Verona In 31/2012

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N°31 - MARZO 2012 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P .A. - SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV . IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1 - DCB VR i n VERONA FORZIERI VUOTI A PALAZZO BARBIERI SENZA UNA LIRA • INTERVISTA/Michele Bertucco PRIMO PIANO L’ambiente, precondizione della politica e dell’economia www.veronainblog.it

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N°31 - MARZO 2012 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1 - DCB VR

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FORZIERI VUOTIA PALAZZO BARBIERI

SENZA UNA LIRA

• INTERVISTA/Michele Bertucco

PRIMO PIANOL’ambiente, precondizione della politica e dell’economia

www.veronainblog.it

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Luglio 20082

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di Paolo Ricci *

Nel terzo millennio la tutela del-l’ambiente non può più costituireil punto programmatico di unaparte politica giocato in competi-zione con altri contrapposti dagliavversari. Certamente la dialetti-ca democratica richiede semprela presenza di una polarità, mag-gioranza e opposizione. È anchevero però che questa dialettica,onde evitare pericolose derive au-toritarie, deve svolgersi all’inter-no del perimetro di categorie va-loriali e regole condivise. A essebisogna aggiungere ora anche latutela dell’ambiente perché nonpiù configurabile come opzione,ma come necessità ineludibile.Infatti, tenuto conto degli incre-menti demografici attesi nelmondo, della crescita della do-manda di beni di consumo deipaesi più svantaggiati, l’eco-effi-cienza del nostro sistema produt-tivo dovrebbe aumentare di 10volte. E questo sarebbe possibilesolo utilizzando il 10% delle ri-sorse che oggi impiegano le socie-tà industriali. Altrimenti servi-rebbero altri pianeti. Gli economisti ci dicono che nes-suna innovazione tecnologicapuò garantire questo risultato. Èinevitabile quindi che il modelloeco-sostenibile del futuro prossi-mo dovrà essere radicalmente di-verso dall’attuale. Le leggi econo-miche diventano così leggi fisi-che. Questo scenario non può es-sere rimosso dalla amministra-zione locale, perché lontano e ri-cadente nelle disponibilità di de-cisori altolocati, ma costituirne ilriferimento primo da cui far di-scendere tutte le politiche del ter-ritorio. Quindi concorrere dallabase alla costruzione di un siste-ma. La nostra città non può farsicogliere impreparata, ma trasfor-mare lo svantaggio della crisi eco-nomica in un’occasione di radi-cale cambiamento, assumendoproprio l’Ambiente non solo co-me bene primario da difendere,

ma come motore di un diversosviluppo in grado comunque diprodurre ricchezza. Cerchiamo diindicare sinteticamente gli anellidi una filiera d’interesse per uncandidato Sindaco.

TrafficoNegli ultimi 11 mesi del 2011 Ar-pa Veneto ha registrato 105 gior-nate in cui il livello di polveri sot-tili ha superato il valore dei 50microgrammi per metro cubo,già di gran lunga superiore al li-mite stabilito dalle legge comuni-taria di 35, che fa di Verona la ter-za città più inquinata di Italia do-po Torino e Milano. Il traffico co-stituisce la componente principa-le dell’inquinamento dell’aria conpesanti ricadute sulla salute deicittadini, in termini d’incrementodella mortalità a breve e medio-lungo termine, nonché maggiorprevalenza di patologie croniche,come ribadito unanimementedalla letteratura scientifica.S’impone quindi una drastica ri-duzione del traffico veicolare pri-vato, a partire dal centro storico,con ZTL che consentano soltan-to: ai disabili i propri spostamen-ti, ai residenti il raggiungimentodella propria abitazione, ai nego-zianti il carico-scarico merci, agliartigiani il trasporto delle attrez-zature, oltre il transito di mezzipubblici. Naturalmente vanno in-centivati i veicoli elettrici o meta-nizzati e penalizzati quelli mag-giormente inquinanti. Sono daprevedere parcheggi scambiatoriper auto e motocicli in diversi po-li della città ubicati in aree esterneche non comportino impatto peralcuna popolazione residente,collegati con una rete di navette,ad alimentazione elettrica o insubordine gas metano, ad alta fre-quenza di transito e funzionantiper l’intero arco della giornata, ingrado quindi di raggiungere sem-pre i diversi quartieri della città.Sono da respingere soluzioni ditrasporto pubblico almeno urba-no, ma tendenzialmente anche

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extra-urbano, che prevedano tra-zioni diesel con abbattimenti del-le emissioni più o meno spinti,ma mai azzerabili. Queste noto-riamente contribuiscono ad ali-mentare le componenti dell’in-quinamento atmosferico più pe-ricolose per la salute.Parallelamente va prevista unarete continua e protetta di pisteciclabili, con parcheggi e possibi-lità di noleggio giornaliero, chepossa costituire una parziale al-ternativa all’utilizzo del mezzocollettivo motorizzato.Sono da rifiutare interventi di co-siddetta riqualificazione ambien-tale che prevedano, spesso comecontropartita a project financing,strutture attrattive di traffico,quali centri commerciali, stazionidi servizio, cinema multisala, ri-storazioni di massa, ecc. Analoga considerazione vale perle grandi opere di attraversamen-to della città che se in via teoricasembrano, anche alla luce di au-torevoli valutazioni, decongestio-nare alcune aree urbane, pur aprezzo di un’importante consu-mo del territorio e del paesaggio,a gioco lungo finiscono per ri-chiamare traffico che si espandeseguendo la logica dei vasi comu-nicanti, per cui nulla viene rispar-miato. E questo nell’esperienzainternazionale. Se poi si aggiungela spada di Damocle di un projectfinancing che legittimamente esi-ge la garanzia di un profitto agliinvestitori privati, ogni eventualevincolo introdotto in fase di pro-gettazione è destinato progressi-vamente a cedere. Sui piatti dellabilancia scompaiono i beneficiapparenti e permangono i costireali, cioè l’ulteriore consumo del-l’ambiente che ci ospita.

RifiutiIn Europa la pratica dell’inceneri-mento è in declino, in Italia è di-ventata invece una delle principaliattrattive degli investitori per laproduzione di energia. Gli impian-ti dedicati hanno così modificato il

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Alla vigilia delleelezioni un “manifesto”

per la città di Veronache indica il punto

di incontro tra politichenon più ineludibili

e sviluppo

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dei rifiuti, la scelta più salubre, eanche più economica per un bi-lancio pubblico (e non privato),rimane indubbiamente la raccoltadifferenziata e il riciclo che pro-prio in una brillante esperienzaveneta si approssima ormai a unaefficienza del 100%.

Riqualificazione urbanaSembra quasi ineluttabile che ilcapitale privato possa essere coin-volto in opere di interesse pubbli-co soltanto se queste prevedonocolate di cemento e nuova occupa-zione di territorio. In una econo-mia di mercato l’offerta potenzialedi questo capitale non può peròessere ignorata, soprattutto in unafase di riduzione dei trasferimentilocali del capitale pubblico, talchéappare necessario promuovereiniziative alternative in grado digarantire un’effettiva concordanzadi interessi. È a questo punto chel’ambiente può diventare leva diun nuovo sviluppo. La storia dell’architettura può es-sere riletta anche come storia del“ri-ciclo”, nella misura in cui leopere del passato non siano statedistrutte, per riutilizzarne sem-plicemente la materia prima co-me spesso accaduto, ma incluse inuna nuova struttura che custodi-sca il passato senza imitarlo, sigiustapponga a esso aggiungendoelementi di contemporaneità percreare un’opera altra, integrarepassato e presente, e conferire co-sì all’insieme un nuovo significa-

fine per cui sono stati inizialmenteprogettati e costruiti. Non più ladistruzione dei rifiuti per ridurre iconferimenti in discarica, ma l’uti-lizzo dei rifiuti quale fonte energe-tica, da cui il cambio di nome in“termovalorizzatori”. Acerrimi concorrenti dell’incene-ritore, gestito per lo più da aziendepartecipate che perseguono legit-timamente un profitto, sono quin-di la raccolta differenziata, il rici-clo e le produzioni industriali vir-tuose che producono meno scarti,perché sottraggono loro un com-bustibile non solo gratuito, ma ad-dirittura retribuito. Se non fosseper l’inquinamento ambientale e ilconseguente danno alla salute chefumi e ceneri di questi impiantiproducono, si tratterebbe di unmero problema di mercato. Invecei danni ci sono, più o meno grandia seconda delle dimensioni del-l’impianto e della tecnologia im-piegata, e la letteratura scientificali riporta: non solo cancro, ma an-che eventi avversi della riprodu-zione che colpiscono la vita alla ra-dice. La comunità scientifica è di-visa non tanto sull’effettività deldanno ma sulla sua entità e quindisulla conseguente tollerabilità so-ciale, che a volte risulta molto am-pia come per l’accettazione del ri-schio d’incidente stradale. La re-sponsabilità della scelta ricade pe-rò da ultimo sul Sindaco, in quan-to prima autorità sanitaria e rap-presentante della volontà generale.Se il problema è lo smaltimento

to espressivo. “Ri-ciclo” quindinella duplice valenza di recuperodinamico e creatività formale. Ilduomo di Siracusa, in cui untempio greco è inglobato in unachiesa cristiana, ne costituisceuno degli esempi storici più em-blematici. Ma è a partire dagli an-ni ’70 che questa pratica ha as-sunto una diversa consapevolez-za, sollecitata dalla rapida trasfor-mazione del paesaggio industria-le e post-industriale che con ilsuo indotto di periferia urbanaabbandona e conquista semprenuovi spazi incrementando unconsumo insostenibile di territo-rio. Numerose sono le esperienzecompiute ormai in tutto il mon-do: il tunnel di Trento, il rifugioantiatomico di Stoccolma, la dis-carica di Barcellona, la ex-city-cardi Detroit, le cave di San Paolo delBrasile, ecc. Quindi modi intelli-genti e anche artisticamente allet-tanti per riqualificare aree urbanedismesse e quartieri degradatiesistono in concreto. Richiedonosoltanto progetti di ampio respiroper ottenere contestualmente in-vestimenti redditizi e valorizza-zione del bene comune.

Innovazione tecnologicaNella lontana Porto Torres e nellavicina Porto Marghera, due dei 44Siti inquinati di Interesse Nazio-nale (SIN) causati dall’industriachimica, si è deciso di sfruttarel’occasione degli interventi di bo-nifica ambientale per dare vita aun parco di ricerca scientifico tec-nologico che partendo dalla con-tingenza di fornire risposte all’esi-genza del risanamento, andasse ol-tre, verso la sperimentazione diproduzioni a basso impatto am-bientale. A Verona almeno unaparte delle aree industriali dismes-se potrebbe trovare questa desti-nazione d’uso, partendo da eccel-lenze tecnologiche e da back-ground già presenti per orientarliin questa direzione. La parte piùlungimirante della classe impren-ditoriale potrebbe essere convintanel partecipare a questa operazio-ne, sulla scorta di esperienze di ri-ferimento. La sinergia con i centridi ricerca verrebbe di conseguen-za, così come la creazione di un in-dotto qualificato non appiattitosul comparto commerciale tradi-zionale.

Acerrimi concorrentidell’inceneritore,

gestito per lo più daaziende partecipate

che perseguonolegittimamente un

profitto, sono laraccolta differenziata,

il riciclo e leproduzioni industriali

virtuose cheproducono meno

scarti, perchésottraggono loro un

combustibile non sologratuito, ma

addirittura retribuito

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CulturaLa cultura è vittima del luogo co-mune, proferito purtroppo anchein sedi istituzionali, secondo cui“con la cultura non si mangia”.Dietro questa valutazione tran-chant sta la convinzione che lacultura non sia anche una merce,cioè un ente provvisto di valored’uso e valore di scambio, ma tut-talpiù un catalizzatore tecnologi-co della produzione di merci chenon si possono definire tali senon possiedono il carattere dellamaterialità. Se consideriamo cheil valore di mercato di un’operad’arte non dipende dal lavoro ne-cessario per costruirla, ormai de-mandato a tecnici esecutori, madal lavoro intellettuale che ha ge-nerato l’idea, allora i conti nontornano. Si definisce quindi mer-ce anche un’entità immateriale,purché sia collocabile in un mer-cato caratterizzato da una do-manda e da un’offerta di questotipo di merce. Ricordiamo che ilmercato è per sua natura amoralee funziona sia che si mettano incircolazione automobili, organiumani o poesie. L’importante è ilgioco della domanda e dell’offer-ta. Se vogliamo evitare il supera-mento della resilienza del nostroPianeta, cioè la capacità di subireun’azione di disturbo senza usci-re irreversibilmente dalla suacondizione di equilibrio, non ba-sta più ridurre le emissioni inqui-

Verona non è Parigi,ma può aspirare

almeno a fare dellacultura una forza

propulsiva e non soloun “avanzo”, che

spesso deve contenderela scarsità di risorse

con i pessimi surrogatidel folclore locale.

L’università e la scuolacostituiscono ottimiriferimenti a cui la

città potrebbe aprire leporte in termini diiniziative in grado

però di creareprogressivamente

appeal in fasce piùestese di popolazione

ed orientare versonuovi bisogni e quindi

consumi“immateriali”

da un’amministrazione comuna-le, favorendo un allargamento delloro pubblico e quindi della do-manda di cultura.

Recupero risorseI vizi dei governanti sono spessouna gigantografia dei vizi dei go-vernati e i vizi della capitale quelladei capoluoghi di provincia.Quindi cominciamo da noi. A Ve-rona sono una cinquantina le co-siddette aziende partecipate conrappresentanti del Comune a voltemolto ben remunerati. Da sempreuna larga sacca di clientela. Fareun po’ d’ordine costituirebbe unsegnale molto positivo che la poli-tica (in questo caso locale) lance-rebbe ai cittadini. Alcune tipologieappaiono francamente anacroni-stiche, e quindi vanno riconvertiteo soppresse. Altre invece, di in-dubbia utilità sociale, vanno rifor-mate. Sarebbe sufficiente integraree aggregare le aziende di trasportoda una parte e le aziende di servizidall’altra per abbattere la pletoradei consigli di amministrazione erendere molto più trasparenti legestioni, con significativi risparmiper le casse pubbliche e quindimaggiori possibilità d’investimen-to per gli interventi di “riconver-sione ambientale” della nostra cit-tà su cui è necessario puntare.

