[Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

44

description

nice one

Transcript of [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

Page 1: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo
Page 2: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

A quattordici anni ero educanda in un collegio dell'Appenzell. Luoghi dove Robert Walser aveva fatto molte passeggiate quando stava in manicomio, a Herisau, non lontano dal nostro istituto. E" morto nella neve. Fotografie mostrano le sue orme e la positura del corpo nella neve. Noi non conoscevamo lo scrittore. E non lo conosceva neppure la nostra insegnante di letteratura. A volte penso sia bello morire così, dopo una passeggiata, lasciarsi cadere in un sepolcro naturale, nella neve dell'Appenzell, dopo quasi trent'anni di manicomio, a Herisau. E" un vero peccato che non sapessimo dell'esistenza di Walser, avremmo colto un fiore per lui. Anche Kant, prima di morire, si commosse quando una sconosciuta gli offrì una rosa. Nell'Appenzell non si può fare a meno di passeggiare. Se si guardano le piccole finestre listate di bianco e gli operosi e incandescenti fiori ai davanzali, si avverte un ristagno tropicale, un lussureggiare tenuto alla briglia, si ha l'impressione che dentro succeda qualcosa di serenamente fosco e un poco malato. Un'Arcadia della malattia. Là dentro sembra che vi sia pace e idillio di morte, nel nitore. Un tripudio di calce e fiori. Fuori dalle finestre il paesaggio chiama, non è un miraggio, è uno Zwang, si diceva in collegio, un'imposizione. Studiavo il francese e il tedesco e cultura generale. Non studiavo affatto. Della letteratura francese ricordo soltanto Baudelaire. Ogni mattina mi alzavo alle cinque per andare a passeggiare, salivo in alto e vedevo uno spicchio d'acqua dall'altra parte, giù in fondo. Era il lago di Costanza. Guardavo l'orizzonte, e il lago, ancora non sapevo che anche su quel lago ci sarebbe stato un collegio per me. Mangiavo una mela e camminavo. Cercavo la solitudine e forse l'assoluto. Ma invidiavo il mondo. Fu un giorno durante il pranzo. Eravamo tutte sedute. Arrivò una ragazza, una nuova. Aveva quindici anni, i capelli diritti come lame, lucenti, gli occhi severi e fissi, ombrati. Il naso aquilino, i denti, quando rideva, e rideva poco, erano aguzzi. Una bella fronte alta, dove i pensieri si potevano toccare, dove generazioni passate le avevano tramandato talento, intelligenza, fascino. Non parlava con nessuno. Le sembianze erano di un idolo, sprezzante. Forse per questo desiderai conquistarla. Non aveva umanità. Sembrava anche disgustata. La prima cosa che pensai: era andata più in là di me. Quando ci alzammo, mi avvicinai e le dissi: «Bonjour». Il suo «Bonjour» fu rapido. Mi presentai, nome e cognome, come una recluta, e dopo aver sentito il suo sembrava che la conversazione fosse finita. Mi lasciò lì nella sala da pranzo, in mezzo alle altre ragazze che chiacchieravano. Una spagnola mi raccontò qualcosa con timbro vivace,

Page 3: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

ma non le badai. Udivo un brusio di varie lingue. Per tutto il giorno la nuova non si fece vedere, ma la sera era puntuale in piedi dietro la sua sedia. Immobile, sembrava velata. A un cenno della direttrice tutte siamo sedute e, dopo qualche attimo di silenzio, riprende il brusio. Il giorno dopo è lei che mi saluta per prima. Nelle vite di collegio ciascuna di noi, se ha un po'"di vanità, si costruisce la propria immagine, una specie di doppia vita, si inventa un modo di parlare, di camminare, di guardare. Quando vidi la sua calligrafia, rimasi senza parola. Quasi tutte le nostre calligrafie erano simili, vaghe, infantili, le o rotonde, larghe. La sua era completamente costruita. (Vent'anni dopo vidi qualcosa di simile in una dedica di Pierre Jean Jouve su un esemplare di Kyrie). Naturalmente finsi di non stupirmi, non la guardai quasi. Ma di nascosto mi esercitai. E ancora oggi scrivo come Frédérique, e mi dicono che ho una bella e interessante calligrafia. Non sanno quanto l'ho studiata. A quel tempo non studiavo, e non ho studiato mai, perché non ne avevo voglia, ritagliavo riproduzioni degli espressionisti tedeschi e cronache di delitti. E le incollavo in un quaderno. Le feci capire che mi interessava l'arte. Così Frédérique mi concesse l'onore di lasciarsi accompagnare nei corridoi e nelle sue passeggiate. A scuola era - mi sembra inutile dirlo - la più brava. Sapeva già tutto, credo dalle generazioni che l'avevano preceduta. Aveva qualcosa che le altre non avevano, non mi restava che giustificare il suo talento come un dono dei morti. Bastava sentirla in aula leggere i poeti francesi, erano scesi in lei, lei li ospitava. Noi eravamo forse ancora innocenti. E l'innocenza ha in sé forse una certa rudezza, pedanteria e affettazione, come se tutte noi fossimo vestite alla zuava. Venivamo da tutto il mondo, molte le americane e le olandesi. Una ragazza era di colore, oggi si dice, era una negretta, riccia, una bambola che ammiravamo nell'Appenzell. Un giorno il padre l'aveva portata. Era il Presidente di uno Stato africano. Una ragazza di ciascuna nazione venne scelta a fare da ventaglio davanti all'ingresso del Bausler Institut. C'era una rossa, belga, una bionda svedese, l'italiana, la ragazza di Boston, ognuna applaudiva il Presidente, erano schierate con le loro bandiere in mano, e davvero formavamo il mondo. Io ero in terza fila, l'ultima, vicino a Frédérique. Il cappuccio del duffle coat in testa. Davanti - se il Presidente avesse avuto un arco, la freccia l'avrebbe colpita al cuore - la direttrice del collegio, la signora Hofstetter, alta, massiccia, piena di dignità, il sorriso infossato nel grasso. Accanto a lei il marito, il signor Hofstetter, magro, piccolo e timido. Issarono la bandiera svizzera. Nella gerarchia, la piccola negra diventava la più importante. Era freddo, indossava un cappottino a

Page 4: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

campana azzurro, il colletto di velluto blu. Devo confessare che al Bausler Institut il Presidente nero fece la sua impressione. Il capo di Stato africano ebbe fiducia nella famiglia Hofstetter. Ci fu qualche ragazza svizzera che non apprezzò la pompa con cui il Presidente venne ricevuto. Dicevano che ogni padre deve essere uguale all'altro. Qualche educanda sovversiva si trova sempre, nascosta in un collegio. Sono le prime avvisaglie dei suoi pensieri politici, o di ciò che si potrebbe chiamare un'idea generale del tutto. Frédérique aveva in mano una bandiera svizzera, sembrava tenesse un palo. La bambina più giovane fece una riverenza e offrì un mazzo di fiori campestri. Non ricordo se la negretta trovò mai un'amica. La vedemmo spesso tenuta per mano dalla direttrice, che la portava a spasso, lei personalmente, la signora Hofstetter, forse aveva paura che la mangiassimo. O che non si mantenesse pura. Non giocò mai a tennis. Frédérique di giorno in giorno si faceva più lontana. Qualche volta andavo a trovarla nella sua stanza. Io dormivo in un'altra casa, lei stava con le grandi. Per una differenza di pochi mesi, fui costretta a stare con le piccole. Nella mia stanza c'era una tedesca, ho dimenticato il nome, tanto era senza interesse, mi regalò un libro sugli espressionisti tedeschi. L'armadio di Frédérique era ordinatissimo, io non sapevo come piegare i pullover in maniera che non un centimetro fosse fuori posto, e avevo un cattivo voto per l'ordine. Imparai da lei. Dormendo in due case diverse, sembrava che fossimo separate da una generazione. Un giorno trovai nella mia casella un biglietto amoroso, era una bambina di dieci anni che mi pregava di diventare la mia protetta, voleva fare coppia con me. D'impulso risposi di no, malamente, e ancora oggi mi dispiace. Mi dispiacque anche allora, sul momento, dopo aver risposto che non volevo una sorella, che non mi interessava proteggere una piccola. Avevo cominciato a essere sgarbata perché Frédérique mi sfuggiva e dovevo conquistarla, perché sarebbe stato troppo umiliante perdere. Guardai troppo tardi la piccola, dopo averla offesa. Era veramente carina, attraente, avevo perduto una schiava, senza gustarne qualche piacere. Da quel giorno la piccola non mi rivolse più la parola, né mi salutò. Come si vede, non avevo ancora imparato l'arte di mediare, pensavo ancora che per ottenere qualcosa bisognasse andare diritti allo scopo, mentre sono soltanto le distrazioni, la vaghezza, la distanza che ci avvicinano al bersaglio, è il bersaglio che ci colpisce. Eppure con Frédérique usavo una tattica. Avevo una certa esperienza della vita di collegio. Fin dall'età di otto anni ero interna. Ed è nei dormitori che si conoscono le proprie compagne, davanti ai lavabi, nelle ore di ricreazione. Il mio primo letto di

Page 5: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

collegio era circondato da tende bianche, una coperta di piqué bianco lo copriva. Anche il comodino era bianco. Una finta stanza, seguita da altre dodici. Una specie di casta promiscuità. Si sentono i respiri. La mia compagna di stanza del Bausler era una tedesca, brava e cattiva, come possono essere le ragazze stupide. Il suo corpo, nella biancheria candida, era piuttosto bello. Era già quasi formosa, ma sentivo una certa ripugnanza se inavvertitamente la toccavo. Forse per questo mi alzavo prestissimo la mattina per fare una passeggiata. Verso le undici, durante le lezioni, venivo presa dal sonno. Guardavo una finestra, e la finestra mi rendeva lo sguardo, facendomi assopire. Con Frédérique eravamo non solo in case diverse durante la notte, ma anche, durante il giorno, in aule diverse. A tavola non eravamo vicine, ma la potevo vedere. E lei finalmente mi guardava. Forse ero anch'io interessante. Mi attraevano gli espressionisti tedeschi e la vita, i delitti, che non avevo ancora vissuto. Le raccontai che a dieci anni avevo insultato una madre superiora dicendole «vacca». Che parola semplice, mi vergognai della mia semplicità quando glielo raccontai. Fui espulsa dal collegio. «Chieda perdono» dissero. Io non mi scusai. Frédérique rise. Ebbe la cortesia di chiedermi perché lo avevo fatto. E piano piano cominciai a parlarle di me quando avevo otto anni. Allora giocavo con i ragazzi al pallone e mi fecero entrare in un lugubre collegio. In fondo a un lugubre corridoio c'era la cappella. A sinistra una porta. Dentro, una madre superiora, diafana, delicata, che si prese cura di me. Mi accarezzava con le sue mani sottili e dolci, sedevo accanto a lei come fosse un'amica. Scomparve un giorno. Al suo posto, venne un'opulenta svizzera del cantone di Uri. Si sa, il nuovo potere odia le favorite di prima. Un collegio è come un harem. Frédérique mi disse che ero un esteta. Una parola nuova per me, ma che ebbe subito un senso. Da esteta era la sua calligrafia, questo lo capii. Da esteta era il suo disprezzo per tutto. Frédérique nascondeva il suo disprezzo dietro l'obbedienza, la disciplina, era rispettosa. Io non sapevo ancora fingere. Ero rispettosa con la direttrice Frau Hofstetter, perché la temevo. Ero pronta a inchinarmi davanti a lei. Frédérique non ebbe mai bisogno di inchinarsi, perché il suo modo di rispettare gli altri incuteva rispetto. E io questo lo osservavo. Una volta, forse per distrarmi dalle attenzioni che avevo per Frédérique, accettai un appuntamento con un ragazzo di un collegio vicino, il Rosenberg. Un breve appuntamento. Mi videro. La signora Hofstetter mi chiamò nel suo ufficio. Era larga come un armadio, un tailleur blu, una camicia bianca, una spilla. Mi minacciò. Le dissi che era soltanto un parente. Infatti: la madre del parente le aveva scritto apposta raccomandando che stessero attenti

Page 6: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

perché non lo vedessi. Finsi di piangere. Lei si commosse. Dove era andata tutta la forza che avevo a otto anni, la sicurezza, il mio controllo? A otto anni non c'era nessuna ragazzina che mi desse da pensare. Erano tutte uguali, tutte detestabili, meschine. Ancora oggi non riesco a dire che mi ero innamorata di Frédérique, è una frase molto facile da dire. Quel giorno, ebbi paura di essere cacciata via. Una mattina, le prime colazioni erano fragranti, intinsi il pane nella tazza. La direttrice, dopo aver battuto la mia mano che intingeva, mi fece alzare. A otto anni, avrei preso la tazza e l'avrei scaraventata sul viso della direttrice. Come si permetteva di offendermi? Frédérique mangiava tenendo i gomiti attaccati al busto. Mai un suo gomito si appoggiò sul tavolo. Disprezzava anche il cibo? Era così perfetta. Quando camminavamo insieme, ormai tutti i giorni, noi due, sole, qualche volta camminava davanti a me, e io la guardavo. Tutto in lei era giusto, armonico. Qualche volta mi metteva la mano sulla spalla e sembrava che dovesse durare così in eterno, tra i boschi, sulle montagne, nei sentieri, une amitié amoureuse, dicono i francesi. Mi accennò a un uomo. Io non avevo argomenti su quel tema, soltanto un mio parente. E una governante. Ma non era la stessa cosa. Una governante, una monaca, una compagna di collegio fanno parte di una unità. Frédérique accennò a un uomo come a una parabola compiuta. La sera, quando tornai nella mia stanza con la tedesca, riflettevo. Noi siamo forse esperte di donne, noi che abbiamo passato gli anni migliori nei collegi. E quando usciremo, poiché il mondo era diviso in due, maschile e femminile, conosceremo anche quello maschile. Chissà se avrà mai la stessa intensità? Chissà, mi domandavo, se conquistarli sarà così difficile come con Frédérique. Malgrado le passeggiate quotidiane con Frédérique, le confidenze, la tenerezza, sentivo che ancora non l'avevo conquistata. Il mio termine di paragone era la forza. Dovevo conquistarla, lei doveva ammirarmi. Frédérique non concedeva a nessuno la sua presenza, e qualche volta preferiva stare da sola che con me. E io mi annoiavo. Non leggevo, mi guardavo allo specchio, spazzolavo i miei capelli, cento colpi di spazzola, fingevo di amare la natura. Frédérique, avevo notato, non si guardava allo specchio. Come mi appassionavo con lei degli alberi, delle montagne, del silenzio e della letteratura. La vita per me si stava facendo un poco lunga. Avevo passato già quasi sette anni di collegio, e non era ancora finita. Quando si è là dentro, ci si immagina cose grandiose del mondo e, quando si esce, si vorrebbe qualche volta risentire il suono della campanella. E" curioso come nei collegi dove sono stata ci fosse una penuria di maschi nei dintorni. O vecchi o pazzi o guardiani. Nell'Appenzeli ricordo dei vecchissimi, storpi, una pasticceria e una fontana. Se si

Page 7: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

voleva un po'"di mondanità, si andava in pasticceria, non c'era mai nessuno, ma per la strada passava un vecchio. A lungo ho creduto che quelle che sono state in collegio, come Frédérique e me, e un giorno ce ne ricorderemo, possano vivere di niente, quando saranno invecchiate e deluse. Suona la campanella, ci alziamo. Suona ancora la campanella, dormiamo. Ci ritiriamo nelle nostre stanze, la vita l'abbiamo vista passare dalle finestre, dai libri, dall'alternarsi delle stagioni, dalle passeggiate. Sempre di riflesso, un riflesso che sembra raggelato sui davanzali. E forse talvolta vediamo un'alta figura marmorea stagliarsi davanti ai nostri occhi: è Frédérique che è passata nella nostra vita - e forse vorremmo tornare indietro, ma non abbiamo più bisogno di nulla. Abbiamo immaginato il mondo. Che altro si può immaginare, se non la propria morte? Un suono di campanella ed è tutto finito. Ma riprendiamo questa piccola storia. Frédérique mi descriveva il colore delle foglie, le nostre conversazioni le ricordo sempre circondate dalla frescura. La professoressa di letteratura francese l'ammirava, forse la considerava una Brontë. E detestava me. Voleva fare lei le passeggiate con Frédérique. Era una donna brutta, non conosceva altro che la letteratura francese, a cui era devota. Quando parlava, io sbadigliavo. Come ho già accennato, la vita per me si faceva un po'"troppo lunga. La letteratura da sola non mi distraeva, ma soprattutto dovevo prepararmi alle conversazioni con Frédérique. Avevo letto qualche frase di Novalis sul suicidio e sulla perfezione. «Ma che cos'hai?», «A che cosa pensi?» mi chiedeva. Finalmente mi ha chiesto a che cosa penso. Un punto a mio vantaggio. Pensavo a una cosa sola: entrare nel mondo. E mai lo avrei confessato. Nulla, rispondevo a Frédérique. Non penso a nulla. Qualche volta ho pensato a lei, mentre stavamo insieme a parlare, alla sua bellezza, alla sua intelligenza, a qualcosa che aveva di perfetto. Sono passati tanti anni e ancora rivedo il suo viso, un viso che ho cercato in altre donne, che non ho mai trovato. Era integerrima. Qualcosa di pericoloso. Non ho mai avuto la semplicità di dirglielo, né di confessarle la mia ammirazione, poiché dal primo giorno ho sentito, malgrado una certa mia inferiorità nei suoi confronti, che prima di legarci dovevamo superare certe fasi. Come in una battaglia. E dovevo conquistarla. Tutto era così alto e teso, si soppesavano le parole, il tono, la maniera, ci voleva un certo esercizio mentale. Mi domando se, dopo qualche settimana, invece di parlare, avessimo cominciato ad abbracciarci. Sarebbe stato impensabile. Non ci siamo mai date la mano. E l'avremmo trovato ridicolo. Si vedevano nei sentieri delle ragazzine tenersi per mano, ridere, «fare le amiche», fare le amanti. In noi, c'era una specie di fanatismo che ci impediva ogni effusione fisica.

