Venticinque anni di Teatro Classico a Chioggia · dedicati al teatro classico dal Liceo...

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Venticinque anni di Teatro Classico a Chioggia a cura di Roberto Vianello e Maurizio Sfriso I.I.S. “Giuseppe Veronese”

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Venticinque anni di Teatro Classico

a Chioggia

a cura di Roberto Vianello e Maurizio Sfriso

I.I.S. “Giuseppe Veronese”

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Il Presidente Boscolo Angelo Sesillo

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La Fondazione della Comunità Clodiense, in-tendendo perseguire i suoi obiettivi primaridi incentivazione e sostegno di iniziative atteallo sviluppo economico-sociale e culturaledella Comunità locale, finora ha sempre cer-cato di assecondare con particolare vicinanzae interesse quelle iniziative nate dal mondodei giovani ed in particolare della scuola. Nell’ambito dei bandi promossi dalla Fonda-zione per progetti di utilità sociale e cultu-rale, numerosi sono stati i temi proposti dascuole di diverso livello che sono stati giudi-cati di reale interesse, e pertanto gratificatidella nostra compartecipazione al progetto e,pertanto, sostenuti con l’erogazione di con-tributi in misura compatibile con le risorsedisponibili. Nel caso specifico della ricorrenza dei 25 annidedicati al teatro classico dal Liceo “Vero-nese” di Chioggia, il progetto di predisporrela pubblicazione di un libro, che espressa-mente raccolga in immagini e scritti il sensoprofondo dell’attività svolta nel corso deglianni insieme da studenti e corpo insegnante,non poteva che essere accolto con particolarefavore da me personalmente e dalla Fonda-zione della Comunità Clodiense tutta. È indubbio che questa iniziativa va innanzi-

tutto a cogliere il meritorio obiettivo di cre-scita culturale e partecipativa dell’intera Co-munità locale, in quanto dà continuità edattualità ad un teatro classico che per le suecaratteristiche presenta peculiarità di lin-guaggio, espressione e tematiche che conti-nuano ancor oggi ad essere considerate allabase della cultura europea. Inoltre appare sicuramente importante il ca-rattere identitario del Liceo “Veronese” cherisulta emergere dalla scelta fatta ben 25 annifa di allestire ogni anno una rappresentazioneteatrale che, proprio per le complesse caratte-ristiche tematiche, sceniche ed organizzative,non risulta sicuramente né di facile né disemplice esecuzione. Che questo specifico carattere identitario, pe-raltro largamente riconosciuto in città, troviun riscontro di analisi e sintesi in un libroappositamente dedicato al teatro classico rap-presentato dal Liceo “Veronese” non può cheessere per la Fondazione della Comunità Clo-diense un’importante occasione per riaffer-mare la partecipazione e condivisione di unevento destinato a consolidare e verificareun’iniziativa che si presenta per la sua origi-nalità come unica per Chioggia.

Prefazione

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Proporre delle riflessioni che servano da pre-sentazione a un libro come questo è impresaassai ardua: sono qui raccolti venticinqueanni di impegno di docenti della scuola, ditanti amici che ci hanno aiutato e soprattuttodi studenti, di venticinque annate di alunnidi terza classico che, anno dopo anno, hannoimpiegato il loro tempo per la rappresenta-zione della tragedia che stavano leggendo inclasse (tanto tempo, e soprattutto prezioso,nel loro ultimo anno di scuola, con l’esamealle porte).Per questo abbiamo deciso di scriverla in duequesta prefazione (chi ha guidato la scuolanegli anni della nascita e poi della matura-zione di questa impresa e chi la sta guidandoora, negli anni di questo venticinquesimo an-niversario), consapevoli della difficoltà di ab-bracciare e raccogliere con le nostre paroletutta la ricchezza qui contenuta.È ovvio che ciascuno di noi, sfogliando il vo-lume ormai in bozze, avrebbe le sue proprieriflessioni da proporre, i suoi propri ricordi:gli anni dell’avvio del progetto, i protagonistidi allora, gli attori di quelle prime rappresen-tazioni (alcune veramente memorabili), lafatica di rendere stabile, annuale la rappre-sentazione teatrale (addirittura con l’idea di

dar vita a un “Centro Studi per il TeatroClassico”) avrebbero bisogno di pagine e pa-gine per essere raccontati dal primo di noi;necessiterebbero invece di minor spazio lastoria recente della celebrazione del venticin-quesimo, le novità di questi ultimi anni e gliinterrogativi sul futuro che sono nel cuore delsecondo di noi.Ma nello spazio breve di questa introduzioneci limitiamo solo a esprimere la nostra soddi-sfazione nel vedere documentata in modo cosìelegante questa parte di storia della nostrascuola; siamo orgogliosi di questi venticinqueanni e di essere anche noi tra i protagonisti.Ci auguriamo che questo serva da stimolo pertutte le rappresentazioni teatrali che ver-ranno e per tutti i nostri alunni che salirannosul palcoscenico: perché una scuola cheguarda al futuro deve avere solide radici nelsuo passato e nella sua storia.

Mentre facciamo nostri i ringraziamenti a istituzioni,enti, banche già espressi nell’ultima sezione del vo-lume, vogliamo manifestare la nostra gratitudineanche ai due curatori, il prof. Roberto Vianello e ilprof. Maurizio Sfriso, senza il lungo lavoro e la pa-ziente precisione dei quali quest’opera non sarebbe maistata pubblicata.

Francesco Galera (preside dal 1980 al 2000)Luigi Zennaro (preside dal 2008 a oggi)

Presentazione

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Il teatro antico – quello greco in partico-lare – ci ha lasciato un patrimonio di sto-rie, di situazioni, di temi che ci parlanoancora dopo venticinque secoli. Si trattadi storie che « non avvennero mai, masono sempre » – direbbe Calasso, pren-dendo a prestito le parole di un antico1:storie, cioè, che hanno ancora qualcosada dirci, hanno sempre prospettive di ri-flessione da suggerirci. Queste storie restano costitutive dellanostra civiltà. E sono ovviamente parteimportante degli studi nei Licei Classici.Ma da un quarto di secolo sono diven-tate il centro di una attività speciale deglistudenti del nostro Classico, che non silimitano a studiarle, ma le fanno riviveresulla scena e le offrono alla riflessione deicompagni e della Città.Venticinque anni fa – un Giovedì mattina –andava in scena al teatro “Astra” diChioggia Edipo re, il dramma della scia-gurata indagine del re di Tebe, quale ci èstata tramandata da Sofocle. Erano ledieci del 12 giugno 1986 e gli studenti deltriennio del Classico facevano rivivere ilparricidio e l’incesto del nuovo re diTebe e la terribile, lenta presa di co-scienza della sua colpevolezza, come mais’era potuto vedere nella nostra città.Quella mattina accadeva qualcosa di in-solito per i nostri liceali. I versi greci,prima confinati nelle pagine dei libri discuola, prendevano vita; la vicenda nar-rata da quel testo, antico e difficile, per laprima volta si faceva davvero dramma,azione scenica, nel contesto più simile aquello per cui era stata pensata duemila-cinquecento anni prima. Si realizzava fi-

Venticinque anni di storia

Roberto Vianello

nalmente un’iniziativa volenterosa, tantevolte accarezzata. Una novità assolutaper gli studenti chioggiotti. L’inizio diqualcosa di nuovo anche per la Città,dove forse mai s’era potuto assistere allarappresentazione di una tragedia greca.Il prof. Crocco, che aveva ideato questomodo per noi nuovo di fare scuola, nonpensava – probabilmente – che la sua ini-ziativa si sarebbe imposta poi con l’evi-denza di una necessità. Non immaginavache gli studi classici a Chioggia avreb-bero finito per identificarsi con questaesperienza teatrale, per la quale anche cisi iscrive oggi al Liceo Classico. Eppureda allora ogni anno, per un anno intero,si è costantemente ripetuta l’esperienzafaticosa ed esaltante del dar vita a quelche si studia. Gli alunni hanno avuto ilcoraggio – e la bravura – di portare inscena la più difficile drammaturgia delpassato. Questa attività drammatica nonha certo sostituito lo studio dei testi, chegià prima si approfondivano. Ma vi si èaffiancata, via via, come strumento euri-stico alternativo, come mezzo per indivi-duare, per comprendere sul campo, ilsenso vero delle parole, delle battute,mettendone alla prova la pronunciabilitàe l’efficacia. Certo l’analisi, la considera-zione attenta di testo e contesto, possonobastare ad attingere quel significato.Altra cosa, però, è dargli corpo in scena,dargli vita. Lasciarlo emergere nel suo at-tuarsi drammatico, scoprirlo e renderlocompatibile con la situazione. Sia qui le-cito un solo esempio, tratto dall’espe-rienza dell’ultima rappresentazione.Durante le prove dell’Agamennone di Se-

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neca un’alunna ha improvvisamentecompreso da sola che l’intonazione, concui aveva sino ad allora pronunciato unabreve battuta, risultava fuori contesto. Ilmodo sfrontato, con cui aveva detto finoa quel momento « Concedimi di morire»al suo antagonista Egisto, le è apparsoimprovvisamente del tutto inadeguatoalla situazione, quale si stava svilup-pando nell’interazione col compagno.Quel che lo studio del testo, insomma,non aveva permesso ancora di interioriz-zare, veniva compreso a volo in situa-zione. Un risultato – ci pare – per nullatrascurabile nella sua apparente natura-lezza ed emblematico della nostra atti-vità teatrale, fin dall’inizio intesaall’intelligenza profonda dei testi antichi.Eppure risultati del genere, costitutividella ragion d’essere del laboratorio tea-trale, non esauriscono le sue molteplicipossibilità, rilevanti sul piano formativoe culturale, risultate evidenti da subito eben individuate dal prof. don Giu-liano Marangon nel libro dedicato al Cin-quantenario del Liceo “Veronese”2. Ilprofessore, a lungo animatore dell’atti-vità drammatica del Liceo, registra tra isuoi frutti meritori l’abitudine alla fe-deltà agli appuntamenti impegnativi,l’impegno a concretizzare la complemen-tarità nei ruoli della recitazione, l’acquisi-zione di un rigore mnemonico necessarioper il rispetto filologico del testo, lo svi-luppo di potenzialità individuali (pro-dursi in pubblico, tornire il linguaggio,diventare qualcuno interpretando unpersonaggio); e ancora il piacere di lavo-rare con i propri pari, la cura e lo svi-luppo di competenze trasversali, anchenon contemplate dalla normale attivitàdidattica (musica, danza, gestualità, or-toepia, manualità), la possibilità di tem-prare il carattere in prospettiva ottimistica.Nell’interazione tra giovani e adulti, in-somma, l’allestimento della tragedia

coinvolge abilità, sensibilità, creativitàdiverse, protese insieme al consegui-mento dell’obiettivo finale. È, da questopunto di vista, una grande scuola di vita.Gli studenti sono condotti a spendersi inprima persona nella soluzione dei pro-blemi più disparati e vedono in giocoidee, proposte, ipotesi di soluzione, risul-tati, fallimenti, necessità di alternative…Una macchina complessa di tentativi rei-terati per un’attività di soluzione di pro-blemi sul piano del fare. I giovani vipartecipano efficacemente e original-mente, secondo le loro attitudini e la lorodisponibilità a esigere da se stessi rigore,precisione, disciplina. Un esercizio pernulla trascurabile nella loro formazione.E una prima responsabilizzazione neiconfronti della collettività, una primavincente risposta alle attese del mondoadulto, capace di consolidare l’auto-stima, la consapevolezza delle propriepossibilità. Da quel 1986 ogni anno, perun anno intero – come dimostra la rico-struzione purtroppo qua e là lacunosadel presente libro – centinaia di studentidel Liceo Classico hanno dedicato pas-sione alla penetrazione, all’approfondi-mento dell’antico dramma studiato ascuola e hanno profuso tutte le loro ener-gie per renderlo godibile ai compagni eall’intera Cittadinanza, al cui giudizio sisono sottoposti con l’ovvia ansia, ma conla fiducia nella bontà del lungo lavorosvolto sotto la guida degli insegnanti edei molti amici che ne hanno accompa-gnato il percorso. Un lavoro faticoso. Edesigente. Che ha richiesto – e richiede –l’investimento di un tempo destinabilecerto a più leggere e frivole occupazioni3.A fine anno, però, nessuno degli studentiha rimpianto mai d’averlo donato al tea-tro. I più giovani tra loro si sono sempreofferti di ripetere l’esperienza l’anno suc-cessivo, riconoscendo implicitamente ilcontributo di comprensione, di crescita

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umana, di collaborazione e solidarietàrealizzatosi nella lunga attività di unanno intero. La soddisfazione, rilevabiledopo anni in chi ha vissuto personal-mente questa straordinaria possibilità, neè ulteriore attestazione. Sia qui consen-tito ricordare anche quella degli inse-gnanti, testimoni dell’impegno vero distudenti via via sempre più motivati ecapaci di credere nell’attività promossada una scuola non subita, ma divenutapropria. Né andrà taciuta la lungimi-ranza della scuola, che ha garantito loroanche economicamente il privilegio diimpegnarsi nell’esaltante compito di tra-durre integralmente, oltre che adattare, itesti scelti per la scena. Una traduzione,come comprende chiunque sappia di fi-lologia, costituisce il fondamento di ognivera interpretazione del testo e il puntodi partenza per qualsiasi seria attivitàesegetica da proporre ai discenti. Il Liceoha scelto di non considerarla discutibilespreco di risorse, ma garanzia di una ri-cerca troppo spesso assente dalle nostrescuole, capace di mostrare agli studentiil coinvolgimento pieno e appassionatodegli insegnanti nelle attività che li ri-guardano.Le considerazioni sin qui svolte segna-lano il laboratorio teatrale come il luogodi massima attuazione della didatticadell’“Antico” di un Liceo Classico che,all’interno della realtà di una messa inscena, ha potuto realizzare nei fatti l’in-terdisciplinarità che la scuola va da sem-pre cercando, orientando a uno stessofine analisi dei testi, studio di intona-zione e gestualità, riflessione sul movi-mento nello spazio scenico, ricerca dimusiche, indagine scenografica, idea-zione di costumi, scelta di effetti lumi-nosi e fonici.La gestione efficace di un’operazione ditale complessità da parte di una istitu-zione scolastica ha richiesto tempo, oltre

che coraggio, nonché l’aiuto di espertiesterni per un affinamento progressivo.È nata così la venticinquennale collabo-razione con il “Piccolo Teatro Città diChioggia”, il più antico dei gruppi tea-trali cittadini, nel quale il Liceo ha tro-vato l’esperienza e le energie di tantiamici da affiancare agli insegnanti avvi-cendatisi alla guida del laboratorio. Im-prescindibili quelle della sig.ra FrancaArdizzon Rossi, l’anima stessa del Pic-colo, del prof. Paolo Doria, allora docentedi educazione fisica nel Liceo, e di varimembri della compagnia. Molte cosesono così cambiate dalla prima, pionieri-stica, prova. L’esperienza si è vieppiù ar-ricchita di nuovi contributi, di nuovepossibilità, fino a fare della rappresenta-zione di fine anno una produzione di li-vello artistico sempre elevato – sia lecitoaffermarlo a chi la coordina da poco esente l’obbligo di riconoscere il merito dichi lo ha preceduto. La realizzazione tea-trale del Classico è divenuta nel tempoesempio di una scuola che sa fare culturae proporla alla Città, alla quale ha fornitonon soltanto una formazione di rango,ma anche l’occasione, altrimenti assente,di spettacoli di alta valenza culturale inprecedenza offerti assai di rado, forsemai. Grazie al Teatro Classico del Liceole radici della civiltà europea sono stateriportate all’attenzione di un pubblicocrescente, insieme ai grandi interrogativisulla libertà, la giustizia, l’agire umanonel mondo in rapporto a un divino orapresente, ora lontano e incomprensibile. Sotto la dirigenza del preside prof. Fran-cesco Galera la collaborazione amiche-vole col “Piccolo Teatro” si è andataprogressivamente consolidando. Il Liceonon possiede tuttora strumenti di scenapropri e si è sempre avvalso dell’appog-gio dell’associazione, che, con l’entusia-smo, è stata prodiga di luci, scenografie,personale volontario capace di farsi ca-

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rico degli aspetti tecnici della realizza-zione. Andranno qui ricordati i nomi diGiampaolo Penzo, Dino Boscolo Nata,Gianna Sambo, Laura Pagiola, Teresa Ar-dizzon, Francesco Bullo: amici preziosiche hanno accompagnato negli anni leambizioni espressive del nostro labora-torio teatrale. A partire dalla Medea dell’ a. s. ’88-’89 laresponsabilità della regia, taciuta nellelocandine delle precedenti rappresenta-zioni, è stata assunta ufficialmente e sta-bilmente da quella che tutti hanno presoa identificare come la sig.ra Franca. L’esperienza della intera sua vita dedi-cata al teatro, la sapienza e la tenacia concui ha insegnato e insegna agli studentia intonare, a porgere le battute e a muo-versi in scena sono state e sono il verosegreto del “miracolo”, che ogni annopermette a dei giovani dilettanti di fareemergere insospettate doti di recitazione,trasformandosi in efficaci interpreti delledifficili parti assegnate.Fondamentale per la riuscita dello spet-tacolo anche l’apporto del prof. PaoloDoria, docente di Educazione fisica e at-tore del “Piccolo” clodiense. Da uomo diteatro egli ha insegnato con l’esempioagli studenti a unire la conoscenza teo-rica alla manualità – il sapere al saperfare – coordinandone la ricerca scenogra-fica e realizzando con loro – a volte anchesenza loro – gli allestimenti scenici indi-spensabili e i materiali di scena. Del resto quello scenografico è solo unodei molti aspetti della complessità di unallestimento teatrale, che – s’è detto –coinvolge a vario titolo competenze, sen-sibilità, creatività diverse. Tra le attitudini più necessarie va anno-verata quella musicale, che negli anni siè giovata dell’apporto degli studenti piùferrati e ha raggiunto l’apice quando si èpotuto far ricorso al talento di giovaniimpegnati nello studio al Conservatorio

o nella pratica musicale con gli strumentipiù diversi, accompagnando l’azionescenica dal vivo.Le rappresentazioni sono state portatesulla scena di vari teatri cittadini. Dap-prima al teatro “Astra”, in seguito ancheal “Vittoria”, al teatro “S. Martino”, al“Kursaal” di Sottomarina, negli spazi delMuseo Civico “S. Francesco fuori le mura”.Più spesso gli spettacoli sono stati ap-plauditi al teatro “Don Bosco” e da ul-timo anche presso il locale MuseoDiocesano. Ma già dal ’93 gli alunnihanno calpestato i palcoscenici di altrecittà, partecipando a rassegne, concorsi,festival e conseguendo premi presti-giosi4.Sono stati portati in scena prevalente-mente drammi di Euripide. A seguirequelli di Sofocle. Ma anche testi diversi:classici a loro modo, o ai classici ricondu-cibili, come quelli di Goldoni, di Shake-speare e di Raboni. Per l’a.s. 2010-2011 èprevista la rappresentazione delle Coe-fore, il primo Eschilo della nostra storia.Il preside Galera ha sostenuto l’attivitàteatrale con la istituzione del CentroStudi per il Teatro Classico, volta a coin-volgere nell’attività teatrale anche i corsiscientifico e linguistico (anni scolastici’90-’91, ’91-’92,-’93, ’98-’99), oltre che araccogliere per qualche tempo fondi re-gionali di fondamentale importanza perla sua sopravvivenza.Dopo la “stagione Crocco” ha assunto ladirezione del laboratorio il prof. donGiuliano Marangon, che ha tenuto la cat-tedra di latino e greco nel Liceo dal 1998al 2004, nel passaggio dalla dirigenza Ga-lera a quella della dott.ssa Lalla Casetti.Sotto la guida del professor Marangon ilClassico ha rappresentato anche testimeno noti al pubblico, rendendo l’atti-vità del laboratorio anche per questo piùpreziosa. A lui si deve la scelta corag-giosa di portare in scena l’unica comme-

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dia greca dei venticinque anni di attivitàscenica: le Rane di Aristofane. Il risultatodel suo lavoro con gli studenti si è tra-dotto inoltre nella pubblicazione di al-cuni testi preziosi5 e nella vittoria dipremi prestigiosi in varie città italiane.Memorabile la vittoria conseguita allaRassegna Internazionale del Teatro Clas-sico Scolastico presso il Liceo “Cagnazzi”di Altamura (BA) nel maggio 2003 pro-prio con le Rane di Aristofane. È daquell’anno iniziata la tradizione di alle-stire una ulteriore rappresentazione “pergli amici” presso il locale Museo Dioce-sano, già allora diretto dal professor Ma-rangon, cui la istruzione classica nellanostra città deve certamente, anche perquesto, molto. Dal 2004-2005 il testimone è passatonelle mani della prof.ssa Susi Boscarato,lei pure docente di latino e greco, affian-cata dalla dott.ssa Rita Zambon per larealizzazione delle coreografie. Dal2006-2007 il coordinamento delle attivitàè stato assunto da chi scrive. Due gliobiettivi immediati della nuova fase, tut-tora in corso sotto la dirigenza del dott.Luigi Zennaro: fornire a studenti e Cittàun prodotto teatrale non indegno dellatradizione precedente, agevolarne la rea-lizzazione alleggerendo per quanto pos-sibile il peso economico a carico dellascuola, mediante il sostegno di Istitu-zioni ed Enti pubblici e privati ad essaesterni. Il primo è stato perseguito, tral’altro, scegliendo di curare in modo par-ticolare l’aspetto coreografico degli spet-tacoli, affidato dallo stesso annoall’esperienza della prof.ssa PatriziaAricò, e mettendo il trucco di scena nellemani della dott.ssa Sara Scarpa. Il se-condo è stato perseguito medianteun’opera di sensibilizzazione, che a tut-t’oggi ha ricevuto una risposta incorag-giante, garanzia di un riconoscimentonon formale nei confronti del nostro Tea-

tro Classico, confermato dal presentelibro stesso. Già in precedenza, si diceva,il laboratorio aveva trovato saltuario pa-trocinio e sostegno economico6. Negli ul-timi anni hanno sorretto il nostro lavorola Banca di Credito Cooperativo di Piovedi Sacco, i Lions di Chioggia, il RotaryClub, il Centro Formazione Danza, laditta Zambonin. I l patrocinio del-l’Amministrazione Comunale poi, nonpiù esclusivamente nominale, ha assicu-rato un sostegno fattivo e imprescindi-bile all’attività del laboratorio teatrale,oltre che il pubblico riconoscimento delsuo valore culturale. Anche grazie a taleappoggio gli studenti hanno potuto par-tecipare nel maggio del 2008 al XIV Fe-stival Internazionale del Teatro Classicodei Giovani di Palazzolo Acreide (SR).Questa importante esperienza ha per-messo loro di recitare l’Alcesti di Euri-pide all’interno di un vero teatro greco,quello restaurato dell’antica Àkrai. Maha anche fornito l’opportunità di assi-stere nel teatro antico di Siracusa all’Ore-stiade di Eschilo7. La rappresentazione diPalazzolo ha in qualche modo determi-nato le scelte degli anni successivi e leloro novità. È nata anche come naturaleapprofondimento del lavoro sul drammaeuripideo la decisione di portare in scenal’anno dopo l’omonima ma moderna Al-cesti di Raboni8. Nasce dalla suggestionedell’Agamennone eschileo la scelta di que-st’anno di studiare e allestire quello se-necano e di rappresentare nel 2011 leCoefore. L’avventura ovviamente continua. Stu-denti e docenti comprendono l’impor-tanza di quanto sono chiamati a fare perse stessi, per la scuola, per la Città esono determinati a realizzarlo. Il pre-sente volume intende celebrare solo iprimi venticinque anni di una storiache, ci auguriamo, saprà essere ancoralunga e feconda. Con quali modalità?

