Vanishing Point

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Come spezzare in un punto le strutture sociali che stanno soffocando ogni capacità di formazione di una classe dirigente. How to break away from the Social structures that suffocate all attempts to educate those who govern us. Pour rompre en un point les structures sociales oppressant toute capacité de formation d’une classe dirigeante. Wie man die Sozialen Strukturen Bricht, die die Bildungsfähigkeit einer jeden Führungsschicht Ersticken. Cómp quebrar en algún punto las estructuras sociales que están sofocando cualquier capacidad de formación de una clase dirigente. Como romper em um instante as estruturas sociais que estão sufocando toda a capacidade de formação de uma classe dirigente.

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Questa nota propone una riflessione intorno ai processiformativi e di avviamento alle professioni. Una riflessionecircoscritta al solo ambito delle discipline umanistiche, equesto non tanto in virtú di una reale o meno differenzatra i loro apparati e quelli del sapere scientifico, quantoin ragione del ruolo che esse hanno avuto e potrebberotornare ad avere nell’elaborazione dei contenuti da pre-

disporre in vista di ogni pratica formativa e professionale. Siamo quindi nelcampo della responsabilità professionale e politica dei ceti dirigenti. Dellaclasse politica. Dei suoi obblighi e delle capacità che deve avere per farsenecarico. Il vecchio adagio borghese sosteneva che la “proprietà obbliga”: laglobalizzazione – ultima tappa della progressiva polverizzazione finanziariadella proprietà in senso originario cosí come della nazione in senso storicoe sociale – ha vanificato, fatto svanire il sentimento dell’obbligo individualedel proprietario di beni materiali e immateriali nei confronti della suacomunità di appartenenza e con essa delle altre esistenze umane e infinedel mondo intero, della sua stessa natura. Questa progressiva liberazionedal carico individuale di possedere per sé e per gli altri si sta traducendo insupremazia assoluta, imperiale, di un modo di immaginare e fare mondoche è soltanto occidentale in quanto è il “solo” a essere stato inventatocome “possibile” dall’essere umano e dalla sua volontà di potenza.Questa nota si interroga sulla possibilità di creare contenuti in grado diobbligare la persona a sentirsi responsabile di stesso e degli altri spingen-dosi al di là della dicotomia contemporanea tra proprietà e impero. Qui

Vanishing PointSupponiamo che sia giunta la fine defi-nitiva e irreversibile del luogo istituzio-nale in cui per vari secoli le societàhanno formato le proprie classi dirigen-ti affidando ad alcune specifiche disci-pline – definite umanistiche a partire daquelle classiche come l’etica – il compitodi elaborare le formedi pensiero necessariea governare i muta-menti e i conflitti delproprio tempo presentee di quello a venire.Supponiamo, dunque,che si sia in tutto dis-solta l’università inquanto produzione dicapacità di governosulla complessità dellavita umana. E ineffetti i segnali di questa sparizione delsenso originario delle istituzioni accade-miche non mancano di certo. Sonodavanti ai nostri occhi. È allora possibi-le immaginarsi un processo innovativo– meglio dire divergente – che cerchi diuscire dal vuoto di tali istituzioni, dallaloro inefficienza culturale, trovando

altri luoghi e altre modalità per fare unaformazione che sia all’altezza della postain gioco nelle attuali dinamiche di glo-balizzazione e localizzazione della vitaumana? Meglio: prima ancora di spera-re di attivare la dimensione richiestadalla nascita dei luoghi e delle modalità

con le quali produrreuna formazione diver-gente, è possibile agirecome punto di rotturain grado di sperimen-tare il proprio isola-mento dai valori edalle pratiche chedominano i sistemiformativi moderni epost-moderni? È suquesta domanda checonviene forzare la

nostra riflessione lasciando ad altril’inutile esercizio di restare imprigionatinella logica triste e impotente delle rifor-me – della loro perversa concatenazione,del loro continuo incatenamento – concui sino ad oggi si è vanamente consu-mato ogni tentativo di risanare le istitu-zioni universitarie.

Come spezzare in

un punto le strut-

ture sociali che

stanno soffocan-

do ogni capacità di

formazione di una

classe dirigente

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stanno le ragioni delle brevi e rapide analisi di questo documento. E da quidiscende il suo campo di osservazione: l’università. La constatazione diret-ta del degrado in cui versa l’università – tanto i significati quanto le formeche la contraddistinguono – costituisce la traccia e lo stimolo iniziale peruna teoria piú generale.

Chi sono dunque i destinatari? Non ci si rivolge ai differenti attori universi-tari, a contratto o di ruolo che siano, al fine di coinvolgerli in una propostaculturale militante, come vuole la tradizione di chi nella società si muovesecondo un disegno e un obiettivo politico; tanto meno ci si rivolge a quel-le professioni intermedie (manager, artista, intellettuale, giornalista e scrit-tore) che, della formazione universitaria, sono il territorio di riferimento, eche, nei giochi universitari, sono spesso coinvolte, non solo per dare loroqualche incarico o affidamento, ma assai piú per fare immagine, crearecontatti e clientele, disporre di mezzi e sponsorizzazioni. Fare scambio disaperi e favori. Questo discorso non cerca interlocutori nell’immediato,vuole piuttosto sottrarsi a ogni urgente e cocente attualità, nella convinzio-ne che tale prospettiva costituisca l’unico modo possibile di fare fronteall’agire. “Stare al passo” coi bisogni e problemi del momento in realtàsignifica rinunciare a qualsiasi opportunità divergente, qualsiasi interruzio-ne del passato (né un suo ripensamento, né l’accettazione del presente chelascia intravedere). L’obiettivo è arrivare a una prima riflessione sul lavorointellettuale e sulla sua utilizzazione in campo formativo: mostrare la suacrisi complessiva, generale, non soltanto al centro (o periferia?) delle istitu-zioni accademiche ma anche alla deriva di tutte quelle forme di lavorointellettuale non universitario che di tali istituzioni sembrano essere l’insi-dia e insieme la pretesa, solo in parte consapevole, di un ricambio epocale.

In cosa consiste l’innovazione introdotta da ambiti cosí decisivi per la vitaumana? Un giudizio sul valore degli studi letterari e filosofici, sociologici emediologici, deve considerare il doppio piano attraverso cui il sapere uma-nistico ha inciso, dalle origini della società industriale fino all’attuale socie-tà delle reti. La sfera privata dei consumi e quella pubblica delle università. Lacomprensione del mondo, dei conflitti e delle abitudini dominanti, si è svi-luppata secondo due direttrici parallele: da un lato un sapere esperienzia-le, perfettamente aderente ai flussi e ai capricci della vita quotidiana, dal-l’altro un sapere progressivamente distante dalla realtà, addirittura fiero diesserlo, interessato, per necessità o cecità, al proprio potere piú che allaeffettiva ricerca dei contenuti. Ai ritmi, ai vuoti e agli eccessi della primamodalità, la seconda ha risposto e ancora risponde creando campus e spazichiusi, riviste e collane del tutto autoreferenziali. Qui si è andato elaboran-do un sistema di valori e interdizioni che – invece di superare i limiti delconsumo, spingersi oltre ciò che già di per sé si fa illimitato, siderale, equindi costruire a partire da questo salto politico-culturale l’esperienza diun territorio di vita attuale e significativo – moltiplica la forza e l’efficaciadelle sue opposizioni e congiunzioni tra teoria e pratica, qualità e quanti-tà, soggetto e oggetto, riflessione e vissuto, studio e professione. Pur nelle reciproche contaminazioni, fino all’epoca televisiva queste sfere– da un lato la produzione di sapere e dall’altro il consumo di esperienza,da un lato i linguaggi della scrittura e dall’altro i linguaggi del corpo: daun lato la cultura dei colti e dall’altro la cultura popolare o meglio dimassa – hanno funzionato come due universi autonomi, sicuri dei lorointerlocutori come delle loro rispettive funzioni: occupare e disegnare iltempo professionale, divertire e intrattenere nei momenti di pausa esvago. Oggi, nell’epoca delle reti, si assiste a una profonda riconfigurazio-ne dell’esistente: a una messa in discussione delle precedenti distinzionitra pubblico e privato, lavoro e loisir, interiorità ed esteriorità; si pone condrammatica urgenza la necessità di un ripensamento dei modi e dei luo-ghi predisposti alla ricerca e alla conseguente formazione professionale.