* Docente di Sanità pubblica. Università Ca’ Foscari di Venezia

nanti, ma neppure ricorrere sol-tanto alle tecnologie pulite. Sonoi consumi che devono diventareambientalmente compatibili,quindi le merci. Buona parte diqueste merci dovranno quindi es-sere necessariamente “immate-riali”. Allora è proprio la cultura arispondere a tutti i requisiti di unnuovo mercato, che per altro ri-chiede spazi sempre più liberi datraffico.Parigi è la dimostrazione più notache una città può riconoscere nel-la cultura il principale motore disviluppo. Certo Verona non è Pa-rigi, ma può aspirare almeno a fa-re della cultura una forza propul-siva e non solo un “avanzo”, chespesso deve contendere la scarsitàdi risorse con i pessimi surrogatidel folclore locale. L’università ela scuola costituiscono ottimi ri-ferimenti a cui la città potrebbeaprire le porte in termini di ini-ziative in grado però di creareprogressivamente appeal in fascepiù estese di popolazione e orien-tare verso nuovi bisogni e quindiconsumi “immateriali”. Un’esten-sione della funzione sociale diqueste istituzioni. A questi puntisi dovrebbe tuttavia aggiungereuna sistematica ricognizione e va-lutazione delle tante esperienzeculturali extra-istituzionali diqualità che occupano posti di nic-chia ma che meriterebbero di es-sere portate alla luce e promosse

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Giustizia e pace sono impegniche rendono vere le persone

di Rino Breoni*

Dagli anni del Seminario, la consuetudine di vita mi ha fatto diventa-re assolutamente normale quella che di solito viene chiamata una “le-vataccia”. Così in ore antelucane mi ritrovo nello studio per iniziare lagiornata con la preghiera, quella che comunemente è indicata come“Breviario”, ma che, forse, pochi sanno essere “preghiera pubblica”,cioè preghiera che io faccio in nome di tutta la comunità cristiana,ma anche in nome di tutti, credenti o meno. È un onere che la Chiesami ha affidato da quarantacinque anni, che quotidianamente scandi-sce il mio tempo e mi ricorda una dimensione di responsabilità mini-steriale. Così, mentre la città è ancora immersa nel sonno, mentre nelcorso sul quale si dà il mio studio passano in velocità rari automezzi,mi immergo nella poesia umanissima e a volte drammatica dei Sal-mi, nelle letture bibliche, nelle intercessioni. Mi ha colpito una frase del profeta Isaia, voce ritornante in tutto ilperiodo natalizio: “Effetto della giustizia sarà la pace, frutto del dirit-to una perenne sicurezza”. Ancor prima di iniziare la preghiera, men-tre riordino la mia stanza e curo l’igiene personale, ascolto il primogiornale radio. Le notizie di cronaca, oltre al ricorrente tema dellamanovra economica, sono tragiche: roghi provocati da intolleranza

sociale, stragi di persone non gradite, omicidi passionali, aggressioni,violenze di ogni genere. Che lo si voglia o meno, queste notizie crea-no uno stato d’animo colmo di amarezza impotente. Poi il pacatomessaggio profetico “giustizia e pace, diritto e sicurezza” richiamatodalla Chiesa proprio nel tempo in cui anche laicamente si celebranole feste natalizie. Realtà come la giustizia che genera la pace è una mè-ta cui tendono i trattati internazionali e gli sforzi di continui dialoghipolitico-sociali a tutti i livelli. Realtà come il diritto, cui viene facileassociare il dovere, pare doversi circoscrivere negli sforzi della elabo-razione delle leggi, della giurisprudenza. Ed è vero.C’è tuttavia, in questo modo di pensare, un pericolo, ed è quello diuna rinuncia da parte di ogni singola persona ad assumere in propriole responsabilità che le si addicono per una delega a organismi chia-mati “competenti”, ma capaci di rendere evanescente il carico cheogni membro della convivenza sociale dovrebbe invece responsabil-mente portare. Non si tratta di intimismo, ma di una pertinente ecorretta assunzione di doveri e diritti. La giustizia è spazio che va oc-cupato e vissuto, nel quotidiano, da ciascuno di noi; è l’esercizio utiledi competenze, di spazi operativi nella consapevolezza di doveri e di-ritti, nel rispetto dell’altrui e della propria libertà. Il dovere è un debi-to che ciascuno assolve nei confronti delle persone con cui vive, nel-l’ambiente in cui è inserito. Per poterlo assolvere, invece di discorsiche sanno di “massimi sistemi”, meglio sarebbe che ciascuno si inter-rogasse su due elementi che, personalmente, ritengo indispensabili: itratti della propria identità personale, lo sviluppo armonioso dellecomponenti che lo costituiscono, cioè la maturità e anche la qualifi-cazione professionale come competenza nei settori in cui si opera.Una giustizia così intesa, come cammino di ciascuno per maturareun profilo personale che ricerca continuamente equilibrio e armonia,non può che generare un incontro con gli altri, privo di aggressivitàprevaricante. L’assunzione scrupolosa dei doveri personali nel picco-lo spazio in cui si opera, matura anche il senso del diritto privo di ri-vendicazioni. La “profezia”, anche se biblicamente è un messaggio diDio, può rivelarsi speranza e indicazione di un futuro di pace e sicu-rezza.

*Rettore di San Lorenzo in Verona

C’è il pericolo della rinuncia ad assumere in proprio le

responsabilità, preferendo delegareorganismi chiamati “competenti”, macapaci di rendere evanescente il carico

che ogni membro della convivenzasociale dovrebbe invece

responsabilmente portare

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DIARIO ACIDOdi Gianni Falcone

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378 cooperative (117 attivenell agroalimentare e 94 nel terzosettore), 53.750 soci, un fatturatocomplessivo di circa 3,5 miliardidi euro. Sono i numeri della co-operazione veronese, che produ-ce occupazione nonostante la cri-si. Il 2011 registra un aumentodel 5% dei dipendenti, arrivati aquota 14.320. Di questi, 7.352operano nel settore agroalimen-tare (che proprio nel veroneseproduce il 70 % del Pil naziona-le), 5.820 nel sociale e i rimanentisono suddivisi tra produzione elavoro, banche di credito coope-rativo, edilizia, consumo, sport eturismo. Rispetto allo scorso an-no c’è stata una flessione del 4%rispetto nel numero delle coope-rative ma a determinare la dimi-

nuzione sono state anche le ag-gregazioni con cui le realtà co-operativistiche veronesi hannocercato di consolidarsi per fron-teggiare la crisi. Che si tratti diuna realtà cresciuta costante-mente nel corso del tempo sonosempre i numeri a testimoniarlo:nell’anno 1976, ConfcooperativeVerona contava 100 cooperativeaderenti e 4 dipendenti. Ora i di-pendenti sono diventati 30 e sisono moltiplicati i servizi per gliassociati. Dall’iniziale tenuta del-la contabilità, dei libri paga e deilibri sociali, si è passati ad attiva-re i servizi di tipo legale, consu-lenziale, fiscale, finanziario, le li-nee strategiche di sviluppo comel’impiego di fonti energetiche al-ternative, i centri di associazione

agricola (CAA), la formazione,oltre che migliorare la qualità deiservizi svolti storicamente.L’implementazione dei servizi adisposizione dei soci, aumentatiper numero e qualità, si è tradot-ta recentemente nella scelta diuna sede logisticamente più ido-nea, individuata alla Verona Mer-cato: un investimento economicoimportante di 2 milioni e 300 mi-la euro che, in un momento criti-co come quello attuale, è un se-gnale di fiducia nel futuro e nelruolo della cooperazione. Conf-cooperative ha sede in via Som-macampagna, 63/H a Verona e sipuò contattare telefonicamenteallo 045 8101288 oppure tramitee-mail all ’ indirizzo [email protected]

Nel 2010, anno che in generale hamesso a dura prova le piccole im-prese, Verona conta a livello re-gionale il maggior numero di im-prenditori under 40. A rivelarlosono i dati dell’Osservatorio sul-l’imprenditoria giovanile di Con-fartigianato secondo il quale, sol-tanto nella provincia scaligera, ri-

siede il 21,8%(pari a 14.180giovani) del to-tale degli arti-giani veneti. AVerona seguonole città di Pado-va (con 12.614imprenditori,pari al 19,4%del totale), Vi-cenza (con11.796 impren-

ditori, equivalenti al 18,2%), Tre-viso (con 11.262), Venezia (con9.076), Rovigo (con 3.681) e infi-

ne Belluno (con 2.314). Lo scorsoanno, il comparto dell’artigianatoin riva all’Adige ha primeggiatonell’intero Nord Est, registrandoun incremento positivo pari al2,1%, grazie all’ingresso di oltremille 300 nuovi lavoratori nel set-tore dell’artigianato. Dopo laLombardia, il Veneto è quindi laregione che si colloca al secondoposto in Italia per la presenza nelsuo territorio di imprenditori elavoratori autonomi di età com-presa tra i 15 e 39 anni. Una per-formance positiva (con un+2,1%) che perde tuttavia un pòdella propria valenza se messa aconfronto con quanto accadutoin Italia. Rispetto a un aumentomedio nazionale del 5,2%, nel2010 è il Mezzogiorno a registrarela crescita (dell’8,9%) più consi-stente del numero di giovani arti-giani. Seguono il Nord Ovest –dove la crescita è stata del 6,6% –,

il Centro e il Nord Est, con per-centuali più modeste al 2,9% e1,8%. Tra i settori più quotati dalle nuo-ve generazioni che si cimentanonel fare impresa, ci sono quellidelle costruzioni e delle attivitàmanifatturiere, scelti rispettiva-mente dal 43,2 % e dal 22,1% deineo-imprenditori. Seguono icomparti dei servizi (scelti dal12,7% dei lavoratori), del com-mercio all’ingrosso e al dettaglio enella riparazione di autoveicoli emotocicli (il 5,1%) e del trasportoe magazzinaggio (il 4,9%). Sonoproprio le costruzioni ad aver fat-to registrare nel 2010 l’aumentomaggiore di giovani imprendito-ri: +20,1%. Stenta a riprendersidalle difficoltà della crisi econo-mica il settore manifatturiero: loscorso anno i giovani imprendi-tori artigiani impegnati in questeattività sono diminuiti del 14,4%.

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Tra i settori più quotatidalle nuove generazioni

che si cimentano nel fareimpresa, ci sono quelli

delle costruzioni e delleattività manifatturiere

Numeri confortantie una nuova sede per

Confcooperative Verona

CONFCOOPERATIVE VERONA

GIOVANI ARTIGIANICRESCONO

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locale hanno raggiunto quota 50mila, 1.720 sono stati invece quelliinterbibliotecari, le consultazionihanno superato le 33 mila 400 e idocument delivery (il servizio diprestito delle riproduzioni di do-cumenti) sono stati infine 1.642. La biblioteca è aperta 7 giorni su 7,per un totale di 112 ore settimana-li, dalle 8.15 alle 23.45. Gli utentipossono scegliere tra un’emerote-ca, situata al piano interrato, neicui spazi è possibile accedere allaconsultazione di riviste a scaffaleaperto; una sala consultazione, alsecondo piano, che mette a dispo-sizione dizionari, enciclopedie,codici, manuali e materiali di va-rio genere; una sala lettura al pia-no terra. Un apposito ufficio, si-tuato al primo piano della biblio-teca, offre servizi di consultazionee prestito (quest’ultimo previaiscrizione) gratuiti e consentiti atutti per una durata di 20 giornirinnovabili, fatta eccezione per ivolumi in programma d’esame eper le opere destinate alla consul-tazione. Lo spazio prestiti è apertodal lunedì al venerdì dalle 8.15 alle19.30 e il sabato dalle 8.15 alle13.30. La biblioteca si è riscoperta anchecome sede per presentazioni edi-toriali e rassegne culturali, com-plice l’aspetto suggestivo dei suoispazi, nei quali il moderno convi-

ve con l’antico. La biblioteca Ar-turo Frinzi è ubicata all’interno diuna chiesa edificata, assieme all’a-diacente monastero, nel 1596 ededicata a San Francesco di Paola.Dopo un restauro e un amplia-mento avvenuto nella metà del di-ciottesimo secolo, nell’Ottocentoil monastero e la chiesa sono statichiusi e successivamente dema-niati. Dal 1987, i due edifici sonodivenuti sede della biblioteca cen-tralizzata e sono stati intitolati adArturo Frinzi, figura illustre nelpanorama economico e culturaleveronese, che alla sua morte lasciòi propri volumi all’università sca-ligera. La Biblioteca ha sede al ci-vico 20 di via San Francesco. Telefono 045 8028600,[email protected].

