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G.M.Troianiello VARIABILE COMPLESSA 1 Topologia in C Sia z un generico elemento dell’insieme C dei numeri complessi. La forma algebrica di z ` e x + iy dove x e y, rispettivamente parte reale Re z e parte immaginaria Im z di z , sono numeri reali. Dal punto di vista insiemistico C ` e la stessa cosa di R 2 , per cui possiamo parlare di un S C come di un S R 2 e viceversa. Inoltre l’addizione z + w di z,w C, la moltiplicazione esterna αz di α R, z C e la norma data dal modulo |z | = x 2 + y 2 consentono di identificare C ed R 2 anche come spazi vettoriali e anzi normati sui reali, per cui le nozioni topologiche del piano reale si trasportano identiche al “piano” complesso. Introduciamo le notazioni D (z 0 )= {z C||z - z 0 | <}, D (z 0 )= {z C||z - z 0 |≤ } per z 0 C, nonch´ e D = D (0), D = D (0). Diciamo che un punto z 0 di S C ` e interno ad S se esiste un reale positivo per il quale D (z 0 ) S . Chiamiamo S aperto se ogni suo punto gli ` e interno. Per esempio, D r (a) ` e aperto quale che sia a C: dato comunque z 0 D r (a) l’inclusione D (z 0 ) D r (a)` e vera non appena 0 < r -|z 0 - a|. Un intorno di un punto ` e un aperto che contiene il punto. Diciamo che z 0 C (appartenente o meno a S )` e un punto di accumulazione per S se ogni disco D (z 0 ) contiene infiniti punti di S . Sia S C. Ricorrendo ad un piccolo abuso di notazione scriviamo una funzione f : S C tanto come f (z ) che come f (x, y), dove z = x + iy. Indichiamo con u(x, y)e v(x, y) rispettivamente la parte reale Re f (x, y) e quella immaginaria Im f (x, y) di f (x, y), per cui (1.1) f (z )= f (x, y)= u(x, y)+ iv(x, y). Quando z 0 x 0 + iy 0 ` e un punto di accumulazione per S diciamo che un numero complesso a = α + ` e il limite di f (z ) (o che f (z ) “tende” ad a) per z z 0 e scriviamo lim zz 0 f (z )= a se ad ogni numero reale positivo ε ne possiamo associare un altro in modo che risulti |f (z ) - a| per z S, 0 < |z - z 0 | < . 1

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G.M.Troianiello

VARIABILE COMPLESSA

1 Topologia in C

Sia z un generico elemento dell’insieme C dei numeri complessi. La forma algebricadi z e x+ iy dove x e y, rispettivamente parte reale Re z e parte immaginaria Im z di z,sono numeri reali.

Dal punto di vista insiemistico C e la stessa cosa di R2, per cui possiamo parlaredi un S ⊆ C come di un S ⊆ R2 e viceversa. Inoltre l’addizione z + w di z, w ∈ C, lamoltiplicazione esterna αz di α ∈ R, z ∈ C e la norma data dal modulo |z| =

√x2 + y2

consentono di identificare C ed R2 anche come spazi vettoriali e anzi normati sui reali, percui le nozioni topologiche del piano reale si trasportano identiche al “piano” complesso.Introduciamo le notazioni

D%(z0) = {z ∈ C| |z − z0| < %}, D%(z0) = {z ∈ C| |z − z0| ≤ %}per z0 ∈ C, nonche

D% = D%(0), D% = D%(0).

Diciamo che un punto z0 di S ⊆ C e interno ad S se esiste un reale positivo % per il qualeD%(z0) ⊆ S. Chiamiamo S aperto se ogni suo punto gli e interno. Per esempio, Dr(a)e aperto quale che sia a ∈ C: dato comunque z0 ∈ Dr(a) l’inclusione D%(z0) ⊂ Dr(a) evera non appena 0 < % ≤ r − |z0 − a|. Un intorno di un punto e un aperto che contieneil punto. Diciamo che z0 ∈ C (appartenente o meno a S) e un punto di accumulazioneper S se ogni disco D%(z0) contiene infiniti punti di S.

Sia S ⊆ C. Ricorrendo ad un piccolo abuso di notazione scriviamo una funzionef : S → C tanto come f(z) che come f(x, y), dove z = x + iy. Indichiamo con u(x, y) ev(x, y) rispettivamente la parte reale Re f(x, y) e quella immaginaria Im f(x, y) di f(x, y),per cui

(1.1) f(z) = f(x, y) = u(x, y) + iv(x, y).

Quando z0x0 + iy0 e un punto di accumulazione per S diciamo che un numero complessoa = α+ iβ e il limite di f(z) (o che f(z) “tende” ad a) per z → z0 e scriviamo

limz→z0

f(z) = a

se ad ogni numero reale positivo ε ne possiamo associare un altro % in modo che risulti

|f(z)− a| < ε per z ∈ S, 0 < |z − z0| < %.

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Cio equivale a richiedere che u(x, y) → α e v(x, y) → β per (x, y) → (x0, y0). Quando Scontiene il complementare di un disco scriviamo che

lim|z|→∞

f(z) = a

se ad ogni numero reale positivo ε ne possiamo associare un altro % in modo che risulti

|f(z)− a| < ε per z ∈ S, |z| > %.

Quando z0 ∈ S diciamo che f e continua in z0 se si verifica uno di questi due casi: oz0 e un punto isolato del dominio di f , cioe esiste un disco D%(z0) che non contiene puntidi S, oppure e di accumulazione per S e limz→z0 f(z) = f(z0). Cio equivale a richiedereche u e v siano continue in (x0, y0). Se poi un’altra funzione g : S −→ C e continua inz0 possiamo verificare, come nel caso reale, che lo stesso e vero di f + g, di fg e (qualorag(z0) 6= 0) di f/g. Sia infine g : T → C con T ⊆ C, g(T ) ⊆ S, una funzione continua inun punto w0 con g(w0) = z0: allora la funzione composta f ◦ g e anch’essa continua in w0.

Quando la funzione (1.1) e definita in un sottoinsieme aperto A di C possiamo inter-pretarla, tanto per cominciare, come una funzione complessa delle due variabili reali x e y(con A preso come sottoinsieme aperto di R2). In un punto z0 = x0 + iy0, o (x0, y0) chedir si voglia, ha senso parlare delle sue derivate parziali rispetto ad x ed y. Se esistono,esse sono date dalle espressioni

(1.2) fx(x0, y0) = ux(x0, y0) + ivx(x0, y0), fy(x0, y0) = uy(x0, y0) + ivy(x0, y0).

Possiamo poi formulare anche la richiesta piu forte che f , sempre come funzione di duevariabili reali, sia differenziabile in (x0, y0), ovvero che siano tali, ciascuna per conto suo,la u e la v. Ricordiamo che una condizione sufficiente (non necessaria!) affinche questoaccada e che le derivate parziali esistano in un intorno del punto e siano continue nel punto.

2 Funzioni olomorfe

Passiamo allo studio delle proprieta differenziali di f = u+ iv legate alla struttura dicampo definita in C (che e anche struttura di spazio normato su C stesso), in particolareall’esistenza del reciproco di un numero complesso non nullo. Fissato un punto z0 di A,supponiamo che il rapporto incrementale

f(z)− f(z0)z − z0

tenda per z → z0 ad un numero complesso a = α+ iβ, cioe che sia soddisfatta l’identita

(2.1) f(z)− f(z0) = χ(z)(z − z0) per z ∈ A

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con

χ(z) =f(z)− f(z0)

z − z0per z ∈ A \ {z0}, χ(z0) = a

continua in z0. Diciamo allora che il numero a e la derivata (complessa) f ′(z0), odf(z0)/dz, o Dzf(z0) di f in z0.

Dalla (2.1) si vede subito che l’esistenza di f ′(z0) implica la continuita di f in z0.La (2.1) si riscrive come un’identita per u(x, y) e v(x, y) nel modo seguente:

u(x, y)− u(x0, y0) + i [v(x, y)− v(x0, y0)]

= [λ(x, y) + iµ(x, y)] [x− x0 + i(y − y0)]

e quindiu(x, y)− u(x0, y0) = λ(x, y)(x− x0)− µ(x, y)(y − y0),

v(x, y)− v(x0, y0) = µ(x, y)(x− x0) + λ(x, y)(y − y0),

dove λ(x, y) = Re χ(x, y) e µ(x, y) = Im χ(x, y) sono continue in (x0, y0) con λ(x0, y0) = αe µ(x0, y0) = β. Questo equivale a richiedere non solo che la u e v siano differenziabili in(x0, y0), ma in piu che le loro derivate parziali verifichino

ux(x0, y0) = α, uy(x0, y0) = −β, vx(x0, y0) = β, vy(x0, y0) = α

ovvero siano legate tra loro dalle equazioni di Cauchy–Riemann (reali)

(2.2) ux(x0, y0) = vy(x0, y0), uy(x0, y0) = −vx(x0, y0),

che sotto forma complessa si scrivono

(2.3) fx(z0) + ify(z0) = 0.

Sottolineiamo che

(2.4) f ′(z0) = fx(x0, y0) =1ify(x0, y0)

come si verifica subito prendendo nel rapporto incrementale prima z = z0 + h e poi z =z0 + ih con h numero reale 6= 0.

Una conseguenza immediata delle (2.2) e che il determinante jacobiano di (u, v) in(x0, y0) verifica

(2.5)∣∣∣∣∂(u, v)∂(x, y)

∣∣∣∣(x0,y0)

= ux(x0, y0)2 + vx(x0, y0)2 = |f ′(z0)|2.

Sia ora data un’altra funzione g : A→ C dotata di derivata complessa in z0. Possiamoprocedere esattamente come nel caso delle funzioni reali di una variabile reale e provareche esistono (f + g)′(z0) = f ′(z0) + g′(z0) e (fg)′(z0) = f ′(z0)g(z0) + f(z0)g′(z0), nonche(f/g)′(z0) = [f ′(z0)g(z0) − f(z0)g′(z0)]/g2(z0) se g(z0) 6= 0 (nel qual caso g(z), essendo

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continua in z0, e anche 6= 0 in un intorno del punto grazie alla permanenza del segno dellafunzione reale |g(z)|, anch’essa continua in z0).

Esempio 2.1 La funzione z e derivabile in ogni punto z0 di A = C con derivata uguale a1. Procedendo per induzione si vede che qualunque funzione z 7→ zn con n fissato in N ederivabile in ogni punto z0 di A = C con derivata uguale a nzn−1

0 .ut

Esempio 2.2 In ogni punto z0 6= 0 la funzione z−1 e dotata di derivata −z−20 .

ut

Esempio 2.3 Poiche il rapporto incrementale (z − z0)/(z − z0) = (z − z0)/(z − z0) vale 1o −1 a seconda che il numero (non nullo) z− z0 sia reale o immaginario, la funzione z none derivabile in nessun punto z0 di C. Oppure: ∂z/∂x vale sempre 1, ∂z/∂y sempre −1, equindi z non verifica le equazioni di Cauchy–Riemann.

ut

Per cio che riguarda la composizione prendiamo un altro aperto B ⊆ C ed indichiamocon g una funzione B → C tale che g(B) ⊆ A. Supponiamo g derivabile in w0 ∈ B, percui

g(w)− g(w0) = ψ(w)(w − w0) per w ∈ B,

dove ψ : B → C e continua in w0 e ψ(w0) = g′(w0). Se f e derivabile in g(w0), per cuivale la (2.1) con χ : A→ C continua in z0 = g(w0) e χ(z0) = f ′(z0), otteniamo

f(g(w))− f(g(w0)) = χ(g(w))ψ(w)(w − w0)

con B 3 w 7→ χ(g(w))ψ(w) continua in w0. Dunque la derivata (f ◦ g)′(w0) esiste, e valef ′(g(w0))g′(w0). Si tratta dello stesso risultato, e della stessa dimostrazione, che si dannose g e una funzione di una variabile reale, con B intervallo reale aperto (o anche chiuso,con ovvie varianti agli estremi).

Teorema 2.1 Siano dati, in aggiunta ad un aperto A di C e ad una f : A→ C, anche unaltro aperto B di C ed una g : B → C tale che g(B) ⊆ A e f(g(w)) = w per w ∈ B. Se ge continua in w0 ∈ B e f e derivabile in z0 = g(w0) con Dzf(z0) 6= 0, allora g e derivabilein w0 e la sua derivata verifica

Dwg(w0) =1

Dzf(z0).

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DIM. Esiste un disco Dr(z0) ⊆ A dove la funzione χ(z) della (2.1) si mantiene diversa da0 (permanenza del segno della funzione reale |χ(z)|, continua in z0), e quindi

z − z0 =1

χ(z)[f(z)− f(z0)].

Grazie all’ipotesi di continuita di g in w0, esiste un intorno di w0 dove la g assume valoricontenuti in Dr(z0) e di conseguenza verifica

g(w)− g(w0) =1

χ(g(w))(w − w0);

inoltre, χ(g(w)) e a sua volta continua in w0. Da cio segue che Dwg(w0) esiste ed e ugualea 1/χ(z0) = 1/Dzf(z0).

ut

Diciamo che f = u+ iv : A→ C e olomorfa in A se e dotata di derivata complessain tutti i punti di A.

Esempio 2.4 Dagli Esempi 2.1, 2.2 e dalle regole di derivazione segue facilmente che unafunzione razionale p(z)/q(z) con p(z) e q(z) polinomi a coefficienti complessi e olomorfa intutto C privato degli zeri di q(z).

ut

Grazie alle (2.2) l’olomorfia di f equivale a richiedere che entrambe le forme differen-ziali (lineari) reali u dx−v dy e v dx+u dy siano chiuse in A. Per questo motivo l’olomorfiadi f in A si esprime anche dicendo che la forma differenziale (lineare complessa) f dz, ovverola

(u+ iv)(dx+ idy) = u dx− v dy + i[v dx+ u dy],

e chiusa in A.In A ogni funzione costante e olomorfa, con derivata identicamente nulla. Viceversa

(o quasi):

Proposizione 2.1 Se A e un aperto connesso di C ogni funzione olomorfa f : A → Ccon f ′ identicamente nulla e costante.

DIM. Grazie alle (2.4), richiedere f ′ = 0 significa richiedere sia che fx = 0, ovvero ux =vx = 0, e sia che fy = 0, ovvero uy = vy = 0. Le funzioni reali u e v sono allora entrambecostanti in A, e quindi anche f = u+ iv e costante in A.

ut

Esercizio 2.1 Far vedere che le uniche funzioni reali olomorfe in un aperto connesso sonole costanti.

ut

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Esercizio 2.2 Siano A un aperto connesso di C e f : A → C una funzione derivabilesia rispetto ad x che rispetto ad y. (i) Far vedere con un esempio che in A puo accadere|f(z)| = costante senza che f(z) = costante. (ii) Far vedere, ricorrendo alle equazioni diCauchy–Riemann reali, che in A, se f e olomorfa, allora |f(z)| = costante implica f(z) =costante.

ut

Esercizio 2.3 Se u e v sono funzioni reali di classe C1 in un aperto di R2 con determinantediverso da 0 in un punto (x0, y0) dell’aperto, la funzione vettoriale

(x, y) 7→ (u(x, y), v(x, y))

e un diffeomorfismo di un opportuno intorno di (x0, y0) (Teorema di invertibilita locale).Servirsi di questo risultato per mostrare che, se f e olomorfa con f ′ continua in un apertoA di C e verifica f ′(z0) 6= 0 in un punto z0 ∈ A, allora esiste un intorno B di z0 in cui f edotata di inversa olomorfa, con Dwf

−1(w) = 1/Dzf(z) per w = f(z), z ∈ B.ut

In un aperto A di R2 una funzione reale u e armonica se e di classe C2 (comefunzione delle due variabili reali x e y) e verifica identicamente

∆u = uxx + uyy = 0.

Ebbene, dalle (2.2) si deduce subito il seguente

Teorema 2.2 Sia f = u + iv olomorfa in A con u e v di classe C2. Allora u e v sonoarmoniche.

Esercizio 2.4 Mostrare che, se u e armonica, allora ux − iuy e olomorfa.ut

Osservazione 2.1 In un aperto A la forma differenziale reale ω = −uy dx+ux dy e chiusaquando u e armonica, perche in tal caso

(−uy)y = (ux)x.

Se in A le forme differenziali reali chiuse di classe C1 sono automaticamente esatte –ad esempio se A e un disco o un rettangolo –, dalla chiusura di ω segue che esiste unav : A → R di classe C1 col differenziale vx dx + vy dy uguale in ogni punto (x0, y0) di Aad ω. In altri termini, valgono identicamente le (2.2), e questo garantisce che la funzionecomplessa f = u+ iv e olomorfa in A. Molto piu in la (Teorema 18.3) daremo un risultatogenerale senza appoggiarci alla teoria delle forme differenziali reali.

ut

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3 Successioni e serie di funzioni complesse

Per funzioni complesse definite in sottoinsiemi di C definiamo, in analogia con ilcaso reale, la convergenza puntuale e quella uniforme delle successioni, la convergenzapuntuale (semplice ed assoluta), quella uniforme e quella totale delle serie; come nel casoreale verifichiamo che una serie di funzioni complesse converge uniformemente, noncheassolutamente, in ogni sottoinsieme di C dove converge totalmente.

Se una successione o una serie di funzioni complesse, definite in un sottoinsieme Sdi C e continue in un suo z0, converge uniformemente in S, anche la funzione limite econtinua in z0.

Quando manca la convergenza totale fa comodo disporre di criteri per la convergenzauniforme di una serie di funzioni, come i due che adesso passiamo ad illustrare. Entrambiutilizzano l’identita di Abel

p∑k=1

αkβk = αp

p∑k=1

βk +p−1∑k=1

(αk − αk+1)k∑s=1

βs

(valida, come si vede facilmente con l’induzione, per ogni scelta di numeri complessi αk eβk).

Teorema 3.1 Siano {fn} e {gn} successioni di funzioni definite in S ⊆ C, la primaa valori reali e monotona, la seconda a valori complessi. Supponiamo che {fn} sia uni-formemente limitata e che

∑gn sia uniformemente convergente. Allora la serie

∑fngn

converge uniformemente su S, e di conseguenza la sua somma e una funzione continua inogni punto di S dove sono continue tutte le fn e tutte le gn.

DIM. Per n ∈ N e z ∈ S fissati applichiamo a αk = fn+k(z) e βk = gn+k(z) l’identita diAbel, tenendo conto che

p−1∑k=1

|fn+k(z)− fn+k+1(z)| = |fn+1(z)− fn+p(z)|

grazie alla monotonia di {fn}. Dunque∣∣∣∣∣p∑k=1

fn+k(z)gn+k(z)

∣∣∣∣∣ ≤ |fn+p(z)|

∣∣∣∣∣p∑k=1

gn+k(z)

∣∣∣∣∣+ |fn+1(z)− fn+p(z)| supk≤p

∣∣∣∣∣k∑s=1

gn+s(z)

∣∣∣∣∣ .Sia ε > 0. Siccome

∑gn converge uniformemente, e quindi soddisfa la condizione uniforme

di Cauchy, esiste un indice ν = νε ∈ N tale che

supk≤p

∣∣∣∣∣k∑s=1

gn+s(z)

∣∣∣∣∣ ≤ ε per ogni n ≥ ν, per ogni p ∈ N e per ogni z ∈ S.

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A questo punto l’uniforme limitatezza delle fn implica la condizione uniforme di Cauchyper la serie

∑fngn, quindi la convergenza uniforme di quest’ultima.

ut

In modo analogo si dimostra il

Teorema 3.2 Siano {fn} e {gn} successioni di funzioni definite in S ⊆ C, la primaa valori reali e monotona, la seconda a valori complessi. Supponiamo che {fn} convergauniformemente a 0 e che la successione delle ridotte della serie

∑gn sia uniformemente

limitata. Allora la serie∑fngn converge uniformemente su S, e di conseguenza la sua

somma e una funzione continua in ogni punto di S dove sono continue tutte le fn e tuttele gn.

4 Serie di potenze complesse

Introduciamo la serie di potenze (complesse)

(4.1)∞∑n=0

an(z − z0)n

di coefficienti an ∈ C e punto iniziale z0 (con l’abuso di notazione (z − z0)0 = 1 anchequando z = z0). Lo studio della (4.1) puo essere ricondotto, semplicemente sostituendo zcon z + z0 per andare in un verso e con z − z0 per tornare indietro, a quello della serie dipotenze

(4.2)∞∑n=0

anzn

di punto iniziale 0, apparentemente meno generale.Il primo esempio che viene in mente e quello della serie geometrica

∞∑n=0

zn

(coefficienti tutti uguali ad 1, punto iniziale lo 0) che converge, ed ha per somma 1/(1−z),se e solo se |z| < 1.

Nel punto iniziale la (4.1) converge sempre, e la sua somma f(z0) e uguale ad a0. Sela successione dei coefficienti e limitata, il confronto della serie dei moduli col prodotto disupn |an| per la serie geometrica

∑|z − z0|n mostra subito che la (4.1) converge assoluta-

mente quando |z − z0| < 1.

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Se la (4.1) converge assolutamente in un punto z1 si vede subito col confronto che laconvergenza e totale per |z − z0| ≤ |z1 − z0|. In altri termini:

Lemma 4.1 La convergenza assoluta della (4.1) in z1 6= z0 e equivalente alla convergenzatotale in tutto il disco chiuso Dr(x0) con r = |z1 − z0|.

Per capire cosa si puo dedurre dalla sola convergenza semplice in un punto ci si servedel

Lemma (di Abel) 4.2 La convergenza semplice della (4.1) in z1 6= z0 implica la conver-genza assoluta per |z − z0| < |z1 − z0|, cioe quella totale in ogni disco chiuso D%(z0) con% < |z1 − z0|.