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Sono coinvolti, in questo dibattito, anche coloro che, pur non avendo maivissuto il consumo e il sapere come due dimensioni inconciliabili, hannoda subito creduto in un percorso formativo centrato sulla ricchezza sim-bolica del mondo. Spinti dalla convinzione che i media e i loro immagi-nari potessero di per se stessi costituire un contenuto formativo, la basesu cui erigere un pensiero instabile e provvisorio ma costantemente tesoalla comprensione del vissuto, interessato alle trasformazioni dell’espe-rienza piuttosto che alle metamorfosi del potere e della proprietà. È stataed è la posizione piú contrastata dalle tradizioni istituzionali e politiche;persino dall’impresa, spinta – non molto diversamente della politica – dalsuo servilismo nei confronti dei valori che piú sono in grado di consenti-re facili consensi e connivenze. La risposta delle parti coinvolte in questepolemiche – in questo scontrarsi tra diverse (ma non troppo o non abba-stanza) politiche, ovvero tra diverse forme di abitare il mondo – è statafrantumata dalle proprie inconciliabili contrapposizioni ideologiche.

La mediologia piú attenta alla sociologia dell’immaginario e dei consumiè andata almeno cercando un pensiero esperto nel superare la dialetticatra consumo e sapere, nel riconoscere il divario incolmabile che separa,da un lato, un umanesimo accademico sprofondato in miseria, confinatoin una posizione marginale e insignificante, e dall’altro, un umanesimo diconsumo divenuto straordinariamente potente, non solo ai vertici maanche alla base della vita quotidiana.Tuttavia, è stata una miopia insistere cosí a lungo sullo scontro tra filosofieed estetiche del consumo e filosofie ed estetiche delle istituzioni. Non pote-va che essere una battaglia di retroguardia. Dunque non può piú bastare (èmai bastato?) un pensiero che, pur senza incertezze e ambiguità, ancoravoglia porre questioni di fondo come queste, cruciali per molti intellettua-li di buona volontà ma del tutto interne alla tradizione politica occidenta-le: quali obiettivi assumere e raggiungere nell’ambito del sapere umanisti-co? Quali luoghi e soggetti costruire in vista di una sua effettiva realizzazio-ne? Quali pubblici o mercati immaginare per una sua reale ed efficace dif-fusione? È ormai evidente che si tratta di questioni in cui l’umanesimo stes-so si limita a interrogarsi su se stesso, a mostrarsi perfettibile, a rivendicarela propria universalità e il proprio universalismo, ma anche a restaurare lesue capacità politiche; la sua ambizione a orientare ogni genere di conflit-ti. A conservare il proprio tempo, la sua Storia: le forme di vita di un sape-re consustanziale al potere e in particolare al manto di valori sociali di cuiveste la sua sovranità sulla vita. Se le domande sull’umanesimo restano den-tro queste sue strategie di incantamento, c’è da chiedersi, prima di pren-derne le distanze, quali siano gli ambiti – gli abiti e le abitudini – in cui illavoro intellettuale esercita la propria influenza sulle opinioni e sui proces-si formativi, senza riuscire a emanciparsi dalla corazza del proprio umane-simo e tuttavia perdendo terreno sul piano dei suoi stessi contenuti.

L’indicatore che meglio di altri riassume la crisi dell’università e dei processidi civilizzazione a essa connessi è la progressiva perdita di reputazione.Il prestigio di un docente, e per estensione di un libro o di un film, si rive-la nell’attimo in cui la comunicazione realizzata da quel singolo interven-to, avvento, evento appare talmente autorevole da imporsi all’opinionecomune, talmente efficace da formare e disegnare il destinatario. Il princi-pio teorico soggiacente all’intero sistema riflessivo di McLuhan – ilmedium è messaggio – sostiene che la qualità del medium sia in generalepiú forte di colui che prende voce in quello stesso dispositivo. Le singolecomunicazioni godono di un grado di reputazione direttamente propor-zionale al successo e al potere di cui dispone il medium in oggetto. Cosí, gliaccademici del passato erano grandi perchè grande era l’istituzione cheessi stessi contribuivano a rendere tale; altrettanto circolare era ed è il pre-stigio tra testate della stampa e grandi giornalisti. La deriva che attraversa

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oggi l’istituzione universitaria è dovuta, in parte, a una esasperata burocra-tizzazione, in parte a una diffusa incapacità nel leggere e attribuire valorea una formazione anti-accademica, legata al consumo e ai suoi ambientipiú significativi. Si pensi in particolare a come la pubblicità e la fiction tele-visiva abbiano accelerato alcune trasformazioni essenziali: il passaggiodalla società industriale a quella post-industriale, dalla riproducibilità tec-nica a quella digitale, dalle identità collettive alla persona.Nonostante i principi di eccellenza e merito vengano oggi sbandieraticome simboli e testimonianze di una formazione anti-accademica, il sape-re resta tuttavia chiuso in innumerevoli segmenti disciplinari, in pacchettisterilizzati, in programmi altrettanto vuoti e opachi. La logica dominante,tanto dei docenti che dei riformatori, si limita a confermare e soddisfarele esigenze di un sistema già esistente, senza mai correggere o negare lasua tradizione di fondo. I suoi fondamenti. Un’università cosí vissuta econcepita, è del tutto priva di prestigio, spoglia di speranze e prospettive.Le prove d’esame sanciscono in modo esemplare la ripetizione e il sempli-ce calco di nozioni condivise tra lavoro e formazione, università e impresa.I discenti vedono nel docente un controllore o al massimo un’istituzioneassistenziale al loro servizio. Il docente è incapace di rigenerarsi, formarsicon e attraverso i discenti. I contenuti e le persone sono dunque una tra-smissione meccanica, senza alcuna possibile formazione del lavoro.

Chi ha dunque ancora fiducia e credibilità fra i giovani? È plausibile cre-dere che essi siano influenzati da figure dell’immaginario presenti neimedia e nei new media, che essi siano attratti da altri mondi: il calcio, lamusica, i fumetti, i videogiochi, le serie televisive. Lo stesso vale, del resto,per gli accademici e gli intellettuali. La fama di un professore dipendequasi interamente dalla stampa e dalla televisione. Cosí nel passato deimedia di massa, ancor di piú oggi, tempo delle reti. L’università, con i suoiprotocolli di lavoro e comportamento, non sembra in grado di reggere iritmi e la velocità delle reti, concede sempre meno spazio e tempo aidocenti per apparire nei media, lascia a quest’ultimi il compito di conferi-re fama e notorietà, dunque credibilità alle forme di lavoro e pensierointellettuale. A questo stato di cose si aggiunge una letteratura cresciuta trale culture hacker, un uso diffuso dei blog e dei social network, da cui discen-dono nuovi profili professionali e forme di reputazione negoziate in mododiverso rispetto alla tradizione, quella delle corporazioni professionali edelle gerarchie accademiche. L’insieme di questi processi – innervaticome sono dentro territori mediali che si vanno espandendo in alternati-va ai vecchi media ma anche come loro nuova frontiera o mercato – costi-tuisce lo sviluppo ultimo delle forme di reputazione create dall’industriaculturale, in un percorso che vede una stretta continuità tra vecchi e nuovimedia, e al tempo stesso una progressiva catastrofe dei modi attraverso cuil’accademia ha costruito i propri valori, la sua fama e le sue gerarchie.

Esiste forse un varco, la possibilità di recuperare un pensiero della vita quoti-diana e dell’immaginario. Un pensiero tattile e tuttavia in grado di costruire unpiano riflessivo ulteriore, un punto di vista sulla complessità del vissuto; dacontrapporre al sapere politico e sociale che ha prodotto tanto i contenutidelle istituzioni civili quanto un uso delle tecnologie come strumenti didominio dei processi di modernizzazione; quei contenuti che ora rispondo-no al declino o alla sterilizzazione di tali processi esasperandone le radici.Una dimensione in cui pensiero ed esperienza, conoscenza e stile di vitacostituiscono un unicum originario e inscindibile.I processi di civilizzazione sono in genere un “nobile” tentativo di ridurrela violenza “fondatrice”, che anima le forme e i modi d’essere.Bisognerebbe andare al cuore dell’inganno, smascherare l’offerta di undio, celeste o terreno, che promette la Felicità in nome di un Fine, che giu-stifica la forza e il desiderio nei limiti e non-limiti del Potere; sperimenta-

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re un processo formativo divergente che includa al suo interno i soggettidisposti a sacrificare la loro educazione e appartenenza, che escluda inve-ce chiunque non sia pronto a condividere lo spazio di questo ragionamen-to, o sia incapace di pensare al di là e al di fuori di quello che oggi è inquanto cittadino e professionista del mondo. Una formazione siffatta, innulla partecipativa del tempo che abitiamo, per nulla integrata alle sue eti-che, estetiche e politiche, richiama una iniziazione mitica densa di deter-minazione: il bagno di Sigfrido nel sangue del drago; il luogo di una libe-razione dalla corazza e dalla vulnerabilità dei costumi sociali; l’istante incui potrebbero nascere nuove figure dotate di reputazione. Una netta cesura con la tradizione critica può interessare le politicheattuali? Lungo il corso della modernità, gli apparati predisposti alla forma-zione riuscivano, mediante una struttura verticale, a conservare reputazio-ne, ad anticipare i contenuti necessari al proprio avanzamento. Nel tempoassai piú rapido dell’eclissi dei soggetti e dei valori moderni, potrebbeinvece servire un focolaio di sapere destinato a “mettere in forma” conte-nuti in tutto anti-moderni, una radura di pensiero teso a elaborare quellecapacità che sfuggono agli attuali regimi di senso. Tutto ciò che viene lettoe percepito come deriva e implosione, silenzio e catastrofe, potrebbe costi-tuire il territorio su cui abitare. Fosse anche un’illusione questo riuscire apensare un pensiero che non pensa il presente e il futuro delle istituzioni,dei saperi e delle professioni storiche, varrebbe comunque la pena di cre-dere e spendersi in essa: un’illusione questa volta fondata sulla disillusione.