Page 8: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

La professoressa di francese sembrava un uomo triste, soprattutto alla luce, vicino alla finestra, seduta dietro la cattedra. Mi interrogava. Non rispondevo. I suoi capelli erano ondulati, grigi, corti, le mani come quelle di un prete, congiunte. Nel suo sguardo austero c'era quasi un tentativo di mendicare, una supplica mai esaudita, oserei dire una purezza, la purezza degli sconfitti, che è un miscuglio di labile disperazione e testardaggine. Tengono duro. Insegnano sino alla fine, sul letto di morte. Leggono una penultima poesia. Mi interroga ancora alzandosi in piedi. Vuole picchiarmi? Ero vacua, una sorta di abulia mi aveva preso, come mi prendeva spesso verso mezzogiorno, erano passate sette ore della giornata, dalla mia passeggiata mattutina. Sette ore sono quasi le ore dei lavoratori, che ne vogliono meno. Mi disprezza. Si starà domandando perché mai Frédérique mi frequenti, lo sento dal suo sguardo. Forse lo capiva. Non riuscivo a leggere un libro, nell'armadio il mio scomparto era vuoto, sfogliavo i libri di Frédérique, ma tutto ciò che richiedeva un approfondimento andava al di là delle mie forze. Di forze, chiamiamole spirituali, me ne prendeva molte Frédérique, quando mi parlava di letteratura, in quei momenti ero davvero interessata, e dovevo essere all'altezza delle sue riflessioni, ma anche quando lei mi parlava avevo dei momenti di assenza. Frédérique cominciava a guardarmi. Sentivo il peso del suo sguardo sulla mia persona. O altrimenti come un pugno nella schiena, e mi giravo. Qualche volta, a tavola, coglievo il suo sguardo, allora mi tenevo più dritta, e mangiavo con molta distinzione. Non mangiavo quasi. Ma, alla prima colazione, anche se mi guardava, mi servivo di due o tre fette di pane con burro e marmellata. Devo anche confessare che non pensavo che alla prima colazione. E" stato in un momento di ingordigia e di distrazione che quella volta ho intinto il pane nel caffelatte. Credo che Frédérique abbia sorriso, di indulgenza suppongo. Ora chiedeva la mia compagnia e da lontano mi sorvegliava. Sin dal primo giorno ho voluto stare con lei, e stare con lei in realtà significava prendere la sua anima, diventare complici, disdegnando tutte le altre. Una specie di patto di sangue, una fratellanza. Questo dal primo giorno, dal momento in cui lei entrò in ritardo nel refettorio. Oppure dovevo sottostare a un rito che lei dirigeva. Un giorno mi disse che mi aveva notato subito, ma lo disse soltanto per farmi piacere, anche se non diceva nulla solo per far piacere. E" possibile che una volta abbia detto che ero bella. Certamente non avevo la sua eleganza. Lei portava gonne grigie, camicette larghe, pullover grigi, azzurri, blu polvere, larghi. Io avevo una serie di pullover aderenti e gonne ampie, strettissime in vita. Stringevo il più possibile la vita con cinture alte, come del resto facevano quasi tutte. E questo non è elegante. I suoi pullover

Page 9: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

larghi le scendevano sul corpo, nascondendolo, lasciando intravedere una figura adolescente, i fianchi stretti, il ventre incavato. Un pomeriggio d'inverno, eravamo sedute sulle scale, Frédérique mi prese le mani, e disse: «Hai le mani di una vecchia». Le sue erano fredde. Mi osservò il dorso delle mani: si contavano le vene e le ossa. Le voltò: erano avvizzite. Non posso quasi descrivere con quale orgoglio accolsi quello che per me era un complimento. Sulle scale, quel giorno, fui sicura di piacerle. Erano veramente delle mani da vecchia, ossute. Le mani di Frédérique erano larghe, solide, squadrate, da ragazzo. Tutte e due, al mignolo, portavamo la chevalière. Si può immaginare che ci sia un piacere fisico nel toccarsi. Mentre lei toccava la mia mano ed io sentivo la sua, fredda, quel contatto fu così anatomico che il pensiero della carne o carnalità ci sfuggì. Quell'inverno mi comperai un pullover largo e nascosi il mio corpo. Le mani da vecchia risaltavano di più. Frédérique era sempre gentile con tutti, non si lasciava andare agli umori, all'ombrosità. In questo io non riuscivo. Qualche rara volta sentivo invece l'impulso di picchiare la mia compagna di stanza. Lei era sottomessa, mi dava sempre ragione. Aveva le fossette. E non dimenticava mai di mostrarle. Un nasino all'insù. Avevo voglia di prenderla per il collo. Si sdraiava sul letto come un'odalisca, mezza nuda, la tedesca. Ci facevano recitare François Coppée. Con apprensione mi accorgo soltanto oggi che le iniziali di Frédérique erano le stesse dello scrittore. «J'étais à ma fenêtre et je pensais à vous devant le ciel d'été». Così cominciava la mia parte. «Un rossignol chantait et ses notes perlées montaient éperdument aux voûtes étoilées». La maestra era una suora, insegnava a recitare a tempo con il pianoforte. Il cognome di Frédérique significa «racconto». E, poiché il suo nome è racconto, mi lascio andare a pensare che sia lei a dettarlo, o a scriverlo, con il suo modo di ridere punitivo. Ho anche un inspiegabile presentimento che il racconto sia già stato scritto. Compiuto. Come le nostre vite. Per Sankt Nikolaus passammo tutto un pomeriggio fuori dal collegio. Nevicava. Eravamo silenziose. Entrammo nella pasticceria di Teufen. Il paese sembrava assorto, addormentato. Sapevo che Frédérique aveva, o aveva avuto, una relazione con un uomo. Continuava a nevicare, i fiocchi di neve fermi alle finestre. Frédérique mi annunciava che avrebbe fatto un viaggio con lui, per Natale. Seguivo con interesse i fiocchi di neve, Frédérique parlava sottovoce. Sapevo della sua relazione e certamente non le auguravo un idillio. E glielo dissi, prendendo una pasta. Non prendeva anche lei un'altra pasta? Ancora una tazza di tè. Non volevo confidenze, o confessioni. Avevo l'impressione che ci fosse qualcosa di tragico nel suo amore; la vidi

Page 10: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

testarda, determinata. Per un attimo pensai che non esistesse nessun uomo. Presi un'altra pasta. I fiocchi di neve fermi. Mi attraversò la mente il pensiero che Frédérique si stesse inventando un'altra vita. Di sfuggita, mentre parlava, mi parve di cogliere nel suo sguardo una strana luce, come i fiocchi di neve, folli e vani, che sembrano fermi nell'aria. Ebbi paura, volevo dirle di preservare se stessa, ma non sapevo da che cosa. I miei pensieri erano sospesi a metà, avevo l'impressione di un pericolo, del pericolo di vivere ciò che non esiste. Poi tutto tornò tranquillo, quel barlume di disordine si spense. Frédérique disse ancora che sarebbero andati in Andalusia, dove erano già stati. Mi chiese se ero mai stata in Spagna. No, mai. Ero stata dappertutto in Svizzera, in treno, perché mio padre prediligeva i treni e le coincidenze, i treni delle montagne. Era stata al Rigi? No, mai. Le dissi ancora il nome di qualche montagna. Il Gornergrat, la Jungfrau, il treno del Bernina. No. Frédérique parlava dei suoi viaggi come di un'altra persona. Nella pasticceria di Teufen cominciava a scendere l'ombra, come se anche la neve fosse un velario d'ombra. Fuori l'oscurità invernale. Fuori, l'aria gelida ci accompagnò a casa. La nostra casa è il collegio. Ogni sera, la mia compagna di stanza e io ci trovavamo ai lavabi. Una volta fui cordiale con lei, le cadde il pettine, prontamente mi chinai a raccoglierlo. Si pettinava prima di andare a dormire, come se andasse a un ballo. E forse ci andava davvero durante il sonno. Mostrando le sue fossette a tutti. Un canino le sporgeva dalla gengiva. Aveva un vestito di taffetas rosa che badava a non sgualcire. Qualche volta ero talmente convinta che andasse a un ballo che vedevo il vestito rosa appoggiato sulla sedia, ai piedi del letto, dove aveva piegato il suo mucchietto di biancheria. Solo in casi eccezionali poteva esserci un'ispezione nelle stanze. L'ispezione era al mattino, si aprivano tutti gli armadi: i nostri mucchietti di biancheria e pullover piegati dovevano avere l'aspetto di una muraglia. Come gli orientali, dovevamo conoscere l'arte di piegare la nostra roba. Qualche tempo fa sono stata a vedere una compagnia di teatro No. Finito lo spettacolo, mi trovavo dietro le quinte a salutare l'attore. Stava facendo la sua valigia, o meglio il suo fagotto. Piegava le sue vesti esattamente come facevamo noi negli armadi. Con lo stesso rigore e una sorta di sottomissione alle stoffe. Se avessi accettato di proteggere la ragazzina che mi aveva scritto il biglietto lasciandolo nella mia casella, l'ordine l'avrebbe fatto lei. Avrebbe considerato un onore piegare i miei pullover. Eravamo feticiste. Se avessi regalato un fiore a Marion, così si chiamava la piccola, l'avrebbe fatto seccare in un libro, doveva durare in eterno. Capita a tutti di comprare un vecchio libro e trovarci petali che, appena li

Page 11: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

tocchiamo, si sfaldano in polvere. Petali malati. Fiori da fossa. Il suo amore per me si disseccò all'istante, non lasciò neppure un po'' di polvere, non mi salutava più. Stracciai subito il biglietto affettuoso di Marion, come stracciavo subito le lettere, rare, di mia madre, o padre. La mia compagna di stanza teneva tutto in una scatola intarsiata di legno tedesco. Rileggeva le lettere, sdraiata sul letto, indolente. Dalla scatola emanavano gli aromi tedeschi, che non dovevano essere tenui, tanto lei ne aspirava l'essenza. C'era anche una serratura dorata, una minuscola chiave. Apriva quell'orrenda cosa con le sue mani votive, la tedesca. Quanto a me, ricevevo poche lettere. Venivano distribuite a tavola. Non era gradevole avere poca posta. Così cominciai a scrivere a mio padre, lettere insulse, dove non dicevo nulla. Speravo che stesse bene, come io stavo bene. Mi rispondeva subito mettendo sulla busta dei francobolli della Pro Juventute. Mi chiedeva come mai gli scrivevo tanto. Le sue lettere e le mie erano brevi. Ogni mese trovavo una banconota, l'argent de poche. Gli scrivevo perché sapevo che era l'unica persona che faceva quello che volevo, anche se la mia vita doveva sottostare alla volontà legale di mia madre. Dal Brasile lei dava i suoi ordini. Dovevo dormire con una tedesca, perché dovevo parlare tedesco. E parlavo con la tedesca, mi faceva dei regali, cioccolatini che mangiava in continuazione, gomma americana e libri d'arte. In tedesco. Con riproduzioni tedesche. Blauer Reiter. Anche la sua biancheria era tedesca. Eppure non riesco a trovare il suo nome nel casellario della mia mente; ragazze disperse nella memoria. Chi era? Era così un nessuno per me, eppure la sua fisionomia e il suo corpo mi sono presenti. Forse coloro che non abbiamo considerato, per uno strano gioco maligno, risorgono. Le loro fattezze rimangono ancora più impresse di quelle di coloro che abbiamo considerato. La nostra mente è una serie di loculi. I nostri nessuno sono presenti all'appello, creature ingorde, talvolta si ergono come avvoltoi sulle fisionomie di chi abbiamo amato. Una moltitudine di visi abita nei loculi, ricca pastura. La ragazza tedesca, mentre scrivo, sta disegnando, come in un commissariato di polizia, i suoi connotati. Qual è il suo nome? Il suo nome è scomparso. Ma non basta dimenticare un nome per dimenticare l'essere. Tutto è lì, nel loculo. Era evidente che avrei dovuto passare i miei anni migliori in collegio. Dagli otto ai diciassette. Prima mi avevano lasciato con una anziana signora, una mia avola. Un giorno decise che non sopportava più la mia compagnia, diceva che ero selvatica. Eppure a nulla somigliavo come al suo ritratto appeso nella sala da pranzo. Ed è per questo che cancellò la mia effigie dai suoi occhi. Oggi sto prendendo le sue sembianze. Anche lei è nel loculo. Con i suoi occhi

Page 12: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

indaco. Grazie a lei sono stata in molti collegi, ho conosciuto direttrici, madri reverende, superiore, Mères préfètes, ma nessuna aveva l'autorità della mia avola. Ho sempre sentito che potevo raggirarle, che il loro potere era temporaneo, anche se baciavo loro la mano. Successe in Italia, da monache francesi, dove ero, come al solito, interna. Ogni sera, prima di andare a dormire, sempre in camerate, salivo con le mie compagne una scala stretta. In alto, aspettava Mère préfète. Ogni sera, ci porgeva la mano sotto una lampadina all'ultimo stadio della luce, nel barlume delle scale strette, prima di entrare nel chiarore notturno dei dormitori. Le baciavamo la mano, in fila, una dopo l'altra. Poi ai lavabi e a letto, nei dormitori placati. Le lenzuola sembravano rigide. Fuori, se ci sono la luna e le stelle, è un deserto visionario. Ci avevano insegnato a fare la riverenza, se non sbaglio, in quattro tempi, quando ci trovavamo al cospetto della reverenda madre superiora. Non so che sapore avesse la pelle della reverenda Mère préfète, ma quel gesto di sottomissione lo facevo con esemplare automatismo, lo trovavo naturale e mi piaceva soffermarmi a guardare l'insieme, la fila delle compagne. Pur tenendole la mano fra il pollice e l'indice, le mie labbra non la sfiorarono; una specie di disgusto per la fraternità carnale si insinuò in me. Gli occhi della Mère préfète erano azzurri come i laghi alpini all'alba, infantili e velenosi. Era talmente una fin de race che le sue palpebre erano diventate di biacca, generazioni di mendicanti devono aver baciato le mani dei suoi avi, prima della ghigliottina. Avevano un taglio orientale, la fronte era coperta dal velo, e il velo dona alle donne, anche alle donne anziane. Dà maestà e mistero. E menzogna. Nel suo corpo c'era qualcosa di molle, di faisandé. Quel suo avvicinarsi alla polvere, alla cenere, e la veste imperiosa color crema, cospirante con la rigidezza che apparteneva al suo stato, la facevano sembrare una gran dama dei sepolcri. La sua voce era a volte querula, estremamente giovane, come possiamo immaginare fossero le voci dei castrati. Lì, dalle monache francesi, mi apparvero senza attenuazioni le differenze di classe. C'erano le suore con una veste scura, erano le umili, le senza dote, le povere che dovevano fare i lavori pesanti, a loro ci si rivolgeva dicendo «suora». E potevamo anche essere sprezzanti. Le reverende le trattavano dall'alto in basso, con un candido sorriso di burro. E in quel collegio sapevamo chi di noi era la povera o orfana. Ce n'era una che non pagava la retta, e faceva piaceri, mostrava piccole attenzioni per la Mère préfète. E forse spiava. Eravamo gentili con lei, era di una famiglia decaduta, aveva occhi di seta azzurra e gialla. Era bionda e veniva dal Sud; un