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Con quali novità? Sarà il futuro a dirlo.Di certo il Classico potrà valersi del sup-porto di tanti, che, in vista o nell’ombra,ma sempre con amore e passione, conti-nueranno a sostenere questa sua avvin-cente avventura. I nomi di alcuni sonostati già ricordati, altri appariranno nellepagine successive di questo volume, altricerto si aggiungeranno nel tempo. Unosoltanto vogliamo ancora qui ricordare:quello dell’insostituibile prof. DinoMemmo, docente di Storia dell’arte nel-l’indirizzo scientifico del “Veronese”, mafin dalla prima edizione già a fianco deiprotagonisti del laboratorio classico. Ilprofessore ha prestato talora la sua com-petenza per le scenografie, ma ha soprat-tutto predisposto ininterrottamente,anche dopo la conclusione del suo inse-gnamento, i disegni per le locandine daaffiggere nella città. Grazie a lui la locan-dina non è mai stata un semplice avviso,ma la riproduzione di una vera operad’arte, come si potrà vedere sfogliandoquesto volume. La sua fedeltà al nostroappuntamento annuale testimonia il suoattaccamento esemplare al Liceo e unasimpatia per il nostro laboratorio che è altempo stesso riconoscimento prezioso diartista e petizione di responsabilità a nondeludere le attese sue e di quanti guar-dano al progetto con accondiscendenzacritica.

* * *

Questo libro è il frutto della ricerca,ardua ma ostinatamente tenace, intesa aricostruire una storia affidata finora allememorie dei singoli. Protagonisti o spet-tatori, molti ne fanno parte e ne conser-vano un ricordo parziale, personale, maiconsegnato se non a pochi. Quegli stessi,che di recente hanno appassionatamentecondiviso l’esperienza teatrale, pocosanno di quanto l’ha preceduta. I primi

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giovani attori del nostro teatro sono in-fatti ormai gli adulti del loro mondo:madri e padri di famiglia, insegnanti,professionisti... Che portano in sé imma-gini e sensazioni di un evento lunga-mente preparato e consumatosi, però,nel breve spazio di una rappresenta-zione, di fatto poco più di un’ora. All’appressarsi dei venticinque annidella nostra attività teatrale abbiamo vo-luto celebrare questa storia, significativaper la sua stessa durevolezza, e speratosoprattutto di raccoglierne gli sparsiframmenti, per integrarli in un mosaicoil più possibile completo. Il Liceo “Veronese” ha perciò organiz-zato il 15 maggio 2010 una giornata distudio, testimonianza e spettacolopresso il locale Auditorium di San Ni-colò. Tutti gli studenti delle classi coin-volte nel laboratorio dal 1985-86 sonostati invitati con lettera a collaborare allarestituzione del nostro passato, recupe-rando per noi materiali e memorie.Hanno risposto in molti: ex alunni e ge-nitori, entusiasti dell’iniziativa. A loro sideve la riuscita delle celebrazioni e l’esi-stenza stessa di questo libro, che vuoleesserne ideale prosecuzione. La presente introduzione riprende in-fatti, ampliandolo, l’intervento che chiscrive ha pronunciato in occasione dellecelebrazioni. Seguono nel libro una se-zione dedicata alla giornata di studiocol testo della lezione ivi tenuta dalprof. Alberti dell’Università di Venezia,una sezione dedicata a testimonianze eriflessioni di alcuni protagonisti dei ven-ticinque anni di teatro e, infine, una se-zione con le immagini, le informazioni,i nomi di tutti i protagonisti delle venti-cinque rappresentazioni, così come èstato possibile ricostruirli – in modo pur-troppo non del tutto completo.La struttura composita del volume ne co-stituisce insieme il limite e il pregio. La

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1 Cf. R. CALASSo, Le nozze di Cadmo e Armonia, Milano, Adelphi, 1988, che in esergo riporta l’espressione citata, trattadal Περὶ θεῶν καὶ κὸσμου del neoplatonico Saturnino Secondo Salustio, del tempo dell’imperatore Giuliano (IVsec. d.C.).

2 G. MARANGoN, Teatro classico a scuola. Un’esperienza dalle molteplici valenze formative, in 50 anni di “Veronese”, Chioggia2004, pp. 165-172. Il libro può essere scaricato in formato pdf dalla sezione “Pubblicazioni” del sito della scuola(www.giuseppeveronese.it).

3 Un’ora a settimana dapprincipio, il sabato. Due ore a settimana più recentemente, il martedì o il venerdì, conqualche prova serale aggiuntiva su palcoscenico.

4 Partecipazione alla Rassegna Regionale “Teatro dalla Scuola” di Vicenza con Il campiello di Goldoni nel 1992-1993;partecipazione alla Rassegna Regionale “Teatro dalla Scuola” di Vicenza e alla Rassegna “Teatro dalla Scuola” diMirano Belvedere con le Troiane di Euripide del 1994-1995; primo premio alla regia nella Rassegna Regionale “Tea-tro dalla Scuola” di Vicenza con le Baruffe chiozzotte di Goldoni nel 1995-1996; primo premio per la migliore rea-lizzazione nella Rassegna Regionale “Teatro dalla Scuola” di Vicenza con le Baccanti di Euripide nel 2001-2002;primo premio nella Rassegna Internazionale di Teatro Classico ad Altamura (BA), premio per la migliore inter-pretazione collettiva e riconoscimento per l’interpretazione individuale di Stefano Angarano nella Rassegna Re-gionale “Teatro dalla Scuola” di Vicenza con le Rane di Aristofane nel 2002-2003.

5 G. MARANGoN, Dioniso, l’invincibile. Suggestioni dalle “Baccanti” di Euripide, Chioggia, Edizioni Nuova Scintilla,aprile 2002, con schede degli alunni; Tremori di un dio, paure di un popolo. Note introduttive alle Rane di Aristofane coninterpretazione ritmica del testo poetico, Chioggia, Edizioni Nuova Scintilla, maggio 2003, con schede a cura deglialunni.

6 A.s. 1989-1990: patrocinio del Comune di Chioggia e del Distretto scolastico 56, contributo economico di BancoAmbrosiano Veneto, Banco San Marco, Cassa di Risparmio di Venezia, Regione del Veneto; a.s. 1990-1991: patro-cinio dell’Assessorato alla Cultura della Regione Veneto, collaborazione del Banco Ambrosiano Veneto; a.s. 2001-2002: partecipazione di Salone New Style by Marika, onda Freetime Club Ginnico Sportivo, Attiva CooperativaS.C.A.R.L., SAI Assicurazioni.

7 XLIV Ciclo di Rappresentazioni Classiche, 8 maggio-22 giugno 2008, Agamennone, Coefore, Eumenidi di Eschilo,traduzione di Pier Paolo Pasolini, regia di Pietro Carriglio. Per la messa in scena dell’Alcesti nel teatro antico di Palazzolo Acreide è risultata indispensabile l’incisione dellemusiche su supporto magnetico, per la quale siamo ancora riconoscenti alla disponibilità del sig. Franco Storchi.

8 Gli studenti hanno potuto assistere alla proiezione di alcune sequenze del dramma in occasione di una lezionedal titolo Alcesti nel Novecento letterario italiano, tenuta da chi scrive nell’ambito del progetto del Liceo “Volti, eventi,idee del Novecento” (se ne legga il testo tra i materiali didattici del sito web del “Veronese”). Il video e l’autoriz-zazione alla proiezione sono stati concessi dal Centro Teatrale Bresciano (curatore della prima dell’opera), contat-tato grazie alla cortesia della prof.ssa Maria Pia Pattoni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha curato lapubblicazione del dramma di Raboni per conto dell’editrice Marsilio.

sua natura di raccolta di materiali divaria natura, infatti, ne fa un’opera nonomogenea, ma ne testimonia al con-tempo la volontà di realizzarsi qualeopera a più mani, spazio aperto alla col-laborazione di quanti hanno graditoprender parte a una ricostruzione collet-tiva guidata dall’affetto. A quanti hanno

voluto offrire il loro personale contri-buto, ritrovando e offrendo materiali ge-losamente custoditi o, al contrario,dimenticati da tempo dentro cassetti earmadi; a quanti hanno redatto per noitestimonianze e riflessioni, siano dichia-rati già qui il debito e la riconoscenza dichi scrive.

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Celebrazionidel

Venticinquesimo

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Il 15 maggio 2010, una settimana dopo larappresentazione di Agamennone, il Liceo“Veronese” ha celebrato presso l’Audito-rium di Calle San Nicolò l’anniversariodella sua attività teatrale. Hanno parte-cipato alla cerimonia studenti e docentidel Classico e di altri indirizzi del Liceo,ex studenti ed ex docenti, autorità, citta-dini interessati. Nell’occasione sono stateconsegnate dal Dirigente, dott. LuigiZennaro, alcune targhe in segno di rico-noscenza ai protagonisti della storia ven-ticinquennale del laboratorio teatrale.L’iniziativa non ha inteso tuttavia trasfor-mare la mattinata in semplice occasionecommemorativa. Per celebrare cinque lu-stri di attività connessa al teatro antico èsembrato più giusto ribadirne la valenzaculturale e l’eredità lasciata alle lettera-ture e civiltà successive, in continuitàideale con le più recenti scelte del labo-ratorio. È stato pertanto affidato alla di-sponibilità di uno studioso di teatro ilcompito di ripercorrere alcune testimo-nianze significative di quella che oggi sidefinisce la permanenza dell’Antico nellacultura contemporanea. Si sono in talmodo potute inquadrare in una prospet-tiva attualizzante le suggestioni prove-nienti dalla rivisitazione delle attività dellaboratorio. Esse sono state ripercorsegrazie a una piccola mostra di costumi elocandine all’ingresso dell’Auditorium,alla proiezione di immagini recuperate,

1 L’intervento del moderatore costituisce ora, in versione riveduta, le pagine introduttive del presente volume afirma Roberto Vianello.

La giornata di studio, testimonianza, spettacolo

a una ricostruzione d’insieme del mode-ratore dell’incontro1, alla testimonianzadi un attore professionista, già studentedel Liceo. Ha coronato infine la mattinatal’esecuzione al pianoforte delle Variazionisu un tema di Schumann, op. 9 di JohannesBrahms, e della Ciaccona in re minoredi Johann Sebastian Bach - FerruccioBusoni, da cui è stato tratto l’accom-pagnamento musicale rispettivamentedell’ultima e della penultima rappre-sentazione teatrale.

Questo il programma della giornata:

La memoria del teatro antico nell’etàcontemporanea tra enigma e mistero(prof. CARMELo ALBERTI, Università Ca’ Foscari)

Conversazione sull’esperienza del laboratorio teatrale del Liceo(con ANToNIo GIUSEPPE PELIGRA, dellaCompagnia teatrale di Massimo Castri,condotta dalla prof.ssa ALESSANDRA LIo-NELLo, già studentessa del Liceo)

Concerto di musiche dalle rappresentazioni(al pianoforte ANDREA CHINAGLIA)

Di seguito l’intervento del prof. Alberti.

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La scelta di ricordare i venticinque annidi rappresentazioni promosse dal Liceo“Veronese” di Chioggia costituisce l’oc-casione per porre l’accento sulle condi-zioni dell’umanità e sull’immaginazionecollettiva del nostro tempo. Interrogarsisul futuro del mondo spinge l’uomo con-temporaneo a indagare più da presso ilsignificato delle civiltà. Il lettore di testiletterari, lo spettatore di teatro, il vi-sitatore dei musei tende a interpellareun’azione artistica per riconoscersi inessa, in un modo o nell’altro, spesso persottrazione. Eppure nessuno si chiede –se non attraverso un procedimento piùcomplesso – su quali elementi distintivisi fondi tale processo di simbiosi. È comese si oltrepassasse una soglia densa di se-greti e si entrasse in una dimensioneignota. Uno degli arcani che ossessiona ancora,coscientemente e incoscientemente,l’uomo contemporaneo è il senso del-l’esistenza: da dove si proviene, perchési sta al mondo, quale destino attende gliesseri viventi; anche se, per lo più, talidomande non si pongono in forma di-retta, nelle azioni e nei gesti quotidianis’avverte lo smarrimento per le provetraumatiche dell’esperienza. Forse sirimpiange il tempo descritto, spesso inmaniera artificiale e imitativa, dalleopere tragiche. Attraverso i secoli è giunto, dunque, amaturazione un procedimento che al-l’inizio s’affida al sistema della oralità,basato sull’esaltazione della corporeitàdella parola. Le parole non sono elementiinerti, posseggono una loro fisicità che

La memoria del teatro antico nell’età contemporanea tra enigma e mistero

permette di individuare gli spazi perinterpretarle. E sin dalle origini l’enun-ciazione del verbo rende esplicito ilpotere di creare. Ecco perché nella menteumana è rimasta una memoria nostal-gica, un desiderio mimetico, dell’età incui il tempo è circolare, in cui ogni ele-mento fa parte del tutto.La nostalgia è rimasta attiva nel volertornare con la mente alla struttura spa-zio-temporale del teatro greco, al luogonel quale si svolgono le cerimonie rituali.Anche la fase delle gare drammaturgi-che era preceduta da un passaggio litur-gico e misterico. Ebbene, prima di queitesti tragici che ancora s’ammirano es’amano, si diffonde una grande produ-zione orale che s’affida interamente allaforza immaginativa della parola e alla ca-pacità del cantore-narratore di condurrel’ascoltatore dentro la tessitura del rac-conto. È come se i fili di un enorme tap-peto si trasformassero in tanti sentieri dapercorrere; e mentre si ascolta, si parte-cipa a tal punto che è possibile doman-dare, interrogare, fino a cambiare latraccia originaria e entrare nel meritodella trama. Sta, poi, all’abilità di coluiche conduce il gioco ricondurre la do-manda al nucleo originario e al disegnouniversale. È come il corso di un grandefiume, che raccoglie nel proprio alveol’acqua degli affluenti, prima di sfociarenell’immensità dei mari.Le storie del mito non sembrano esseremai avvenute, ma sussistono da sempre.Dove sono state elaborate? Dove sisvolge il Prometeo incatenato di Eschilo?Prometeo è “incatenato” lungo l’asse di

Carmelo Alberti (Università Ca’ Foscari Venezia)

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comunicazione tra il cielo e la terra, inuno spazio-tempo ipotetico in cui av-viene la rappresentazione della soffe-renza del Titano e dell’incontro con Io, ladonna martoriata dall’amore per il redegli dei. Ma, al di sotto del piano terre-stre stanno gli inferi, il luogo dei morti,il mondo del non ritorno. I pochi chesono riusciti a tornare indietro hanno im-presso nel corpo e nella mente un qual-che segno del viaggio proibito. Le civiltà, le religioni, i sistemi culturalimantengono ferma la nostalgia del-l’Eden, un ambito aureo e splendente incui gli uomini godono la vicinanza deldivino. La memoria del tempo edenicoprovoca nostalgia, perché è subito se-guito dal tempo della sofferenza. A cosa serve tale struttura mutabile diracconto? Che valore può avere ancora lanarrazione di avvenimenti paradossali eirreali? Serve, forse a dare un segnale diritorno all’ordine, laddove si prefigura,oppure è in atto, un disordine. Nell’Edipore, ad esempio, fin dall’inizio si assisteallo stravolgimento profondo della vitaquotidiana dei cittadini di Tebe. La tra-gedia di Sofocle viaggia lungo il mito,che parte da un connubio pericoloso trauomo e divinità; la prole generata dallenozze di Cadmo e Armonia reca l’im-pronta del divino e, pertanto, mette inmoto una discendenza problematica.Fino a che punto la relazione uomo-diopuò sussistere senza degenerare? Tebe èil posto critico nel quale la stirpe rime-scola il proprio sangue, rendendo incertala concatenazione generativa. Non c’è più chiarezza per uomini chenon possono distinguere il padre dal fra-tello e la madre dalla moglie. Il mito diEdipo dimostra quanto sia importanteper la salvezza della polis il rispetto delleregole, l’osservanza delle leggi. E per ri-cordarlo occorre ripercorrere il rituale diun sacrificio necessario. Nel corso dei se-

coli il desiderio della catarsi, con la pos-sibilità di far decantare i tormenti collettivie soggettivi all’interno di un processocollettivo, è restato un elemento costantedelle civiltà. La contemporaneità occidentale conti-nua a interrogarsi sul significato dellaclassicità e, in particolare, sul valore deltragico, spesso sulla scia della volontàdell’ordine, anche in campo letterario,culturale, artistico. Cosa vuol dire “clas-sico”? In genere appare come l’indivi-duazione di un prototipo che si proponealla stregua di forma assoluta, a cui oc-corre uniformarsi. Ma cos’è, allora, ilnuovo classicismo se non una copia del-l’idea di perfezione assoluta. Insomma èuna copia del modello ideale, è una copiadella copia della copia, e così all’infinito,sebbene di volta in volta s’aggiunganospecificazione di “nuovo”, “neo”, produ-cendo, talvolta, nella storia della culturaumana uno stato di scontro, o un dibat-tito interminabile sulla domanda: qual èl’idea originale di classicità? Ma non sempre è così: accade che il de-siderio e la nostalgia dell’età perdutapossano essere descritti in situazioni chechiamano in causa la realtà quotidiana.Si esamini il sistema di Luigi Pirandello,uno scrittore immenso che non smettemai d’investigare la sfera della verità. Pi-randello è un attento lettore dei Padridella Chiesa, è un attento conoscitore deimistici. Per capire, allora, quanto sia at-tento all’idea del mito, anche dei nuovimiti, bisogna leggere gli ultimi drammiteatrali. Essi costituiscono una trilogia ditesti scarsamente realizzati, se si eccettual’ultimo, l’incompiuto I giganti della mon-tagna. Ma in questi lavori Pirandello agi-sce sulla linea del recupero del mitonell’età moderna.Il primo, un mito sociale, s’interroga pro-prio sulla matrice di una società arcaica,antica, primordiale, matriarcale, in cui la

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madre è l’unica in grado di riscattarel’umanità dal germe degenerativo e di-struttivo, insito nella sfera del maschile.Difatti, gli uomini presenti in scena si az-zuffano, litigano, tentano di accoltellarsi;è la madre la sola in grado di concepireLa nuova colonia, come recita il titolo. Sitratta di una storia curiosa, che raccontala colonizzazione di un’isola destinata asprofondare, a essere completamente di-vorata dalle onde del mare. Il nucleo diderelitti è capeggiato da una prostituta-madre, che diventa l’iniziatrice di unasocietà del riscatto. Il secondo è Lazzaro, un mito religioso, le-gato al mondo agricolo. Il dramma esa-mina la vocazione sacerdotale e larelazione con l’immagine di Cristo. Èun’opera molto difficile, densa di pen-siero, che riflette sul valore del ritornoalle origini della spiritualità. Il terzo, I giganti della montagna, rappre-senta il mito dell’arte. I sopravvissuti diuna grande compagnia teatrale giun-gono in un luogo sperduto, nella villa delmago Cotrone. Privi di risorse, si trasci-nano per le contrade in cerca di un luogodove l’attrice tragica, la contessa Ilse,possa recitare la sublime opera di poesia,che un autore innamorato le aveva dedi-cato, prima di uccidersi per sconforto.Per un atto di riparazione Ilse decide dideclamare in ogni contrada un testo chenessuno comprende, perché la civiltàdell’industria non intende più la voce deipoemi. Il mondo novecentesco non vuolsentir parlare di poesia: l’ultima spiaggiaè il paese dei Giganti, dove sono state co-struite immense fabbriche, dighe, operefaraoniche, dove è stata sconfitta e sotto-messa la natura selvaggia, dove gli abi-tanti vivono nel benessere e, forse, sonodisposti a ascoltare dei guitti. Pirandello,che non ha concluso il dramma perché èsopraggiunta la sua morte, non ha deltutto risolto l’immagine del tramonto del

teatro. Giorgio Strehler, che ha curatovarie edizioni dei Giganti, aggiunge unfinale in cui si assiste alla morte dellarappresentazione tra fischi e schiamazzi. Quando gli attori arrivano nella villa incui Prospero e gli Scalognati s’affidanoall’illusione e ai prodigi, il mago insisteper convincerli a rimanere, perché lagrandezza della tragedia può riviveresolo là, dove basta sognare perché i fan-tasmi evocati dicano le parole giuste e re-citino a tempo. È il posto in cui ciò che èimmaginato, si proietta nella realtà, simaterializza. E ne offre degli esempi in-credibili, ma convincenti. Così il raccontodella vecchia Sgricia che, durante unviaggio notturno, è scortata e protettadalla schiera di cavalieri dell’AngeloCentuno, rivela come per gli uomini siaimpossibile comprendere se si è davverovivi o si è morti.

LA SGRICIA – “Sgricia, sono l’angelo Centuno”,mi disse, “e queste che t’hanno scortata fin quasono le anime del Purgatorio. Appena arrivatamettiti in regola con Dio ché prima di mezzo-giorno tu morrai”. E scomparve con la santascorta. CoTRoNE – (subito) Ma ora viene il meglio!Quando la sorella la vide arrivare, bianca, stra-lunata...LA SGRICIA – “Che hai?”, mi gridò. E io: “Chia-mami un confessore”. “Ti senti male?” –“Prima di mezzogiorno, morirò”. (Apre le braccia) … E difatti… (Si china a guardar negli occhi la Contessa e le do-manda:) Tu forse ti credi ancora viva? […]ILSE – (… guarda Cotrone) Si crede morta?CoTRoNE – In un altro mondo, Contessa, cometutti noi… (scena II).