Annotazioni

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This is a reflection on educational processes and voca-tional courses. It is limited to the Humanities notbecause there is a difference between the knowledgespheres of Humanities and Science, but because of therole Humanities have played, and could play again, inthe design of the content of any educational or voca-tional practice.

We are therefore in the field of the professional responsibility of the gov-erning classes, the political classes, and of the duties and the abilities need-ed to fulfil those duties. An old bourgeois adage was “noblesse oblige”:globalisation, the last step in the progressive financial pulverisation ofproperty in its original sense, has done away with any feeling of individualresponsibility of an owner of material or immaterial goods towards thecommunity. This includes other human beings in general, the wholeworld, and its very nature. This progressive liberation from any individualresponsibility of possession for oneself, or for other people, is turning intoabsolute and imperial supremacy. It is a way of imagining and making aworld that is only western, as it is the only possible one to have ever beeninvented by human beings and their wish for power. Here we investigate whether there is any possibility of creating academiccontent able to make a person feel responsible for himself and others bystriving beyond the present dichotomy between ownership and “empire”.This is the reasoning behind this short analysis and its field of enquiry: uni-versity. Direct observation of the downward spiral universities are headingtowards, of their very distinct meaning and forms, constitutes the outlineand initial stimulus for a more general theory.

Let us suppose that we have reached thedefinitive and irreversible end of an insti-tution, one where for centuries societiestaught their governing classes specific dis-ciplines known as Humanities. Classicssuch as Ethics were taught to developminds capable of gov-erning changes andconflicts of the timeand of that to come.Let us suppose thatuniversity, intended asa producer of peopleable to govern over thecomplexities of humanlife, has completely dis-solved. Evidence of thedisappearance of thisoriginal purpose ofacademic institutions is in effect beforeour very eyes. Could it then be possible toimagine a whole new process, or rather adifferent process, able to replace suchculturally challenged institutions?Could other places, other means, be

found for an education fit for the cur-rent climate of globalisation and locali-sation of human life? Better still: evenbefore attempting to bring about theright conditions for the birth of placesand means for educating people that

govern us, is it possi-ble for this process toact as a breakingpoint, a point able tolive with its own iso-lation from valuesand practices thatdominate both mod-ern and post-moderneducational systems?This is the questionwe need to focusupon, leaving to oth-

ers the futility of remaining imprisonedin the sad and fruitless mentality ofreforms. Such reforms, forever tied up intheir own perverse connections, havehitherto exasperated every attempt toimprove our universities.

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How to break awayfrom the Socialstructures thatsuffocate allattempts to edu-cate those whogovern us

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Who does it address? It is not meant for university staff, whether on perma-nent or temporary contract; not to involve them in some militant proposal,a tradition for those in society who act according to some political plan orobjective. Neither is it aimed at professionals such as managers, artists, intel-lectuals, journalists and writers who are the reference points for universi-ties, often involved in university intrigues, not just to provide work orresponsibility but to provide a certain image, create contacts and clients,obtain money and sponsorship, exchange knowledge and favours. One isnot looking for immediate dialogue here but rather an escape from anyurgent and burning novelty that people believe to be the only way to facethe need for action. Constantly keeping up with the requirements of themoment actually means giving up any chance of a different way, of anybreaking with the past (or any rethinking, or acceptance of a present thatcan only just be perceived). The aim here is to reach the point of a firstreflection on intellectual work and its use in the field of education. It is toshow the whole general crisis, not only at the centre (or periphery?), of aca-demic institutions but also as distinct from all those other forms of intellec-tual work that are not from universities and seem to be a trap for universi-ties; as well as a sometimes subconscious excuse for periodic change.

What kind of main innovation is emerging in these crucial environments?Any evaluation of the study of literature, philosophy, philosophers, sociolo-gists and analysts of media, must consider the two planes that human knowl-edge has cut through. This involves considering the origins of industrialsociety right through to the present society of networks: The private sphere ofconsumption and the public sphere of universities. An understanding of theworld with its conflicts and main habits has developed along two parallellines: experiential knowledge, entirely consistent with the flux and chang-ing fashions of daily life, and a knowledge farthest removed from reality,and proud of it: a knowledge that is interested, by necessity or blindness, inits own power more than in any effective research of where to exercise thatpower. To the rhythms, vacuums, and excesses of the first, the second hasreplied, and is still replying, by creating campuses and closed spaces, publi-cations and collections that are completely self-referential. This elaborationof a system of values and disqualifications, has failed to overcome the limitsof consumption, and to expand beyond what was already limitless andgalactic. It failed to build from this political and cultural leap the experi-ence of a landscape of real and significant life. Instead it multiplied thestrength and efficacy of its opposition; conjunctions between theory andpractice, quality and quantity, subject and object, reflection and experi-ence, study and profession. Even with mutual contamination, the produc-tion of knowledge versus the consumption of experience, the language ofwriting versus that of the body, culture for the educated classes against pop-ular or rather mass culture, until the age of television, acted as two separateuniverses. They remained confident of their speakers and of their separatefunctions: to plan and take up professional time, to amuse people and filltheir leisure time. Today, in the age of networks, we are witnessing a com-plete reconfiguration of things: a debate of the previous distinctionsbetween public and private, work and leisure, interiority and exteriority. Itis of the utmost urgency that we re-think the ways and places suitable forresearch and consequently for professional education. Even those who have never experienced consumption and knowledge astwo irreconcilable dimensions are involved in this debate. From the startthey believed in an educational route centred on the symbolic richness ofthe world. They were driven by the conviction that the media and theirimaginings could constitute an education by themselves and be the basisfor unstable, temporary thought, constantly tending towards the under-standing of experience, the transformation of experience rather than themetamorphosis of power and ownership. It has been, and still is, the posi-

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tion most criticised by traditional and political institutions. Even by busi-ness, which is driven, not unlike politics, by its servility towards values mostlikely to facilitate consensus and connivances. The reply of those involvedin these arguments, in this clash between different (but not too differentor not different enough) politics, between different forms of living in thisworld, has been completely broken down by its own irreconcilable ideolog-ical counter positions.

A careful sociological analysis of media, the imaginary and consumptionhas continued to search for expertise in overcoming the dialectic betweenconsumption and knowledge. It recognises the permanent gap separatinga miserable academic humanism, confined to a marginal and insignificantposition on one side, and the humanism of a kind of consumption that hasbecome extraordinarily powerful, at the peak and even the base of every-day life, on the other.To have focused attention for so long on the clash between philosophiesand aesthetics of consumption instead of on institutions is short sightedand could never have been more than a defence. Leaving aside uncertain-ty and ambiguity, a thought still trying to ask these basic questions cannotpossibly be enough (was it ever enough?). These thoughts may be crucialfor many well-meaning intellectuals but are completely within the traditionsof western politics. Which objectives should be pursued and assumed in thearea of human knowledge? Which places and subjects should be construct-ed in order to achieve meaningful ends? Which public or markets are wethinking of for their real and effective diffusion? By now it is evident thathumanism can only ask itself these questions. They reveal scope forimprovement in claiming its own universality and universalism, but also inrestoring its political capacities; its ambition to direct all kinds of conflicts.It shows its perfectibility in maintaining its own time, history; the forms oflife of a knowledge consubstantial with power and in particular with a man-tle of social values with which to clothe its rule over life. If the questions onHumanism insist on beguiling us, before we ignore it we need to ask the fol-lowing. What are the aims, forms and habits in which intellectual work exer-cises its own influence on opinions and educational processes? How canintellectual work free itself from the chains of its Humanism, without at thesame time losing ground in the field of its own contents?