Page 13: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

folletto molesto, perché era una spia. Spia, supponevamo, per necessità. Noi avremmo potuto darle molto di più delle madri reverendissime, ma lei era incline alla subordinazione al potere. Ci sono creature che nascono così. Abbiamo tentato di avvicinarla a noi, ma non se ne curava. Avrebbe dovuto essere più alta, i polpacci erano vicini alle caviglie, le mancava lo slancio nella figura, seduta era squisita, i colori del viso e i capelli donavano al suo volto piccolo di porcellana un poco ruvida. Era un'anziana educanda, tenuta per carità. Aveva più di diciotto anni, e questo era triste. Praticava il suo mestiere di povera, a noi sembrava una professione, assai bene. Dava un valore alla sua povertà, come altri potrebbero darne alla dissipazione. Era davvero posseduta dal suo stato di indigenza, non le rimaneva che se stessa, e non era poca cosa, poiché in lei fermentavano gli aromi della servitù, quasi fosse una vocazione. Come erano piccoli e scivolosi i suoi piedi quando svelta svelta andava su e giù per il corridoio, e come sapeva scomparire, quando la reverenda la chiamava bisbigliando appena il suo nome. Le reverende parlano sempre a voce bassissima. E come stava nella cappella, ortogonalmente genuflessa. I grandi occhi ben si adattavano a contemplare il crocefisso. Se non fosse stata una delatrice, avremmo benevolmente creduto alla sua magnanima devozione e obbedienza. Al Bausler Institut non si bacia la mano della signora direttrice. E" la signora Hofstetter che talvolta finge di baciarci le guance. Tocca con la sua guancia la nostra e, anche se quel gesto non ha nulla a che fare con un bacio, è mostruoso lo stesso. Non so come faccia la piccola negretta a resistere. Lei viene baciata veramente, l'abbiamo visto. E non dà affatto l'impressione, la piccola, di aver bisogno di affetto. Il suo sguardo sta cambiando. Non è più quello di una bambola, sta perdendo quella profondità che hanno i giocattoli, quella impassibile, fatua rigidezza, quel sopore di infanti beati. Nel sopore siamo invischiate quasi tutte. In particolare un gruppetto di adulte. Nel primo trimestre erano pigre, neghittose e stentavano a parlare in tedesco, avevano avuto già la loro vita a Kiruna o non so dove, erano delle quasi maritate, troppo adulte per il Bausler. Nei collegi, almeno in quelli dove sono stata, si protraeva, quasi sino alla demenza, un'infanzia senile. Noi sapevamo perché quelle ragazze grandi, di spossata vivacità, nelle ore di ricreazione stavano sedute, come in attesa, a bisbigliare tra di loro o a curarsi la pelle. Erano la consorteria delle vissute; avevano già dato se stesse al mondo, o almeno così pretendevano. Il primo giro si era concluso e gli altri giri ronzavano come aureole sulle loro teste dorate. Erano le vecchie. «Non potrebbe cambiarmi la stanza? Vorrei dormire nella casa delle grandi». La signora Hofstetter mi aveva salutato garbatamente,

Page 14: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

chiedendomi se anche quel giorno avrei fatto la passeggiata con la mia amica Frédérique. La sua voce sembrò sedersi nel pronunciare la parola «amica». Dunque, per la direzione Frédérique ed io formavamo una coppia. «Siamo soddisfatti che lei abbia trovato un'amica. Ma lei non cambierà di stanza. E" stato stabilito così dall'inizio. Dal Brasile giungono le lettere di sua madre e anche sua madre è soddisfatta della sua compagna di stanza». Le soddisfazioni devono ristagnare. I suoi occhi guasti, la cipria e il tailleur blu con spilla si avvicinarono. Accarezzò con un gesto vago la mia testa. In alcune donne la carnagione si screpola con il trucco. «Danke, Frau Hofstetter». Bisogna sempre ringraziare, anche quando c'è un diniego. Nell'educazione si impara a ringraziare con il sorriso. Un sorriso maledetto. Vi è in qualche modo una fisiognomica da morgue nei visi delle educande. O un qualche sentore di morgue anche nella più giovane e avvenente fanciulla. Una doppia immagine, anatomica e antica. Nell'una, essa corre e ride, e nell'altra giace in un letto, coperta da un sudario di trine. E" la sua stessa pelle che lo ha ricamato. Marion, la più avvenente, bambina di carattere, guarda con occhi cattivi la ragazza che l'ha rifiutata, civetta con tante, non ha ancora pescato la sua padroncina. E" conscia senza scrupoli della sua bellezza. Deve avere dodici anni, forse di più. E" un oggetto di piacere. Noi non lo siamo. Abbiamo già le piccole malattie dell'adolescenza. Lei no. E" uno smalto, Marion. I suoi occhi li troviamo nei camposanti, accanto a una pietra tombale: c'è uno stelo e sullo stelo un'iride viola. Anche la signora Hofstetter l'ha notata. Marion non ha ancora fatto la sua scelta, mi è sembrato che stesse parlando con Frédérique. Frédérique non suscita simpatie: ma è rispettata. A tavola non parla quasi e, dopo le lezioni, se non è sola, sta con me. E" ridicolo che io dorma nella casa delle giovani. E" la casa di chi non è valutata grande, magari solo per qualche mese di differenza. Siamo giovani sino ai quindici anni. Frédérique, che ne ha quasi sedici, è adulta. Può spegnere la luce un'ora dopo di noi. Frédérique dorme sola. Con il suo armadio in ordine, la biancheria piegata come i lini sacri, i pensieri piegati anch'essi, nella calce notturna. Le do la buonanotte, lei non viene nella mia stanza, nella nostra, mia e della tedesca. Neppure se la tedesca non c'è. Ma la tedesca è sempre distesa sul letto, si conserva per la sua vita futura, non affatica la sua adolescenza. Se dal Brasile sono contenti che sia così, così sia. Prendo anche lezioni di pianoforte. Qualche volta penso che suono a quattro mani, le altre due sono le mani di chi scrive le lettere dal Brasile. Verso la fine del primo trimestre ci fu il concerto di Natale. Il 17 dicembre. Frédérique suonò il pianoforte. Beethoven,

Page 15: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

Sonata Op. 49, n. 2. Fu applaudita. Nella sala ci fu un silenzio tombale, trattenuto. La direzione ai primi posti, le professoresse, la negretta. Frédérique entrò come un automa, suonò con una certa passione, si inchinò come un automa, e gli applausi non sembrarono sfiorare le sue orecchie. E" stata una grande pianista, quel giorno prima di Natale, Frédérique? Io credo di sì. Il suo modo di apparire colpiva. Era senza emozione, senza vanità, senza modestia, come se seguisse le sue spoglie. Afferrò i suoi polsi e le mani suonarono. Impassibile, ma negli occhi e nella bocca qualcosa aleggiò di fuggitivo. Una violenza dell'anima per una rara volta trasfigurò il suo viso, pur immobile. Frédérique tornò al suo posto. Considerai che fosse ancora di più di ciò che pensavo. C'è qualcosa di assoluto e di imprendibile in certi esseri, sembra una lontananza dal mondo, dai vivi, ma sembra anche il segno di chi subisce un potere che non conosciamo. Mi sentivo sconvolta. Avevo ascoltato un giorno Clara Haskil. Ero in prima fila, non volevo perdermi nulla della vecchiezza di Clara. Frédérique non mi chiese mai come aveva suonato. Tentai qualche complimento, ero ancora emozionata, «ce n'est rien», e non ne parlammo più. Mentre sto scrivendo, accendo la radio e suonano un concerto di Beethoven. Mi domando se Frédérique non mi stia perseguitando mentre scrivo di lei. Spengo la radio. E torna il silenzio. Sono finiti gli applausi. Frédérique accenna un inchino, piega il capo, torna a sedersi al suo posto, in prima fila, accanto alla direzione, alla bambina negra. Per un attimo penso che la piccola sia l'antenata di Frédérique. La sera, a letto, sentivo ancora gli applausi per Frédérique. La mia compagna di stanza si limava le unghie. Questi momenti sembrano lunghi, l'attesa notturna quando, prima di addormentarsi, bisogna invitare un sogno. Curate e levigate le unghie, la mia compagna dice: «Gute Nacht». Posa le mani fuori dalle lenzuola per farle vedere, quando sarebbero venuti a invitarla al ballo. Si consegnava agli incontri notturni sorridente, con le fossette. Veniva da Norimberga, dove il padre era in una qualche GmbH. Aveva appena fatto in tempo a vedere i tedeschi marciare al passo dell'oca e i gerani alle finestre. Non parlammo mai della guerra, né della distruzione della sua città, poi risorta. Era dunque cresciuta sulle rovine, la piccola danzatrice notturna. Aveva anche lei una casa con i gerani che incurvavano le foglie appena passava la Wehrmacht. Sfilavano sotto la sua finestra i guerrieri, sua madre la teneva in braccio - un fagottino con la cuffia e i nastri. E la madre gettava fiori come sul palcoscenico di un teatro? Sono domande che avrei dovuto fare allora, quando dormivamo nella stessa stanza, ed erano passati così pochi anni dalla fine della guerra. La parola «Krieg» non fu mai pronunciata dalla ragazza tedesca. E

Page 16: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

neppure nazismo, né Hitler. «Hai conosciuto Hitler?» avrei potuto chiederle. La presenza della ragazza era un fatto ottico, conoscevo il suo corpo come l'illustrazione di un libro, come conoscevo il mio armadietto quasi vuoto, sapevo che c'erano in fondo una matita e un quaderno. Una lettera, un avanzo di ricordo, un fazzoletto, una chiave. L'armadietto, la cara piccola morgue dei nostri pensieri. Con un numero. Le piccole cose che erano considerate importanti, che potevamo anche non chiudere a chiave. Tutto è facoltativo. Ci dava l'opportunità di usare una chiave, la direzione. Era un simbolo. Un simbolo faceva parte della retta elevata. Ma non si insisteva sui simboli, quelli sono gratuiti. Non ho mai usato la chiave. Non perché disdegni il simbolo: così come non avevo passato, non avevo segreti. Frédérique vede che il mio armadietto è vuoto, aperto. Non possiedo nulla. Molte possiedono diari. Con le borchie. Con le chiavi. Pensano di possedere la loro vita. La mia compagna di stanza ha una bella voce, è intonata. Anche durante la guerra doveva avere un bel timbro, insieme a tante bambine, così intonate. Oggi penso a lei e ai diari chiusi a chiave come a dei morti, quasi non distinguendo tra un essere umano e la carta e la calligrafia. Mi sembra, come per i morti, di aver lasciato in sospeso qualcosa, una conversazione, e quella conversazione continuiamo a tenerla, rivolgendoci agli scomparsi, anche se una certa smemoratezza ci accompagna nel vegliare le conversazioni mancate. Se i loro visi si dimenticano, se alcuni tratti sbiadiscono, come se fossero stati dipinti, rimangono solo le voci, una specie di monologo, che crediamo senza risposta. Ma, da qualche parte, rispondono. O per dispetto stanno zitti. Come educande testarde che non parlano. Noi continuiamo a parlare. Ci accorgiamo di muovere le labbra, senza interlocutori. Del resto esiste un modo di pensare senza parole? Come se l'umanità fosse un abecedario e ogni esistenza formata da lettere. Non vorrei dilungarmi in questo genere di considerazioni, che in qualche modo proseguono i discorsi con Frédérique. In parte argomenti a cui non avevo mai pensato. Avevo una certa furia di vivere nel mondo, e gli aloni della morte riguardavano solo il passato. Il futuro erano i cancelli che si aprivano e i muri che diventano tappeti. Frédérique parlava da sola. L'ho vista muovere le labbra e fissare qualcosa di simile al vuoto. Ma come si rappresenta il vuoto? E" forse la contraffazione di ogni luogo originario? Obbedienza e disciplina scandivano l'ordine, al Bausler Institut. Frédérique, giorno dopo giorno, ne dava il buon esempio. Per distrazione si può dimenticare di salutare la direttrice, incontrandola in un corridoio. E" permesso, forse anche in un regime autoritario, essere assorti. Frédérique, che sembrava perennemente

Page 17: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

assorta, non dimenticava mai di salutare, di chinare il capo davanti alla direzione. Chinava il capo anche davanti al signor Hofstetter, il marito della signora, che se ne stava un poco in disparte e teneva la contabilità. Aveva una doppia vita, Frédérique? Le sue conversazioni con me non solo erano profonde, e qui accennerei che talvolta mi debilitavano, ma certe sue idee, forse per l'estrema libertà con cui ne parlava, non erano di stretta e pacata ortodossia. Ero ignorante, come ho già detto. Frédérique mi dava l'impressione, e so che questa parola fa sorridere, di una nichilista. Questo me la rendeva ancora più affascinante. Una nichilista senza passione, con la sua risata gratuita, quella della forca. Avevo già sentito quella parola in casa, durante una vacanza, detta con disprezzo. Quando Frédérique mi invitava a quel genere di conversazione, che del resto ammiravo, regnava un'aria di punizione, una mancanza di leggerezza, non era frivola. Il suo viso si levigava, la carne che ricopriva le ossa diventava tagliente. Pensavo a lei come a una mezzaluna, in un cielo d'Oriente. Mentre dormono, lei falcia le teste. Era eloquente. Non parlava di giustizia. Né del bene e del male, argomenti che avevo sentito dalle insegnanti e dalle mie compagne da quando avevo messo piede nel primo collegio a otto anni. Sembrava che parlasse di niente. Le sue parole volavano. Non aveva ali ciò che rimaneva dopo le sue parole. Non pronunciò mai la parola Dio, e quasi non riesco a scriverla, per il silenzio con cui lei la circondava. Parola pronunciata quotidianamente negli altri collegi, da quando avevo otto anni. E forse non è una parola. Qual è la differenza fra un nome e una parola? Frédérique mi stancava. Anche sui prati, nei boschi, anche quando fingevo di osservare le grinze delle foglie, quando non ancora secche le tormentavo, o mi inquietavo per le formiche. Lei si arrotolava la cartina per le sue sigarette aromatiche. Rimandavo qualsiasi pensiero serio alla mia entrata nel mondo, temporeggiavo. Frédérique mi trovava distratta. Era il mio settimo anno di internato. Non come lei, che era al primo. Una neofita. E forse aveva già avuto qualche storia, o simpatia, poiché non era mai stata in collegio, e fuori la scelta è più ampia, come in un mercato. Frédérique era violenta. Io ero violenta solo - non so trovare altro termine - carnalmente. Anche se ero già grande, la lotta fisica non mi sarebbe dispiaciuta. Avrei potuto prendere per il collo la mia compagna di stanza, la tedesca. Il suo collo languido si offriva, ma ero educata. Solo per gioco: avventarmi su di lei, per misurare la forza delle mani. «Tu es un enfant». Ero «un enfant» perché volevo uccidere solo per gioco? Le idee sono la forza, diceva. Le rispondevo che questo lo sapevo anch'io, e chi ne dubitava. Ma anche gli