DIM. Per semplificare le notazioni prendiamo z0 = 0. Dalla convergenza della (4.2) con z1al posto di z segue che la successione dei suoi addendi e (infinitesima, dunque) limitata:|anzn1 | ≤ K <∞ per ogni n. Dunque

|anzn| = |anzn1 |∣∣∣∣znzn1

∣∣∣∣ ≤ K

∣∣∣∣ zz1∣∣∣∣n per n ∈ N,

e la convergenza della serie∑∞n=0 |anzn| segue dalla convergenza della serie geometrica di

ragione |z/z1| < 1.ut

Associamo ora ad ogni serie (4.1) l’insieme E dei reali positivi o nulli % tali che la(4.1) converga assolutamente per |z− z0| ≤ %, cioe totalmente in D%(z0) se % > 0. E non evuoto poiche contiene almeno il suo estremo inferiore % = 0; inoltre e un intervallo, perchese contiene un % > 0 contiene anche, banalmente, ogni %′ ∈ [0, %[. Il suo estremo superiorer, che puo essere tanto un numero reale positivo o nullo quanto ∞, e chiamato raggio diconvergenza (della serie). Quando r < ∞ la serie non puo convergere in nessun puntoz1 con |z1 − z0| > r (perche se questo accadesse ogni % < |z1 − z0| starebbe in E grazie alLemma di Abel, e ne seguirebbe la contraddizione r ≥ |z1 − z0|), mentre non e detto cher ∈ E, cioe che la (4.1) converga assolutamente in tutto il disco chiuso |z− z0| ≤ r. Quelloche si puo affermare in generale e contenuto nel

Teorema 4.1 Se r e il raggio di convergenza della (4.1) la serie converge assolutamenteper |z − z0| < r, cioe totalmente in ogni disco chiuso D%(z0) con % < r (dove ci si limitaal caso significativo r > 0), mentre non converge in nessun punto fuori del disco chiusoDr(z0) (nel caso r <∞).

Esempio 4.1 Se la successione {an} dei coefficienti della serie (4.1) e limitata il raggio diconvergenza della serie e ≥ 1.

ut

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Il disco di convergenza della serie (4.1) e il disco aperto Dr(z0) se il raggio diconvergenza r e un numero reale positivo, tutto C se r = ∞.

Il Teorema 4.1 ammette il seguente

Corollario Se il raggio di convergenza r della serie di potenze (4.1) e positivo, la sommaf(z) della serie e una funzione continua all’interno del disco di convergenza.

DIM. Ogni punto z con |z − z0| < r e interno ad un disco Dr1(z0), con |z − z0| < r1 < r,dove f e continua perche, grazie al Teorema 4.1, la convergenza della (4.1) e totale, equindi uniforme.

ut

Come si fa a calcolare il raggio di convergenza? Quando e possibile, applicando allaserie dei moduli il criterio della radice o quello del rapporto, com’e illustrato dal prossimorisultato.

Teorema 4.2 Se esiste L = limn→∞ |an|1/n oppure L=limn→∞ |an+1|/|an| (quest’ultimonell’ipotesi che gli an siano definitivamente 6= 0) il raggio di convergenza della (4.1) euguale a 0 se L = ∞, a ∞ se L = 0 e ad 1/L se 0 < L <∞.

DIM. Limitiamoci ad osservare cosa accade quando |an|1/n → L ∈]0,∞[, z0 = 0, fis-sando z e applicando il criterio della radice per le serie numeriche: se |z| < 1/L illimn→∞ |an|1/n|z| e < 1, e quindi la serie (4.2) converge assolutamente, mentre se |z| > 1/Lil limn→∞ |an|1/n|z| e > 1, e quindi la (4.2) non converge.

ut

Osservazione 4.1 Il risultato precedente rientra in uno piu generale dovuto ad Hadamard:il raggio di convergenza della serie di potenze (4.1) e dato dalla formula

r =1

lim supn→∞ |an|1/n

con l’intesa che r = 0 se il denominatore nel secondo membro vale ∞ e r = ∞ se vale 0.ut

Esempio 4.2 I raggi di convergenza delle serie

∞∑n=0

n!zn,∞∑n=0

zn

n!,

∞∑n=0

zn

10

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valgono, rispettivamente: 0, ∞, 1. Soffermiamoci sulla terza serie, che maggioriamo ter-mine a termine in modulo con la serie numerica

∑1/nα. Quest’ultima converge se e solo

se α > 1, e quindi quando questo accade la convergenza assoluta della serie di potenze haluogo nella chiusura del disco di convergenza, cioe per |z| ≤ 1. Quando invece α < 1 si haconvergenza assoluta se e solo se |z| < 1; per z = 1 non si ha mai neppure convergenzasemplice, mentre ad esempio per z = −1 si ha convergenza – semplice! – grazie al criteriodi Leibniz, a patto che α sia perlomeno positivo.

ut

Osservazione 4.2 Continuiamo ad occuparci della serie∑∞n=0 z

n/nα, in cui prendiamo0 < α ≤ 1, e mostriamo che converge in tutta la chiusura del disco di convergenza, trannebeninteso il punto z = 1 se α ≤ 1; anzi, mostriamo che la convergenza e uniforme inogni sottoinsieme compatto del disco chiuso che non contenga z = 1. La successione dellefunzioni reali costanti 1/nα e monotona e tende (uniformemente!) a 0. Per |z| ≤ 1, z 6= 1ricaviamo dall’identita

n∑k=0

zk =1− zn+1

1− z

la maggiorazione ∣∣∣∣∣n∑k=0

zk

∣∣∣∣∣ ≤ 2|1− z|

,

da cui segue che la serie geometrica di ragione z si mantiene limitata in ogni punto , anziuniformemente limitata in S ⊂ D1 se S e compatto e non contiene z = 1 (per cui lafunzione reale |1− z| e dotata di minimo positivo in S). A questo punto basta applicare ilTeorema 3.2 con fn(z) = 1/nα e gn(z) = zn per ottenere il risultato preannunciato.

ut

Quando 0 < r < ∞ il Teorema 4.1 non dice nulla a proposito del comportamentodella serie sulla frontiera del disco di convergenza, cioe sulla circonferenza con centro nelpunto iniziale e raggio r: come abbiamo visto nell’Esempio 4.2 e nell’Osservazione 4.2, larisposta andra trovata caso per caso. Se si conosce la convergenza della serie in un puntoz1 della frontiera del disco di convergenza, ma non si sa se e assoluta – oppure si sa chenon lo e! – puo fare comodo il prossimo risultato, che non segue dal Teorema 4.1.

Lemma 4.3 Una serie di potenze complesse (4.1) che converge in un punto z1 6= z0 con-verge uniformemente, e quindi ha per somma una funzione continua, su tutto il segmentochiuso che congiunge z0 e z1.

DIM. Gia sappiamo che non e restrittivo supporre z0 = 0. Sostituendo se necessario la (4.2)con la

∑anz

n1 z

n vediamo che non e restrittivo neanche supporre z1 = 1. Sul segmento checongiunge 0 ed 1 la variabile complessa z e in effetti la variabile reale x; la serie numerica

11

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∑an, cioe il valore della serie di potenze in z1 = 1, converge – uniformemente! – e a

questo punto la conclusione segue dal Teorema 3.1 per fn(x) = xn, gn(x) = an.ut

5 Serie di Taylor

Associamo alla (4.1) la serie derivata (termine a termine)

(5.1)∞∑n=1

nan(z − z0)n−1.

Teorema 5.1 La serie (5.1) ha lo stesso raggio di convergenza della serie (4.1).

DIM. Per semplificare le notazioni prendiamo z0 = 0. Indichiamo con r il raggio diconvergenza della serie (4.2) e con r′ quello della serie derivata (5.1) o, cio che e lo stesso(basta moltiplicare in un senso e dividere nell’altro per z 6= 0), della serie

(5.2)∞∑n=1

nanzn.

In ogni punto z dove quest’ultima converge assolutamente deve convergere assolutamenteanche la (4.2), grazie alla disuguaglianza |an||z|n ≤ n|an||z|n. Dunque r′ ≤ r. Adessosupponiamo r > 0 e mostriamo che la (5.2) converge assolutamente per |z| < r, dal cheseguira r′ = r. Indichiamo con % un numero reale compreso in senso stretto tra |z| e r.Siccome la serie di partenza converge in %, e di conseguenza |an|%n → 0, il secondo membrodella disuguaglianza

n|an||z|n ≤ n

∣∣∣∣z%∣∣∣∣n |an|%n

e maggiorato definitivamente dal termine generico della serie convergente∑ntn con 0 ≤

t = |z|/% < 1. Ne segue che la (5.2) converge assolutamente per |z| < r.ut

Teorema 5.2 Se la serie (4.1) ha raggio di convergenza r > 0 la sua somma f(z) eolomorfa nel disco di convergenza, e la sua derivata soddisfa l’identita

(5.3) f ′(z) =∞∑n=1

nan(z − z0)n−1.

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DIM. Prendiamo per semplicita z0 = 0. Fissato arbitrariamente z nel disco di conver-genza della (4.2) indichiamo con % un numero reale maggiore di |z| e minore di r. Incorrispondenza ad ogni n definiamo poi

gn(w) = anwn − zn

w − z= an

(wn−1 + wn−2z + · · ·+ wzn−2 + zn−1

)per w 6= z

e gn(z) = nanzn−1. Si tratta di una funzione continua su tutto C, e se in particolare

|w| ≤ % abbiamo

|gn(w)| ≤ |an|n∑k=1

|w|n−k|z|k−1 ≤ |an|n∑k=1

%n−k%k−1 = n|an|%n−1.

Ora, la serie degli n|an|%n−1 converge perche % si trova nel disco di convergenza della seriedelle derivate. Ne segue che la serie delle funzioni continue gn(w) converge totalmente equindi uniformemente in D%. La sua somma g(w) in questo disco e una funzione continuain ogni punto, in particolare in z, sicche g(w) → g(z) per w → z. Ma se w 6= z risulta

g(w) =∞∑n=1

gn(w) =1

w − z

∞∑n=1

(anwn − anzn) =

f(w)− f(z)w − z

,

mentre

g(z) =∞∑n=1

gn(z) =∞∑n=1

nanzn−1.

Abbiamo cosı mostrato che risulta

limw→z

f(w)− f(z)w − z

= f ′(z) =∞∑n=1

nanzn−1

e questo conclude la dimostrazione.ut

Gia sapevamo che f(z0) = a0. Adesso ricaviamo dalla (5.3) che f ′(z0) = a1 e quindi,iterando, che f (n)(z0) = n!an. Ebbene, quando una funzione f : A → C e derivabileinfinite volte in z0 la serie di potenze

∞∑n=0

f (n)(z0)n!

(z − z0)n

e la sua serie di Taylor di punto iniziale z0 ∈ A, detta anche serie di Maclaurinquando z0 = 0. Con questa terminologia enunciamo subito, come conseguenza del teoremaprecedente, il suo

Corollario Se la serie (5.1) ha raggio di convergenza r > 0 la sua somma f(z) e indefini-tamente derivabile rispetto a z in Dr(z0) ed ha come derivata k-esima la somma della seriedelle derivate k–esime; inoltre la (5.1) e la serie di Taylor di punto iniziale z0 della f(z),per cui i suoi coefficienti sono univocamente determinati dalla formula f (n)(z0) = n!an.

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6 Funzioni analitiche

Sia A un aperto di C. Una funzione f : A→ C e analitica in A se e sviluppabile inserie di potenze intorno ad ogni punto di A. Cio equivale a richiedere che ad ogni z0 ∈ Asi possano associare una successione di coefficienti an = an(z0) ed un raggio r = r(z0) > 0tali che f(z) =

∑∞n=0 an(z − z0)n per |z − z0| < r. Una funzione analitica in tutto C e

detta intera.

Esempio 6.1 La funzione 1/z e analitica in A = C \ {0}: dato comunque z0 6= 0 risultainfatti

1z

=1z0

11 + z−z0

z0

=∞∑n=0

(−1)n(z − z0)n

zn+10

per |z − z0| < |z0|.ut

Proposizione 6.1 In un aperto A una funzione olomorfa f con f ′ analitica e a sua voltaanalitica.

DIM. Sia z0 ∈ A e sia f ′(z) =∑∞n=0 bn(z − z0)n in un opportuno disco aperto di centro

z0. Siccome f(z) ammette nel disco la stessa derivata della serie∑∞n=0 bn(z− z0)n+1/(n+

1), deve coincidere con quest’ultima a meno di una costante (che beninteso vale f(z0)).Abbiamo cosı visto che f(z) e sviluppabile in serie di potenze intorno ad ogni punto di A.

ut

Teorema 6.1 Se f e analitica in A e z e fissato in A, la funzione

g(ζ, z) =f(ζ)− f(z)

ζ − zper ζ ∈ A \ {z}, g(z, z) = f ′(z)

e sviluppabile in serie di potenze con punto iniziale z.

DIM. Scrivendo la serie di Taylor con punto iniziale z della funzione analitica ζ 7→ f(ζ)otteniamo

f(ζ)− f(z) =∞∑n=1

f (n)(z)n!

(ζ − z)n = (ζ − z)∞∑n=0

f (n+1)(z)(n+ 1)!

(ζ − z)n.

In un punto ζ la serie di potenze a fattore di ζ−z nel terzo membro, che vale il rapportoincrementale se ζ 6= z ed f ′(z) se ζ = z, cioe g(ζ, z), converge se e solo se converge la serie

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di potenze nel secondo membro: dunque ha lo stesso raggio di convergenza (positivo) diquest’ultima.

ut

Dal Teorema 5.2 deduciamo subito il

Teorema 6.2 Una funzione analitica in un aperto A del piano e olomorfa, ed anzi diclasse C∞ nella variabile complessa z ∈ A.

DIM. Ogni punto di A e il centro di un disco aperto in cui f e somma di una serie dipotenze e di conseguenza olomorfa, anzi di classe C∞.

ut

Da qui segue subito il

Corollario Le parti reale ed immaginaria di una funzione analitica in un aperto A delpiano sono di classe C∞ nella coppia di variabili reali (x, y) ∈ A.

Lemma 6.1 Se f(z) e analitica nell’aperto A 3 z0 e f(z0) = 0 si puo verificare solouno dei due casi seguenti: o f e diversa da 0 in tutto un intorno di z0 ad esclusione di z0stesso, oppure f = 0 in tutto un intorno di z0.

DIM. In un intorno di z0 la f(z) e somma di una serie di potenze (4.1). Se i coefficientidella serie non sono tutti nulli esiste un indice k tale che ak 6= 0, ah = 0 per ogni h < k.Ma allora

f(z) = (z − z0)k∞∑n=k

an(z − z0)n−k.

La serie scritta nel secondo membro ha anch’essa raggio di convergenza r, ed in piu ilsuo termine di grado zero e ak 6= 0; dunque la sua somma g(z) e una funzione continuadiversa da zero in z0, dove vale ak, e di conseguenza (permanenza del segno della funzionereale continua z 7→ |g(z)|) in tutto un intorno |z − z0| < %. Questo implica che f(z) =(z − z0)kg(z) e diversa da zero in tutto quell’intorno privato del punto z0.

ut

Il numero naturale k che compare nella precedente dimostrazione e l’ordine dello zeroz0.

Teorema (degli zeri isolati) 6.3 Se A e connesso l’insieme Z degli zeri di una funzioneanalitica f : A → C che cadono nell’aperto A e privo di punti di accumulazione in A, ameno che f non sia identicamente nulla in A.

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DIM. Supponiamo che esista un punto z0 ∈ A di accumulazione per Z, e mostriamoche allora f e identicamente nulla. Innanzitutto z0 appartiene a Z perche la continuitadi f implica f(z0) = 0. Dal lemma precedente segue subito che esiste tutto un discoD%(z0) ⊂ Z, ovvero che z0 e interno a Z. Questo mostra che l’aperto U unione di tutti isottoinsiemi aperti di A dove f si annulla identicamente, cioe contenuti in Z, non e vuotoperche contiene almeno un intorno di z0. Nessun punto w di A puo cadere sulla frontieradi U : se cio accadesse w sarebbe di accumulazione per Z e quindi interno a Z, dunque adU . Ne segue che i punti di A non appartenenti all’aperto U appartengono all’aperto A\U .Quest’ultimo dev’essere vuoto per la connessione di A, e quindi A = U = Z, cioe f = 0 intutto A.

ut

Osservazione 6.1 Dal Teorema degli zeri isolati segue il principio del prolungamentoanalitico: due funzioni analitiche in uno stesso aperto connesso A che coincidono in unsottoinsieme di A dotato di qualche punto di accumulazione appartenente ad A devonocoincidere su tutto A. Una conseguenza di questo principio e l’unicita del prolungamentoanalitico (quando esso esiste) di una funzione f di una variabile reale x ∈ I ad un apertoconnesso A ⊆ C: se I e un intervallo non degenere contenuto nell’intersezione di A conl’asse reale, e si trova una funzione analitica di z che coincide con f per z = x ∈ I, alloranon ci puo essere nessun’altra funzione analitica di z con la stessa proprieta.

ut

Osservazione 6.2 La somma di una serie di potenze complesse e analitica all’interno delproprio cerchio di convergenza, oppure no? In altri termini: se

f(z) =∞∑n=0

an(z − z0)n

al variare di z in un disco aperto Dr(z0), e o non e automaticamente vero che ad ogniw0 ∈ Dr(z0) si puo associare {bn} in modo tale che

f(z) =∞∑n=0

bn(z − w0)n

al variare di z in un opportuno disco aperto D%(w0) ⊂ Dr(z0)? La risposta, affermativa,e meno ovvia di quanto si direbbe a prima vista, e per il momento non ne diamo ladimostrazione.

ut

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Se si prende come punto iniziale della serie di potenze (4.1) un numero reale z0 =x0 + i0 = x0 e ci si limita ai valori reali z = x+ i0 = x della variabile si ottiene una seriedi potenze reali

(6.1)∞∑n=0

an(x− x0)n.

Mostriamo che lo studio della (6.1) si riconduce integralmente a quello delle serie di potenzecomplesse. Sia r il raggio di convergenza della (4.1) per z0 = x0. Se r < ∞ la (6.1) nonpuo convergere per |x− x0| > r; se r > 0 la (6.1) converge assolutamente per |x− x0| < r,ovvero totalmente per |x − x0| ≤ % quando 0 < % < r. A questo punto possiamo ancheparlare di r come del raggio di convergenza della (6.1); l’intervallo di convergenzadella (6.1) e ]x0 − r, x0 + r[ se 0 < r <∞, tutto R se r = ∞.

Teorema 6.4 Se la serie (6.1) ha raggio di convergenza r > 0 la somma

(6.2) f(x) =∞∑n=0

an(x− x0)n

e di classe C∞ nel suo intervallo di convergenza, e i suoi coefficienti sono dati dalle identita

an =1n!dnf(x0)dxn

.

DIM. Basta tener conto del Corollario del Teorema 5.2 e della prima delle identita (2.4):in un punto z0 = x0 + i0 dell’asse reale l’n–esima derivata rispetto a z di una funzionef e uguale a ∂nf(x0, 0)/∂xn, ovvero all’n–esima derivata (ordinaria) della funzione x 7→f(x+ i0).

ut

7 Le funzioni elementari di variabile complessa

Facciamo finta di non aver ancora imparato a dar senso ai simboli eα, logα, sinα,cosα... o π.

La funzione esponenziale, il seno e il coseno

Introduciamo la funzione esponenziale complessa

(7.1) exp (z) =∞∑n=0

zn

n!

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per ogni z nel disco di convergenza della serie di potenze a secondo membro, cioe nel pianocomplesso, ed elenchiamo le sue principali proprieta.

Per cominciare,exp (z) = exp (z),

come si vede passando al limite su N nei due membri dell’identita(N∑n=0

zn

n!

)=

N∑n=0

zn

n!

(e ricordando che per le successioni complesse convergenti si possono scambiare tra di loroil simbolo di limite e quello di coniugio).

Inoltre (Corollario del Teorema 5.2) exp (z) e di classe C∞ su tutto C, e la sua seriedi Maclaurin e il secondo membro della (7.1). Derivando termine a termine otteniamo

Dzexp (z) =∞∑n=1

nzn−1

n!,

e quindi Dzexp (z) = exp (z).Facciamo vedere che per ogni scelta dei complessi z1 e z2 vale l’identita

(7.2) exp (z1 + z2) = exp (z1)exp (z2).

Fissiamo c ∈ C e deriviamo rispetto a z la funzione g(z) = exp (z)exp (c− z). Otteniamoidenticamente

Dzg(z) = exp (z)exp (c− z)− exp (z)exp (c− z) = 0

e per la Proposizione 2.1 questo implica che su tutto C la funzione g(z) e costante. Siccomeg(c) = exp (c) dev’essere

exp (z1)exp (c− z1) = exp (c),

e questa identita e la (7.2) con z1 + z2 = c.Caso particolare della (7.2) e l’identita

exp (z) = exp (x)exp (iy)

per z = x+ iy.Dalla (7.2) segue che exp (z)exp (−z) = exp (z − z) = exp (0) = 1, per cui il numero

exp (z) e sempre 6= 0 ed ha per reciproco il numero exp (−z).Quando ci si restringe a z = x ∈ R e immediato dedurre dalla definizione (7.1)

che exp (x) e un numero reale ≥ 1 se x ≥ 0, e quindi exp (x) > 0 per ogni x ∈ R dalmomento che [exp (x)]−1 vale exp (−x). Derivando termine a termine rispetto ad x (cfril Teorema 6.4) otteniamo d exp (x)/dx = exp (x), e da qui segue in particolare che lafunzione R 3 x 7→ exp (x) e crescente. Inoltre si vede dalla stessa definizione (7.1) cheexp (x) tende a ∞ per x→∞ e quindi a 0 per x→ −∞, di nuovo perche [exp (x)]−1 vale

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exp (−x). Cio significa che exp (x) e una funzione invertibile (di classe C∞) che manda Rsu ]0,∞[; la sua funzione inversa e indicata con log x ed e il logaritmo reale.

Per qualunque scelta di z = x+ iy ∈ C il numero exp (x) e, come abbiamo visto, unreale positivo, e il suo quadrato verifica

[exp (x)]2 = exp (2x) = exp (z + z) = exp (z)exp (z) = exp (z)exp (z) = |exp (z)|2.

Dunque |exp (z)| = exp (x). Prendendo in particolare z = iy si ottiene |exp (iy)| = 1, percui possiamo dire della funzione y 7→ exp (iy), tanto per cominciare, che manda R nellacirconferenza unitaria di C.

Definiamo il seno ed il coseno su C:

sin z =exp (iz)− exp (−iz)

2i=

∞∑k=0

(−1)kz2k+1

(2k + 1)!,

cos z =exp (iz) + exp (−iz)

2=

∞∑k=0

(−1)kz2k

(2k)!.

Innanzitutto,

(7.3) exp (iz) = cos z + i sin z.