The best indication of the crisis of universities and their processes of civil-isation is the progressive loss of reputation. The prestige of a professor, andby extension of a book or a film, is revealed when the communication froma single intervention, moment, or event, appears so authoritative as toimpose itself on common opinion, and so efficiently as to form and designthe very perceiver. The main theory underpinning the whole McLuhanidea that the medium is the message, is that the quality of the medium isgenerally stronger than the voice of the person who delivers it. Each com-munication enjoys a degree of reputation directly proportional to the suc-cess and power of the medium. Likewise, academics in the past were greatbecause the institutions they contributed to were great. Equally circular was,and still is, the prestige between main newspapers and great journalists.The fact that university institutions are adrift today is partly due to an exas-peration of bureaucracy, and partly to a widespread incapacity to read andattribute value to an anti-academic education linked to consumption and toits more significant environments. We only have to think of how advertisingand fiction on television have accelerated certain essential transformations:the step from an industrial society to a post-industrial one, from technicalreproduction to digital, from a collective to a personal identity. In spite of the way principles of excellence and merit are waved about assymbols and evidence of an anti-academic education, knowledge stillremains locked up in numerous different disciplines, in sterile packages,

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in programmes that are equally empty and fuzzy. The main logic of bothuniversity teachers and reformers limits itself to confirming and satisfyingthe needs of an already existing system, never correcting or negating itsbasic traditions, its very foundations. A university conceived of and experi-enced in this way completely lacks prestige and has neither hope norprospective. The exam system reinforces the repetition and factual shapeof both work and education, university and work place. Students see theprofessor as a controller or at best as an assistant at their service. Lecturersare incapable of reinventing themselves, of learning with and from stu-dents. Content and people experience therefore a mechanical transmis-sion, with no possibility of vocational training.

Can young people still have any trust or faith in such a system? One mighteasily think they are influenced by figures of the imaginary on media andnew media, attracted by other worlds: football, music, comics, videogames,television series. The same is true for academics and intellectuals. Thefame of a lecturer depends almost entirely on press and television: just aswith mass media in the past, even more today with networking. University,with its rules for work and behaviour seems incapable of upholding therhythms and speed of networks. It gives ever less space and time to lectur-ers to appear in the media; it lets networks bestow fame and notoriety, andtherefore credibility in the form of work and intellectual thought. We canadd to this a literature grown in a hackers’ culture, the widespread use ofblogs and social networks. These provide new professional profiles andforms of reputation negotiated differently than traditionally: that of pro-fessional corporations and academic hierarchy. These processes, woventogether within expanding media territories, an alternative to the oldmedia but also their new frontier or market, constitute the latest develop-ment in the kinds of reputation created by the culture industry, on a routethat sees a tight continuity between old and new media and simultaneous-ly a progressive catastrophe for the ways through which the academy hasbuilt its values, its fame and hierarchies.

Perhaps there is a way out, the possibility to recuperate thoughts for daily lifeand the imaginary and a body of thought both tactile and able to build ona higher reflective plane. They could represent a point of view on the com-plexity of experience; able to set itself against political and social knowl-edge that has managed to produce civil institutions as much as a use oftechnology, as instruments of domination over the processes of moderni-sation. Such contents could now respond to the decline or sterilisation ofsuch processes and exasperate the very roots and bring about a dimensionin which thought and experience, knowledge and way of life become orig-inal, distinct and integrated. Processes of civilisation are usually a “noble”attempt to reduce the “founder” violence that animates the shape and waysof being. We need to get to the heart of the deception, to unmask the offerof a heavenly or earthly God promising Happiness in the name of an End.We must experiment with a different educational process that includessubjects prepared to sacrifice their education and background, thatexcludes anyone unprepared to share this reasoning, or who is incapableof thinking beyond his present condition, as citizen and professional of theworld. An education of this kind, in no way participating with the time welive in, in no way integrated with its ethics, aesthetics and politics, remindsus of a throw back to a mythical initiation, heavy with significance. Werecall Sigfried’s bath in the dragon’s blood; a place to be freed from thechains and vulnerability of social mores; the moment when new figures canbe born, ones with a reputation. Could our current politicians be interested in a clean cut with critical tra-dition? During the course of modernity, through a vertical structure, edu-cation managed to maintain its reputation, and anticipate those contents

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necessary for its advancement. In the much more rapid days of the eclipseof modern subjects and values, we might need a source of knowledge des-tined to “begin to shape” completely anti-modern contents, a completeclearing of the way of thinking, aiming to elaborate on those capacitiesthat escape the current rules of sense. Everything that is read and per-ceived as implosion, silence and catastrophe could constitute the land onwhich to live. If ideas that do not take into account the present and futureof institutions, of knowledge and its professions were proven to be an illu-sion, it would still be worthwhile to believe in them and invest in them: atleast it would be an illusion built on disillusion.

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Annotations

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Vanishing PointNous supposons qu’a sonné le glas de celieu institutionnel où, durant de longssiècles, les sociétés ont formé leurs classesdirigeantes en confiant à certainesmatières – appelées sciences humaines,depuis les disciplines classiques commel’éthique – le devoir d’élaborer les formesde pensée indispensa-bles pour gouverner lesmutations et lesconflits du propre pré-sent et du suivant.Nous supposons doncque l’université entant que productionde capacités à gouver-ner la complexité de lavie humaine est dis-soute. Les preuves decette disparition dusens premier des institutions académi-ques ne font certainement pas défaut.Elles se trouvent devant nos yeux. Serait-il alors envisageable d’imaginer un pro-cessus novateur – ou mieux divergent- àmême de sortir du vide de ces institu-tions, de leur inefficacité culturelle, encréant d’autres lieux et d’autres modali-

tés susceptibles de faire en sorte qu’uneformation soit à la hauteur de l’enjeudes dynamiques actuelles de mondialisa-tion et de positionnement de la viehumaine? Ou mieux, avant même desonger à donner naissance à une dimen-sion offrant une formation différente,

serait-il possible d’agiren tant que point derupture à même d’expé-rimenter le propre isole-ment des valeurs et despratiques dominant lessystèmes de formationmodernes et post-modernes? C’est surcette dernière questionqu’il convient d’exa-cerber notre réflexionen laissant à d’autres

le soin de continuer à être inutilementemprisonnés dans la triste et impuis-sante logique des réformes – qui s’en-chaînent de façon perverse et qui enchaî-nent en permanence – et à cause des-quelles, jusqu’à aujourd’hui, toute ten-tative de redressement des institutionsuniversitaires s’est révélée vaine.

Pour rompre en

un point les

structures socia-

les oppressant

toute capacité de

formation d’une

classe dirigeante

Cette note propose une réflexion autour des processusde formation et d’orientation professionnelles. Elle nes’en tiendra qu’aux disciplines humanistes, non pas tanten vertu d’une supposée différence entre leurs apparatset ceux du savoir scientifique, qu’en raison du rôle qu’el-les ont joué et qu’elles pourraient de nouveau jouer lorsde l’élaboration des contenus nécessaires à n’importe

quel processus relatifs à la formation et à la professionnalisation. Il en va dela responsabilité professionnelle et politique des classes dirigeantes. De laclasse politique. De ses obligations et des capacités qu’elle doit posséderafin de s’en charger. Selon le vieil adage bourgeois, la “propriété oblige”: lamondialisation – qui n’est autre que la dernière étape du progressifdémembrement financier de la propriété au sens propre ainsi que de lanation au sens historique et social – a rendu vain et a fait s’évanouir le sen-timent du devoir individuel du propriétaire de biens matériels et immaté-riels envers sa communauté laquelle comprend d’autres existences humai-nes mais aussi, le monde entier. Cette progressive libération de la responsa-bilité individuelle de posséder pour soi et pour les autres se traduit en unesuprématie absolue et impériale, d’imaginer et de concevoir le monde,sachant que ce dernier ne peut être qu’occidental puisqu’il est le seul àavoir été inventé pour l’être humain et pour sa volonté de puissance. Cettenote s’interroge donc sur la possibilité de créer des contenus à mêmed’obliger la personne à se sentir responsable d’elle-même et des autres enallant au-delà de la dichotomie contemporaine entre propriété et empire.

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C’est de cette question de fond que proviennent les brèves et rapides ana-lyses figurant dans ce document et de son domaine d’observation, à savoir:l’université. La constatation directe de la dégradation vers laquelle cettedernière se dirige – autant pour les sens que pour les formes qui la caracté-risent – constitue les signes et l’impulsion d’une théorie plus générale.