Nella casa dell’assoluto il respiro e lapulsione del sangue creano uno slancioesistenziale che oltrepassa la condizioneumana. L’ultimo Pirandello lascia filtrareuna straordinaria miriade di suggestionie di domande, proprio come accadevanella dimensione dell’arcaicità.

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Un’altra figura di intellettuale che hasondato la consistenza del mito nella so-cietà contemporanea è Pier Paolo Paso-lini. Quando nel 1959 il poeta-testimoneaffronta la scrittura teatrale sollecitato daVittorio Gassman ad approntare la tra-duzione dell’Orestiade di Eschilo, nellarelazione con il mondo degli antichi va-lorizza la parola. Il suo teatro si affida in-teramente alla forza comunicativa dellapoesia, mentre chiude la porta al preva-lere della spettacolarità. Nel dopoguerra in Italia s’avverte unaparticolare ansia nel progettare un teatropubblico, che abbia una matrice sociale,come fanno Giorgio Strehler e PaoloGrassi con la fondazione del Piccolo Tea-tro di Milano nel 1947, collegandolo allanecessità di ritrovare l’identità civile diuna comunità che vuole uscire daldramma della guerra, voltando pagina,ma mantenendo la propria matrice arti-stica e linguistica. Il teatro deve ridiven-tare uno strumento adatto non solo aliberare gli spazi culturali che il fascismoaveva compresso, soprattutto negando irapporti con gli ambiti europei e interna-zionali, ma anche a fare i conti fino infondo con la qualità della propria tradi-zione culturale. Non a caso, fin da subito, il repertorio ditesti proposti da Giorgio Strehler com-prende un dramma in milanese, El nostmilan di Carlo Bertolazzi, un lavoro stra-ordinariamente palpitante che rivolge losguardo verso la gente che vive ai mar-gini della metropoli. Così avviene in altrearee, compresa quella veneta, nel restod’Italia: ad esempio, si riscopre il teatrodi Ruzante, attraverso l’azione di ricercae di rappresentazione del Teatro Univer-sitario di Padova diretto da GianfrancoDe Bosio. In questa fase Pasolini va oltre, guarda alcuore della civiltà contadina, della qualegli uomini della modernità sono diretti di-

scendenti, legati a tal punto da risentirnele contraddizioni. Nelle sue opere cinema-tografiche, Edipo e Medea, due grandi ca-polavori filmici, Pasolini trascrive inmaniera diretta, senza nascondere nep-pure la provocazione, l’idea del ribalta-mento mitologico. Nella società odierna ilmito ha un significato rovesciato: lo sicomprende bene in Affabulazione, ildramma portato in scena in varie ripreseda Vittorio Gassman, un testo difficilis-simo, persino atroce, nel quale la famigliaborghese approda a un’esasperata crisi.Sul filo di un impietoso ragionamento,volto a trovare una possibile via di uscitadalla trappola dell’esistenza, un padresimbolico finisce per oltrepassare il li-mite dell’ordine, fino a diventare un as-sassino e sopprimere il figlio, l’oggettodel desiderio. Nel corso di un viaggioalla ricerca dell’identità perduta, il pro-tagonista riceve la visita dall’ombra diSofocle. Il tragediografo greco, in ma-niera didascalica, rivela il significato pro-fondo della vicenda di Edipo e lecorrispondenze con gli incubi del padre.L’incalzare degli eventi ha sospinto versoaltre prove un giovane che è divenutouomo e re, convinto che tutto gli sia do-vuto per la bravura dimostrata nell’averrisolto l’enigma della Sfinge:

oMBRA DI SoFoCLE –Non si può risolvere più di un enigma nellavita. Del resto, coloro che presero il suo posto al po-tere, se lo presero senza merito […]. Era la normalità. Che se dura a lungo, si de-compone, e porta con sé nuovi mostri disgu-stosi, che pongono poi, nuovi enigmi darisolvere… finché un nuovo giovane di bellesperanze non venga a risolverli.

E più oltre, aggiunge:

Dimmi tu! A che cosa è servito, al mio Edipo,risolvere l’enigma? A prendere il potere? L’ha preso e l’ha perduto. E, questo io voglio sottolineare, l’ha perdutosenza aver saputo nulla del mistero. (VI episodio)

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S’illude colui che pensa di determi-nare la propria esistenza, risolvendo unenigma. oltre c’è l’impossibilità di vio-lare il mistero dell’umanità. Pasolini, alpari di Pirandello, riprende la questionedel mistero. Dietro Pirandello c’è la sta-gione letteraria e narrativa che lascia de-cantare i principi assoluti; un esempio èofferto dal racconto Dialoghi tra il GranMe e il piccolo me, dove germoglia il com-pendio della filosofia pirandelliana. Lo stesso avviene per Pasolini, che nellesue opere non smette di porre domande,persuaso della controversa influenzache ha la natura sul “nostro contempo-raneo”. Così, ancora, Bestia da stile è undramma legato al mito del sacrificio,all’eroismo senza volere e senza sapere,al compimento di un gesto inconsulto.È un oratorio da recitare in chiave litur-gica, non declamandolo, ma enuncian-dolo come un canto. Il terzo modello, temporalmente più re-cente, corrisponde efficacemente al biso-gno di valorizzare la consistenza dellaparola tragica nell’oggi. Nell’ambitodella Biennale di Venezia 1984 il musici-sta Luigi Nono ha realizzato un’opera in-titolata Verso Prometeo, composta su untesto di Massimo Cacciari, decorata conle scene di Renzo Piano e le illustrazionidi Emilio Vedova, eseguita sotto la dire-zione orchestrale di Claudio Abbado, econ tanti straordinari artisti, cantanti,musicisti. La tecnica artistica di Nono è rivolta alrecupero del suono allo stato puro; lamusica e il canto prodotti dal vivo sono

catturati da una sorgente tecnologica eimmessi nello spazio della rappresenta-zione in maniera diversificata. Il musici-sta-operatore manipola a sua discrezionei suoni e li diffonde in missaggio attra-verso un procedimento di regia musi-cale, mentre i musicisti, i cantanti, gliesecutori si spostano lungo i percorsidella scena. In tal modo s’intende co-struire un ambiente sonoro articolato emutevole all’infinito. Perché la scelta è caduta sul personaggiodi Prometeo? Che cosa rappresenta la vi-cenda del Titano per l’uomo contempo-raneo? Il sottotitolo dato da MassimoCacciari, La tragedia dell’ascolto, apre in-terrogativi sull’incidenza della conce-zione arcaica del mondo e del pensieroantico, alla ricerca di una dimensionescandita e condivisa. La ricerca di Nonoe Cacciari si muove in cerca dell’identitàsostanziale dell’uomo. Renzo Piano costruisce per l’occasioneun’arca sospesa, una vera cassa armonicain legno, e gli spettatori vengono fatti ac-comodare l’uno di fronte all’altro. Lapartitura poetica di Cacciari è breve,densa di simboli per esprimere il signifi-cato più profondo di un eterno viaggioverso l’assoluto e l’incerto. Con una lo-gica concatenante l’opera di Nono pro-duce un effetto dirompente, come forsedoveva accadere con gli antichi riti,quando si entra nel cerchio magico deltempo. È un viaggio verso le sorgentidella civiltà per recuperare l’arte di desi-derare e di esistere.

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Testimonianze

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Di intervistarlo non se ne parla nem-meno (le domande è abituato a farle lui),ma ascoltarlo dà anche più soddisfa-zione. E poi Crocco appartiene a quellarara specie di esseri umani che intuiscecosa vuoi sapere. E te lo porge, a modosuo. Ci accoglie nel salotto di casa, a un passodal bel teatro di Cavarzere. Gli anni glihanno fatto un regalo: non teme più didirti che gli fa piacere vederti. Ancheprima – a scuola s’intende – era così, e locapivi che ci teneva ai suoi studenti, manon poteva rinunciare a quel mantra del“a me non interessa niente, per me sietedei numeri…” Non ci credeva, ma dirloserviva, a lui e anche a noi.“Ho dato tanto a Chioggia – esordisce –ma Chioggia mi ha anche tolto tanto”. Eintende la possibilità di trasferirsi al“Tito Livio” o andare a dirigere il Museodi Adria, e separarsi dalla maledizionedelle acque alte, della nebbia e di unLiceo Classico nato per volontà delle “fa-miglie bene” e nel quale “chi lo avevavoluto si sentiva in diritto di dirti quelche dovevi fare e come. A Chioggia, senon eri del posto, rimanevi per sempreun forèsto”. Eppure qualcosa lo ha tenutolì. Sarà stato il mare (“Appena laureatopensavo che avrei insegnato all’IstitutoNavale, già mi vedevo nelle navi da cro-ciera!”), oppure quel sentire che in fondoproprio forèsto non era. Fatto sta cheGiannino Crocco per il Liceo Classico diChioggia (nato come appendice del“Franchetti” di Mestre) è stato un’istitu-zione. Dire “Classico” e dire “Crocco”era la stessa cosa: nel bene e nel male.

Giannino Crocco, un prof forèsto icona del Liceo Classico

Lui, che ama ricordare i suoi studi digeografia e di quanto era “bravino” inchimica, ha avuto e ha mantenuto, però,un solo amore, assoluto e senza rivali: latragedia. Semplicemente la amava e tu,che seguivi le lezioni, non potevi fare al-trimenti che amarla allo stesso modo.Cioè… ci provavi. Crocco usava il mitoper spiegarti il reale e tu imparavi a leg-gere con più lucidità grazie a quelleicone meravigliose. “È iniziato tutto cinque anni prima” e siriferisce alla prima edizione del teatroclassico a scuola. “Era il 1980 e fui folgo-rato dall’Oedipus rex di Cocteau musicatoda Stravinskij. Lì ho realizzato che vo-levo provare a mettere in scena una tra-gedia con gli allievi dell’ultimo anno”. Ilprimo allestimento, datato 1986, è infattil’Edipo re di Sofocle. Seguono le Baccantidi Euripide, che secondo Crocco, “sonostate la tragedia meglio riuscita. Le hopoi viste rappresentate al teatro di Epi-dauro… ma le nostre ragazze erano statepiù brave!” Mai avrebbe pensato che daquel 1986 si sarebbero susseguiti venti-cinque anni di rappresentazioni, ovveroun’autentica tradizione. Ma il fatto che cisiano stati dei festeggiamenti, che si siarecuperato il materiale e pensato ad unvolume commemorativo non lo coin-volge più di tanto. È sempre stato schivoe in qualche modo refrattario alle cele-brazioni. Ma nel progetto ci crede.“Spero che ogni anno si rappresenti unanuova tragedia – dice senza esitare – nonsolo per i ragazzi, che hanno modo disentire sulla propria pelle che cos’è il tea-tro tragico, ma anche per gli insegnanti,

“Ho tradotto venti tragedie e poi ho distrutto i file. Ma, al risveglio dal coma, recitavo Medea”

Alessandra Lionello

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che possono vedere i loro allievi sottouna luce diversa, esplorarne e valutare lecapacità di essere, di comprendere, di in-terpretare oltre che di imparare”. In-somma, la scuola di teatro classico èscuola a tutti gli effetti. Dove a impararesono anche i docenti.Poi i ricordi della sua scuola – le giornatememorabili, i confronti (e gli scontri!) coicolleghi, le marachelle degli allievi, legrandi illuminazioni – si alternano conquelli del presente. Crocco ci mostra i vo-lumi rilegati che raccolgono il suo lavorodopo la pensione. “Nei primi tre anni hotradotto venti tragedie. Poi ho tradottotutti i lirici, tutto Gellio, Marziale e Ca-tullo. Ho letto tutto omero e poi tuttal’Eneide… e qui ho fatto fatica ad arrivarealla fine, mentre omero non ti stancamai”. Stai già per obiettare dentro di te:“Ma come, professore, lei non era unoche non si metteva mai in mostra, cheminimizzava tutto, che… e adesso…?”Lui lo sa e infatti non è finita. “Ho tra-dotto tutto questo e molto altro. E poi hocancellato tutto. I file non ci sono più. Ivolumi li ho regalati e questi li regalerò.Non voglio tenere niente. Questo lavoronon conta niente, conta solo nel mo-mento in cui lo fai. È lì il piacere. La con-servazione, il cimelio, non è niente”.Eccolo, è lui, fedele a sé stesso nel pas-sare del tempo. Come le sue “frasi cele-

bri” che ancora girano tra i tanti ex al-lievi, alcuni professori come lui, moltiprofessionisti, altri lavoratori generici,perché “studiare il greco ti serve anchese poi fai il lattaio”. Vero. E rappresentarela tragedia che stai leggendo è un’espe-rienza che non dimentichi. Ti forma,chiudendo il cerchio tra il sapere e l’es-sere. “La mia preferita, però, non l’avete an-cora rappresentata” e non capiamo se èun rimprovero o un invito. La sua prefe-rita, in realtà, è una commedia: Lisistrata,che lui stesso ha tradotto e consegnato aun ex allievo molto speciale. A questopunto è un invito, è chiaro, quasi un am-monimento. E si fa il proposito di andarea stanare il depositario del “tesoro” epensare a un allestimento speciale. Un prof così va ascoltato. Uno che haamato talmente tanto il teatro greco dapotersene separare, senza tuttavia di-menticarlo mai. Al punto che “quando,dopo un mese, mi sono risvegliato dalcoma – racconta, salutandoci – recitavoMedea. Mia moglie era lì e io mi sono ar-rabbiato moltissimo con lei perché nonrispondeva alle mie battute”.Ci lasciamo la porta alle spalle e rien-triamo. La targa – quella del Venticin-quesimo anno del Teatro Classico –gliel’abbiamo consegnata. Lui ci ha datomolto di più, anche stavolta.

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Atene: anno 405 avanti Cristo. La pauraè palpabile in Città. Dura ormai da ven-ticinque anni la lotta contro la rivaleSparta. Da poco la flotta spartana è statabattuta presso le isole Arginuse (407), maa caro prezzo per Atene: ha dovuto libe-rare gli schiavi, impegnandoli a remarenelle sue triremi. Una vittoria di Pirro! Ilfuturo si profila buio. Nella primaveradel 406 è toccato all’ultranovantenne So-focle dare alla Città la triste notizia dellascomparsa di Euripide: si è presentatosulla scena vestito a lutto, per interpre-tarne il dolore; lui stesso morirà di lì aqualche mese. Sembra ormai che la musadella poesia sia esaurita: ad Atene non cisono più “i grandi”, capaci di volarecome aquile sulle ali della poesia tragica;restano soltanto poetastri a gracidare,come ranocchi, in una palude.Da queste situazioni muove Aristofanenel comporre le Rane: vuol dire a tutti cheAtene ha il fiato corto non solo sul pianomilitare, ma anche su quello politico e re-ligioso, visto che la poesia è dono deglidèi. E quando questo dono evapora, lospessore umano si assottiglia. Il poetavuol dire a tutti che occorre schierarsicontro il bellicismo della democrazia ra-dicale, propugnata dai demagoghi diturno, perché la speranza della pace puòfiorire unicamente sul terreno di una de-mocrazia moderata.Ma come trasmettere tutto questo ai con-cittadini di Atene? Come far capire chela Città ora è più a rischio che mai, per-ché essa, perdendo i suoi poeti, ha persoi suoi veri maestri?Aristofane inventa l’espediente di far

Le Rane di Aristofane

scendere all’Ade il patrono della poesiadrammatica, Dioniso, impegnandolo inun’avventura rocambolesca: il dio andràa ripigliare uno dei grandi poeti tragici,per ricondurlo – Plutone permettendo –redivivo ad Atene. Problematico sarà il viaggio, irto d’insi-die inimmaginabili. Poi, problema piùgrosso sarà la scelta del poeta da ripor-tare in vita, visto che Euripide, da pocoarrivato all’Ade, vuol spodestare Eschiloche siede sul trono della poesia: anche lìs’ingaggia uno scontro furibondo. Si pro-cede a un confronto tra i due: vengonopassati al vaglio i versi e le musiche, ven-gono esaminate le intelaiature delle tra-gedie. Il giudizio estetico verte anche suicontenuti più degni di albergare adAtene. E soprattutto a questo propositosi accende il conflitto di idee, l’attacco ag-gressivo, personale, con espedienti co-mici in sequenza.Alla fine il commediografo dichiarerà asorpresa – per bocca di Dioniso – la suamalcelata ostilità contro Euripide, troppo“novatore” nelle tematiche licenziose,nel linguaggio frivolo, nei moduli musi-cali canzonettistici; e aggiudicherà lapalma della vittoria a Eschilo, poeta dallagrandiosità degli sfondi, dalla solennitàdel linguaggio, dall’aristocrazia musi-cale, dalla sana eticità di pensiero.Questo per Aristofane non è fuga nel-l’utopia, bensì attenzione appassionatasu un presente, gravido di paure da esor-cizzare attraverso il riso: paure per gli im-previsti di una guerra quasi trentennaleancora in atto, paura di ritorsioni divineper la profanazione delle erme avvenuta

Dallo studio dell’opera alla sua rappresentazione teatrale: a.s. 2002-03

Giuliano Marangon

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ad Atene alcuni anni prima, paura per lacontinua defezione delle città confederatedalla Lega Delio-attica, paura per l’even-tualità che s’interrompa per Atene ilflusso delle derrate alimentari provenientidall’Ellesponto, paura ancestrale dellavendetta dei morti alle Arginuse, in par-ticolare degli strateghi ateniesi condan-nati da una democrazia impazzita. Pauradello stesso riso, che non sia radice amaradi una profezia alla rovescia.Tutte queste paure prendono corpo nel diodella poesia drammatica, Dioniso, presen-tato quale caricatura del divino, che – nellespire dei pericoli e delle difficoltà – arrivapiù di una volta a farsela sotto (Cf. G. MA-RANGoN, Tremori di un dio, paure di un po-polo: note introduttive alle Rane di Aristofane,Chioggia 2003, pp. 12-14).A questo punto s’innesca la terapia delteatro. Come far echeggiare queste paurenella vita di giovani, incamminati al-l’Esame di Stato? Come renderli consa-pevoli (senza appesantirli) delle loropaure: paure di fronte alle future sceltedi studio e di vita, di fronte alla prospet-tiva di un difficile impiego? Forse anchedi fronte al profilarsi di un impegno af-fettivo stabile? L’insegnante traduce e attualizza il testo.Fa capire che da sempre il cuore umanoè solcato anche dalla paura; che non si èsoli nella traversata; che c’è sempre unoXantia accanto al pavido Dioniso spae-sato negli inferi; che la risata può lenireil morso dell’inquietudine freudiana. Diqui nasce lo stimolo alla posa capric-ciosa, al tono di voce inedito, al costumefantasmagorico: tutto concorre a scio-gliere timori e perplessità.La regista dal canto suo trova l’espe-diente della “bilancia umana” su cui “pe-sare” i versi dei poeti, fa immaginare labarca di Caronte, inventa strane portan-tine o cataletti da morto, fa volteggiare ilCoro di rane nelle figure più singolari: ora

su cadenze morbide, ora con ritmicità fre-netica. È una sfida continua contro sestessi: occorre far ridere, pur pensando infiligrana a situazioni problematiche(quelle di Atene e quelle personali). oc-corre far ridere, anche se è più facile farpiangere che ridere. occorre far ridere conla parola, col gesto, con la musica, perchéquesta è la regola della commedia; e talerimane il testo delle Rane. Un’unica tregua è lasciata alla distensioneriflessiva – nel momento della “paràbasi”– quando il Coro degli iniziati ai misterisfila davanti agli spettatori e gli grida infaccia le malefatte di una democrazia malcapita, di una gestione della cosa pubblicaguastata dagli interessi di parte, di unprurito insano di novità, di una fiducia ec-cessiva concessa ai demagoghi.Quindi riprende la temperie comica: ilriso è provocato dai colpi di scena, in uncrescendo che porta all’esito finale.Eschilo è il prescelto: lui, non altri, dovràritornare su, ad Atene, con i suoi consiglidi saggezza, mentre qualcuno gli guar-derà nell’Ade il trono della poesia. Al brindisi e all’augurio conclusivo par-tecipa anche Plutone, il dio dell’Ade.Una sorta di catarsi in cui l’animo si di-stende sereno, dopo un viaggio tra pauree un confronto tra alterchi e risate. Rimane indimenticabile poi – a fine mag-gio 2003 – la lunga corsa in pullman finoad Altamura, per riproporre alla Rassegnainternazionale del Teatro Classico Scolasticoquesta perla di Aristofane: la traversatadello stivale fino in Puglia con le sceno-grafie nel bagagliaio; una sosta d’arte aBari; soggiorno ad Altamura, presso ipadri Salesiani, anche per l’assessore allacultura dott.ssa Borella, per il prof. Gen-tilini e l’instancabile regista Franca Rossi,ossequiati dal sindaco della cittadina.Messa in scena dello spettacolo il giorno27, e ritorno con la gioia di aver – oltre-tutto – allietato tanti altri studenti, venuti

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da varie parti d’Italia per una gara d’in-terpretazione teatrale.La passione e il talento profusi nellospettacolo hanno dato pure qualchefrutto mediatico: I premio per la comme-dia al Liceo “Veronese” di Chioggia.Quello spettacolo rimane nel cuore, comerestano nel cuore i versi di Aristofane e igiovani interpreti, splendidi non solonella recitazione.

Le Rane dell’anno scolastico 2003-04 sonostate una palestra di collaborazione gio-iosa, sulle tracce di un messaggio di mo-derazione; una proposta di saggezzaantica e sempre nuova; un grande vac-cino contro le paure che si celano anchesotto le pose scanzonate degli anni verdi. In fondo, la paura si allea più d’una voltaalla speranza. E una paura vigile resta ol-tretutto madre della sicurezza.