Inoltre sin(−z) = − sin z, cos(−z) = cos z e cos2 z + sin2 z = exp (iz)exp (−iz) = 1;derivando termine a termine otteniamo Dz cos z = − sin z, Dz sin z = cos z; infine dedu-ciamo facilmente dalla (7.2) che

cos(z1 + z2) = cos z1 cos z2 − sin z1 sin z2, sin(z1 + z2) = cos z1 sin z2 + sin z1 cos z2.

Sia in particolare z = y ∈ R. Dalle espressioni

cos y =∞∑k=0

(−1)ky2k

(2k)!, sin y =

∞∑k=0

(−1)ky2k+1

(2k + 1)!

si ottiene innanzitutto che (d/dy) cos y = − sin y, (d/dy) sin y = cos y. La funzione –continua e pari – cos y vale 1 in 0 ed assume anche valori negativi a destra di 0: adesempio cos 2, somma di una serie a termini di segno alterno col primo termine positivo,e inferiore alla somma dei primi 3 termini della serie, dunque a −1/3. Per il teorema diesistenza degli zeri l’insieme dei reali y > 0 tali che cos y = 0 non e vuoto; il suo estremoinferiore e, sempre grazie alla continuita, il suo minimo, dunque un numero positivo, il cuidoppio indichiamo col simbolo π. In [0, π/2] il seno e crescente, perche ha derivata positivaall’interno dell’intervallo. Ma la (7.3) per z = π/2 da 1 = |exp (πi/2)| = | sinπ/2|; siccomesin 0 = 0, il numero sinπ/2 e positivo, dunque uguale a 1.

Adesso sappiamo che exp (πi/2) = i, per cui exp (πi) = i2 = −1 e quindi exp (2πi) =(−1)2 = 1. Ma allora exp (z + 2πi) = exp (z)exp (2πi) = exp (z), ovvero

(7.4) exp (z + 2mπi) = exp (z)

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per ogni valore intero di m e quindi 2πi e un periodo della funzione C 3 z 7→ exp (z). Cioequivale a dire che 2π e un periodo della funzione R 3 y 7→ exp (iy): facciamo vedere chesi tratta del suo periodo minimo, ovvero che

(7.5) 0 < y < 2π =⇒ exp (iy) 6= 1.

Fissiamo y ∈]0, 2π[ e poniamo Re exp (iy/4) = u, Im exp (iy/4) = v. Siccome 0 < y/4 <π/2, non solo abbiamo u2 + v2 = |exp (iy/4)|2 = 1, ma anche u = cos y/4 > 0 e v =sin y/4 > 0. Inoltre

exp (iy) = (u+ iv)4 = u4 − 6u2v2 + v4 + 4iuv(u2 − v2).

Se exp (iy) fosse uguale ad 1 l’identita qui sopra imporrebbe uv(u2 − v2) = 0, quindiu2 = v2 visto che uv 6= 0. Ma allora 1 = −4u4, e questo e assurdo, per cui vale la (7.5).

Indichiamo con I un qualunque intervallo semiaperto (non importa se a destra o asinistra) di lunghezza 2π. Da quanto abbiamo appena visto segue subito che la funzioneI 3 y 7→ exp (iy) e iniettiva: dati due punti y1 e y2 di I, diciamo con y2 > y1 per fissarele idee, non puo accadere che exp (iy1) = exp (iy2) perche cio implicherebbe exp (iy) = 1con 0 < y = y2 − y1 < 2π, contraddicendo la (7.5). Ne segue facilmente che e iniettiva larestrizione a R× I della funzione z 7→ exp (z), mentre invece quest’ultima, avendo periodo2πi, non e iniettiva al variare di z in tutto C.

Facciamo vedere che y 7→ exp (iy) manda I sulla circonferenza unitaria, e a tal fineprendiamo w = u+ iv con u, v ∈ R, u2 + v2 = 1.

(a) Se u, v ≥ 0 applichiamo il teorema di esistenza dei valori intermedi a cos y per0 ≤ y ≤ π/2: poiche 0 ≤ u ≤ 1 esiste un punto y di tale intervallo in cui il coseno vale u.Ma allora risulta sin2 y = 1−u2 = v2, dunque sin y = v. Ne segue che w = cos y+ i sin y =exp (iy).

(b) Se u < 0 e v ≥ 0 sostituiamo w con −iw: per quanto abbiamo appena visto esisteun y ∈ [0, π/2] tale che −iw = exp (iy), per cui w = iexp (iy) = exp (i(y + π/2)) cony + π/2 ∈ [π/2, π].

(c) Infine, se v < 0 sappiamo dai due passi precedenti che esiste un y ∈ [0, π] per il qualerisulta −w = exp (iy) e quindi anche w = −exp (iy) = exp (i(y + π)) con y + π ∈ [π, 2π].

Abbiamo cosı fatto vedere che ogni punto w della circonferenza unitaria di C si scrivecome exp (iy1) per qualche y1 ∈ [0, 2π], che a sua volta si puo sempre scrivere come y+2mπper un’opportuna scelta di y in I e di m in Z. Dunque ogni punto w della circonferenzaunitaria di C si scrive come exp (iy) per un unico y ∈ I.

L’argomento

Sia w = u+iv un numero complesso non nullo, di cui adesso indichiamo con % il modulo|w| =

√u2 + v2. Il numero w/% si trova sulla circonferenza unitaria e quindi e uguale a

exp (iϑ) = cosϑ+i sinϑ per infiniti valori reali di ϑ. Ognuno di essi e una determinazione,indicata genericamente con Argw, dell’argomento di w, e fin qui tutto bene: solo cheanche quest’ultimo puo essere indicato con lo stesso simbolo Argw. Dunque Argw si trovaa denotare o l’insieme dei valori di ϑ che soddisfano la

(7.6) w = % exp (iϑ) ovvero u = % cosϑ, v = % sinϑ,

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o un elemento di tale insieme: e il contesto che deve volta per volta chiarire in qualeaccezione viene utilizzato il simbolo.

Esempio 7.1 Della parte immaginaria di un numero complesso z 6= 0 possiamo dire sia chee una determinazione dell’argomento Arg (exp (z)) di exp (z), sia che e una determinazioneArg (exp (z)) dell’argomento di exp (z), e facendo riferimento a questa seconda accezionepossiamo scrivere Im z =Arg (exp (z)). Si noti peraltro che, se Arg (exp (z)) denota unaprefissata determinazione dell’argomento di exp (z), la precedente identita va sostituita daIm z =Arg (exp (z)) + 2mπ per un opportuno m ∈ Z...

ut

La determinazione principale dell’argomento di w 6= 0, indicata con argw e dettacomunemente argomento principale di w, e quella che si trova in ]− π, π].

La (7.2) si traduce per w1, w2 6= 0 nelle identita

(7.7) Arg (w1w2) = Argw1 + Argw2,

le quali vanno intese a meno di un un opportuno multiplo di 2π, ovvero nel senso cheuna volta scelte le determinazioni di due degli argomenti resta fissata quella del terzo: ildoppio dell’argomento principale π di w1 = w2 = −1 e uguale all’argomento principale 0di w1w2 = 1 aumentato di 2π.

Sia il significato geometrico di argw che la sua dipendenza dalla variabile w quandoquest’ultima varia in C \ {0} si possono illustrare nel modo seguente. In ogni punto y diR diverso da kπ/2, k ∈ Z, e definita la funzione reale y 7→ sin y/ cos y, che indichiamo contan y. La sua restrizione a ] − π/2, π/2[ e una funzione dispari e strettamente crescente,di cui indichiamo con arctan η l’inversa, definita su ] − ∞,∞[. Grazie alla (7.6) si vedefacilmente che l’argomento principale di w e uguale a:

arctan(v/u) se u > 0,− arctan(u/v) + π/2 se v > 0,− arctan(u/v)− π/2 se v < 0,π se u < 0 e v = 0.

Questo mostra che argw e una funzione reale definita su C \ {0} e continua nell’apertoottenuto togliendo a C la semiretta dei reali ≤ 0. Se poi passiamo ad argw + 2mπ conm ∈ Z otteniamo ancora un Argw la cui dipendenza da w e, banalmente, la stessa diargw.

Esercizio 7.1 Disegnare il grafico di argw nello spazio (u, v, ϑ) facendo ruotare di π ilsemiasse positivo delle u, prima in senso antiorario fino a π compreso, poi in senso orariofino a −π escluso.

ut

Fissiamo una qualunque semiretta chiusa s uscente dall’origine, diciamo quella chepassa per exp(i(π + α)) con α fissato in R. Sia w ∈ C \ {0} dato dalla (7.6) con ϑ ∈ I =

21

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] − π + α, π + α]. Siccome ϑ − α ∈] − π, π] e l’argomento principale di % exp(i(ϑ − α)) =wexp(−iα), e quindi

(7.8) ϑ = arg(w exp(−iα)) + α,

abbiamo definito per ogni w ∈ C\{0} una determinazione ϑ = Argw che dipende con conti-nuita da w quando quest’ultimo varia nell’aperto C\s: si tratta di un ramo dell’argomentodi w. In corrispondenza alla scelta di α = 0 si ottiene il ramo descritto dall’argomentoprincipale.

Esercizio 7.2 Visualizzare nello spazio (u, v, ϑ) l’insieme delle terne (u, v,Argw), w =u+ iv, al variare della determinazione di Argw.

ut

Il logaritmo

Sappiamo che in C la funzione exp (z) non si annulla mai, e siccome ha periodo2πi non e invertibile (mentre lo e la sua restrizione al prodotto cartesiano di R perun intervallo semiaperto di lunghezza 2π). Ebbene, ogni numero complesso non nullow = |w|exp (iArgw) e uguale ad exp (z) per infiniti valori di z. Ciascuno di essi e unadeterminazione, indicata genericamente con Logw, del logaritmo complesso di w,anch’esso indicato con Logw. Infatti i numeri complessi z = x + iy che soddisfanol’equazione exp (z) = exp (x)exp (iy) = w sono tutti e soli quelli per i quali exp (x) = |w|e y = Argw (nel senso che y e una determinazione dell’argomento di w). Cio significa chele determinazioni del logaritmo complesso di w sono date dall’espressione

(7.9) Logw = log |w|+ iArgw :

al variare delle determinazioni di Argw, che differiscono tra di loro per multipli interi di2π, si ottengono tutte le determinazioni di Logw, che dunque differiscono tra di loro permultipli interi di 2πi. Si noti che, mentre risulta

w = exp (Logw)

per ogni w ∈ C \ {0}, e questo quale che sia la determinazione del logaritmo, non e veroche l’identita

z = Log (exp (z))

valga per ogni z ∈ C: in generale, i due membri differiscono per un multiplo intero di 2πiil quale dipende dalla determinazione scelta per il logaritmo complesso (cfr l’Esempio 7.1).

Per w1, w2 6= 0 la (7.7) fornisce immediatamente le identita

Log(w1w2) = Logw1 + Logw2

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da intendere a meno di multipli interi di 2πi, ovvero nel senso che una volta scelte ledeterminazioni di due dei logaritmi resta fissata quella del terzo.

In corrispondenza alla determinazione principale si ottiene il logaritmo principalelog |w|+iargw di w, indicato con logw. Come funzione di w e definita in tutto C\{0}, macontinua solo nell’aperto B ottenuto togliendo a C la semiretta dei reali negativi o nulli.Piu in generale, in corrispondenza alla scelta di un ramo dell’argomento continuo in unaperto B = C \ s, dove s e una semiretta chiusa uscente dall’origine, si ottiene un ramoLogw del logaritmo con s come semiretta di diramazione. Si tratta di una funzione,definita in C \ {0}, che in B e anch’essa continua, anzi olomorfa, con derivata uguale a1/w: questo segue subito dalla regola di derivazione della funzione inversa

DwLogw =1

Dzexp (z)=

1exp (z)

per z = Logw

(cfr il Teorema 2.1). Siccome 1/w e una funzione analitica in C \ {0}, la sua primitivaLogw e analitica in B (cfr Esempio 6.1 e Proposizione 6.1).

Osservazione 7.1 Date due distinte semirette chiuse s e t uscenti dall’origine, un ramodel logaritmo che ha come retta di diramazione s coincide, nei due settori piani definitida s e t, con due distinti rami del logaritmo che hanno come retta di diramazione t. Neipunti della sua semiretta di diramazione diversi dall’origine un ramo Logw si raccorda, inmaniera continua ed anzi analitica, con Logw + 2πi in senso antiorario e con Logw − 2πiin senso orario.

ut

Cambiamo la variabile w in z−z0 con z0 fissato in C. In C\{z0} e definito il logaritmoprincipale log(z− z0), che e analitico, con derivata 1/(z− z0), nel piano complesso privatodella semiretta chiusa Re z ≤ Re z0, Im z = Im z0. Piu in generale, data comunque unasemiretta chiusa (di diramazione) s uscente da z0, e definito un ramo di Log (z − z0),z 6= z0, che e analitico, con derivata 1/(z − z0), in C \ s. Sia in particolare z0 = −1. Sela semiretta s non passa per il semipiano Re z > −1, la derivata 1/(1 + z) di Log (1 + z)coincide per |z| < 1 con la somma della serie

1− z + z2 + · · ·+ (−1)nzn + · · ·

ottenuta derivando termine a termine la serie

z − z2

2+z3

3+ · · ·+ (−1)n

zn+1

n+ 1+ · · ·

e quindi quest’ultima e la serie di Maclaurin di Log (1 + z).

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Le potenze

Una determinazione di wz, dove w e z sono numeri complessi, w 6= 0, e uno qualunquedei numeri exp (zLogw), dove Logw e una determinazione del logaritmo di w. La deter-minazione principale di wz e il numero exp (zlogw). Sia p ∈ Z: i numeri pLogw =p logw + i2pkπ differiscono tra di loro per multipli interi di 2πi, e quindi tutte le de-terminazioni di wp coincidono con quella principale. Quando invece z non e intero ledeterminazioni di wz non possono coincidere tutte tra di loro. Le determinazioni distintedi w1/q con q ∈ N sono q, date da (logw)/q + i2kπ/q per k = 0, 1, . . . , q; ognuna di loro euna radice q–esima di w. Per z /∈ Q le determinazioni distinte di wz sono infinite.

Esempio 7.1 Le determinazioni di ez, dove e = exp (1), si ottengono facendo variare k ∈ Znella formula

exp (zLog e) = exp (z(log e+ i0 + i2kπ)) = exp (z)exp (i2zkπ)

e quindi coincidono tutte con exp (z) se e solo se z e un intero.ut

Esempio 7.2 Le determinazioni di ii si ottengono facendo variare k ∈ Z nella formula

exp (iLog i) = exp(i(log 1 + i

π

2+ i2kπ)

)= exp

(−π

2− 2kπ

)e sono quindi tutte dei numeri reali positivi.

ut

Come si opera sulle determinazioni delle potenze z–esime? Con le solite regole e conmolte cautele. Ad esempio l’identita wz1w

z2 = (w1w2)z (w1 6= 0, w2 6= 0) vale sı, ma nel

senso che una volta scelte le determinazioni di due delle potenze resta automaticamentefissata quella della terza. E un classico il prodotto (−1)1/2(−1)1/2: possiamo pure fare inmodo che esso sia uguale ad 1, cioe alla determinazione principale 1 di [(−1)(−1)]1/2 = 11/2,e quindi abbia argomento principale uguale a 0 invece di −π, a patto pero che prendiamoper uno dei fattori (−1)1/2 la determinazione principale i e per l’altro l’altra determinazione−i... Ancora: ogni determinazione di wz1z2 e una determinazione di (wz1)z2 , ma che nonvalga il viceversa lo si vede gia prendendo una potenza di potenza come (13)1/9, la cuideterminazioni distinte sono le 9 radici none di 13 = 1 mentre quelle di 13/9 = 11/3 sono letre radici cubiche di 1. Per fortuna le cose vanno meglio con l’identita wz1+z2 = wz1wz2 ,che grazie alla (7.2) vale ad esempio con le determinazioni principali di tutt’e tre le potenze.

Per capire meglio quali difficolta sono riconducibili a semplici questioni di notazioni equali no, consideriamo separatamente i comportamenti delle potenze az (a ∈ C \ {0}) alvariare di z in C e za (a ∈ C) al variare di z in C \ {0}.

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Per ogni fissata determinazione del logaritmo di a 6= 0 e definita una funzione interaz 7→ az. Non e veramente restrittivo limitarsi al logaritmo principale, cioe utilizzare ilsimbolo della funzione potenza z 7→ az solo per la funzione z 7→exp (z log a). Con questaconvenzione vale sempre l’identita

az1+z2 = az1az2 ;

per a = e otteniamo ez = exp (z), e ritroviamo l’abituale espressione

ex =∞∑n=0

xn

n!

dell’esponenziale reale ponendo z = x ∈ R nella (7.1), nonche la formula di Eulero

eiy = cos y + i sin y

ponendo z = y ∈ R nella (7.3).Invece ogni funzione z 7→ eaLog z e, in generale, analitica solo nell’aperto (ottenuto

privando il piano di una semiretta uscente da 0) dove e analitico il ramo di Log z che si escelto, e quando la si scrive come z 7→ za tale ramo va precisato.

8 Integrazione sui cammini

Una curva (piana) e una funzione ϕ di classe C0 su un intervallo compatto [a, b] diR a valori in R2 o, cio che e lo stesso, in C: a seconda che privilegiamo la prima o laseconda accezione usiamo notazioni del tipo

[a, b] 3 t 7→ ϕ(t) = (x(t), y(t))

oppure del tipo[a, b] 3 t 7→ ϕ(t) = x(t) + iy(t).

Esempio 8.1 Se f e una funzione reale continua su [a, b] le funzioni vettoriali

[a, b] 3 t→ (t, f(t)) e [a, b] 3 t→ (f(t), t)

sono due curve: qui conviene porsi in R2 piuttosto che in C. Per semplicita si parla dicurva y = f(x), x ∈ [a, b] nel primo caso e di curva x = f(y), y ∈ [a, b] nel secondo.

ut

Si dice che ϕ e chiusa se ϕ(a) = ϕ(b), che e semplice se ϕ(t1) 6= ϕ(t2) per a ≤ t1 <t2 ≤ b tranne, eventualmente, per t1 = a e t2 = b.

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L’orientazione di ϕ e quella per cui ϕ(t1) precede ϕ(t2) se a ≤ t1 < t2 ≤ b; il primoestremo o origine di ϕ e ϕ(a), il secondo estremo o termine e ϕ(b). L’opposta di ϕe la curva [a, b] 3 t 7→ ϕ(a+ b− t).

Il sostegno di ϕ e l’immagine ϕ([a, b]), che indichiamo piu concisamente con {ϕ}. Sitatta di un insieme (sempre chiuso nella topologia del piano) da cui in nessun modo si puorisalire alla funzione ϕ: basta pensare che esso e lo stesso per ogni altra curva ϕ ◦ p nonappena p e di classe C0 in un intervallo compatto [c, d] con p([c, d]) = [a, b]. E tuttavia incerti casi fa comodo, per procedere un po’ piu speditamente, riferirsi al sostegno di unafamiglia di curve come se fosse la stessa cosa di una o di alcune particolari curve dellafamiglia.

Esempio 8.2 La circonferenza di raggio r e centro (x0, y0) ∈ R2, ovvero z0 = x0+iy0 ∈ C,pensata come curva (semplice e chiusa) in R2 oppure in C, e una qualunque funzione

[ϑ0, ϑ0 + 2π] 3 t 7→ ϕ(t) = (x0 + r cos t, y0 + r sin t)

oppure, rispettivamente,

[ϑ0, ϑ0 + 2π] 3 t 7→ ϕ(t) = z0 + r(cos t+ i sin t) = z0 + reit

con ϑ0 arbitrariamente fissato in R. Di solito sceglieremo ϑ0 = 0 oppure ϑ0 = −π, e alposto di ϕ scriveremo Cr(x0, y0) o Cr(z0), nonche Cr al posto di Cr(0).

ut

Esempio 8.3 Dati z1 e z2 in C il segmento (orientato) che va da z1 a z2, inteso comecurva ed indicato con [z1, z2], e una qualunque funzione

[a, b] 3 t 7→ b− t

b− az1 +

t− a

b− az2

con a e b presi in R, a < b.ut

Sia ϕ : [a, b] → C di classe C1. Se la sua derivata in un punto t0 ∈]a, b[ non e nulladiciamo che ϕ e dotata di vettore tangente ϕ′(t0) in z0 = ϕ(t0). Sia f una funzioneolomorfa con f ′ continua in un aperto A ⊃ {ϕ}, f ′(z0) 6= 0. La funzione composta f ◦ ϕ euna curva di classe C1, dotata in w0 = f(ϕ(t0)) di vettore tangente

(f ◦ ϕ)′(t0) = f ′(z0)ϕ′(t0).

Ma la moltiplicazione per f ′(z0) = %eiϑ e il prodotto di una dilatazione di fattore % e diuna rotazione di ampiezza ϑ, per cui cio che abbiamo appena visto si puo esprimere cosı:in ogni punto z0 di A dove f ′ non si annulla, f e un’applicazione conforme, nel senso

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che trasforma ogni vettore tangente in z0 in un vettore ottenuto dal precedente mediantela dilatazione |f ′(z0)| e la rotazione arg f ′(z0).

L’agganciamento di una curva ϕ(t), a ≤ t ≤ b, ad una seconda curva ψ(u), c ≤ u ≤d, ha senso (solo) quando ϕ(b) = ψ(c). Esso da luogo alla curva χ(τ), a ≤ τ ≤ b + d − c,definita dalle identita: χ(τ) = ϕ(τ) per a ≤ τ ≤ b, χ(τ) = ψ(τ−b+c) per b < τ ≤ b+d−c.Dunque la χ ristretta a [a, b] e la stessa cosa della ϕ, mentre ristretta a [b, b+ d− c] non eesattamente la ψ bensı la ψ ◦ p con p(τ) = τ − b+ c. L’agganciamento consecutivo di treo piu curve si effettua agganciando, per cominciare, la prima e la seconda (purche cio siapossibile), poi agganciando la curva cosı ottenuta e la terza delle curve date (purche ciosia possibile), eccetera.

Un cammino e una curva ottenuta agganciando consecutivamente un numero finitodi curve di classe C1; l’orientazione di una qualunque di tali curve determina quella ditutto il cammino se questo e una curva semplice. Un cammino e dunque una funzioneϕ di classe C1 a tratti (oltre che di classe C0). Naturalmente rientra nella definizione dicammino il caso in cui ϕ e di classe C1 su tutto [a, b].