À qui est donc destiné ce document? En aucun cas aux acteurs universitai-res, et peu importe leur statut. Il ne souhaite pas les impliquer dans uneproposition culturelle militante, suivant une tradition qui voudrait que quiagit dans la société le fait selon un but et un objectif politiques. Il nes’adresse pas non plus aux professions intermédiaires (telles que manager,artiste, intellectuel, journaliste et écrivain) qui sont une référence pour laformation universitaire et qui sont parfois impliquées dans les jeux univer-sitaires, et pas seulement pour des suppléances, mais surtout pour unequestion d’images, pour créer des contacts et des clients ou encore pourdisposer de moyens et de sponsorisations. Échanges de savoirs et defaveurs. Dans l’immédiat, ce discours ne cherche pas d’interlocuteurs maisil souhaite plutôt se soustraire à une actualité urgente et brûlante, suivantla conviction qu’une telle perspective constituerait l’unique façon possiblede faire front à l’action. “Tre en accord” avec les besoins et les problèmesdu moment revient en fait à renoncer à n’importe quelle opportunitédivergente, à n’importe quelle interruption du passé. L’objectif est d’arri-ver à une première réflexion sur le travail intellectuel et sur son utilisationdans la formation: montrer sa crise dans son ensemble, sans se limiter aucœur (ou à la périphérie?) des institutions académiques, mais aussi à ladérive de toutes les formes de travail intellectuel non universitaire que detelles institutions semblent être à la fois le piège et le prétexte, en partievolontairement, d’un changement de notre époque.

En quoi consiste l’innovation introduite par des milieux aussi décisifs pourla vie humaine? Un jugement sur la valeur des études littéraires et philoso-phiques, sociologiques et médiologiques doit prendre en compte le dou-ble niveau sur lequel le savoir des sciences humaines a eu une incidence,des origines de la société industrielle jusqu’à l’actuelle société de l’inter-net. La sphère privée des consommations et la sphère publique des universités. Lacompréhension du monde, de ses conflits et des habitudes dominantess’est développée selon deux directions parallèles: d’un côté, un savoir lié àl’expérience reflétant les flux et les caprices de la vie quotidienne, de l’au-tre, un savoir de plus en plus éloigné de la réalité, et même fier de l’être,intéressé, par nécessité ou aveuglément, au propre pouvoir bien plus qu’àla recherche effective de contenus pour lequel l’exercer. Aux rythmes, auxvides et aux excès de la première modalité, la seconde a riposté et riposteencore en créant des campus et des espaces fermés, des revues et des col-lections auto-référentielles. Ceci a donné lieu à la création d’un système devaleurs et d’interdictions qui multiplie la force et l’efficacité de ses oppo-sitions et de ses conjonctions entre théorie et pratique, qualité et quantité,sujet et objet, réflexion et vécu, études et profession – à défaut de dépas-ser les limites de la communication, d’excéder ce qui est déjà en soi illi-mité, sidéral, et donc à défaut de construire à partir de ce saut politico-cul-turel l’expérience d’un territoire de vie actuel et significatif.En dépit de leurs influences réciproques, ces sphères ont, jusqu’à l’époquetélévisée, – d’un côté, la production de savoirs et de l’autre, la consomma-tion de l’expérience, les langages de l’écriture et les langages du corps, laculture de l’élite et la culture populaire ou mieux, de masse- fonctionnécomme deux entités autonomes, sûres de leurs interlocuteurs comme deleurs fonctions respectives, soit: occuper et définir le temps professionnel,divertir et entretenir les moments de pause et de détente. Aujourd’hui, àl’ère des réseaux, alors que l’on assiste à une profonde reconfiguration dece qui existait, à une remise en question des précédentes distinctions entre

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public et privé, travail et loisirs, intériorité et extériorité, il est impérieuxet urgent de repenser les modalités et les lieux consacrés à la recherche età la formation professionnelle qui en découle.Ce débat concerne aussi ceux qui, bien que n’ayant jamais ressenti laconsommation et le savoir comme deux dimensions inconciliables, ontimmédiatement cru en un parcours de formation centré sur la richessesymbolique du monde; Poussés par la conviction que les médias et leursimaginaires puissent constituer en soi un parcours formatif, une base surlaquelle ériger une pensée instable et temporaire mais constamment vouéeà la compréhension du vécu, intéressée aux transformations de l’expé-rience plus qu’aux métamorphoses du pouvoir et de la propriété. Cetteposition a été des plus combattues par les traditions institutionnelles etpolitiques, et même par les entreprises, motivées – à peu près comme lapolitique – par son servilisme envers les valeurs pouvant consentir aisé-ment à des consensus et à des connivences. La réponse des parties impli-quées dans ces polémiques – dans cette lutte entre différentes (pas autantque cela ou pas assez) politiques ou entre différentes formes d’habiter lemonde – s’est brisée à cause des inconciliables oppositions idéologiques.

La médiologie plus attentive à la sociologie de l’imaginaire et de laconsommation s’est efforcée de développer une pensée à même de dépas-ser la dialectique entre consommation et savoir, de reconnaître le fosséirrémédiable séparant d’une part, un humanisme académique embourbédans la misère, relégué au rang de marginal et d’insignifiant et d’autrepart, un humanisme de la consommation devenu extrêmement puissantdans la vie quotidienne.Néanmoins, quel aveuglement d’avoir insisté autant de temps sur ce duelentre philosophies et esthétiques de la consommation et philosophies etesthétiques des institutions. Cela ne pouvait être qu’une bataille rétro-grade. On ne peut plus se contenter d’une pensée (du reste, a-t-on vrai-ment pu s’en contenter?) qui, en dépit de ses certitudes et de son univo-cité, veuille encore poser des questions de fond comme celles-ci, crucialespour bon nombre d’intellectuels de bonne volonté mais bien interne à latradition politique occidentale: quels objectifs doit-on envisager et attein-dre dans le domaine du savoir humaniste? Quels lieux et sujets construireen vue de son effective réalisation? Quels publics ou quels marchés imagi-ner pour que sa diffusion soit réelle et efficace? Il est désormais évidentqu’il s’agit de questions où l’humanisme-même se limite à s’interroger surlui-même, à se montrer perfectible, à revendiquer son universalité et sonuniversalisme, mais aussi à restaurer ses capacités politiques, son ambitionà orienter tout type de conflits. À conserver son propre temps, sonHistoire, les formes de vie d’un savoir proche du pouvoir et tout particu-lièrement du manteau de valeurs sociales dont il revêt sa souveraineté surla vie. Si les questions sur l’humanisme demeurent dans ce genre de stra-tégies enchanteresses, il reste à se demander avant de s’en distancier dansquels domaines – les mœurs et les coutumes – le travail intellectuel exercesa propre influence sur les opinions et sur les processus de formation, sansparvenir à se défaire de la carapace de son propre humanisme en perdanttoutefois du terrain même dans ses contenus.

Ce qui résume le plus efficacement la crise de l’université et des processusde civilisation qui lui sont liés, c’est sa perte progressive de réputation. Leprestige d’un professeur, et par extension d’un livre ou d’un film, se révèledans le moment où la communication réalisée sur cette intervention, cetévénement, apparemment tellement important qu’il s’impose à l’opinioncommune, si efficace qu’il forme et dessine son destinataire. Le principethéorique sous jacent à l’ensemble du système de réflexion de McLuhan –le médium est message – soutient que la qualité du médium est en géné-ral plus forte que celui qui prend la parole au sein de ce dispositif. Les

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communications singulières jouissent d’un degré de réputation directe-ment proportionnel au succès et au pouvoir dont dispose le médium enquestion. C’est pourquoi, les universitaires du passé étaient grands parceque grande était l’institution qu’eux-mêmes contribuaient à rendre ainsi,tout aussi circulaire était et est le prestige entre les titres de la presse et lesgrands journalistes. La dérive qui traverse aujourd’hui l’institution univer-sitaire est due, en partie, à une bureaucratisation exaspérée, et en partie àune incapacité répandue à lire et à attribuer de la valeur à une formationanti-académique, liée à a consommation et à ses domaines les plus signifi-catifs. Prenons l’exemple de la publicité et de la fiction télévisée et de com-ment elles ont accéléré certaines transformations essentielles: le passagede la société industrielle à la société post-industrielle, de la reproductibi-lité technique à la numérique, des identités collectives aux personnes.Bien que les principes d’excellence et de mérite soient aujourd’hui affichéscomme des symboles et des témoignages d’une formation anti-académique,il n’en reste pas moins que le savoir reste enfermé dans d’innombrablessegments disciplinaires, dans des paquets stérilisés, dans des programmesaussi opaques que pauvres. La logique dominante, autant pour les ensei-gnants que pour ceux qui s’occupent des réformes, se contente de confir-mer et de satisfaire les exigences d’un système déjà existant, sans jamais cor-riger ou nier sa tradition de fond. Ses fondements. Une université ainsivécue et entendue, est complètement dépourvue de prestige, dénuée d’es-poirs et de perspectives. Les épreuves aux examens sanctionnent de façonexemplaire la répétition et le simple calque de notions que travail et forma-tion, université et entreprise partagent. Les disciples perçoivent leur ensei-gnant comme un contrôleur ou dans le meilleur des cas, comme une insti-tution d’assistance à leur service. L’enseignant est incapable de se régéné-rer, de se former avec et à travers ses disciples. Les contenus et les person-nes deviennent donc une transmission mécanique, sans aucune formationpossible du travail car elles sont incapables de construire des contenus.