Page 18: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

esercizi fisici sono importanti. E" un addestramento, le dicevo. Le davo ragione, dopo qualche schermaglia. Voltavo la testa, le sue sigarette avevano un aroma troppo intenso. Ma che tabacco teneva mai nella sua scatola d'argento con le iniziali? Viene dalla Spagna. Dal Sud. E, poiché vedevo ciò che mi raccontava, vedevo le coste della Spagna e il mare toccare il prato, scendeva da una barca un moretto con turbante, come quelli che si vedono nelle vetrine degli antiquari su una colonna, vivi dietro il vetro, a porgerle il pacchetto. Lei è a piedi nudi. Un'ampia veste la copre, in quei luoghi del Sud, dove non ero mai stata. Ma, supponevo, neppure lei. «Il possessore di una cosa è colui che la tiene effettivamente in suo potere». Mi guardò con stupore, sembrava colpita, mi chiese una spiegazione. Le dissi che era il codice civile svizzero. Soltanto la legge. Poi si tornava al Bausler, le conversazioni venivano murate. Lei riprendeva la sua apparenza di educanda perfetta, di lei la direzione si poteva fidare, un popolo si sarebbe fidato di lei, anche se il popolo non si fida, ma segue. Frédérique non teneva alla sua vita. La studentessa Frédérique non riscuoteva le simpatie delle sue compagne, non mi sembra di aver notato una ragazza avvicinarsi a lei e parlarle per più di cinque minuti. La sua casella era senza biglietti. La evitavano per rispetto. Se l'avessi notata con qualcuno, avrei avuto anche l'opportunità di intravedere chi poteva eventualmente interessarla e, poiché la tenevo sempre sotto controllo, potrei, con una certa gioia maligna, concludere che le interessavano più le idee che il genere umano. Anche se in collegio non si può parlare di genere umano. A tavola, qualche volta, la sentivo ridere, con la sua risata gratuita, che mi perseguitava anche di notte. Mi voltavo e tutti i visi erano seri. E" inutile che io insista nel dire che nessun'altra ragazza mi interessava e, dopo questo, potrei rispondere a un interrogatorio, ammettere che forse ero innamorata di Frédérique. Non si parlò mai di amore, come invece è abitudine nel mondo. Ma avevamo la certezza che fosse prestabilito. Non parlammo mai di cose personali, della nostra famiglia, di soldi, o di sogni. Sapevo che suo padre era un banchiere di Ginevra. Una famiglia protestante. (Anche la mia. Non quella del Brasile). Nulla di sua madre. Non vennero mai a trovarla. Sembrava che Frédérique avesse un segreto. Non ho indagato. Ormai verso la fine del primo trimestre eravamo unite, non avevo più bisogno di cercarla o di bussare alla sua porta e dire: «Je te dérange?». Dal Brasile arrivavano altri ordini, altre missive: si auspicava che la studentessa X. trovasse finalmente delle amiche. Cresceva troppo sola e selvaggia. Questo mi comunicò la direttrice, signora Hofstetter, come fosse la tenutaria di un'agenzia di collocamento per

Page 19: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

anime solitarie. E aveva risposto: la studentessa (io) aveva come amica la migliore di tutta la scuola, una ragazza di grande talento e anche pianista. Forse diventerà una Brontë e il Bausler Institut sarà fiero di averla avuta come studentessa. X. non poteva scegliere meglio. Tutti la ammirano, e lei accetta con modestia e semplicità gli elogi. Sarà senz'altro positiva questa amicizia. X. studia sempre poco, è svogliata, ma ha fatto qualche progresso nella letteratura francese. La direttrice evitò di precisare che la studentessa in questione parlava francese, e non tedesco, come era stato ordinato dal Brasile. Ma omettere non è mentire. Frédérique sapeva delle mie passeggiate mattutine. Ogni giorno mi alzavo alle cinque, la mia compagna di stanza dormiva. Il collegio era avvolto da un vento sotterraneo, la vita marciva, oppure si rigenerava. Senza far rumore, passavo vicino al suo letto per andare nel bagno, un piccolo spazio con due ampi lavabi, uno per la tedesca, l'altro per me. Tante volte ci siamo lavate insieme. Frédérique non riusciva a lavarsi con la sua compagna, facevano il turno. Ma ora Frédérique dorme sola. Le hanno dato, poiché meritevole in tutto, una stanza per lei. Per me era indifferente, non consideravo il lavarsi insieme troppo intimo, o degno di nota, o sgradevole. Era difficile pensarlo, quando ci si vestiva e svestiva sempre davanti alla propria compagna, e lo si era fatto per molti trimestri che sono diventati anni. Ci lavavamo anche i piedi nel lavabo, ma neppure i piedi Frédérique poteva lavarseli con la sua compagna. Noi ci lavavamo molto in fretta, un po'"come i militari, o gli ergastolani. Per le docce, che erano in comune, bisognava fare la fila. Sarebbe stato comunque difficile fare dei turni con la tedesca, si lavava in continuazione o stava a lungo a guardarsi nello specchio sopra ai lavabi. E parlava agli specchi. Si sa, loro rispondono. Inoltre, al lavabo chiacchieravo di più con la mia compagna tedesca, in quei momenti mi era quasi simpatica, con la sua pelle profumata, il polpaccio un poco grosso. Devono aver sforzato le sue gambe facendola camminare in montagna, ho visto bambine trascinate con furia, sino alla vetta. La sua caviglia era sottile, ma aveva ancora qualcosa di rozzo e robusto, come di un Bursch, glielo dicevo in tedesco, di un garzone. Di notte mi dava l'impressione che si preparasse per un ballo, però l'avrei anche vista andare a caccia con i calzoni di pelle. Frédérique ascoltava le mie descrizioni, poiché non potevo fare a meno di parlare dei corpi, con un'aria interrogativa e seria. Vedi dei mostri dappertutto, diceva. Vedevo sembianze che non si lasciavano cancellare. Quando le raccontai del corpo della direttrice - le sue gambe magre che si allargavano all'inguine, l'ampia muscolatura del torace -, si mise a ridere. Rideva, Frédérique?

Page 20: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

Teorizzava che dovevo avere delle repulsioni. Diceva che ero un'asceta dei corpi femminili. Le raccontai che negli anni passati, sempre in collegio, una ragazza si era infilata nel mio letto. I suoi seni stavano nascendo, erano ancora dei muscoli. Aveva caldo, la buttai fuori, cadde come un sacco. «Tu es un enfant» diceva ancora Frédérique. Non sapevo quasi nulla della guerra, sapevo che le cantine della nostra villa erano state riempite di provviste, nel caso ci fosse un'invasione tedesca. Erano anche un rifugio per settanta persone. Negli anni Cinquanta le provviste non erano ancora esaurite. Nessuno dei miei familiari, con i quali passavo a turno le vacanze, trovò mai il tempo né la voglia di spiegarmi la storia del mondo e delle sue iniquità. Io non chiedevo. Ero spesso distratta. Distratta da niente. Con Frédérique dovevo continuamente concentrarmi su cose precise. Molte ragazze avevano avuto delle passioni o inezie amorose o erano state a dei balli. Io avevo ballato solo negli alberghi, al MontCervin di Zermatt, al Rigi Kaltbad, a Celerina, a Wengen, con dei vecchi signori che mi invitavano per cortesia verso mio padre, il quale non ballava. Ma più che ballare partecipavo ai giochi, con il vestito per la sera mandato dal Brasile e le scarpe di vernice nera. Giochi funesti, tenevo una specie di canna con attaccato un cerchietto che bisognava infilare in una bottiglia. Mio padre e io eravamo così soli, talvolta la sera ci distraevamo nella Stube. E, anche lì, aspettavo di entrare nel mondo. Tristemente, quasi senza impazienza. Il tempo era fuori squadra. Questo non lo potevo raccontare a Frédérique. Anche se forse non aveva vissuto così tanto come sembrava, bastava il suo tono e una certa intensità per farlo credere. Avrebbe potuto scrivere un romanzo d'amore con la secchezza del cuore, come una vecchia che ricordi. O una cieca. Qualche volta le sue pupille rimanevano fisse e non osavo interromperla. «Tu rêves». Non sognava. Si preparava una sigaretta e con la lingua la chiudeva. Nelle ore di libertà stavo spesso nella sua stanza, quasi sempre in piedi. Lei non si sdraiava sul letto come la mia compagna di stanza, non si toglieva il pullover come la tedesca, che aveva caldo. Era in ordine, Frédérique, ossessivamente ordinata come i suoi quaderni, come la sua calligrafia, come i suoi armadi. Ero convinta che fosse una tattica per passare inosservata, per nascondersi, per evitare di mescolarsi alle altre, o semplicemente per mantenere le distanze. «Tu es possédée par l'ordre». Mi rispose sorridendo: «J'aime l'ordre». Capivo quei bambini che si buttavano dall'ultimo piano di un collegio tanto per fare qualcosa di disordinato, e glielo dissi. L'ordine era come le idee, un possesso, una possessione. Avrei voluto conoscere suo padre, ma morì.

Page 21: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

Mele e pere sui rami dell'Appenzell, pascoli e fili spinati. Un bambino con un velo di pizzo di San Gallo appeso alla schiena. Su una casa la scritta: «Sopportare in pace la fortuna». La mattina presto, camminavo sulla collina. Da lassù osservavo i miei domini mentali. Era il mio appuntamento con la Natura. Salivo ancora più in alto, e in fondo, all'orizzonte, vedevo il lago di Costanza. Dove sarei poi andata, ospite di un altro collegio, in una piccola isola, di cui ogni giorno avrei fatto il giro, sino al faro, in fila a due a due. Può sembrare ossessivo, quel giro, ogni giorno dall'una alle tre, anche i monaci fanno il giro del chiostro, il giro degli occhi. Mi domando che cosa può non essere ossessivo. Era un idillio, un idillio ossessivo. Nel collegio dell'isola - un internato religioso - una ragazza leggeva ad alta voce durante i pasti. Quando la voce taceva, Mater dava il permesso di parlare. Si rientrava nella paganità. All'improvviso le voci, il ritmo delle posate. Le tedesche parlavano, ridevano, mangiavano, si servivano due volte delle porzioni, anche della Blutwurst. Mi servivo due volte del dessert, il rabarbaro. Là non c'era sangue. La parola più in uso era freilich. Posso fare questo, mi dà il permesso? Ja, freilich. Freilich. («Certamente», voleva dire, ma anche: «liberamente»). Mater Hermenegild, si chiamava. Era lieta, giocava con noi. Mater nel cortile alzava le braccia con gioia e forza nel prendere il pallone e sapeva correre. Potevamo fare quel che ci pareva, nell'isola. Mai però uscire sole. Stare sempre insieme. Se possibile a due a due. In numero pari. L'asociale veniva fiutata subito dalle compagne. Quando pioveva, si stava tutte in una stanza. Si ascoltava la radio. Alcune leggevano. Un Krimi Roman. Altre guardavano, perdute, appannate. Le più adulte, tedesche, cucivano. Merlettaie bavaresi. Mater Hermenegild sorvegliava. Sorvegliava la libertà. Oziava chi non era in letizia. Le sale da bagno davano su un vicolo angusto e senza luce e un muro. L'acqua era già pronta per noi. Molto calda. Mi sembrava di entrarci vestita. Le chiese erano due, cattolica e protestante. Sul lago di Costanza c'era libertà di culto. Tanto per cambiare, andai in quella protestante. Anche se dal Brasile l'ordine era: chiesa cattolica. Lei ordina, io obbedisco, i trimestri sono guidati da lei, è tutto scritto nelle lettere e nei francobolli, campane senza suono. Dispacci. Anche Frédérique dormiva quando facevo le mie passeggiate. Sui prati scoscesi volavano bassi i corvi, deformi, vanagloriosi, crudeli. Li avevo paragonati alla nostra adolescenza, mentre cercavano, nella terra intorno al collegio, dove mettere gli artigli. In mezz'ora ero già in alto, respiravo a pieni polmoni l'aria fredda. L'universo mi parve muto. Non volevo Frédérique, né pensavo a lei. Di notte leggeva, forse si era addormentata da poco. Il mattino era un

Page 22: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

po' rigida, gli occhi cerchiati. Lassù mi sentivo in uno stato che si potrebbe chiamare anche malafelicità. Esigeva la solitudine, era uno stato di ebbro e tranquillo egoismo, una vendetta felice. Mi sembrava che quella ebbrezza fosse un'iniziazione, e il malessere della felicità dovuto a un apprendimento magico, a un rito. Poi, si guasta. Non provai più quella particolare sensazione. Ogni paesaggio costruiva la sua nicchia e vi si rinchiudeva. Scendevo di corsa, ero di nuovo nella mia stanza, la tedesca non aveva ancora spalancato la finestra, i suoi sogni, per quanto lievi e leggiadri, appesantivano l'aria, e forse i suoi cavalieri, che la invitavano al ballo, afferrando le sue mani votive, respiravano anch'essi. Con quelle mani aveva appena finito di vestirsi, la camicetta ancora sbottonata, non aveva voglia di andare in classe, lo diceva il suo sguardo assonnato e sincero. Lei era una di quelle ragazze che avrebbero dovuto fare un'altra vita. Era diligente, piena di buona volontà, la buona volontà che avevano i suoi genitori, che però erano più laboriosi. Il suo sorriso, fragile e idiota, affettuoso, mostrava inermità di fronte ai doveri scolastici. Dall'aria tiepida della stanza si lasciava accarezzare, era docilmente sensuale, faticava a imparare a memoria due strofe e talvolta a capire. Aveva accertato una volta per tutte che alla ragazza con cui dormiva interessavano gli espressionisti tedeschi, che di conseguenza stavano diventando una calamità: per farle piacere le regalava libri e cartoline. Era una di coloro che non dimenticano mai un concetto acquisito. Quando qualcosa le entrava in testa, magari con ritardo, non poteva che ripeterlo. E c'era in lei anche un'infanzia ritardata, non quella mostruosa e poetica, ma posticcia, pigra. Lenta nel vestirsi, quando tornavo dalle mie scorribande mattutine il suo letto era ancora caldo. L'amica che si era scelta le somigliava: una ragazza bavarese, figlia di un capo d'azienda, figlia unica. Si frequentavano dopo le lezioni, verso le cinque. Alle sei, la mia compagna tedesca era già nella stanza. Talvolta il suo sguardo vagava sul soffitto. Ebbe una lettera in cui si diceva che un suo cugino stava morendo. L'agonia durò per qualche settimana, ricevette molte lettere. Durante quel periodo, la tedesca sembrò risvegliarsi dal suo torpore. Fantasticava sull'agonia, e intanto stringeva con un nastro rosa le lettere; rifaceva il nodo, aveva stretto troppo, buttò via le buste, poi le raccolse, le stirò, le aggiunse alle lettere, tirò il nastro, rifece il nodo con un fiocco. Non le teneva nella scatola barocca tedesca, ma sul suo tavolino. Dove teneva le fotografie dei suoi genitori e qualche dolce. Nel cassetto c'era la Bibbia, di proprietà del collegio. Infine arrivò una busta listata di nero, non venne distribuita ai pasti, come avveniva di consueto, ma gliela consegnò

Page 23: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

la direttrice. Lei si sedette al tavolo, la guardò, la aprì, la lesse, la rimise nella busta, si volse a guardarmi. I suoi gesti avevano un ritmo, sembrava che qualcuno tenesse il tempo sospeso. Aprì l'involucro, sciolse il nastro rosa, infilò la busta listata sopra le altre e rifece il nodo e il fiocco, con pedanteria angelica. Nevica a Teufen. Nevica nell'Appenzell. La vita al Bausler Institut era tranquilla. Fuori le pale. Si sentiva tossire la negretta, la piccola alunna figlia del Presidente di uno Stato africano ricevuto con tutti gli onori dal Bausler Institut. Alle educande gli onori parvero eccessivi. Eravamo schierate come ciascuna avesse accanto una garitta, sull'attenti, a ricevere il Presidente, la moglie del Presidente e la bambina. La signora Hofstetter era commossa come un animale da cortile. Ci siamo chieste se non era forse per sottomissione a uno Stato africano, o se quell'accoglienza fosse dovuta ai Presidenti in generale. E" quasi ammirevole che nella Confederazione il nome del Presidente passi inosservato, e così la sua graziosa persona. Nella nostra famiglia c'è stato un Presidente della Confederazione, ma lui avrebbe rinunciato a simili onori. La sua stele mortuaria è sobria. Nella Confederazione chiamarono «testa calda» Lenin, che è stato ospite. Nel collegio, a Teufen, non vi erano teste calde. Vi era pace nell'Appenzell, e in ogni casa delle famiglie delle educande, negli arredi e negli specchi. Erano ragazze fortunate, se ciò si può considerare una fortuna. Certi vecchi malevoli imprecano, invece di rispondere ai saluti delle ragazze. «Grüss Gott» dicevano le tedesche. Ma non vogliono Dio, quei vecchi. Non vogliono buoni auspici, li sospettano di oltraggio. Scendevano in paese, le ragazze, dalla curva del sentiero, dove su un muricciolo stava scritto, come una maledizione, «Töchterinstitut». E la luce nordica, nociva e pazza, si ferma sul muro. Le trine di una finestra hanno un fremito, vi si è impigliato uno sguardo, come se fosse quello l'orizzonte. La signora direttrice aveva rispetto per ognuna di noi e per le nostre famiglie. Lei sorveglia. Qualcuna ha il Weltschmerz. E viene derisa. Da allora, la negretta tossiva. Aveva imparato a parlare tedesco. La direttrice Frau Hofstetter le leggeva Max und Moritz: è così che nell'Appenzell i bambini si divertono. Frau Hofstetter cura la bambina, per proteggerle la gola le chiude l'ultimo bottone del cappotto azzurro con il colletto e i polsini di velluto scuro. La bambina è diventata triste. Frau Hofstetter non sa più come distrarla. Forse avrebbe dovuto avvisare il Presidente. «Caro e stimato Presidente, la Sua bambina si annoia di tutto». La noia dei bambini è pura disperazione. Generalmente, si dice, si divertono con poco, e ci si domanda in che cosa consista quel poco. Oppure si divertono con niente. E cos'era quel niente che non divertiva più la