Un circuito e un cammino chiuso. Nel seguito avremo bisogno della seguente genera-lizzazione della nozione di circuito. Un ciclo e una famiglia finita ψ di circuiti ϕ1, . . . , ϕn,che indichiamo col simbolo di unione ϕ1

⋃. . .⋃ϕn; il sostegno {ψ} di ψ e, per definizione,

la vera e propria unione {ϕ1}⋃. . .⋃{ϕn}.

Sia f(z) = f(x, y) = u(x, y) + iv(x, y) una funzione complessa di z = x+ iy, continuasul sostegno di un cammino [a, b] 3 t 7→ ϕ(t). In [a, b] la funzione limitata

f(ϕ(t))ϕ′(t) = [u(x(t), y(t)) + iv(x(t), y(t))] [x′(t) + iy′(t)]

= u(x(t), y(t))x′(t)− v(x(t), y(t))y′(t) + i [v(x(t), y(t))x′(t) + u(x(t), y(t))y′(t)]

(continua ad eccezione di un numero finito di punti) e integrabile secondo Riemann. Possi-amo percio definire l’integrale curvilineo su ϕ della funzione f , ovvero della forma f dz,ponendo

(8.1)∫ϕ

f(z) dz =∫ b

a

f(ϕ(t))ϕ′(t) dt,

ovvero

(8.2)∫ϕ

f(z) dz =∫ϕ

u(x, y) dx− v(x, y) dy + i

∫ϕ

v(x, y) dx+ u(x, y) dy.

Va da se che nell’integrale curvilineo complesso la variabile d’integrazione z, essendomuta, puo essere sostituita da un qualunque altro ragionevole simbolo come ζ = ξ + iη.

Se una funzione complessa f e continua sul sostegno di un ciclo ψ = ϕ1

⋃. . .⋃ϕn il

suo integrale su ψ e definito dalla formula∫ψ

f(z) dz =n∑k=1

∫ϕk

f(z) dz.

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Esempio 8.4 Prendiamo come ϕ la circonferenza di equazione z0 + reit, 0 ≤ t ≤ 2π, conz0 = x0 + iy0 ∈ C e r > 0. Applicando la (8.1) con ζ 7→ 1/(ζ − z0) al posto di z 7→ f(z)otteniamo

(8.3)∫

Cr(z0)

1ζ − z0

dζ =∫ 2π

0

1reit

ireit dt = 2πi.

ut

Osservazione 8.1 Se invece della (8.1) utilizziamo la (8.2) con

(ξ, η) 7→ ξ − x0

(ξ − x0)2 + (η − y0)2e (ξ, η) 7→ − η − y0

(ξ − x0)2 + (η − y0)2

al posto rispettivamente di (x, y) 7→ u(x, y) e (x, y) 7→ v(x, y) abbiamo∫Cr(z0)

1ζ − x0

dζ =∫

Cr(x0,y0)

ξ − x0

(ξ − x0)2 + (η − y0)2dξ +

η − y0(ξ − x0)2 + (η − y0)2

+i∫

Cr(x0,y0)

− η − y0(ξ − x0)2 + (η − y0)2

dξ +ξ − x0

(ξ − x0)2 + (η − y0)2dη.

Passando per la parametrizzazione ξ = x0 + r cos t, η = y0 + r sin t, 0 ≤ t ≤ 2π, si vede chedei due integrali curvilinei reali il primo e nullo mentre il secondo vale 2π, e si ritrova cosıil valore 2πi per l’integrale complesso.

ut

Dati un cammino ϕ : [a, b] → C ed una funzione reale strettamente monotona p :[c, d] → R di classe C1 a tratti con p([c, d]) = [a, b], definiamo un secondo camminoψ = ϕ ◦ p : [c, d] → C. Abbiamo∫ b

a

f(ϕ(t))ϕ′(t) dt =∫ p−1(b)

p−1(a)

f(ϕ(p(u)))ϕ′(p(u))p′(u) du =∫ p−1(b)

p−1(a)

f(ψ(u))ψ′(u) du

e quindi ∫ϕ

f(z) dz = ±∫ψ

f(z) dz

dove va preso il segno + o il segno − a seconda che p sia crescente o decrescente, ovveroche l’orientazione di ψ sia la stessa di ϕ oppure l’opposta.

Generalizziamo la (8.3):

28

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Esempio 8.5 Per N fissato in N sia ϕ±N : [0, 2Nπ] 3 t 7→ z0 + re±it. Si tratta di unacirconferenza percorsa N di volte in senso orario o antiorario a seconda che si prenda ilsegno − o il segno +, ed e facile vedere (integrazione rettilinea per sostituzione) che se fe continua su {ϕN} vale l’identita∫

ϕ±N

f(ζ) dζ = ±N∫

Cr(z0)

f(ζ) dζ;

in particolare,

(8.4)∫ϕ±N

1ζ − z0

dζ = ±2Nπi.

La (8.4) vale banalmente anche con N = 0, ovvero quando la circonferenza si riduce a unpunto.

ut

Esempio 8.6 Fissiamo z0, r come nell’Esempio 8.4 e inoltre m intero 6= 1. Abbiamo

(8.5)∫

Cr(z0)

1(ζ − z0)m

dζ =∫ 2π

0

1rmeimt

ireit dt = ir−m+1

∫ 2π

0

ei(−m+1)t dt = 0.

L’ultima identita segue dal Teorema Fondamentale del Calcolo applicato alla funzioneei(−m+1)t: quest’ultima e infatti la derivata della funzione −iei(−m+1)t/(−m + 1), il cuiincremento su un intervallo di lunghezza 2π e nullo.

ut

Esempio 8.7 Fissiamo z0, r come nell’Esempio 8.4 e inoltre m intero, f continua sulsostegno della circonferenza. Allora risulta(8.6)∫Cr(z0)

f(ζ)(ζ − z0)m

dζ =∫ 2π

0

f(z0 + reit)rmeimt

ireit dt = ir−m+1

∫ 2π

0

f(z0 + reit)ei(−m+1)t dt.

ut

Il secondo membro della (8.1) e maggiorato in modulo dall’integrale del modulo∫ b

a

|f(ϕ(t))||ϕ′(t)| dt ≤ max[a,b]

|f ◦ ϕ|∫ b

a

|ϕ′(t)| dt,

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per cui

(8.7)

∣∣∣∣∣∣∫ϕ

f(ζ) dζ

∣∣∣∣∣∣ ≤ (lunghezza di ϕ) maxϕ([a,b])

|f |.

Dalla (8.7) e facile dedurre che, se e data una successione di funzioni complesse fn(ζ) con-tinue e dotate di serie

∑∞n=1 fn(ζ) totalmente convergente sul sostegno di ϕ, vale l’identita

(8.8)∫ϕ

∞∑n=1

fn(ζ) dζ =∞∑n=1

∫ϕ

fn(ζ) dζ.

(Nel primo membro la funzione integranda e continua.)

Teorema 8.1 Sia ϕ : [a, b] → C un cammino. Se f e una funzione complessa, continuasul sostegno {ϕ} di ϕ, la funzione

F (z) =1

2πi

∫ϕ

f(ζ)ζ − z

e analitica nel suo insieme di definizione C \ {ϕ}. Piu precisamente, dato comunque z0 /∈{ϕ} e posto r uguale al minimo (necessariamente positivo) della funzione reale continuaζ 7→ |ζ − z0| su {ϕ}, risulta

(8.9) F (z) =∞∑n=0

cn(z − z0)n per |z − z0| < r

con coefficienti

(8.10) cn =1

2πi

∫ϕ

f(ζ)(ζ − z0)n+1

dζ =F (n)(z0)

n!.

DIM. Sia ζ ∈ {ϕ}. Per |z − z0| < r introduciamo la somma della serie geometrica conver-gente

∞∑n=0

(z − z0ζ − z0

)n=

11− z−z0

ζ−z0

nell’identita1

ζ − z=

1ζ − z0

11− z−z0

ζ−z0,

che poi moltiplichiamo per f(ζ). Otteniamo

f(ζ)ζ − z

=∞∑n=0

f(ζ)(ζ − z0)n+1

(z − z0)n.

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Su {ϕ} la serie di funzioni di ζ scritta qui sopra converge totalmente (perche il suo terminen–esimo e maggiorato in valore assoluto dal prodotto di (|z − z0|/r)n e del massimo di|f(ζ)|/r), per cui la (8.9) con i cn dati dal secondo membro della (8.10) segue subito daun’integrazione termine a termine (cfr la (8.8)). Nel disco di centro z0 e raggio r la seriedi potenze (8.9) e la serie di Taylor della sua somma F (z), per cui vale la seconda identitadella (8.10).

ut

Quando in particolare (il supporto di) ϕ e una circonferenza C%(z1), in ogni puntoz esterno al disco chiuso D%(z1) sussiste – oltre alla (8.10) non appena z cade all’internodi un disco di centro z0 disgiunto da D%(z1) – anche un’altra espressione di F (z) comesomma di una serie di funzioni:

Teorema 8.2 Se f e una funzione complessa, continua sulla circonferenza C%(z1) dicentro z1 e raggio %, la funzione

F (z) =1

2πi

∫C%(z1)

f(ζ)ζ − z

verifica

(8.11) F (z) = −∞∑n=1

c−n(z − z1)−n per |z − z1| > %

con

(8.12) c−n =1

2πi

∫C%(z1)

f(ζ)(ζ − z1)−n+1

dζ =%n

∫ 2π

0

f(z1 + %eit) eint dt.

DIM. Sia |z − z1| > %. Portando la somma della serie geometrica convergente

∞∑n=0

(ζ − z1z − z1

)n=

11− ζ−z1

z−z1

nell’identita1

ζ − z=

−1z − z1

11− ζ−z1

z−z1

otteniamo

− f(ζ)ζ − z

=∞∑n=0

f(ζ)(ζ − z1)n1

(z − z1)n+1=

∞∑n=1

f(ζ)(ζ − z1)n−1(z − z1)−n.

31

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La serie di funzioni di ζ scritta qui sopra converge totalmente su C%(z1), per cui la (8.11)con i cn dati dalla (8.12) segue subito da un’integrazione termine a termine.

ut

Osservazione 8.2 La convergenza della serie della formula (8.9) e, come sappiamo, totaleper |z − z0| ≤ s < r. Passiamo alla serie della formula (8.11) e poniamo ζ = (z − z1)−1.Otteniamo una serie di potenze di ζ che converge per |ζ| < 1/%, dunque totalmente per|ζ| ≤ 1/σ < 1/%, e tornando alla (8.11) troviamo convergenza totale per |z − z1| ≥ σ > %.

ut

9 Integrali sulle frontiere dei rettangoli

La formula di Gauss–Green costituisce l’estensione a due variabili del Teorema Fonda-mentale del Calcolo, il quale d’altronde viene utilizzato nella dimostrazione della formulastessa. Gli ingredienti sono due funzioni reali L e M continue, nonche dotate di derivate Lye Mx anch’esse continue, in un aperto A di R2, ed opportune classi di compatti contenutiin A. Qui noi la utilizziamo solo nel caso di un rettangolo R = [a, b]× [c, d] ⊂ A, indicandoil circuito ottenuto mediante l’agganciamento dei quattro segmenti che costituiscono lafrontiera di R, percorsa in senso antiorario, con lo stesso simbolo ∂R del suo sostegno.Applichiamo il Teorema Fondamentale del Calcolo:∫ d

c

Ly(x, y) dy = L(x, d)− L(x, c) per x ∈ [c, d]

e quindi∫ ∫R

Ly(x, y) dxdy =∫ b

a

dx

∫ d

c

Ly(x, y) dy =∫ b

a

L(x, d) dx−∫ b

a

L(x, c) dx = −∫∂R

Ldx,

mentre ∫ b

a

Mx(x, y) dx = M(b, y)−M(a, y) per y ∈ [c, d]

e quindi∫ ∫R

Mx(x, y) dxdy =∫ d

c

dy

∫ b

a

Mx(x, y) dx =∫ d

c

M(b, y) dy−∫ d

c

M(a, y) dy =∫∂R

M dy.

32

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Da qui, la formula di Gauss–Green su R:∫ ∫R

(Mx − Ly) dxdy =∫∂R

Ldx+Mdy.

Passiamo a funzioni complesse definite in A.

Teorema 9.1 Se R = [a, b] × [c, d] ⊂ A ogni funzione f : A → C olomorfa con derivatacontinua ha integrale nullo su ∂R.

DIM. L’integrale curvilineo di f e uguale a∫∂R

u dx− v dy + i

∫∂R

v dx+ u dy,

dunque a

−∫ ∫R

(vx + uy) dxdy + i

∫ ∫R

(ux − vy) dxdy

grazie alla formula di Gauss–Green, (che possiamo applicare perche le derivate parzialiprime di u e v sono, per l’ipotesi di continuita di f ′, continue in A). Dalle equazioni diCauchy–Riemann

ux = vy, vx = −uysegue che i due integrali doppi sono nulli.

ut

Nella precedente dimostrazione abbiamo fatto uso dell’ipotesi di continuita di f ′ perpoter applicare la formula di Gauss–Green. Ebbene, la tesi del Teorema 9.1 resta veraanche senza tale ipotesi. Vale infatti il

Teorema (di Goursat) 9.2 Se R = [a, b]× [c, d] ⊂ A ogni funzione A→ C olomorfa haintegrale nullo su ∂R.

DIM. Scriviamo R1 = R. Collegando tra di loro i punti centrali dei quattro lati dividiamoR1 in quattro rettangoli R1k alle cui frontiere ∂R1k diamo l’orientazione indotta da ∂R1.Poniamo

I1 =∫∂R1

f(z) dz, I1k =∫∂R1k

f(z) dz.

Si vede subito cheI1 = I11 + I12 + I13 + I14,

per cui|I1| ≤ |I11|+ |I12|+ |I13|+ |I14| .

33

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Per un opportuno valore k = k1 compreso tra 1 e 4 deve valere la disuguaglianza |I1| ≤4 |I1k1 |. Dividiamo R2 = R1k1 in quattro rettangoli R2k come abbiamo fatto in precedenzaper R1: se

I2 =∫∂R2

f(z) dz, I2k =∫∂T2k

f(z) dz

arriviamo alla disuguaglianza

|I2| ≤ |I21|+ |I22|+ |I23|+ |I24| ,

dunque alla disuguaglianza |I2| ≤ 4 |I2k2 | per un opportuno valore k2 compreso tra 1 e 4.Cosı procedendo arriviamo a costruire una successione decrescente di rettangoli Rn con laproprieta

lunghezza di ∂R1 = 2× lunghezza di ∂R2 = 22 × lunghezza di ∂R3 = · · ·

nonche|I1| ≤ 4 |I2| ≤ 42 |I3| ≤ · · ·

per In =∫∂Rn

f(z) dz.Sia z0 il punto comune a tutti gli Rn. Applichiamo la formulazione (2.1) della deriva-

bilita di f con χ(z) = f ′(z0) + σ(z), dove σ e continua in z0, σ(z0) = 0:

f(z) = f(z0) + f ′(z0)(z − z0) + σ(z)(z − z0).

Siccome z 7→ f(z0) + f ′(z0)(z − z0) e una funzione analitica, il suo integrale su ogni ∂Rne nullo, per cui

In =∫∂Rn

σ(z)(z − z0) dz.

Maggioriamo il modulo del secondo membro:∣∣∣∣∣∣∫∂Rn

σ(z)(z − z0) dz

∣∣∣∣∣∣ ≤(

max∂Rn

|σ(z)|)(

max∂Rn

|z − z0|)

(lunghezza di ∂Rn)

≤(

max∂Rn

|σ(z)|)

(lunghezza di ∂Rn)2 =(

max∂Rn

|σ(z)|)

(lunghezza di ∂R1)2

4n.

Fissiamo ε > 0. Per n sufficientemente grande abbiamo

max∂Rn

|σ(z)| < ε,

quindi|I1| ≤ 4n|In| ≤ 4n−1 × ε× 4−n × (lunghezza di ∂R1)2,

e questo mostra che I1 = 0.ut

34

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10 Esistenza di primitive locali

Sia f una funzione complessa definita in un aperto A. Se esiste una funzione olomorfaF : A → C tale che F ′ = f diciamo che F e una primitiva di f in A. Ogni funzioneF + C con C costante complessa e ancora una primitiva di f in A, e quando in piu A econnesso tale affermazione, grazie alla Proposizione 2.1, si inverte: ogni primitiva di f inA differisce da F per una costante complessa, per cui si puo anche scrivere∫

f(z) dz = F (z) + C per z ∈ A

e chiamare il primo membro integrale indefinito di f . Si noti che per adesso non disponia-mo ancora di un risultato generale (quale sara il Teorema 13.3) da cui segua, in opportuneipotesi su A e su f , l’esistenza automatica di una primitiva di f in A. Come vedremo infasi successive, non bastano ne la connessione di A ne la continuita di f , a differenza di cioche si verifica, grazie al Teorema Fondamentale del Calcolo, per le funzioni di una variabilereale. Cosı, se vogliamo gia da adesso utilizzare formule di integrazione indefinita comequella per parti ∫

f ′(z)g(z) dz = f(z)g(z)−∫f(z)g′(z) dz

e quella per sostituzione [∫f(z) dz

]z=g(ζ)

=∫f(g(ζ))g′(ζ) dζ

dobbiamo richiedere non solo l’esistenza delle derivate che in esse compaiono, ma anchequella di opportune primitive.

Esercizio 10.1 Dare condizioni abbastanza generali sotto cui al momento siano giustificatele formule di integrazione indefinita per parti e per sostituzione.

ut

Richiedere che esista una primitiva F = U+iV di f = u+iv in A equivale a richiedereche esistano due funzioni reali U(x, y) e V (x, y), x+ iy ∈ A, tali che

F ′ = Ux + iVx =1i(Uy + iVy) = u+ iv

(cfr. le (2.4)), ovvero

Ux = u, Uy = −v e Vx = v, Vy = u.

Cio significa che in A le forme differenziali lineari reali u dx− v dy e v dx+ u dy, ovvero laparte reale e quella immaginaria di f dz, sono dotate di primitive, cioe sono esatte, e perquesto motivo possiamo anche dire che f dz e esatta in A.

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La situazione che si incontra in generale e quella di una f dotata in A di primitivelocali: ogni punto z0 ∈ A ha un intorno B = B(z0) ⊂ A in cui esiste una primitiva di fsenza pero che esista necessariamente una primitiva di f in tutto A. Cio significa che inA le forme differenziali lineari reali u dx− v dy e v dx+ u dy sono localmente esatte, e perquesto motivo possiamo anche dire che f dz e localmente esatta in A.

Se il raggio di convergenza R di una serie di potenze∞∑n=0

an(z − z0)n

e positivo, la somma della serie e dotata nel disco di convergenza DR(z0) della primitiva∞∑n=0

an(z − z0)n+1

n+ 1.

Da qui ricaviamo l’esistenza locale di primitive di una funzione f analitica in A: ogni puntoz0 ∈ A ha un intorno DR(z0) in cui f e somma di una serie di potenze e di conseguenzaammette una primitiva. Dunque vale il

Teorema 10.1 Sia f una funzione analitica in un aperto A. Allora f e dotata di primitivelocali (ovvero f dz e localmente esatta).

Piu in la vedremo che questo risultato si inverte.

Teorema 10.2 Sia f una funzione continua in un aperto A. Se f e dotata di primitiva(ovvero f dz e esatta), l’integrale di f su un qualunque cammino ϕ : [a, b] → C col sostegnocontenuto in A verifica

(10.1)∫ϕ

f(z) dz = F (ϕ(b))− F (ϕ(a)).

DIM. Quando ϕ e di classe C1 su tutto [a, b] la (10.1) segue subito dalla regola di derivazionedella funzioni composte: dF (ϕ(t))/dt = F ′(ϕ(t))ϕ′(t) = f(ϕ(t))ϕ′(t) al variare di t in [a, b],e quindi ∫

ϕ

f(z) dz =∫ b

a

f(ϕ(t))ϕ′(t) dt =∫ b

a

dF (ϕ(t))dt

dt = F (ϕ(b))− F (ϕ(a)).

In generale la funzione ϕ, pur sempre continua su tutto [a, b], e di classe C1 solo in intervalli[tk, tk+1], dove a = t0 < t1 < · · · < tm = b. Allora si applica quanto abbiamo appena vistocon [tk, tk+1] al posto di [a, b] e si somma su k, ottenendo∫

ϕ

f(z) dz =m−1∑k=0

F (ϕ(tk+1)− F (ϕ(tk)) = F (ϕ(b))− F (ϕ(a)).

ut

36

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Il secondo membro della (10.1) si annulla se ϕ(a) = ϕ(b), per cui dal Teorema 10.2segue subito il

Teorema 10.3 Affinche una funzione continua f : A→ C sia dotata di primitiva (ovverof dz sia esatta) e necessario che il suo integrale su ogni circuito col sostegno contenuto inA sia uguale a zero.

Esempio 10.1 Dati un intero m diverso da −1 e un punto z1 di C, sia A = C quandom ≤ 0, A = C\{z1} quando m > 0. In tutto A esiste una primitiva (z−z1)−m+1/(−m+1)della funzione (z − z1)−m, e di conseguenza

(10.2)∫ϕ

1(z − z1)m

dz = 0

se ϕ e un qualunque circuito col sostegno contenuto in A. La (8.5) non e che un casoparticolarissimo della (10.2) (con z0 = z1).

ut

Esempio 10.2 Siano z1 ∈ C e f(z) = (z− z1)−1. In un qualunque aperto A che contengaun disco bucato DR(z1)\{z1} la forma f dz non e esatta ma e localmente esatta. Non puoesistere, infatti, una primitiva in A della funzione f perche quest’ultima, come sappiamodalla (8.3) (con z0 = z1), ha integrale diverso da zero su Cr(z1), 0 < r < R, che e uncircuito col sostegno contenuto in A. Pero in un aperto B ottenuto da A escludendo unasemiretta chiusa s uscente da z1 esiste una primitiva di f(z), data da un qualunque ramodi Log (z − z1) che ha s come semiretta di diramazione, e quindi∫

ϕ

1z − z1

dz = 0

non appena ϕ e un circuito col sostegno contenuto in B.ut

Mostriamo che il Teorema 10.3 si inverte:

Teorema 10.4 Affinche una funzione continua f : A→ C sia dotata di primitiva (ovverof dz sia esatta) e sufficiente che il suo integrale su ogni circuito col sostegno contenuto inA sia uguale a zero.

