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1 Veleia e ager Veleias: excursus storico-sociale Nicola Criniti "Ager Veleias", 11.10 (2016) [www.veleia.it] NOTA D'USO Con l'acronimo TAV rimando all'epigrafe bronzea 'alimentaria' di Veleia dell'età dell'imperatore Traiano (107/114 d.C.): CIL XI, 1147 Add. = N. Criniti, La "Tabula alimentaria" di Veleia. Introduzione storica, edizione critica, traduzione, indici onomastici e toponimici, bibliografia veleiate, Parma 1991 = Id., Mantissa Veleiate, Faenza (RA) 2013, pp. 86-94 = EDR130843 = IED XVI, 759 = N. Criniti, La Tabula alimentaria di Veleia: edizione critica, versione italiana, fortuna, "Ager Veleias", 11.12 (2016), pp. 1-76 [www.veleia.it], da cui cito. La Tabula alimentaria di Veleia, così ormai tradizionalmente conosciuta, si trova al Museo Archeologico Nazionale di Parma, nella sala dei 'Bronzi': un calco gipsaceo approntato a cura di Salvatore Aurigemma, direttore degli scavi veleiati, in occasione della Mostra Augustea della Romanità [1937-1938] si trova nell'Antiquarium di Veleia e nel Museo della Civiltà Romana di Roma/EUR. Le fonti epigrafiche riferite all'ager Veleias lapidee, metalliche, fittili sono tutte elencate con le poche letterarie, e debitamente conguagliate, in N. Criniti, Veleia e ager Veleias: fonti epigrafiche e letterarie", "Ager Veleias", 10.11 (2015), pp. 1-18 [www.veleia.it]: i ricchi e preziosi dati onomastici e toponomastici 'veleiati' sono raccolti in N. Criniti - C. Scopelliti, Anagrafia e toponimia veleiati, "Ager Veleias", 11.12 (2016), pp. 1-157 [www.veleia.it] (e vd. Idd., Toponimia moderna dell'ager Veleias, ibidem, 12.03 [2017], pp. 1-13 [www.veleia.it]). Si noti, in particolare: con TAV I - VII e il numero arabico sono indicate le righe delle sette colonne di testo della Tabula alimentaria, in cui sono trascritte le 51 obligationes / ipoteche 'veleiati' (vd. infra): ipoteche 1-46, attribuibili al 107/114 d.C. [TAV I, 1 - VII, 30] ipoteche 47-51, attribuibili al 102 circa d.C. [TAV VII, 37-60]; con TAV A, 1-3 sono indicate le tre righe della Praescriptio recens / Intestazione nuova, soprastante le sette colonne di testo, del 107/114 d.C. (cfr. infra): la Praescriptio vetus / Intestazione precedente, del 102 circa d.C., è registrata in TAV VII, 31-36.

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Veleia e ager Veleias: excursus storico-sociale

Nicola Criniti "Ager Veleias", 11.10 (2016) [www.veleia.it]

NOTA D'USO Con l'acronimo TAV rimando all'epigrafe bronzea 'alimentaria' di Veleia dell'età dell'imperatore Traiano (107/114 d.C.): CIL XI, 1147 Add. = N. Criniti, La "Tabula alimentaria" di Veleia. Introduzione storica, edizione critica, traduzione, indici onomastici e toponimici, bibliografia veleiate, Parma 1991 = Id., Mantissa Veleiate, Faenza (RA) 2013, pp. 86-94 = EDR130843 = IED XVI, 759 = N. Criniti, La Tabula alimentaria di Veleia: edizione critica, versione italiana, fortuna, "Ager Veleias", 11.12 (2016), pp. 1-76 [www.veleia.it], da cui cito.

La Tabula alimentaria di Veleia, così ormai tradizionalmente conosciuta, si trova al Museo Archeologico Nazionale di Parma, nella sala dei 'Bronzi': un calco gipsaceo – approntato a cura di Salvatore Aurigemma, direttore degli scavi veleiati, in occasione della Mostra Augustea della Romanità [1937-1938] – si trova nell'Antiquarium di Veleia e nel Museo della Civiltà Romana di Roma/EUR.

Le fonti epigrafiche riferite all'ager Veleias – lapidee, metalliche, fittili – sono tutte elencate con le poche letterarie, e debitamente conguagliate, in N. Criniti, Veleia e ager Veleias: fonti epigrafiche e letterarie", "Ager Veleias", 10.11 (2015), pp. 1-18 [www.veleia.it]: i ricchi e preziosi dati onomastici e toponomastici 'veleiati' sono raccolti in N. Criniti - C. Scopelliti, Anagrafia e toponimia veleiati, "Ager Veleias", 11.12 (2016), pp. 1-157 [www.veleia.it] (e vd. Idd., Toponimia moderna dell'ager Veleias, ibidem, 12.03 [2017], pp. 1-13 [www.veleia.it]). Si noti, in particolare:

— con TAV I - VII e il numero arabico sono indicate le righe delle sette colonne di testo della Tabula alimentaria, in cui sono trascritte le 51 obligationes / ipoteche 'veleiati' (vd. infra): ipoteche 1-46, attribuibili al 107/114 d.C. [TAV I, 1 - VII, 30] ‒ ipoteche 47-51, attribuibili al 102 circa d.C. [TAV VII, 37-60];

— con TAV A, 1-3 sono indicate le tre righe della Praescriptio recens / Intestazione nuova, soprastante le sette colonne di testo, del 107/114 d.C. (cfr. infra): la Praescriptio vetus / Intestazione precedente, del 102 circa d.C., è registrata in TAV VII, 31-36.

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Si rinvia:

→ con CIL XI all'undicesimo volume del Corpus Inscriptionum Latinarum, èdito da Eugen Bormann, Berolini MDCCCLXXXVIII-MCMI = 1966-1968);

→ con EDR a Epigraphic Database Roma [www.edr-edr.it], curr. S. Panciera - G. Camodeca - S. Orlandi, Roma;

→ con IED a Italia Epigrafica Digitale. XVI. Regio VIII. Aemilia, cur. S. Orlandi, Roma 2017 [statusquaestionis.uniroma1.it/index.php/ied/issue/viewFile/IED%2016/74];

→ con MantVel a N. Criniti, Mantissa Veleiate, Faenza (RA) 2013.

[1]

Veleia: a destra la pieve di S. Antonino, a sinistra il Foro

Alla fine di maggio 1747, su un pianoro terrazzato dell'appartata valle del torrente Chero, subaffluente di destra del fiume Po, alle pendici del rilievo chiamato a nord-ovest monte Rovinasso (858 m) e a sud-est rocca di Moria (901 m), veniva casualmente alla luce – a lato della pieve di S. Antonino a Macinesso nel Piacentino (dal 1815 comune aggregato a Lugagnano Val d'Arda [PC]) – una imponente epigrafe bronzea rettangolare [136/138 x 284/285,5 x 0,8 cm], presumibilmente già rotta in undici grossi frammenti (ricomposti poi, nel 1817, da Pietro De Lama, prefetto del Ducale Museo d'Antichità di Parma): la grande "Tavola di Piacenza" o "di Traiano", più tardi nota come Tabula alimentaria di Veleia, oggi al Museo Archeologico Nazionale di Parma. Documento di estrema importanza e complessità, databile al 107/114 d.C., in antico esposto nel Foro di Veleia (questo il nome corretto del sito antico),

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incassato su una parete della Basilica in una cornice di marmo lunense, la Tabula alimentaria è uno straordinario breviarium storico-giuridico-amministrativo-economico-topografico dell'ager Veleias nella prima età imperiale, che si potrebbe considerare una sorta di registro catastale ante litteram di una serie di proprietà terriere dell'Appennino Piacentino-Parmense e rappresenta nel suo genere il documento più dettagliato riguardante la penisola italica nel primo secolo d.C.

Più precisamente siamo di fronte a un vero e proprio atto pubblico contenente le 51 ipoteche fondiarie [obligationes praediorum] costituite da proprietari Veleiati e non Veleiati, che parteciparono all'operazione "alimentaria" ‒ per il sostentamento di 300 pueri puellaeque indigenti della zona ‒ promossa in due riprese dall'imperatore Traiano nel 102 e 107/114 d.C.: con scarso entusiasmo dei proprietari, parrebbe, viste le condizioni dell'ipoteca non particolarmente vantaggiose, a parte il denaro liquido a un conveniente tasso d'interesse, denaro che il fiscus Caesaris aveva indubbiamente calcolato venisse investito anche nell'incremento dell'agricoltura veleiate. Causa occasionale erano stati alcuni lavori di sterro voluti dal pievano don Giuseppe Rapaccióli nella primavera 1747 per «riparare a certa lavina, che minacciava ruina al proprio prato», antistante l'antica e isolata pieve di S. Antonino a Macinesso: dal 17 marzo 1815 il comune di Macinesso e la zona degli scavi di Veleia, come si è già detto, vennero aggregati al municipio di Lugagnano Val d'Arda (PC), a una dozzina di chilometri a nord-est. Ma col suo nome si continuò a indicare, ancora nel corso dell'Ottocento, l’area delle vestigia archeologiche del municipium veleiate.