Page 24: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

piccola negra? «Gli impiccati fanno ding dong» dice il ritornello di una vecchia canzone americana. La bambina non cantava, né parlava da sola. Qualche volta nel cortile saltellava, alzando un ginocchio magro, o correva in circolo. Tutti dobbiamo sopportare ed espiare i giochi che non furono nostri. La bambina un poco sonnambula lasciava che il suo spirito vagasse. Poco prima di Natale, tra le candele, la pregarono di cantare Stille Nacht. Frau Hofstetter la spinse in mezzo al salone. L'insegnante di francese era al pianoforte, con le sue mani maschili e tozze. La piccola girò i suoi occhi da vecchia verso i nostri tavoli, sembrava l'ultima di una stirpe, la luce delle candele le screziava le pupille. Cantò con un filo di voce, una voce che veniva da un corpo non suo, dissotterrato. Frau Hofstetter applaudì con vigore, le baciò la fronte. Mein Kind, mein Kind, le sussurrava, le accarezzava i capelli, le treccine sottili, le spalle, il corpetto stretto e la gonna a campana, le contava le dita della mano come a una bambola. La bambina si lasciava accarezzare come una morta. «Che talento, la negretta,» diceva la mia compagna di stanza «come è musicale». Non ha mai sentito cantare così in Germania. E" generosa nei suoi complimenti, la mia compagna di stanza. E come sapeva esagerare con grazia. Era proprio sicura che avesse cantato così bene? A noi sembrava stonata. «Stonata?» disse. E, pensierosa, ripeté la parola. Con testardaggine scrollò la testa; no, non era stonata. Però. Però nel mezzo del ritornello aveva tossito. «Che dici?» domandò. «E" forse malata?». «Potrebbe essere tisica». «Come? Potrebbe essere malata?». Nel dirlo il suo entusiasmo per la musicalità della negretta andò scemando. Ora la mia compagna è preoccupata. Le malattie di petto sono infettive. In Germania la tisi è stata debellata. Lei ne aveva sentito parlare, le domandai se anche lei aveva, tra i suoi avi, qualcuno morto tisico. Nein, nein, nella sua famiglia sono morti di vecchiaia. Niemand war krank. Nessun malato. Aveva dimenticato la busta listata a lutto, ma avrà pensato che quell'evento non facesse regola. La regola era che nella sua famiglia si lascia il mondo perché si è giunti al termine naturale della vita. Suo padre e sua madre sarebbero diventati vecchi, molto vecchi, e il poi è inevitabile. Di salute la mia compagna ne aveva, mangiava tanti dolci, divorava tutto a tavola, non aveva mai un raffreddore. Si metteva in posa tra le lenzuola e, dopo la Gute Nacht, era naturale che ci fosse il Guten Tag: una successione regolare di segmenti che si uniscono. Ma ora la malattia della negretta era entrata nella sua testa, la musicalità invece ne era uscita. Diceva che quelli hanno musicalità e ballano bene il tip tap, che anche lei aveva imparato e le piaceva. Accennò a qualche passo, con

Page 25: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

pesantezza, ma tecnicamente giusto. Potrebbero fare un duetto. Forse per il saggio di fine anno. Sempre si festeggia, nei collegi, la fine dell'anno. Nella sua testa organizzava lo spettacolo, nel cortile del collegio. Distribuì le parti, diede una parte anche a me, dovevo fare la zingara, Du bist eine Zigeunerin, il volto era raggiante. E con aria ispirata disse che avrebbe potuto recitare anche Klopstock; ballare il tip tap e recitare Klopstock, lei, la tedesca, e sarebbero venuti i suoi genitori, tutti i nostri genitori devono venire, assegnò i posti al pubblico. Frédérique, la tua amica, disse, avrebbe suonato per il finale. Una gavottina o la marcia funebre. Ascoltavo. Ma certo che ascoltavo la tedesca. Ogni popolo ha il suo talento, ogni popolo ha il suo karman sanguinario, ogni educanda ha il suo tip tap, e anche lei lo aveva, non sembrava voler desistere dalla sua allegria feroce, fatta di volontà, di brio ingordo. Tra poco avrebbe pianto. Lacrime parche negli occhi. Le sue gambe si piegarono. Si siede, vinta dalla propria allegria. Il marito di Frau Hofstetter, debole di carattere, non avrebbe osato accarezzare la bambina. Sua moglie, che era la direttrice, e forte di carattere, poteva incapricciarsi di un'alunna, detestarne altre. Herr Hofstetter pigramente pensava che erano tutte uguali, tutte graziose, dopo un anno lasciavano trasparire fugaci segni di invecchiamento. Lui era un subordinato delle passioncelle di sua moglie, delle caste passioni di sua moglie. Erano casti tutti e due, se «casto» può indicare una ragguardevole indifferenza al sesso, o inappetenza. Frau Hofstetter aveva qualche propensione, e questo glielo aveva dimostrato durante i primi mesi del matrimonio, trent'anni prima. Sua moglie non era così grossa allora, era quasi magra, molto più alta di lui, con una grinta signorile, riscuoteva rispetto. Il mento era sporgente, le mascelle larghe, gli occhi piccoli e un poco nefandi. Era sempre in ordine e per bene. Dal suo portamento esalava quell'aura inconfondibile che appartiene agli educatori per professione e vocazione, ai ferrei educatori laici. Sono stati fidanzati per poco tempo. Lei aveva deciso di sposarlo e a letto è stata sbrigativa. Il marito divideva l'umanità in due: i deboli e i forti. Un collegio è un'istituzione forte, poiché in un certo senso si fonda sul ricatto. Così era anche il suo matrimonio. Lui aveva bisogno di quella donna grossa, che respirava gonfiando i seni e mostrava per lui la stessa indulgente severità che per le ragazze. Il suo ufficio era una piccola stanza d'angolo, l'economato. Gli affari andavano bene. Ma qualche volta lui si sentiva a disagio in quel mondo di sole femmine. Gli capitava di parlare con il maestro di tennis, ginnastica e geografia. Era un uomo asciutto con rughe precoci e la bocca stretta, sembrava addentare l'ultimo boccone di giovinezza che gli restava. Sfiorito prima del tempo.

Page 26: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

A volte i due uomini andavano insieme in paese, il maestro camminava con passo sportivo, elastico, con quella finta giovinezza che coltivava, il torace era ben disegnato. Anche i fianchi, da lontano si sarebbe detto un bel giovane, visione assai rara in quel paese abitato da vecchi. Da vicino si poteva riconoscere il teschio. I due andavano insieme al caffè, ma non avevano nulla da dirsi. Si sentivano forse dei dannati o dei dimenticati, o forse stavano bene in quel luogo, scartati dal mondo. Basta un esiguo pensiero che voli nell'aria, che diventi nostro, e se non lo si acchiappa ci si sente ancora più soli. Quelle ragazze avevano tutta la vita davanti a loro, e il marito di Frau Hofstetter sapeva che sognavano di spassarsela. Lui non aveva più nulla davanti a sé. Ogni anno arrivavano nuove ragazze che sognavano tutte le magnificenze che la vita avrebbe donato loro, e che sua moglie prometteva. Avevano il futuro. Lui questo lo sentiva come una spina. Qualche volta aveva pensato di vendicarsi dei loro sogni. Ne conosceva le piste. Si era affezionato alla negretta, invece. Gli parve che tra loro ci fosse qualche affinità. Si inebriava nel suo ufficio dell'economato, quando la vedeva sola nel cortile o nel giardino alzare il ginocchio e saltellare senza gioia. La bambina si ferma e guarda imperiosamente per terra, scavando. L'arrivo di una nuova desta sempre una certa curiosità. La signorina giunse verso la fine di gennaio. Fu per caso che ci parlammo. Per la verità non parlammo affatto: scoppiammo a ridere. Somigliava in qualche modo a Gilda. I suoi capelli rossi erano magnifici, una preda, sembravano fotografati. Quando entrò nella Speisesaal, ci fu un silenzio improvviso. Le posate si bloccarono nell'aria. Dei marinai avrebbero fischiato. Frédérique mi aspettava per la passeggiata del pomeriggio. Arrivai in ritardo. Tu as vu la nouvelle? L'avevo vista, benissimo. Parlammo subito d'altro. Forse di Baudelaire. Aveva una donna creola. Anche la rossa è un po'"creola. La sera durante il pranzo abbiamo scherzato come se ci conoscessimo da tanto tempo. Le altre ragazze accanto a noi stavano zitte e seguivano con occhi e orecchie le nostre chiacchiere. Accanto a me avevo una spagnola che mangiava soprattutto yogurt per la linea. «Sali nella mia stanza» disse Micheline, così si chiamava la nuova. Mi abbracciò, mi diede un bacio come l'avrebbe dato al suo cavallo. Entrai nella sua stanza e mi raccontò buona parte della sua vita come un carnet de bal. Le spiegai che dovevo andarmene perché dormivo nell'altra casa. Quale casa? Quella delle piccole. Si mise a ridere. Tu saresti una piccola? Ma è mostruoso, lo disse come se ci fosse una platea davanti a lei. Uscii in fretta passando davanti alla stanza di Frédérique, non osai entrare. Era troppo tardi. Alle nove e un quarto ognuna

Page 27: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

doveva essere nella propria stanza. Andai a dormire di ottimo umore. La mia compagna, che aveva finito di spazzolarsi i capelli, disse: «Sehr elegant, rassig, die Neue». Elegante forse non era la parola più adatta. Anche se una simile bellezza non ha bisogno di essere elegante. Elegante era Frédérique. Micheline era infatuata della propria bellezza, se la portava in giro come un uccello tropicale. Frédérique era più bella di Micheline, ma non ne ha mai fatto un trionfo. Micheline, che era meno raffinata, spontaneamente e con semplicità doveva offrire a tutti la sua bellezza, trionfando. Era una creatura esteriore, e questa fu la prima peculiarità che mi attirò. E l'allegria. Mi mostrò subito i suoi vestiti. Negli armadi sembrava ci fosse il sole. Quando mi abbracciava, e io lasciavo fare, sentivo il suo corpo forte e sano su di me. Come di una nutrice. Tutto era morbido e giovane, atletico. Mi abbracciava come avrebbe abbracciato la folla. Senza peccato, senza vizio. Direi quasi da vera compagna, anche se il termine si è snaturato. Era un camarade. Non come Frédérique e io, che non osavamo neppure toccarci, né darci un bacio. Orrore. Forse infastidite dal desiderio, infastidite perché stonava con l'immagine che ci eravamo fatte l'una dell'altra. Eppure varie volte ho sentito l'impulso di accarezzarla, ma il suo rigore mi allontanava da lei. Gli occhietti di Micheline avevano un'espressione stupita, vacua e tranquilla. Quando si arrabbiava, diventavano più piccoli, come per un essiccarsi dell'iride. Era l'insieme che dava la bellezza. Diventò un'abitudine frequentarla nelle ore di libertà. Si dicevano soprattutto delle sciocchezze, di poco era il caso di parlare seriamente. Ma di qualsiasi cosa si poteva ridere. Non studiava, non le importava nulla. Con daddy avrebbe dato un grande ballo. Di sua madre non le importava, forse era morta. I morti si dimenticano. C'era solo daddy. Mi avrebbe invitato al suo ballo. Sarei stata la sua migliore amica. Non lo eravamo già da tempo? Depuis toujours. Ci saremmo scritte. Mi invitò a stare nella sua villa quanto volevo, sarei piaciuta a daddy. E daddy mi avrebbe fatto anche la corte. La faceva a tutte le sue compagne di scuola. Anche il mio daddy faceva la corte alle mie amiche? Il mio daddy non ha mai conosciuto una mia amica. Ero forse gelosa, che gliele nascondevo? Come era la villa del mio daddy? Il mio daddy viveva in albergo. Allora non avevo una casa. Sì, l'avevo, ma non con daddy. Il suo daddy era giovane e, quando uscivano insieme, lei si truccava, così sembrava la sua fidanzata. Io pensavo al mio daddy, agli innumerevoli alberghi delle vacanze, d'inverno e d'estate, a quel vecchio signore con i capelli bianchi, i gelidi occhi chiari, malinconici. Che avrebbero cominciato ad entrare nei miei.

Page 28: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

E Micheline parlava, faceva progetti per il futuro, sempre gli stessi. Purché ci fossero movimento, confusione, allori e daddy. Trascuravo Frédérique, non andavo quasi più ai nostri appuntamenti. Quando Micheline mi metteva la mano sulle spalle davanti a tutte, e Frédérique mi vedeva, mi vergognavo. Non ero a mio agio. A mio agio ero nella stanza di Micheline o da sola con lei, ma non volevo che Frédérique mi vedesse. E Frédérique mi vedeva, mi accorgevo del suo sguardo triste puntato su di me, quasi un rimprovero. Mi divertivo con Micheline, anche se la sua allegria e il suo daddy mi stavano tediando, ma ci può essere un'allegria fatua nel tedio, uno zelo funereo. Ciò che Micheline voleva dalla vita era spassarsela, e non era quel che volevo anch'io? Qualche volta mi dispiaceva profondamente di trascurare Frédérique, altre volte mi dava una sorta di soddisfazione. Lo facevo apposta. E vedevo Frédérique, sempre la stessa, che non parlava con nessuno, distaccata da tutte noi, distaccata dal mondo, e avevo voglia di andarle incontro, di dirle che per me era uno scherzo, una distrazione, che mi lasciasse giocare. Appena avevo quei pensieri, facevo il contrario. Stavo forse punendo Frédérique del mio amore per lei? Erano passati quasi tre mesi, stava per finire il secondo trimestre e avevo abbandonato Frédérique. Ogni sera, quando ero nel mio letto e la tedesca dormiva con i suoi boccoli ben adagiati sul cuscino, trascorrevo il tempo con Frédérique; lei e io camminavamo, e qualche volta, senza accorgermi, parlavo a voce alta. Mi proponevo di andare da lei il mattino dopo. Tutto sarebbe continuato come prima. Il mattino dopo rinunciavo ai miei propositi. Se la incontravo nei corridoi, mi faceva un sorriso senza fermarsi. Non mi dava neppure l'opportunità di dirle qualcosa. Mi sfuggiva come un'ombra; se eravamo nella stessa sala, non riuscivo più a scherzare con Micheline e continuavo a fissare Frédérique, sperando in una risposta o un cenno. Ma era impassibile. Frédérique non mi ha mai cercato in quei mesi. Ero piuttosto io che cercavo con le mie mani da vecchia di aggrapparmi a lei. Un giorno si seppe che suo padre era morto. E Frédérique sarebbe partita. Quel giorno provai il terrore. Qualcosa di irrevocabile. Corsi nella sua stanza. Mi parlò molto dolcemente, andava ai funerali di suo padre e non sarebbe più tornata al Bausler Institut. La accompagnai alla piccola stazione di Teufen. Faceva caldo, il cielo era blu, una lontana foschia velava l'infinito. Il paesaggio, incantevole. Erano le tre del pomeriggio. Non parlò quasi, camminava in fretta. Io avevo paura e camminavo dietro di lei, raggiungendola a scatti. Mi dichiarai, dichiarai il mio amore. Più che a lei, mi rivolgevo al paesaggio. Il treno sembrava un giocattolo, partì. «Ne sois pas