La biblioteca Arturo Frinzi

è ubicata all’interno di una chiesa edificata,

assieme all’adiacente monastero, nel 1596

e dedicata a San Francesco di Paola

Una sala interna

della biblioteca

480 posti dedicati alla consultazione. Non è unluogo frequentato soltanto da studenti e ricercatori, ma ancheda quanti desideranoprendere in prestito un libro, sfogliare unarivista o usufruire di postazioni multimediali

LA BIBLIOTECA UNIVERSITARIAARTURO FRINZI

inVERONA

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185 mila volumi, oltre 4 mila pe-riodici (1.983 dei quali attivi) e224 banche dati accessibili quoti-dianamente agli studenti univer-sitari dell’Ateneo scaligero per ap-profondire le proprie conoscenzein ambito umanistico, economicoo giuridico. Tanti e tali sono i “nu-meri” del patrimonio librario del-la Biblioteca centralizzata ArturoFrinzi. Con i suoi 480 posti dedi-cati alla consultazione, non è unluogo frequentato soltanto da stu-denti e ricercatori, ma anche daquanti desiderano prendere inprestito un libro, sfogliare una ri-vista o usufruire di postazionimultimediali. A dimostrarlo so-no, ancora una volta i dati, perchélo scorso anno i prestiti a livello

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COMMERCIO

È boom dei negozi«Vendo oro»

A Verona dalle 5 botteghe del 2007 siamo passati alle 35 di oggi e la crescita è esponenziale. Le preoccupazioni degli orafi per un’attività guardata con sospetto

di Chiara Bazzanella

Le insegne si vedono ovunque.Sempre di più, evidenti e sfavillan-ti come la merce che trattano. Trala preoccupazione delle associa-zioni di categoria, il continuo mo-nitoraggio delle forze dell’ordine el’attenzione di chi si occupa di dis-agio e categorie deboli, negli ulti-mi anni i negozi che in bella mo-stra espongono la scritta “ComproOro” si sono moltiplicati a vistad’occhio. Impossibile non incap-parci, e altrettanto impossibilenon farsi qualche domanda su co-sa stia dietro un aumento tanto co-stante e massiccio che, nella solaprovincia di Verona, ha fatto lievi-

zo da tempo a trattare un metallosempre più prezioso e costante-mente in ascesa, il cui prezzo dal2001 è aumentato del 400 per cen-to, mentre lo scorso agosto è salitodel 12% , superando per la primavolta la soglia dei 1.900 dollaril’oncia (pari a 28,35 grammi) etoccando addirittura quota1.912,29. Le federazioni di orafi italiani pre-mono sulle istituzioni perchémettano in atto controlli severi eattivino rigide verifiche a difesadei consumatori.A preoccupare non è solo il fattoche in circolazione, oltre alle so-cietà oneste, ve ne possano esseredi dedite al riciclaggio, ma anchel’utilizzo di una comunicazionefuorviante e poco chiara. SpiegaGabriella Pederzoli, presidente delsindacato di categoria orafi diConfcommercio Verona. «I nego-zi che comprano e vendono oronon sono tutti corretti. Fannopubblicità massicce ed espongonocifre che portano il cliente a illu-dersi di guadagnare 40 euro perogni grammo di oro venduto, os-sia il prezzo dell’oro puro a 24 ca-rati. Ma in realtà la cifra corrispo-sta è quella relativa al reale valoredell’oggetto che solitamente, nellagioielleria classica italiana, è com-posto solo per tre quarti di oro».Che fine faccia poi il metallo gial-lo comprato, è difficile dirlo. «Inminima parte viene esposto in ve-trinette e rimesso in circolazionecosì com’è stato acquistato, ma il

tare i cinque negozi apparsi nel2007 fino ai 35 di oggi.Una crescita continua e lampante,scandita dai dati raccolti anno do-po anno dalla Questura che, se nel2008 ha visto aggiungersi un solonuovo iscritto all’elenco dei nego-zi “Compro Oro”, nel 2009 ne haregistrati altri 5, nel solo 2010 ul-teriori 11, fino ad arrivare allenuove 13 aperture dell’anno che siè appena concluso, di cui sei nellasola Verona.Un fenomeno senz’altro legato al-la crisi, che trova in queste nuovecatene di attività il rimpiazzo al-l’ormai desueto Banco dei pegni oMonte di pietà, ma che fa rizzare leantenne a chi è del settore e avvez-

Un fenomenosenz’altro legato alla

crisi, che trova inqueste nuove catene di

attività il rimpiazzoall’ormai desueto

Banco dei pegni

Attualità

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queste attività e sulle regole da ri-spettare in base alle licenze. Posso-no verificarsi illeciti che vannodall’utilizzo di bilance non omo-logate alla mancata richiesta deidocumenti dei clienti e il conse-guente ritiro di oro anche da mi-norenni, che magari si sono messiin tasca la collanina o l’anello del-la mamma. Ma ciò che più preoc-cupa è la grande confusione cheregna. Abbiamo chiesto all’Ufficiometrico di controllare le bilance ealla Camera di commercio di veri-ficare la tipologia delle licenze ri-lasciate, ma non basta. Sono im-portanti gli incontri tra la nostracategoria, la Camera di commer-cio, la Guardia di finanza e la Que-stura perché siano chiari i terminidi legge che devono regolare atti-vità di questo tipo e che pare nonsiano chiari a tutti, a partire dal-l’obbligatorietà di mantenere unregistro con i dati del venditore ela descrizione della merce e dellasua provenienza».Secondo Stivanello, inoltre, si è difronte a una concorrenza sleale,che inevitabilmente fa sorgerequalche sospetto. «Non metto indiscussione che ci siano persone

grosso viene rivenduto alle azien-de che stanno alle spalle di questecatene di franchising e che presu-mibilmente lo fondono».Un passaggio che avviene rapida-mente (i negozi “Compro Oro”sono obbligati a tenere gli oggettiacquistati solo per 15 giorni e poipossono disfarsene e vengono fu-si) e che per questo preoccupa lecategorie. «Questi negozi rim-piazzano i Monti di pietà di untempo e svolgono quindi un’atti-vità spesso utile, che non va crimi-nalizzata», continua Pederzoli,«ma dietro di essi possono anchenascondersi realtà malavitose e ri-cettazione di oggetti rubati. Conf-commercio ha già sollecitato leautorità di pubblica sicurezza per-ché siano aumentati i controlli,onde evitare che tra gli oggetti sipossa nascondere merce di dubbiaprovenienza». Una preoccupazione ancora piùsentita tra gli artigiani, come sot-tolinea la presidente del settoreorafi di Confartigianato VeronaStefania Stivanello, che mette inrisalto anche ulteriori problema-tiche e perplessità. «La nostra ca-tegoria vuole fare chiarezza su

serie e competenti, ma rimane ildubbio di come possano camparecosì in tanti con il ritiro di qualchecatenina e braccialetto. Ho prova-to anch’io a esporre il cartello“Compro oro” nella vetrina dellamia attività, ma non ne ho avutoalcun beneficio, e nessun nuovocliente».Eppure la tipologia della clientela siè allargata: giovani, pensionati,persone indebitate, fidanzate la-sciate e persino padri di famiglia sirecano in questi moderni sostitutidei banchi dei pegni a vendereanelli, bracciali e collane. E le moti-vazioni non sono poi così diverse.«Parlando con chi arriva ai nostrisportelli abbiamo avuto la perce-zione che a rivolgersi a questi ne-gozi siano le persone travolte dallacrisi o da spese impreviste», spiegaSabrina Bonomi, responsabiledell’Ufficio progetti delle Acliprovinciali di Verona. «I monilirappresentano legami affettivi,magari ereditati, di cui ci si disfaper pagare affitto o bollette oppu-re dentisti e assicurazioni. Alcunepersone sono sotto scacco per unabbassamento del reddito dovutoanche all’aumento delle separa-

La presidente delsettore orafi di

ConfartigianatoVerona, Stefania

Stivanello:«Possono verificarsi

illeciti, come l’utilizzodi bilance nonomologate o la

mancata richiesta deidocumenti ai clienti e

il conseguente ritiro dioro anche da

minorenni, che magarisi sono messi in tasca

la collanina o l’anellodella mamma»

«I negozi aperti sonoin regola con le licenzee quindi dal punto divista burocratico non

ci sono problemi»spiega il questore

Michele Rosato. «Circale ipotesi di riciclaggio,Questura e Guardia di

finanza controllanoqueste attività e allo

stato attuale non èstato registrato nessun

episodio particolare»

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Attualità

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zioni; infatti molta delle mercevenduta è fatta di fedi nuziali o re-gali ricevuti». Ma, oltre a moltigiovani che cercano soldi liquidiper alcol e droga, c’è anche chi èdisposto a rinunciare al propriooggetto d’oro per togliersi qualchesfizio, dal cellulare all’ultima mo-da alla vacanza all’estero. «Vende-re i propri regali e oggetti preziosiaccumulati nel tempo dà menovergogna che rivolgersi ad amici eparenti. Ci si infila nel negozio piùvicino ed è fatta. Mentre chi vuoletogliersi qualche capriccio fa il gi-ro dei punti vendita per indivi-duare chi offre di più e magariostenta di averlo fatto».Un girovagare alla caccia dell’of-ferta migliore che conferma lepreoccupazioni della Stivanello.«Molti di questi esercizi commer-ciali non applicano un prezzo fis-so e non rispettano nemmeno lequantità, che dovrebbero essere li-mitate».Concorrenza sleale forse, ma nonper questo criminale, stando aquanto riferito dalla Questura diVerona. Nonostante in altre cittàitaliane le forze dell’ordine abbia-no individuato casi di reati legati auna fetta dei circa 8 mila “Comprooro” distribuiti sul territorio na-zionale (la Polizia stima che nel14% dei casi queste attività na-

La stessa crisi, che realtà come laCaritas o la fondazione BeatoGiuseppe Tovini aiutano a supe-rare con prestiti a tassi bassi o nul-li, per evitare che chi è precipitatonel baratro delle povertà si ritrovia fare i conti con strozzini o debitispropositati, impossibili da salda-re. «Due anni fa abbiamo apertouno sportello di microcreditocontro l’usura con prestiti fino aimille euro a tassi inesistenti», spie-ga il vice direttore della Caritas ve-ronese, Carlo Croce, cosciente delfatto che chi arriva agli sportelli divia Prato Santo è ormai all’ultimaspiaggia e l’eventuale oro che si te-neva in casa è già stato “spremuto”fino all’ultima goccia per ricavar-ne il ricavabile. «Nell’ultimo anno

scondano operazioni illecite comericiclaggio, usura e ricettazione) aVerona le acque sembrano infattitranquille.«I negozi aperti sono in regola conle licenze e quindi dal punto di vi-sta burocratico non ci sono pro-blemi» spiega il questore MicheleRosato. «Circa le ipotesi di rici-claggio, Questura e Finanza con-trollano queste attività come le al-tre e allo stato attuale non è statoregistrato nessun episodio parti-colare». Pur invitando a farsiavanti nel denunciare eventualisospetti per facilitare il lavoro del-le forze dell’ordine, per Rosato èimportante evitare di criminaliz-zare una categoria che, nella no-stra città, di fatto non ha mai regi-strato illeciti.«Non è solo la crisi a incrementarel’apertura di questa tipologia dinegozi», conclude, «ma è anche laliberalizzazione del mercato e laconseguente apertura di attivitàche fanno guadagnare».Così, mentre i gioiellieri arrancanoe risentono del brutto momento,l’oro da rottamare sembra salire sulpodio, offrendo possibilità di busi-ness che, pur non convincendo leassociazioni di categoria e facendotenere gli occhi aperti alle forze del-l’ordine, trovano le proprie fonda-menta proprio nella crisi.

Con riferimento al territorio nazionale

la Polizia stima che nel 14% dei casi queste

attività nascondonooperazioni illecite,

come riciclaggio, usura e ricettazione

quella tipologia di richiesta ècrollata e ne è subentrata una disostegno a fondo perduto, avan-zata da chi non è in grado di resti-tuire». Persone che non hannopiù nulla da perdere, e spessopreoccupate di salvare almeno leapparenze. «Sappiamo che chi ar-riva da noi ha già provato a vende-re l’oro che aveva o a impegnarsi lecose care», dichiara il presidentedel consiglio di amministrazionedella fondazione Beato GiuseppeTovini, Renzo Giacomelli. «In-tuiamo che c’è chi si è rivolto aquesti negozi riservati alla com-pravendita dell’oro, ma nellospecifico sappiamo poco perchéper tutti confessarlo è una vergo-gna».

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13inVERONA

di Giorgio Montolli

Michele Bertucco ha 48 anni, lavo-ra in banca e fino a poco fa era pre-sidente regionale di Legambiente.Dei tre nomi gli altri due eranoMario Allegri e Antonio Borghesiquello di Bertucco è stato scelto loscorso 4 dicembre dai veronesi, du-rante le primarie di centrosinistra,per sfidare Flavio Tosi alle elezioniamministrative del 6 e 7 maggio.

patte; ma anche sul mondo im-prenditoriale dove è ormai ma-tura la consapevolezza che oc-corre mettere insieme le diverseesperienze e i diversi saperi persostituire al “giorno per giorno”dell’amministrazione Tosi undisegno strategico che accompa-gni Verona nel futuro».– Per vincere occorre avere dalla

propria parte giornali e televisio-ni: cosa ne pensa?«Avere qualche amico giornalistapuò aiutare, ma a questo preferi-

– Qual è l’idea che porta in que-ste amministrative?«Quella di ricucire il rapporto trasocietà civile e politica: i duemondi devono tornare a confron-tarsi trovando soluzioni condivi-se. Negli ultimi anni le cose sottoquesto aspetto sono peggiorate».– Su che forze sente di poter con-tare?«Sul mondo del volontariato, dadove provengo; sulle forze poli-tiche del centrosinistra che,nonostante si dica, io vedo com-

INTERVISTA CON MICHELE BERTUCCO

«La città è ferma.Voltiamo pagina»

«La politica è al servizio della gente e non viceversa. Vale per tutti, ma vale di piùper il centrodestra che ha governato in questi ultimi cinque anni»

«Il mondoimprenditoriale è

consapevole cheoccorre mettere

insieme le diverseesperienze e i diversi

saperi peraccompagnare

Verona nel futuro»

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Marzo 201214

Po liticasco un’informazione libera e in-tellettualmente onesta».– E di cosa dovrebbe occuparsiun’informazione libera e intellet-tualmente onesta?«Nel caso specifico dei temi cheriguardano Verona e la campagnaelettorale: evidenziare i problemi,valorizzare le proposte, favorire ildibattito. Esattamente l’oppostodi Tosi che parla di tuttaltro e cheentra nel merito, come per il tra-foro e l’aeroporto, quando nonpuò fare diversamente. Tosi prefe-risce affidarsi al suo ufficio stam-pa piuttosto che affrontare uncontraddittorio».– Per vincere occorre farsi amicigli apparati del partito...«Direi proprio di no. E poi nonesistono questi fantasmagorici ap-parati di partito. Ci sono personeimpegnate da anni in politica emolte lo fanno con competenza,onestà e gratuitamente. Forse ilmeccanismo è un po’ pachidermi-co, ma è in corso un’apertura pro-gressiva alla società civile di cui iosono un esempio».– Per vincere occorre affidarsi a

un esperto di campagne eletto-rali...«Non è sempre così. Ho conosciu-to casualmente Roberto Bassodella Civicom durante le prima-rie. È lui che ha curato la campa-gna elettorale di Giuliano Pisapiaa Milano. Mi ha dato alcuni consi-gli. Il rischio è quello di finireschiacciati su tempi e temi dettatidella politica cittadina, perdendodi vista una prospettiva più am-pia, che per uno che si candida asindaco è importante».– Quanto soldi saranno spesi perla sua campagna elettorale?«Ad oggi non lo so».– Da dove salteranno fuori questisoldi?«Personalmente impegnerò unadecina di migliaia di euro, poiqualcosa dovrebbe arrivare daipartiti e da altri finanziatori. Persostenere una campagna elettora-le il denaro è necessario. Per que-sto ho fatto la scelta di un comita-to che gestirà in modo trasparentei fondi raccolti».– Non c’è quindi un budget defi-nito...«No, è tutto da definire».– È contento della coalizione chela sostiene?«Sì, l’obiettivo è però quello di al-

questo senso. Chiaro che poi allafine qualcuno che decide ci vuo-le».– Sta scrutando l’orizzonte, vedeil nuovo che avanza: cosa vedeesattamente?«Una società che va ripensata. Ab-biamo vissuto al di sopra delle no-stre possibilità lasciando troppospazio ai furbi e togliendolo a chiinvece era disposto a impegnarsiper il bene comune; in tal senso vavalorizzato anche quanto propo-sto dal magistero della Chiesa».– Dovesse scegliere due elementiper governare tra passione, cer-vello e competenza. Cosa lasce-rebbe e cosa prenderebbe?«Prenderei passione e cervelloperché le competenze si possonosempre chiedere o acquisire; lapassione uno ce la deve avere den-tro. Il cervello è importante che cisia, per ovvie ragioni».– Pensa di possedere i requisitiscelti?«Penso di sì. La passione, perchéquando ho lavorato insieme aglialtri ho sempre creduto in ciò chefacevo. Ma direi anche l’intelli-genza, soprattutto perché consi-dero intelligente il lavoro di squa-dra».– Pensa di essere una personaambiziosa?«Diciamo determinata, nel sensodell’impegno per arrivare a dei ri-sultati. L’ambizione è una caratte-ristica molto personale, la deter-minazione coinvolge anche gli al-tri».– Pensa di essere più schietto opiù calcolatore?«Schietto, si vede subito come lapenso».– E questo è un bene o un male?«Penso sia un bene. Anche in poli-tica, nonostante sia molto diffusala convinzione opposta».– Agli amici ambientalisti cosadice?«Che la politica non mi sta cam-biando. I valori e le scelte che hofatto in passato li riconfermocompletamente. Non devono te-mere che ci sia una qualche peri-colosa involuzione».– Andrà fino in fondo? A qualun-que costo?«Penso proprio di sì. A qualunquecosto in maniera rispettosa dellepersone e della legge».– Cosa potrebbe fermarla?«A questo punto direi niente».