Grazie anche al tempestivo intervento di Giovanni Roncovieri, canonico della cattedrale di Piacenza, che, con l'aiuto economico del collega Antonio Costa, aveva salvato nel giro di qualche mese le lamine bronzee, subito 'disperse' e offerte sul mercato, impedendone la fusione nelle fonderie della zona, si avviava ‒ se pur a fasi alterne ‒ lo studio e la pubblicazione della Tabula alimentaria.

Ma per la grettezza e avidità dei primi proprietari, che pure l'avevano strappata a una sorte immeritata (in particolare del conte teologo Antonio Costa), la sua esistenza venne inizialmente messa più volte in pericolo da tentativi vari di vendita e alienazione nel Piacentino-Parmense. Contesa tra le corti d'Europa (tra il regno di Sardegna e lo Stato della Chiesa, in particolare), la TAV ebbe fin dagli albori una lunga e complessa storia diplomatico-politica, ma pure critico-testuale, culminata con il serrato e fertile confronto tra i due più illustri intellettuali italiani del tempo, Ludovico Antonio Muratori a Modena e Scipione Maffei a Verona (1747-1749), che darà vita alle prime due edizioni della TAV.

Dopo la rinuncia della comunità piacentina alle ricerche in situ (1754) e il definitivo trasferimento della TAV da Piacenza alla corte parmense di Filippo I di Borbone (26 febbraio 1760) – per intervento dell'abile Guillaume Du Tillot, nuovo segretario di stato del ducato di Parma, Piacenza e Guastalla ‒, vennero subito intrapresi i primi saggi di scavo del centro ligure poi romano di Veleia, finallora praticamente ignoto alle fonti e alla scienza antichistica e del tutto latitante nella cartografia moderna.

Tardivamente, lentamente e disordinatamente, ma anche con buona fortuna, nel 1760-1763 sotto l'inesperto Antonio Costa, nel 1763-1765 sotto il ben più preparato Paolo Maria Paciaudi, tornava alla luce il sito antico di Veleia:

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1760, scavo del Forum ‒ 1761, scavo della Basilica ‒ 1762, scavo delle Thermae ‒ 1763-1765, scavo del 'Cisternone'.

E, in parallelo, si concretizzava la nascita nel palazzo farnesiano della Pilotta di uno spazio adeguato e organico di conservazione – e di esposizione, per quanto allora riservato a pochi – delle antichità locali, l'innovativo Reale Museo d'Antichità di Parma (attuale Museo Archeologico Nazionale, dove si trovano quasi tutti i reperti veleiati, oggi però poco visibili al pubblico).

E, se pure di riflesso, iniziava la ricerca archeologica nell'Emilia occidentale. [2] L'ager Veleias, abitato fin dalla tarda età del ferro, presenta tracce di insediamento umano risalenti al secondo millennio a.C. (modeste tombe liguri a incinerazione del V - III secolo vennero trovate nel 1876 a nord-est del centro abitato), soggette nel corso del VI - IV secolo a influssi etruschi (di cui resta presumibile ricordo nel fundus Tullare [TAV III, 29], che rimanda all'etrusco «tular» / confine) e a infiltrazioni di genti galliche: su tale substrato si innestò Roma nella sua decisa espansione e colonizzazione del nord Italia (avanzato III secolo a.C. ss.).

L'Appennino Piacentino-Parmense (rielaborazione grafica di Luca Lanza)

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Alla metà del II secolo a.C. – dopo le decisive vittorie sui Liguri Veleiati di Marco Claudio Marcello (166 a.C.) e di Marco Fulvio Nobiliore (159/158 a.C.) – deve appunto risalire la "fondazione" quirite a quasi 500 metri d'altezza dell'oppidum ligure-celtico di Veleia, già "capitale" sinecistica dei Liguri Veleiati, che di fatto si sviluppò in un vero e proprio centro di servizi romano nel cuore dell'Appennino Piacentino, km 50 circa a sud di Piacenza (una trentina in linea d'aria), tra la Valle Padana e la Lunigiana. «Citra Placentiam in collibus oppidum est Veleiatium» [Plinio il Vecchio, Naturalis historia VII, 163]: Veleia si trovò – fors'anche per una comprensibile finalità della res publica romana di stabilizzazione e pacificazione delle fiere popolazioni liguri montane – nella singolare, se non anomala condizione d'essere (ri)fondata dai Romani: a svantaggio territoriale degli incolae locali (solo lentamente integrati nel corpo civico) e pure delle limitrofe Piacenza e Parma, che – specialmente la prima – dovettero cedere estese proprietà fondiarie alla nuova entità civica.

Plinio il Vecchio [Naturalis historia III, 47 e 115-116], l'unico scrittore latino che parli del sito, o meglio, dei suoi abitanti, menziona esplicitamente in età flavia la sua appartenenza al ceppo ligure (significativi, in questo senso, i cognomina romani etnici Ligus / Ligurinus, presenti anche nella TAV): i Ligures Veleiates, i più occidentali della Regio VIII (Aemilia), risultano confinanti con la Regio IX (Liguria).

Così descrive l'Aemilia Plinio il Vecchio [Naturalis historia III, 115-116]:

La Regio VIII è compresa fra Rimini, il Po e l’Appennino. … All’interno si trovano le colonie di Bologna, chiamata Felsina quando era il centro etrusco più importante, Brescello, Modena, Parma, Piacenza. Le città sono Cesena, Claterna, Forum Clodi, Forlì, Forum Popili, Forum Druentinorum, Imola, Forum Licini, Faenza, Fidenza, Otesia, Bondeno, Reggio Emilia, Sogliano e i Saltus Galliani soprannominati Aquitanes, Taneto, i Veleiati soprannominati Vetti Regiati, gli Urbanati.

Octava regio determinatur Arimino, Pado, Appennino. … Intus coloniae, Bononia, Felsina vocitata tum cum princeps Etruriae esset, Brixillum, Mutina, Parma, Placentia. Oppida, Caesena, Claterna, Fora Clodi, Livi, Popili, Druentinorum, Corneli, Licini, Faventini, Fidentini, Otesini, Padinates, Regienses a Lepido, Solonates Saltusque Galliani qui cognominantur Aquinates, Tannetani, Veleiates cognomine Vetti Regiates, Urbanates.

L'etnico pliniano «Veleiates cognomine Vetti (veteri?) Regiates» pare riflettere proprio il processo preromano di assimilazione, quando non sovrapposizione, di gruppi tribali diversi, testimonianza della fluidità culturale peculiare del contesto ligure. Città foederata nella seconda metà del II secolo a.C., poi colonia di diritto latino nell'89 per la lex Pompeia de Transpadanis, dopo l'espansione e colonizzazione romana dell'Italia settentrionale Veleia divenne municipium tra il 49 e il 42 a.C. per effetto della lex Rubria de Gallia Cisalpina, con cui si dava la cittadinanza piena alle città dell'Italia settentrionale.

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Un ampio frammento bronzeo della lex, databile al 42/41 a.C. [CIL XI, 1146 = CIL I², 592 Add. = MantVel, pp. 83-86 = = EDR130948 = IED XVI, 760], è stato appunto rinvenuto nel 1760 nel Foro veleiate: ora è collocato al Museo Archeologico Nazionale di Parma (un calco gipsaceo – approntato per la Mostra Augustea della Romanità [1937-1938] – si trova nell'Antiquarium di Veleia). Il territorio dell'ager Veleias – 1.000/1.200 km² – si estendeva, teste la Tabula alimentaria, a ovest fino alle terre impervie e irregolari dell'ager di Libarna (Serravalle Scrívia [AL]), sulla via Postumia; a nord fino all'ager pianeggiante di Piacenza; a est fino all'ager di Parma; a sud, ma è tuttora discusso e assai dubbio, fino all'ager di Lucca.

La lex Rubria de Gallia Cisalpina (Parma, Museo Archeologico Nazionale)

Fonti letterarie e reperti epigrafici della prima età imperiale, ma non la TAV, attestano che i suoi cittadini dovevano essere ‒ ex hypothesi ‒ un migliaio nel centro, 10/20.000 nel contado collinare-montagnoso, con rapporto uomo:donna di 2:1: le città più rilevanti dell'Italia settentrionale (Como, Milano) in età proto-imperiale arrivavano, nel complesso, a 20.000 / 25.000 abitanti. La densità della popolazione, valutata attorno ai 5/10 abitanti per km², risulta ben inferiore a quella media calcolata per le città limitrofe: 50 abitanti per km² a Cremona e a Piacenza (area centuriata); tra i 40/50 abitanti per km² a Parma.

