento sul c.c. bancario n° 12303,presso gli sportelli della BCC di Aquara. Non vanifichia-mo il risultato che, pur tra mille difficoltà, fin qui è statoraggiunto. E un grazie va a chi già ha sottoscritto il suocontributo.

Roberto Marino

Questo spazio è dedicato ad iniziative di solida-rietà e di volontariato. Preghiamo i lettori divolercene segnalare.

“Verso” ufficiale dell’Associazione Culturale “L’Alveare”Viale della Vittoria, 41 84020 Aquara (SA)C.F. 91030050651E-mail: [email protected]: Arturo StabileDirettore responsabile: Elvira RagostaCoordinamento editoriale: Fioravante SerrainoRedazione:Gianpietro Consolmagno, Pasquale Durso,Roberto Marino, Vincenzo Scotillo, Fioravante Serraino,Arturo StabileCollaboratori: Angela Accarino, Sara Di Bello, SavinoGaudio, Georgia Gratsia, Pasquale Sorgente, Antonio StabileIscritto al n° 243 del registro della stampa periodica del tribu-nale di Salerno il 23/01/2003Foto: Global Graphics s.a.s., Via F. Spirito, 96 84020 Aquara (SA)Progetto grafico: Medi@rt - via Certosa, 15 20149 MilanoStampa: CTM - corso Europa, 92 Matinella (SA)Qualsiasi collaborazione è da ritenersi a titolo gratuito.

OSSERVATORIO

Questo bimestrale ai sensi della normativa vigente sulla ParCondicio è disponibile a pubblicare messaggi politici gratuiti e apagamento, a disposizione di liste, coalizioni e candidati alle ele-zioni comunali fissate per l’11 maggio p.v.

Riguardo agli spazi gratuiti, la redazione garantisce ugualevisibilità alle liste in ottemperanza alla normativa suddetta. Pergli spazi a pagamento sarà applicata una tariffa pari al 50 % dellenormali pubblicità vendute ai privati. Gli interessati, per accede-re a tali spazi, possono presentare regolare richiesta presso la sededell’Associazione Culturale “L’Alveare” entro il 13 aprile p.v.

C’É FAME DI SOLIDARIETÀ

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