largarla. A Verona non è sufficien-te il centrosinistra per vincere leelezioni e su questo stiamo ragio-nando».– Si parla di un candidato sinda-co che raccolga voti al centro, an-dandoli a prendere tra gli scon-tenti dei vari partiti. Quindi an-che dal PD...«Le primarie sono un metodo perscegliere i candidati. Non è che sipossa fare una scelta diversa a di-stanza di pochi mesi. Del restonon servono grandi analisi per ca-pire che a Verona abbiamo unproblema urgente di buona am-ministrazione e quindi se ci sononomi nuovi, e gli obiettivi sonocomuni, ci si mette assieme con-dividendo anche i programmi».– Tre aggettivi per definire i vero-nesi...«I veronesi sono generosi: lo di-mostrano i numeri del volonta-riato. Inoltre sono disponibili. So-no però troppo prudenti nell’a-prirsi in maniera chiara agli altri;però è vero che quando vinconoogni diffidenza sanno mostrare ilmeglio di sé»– Qual è la forza del suo avversa-rio?«Flavio Tosi ha creato un sistemacomunicativo e mediatico in cuiemerge un’immagine non confor-me alla realtà. Su questo ha copia-to molto da Berlusconi, anche seora ne prende le distanze. Questoè un sindaco che ha fatto poconulla per la città, e si vede; però hasaputo raccontare delle belle favo-le. Il problema è quando i veronesisi sveglieranno».– E la sua forza, Bertucco, qual è?«Non sono un mite, come qualcu-no ha scritto. Sono invece unapersona pacata: è questa la miaforza, assieme alla disponibilitàverso gli altri e alla capacità diascoltare».– Cosa va rifondato nella politicae nel modo di amministrare?«La politica è al servizio della gen-te e non viceversa. Vale per tutti,ma vale di più per il centrodestrache ha governato in questi ultimicinque anni a Verona. Occorre re-cuperare trasparenza nella gestio-ne della cosa pubblica attraversovari strumenti di partecipazione,tra cui quello del referendum, so-prattutto quando le decisioni daprendere sono importanti; inter-net offre grandi opportunità in

«Occorre recuperaretrasparenza nella

gestione della cosapubblica attraverso

vari strumenti dipartecipazione, tra cuiquello del referendum,soprattutto quando ledecisioni da prendere

sono importanti;internet offre grandi

opportunità in questosenso. Chiaro che poi

alla fine qualcuno chedecida ci vuole»

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inVERONA

Agsm compera Amia,così come nel 2009

Agec aveva fatto con lefarmacie comunali: i

conti sembranotornare, ma alla fine

chi paga?Negli ultimi cinque

anni Agsm haconferito circa 40milioni di euro a

Palazzo Barbieri, e lesue casse ora

languono. Un fiume didenaro che tuttavia

non ha placato la setedel Comune che ogni

anno ha bisogno ditrovare nuove risorse

da distribuire ai vari assessorati

INC

HIE

STA

di Michele Marcolongo

Mi tassi? Ma quanto mi tassi?Ora il sindaco-sceriffo una pisto-la bella grossa con cui “abbattere”le difficoltà finanziarie del Co-mune ce l’ha in mano, ma a po-che settimane dalle elezioni in-dugia ad usarla. Per sua stessaammissione le nuove tasse localiintrodotte dal governo Monti(ma già approvate dal precedentegoverno Berlusconi) ovvero Imu,addizionale Irpef e tassa di sog-giorno, verranno dosate congrande cautela e tenute possibil-mente al minimo. Molto meglio, insomma, conti-nuare a raschiare il fondo del ba-rile, come si sta facendo da quat-tro anni a questa parte, prima at-tingendo agli utili e ai fondi di ri-serva delle aziende partecipate;poi con le cartolarizzazioni degliimmobili comunali (vicenda piùnota con il tormentone del “risi-ko” delle alienazioni dei palazzistorici da cui, tra l’altro, è scaturi-to un bel caos sulle destinazionimuseali) e infine con la finanzacreativa. In questi primi mesi nel 2012l’amministrazione si butterà in-fatti a testa bassa sull’alienazionedi Palazzo del Capitanio, da cuiconta di trarre 17 milioni di euro,ultima tappa di una lunga serie divendite di edifici storici in parteriuscite e in parte fallite. Contemporaneamente cercheràdi condurre in porto l’acquisto“forzato” dell’azienda cittadina diigiene ambientale (Amia) da par-te della multiutility locale dell’e-nergia, Agsm. Operazione, que-st’ultima, che lo stesso assessore

alle Partecipate Enrico Toffalinon ha esitato a definire un puroescamotage (perfettamente legale,s’intende) pensato al solo scopodi creare flussi finanziari in favoredel Comune. Entrambe le aziende sono infattial 100% di proprietà municipale.Ma siccome in economia, un po’come accade in natura, nulla sicrea e nulla si distrugge, a frontedelle rimpinguate casse comunalici sarà un’azienda pubblica,

l’Agsm, ulteriormente indebitatadi una trentina di milioni di euro,a tanto ammonta la prima som-maria valutazioni del valore diAmia. Niente paura, nel 2009 era tocca-to a Agec, la municipalizzata de-putata alla gestione dell’ingentepatrimonio residenziale pubblico(circa 5 mila appartamenti) dareil suo bel contributo al bilanciocomunale, accendendo con lebanche un mutuo da 40 milioni

FORZIERI VUOTI A PALAZZO BARBIERI

I maghetti della finanzaLa crisi, il Patto di stabilità, i decreti del nuovo Governo: tutto contribuisce

a salassare le casse del Comune ma i nostri amministratori, con un po’ di mestiere, trasformano le voragini in buchette. I conti però si pagano alla fine

Economia

Page 16: Verona In 31/2012

di euro per incorporare le 13 far-macie comunali che già gestiva. Da allora i vertici dell’Agec nonfanno mistero di faticare ad adem-piere alla propria mission, che lidovrebbe vedere in prima lineanell’affrontare l’emergenza abita-tiva molto forte in città. Senza contare che nel frattempoAgec si è dovuta “assorbire” pure i300 e passa lavoratori delle mensescolastiche comunali. Altro esca-motage adottato da Palazzo Bar-bieri nel corso del 2009 per sfuggi-re alle grinfie del patto di stabilitàimposto da Tremonti.Simili difficoltà nell’adempiere al-la propria missione istituzionalepotrebbero dunque attendere an-che Agsm, considerato che traconferimento di utili di esercizio edi riserve monetarie accantonateper i tempi di “magra”, negli ultimicinque anni l’azienda di lungadigeGalatarossa risulta aver già confe-rito una quarantina di milioni dieuro a Palazzo Barbieri, e le suecasse ora sono agli sgoccioli. Unfiume di denaro che tuttavia nonha placato la sete del Comune cheogni anno ha bisogno di trovarenuove risorse da distribuire ai variassessorati.Di tutti questi passaggi, che hannocaratterizzato le vicende finanzia-rie dell’amministrazione Tosi,probabilmente resta poco nel vis-suto dei veronesi che possono for-se gioire perché fino a ora non sisono visti alzare le tasse locali. Macontemporaneamente hanno rice-vuto relativamente poco in termi-ni di opere e soprattutto rischianodi trovarsi davanti a sorprese pocopiacevoli nel prossimo futuro qua-lora, col permanere della crisi, op-pure in vista di un’auspicabile ri-presa dell’economia, le tradiziona-li leve economiche della città (dal-le aziende partecipate alla Fiera,dal Consorzio Zai alle Fondazio-ni), appesantite e depauperate,

non dovessero rispondere a dove-re. Del resto, una buona parte de-gli sforzi finanziari impressi dal-l’amministrazione nei primi annidi mandato sono stati assorbiti dalcompito di “seppellire” definitiva-mente il progetto del Polo Finan-ziario, dovendo rimborsare a fon-dazioni e istituti bancari il denaroche in accordo con la precedenteamministrazione avevano sborsa-to per comprare i terreni nell’areadell’ex Mercato Ortofrutticolo. Una delle prime decisioni del sin-daco Tosi è stata infatti quella distracciare il progetto del Polo chesecondo la precedente ammini-strazione Zanotto avrebbe dovu-to consolidare Verona come se-conda piazza finanziaria del NordItalia, subito dopo Milano. Ma inquesto disegno il nuovo sindacoleghista non ha mai creduto. Adirla tutta, al tempo della decisio-ne dello strappo di Tosi gli stessiistituti bancari, presi dall’immi-nente scoppio della bolla finan-ziaria internazionale, ma ancheda scelte di gestione interna nonsempre oculate, non apparivanopiù così entusiasti come lo eranoall’inizio. Fatto sta che la decisione del sin-daco ha aperto una voragine diben 39 milioni di euro, alla finesanata con la cessione di PalazzoForti alla Fondazione Cariverona.Soluzione che da un lato ha avutoil pregio di tacitare le proteste deicomitati spontanei nati contro l’i-potesi di cessione del lascito Fortia privati, ma dall’altro lato ha la-sciato un “cratere”, anzi un par-cheggio, nelle possibilità di svi-luppo della struttura finanziariadella città.Un’altra decisione che ha segnatoil bilancio comunale durante iprimi mesi di mandato è statosenz’altro l’acquisto della secondametà del Parco di San Giacomo,opera strenuamente voluta dalla

popolazione di Borgo Roma peraccontentare la quale Tosi non habadato a spese: 26 milioni di euroil prezzo pagato per la secondametà dell’area ancora di proprietàdella Provincia, sulla quale eranosì presenti consistenti diritti edifi-catori, ma che alla fine è stata pa-gata quasi quattro volte la sommaversata qualche anno prima dal-l’amministrazione Zanotto per laprima metà (7,5 milioni tra con-tanti e permute). Le rate in favoredella Provincia sono state tuttesaldate, ma per tirare il fiato dal-l’ingente sforzo finanziario il Co-mune continua a posticipare ilmomento del rogito notarile cheda solo costa qualcosa come 350mila euro. Queste decisioni, unite al Patto distabilità imposto dal governo Ber-lusconi e ai pesanti tagli ai trasferi-menti statali previsti fin dal 2008dal federalismo di Calderoli, han-no segnato profondamente il pas-so dell’amministrazione nei primitre anni.Per fare un paragone, la cifra sbor-sata per San Giacomo è di poco in-feriore alla somma di tutti gli inve-stimenti in opere pubbliche realiz-zate dall’amministrazione duranteil 2011 (29 milioni). Per recuperare denaro, oltre aspremere le partecipate e in parti-colare Agsm, Palazzo Barbieri findal 2008 ha provato a mettere incampo un vasto piano di aliena-zioni di dismissioni di palazzipubblici da più di 100 milioni dieuro. Nell’elenco degli immobili da ven-dere figuravano, oltre a PalazzoForti, anche Palazzo Gobetti (va-lore iniziale 10 milioni), PalazzoPompei (10 milioni), scuole BonBrenzoni (15 milioni), Bar Borsa(5 milioni), ex Convento San Do-menico (12,6 milioni), fondo ru-stico Casa Pozza di San MartinoBuon Albergo (5,2 milioni), ex ca-

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Una delle primedecisioni del sindacoTosi è stata quella distracciare il progettodel Polo finanziario,

che secondo laprecedente

amministrazioneZanotto avrebbe

dovuto consolidareVerona come secondapiazza finanziaria del

Nord Italia, subitodopo Milano. Ma in

questo disegno ilnuovo sindaco leghista

non ha mai creduto

Un’altra decisione cheha segnato il bilancio

comunale durante iprimi mesi di

mandato è statosenz’altro l’acquisto

della seconda metà delParco di San Giacomo,

opera strenuamentevoluta dalla

popolazione di BorgoRoma per

accontentare la qualeTosi non ha badato

a spese

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Parco San Giacomo, in Borgo Roma