DIM. Supponiamo dapprima che A sia connesso e fissiamo un suo punto z∗. Grazie allaconnessione, si puo andare da z∗ ad un qualunque altro punto z fissato in A lungo (almeno)un cammino ϕ col sostegno contenuto in A. Se ψ e un altro cammino col sostegno contenuto

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in a e primo estremo z∗, secondo estremo z, l’ipotesi del teorema garantisce l’annullarsidell’integrale di f sul circuito ottenuto χ agganciando ϕ e l’opposto di ψ. Dunque

0 =∫χ

f(ζ) dζ =∫ϕ

f(ζ) dζ −∫ψ

f(ζ) dζ

e questo mostra che la quantita

F (z) =∫ϕ

f(ζ) dζ

e ben definita al variare di z nel connesso A perche non dipende dal particolare camminoϕ utilizzato per andare da z∗ a z. Non solo: sempre grazie all’ipotesi del teorema, il valoredi F (z + h) – dove abbiamo preso h = h1 + ih2 con |h| < δ per un δ > 0 sufficientementepiccolo perche x+ h venga automaticamente a stare nell’aperto A – si ottiene integrandof sull’agganciamento di ϕ e σ[z, z + h], dove a sua volta σ[z, z + h] e l’agganciamento deisegmenti [z, z + h1] e [z + h1, z + h]. Ora,∣∣∣∣∣∣∣

1h

∫σ[z,z+h]

[f(ζ)− f(z)] dζ

∣∣∣∣∣∣∣ ≤|h1|+ |h2|

|h|max

|w−z|≤|h||f(w)− f(z)|

e il secondo membro tende a 0 per h→ 0 in virtu della continuita di f . D’altra parte

1h

∫σ[z,z+h]

f(z) dζ = f(z)

per cui

F (z + h)− F (z)h

− f(z) =1h

∫σ[z,z+h]

f(ζ) dζ − f(z) =1h

∫σ[z,z+h]

[f(ζ)− f(z)] dζ → 0.

Questo mostra che F e una primitiva di f in A quando A e connesso; quando non lo e, inogni sua componente connessa si ottiene una primitiva di f , e questo basta per ottenere ilteorema nella sua generalita.

ut

Se ci si restringe a particolari insiemi, come ad esempio un discoDR(z0) eventualmenteprivato dei punti che cadono su una semiretta chiusa s verticale o orizzontale con origine inun punto z1 del disco, la verifica sui circuiti puo essere ristretta alle frontiere dei rettangoliche cadono nell’aperto. Vale infatti il

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Teorema 10.5 Sia A o il disco DR(z0), oppure il disco tagliato verticalmente o orizzon-talmente DR(z0) \ s. Affinche una funzione continua f sia dotata di primitive in A esufficiente che il suo integrale sulla frontiera di ogni rettangolo contenuto in A sia ugualea zero. In tal caso il suo integrale su ogni circuito col sostegno contenuto in A e uguale azero.

DIM. Prendiamo A = DR(z0) \ s, supponendo s verticale per fissare le idee, e fissiamo unoz∗ = x∗+iy∗ ∈ A allineato con s. Possiamo procedere come nella dimostrazione precedente,solo prendendo al posto del generico cammino ϕ da z∗ a z = x+iy l’agganciamento σ[z∗, z]dei segmenti [z∗, x+ iy∗] e [x+ iy∗, z]: adesso e grazie all’ipotesi relativa agli integrali sullefrontiere dei rettangoli che F (z + h)− F (z) coincide con l’integrale di f su σ[z, z + h].

Il caso A = DR(z0) e solo piu semplice da trattare.L’ultimo enunciato e conseguenza del Teorema 10.2.

ut

Se f e olomorfa con derivata prima continua in un aperto sappiamo, grazie al Teorema9.1, che sono nulli tutti i suoi integrali sulle frontiere dei rettagoli contenuti nell’aperto.Dunque il Teorema 10.5 ammette il seguente

Corollario Sia A o il disco DR(z0), oppure il disco tagliato verticalmente o orizzontal-mente DR(z0) \ s. Una funzione f : A → C derivabile con derivata continua e dotata diprimitive in A, e di conseguenza il suo integrale su ogni circuito col sostegno contenuto inA e uguale a zero.

Al precedente caso del disco tagliato si riconduce quello del disco DR(z0) privato di unsuo punto z1. Come sappiamo dall’Esempio 10.2, puo accadere che una funzione derivabilecon derivata continua abbia integrale non nullo su qualche circuito col sostegno contenutoin DR(z0) \ {z1}. Cio invece non puo piu accadere se si restringe l’aperto togliendo daldisco, oltre a z1, tutti i punti che cadono su una smiretta verticale o orizzontale uscenteda z1: lo afferma il Corollario del Teorema 10.5. Diamone una rilevante applicazione.

Teorema 10.6 Sia f una funzione olomorfa con derivata continua in un disco DR(z0)privato di un suo punto z1. Se 0 < % < r < R e D%(z1) ⊂ Dr(z0), allora l’integrale di fsu Cr(z0) e uguale a quello su C%(z1).

DIM. Chiamiamo Kε (ε > 0) il dominio che si ottiene togliendo a Dr(z0) \ D%(z1) lasemistriscia x1− ε < x < x1 + ε, y ≥ y1, dove x1 + iy1 = z1. La frontiera di Kε e (sostegnodi) un circuito ψε tale che∫

ψε

f(ζ) dζ →∫

Cr(z0)

f(ζ) dζ −∫

C%(z1)

f(ζ) dζ

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per ε→ 0. Per concludere ci basta tener conto che per ogni ε il sostegno di ψε e contenutoin DR(z0) privato della semiretta s costituita dai punti x + iy con x = x1, y ≥ y1, e diconseguenza ∫

ψε

f(ζ) dζ = 0

grazie al Corollario del Teorema 10.5.ut

Associamo ad ogni punto z0 di un aperto A un disco DR(z0) ⊆ A. Facendo ancorariferimento al Teorema 9.1 deduciamo dal Teorema 10.5 il

Teorema 10.7 Sia f una funzione olomorfa con derivata prima continua in un aperto A.Allora f e dotata di primitive locali (ovvero f dz e localmente esatta).

Se invochiamo il Teorema di Goursat, che assicura, senza bisogno di ricorrerre allaformula di Gauss–Green, l’annullarsi degli integrali sulle frontiere dei rettagoli contenutiin un aperto sotto la sola ipotesi di olomorfia nell’aperto, possiamo concludere che vale il

Teorema 10.8 Sia f una funzione olomorfa in un aperto A. Allora f e dotata di primitivelocali (ovvero f dz e localmente esatta).

Osservazione 10.1 I Teoremi 10.2–10.7 di questa sezione si sarebbero potuti dedurreda analoghe formulazioni per gli integrali curvilinei delle forme differenziali lineari reali diclasse C1 e chiuse; nel piano privato di un punto il classico esempio di forma differenziale diclasse C1 chiusa, dunque localmente esatta, ma non esatta e fornito dalla parte immaginariadella forma differenziale complessa dz/(z − z0), la cui parte reale e invece dotata dellaprimitiva log |z − z0| (cfr. l’Osservazione 8.1).

ut

11 Analiticita delle funzioni olomorfe

In questa sezione ci serviamo in maniera determinante del Teorema 10.6 in combi-nazione col Teorema 8.1.

Teorema 11.1 Sia A un aperto di C e sia f : A → C una funzione olomorfa con f ′

continua. Allora, dato comunque un disco chiuso Dr(z0) ⊆ A, risulta

(11.1) f(z) =1

2πi

∫Cr(z0)

f(ζ)ζ − z

dζ per |z − z0| < r,

40

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mentre l’integrale curvilineo e nullo per |z − z0| > r.

DIM. Fissiamo z = z1 in Dr(z0), e consideriamo un qualunque % > 0 cosı piccolo cheD%(z1) ⊂ Dr(z0). Applicando il Teorema 10.6 alla funzione ζ 7→ f(ζ)/(ζ − z1) otteniamo∫

C%(z1)

f(ζ)ζ − z1

dζ =∫

Cr(z0)

f(ζ)ζ − z1

dζ.

Per concludere basta osservare che l’integrale a sinistra vale∫ 2π

0

f(z1 + %eit)%eit

i%eit dt = i

∫ 2π

0

f(z1 + %eit) dt

e quindi tende a 2πif(z1) per %→ 0 grazie alla continuita di f .Che l’integrale curvilineo sia nullo quando z ∈ A con |z− z0| > r segue dal Corollario

del Teorema 10.6.ut

Esempio 11.1 Prendiamo f(ζ) identicamente uguale a 1 nel Teorema 11.1:∫Cr(z0)

1ζ − z

dζ = 2πi per |z − z0| < r.

Quando z = z0 questa identita non e che la (8.3).ut

Osservazione 11.1 PerN fissato in N sia ϕ±N : [0, 2Nπ] 3 t 7→ z0+re±it e sia |z−z0| 6= r.Come sappiamo dall’Esempio 8.5, l’integrale della funzione continua ζ 7→ 1/(ζ−z) su ϕ±Ne uguale a quello su Cr(z0) moltiplicato per ±N . Quindi∫

ϕ±N

1ζ − z

dζ = ±2Nπi per |z − z0| < r,

anche per N = 0 (e quando in particolare z = z0 ritroviamo la (8.4)), mentre∫ϕ±N

1ζ − z

dζ = 0 per |z − z0| > r.

ut

41

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Esempio 11.2 Sia z0 = 0. Dalla (11.1) con f(ζ) = eζ e z = 0 segue che l’integrale∫Cr

ζdζ

e uguale a 2πi per ogni r > 0.ut

Grazie al Teorema 11.1 possiamo applicare ad F = f il Teorema 8.1 ed ottenere il

Teorema 11.2 Ogni funzione f olomorfa con f ′ continua in un aperto A di C e analiticain A. Piu in dettaglio: f e sviluppabile in serie di potenze di punto iniziale z0 in ogni discoaperto Dr(z0) tale che Dr(z0) ⊂ A, con coefficienti

(11.2) cn =f (n)(z0)n!

=1

2πi

∫Cr(z0)

f(ζ)(ζ − z0)n+1

dζ =1

2πrn

2π∫0

f(z0 + reit)e−int dt.

Inoltre vale l’identita

(11.3) f (n)(z) =n!2πi

∫Cr(z0)

f(ζ)(ζ − z)n+1

dζ per |z − z0| < r, n ≥ 0,

che contiene come casi particolari sia, per z = z0, la seconda delle identita (11.2) e sia,per n = 0, la (11.1).

DIM. Grazie alla (11.1) possiamo applicare il Teorema 8.1 con ϕ : [0, 2π] 3 t 7→ z0 + reit

e F = f , per cui le (8.10) diventano le (11.2). Fissiamo adesso % > 0 in modo chela circonferenza di centro z ∈ Dr(z0) e raggio % giaccia in Dr(z0). Dalla seconda delleidentita (11.2) con z0 sostituito da z e Cr(z0) da C%(z), cioe

f (n)(z) =n!2πi

∫C%(z)

f(ζ)(ζ − z)n+1

arriviamo alla (11.3) applicando alla funzione ζ 7→ f(ζ)/(ζ − z)n+1 il Teorema 10.6 conz1 = z: ∫

C%(z)

f(ζ)(ζ − z)n+1

dζ =∫

Cr(z0)

f(ζ)(ζ − z)n+1

dζ.

ut

42

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Esercizio 11.1 Sia f(x) = x/(ex − 1) per R 3 x 6= 0, f(0) = 1. Far vedere che f esviluppabile in serie di Maclaurin con raggio di convergenza uguale a 2π.

ut

Esercizio 11.2 Sia f olomorfa con f ′ continua in un aperto A. Far vedere che la sua seriedi Taylor di punto iniziale z0 ∈ A puo avere raggio di convergenza strettamente piu grandedella distanza di z0 dalla frontiera di A. [Suggerimento: f(z) = log z, z0 = −2 + i.]

ut

Dal Teorema 11.2 segue come corollario, prendendo A uguale al disco di convergenzadi una serie di potenze, il risultato preannunciato nell’Osservazione 6.2 (che, come abbiamosottolineato in quell’occasione, si sarebbe potuto ottenere anche direttamente):

Corollario Una serie di potenze complessa e analitica all’interno del proprio disco diconvergenza.

Grazie al Teorema 11.2 (ed al Teorema 6.2), i risultati della Sezione 2 consentono ditrasferire in un attimo l’analiticita a prodotti, quozienti, prodotti di composizione e inversedi funzioni analitiche.

Continuiamo ad applicare il Teorema 11.2. Sia f continua e dotata di primitiva Fin un aperto A di C. In A la F e una funzione olomorfa con derivata continua F ′ = f ,dunque e analitica, e cosı e automaticamente analitica anche la sua derivata prima f . Anzi,perche questo accada non e indispensabile richiedere che f sia dotata di primitiva in tuttoA ma solo, per ogni z0 ∈ A, in un opportuno disco Dr(z0) ⊆ A. Abbiamo cosı invertito ilTeorema 10.1:

Teorema 11.3 Sia f continua in un aperto A. Se f e dotata di primitive locali (ovverose f dz e localmente esatta), allora f e analitica.

Qui si incontra una enorme differenza rispetto alle funzioni reali di una variabile realeed alle forme differenziali lineari reali di due variabili reali. Basta che una funzione realef(x), x ∈ I con I intervallo aperto di R, sia continua perche esista una sua primitiva in I.Nel caso di una forma differenziale reale L(x, y) dx+M(x, y) dy, (x, y) ∈ A con A apertodi R2, e vero che i metodi piu pratici per dimostrare l’esistenza di primitive utilizzanol’ipotesi di differenziabilita – nonche di chiusura – dei coefficienti, ma cio non toglie che laforma puo essere dotata di primitiva in un aperto anche se in alcuni o addirittura in tutti ipunti dell’aperto i suoi coefficienti non sono derivabili: si pensi a coefficienti L(x, y) = f(x)e M(x, y) = 0, con A = I ×R.

Dal Teorema 11.3 facendo uso del Teorema 10.8 e quindi del Teorema di Goursat, siottiene il

Teorema 11.4 In un aperto A ogni funzione olomorfa e analitica.

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Osservazione 11.2 I Teoremi 6.2, 10.7 e 11.4 si riassumono in due fondamentali carat-terizzazioni delle funzioni f olomorfe in un aperto A: f e olomorfa (ovvero f dz e chiusa)in A ⇐⇒ f e analitica in A ⇐⇒ f e dotata di primitive locali (ovvero f dz e localmenteesatta) in A.

ut

Dal Teorema 11.4 segue che nel Teorema 11.2 l’ipotesi di continuita di f ′ e sovrabbon-dante. Ma per tutti gli sviluppi futuri ci si puo accontentare del Teorema 11.2 cosı com’ee sostituire sistematicamente la richiesta: “f e olomorfa ed f ′ e continua” con la richiesta:“f e analitica”.

Osservazione 11.3 Associando ad ogni punto z0 di un aperto A un disco DR(z0) ⊆A e combinando il Teorema 10.5 col Teorema 11.3 si ottiene il Teorema di Morera:Una funzione continua in un aperto A di C che ha integrale nullo sulla frontiera di ognirettangolo contenuto in A e analitica.

ut

12 Ulteriori conseguenze delle identita integrali

Una funzione f complessa o in particolare reale, continua in un aperto A di C, soddisfala proprieta integrale della media se, dati comunque z0 = x0 + iy0 ∈ A e Dr(z0) ⊂ A,verifica l’identita

(12.1) f(z0) =12π

∫ 2π

0

f(z0 + reit) dt.

Da essa segue nel caso reale il seguente principio del massimo (o del minimo che dirsi voglia):

Teorema 12.1 Sia f una funzione reale, continua e dotata della proprieta integrale dellamedia in un aperto A di C. Allora f non puo avere in A ne massimi ne minimi locali, senon banali. In altri termini, dati comunque z0 ∈ A e Dr(z0) ⊂ A, non puo accadere chef(z0) sia il massimo o il minimo di f(z) in Dr(z0), a meno che f(z) non sia costante inDr(z0).

DIM. Supponiamo che il massimo o il minimo di f(z) in Dr(z0) sia assunto per z = z0.Questo significa che la funzione

f(z0)− f(z0 + %eit)

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si mantiene di segno costante al variare di % in ]0, r] e di t in [0, 2π]. Integriamola su[0, 2π] a % fissato: dalla (12.1) con % al posto di r segue l’integrale e nullo, per cui lafunzione stessa dev’essere identicamente nulla. Abbiamo cosı visto che f(z0) − f(z) siannulla identicamente su ogni circonferenza di centro z0 e raggio % ≤ r, il che e come diresu Dr(z0).

ut

Passiamo al caso complesso. La proprieta integrale della media vale per f : A→ C se esolo se vale sia per la parte reale u = Re f che per quella immaginaria v = Im f . Richiedereche f soddisfi la (12.1) equivale infatti a richiedere che u e v soddisfino rispettivamente

(12.2) u(z) =12π

∫ 2π

0

u(z0 + reit) dt e v(z) =12π

∫ 2π

0

v(z0 + reit) dt.

Per f complessa si deduce dalla proprieta integrale della media il principio del massimomodulo:

Teorema 12.2 Sia f una funzione complessa, continua e dotata della proprieta integraledella media in un aperto A di C. Allora |f | non puo avere in A massimi locali, se nonbanali, ovvero: dati comunque z0 ∈ A e Dr(z0) ⊂ A, non puo accadere che |f(z0)| sia ilmassimo di |f(z)| in Dr(z0), a meno che f(z) non sia costante in Dr(z0).

DIM. Supponiamo che in Dr(z0) la |f(z)| assuma valore massimo M > 0 per z = z0.Supponiamo, anzi, che il valore di f in z0 sia proprio il numero reale M : questa ipotesiulteriore non pregiudica la generalita del risultato, perche quando non e verificata dalla f(z)di partenza lo e da αf(z), dove α = f(z0)/|f(z0)| ha modulo 1. Ma se M = f(z0) = u(z0),per cui, al variare di z in Dr(z0), valgono le disuguaglianze u(z0) ≥ |f(z)| ≥ u(z), possiamoapplicare il Teorema 12.1. Ne segue che in Dr(z0) la u assume il valore costante M , quindiche v e identicamente nulla e che f coincide con u, ovvero assume il valore costante M .

ut

Applichiamo il precedente teorema ad una f analitica, ovvero olomorfa con f ′ con-tinua. Allora, come sappiamo, vale la (11.1), e quando z = z0 quest’ultima e la (12.1).Dunque:

Teorema 12.3 Sia f una funzione analitica in un aperto A di C. Allora f soddisfa laproprieta integrale della media, e |f | non puo avere in A massimi locali se non banali.

Aggiungiamo l’ipotesi che A sia connesso. Supponiamo che il modulo |f(z)| di f(z)analitica assuma un massimo locale in un punto z0. Allora la funzione analitica f(z)−f(z0)non ha certo in z0 uno zero isolato, visto che, grazie al Teorema 12.3, e nulla in tutto undisco di centro z0, e quindi dev’essere identicamente nulla in virtu del Teorema 6.3. Questomostra che il Teorema 12.3 ammette il seguente

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Corollario Se A e un aperto connesso e f : A→ C e una funzione analitica, la funzione|f | non ammette massimo relativo in A a meno che f non sia una costante.

Passiamo alle (11.2). Da esse ricaviamo le seguenti maggiorazioni di Cauchy per icoefficienti dello sviluppo in serie intorno a z0 della funzione analitica f :

|cn| =1

2πrn

∣∣∣∣∫ 2π

0

f(z0 + reit)e−int dt∣∣∣∣ ≤ 2πM

2πrn=M

rn

per M ≥ |f | su Dr(z0).

Teorema (di Liouville) 12.4 Una funzione analitica su tutto C (cioe intera), se e limi-tata, e necessariamente costante.

DIM. Sia |f | ≤M su tutto C. Poiche f e analitica su tutto C le disuguaglianze di Cauchyvalgono per ogni r (ed ogni z0), per cui facendo tendere r all’∞ vediamo che l’unicocoefficiente non necessariamente nullo e c0.

ut

Dal Teorema di Liouville segue facilmente il

Corollario Ogni polinomio P (z) non costante a coefficienti complessi ammette almenouna radice.

DIM. Se P (z) non si annullasse mai la funzione f(z) = 1/P (z) sarebbe olomorfa, conderivata continua, in tutto il piano, e in piu limitata perche |P (z)| → ∞ per |z| → ∞. Mada qui seguirebbe f(z) = costante, e dunque P (z) = costante.

ut

Utilizziamo infine le (11.3).

Teorema (di Weierstrass) 12.5 Sia data una successione {fk} di funzioni analitiche inun aperto A di C. Se le fk convergono uniformemente in ogni sottoinsieme compatto A,allora anche la funzione limite f = limk→∞ fn e analitica in A, ed inoltre le sue derivateverificano f (n) = limn→∞ f

(n)k , n ∈ N, con convergenza uniforme in ogni sottoinsieme

compatto di A.

DIM. Dato comunque Dr(z0) ⊆ A, scriviamo innanzitutto la (11.1) con fk al posto dif . Servendoci dell’ipotesi di convergenza uniforme possiamo passare al limite sotto ilsegno di integrale, mostrando cosı che f verifica la (12.1). Come abbiamo gia visto nelladimostrazione del Teorema 11.2, la (11.1) con Dr(z0) ⊆ A arbitrario, poiche permette di

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applicare il Teorema 8.1, garantisce l’analiticita di f in A. Scriviamo le (11.3) con fk − fal posto di f :

f(n)k (z)− f (n)(z) =

n!2πi

∫Cr(z0)

fk(ζ)− f(ζ)(ζ − z)n+1

dζ per n ∈ N.

Da qui segue subito, ad n fissato, la convergenza puntuale f (n)k (z) → f (n)(z). Non solo:

per 0 < % < r si ha anche

|f (n)k (z)− f (n)(z)| ≤ n! max

Cr(z0)|fk(ζ)− f(ζ)| r

(r − %)n+1

al variare di z in D%(z0), e quindi in tale disco la convergenza fk → f e uniforme. Perconcludere la dimostrazione basta dunque ricoprire ogni sottoinsieme compatto di A conun numero finito di dischi in ciascuno dei quali la convergenza in questione e uniforme.

ut

13 La versione omologica del Teorema di Cauchy

Associamo ad un ciclo ϕ il suo indice di avvolgimento

Indϕ(z) =1

2πi

∫ϕ

ζ − z, z ∈ C \ {ϕ}

e quindi

Indϕ(z) =1

2πi

n∑k=1

∫ϕk

ζ − z, z ∈ C \ {ϕ}

se ϕ1, . . . , ϕn sono i cammini che costituiscono ϕ. Grazie al Teorema 10.3, Indϕ(z) e nullose esiste un aperto contenente {ϕ} in cui ζ 7→ 1/(ζ − z) e dotata di primitiva.