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Mentre scrivo queste righe a marginedelle belle iniziative promosse dal nostroLiceo per celebrare i venticinque anni diattività del laboratorio di teatro classicoantico, già fervono i lavori per la messain scena di un altro testo tragico: le Coe-fore di Eschilo.L’originale greco, su ampi brani delquale i nostri studenti condurranno que-st’anno in classe una lettura filologica-mente corretta e criticamente fondata, èuno dei pochi drammi rimastici delprimo e – a giudizio di Aristofane – delpiù grande dei tre poeti tragici ateniesidel V secolo a.C., ai quali si fa risalire lanascita del teatro occidentale.Di questo testo nel mese di maggio i no-stri studenti proporranno alla cittadi-nanza e agli altri alunni del Liceo, unarappresentazione che si basa sulla tradu-zione, riduzione e adattamento del testooriginale eschileo cui mi sono dedicatadurante i mesi estivi e la primissimaparte di questo nuovo anno scolastico.Dopo la Medea, l’Ippolito, l’Alcesti di Eu-ripide e l’Antigone di Sofocle, le Coeforehanno rap pre sentato per me, non solo ilmio quinto impegno di traduzione di untesto tragico greco, ma anche – su invitodei curatori di questo libro – l’occasionedi fare un po’ il punto sulla non sem-plice questione del “come” tradurre untesto greco; e soprattutto come tradurloquando si tratta di un testo teatrale de-stinato ad essere rappresentato ad unpubblico di oggi, composto anche di nonspecialisti e non classicisti.La prima domanda cui trovare una ri-sposta soddisfacente, è quindi sempre

Tradurre i classici greci e lasciarsene sedurre

stata per me, quella su quale modalitàlinguistica usare per “ri-raccontare” agente di oggi, in un italiano di oggi, sto-rie che io leggevo – innamorandomene –in una lingua diversa, antica, certo stra-ordinariamente viva e vitale, ma tuttaviaappartenente ad una cultura e portatricedi una visione del mondo apparente-mente distanti da noi e dal nostro tempo.Traducendo da questa lingua, mi sonosempre più chiaramente resa conto dicome sia pro fondamente sbagliato – oltreche impossibile – passare direttamentedalle parole dell’originale greco a quelleitaliane più o meno ad esse corrispon-denti.Mi sono anche resa conto che il mioprimo sforzo avrebbe dovuto averecome obiettivo quello di risalire dalleparole di volta in volta pronunciate daipersonaggi, alle situazioni, ai fatti, al si-gnificato d’insieme delle vicende rac-contate dai testi originali, così daarrivare a ridirle a gente di oggi nellalingua di oggi: e così facendo, suscitarenei nostri spettatori contemporanei, al-meno un’eco dell’interesse, dei senti-menti, del coinvolgimento emotivo cheil testo originale era stato in grado di su-scitare nei suoi originari spettatori. Inquegli uomini e (con tutta probabilità) inquelle donne, che nel V secolo si raduna-vano sul declivio di una collina immersanell’aria e nella luce del cielo senza nubidi Atene, per ascoltare e condividere il si-gnificato ultimo di parole di volta involta nette e taglienti, o ambiguamenteprecise, intessute di metafore alate, di ar-diti neologismi, di simbolici richiami ai

Susi Boscarato

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1 Cf. V. WooLF, Sul fatto di non sapere il greco (traduzione di Livio Bacchi Wilcock), Milano, Il Saggiatore, 1963.2 Dal discorso pronunciato da J. MARìAS a Dortmund il 7 dicembre 1997 per la consegna del premio “Nelly Sachs”.

miti e alla storia di un tempo lontano, pa-role che però hanno finito col diventareparadigmi della fatica e della sofferenza,ma anche della grandezza, dell’umanaesistenza, in qualsiasi epoca e sotto qual-siasi cielo.Per questo, nel tradurre testi così fonda-mentali, dovevo anche essere dispostaall’occasionale tradimento della “lettera”dell’originale, pur di salvaguardarne ilmessaggio di insieme e di fondo.Perché, se è vero quello che dice VirginiaWoolf, e cioè che “Il greco è […] la lette-ratura dei capolavori”, per la quale “nonci sono scuole, predecessori o eredi”1, eche quindi essa potrebbe essere gustata– e forse neppure appieno – solo nellalingua originale; è secondo me altret-

tanto vero, e prezioso per noi confusiviaggiatori di questo tempo così poverodi guide e di maestri, ciò che invece dicelo scrittore spagnolo Javier Marìas: “Itesti originali sono un po’ come le parti-ture musicali; le traduzioni sono un po’come le esecuzioni o gli adattamenti diciò che senza di esse tace, e con il tempoimpallidisce o si trasforma in geroglificoper i discendenti di chi scrisse l’irripeti-bile e intoccabile e inalterabile testo”2.Continuiamo quindi a farle parlare e ri-suonare quelle antiche voci, e ad ascol-tarle: perché solo se non smarriremo ilsenso e il valore del nostro passato, po-tremo sperare di continuare a costruireun presente e un futuro migliore per noie per i nostri figli.

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Alcesti o la recita dell’esilio vede la lucenegli “Elefanti Garzanti” nel settembre20021. Il dramma è sta to richiesto e pen-sato per il “Teatro olimpico” di Vicenza,ma è destinato a non esservi rappresen-tato e Raboni, che ne ha scritto le ultimescene a Yale nell’aprile dell’anno prece-dente, in occasione del suo primo viag-gio negli Stati Uniti, dovrà aspettare altridue anni prima di vederlo in scena. La prima avrà luogo il 7 gennaio 2004presso il Teatro “Santa Chiara” di Brescia,ad opera del Centro Teatrale Bresciano,per la regia di Cesare Lievi e l’interpreta-zione di Ester Galazzi, Roberto Trifirò,Gianfranco Varetto, Francesco Vitale. Inconcomitanza con l’iniziativa teatrale, sitiene in Brescia un ciclo di Seminari pro-mosso dalla sezione locale dell’Univer-sità Cattolica del Sacro Cuore, dal titolo“Sacrifici al femminile. Alcesti in scenada Euripide a Raboni”. Al ciclo di semi-nari Raboni interviene il 12 dicembre2003, parlando di “Alcesti” e i disastri delNovecento e contribuendo a chiarire leprospettive attualizzanti del suo ricorsoalla vicenda della mitica eroina.Nell’anno scolastico 2008-09 il LiceoClassico di Chioggia decide di metterein scena questo dramma allo scopo didare una visione altra della tragedia del-l’eroina tessala, già rappresentata l’annoprecedente nella versione euripidea. Lescelte nella messinscena per i ragazziprevedono – previo consenso della si-gnora Patrizia Valduga, oggi vedova Ra-boni – l’inserimento di un coro assentenel testo raboniano, di cui ho curato lapreparazione personalmente, seguendo

L’Alcesti di Raboni: note di messa in scena

il metodo che Susanne Martinet descrivenel suo libro La musica del corpo2 perquanto riguarda il lavoro sul gesto esulla voce. L’inserzione di parti coreuti-che nel testo di Raboni nasce in primoluogo dall’esigenza didattica di coinvol-gere nell’attività tutti gli studenti dellaclasse, ma viene ritenuta in fase di pro-gettazione strumento interessante permarcare l’intensità drammatica costitu-tiva del testo originale. Le battute attri-buite al coro, infatti, nascono proprio daltesto di Raboni, e mirano a segnare emo-tivamente ciò che succede in scena, rea-lizzando una sorta di controscena che ilcoro occupa senza mai interagire con ipersonaggi, ma restando efficacementepresente per segnare il momento dram-matico. Tali inserzioni devono essere in-tese non a modificare il testo dell’autore,quanto piuttosto a sottolinearne i pas-saggi più salienti. Nel percorso ispiratoal metodo della Martinet il clima di la-voro non è mai giudicante o competitivo,ma rassicurante, affinché ciascun com-ponente il gruppo-classe abbia la possi-bilità di potersi esprimere liberamente.Lo scopo è far sì che si apprenda un me-todo, non un contenuto; chi guida ilgruppo non deve dire a priori cosa fareo non fare: i contenuti emergono dalgruppo che è continuamente stimolato arinviare i propri feedback attraverso leazioni, poiché l’aspetto discorsivo vieneescluso il più possibile. L’obiettivo non èla rappresentazione, ma il fare, che di-venta strumento logico e sensato: deveesserci spazio anche per la libertà di sba-gliare, dato che non vi è un modo “giu-

Patrizia Aricò

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sto” o “sbagliato” in senso assoluto.Anche un’azione sbagliata contiene alsuo interno la forma giusta, poiché cia-scuno ha in sé il proprio “modo”, da cuiemerge questa forma. Lo spirito cheanima questo tipo di lavoro è aperto emobile, attratto dalle cose profonde esottili, un continuo assaporare il piaceregratuito della ricerca per scoprire un per-corso che si va allargando in profondità,così da poter riflettere “sul significato diun comportamento, di un atteggia-mento, stabilendo dei paralleli con situa-zioni quotidiane; respirare un’atmosferadi fiducia, di calore, affinché si apprez-zino il confronto costruttivo e la qualitàdella relazione”3. Lo scopo del lavoro è,e resta, quello di comunicare un’espe-rienza. Il gruppo non deve ricercare unaperformance tecnicamente perfetta,anche se a volte nell’osservazione delprodotto finale è possibile avvertire lasensazione di un lavoro preparato. Èchiaro che un gruppo che condivide lastessa passione può trasmettere l’imma-gine di un ingranaggio ben lubrificato;

l’abitudine di sentire l’altro e il fatto diavere la capacità di ipotizzare le even-tuali reazioni generano una complicitàche, quando si manifesta nel corso diimprovvisazioni collettive, sorprendeper la sua qualità. Alcesti risponde alle esigenze di chivuole ripensare alla storia più recente, omeglio alle sue lacerazioni, di cui ap-punto parla il testo di Raboni, attraverso

le vicende di tre personaggi in fuga sullosfondo di una persecuzione storica, nondefinita temporalmente, ma che si inqua-dra nel secolo terribile che ci ha prece-duto. Le lacerazioni storiche sono anchequelle dell’animo dei tre protagonistiche, cercando di gestire la folle situa-zione che stanno vivendo, trovano rifu-gio in un teatro. La scena nel dramma di Raboni iniziacon un suono di sirena che in una nottenebbiosa segna un inseguimento; in se-guito entrano in scena i tre personaggi,due uomini ed una donna. Nelle rappre-sentazioni del 2008 la nostra scelta privi-legia in apertura di dramma l’entrata delcoro: la scena si apre su una folla di viag-giatori che attraversano il palco, ognunocon la propria valigia di dimensione eformato diverso, come a segnare il pro-prio vissuto. È uno stato d’animo quelloche si vuole sot tolineare. Pian piano sidefinisce un grup po a pro scenio, a sini-stra del palco, con i protagonisti sulla de-stra dello stesso, posizionati di schiena.Dopo essersi definito come gruppo, ilcoro prende la parola al suono sordodelle valigie che sbattono sul pavimentoe i suoi membri anticipano frammenti diciò che poi, a seguire, verrà detto dai per-sonaggi. Questi frammenti di battuta, di-stribuiti tra i suoi compo nenti, vengonopronunciati con velocità e colore dellavoce differenti, eccetto l’ultimo, espressoin forma corale a segnare l’importanzadel termine che in esso identifica il luogodell’azione: il teatro.

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– Ecco, siete arrivati.– Sistematevi come meglio potete.– Ci saremmo certamente perduti/e questo

fa sperare / che nessuno …– Qualcosa / […] ancora m’impedisce di capire– se siamo in un rifugio o in una trappola.– (Tutti) Siamo in un teatro4.

Un lavoro sulla voce, funzionale a ciòche succede in scena, è stato presuppostofondamentale in questo tipo di percorso.La voce è senza dubbio il primo e piùoriginale strumento che la musica ci hadato. Ecco perché, durante il lavoro sulcorpo, è interessante partire da una let-tura articolata, senza nessuna pretesaspecificamente musicale, ma come ulte-riore mezzo a nostra disposizione peresprimere, per esprimerci. “La voce haun posto specifico, è il riflesso della per-sonalità, è lo specchio dell’anima. È lostrumento più completo che si possa im-maginare per sperimentare di persona esenza intermediari il linguaggio musi-cale, effettuando nel contempo un lavorodi evoluzione personale”5. In questo la-voro il ruolo della voce è considerato inrelazione al movimento, si pone comeelemento di dialogo, mezzo di espres-sione con la stessa valenza del corpo. Lavoce può colorare, rafforzare o contra-stare un movimento. Questo tipo di la-voro pone delle questioni soprattuttoquando si vuole che la voce contrasti ilmovimento. In tal modo ci si concentrasul contenuto, ma si rischia di perdernel’accento. Quale deve essere l’energiautilizzata? In alcuni momenti diventa in-teressante interrompere il movimento,per conservare solo l’espressione vocalee viceversa. La voce è infatti un mezzoper entrare in comunicazione e per poterinteragire. Tre sono gli elementi dellavoce che concorrono alla sua relazionecon il movimento: respirazione, rumoree suono. Si tratta di dare qualità musicale

rispettando le leggi della composizione,punti forti, silenzi, contrasti. All’iniziovengono proposte delle soluzioni lavo-rando sul testo: ascolto del gruppo chetraduce vocalmente il tema con un testoconcreto, osservazione delle proposte digestualità individuate dallo stessogruppo. Una frase, una parola vengonotrattati sia nella loro totalità che fram-mentati. Il testo viene affrontato nei suoidifferenti aspetti e poi tradotto in modidiversi. Ciò avviene lavorando su più li-velli: sulla velocità, l’intensità, gli sposta-menti, la comunicazione, lo scambio, ilcontrollo del volume. Questo permetteràdi arricchire il proprio bagaglio, di sapergestire l’uso del linguaggio in manieranon convenzionale, di apprezzare lavoce nel suo aspetto di strumento piùcompleto e originale che appartiene allamusica.La scelta di utilizzare le parole di Raboniè voluta proprio per il senso che la pre-senza del coro rivendica sulla scena.Dopo averle pronunciate, il coro indie-treggia, lasciando in scena le valigie,mentre i personaggi prendono vita eforma in un alternarsi che riprende ver-balmente quello che il coro in primaistanza ha debitamente sottolineato.

L’azione drammatica è semplice e li-neare. I personaggi sono quattro: unuomo ancor giovane (Stefano-Admeto),la moglie (Sara-Alcesti), il padre (Simone-Ferete) e “un ulteriore intermittente tetra-gonista, il Custode (“traghettatore” o

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rivendica il suo diritto a vivere: “Io citengo / ancora, ci tengo forse di più, / citengo for sen natamente / a quel po’d’albe e di tramonti / che, chissà, potreiancora vedere …”8. Ma, procedendo con ordine, vediamo ilcoro rientrare in scena per segnare unmo mento importante e cioè la defini-zione della personalità di Sara. Nel mo-mento in cui lei esce per aggirarsi tra lequinte per ritrovare “un po’ di passato”9,un componente del coro apre le valigie,da cui in successione altri coreuti estrag-gono una maschera, un copione, un co-stume di scena ed un velo nero, chepreannuncia il destino finale di Sara-Al-cesti. Questi oggetti vengono in seguitolasciati sul fondo del palco, dal lato op-posto alle valigie: quando Sara rientrerà,li troverà lì per “agirli” prima di tornarenel vivo della scena, con un coro mutoche la osserverà e segnerà il momentocon il gesto. I coreuti devono indispensabilmente re-cu perare il gesto come linguaggio, comepossibilità di comunicazione, comemodo per esprimere la propria persona-lità attraverso il corpo. Tale processo,

“spedizioniere”), ambiguo […], fra ilruolo di angelo della morte e di salva-tore”6. Simone, il padre, lo definiscecome “quel tipo indecifrabile / che com-pare e scompare / come un orologio acucù / o come la figura della morte / incerti campanili gotici …”7. Questo perso-naggio, nella nostra messa in scena,viene tratteggiato diversamente da comelo ha voluto Raboni. Si è lavorato sullafisicità, volutamente imponente, e sultrucco, che ricorda tratti luciferini.L’abito indossato si risolve in un cap-potto lungo e scuro. La nostra vicenda è ambientata in un tea-tro, in un’età che si inquadra a metà del’900 in un clima segnato dall’oppressionedel regime, la cui natura non viene maidichiarata, ma si veste di perse cuzionepolitica e di intolleranza. I tre attendonod’imbarcarsi per fuggire altrove, ma èproprio il Custode a chiarire che è possi-bile solo per due di loro imbarcarsi edunque salvarsi. Quasi immediatamenteviene esclusa dai due uomini la possibi-

lità che sia Sara a non partire e da lì iniziatra Stefano e Simone un conflitto dram-matico su cui si centralizza tutto ildramma. C’è un tentativo di soluzionedel problema da parte di Sara, che pro-pone di restare nascosti lì fino a quandola situazione cambi, cessi la persecu-zione. Ma i due uomini non accettano ene nasce uno scontro molto forte, che èvolutamente di derivazione euripidea,soprattutto nelle parole con cui Simone

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done lo sguardo, lo pone in cima almonte di valigie in un passaggio dalloscorrere lento ed inesorabile come il de-stino che attende Sara-Alcesti. C’è unmomento in cui il coro sembra scambiarecon Sara un pensiero, quando Sara rac-conta l’Alcesti euripidea attribuendo aicittadini di Fere la battuta: “Soltanto /quando l’avrà perduta / saprà vera-mente cos’ha perduto”10 . Il nostro corola riprende insieme ad un movimentocircolare dei suoi componenti: è come sein questo momento fosse la memoria diSara, che sta in scena in penombra, men-tre esso rimane rigo rosamente illumi-nato in controscena. Lo stesso si ripete inun secondo momento, poco prima cheentri il Custode. Stavolta il verso, in unripetersi quasi ossessivo compulsivo,sottolinea quello che, appena pronun-ciato da Sara, risulta inopinatamente si-gnificativo per ciò che accadrà dopo:“Non esita un istante  / dà, in cambiodella sua, la propria vita”11.Poi il coro esce. Ne rimane un unicocomponente, che sistema freneticamentele valigie in scena.Attraverso la ricostruzione del suo es-sere stata attrice, Sara tenta di colmarel’incomunicabilità tra i due uomini, che,come abbiamo visto, non sarà altro cheil modo di sostanziare il dramma, ildramma delle loro vite, come una para-dossale messinscena di quello che sonorealmente, adesso ad un passo dall’esi-lio. Sara non accetta che ci sia una vittimadesignata e sostiene che “se partire tuttiè impossibile / (e so bene, so bene che èimpossibile!) / non c’è che una cosa dafare: / restare tutti qui”12. L’ipotesi che il teatro possa essere illuogo della salvezza è solo nella mentedi Sara. I più realisti Simone e Stefanonon credono che ci possa essere alterna-tiva a che uno di loro rimanga. Il punto

funzionale all’acqui sizione della mimica,della ge stualità, della ritmicità, divienepresupposto di tutte quelle successive at-tività in cui il ritmo è parti co larmenteevidente. Per il coro la mimica e la ge-stualità, nel particolare caso della danza,sono la forma più organizzata di educa-zione corporea, insieme di tanti ele-menti, che vanno dal movimento liberoa quello sempre più organizzato indivi-duale e di gruppo, da forme semplici dimusica fino alla drammatizzazione.Questo momento in controscena scorresul dialogo tra Simone e Stefano, quandoquest’ultimo comunica al padre il fattoche a partire saranno solo due di loro. Appena Sara rientra, comincia a correrecon la memoria al suo passato di attriceed è qui che l’archetipo euripideo affioracon una splendida operazione meta -teatrale all’interno del dramma. Sara ri-cor da, ricorda di aver recitato proprio inquel teatro la parte dell’ancella di Alcestie a furia d’ascoltare la tragedia della suaregina l’ha fatta propria. Il momento èsegnato da un componente del coro cheraccoglie nel velo nero gli oggetti, percon segnarli al Custode che, incrocian-

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parte del lavoro sui ragazzi viene dedi-cata alla sen sibilizzazione musicale attra-verso l’ascolto di varie musiche, anchedal vivo, che poi sfocia in un’analisi, op-pure in un punto di partenza per il mo-vimento: si cerca un dialogo tra musicae movimento, affrontando questioni cherichiamino le sensazioni suscitate dal-l’ascolto e le possibili implicazioni dram-matiche. La musica suscita immagini,rende musicale il corpo, perché è la mu-sicalità del movimento che dà respiro,vita e sensibilità. La musica ha un suospazio in funzione di ciò che può dare almovimento e i coreuti devono cercare co-munque i propri ritmi, la propria melo-dia interiore con accenti, silenzi, fraseggi.L’ultima scena descritta, peraltro, è statapensata per offrire al pubblico anche i ri-sultati di una delle esperienze più signi-ficative dei ragazzi del laboratorio diteatro. Mi riferisco al tentativo di uti-lizzo in essa della lingua dei segni, conun lavoro simile a quello gestuale nel-l’esclusione di ogni aspetto verbale, masostanzialmente diverso nei tratti speci-fici che lo caratterizzano. Anche se quelladei segni è una forma di linguaggio suf-ficientemente simile ad una lingua vo-cale per le caratteristiche di arbitrarietàche la contraddistinguono, è convinzioneautorevole che i segni vadano osservaticon occhi liberi dai condizionamentidella linguistica14. Ho perciò cercato dipiegare alle esigenze corali i caratteri es-senziali della struttura dei segni e delloro funzionamento, concentrandomi su

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è solo trovare un criterio di scelta, ed èproprio Simone che propone un po’ sar-casticamente una specie di roulette russa.Una vecchia pistola, carica di un solcolpo, designerà il sacrificando: ma nonsi sparerà alla tempia di uno di loro,bensì ad un oggetto. Non un attacco allapersona dunque, ma ai sentimenti e diquelli più cari, cioè familiari. Sara, pro-nunciando amare parole, va via. Hacapito che non riuscirà mai a farli ragio-nare. Nel momento in cui esce, il cororientra in scena in un iniziale gioco conil passaggio di quel velo che raccoglie glioggetti a lei cari: il copione, la maschera,l’abito da scena. È questo un momentoche segue alle parole di Simone, quandosi accorge che Sara esce e dice appunto:“Ma dove va?”13. È come se la scena sicongelasse sui due uomini ed il coroaprisse una parentesi, con il movimentoe un lavoro sulla voce accom pagnatodalla musica, come a segnare il destinodi Sara-Alcesti. Una parentesi è d’obbligo sul ruolo chericopre la musica in questo percorso.Essa esprime l’interiorità dell’animoumano, offrendo un ulteriore linguaggioadatto a da re forma e a comunicare i sen-timenti, anche se in maniera meno defi-nita di quanto accade con il linguaggioparlato. Il movimento diventa la causadel l’evento musicale. Utilizzando tutto ilcorpo e spostandolo nello spazio, ha lapossibilità di diventare suono, fatto im-portante in un lavoro che mira a renderemusicale il corpo. Solitamente buona

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centralità del rap-porto corpo-linguag-gio, individuazionedell’ambito di artico-lazione dei segni(spazio dal bacino delsegnante sino alla al-tezza del viso), e lorocaratteristiche artico-latorie (luoghi sul corpo, configurazionie orientamento della mano, tipo di mo-vimento)15. La mia scelta si è orientataverso l’identificazione di tre “parole”funzionali al momento teatrale in cui an-davano inserite, per la loro espressionegestuale e il loro significato: un verbo af-ferrare, reso efficace dal movimento dellamano nello spazio; un soggetto io, indi-cato dalla mano a pugno che preme al

centro del torace; l’aggettivo possessivomio, espresso da un indice che si muovenello spazio dall’esterno verso il cuore.Nell’alternanza dell’uso di questi segniil coro si muove sul palco pronunciandole battute “Potresti dirla viva/come po-tresti dirla morta” e “È allo stremo. Staspirando…”16, con un lavoro sulla vocefocalizzato sul controllo del volumecome del ritmo con cui quest’ultime ven-gono pronunciate. Le battute del coro eu-ripideo, ricordate da Sara, diventano orarappresentative del suo destino, mentreabbandona delusa il teatro per entrarenella nebbia. La scena appare chiara alpubblico che la osserva in tutta la suadrammaticità: non occorre che conosca il

linguaggio dei segni,perché è la forzaespressiva di questiult imi che crea lecondizioni emotivenecessarie al mo-mento drammatico,in cui la nuova Alce-sti prende in mano il

proprio destino identificandosi con la an-tica. Tornando alla nostra Sara-Alcesti, dopoessere uscita, non rientra più in scena, senon velata e comunque non più comeSara. “E nel ruolo di Alcesti ella ora calase stessa: allontanandosi in silenzio, […]mette i due uomini di fronte al fatto com-piuto della sua scelta, costringendoli conil suo sacrificio a vivere nel ricordo dellaloro meschina grettezza”17. Dopo un de-bole tentativo di andare a cercare ladonna, i due sollecitati dal Custode cheha ben volutamente scosso le loro co-scienze, fanno prevalere la loro perso-nale convenienza. ogni affetto viene cosìsacrificato in nome del puro istinto diconservazione.