Economia

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serma Sant’Eugenio (venduta aCariverona per 3,5 milioni), trearee di via Scopoli e in viale del-l’Industria vendute alla Fiera per 4milioni di euro, diversi lotti delPrusst di viale dell’Industria suterreno dell’ex mercato ortofrutti-colo per un valore di diversi milio-ni di euro. Nel conto anche alcunescuole dismesse alle estreme fra-zioni della città, come quella diTrezzolano (300 mila euro), Mo-ruri (100 mila), Magrano (230 mi-la) e di via Scopella (zona SacraFamiglia) per 270 mila euro. Piùalcuni immobili fra via Lenotti evia Scarsellini, a San Zeno per cir-ca 700 mila euro.Il sindaco ha dovuto dunque ri-mangiarsi la promessa elettorale dimantenere in vita le scuole profes-sionali comunali. La sede dellescuole Bon Brenzoni alla fine è sta-ta venduta per 11,5 milioni di euroa privati che la trasformeranno inappartamenti e negozi. La venditadi palazzo Gobetti, succursale delmuseo di Storia Naturale cittadi-no, ha fruttato 6,4 milioni (controil 10 milioni inizialmente preventi-vati), ma la mancata vendita di pa-lazzo Pompei, sede principale delmuseo, ha innescato una diasporadel museo stesso tuttora irrisolta,in quanto le collezioni del Gobettisono state “temporaneamente”parcheggiate all’Arsenale dal qualeè partito lo scandalo internaziona-le delle “selci blu”. La crisi del mattone ha portato in-vece a rinunciare alla vendita del-l’ex convento San Domenico, at-tuale sede dei vigili urbani, i cuiproventi avrebbero dovuto servirea completare il nuovo parcheggioall’ex Gasometro, che invece rima-ne incompiuto, anche se la giuntaha promesso il progetto definitivoprima della fine del mandato. E lastessa sorte toccherà all’Arsenale:avanti col progetto (che sarà unproject financing) ma niente lavo-ri. Con ogni probabilità la Cittàdei Bambini, promessa in campa-gna elettorale, rimarrà un bel so-gno, mentre il quartiere dovrà di-videre gli spazi con uffici e negozi.La ricerca del massimo utile per lecasse comunali è stata anche il farocon cui l’amministrazione hachiuso gli accordi per le grandi ri-qualificazioni delle aree dismesse:dalla Passalacqua alle ex Cartierefino al recente Piano degli inter-

venti, la tendenza è sempre stataquella di concedere di più (in ter-mini di cubatura, di costruito) achi di più offriva in termini diopere pubbliche di compensazio-ne. Con questo metodo la maggio-ranza di centrodestra conta, adesempio, di portare a casa la riqua-lificazione della Passalacqua, il ri-ordino della viabilità attorno alleex Cartiere di Basso Acquar, men-tre dal piano degli interventi contadi far saltar fuori ben 150 milionidi euro in opere da qui ai prossimi10 anni, da suddividere tra le ottocircoscrizioni . La critica che le opposizioni muo-vono alla giunta non è tanto quelladi aver svenduto il patrimonio cit-tadino, ma semmai di aver sacrifi-cato troppo gli spazi pubblici infavore degli investimenti dei pri-vati. Troppo presa a fare cassa,avrebbe trascurato di disegnare unprogetto di sviluppo per la città.Un esempio sarebbe rappresenta-to dalla vendita delle quote dellaFiera, cedute per 26 milioni di eu-ro alla Camera di Commercio e adaltri soggetti locali senza pensareche oggi più che mai la Fiera di Ve-rona ha bisogno di una prospetti-va internazionale e quella sarebbeforse stata l’occasione per far en-trare un grande socio specializza-to, anche straniero. Resterà da vedere se la crisi delmattone, che ha già frenato il pia-no alienazioni, non metta lo zam-pino anche in quello nelle grandiriqualificazioni. Non è un casoche, sul Piano degli interventi,l’amministrazione abbia giàpronto il “piano B”, che consistenel ripescaggio delle proposte deiprivati scartate in prima istanza,qualora le aziende per prime am-messe a costruire si rivelassero ca-renti di fondi e incapaci di farfronte agli impegni presi col Co-mune. Fuori uno sotto un altro.Mattone e consumo del suolo ca-ratterizzano anche lo sviluppoprevisto alla Marangona, area dadecenni deputata a ricevere nuoviinvestimenti industriali, ma chenessuna amministrazione è ri-uscita a far decollare. La giuntaTosi ha deciso di edificarvi soprail nuovo stadio dell’Hellas. Unascelta che fa il paio con l’atteso ar-rivo dell’Ikea nell’area dimessadella Biasi. Altri palazzi, altrocommerciale.

INC

HIE

STA

Per recuperare denaro,oltre a spremere le

partecipate, e inparticolare Agsm,

Palazzo Barbieri findal 2008 ha provato a

mettere in campo un vasto piano di dismissioni

di palazzi pubblici da più di 100 milioni

di euro

Il federalismomunicipale

Il federalismo municipale, for-malmente già in vigore dal2011, mette virtualmente fineall’era dei trasferimenti stataliimponendo ai comuni di soste-nersi con le proprie gambe oquantomeno con gli strumentiche il governo centrale gli met-te a disposizione, come l’Imu,l’addizionale Irpef, la tassa disoggiorno. Per i primi anni itrasferimenti erariali vengonosostituiti da un generico “fon-do di riequilibrio” destinato adassottigliarsi mano a mano chela riforma andrà a regime. Que-sta almeno la ratio della serie diprovvedimenti che vanno sottoil nome di federalismo fiscaleescogitati da Calderoli (LegaNord) e soci fin dal 2009 (e inparte condivisi anche dalle op-posizioni parlamentari) e di-ventati legge già del 2010, la cuiapplicazione effettiva era statatuttavia rinviata a dopo il 2013,cioè a dopo le elezioni politi-che. La caduta del governo Bos-si-Berlusconi e l’arrivo del go-verno tecnico di Monti ha spa-rigliato le carte in tavola. Il pro-fessore-banchiere ha infatti de-ciso di anticipare l’entrata infunzione del federalismo al2012. Il passaggio non è statoaccolto benissimo dai sindaci,come quello di Verona, che delmancato aumento delle tasselocali avevano fatto uno deipresupposti del loro mandato.E che ora, a pochi mesi dalleelezioni comunali, si trovanonella imbarazzante posizionedi dover manovrare al rialzo laleva fiscale.

Economia

Page 18: Verona In 31/2012

di Marta Bicego

Faber, colui che fa e agisce, concreatività e competenza, su mate-riali all’apparenza indomabili. Lamateria da plasmare è, in questocaso, il ferro: malleabile se portatoad altissime temperature e model-lato (con forza e decisione, ma an-che abilità) fino a creare pezzi daimovimenti sinuosi, elementi unici.Il ventinovenne GiovanbattistaSauro, che di mestiere fa il fabbroforgiatore, descrive con contagiosapassione i segreti di un’arte tantoantica quanto affascinante. Nelfrattempo, cascate di scintille illu-minano la bottega nella quale ilgiovane artigiano lavora da set-tembre del 2009. E prosegue a lavo-rare: scaldando il ferro massiccionella forgia, battendolo rigorosa-mente a mano, poggiandolo sul-l’incudine, con movimenti sicuri eocchio attento ai dettagli. Siamo a Bosco Chiesanuova, in uncapannone nel cuore della Lessiniacon vista che si apre sulla città, do-ve le nuove generazioni per farsistrada e riuscire a sopravvivere conle proprie forze in montagna guar-dano con fiducia e ottimismo alleprofessioni del passato. E spiega:«Il mio lavoro riguarda la fucinatu-ra manuale del ferro, arroventatonella forgia e lavorato con incudinee martello: strumenti semplici epotenti, che hanno reso questo la-voro immutato nei secoli». Per im-parare il mestiere Giovanbattista,circa otto anni fa, ha fatto proprio

energie in un’attività che mi pia-cesse veramente. Al giorno d’oggifare un lavoro che piace e dà soddi-sfazione è il più grande lusso cheuna persona possa permettersi».Detto, fatto: da studente poco mo-tivato (ma che conserva l’interesseper la cultura e che studia addirit-tura la lingua russa) a modernogarzone di bottega. L’aspirante ar-

come si faceva una volta: andandoa bottega da chi, più esperto di lui,poteva insegnargli qualcosa diconcreto. Scelta curiosa, dopo glianni di formazione sui banchi diun liceo classico e qualche esamedato all’università, prima a Scienzeforestali e poi a Giurisprudenza. Aun certo punto, ammette, «ho ca-pito di voler indirizzare le mie

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Pro fe ssioni

GIOVANI E LAVORO

Il fabbro. L’artedi plasmare il ferro

Dopo gli anni di formazione sui banchi di un liceo classico a un certo puntoGiovanbattista Sauro ha capito di voler indirizzare le sue energie verso un’attività

che gli piacesse veramente. Così ha aperto la sua bottega a Bosco Chiesanuova

«Il mio lavororiguarda la fucinatura

manuale del ferro,arroventato nella

forgia e lavorato conincudine e martello:strumenti semplici e

potenti, che hannoreso questo lavoro

immutato nei secoli»

Giovanbattista Sauro nella sua bottega di Bosco Chiesanuova

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19inVERONA

Pro fe ssioni

tigiano è sceso in quella Val d’Illasiche un grande maestro come Bertoda Cogollo ha trasformato in pa-tria del ferro battuto. Propizio èstato l’incontro con lo scultore Gi-no Beltramini, racconta, esperto diun lavoro che l’aveva sempre incu-riosito, ma che non aveva mai os-servato da vicino. «Se vuoi venire avedere come si lavora il ferro, ti in-segno» gli ha detto. «Mi ha spiega-to ogni tecnica. Con il passare deltempo, ho acquistato la mia primaincudine, quindi una forgia. Hoiniziato a battere il ferro a casa». L’i-dea di aprire un’attività è arrivatasoltanto dopo aver acquisito unacerta esperienza. Ed è stato così chesi è aggiunto alla schiera – nonmolto popolata a dire il vero, vistoche conta una decina di persone –di professionisti che nel Veronese sidedicano a questa attività. Stare sul mercato con i venti dellacrisi, ammette l’artigiano di Bosco,non è facile. Come se non bastasse,su questo mestiere si fa ancora pa-recchia confusione. E in pochi, senon veri appassionati, riescono adattribuire il giusto valore a manu-fatti che sono realmente battuti amano. «La genericità non aiuta, nétanto meno la mancanza di cultu-ra», si lascia sfuggire, ma la qualità èun’altra cosa e non è detto debbacostare di più perché esce da un la-boratorio artigianale. A fare la dif-ferenza c’è, nel caso di Giovanbat-tista, pure la passione che trovaespressione nella realizzazione dicancellate e cancelli, di componen-

ti d’arredo, ringhiere, dettagli diporte e finestre. C’è anche un buonmargine di creatività, se si riesce ainstaurare una collaborazione conil proprio committente: «Megliodisegni fatti a mano, con la matita –sottolinea –, piuttosto che usciti dalcomputer. L’importante è avereun’idea di ciò che si vuole realizza-re» sia che si tratti di una ringhieraa tralci vegetali o di un cancelloispirato da un’opera d’arte. Altroambito è quello del restauro di ma-nufatti antichi, per ripristinarne,ad esempio, parti mancanti. «Met-tere mano sul lavoro di altri è sem-pre difficile», dice, «ma aver impa-rato a utilizzare gli attrezzi che siusavano un tempo e aver acquisitouna buona manualità è un vantag-gio che oggi si può spendere bene». Saper contare su una buona ma-nualità è fondamentale, ed è una

delle prime competenze che unaspirante fabbro deve acquisire.Sono pochissime, infatti, le mac-chine utilizzate negli spazi dellabottega: primo tra tutti il maglio,per lavorazioni su grande scala, ri-finite rigorosamente a mano. Altromacchinario manuale è il bilance-re, pressa dalle origini antiche chedà la sagomatura agli oggetti, ulti-mati nei dettagli dall’abilità tecnicadell’artigiano. Anche la saldatura èfatta a mano attraverso chiodature,legature, brasature oppure bollitu-re a fuoco. Il risultato? È quella lapiù grande soddisfazione: «Ognipezzo è unico e diverso, irripetibi-le» garantisce Giovanbattista. Aguardar bene, essere soddisfatti delproprio lavoro è un altro grandelusso che non tutti possono per-mettersi. Sito internet www.gbsau-ro.it; email [email protected]

Propizio è statol’incontro con lo

scultore GinoBeltramini: «Se vuoi

venire a vedere come silavora il ferro, ti

insegno»

«Meglio disegni fatti amano, con la matita –

spiega Sauro –,piuttosto che usciti

dal computer.L’importante è avereun’idea di ciò che si

vuole realizzare»

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Marzo 201220

Pro fe ssioni

elaborare un metodo, fondatosulla lettura dei segni grafici, dal-le basi rigorose e scientifiche. Co-noscenze utili a comprendere lesfumature della personalità uma-na che sono state raccolte comeeredità culturale da un gruppo didocenti della Scuola grafologicamorettiana che nelle aule delConvento di San Bernardino distradone Provolo, tiene da gen-naio un corso triennale (con 130ore di lezione) per formare con-sulenti grafologi.

di Marta Bicego

La bella grafia è la scienza degliasini? Lasciamo alle maestre, alleprese con le pile di quaderni deglialunni, l’ardua sentenza. Al di làdei modi di dire, però, certo è chedall’incedere della penna su unqualsiasi foglio di carta si possonoconoscere moltissime informa-zioni di una persona: attitudini,aspirazioni personali, capacità or-ganizzative e di attenzione, ten-denze e potenzialità che talvoltarimangono inespresse. Addirittu-ra punti di forza quali volontà eperseveranza, doti di leadership,flessibilità e spirito di adattamen-to alle diverse situazioni, equili-brio emotivo e gestione dellostress. Sfumature che soltanto un«professionista della scrittura» èin grado di leggere e riconoscerein maniera corretta. Basta unasemplice occhiata su uno scritto.

Scrittura e sfumature del cervelloComportamento, psicologia, per-sonalità: la grafologia ha la capa-cità di rivelare ogni informazionein merito. “Descrive le funzionipiù sfumate del cervello” per ri-prendere le parole di un celebregrafologo come il francescanoGirolamo Moretti che con le sueintuizioni, in Italia, ha fatto scuo-la. Il religioso marchigiano, ca-ratterizzato da una grande sensi-bilità, all’inizio del Novecento hafiutato le potenzialità nascostenello studio della scrittura fino a

non è sufficientemente apprezza-ta» chiarisce Luciano Massi, do-cente di grafologia generale al-l’Università di Urbino (con untrascorso da architetto prima diaddentrarsi nel mondo della gra-fia), che fa parte del team di inse-gnanti giunti in riva all’Adige perapprofondire i segreti della scrit-tura. L’utilizzo banale diffuso aigiorni nostri, prosegue, fa passarein secondo piano l’importanza diuna disciplina che ha avuto inrealtà grandi maestri.