Alors qui inspire encore de la confiance et de la crédibilité parmi les jeunes?Il est plausible de croire qu’ils soient influencés par certaines figures del’imaginaire présents dans les médias et dans les nouveaux médias, qu’ilssoient attirés par d’autres mondes: le football, la musique, les bandes des-sinées, les jeux vidéo, les séries télévisées. Ceci vaut aussi pour les univer-sitaires et les intellectuels. La réputation d’un professeur dépend presqueentièrement de la presse et de la télévision; dans le passé des médias demasse, et aujourd’hui des réseaux. L’université, avec ses protocoles de tra-vail et de comportement, ne semble plus à même de supporter les ryth-mes et la rapidité des réseaux, elle concède de moins en moins d’espaceet de temps à ses enseignants pour apparaître dans les médias, elle laisseà ces derniers la tâche de conférer réputation et notoriété, et donc crédi-bilité aux formes de travail et à la pensée intellectuelle. À cet état de cho-ses, s’ajoute une littérature qui s’est développée avec la culture deshackers, une utilisation répandue des blogs et des social network desquelsdécoulent de nouveaux profils professionnels et des formes de réputationnégociés de façon différente par rapport à la tradition, celle des corpora-tions professionnelles et des hiérarchies académiques. L’ensemble de cesprocessus innervés, comme ils le sont au sein de territoires des médias,s’étendent en alternative aux anciens médias mais aussi comme leur nou-velle frontière et marché – constitue le développement ultime des formesde réputation que l’industrie culturelle a créées, en un parcours qui voitune étroite continuité entre anciens et nouveaux médias et en mêmetemps, une progressive catastrophe des modes à travers lesquelles l’acadé-mie a fondé ses propres valeurs, sa renommée et ses hiérarchies.

Peut-être existe-t-il une issue, un moyen de récupérer une pensée de la vie quo-tidienne et de l’imaginaire. Une pensée tactile mais pourtant à même de

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construire un ultérieur plan de réflexion, un point de vue sur la complexitédu vécu. Il conviendrait alors de l’opposer au savoir politique et social ayantproduit autant de contenus des institutions civiles qu’une utilisation destechnologies entendue comme instruments de domination des processus demodernisation; ces contenus qui aujourd’hui répondent au déclin et à la sté-rilisation de ces procédés en en exaspérant les racines. Par conséquent, cetteissue correspondrait à une dimension dans laquelle pensée et expérience,connaissance et style de vie, constituent un unicum originel et inséparable.Les processus de civilisation représentent, en principe, une tentative “noble”de réduire la violence “fondatrice” animant les formes et les manières d’être.Il faudrait alors allait au cœur de la duperie, démasquer l’offre d’un dieu,céleste ou terrestre, qui promet le Bonheur au nom d’une Fin et qui justifiela force et le désir dans les limites et les non-limites du Pouvoir; expérimen-ter un processus de formation divergent qui inclut en son sein les sujets prêtsà sacrifier leur éducation et leur appartenance, et qui exclut, en revanche,quiconque n’est pas disposé à partager le sens de ce raisonnement, ou quiest incapable de penser au-delà et en dehors de ce qu’il est aujourd’hui entant que citoyen et professionnel du monde. Pareille formation, en rien par-ticipative du temps que nous habitons, en rien intégrée à ses éthiques, esthé-tiques et politiques, renvoie à une initiation mythique riche de détermina-tion: le bain de Siegfried dans le sang du dragon, le lieu d’une libération parla cuirasse et par la vulnérabilité des coutumes sociales, l’instant où pour-raient naître de nouvelles figures dotées de réputation.Une césure nette avec la tradition critique peut-elle intéresser les politiquesactuelles? Tout au long de la modernité, les apparats prédisposés à l’éduca-tion parvenaient, moyennant une structure verticale, à maintenir unerenommée, à anticiper les contenus nécessaires au propre avancement. Àune époque où l’éclipse des sujets et des valeurs modernes est bien plusrapide, il serait au contraire utile de disposer d’un foyer de savoirs visant à“mettre en forme” des contenus en tous points anti-modernes, une clairièrede pensées destinée à élaborer les capacités qui échappent aux actuels régi-mes de sens. Tout ce qui est lu et perçu comme dérive et implosion, silenceet catastrophes, pourraient constituer le territoire sur lequel habiter. Etquand bien même ce ne serait qu’ illusion d’essayer de penser une penséequi ne pense pas le présent et le futur des institutions, des savoirs et des pro-fessions historiques, cela vaudrait quand même la peine de croire et de seconsacrer à cela: une illusion cette fois fondée sur la désillusion.

Annotations

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Vanishing PointNehmen wir an, das endgültige undunwiderrufliche Ende jener Institutio-nen wäre gekommen, in denen Gesell-schaften seit Jahrhunderten ihre Füh-rungsschichten gebildet haben, indem siebestimmten Disziplinen – die, wie dieklassischen Wissensgebiete (angefangenbei der Ethik), “huma-nistisch” definiertwurden – die Aufgabeanvertrauten, die fürdie Aufarbeitung vongegenwärtigen sowiezukünftigen Wand-lungen und Konflik-ten notwendigenDenkformen zu ent-wickeln. Nehmen wiralso an, die Universi-tät als Produktionstät-te der Regierungsfähigkeit über die Kom-plexität des menschlichen Daseins hättesich vollständig aufgelöst. An Zeichenfür dieses Verschwinden des ursprüngli-chen Sinnes der akademischen Institutio-nen mangelt es uns in der Tat nicht: Sieliegen vor unseren Augen. Ist es alsomöglich, sich einen innovativen odervielmehr divergenten Prozess vorzustel-len, der versucht, die Leere dieser Institu-

tionen, ihre kulturelle Leistungsschwä-che hinter sich zu lassen, indem er ande-re Orte und andere Bedingungen findet,um eine Bildung zu schaffen, die dengegenwärtigen Globalisierungs- undzugleich Lokalisierungsentwicklungendes menschlichen Daseins gewachsen ist?

Besser gesagt: Bevorman hofft, aus demEntstehen dieser Orteund Bedingungen diefür eine divergenteBildung erforderteDimension zu schaf-fen – ist es möglich, alsBruchstelle zu agieren,von wo aus die eigeneIsolation gegenüberden vorherrschendenWerten und Praktiken

der modernen und postmodernen Bil-dungssysteme erfahrbar wird? Es gilt,unsere Überlegungen auf diese Frage zukonzentrieren, um nicht unnötig in dertraurigen und ohnmächtigen Logik derReformen – ihrer perversen Verkettung,ihren permanenten Ketten – gefangen zubleiben und so die Chance zur grundle-genden Erneuerung der universitärenInstitutionen endgültig verpassen.

Wie man die Sozia-

len Strukturen

Bricht, die die Bil-

dungsfähigkeit

einer jeden Füh-

r u n g s s c h i c h t

Ersticken

Folgende Bemerkungen stellen eine Betrachtung überdie Prozesse der Bildung sowie der beruflichen Ausbil-dung dar. Es handelt sich um eine auf den Bereich derhumanistischen Wissensgebiete beschränkte Betrach-tung, und dies nicht so sehr aufgrund eines vorhande-nen oder nicht vorhandenen Unterschieds zwischenihren Instrumenten und denen der Naturwissenschaf-

ten, sondern vielmehr aufgrund der Rolle, welche die Humanwissen-schaften einst bei der Ausarbeitung jener Inhalte spielten und wiederspielen könnten, die jeder Bildungs- und Berufspraktik voranzugehenhat. Wir befinden uns damit also im Bereich der beruflichen und politi-schen Verantwortung der Führungsschichten, der politischen Klasse; d.h.im Bereich der Pflichten und Fähigkeiten, die jene innehaben muss, umsich genau dieser Inhalte anzunehmen. Ein altes bürgerliches Sprichwortbesagt, dass “Eigentum verpflichtet”: Die Globalisierung – letzte Etappeder allmählichen finanziellen Pulverisierung des Eigentums im ursprüng-lichen Sinne ebenso wie der Nation im geschichtlichen und gesellschaft-lichen Sinne – hat das individuelle Pflichtgefühl des Eigentümers mate-rieller und immaterieller Güter abgeschafft, jenes Pflichtgefühl gegen-über seiner eigenen Zugehörigkeitsgemeinschaft und den Mitmenschenund schließlich gegenüber der ganzen Welt und seiner eigenen Natur.Diese fortschreitende Befreiung von der individuellen Pflicht, nicht nur

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für sich selbst sondern auch für Andere zu besitzen, äußert sich in absolu-ter, imperialistischer Vorherrschaft einer ausschließlich abendländischenArt und Weise, die Welt zu ersinnen und zu erschaffen, weil sie die “ein-zig mögliche” ist, die vom menschlichen Wesen und seinem Willen zurMacht bislang erfunden wurde.Folgende Anmerkung stellt die Frage nach der Möglichkeit, Inhalte zu schaf-fen, die dazu verpflichten, ein Gefühl der Verantwortung für sich selbst undfür andere zu entwickeln und somit die zeitgenössische Dichotomie vonEigentum und Herrschaft zu überwinden. Diese Frage liegt den kurzenUntersuchungen dieser Schrift zugrunde und aus ihr entstammt auch ihrBeobachtungsfeld, die Universität. Die unmittelbare Feststellung des Ver-falls, in dem sich die Universität als Institution befindet (der sowohl ihreBedeutung als auch ihre charakteristische Form betrifft), liefert dabei dieAusgangslage und den Anreiz für eine allgemeinere Theorie.