Esempio 13.1 Per N ∈ Z, N ≥ 0 sia ϕ±N : [0, 2Nπ] 3 t 7→ z0 + re±it. Il suo indice diavvolgimento vale 0 per |z − z0| > r e ±N per |z − z0| < r (cfr l’Osservazione 11.1).

ut

Esempio 13.2 Per D%(z1) ⊂ Dr(z0) sia ϕ un ciclo che ha per sostegno la frontiera diDr(z0) \ D%(z1), dunque ϕ = ψ1

⋃ψ2 dove ψ1, ψ2 sono circuiti che hanno come sostegni

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uno la circonferenza maggiore e l’altro quella minore. Per il calcolo di Indψ1(z) e Indψ2(z)e quindi di

Indϕ(z) = Indψ1(z) + Indψ2(z)

si fa ricorso all’esempio precedente.ut

Vediamo cosa possiamo dire in generale. Gia sappiamo dal Teorema 8.1 che in C\{ϕ}la funzione Indϕ(z) e analitica. Ebbene:

Lemma 13.1 La funzione z 7→ Indϕ(z) assume solo valori interi, e costante in ogni apertoconnesso A ⊆ C \ {ϕ}, e in particolare vale 0 se A e un aperto connesso illimitato.

DIM. Basta dimostrare il teorema per ϕ circuito [a, b] → C, diciamo, per fissare le idee,di classe C1 in [th−1, th] con a = t0 < t1 < · · · < tn = b. La regolarita di t 7→ ϕ(t) sitrasporta alla funzione

t 7→ Φ(t) =∫ t

a

ϕ′(τ)ϕ(τ)− z

dτ, z /∈ {ϕ},

che vale 0 in a e 2πi Indϕ(z) in b. In [a, b] \ {t1, . . . , tn−1} possiamo calcolare la derivata

d

dte−Φ(t)[ϕ(t)− z] = e−Φ(t)ϕ′(t)− Φ′(t)e−Φ(t)[ϕ(t)− z] = 0

e dedurre che e−Φ(t)[ϕ(t)− z] e costante in ogni [th−1, th], quindi in tutto [a, b]. Scriviamo

ϕ(t)− z = CeΦ(t)

e dunqueCeΦ(a) = ϕ(a)− z = ϕ(b)− z = CeΦ(b).

La costante C non puo essere nulla perche z /∈ {ϕ}. Quindi Φ(b) − Φ(a) dev’essere unmultiplo intero di 2πi, ovvero

2πi Indϕ(z) = Φ(b) = Φ(a) + 2kπi = 2kπi.

Abbiamo cosı dimostrato la prima affermazione.Al variare di z in un aperto connesso A ⊆ C \ {ϕ} i valori della funzione continua

Indϕ(z) costituiscono un connesso: poiche possono solo essere interi, essi devono coincideretra loro, cioe ridursi a una costante. Quando, in particolare, A e un aperto connessoillimitato, indichiamo con z un punto di A disgiunto da un disco aperto Dr contenente{ϕ}. In Dr esiste una primitiva di ζ 7→ 1/(ζ − z) e quindi Indϕ(z) = 0.

ut

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Si noti che, grazie al precedente lemma, il sottoinsieme di C\{ϕ} dove Indϕ(z) assumeun determinato valore e un aperto.

Esempio 13.3 Siano ϕ : [a, b] → C un circuito e z1 = x1 + iy1 /∈ {ϕ}. Se esiste unasemiretta s uscente da z1 che incontra {ϕ} in un solo punto ϕ(t∗) 6= ϕ(t) per ogni t ∈]a, b[diverso da t∗, e se la tangente a ϕ in ϕ(t∗) esiste ma non contiene s, allora i valori cheIndϕ(z1) puo assumere sono solo 1 o −1. Supponendo infatti, per fissare le idee, che s siala semiretta x = x1, y ≥ y1, possiamo procedere nello stesso spirito della dimostrazione delTeorema 10.6, solo sostituendo Cr(z0), a seconda dell’orientazione di ϕ, con quest’ultimoo col circuito opposto.

In particolare, sia K un connesso: se la sua frontiera e sostegno di un camminosemplice chiuso ϕ, si trova sempre un punto z1 con le caratteristiche dette qui sopra, percui l’indice di avvolgimento di ϕ vale identicamente o 1 o −1 nei punti interni a K.

ut

Sulla base del Lemma 13.1 – e dell’Esempio 13.3 – introduciamo un’utile terminologia:un circuito ϕ il cui indice di avvolgimento vale o 0 o 1 in tutti i punti che non cadono sulsuo sostegno e dotato di punti interni, definiti come quelli dove l’indice vale 1.

Sia f una funzione analitica in un aperto A. Allora per ogni fissato z ∈ A e analiticain A anche la funzione

g(ζ, z) =f(ζ)− f(z)

ζ − zse ζ ∈ A \ {z}, g(z, z) = f ′(z)

(cfr il Teorema 6.1). Sia A = C. Dal Corollario del Teorema 10.5 sappiamo che unafunzione intera e dotata di primitiva in tutto C, e di conseguenza ha integrale nullo suogni ciclo ϕ. In particolare, se e intera la ζ 7→ f(ζ) e quindi anche la ζ 7→ g(ζ, z),quest’ultima verifica

0 =∫ϕ

g(ζ, z) dζ =∫ϕ

f(ζ)ζ − z

dζ − f(z)∫ϕ

1ζ − z

dζ =∫ϕ

f(ζ)ζ − z

dζ − 2πif(z) Indϕ(z)

per z /∈ {ϕ}. Per generalizzare questo risultato ad un qualunque aperto A dimostriamoinnanzitutto la

Proposizione 13.1 Sia ϕ un circuito col sostegno contenuto in un aperto A di C. Datocomunque z∗ ∈ {ϕ}, esiste un circuito ψ tale che {ψ} ⊂ A, z∗ /∈ {ψ} e∫

ϕ

f(ζ) dζ =∫ψ

f(ζ) dζ

per ogni f analitica in A.

DIM. Poniamo z0 = ϕ(a) = ϕ(b). Cambiando eventualmente la parametrizzazione di ϕpossiamo sempre ricondurci a z∗ 6= z0 e quindi avere, per r > 0 sufficientemente piccolo, sia

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D2r(z∗) ⊂ A che z0 /∈ Dr(z∗). Data una soluzione t1 di ϕ(t) = z∗ le associamo α1, β1 cona ≤ α1 < t1 < β1 ≤ b tali che |ϕ(t)−z∗| < r per α1 < t < β1 e |ϕ(α1)−z∗| = |ϕ(β1)−z∗| =r. Sostituendo la restrizione di ϕ ad [α1, β1] con l’arco γ1 della circonferenza di centro z∗e raggio r che congiunge ϕ(α1) con ϕ(β1) nel verso crescente del parametro otteniamo uncammino ψ1 col sostegno contenuto in A. Dal Corollario del Teorema 10.5 segue che, se fe analitica in A e quindi in D2r(z∗), il suo integrale su γ1 e uguale a quello sulla restrizionedi ϕ ad [α1, β1], per cui quello su ψ1 e uguale a quello su ϕ.

Se il cammino ϕ e semplice, z∗ non cade sul sostegno di ψ1 e quindi quest’ultimo e uncammino ψ del tipo richiesto.

Supponiamo che il cammino ϕ non sia semplice (e teniamo conto che allora ϕ puopassare addirittura infinite volte per z∗, come mostra l’esempio ϕ(t) = (t3 sin(1/t), 0) pert 6= 0 e, diciamo, |t| piccolo, ϕ(0) = (0, 0) = z∗). Associamo ad r un δ > 0 tale che,se t, τ ∈ [a, b] con |t − τ | < δ, allora |ϕ(t) − ϕ(τ)| < r (uniforme continuita). Dunque,β1 − α1 = β1 − t1 + t1 − α1 ≥ 2δ. Sia t2 un’altra soluzione t2 ∈]a, b[, t2 /∈]α1, β1[, diϕ(t) = z∗. Adesso z∗ cade su {ψ1} oltre che su {ϕ}: pero, di nuovo, troviamo α2, β2 cona ≤ α2 < t2 < β2 ≤ b tali che |ϕ(t) − z∗| < r per α2 < t < β2 mentre |ϕ(α2) − z∗| =|ϕ(β2)−z∗| = r, e quindi anche β2−α2 = β2−t2+t2−α2 ≥ 2δ; inoltre, ]α2, β2[ e disgiuntoda ]α1, β1[. Sostituiamo la restrizione di ψ1 ad [α2, β2] con l’arco di circonferenza γ2 checongiunge ϕ(α2) con ϕ(β2) nel verso crescente del parametro. Quello che otteniamo eancora un cammino ψ2 col sostegno contenuto in A; se f e analitica in A il suo integralesu ψ2 e uguale a quello su ψ1, quindi anche a quello su ϕ.

Cosı procedendo si arriva a far cadere tutte le soluzioni di ϕ(t) = z∗ nell’unione diintervalli aperti ]αh, βh[ due a due disgiunti, con lunghezze βh − αh ≥ 2δ. Siccome lasomma di queste ultime non puo superare b− a, il numero m degli intervalli in questionedev’essere finito. Il sostegno del cammino ψm ottenuto all’ultimo passo e contenuto in Ae non contiene z∗; se f e analitica in A il suo integrale su ψm e uguale a quello su ψm−1,quindi anche a quello su ψm−2 eccetera, insomma a quello su ϕ. Un cammino ψ del tiporichiesto e dunque dato da ψm.

ut

Adesso fissiamo una funzione f analitica in un aperto A ed applichiamo la Proposizione13.1 alla funzione g(ζ, z) per ogni fissato z ∈ A : otteniamo il

Lemma 13.2 Se ϕ e un ciclo col sostegno contenuto in A, anche la funzione

A 3 z 7→ G(z) =∫ϕ

g(ζ, z) dζ

e analitica in A.

DIM. Basta limitarsi a ϕ circuito. Gia sappiamo (Teorema 8.1) che G e analitica inA \ {ϕ}. Fissiamo un qualunque z∗ ∈ {ϕ} e sostituiamo ϕ con un altro cammino ψ comenel precedente lemma, per cui

(13.1) G(z) =∫ψ

g(ζ, z) dζ.

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Sia r > 0 cosı piccolo che Dr(z∗) ⊂ A, Dr(z∗)⋂{ψ} = ∅. L’integrale nel secondo membro

della (13.1) e una funzione analitica in A \ {ψ}, dunque in Dr(z∗), e questo mostra che Ge analitica anche in un intorno di z∗ ∈ {ϕ}.

ut

Un ciclo ϕ col supporto contenuto in un aperto A e omologo a 0 in A se Indϕ(z) = 0per ogni z /∈ A.

Esempi 13.4 Sia K un sottoinsieme chiuso e limitato di C. Se il suo complementare econnesso e la sua frontiera e sostegno di un ciclo, quest’ultimo e omologo a 0 in ogni apertocontenente K. Sia invece K un disco chiuso Dr(z0) privato di un disco aperto D%(z1) conD%(z1) ⊂ Dr(z0). A seconda delle orientazioni date alla circonferenza maggiore e a quellaminore si ottengono o due cicli omologhi a 0 in ogni aperto A contenenteK (un’orientazioneoraria ed una antioraria), o due cicli non omologhi a 0 in nessun aperto A che non contengaD%(z1) (entrambe le orientazioni o orarie o antiorarie).

ut

Adesso possiamo generalizzare al caso di un qualunque aperto A la formula che abbia-mo ottenuto prima del Lemma 13.1 per A = C:

Teorema 13.1 Sia A un aperto di C contenente {ϕ}, dove ϕ e un ciclo omologo a 0 inA. Data comunque una funzione f analitica in A vale l’identita

(13.2) f(z) Indϕ(z) =1

2πi

∫ϕ

f(ζ)ζ − z

dζ per z ∈ A \ {ϕ}.

DIM. Supponiamo che A non coincida con C. L’insieme B dei punti z ∈ C \ {ϕ} in cui siannulla la funzione analitica Indϕ(z) e un aperto che contiene il complementare di A, e diconseguenza A

⋃B esaurisce C; la funzione

h(z) =∫ϕ

f(ζ)ζ − z

dζ per z ∈ B

verifica

h(z) = h(z)− 2πif(z) Indϕ(z) = h(z)−∫ϕ

f(z)ζ − z

dζ per z ∈ A⋂B 6= ∅,

e di conseguenza il terzo membro, cioe la funzione G(z) del Lemma 13.2, che e analitica inA, si prolunga analiticamente a tutto C. La funzione prolungata, siccome tende a 0 per|z| → ∞, e identicamente nulla grazie al Teorema di Liouville. Ma allora G(z) si annullaidenticamente in A, e quindi di nuovo vale la (13.2).

ut

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La (13.2) – che contiene come caso particolarissimo la (11.1) – e la versione omologicadella formula integrale di Cauchy.

Teorema 13.2 Affinche un ciclo ϕ sia omologo a 0 in un aperto A ⊃ {ϕ} e necessario esufficiente che ogni funzione analitica f : A→ C verifichi l’identita

(13.3)∫ϕ

f(ζ) dζ = 0.

DIM. La necessita segue subito dalla (13.2): fissato uno z ∈ A \ {ϕ} si ottiene∫ϕ

f(ζ) dζ =∫ϕ

f(ζ)(ζ − z)ζ − z

dζ = 2πif(z)(z − z) Indϕ(z) = 0.

Per dimostrare la sufficienza basta tener conto che quando z /∈ A la funzione f(ζ) =1/(ζ − z) e analitica in A, per cui la (13.3) implica Indϕ(z) = 0.

ut

La condizione necessaria del precedente risultato costituisce la versione omologica delTeorema di Cauchy.

Esempio 13.5 Siano A un aperto contenente Dr(z0) \D%(z1) (0 < % < r < ∞) e f unafunzione analitica in A. Dalla (13.3) segue che l’integrale di f su Cr(z0) e uguale a quellosu C%(z1), e questa e una generalizzazione del Teorema 10.6.

ut

Osservazione 13.1 Nel Teorema 13.3 rientra il caso di un ciclo ϕ che ha per sostegnola frontiera ∂K di un compatto K ⊂ A ed e costituito da circuiti semplici ϕ1, . . . , ϕm coisostegni disgiunti tra loro, nonche orientati uno per uno in modo tale che valga la formuladi Gauss–Green

(13.4)∫ ∫K

(Mx − Ly) dxdy =∫∂K

Ldx+M dy :

nella (13.4) abbiamo scritto, com’e d’uso, ∂K al posto di ϕ, ed abbiamo indicato con L,Mfunzioni reali continue in A al pari delle derivate parzialiLy,Mx. Il secondo membro della(13.4) e nullo se la forma differenziale reale Ldx+M dy e chiusa in A, il che si verifica perle parti reale e immaginaria della forma differenziale complessa f dz quando f e analiticain A.

ut

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Il Teorema 9.1, il Corollario del Teorema 10.5 e – direttamente – il Teorema 10.6rientrano come casi particolari nel Teorema 13.2.

Adesso siamo in grado di caratterizzare gli aperti in cui ogni funzione analitica edotata di primitive (globali), e non soltanto di primitive locali. Diciamo che un aperto Ae semplicemente connesso se ogni circuito col sostegno contenuto in A e omologo a 0in A.

Teorema 13.3 Un aperto A di C e semplicemente connesso se e solo se ogni funzioneanalitica f : A→ C e dotata di primitiva in A.

DIM. L’implicazione “se” si dimostra fissando un qualunque z /∈ A e un qualunque circuitoϕ col sostegno contenuto in A. La funzione A 3 ζ 7→ f(ζ) = (ζ − z)−1 e per ipotesi dotatadi primitiva in A e di conseguenza (Teorema 10.3) ha integrale nullo su ϕ. Ma questosignifica che Indϕ(z) = 0 e quindi, per l’arbitrarieta di z e ϕ, che A e semplicementeconnesso.

Per dimostrare l’implicazione “solo se” basta tener conto che ad ogni circuito colsostegno contenuto in A, dal momento che per ipotesi e omologo a 0 in A, si puo applicareil Teorema 13.2, e si conclude grazie al Teorema 10.4.

ut

Osservazione 13.2 Il precedente risultato puo essere formulato, ricorrendo al Teorema11.4 e quindi al Teorema di Goursat, nel modo seguente: A e semplicemente connesso se esolo se ogni forma f dz chiusa in A vi e anche esatta (e non solo localmente esatta). Cfr.l’Osservazione 11.1.

ut

Osservazione 13.3 In uno spazio topologico X due funzioni continue ϕ,ψ : [0, 1] → Xcon ϕ(0) = ϕ(1), ψ(0) = ψ(1) sono omotope in X se esiste una funzione continuaγ : [0, 1]2 → X tale che γ(0, t) = ϕ(t) e γ(1, t) = ψ(t) per ogni t ∈ [0, 1]. Si potrebbedimostrare che in un aperto A di C un cammino ϕ omotopo ad un punto (funzione costante)e anche omologo a 0. Pero non vale il viceversa: il seguente disegno mostra un circuito ϕcol sostegno contenuto in C \ {a, b} che, si capisce intuitivamente, non e omotopo ad unpunto nonostante verifichi Indϕ(a) = Indϕ(b) = 0.

Dunque la condizione sufficiente del Teorema 13.2 non vale se si sostituisce “omologo

53

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a 0” con “omotopo ad un punto”.Tuttavia si potrebbe dimostrare che ogni circuito col sostegno contenuto in A e omo-

topo ad un punto in A (se e) solo se ogni circuito col sostegno contenuto in A e omologoa 0 in A, ovvero A e semplicemente connesso.

ut

14 Serie di Laurent

Introduciamo le serie bilaterali

∞∑n=0

cn(z − z0)n +∞∑n=1

c−n(z − z0)−n,

che piu frequentemente indichiamo con

(14.1)∞∑

n=−∞cn(z − z0)n.

Dal Teorema di Weierstrass sappiamo che una serie (14.1), se converge totalmente in ognisottoinsieme compatto di un aperto A, ha per somma f(z) una funzione analitica in A.

Lemma 14.1 Sia data una serie bilaterale (14.1) totalmente convergente in ogni in ognicorona circolare chiusa contenuta nella corona aperta % < |z−z0| < r, dove 0 < % < r <∞.Allora i coefficienti cn sono univocamente determinati dalla formula

(14.2) cn =1

2πi

∫Cs(z0)

f(ζ)(ζ − z0)n+1

dζ per n ∈ Z

con s arbitrariamente preso in ]%, r[.

DIM. Fissiamo m. Con la nostra scelta di s possiamo applicare il Teorema di Weierstrasse integrare termine a termine su Cs(z0) l’identita

f(ζ)(ζ − z0)m+1

=∞∑

n=−∞cn(ζ − z0)n−m−1 :

l’integrale di (ζ − z0)n−m−1 vale 2πi per n = m e 0 altrimenti.ut

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Adesso torniamo a far uso del Teorema 10.6.

Lemma 14.2 Sia A un aperto di C contenente una corona circolare chiusa % ≤ |z−z0| ≤ r,dove 0 < % < r <∞, e sia f : A→ C una funzione analitica. Allora

(14.3) f(z) =1

2πi

∫Cr(z0)

f(ζ)ζ − z

dζ − 12πi

∫C%(z0)

f(ζ)ζ − z

dζ per % < |z − z0| < r.

DIM. Per% < |z − z0| < r applichiamo il Teorema di Cauchy (o se si preferisce il caso par-ticolare rappresentato dal Teorema 10.6 con z1 = z0) alla funzione ζ 7→ g(ζ, z) introdottanel Teorema 6.1, analitica al pari di f nell’aperto A. Otteniamo

12πi

∫Cr(z0)

g(ζ, z) dζ =1

2πi

∫C%(z0)

g(ζ, z) dζ

cioe1

2πi

∫Cr(z0)

f(ζ)ζ − z

dζ − f(z)1

2πi

∫Cr(z0)

1ζ − z

=1

2πi

∫C%(z0)

f(ζ)ζ − z

dζ − f(z)1

2πi

∫C%(z0)

1ζ − z

dζ.

Dall’Esempio 11.1 sappiamo che

12πi

∫Cr(z0)

f(ζ)ζ − z

dζ − f(z)1

2πi

∫Cr(z0)

1ζ − z

dζ =1

2πi

∫Cr(z0)

f(ζ)ζ − z

dζ − f(z);

d’altra parte, per |z − z0| > % la funzione ζ 7→ 1/(ζ − z) e analitica in un disco apertocontenente D%(z0), e quindi di nuovo grazie al Teorema di Cauchy (o, se si preferisce, alcaso particolare rappresentato dal Corollario del Teorema 10.5) segue che

12πi

∫C%(z0)

f(ζ)ζ − z

dζ − f(z)1

2πi

∫C%(z0)

1ζ − z

dζ =1

2πi

∫C%(z0)

f(ζ)ζ − z

dζ.

La (14.3) e stata dimostrata.ut

Teorema 14.1 Sotto le stesse ipotesi del Lemma 14.2 vale l’identita

(14.4) f(z) =∞∑n=0

cn(z − z0)n +∞∑n=1

c−n(z − z0)−n per % < |z − z0| < r

55

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con i coefficienti delle due serie dati dalla (14.2), % < s < r. Quando, in particolare, Acontiene tutto un disco bucato DR(z0)\{z0}, la (14.4) vale con %, r sostituiti rispettivamenteda 0, R e s puo essere arbitrariamente preso in ]0, R[; inoltre la prima serie e una funzioneanalitica in DR(z0) mentre la seconda lo e in C \ {z0} e la convergenza contemporaneadelle due serie e totale in ogni sottoinsieme compatto di DR(z0) \ {z0}.

DIM. Grazie al Teorema 8.1 il primo addendo nel secondo membro della (14.3) e unafunzione analitica in C \Cr(z0) mentre il secondo lo e in C \C%(z0). Inoltre i Teoremi 8.1e 8.2 forniscono lo sviluppo (14.4), con convergenza totale in ogni corona circolare chiusacontenuta nella corona aperta % < |z − z0| < r (cfr. l’Osservazione 8.2). Dal Lemma 14.1ricaviamo la (14.2); quando DR(z0) \ {z0} ⊆ A basta prendere % arbitrariamente prossimoa zero e r ad R.

ut

Riscriviamo la (14.2), con r al posto di s, nel modo seguente:

(14.5) cm =r−m

∫ 2π

0

f(z0 + reit)e−imt dt.