Bravi professionisti della scrittu-ra si diventa, passando tuttavia dastudio e applicazione. Non c’èspazio per l’improvvisazione, in-somma, soprattutto se poi si in-tende spendere concretamente lecompetenze acquisite in campolavorativo. Obiettivo delle lezioniè infatti «offrire una didatticaqualificata per far conoscere unadisciplina che purtroppo al gior-no d’oggi nel nostro Paese, a dif-ferenza di quanto avviene invecein Francia oppure in Germania,

IL GRAFOLOGO

Dimmi come scrivie ti dirò chi sei

La grafologia poggia su basi scientifiche dettate dagli studi di grandi maestricome padre Girolamo Moretti. Oggi poco conosciuta, e utilizzata in maniera

banale, è una disciplina che può aprire la strada a una professione affascinante

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inVERONA

Professione grafologoCome se non bastasse, la grafolo-gia è una disciplina che può aprirela strada a una professione «mera-vigliosa, ma difficile» spiega. Gliambiti nei quali spendersi lavora-tivamente – senza dover fare i con-ti con troppa concorrenza, ci tienea precisare l’esperto – sono molte-plici: vanno da quello peritale nel-l’amministrazione della giustizia– per esempio nei tribunali, perverificare l’autenticità di un docu-mento oppure di una firma auto-grafa su un testamento – fino allaselezione del personale nelleaziende, per analizzare curriculamanoscritti dagli aspiranti candi-dati a un posto di lavoro o a unapromozione. Scavando più a fondo nella sferapersonale, lo strumento della gra-fologia può essere utilizzato perverificare la compatibilità in unarelazione di coppia, talvolta per fi-ni matrimoniali, oppure per ana-lizzare le dinamiche all’interno diun nucleo familiare. Dagli adulti si

arriva ai bambini, prestando at-tenzione all’età evolutiva: nullasfugge allo sguardo attento delgrafologo, la cui competenza è ri-chiesta talvolta per la rieducazio-ne alla scrittura, oppure per cor-reggere problemi di disgrafia neipiù piccoli. Campanelli d’allarme,questi ultimi, «di un disagio piùimportante in cui può trovarsi unbambino. Anche dagli scaraboc-chi e dai primi disegni, infatti –evidenzia Massi –, si decodificanomolteplici notizie». E non è affattouna casualità se la grafologia dia-loga con altre discipline, prima ditutto con la psicologia.

Elettroencefalopatia a prova di sguardoFondamentale è tenere in consi-derazione che «a scrivere non ètanto la mano, quanto il cervello, ilquale reagisce a stimoli affettivi eli deposita sulla carta». Scrivereequivale in un certo senso a sotto-porsi a una «encefalopatia» che re-gistra frequenza, ritmi, sensibilità,prontezza intellettiva dello scri-vente. «Scrivere è un comporta-mento non verbale che l’uomorealizza. Ogni grafia è personale: èun’impronta digitale, unica e irri-petibile», prosegue, e testimonia«ritmi, intelligenze, esperienzevissute». Quali particolari leggeun grafologo quando si trova da-vanti a un foglio manoscritto? Lavalutazione grafologica interessadiversi aspetti: «La pressione dellapenna sulla carta indica, peresempio, la capacità di un indivi-duo di affermarsi nella realtà». Lagrafia può essere «intozzata, fili-forme, grossa»: ognuna è espres-sione di un modo di essere benpreciso. Il segno, curvo e arroton-dato esprime il grado di adatta-mento all’ambiente. L’analisi sispinge inoltre a osservare inclina-zione dei segni grafologici, di-mensione delle lettere, minuziosi-tà nella composizione. E ancoraun esperto grafologo valuta il rit-mo della scrittura e la direzionedel rigo, la fluidità e lo spazio oc-cupato sulla superficie cartacea.Studio e tantissima pratica – leg-gendo righe su righe manoscritte– completano la formazione. Echissà che qualche giovane nonpossa scoprire così una nuova op-portunità lavorativa. A buon os-servatore...

Pro fe ssioni

Nato a Recanati nel 1879, da una famiglia di modeste origini, Pa-dre Girolamo Moretti è il fondatore della grafologia italiana. Ter-zogenito di ben 18 fratelli, entra a far parte dell’Ordine dei FratiMinori Conventuali e opera in conventi di varie città (a Roma,Montelupone, Mogliano, Castelfidardo, Spoleto, Bologna, Lon-giano, Urbino, San Marino e Mondolfo) fino alla sua morte, avve-nuta ad Ancona nel 1963. Giovanissimo, all’età di 26 anni, il reli-gioso marchigiano caratterizzato da una grande sensibilità intui-sce le molteplici potenzialità racchiuse nello studio della scrittura,fino a elaborare un metodo grafologico personale fondato sullalettura dei segni. Con l’aiuto di collaboratori, arriva ad analizzareoltre 250 mila grafie, associando a ogni segno (81 quelli indivi-duati con l’aggiunta di “altri segni morettiani”) un corrispettivocomportamentale e intellettivo. Nel 1914, con lo pseudonimo di Umberto Koch, consegna allestampe un Manuale di grafologia che continua a essere arricchitonelle varie edizioni e diventa, con il titolo di Trattato di grafologia.Intelligenza sentimento, l’opera fondamentale dalla quale hannopreso spunto numerose altre pubblicazioni. Un’eredità culturaleche riporta, sotto forma di affermazioni scientifiche, il metodo dalui elaborato: nozioni che, in Italia, hanno fatto e continuano a fa-re scuola. L’attività di Moretti è proseguita grazie ad alcuni disce-poli della sua famiglia religiosa – da Giovanni Luisetto (1917-2001) ai marchigiani Lamberto Torbidoni (1921-2004), Nazzare-no Palaferri (1919-2008) e Fermino Giacometti – e con la fonda-zione, ad Ancona e Urbino, dell’Istituto grafologico “G. Moretti”,e la promozione della prima scuola universitaria italiana di studigrafologici, costituita dal 1977 all’Università di Urbino. Per diven-tare grafologo in Italia si può scegliere tra frequentare una scuolao un master universitario (Urbino o Roma).

Chi era Girolamo Moretti

A Verona è attiva laScuola grafologica

morettiana che, nelleaule del Convento di SanBernardino di Stradone

Provolo, tiene dagennaio un corso

triennale (con 130 ore dilezione) per formareconsulenti grafologi

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di Corinna Albolino

Ma che sarà di noi?Che sarà della neve, del giardino?

Che sarà del libero arbitrio e del destinoe di chi ha perso nella neve il cammino[..]?

Sì, ancora la neve.

Il 2011, giungendo al suo termine, ha rapito un’altra grande figu-ra del nostro Veneto: il poeta Andrea Zanzotto. Dopo Luigi Me-neghello e Mario Rigoni Stern, insigni scrittori scomparsi di re-cente, è toccato ora al venerando poeta di Pieve di Soligo. Uno deipiù importanti autori del Novecento, classe 1921, voce creativa fi-

no all’ultimo. Sino alla fine lo si poteva ancora incontrare durante le abi-tuali “passeggiatine” nei dintorni della sua casa. Con il passo divenutoincerto, andava giornalmente a rendere visita ai suoi “ascoltatori”: l’er-ba, i ranuncoli, i papaveri, i topinambùr, i morotei di fieno. Ad essi recita-va i suoi versi perché erano queste presenze ormai da sempre i suoi occa-sionali interlocutori. Un modo ancora leopardiano, osservava nel suoelogio a Zanzotto Ungaretti, di sentire il paesaggio, di coglierne il segre-to, visionandolo “tutte le mattine e nell’ora meridiana, e la sera e di not-te... lo scopre in ogni momento”. L’erba, i fiori, ultime resistenti tracce diquel panorama al quale aveva dedicato la sua opera prima, titolata ap-

punto Dietro il paesaggio. Era il 1951 e già si era imposto all’attenzionedella critica letteraria come uno dei più importanti rappresentanti diquella generazione di mezzo che era seguita, ma ancora camminava nelsolco dei grandi maestri: Montale, Ungaretti, Caldarelli. Insieme a Elegieed altri versi del 1954 e Vocativo del 1957, si era così aperta la sua parabo-la di uomo e poeta. Un poeta post-ermetico che tuttavia conservava itradizionali modelli di lingua e di esperienza del mondo. La natura, labellezza, il paesaggio, le sue tematiche di ispirazione. “Quel là fuori”scandagliato nel tempo e cantato, negli ultimi lavori, con immenso dolo-re perché rovinosamente profanato dall’opera catastrofica e insensatadell’uomo. Ma è con La beltà che si appalesa la grande svolta poetica. Apromuoverla sono le acquisizioni lessicali di Ferdinand de Saussure,fondatore della linguistica moderna, e il concetto di significante intro-dotto dal filosofo-psicoanalista Jacques Lacan. È l’inaudita scoperta chenelle profondità abissali della lingua sussiste un suolo primordiale da cuisi dipartono i significati delle cose, un’area abitata da segni irrelati, gru-mi, sillabe, balbettii e silenzi. Una sorta di caos dell’origine che Lacanchiama il regno del significante. È l’inconscio arlecchinesco dove trova-no le loro radici i dialetti, quel vecio parlar di cui il poeta fa uso maestro.Alla luce di queste rivelazioni, il segno linguistico diventa ambiguo, si ca-rica di rimandi metafisici, teologici, esprime oggetti che si liberano dallaschiavitù a un significato dato, legato al loro uso pratico, per offrirsi a in-finite interpretazioni. Nel cortocircuito delle assonanze simboliche, delleevocazioni, la forma poetica zanzottiana diviene sempre più astratta, la-scia tutto ciò che è utile, economico, e respira di una nuova leggerezza.Rompe con una tradizione alla quale il nuovo registro letterario risultainafferrabile, incomprensibile. Una vera e propria rivoluzione del lin-guaggio che colloca questo interprete al vertice delle possibilità espressi-ve dello sperimentalismo. Nelle opere successive, Galateo in bosco e Filò,il processo di modernizzazione si acqueta, quasi per un bisogno di ripo-so. Trova una sua stabilità nel recupero del dialetto al quale ridona fre-schezza e autenticità. Procedendo, avvicinandosi alle ultime opere, lascrittura poetica si fa impersonale, la semplice registrazione di una natu-ra che implode sotto i colpi della devastazione. Anche il soggetto, la figu-ra umana, non avendo più nulla da dire abbandona muto il contesto.Costretto a scomparire. Nel tempo del disincanto la poetica di Zanzottoè forse l’arduo tentativo di raccogliere, custodire con umiltà, i palpiti delcuore di un’umanità spaesata.

Una vera e propria rivoluzione del linguaggio colloca il poeta

al vertice delle possibilità espressivedello sperimentalismo. Nel tempo del disincanto il suo sforzo è statoquello di raccogliere e custodire

con umiltà i palpiti del cuore di un’umanità spaesata

Andrea Zanzottocreativo fino all’ultimo

Andrea Zanzotto

Cultura/po e sia

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inVERONA

Cultura/lib ri

pretare ciò che ci circonda, ma so-prattutto ad ampliare la nostrapercezione del reale. E magari aimmaginare qualcosa di diverso,possibilmente migliore. Fughiamo allora le perplessità:“Dal racconto della campagnaelettorale alla narrazione seriale digoverno”, ultimo breve capitolodel libro, lo dice chiaramente. Dal-le promesse elargite dai candidatiall’attuazione del programma unavolta eletti il salto è grande e si ri-schia che anche le migliori azionidisperdano il significato iniziale. Equi comincia il bello, perché è sot-to gli occhi di tutti l’errore “piùdiffuso”, “quello di ridurre il flussonarrativo verso gli elettori proprioquando hanno bisogno di sentirsicontinuamente rassicurati: cia-scuno desidera sapere che uso vie-ne fatto della fiducia che si è accor-data”. Le ultime righe tengono vi-va la diffidenza di partenza, quan-do si fa riferimento al politico co-me “qualcuno che vive nell’arcodella sua azione di governo assie-me ai suoi elettori”, cosa che im-pone di “intersecare la propriastoria politica a quella quotidiana,sia del proprio elettore, sia di chinon l’ha votato”. Ma come pensare che basterebbeun racconto onesto, aperto, dialo-gante per conquistare la fiduciadel cittadino? Costruire un “pontenarrativo” non veritiero, avverto-no gli autori Andrea Fontana eGianluca Sgreva, è un passo azzar-dato, che rischia di fallire al primo

di Fabiana Bussola

Il ponte narrativo – Le scienze del-la narrazione per le leadership po-litiche contemporanee, di AndreaFontana – Gianluca SgrevaEditore Lupetti, 14 euro.

Persuadere: è for-se questo il primoe l’ultimo verboda pronunciare inpolitica? Può ba-stare il modo diraccontarsi e diusare le paroleper convincere glielettori fino nel

segreto dell’urna? È sulla scia diquesti ordinari dubbi che la lettu-ra de Il ponte narrativo andrebbefatta partendo dalla conclusione.Non per superficialità nei con-fronti del testo, ma perché il tema– la narrazione politica – potrebbetrarre in inganno chi si ritiene, ariguardo, un esasperato medio.Sommersi da fiumi di parole scrit-te, ascoltate, messe in scena neitalk show, si fatica a dar credito aun libro che si pone come obietti-vo “un metodo strutturato di co-municazione per la leadership incampagna elettorale”. E invece èbene sapere. È bene capire che,parafrasando Nanni Moretti, se leparole sono importanti, lo è al-trettanto la realtà che esse riesco-no a generare. Perché raccontare,lo sappiamo da sempre, è un attocreativo che non serve solo a inter-

sionismo da parte degli indecisi.La ricchezza del testo, che riper-corre le matrici narrative classichee le analizza anche in contesti at-tualissimi come il web e le nuovetecnologie, lascia aperti gli inter-rogativi di base, ma propone pureuna visione approfondita dellarappresentazione politica. Osservazioni e spunti che dovreb-bero spingere innanzitutto la stes-sa politica a una rivoluzione inter-na. Una sorta di “operazione tra-sparenza”, di “glasnost” (un ap-profondimento sulla figura di Go-barciov e altri personaggi dell’exfronte comunista sarebbe un con-tributo interessante sotto questoprofilo) che servirebbe a ripartiredalla fiducia. Ma prima che questoaccada, e soprattutto prima di ca-scarci come pere cotte al prossimoche ce la volesse raccontare, alme-no rendiamoci conto che le storieche ascoltiamo hanno bisognodella nostra complicità per esserecredute. Sul ponte, insomma, cisiamo anche noi e questo libro celo spiega benissimo.

confronto con la narrazione deglialtri (che sia l’opposizione o an-che qualche inchiesta giornalisticaa metterla in atto). Ma oltre ai ri-schi della mistificazione, resta co-munque la difficoltà a far passareil proprio messaggio all’opinionepubblica. Il ponte serve a far cam-minare le idee, insomma, e adaprire un percorso anche nell’al-tro senso, dall’elettore al perso-naggio politico. “I fatti raccontanoe si fanno raccontare”, però, solose l’asse tra narrazione e protago-nista si basa sulla credibilità: gliesempi riportati nel libro di Oba-ma, Berlusconi, Zaia (per restaregeograficamente vicini) eviden-ziano quanto le modalità narrati-ve percorse hanno saputo costrui-re fiducia tra il politico e l’elettore,attraverso modalità coerenti diracconto. Ma vale anche come sigestiscono le aggressioni degli av-versari, le contronarrazioni chemirano a smantellare la credibilitàdell’altro. Il rischio, vissuto in pie-no durante le amministrative del2010, di chiudersi intorno a que-stioni che gli elettori poco capi-scono o relegano a sterili beghepartitiche, ha ad esempiogenerato un cre-scente asten-