I Veleiati erano ascritti alla tribù Galeria, tipica dell'etnia ligure (Genova, Luni, Pisa), e non alla tribù Voturia (Piacenza) o Pollia (Parma, Reggio Emilia): l'assegnazione del governo centrale aveva certo tenuto conto di valutazioni politico-amministrative e presumibilmente dell'affinità, se non identità culturale, del centro con i municipia liguri, appenninici e litoranei.

La testimonianza nella TAV – per l'innata disponibilità di altipiani a coltivazione e a pascolo – di numerose proprietà agrarie nel Veleiate (in ogni caso parrebbe di valore e resa inferiore alle consimili dell'Emilia occidentale, ma

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di singolare importanza per la loro posizione tra la Liguria e il Piacentino) potrebbe di per sé giustificare la presenza di un centro amministrativo romano, almeno in età tardo-repubblicana stabilizzatore e fors'anche pacificatore delle impervie zone liguri montane.

A metà strada tra la parte occidentale dell'Emilia (Regio VIII) e la Liguria (Regio IX), fin dall'età protostorica Veleia fu nodo stradale non marginale, quanto un po' misterioso e, in seguito, decentrato dai principali tracciati viari consolari, verso la Lunigiana e verso il mar Tirreno, da cui importava i marmi delle Alpi Apuane: era collegato alla via Aemilia – lungo la valle del torrente Riglio, verso Piacenza, e del torrente Chero, verso Fiorenzuola d'Arda (PC) – da almeno due diverticoli di una trentina di chilometri, in una sorta di isolamento funzionale, raro esempio di assetto urbanistico alto-collinare nell'antichità.

Veleia, in effetti, si sviluppò – dalla tarda età del ferro (secondo millennio a.C.) fino al III / inizi IV secolo dell'impero – su una vasta paleofrana: e questo «corpo immobile» permise ai Romani di operare gli sbancamenti e i livellamenti dei rilievi collinari circostanti per l'impostazione sugli assi viari del cardo e del decumanus e per le evolute infrastrutture urbanistiche (almeno cinque le fasi di sviluppo edilizio in età tardo-repubblicana / proto-imperiale), di cui oggi resta un limitato quadrilatero urbano di 200 x 200 m circa. E attraverso un processo che si protrasse per almeno quattro secoli e che valorizzò abilmente anche il sistema abitativo e socio-economico indigeno, fu in grado di offrire – nelle tre aree fondamentali della forma Urbis romana – i 'servizi' tradizionali ed essenziali per il versante medio- e alto-appenninico:

Il Foro visto dalla Basilica

— il Forum rettangolare, cuore della vita pubblica della res publica Veleiatium (da esso proviene più di metà del patrimonio epigrafico indigeno), spazio collettivo e sociale deputato alla libera manifestazione delle idealità statali e municipali (testimoniate, ad esempio, dalle dediche ufficiali «D(ecurionum) D(ecreto)» e dalle strutture equestri degli

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imperatori Claudio [42 d.C.] e Vespasiano [70 d.C.], di cui oggi restano appena i basamenti), pianificato per il mercato e per l'intera vita civile (con le tabernae rettangolari affiancate e i magazzini per il commercio all'ingrosso, che si aprono sui lati lunghi), chiuso al traffico veicolare secondo il classico schema "vitruviano"; --- la platea / la piazza del Foro [600 m² circa: 32,75 x 17,25 m (16,07 m prima dell'ampliamento post-flavio)], unico esempio così ben conservato della Regio VIII: è attraversata per quasi quindici metri dell'imponente e autoreferenziale iscrizione a lettere alveolate bronzee (alte 15,5 cm: ai primi dell'Ottocento strappate, di recente malamente restaurate [CIL XI, 1184 = MantVel, pp. 127-129 = EDR122717 = IED 703]), voluta a fini "pubblicitari" dal duoviro Lucio Lucilio Prisco – finanziatore in età pre-flavia della sua pavimentazione a grandi lastre d'arenaria grigiastra provenienti da Groppoducale (PC) –, rivolta a sud per risultare facilmente leggibile all'élite che usciva dalla Basilica;

Iscrizione della platea del Foro a lettere alveolate

— l'annessa Basilica d'età giulio-claudia [34,85 (51 m circa con le esedre laterali) x 11,70 m], la migliore a navata unica della Cisalpina, decorata un tempo ‒ lungo la parete meridionale ‒ del marmoreo "ciclo giulio-claudio" (vd. infra): centro polifunzionale dell'intera vita politica-economica-amministrativa locale per il versante dell'Appennino Tosco-Emiliano, anzitutto attraverso la curia, il consiglio cittadino, punto nevralgico dell'ordinamento giuridico e burocratico locali col tribunal e il "tabularium", l'archivio pubblico della res publica Veleiatium;

— il Capitolium, la zona sacra per il tradizionale culto ufficiale della triade Capitolina (Giove Ottimo Massimo, Giunone Regina, Minerva Augusta), su cui si basava la religiosità romana ufficiale anche nei municipia: ma sulla sua esistenza, identità e localizzazione a Veleia si discute tuttora (la mancanza del Capitolium, tuttavia, non sarebbe così insolita, essendo di iniziativa locale, tanto più in una località d'altura).

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Il municipium di Veleia

(rielaborazione grafica di Luca Lanza della carta archeologica di M. Marini Calvani)

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Delle faccende pubbliche e degli affari privati dei cittadini veleiati all'interno del Foro sono preziosa testimonianza, del resto, i due imponenti banchi (mensae) in marmo rosa veronese scoperti nel 1760, posti simmetricamente ai lati dell'asse mediano della platea del Foro: presso di essi avvenivano le operazioni commerciali e le transazioni finanziarie dell'intero ager Veleias.

La mensa orientale

Dopo aver forse ottenuto – con il patrocinio e l'assistenza di Lucio Calpurnio Pisone "pontifex" (vd. infra) – lo statuto onorifico di colonia sotto Augusto (14 a.C.?), la res publica Veleiatium fiorì in età giulio-claudia.

Se accettiamo una acuta proposta di Giulia Petracco Sicardi, nel toponimo «Augusta / Austa» di due (ora tre) documenti dell'Archivio Capitolare di Piacenza (datati negli anni 835, 901, 931) – che appunto la studiosa propose di riferire a Veleia – potremmo scorgere l'inconsapevole memoria indigena alto-medievale dello statuto di colonia ricevuto da Augusto.

Il complesso termale a sud-ovest del Foro

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La prima metà del I secolo d.C., in effetti, è l'epoca d'oro dello sviluppo abitativo (e idraulico/fognario) della res publica Veleiatium, purtroppo a volte meglio testimoniato dalla cartografia sette-ottocentesca che da resti archeologici omogenei.

Strutture e vestigia, tuttavia, poi compromessi dagli improvvisati scavi settecenteschi, dal "restauro" neoclassico del 1817-1819 dell'architetto romagnolo Giovanni Antolini, cui si deve tra l'altro l'improbabile struttura anfiteatrale ellissoidale del "Cisternone" (vd. più sotto), e dai periodici e lunghi abbandoni nel XIX/XX secolo delle ricerche sul campo, per motivi sostanzialmente economici.

Sorsero e si svilupparono, in particolare: i quartieri residenziali ‒ il thermopolium / 'tavola calda' ‒ le thermae, di cui attualmente si conservano caldarium, tepidarium e frigidarium, che hanno fatto pensare (anche per la presenza locale di acque saline) a un mitico centro termale, ma senza prove convincenti ‒ il controverso e imponente "Cisternone", l'impianto a sud-est del Foro, in origine circolare [27,8 x 28,8 m, secondo misurazioni settecentesche], in varie occasioni manipolato tra il XVIII e il XIX secolo, oggi ellittico [54,85 x 44,10 m].

Il "Cisternone" venne via via inteso come castellum aquae, collettore circolare per la riserva idrica, che – collocato, però, in una posizione insolita – risulterebbe la più grande cisterna dell'antichità (ma non sono state trovate strutture né raccordi con il centro urbano, neppure con l'apparato delle Thermae a sud-ovest).

Ovvero, come raro esempio di anfiteatro circolare – non ellissoidale, come si continua a dire! –, certo sproporzionato alle esigenze del luogo e singolarmente, quanto pericolosamente, posto a ridosso del Foro e dei quartieri residenziali: di un eventuale anfiteatro non esistono, oltretutto, resti di scalinate o gradini per il pubblico.

Il "Cisternone" a sud-est del Foro

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Un complesso, in ogni caso, privo di qualsivoglia memoria epigrafica: il problema resta tuttora aperto … e la struttura, di norma, chiusa. Sul piano economico – per la peculiare natura collinare-montagnosa del suo territorio – il Veleiate era caratterizzato da micro-aggregazioni rurali sparse in tutto il comprensorio, a coltivo e a pascolo: e rimase essenzialmente legato alle attività agricole (cereali, leguminose, alberi da frutta, vigneti), all'allevamento di animali da cortile, alla suinicoltura (?) e all'apicoltura, concentrati nel fondo / fundus, unità fondiaria tradizionale dotata di pertinenze e strutture autosufficienti, anche se di resa inferiore alle consimili dell'Aemilia occidentale.