Euripide ritorna nel finale. Una donnavelata e muta, che si va definendo at-traverso una coreografia, compare sulfondo della scena, per partire insieme aidue uomini. È Sara, e come recita la di-dascalia è, “riconoscibile ma miste rio sa -mente mutata e con il volto nascosto daun velo”18. Ma l’epilogo di Raboni è si-

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causa l’antico di vieto del dio dei mortiad orfeo: “E ricor datevi / che anche laminima infrazione / a questi ordini deiquali, ripeto,/ io sono soltanto il latore /metterebbe seriamente in pericolo / siala sua vita che la vostra”20. Tutto in que-sto dramma rievoca un pae saggio infero,ma l’Alcesti di Raboni non rac conta di unritorno dall’aldilà, quanto di una fugadall’inferno delle coscienze e per i dueuomini nello specifico di un ingresso inun loro purgatorio. Nella sua Alcesti Ra-boni sembra andare controcorrente ri-spetto ai molti che hanno ripreso lavicenda dell’eroina, e lo fa scegliendo dievidenziare quello che nelle altre rivisi-tazioni troviamo minimiz zato, scegliecioè di dram ma tiz zare quasi per l’interodram ma l’at trito fra padre e figlio che haradici profonde: “Ti sei sempre compor-tato con me come con un debitore insol-vente / o con un truffatore/ – come se tiavessi defraudato / d’una felicità o spen-sieratezza / della quale, chissà perché, /ti sentivi in diritto…”21.Questo tema, come abbiamo visto, segnatutto il dramma ed è alla base della sceltadi Sara di sacrificarsi al posto dei due uo-mini, che ama entrambi per motivi diffe-

cura mente più amaro di quello euripi-deo, dove si poteva prefigurare una sortadi lieto fine. Qui invece il presunto rico-noscimento rimanda al di fuori deldramma. Stefano e Simone non solo nonconoscono l’identità della misteriosapasseggera, ma, come li ammonisce ilCustode, non devono nemmeno rivol-gerle la parola fino a che la nave non saràsalpata: “Ma attenzione: le istruzioni cheho avuto / e che devo trasmettervi /sono assolutamente inderogabili: / finoal momento dell’imbarco / o per megliodire finché la nave / non si sarà staccatadalla riva / nessuno, né l’autista né voidue / (anzi: tanto meno voi due) / lepotrà rivolgere la parola / né potrà par-lare di lei. / Dovrete fare, insomma, /come se non ci fosse”19. E conclude inmaniera minac ciosa, come a prendere in

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della figura di Admeto, ovviamente ascapito di Alcesti23. Raboni rimane in-vece volutamente in linea con il drammaeuripideo, restituendo ad Alcesti il postod’onore. La protagonista può compiere ilsuo sacrificio sullo sfondo di una disputameschina tra i due uomini, che pensanosolo a salvare la propria di vita, ed il fi-nale segna inequivocabilmente ciò nelvoler mantenere i due nella totale incon-sapevolezza sull’identità della nuovapasseggera, la misteriosa donna velata,ed è rimarcato da quell’ultima strana,improponibile e ridicola domanda postada Stefano: “E così il terzo posto, / ilposto che ci era stato promesso / e poi,di colpo, revocato, / il posto che ci siamodisputati / fino a roderci il cuore, / eraper questa sconosciuta? / È per far par-tire lei, per salvarla, / che uno di noi tre/ ha dovuto infine sacrificarsi?”24. Attra-verso le parole di risposta del Custode,Raboni denuncia l’ultimo tentativo daparte dei due uomini di addossare a terzila responsabilità del sacrificio di Sara-Al-cesti, “capace non solo di un più acutosentire ma anche, fin dall’inizio, di su-periore consapevolezza: la vera e indi-scussa eroina – a tutto tondo, come nel

renti: il marito, uomo pragmatico e ra-zionale, le ha sempre dato sicurezza; conil suocero condivide il suo amore perl’arte, per il teatro. “Io vi amo uno nel-l’altro, / uno a causa dell’altro, qualchevolta / uno per rimpianto dell’altro, / in-dissolubilmente, / ine strica bilmente…”22.Specularmente van taggiosa, questa nuovasituazione serve ad inasprire ulterior-mente il rapporto già difficile tra i due.operazione volutamente portata avantida Raboni per evidenziare la figura diAlcesti. E qui riemerge Eu ri pi de. Nel suodramma la protagonista femminile èposta su un piano di superiorità: a leiEuripide assegna qualità e prerogativeproprie dell’eroe maschile e lo fa sottra-endole volutamente proprio ad Admeto.I drammaturghi successivi hanno fattoun’operazione quasi di rivalutazione

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1 G. RABoNI, Alcesti o La recita dell’esilio, Milano, Garzanti, 2002. La si legga anche in IDEM, L’opera poetica, Milano,Mondadori, 2006 e in EURIPIDE, WIELAND, RILKE, YoURCENAR, RABoNI, Alcesti. Variazioni sul mito, a cura di M. P.PATToNI, Venezia, Marsilio, 2006. A quest’ultima edizione fanno riferimento le citazioni seguenti.

2 S. MARTINET, La musica del corpo. Manuale di espressione corporea, Trento, Erickson, 1992.3 S. MARTINET, La musica, cit., p. 16.4 G. RABoNI, Alcesti, cit., p. 207. 5 S. MARTINET, La musica, cit., p. 142.6 M. P. PATToNI, Introduzione a Alcesti. Variazioni, cit., p. 41.7 G. RABoNI, Alcesti, cit., p. 236.8 G. RABoNI, Alcesti, cit., p. 243.9 Ibidem, p. 213.10 Ibidem, p. 231.11 Ibidem.12 Ibidem, p. 249.13 Ibidem, p. 255.14 Per le teorie dello SToKE sul concetto strutturalistico di arbitrarietà del linguaggio dei segni, per l’opinione dello

JoUISoN sulla necessità di non guardare ai segni condizionati dalla linguistica e per le caratteristiche articolatoriedi questo linguaggio ci limitiamo a fare riferimento qui a S. GENSINI, Manuale di semiotica, Roma, Carocci, 2004,pp. 359-363.

15 Cf. ibidem.16 G. RABoNI, Alcesti, cit., p. 230.17 M. P. PATToNI, Introduzione, cit., p. 43.18 G. RABoNI, Alcesti, cit., p. 264.19 Ibidem.20 Ibidem.21 Ibidem, p. 218-219.22 Ibidem, p. 228.23 “Eliminando lo scontro di Admeto con il padre e togliendogli inoltre la responsabilità di lasciare consapevolmente

morire qualcun altro al posto suo, di certo si consegue l’obiettivo di rivalutare il debole marito di Alcesti, sottraen-dogli quelle componenti che potevano inficiare lo statuto di eroe positivo” (M. P. PATToNI, Introduzione, cit., p. 48).

24 G. RABoNI, 2006, p. 265.25 G. PATToNI, Introduzione, cit., p. 48.

modello antico – del dramma”25. La Saradel nostro alle sti men to non indossa giàil velo. Come è avve nuto per tutta la rap-presentazione, anche in quest’ultimomo mento l’oggetto scenico viene agito inprima istanza dal coro. Un lungo velonero, che ricorda nel colore ma non nelledimensioni quello già presente in scena– contenitore degli oggetti cari a Sara –compare in scena. Come in un gioco dirimandi, questo si ripropone come sim-bolo ricorrente per segnare l’inevitabiledestino della protagonista. Il velo vienedisposto lungo il fondale del palco dal

coro, che in seguito lo solleva verso l’altocome a creare una fitta nebbia che si alzaall’improvviso e dietro la quale Saradanza il suo atto finale. La danza, sullenote della Ciaccona di Bach, si concludecon la resa di Sara al suo destino, sugge-rita dal suo entrare dentro il velo fino adesserne completamente ricoperta. Nel-l’ultima immagine dello spettacolo Saraavanza a proscenio nel crescendo dellamusica, come a imporre all’attenzionedel pubblico il suo trionfo sulle contrad-dizioni laceranti della recita nell’accetta-zione del suo destino.

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Rare volte mi è capitato, nel raccoglierel’invito ad illustrare un fascicolo mono-grafico, una silloge poetica o la locan dinadi una rappresentazione teatrale, di averavuto così pochi dubbi come davanti allarichiesta e alla possibilità di poter affi-dare alla più libera creatività il compitodi immedesimarmi fin da subito nellospirito e nella sacralità offerti, per feliceoccasione, dalla tragedia greca. Per fis-sarne quasi un emblema, e potere, nelcontempo, tuffarmi per qualche attimonella magica atmosfera del mito e dellaleggenda.Ricordo l’entusiasmo con cui il collegaGiannino Crocco mi parlava, nell’ormailontano 1985, della prima “avventura”teatrale della sezione classica del Liceo“Veronese”, tutta impegnata nella dram-matizzazione e nell’allestimento di EdipoRe di Sofocle.E ciò per guidare i giovani allievi ad unaconsapevolezza più vitale e profonda delpatrimonio letterario antico, dei suoi va-lori eterni, presenti anche nella realtàmoderna e quotidiana, e perciò univer-sali. Un’esperienza senza dubbio entu-siasmante. La quale, nata come tentativodidattico – forse quasi una sorta di scom-messa – era destinata a prendere piede econsistenza al punto di divenire unaprassi ordinaria nel progetto educativodella sezione classica, una scadenza at-tesa e un impegno perseguito fino al tra-guardo di un quarto di secolo.Attraverso esperienze di studio, di teatroe di analisi storiche che hanno scanda-gliato la tragedia greca in lungo e inlargo, soffermandosi soprattutto su Eu-

Un manifesto lungo 25... anni

ripide, considerato un autore molto vi-cino alla contemporaneità, con le Bac-canti, l’Ippolito, la Medea, le Troiane, Alcestie tante altre anche di Aristofane e di altriautori.Ricordo il fervore con cui Giannino miparlava della tragedia appena finita ditradurre: vi aveva scoperto, rese espli-cite, alcune intuizioni che da tempo an-davano rimescolando il suo spirito distudioso e di artista-regista.ormai non gli rimaneva che avventu-rarsi nell’impresa, e subito di trovare nelsottoscritto, assieme ad altri colleghi,dei collaboratori per una iniziativa cheavrebbe avuto dei risultati sicuramentesuperiori ad ogni aspettativa.Per quanto mi riguardava, non mi re-stava che metter mano al lavoro, e su-bito dover trovare con lui la via d’uscitaad una necessaria traduzione grafico-espressiva che sinteticamente potessemanifestare, in un disegno inizialmentemonocromo, la più esplicita evocazionedel soggetto. Per individuare alcuni“simboli”, per indicare qualche tratto od“evento” atto a richiamare alcune “me-morie” della problematica proposta.Questioni e aspetti questi, che si sono poiripetuti nel corso degli anni successivicon puntuali e immutati interessi e ne-cessità nella collaborazione con gli amici-colleghi, che hanno raccolto l’ereditàpreziosa e imperdibile di questa tradi-zione.Sono così scaturiti nel corso degli anniventicinque manifesti, venticinque sto-rie, con inserimenti anche “estranei” allatradizione classica, come quelli relativi

Dino Memmo

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alla commedia goldoniana, alla dramma-turgia di Shakespeare, o a qualche rivisi-tazione del repertorio della tragediagreca in chiave moderna. Venticinque“immagini”, “storie” e altrettanti mo-menti di vita e di contingenze esisten-ziali. Vissute, sia nella scelta, sia nellerappresentazioni, con l’intensità spiri-tuale e psicologica che il teatro, classicoo moderno, richiede; e presentate ancheattraverso le illustrazioni grafiche chehanno puntualmente accompagnato levarie esperienze. Perché il “racconto” po-tesse continuare e permettere di lasciareuna riflessione, un ricordo tangibile, oltreogni altra considerazione.Ci sono elementi che accomunano queste“avventure” letterarie e grafiche anchediverse:i protagonisti, uomini o donne, sono tuttie sempre chiamati a grandi scelte.Amano e si fanno amare, odiano o sifanno odiare, esultano nella gioia o siconsumano nel dolore; più spesso susci-tano compassione e pietà, nel bene e nelmale. Le immagini li colgono, spesso evolutamente, in vissuti esistenziali i cuitratti dominanti mi paiono essere i se-guenti:– i protagonisti sono ritratti nei momenti

più cruciali e drammatici della vi-cenda;

– conoscono e vivono “le cose intime esegrete”: profondità e intimità di vita,anche quando la loro vita è quella di“danzatrici” come nelle Baccanti, o di“petulanti”, come nelle Baruffe o nelleMorbinose;

– la dimensione “misteriosa” dell’esi-stere.

Tutti stimoli intellettuali e curiosità cul-turali che ho cercato di esprimere attra-verso i miei disegni e i miei colori,trasformandoli nell’essenzialità delsegno, nell’efficacia del colore e conden-sati – mi auguro – in palesi simbologie.Soprattutto nelle ultime locandine, ove ilcolore, apparendo più generoso e coin-volgente, ha allargato la quinta da cui iprotagonisti emergono e si impongono,fino a dominare la scena e a rendere al-l’istante l’intera complessità della vi-cenda vissuta. Come si verifica nel casodell’ultima fatica, affrontata per allestirela tragedia narrata nell’Agamennone diSeneca. Vi sono, all’interno delle varie illustra-zioni, elementi comuni che affioranoanche in disegni di diversa ispirazione, ela complessità delle composizioni credostia ad indicare, a bocce ferme, che nelmio inconscio sono stati ben presenti imomenti di una “storia” vissuta nellesue varie vicissitudini, e che l’intersecarsidi tanti e diversi motivi possa bene espri-mere il groviglio delle situazioni.Che sono metafora della vita.Credo anche, e mi auguro, che la ricor-renza di un venticinquesimo di espe-rienze didattiche, pedagogiche eculturali come quelle vissute dal Liceo“Veronese” non abbia chiuso il suo ciclo:in primo luogo, perché questa vastissimatematica non può ritenersi completa-mente esplorata ed esaurita; in secondoluogo - e direi soprattutto - perché datoil patrimonio di competenze, abilità e co-noscenze acquisite e maturate sul campo,c’è da pensare e da sperare, che altri ot-timi frutti possano ancora maturare.

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Ricordo che, senzaben sapere quelloche stavo facendo,ho esordito come“re magio” conuna tunichettarossa...Preparare unospettacolo, pen-sare a come il per-

sonaggio si sarebbe vestito o a come sisarebbe comportato, mi emozionavacome fare il presepe a Natale o comeascoltare le favole delle Mille e una nottestando a letto col mio papà: una magia,un incantesimo in cui mi sentivo liberodi giocare, trasformarmi e tornare bam-bino. Da liceale già recitavo nella compagnialocale “Piccolo Teatro Città di Chioggia”,nella quale conobbi la storica regista dellaboratorio di teatro classico del “Vero-nese” Franca Ardizzon. Inoltre, grazie alprofessor Marangon, fin dalla quartaginnasio presi parte all’annuale allesti-mento di uno spettacolo classico. Ecuba,Ione, Elettra (Sofocle), Baccanti e Rane mihanno accompagnato di anno in annoper tutto il Liceo. E sul finire di unaprova di Elettra dicevo a Franca: “Vorreivivere facendo questo…”.Stare sul palco aveva la stessa magia diquando ero bambino; ma ora diventavaanche una tra le tante ricerche di unsenso nella mia vita, un modo per ascol-tare e confrontarmi (in solidale compa-gnia di messaggeri ed Ecube) anche conciò che mi faceva soffrire, un modo perritrovare il mio corpo, per imparare a co-noscerlo e accettarlo.

L’esperienza del Laboratorio teatrale al “Veronese”

Anche i miei insegnanti del Liceo (salvoalcuni casi, va detto) non erano soliti leg-gere la lezione da antologie, ma, anzi, vi-vevano usando come strumento ciò cheamavano e insegnavano. Studiare grecocon la professoressa Susi Boscarato nonera solo grammatica, era la possibilitàper me di vedere come la nostra cultura,la nostra etica, le nostre scelte hannoun’origine e non sono sempre immuta-bili. Leggere Rimbaud con lei era cercareattraverso quelle metafore, quelle parole,la carne tormentata di quell’uomo condomande e desideri non dissimili daimiei e credo da quelli di molti, moltialtri. L’incontro col professor Gentilini ela scoperta della filosofia è stata una libe-razione da convinzioni precostituite e ilcoraggio di cercare: è sempre stato pos-sibile approfondire e condividere questaricerca, trovando in lui una personamolto generosa. Stupendo è stato il “Pro-getto Shakespeare” ideato dal professorBrunello Filippo, nella forma mentis ditrovare nel testo teatrale, oltre che il con-testo storico e culturale in cui è inserito,anche le figure nascoste dentro all’operastessa: psicologiche, narrative, tematiche.E ancora la disponibilità del professorMarangon, che seguiva il progetto delLaboratorio di teatro classico e diventavacosì un vero collega sul palco: cercandocon noi le scene e i costumi migliori, fa-cendo un grande lavoro di ricerca e ana-lisi sul testo e sulla sua traduzione. Conlui ho partecipato a concorsi nazionali di“Teatro classico nelle scuole”, “speri-mentando” le mie prime rudimentalitournées.Dopo essermi diplomato alla “Accade-

Antonio Giuseppe Peligra

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mia di Arte Drammatica Paolo Grassi” diMilano, ho iniziato a lavorare come at-tore con Massimo Castri, uno degli ul-timi esponenti del grande teatro di regia.Il maestro utilizza un metodo, attinto daStanislavskij, per cui, riconosciute le di-namiche comportamentali all’interno diuna scena, l’attore le agirà immaginandocon i suoi partner un corrispettivo com-portamentale più concreto. Ad esempio,se nella scena finale tra Dioniso e Penteonelle Baccanti avviene una persuasiva se-duzione sul povero Penteo da parte diDioniso, gli attori non andranno ad agireun generico e sconosciuto “Dioniso” e“Penteo”, ma renderanno caldi, vividi ipersonaggi, immaginando di essere,mettiamo il caso, un medico nazista euna sua vittima in un esperimento. Cosìgli attori potranno attingere a immagini,corpi, situazioni molto realistiche e noncadranno in una recitazione ampollosa evuota di intenzioni.

Saper leggere queste dinamiche è certoun percorso iniziato con i miei ottimiprofessori e nell’esperienza del Labora-torio di Teatro Classico.Grazie dunque di cuore a questi amici einsegnanti, da Luciano Loffreda, che hacreduto in me e mi ha permesso di ini-ziare il “mestiere” con la compagnia“Piccolo Teatro di Chioggia”, a PaoloPenzo, che mi ha insegnato la pazienza eche in teatro serve anche saper montareuna scena, non solo far bene la parte; gra-zie alle scene di Paolo Doria, alle regie diFranca Rossi, sempre disponibile alleproposte degli attori. Grazie a Gianna ealle sue luci, a Dino e ai suoi suoni, aLaura Pagiola e al trucco delle mie cin-que tragedie, ai miei insegnanti, ai mieiamici e compagni di viaggio in quellapreziosa esperienza, in particolare Ste-fano Angarano, Diletta Perini, Annama-ria Gennaro. Grazie di cuore!

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È difficile riassumere in pocherighe le mie sensazioni sul-l’esperienza del teatro clas-sico, ma ritengo quanto maiopportuno celebrare con lagiusta risonanza i venticinqueanni della Tragedia greca aChioggia. Trovo che sia stataun’occasione culturale e for-mativa di grande importanzanel mio percorso personale. Èdavvero significativo un ap-proccio a pietre miliari della nostra cul-tura, non solo di tipo teorico e libresco,ma vivido e sostanziale, attraverso il di-retto coinvolgimento emotivo, dato dalcalarsi nelle vesti e nelle emozioni deipersonaggi. Ciò ha reso anche più fe-conda e duratura la memoria dei mieistudi classici, che così rimangono ancorapiù indelebili nella mia formazione.L’essere protagonisti nelle vicende deglidèi e degli eroi pone a stretto contattocon i princìpi dell’etica, della morale,della filosofia. Peraltro, nel corso del miotriennio (anni 2001-2003), sono stato in-terprete, nonché uno dei promotori,dell’unica commedia classica rappresen-tata in venticinque anni, le Rane di Ari-stofane, che mi ha permesso di affrontaretematiche storiche e socio-politiche di-verse e peculiari rispetto a quelle tradi-zionalmente presenti nelle tragedie. LeRane si sono classificate prime nella Ras-segna Scolastica Internazionale di TeatroClassico ad Altamura (BA) e mi hannovalso un riconoscimento per il ruolo diEschilo al concorso “Teatro dalla Scuola”

La Tragedia greca a Chioggia: un’esperienza indimenticabile

a Vicenza. Numerose sonostate nel corso degli anni lepartecipazioni a concorsi erassegne teatrali, riscuotendogradimento di pubblico e lu-singhiere soddisfazioni.Ricordo con piacere e nostal-gia anche Elettra di Sofocle, ilmio debutto nella tragediagreca, e le Baccanti di Euri-pide, interpretazione che miha emozionato, in cui ho cer-

cato di trasfondere grande pathos, allesti-mento premiato come miglior realizzazionea Vicenza.La mia partecipazione triennale alla tra-gedia, come attore e collaboratore ai co-stumi e alla scenografia, ha accresciuto ilmio interesse e la passione per il teatro,tanto da entrare a far parte del “PiccoloTeatro Città di Chioggia”, diretto daFranca Rossi.Nel corso degli anni, pregevoli innova-zioni hanno impreziosito l’allestimento:la colonna sonora dal vivo, che ha offertoai cultori di musica l’occasione di dimo-strare il loro talento, le coreografie delcoro, sempre più articolate e virtuosisti-che, le accattivanti contaminazioni lette-rarie in chiave contemporanea degliultimi anni.Il venticinquesimo della tragedia è untraguardo fondamentale per il Liceo e laCittà, per me è la meritata celebrazionedi un’iniziativa formativa completa, in-teressante sotto molteplici punti di vista,uno dei ricordi più belli della mia espe-rienza liceale.