Occupiamoci del caso in cui z0 e per f una singolarita isolata, cioe DR(z0) \ {z0} ⊆A. Le serie

∑∞n=1 c−n(z − z0)−n e

∑∞n=0 cn(z − z0)n sono rispettivamente la parte prin-

cipale, che indichiamo col simbolo P [f ; z0](z), e la parte regolare di f in z0.La (14.4) si riscrive

(14.6) f(z) =∞∑

n=−∞cn(z − z0)n per 0 < |z − z0| < R :

il secondo membro, cioe la somma della parte regolare e della parte principale di f in z0,e chiamata serie di Laurent.

Se P [f ; z0](z) manca, cioe se tutti i cm con −m ∈ N sono nulli, f coincide fuoridi z0 con la sua parte regolare, che e analitica anche in z0. In altri termini f puo es-sere prolungata in z0 restando analitica. Si dice allora che z0 e per f una singolaritaeliminabile.

Una caratterizzazione delle singolarita eliminabili e data dalla seguente

Proposizione 14.1 Per una funzione f analitica in un aperto A una singolarita isolataz0 e eliminabile se e solo se

(14.7) (z − z0)f(z) → 0 per z → z0.

DIM. La parte “solo se” e ovvia. Viceversa, fissiamo −m ∈ N ed utilizziamo la (14.5):

|cm| ≤r−m−1

∫ 2π

0

r|f(z0 + reit)| dt.

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Per concludere basta passare al limite per r → 0 sotto il segno di integrale.ut

La (14.7) e soddisfatta se f e limitata in un intorno di z0.

Esercizio 14.1 Un ramo del logaritmo di z e limitato intorno a qualunque punto di C\{0},ma ha un’infinita di singolarita non eliminabili. Come mai?

ut

E la presenza di P [f ; z0](z), cioe di qualche cm 6= 0 con −m ∈ N, a determinare lamancanza di regolarita di f in z0. Se cm 6= 0 per infiniti valori −m ∈ N diciamo che z0e una singolarita essenziale. Diciamo invece che z0 e un polo di ordine −m ∈ N secm 6= 0 e cm−p = 0 per ogni p ∈ N, per cui

f(z) =c−m

(z − z0)m+ · · ·+ c−1

z − z0+

∞∑n=0

cn(z − z0)n per 0 < |z − z0| < R.

In altri termini, per 0 < |z − z0| < R vale l’identita

(14.8) f(z) = (z− z0)−m[c−m+ c−m+1(z− z0)+ · · ·+ c−1(z− z0)m−1 + c0(z− z0)m+ · · ·]

con la serie di potenze a secondo membro convergente in tutto DR(z0) e diversa da 0 inz0.

Il quoziente di due funzioni intere e una funzione meromorfa. Le sue singolarita,tutte isolate, o sono eliminabili o sono poli.

Esercizio 14.2 Dimostrare che quando f e analitica in A una sua singolarita isolata z0e un polo di ordine −m ∈ N se e solo se (z − z0)mf(z) tende per z → z0 ad un numerocomplesso non nullo.

ut

Esercizio 14.3 Dimostrare che quando f e analitica in A una sua singolarita isolata z0e un polo se e solo se esiste un disco bucato DR(z0) \ {z0} ⊆ A in cui l’estremo inferioredi |f | e positivo. [Suggerimento: Dimostrare l’implicazione “se” utilizzando la funzione1/f(z) per 0 < |z − z0| < R.]

ut

Esercizio 14.4 Dimostrare che quando f e analitica in A una sua singolarita isolata z0 eessenziale se e solo se in ogni disco bucato DR(z0) \ {z0} ⊆ A l’estremo inferiore di |f | e 0e quello superiore e ∞.

ut

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Esercizio 14.5 Sia f analitica in A e sia z0 una sua singolarita essenziale. Dimostrareil Teorema di Casorati–Weierstrass: In ogni disco bucato DR(z0) \ {z0} ⊆ A i valoriassunti da f sono densi in C. [Suggerimento: se esistessero a ∈ C e r ∈]0,∞[ tali che|f(z) − a| > r per 0 < |z − z0| < R, allora z0 sarebbe una singolarita eliminabile per(f(z)− a)−1, dunque al piu un polo per f(z)− a.]

ut

Sia f una funzione analitica in un intorno bucato dell’∞, ovvero analitica in unaperto contenente il complementare di un disco DR. La funzione g : w 7→ f(1/w) e alloraanalitica in un aperto contenente il disco bucato D1/R \ {0}, e il suo sviluppo in serie diLaurent per 0 < |w| < 1/R si scrive

g(w) =∞∑

n=−∞dnw

n

con convergenza totale in ogni compatto contenuto nel disco bucato. Questo significa cheper |z| > R vale lo sviluppo

(14.9) f(z) =∞∑

n=−∞dnz

−n

con convergenza totale in ogni compatto a distanza dall’origine maggiore di R.Se g e (prolungabile come funzione) analitica su tutto D1/R diciamo che f e analitica

in un intorno dell’∞. Se invece g ha nell’origine una singolarita non eliminabile, cioeo un polo di ordine m ∈ N – ovvero d−m 6= 0, d−m−k = 0 per ogni k ∈ N – oppureuna singolarita essenziale – ovvero d−n 6= 0 per infiniti valori n ∈ N – diciamo che f hauna singolarita non eliminabile all’∞, e per la precisione rispettivamente un polo diordine m all’∞ oppure una singolarita essenziale all’∞.

15 I residui

Il coefficiente (13.5) per m = −1, cioe

c−1 =1

2πi

∫Cr(z0)

f(ζ) dζ,

viene chiamato residuo di f in a ed indicato col simbolo Res [f ; z0]. Esso e anche il residuoin z0 della funzione P [f ; z0], ed e nullo se la parte principale di f in z0 e nulla, ovvero se fe (o si puo prolungare come) una funzione analitica in tutto un DR(z0), R > r (Teoremadi Cauchy).

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Di solito quello che si vuole ottenere e il valore dell’integrale di f su una circonferenzadi centro z0 col raggio sufficientemente piccolo, ed a tal fine si cerca di calcolare Res [f ; z0]con qualche metodo suggerito dalla specifica forma della funzione f .

Se z0 e un polo di ordine m = 1 la (14.8) si scrive come

F (z) = (z − z0)f(z) per 0 < |z − z0| < R,

dove F (z) e la somma della serie di potenze a secondo membro con m = 1. Dunque c−1 euguale al valore di F in z0:

(15.1) Res [f ; z0] = F (z0)

(formula di Cauchy applicata ad F ), ovvero

(15.2) Res [f ; z0] = limz→z0

(z − z0)f(z).

Se, ad esempio, f(z) si presenta come un quoziente h(z)/g(z) con h e g analitiche inA⋃{z0}, h(z0) 6= 0, g(z0) = 0, g′(z0) 6= 0, e quindi

f(z) =h(z)

(z − z0)G(z)

con G(z) serie di potenze di punto iniziale z0 e G(z0) = g′(z0) 6= 0, si ottiene

(15.3) Res [f ; z0] = h(z0)/g′(z0).

Studiamo il caso generale del polo z0 di ordine m ≥ 1. La (14.8) si scrive come

F (z) = (z − z0)mf(z) per 0 < |z − z0| < R

dove F (z) e la somma della serie di potenze a secondo membro. Dunque c−1 e uguale alcoefficiente di (z − z0)m−1 nello sviluppo di Taylor della F , e la (15.1) si generalizza cosı:

(15.4) Res [f ; z0] =F (m−1)(z0)(m− 1)!

(e la (11.3) con F al posto di f). Il secondo membro della (15.4) e uguale al limite perz→ z0 di F (m−1)(z)/(m− 1)!, per cui la (15.2) si generalizza cosı:

(15.5) Res [f ; a] = limz→z0

1(m− 1)!

dm−1[f(z)(z − z0)m]dzm−1

.

Supponiamo che f sia analitica in un intorno bucato dell’∞, diciamo all’esterno di uncerto DR, e integriamo termine a termine entrambi i membri della (14.9) su una circon-ferenza di centro l’origine e raggio r > R:∫

Cr

f(ζ) dζ =∞∑

n=−∞dn

∫Cr

ζ−n dζ.

59

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Gli integrali nel secondo membro valgono 2πi se n = 1 e 0 altrimenti, per cui

d1 =1

2πi

∫Cr

f(ζ) dζ.

L’opposto di questo numero e il residuo all’∞ di f :

(15.6) Res [f ;∞] = − 12πi

∫Cr

f(ζ) dζ.

16 Teorema dei residui ed applicazioni al calcolo di integrali rettilinei

Indichiamo con ϕ un ciclo omologo a 0 in un aperto A. Se z1, . . . , zn sono punti diA distinti tra loro e disgiunti da {ϕ} non e affatto detto che ϕ sia omologo a 0 anche inB = A\{z1, . . . , zn}: infatti z1, . . . , zn stanno nel complementare di B, e puo accadere chealcuni o tutti tra gli interi

µk = Indϕ(zk)

siano diversi da 0. Ma possiamo aggiungere a ϕ un numero di circonferenze, ognunapercorsa un opportuno numero di volte, in modo che il nuovo ciclo sia omologo a 0 in B.Piu in dettaglio, determiniamo n dischi chiusi Dr(zk) ⊂ A, con r > 0 opportuno, disgiuntisia tra loro che da {ϕ} e chiamiamo ψk la ciconferenza |z − zk| = r percorsa un numero|µk| di volte, in senso orario o antiorario a seconda che µk > 0 o µk < 0. Dunque Indψk

(z)vale −µk in z = zk e 0 in ogni altro punto del complementare di B (cfr. l’Esempio 13.1),per cui il ciclo ψ unione di ϕ e dei ψk e omologo a 0 in B.

Sia ora data una funzione f analitica in B. Come sappiamo dall’Esempio 8.5,

12πi

∫ψk

f(ζ) dζ = −µk1

2πi

∫Cr(zk)

f(ζ) dζ = −µkRes [f ; zk]

e quindi ∫ψ

f(ζ) dζ =∫ϕ

f(ζ) dζ +n∑k=1

∫ψk

f(ζ) dζ =∫ϕ

f(ζ) dζ −n∑k=1

µkRes [f ; zk].

Ma dal Teorema di Cauchy segue che il primo membro e nullo, per cui

Teorema (dei residui) 16.1 Se ϕ e un ciclo omologo a 0 in un aperto A e f e unafunzione analitica in A \ {z1, . . . , zn}, dove z1, . . . , zn sono punti di A distinti tra loro edisgiunti da {ϕ}, vale l’identita∫

ϕ

f(z) dz = 2πin∑k=1

Indϕ(zk)Res [f ; zk].

60

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In tutte le applicazioni che daremo ϕ sara un circuito semplice con Indϕ(zk) = 1 perogni k, e quindi

(16.1)∫ϕ

f(z) dz = 2πin∑k=1

Res [f ; zk].

Il Teorema dei residui ammette un’utile versione quando A e un intorno bucato Adell’∞. Sia ψ un circuito semplice dotato di punti interni (cfr. la Sezione 13). Se f e unafunzione analitica in tutto A ad l’eccezione di una famiglia finita {z1, . . . , zn} di punti nonappartenenti ne a ψ ne al suo interno, allora

−∫ψ

f(z) dz = 2πin∑k=1

Res [f ; zk] + 2πiRes [f ;∞].

Sia infattiDr ⊃ {z1, . . . , zn}⋃{ψ}. Il ciclo ϕ costituito da Cr e dall’opposto di ψ e omologo

a 0 in A, per cui

2πin∑k=1

Res [f ; zk] =∫Cr

f(z) dz −∫ψ

f(z) dz = −2πiRes [f ;∞]−∫ψ

f(z) dz

grazie alla (15.6), come volevamo.

Integrali trigonometrici Indichiamo con (x, y) 7→ R(x, y) una funzione razionale di x+iycon denominatore privo di zeri sulla circonferenza di raggio 1 e centro l’origine. Passandoalla scrittura complessa z = x+iy, indichiamo con z1, . . . , zm tutti gli zeri del denominatoreche cadono nel disco aperto |z| < 1. Applicando la (16.1) con ϕ : [0, 2π] 3 ϑ 7→ eiϑ e

f(z) = −i1zR

[12

(z +

1z

),

12i

(z − 1

z

)]possiamo calcolare l’integrale trigonometrico∫ 2π

0

R(cos θ, sin θ) dθ = −i∫C1

1zR

[12

(z +

1z

),

12i

(z − 1

z

)]dz = 2πi

m∑h=1

Res [f ; zh].

Esempio 16.1 Se r > 1 l’integrale ∫ 2π

0

r + cos θ

61

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e uguale a

−2i∫C1

dz

z2 + 2rz + 1= −2i

∫C1

dz

(z − z1)(z − z2)

dovez1 = −r +

√r2 − 1, z2 = −r −

√r2 − 1.

La funzione f(z) = 1/[(z − z1)(z − z2)] e una funzione razionale che non si annulla sullacirconferenza unitaria ed ha un solo polo z1 interno al disco unitario. In un intorno bucatodi z1 risulta

F (z) = (z − z1)f(z) =1

z − z2

e quindi il residuo di f in z1 e dato da

12πi

∫C1

dz

(z − z1)(z − z2)= F (z1) =

1z1 − z2

=1

2√r2 − 1

.

Ne segue che ∫ 2π

0

r + cos θ=

(−2i)2πi2√r2 − 1

=2π√r2 − 1

.

ut

Integrali impropri assolutamente convergenti Sia f(x) una funzione (reale o com-plessa) continua sull’asse delle x. Se per un certo a > 1 risulta

(16.2) supx∈R

|f(x)||x|a <∞,

l’integrale improprio di f da −∞ ad ∞ converge assolutamente (grazie al criterio delconfronto) e verifica

(16.3)∫ ∞

−∞f(x) dx = lim

r→∞

∫ r

−rf(x) dx.

Per il calcolo di (16.3) possiamo ricorrere al Teorema dei residui se A e un aperto contenenteil semipiano chiuso Im z ≥ 0 e f(x) e la restrizione ad R di una funzione f(z) analiticain tutto A ad eccezione di un numero finito di punti z1, . . . , zm contenuti nel semipianoaperto Im z > 0, con

(16.4) supIm z≥0, |z|≥R

|f(z)||z|a <∞

62

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per un R > 0 abbastanza grande. In tal caso, infatti, se r e sufficientemente grande tuttigli zh cadono nel semidisco aperto D+

r intersezione di Dr e del semipiano delle y > 0. La(16.1) diventa ∫ r

−rf(x) dx+

∫C+

r

f(z) dz = 2πim∑h=1

Res [f ; zh]

dove C+r e la semicirconferenza [0, π] 3 θ 7→ reiθ. Dalla (8.7) ricaviamo la maggiorazione∣∣∣∣∣∣∣

∫C+

r

f(z) dz

∣∣∣∣∣∣∣ ≤ πr max0≤ϑ≤π

|f(reiϑ)|

in cui, grazie alla (16.4), il secondo membro tende a 0 per r →∞. Dunque∫ ∞

−∞f(x) dx = 2πi

m∑h=1

Res [f ; zh].

Ovvio che vale la stessa formula, ma con un segno − davanti al secondo membro, se A e unaperto contenente il semipiano chiuso y ≤ 0 e f(x) e la restrizione ad R di una funzionef(z) analitica in tutto A ad eccezione di un numero finito di punti z1, . . . , zm contenuti nelsemipiano aperto y < 0.

Nella situazione appena descritta rientra il caso in cui f(x) e una funzione razionaleP (x)/Q(x) col polinomio Q(x) mai nullo in R e di grado non inferiore a quello di P (x)aumentato di 2; Q(z) ha un numero finito di zeri, e quindi f(z) un numero finito di poli,che cadono nel semipiano delle y > 0, e non ne ha altri che cadano nel semipiano A delley > −ε purche ε > 0 sia sufficientemente piccolo. (Ma naturalmente non vanno certodimenticate le tecniche, studiate nel Calcolo, che quando f(x) e una funzione razionaleconsentono di calcolare esplicitamente l’integrale indefinito di f(x), e quindi la quantita(16.3).)

Esempio 16.2 Calcoliamo ∫ ∞

−∞

dx

1 + x4

utilizzando il Teorema dei residui invece di passare per l’integrale indefinito. La funzioneR(z) = 1/(1 + z4) ha per poli i 4 zeri zk della funzione g(z) = 1 + z4, nessuno dei qualicade sull’asse reale, e il residuo di R(z) = 1/g(z) in zk vale

1g′(zk)

=1

4z3k

=zk4z4k

= −zk4

(cfr. la (15.3)). I poli del semipiano superiore sono eiπ/4 ed e3iπ/4, e quindi l’integrale chevogliamo calcolare vale

2πi(−e

iπ/4 + e3iπ/4

4

)= πi

(−ie

iπ/4 − e−iπ/4

2i

)= π sin

π

4=√

2π2

.

ut

63

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Osservazione 16.1 Una funzione regolarissima R 3 x 7→ f(x) che verifica la (16.2) puotranquillamente essere la traccia di una funzione anch’essa regolarissima C 3 z 7→ f(z)che pero non verifica la (16.4), e di conseguenza non si presta all’utilizzo dei residui cheabbiamo appena esposto. Si pensi alla gaussiana e−x

2, il cui prolungamento e−z

2e ad

esempio, quando viene ristretto all’asse immaginario z = iy, un infinito di ordine superioread ogni potenza della y per y → ∞ (senza con questo togliere che, poi, si possa anchearrivare al valore ∫ ∞

−∞e−x

2dx =

√π

attraverso altri utilizzi dei residui, per i quali rimandiamo ad una consultazione di varitesti).

ut

Nel prossimo esempio la difficolta illustrata dall’Osservazione 16.1 viene aggirata conuna semplice trasformazione.

Esempio 16.3 Sia α 6= 0. La funzione cosαx/(1 + x2) presenta a prima vista lo stessoproblema della gaussiana. Pero vale l’identita∫ ∞

0

cosαx1 + x2

dx =12

∫ ∞

−∞

eiαx

1 + x2dx

(grazie all’annullarsi dell’integrale su R della funzione dispari sinαx/(1+x2)). I poli dellafunzione f(z) = eiαz/(1 + z2) = eiαz/[(z − i)(z + i)] sono ±i, e i suoi residui valgonorispettivamente

limz→i

(z − i)f(z) =eiαz

z + i

∣∣∣z=i

=e−α

2i, lim

z→−i(z + i)f(z) =

eiαz

z − i

∣∣∣z=−i

= −eα

2i;

quanto alla (16.4), basta prendere come A il semipiano dove Im z > 0 o Im z < 0 a secondache α > 0 o α < 0. Dunque l’integrale vale

2πi12e−α

2i= π

e−α

2

per α > 0 e

−2πi12

(−e

α

2i

)= π

2

per α < 0 (si tenga conto del cambiamento del verso di percorrenza sull’asse x). In ognicaso il risultato e πe−|α|/2 (per α = 0 lo sapevamo gia!).

ut

64

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Integrali impropri semplicemente convergenti Quando, al posto della (16.2) cona > 1, vale una condizione del tipo

supx∈R

|f(x)||x| <∞

non c’e nessun motivo perche l’integrale improprio di f ∈ C0(R) sia convergente, neppuresemplicemente: si pensi ad una funzione f(x) uguale a 1/x per |x| sufficientemente grande.Molto di piu si puo pero dire quando f(x) e in particolare della forma g(x)eiαx con α ∈ R,α 6= 0. Allora, infatti, affinche l’integrale improprio

(16.5)∫ ∞

−∞g(x)eiαx dx

converga, almeno semplicemente, per ogni α > 0 e sufficiente che g(x) sia la restrizionead R di una funzione g(z) analitica in A \ {z1, . . . , zm}, dove A e un aperto contenente ilsemipiano chiuso Im z ≥ 0 e z1, . . . , zm appartengono al semipiano aperto Im z > 0, con

M = supIm z≥0, |z|≥R

|g(z)||z| <∞

per un R > 0 abbastanza grande. Mostriamo questo mediante il Teorema dei residui, chein piu fornira anche, almeno teoricamente, il valore dell’integrale.

Perche abbia luogo la convergenza (semplice) dell’integrale improprio non basta cheesista finito il

limr→∞

∫ r

−rg(x)eiαx dx,

bensı serve che sia finito illim

r,s→∞

∫ s

−rg(x)eiαx dx.

Per il calcolo di questo doppio limite non si prestano bene i semicerchi, mentre invece vannobene i rettangoli. Indichiamo con K il rettangolo di vertici (−r, 0), (s, 0), (s, y) e (−r, y),con r, s, y > 0. Se r e s sono sufficientemente grandi tutti gli zh cadono nell’interno di K.Poiche gli zh sono anche i poli di f(z) = g(z)eiαz, possiamo applicare la (16.1) prendendocome ϕ la frontiera di K percorsa in verso antiorario.

Sul segmento orizzontale −t+ iy, −s ≤ t ≤ r il modulo dell’integrale e maggiorato da

Me−αy

y

∫ r

−se−iαt dt ≤M

e−αy

y(r + s),

e dunque tende a 0 per y →∞.Sul segmento verticale s+ it, 0 ≤ t ≤ y, l’integrale curvilineo di f vale∫ y

0

g(s+ it)eiαse−αt dt =1s

∫ y

0

sg(s+ it)eiαse−αt dt.

65

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Siccome|sg(s+ it)eiαs| ≤M

il modulo del secondo membro e maggiorato da

M

s

∫ y

0

e−αt dt =M

s

1− e−αy

α≤ M

sα.

Possiamo dunque far tendere y all’infinito, conservando sull’integrale esteso alla semirettala maggiorazione in questione.

Allo stesso modo si vede che l’integrale sul segmento verticale −r+ i(y− t), 0 ≤ t ≤ ye maggiorato da M/rα, e di nuovo possiamo dunque far tendere y all’infinito conservandosull’integrale esteso alla semiretta la maggiorazione in questione.

Facendo tendere all’infinito prima y, poi r e infine s oppure s e infine r verifichiamoche l’integrale improprio in esame converge semplicemente e soddisfa l’identita

∫ ∞

−∞g(x)eiαx dx = 2πi

m∑h=1

Res [f ; zh]

(dove i residui da calcolare negli zh, lo sottolineiamo, non sono quelli di g(z) bensı quellidi g(z)eiαz).