Page 29: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

triste». Mi lasciò un biglietto. Avevo perso ciò che avevo di più importante nella mia vita, il cielo era sempre azzurro, dimentico, tutto anelava alla pace e alla felicità, il paesaggio era idilliaco, come l'adolescenza idilliaca e disperata. Il paesaggio sembrava proteggerci, le piccole case bianche dell'Appenzell, la fontana, la scritta «Töchterinstitut», sembrava un luogo non toccato dalle deformazioni umane. E" possibile sentirsi sperduti in un idillio? Un'aura di catastrofe coprì il paesaggio. L'irrimediabile giungeva a me in una delle più belle e limpide giornate dell'anno. Avevo perso Frédérique. Le chiesi di promettermi di scrivere. Disse di sì, ma sentivo che non l'avrebbe fatto. Le scrissi subito una lettera appassionata, senza sapere quel che dicevo. Attesi una sua lettera. Sentivo che non mi avrebbe mai scritto. Non era da lei. Lei scompare. E così Frédérique ha fatto, è scomparsa. Tornai in collegio e passai il tempo con la sofferenza, che è anche un modo per passarlo. Lessi il biglietto che mi aveva dato alla stazione, due piccoli fogli di carta a quadretti di sette centimetri. La sua calligrafia dormiva come su una lapide, nella parete cartacea. Avevo imparato a copiare la sua calligrafia, esercitandomi con pazienza, sino a perfezionare la perfezione, nel rigore della falsità. Leggevo il biglietto come un ornamento. Onde. Mi parlava di cose metafisiche, non un accenno alla nostra amicizia. Per chiunque poteva andare bene quella esortazione, quell'inganno, quel tono anonimo, ecumenico e claustrale. All'ultima riga mi abbracciava con affetto: una frase formale, un gesto inerte. Non ci siamo mai abbracciate, né vi è stato uso fra noi della parola affetto. Il suo biglietto era in certo modo un sermone, mi attribuiva certe qualità e insieme una certa inclinazione alla distruzione. Non tenni i due foglietti come una reliquia, né li stracciai nell'inquieta e cupa primavera, gettandoli nel vuoto. Per qualche tempo mi accompagnarono in una tasca, poi si sciuparono, la carta avvizzì, si ruppe, l'inchiostro sbiadì. Le parole di Frédérique volsero verso l'inumazione. Potremmo segnare certe parole con una croce e un cartellino d'inventario. Per le vacanze di Pasqua tornai a casa, in albergo. Dei signori ci invitarono a pranzo, poi mostrarono le diapositive di un viaggio con rovine e paesaggi e loro stessi. Erano una vecchia coppia, di esemplare virtù, per bene, ricchi, avari con discrezione, gentili con discrezione, recalcitranti, soprattutto la moglie, al buon umore, o al buon vivere, se esiste un buon vivere. La moglie, secca e rigida in abiti lunghi e senza forma, i capelli tirati, malguardava la giovinezza dalla sua testa rimpicciolita e dagli occhi senza colore. Il marito, per bonomia o indulgenza, lasciava sgorgare dalla sua bocca ben disegnata e un poco carnosa una risata profonda, se c'era da ridere, e i suoi occhi diventavano furbi, quasi che il riso si

Page 30: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

legasse a una malizia. Nel panciotto l'orologio del nonno, o di qualche morto di famiglia. Lo guardava spesso (e soppesava l'ora). Il suo vestito scuro aveva passato molte stagioni e gli conferiva dignità. Nel giardino, che dava sul lago, un cane lupo dietro la rete camminava furioso su e giù e ringhiava. La mattina dopo, era una giornata di nebbia candida, padre e figlia furono portati a fare un giro sul lago. La donna, sorvegliando la cameriera, preparò il picnic. Tutto era calcolato per una gita allegra. Questo lo diceva l'espressione muta e ricolma di senso del dovere che aveva la signora, mentre scrutava i grami raggi del sole come un'insidia. Dopo due ore la gita finì. Erano i migliori amici di mio padre. Dal giorno in cui siamo entrate al Bausler Institut non abbiamo fatto che pensare al giorno in cui ne saremmo uscite. E ora quel giorno era arrivato. Prima del previsto nella nostra mente, ma esatto secondo il calendario. La primavera annunciava nel suo ardore la fine, i prati erano coperti di fiori. Incominciava il caldo, il Föhn. Si disegnavano le prime tonsure. Le finestre erano sempre spalancate e nell'aria pesava un senso di amarezza e fatalità. L'anno si congeda. E, con tutto questo, non succedeva nulla. La tedesca ha caldo, siede vicino alla finestra. Micheline prometteva a tutte inviti e balli nella sua villa. Cambiava vestito ogni giorno, le sue camicette ci facevano guardare con sconforto le nostre, che erano più semplici e adatte alla scuola. Ma a Micheline era daddy che sceglieva i vestiti. Daddy che presto avremmo conosciuto, ma già ora ci divertivamo con daddy, poiché le battute erano di daddy, e Micheline non abbandonava mai daddy, il padre le usciva dalla carne come una seconda voce. E tua madre? le chiedevano. Oh, maman non c'è. E" forse morta? Non esattamente, diceva Micheline. E, se si accorgeva che qualche ragazza si preoccupava, la prendeva sottobraccio. Nessuno è morto, carina. Ma c'era acrimonia, ora, nei suoi occhi. Qualche volta mi incamminavo verso la piccola stazione di Teufen e mi mettevo in ascolto: riudivo il breve saluto filisteo di Frédérique: Adieu, un suono breve e morigerato. Gli addii hanno lontane progeniture e i paesaggi li coprono di sterpaglia e polvere. Non ero riuscita a dirle due parole per la morte del padre, che sembrava non fosse mai esistito. Ma anche chi non esiste muore. Ed è per questo che Frédérique ha lasciato il collegio e me. Non notai commozione nei suoi occhi. Né io mi commossi, per la morte del padre: mi spaventai per l'improvvisa partenza di Frédérique. Il signor banchiere ci separava. Frédérique stava piegando i suoi vestiti, che erano già preparati con le maniche conserte. Gli armadi erano vuoti. Tentai un vago

Page 31: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

«désolée». Frédérique chiuse la valigia. Intanto mio padre annotava su un libro di tela azzurra, dal titolo «Mein Lebenslauf», le date della mia vita. Riguardo al Bausler Institut si legge: sua visita il 31 ottobre, cena a St. Gallen. 9 novembre, sua visita. 17 dicembre, festa di Natale in collegio. 3 gennaio, io da lui. 25 aprile, Teufen. 8-10 maggio, io da lui. E queste annotazioni si ripetevano da quando avevo otto anni. Ricevevo visite, facevo visite. Cambiavano i nomi dei collegi. Una serie di ripetizioni. Solo qualche nome è diverso, qualche contrada. Ma il nome di Frédérique non appare nel Lebenslauf di tela azzurra. Ero ancora convinta che quelle annotazioni fossero delle premonizioni, in rapporto alla vita che sarebbe venuta dopo. Avevo ormai quasi quindici anni, e il libro si era riempito. A mia insaputa, di una vetusta infanzia. Frau Hofstetter richiamava il suo cane, il bulldog a cui piaceva, come alle educande, crogiolarsi al sole. Al bulldog obbediente puliva la saliva, dicendogli: «Mein Kind». Udii il signor Hofstetter chiamare sua moglie, la direttrice, «Mutti». Sembra che nell'Appenzell in primavera si risveglino gli affetti sopiti, bestie e signorine ricevono vezzeggiativi. Il padrone del caffè e della cartoleria le saluta con un sorriso nuovo, greve. C'è nell'aria un soffio di resurrezione, l'omicidio tramutato in uno stato di grazia. Coppie di signorine siedono al caffè. Anche se è primavera, non passa quasi mai nessuno. Fa caldo. Teufen è loro. Marion ha fatto la sua scelta. Passeggia con la sua amica. Ha detto: Voglio quella. E quella, che è generosa, le ha già regalato una parte di sé. Passeggiano come passeggiavamo Frédérique e io, nei mesi precedenti, ma ora Frédérique non c'è più. Passeggiano insieme come hanno fatto le prime alunne appena fu eretto il Bausler Institut, nel cantone di Appenzell. Durante la distribuzione della posta nel grande e magnanimo refettorio guardiamo le mani della direttrice che consegna le lettere, lentamente, con cautela. Fingeva di sbagliarsi e consegnava la mia busta per ultima. Riconoscevo da lontano i francobolli, i dignitari del paesaggio. Dal Brasile le buste erano leggere e i francobolli via aerea avevano la dentellatura smangiata come la frutta dagli insetti. Sapevo che Frédérique non avrebbe scritto. Ma perseveravo nel piacere dell'andare in fondo alla tristezza, come a un dispetto. Il piacere del disappunto. Non mi era nuovo. Lo apprezzavo da quando avevo otto anni, interna nel primo collegio, religioso. E forse furono gli anni più belli, pensavo. Gli anni del castigo. Vi è come un'esaltazione, leggera ma costante, negli anni del castigo, nei beati anni del castigo. Portavamo allora un berretto blu con le iniziali del collegio. Ero

Page 32: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

alla stazione, con la divisa e il berretto, aspettavo il treno dal Gottardo, che si sarebbe fermato per tre minuti, accanto alla pensilina ventosa. Mi diedero libera uscita, sorvegliarono che fossi impeccabile, con le scarpe lucide. Ero lì, in ordine, per vederla passare, transitare, e poi avrebbe preso l'Andrea Doria e se ne sarebbe andata oltre oceano, lei, maman. Il buffet della stazione di seconda classe somigliava alle nostre stanze velate, a un cronicario. Mi parve di vedere persone indigenti sdraiate, il disordine del fato che esalava sui vetri, visti dall'altra parte del binario, come una sequenza di una vita romanzata. Stavo dunque, con il berretto e le iniziali, dall'altra parte del mondo, in quella parte in cui si è protetti e vegliati a vista. Prefiguravo il dolore, l'abbandono, con una gioia acuta. Saluto la locomotrice, le carrozze, gli scompartimenti, tutto sezionato, le alcove brunite, il velluto, i viaggiatori di argilla, quegli sconosciuti, oscuri fratelli. La gioia per il dolore è maliziosa, ha il veleno. E" una vendetta. Non è angelica quanto il dolore. Rimanevo sulla pensilina di una stazione squallida. Il vento arricciava il lago funesto e i pensieri mentre spazzava le nuvole, le disintegrava con la scure, e lassù si intravedeva il Giudizio Universale, che incolpava di nulla ciascuno di noi. Quel collegio è stato distrutto. Non esiste più. Quando lo seppi, non potei nascondere la mia soddisfazione. Mi era parso immortale. Anche il maestoso scalone di marmo, e i letti circondati da garze, che annunciavano candore e morte, sono andati in demolizione. Lo raccontai a Frédérique, a lei potevo dirlo, quanto la distruzione di quell'edificio mi avesse dato «un parfait contentement» (così è scritto in una carta dei tarocchi). Dissi ancora a Frédérique che forse erano stati i nostri pensieri, o le emanazioni che abitano l'età dell'innocenza, a distruggerlo. Lei diceva che l'innocenza è un'invenzione dei moderni. Abbiamo scherzato, ci siamo chieste quanto tempo sarebbe ancora durato il Bausler Institut. E sembrava che dovesse durare per sempre, per future generazioni, in pace radiosa. Frédérique, in piedi, all'ombra del muro del collegio, scherza. Le ombre degli alberi, come stendardi, esaltano ciò che appare immortale. Avevo notato nel suo sguardo una velatura plumbea e opaca, un che di cattivo, nei suoi occhi che a volte mi parvero indaco e invece erano muschio e palude. Micheline mi chiama, la belga ridanciana e allegra. Non si accorge che l'allegria può diventare tetra. L'allegria è difficile da sopportare. Micheline si toglie il pullover, ha caldo, mi aiuta a indossarlo, ho freddo. Alziamo le braccia insieme, sentivo il suo calore, e anche il suo calore è allegro. La sua pelle, il profumo.

Page 33: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

Divertiti, sembrava dire Frédérique, ma non l'avrebbe mai detto. Se non a qualcuno in punto di morte. Micheline rideva. I suoi piccoli denti tutti uguali, precisi, la fronte bassa e la bocca dipinta quando andava in paese, a Teufen. C'erano lo sciancato, due pallidi gentiluomini con il forcone, come andassero a pronunciare un giuramento, il pasticcere che sapeva di crema e di millefoglie, le quasi vecchie con la crocchia e le trecce. Il bambino con lo zufolo, e le finestre listate di bianco. Un campanile con una sfera dorata in cima. La strada del paese finiva dove incominciava. Wir wollen kein Glück. Non vogliamo la fortuna: questo si sente dire nel paese. Daddy ha promesso la fortuna a Micheline. Daddy le spalava via i pensieri, lei non doveva avere pensieri molesti. Daddy invita alla grande festa nel Belgio. Da lontano vedevo Frédérique, non toccata dalla felicità delle ragazze, e dall'allegria. Frédérique ha gli occhi abbassati su un libro. Per Carnevale, Micheline e io abbiamo ballato, tutte le educande sono costrette a ballare. Erano in maschera, rigorosamente in maschera. La signora Hofstetter e il marito, il contabile, calmi e fermi, ci guardavano, come agenti di una polizia permissiva. Sedeva la coppia Hofstetter nella sala, addobbata per il ballo. Fronzoli alle pareti, paramenti di coccarde e zucchero filato. Frédérique non partecipò. Si scusò e andò nella sua camera. Micheline muoveva i fianchi, teneva il tempo. Forse anche per lei l'allegria diventava una fatica. La sua fronte bassa permeata di sudore, i pomelli rossi. Daddy le laverà il viso, un viso che stava per avvizzire. La sua bellezza era diventata una parodia. Nella giovinezza si annida il ritratto della vecchiaia, e nell'allegria lo sfinimento, come in alcuni neonati dove sembra di riconoscere il vecchio che ha appena lasciato la vita. Solo la negretta era melanconica, di una melanconia senza requie, controllata e dosata. La osservai: mi parve, la sua, la tristezza dei disperati. Non si lasciò più prendere per mano dalla direttrice. Le sue mani non toccavano che il vuoto dei suoi pensieri. La vidi cogliere dei fiori gialli, li tenne tiepidi e addormentati in braccio. Li cullava come creature, cantando una debole nenia, gli occhi inerti ed estatici. Poi li gettò per terra. Li sotterrò. Era la piccola staffetta di un esercito disperso. Si guardava attorno, muovendo lento il corpo, che mostrava la rigidezza e il sopore di chi è stato trafitto da un brutto sogno. «Buongiorno» la salutai. Ma non rispose. Non le avevamo mai rivolto la parola, Frédérique e io. La sua vita al Bausler Institut sembrava riguardare soltanto la direzione. Prendeva lezioni private, non ebbe mai un'amica e, se per Natale udimmo la sua voce, fu soltanto perché costretta a cantare Stille Nacht. Per la maggior parte delle ragazze,