Stefano Angarano

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L’attimo di tensione che pre-cede lo spettacolo. È l’attimoin cui le luci in sala si spen-gono, poco prima di sentireil cigolio ed il fruscio del si-pario che si apre con quel ru-more così antico. L’attimo incui senti l’unica grande vocedel pubblico, fatta dai millebisbigli di ogni singolo spet-tatore, che si abbassa nellostesso istante. E tu, dall’altrolato del sipario, senti la vitadi ogni singolo spettatoreche si fonde con la vita di tutti gli altri ecrea un unico grande essere, che poi è ilpubblico, pronto a bere assetato tutto ciòche puoi offrirgli tu, su quel palcosce-nico. Senti la tua vita e quella di tutti glialtri che scorre all’impazzata e si tendecome un’unica corda di violino pronta avibrare al più piccolo sussulto, immersain quella calma apparente.La bonaccia prima della tempesta. Aprima vista si potrebbe dire che non c’ènessuno. Solo tu, il buio e il silenzio. Malo senti. Non puoi neanche sapere conquali dei cinque sensi in realtà; perché ilsipario è ancora chiuso; l’udito più chequel silenzio improvviso non può ascol-tare; l’olfatto percepisce solo quell’odorepolveroso che intride tutti i palcoscenicidel mondo; il gusto... beh, il gusto av-verte che non hai più una sola goccia disaliva in bocca e il tatto, se sei fortunata,può trovare appiglio in qualche altro at-tore lì con te, come quella sera successea me, o in te stessa, oppure in qualcheoggetto o parte del palcoscenico. Ma tusenti, nonostante i tuoi sensi non c’en-trino niente, o almeno non quei cin-que comuni sensi che tutti abbiamo,

La mia tragedia greca

tu percepisci quell’unica grandebelva tesa e pronta ad incan-tarsi davanti alla vicenda chehai da raccontarle, come ungigantesco Polifemo amma-liato dalle storie meravi-gliose inventate di sanapianta da un Nessuno qua-lunque. C’è quell’unicum, esi-ste. Ne accarezzi ogni singolacomponente, in quell’attimoprima della tempesta, comese fosse la persona che amiquando ci fai l’amore. E per-

donatemi il paragone, ardito forse... maqualsiasi attore con cui parlerete vi diràche il Teatro è luogo d’Amore. Qualsiasiattore che sia mai stato su un palcosce-nico e ci abbia sputato l’anima in pastoal suo pubblico potrà solo confermarviquesta affermazione del grande, da pocoscomparso, Bosetti. In quella foga datadal panico, visualizzi ogni singolo spet-tatore, dentro gli occhi che ti ostini atener chiusi, mentre l’adrenalina bloccala gola, fa impazzire il cuore, non ti lasciasmettere di muovere nervosamente lagamba. ogni singolo respiro, per quantosilenzioso, ti rimbomba nell’orecchio;ogni singolo sospiro, con il suo ritmo di-verso da quello di tutti gli altri spettatori,viene amplificato dal tuo che sembra im-pazzito e che cerchi di controllare comemeglio puoi.Fu così anche quella sera. Era la primadell’Antigone.Fu proprio Amore quello che iniziai aprovare io, vestita di blu, tremante e se-duta su uno sgabello, mentre stringevole mani alla mia compagna di classe, chemai come in quell’attimo ho sentitodavvero “sorella”, come la parte ci ri-

Francesca Rubin

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chiedeva (e stringendoci le mani ner-vose, ci facevamo forza a vicenda e cisostenevamo reciprocamente). Questa èla grande magia del Teatro: rende possi-bile ciò che in qualsiasi altro contesto sa-rebbe persino inimmaginabile. E midicevo: “Francesca, sii Antigone. Sii An-tigone. Tu sei Antigone... Lo spettacolo siaprì. L’incipit della tragedia che non miveniva finché il sipario era chiuso fececapolino nella mia memoria al momentogiusto. La voce non fece strani scherzi, li-beravo la tensione, che avevo accumu-lato e che continuava a crescere ognisecondo di più sul palco, regalandolasotto forma di emozioni da lasciare aimiei benevoli spettatori, con tutta l’ine-sperienza di una ragazzina che si trovi arecitare nella parte della protagonista adiciannove anni. Feci sussultare la plateaquando la guardia mi gettò a terra dopoavermi catturato (tanto rumore contro leassi di legno ma nessun problema: io e laguardia sapevamo come attutire il colpofino a renderlo inoffensivo e come simu-lare la forza di un soldato che getti aipiedi del suo re una traditrice). Persinoil piccolo incidente causato da unoscambio di battute sfalsato con Creontefu superato e, spero, passò abbastanzainosservato. Le catene, che dovevo te-nere alle braccia prima di essere segre-gata nella grotta e che in tutte le provetendevano a scivolare via dai polsi sottili,mi fecero l’enorme cortesia di starsenebuone, ferme e fredde contro la miapelle, mentre guardavo la platea e questavolta scrutavo sul serio ogni singolo visoe vedevo davvero ogni sguardo puntatoaddosso a me (non credete a chi vi diceche dal palco, con i riflettori contro, nonsi vede niente: non è assolutamentevero!). Mi attaccavo all’uno o all’altrosguardo, cercavo di più quello di per-sone non conosciute personalmente emi piace pensare, anche se forse è stataun’impressione “alterata” dalle mieemozioni, di aver visto qualche occhiolucido. Dopo le mie ultime battute, urlateper la rabbia di Antigone di essere trasci-

nata via, la tensione scese, anche se nonse ne andò fino alla fine della tragedia.L’attenzione era puntata sui miei compa-gni di classe, da dietro le quinte tifavoper loro e mi auguravo che tutto andasseliscio. Fino all’ultima battuta del capocoro. Fine. Scroscio di applausi! In un’orae mezza, forse meno, tutto era finito.Ma sbaglia chi crede che la tragediagreca sia solo una rappresentazione tea-trale di una classe di Liceo. Sbaglianoanche certi genitori che dicono ai figli:“Con tutte le volte che sei andato a pro-vare, con tutto il tempo sottratto allo stu-dio, tutto si è concluso in un’ora equalcosa...”.La rappresentazione del Liceo Classico èun evento. Lo è per la classe interessata. Lo è per ilsingolo studente che vi partecipa, anchese non tutti si innamorano del teatrodopo aver recitato sul palcoscenico. È unevento anche per quegli studenti che ac-colgono l’esperienza con la tipica legge-rezza ed allegria di ragazzi del Liceo,come è giusto che sia, o con l’imbarazzodi mettersi in gioco vestiti da antichigreci, su un palcoscenico, con amici e pa-renti che li guardano mentre rischiano difar la figura degli stupidi. La tragediagreca ha un significato per tutte quellepersone che si trovano a collaborare perrealizzarla, dagli studenti ai professori,che magari avevano poco in comuneprima, come me e i miei compagni diclasse, ma che si ritrovano insieme peruno sforzo comune, per qualcosa che sirealizza e si compie sotto i tuoi occhi eche ti dà tutta la soddisfazione di dire:questo lo abbiamo fatto NoI. È qualcosaper cui ti senti di ringraziare sincera-mente i professori: povero professor Via-nello, che umile e bonario ci ha sempreaccompagnato, che mai voleva il suonome nei ringraziamenti e grazie alquale invece si è potuta rappresentarel’Antigone! Ci seguiva silenzioso, senzaosar mettere lingua nelle decisioni di re-gista e coreografa, con tutta l’attenzionedel timido corteggiatore del Teatro che

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non proferisce parola, ma che guarda,ascolta e segue ogni più piccolo partico-lare e l’ennesima prova di quella mede-sima battuta come fosse declamata per laprima volta. Energica e creativa profes-soressa Aricò, che nell’impresa si è get-tata con tutta se stessa, mettendocil’anima, trovandosi per la prima volta adessere coreografa della tragedia grecaproprio con l’Antigone. Grazie a lei e allesue grandi idee, il coro ha avuto unasvolta verso la danza contemporanea.Grazie al suo entusiasmo anche il più im-branato degli studenti riusciva a trovareuna posizione sul palcoscenico. Grazie dicuore all’incantevole Franca ArdizzonRossi, alla quale ormai voglio bene comead una “mamma”, alle volte severa, allevolte affettuosa, la quale permette findalle origini della tragedia classica a tantialtri ragazzi e ragazze come me di inna-morarsi del Teatro! La signora ArdizzonRossi presta la sua collaborazione profes-sionale da sempre al Liceo Classico ed inogni rappresentazione mette tutta la pas-sione che ha (vi assicuro, smisurata!) etutto il suo grande cuore (non lo dite anessuno, ma la signora Franca recitadall’età di quattordici anni e, nonostantequesto, ad ogni rappresentazione la sipuò trovare vicino al sipario, piccola,magra ed incurvata sul copione, con unalucina e gli occhialini a seguire ogni sin-gola battuta e pronta a suggerire nelladifficoltà, più tremante del ragazzino odella ragazzina che in quel momento sitrova al centro del palcoscenico da solo.La signora Franca ad ogni rappresenta-zione vibra come vibra ogni singolo at-tore sul palco, solo che lei lo fa per ventipersone, invece che per una sola). A leidevo la possibilità di aver approfonditoquello che nacque quel giorno al “DonBosco”, nonché l’immensa pazienzaverso noi piccoli “attori” e l’infinita pas-sione che la contraddistinguono. Questoè ciò in cui, credo, molti studenti chehanno vissuto l’esperienza della tragediaclassica si riconosceranno. Antigone perme però è stata molto di più.

Per me Antigone è stata crescita. Avevo,su quel palcoscenico, niente altro che uncostume azzurro e la mia voce tremantedietro cui nascondermi. Ero un’Antigoneragazzina, dai capelli lunghi e ricci, gliocchi verdi e, vi assicuro, spalancati dipaura, con il mio caratterino nervoso eteso di quegli anni del Liceo e tuttal’emotività un po’ bambina che avevo al-lora. Ero un’Antigone che non avevapaura di Creonte, una giovanissima ra-gazzina che contrapponeva la sicurezzae l’audacia un po’ sfrontata che hanno leragazzine quando contraddicono ilpadre, sicure di aver ragione e di avercontravvenuto alle regole per una giustacausa. Non può che scapparmi un sor-riso di tenerezza, ripensando a quellapiccola Antigone coraggiosa ed emotiva,acqua e sapone e un po’ bambina. È larappresentazione di un periodo dellamia vita che mi ha portato ad esserequella che sono ora, così diversa, direiquasi opposta, dalla Francesca che nel2007 calcava quel palcoscenico.Antigone è stata innamorarsi del Teatro.Non era la prima tragedia per me.L’anno prima avevo recitato nella partedella nutrice nell’Ippolito incoronato diEuripide. Lì però ero ancora in fase di“corteggiamento”, come quando giochie scherzi con la persona per cui inco-minci a provare un interesse, fai le scara-mucce e vivi con leggerezza e in modoscanzonato l’inizio di una simpatia. Macon Antigone mi sono innamorata. Comein amore, così grazie ad Antigone io hopercepito l’altro. Che poi questo altro in-vece che essere un uomo, fosse una pla-tea di spettatori, un pubblico che soffre egioisce come un unico essere vivente; chefosse l’odore polveroso dei palcoscenicio la luce dei riflettori che ti scalda il viso;oppure la tensione e le emozioni cheprovi e fai provare a quella belva che titrovi ai piedi; o semplicemente nell’es-sere un personaggio diverso ogni volta,nel far rivivere delle storie e dar giustiziaa quei personaggi più fortunati di quellidi Pirandello, che un autore ce l’hanno e

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aspettano solo di trovare qualcuno cheassuma il loro volto; che fosse giocare,come certe lingue straniere ci ricordano,usando lo stesso termine per giocare e re-citare; che invece di essere un uomo,fosse tutto ciò, questo non svilisce affattoquell’Amore immenso. Amo quell’at-timo ricco di tensione un istante primache si apra il sipario, che da quel 27 Mag-gio 2007 non è più riuscito ad uscirmi dal

cuore. Amo trasmettere e ricevere emo-zioni, farle uscire dal mio animo, rivi-verle ogni volta e mettermi in gioco suun palcoscenico.Amo il Teatro e le Emozioni. Lo amo gra-zie alla tragedia greca del Liceo Classicoche ha fatto le presentazioni. Lo amo gra-zie ad Antigone.Cosa ha significato la tragedia greca delLiceo Classico per me? Amore.

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Le rappresentazioni

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Quale uomo mai, quale uomo, ha conosciuto altra felicità se non quellache immagina, per cadere nella sventura dopo questa illusione?

Teatro “Astra”, 12 giugno 1986

Regia Classi I, II, III ClassicoScenografia Paolo Doria, Dino MemmoAiutante tecnico Laura CorazzaMusica a cura di Isabella Longo Traduzione e adattamento Giannino CroccoPreside Francesco GaleraSezione classica

AttoriEdipo Cristiano GebbinSacerdote Enrico Ravagnan Creonte Giovanni BreggionTiresia Daniele Zennaro Giocasta Sandra BoscaratoMesso di Corinto Raffaele Tammeo Servo di Laio Riccardo Rossi Servo di Corinto Mauro Gamba Nunzio della casa di Giocasta Pierangelo Laurenti

Coro Alunni delle classi I, II e III

1985-86 Edipo re, Sofocle

A Tebe di Beozia scoppia la peste, che secondol’oracolo di Apollo cesserà solo quando sarà tro-vato l’assassino di Laio, il precedente re dellacittà. Edipo, nuovo sovrano, convoca per l’inda-gine l’indovino Tiresia, che lo incolpa del delitto.La regina Giocasta, vedova di Laio e ora sposa diEdipo, lo rassicura: un pastore infatti ha raccon-tato che la morte del re è avvenuta per mano dibriganti. Un nunzio di Corinto, venuto a portarglila notizia della morte del padre Polibo, gli svela

che quest’ ultimo e la moglie Merope non eranoi suoi veri genitori. E il vecchio pastore rivela cheegli è nato da Laio e Giocasta, i quali lo hanno ab-bandonato sul monte Citerone: lui stesso ha uc-ciso Laio e poi sposato la regina sua madre. Laprofezia che lo voleva uccisore del padre e sposodella madre si è avverata. Per la disperazioneGiocasta, che già da tempo ha compreso la verità,si impicca e Edipo si acceca. BV

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1986-87 Baccanti, Euripide

e, tornato da Penteo, ascolta con lui la notizia deiprodigi compiuti dalle baccanti sul monte. Stu-pito, Penteo vuole assistere al culto e travestito dadonna raggiunge il Citerone, dove il suo corpoviene dilaniato dalle baccanti. La madre Agavestessa, ancora invasata, ne riporta in città il capomozzo, credendolo di cerbiatto. Ritornata in sé,comprende, disperata, con gli altri Tebani glienormi poteri del dio. BP

Dioniso, figlio di Semele e Zeus, giunge a Tebeper rivendicare la sua natura divina e imporvi ilproprio culto. Penteo, re della città, si oppone aiculti dionisiaci, inflessibile anche quando il padreCadmo e l’indovino Tiresia si convincono didover venerare il dio. Mentre le Tebane si trovanosul monte Citerone per i baccanali, Dioniso sifinge straniero mandato dal dio, viene catturato einterrogato dal re. Ma miracolosamente si libera

Teatro “Astra”, 13-14 maggio 1987

Regia degli stessi interpretiLuci e allestimenti Paolo DoriaTraduzionee adattamento Giannino CroccoPreside Francesco GaleraSezione classica

AttoriAgave Annalisa NordioDioniso Riccardo Rossi Cadmo Enrico RavagnanPenteo Giovanni BreggionTiresia Pierangelo Laurenti I Messaggero Sandro BighinII Messaggero Mauro Gamba Guardie Riccardo Pozzato, Giuliano Veronese

BaccantiFabiana Zezza, Alessandra Lionello, Milena Ceci, Tiziana Donà, Daniela Ballarin, M. Cristina Cavallarin, Maris Stella, Cristina Napoleoni, Sandra Meneghini, Elisabetta Tonello, Barbara Caielli, Rosaria De Rosa

Per questo dimostrerò di essere un dio a lui e a tutti i Tebani

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Teatro “Astra”, 25 maggio 1988

Regia degli stessi interpretiLuci e allestimenti Paolo DoriaTraduzione e adattamento Giannino CroccoPreside Francesco GaleraSezione classica

AttoriAfrodite Susi PellizzeriIppolito Giuliano VeroneseServo Raffaele TammeoNutrice Tiziana DonàFedra Daniela BallarinTeseo Riccardo Rossi Messaggero Sandro BighinArtemide Alberta Duse

Coro dei cacciatoriRenzo Cremona (capocoreuta), Gianluca Salvagno, Riccardo Pozzato, Massimo Gebbin, Marco Pagan

Coro delle donneM. Cristina Cavallarin (capocoreuta), Maris Stella, Roberta Pagan, Francesca Fuiano, Barbara Caielli, Cristina Napoleoni, Federica Boscolo, Francesca Graziano, Tiziana Passaler, Elisabetta Tonello, Federica Zerbinato

Ippolito, figlio di Teseo, devoto ad Artemide, con-duce vita casta, disprezzando amore e donne.Afrodite decide di punirlo, innamorando di luiFedra, sua matrigna, la quale non rivela la pas-sione al figlio per non disonorare Teseo suo sposo.Ma la nutrice ne riferisce i sentimenti a Ippolito,che maledice Fedra e tutte le donne. Per sfuggireall’illecito amore, Fedra si uccide, lasciandopresso al cadavere un messaggio che accusa di

1987-88 Ippolito, Euripide

violenza l’innocente Ippolito. Teseo invoca allorala punizione di Poseidone sul figlio, che, vincolatoda giuramento, non può discolparsi. Le onde delmare in forma di mostro assalgono il carro di Ip-polito, che rimane ferito a morte. Il padre, folle-mente compiaciuto, conosce da Artemide la veritàe cade nella disperazione, vedendo morire il figliotra le sue braccia. FB

Il giorno che uscì dalla casa di Pitteo e venne a vedere i misteri nella terra di Pandione, lo videe fu morsa dentro da un amore tremendo. E ora è qui la sventurata e geme e si consuma

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Dopo anni di convivenza Giasone lascia la bar-bara Medea per unirsi in matrimonio con Glauce,figlia del re di Corinto. Alla donna viene concessoun giorno per lasciare per sempre la città. Giasonele giustifica la decisione invocando il bene deifigli, che cresceranno insieme a fratellastri nati dadonna greca. Ma Medea manda un peplo e una

Teatro “Don Bosco”, 25 maggio 1989

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia e luci Paolo Doria, Dino Boscolo Nata,

Giampaolo PenzoTraduzione e adattamento Giannino CroccoPreside Francesco GaleraSezione classica

AttoriMedea Barbara CaielliGiasone Giuliano VeroneseNutrice M. Cristina CavallarinPedagogo Michele Tiozzo SpontonEgeo Riccardo PozzatoCreonte Gianluca SalvagnoNunzio Renzo CremonaFigli Iacopo Ravagnan, Franco Penzo

Coro delle donneAlberta Duse, Maris Stella, Cristina Napoleoni, Sandra Sfriso, Federica Zerbinato, Sandra Meneghini, Federica Boscolo, Barbara Luardi,Barbara olante, Tiziana Passaler, Paola Penzo, Elisabetta Tonello, Barbara Zattoni, Stefania Boscolo, Roberta Marangon, Emanuela Passaler

1988-89 Medea, Euripide

corona imbevuti di veleno in dono a Glauce, chene muore tra strazio e dolore. Anche il padre Cre-onte, muore abbracciando il cadavere della figliae toccando il peplo avvelenato. Infine Medea eser-cita la sua terribile vendetta sui figli, che trafiggedi propria mano, sottraendone i corpi a Giasone,mentre fugge sul carro del sole. MCDP

In tutti gli altri eventi la donna è piena di paure, e vile contro la forza e quando vede un ferro;ma quando, invece, è offesa nel suo talamo, non c'è cuore più sanguinario del suo

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Poseidone compiange Troia distrutta, annientatadai Greci con l’aiuto di Atena. Ma proprio la deagli chiede di rovinare il ritorno in patria dei Greci,colpevoli della violenza subita da Cassandra, ra-pita da Aiace nel suo tempio. Ecuba, disperata,priva anche degli affetti familiari, apprende dal-l’araldo Taltibio il suo futuro di schiava di odis-

Teatro “Don Bosco”, 31 maggio 1990

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia, luci e realizzazione Paolo DoriaDirezione, luci ed effetti speciali Giampaolo PenzoDirezione audio Dino Boscolo NataTecnico audio Enrico NegroTrucco Laura PagiolaTraduzione e adattamento Giannino CroccoPreside Francesco GaleraSezione classica

AttoriEcuba Barbara CaielliCassandra Elisabetta TonelloAndromaca Paola PenzoElena Francesca GrazianoTaltibio Renzo CremonaMenelao Sandro BighinAstianatte Riccardo BoscoloPosidone Gianluca SalvagnoAtena Tiziana Passaler

Coro delle donneRoberta Antonucci, Marina Biazzi, Stefania Boscolo, Elisa Casson, Isabella Cistulli, Jessica De Ambrosi, Stefania De Nevi, Barbara Luardi, Roberta Marangon, Emanuela Passaler, Nicoletta Virdis, Barbara Zattoni,Federica Zezza

1989-90 Le Troadi, Euripide

seo e l’uccisione del nipote Astianatte, cui dovràdare degna sepoltura. Accusa allora Elena di es-sere responsabile della fine di Troia. Dopo il ritofunebre, i Greci appiccano fuoco alla città edEcuba assieme alle altre vedove, consumate dalacrime e dolore, viene imbarcata in una nave di-retta in Grecia. NP

L’innocenza è la lancia più temibile, come la verità.Per questo gli uomini la fuggono o tentano di annientarla.