STORYTELLING

Un ponte narrativoper le nuove leadership

Obama, Berlusconi, ma anche Zaia, per restare geograficamente vicini,evidenziano quanto le modalità narrative percorse hanno saputo costruirefiducia tra il politico e l’elettore, attraverso modalità coerenti di racconto

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Cultura/lib ridi Fabiana Bussola

Città amata e abitata.Edito da Pazzini Editore, euro 10Collana: Al di là del detto

Luogo fisico e metaforico, la cittàrappresenta nella storia umana lademarcazione della civiltà. Spazioorganizzato, in cui l’uomo svilup-pa e definisce la propria identità, èil simbolo tangibile, il volto dellasocietà nella sua componente ur-banistica e sociologica. Mura econfini che filtrano il mondo nonbastano però a definire cosa sia lacittà nella sua complessità. Unadomanda che gli autori di Cittàamata e abitata si pongono in di-versi modi, cercando di indagare ilvolto, l’anima e il destino, parafra-sando Giorgio La Pira, del più pe-culiare luogo sociale umano. Loscopo è di ricollocare al centrodella città, intesa come luogo idea-le del vivere civile, l’agire respon-sabile del cittadino, a partire daicredenti cristiani. I nove contributi, anticipati dal-l’introduzione del vescovo Giu-seppe Zenti, raccolgono gli inter-venti di altrettanti docenti e sacer-doti della diocesi veronese, chehanno percorso insieme un cam-mino di analisi e confronto sul te-ma dell’abitare la città.Frutto di analisi che radicano an-che nella Sacra Scrittura, il librosottolinea quanto si sia trasforma-to nei secoli il modo di vivere lacittà e la relativa mutazione delconcetto di cittadino. Così NicolaAgnoli, nel contributo che dà il ti-tolo al testo, evidenzia quanto nel-la Bibbia il popolo di Israele, nellasua lunga peregrinazione, sia lega-to al deserto, luogo in cui si rivelala Parola e si compie un camminodi elevazione. La città, dove domi-nano gli idoli, spazio tragicoquanto lo sarà Babele, è dominatadall’arroganza religiosa e politica,finché non sarà Davide a stabilirein Gerusalemme la capitale delsuo regno e collocarvi l’arca diDio. La giustizia quindi è l’archi-trave della nuova città, “in cui gliuomini vivono l’organizzazionemateriale come riflesso di quella

spirituale” e rendono “pienamen-te umana la vita delle persone, inparticolare dei deboli della societàdi oggi”. Posti i pilastri ideali affinché l’uo-mo edifichi non solo uno spazio,ma un modello sociale giusto, af-fondando le radici nella rivoluzio-ne cristiana, gli interventi che se-guono pongono interrogativi im-pellenti per l’oggi. Nota infattiGianattilio Bonifacio che “la cittàper rimanere casa accogliente habisogno di profeti. Di uomini edonne che facciano breccia nellemura mentali” e che “la provviso-

rietà non è una iattura, ma la fontedi quel movimento che ci permet-te di mantenere la città nell’equili-brio tra protezione e apertura”.Una dinamica che oggi è resa fragi-le da spinte ideologiche che sepa-rano sempre di più i vari strati del-la società, elevando muri di cintaattorno a una cerchia privilegiata(che sia per censo o per diritto dicittadinanza, appunto) per pro-teggerla, anche solo mentalmente,dal resto della popolazione.Anche i mutamenti urbanisticiraccontano quanto i cittadini sia-no stati progressivamente spode-stati dalla loro centralità, mentregli interessi speculativi stanno tra-sformato i luoghi di tutti in salottiper pochi, sfrattando l’anima del-la città dal cuore dei suoi abitanti.La deprivazione dell’anima, di cuiscrive Roberto Vinco, è una dellecause dell’invivibilità della città,in cui sperimentare la convivenzaè sempre più difficile e lo slogan“padroni a casa nostra” spezzaogni possibile ponte tra personediverse. L’oggi chiede invece che si costrui-scano relazioni per il bene comu-ne, perché vivere nelle differenzeè arte da apprendere urgente-mente, se si desidera una realtàpacifica e costruttiva. Un compi-to che il curatore del libro EzioFalavegna, parroco della pieve deiSanti Apostoli, attribuisce innan-zitutto alla comunità cristiana,che se è capace di accogliere le di-versità e le difficoltà, non pone fi-ne alle contraddizioni della cittàrispondendo ai bisogni inevasi,ma piuttosto “si mette dentro lecontraddizioni e le illumina conla luce del Vangelo”, e riporta lesingole persone a superare lapaura e a pensarsi comunità. Unappello che si ritrova in chiusuradel testo, con il ricordo di Mariadi Carlo Vinco. Una donna sola,che nemmeno la rete della par-rocchia è riuscita a raggiungere.Serve una nuova cultura della fi-ducia, perché la solitudine nondiventi isolamento e vivere la cit-tà non si limiti a un passare ottu-so tra un silenzio esistenziale el’altro.

Anche i mutamenti urbanisticiraccontano quanto i cittadini sianostati spodestati dalla loro centralità,

mentre gli interessi speculativi hannotrasformato i luoghi di tutti in salotti

per pochi, sfrattando l’anima dellacittà dal cuore dei suoi abitanti

Città amatae abitata

I nove contributi,anticipati

dall’introduzione delvescovo Giuseppe Zenti,raccolgono gli interventidi altrettanti docenti esacerdoti della diocesiveronese, che hannopercorso insieme uncammino di analisi e confronto sul temadell’abitare la città

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di Stefano Vicentini

Sguardi di speranza per un impegno solidale.Maria Bertilla Franchetti Gabrielli Editori

E qual è quei che volontieri acquista,/ e giugne ‘l tempo che perder lo face,/ che ‘n tutti suoi pensier piange es’attrista: questa terzina di Dante,nel I canto della Divina Commedia,ben descrive l’esatto contrario diquello che l’uomo dovrebbe chie-dere a se stesso. L’avaro è colui che“volontieri acquista”, ossia è fermonella volontà di accaparrarsi qual-cosa che evidentemente piace almomento ma, di fatto, non dura neltempo (denaro? potere? fama?)perché instabile, effimero, tutt’altroche soddisfacente: nel lungo termi-ne si perde e comporta una cocentefrustrazione. Differente da questo status è la cul-tura della generosità, la gratifica-zione che proviene dal donare inmodo disinteressato e gratuito, conopere di solidarietà a vario titoloverso il prossimo. Centinaia di as-sociazioni, religiose e laiche, unite asingoli e gruppi spontanei di volon-tariato nel veronese testimonianoche esiste una profonda coscienzache si traduce in quotidiana silen-ziosa attività di aiuto. Il volontaria-to mal sopporta l’idea di consuma-re energie e tempo, chiedere per ot-tenere, calcolare per tornacontopersonale; li sostituisce con donaresenza chiedere in cambio, accoglie-re indistintamente, liberare energiepositive, in una prospettiva duratu-ra di appagamento. Di recente si è tenuto un incontro,nella sala convegni Unicredit , orga-nizzato dall’associazione Fevoss,che si occupa di servizi di sostegnonell’ambito socio-sanitario, dal ti-tolo “Il giovanile impegno del mo-derno volontariato: dalle radici cri-stiane all’Europa multietnica”.

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Cultura/lib riMaria Bertilla Franchetti, che dirige la rivista Filofevoss, ha raccolto in un librogli editoriali del bimestrale creando una sorta di vademecum del volontariato

Sguardi di speranzaOspite è stato l’ex vicedirettore delCorriere della Sera, oggi europarla-mentare, Magdi Cristiano Allam,che ha analizzato le motivazioniche spingono alla missione del vo-lontariato, fondata sul primato divalori non negoziabili e sulla cer-tezza delle regole. Una voce compe-tente che ha avvalorato il camminoeducativo, civile ed etico di tutte lerealtà che operano nella nostra pro-vincia per il bene comune. L’occasione è stata data dalla pre-sentazione del libro Sguardi di spe-ranza per un impegno solidale diun’insegnante e giornalista verone-se, Maria Bertilla Franchetti, che di-rige da anni la rivista Filofevoss. Haraccolto gli editoriali del bimestralecreando una sorta di vademecum,prezioso e completo, che il volonta-rio dovrebbe sempre tenere presen-te per dare linfa al suo cammino. Vale la pena di soffermarsi su alcu-ni passaggi che intrecciano rifles-sioni dell’oggi di ampia condivi-sione con pensieri tratti dai grandidel passato, ma anche da gente co-mune che ha vissuto azioni di si-lenziosa santità. Si può ricostruire,per esempio, un sillabario sugli at-teggiamenti fondamentali da assu-mere. Sulla coscienza: “Perno, es-senziale e inderogabile, rimane l’a-scolto delle proprie intenzioni: siaper non rifuggire il desiderio diesprimere coraggiosamente dellescelte, sia per non abdicare mai al-l’onda pulita e vigorosa che si levadal mare delle condivise (e interio-rizzate) tensioni ideali. Ogni slan-cio è cieco se privo d’amore”. Sulservizio: “Il mondo del volontaria-to funge da palestra per il supera-mento di tanta pigrizia fisica, mo-rale e anche intellettuale. Qui l’a-more parla il linguaggio della quo-tidianità, evita i ranghi della retori-ca, diventa espressione di fedeltà asé, agli altri, al servizio”. Sul dialo-go: “È parola d’ordine, per il supe-ramento di stereotipi, pregiudizi,

punti di vista unilaterali. La mono-cultura è condannata alla stagna-zione, mentre la cultura polidi-mensionale crea menti dinamiche,processuali, aperte al cambiamen-to. L’incontro tra culture diverse ri-chiede di interrogare l’esistente, diallargare la visuale, di riflettere sul-la percezione dei gruppi etnici mi-noritari e dei miti legati al gruppomaggioritario. Bisogna attuare unanuova progettualità”. Sulla gratui-tà: “È l’elemento caratterizzantel’agire volontario, e lo distinguedalle altre forme di impegno civilee da quello delle diverse compo-nenti del Terzo Settore. Significaassenza di guadagno economico,ma anche assenza di rendita di po-sizione, allontanamento da ognipotere, mancanza di vantaggi di-retti e indiretti. È testimonianza dilibertà rispetto alle logiche dell’uti-litarismo e dell’assolutizzazionedel profitto”. Sulla perseveranza: “Ivolontari affrontano una sfidaquotidiana in proposito, mentretacitamente rievocano le ragionidel loro operare e si dispongono anon lasciarsi abbattere dagli inevi-tabili momenti di stanchezza. È lafedeltà, quale ostinato affetto per ivalori, che riesce a vincere il timoredel risultato parziale o non perfet-tamente raggiunto”. Sulla solida-rietà: “Il termine solidarietà derivada solidale o solidario; entrambi gliaggettivi nascono da solido, vale adire intero, compatto, massiccio,senza cavità o vuoti esterni. Daquesta base si hanno accezioni nel-la fisica, nel diritto e nella sociolo-gia. Per estensione ricaviamo il si-gnificato di fratellanza, coesione,reciprocità: solidarietà-comunica-zione, solidarietà-travaso, solida-rietà-complementarietà. Sonotante le indagini che si possono ef-fettuare”. Sul silenzio: “Volontari,figli del silenzio. Sembra un para-dosso. Il silenzio come lusso dellerealtà alte, come disintossicazione

Centinaia di associazioni,

religiose e laichetestimoniano che esiste

una profondacoscienza che si

traduce in quotidianae silenziosa attività

di aiuto

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Cultura

di Cinzia Inguanta

Matteo Spiazzi è un giovane artistaveronese diplomato un anno fa al-l’Accademia d’Arte drammatica“Nico Pepe” di Udine. È appena ri-entrato in Italia dopo una tournéein Ecuador. Matteo fa parte dellaCompagnia teatrale internazionaleRuga Planet, nata a Milano nel2009, che porta nei teatri del mon-do uno spettacolo didattico am-bientalista con protagonisti gli ani-mali in via di estinzione delle IsoleGalapagos. La prima a Milano, poilo spettacolo continua in Ecuadorin un programma televisivo sullafalsa riga del nostro Telethon, fina-lizzato però alla salvaguardia del-l’ambiente. Lo spettacolo è statoreplicato in varie piazze del Paese.Il giovane artista parla con entusia-smo di questa esperienza che lo havisto impegnato insieme ad altriquattordici attori di ben cinquenazionalità: italiani, ecuadoriani,un peruviano, un ivoriano e la can-

tante lirica statunitense BarbaraPost, autrice delle musiche. Matteodurante il periodo in cui si è ferma-to a Quito ha conosciuto RosarioArnone, addetto alla cultura pressol’ambasciata italiana: «Con Arno-ne sono riuscito a organizzare unseminario sulla commedia dell’ar-te, all’Università centrale di Quito,nel dipartimento di Teatro, il corri-spettivo della nostra Accademianazionale d’Arte drammatica–racconta Matteo –. È stato un lavo-ro straordinario e molto interes-sante, prima di tutto perché gli stu-denti che non conoscevano lacommedia dell’arte, pur avendogià realizzato lavori in maschera, sisono innamorati di questo gene-re». Matteo per questo ha avuto ungrande riconoscimento da parte ditutti gli addetti, compreso quello diJorge Matteus, il direttore del di-partimento d’arte. Appena rientra-to in Italia, a Verona, è già coinvoltoin un nuovo progetto. Il lavoro, na-to in collaborazione con il comita-

to di Simeon de l’Isolo, e appoggia-to dalla prima circoscrizione, è in-centrato sulla valorizzazione diuna figura del patrimonio carne-valesco cittadino, Simeon de l’Iso-lo, personaggio realmente esistitoche rappresenta il capo degli zatte-rieri, che portavano il legname dalTrentino a Verona. Il recupero diquesta maschera è avvenuto neglianni ’70 e Spiazzi con il suo grup-po, sta creando questo personaggioper la commedia dell’arte, lavoran-do in particolar modo all’invenzio-ne della sua maschera, che è quelladi un animale d’acqua, un pesce oun’anguilla.Il canovaccio dello spettacolo è ret-to da quattro attori professionisti eda giovani attori diplomati in varieaccademie: Spiazzi è il regista-au-tore e interprete nelle vesti di Pan-talone. La pièce andata in scena il 10gennaio, per la celebrazione del-l’incoronazione del Simeon de l’I-solo al Teatro Camploy, è stata re-plicata durante tutto il carnevale.