Il metodo che abbiamo appena illustrato si applica anche per α < 0, solo che allora Ae un aperto che contiene il semipiano y ≤ 0, g e analitica in A privato di un numero finitodi punti appartenenti al semipiano aperto y < 0, e K e un rettangolo la cui frontiera hacome orientazione positiva quella in cui il segmento dell’asse x viene percorso da s a −r.

Valore principale di Cauchy Siano −∞ ≤ c < d ≤ ∞. Se una funzione reale ocomplessa f(x) e dotata di integrale (eventualmente improprio) su ogni intervallo ]c, b− ε[e su ogni intervallo ]b + ε, d[ al variare di ε > 0, ma ha in b una singolarita dell’ordine di(x−b)−1, il suo integrale improprio su ]c, d[ non converge, neanche semplicemente. In altritermini, non esistono finiti ne il

limε→0+

∫ b−ε

c

f(x) dx

ne il

limε→0+

∫ d

b+ε

f(x) dx.

Pero puo esistere finito il

limε→0+

(∫ b−ε

c

f(x) dx+∫ d

b+ε

f(x) dx

),

66

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che si chiama allora valore principale, o di Cauchy, dell’“integrale” da c a d e si indicacol simbolo

vp∫ d

c

f(x) dx.

Ad esempio,

vp∫ 1

−1

dx

x= 0.

Ebbene, il Teorema dei residui puo essere utilizzato per il calcolo del valore principalequando c = −∞, d = ∞ e f(x) = g(x)eiαx. Indichiamo con A un aperto che contiene ilsemipiano y ≥ 0 e con g(z) una funzione analitica in A privato di un numero finito di puntiz1, . . . , zm del semipiano y > 0 e di un punto w dell’asse x, con zg(z) limitata al di fuori diun disco, che presenta dei poli negli zh e in w, quest’ultimo semplice. Sia f(z) = g(z)eiαz

con α > 0. La tenica adottata nello studio degli integrali (16.5) dev’essere ora modificatanel modo seguente. Al posto di K si prende il compatto Kε = K

⋃Dε(w), che giace in A

per ε > 0 sufficientemente piccolo (e in particolare piu piccolo di r e di s, nonche di ogni|zh|). Applichiamo il Teorema dei residui prendendo come ϕ la frontiera di Kε percorsa inverso antiorario: ∫

ϕ

g(z)eiαz dz = 2πim∑h=1

Res [f ; zh] + 2πiRes [f ;w].

Nell’integrale qui sopra compaiono gli stessi addendi di quello studiato nel terzo tipo, adeccezione dell’integrale di f(x) da −r ad s. Al suo posto abbiamo la somma di quattrointegrali: quelli di f(x) da −r a w− ε e da w+ ε a s piu quelli di f(z)−Res [f ;w]/(z−w)e di Res [f ;w]/(z − w) sulla semicirconferenza [π, 2π] 3 θ 7→ w + εeiθ. Poiche f(z) −Res [f ;w]/(z − w) e olomorfa in un cerchio aperto che contiene Dε(w), il terzo integralee uguale a quello da w − ε a w + ε di f(x) − Res [f ;w]/(x − w) e tende a 0 per ε → 0;il quarto vale πiRes [f ;w] (calcolo immediato). Ripetendo tutto il resto del ragionamentofatto nello studio del terzo tipo e poi facendo tendere ε a 0 otteniamo l’identita

vp∫ ∞

−∞g(x)eiαx dx = 2πi

m∑h=1

Res [f ; zh] + πiRes [f ;w] :

il contributo del residuo in un polo semplice va diviso a meta se il polo cade sull’asse y = 0invece che nel semipiano y > 0!

Esempio 16.4 Prendendo g(x) = 1/x e α = 1 otteniamo

vp∫ ∞

−∞

eix

xdx = πi.

Grazie alla formula di Eulero si ricava per la parte reale del primo membro

vp∫ ∞

−∞

cosxx

dx = 0

67

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– cosa ovvia perche cosx/x e dispari – e per quella immaginaria

vp∫ ∞

−∞

sinxx

dx =∫ ∞

−∞

sinxx

dx = π

perche la funzione integranda si prolunga con continuita a 0, per cui non presenta al finitouna singolarita che renda necessario passare al valore principale. Per parita si ottiene ilvalore dell’integrale di Dirichlet∫ ∞

0

sinxx

dx =12

∫ ∞

−∞

sinxx

dx =π

2.

ut

17 Numero degli zeri e numero dei poli

Siano A un aperto di C, ϕ : [a, b] → C un circuito col sostegno contenuto in A ef : A→ C una funzione analitica. Se il valore w non e assunto da f su {ϕ}, il numero

12πi

∫ϕ

f ′(z)f(z)− w

dz,

detto indicatore logaritmico di f(z) − w relativo a ϕ, coincide con l’indice di avvolgi-mento in w del circuito f ◦ ϕ:

(17.1)1

2πi

∫ϕ

f ′(z)f(z)− w

dz =1

2πi

∫ b

a

f ′(ϕ(t))f(ϕ(t))− w

ϕ′(t) dt =1

2πi

∫f◦ϕ

dz

z − w= Indf◦ϕ(w).

Da qui segue in particolare che, se {f ◦ ϕ} giace in un aperto dove 1/(z − w) e dotata diprimitiva, ad esempio in un disco aperto disgiunto da w, allora l’indicatore logaritmico enullo.

Cominciamo prendendo w = 0.Siano z0 ∈ C, r > 0. Una funzione f , analitica in Dr(z0) \ {z0}, che ha in z0 uno zero

di ordine k ∈ N o un polo di ordine −k ∈ N soddisfa l’identita

f(z) = (z − z0)kg(z) per 0 < |z − z0| < r

(che si estende anche a z = z0 quando z0 e uno zero), con g(z) analitica e diversa da 0 per|z − z0| < r. Nel disco bucato vale dunque l’identita

f ′(z)f(z)

=k

z − z0+g′(z)g(z)

,

68

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per cui z0 e in un caso come nell’altro un polo semplice di f ′/f con Res [f ′/f ; z0] = k. Daqui e facile arrivare al

Teorema (dell’indicatore logaritmico) 17.1 Sia ϕ un circuito col sostegno contenutoin un aperto A, dotato di punti interni (secondo la terminologia introdotta nella Sezione13) e omologo a 0 in A. Sia f una funzione analitica in A ad eccezione di un numerofinito di punti, tutti poli. Se sul sostegno di ϕ sostegno non cadono ne zeri ne poli di f ,l’indicatore logaritmico di f relativo a ϕ e uguale al numero degli zeri meno quello dei polidi f che sono interni a ϕ, contati ciascuno un numero di volte uguale al suo ordine.

Ecco alcune importanti conseguenze del teorema precedente.

Teorema (Fondamentale dell’Algebra) 17.2 Se P (z) e un polinomio di grado n ≥ 1a coefficienti complessi la somma degli ordini dei suoi zeri, cioe delle moltiplicita delle sueradici, e uguale a n.

DIM. Prendiamo come K un qualunque disco chiuso Dr al di fuori del quale P non siannulla mai (certo esistente, perche |P (z)| → ∞ per |z| → ∞). Poiche

g(z) = zP ′(z)P (z)

→ n per |z| → ∞,

nel senso chemax

0≤t≤2π|g(reit)− n| → 0 per r →∞,

risulta

(17.2)∫Cr

P ′(z)P (z)

dz =∫Cr

g(z)z

dz =

2π∫0

g(reit)reit

ireit dt→ 2πin per r →∞,

e grazie al Teorema 17.1 il primo membro della (17.2) e, per tutti i valori sufficientementegrandi di r, il prodotto di 2πi e del numero degli zeri di P , contati ciascuno un numero divolte uguale al suo ordine.

ut

Teorema (di Rouche) 17.3 Siano A una aperto e ϕ : [a, b] → C un circuito col sostegnocontenuto in A, dotato di punti interni e omologo a 0 in A. Siano poi f e g funzionianalitiche in A, con

(17.3) |f(z)− g(z)| < |g(z)| per z ∈ {ϕ}.

Allora f e g hanno lo stesso numero di zeri interni a ϕ.

69

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DIM. Grazie alla (17.3), su {ϕ} non hanno zeri ne f ne g, e vale la

(17.4)∣∣∣∣f(z)g(z)

− 1∣∣∣∣ < 1.

Sia F = f/g. In ogni disco aperto contenuto in A, privato del centro z0 e di raggiosufficientemente piccolo, vale un’identita

f(z)g(z)

=(z − z0)h(α+ f1(z))(z − z0)k(β + g1(z))

dove h, k sono interi non negativi e f1, g1 funzioni analitiche nel disco aperto con f1(z0) =g1(z0) = 0, e quindi il numero degli zeri meno quello dei poli di F che cadono in un limitatoe uguale al numero degli zeri di f meno quello degli zeri di g. Ma dalla (17.4) segue cheF ◦ϕ e un circuito col sostegno contenuto nel disco aperto di centro 1 e raggio 1, disgiuntodall’origine, per cui

12πi

∫ϕ

F ′(z)F (z)

dz = IndF◦ϕ(0) = 0,

e il primo membro e numero degli zeri meno quello dei poli di F interni a ϕ contati ciascunoun numero di volte uguale al suo ordine.

ut

Teorema 17.4 Sia f una funzione analitica non costante in un aperto connesso A. Allora,dato comunque z0 ∈ A, esiste un intorno V di w0 = f(z0) tale che V = f(U), dove U ⊆ Ae un intorno di z0. Inoltre ogni punto di V \ {w0} proviene mediante f da un numero dipunti distinti di U \ {z0} uguale all’ordine m dello zero di f(z)− w0.

DIM. Grazie al Teorema degli zeri isolati esiste unDr(z0) ⊂ A in cui, oltre a z0, non cadonoaltri punti dove possano annullarsi f(z)−w0 o f ′(z). Dunque m e il valore dell’indicatorelogaritmico di f(z)−w0 rispetto a ϕ = Cr(z0) e quindi, grazie alla (17.1) con w = w0, anchequello dell’indice di avvolgimento Indf◦ϕ(w0). Ma allora m e il valore costante assuntoda Indf◦ϕ(w) al variare di w nella componente connessa V di C \ {f ◦ ϕ} che contienew0. Applichiamo di nuovo la (17.1): preso comunque w in V , il valore dell’indicatorelogaritmico di f(z) − w rispetto a ϕ = Cr(z0) e uguale ad m, ovvero esistono m punti diDr(z0), alcuni eventualmente coincidenti tra di loro, in cui f vale w. Dalla continuita di fsegue che U = Dr(z0)

⋂f−1(V ) e aperto. Se w1 = f(z1) con z1 ∈ U \ {z0}, l’ordine dello

zero di f(z) − w1 non puo essere k > 1 perche altrimenti z1 sarebbe uno zero di f ′(z) diordine k − 1 ≥ 1, contraddicendo la scelta di Dr(z0). Dunque ogni zero di f(z)−w1 in Ue semplice, e questo significa che w1 proviene da m punti distinti di U \ {z0}.

ut

La prima delle proprieta di f garantite dal precedente teorema puo, in maniera equiva-lente, essere formulata dicendo che f e aperta, cioe trasforma aperti in aperti. Quando cio

70

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accade, e in piu f e iniettiva, la sua inversa f−1 e continua. Dal Teorema 17.4 ricaviamoa questo punto il Teorema della funzione inversa (gia anticipato per tutt’altra vianell’Esercizio 2.3) sotto forma del

Corollario 1 Sia f analitica in un aperto connesso A. Se in z0 ∈ A si verifica f ′(z0) 6= 0,allora esiste un aperto U ⊆ A dove f e iniettiva, con f(U) aperto e f−1 analitica.

DIM. Grazie al Teorema 17.4 esiste un disco aperto di centro z0 in cui f e sia aperta cheinvertibile (dal momento che adesso m = 1), con f−1 continua; l’analiticita di f−1 (conformula di derivazione) segue a questo punto dal Teorema 2.1.

ut

Sempre tenendo conto che nel Teorema 17.4 l’iniettivita corrisponde al caso m = 1otteniamo anche il

Corollario 2 Una funzione analitica e iniettiva in un aperto A deve avere derivata diversada 0 in ogni punto di A.

18 Nucleo di Poisson, funzioni armoniche e problema di Dirichlet

Chiamiamo nucleo di Poisson la funzione

[0, 1[×[−π, π] 3 (r, ϑ) 7→ Pr(ϑ) =12π

1− r2

1 + r2 − 2r cosϑ.

Per ogni fissato r ∈ [0, 1[ la funzione ϑ 7→ Pr(ϑ) e non negativa e pari, nonche prolungabilea tutto R con periodo 2π, mentre al tendere di r ad 1− si ha Pr(ϑ) → 0 uniformementein [−π,−δ]

⋃[δ, π] per ogni fissato δ ∈]0, π[. D’altra parte, Pr(ϑ) e la parte reale della

funzione complessa

(18.1)12π

1 + reiϑ

1− reiϑ,

come si vede moltiplicando in quest’ultima espressione numeratore e denominatore per1− re−iϑ. Siccome la (18.1) vale

12π

∞∑k=0

rkeikϑ +12π

∞∑k=1

rkeikϑ =12π

+1π

∞∑k=1

rkeikϑ

otteniamo per il nucleo di Poisson l’espressione

(18.2) Pr(ϑ) =12π

∞∑k=−∞

r|k|eikϑ.

71

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Fissato r ∈ [0, 1[ possiamo, grazie alla convergenza totale in [−π, π], integrare termine atermine ed ottenere ∫ π

−πPr(ϑ) dϑ = 1.

Grazie alle proprieta che abbiamo elencato finora, la famiglia {Pr(ϑ)}0≤r<1 e unaapprossimante uniforme dell’unita, nel senso che, data comunque g ∈ C0([−π, π])tale che g(−π) = g(π), dunque prolungabile a tutto R con periodo 2π, si ha(18.3)∫ π

−πPr(ϑ− t)g(t) dt→ g(ϑ) per r → 1− uniformemente al variare di ϑ in [−π, π].

Infatti abbiamo per cominciare, grazie alla periodicita,∫ π

−πPr(ϑ− t)g(t) dt− g(ϑ) =

∫ π

−πPr(t)[g(t+ ϑ)− g(ϑ)] dt.

Fissiamo ε > 0 ed in corrispondenza ad esso un δ = δε > 0 tale che |g(ϑ + t) − g(ϑ)| < εper |ϑ| ≤ π e |t| ≤ δ (continuita uniforme). Siccome Pr(t) ≥ 0 otteniamo

(18.4)∫ δ

−δ|g(ϑ+ t)− g(ϑ)|Pr(t) dt ≤ ε

∫ δ

−δPr(t) dt ≤ ε

∫ π

−πPr(t) dt = ε

per |ϑ| ≤ π e r < 1. Fissiamo adesso % ∈]0, 1[ in modo tale che per % < t < 1 risultiPr(t) ≤ ε al variare di t in [−π,−δ]

⋃[δ, π]. Otteniamo

(18.5)

(∫ δ

−π+∫ π

δ

)|g(ϑ+t)−g(ϑ)|Pr(t) dt ≤ ε

(∫ δ

−π+∫ π

δ

)(|g(ϑ+t)|+|g(ϑ)|) dt < Kε

per |ϑ| ≤ π e % < r < 1. Dalle (184) e (18.5) segue la (18.3).Indicando con ck, k ∈ Z, i coefficienti di Fourier di g, cioe

ck =12π

∫ π

−πg(t)e−ikt dt,

otteniamo

(18.6)∫ π

−πPr(ϑ− t)g(t) dt =

12π

∞∑k=−∞

r|k|∫ π

−πeik(ϑ−t)g(t) dt =

∞∑k=−∞

r|k|ckeikϑ.

Dalle (18.3) e (18.6) ricaviamo innanzitutto una dimostrazione del

Teorema (di approssimazione uniforme di Weierstrass) 18.1 Una funzione continuag [−π, π] → C con g(−π) = g(π) e limite uniforme in [−π, π] di una successione {Pn} dipolinomi trigonometrici.

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DIM. Per ogni r fissato in [0, 1[ la serie nel terzo membro della (18.6) converge totalmente,e quindi la sua somma e il limite uniforme della successione delle sue ridotte, che sonopolinomi trigonometrici. A questo punto ci basta prendere una successione {rn} ⊂ [0, 1[convergente ad 1 quando n→∞ per mostrare che g e il limite uniforme di successioni dipolinomi trigonometrici.

ut

Le (18.3) e (18.6) consentono anche di ritrovare la convergenza a g della sua seriedi Fourier se

∑|ck| < ∞ (e si dimostra che quest’ultima proprieta e soddisfatta se g ∈

C1([−π, π]). In tal caso, infatti, la serie nel terzo membro della (18.6) converge totalmentenel prodotto cartesiano di tutto l’intervallo chiuso [0, 1] per [−π, π], e la sua somma e unafunzione continua che per r = 1 vale la serie di Fourier di g, mentre tende a g per r → 1−.

Sia adesso ϕ una funzione reale continua definita sulla circonferenza C di centrol’origine e raggio 1. Grazie al Teorema 8.1 la funzione

f(z) =1

2πi

∫C

ζ + z

ζ − z

ϕ(ζ)ζ

dζ =12π

∫ π

−π

eit + z

eit − zϕ(eit) dt

e analitica in C \ C. Passando a coordinate polari z = reiϑ, 0 ≤ r < 1, otteniamo

f(reiϑ) =12π

∫ π

−π

1 + rei(ϑ−t)

1− rei(ϑ−t)ϕ(eit) dt.

Dunque la parte reale u(x, y) di f(z), che e di classe C∞ e armonica nel cerchio aperto Ddi centro 0 e raggio 1, si scrive in coordinate polari

u(r cosϑ, r sinϑ) =12π

∫ π

−πRe

[1 + rei(ϑ−t)

1− rei(ϑ−t)

]g(t) dt =

∫ π

−πPr(ϑ− t)g(t) dt

ovvero

(18.7) u(x, y) =1− r2

∫ π

−π

11 + r2 − 2r cos(ϑ− t)

g(t) dt per x = r cosϑ e y = r sinϑ,

0 ≤ r < 1, dove abbiamo posto g(t) = ϕ(eit). Questa funzione si prolunga con continuitafino a C, dove coincide con la funzione ϕ. Abbiamo cosı dimostrato il

Teorema 18.2 Per ogni scelta di ϕ ∈ C0(C) il problema di Dirichlet

u = ϕ su C, ∆u = 0 in D

ammette una soluzione: la funzione u ∈ C0(D)⋂C∞(D) che per x = r cos t e y = r sin t,

0 ≤ r < 1 e data dall’espressione (18.5).

73

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Tramite un banale cambiamento di variabili x 7→ x0 + Rx, y 7→ y0 + Ry e con ovviemodifiche il precedente risultato si estende da D ad un qualunque altro disco DR(x0, y0).Passiamo a funzioni armoniche in piu generali aperti di R2.

Teorema 18.3 Sia A un aperto connesso e semplicemente connesso di R2 e sia u : A→ Cuna funzione armonica. Allora esiste una funzione analitica f : A → C la cui parte realee u.

DIM. Sia g la funzione ux − iuy. Le sue parti reale ux e immaginaria −uy sono di classeC1, dunque differenziabili, e verificano in A le condizioni di Cauchy–Riemann

(ux)x = (−uy)y, (ux)y = −(−uy)x :

la prima identita segue dall’armonicita di u, la seconda dall’uguaglianza delle sue derivateseconde miste. (Cfr. l’Esercizio 2.4.) Dunque g e analitica, e le si puo applicare il Teorema13.3. Sia G una sua primitiva e sia U = Re G, per cui G′ = Ux−iUy e uguale a g = ux−iuy.Nell’aperto connesso A le due funzioni reali u e U hanno le stesse derivate parziali, e quindiesiste una costante reale K tale che u = U +K. La funzione f = G+K e analitica in A,e la sua parte reale e u.

ut

Esercizio 18.1 Siano A,B aperti di C, u armonica in A e g analitica in B con g(B) ⊆ A.Far vedere che u ◦ g e armonica in B.

ut

Grazie al Corollario del Teorema 6.2 vediamo subito che il Teorema 18.3 ammette asua volta il seguente

Corollario Ogni funzione armonica e di classe C∞.

Ancora grazie al Teorema 18.3, una funzione armonica gode della proprieta integraledella media (cfr. il Teorema 12.3 e le (12.2)), dunque il principio di massimo (Teorema12.1). Questo mostra che vale il

Teorema 18.4 Se A e un aperto limitato di R2 una funzione reale u continua su A edarmonica in A verifica

maxA

|u| = max∂A

|u|.

Dunque vale anche il

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Page 75: VARIABILE COMPLESSA 1 Topologia in C › people › pensionati › troianiello › VariabileCo… · 1 Topologia in C Sia z un generico elemento dell’insieme C dei numeri complessi.

Teorema 18.5 Se A e un aperto limitato di R2 e sulla sua frontiera ∂A viene assegnatauna funzione continua ϕ il problema di Dirichlet: trovare u ∈ C0(A)

⋂C2(A) tale che

u = ϕ su ∂A, ∆u = 0 in A

non puo ammettere piu di una soluzione.

In particolare, il Teorema 18.2 fornisce l’unica soluzione per il disco D. Anzi, da esso(o meglio dalla sua generalizzazione ad un qualunque disco del piano) possiamo far vedereche la proprieta integrale della media caratterizza le funzioni armoniche:

Teorema 18.5 In un aperto A di R2 una funzione reale continua u che gode della proprietaintegrale della media e automaticamente armonica.

DIM. Dato comunque un disco chiuso Dr(z0) ⊂ A, z0 = x0 + iy0, indichiamo con U lafunzione continua in Dr(z0) e armonica in Dr(z0) che vale u sulla circonferenza frontiera.In Dr(z0) la differenza u− U gode della proprieta integrale della media, e di conseguenzanon puo assumere ne massimi ne minimi locali. Dunque sia il massimo che il minimoassoluti di u − U in Dr(z0) sono assunti al bordo, dove pero la funzione e identicamentenulla. Ne segue che u coincide con U anche in Dr(z0), per cui vi e armonica. Abbiamocosı visto che ogni punto di A e il centro di un disco dove u e armonica, e questo mostrache u e armonica in A.

ut

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