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Creonte ha vietato la sepoltura di Polinice, il figliodi Edipo che ha portato le armi contro Tebe. An-tigone, sorella del defunto, infrange il decreto delre, per portare a termine quello che ritiene il suodovere morale. Scoperto l'atto illegale, Creontecondanna e rinchiude in una spelonca la poveraAntigone, perché vi muoia. Solo l’intervento del-

Teatro “Vittoria”, 14 giugno 1991

Collaborazione di Franca Ardizzon RossiScenografia, luci e realizzazione Paolo DoriaDirettore di scena Giampaolo PenzoDirettore tecnico Dino Boscolo NataTrucco Laura PagiolaCostumi Centro Studi per il Teatro ClassicoTraduzione e adattamento Giannino CroccoPreside Francesco GaleraSezioni varie

AttoriAntigone Emanuela PassalerIsmene Elisa CassonCreonte Jacopo RavagnanTiresia Francesco BoscoloEmone Guerrino BromboGuardia Roberta PenzoNunzio Diego Boscolo Scarmanati

CorifeiJessica De Ambrosi, Anna Cerilli

CoroRoberta Antonucci, Arianna Boscolo Palo, Marisa Boscolo, Silvia Boscolo,Valeria Boscolo, Susanna Cavallarin, Maria Chiara Costa, Paola Grandis,Tiziana Schioppa, Elena Ballarin, Gudrum Kirchberger

1990-91 Antigone, Sofocle

l'indovino Tiresia fa vacillare la sua ostinata di-fesa delle leggi della città, ma tardi. Antigone ègià morta. Emone, suo figlio, si toglie la vita, di-sperato per la perdita dell’amata, e la regina Eu-ridice ne imita il gesto, sconvolta dalla morte delfiglio. Solo ora Creonte comprende il proprio er-rore. FBA

Solo la saggezza può condurre alla verità, ma ad essere saggi si impara solo da vecchi e dopo aver molto sofferto

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1991-92 Alcesti, Euripide

Teatro “Don Bosco”, 8 giugno 1992

Regia: Franca Ardizzon RossiScenografia, luci e realizzazione Paolo DoriaDirettore di scena Giampaolo PenzoTecnico audio Dino Boscolo NataTecnico luci Gianna SamboTrucco Laura PagiolaTraduzione e adattamento Giannino CroccoPreside Francesco GaleraSezioni varie

AttoriAlcesti Elisa CassonAdmeto Guerrino BromboFerete Francesco BoscoloEracle M. Jacopo RavagnanI ancella Anna CerilliII ancella Jessica De AmbrosiFiglio Martino FrizzieroFiglia Petra FrizzieroThanatos Arianna BoscoloApollo Ernesto Romano

CoroRoberta Antonucci (capocoreuta), Fabiana Rossetto, Roberta Penzo,Gianna Vido, Valeria Gianni, Genny Mantoan, Roberta Dolfin, Valentina Bianchi, Tiziana Schioppa, Valeria Boscolo, Silvia Boscolo, Mariachiara Costa, Luca Bacci

In cambio dell’ospitalità ricevuta, Apollo ha otte-nuto dalle Moire che Admeto, re di Fere, possasfuggire alla morte, a patto che qualcuno si sacri-fichi per lui. Ma nemmeno i genitori hanno accet-tato di farlo. Solo l'amata sposa Alcesti ha volutooffrirsi. Il dio tenta invano di persuadere Thana-tos a risparmiare la giovane donna. Un silenzioangoscioso pervade la casa e un’ancella spiega ai

cittadini la commozione dell’eroica regina. Alcestientra in scena a vedere un’ultima volta la luce delsole e chiedere ad Admeto eterna fedeltà. Poimuore. Ma Eracle, ospite di Admeto, viene infor-mato da un servo della morte della regina e riescea strapparla a Thanatos, restituendola velata allosposo, che non potrà parlarle prima del terzogiorno. FD

Ti ho preferito a me stessa, ti ho dato la vita, e morendo ti ho dato la luce. Non ho voluto vivere senza di te

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1992-93 Il campiello, C. Goldoni

In una piazzetta veneziana si svolge la vita quo-tidiana di un gruppo di famiglie popolane. Uo-mini e donne dirimpettai lavorano, giocano,spettegolano, litigano, si corteggiano, mangianoe bevono all'osteria, vivono una reciprocità fattadi simpatie, gelosie, attriti caratteristici di un pic-colo mondo circoscritto. Le giovani sognano unmarito, le madri vedove hanno fretta di sistemarleper potersi risposare, i fidanzati gelosi si contra-stano, disposti a riappacificarsi quando il cava-

liere Astolfi, Napoletano in Venezia per il Carne-vale, offre loro di pranzare nella locanda al centrodella piazzetta. Il Cavaliere gode della compagniadi questa umanità semplice e schietta e corteggiaGasparina, che scopre figlia di un nobile sposatoa una Veneziana di rango ineguale. La sera la vi-cenda volge al termine: ogni contrasto si componee il cavaliere ottiene la mano e la dote di Gaspa-rina, che saluta Venezia e il campiello prima dipartire con lui. SN

Teatro “Don Bosco”, 3 giugno 1993

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia Paolo DoriaPreside Francesco GaleraSezioni Varie

AttoriGasparina Michla AlfieroDonna Cate Michela CriscentiLucieta Stefania PadoanDonna Pasqua Francesca CesterGnese Arianna Saffayèorsola Abir SaffayèZorzetto Enrico BoscoloAnzoletto Roberto PilatCavalier Astolfi Samuele GambaroFabrizio Massimo FabrisSansuga Tiziana Boscolo

Partecipazione alla Rassegna Regionale “Teatro dalla Scuola” di Vicenza

Bondì Venezia cara/ Bondì Venezia mia, / Venezziani zioria. / Bondì, caro Campielo: / No dirò che ti zii brutto, né belo. / Ze brutto ti zé stà, mi me dezpiaze: /

No zé bel quel ch'è bel, ma quel che piaze.

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1993-94 Ippolito, Euripide

Teatro “Don Bosco”, 1 giugno 1994

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia Paolo DoriaTraduzione e adattamento Giannino CroccoPreside Francesco GaleraSezione classica

AttoriIppolito Ernesto RomanoTeseo Angelo GiambalvoArtemide Monica CavallarinAfrodite Adriana RomagnoloFedra Valeria MichelonNutrice Valeria GianniMessaggero Martino FrizzieroServo Marco Dal Maschio

CoroGianna Vido (capocoreuta), Valeria Agatea, Elide Boscolo, Emanuela Bullo, Silvia Cavallarin, Roberta Dolfin, Chiara Manfrin, Genny Mantoan, Annalisa Penzo, Federica Scarpa, Silvia Tiozzo, Francesca Vianello

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1994-95 Troiane, Euripide

Teatro “Don Bosco”, 6 giugno 1995

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia Paolo DoriaTraduzione e adattamento Giannino CroccoPreside Francesco GaleraSezione classica

Partecipazione alla Rassegna Regionale “Teatro dalla Scuola” di Vicenza e alla Rassegna “Teatro Scuola” di Mirano Belvedere

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1995-96 Le morbinose, C. Goldoni

Teatro “Don Bosco”, 7 maggio 1996

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia Paolo Doria Preside Francesco GaleraSezioni varie

So che m'avè burlà, frascone, stomegose / Lo so, siore spuzzette, che fe le morbinose

Un gruppo di donne veneziane, colpite nel pe-riodo di carnevale dal “morbin”, provano aprendersi gioco di un simpatico e benestante fo-restiero, il conte milanese Ferdinando, al qualeviene fatto sapere che una giovane si è innamo-rata di lui.

La giovane in questione è la bella Marinetta che,con l’aiuto della fida cameriera Tonina, riuscirà acompiere perfettamente lo scherzo. Ma Marinettafinisce per innamorarsi per davvero… DV

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1995-96 Le baruffe chiozzotte, C. Goldoni

Gli uomini sono in mare. Le donne di famiglie vi-cine, prossime a imparentarsi, ne attendono l’ar-rivo, sedute per strada a ricamare e cucire.Lucietta è gelosa nel sentire Checca chiedere delsuo fidanzato e Checca è indispettita da ToffoloMarmotina, che offre a Lucietta zucca “barucca”.Arrivano le barche e le donne vano incontro aimariti. Lucietta e Pasqua riferiscono a modo lorol’accaduto. Monta la gelosia di Beppo, fidanzatodi orsetta. Le altre donne insinuano a Titta Nanesospetti sul conto di Lucietta e Toffolo. Bersagliodei fidanzati gelosi, il povero Marmotina si di-

fende a sassate e sporge denuncia contro gli as-salitori. Isidoro, coadiutore del Cancelliere, in-terroga i testimoni separatamente: prima lagiovanissima Checca, poi orsetta, sicura e sve-glia, infine donna Libera, che si finge sorda pernon dover dichiarare la propria età. Pasqua e Lu-cietta, convocate ma non interrogate, protestano,sospettando un’ingiustizia. Gli animi non si pla-cano: mentre Isidoro mette pace tra i fidanzati fu-riosi, una nuova “baruffa” scoppia tra le donne.Solo l’autorità del coadiutore raccomoda infinetutto. MS

Teatro “Don Bosco”, 10 giugno 1996

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia Paolo DoriaPreside Francesco GaleraSezioni varie

Primo premio alla regia alla Rassegna Regionale “Teatro dalla Scuola” di Vicenza

Mì so, cossa ghe vorìa per giustarli. Un pezzo de legno ghe vorìa. Ma averàve perso el divertimento

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1996-97 Alcesti, Euripide

Teatro “Don Bosco”, 10 giugno 1997

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia, luci, realizzazione Paolo DoriaDirettore di scena Giampaolo PenzoTecnico audio Dino Boscolo NataTecnico luci Gianna SamboTrucco Laura Pagiola, Teresa ArdizzonCostumi Teresa ArdizzonTraduzione e adattamento Giannino CroccoPreside Francesco GaleraSezione classica

AttoriAlcesti Ilaria PadoanAdmeto Leonardo RomanoAncella Annalisa PelizzaEracle Gino AdrianiServo Luca FogoFerete Pietro PenzoApollo Simone VianelloThanatos Elena De Ambrosi

CoroGiovanna Boscolo (corifeo), Cristina Baccarin, Silvia Ferro, Evelin Felice,Alessandra Fidelfatti, Cristiana Volpe, Roberta Tomasi, Laura Morelli,Chiara Manfrin, Caterina Sambo, Miriam Vianello, Giovanna Bellemo

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1997-98 Edipo re, Sofocle

Teatro del Museo Civico “S. Francesco fuori le mura”12 giugno 1998

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia, luci e realizzazione Paolo DoriaTecnico di scena Giampaolo PenzoTecnici luci e suoni Gianna Sambo, Dino Boscolo NataTrucco Laura Pagiola, Teresa ArdizzonTraduzione e adattamento Giannino CroccoPreside Francesco GaleraSezione classica

AttoriEdipo Simone VianelloGiocasta Alessandra FidelfattiCreonte Luca FogoTiresia Pietro PenzoSacerdote Gino AdrianiServo Simone BoscoloNunzio Luca LunardiMesso Michele DaloisoCittadino Alessio Padoan

CoroCristina Baccarin, Giovanna Bellemo, Cristina Bergamin, Paola Casadei,Elisabetta Cattin, Beatrice Fabbri, Evelin Felice, Elena Gianni, Laura Stefani, Miriam Vianello, Cristiana Volpe

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Teatro “Don Bosco”, 8-9 maggio 1999

Regia Franca Ardizzon RossiCoordinamento Nicoletta GallimbertiPreside Francesco GaleraSezioni varie

1998-99 Sogno di una notte di mezza estate, Shakespeare

Sullo sfondo della cornice del matrimonio diTeseo, duca di Atene, e Ippolita, regina delle guer-riere Amazzoni, si svolge l'amore di Lisandro eDemetrio per Ermia, che ricambia il primo, maper volontà del padre deve sposare il secondo, dicui è invece innamorata la bella Elena, sua amica.Lisandro ed Ermia, innamorati, scappano nelbosco e si perdono. oberon, re degli elfi, vuole pu-nire la moglie Titania, regina delle fate, in seguitoa una disobbedienza: il folletto Puck deve spre-merle sugli occhi il succo del fiore di Cupido, mal'incauto sbaglia e lo versa sugli occhi dell'addor-

mentato Lisandro, che si innamora di Elena. In-tanto una scalcinata banda di artigiani vorrebberappresentare la tragedia Piramo e Tisbe in occa-sione delle nozze di Teseo e Ippolita. Fra lorospicca il simpatico Nick Bottom, di cui Titania siinnamora a causa del succo di Cupido. oberon,realizzata la vendetta, rimette poi le cose a posto:Lisandro e Demetrio si innamorano di nuovo ri-spettivamente di Ermia e di Elena. Si celebranocosì tre matrimoni e la tragedia di Piramo e Tisbeviene simpaticamente rappresentata da Nick Bot-tom e i suoi amici. NZ

Ciò che il tuo occhio al risveglio vedrà, il tuo vero amore diventerà

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1998-99 Ecuba, Euripide

Teatro “Don Bosco”, 8-9 giugno 1999Teatro “S. Martino”, 10 giugno 1999

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia Paolo DoriaTecnici di scena Giampaolo Penzo, Dino Boscolo NataMusiche dal vivo Guida e arrangiamento musicale di Carlo oroStrumentisti Silvio Camuffo (violino), Anna camuffo (flauto),

Serena de’ Perini (clarinetto), Damiano Vianello (chitarra), Carlo oro (violoncello)

Trucco Laura PagiolaCostumi Alessandra Fidelfatti, Giovanna BellemoLuci Monica Scarpa, Alessandro GennaroPresentatrice Stefania ZittaAdattamentodel testo Giuliano MarangonPreside Francesco GaleraSezione classica

AttoriSpettro di Polidoro Andrea RomagnoloEcuba Paola PerronePolissena Paola Casadeiodisseo Simone BoscoloTaltibio Luca LunardiAncella Elena GianniAgamennone Michele DaloisoPolimestore Alessio PadoanGuardie del corpo Alberto Perini, Daniele MancusoFigli di Polimestore Antonio Peligra, Marco Bighin

Coro di prigioniere troianeLaura Stefani, Stefania Ardizzon, Elena Boscolo Bielo, Giovanna Bellemo,Cristina Bergamin, Miriam Vianello, Stefania Boscolo Zemello, Melissa Boscolo Gallo, Anna Agatea, Angela Chiereghin, Cristina Caldin, Lorenza Meneghello, Chiara Mantovan, Valeria Boscolo Bielo

Ilio è crollata sotto le armi greche. Il re Priamo èstato ucciso. La regina Ecuba e le donne troianesono ora schiave dei Greci, accampati sul Bosforo,e Polissena, figlia di Ecuba, deve essere sgozzatasulla tomba di Achille per propiziare un felice ri-torno in patria. Straziata dalla perdita di tanti figlimaschi, Ecuba si vede sottrarre anche l’ultimo so-stegno alla sua vecchiaia, quando viene a cono-scenza di un’altra terribile sciagura: il giovane

figlio Polidoro è stato ucciso a tradimento per avi-dità dal re di Tracia Polimestore, che avrebbe do-vuto ospitarlo lontano dalla guerra. Con l’aiutodi Agamennone e delle schiave troiane, Ecuba,esasperata, consuma la sua vendetta sui figli delre tracio e su Polimestore stesso. La maledizionesinistra di questi su Ecuba e Agamennone con-clude il dramma. FDB

Gli amici si riconoscono nei guai. Ce n’è fin troppi nella buona sorte

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1999-2000 Ione (“L’incontrato”), Euripide

Teatro “Don Bosco”, 19-20 maggio 2000

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia Paolo DoriaTrucco Laura PagiolaLuci Gianna Sambo, Monica ScarpaTecnici di scena Giampaolo Penzo, Dino Boscolo NataCostumi Giovanna Bellemo, Miriam VianelloPresentatrice Lorenza MeneghelloAdattamentodel testo Giuliano MarangonMusiche dal vivo Collaborazione degli “Amici della musica di Chioggia”

Enrico Varagnolo (flauto), Linda Varagnolo (Violoncello), Ferdinando Aprile (clarinetto), Federico Bazzarello (percussioni)

Preside Francesco GaleraSezione classica

AttoriErmete Alessio PadoanIone Michele DaloisoCreusa Giovanna BellemoXuto Alessandro GennaroVecchio precettore Andrea RomagnoloServo di Creusa Antonio PeligraPizia Cristina BergaminAtena Paola PerroneServi del tempio di Delfi Daniele Boscolo, Massimiliano Tiozzo Armigeri di Delfi Alberto Voltolina, Tommaso Signoretto

Coro di ancelleMiriam Vianello (corifea), Elena Boscolo, Melissa Boscolo, Stefania Boscolo, Cristina Caldin, Angela Chiereghin, Stefania Zitta

Creusa è figlia del re ateniese Erètteo. Sedotta daApollo, ha dato alla luce Ione, ma abbandonata daldio, ha esposto in una grotta il bimbo, portato a suainsaputa all’oracolo di Delfi e allevatovi dalla Pizia.Creusa ha poi sposato Xuto, nuovo re di Atene, alquale non ha potuto dare figli. I due si recano aDelfi, dove l’oracolo predice a Xuto che la primapersona che incontrerà uscendo dal tempio sarà unsuo figlio. Egli incontra Ione e, convintolo di es-serne il padre, lo conduce ad Atene per festeggiare.Creusa lo crede frutto di un tradimento e decide di

avvelenarlo, ma il ragazzo, scoperto il piano, cercadi uccidere la madre. Viene però fermato dallaPizia, che gli rivela d’averlo trovato nel tempio daneonato e gli consegna il cesto e i gioielli con cui èstato abbandonato e che Creusa riconosce, com-prendendo di esserne la madre. Ione, dubbioso,viene convinto da Atena, che, ex machina, gli rivelala sua figliolanza divina e gli raccomanda di nonrivelare nulla a Xuto. La dea predice che dalla lorofamiglia avranno origine tutte le tribù ateniesi. PG

Se la sventura piomba sulla casa, si trovi forza venerando il cielo: al termine la sorte sarà buona per i buoni, maligna coi maligni

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2000-01 Elettra, Sofocle

Teatro “Don Bosco”, 6-7 giugno 2001

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia Paolo Doria, Stefano Angarano, Antonio PeligraMusica Silvio Camuffo (violino), Anna Camuffo (clarinetto),

Enrico Varagnolo (flauto), Linda Varagnolo (violoncello)Trucco Laura PagiolaLuci Gianna Sambo, Mitzi TroleseTecnici di scena Giampaolo Penzo, Dino Boscolo NataCostumi Paola Perrone, Mirta TresinPresentatrice Gabriella LevantaciAdattamento del testo Giuliano MarangonDirigente Lalla CasettiSezione classica

AttoriPedagogo Stefano Angaranooreste Antonio PeligraPilade Giovanni CarusoElettra Paola PerroneCrisotemi Stefania ZittaClitemnestra Lorenza MeneghelloEgisto Alberto VoltolinaCastore Samuele BusettoPolluce Riccardo Vianello

Coro (donne di Micene)Angela Chiereghin (corifeo), Fabiana Baldin, Cristina Caldin, Chiara Mantovan, Anna Agatea, Diletta Perini, Annamaria Gennaro

ComparseAncella di Clitemnestra Valeria Boscolo

Servi di OresteFabrizio Noto, Tommaso Signoretto

oreste torna dopo molti anni a Micene con l'amicoPilade e il Pedagogo, per vendicare, su ordine diApollo, la morte del padre Agamennone, uccisodalla moglie Clitemnestra e dall'amante Egisto. IlPedagogo diffonde la falsa notizia della sua mortee Clitemnestra si crede al riparo dalla punizionedel suo tradimento. La figlia Elettra, al contrario,si dispera: ha affidato oreste bambino al focese

Strofio, per sottrarlo al destino del padre, ed è vis-suta per anni tra i soprusi, nella speranza di ve-derlo tornare a far giustizia. Si reca quindi apiangere la sua sventura presso la tomba del padre,dove il fratello le si appalesa e progetta con lei lavendetta. Il giovane uccide senza pietà la madresupplicante nel palazzo e trascina fuori scena l’ac-corso Egisto per eliminarlo. EZ

Senza padre né madre mi consumo, senza l'aiuto di un amico: straniera, serva disprezzata, vivo in casa di mio padre con logora veste; e in piedi mi cibo intorno a mense già vuote

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2001-02 Baccanti, Euripide

Teatro “Don Bosco”, 6-7 giugno 2002Museo Diocesano, 10 giugno 2002

Kursaal, 13 dicembre 2002

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia Paolo Doria, Stefano AngaranoMusica Anna Camuffo (clarinetto), Carlo M. Naccari,

Elisa Mazzotta (flauto), Ferdinando Aprile, Mattia Palo, Serena De Perini (percussioni)

Luci Gianna Sambo, Mitzi TroleseTrucco Laura Pagiola, Salone New Style by Marika, Costumi Annamaria Gennaro, Antonio Peligra, Diletta PeriniTecnici di scena Dino Boscolo Nata, Giampaolo PenzoAdattamento del testo Giuliano MarangonPresentazione Gabriella LevantaciDirigente Lalla CasettiSezione classica

AttoriDioniso Antonio PeligraTiresia Alberto VoltolinaCadmo Andrea VenturiniPenteo Stefano AngaranoGuardia di Penteo Riccardo VianelloI messaggero Diletta PeriniII messaggero Daniele BoscoloAgave Fabiana Baldin

Coro delle Menadi d’AsiaChiara Perini (corifea), Alessandra Ravagnan, Alessandra Uliana, Annamaria Gennaro, Laura Perini, Laura Vido, Margherita Colombo, Valentina Dascanio

ComparseGuida di Tiresia Giorgio LunardiGuardia di Penteo Fabrizio NotoServi di Cadmo Marco Bighin, Samuele Busetto

Primo premio per la migliore realizzazione alla Rassegna Regionale “Teatro dalla Scuola” di Vicenza

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Primo premio alla Rassegna Internazionale di Teatro Classico di Altamura (BA) Premio per la migliore interpretazione collettiva e riconoscimento per l’interpretazione individuale di Stefano Angarano alla Rassegna Regionale “Teatro dalla Scuola” di Vicenza

2002-03 Rane, Aristofane

Liceo “Cagnazzi”, Altamura (BA), 27 maggio 2003Teatro “Don Bosco”, 3-4 giugno 2003Museo Diocesano, 10 giugno 2003

Teatro “S. Marco”, Vicenza, 27 settembre 2003

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia Paolo Doria, Stefano Angarano, Antonio PeligraMusica Serena De Perini (sassofono), Elisa Mazzotta (flauto),

Mattia Boscolo Palo (percussioni)Trucco Laura PagiolaCostumi Annamaria Gennaro, Diletta PeriniTecnico luci Gianna SamboTecnici di scena Giampaolo Penzo, Dino Boscolo NataPresentatrice Ilaria Boscolo GalloInterpretazione e adattamento Giuliano MarangonDirigente Lalla CasettiSezione classica

AttoriXantia Claudio DonaggioDioniso Antonio PeligraEracle Stefano BellemoUn morto Tania TommasinCaronte Alberto Boscolo ZemeloEaco Riccardo Vianello

Serva di Proserpina Federica Penzoostessa Diletta PeriniScodella Mitzi TroleseServa di Plutone Annamaria GennaroEuripide Alberto VoltolinaEschilo Stefano AngaranoPlutone Federico Resler

Coretto delle RaneMelania Ballarin, Margherita Colombo, Paola Roberta Boscolo, Laura Vido

Coro degli IniziatiDiletta Perini (corifea), Laura Perini, Erika Boscolo Cegion, Andrea Pregnolato, Valeria Gentilini, Sofia Tiozzo Pezzoli, Angelo Mazzeo

ComparseServi dell’Ade Ferdinando Aprile, Roberto PaliniSuonatrice di nacchere Elisa MalusaBilancia Marco Bighin

I grandi tragici di Atene sono morti e Dionisoscende nell’Ade per ridare un buon poeta aun’Atene che ha bisogno di guide in un momentotra i più cruciali della sua storia. Il dio varca la Pa-lude Stigia con l’intenzione di riportare in vita ilgrande Euripide e, dopo aver zittito un coro di raneche gracidano un canto insopportabile in suo onore,lo trova finalmente, intento a contendersi conEschilo il trono destinato al miglior tragediografo

di ogni tempo. Dioniso viene scelto quale giudice diun agone poetico tra i due. Si contrappongono i con-tenuti e gli stili, si pesano con una bilancia i versi,senza che uno dei due possa prevalere.Finalmente si decide di premiare chi darà il consi-glio politico più utile per Atene. Prevale Eschilo,maestro di valori morali e civili. Dioniso sceglie per-ciò di far tornare tra i vivi lui, che lascia a Sofocle iltrono appena conquistato.