da eccessiva immagine di sé e daicalcoli che troppo spesso assopi-scono le voci più indomite deibisogni più autentici, come “ri-schio” di assegnare profilo emaggior consistenza agli altri,come possibilità estasiante dicontemplazione dei valori, enon certo come solitudine avvi-lita dalle ombre della notte, co-me rappacificazione con l’uni-verso e il suo tesoro profondo(che è dono per tutti), come de-siderio di stabilire un patto affet-tuoso tra l’oggi e il domani”. In-sieme a queste riflessioni unacostellazione di aforismi, tra cui“amare significa rivelare all’altrola sua bellezza” (Bianchi); se nonsi amano gli uomini, non si puòlottare per loro” (Sartre); “se siama non si fatica e, se c’è la fati-ca, la stessa fatica è amata” (S.Agostino); “Non c’è nulla di piùterrificante per un uomo dellatotale indifferenza di un altrouomo per lui” (Mandel’stam);“fondamentalmente, la vita èsemplice. La complica solo lastruttura umana quando è ca-ratterizzata dalla paura di vive-re” (Reich); “senza entusiasmonon si è mai compiuto niente digrande” (Emerson); “chi bada alvento non semina e chi osservale nuvole non miete” (Qohelet);“se fai il bene, ti attribuirannosecondi fini egoistici. Non im-porta, fà il bene” (Madre Teresa);“l’unico modo di conosceredavvero i problemi è accostarsi aquanti vivono quei problemi etrarre da essi, da quello scambio,le conclusioni” (Che Guevara). Nella prefazione Magdi Cristia-no Allam ha sottolineato che “ilvolontariato è lo strumento ot-timale per la trasmissione dellacultura della partecipazione,pietra miliare per l’affermazio-ne di un modello di convivenzasociale a misura d’uomo”. Dal-l’io al noi è l’obiettivo, nonprovvisorio e buonista, ma sin-cero per diventare stile di vita. Ingioco c’è la costruzione di unacivitas, definita nel libro “piazzadella cittadinanza consapevole,confronto di progetti operativi,non di formule né di slogan, sfi-da di un nuovo rapporto con leistituzioni. Al volontario è ri-chiesto di “scendere in campo”da autentico protagonista.

Matteo Spiazzi fa parte della Compagnia teatraleinternazionale Ruga Planet, nata a Milano nel 2009

Ha portato in Ecuadorla commedia dell’arte

Il giovane artista veroneserecita nei teatri del mondoin uno spettacolo didattico

ambientalista conprotagonisti gli animali

in via di estinzione

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L’ENERGIA DI VERONA

PER I VERONESI

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Territo rio

di Aldo Ridolfi

Sono sparite anche le residuescritte fatte, sui muri del paese,con un grosso pennello intinto inun capiente secchio di calce. “Vivail 1946, W il 1947” recitavano, ac-compagnate da altre formulesemplicissime ed essenziali. Graf-fitari ante litteram, i giovani di-ciottenni post bellici hanno por-tato avanti, fino al tramonto avve-nuto alla fine degli anni Sessanta,la vecchia tradizione dei “coscrit-ti”. Le ultime “classi” che si sonopermesse il lusso di celebrare, se-condo tradizione, la “festa dei co-scritti” sono state quelle nate at-torno al 1950, anno più anno me-no. Dopo, è calato lentamente il

stematiti in modo da formare, al-l’interno, una spaziosa galleria.Ciò rendeva impossibile, da fuori,vedere che cosa accadeva dentro il“carro”. Se ne doveva ammirareperò la decorazione: innanzituttola lunga coda, la coa del caro, ope-ra di abile ingegneria paesana efrutto di astuzie tecniche e diesperienze a lungo tramandate;poi c’erano le bandierine tricolorifissate a lunghi spaghi che girava-no attorno a tutta la complessaimpalcatura e infine, ovviamente,a caratteri cubitali: «Viva la clas-se…». L’anno di nascita diventavafeticcio da portare ovunque intrionfo: sul “carro”, con decine edecine di manifestini incollati suimuri; mediante scritte a pennelloimpregnato nella calce. All’inter-no del “carro” canti e goti a tuttospiano: la sbornia era assicurata,gli astemi avevano vita dura emantenersi indenni dall’alcooldiventava impresa disperata. Maqualcuno ci riusciva sempre, peròdoveva sopportare la bonaria iro-nia dei suoi amici per mesi, peranni. Gli strumenti musicali piùdiffusi erano la fisarmonica e, piùtardi, la chitarra; i poveracci chesapevano suonarli erano precet-tati per tutta la durata della mani-festazione che nei casi più malau-gurati poteva durare anche unasettimana. Ma riuscivano an-ch’essi, potete giurarci, a raggiun-gere la damigiana collocata suuna bala de paja all’interno del“carro”, e scolarsi abbondanti gotidi “nero” o di “bianco”.I giovanotti erano vestiti per be-nino, qualcuno indossava la cra-vatta, l’unica che si trovava nellostriminzito guardaroba, qualche

sipario. Ma vediamo più da vicinodi che cosa si trattava.Ricostruiamo l’atmosfera assie-me a Giorgio Pirana, di Cologno-la ai Colli, regista di numerosi do-cumentari sulla Lessinia e testi-mone vivace e attento di queglianni. Egli ci racconta del “carro”allestito ogni anno dai coscritti, iragazzi di 18 anni, in coincidenzacon la chiamata al servizio milita-re. Il “carro” era effettivamente uncarro agricolo. Dopo la guerra ve-niva trainato dai trattori ma pri-ma erano i buoi a fornire la forzamotrice. Il pianale del carro fun-geva da piattaforma su cui innal-zare un baldacchino fatto di can-ne di bambù, in dialetto canaro-che, e rami di abete e ginepro si-

TRADIZIONI

La festa dei CoscrittiUna cerimonia di iniziazione al mondo degli adulti con significati profondi

e simbolici. Un importante avvenimento della comunità contadina, una verifica– che avveniva attraverso la visita di leva – dello stato di salute del giovane

Ogni anno i coscritti, i ragazzi che avevano

compiuti i 18 anni di età, allestivano il

“carro” in coincidenzacon la chiamata al

servizio militare. Dopo la guerra veniva

trainato dai trattorima prima erano i buoi

a fornire la forzamotrice

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Territo rio

altro uno strano doppiopetto as-solutamente fuori luogo. Al collol’immancabile foulard tricoloreche ripeteva il ritornello, “W il…”, ma sul quale facevano anchecapolino immagini di ragazzeprosperose e sorridenti. Anche icopricapo, pur non essendo ob-bligatori, dovevano rispondere adalcuni requisiti: o erano costituitidai cappelli da alpin rinvenuti incasa propria o di amici, o da sin-golari baschetti che ricordavano isoldati alleati.Il carro, con a bordo quella follavociante e allegra, si spostava nel

paese, raggiungeva le frazioni, tal-volta si avventurava nei comunivicini: viaggi avventurosi, ricchidi incognite e aspettative, rispettoai quali volare oggi a Sharm el-Sheikh diventa una banalità. C’era un grande cameratismo. Siera, a questo proposito, coniataun’espressione oggi certamentein disuso o addirittura scompar-sa. Dopo quelle fatidiche giornateci si salutava dicendo «Ciao clase»,a sottolineare il legame privilegia-to che univa i giovani che avevanocelebrato assieme la festa dei co-scritti. Oppure ancora lo spirito

di corpo si esprimeva nell’espres-sione «L’è de la me clase» e ciò ga-rantiva sulla serietà o sulle abilitàdella persona in questione. Era unvincolo di amicizia che duravatutta una vita e che veniva raffor-zato periodicamente grazie al-l’annuale festa della classe che iprotagonisti di quell’evento por-tavano avanti con costanza. An-cora oggi, con un’anagrafe che ve-leggia attorno ai sessanta-settantao più anni, è costume ritrovarsiper la cosiddetta “Festa della clas-se” e da tempo la partecipazione èstata allargata anche al sesso fem-

Era un vincolo di amicizia che durava

tutta una vita e cheveniva rafforzato

periodicamente grazieall’annuale festa della

classe, che iprotagonisti di

quell’eventoportavano avanti

con costanza

Nello Stato unitario la questione della leva obbli-gatoria produsse una fitta giurisprudenza nel cuiambito è importante la legge n° 2532 emanata 7giugno 1875 da «Vittorio Emanale II per grazia diDio e volontà della nazione Re d’Italia». L’artico-lo 1 illustrava immediatamente il senso della dis-posizione: “I cittadini dello Stato, che concorronoalla leva di terra, riconosciuti idonei alle armi enon colpiti dalla esclusione a termine della legge or-ganica sul reclutamento dell’esercito, in data 20marzo 1854, sono personalmente obbligati al servi-zio militare dal tempo della leva della classe rispet-tiva sino al 31 dicembre dell’anno nel quale compi-ranno il 39° anno di età. Raggiunta questa età, ces-sa qualsiasi obbligo al servizio militare, salvo per gliufficiali…”.

Per “legge organica”, cui fa riferimento l’articoloappena citato, s’intende la legge Lamarmora del20 marzo 1854. Tale legge era composta di ben188 articoli e al n° 4 contemplava il seguente sem-plicissimo dovere: “Tutti i cittadini dello Stato so-no soggetti alla Leva”.Essa operava tutta una serie di distinzioni e dis-posizioni, tra queste decretava la nascita dellaMilizia provinciale:“È istituita una milizia provinciale, destinata a so-stegno dell’esercito attivo in tempo di guerra, e piùparticolarmente a concorrere con esso nella difesainterna dello Stato. Essa non è chiamata alle armiin tempo di pace se non che temporariamente per lasua istruzione, ovvero anche per ragione d’ordine edi sicurezza pubblica.”

La visita di leva e le leggi del 1800

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Giornale di attualità e cultura

DirettoreGiorgio Montolli

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Chiuso in redazione il 08/03/2012

VERONA

Marzo 201230

Territo rio

DIRITTO DI RETTIFICAL’art. 8 della legge sulla stampa47/1948 stabilisce che “Il direttoreo, comunque, il responsabile è te-nuto a fare inserire gratuitamentenel quotidiano o nel periodico onell'agenzia di stampa le dichia-razioni o le rettifiche dei soggettidi cui siano state pubblicate im-magini od ai quali siano stati attri-buiti atti o pensieri o affermazionida essi ritenuti lesivi della loro di-gnità o contrari a verità, purché ledichiarazioni o le rettifiche nonabbiano contenuto suscettibile diincriminazione penale”.

STUDIOeDITORIALEGiorgio Montoll i

I “coscritti” nella letteraturaCarlo Sgorlon, nelle pagineiniziali del suo primo ro-manzo, con il quale inaugu-ra un amore per la sua terrae le sue tradizioni che dureràtutta una vita, racconta dei“coscritti” quando la tradi-zionale festa non era ancoraspenta. (Carlo Sgorlon, Ilvento nel vigneto, 1960, maristampato da Gremese edi-tore nel 2006).Eliseo, il protagonista dellastoria, saldato il suo debitocon la giustizia, entra nelpaesino di Treppo: “I murierano zeppi di scritte a calce,“VIVA IL ’39, VIVA LACLASSE DI FERRO”. C’era-no anche manifestini tricolo-ri incollati dappertutto. Eli-seo entrò in un locale pieno dicoscritti che facevano cagna-ra seduti attorno ai tavolini,sopra di essi e perfino sul ban-cone. Avevano già scolato pa-recchi boccali e cantavano eurlavano come matti.L’oste da dietro il banco liguardava preoccupato e cer-cava di calmarli con le buone,senza urtare la loro suscetti-bilità, per paura che si ecci-tassero di più e rompesseroqualcosa”.

minile, rigorosamente esclusodalla festa dei “coscritti” che era atutti gli effetti una cerimonia diiniziazione maschile al mondodegli adulti. La festa della classe,peraltro, in provincia, è annual-mente celebrata anche oggi daigiovani venti-trentenni, ma ha lafunzione di rinverdire rapportinati sui banchi di scuola; invece latradizione dei coscritti, nel sensosopra descritto, è sconosciuta aqueste fasce d’età.La festa dei coscritti esprimeva si-gnificati profondi e simbolici. Eraun importante avvenimento dellacomunità contadina, un rito dipassaggio all’età adulta, una “ve-rifica” – che avveniva attraverso la“visita di leva” – dello stato di sa-lute del giovane. Nella prospettivadel passaggio era concepita anchela visita al bordello cittadino, mail costume non aveva, almeno ne-gli anni post bellici, il caratteredell’obbligatorietà. In occasionedella festa si tolleravano le nume-rose intemperanze dei compo-nenti il “carro”, ben riassunte inalcune espressioni popolari oggianch’esse scomparse. Si diceva: «Iè da Dio mandè», forse alludendoalle piaghe mandate da Dio agliegiziani; oppure si diceva ancheche «I ghe ne fa pèso de Bertoldo o

pèso de Nineta», alludendo, questavolta, a due personaggi famosi perfurberie, scherzi e brigantaggi.Sempre, però, in tono ironico etollerante. Il tutto, infatti, comebene esprime l’idea Gian LuigiBravo (in Cibo, gioco, festa, moda,a cura di C. Petrini e U. Volli, Utet2009), un antropologo che studiala tradizione popolare, era “ri-tualmente concesso”.L’evoluzione culturale e socialesuccessiva ha portato alla scom-parsa della festa dei coscritti perdiverse ragioni. Giusto per pro-porre qualche idea, ricordiamoche il Sessantotto ha maturatouna vivace coscienza antimilitari-sta con la conseguente perdita delvalore riconosciuto alle armi, allaguerra e alla patria intesa cometerritorio da difendere da semprepossibili nemici; così s’affrettava iltramonto della tradizione. L’arri-vo, poi, anche in campagna, dellaproduzione industriale con i suoitempi e ritmi ben definiti ha toltoossigeno ai giovani che non pote-vano più contare su una settimanadi informale libertà dal lavoro.Perciò la festa si è ridotta prima alsolo fine settimana e poi è scom-parsa. Oggi, dopo la legge Martinoche sospende il servizio di leva,non ha più ragione di essere.

La festa si è ridottaprima al solo finesettimana e poi è

scomparsa. Oggi, dopo la legge Martino chesospende il servizio di leva, non ha più

ragione di essere

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