Page 34: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

lei era la figlia del Presidente, e questo glielo facevano pagare. Ci sono dei momenti in cui si vuole essere tutte uguali, e si impone una specie di democrazia immaginaria. Se una ragazza viene ricevuta, come la negretta lo era stata, con tutti gli onori e le bandierine, e si battono le mani per il capo di uno Stato africano, quegli applausi si rivoltano contro di lei. Per un muto accordo, fra le ragazze di un collegio, viene scelta dall'inizio, con distratta affettuosità, quella che sarà la reietta. E non perché l'una lo dica all'altra: è un impulso generale. Sono gli occhi malevoli, come rabdomanti, che scelgono una vittima. Senza una ragione sufficiente, come per la cattiva sorte. Lei stessa non fece altro che avvolgersene, dandole un'aura di verità, di imposizione dal cielo. Il declino della sua infanzia fu notevole. Cominciò a tossire, smise di parlare e, quando sfogliava il libro che le aveva regalato Frau Hofstetter, fermava le pagine con le sue dita di alabastro su una vignetta: un cumulo di terra e una croce. Provai per lei amicizia negli ultimi due giorni di collegio. La seguivo. Chi è così infelice, pensavo, non si avvede che qualcuno lo spia, e spiare è quello che facevo. Sorvegliavo, forse, non tanto lei, ma la sua infelicità. Come, all'inizio dell'anno scolastico, stavo all'erta per Frédérique, così ora osservavo la negretta. La mia attenzione era rivolta soltanto a lei, a quella cosa: l'infelicità. Pensavo agli opposti che si toccano, a una sorta di gioco fra i contrari, che diventa una simbiosi. E pensavo ai loculi, che si annidano nella nostra mente. La negretta non si accorgeva di nulla. Era come se guardassi una defunta. Con le treccine annodate con cura, gli occhi rotondi non più visitati dall'incanto, un sorriso fievole, come un commiato che perduri. Le fecero indossare una giacchetta azzurra di cotone, un autista svizzero venne a prenderla, la adagiarono in una limousine. Schierata la direzione: Frau Hofstetter, gocce lustre negli occhi, e il marito. Due ragazze giocavano a tennis, io mi trovavo sulla strada verso il paese, a una curva, e la macchina passò. La negretta, come un automa, inclinò il capo, e la sua mano accennò un saluto. Anche Micheline partì. Baciò e abbracciò tutte, un grande enfatico addio al collegio, al tempo che lasciava dietro di sé, alle sue risa, che forse avrebbero fatto germogliare altre risa. La sua capigliatura svolazzò al vento. Mi raggiunse di corsa, per baciare anche me, ripiegando le sue braccia come ali. E non dovevo dimenticare il suo grande ballo, la più bella e sfarzosa festa d'Europa, e il suo daddy. Il suo daddy che avrebbe corteggiato ognuna di noi, nel Belgio. «C'est promis». «C'est promis» risposi. E addio per sempre, cara Micheline. Daddy non venne a prenderla, anche per Micheline arrivò una

Page 35: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

limousine scura con un autista. Mise le valigie nel bagagliaio, le porse il beautycase, le aprì lo sportello. E anche Micheline, via. Le scandinave furono le prime ad andarsene, come il sole che da loro declina dopo il mezzogiorno. Zitte e rosate, scivolarono via. Venne il turno di Marion, anche per lei una macchina scura, le aprirono lo sportello, lei abbassò il finestrino e non mi degnò di uno sguardo. Frau Hofstetter, ogni volta, scendeva nel cortile, dignitosa verso gli autisti, e un poco delusa che non fossero i signori padri. Dava anche lei un ultimo bacio alle educande, che facevano un leggero Knicks. Per la tedesca, la mia compagna di stanza, venne il padre in persona a portarsela via, su una Mercedes nera. Ci eravamo salutate nella stanza, un melenso saluto, uno sfregare di guance. Addio, anche te non rivedrò mai più. Gli arrivi delle limousine si diradano. Le stanze sono vuote, le finestre abbandonate al paesaggio, i letti sfatti, i saponi ancora bagnati, una schiuma li ricopre. Sono l'ultima. Il maestro di ginnastica, tennis e geografia mi accompagna alla stazione. Ho salutato la signora Hofstetter, il signor Hofstetter, i miei voti sono stati modesti. C'è l'italiana che sta partendo, le labbra grosse, alta e perpendicolare. Il padre è il suo ritratto, le labbra grosse, il naso stretto, miope, occhi che non ci sono. Il vestito è scuro, a righe. Tenta un baciamano con Frau Hofstetter, un goffo protendere le labbra. L'italiana con le scarpe piatte e i capelli corvini, in mezzo tra la madre e il padre che le porta le valigie, si avvia a un taxi. Padre e figlia con i talloni delle calze lisi. Le scarpe sono nuove. Un poco spaesati, un poco contriti, preoccupati per quell'unica figlia, la ragazzona così alta, il mento che scompare quando la sua bocca mima una conversazione. Chissà dove la metteranno l'anno prossimo. Per loro un collegio svizzero è una referenza. Più tardi vidi le fotografie di una giovane donna che non le era dissimile: in piedi, come appesa. I nostri antenati non sono forse anche quelle ragazze che troviamo nelle fotografie di persone anonime? Almeno per noi, che abbiamo passato gli anni migliori in un internato. Scorgiamo nei loro volti le nostre sorelle. Una strana familiarità ci lega, è un culto dei morti. Tutte quelle ragazze che abbiamo conosciuto sono entrate nella nostra mente, e diventano così una progenie, tornano in una specie di fioritura postuma. Appollaiate come stiliti sulla nostra fronte, dormienti in una fila di letti. Rivedo le mie compagne bambine quando avevo otto anni, in lenzuola candide, con sorrisi, palpebre abbassate, lo sguardo è scivolato via. Abbiamo diviso i letti con loro. Anche nelle prigioni, non si dimentica il compagno di cella. Sono volti che nutrono e mangiano il nostro cervello, i nostri occhi. Non c'è il tempo, a quel tempo. Vetusta è l'infanzia.

Page 36: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

A St. Gallen presi il treno per Zurigo, prima classe. Al binario aspettava Herr Dr., mio padre. Si tolse il cappello. Andiamo a casa. In albergo. Era quasi estate. Anche per Pasqua c'era lo stesso cielo azzurro, e il gallo sul campanile di una chiesa evangelica. C'è qualcosa di immobile. «Bist du zufrieden?». «Ja, mein Vater». Sei contenta? Sì, padre mio. Anche nel parlare, qualcosa di immobile. Un anno dopo venni a sapere che la signora Hofstetter con il marito erano morti in un incidente di macchina. Nell'Appenzell. Morirono sul colpo. E anche un figlio. Furono le prime morti dei nostri educatori. Del resto i nostri educatori sono longevi. Loro conducono una vita equilibrata, generalmente in luoghi con un buon clima, e supponiamo che la nostra educazione non li disturbi più che tanto. Forse anche loro avranno provato qualche passione per un'alunna. Non è disdicevole che la direzione si incapricci di una ragazza, sarebbe quasi impensabile che una signora Hofstetter, dopo anni e anni di abnegazione e consapevole soddisfazione, non abbia un momento provato un poco di amore disinteressato per una giovane a discapito di altre. Di rancore gli educatori sembrano possederne, un rancore sulla superficie della pelle e nel tono della voce, un rancore, oseremmo dire, quasi per l'umanità in genere. E forse, grazie a questo rancore, loro, gli educatori, sono in sostanza dei buoni educatori. La signora Hofstetter, quando scendeva nel paese di Teufen, o quando ci accompagnò per un concerto a St. Gallen, aveva un'aria preoccupata e un po'"fosca, nel foyer, in mezzo alla gente. Aveva troppo caldo, e il calore arrossa le guance. Al di sotto del naso, una piega lucida. Certo non era libera di apprezzare il concerto, doveva badare alle ragazze. Il mondo, quello fuori dalla scritta sul muro «Töchterinstitut», da dove lei proveniva, come ognuna di noi del resto, non ci dava l'impressione che le fosse amico. La signora Hofstetter temeva sempre, anche nelle migliori occasioni, il peggio. Infatti quella sera a St. Gallen ci fu un terribile temporale. Un rovescio dal cielo. La grandine rimbalzava e fummo costrette ad aspettare. Le convulsioni atmosferiche erano un gran divertimento per noi, ritardavano il rientro. Lei, Frau Hofstetter, con l'impassibilità dei condannati scrutava l'orizzonte, la terra ignota, da dove, in un qualsiasi momento, proviene la catastrofe. Noi eravamo malleabili, ci ha plasmate. Ma come potevano i suoi occhi tenere a bada un temporale, che forse aveva voluto farle uno scherzo? Gli educatori, almeno quelli che abbiamo conosciuto, non hanno una doppia vita. Durante l'anno insegnano, poi si riposano. Non vanno mai all'avventura. Non abbiamo rimpianti per i nostri

Page 37: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

educatori. Forse talvolta li abbiamo rispettati troppo, ma questo faceva parte dell'educazione che abbiamo avuto e, se ho baciato ogni sera la mano a Mère préfète, senza ribellarmi mai, è che qualche volta, oltre alle regole, vi è anche la voluttà. La voluttà dell'obbedienza. Ordine e sottomissione, non si può sapere quali risultati daranno nell'età adulta. Si può diventare dei criminali o, per usura, dei benpensanti. Ma un marchio l'abbiamo ricevuto, soprattutto quelle ragazze che hanno passato dai sette ai dieci anni di internato. Non so che fine abbiano fatto, non so più nulla di loro. E" come se fossero morte. Soltanto una, lei, Frédérique, l'ho cercata dappertutto, perché lei mi precede. E ho sempre aspettato una sua lettera. Lei non fa parte dei morti. Avevo la certezza che non l'avrei rivista, e questo anche grazie alla nostra educazione - di rinuncia alle cose belle e di timore per le buone notizie. La mia educazione non era ancora terminata. Dopo il collegio dell'isola, dove la letizia era il primo precetto, un ultimo collegio spianò i miei diciassette anni. Una scuola di ménage. Sempre dal Brasile giunsero gli ordini: dovevo imparare a tenere una casa, a cucinare, a fare i dolci. Un po'"di ricamo l'avevo già imparato, a otto anni. Si imponeva ora di prepararsi a diventare una padrona di casa. Trovarono un collegio vicino a un lago, il lago di Zug, noto per le sue torte al Kirsch. Avevo una bella stanza tutta per me e quattro finestre. Era un collegio religioso. Per una volta mi rivolsi alla superiora senza simulare sottomissione e con poche parole accennai all'avversione che avevo per l'apprendimento che lì mi si offriva. Sia che si trattasse di tenere una casa sia - osai dire - che si trattasse del matrimonio. Nell'idillio della mia educazione, ero agli albori del rancore. Rancore verso l'idillio, la natura, i laghi, le composizioni floreali. La superiora stette a sentire. Non ricordo né il viso, né il corpo. Disse: «Ich verstehe», «Capisco». E mi lasciò in pace. Leggevo tutto il giorno, facevo delle passeggiate, costeggiavo il lago, e le altre signorine erano in cucina ad imparare. Non parlai con nessuna, anch'esse erano senza volto, senza corpo. Con precisione ricordo soltanto la geometria della mia stanza. Per il Brasile, la mia educazione era compiuta. Lei, maman, aveva predisposto la mia vita, e la mia vita le aveva dato l'obbedienza. Ero infine libera. Ricevetti l'invito di Micheline per il ballo dei suoi diciotto anni. Ballai con suo padre. Ballarono le quindici ragazze del Bausler Institut con daddy. E daddy le corteggiò. Non lo aveva promesso Micheline? Ci sono promesse che si avverano. Non solo presagi. Micheline era radiosa. I suoi diciotto anni perirono in quella notte. L'orchestra, la giovinezza, il taffetas, gli auguri - ci si avvicina alla vecchiaia. Agli incubi delle promesse. Sbrigati,

Page 38: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

Micheline. Suo padre era stanco. Un signore ben conservato che ballava da ore con noi. E noi che volevamo vederlo, quel padre, noi dai padri vecchi, che sospettavamo di subire un'orfanità decretata, volteggiammo fra le sue braccia, detestando l'allegria, il compiersi della promessa. Il vestito di Micheline, di trina e seta, sembrava scorticato dal tempo, tanto adatto era per il ballo e, fantasticava Micheline, per il suo giaciglio di morte. Dopo aver ballato, passeggiava fra i tavoli al braccio di daddy. Che era un feticcio, dalla pelle abbronzata e dagli zigomi alti. Mancava alla festa Frédérique. Non la cercai più con gli occhi, né con il pensiero. A che cosa pensano le ragazze? Almeno la metà ha la nostalgia del morire e di un tempio e di tutti quei vestiti. Dal parco giunse ancora un'invitata. Stretta in un abito nero, più nero dei suoi capelli, la vita sottile, cinta da un nastro. La schiena diritta di un ufficiale. Era appena sbarcata dalla nave. Gli occhi viola come ceri dipinti. A passi misurati, sui tacchi alti, trascinava uno scialle di velluto nero, che sembrava vivo. Ai polsi due bracciali di smalto nero. Non si tolse il sorriso. Oscurava i nostri vestiti color pastello, ampi e bonari, sembrava una vedova. Si intravedevano i seni e la volontà. Era Marion. Smettemmo di ballare, la circondammo. Ognuna la toccava. Micheline si chinò per prendere lo scialle caduto a terra. Subito il tacco glielo impedì. «Lascialo per terra». Imperiosa e fredda. Ora Marion bacia la sua amica. La stringe a sé davanti a tutte: «Scusatemi se sono in nero. I miei genitori sono morti in un incidente aereo. Ma non per questo avrei rinunciato al ballo di Micheline». Rividi Frédérique. Per caso. Di notte. Mi apparve quasi come un fantasma. La testa era incappucciata, le mani in tasca. Mi salutò chiamandomi per nome, come se la sua voce giungesse da lontano. Anche lei alla Cinémathèque. Non avevamo mai parlato di cinema al Bausler Institut. Sino allora non ero quasi mai stata nelle sale cinematografiche. Non mi era permesso. Poco mi era permesso durante le vacanze dal collegio. L'estate prima, gli ordini erano stati: vacanze al mare. Detestai la luce e mi ammalai. Fu così che, se mi fosse stato concesso scegliere, avrei indicato un luogo d'ombra. E le sale di proiezione sono luoghi d'ombra. Dopo la malattia, furono i primi luoghi che frequentai. Vidi sullo schermo tutto ciò che avevo perso. I primi amici furono gli amici delle sale, gli ignoti spettatori che chinavano le teste, presi da sonno e torpore, vagabondi. Il loro posto è una siepe ben curata. Le dita sono inguantate di lana grossa, ferme. Scatti nervosi muovono le ginocchia o il collo. Si svegliano. Torneranno il giorno dopo. Allo stesso posto. Alcuni si incontrano tardi nella notte. Pallidi

Page 39: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

naviganti sull'orlo della vita, dell'Ade. L'afferrai per un braccio, temevo che scomparisse. Con mansuetudine e sarcasmo, Frédérique lasciò fare. Senza togliere le mani dalle tasche. Aveva notato che piantavo in asso un amico, come un usuraio che nasconde le monete. Fingevo di essere sola. Anni dopo il ragazzo è stato ucciso a coltellate in una stanza di albergo, al Cairo. Aveva i capelli biondi, le guance rotonde e monotone, senza occhiaie, i capelli si diradavano appena. Camminammo senza fermarci. Apparentemente senza meta. L'ho ritrovata. E" lei. Era la più disciplinata, rispettosa, ordinata, perfetta, quasi da provarne orrore. Dove andava? La seguivo. Metteva ordine anche negli scaffali del vuoto. «Tu viens chez moi» disse. I giardini del Louvre erano diacci, la città aveva il colore della cenere, tutte le scritte degli imperi commerciali, dell'abbigliamento, delle pompe funebri e delle specialità dolciarie sembravano appannate. Dopo vetrine, specchi e porte, e faceva freddo, lei spinse un pesante portone. Aperto a malapena, si chiuse di scatto. Salimmo le scale. Seguivo i suoi passi. Mi sembravano alte, le pareti. Disse che era una casa solo di uffici. Disabitata di notte. In cima alle scale, aprì una porta di legno che dava su un corridoio. Nel corridoio un piccolo lavandino. E latrine. Proseguimmo nel lungo e stretto corridoio. Sembrava fosse molto distante dal punto di partenza, dalla strada. Poi ci fermammo davanti a un'altra porta e mi fece entrare. Mi trovo in una stanza scolpita nel vuoto. Sento il gelo. E" un rettangolo, una finestra sul fondo, le pareti ingiallite. «J'habite ici». Stavo in piedi. Prese una pentola, vi buttò dell'alcol e fece del fuoco. Rimanemmo in piedi a guardare il fuoco per terra, il combattimento e l'agonia degli ultimi guizzi di fiamme. Mi disse che aveva visto dei combattimenti di galli in Andalusia. «La chaleur ne dure pas longtemps». E aveva un che di spagnolo, di antico, di ecclesiastico. La vampata di caldo si esaurì e il freddo delle montagne alte e dei ghiacciai si impose. Una lampadina pendeva dal soffitto. Mi offrì l'unica sedia. Sotto la lampadina. Prese una candela smangiata - si nutriva forse di cera? - e l'accese con un fiammifero. Lo stoppino era infossato. I suoi occhi, che non brillavano per il tremore della fiamma, erano lucenti, dal fondo calmo, di lacca, estranei. Il suo viso era in parte nascosto dal cappuccio, poteva essere un velo di marmo che lo avvolgeva, in lei persisteva la bellezza. Con determinazione. Mi guardava con ironia, quasi una sfida. Consideravo la sua spoliazione un esercizio spirituale, estetico. Solo un esteta può rinunciare a tutto. Non rimasi tanto sorpresa dall'indigenza, quanto dalla sua grandiosità. Quella stanza è un