Non ha fatto vedere ruffiane, donne che partoriscono nei templi, che fanno l’amore coi fratelli, che dicono che non è vita la vita? Ecco che la città è tutta piena di burocrati, che imbrogliano

ogni momento il popolo, e nessuno è più capace di fare la corsa delle fiaccole

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2003-04 Ifigenia in Aulide, Euripide

Teatro “Don Bosco”, 21-22 maggio 2004Museo Diocesano, 3 giugno 2004

Regia Franca Ardizzon RossiScenografia Paolo DoriaMusica Elisa Malusa (tastiera), Stefanie Pittoni (violino),

Ferdinando Aprile (tromba), Mattia Boscolo (percussioni)

Trucco e acconciatura Laura PagiolaCostumi Margherita Colombo, Laura Vido,

Gabriella Forzato, Luca MancinLuci Gianna SamboTecnico di scena Giampaolo PenzoPresentatrice Tania TommasinTraduzione e adattamento Giuliano MarangonDirigente Lalla CasettiSezione classica

AttoriAgamennone Andrea PregnolatoVecchio servo Stefano BellemoMenelao Alberto BoscoloClitemnestra Laura VidoIfigenia Margherita ColomboAchille Claudio DonaggioI messaggero Elisa MazzottaII messaggero Sofia Tiozzooreste Pietro Boscolo

Coro di donne aulidensiMartina Boscolo, Paola Roberta Boscolo, Valeria Gentilini, Bianca Ferrarese, Francesca Siviero, Silvia Verì

Coro di ArgiviFerdinando Aprile, Angelo Mazzeo, Federico Griguolo, Daniele Papa

La flotta greca è pronta a spiegare le vele alla voltadi Troia, ma Artemide non concede i venti neces-sari alle navi, bloccate in Aulide. L’indovino Cal-cante rivela ad Agamennone che la dea diverràbenevola solo quando le sarà stata sacrificata Ifige-nia, sua figlia. Il re invia allora un messaggero allamoglie Clitemnestra, affinché porti in Aulide la fi-glia, col pretesto di darla in sposa ad Achille. Giun-

gono le donne, convinte di celebrare le nozze, maun incontro casuale con Achille svela alla madrel’inganno. Per difendere la fanciulla, Achille èpronto a schierarsi contro l’intero esercito greco,ma Ifigenia decide di immolarsi. Al momento delsacrificio Artemide accoglie la giovane tra gli dei ela sostituisce con una cerva. L’esercito può final-mente salpare. FV

“Padre, sono pronta, questo corpo l’offro per la mia patria, per la Grecia, in sacrificio all’aradella dea, se è questo il volere divino”. Questo disse e stupì tutti a sentirla,

al suo coraggio e alla sua virtù…

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2004-05 Medea, Euripide

Teatro “Don Bosco”, 9-10 giugno 2005Museo Diocesano, 10 giugno 2005

Regia Franca Ardizzon RossiCoreografia Rita ZambonScenografia Paolo DoriaMusica Martina Boscolo (pianola),

Mariangela Caruso Spinelli (flauto traverso), Stefanie Pittoni (violino)

Trucco e acconciature Laura PagiolaCostumi Milva LanzaLuci Gianna SamboTecnico di scena Gianpaolo PenzoCollaborazione Aldo Bottaro, Francesca Rubin,

“Piccolo Teatro Città di Chioggia”Adattamento del testo Susi BoscaratoDirigente Lalla CasettiSezione classica

AttoriNutrice Paola Roberta BoscoloPedagogo Daniele PapaMedea Elisa MazzottaCreonte Mattia BoscoloGiasone Federico GriguoloEgeo Sebastian BonoNunzio Francesca SivieroFigli di Medea Francesco Boscolo Lisetto, Francesco VoltolinaFiglia di Creonte Anna Boscolo

Coro di donne corinzieFederica Bassano, Marianna Bighin, Alessia De Stefani, Bianca Ferrarese,Francesca Lanza, Francesca Padoan, Cristina Penzo, Valeria Rosteghin,Eleonora Schittullo, Silvia Verì

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2005-06 Ippolito, Euripide

Teatro “Don Bosco”, 25-26 maggio 2006Museo Diocesano, 9 giugno 2006

Regia Franca Ardizzon RossiCoreografia Rita ZambonScenografia Paolo DoriaMusiche dal vivo Giacomo Bighin (chitarra),

Mariangela Caruso Spinelli (flauto traverso), Stefanie Pittoni (violino)

Trucco e acconciature Laura PagiolaCostumi Milva LanzaLuci Gianna SamboTecnico di scena Giampaolo PenzoPresentatrici Sandra Boscarato, Alessandra LionelloAdattamentodel testo Susi BoscaratoDirigente Lalla CasettiSezione classica

AttoriAfrodite Francesca PadoanIppolito Lorenzo MoriniServo Simone CesterNutrice Francesca RubinFedra Federica Bassano, Cristina PenzoTeseo Lorenzo SoncinMesso Bianca FerrareseArtemide Marianna Bighin

Coro donne di TrezeneAlessia De Stefani (corifea), Valeria Rosteghin (corifea), Elena Bellemo, Claudia Bighin, Anna Boscolo, Annalisa Boscolo, Veronica Cecchini, Laura Mazzaro, Sara Naccari, Valentina Varagnolo

Coro di cacciatori di TrezeneFrancesco Bullo, Matteo Colombo, Alessandro Donin, Giorgio Lunardi

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2006-07 Antigone, Sofocle

Teatro “Don Bosco”, 28-29 maggio 2007Museo Diocesano, 8 giugno 2007

Regia Franca Ardizzon RossiCoreografia Patrizia AricòScenografia Paolo DoriaMusica Andrea Chinaglia (pianoforte),

Mariangela Caruso Spinelli (flauto traverso)Acconciature e trucco Laura Pagiola, Sara ScarpaCostumi Cristina BoscoloLuci Luca Ballarin, Damiano CavallarinTraduzione e adattamento Susi BoscaratoCoordinamento Roberto VianelloRiprese e foto Marco Boscolo AnzolettiDirigente Lalla Casetti Sezione classica

AttoriAntigone Francesca RubinCreonte Salvatore LiccardoIsmene Giulia ElardoEmone Giovanni ZennaroEuridice Veronica CecchiniGuardia Francesco BulloTiresia Carlo ZennaroMessaggero Elena BellemoGuardie Carlo Alberto Soncin, Marco ZennaroFanciullo Anna Bellemo

Coro di vecchi TebaniClaudia Bighin, Caterina Colombo, Alessandra Deotto, Ylenia Duse, Laura Mazzaro, Micol Nordio, Valentina Naccari, Ludovico Scarpa, Benedetta Trolese, Carlo Trolese, Valeria Tiozzo, Federico Voltolina

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2007-08 Alcesti, Euripide

Teatro “Don Bosco”, 29-30 aprile 2008Teatro antico di Àkrai, Palazzolo Acreide (SR), 19 maggio 2008

Museo Diocesano, 6 giugno 2008

Regia Franca Ardizzon RossiCoreografia Patrizia AricòScenografia Paolo Doria, alunne II e III ClassicoMusica Andrea Chinaglia (pianoforte)Trucco e acconciature Sara ScarpaLuci Patrizia AricòTecnici di scena Giampaolo Penzo, Francesco BulloCostumi Patrizia AricòTraduzione e adattamento Susi BoscaratoCoordinamento Roberto VianelloRiprese e foto Marco Boscolo AnzolettiDirigente Lalla CasettiSezione classica

AttoriAlcesti Inessa BaldinAdmeto Giovanni ZennaroApollo Claudia BighinThanatos Caterina ColomboAncella di Alcesti Laura MazzaroEracle Carlo TroleseFerete Ludovico ScarpaServo Damiano CavallarinServo di Ferete Riccardo TrevisanAlcesti velata Laura Mazzaro Figli Marta Vianelli, Fiorenza Vianello

Coro dei cittadini di FereBenedetta Trolese (corifeo), Ilaria Dal Borgo, Lorenzo Rosteghin, Carlo Alberto Soncin, Anna Maria Tiozzo, Beatrice Veronese, Monica Voltolina

Partecipazione al XIV Festival Internazionale del Teatro Classico dei Giovani, Palazzolo Acreide (SR) Collaborazione del sig. Franco Storchi per l'incisione delle musiche eseguite nel Teatro antico di Àkrai

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2008-09 Alcesti o La recita dell’esilio, Giovanni Raboni

Teatro “Don Bosco”, 8-9 maggio 2009Museo Diocesano, 5 giugno 2009

Regia Franca Ardizzon RossiCoreografia Patrizia AricòMusica Andrea Chinaglia (pianoforte)Trucco e acconciature Sara ScarpaTecnico di scena Francesco BulloLuci Patrizia AricòAdattamento del testo Franca Ardizzon Rossi, Patrizia Aricò,

Roberto VianelloCoordinamento Roberto VianelloRiprese Paolo SerafiniFoto Giuseppe Doria, Marco Boscolo Anzoletti,

Sergio Piva, Roberto VianelloDirigente Luigi ZennaroSezione classica

AttoriSara Brigitta Casula Stefano Damiano CavallarinSimone Leonardo FornaroCustode Federico Boscolo Soramio

CoroChiara Ravagnan (corifea), Luca Ballarin, Idil Besen, Elisa Boscolo, Giulia Boscolo,Ilaria Conselvan, Cristina Dal Gesso, Giulia D’Arrigo, Benedetta Doria, Ilaria Marcato, Alessandra Pescara, Giulia Ravagnan, Carlo Alberto Soncin

Autorizzazione alla messa in scena e all'inserimento di momenti coreutici di Patrizia Valduga, vedova Raboni

Mentre aspettano di imbarcarsi su una nave perfuggire dal loro paese, l’anziano Simone, suo figlioStefano e la nuora Sara si rifugiano in un teatro.La città è controllata dai miliziani del regime e i trecercheranno altrove la libertà. I posti a bordo dellanave, però, sono solo due, ha comunicato un mi-sterioso Custode. Mentre la donna, ignara, ritrovale sue memorie perlustrando quel teatro, in cui hadebuttato come Ancella nell'Alcesti di Euripide,

padre e figlio provano a decidere chi dovrà sacrifi-carsi, affrontandosi in una lite colma di antichi ran-cori. Una specie di roulette russa, stabiliscono,sorteggerà tra i due chi debba partire con Sara. Mala donna, che li ama entrambi, preferisce abbando-nare il rifugio per salvarli. Facilmente rassegnati, idue partono con una Regina velata somigliante aSara, portando con sé il rimorso e la vergognad’avere potuto accettare il sacrificio di lei. DB

Io sono vecchio, tu sei giovane, ma entrambi credo, siamo adulti e letterati quanto basta per mutare con l’aiuto del tempo, in una specie di dolcezza, anche la più atroce delle colpe

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2009-10 Agamennone, Seneca

Teatro “Don Bosco” 7-8 maggio 2010Museo Diocesano 5 giugno 2010

Regia Franca Ardizzon RossiCoreografia Patrizia AricòScenografia Paolo DoriaMusica Andrea Chinaglia (pianoforte)Trucco Sara ScarpaCostumi Patrizia Aricò, Genny TiozzoTraduzione, adattamento e coordinamento Roberto VianelloRiprese Paolo SerafiniFoto Marco Boscolo AnzolettiDirigente Luigi ZennaroSezione classica

Attoriombra di Tieste Riccardo FabrisClitemestra Giorgia De BellisNutrice Maria BellemoEgisto Francesco GiuriatoEuribate Giuseppe DoriaCassandra Anna BaldinAgamennone Alberto RanieriElettra Benedetta FasolatoStrofio Lorenzo ZennaroGuardie Davide Vianello, Niccolò Zampaolooreste Francesco Maria Tiozzo

Coro delle donne di MiceneElisa Dughiero, Gaia Naccari, Alessia Penzo, Giulia Spanio, Giulia Verì, Benedetta Vianello

Coro delle donne di TroiaFrancesca Donà, Barbara Penzo, Marta Salvagno, Francesca Venerucci, Eleonora Zucconi

Agamennone sta per tornare vincitore, dopo averdistrutto Troia, la più potente città dell’Asia. Ma lasposa Clitemestra sta progettando la sua morte conl’amante Egisto, figlio incestuoso di Tieste e dellafiglia Pelopia. Dopo dieci anni di guerra e una di-sastrosa tempesta di mare, che ha ucciso tanti eroi,la sua vittoria sta per essere definitivamente vani-ficata. Durante il banchetto, mentre indossa unaveste da cui fatica a liberare le braccia, viene colpito

al fianco con la spada da Egisto e riceve il colpo fi-nale da un’ascia bipenne brandita dalla moglie Cli-temestra. Cassandra, prigioniera troiana econcubina del re, ne descrive l’uccisione dal-l’esterno del palazzo, in un momento di furore pro-fetico. I destini si rovesciano. Troia risorge e lavincitrice Micene conosce a sua volta la rovina. Mala vendetta si abbatterà presto sugli assassini. FLT

Tutto ciò che la Fortuna porta in alto, lo eleva per farlo precipitare

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Mentre questo volume va in stampa, si è già tenuta la prima delle Coefore di Eschilo.

Forniamo di seguito la locandina, i dati e le immagini di questa ultima fatica.

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2010-11 Coefore, di Eschilo

Teatro “Don Bosco” 6-7 Maggio 2011Museo Diocesano 3 Giugno 2011

Regia Franca Ardizzon RossiCoreografia Patrizia AricòScenografia Dino Memmo, Paolo DoriaTraduzione e adattamento Susi BoscaratoMusiche Francesco BertottoTrucco e acconciature Sara ScarpaPieghevoli di sala Jacopo Ghirardon, Pietro GradaraCoordinamento Roberto Vianello Foto Marco Boscolo AnzolettiDirigente Luigi ZennaroSezione classica

Attorioreste Barbara Penzo Clitemnestra Francesca VenerucciPilade Davide Vianello Cilissa Eleonora ZucconiElettra Benedetta Vianello Egisto Emilio Filippo PenzoCustode Niccolò Zampaolo

Coro di anziani di ArgoFilippo Boscolo Anzoletti, Andrea Nordio, Stefano Nordio, Niccolò Piu

Coro delle coeforeDaisy Boscolo, Francesca Donà, Marta Salvagno (corifee), Federica De Boni, Maria Chiara De Perini, Sonia Donà, Francesca La Tanza, Francesca Pagan

ErinniAlessia Camuffo, Benedetta Fornaro, Gloria Scarpa, Sara Zennaro

oreste torna ad Argo in compagnia del fido Pilade,a vendicare per ordine di Apollo l’uccisione delpadre Agamennone e sopprimerne gli assassini: lamadre Clitemnestra e l’usurpatore Egisto. Alcunedonne in vesti scure, guidate dalla sorella Elettra,portano alla sepoltura del sovrano recipienti per li-bagioni e corone di fiori: un sogno spaventoso hainfatti indotto la regina a inviarle a libare sul tu-mulo, per acquietare con un rito lo sposo ucciso. Ilgiovane si rivela alla sorella, pregandola di non tra-dirlo. Si finge straniero e annuncia falsamente la

morte di oreste lontano. Ricevuta ospitalità, uccidecon la spada Egisto, ingannato e disarmato. È poila volta della madre, che invano implora il figliod’aver pietà del seno che lo ha allattato: costretto afare giustizia dalla volontà di Apollo, il figlio la tra-scina nel palazzo e la uccide. I cittadini ne appro-vano il gesto, ma egli vede le Erinni della madreche si accingono a perseguitarlo. Sono donne spa-ventose come Gorgoni, avvolte da serpi attorci-gliate fino alle chiome. oreste, inseguito, devefuggire.

Non si possono tradire i giuramenti. Meglio avere nemici gli uomini tutti, anziché gli dei

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Oreste - Barbara PenzoPilade - Davide VianelloElettra - Benedetta VianelloCustode - Niccolò ZampaoloClitemnestra - Francesca VenerucciCilissa - Eleonora ZucconiEgisto - Emilio Filippo Penzo

Coro di anziani di ArgoFilippo Boscolo Anzoletti, Andrea Nordio, Stefano Nordio, Niccolò Piu

Coro delle coeforeDaisy Boscolo Marchi, Francesca Donà, Marta Salvagno (corifee), Federica De Boni, Maria Chiara De Perini, Sonia Donà, Francesca La Tanza, Francesca Pagan

Erinni: Alessia Camuffo, Benedetta Fornaro, Gloria Scarpa, Sara Zennaro

Regia - Franca Ardizzon RossiCoreografia - Patrizia AricòScenografia - Dino Memmo, Paolo DoriaTraduzione e adattamento - Susi BoscaratoMusiche - Francesco BertottoTrucco e acconciature - Sara ScarpaPieghevoli di sala - Jacopo Ghirardon, Pietro Gradara

Coordinatore del progetto - Roberto Vianello

di Eschilo

Il Liceo Classico “GIUSEPPE VERONESE”

VENERDÌ 6 MAGGIO 2011 - ore 21.00Teatro “Don Bosco” - CHIOGGIA

presenta

Lo spettacolo verrà replicato per gli amici presso il Museo Diocesano

VENERDÌ 3 GIUGNO - ore 21.30

Nell’occasione della replica verrà presentato il volume “25 anni di Teatro Classico a Chioggia”

pubblicato con il contributo di: Città di Chioggia, Provincia di Venezia, Fondazione della Comunità Clodiense, Banca di Credito Cooperativo di Piove di Sacco, Cassa di Risparmio di Venezia, Lions Club di Chioggia-Sottomarina.

LIONS CLUBCHIOGGIA SOTTOMARINA

Città diChioggia

Provincia diVenezia

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Ringraziamenti

Il Liceo “Veronese” ringrazia i moltialunni, genitori e amici che, contattati inoccasione delle celebrazioni del Venticin-quesimo, hanno collaborato con entusia-smo, fornendo materiali, testimonianzee informazioni indispensabili per la rico-struzione della storia presentata in que-sto volume. Vogliamo ringraziare anchei molti che, non più provvisti di mate-riali, hanno tuttavia guardato con inte-resse e simpatia alla nostra iniziativacelebrativa, incoraggiando il non agevolelavoro di restituzione.

Un grazie particolare al prof. CarmeloAlberti dell’Università Ca’ Foscari di Ve-nezia, che ci ha consentito di pubblicarenel presente volume il suo interventonella giornata delle celebrazioni, tenutasiil 15 maggio 2010 presso l’Auditorium diCalle San Nicolò, aiutandoci così a leg-gere in prospettiva attualizzante l’ereditàdel teatro antico.

La nostra gratitudine va doverosamenteestesa agli Enti che hanno patrocinato esupportato economicamente la realizza-zione di questo volume: in primo luogo laCittà di Chioggia, nelle persone dell’alloraSindaco, dott. Romano Tiozzo, e dell’alloraAssessore Nicola Boscolo Pecchie; a seguirela Provincia di Venezia, La Banca di CreditoCooperativo di Piove di Sacco, la Cassa diRisparmio di Venezia, il Lions Club, il Ro-tary Club, la Fondazione Clodiense.

Grazie ai docenti e agli ex docenti chehanno collaborato in vario modo a que-sta ricostruzione della memoria teatraledel Liceo Classico: i proff. Patrizia Aricò,Susi Boscarato, olimpia Capodanno,Giannino Crocco, Alessandra Lionello,Giuliano Marangon, Dino Memmo.

Siamo riconoscenti a don Vincenzo To-sello, direttore di “Nuova Scintilla”, checi ha fornito alcune importanti informa-zioni dall'archivio del settimanale.

Grazie agli alunni della II Classico 2009-2010, che hanno riassunto le trame deidrammi. I loro nomi, richiamati dallesole iniziali nel testo, sono nell’ordine:Benedetta Vianello, Barbara Penzo, Fran-cesco Bertotto, Maria Chiara De Perini,Niccolò Piu, Filippo Boscolo Anzoletti,Francesca Donà, Stefano Nordio, DavideVianello, Marta Salvagno, Niccolò Zam-paolo, Federica De Boni, Pietro Gradara,Eleonora Zucconi, Francesca Venerucci,Daisy Boscolo, Francesca La Tanza.

Un ringraziamento sincero, infine, alnostro Dirigente, dott. Luigi Zennaro,che ha fortemente appoggiato l’inizia-tiva di questa pubblicazione, prodigan-dosi per sciogliere le molte difficoltàeconomiche e organizzative che l’ hannoaccompagnata.

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Indice

Prefazione pag. 3

Presentazione ” 5

Venticinque anni di storia ” 7

Celebrazione del Venticinquesimo ” 15

Testimonianze ” 25

Le rappresentazioni ” 53

Ringraziamenti ” 135

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Città di Chioggia

Provincia di Venezia

Rotary Club Chioggia

Lions Club Chioggia

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Finito di stampare nel mese di maggio 2011da

in Piove di Sacco - tel. 049 9704497

per conto di