An wen richten sich nun die folgenden Beobachtungen? Sie richten sichnicht an die Akteure innerhalb der Universität (seien sie verbeamtet odernicht), um sie in einen militanten kulturellen Vorschlag miteinzubeziehen,gemäß der Tradition derer, die in der Gesellschaft in Funktion einer poli-tischen Absicht und Zielsetzung handeln. Umso weniger richten sie sich andiejenigen, deren Berufe (Manager, Künstler, Intellektuelle, Journalistenund Schriftsteller) im Einflussbereich der akademischen Bildung stehen,und die in den akademischen Machenschaften oft eine Rolle spielen, undnicht nur im Zusammenhang mit den Aufgaben, welche ihnen anvertrautwerden, sondern vielmehr, um ein Image zu schaffen, Beziehungen undKlientel aufzubauen, Mittel und Sponsoring zu verwalten, Kenntnisse undGünste auszustauschen. Der vorliegende Beitrag sucht keinen unmittelba-ren Gesprächspartner, sie will sich stattdessen jeder dringenden und bren-nenden Aktualität entziehen, in der Überzeugung, dass diese Perspektivedie einzig mögliche Art darstellt, den Umständen handelnd gegenüberzu-treten. Denn “Schritt halten” mit aktuellen Bedürfnissen und Problemenbedeutet in Wirklichkeit nichts anderes, als mit der Vergangenheit (undder sich aus ihr ergebenden Gegenwart) nicht brechen zu können, einUmdenken nicht zuzulassen und somit auf die Chancen, die sich durch eindivergentes Denken ergeben könnten, zu verzichten. Das Ziel bestehtdarin, erste Überlegungen über die intellektuelle Arbeit und ihre Anwen-dung im Bildungsbereich anzustellen. Es geht darum, ihre allgemeine, glo-bale Krise aufzuzeigen, und dies nicht nur im Zentrum (oder eher Peri-pherie?) der akademischen Institutionen, sondern auch im Abdriften alljener Formen nicht-akademischer intellektueller Arbeit, die diese Institu-tionen zu gefährden scheinen und deren – nur teilweise artikulierten –Anspruch eines epochalen Wandels dennoch teilen.

Worin besteht diese von den für das menschliche Leben so entscheiden-den Bereichen eingeführte Neuerung? Eine Beurteilung über den Wertdes literarischen und philosophischen, soziologischen und medienwissen-schaftlichen Studiums muss beide Ebenen in Betracht ziehen, durch diedas humanistische Wissen von den Anfängen der industriellen Gesell-schaft bis zur heutigen Gesellschaft der Netzwerke gewirkt hat: Die Privat-sphäre des Konsums und die öffentliche Sphäre der Universität. Das Verständnisder Welt, ihrer Konflikte und vorherrschenden Gewohnheiten hat sich inzwei parallele Richtungen entwickelt: Zum einen ein Erfahrungswissen,das den Strömungen und Launen des alltäglichen Lebens überaus nahekommt, zum anderen ein von der Wirklichkeit zunehmend entferntes Wis-sen, das, die eigene Weltfremdheit gar zur Schau tragend, – sei es aus Notoder Blindheit – mehr an der eigenen Macht interessiert zu sein scheint,als an der tatsächlichen Erforschung der Inhalte, um deren Willen es dieseMacht ausübt. Auf die Abläufen, Lücken und Ausschweifungen der erstenWissensart antwortete und antwortet die Zweite noch immer mit der

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Schaffung von isoliertem Campus und geschlossenen Räumen, sowie völ-lig selbstreferentiellen Zeitschriften und Bücherreihen. Hier hat sich einSystem von Werten und Verboten ausgebildet, das lediglich die Kraft unddie Wirksamkeit der eigenen Gegensätze und Verbindungen zwischenTheorie und Praxis, Qualität und Quantität, Subjekt und Objekt, Reflexi-on und Erlebnis, Studium und Beruf vervielfältigt – anstatt die von derKonsumsphäre erreichten Grenzen zu überwinden, jenes an sich schongrenzenlose und unüberschaubar gewordene Gebiet, anstatt also inspiriertvom politisch-kulturellen Sprung dieser Sphäre selbst die Erfahrung einesaktuellen und bedeutsamen Lebensbereiches zu ermöglichen.Auf der einen Seite also Wissensproduktion, die Sprache der Schrift unddie Kultur der Gebildeten, auf der anderen Seite Erfahrungskonsum, dieSprache des Körpers und Volkskultur oder besser gesagt Massenkultur:Selbst in ihren gegenseitigen Kontaminationen haben beide Sphären bisin das Zeitalter des Fernsehens hinein wie zwei voneinander unabhängigeWelten funktioniert, da sie sich sowohl ihrer Ansprechspartner als auchihrer Funktionen sicher waren. Es ging darum, einerseits Beschäftigungs-und Gestaltungsmöglichkeiten für die berufliche Zeit und andererseitsUnterhaltungs- und Abwechslungsmomente für die Pausen – und Freizeitzu finden. Im heutigen Zeitalter der Netzwerke stellt man eine tiefe Umge-staltung des Vorhandenen fest, d. h. eine Infragestellung der vorherigenUnterscheidungen zwischen Öffentlichkeit und Privatsphäre, Arbeit undFreizeit, Innerlichkeit und Äußerlichkeit. Daraus erfolgt die dringendeNotwendigkeit, jene Bedingungen und Orte, die der Forschung und derdarauf folgenden Berufsausbildung zugedacht sind, zu überdenken.An dieser Debatte sind auch diejenigen beteiligt, die, obwohl sie Konsumund Wissen nie als zwei unvereinbare Dimensionen empfunden haben,unvermittelt an eine Bildung geglaubt haben, die sich am den symboli-schen Reichtum der Welt orientiert. Dieser Glaube beruhte auf derÜberzeugung, dass die Medien und ihre Imaginäre an sich einen Bil-dungsinhalt darstellen können, die Basis also, auf der ein instabiles undprovisorisches Denken errichtet werden könnte – ein ständig auf dieKommunikation des Erlebten gerichtetes Denken, das eher an denTransformationen von Erfahrung als an den Metamorphosen von Machtund Eigentum interessiert ist. Diese Position wurde und wird am heftig-sten vonseiten der institutionellen und politischen Traditionen bestrit-ten, sogar vonseiten der Unternehmen, die – nicht viel anders als diePolitik – getrieben sind von ihrer Ergebenheit gegenüber jenen Werten,die ihnen am tauglichsten scheinen, um mühelos Zustimmung undKomplizität zu ermöglichen. Die Lösung für diese polemische Auseinan-dersetzung von verschiedenen (letzendlich aber nicht wirklich vielseiti-gen) Arten von Politik, d. h. von verschiedenen Arten, die Welt zubewohnen – wurde somit von den unversöhnlichen ideologischenGegensätzen der darin verwickelten Parteien zertrümmert.