E naturalmente continuò a riservare attenzione alle attività silvo-pastorali, ereditate dai Ligures, nei grandi pascoli / saltus – valli prative, alpeggi, boschi da legna e per la fabbricazione della pece: e, nelle zone d'altura, doveva essere sviluppata l'ovinicoltura e la produzione casearia correlata.

Ma nel contempo si sviluppò fino a tutta la prima età imperiale – e non esclusivamente per il mercato interno – una vivace attività artigianale, metallurgica (ènea: bustini e bronzi figurati) in particolare, lapidea e fittile (attestate nella zona fornaci / figlinae per la lavorazione dell'argilla: vasellame raffinato e mattoni bollati, ben noti e diffusi nel I secolo a.C.). [3] Le testimonianze epigrafiche – non ultime, nella platea del Foro, le dediche onorarie delle strutture equestri dedicate agli imperatori Claudio [42 d.C.] e Vespasiano [70 d.C.], di cui restano appena i basamenti – e il patrimonio scultoreo del centro urbano sono quasi esclusivamente ufficiali.

Pur apparentemente correlata al potere centrale e al culto imperiale, grazie alle cui sovvenzioni sopravvisse per secoli, il municipium fu pur sempre in posizione – non solo geografica – tutto sommato marginale nei rapporti con l'Urbe: il "Marsia" del piccolo Antiquarium veleiate (pianoterra della direzione degli scavi dell'età di Maria Luigia) potrebbe, però, anche essere segno di una concessione / attestazione a titolo di privilegio alla città da parte del governo centrale. Una condizione, invece, sopravvalutata da alcuni studiosi ottocenteschi: Bartolomeo Borghesi, secondo la testimonianza coeva di Ernest Desjardins, riteneva Veleia più importante di Pompei ... In effetti, però, non è che le relazioni col potere imperiale fossero poi così strette.

Ad Augusto, certo, furono dedicate dai Veleiati – dopo la sua morte e apoteosi (14 d.C.) – un'iscrizione onoraria e, fors'anche, una statua marmorea (oggi acefala) del "ciclo giulio-claudio". Il fatto, tuttavia, così come il rapporto princeps / municipium, risulta usuale e tradizionale per tutti i municipia della prima età imperiale, e non desta alcuna meraviglia né è segno di un qualche rapporto privilegiato, nonostante i Veleiati avessero forse ottenuto proprio dall'imperatore lo statuto di coloni nel 14 a.C.

Del resto, per portare un altro esempio, l'imperatore Traiano, generoso benefattore della res publica Veleiatium ai primi del II secolo, non appare altrimenti ricordato a Veleia, se si prescinde dalla Tabula alimentaria e da un

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discusso bustino bronzeo coevo, più plausibilmente riferibile a Nerva, suo predecessore: l'attribuzione del basamento di statua equestre sito pochi passi a est da quello dedicato a Vespasiano – anche per mancanza dell'iscrizione – è senza prova alcuna ...

Busto èneo attribuibile all'imperatore Nerva (Parma, Museo Archeologico Nazionale)

Non conosciamo Veleiati, d'altronde, che abbiano fatto carriera politica o abbiano lasciato memoria di sé fuori dal municipio (salvo un paio, forse, di cavalieri: vd. infra), e scarsa ne è anche la presenza nell'esercito, nulla tra i pretoriani.

Nessun riferimento a Veleiati, del resto, si riscontra nelle fonti letterarie antiche, eccettuati i centenari registrati nel censimento flavio del 73/74 d.C., riportati in Plinio il Vecchio (Naturalis historia VII, 162-163) e poi in Flegonte di Tralle (Sui longevi, in FGrHist 257 F 37, I-II). Scrive il grande erudito di Como:

Riporterò soltanto esempi tratti dalla zona compresa tra l’Appennino e il Po. ... Prima di (arrivare a) Piacenza, sui colli, si trova la città dei Veleiati. In essa sei cittadini dichiararono di avere 110 anni, quattro di averne 120 e uno 140, Marco Mucio Felice, figlio di Marco (Mucio) ascritto alla (tribù) Galeria.

Mediae tantum partis inter Appenninum Padumque ponemus exempla. … Citra Placentiam, in collibus, oppidum est Veleiatum, in quo CX annos sex detulere, quattuor vero centenos vicenos, unus CXL, M(arcus) Mucius M(arci Mucii) filius Galeria (tribu) Felix.

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Diverso, e tipico, invece, il rapporto con gli evergeti e i patroni locali: ma pure i due personaggi più rilevanti localmente testimoniati, Lucio Calpurnio Pisone e Lucio Celio Festo, legati al territorio piacentino – più che veleiate – da interessi e vincoli economico-familiari, erano ormai saldamente inurbati.

Dedica al console Lucio Calpurnio Pisone "pontifex" (Parma, Museo Archeologico Nazionale)

In particolare, Lucio Calpurnio Pisone, pontifex dal 13 al 32 d.C., console nel 15 a.C. e grande amico di Augusto e Tiberio, era legato all'ager Placentinus da interessi fondiari e vincoli familiari: la nonna paterna Calventia era piacentina, il padre Lucio Calpurnio Pisone Cesonino venne definito, con un qualche dispregio da Cicerone [in Pisonem VI, 16], «Semiplacentinus».

Patronus di Veleia [CIL XI, 1182 = MantVel, pp. 123-125= EDR122681 = IED XVI, 700], sostenitore, con qualche ragione è da supporre, di maggiore autonomia amministrativa e del suo sviluppo, Lucio Calpurnio Pisone fu presumibilmente l'ispiratore dell'intervento augusteo del 14 a.C. a favore del municipium.

Ma fu pure il promotore e finanziatore del primo gruppo di statue dello straordinario "ciclo giulio-claudio", il più completo d'Italia, della prima metà del I secolo d.C.: le dodici pregevoli statue in marmo lunense – di ipotizzata produzione regionale (Piacenza, Parma?) – raffiguranti membri della famiglia imperiale, da Augusto divus / divinizzato post mortem (14 d.C.) a Nerone fanciullo (ante 54 d.C.), a lui stesso, rinvenute nel 1761 lungo la parete meridionale dell'imponente Basilica (oggi al Museo Archeologico Nazionale di Parma).

Una scoperta indubbiamente straordinaria, inevitabilmente enfatizzata il 2 settembre 1761 dalla visita pre-ordinata del duca di Parma, Piacenza e Guastalla Filippo I di Borbone, che nell'immaginario collettivo sembrò avere, in quei momenti, maggior risonanza del rinvenimento della Tabula alimentaria stessa.

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Statue del "ciclo giulio-claudio" della Basilica veleiate (Parma, Museo Archeologico Nazionale)

Quanto a Lucio Celio Festo, cavaliere «adlectus inter tribunicios» (cooptato in senato con la dignità tribunicia) e poi console suffetto del 148 d.C., è testimoniato in epigrafe come patronus della città [CIL XI, 1183 = MantVel, pp. 125-127 = EDR122682 = IED XVI, 701: dovette essere imparentato con uno dei più ricchi proprietari terrieri della Tabula alimentaria, Caio Celio Vero. A partire dalla seconda metà del I secolo d.C., Veleia subì un progressivo e grave declino, un vero e proprio riflusso demo-economico per decadenza delle attività agricole più o meno tradizionali, quale del resto già la TAV stessa – con la sua esistenza – suggerisce ai primi del II secolo, nonostante la presenza di provvidenze statali e di alcuni ricchi proprietari.

Alla fine del III e nel IV secolo ‒ anche per indubbia rarefazione, se non interruzione, dell'aiuto imperiale ‒ il centro si spegneva lentamente e silenziosamente.

Il suo nucleo cittadino, pur in qualche modo rimasto estraneo per la sua posizione decentrata alle continue incursioni gotiche, sottoposto a un forte degrado, con crolli e reinterri degli edifici dovuti plausibilmente a cedimenti del terreno circostante per infiltrazioni idriche e mancato controllo della paleofrana, fu progressivamente abbandonato: il suo territorio venne presumibilmente ridistribuito tra Piacenza e Parma (il cui confine, a quei tempi, era già il torrente Stirone).

Gli ultimi dati storici certi del sito sono le due basi di statue collocate nel Foro (e presto disperse), con iscrizione onoraria, dedicate agli imperatori Aureliano (270) [CIL XI, 1180 = MantVel, pp. 122-123 = EDR122679 = IED XVI, 698] e – sul retro del basamento della perduta statua di Furia Sabin(i)a Tranquillina, moglie dell'imperatore Gordiano III ‒ Probo (277) [CIL XI, 1178b = MantVel, pp. 119-121 = EDR128932 = IED XVI, 748], e un pugno di monete (tra cui un tremisse aureo dell'imperatore d'occidente Glicerio [473/474]).