Page 40: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

concetto. Non si sa di che cosa. Ancora una volta era andata più in là di me. Tentavo di capire. Lei siede su un couch, su un letto che poteva essere anch'esso di pietra, senza pieghe. Percorsi con lo sguardo tutte le pareti e gli angoli. L'ombra copriva quasi tutta la stanza. I miei occhi passarono dal suo viso al vuoto. Lei era tranquilla. Pensai a qualcosa di molto banale: non eravamo state educate per vivere così. Ero piena di ammirazione. Avevo freddo. Mi rimisi i guanti di lana, girai più volte la sciarpa attorno al collo. Ora Frédérique aveva circa vent'anni. Vestiva come sempre. Un grigio di zinco scurito sul corpo, i fianchi stretti, il collo lungo. La giugulare pulsava. Si era tolta il cappuccio. L'ovale pallido, le gambe accavallate. La perfezione dei tempi del collegio si era installata nella sua stanza. Ebbe uno sguardo cattivo, un riverbero le passò sulle palpebre. Poi tornò come prima. Tranquilla. Beffarda. «Astu froid?». «Pas tellement». Non aveva più alcol per riscaldarci. Vive, pensai, come in un sepolcro. Il gelo entrava nelle ossa, l'aria pura di altopiano. Ma avevo cominciato a tollerarlo. Mi tolsi la sciarpa e i guanti. Forse, con qualche esercizio in più, avrei visto una cascata, come una serpe, scendere dalla parete, e un sole notturno. Aprii con difficoltà la finestra. Lei si avvicinò dall'altra parte e guardammo il cielo, con le braccia conserte. Pensavo alle latrine del corridoio. Erano abbandonate o qualcuno le usava? Non lo sapeva, lei ci veniva solo di notte, e di notte tutto l'edificio è disabitato. La sua voce a tratti si interrompeva. «Je cause avec eux». E li vedeva. Venivano a trovarla. Talvolta stavano seduti dove ora sedevo io. Si mise a ridere, come un volatile della notte, stridulo e acido. Dunque parla con i morti, Frédérique. Ero l'unica persona «vivante» che entrava nella sua stanza. Ti rivedrò? Le chiesi. Albeggiava, un'alba di cartone. Potevo venire da lei quando volevo. Io volevo la sera stessa, e il giorno dopo, e sempre. Sorrise, tranquilla. Dopo quella notte, non la trovai. Non ricordo come uscii dalla sua stanza, né il corridoio, né le scale. Le pietre e i muri si richiusero. Nella stanza, quando la notte cominciò a schiarire, le ombre si aggrovigliavano sul pavimento, finché la luce dilagò. Mancava nella stanza solo una corda. Qualche anno dopo, Frédérique tentò di bruciare la sua casa di Ginevra, le tende, i quadri e la madre. La madre leggeva nel salotto. Fu dopo quel fatto che conobbi la signora. Aveva circa settant'anni, in lei tutto era morbido, la carnagione, la pelle, il vestito, le caviglie, l'adiposità del mento, rosata e fragile. Gli occhi di un azzurro sbiadito, sereni e incorruttibili, mi osservarono e mi spinsero nel salotto. Le tende bianche immacolate coprivano le finestre, il pizzo bianco sembrava polvere di zucchero. Madame si

Page 41: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

siede. Sono ancora in piedi. Un'indecisione generale mi coglie. Vorrei andarmene. Imito Madame. Anch'io mi siedo. Alle pareti vari ritratti, immersi nell'ombra e nel sonno. Splendeva il sole a Ginevra, Madame gli ingiunse il crepuscolo. Una luce esausta lasciava trasparire la superficie delle cose, l'indolenza senza fervore dei corpi di stoffa. Su un tavolo ovale, la teiera d'argento opaco e le tazze. Su un piattino, un po'"di petits fours. Tovaglioli bianchi con le iniziali dei defunti. Forse appartenevano a quelli dei ritratti, che guardano senza palpebre. Su un altro tavolo rotondo, dove qualcuno secoli prima, o ore, aveva appoggiato il gomito, un vaso ostentava una composizione di fiori, fiamminga. Una farfalla sarebbe stata troppa indulgenza, avrebbe corrotto la meditazione dei petali. Nessun alito di vento avrebbe sgualcito la loro effimera vampa. L'aria era pesante, di convalescenza torpida. L'immobilità di una scrivania in un angolo, i cassettini murati, i pomelli d'avorio, facevano pensare a un invisibile scrivano, senza penna né carta, che dettava le sue lettere al nulla. Le mani di Madame avevano composto gli oggetti, quelli vivi e quelli morti. A quelli vivi apparteneva lei stessa, i due cerchi al dito, le fedi nuziali, ossario fatto di oro, oasi di vedovanza e giuramento. Madame versò il tè, riempì lentamente la tazza a metà, offrì i petits fours. «Je vous en prie, cara». Le sue labbra si avvicinarono alla tazza, si concentrarono su qualche pensiero che non formulò, lasciandolo sospeso. Alle pareti le fisionomie dei ritratti sembrarono animarsi, dai cretti mostrarono una contrazione nervosa. Mi sorrise, le sorrisi. Ero dunque l'amica di sua figlia, che non aveva amiche. Era felice di conoscermi, lo disse con dolcezza, con politesse. Sembrava quasi vero; e del quasi le ero grata, lieve essenza che attenua ogni brusca opposizione tra vero e falso. I suoi occhi mi avvolsero in uno sguardo fanciullesco, innocente. Erano occhi di bambina che non si lasciavano disturbare, o di una bambola, senza idiozia o meraviglia. Un paradiso rappreso, screziate le iridi ginevrine, lacustri. Madame sembra felice. Con enorme dolcezza mi chiede in quale albergo ero scesa. «All" Hôtel de Russie». «E" in rovina» disse. «Lo abbatteranno» soggiunse sicura. Le stanze, continuai, sono grandi e spaziose, veri saloni, dissi con enfasi (quasi a proteggere l'albergo dalla distruzione). Sì, lo sapeva, ma è decaduto. Si informò, testarda, sempre con dolcezza, dei miei cari genitori. E se erano protestanti. Accennai a Madame che ci eravamo già incontrate una volta. Sembrò con dolcezza non ricordarlo. Insistetti: era il giorno che venne a riprendere Frédérique al collegio. E vi accompagnai, dissi, alla stazione. Ora Madame ricordava «une jeune fille triste», un sorriso di carità le mosse il

Page 42: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

mento. Parlò del tempo, non di quello trascorso, ma dell'afa e dell'umidità. Aveva un'esatta cognizione della meteorologia. La sua calma e dolcezza erano sontuose, un velluto spesso. Perduravano e avrebbero potuto agghindare portoni e finestre. Mi servii ancora di petits fours, si scusò di non avermeli offerti una seconda volta. Li contai, ne rimanevano cinque o sei sul piattino, decisi di finirli. Passai in rassegna tutte le mamans che avevo conosciuto nei collegi. Provai un lieve disgusto. Senza motivo. Le vedevo nei parlatori, con i loro tailleur, muovere le labbra. Alcuni parlatori, soprattutto quelli di case religiose, hanno un che di losco e di congiura. Nel mio primo collegio, tenuto da religiose, avevo otto anni, eravamo tutte ossessionate dalle «spie», parola che conferiva alla delazione una risonanza cosmica. A questo pensavo quando Madame versò il tè, ormai tiepido, nelle tazze. Frédérique non aveva detto una parola. Il suo mutismo era senza peso. Senza vita. Estranea. All'improvviso trasalì. Sino allora era rimasta seduta in mezzo a un divano, seduta come se stesse per andarsene, con il busto lievemente chino in avanti. Si udì un respiro convulso, poi un altro. Il suo respiro usciva dalla cassa toracica come se avesse un'eco, un rimbombo. Una seconda voce. Madame teneva la sua tazza in mano, accennò che nell'Appenzell gli uomini andavano a votare con l'arma bianca e le donne guardavano dalla finestra, e Madame si voltò verso la finestra, ma mi accorsi che guardava la figlia. Aveva trovato una ragione per guardarla. Madame tornò alla meteorologia. L'acre esuberanza della vanitas emanava un profumo di serra. Madame accarezzò un petalo. Con violenza Frédérique solleva il torace, per inspirare. Il torace si alza e si abbassa, il ritmo era divenuto costante. Sembrava contratta da spasimi. Sibila. Notai per la prima volta un'opacità nello sguardo, un che di perduto, una foschia. «Mia figlia» aveva sussurrato Madame nell'accompagnarmi all'ascensore «ha tentato di bruciarmi». Lo disse con dolcezza tale da sembrare rimpianto. Aprì la porta dell'ascensore. Dentro, uno specchio e una panca. «Elle n'est pas responsable». E nello specchio i suoi occhi cristallini, madidi di fede, concisi come un epitaffio. Sia persuasa, cara. Non si disturbi. Lei premette il pulsante. «Questo, per me, è un viaggio. Sorveglio. Non esco quasi mai di casa. Lei capisce, vero, cosa intendo». La prego. Feci il gesto di farla passare per prima. Mi spinse verso l'uscita. Infine mi salutò, ringraziandomi per la visita, raggiante perché aveva conosciuto l'amica di sua figlia. Il portone si richiuse. La giornata era chiara e funesta. Il lago sciabordava al vento. Sulla riva si incolonnava una delegazione asiatica. Da una fontana, come da una forca, penzolavano cerchi d'argento. Frédérique mi aveva

Page 43: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

dato appuntamento in un caffè. Ero in anticipo. I minuti di anticipo sono lunghi. Chiesi un bicchiere di ovomaltina. Non avevo nulla a cui pensare. Le lancette, immobili. Una foglia striata e una farfalla bianca si scambiavano galanterie. La foglia svolava, memore della linfa passata, e la farfalla la seguiva, come un emissario. Idillio e consunzione in un leggiadro vortice. Il tavolo è di marmo. Chiedo di nuovo un bicchiere di ovomaltina. Dovevo trovare un argomento per distrarmi dall'attesa. Pensai alle stazioni ferroviarie, quella di Teufen, di Staz, del Rigi, Wengen. In una piscina avevo preso lezioni di nuoto e mio padre, vestito come d'inverno, rifiutava il sole estivo, seduto all'ombra. Un sole sbagliato copriva le nostre estati, un sole illividito che perforava il crepuscolo, la luce delle foreste, dei pantani, una luce che non viene dall'alto, ma piuttosto si irradia da funghi e bacche velenose, dal terriccio umido. Passeggiavamo verso quel raggio oscuro, un'oasi di pace murata. Padre e figlia si tenevano per mano, come due vecchi sposi. Mi indicava i nomi delle montagne. Nell'albergo una luce metallica si posava sui tavoli, sui croissants e gli argenti. Era la prima colazione. Una vetrata dava sul Cervino, sul sole, sulla rigenerazione del mondo. Al tavolo accanto, una signora e le sue tre figlie si offrirono alla nostra attenzione. Dalle fronti bombate scaturiva un'aria così felice. Loro sono nate bene, pensavo, loro sono nate felici. La signora e le signorine mostravano quasi una testarda felicità, una demoniaca fisionomia serena. «Vedi, wie glücklich sie sind» dissi a mio padre. (Forse lui capì che ero io felice, era distratto). Durante tutto il giorno, la composizione del tavolo imbandito e della loro felicità mi seguiva con tenacia. A destra la più giovane, la testa più piccola, la fronte più stretta, gli occhi meno evidenti, pensai. Le narici sottili. Era pettinata come la maggiore, una riga spietata in mezzo, frivola nella spietatezza. Durante la passeggiata, la felicità che scherzava con la signora e le signorine si sovrapponeva a mio padre e me, ogni anno soli, caparbiamente soli, un poco aspri, abitudinari, inquieti se qualcuno, come succede negli alberghi, pensava di fare cosa gradita sedendosi al nostro tavolo. Noi salutiamo i vicini di tavolo, prima di sederci. Li salutavamo anche nell'alzarci, finivamo sempre prima di tutti. Nella hall si leggeva, il suono di un'orchestra giungeva da una sala. Vecchie coppie ballavano il valzer, il foxtrot, gli uomini con passo lungo, ben scanditi i tempi. Il ritmo, gli svizzeri l'hanno avuto sempre nel sangue. Quando c'erano i francesi, e festeggiavano la ghigliottina, anche gli svizzeri ballavano, alzando le ginocchia e mostrando le suole delle scarpe. Il giorno dopo l'albergo non riuscì a tenere segreta la notizia: la

Page 44: [Varia] Fleur Jaeggy - i Beati Anni Del Castigo

signorina più giovane, aveva la mia età, si era impiccata alla tenda a fiori e foglie, nella sua stanza. Per non disturbare i clienti, furono discreti e non si vide la salma. L'apparenza non violò l'ordine naturale delle cose. E" vero che un suicidio non è nell'ordine naturale delle cose. Ma quale la differenza? Nella stanza, la tenda venne richiusa. Pensavo all'inverno, in albergo. Sui rami degli alberi, i ghiaccioli lacrimavano, in primavera si sarebbero sciolti. Non li ho mai visti mentre si scioglievano. Ed ecco Frédérique. Si siede. Il suo viso è vicino al mio. Ci guardiamo. E" un sortilegio che unisce gli amanti? Scherziamo. Lei sorride. E" il nostro ultimo incontro. «Cosa ne hai fatto della bambola?». «Quale bambola?». Mi guardava dritto negli occhi. Lei l'ha sempre tenuta - e sembrava dire: addosso. La bambola, spiegò con pazienza, regalata dal collegio, la Sangallese, con il costume e la cuffia. «Ma io l'ho buttata via subito» dissi. «No, tu non l'hai buttata, devi cercarla, l'avrai lasciata da qualche parte. Vedrai che la troverai, ma certamente non l'hai buttata». E quasi mi rimproverava. Come una santa, nei cui occhi non sia svanita del tutto la ferocia, un attimo prima della mansuetudine. Era certa che non avrei potuto buttar via la bambola. Sarebbe stato deplorevole. Si ostinava a essere ancora la più disciplinata di tutte, la più obbediente. E sembrava rimproverarmi anche il fatto che non ricordassi quel fantoccio imbottito, con la Tracht e gli occhi dipinti. Le prendo la mano. La sua mano che scriveva nel collegio a Teufen. E io ho copiato la sua calligrafia. Vuole un esempio. Scrivo su un foglietto il suo nome. Chi copia diventa l'artefice. Addio, Frédérique. E" lei che scrive la parola adieu. Quel piccolo suono filisteo che ho udito a Teufen si ripete, si capovolge, si spiana, si arrende, diventa parte di una lingua dei morti. Dopo vent'anni mi scrisse una lettera. Sua madre le aveva lasciato qualcosa per vivere. Ma ne aveva abbastanza di essere ospite del manicomio, se continuava così avrebbe preso la via del cimitero. Sono davanti all'edificio del collegio. Due donne siedono su una panchina. Le salutai con un cenno del capo. Non risposero. Aprii la porta. Una donna seduta a un tavolo. Un'altra in piedi. Mi domanda cosa voglio. Chiesi del collegio. Scandii il nome. Non l'ha mai sentito. Qui a Teufen, sind Sie sicher? Mi guarda con occhi indagatori e malevoli. Certo, ero sicura. Vi avevo vissuto. Per un momento la mia risposta mi parve futile. Mi consiglia di andare a St. Gallen. Là ci sono molte scuole. Ripetei ancora il nome del collegio. Mi sbagliavo, disse. Mi scusai. Questa, disse, è una clinica per ciechi. Adesso è così. Una clinica per ciechi.