Verga - Saggi e articoli di Italiano e storia 2010/2011 · PDF filePerché i Siciliani...

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Una presentazione di Fabio Gabetta Verga

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Una presentazione di Fabio

Gabetta

Verga

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Dati biografici

Nasce a Catania nel 1840 da una famiglia nobi-

liare da parte paterna e da una famiglia borghe

se per parte materna;

Studia a Catania. Si iscrive alla facoltà di legge,

ma sembra che la passione politica sia forte: il

sentimento di rinnovamento rappresentato

dalla Spedizione dei Mille di Garibaldi lo portano ad

altra direzione, nel suo percorso di futuro intellet-

tuale.

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Perché i Siciliani temevano il cambia

mento?

Si può sostenere che il ventenne Verga non temesse il progresso rappresentato dallo sbarco dei Garibaldini. D’altronde, in Sicilia si ricercava un forte cambiamento, dinanzi alle usurpazioni borboniche. Il Regno delle due Sicilie era come diviso fra chi intendeva evitare ogni trasformazione e ogni progresso e chi, invece, attendeva di ottenere maggiore libertà.

I Siciliani che temevano il cambiamento erano i conservatori, proprietari dei grandi latifondi che si estendevano in tutto il Meridione. Assenza di industrie e arretratezza culturale impedivano il dilagare di nuove idee, più aperte e libertarie: solo la borghesia poteva aspirare a ottenere dei vantaggi da una possibile unificazione nazionale.

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Rivoluzione industriale

La centralità della macchina che sostituisce la forza delle braccia, dell’energia umana o animale.

In Sicilia non esiste, dunque, l’industrializzazione. L’economia era agricolo – feudale.

Feudo di nobili e clero, grandi proprietari terrieri «dal sangue blu».

Il feudalesimo era un mondo di privilegi, non di diritti. Si era sudditi, non cittadini.

Il contadino era servo della gleba (la terra, la pro-

prietà del nobile).

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Il progresso fa paura. Ma il progresso non può rimanere al di fuori delle porte. In qualche modo,

il mondo siciliano inizia ad avere paura quando giungono i segni del progresso.

Con l’arrivo della Spedizione dei Mille, si rom pe l’equilibrio in Sicilia: il mon

do piemontese è più progredito di quello siciliano, perché patria del Risorgi

mento.

«Il Sud prospero venne saccheggiato delle sue ricchezze e delle sue leggi; venne

immolato alla causa nazionale; venne immolato alla massoneria che da Londra

dirigeva e stabiliva il nuovo assetto mondiale. Il Regno delle Due Sicilie, uni

co stato libero ed indipendente da influenze straniere, fu dato in pasto agli

affamati piemontesi», scrive un analista dei nostri giorni (http://www.veja.it)

Questa opinione indica che i Siciliani rivoltosi erano di numero de

cisamente più basso di chi si opponeva all’unificazione italiana. In

somma, Verga e parte della borghesia sperava di uscire da una

situazione di inferiorità, ma la maggior parte temeva di perdere im

portanti certezze, dopo lo sbarco di Garibaldi.

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Giovanni Verga

Dalla sua Catania si sposta a Milano.

Famiglia benestante borghese terriera.

Studia legge, ma capisce di non amare questi studi. Vorrebbe fare lo scrittore.

Frequenta gli ambienti letterari catanesi: conosce intellettuali, ma a Catania c’è ancora una cultura piuttosto chiusa.

Giornalista: scrive secondo stile degli scrittori dell’epoca. Scrive un romanzo patriottico (I Carbonari della Montagna) che non ha successo.

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1861: L’Italia unificata

L’unità d’Italia permette a Verga di concepire l’i

dea di spostarsi altrove, a Milano.

A Milano si leggevano i poeti maledetti frances

i. In Francia si iniziava il dilagarsi, in letteratura,

di un forte erotismo.

A Milano esisteva una frangia intellettuale di «

ribelli» che, in segno di disprezzo, erano chiam

ati «scapigliati»

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Il Verga scapigliato.

Gli scapigliati reagiscono al modello del romanzo storico, «inventato» da Manzoni.

Sperimentalismo abolito il narratore onnisciente manzoniano.

Il modello manzoniano, dopo l’unificazione, era superato.

Verga aveva scritto, abbiamo detto, due romanzi risorgimentali di nessun successo. Scrivere nello stile manzoniano è solo un esercizio di bella scrittura.

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Milano, la patria della Scapigliatura

Dinanzi a una cultura stagnante di gran parte d’Italia, a Milano Verga trova un ambiente moderno e dinamico.

I nuovi modi di scrivere sono nati Oltralpe, in Francia, a Parigi.

A Parigi, come a Milano, si predicava la comunione fra le varie arti (musica, pittura, scultura, scrittura). Non si possono separare le varie forme di espressione dell’uomo, che deve vivere una rivoluzione capace di superare il sentimentalismo.

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La Scapigliatura milanese

Tra la metà del XVIII (18°) secolo e la procla-mazione dell’unità nazionale, Milano è l’epicen-tro delle correnti culturali più significative.

Il movimento della Scapigliatura nasce e si sviluppa a Milano nel ventennio successivo all’unità. E non a caso. La dimensione urbana rende infatti massimamente percepibile l’urto tra la modernità economica e il mondo degli intellettuali. Insomma, l’Unità non porta ai cambiamenti sperati.

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Giovani intellettuali delusi e sfiduciati

Il termine «Scapigliatura» venne impiegato per la prima volta da Cletto Arrighi - pseudonimo di Carlo Righetti - come traduzione del francese «Bohème» in un romanzo apparso nel 1858: La Scapigliatura e il 6 febbraio. L’autore, importante figura d’organizzatore culturale nella Milano del secondo Ottocento, traccia il ritratto di una generazione: giovani tra i venti e i trentacinque anni nutriti di ideali e amareggiati dall’aver capito che con l’Unità i problemi degli italiani non sono scomparsi, ma solo accresciuti.