Veleia non appare registrata, del resto, nelle carte / Itineraria tardo-imperiali (la più antica di esse, il cosiddetto Itinerarium Antoninianum, risale alla fine del III secolo d.C.), né pare aver conosciuto una qualche cristianizzazione,

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nonostante il proselitismo rurale diffuso nell'Emilia occidentale dal IV secolo: o almeno, non ci ha lasciato reliquie e segni evidenti di luoghi di culto o di simboli paleocristiani.

Poi – fatti salvi la più volte ricostruita pieve di S. Antonino a Macinesso, che a partire dal IX secolo è attestata a sud del Foro (su area cultuale romana?), su un'altura naturale sovrastante, e forse il discusso toponimo «Augusta / Austa» (vd. supra) – l'assoluto silenzio e oblio, anche toponimico!, per quasi millecinquecento anni, fino al 1747.

E anche dopo, tuttavia, col nome di Macinesso si continuò a indicare, nel corso dell'Ottocento, l’area delle vestigia archeologiche del municipium, nonostante l'acuta, contemporanea identificazione in situ dell'antica Veleia ad opera di L. A. Muratori. (Attualmente, la rifiorita frazione di Veleia ‒ 157 residenti nell'ultimo censimento generale del 2011, 19 in quello del 1971 ‒ include la località di Macinesso, che oggi conta appena 9 abitanti.)

Silenzio e oblio, da cui però – complice l'inesorabile e compatta copertura della terra – derivò, neppur troppo paradossalmente, la parziale sottrazione del sito all'avidità, se non all'incuria dell'uomo (e alla sicura dispersione e fusione dei variegati reperti bronzei). [4] La Tabula alimentaria, forse il più grande e rilevante reperto èneo della romanità (il bronzo rimanda di per sé al profondo significato ideologico-politico, oltre che formale, del documento ufficiale), si trovava incassata nella Basilica in una cornice di marmo lunense (di cui abbiamo frammenti): misura in altezza 136 / 138 cm [sinistra / destra] e in larghezza 284 / 285,5 cm [sopra / sotto].

È un imponente corpo praticamente rettangolare formato da sei lamine bronzee, spesse 0,8 cm (per un peso totale – secondo attendibili stime sette / ottocentesche – di 200 kg circa), disposte su due file di tre e circondate da una cornice bronzea (5 cm) modanata a listelli piani o a sguscio appena accennato (e quasi identica ad altre rinvenute nel Foro), fissata con chiodi ai bordi esterni. Su una superficie di 3,9 m² circa sono sgraffite a solco triangoliforme più di 35.000 / 40.000 lettere capitali (nella mia quinta edizione critica [2014/2016], 64.559 caratteri, con segni diacritici, scioglimenti, integrazioni, numerazione e titolini moderni: poco più di 70.000 con gli spazi), alte in media 0,7 cm – da 0,5 cm in fine riga, a 0,9 / 1,1 cm per le litterae longae [poco meno di cinquecento: più di 6/10 in posizione iniziale di riga, neppure 1/10 in posizione finale].

Sono alte, invece, 4,2 / 3 / 2,3 cm nelle tre righe dell'Intestazione nuova / Praescriptio recens [TAV A, 1-3], che precisa in sintesi la natura giuridica del documento bronzeo, recando la titolatura imperiale, gli assegnatari dell'interesse ipotecario e la somma versata dal fiscus Caesaris. Sotto l'Intestazione nuova / Praescriptio recens, qui sotto riprodotta, si distendono le sette colonne di ipoteche / obligationes per 671 righe complessive [TAV I, rr. 103; II, rr. 104; III-VI, rr. 101; VII, rr. 60].

[A, 1] Ipoteca di proprietà prediali per un valore di 1.044.000 sesterzi, affinché – dalla benevolenza dell'ottimo e massimo principe, Imperatore

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Cesare Nerva [A, 2] Traiano Augusto Germanico Dacico – fanciulli e fanciulle ottengano il sostentamento: i figli legittimi – in numero di 245 – ricevano ciascuno 16 sesterzi (mensili = 192 sesterzi annui), per un totale di 47.040 sesterzi (annui); le figlie legittime – in numero di 34 – ricevano ciascuna 12 sesterzi (mensili = 144 sesterzi annui), per un totale di <4.896> sesterzi (annui); un figlio illegittimo riceva 144 sesterzi (annui = 12 sesterzi mensili); una figlia illegittima riceva 120 sesterzi (annui = 10 sesterzi mensili). [A, 3] Risulta un totale di 52.200 sesterzi (annui), che è l'interesse al 5 % del suddetto capitale.

[A, 1] Obligatio praediorum ob (sestertium) deciens quadraginta quattuor milia u|t|, ex indulgentia optimi maximique principis Imp(eratoris) Caes(aris) Nervae [A, 2] Traiani Aug(usti) Germanici Dacici, pueri puellaeque alimenta accipiant legitimi, n(umero) CCXLV, in singulos (sestertios) XVI n(ummos) (scilicet: menstruos): f(iunt) (sestertium) XLVII (milia) XL n(ummum) (scilicet: annuorum); legitimae, n(umero) XXXIV, sing(ulae) (sestertios) XII n(ummos) (scilicet: menstruos): f(iunt) (sestertium) IV <(milia)> DCCCXCVI (scilicet: annuorum); spurius (unus) (sestertios) CXLIV (scilicet: annuos); spuria (una) (sestertios) CXX (scilicet: annuos). [A, 3] Summa (sestertium) LII (milia) CC (scilicet: annuorum), quae fit usura (quincunx) sortis supra scribtae [sic].

La Tabula alimentaria di Veleia (Parma, Museo Archeologico Nazionale)

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Data la grandezza ed esiguità dello spessore, che rendevano estremamente arduo il trasporto della TAV, la sua fusione e lavorazione – nonostante l'origine ufficiale urbana – dovettero aver luogo in officine della zona o, forse, dei municipia vicini (Piacenza e Parma), come testimoniano del resto difformità nella composizione e nella fattura delle sei lamine: la sequenza testo / impaginazione, almeno, e l'assemblaggio si ebbero, invece, probabilmente a Veleia. Con la beneventana, ma "ligure"!, e quasi contemporanea Tabula alimentaria dei Ligures Baebiani [CIL IX, 1455 = MantVel, p. 92 ss. = EDR144345: Roma, Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano] ‒ dei discendenti dei Liguri Apuani, stanziati tra il fiume Serchio e il fiume Magra, deportati in massa nel Sannio (47.000!) dal proconsole Marco Bebio Tamfilo, dopo la loro definitiva sconfitta del 180 a.C. ad opera dei Romani ‒, la Tabula alimentaria di Veleia offre la più completa e dettagliata testimonianza dell'articolato e duraturo intervento assistenziale traianeo verso l'infanzia bisognosa italica.

E non diversamente dalla 'sorella' meridionale – databile ai primi mesi del 101 – sarebbe stata approntata in fasi e momenti diversi da fabri aerarii locali: in effetti, le persistenze fonetiche del sostrato celto-ligure rivelano nella Tabula Alimentaria, in particolare, una latinizzazione linguistica non ancora salda (vd. infra).

Solo le tre righe dell'Intestazione nuova / Praescriptio recens [TAV A, 1-3], invece, presentano una scrittura epigrafica sostanzialmente omogenea, legata parrebbe a un formulario grafico imposto dalla cancelleria imperiale: inoppugnabile, solenne e, singolarmente, unica testimonianza pubblica dell'evergetismo del princeps e della maiestas romana a Veleia. Presumibilmente già rotta in undici frammenti al momento del suo ritrovamento, dopo un suo forzato esilio nei magazzini del Louvre (1803-1816), dove per volontà di Napoleone I era stata trasferita con altri reperti veleiati confiscati e rimase dimenticata, la TAV fu ricomposta nel 1817 – quando era duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla Maria Luigia d'Absburgo-Lorena – con la sola pressione a cura di Pietro De Lama, generoso prefetto del Ducale Museo d'Antichità di Parma (poi editore della TAV e della lex Rubria de Gallia Cisalpina [vd. supra]), che intervenne solo nella pulitura dell'ossidazione verdastra, nei ritocchi con colori a olio e nell'inserimento – da lui, tuttavia, sottaciuto – di 45 'tasselli' bronzei (37 su parte sgraffita, 8 su parte anepigrafa), a integrazione di lacune delle colonne III, VI e VII.

Se ci sono stati problemi (la genuinità della TAV, dopo gli iniziali dubbi dell'abate Giovanni Lami, classicista fiorentino e battagliero direttore della Biblioteca Riccardiana di Firenze, a metà del Settecento, è indiscussa), questi sono spesso derivati dalle numerose diatribe personali degli studiosi e dalle continue correzioni dei cultori per "adeguamenti" toponimici o finanziari delle ipoteche fondiarie, sulla base di supposti e non dimostrabili fraintendimenti degli incisori antichi.

Correzioni alimentate, altresì, dalla strisciante e pervicace tendenza all'emendatio degli specialisti nei confronti di elementi toponomastici e onomastici: ad esempio, laddove si è sospettata una più o meno anomala oscillazione T / L e V / B (diverso, invece, il discusso caso della "I" atona nel suffisso di gentilizi in -ius, mancante in otto toponimi fondiari).

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Quasi che nessuno abbia scritto nulla di nuovo dai tempi pur gloriosi dei primi editori sette-ottocenteschi, Ludovico Antonio Muratori e Scipione Maffei nel 1748-1749, Pietro De Lama nel 1820 ... Nel suo insieme, in effetti, il testo appare sostanzialmente regolare – pur con inevitabili effetti di mano libera, fors'anche per la durezza del materiale, per le minuscole lettere delle sette colonne e qualche sciatteria nella III e V colonna – e attento all'originale imperiale: gli autentici errori officinali / errores fabriles (omissioni di lettere e di parole e loro duplicazione, in particolare), dovuti a lettura / dettatura imprecise della 'minuta', non superano le 160 unità in 674 righe (0,35 / 0,40 % del testo).

Peculiarità paleografiche della Tabula alimentaria (Cinzia Bisagni)

Le concordanze scorrette – indizio di cedimento delle norme morfo-sintattiche e della progressiva influenza della lingua parlata – e le varie peculiarità (forme epigrafiche equivalenti, interpunzioni, litterae longae, notae, numeri, sopralineature, spaziature: e i 15 apices, i 128 nessi, l'unico sicilicus, ecc.) ne fanno, del resto, uno straordinario laboratorio linguistico e paleografico della Cisalpina antica. [5] Questo circostanziato e complesso testo iscritto ha la composita natura di catasto parziale di proprietà fondiarie dell'Appennino Piacentino-Parmense, come e quando aggiornato non sappiamo bene: e resta pur sempre, in ogni caso, il più dettagliato dell'Italia romana durante il principato.

Ma è soprattutto il registro pubblico delle 51 ipoteche fondiarie (obligationes praediorum) liberamente costituite da quanti – Veleiati e non (il cui patrimonio superava i 50.000 sesterzi) – aderirono all'operazione finanziaria realizzata dall'imperatore Traiano per garantire, tramite una sorta di cassa di credito municipale, un regolare sussidio alimentario / alimentum (ossia, dal punto di vista giuridico [Digesta XXVII, 2, 1-6], la quota di sostentamento

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necessaria per un 'minorenne') destinato a 300 pueri puellaeque indigenti dell'ager Veleias (vd. infra):

― una prima volta, nel 102 circa d.C. [Intestazione precedente / Praescriptio vetus e ipoteche / obligationes nrr. 47-51 = TAV VII, 31-36 e 37-60],

― una seconda volta, agevolata anche dall'oro della Dacia conquistata definitivamente (107 d.C.), nel 107/114 d.C. [Intestazione nuova / Praescriptio recens e ipoteche / obligationes nrr. 1-46 = TAV A, 1-3 e I, 1 - VII, 30].

In sintesi, si trattava di un mutuo di denaro della cassa imperiale (fiscus Caesaris) a tempo indeterminato e a fondo perduto, fatta direttamente a singoli proprietari terrieri dell'ager Veleias e delle zone circostanti,

Questi ultimi presero parte all'atto evergetico avviato dal princeps tramite la costituzione di ipoteche irredimibili su alcune loro proprietà agrarie / praedia (frazioni del proprio patrimonio, oscillanti tra 1/4 e 1/10), a tasso d'interesse decisamente modico (da pagarsi annualmente alla cassa municipale), al fine di garantire in modo virtualmente perpetuo la "istituzione" alimentaria elaborata e articolata dai giuristi del consilium principis di Traiano (ma forse già pensata, se non ideata sotto Nerva [Epitome de Caesaribus 12, 4], se non addirittura sotto Domiziano).

In ogni caso, ridotta, se non cauta, fu l'adesione dei possessores nella prima fase [102 circa], pur essendo le condizioni più favorevoli, fatta direttamente – attraverso i commissari imperiali inizialmente preposti (per il 102, gli ex-consoli Caio Cornelio Gallicano e Tito Pomponio Basso) – a singoli proprietari terrieri dell'ager Veleias e delle zone circostanti. L'imperatore (il fiscus Caesaris), garante, appunto, della 'continuità' degli alimenta, era l'unico titolare del credito e degli interessi: a tutela sua, e degli stessi contraenti, il mutuo su garanzia ipotecaria di proprietà agrarie – le obligationes – identificava secondo rigorosi criteri di conversione l’identità, i confini e le localizzazioni dei beni fondiari ipotecati (non la loro estensione), determinandone i criteri d'estimo / aestimatio attraverso le pertinenze e le destinazioni d'uso.

E, alla stregua di un vero e proprio libro contabile esposto in pubblico, le obligationes vennero perciò registrate in una tabula municipii, appunto la Tabula alimentaria, fatta predisporre dai funzionari imperiali per essere affissa alla parete del tabularium, l'archivio municipale, nei pressi della Basilica.

Poi, su un'altra tabula più piccola, non pervenutaci in ogni caso, avrebbero dovuto / potuto essere elencati, e nel caso aggiornati, 'nome', condizione giuridica ed età dei giovani beneficiari, iscritti dai relativi padri o da chi ne aveva potestà / tutela.

Con una procedura rigorosamente ripetitiva sul piano terminologico e formale, ispirata ai metodi propri del census provinciale e dei relativi rilevamenti catastali, in ognuna delle 51 ipoteche / obligationes – che costituisce un blocco a sé stante nell'impaginazione delle sette colonne di testo – viene offerta una dettagliata descriptio ed aestimatio dei praedia obligata.

Sotto il nome del proprietario o dei proprietari dichiaranti, a volte tramite il loro procuratore (figli, amici, liberti [7], schiavi [5]: nell'ipoteca 31 della grande

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proprietaria Cornelia Severa [TAV V, 55-56] sono due schiavi, uno per i praedia rustica nel Veleiate e uno per quelli nel Piacentino), è puntualmente registrata la dichiarazione ‒ «prof(essus, essa) est», «prof(essi) sunt» («ha dichiarato, hanno dichiarato») – della tipologia fondiaria su cui viene costituita l'ipoteca (con eventuali pertinenze e imposte), accompagnata dalla citazione del suo toponimo, il vocabulum fundi. Si provvede quindi all'inserimento dell'indicazione:

— della civitas e delle unità territoriali di appartenenza: il distretto / pagus (unità censuaria e fiscale romana, forse d'età augustea, i cui ambiti non potevano sovrapporsi ad altri) e – per zone montagnose del Veleiate – anche la circoscrizione autoctona / vicus (che ha nomi d'origine ligure);

— dei confinanti (la strada e l'ager incolto pubblici [populus] appaiono nei 2/3 delle citazioni);

— della valutazione complessiva (aestimatio). La descrizione risulta infine conclusa dall'ammontare del prestito di denaro imperiale (8-10 % del valore dei fondi accatastati) – introdotto da «accipere debet / debent» («deve / devono ricevere») e seguito da «et obligare» («e ipotecare») – che apre, a sua volta, l'elenco dettagliato delle unità fondiarie, o delle loro frazioni, ipotecate. Presento, ad exemplum, la prima ipoteca della Tabula alimentaria [TAV I, 1-4]:

[I, 1] Caio Volumnio Memore e Volumnia Alce, a mezzo del loro liberto Volumnio Diadumeno, hanno dichiarato / [I, 2] il fondo Quinziaco Aureliano assieme al colle Muletate con i boschi – che si trova nel distretto Ambitrebio del territorio veleiate / [I, 3] e confina con le proprietà di Marco Mommeio Persico e di Satrio Severo e con la strada pubblica – per un valore di 108.000 sesterzi: / [I, 4] essi devono ricevere 8.692 sesterzi e ipotecare il fondo suddetto.

[I, 1] C(aius) Volumnius Memor et Volumnia Alce – per Volum(nium) Diadumenum libertum suum – professi sunt / [I, 2] fundum Quintiacum Aurelianum, collem Muletatem cum silvis, qui est in Veleiate / [I, 3] pagó Ambitrebio, adfinibus M(arco) Mommeio Persico, Satrio Severo et pop(ulo), (sestertium) CVIII (milibus): / [I, 4] acciper(e) debe<n>t (sestertium) VIII (milia) DCLXXXXII n(ummum) et fundum s(upra) s(criptum) obligare.

Le tipologie fondiarie testimoniate nella TAV racchiudono a volte situazioni molto differenti sotto il medesimo termine, come ho già accennato:

--- il fondo / fundus (400 e più esempi: i due più piccoli misurano 12,5 / 25 ettari) è terreno coltivabile e unità produttiva, distribuita nel fondovalle e sulle prime pendici collinari;

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--- il pascolo / saltus (una ventina di esempi) è terreno collinare / montagnoso pascolivo e superficie boschiva a confine tra i distretti amministrativi / pagi, ma ormai – non diversamente da molte superfici già destinate all'uso comunale – largamente inglobato in uno o più lati fundi.

I praedia rustica, costituiti da terreni spesso non vicini (per medesima, autosufficiente destinazione d'uso?), sono denunciati in maggioranza da cinque grandi proprietari, segno della progressiva concentrazione fondiaria in mano di pochi, mentre in origine era prevalente la medio / piccola proprietà: come risulta, del resto, dai nomi dei fondi, formati da più prediali uniti tra loro, derivati dal gentilizio del primo proprietario d'età augustea e post-augustea (ma vd. infra), con l'aggiunta del suffisso latino -anus.

Si notano pure suffissi di diversa origine, risalenti al periodo della redazione catastale: di origine "celtica", nel caso di -ako, -ago, -aco; di origine "ligure" per -asko, -akko, -el, -ello.

Cartina dei pagi veleiati: ipotesi di distribuzione (Ilaria Di Cocco)

[6] In misura che naturalmente variava secondo il valore delle proprietà ipotecate, veniva concesso denaro – a titolo di mutuo – al conveniente tasso di interesse annuo del 5 % (rispetto a quello massimo legale del 12 %): l'ammontare degli

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interessi / usurae veniva versato annualmente dai proprietari alla cassa municipale della res publica Veleiatium e periodicamente distribuito – sempre sotto forma di denaro (plausibilmente non in frumentum, visti gli alti costi di approvvigionamento) – da magistrati locali incaricati della riscossione, a noi purtroppo ignoti.

I beneficiari erano ragazzi e ragazze / pueri puellaeque poveri, nati liberi nel territorio (ingenui) e impuberi (rispettivamente, cioè, con età inferiore ai 17 anni per i maschi e 12/14 anni per le femmine). Il tutto veniva gestito dall'autorità municipale secondo precisi parametri e per un numero di giovani pre-determinato (300).

Le somme assegnate erano graduate – 16 sesterzi mensili a ciascuno dei 263 maschi legittimi, 12 sesterzi mensili all'unico maschio illegittimo e alle 35 femmine legittime, 10 sesterzi mensili all'unica femmina illegittima – e non erano sostanzialmente lontane dal minimo vitale: e risultavano sufficienti al mantenimento dei bambini / ragazzi dell'ager Veleias (la razione quotidiana di un soldato di stanza in Egitto, per fare un confronto, era valutata – alla fine del I secolo – attorno ai 27/30 sesterzi mensili).

Prima di tutto la "istituzione" alimentaria traianea era stata concepita come essenziale programma imperiale di assistenza all'infanzia, ma voleva essere altresì uno strumento di dissuasione dei patres familias poveri dall'esposizione dei neonati e tendeva a favorire il tasso di crescita demografico dei maschi liberi, di cui avevano estremo bisogno sia la produzione agricola dell'Italia settentrionale, sia la macchina militare e burocratica romane (nell'esercito, però, troviamo ben pochi Veleiati, nessuno tra i pretoriani).

In questo senso, si è ben notato, la presenza di femmine – per lo più attribuita al numero carente dei maschi – potrebbe anche spiegarsi con l'esigenza, già altrove sentita, di avere matres familias sane e atte alla procreazione. Quanto all'adesione da parte dei proprietari terrieri, le condizioni del prestito non risultavano eccezionalmente favorevoli, se si esclude il denaro liquido a un buon tasso d'interesse, la cui restituzione presumibilmente non sarebbe stata mai richiesta dal fiscus Caesaris.

Ma l'autorità centrale certo auspicava che tale denaro venisse pure destinato al rilancio e all'ammodernamento della declinante agricoltura locale, con intensificazione della produzione di frumentum e delle colture arboree specializzate: cosa che di fatto non pare avvenisse, soprattutto, per scarso interesse all'innovazione e, presumibilmente, per assenteismo dei proprietari stessi.

Adeguamento alla politica e all'ideologia imperiale, evergetismo locale (non solo maschile ...) o puro investimento fondiario volto a ottenere denaro liquido: quali che siano le valutazioni della variegata partecipazione alla "istituzione" traianea, l'ipotesi di un'adesione obbligatoria per garantire gli alimenta, con (o senza) tutto il proprio patrimonio, è in ogni caso da escludere, tenendo conto anzitutto – si è ben osservato – che solo una (piccola?) parte dei proprietari veleiati apparirebbe coinvolta.

Il modesto interesse a partecipare forse potrebbe avere avuto qualche giustificazione: questa sorta di onere fondiario / vectigal perpetuo sulla terra, con l'impossibilità di fatto di riscattare l'ipoteca, avrebbe potuto creare un certo decremento del valore delle proprietà e forse ne avrebbe altresì limitato le opportunità di vendita.

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Tuttavia, sul fronte opposto, non si dimentichi la probabile appetibilità di una cospicua somma di denaro liquido immediatamente disponibile e, da ultimo ma non per ultimo, il grande valore politico e morale del coinvolgimento in questa operazione evergetica di matrice imperiale, il cui onore e prestigio locale sarebbe stato assicurato in perpetuo dalla presenza del proprio nome su una gigantesca lamina bronzea affissa nel Foro della città. [7] È tuttora discussa l'appartenenza o meno all'ager Veleias di alcuni possessores dichiaranti [51: 3 di essi, però, iterano e una figlia continua l'impresa paterna] e di non pochi confinanti [700 circa, quasi 3/4 privati: a Publio Licinio Catone spettano 1/25 delle citazioni], la cui origine geografica – salvo il caso incontrovertibile dei «coloni Lucenses», i proprietari abitanti della colonia di Lucca [ipoteca 43: TAV VI, 60-78] – non è facile determinare.

Almeno metà dei medi / grandi proprietari, in ogni modo, non sembra essere residente a Veleia.

Quanto al ceto socio-economico, dichiarano un censo "senatorio" minimo [= 1.000.000 di sesterzi] una donna (Cornelia Severa) e quattro uomini (Lucio Annio Rufino, Caio Celio Vero, Marco Mommeio Persico, Caio Vibio Severo): ma nessun Veleiate percorse il cursus honorum.

Dichiarano un censo "equestre" minimo [= 400.000 sesterzi] una donna (Sulpicia Priscilla) e tre uomini (Publio Afranio Aftoro, Lucio Melio Severo, Caio Volumnio Epafrodito): un unico Veleiate, però, è annoverato ufficialmente tra i cavalieri, il costruttore dell'imponente Basilica e patronus Caius [---iu]s Sabinus, tribuno di stanza in Germania in età giulio-claudia.

Dichiarano, infine, un censo "decurionale" minimo [= 100.000 sesterzi], già solo dai fondi che appaiono ipotecati nella Tabula alimentaria, 2/3 circa dei proprietari, ma nessuno di essi, e dei loro discendenti, ritroviamo attestati nell'Urbe o altrove, e appena un paio si possono accostare a magistrati e a decurioni indigeni noti.

I liberti e gli schiavi espressamente citati nelle iscrizioni veleiati sono pochi, oltre ai sette e cinque procuratori della Tabula alimentaria: ma, nel primo caso, l'omissione della tribù di ascrizione e dei patronimici / patronati non ci permette di dire altro (anche se è presumibile che i possessori di rendita fondiaria fossero in maggioranza ingenui / cittadini nati liberi); nel secondo caso, il dato complessivo risulterebbe di per sé assurdo, anche solo correlato con la compatta e testimoniata presenza schiavile di fattori nell'Italia settentrionale, dalla tarda repubblica. Tra le donne, è interessante notare che conosciamo nella prima età imperiale almeno due ingenuae veleiati di un qualche conto, vissute alla fine del I secolo a.C.: Melia Ter(---), proprietaria-responsabile di una fornace per laterizi / officinatrix (CIL XI, 6673.23a-b = MantVel, p. 32: 11 a.C.); e la giovane e ricca evergete Bebia [Bas]silla, che donò ai suoi concittadini ‒ verso la fine del I secolo a.C. ‒ il portico forense / Chalcidicum o una sua parte (CIL XI, 1189 = MantVel, pp. 135-137 = EDR122722 = IED XVI, 708: Magazzino dell'Antiquarium di Veleia), e la cui effigie si riconosce plausibilmente in un

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onorifico e notevole busto bronzeo coevo (Parma, Museo Archeologico Nazionale).

Ma sono altresì presenti nella Tabula alimentaria, agli inizi del II secolo, nove proprietarie terriere, (quasi) tutte ingenuae, poco meno di un quinto degli agrari locali: i loro possessi corrispondono al 16 % dei praedia denunciati, il che invita a una diversa e più dinamica valutazione della "presenza" socio-economica femminile nella periferia dell'impero.

Busto bronzeo attribuito a Bebia Bassilla (Parma, Museo Archeologico Nazionale)

I nomina clanici testimoniati – Valerii, Vibii, poi Atilii, Naevii, Licinii, Sulpicii, Volumnii, Antonii, ... – risultano, in ogni caso, confermati a grandi linee dai testimonia letterari (pochi) ed epigrafici (litici / bronzei / fittili) dell'ager Veleias e sono tra i più diffusi e comuni dell'Italia settentrionale: 1/4 almeno collegabili a quelli di personaggi romani che operarono militarmente o in qualità di magistrati nella Pianura Padana nel III / II secolo a.C., o furono incaricati nel II / I secolo a.C. della fondazione / deduzione di colonie e dell'assegnazione di terre nella Cisalpina.

Alcuni nomina, poi, discendono plausibilmente da quelli dei primi coloni di Piacenza e Parma e dei veterani in esse stanziati che beneficiarono di nuove distribuzioni agrarie decretate dallo stato romano in seguito alle vittorie sui Liguri nel II secolo a.C., poi – è presumibile – sottratte dal governo centrale nella seconda metà del I secolo a.C., in età triumvirale e augustea, per la costituzione della res publica Veleiatium.

La plurima denominazione dei 3/10 dei possessi fondiari testimoniati nella TAV sarebbe derivata dall'accostamento dei nomina degli intestatari – che

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si erano susseguiti nei vari passaggi di proprietà – a quello del primo proprietario: o anche, e forse plausibilmente, potrebbe essere il risultato dell'accorpamento di più fondi originari (con le loro denominazioni).

Quanto agli antroponimi che se ne ricavano, bastino un paio di esempi: di alcuni clan dell'Aemilia occidentale resta una traccia proprio solo nelle denominazioni fondiarie, come nei casi piacentini della gens senatoria tardo-repubblicana e proto-imperiale dei Caninii Galli e della gens Mammuleia, quest'ultima peraltro assai poco attestata nel mondo romano.

Escludendo, infine, i dati discussi e discutibili dei materiali fittili (tegulae, ecc.), una novantina di gentilizi e di antroponimi derivati / riconducibili a toponimi e una quindicina di cognomina, quasi tutti citati nella TAV, non sono stati riscontrati nel volume undicesimo del Corpus Inscriptionum Latinarum, che raccoglie le epigrafi della Regio VIII (e neppure nei suoi aggiornamenti), e potrebbero in parte legarsi alle vivaci correnti migratorie italiche dell'ultima età repubblicana.

Senza poi prendere in considerazione la quarantina di toponimi di controversa o sconosciuta origine prediale, una settantina di gentilizi almeno e otto cognomina non sono altrove testimoniati nel mondo mediterraneo: come mi sono domandato più volte, persistenza ovvero sopravvivenza antropica della civiltà appenninica (pre-romana) locale?

POSTFAZIONE E BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Presento con grande soddisfazione una nuova versione assemblata e complessiva – puntualmente rivista e ampliata – di miei lavori già usciti in questo sito ["Ager Veleias": www.veleia.it]: Veleia e la Tabula alimentaria, "Ager Veleias", 1.01 (2006), pp. 1-7; La Tabula alimentaria, Veleia e il Veleiate, "Ager Veleias", 3.11 (2008), pp. 1-11; Sinossi veleiate: l'ager Veleias in età romana, "Ager Veleias", 4.11 (2009), pp. 1-18 (a p. 13 ss. bibliografia veleiate ragionata); Summa Veleiate, "Ager Veleias", 9.02 (2014), pp. 1-11 (e vd. Ambiente, economia e società a Veleia, in Fides Humanitas Ius [Studii ... L. Labruna], II, Napoli MMVII, pp. 1197-1228; Veleia e Roma, "Aurea Parma", XCV [2011], pp. 115-138; Agricoltura, artigianato e commercio dell'ager Veleias: linee fondamentali, "Ager Veleias", 12.16 [2017], pp. 1-21).

Lavori, mi piace ricordare in questa sede, che sono stati possibili grazie anche all'entusiasmo e alla collaborazione dei miei allievi specialisti di Storia Romana, Epigrafia Latina, Storia Economica e Sociale del Mondo Antico e Didattica della Storia Antica all'Università di Parma (anni 2006 / 2010): a essi va la mia memore riconoscenza per avermi ulteriormente aiutato a migliorare il testo pure sul piano didattico. Non ho bisogno di dire che questo excursus – non a caso in passato avevo utilizzato un'espressione come "sinossi", ormai un po' desueta, quanto ben nota un tempo in campo scientifico per sintesi siffatte – offre sì un rigoroso e attendibile percorso storico-sociale d'insieme, giusta la sua originaria etimologia, ma resta pur sempre solo un agile filo logico-critico.

Chi vorrà ripercorrere distesamente la lunga e complessa vicenda civile del Veleiate dovrà riferirsi a più vasti ed elaborati lavori, anzitutto ai miei testi-base: Economia e società sull'Appennino piacentino: la Tavola alimentaria

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veleiate, in Storia di Piacenza. I. Dalle origini all’anno Mille, cur. F. Ghizzoni, Piacenza 1990, 2, pp. 907-1011 e 3, tav. 20 (ora riprodotto in AGER VELEIAS / Mirabilia / Testi 2010 [www.veleia.it]); La "Tabula alimentaria" di Veleia. Introduzione storica, edizione critica, traduzione, indici onomastici e toponimici, bibliografia veleiate, Parma 1991; Mantissa Veleiate, Faenza (RA) 2013.

Ma il curiosus è sollecitato, altresì, a consultare perlomeno le più recenti e aggiornate raccolte collettanee da me curate in questo secolo – AGER VELEIAS. Tradizione, società e territorio sull'Appennino Piacentino, Parma 2003 (riprodotto in AGER VELEIAS / Mirabilia / Testi 2010 [www.veleia.it]); "Veleiates". Uomini, luoghi e "memoriae" dell'Appennino piacentino-parmense, Parma 2007 (vd. ibidem, I "Veleiates": quadro socio-economico e territoriale, pp. 11-65); "Res publica Veleiatium". Veleia, tra passato e futuro, 5 ed. rivista e aggiornata, Parma 2009 (vd. ibidem, "Oppidum Veleiatium": storia e civiltà a Veleia, pp. 1-80) – e naturalmente il sito AGER VELEIAS [www.veleia.it], Parma-Milano 2006 ss., e il periodico "Ager Veleias", 1.01 (2006), e ss., in esso contenuto. Sull'attuale situazione archeologico-ambientale di Veleia cfr. N. Criniti - D. Fava, Veleia: Grand Tour, "Ager Veleias", 5.03 (2010), pp. 1-18 [www.veleia.it] (e pure "Grand Tour" a Veleia / "Grand Tour" at Veleia, pp. 1-8 [www.veleia.it]: testo / video / audio, con versione inglese); e i materiali èditi in sketchfab.com/retidarte.unipr/collections e in www.3d-virtualmuseum.it.

Sulla documentazione letteraria ed epigrafica vd. altresì N. Criniti, Veleia e ager Veleias: fonti epigrafiche e letterarie, "Ager Veleias", 10.11 (2015), pp. 1-19 [www.veleia.it]; La Tabula alimentaria di Veleia: edizione critica, versione italiana, fortuna, "Ager Veleias", 11.13 (2016), pp. 1-76 [www.veleia.it].

Per altri aspetti particolari vd. N. Criniti - C. Scopelliti, Anagrafia e toponimia veleiati, "Ager Veleias", 11.12 (2016), pp. 1-157 [www.veleia.it], Toponimia moderna dell'ager Veleias, "Ager Veleias", 12.03 (2017), pp. 1-13 [www.veleia.it]: e T. Albasi - L. Magnani, Una storia infinita: scoperta, tradizione e fortuna di Veleia, in AGER VELEIAS. Tradizione, società e territorio sull'Appennino Piacentino, cur. N. Criniti, Parma 2003 (= in AGER VELEIAS / Mirabilia / Testi 2010 [www.veleia.it], pp. 11-41), e Da Veleia all'ager Veleias, 1739 ss.: studi, scavi, "memoriae", "Ager Veleias", 13 (2018); N. Criniti, Piacenza alla disfida di Veleia (XVIII-XIX secolo), "Boll. Stor. Piac.", CXIII (2018). Una rassegna per quanto possibile esaustiva dei lavori che interessano Veleia e l'ager Veleias, in ogni caso, si trova in Dalla "Tabula alimentaria" all'ager Veleias: bibliografia veleiate, che pubblico dal 2015 – aggiornata annualmente – in "Ager Veleias" [www.veleia.it]. 26 luglio 2016 (ultima modifica: 8 marzo 2018) © – Copyright — www.veleia.it