Allenfalls die für die Soziologie des Imaginären und des Konsums emp-findliche Medienwissenschaft hat sich in einem Denken versucht, dasdarin erfahren wäre, diese Dialektik von Konsum und Wissen zu überwin-den, das unüberwindliche Gefälle zu erkennen, das einen verelendetenund in unbedeutende Randpositionen verbannten akademischen Huma-nismus von einem Humanismus des Konsums trennt, der nicht nur an denSpitzen sondern auch an der Basis des Alltagslebens außerordentlichmächtig geworden ist.Es war allerdings kurzsichtig, so lange auf der philosophischen und ästhe-tischen Auseinandersetzung zwischen der institutionellen Sphäre und derdes Konsums zu beharren. Es konnte nichts anderes sein als ein Rückzugs-kampf. Daher genügt ein Denken nicht mehr (hat es je genügt?), das ohneUnsicherheiten und Zweideutigkeiten immer noch die folgenden Grund-fragen stellen will, die vielen gutwilligen Intellektuellen grundlegend

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erscheinen, aber letzendlich voll und ganz Teil der politischen Traditiondes Abendlandes sind: Welche Ziele im Bereich des humanistischen Wis-sens anstreben und erreichen? Welche Orte und Subjekte erforden dessentatsächliche Verwirklichung? Welches Publikum oder welche Märkteermöglichen seine wirkliche und wirksame Verbreitung? Offensichtlichhandelt es sich dabei um Fragen, bei denen die humanistische Traditionsich darauf beschränkt, sich selbst zu befragen, sich als verbesserungsfähigzu zeigen, Universalität und Universalismus zu behaupten, aber auch dieeigenen politischen Fähigkeiten wieder zu errichten. Dabei zeigt sich ihreAmbition, jede Art von Konflikt lenken zu wollen, das eigene Zeitalter unddie eigene Geschichte bewahren zu wollen, d. h. die Lebensformen einesWissens beizubehalten, das mit Macht und insbesondere mit dem Manteljener gesellschaftlichen Werte wesensgleich ist, mit dem sie ihre Souvera-nität über das Leben bedeckt hält. Wenn die Fragen zum Humanismusdessen Verzauberungsstrategien nicht überwinden können, gilt es – bevorman sich ganz davon abkehrt – in Erfahrung zu bringen, in welchen Berei-chen, durch welche Haltungen und Gewohnheiten die intellektuelleArbeit selbst Einfluss auf die Meinungen und Bildungsprozesse ausübt,ohne je den Panzer seines eigenen Humanismus ablegen zu können,wenngleich doch dieser auf der Ebene seiner eigenen Inhalte mehr undmehr an Boden verliert.

Der Indikator, der die Krise der Universität und der mit ihr verbundenenZivilisationsprozesse am besten zusammenfasst, ist der fortschreitendeVerlust ihres Ansehens. Das Prestige eines Dozenten und im weiteren Sinneauch eines Buches oder eines Films offenbart sich in dem Augenblick, indem der von einem einzelnen Beitrag verwirklichte Kommunikation der-art maßgebend erscheint, dass sie sich der öffentlichen Meinung auf-drängt, in dem Augenblick, in dem sie derart wirksam ist, dass sie denEmpfänger bildet und entwirft. Laut dem theorischen Prinzip, auf dem dasgesamte Denken McLuhans aufbaut – „The Medium is the Message“ – istdas Medium an sich im Allgemeinen stärker als derjenige, der sich durchdas Medium artikuliert. Die Autorität der einzelnen Beiträge ist zu demErfolg und der Macht des Mediums direkt proportional. Insofern warendie Akademiker der Vergangenheit bedeutend und einflussreich, als esauch die Institution war, zu deren Grösse sie letztendlich selbst beitrugen;ebenso kreisförmig war und ist z. B. das Prestige-Verhältnis zwischen Zei-tungen und großen Journalisten. Das heutige Abdriften der akademischenInstitution ist teils bedingt durch eine extreme Bürokratisierung, teilsdurch die verbreitete Unfähigkeit, der mit der Konsumwelt und seinenbedeutendsten Wirkungsbereiche verbundenen nichtakademischen Bil-dung Wert beizumessen. Man denke insbesondere daran, wie die Werbungund die Fiktionen des Fernsehens manche wesentliche Wandlungenbeschleunigt haben: Der Übergang von der industriellen zur post-indu-striellen Gesellschaft, von der technischen zur digitalen Reproduzierbar-keit, von den kollektiven Identitäten zur Fokussierung auf die Person.Obwohl die Prinzipien Exzellenz und Leistung heute als Symbole undZeugnisse einer nichtakademischen Bildung zur Schau gestellt werden,bleibt das akademische Wissen in unzähligen Fachabschnitten, in sterilemSchachteldenken und in genauso leeren und undurchsichtigen Program-men geschlossen. Die vorherrschende Logik von Dozenten und Reforma-toren beschränkt sich darauf, die Bedürfnisse eines schon existierendenSystems zu bestätigen und zu befriedigen, ohne je dessen fundamentaleTradition und dessen Grundlagen zu korrigieren oder in Frage zu stellen.Eine so erlebte und aufgefasste Universität ist vollkommen ohne Prestige,Hoffnungen und Perspektiven: Prüfungen bestätigen lediglich exempla-risch die Wiederholung und das Wiederkäuen von Kenntnissen, die vonArbeit und Bildung, Universität und Unternehmen geteilt werden. Stu-denten betrachten den Dozenten als einen Kontrolleur oder höchstens als

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eine Art Hilfsinstitution in ihrem Dienst. Jene hingegen zeigen sich unfä-hig, sich zu regenerieren, sich mit und durch die Studenten weiterzubil-den. Inhalte und Menschen bilden also eine gleichwohl mechanischeÜbertragung, die eine wirkliche Berufsbildung nicht ermöglichen kann,weil sie nicht dazu fähig ist, die dafür nötigen Inhalte aufzubauen.

Wer also gilt unter jungen Menschen noch als vertrauens – und glaubwür-dig? Es ist plausibel zu denken, dass sie von den imaginären Charakterender Medien – insbesondere der sog. new media – beeinflusst werden,dass sie von anderen Welten stärker angezogen werden: von Fußball,Musik, Comics, Videospielen, Fernsehserien etc. Ähnliches gilt im Übri-gen für die Akademiker und die Intellektuellen: Der Ruf eines Professorshängt fast völlig von der Presse und dem Fernsehen ab. Dies galt im ver-gangenen Zeitalter der Massenmedien, und umso mehr gilt es heute imZeitalter der Netzwerke. Mit ihren Arbeits- und Verhaltensprotokollenscheint die Universität nicht in der Lage zu sein, dem Rhythmus und derGeschwindigkeit der Netzwerke standzuhalten, sie gewährt den Dozen-ten immer weniger Raum und Zeit, um in den Medien zu erscheinen,welchen sie die Aufgabe überlässt, den intellektuellen Arbeits- undDenkformen Ruhm und Bekanntheit, also Glaubwürdigkeit zu verleihen.Zu diesen Umständen hinzu kommt außerdem eine innerhalb der Hak-ker-Kulturen enstandene Literatur sowie eine verbreitete Benutzung derBlogs und Social Networks, aus denen neue berufliche Profile sowie For-men des Ansehens stammen, die anders ausgehandelt werden als in derTradition der professionellen Zünfte und akademischen Hierarchien.Die Gesamtheit dieser Prozesse – die in medialen Gebieten eingewurzeltsind, welche sich in Alternative zu den alten Medien sowohl als Neulandwie auch als Markt ausbreiten – stellt die letzte Entwicklung innerhalbder von der Kulturindustrie geschaffenen Form des Ansehens dar. Die-ser weist eine enge Kontinuität zwischen alten und neuen Medien auf,wobei er zugleich den fortschreitenden Untergang der Formen bedingt,durch die die akademische Welt ihre eigenen Werte, ihren Ruf und ihreHierarchien aufgebaut hat.

Vielleicht gibt es einen Ausweg, die Möglichkeit, eine Denkweise des Alltags-lebens und des Imaginären wiederzugewinnen. Ein taktiles Denken, das den-noch dazu fähig wäre, eine weitere Reflexionsebene zu schaffen, die eineneue Betrachtungsweise der Komplexität des Erlebten ermöglicht. DieRede ist von einem Denken, das jenem politischen und sozialen Wissengegenüberzustellen ist, welches sowohl die Inhalte der zivilen Institutio-nen als auch den Gebrauch von Technologie als Machtinstrument derModernisierungsprozesse hervorgebracht hat – jene Inhalte, die jetzt aufden Zerfall und die Sterilisierung dieser Prozesse reagieren, indem siederen Wurzeln festigen. Es gilt also, eine Dimension wiederzugewinnen, inder Denken und Erfahrung, Erkenntnis und Lebensstil ein ursprünglichesund untrennbares Ganzes bilden.Die Zivilisationsprozesse sind im Allgemein ein “edler” Versuch, die “grün-dende” Gewalt zu mildern, welche die Daseinsformen und –arten antreibt.Man sollte zum Kern der Täuschung vordringen, die die Versprecheneines jeden – himmlischen oder irdischen Gottes – entlarven, der Glückim Namen eines Zwecks verheißt, durch welchen Gewalt und Gelüsteinnerhalb der Grenzen der Macht und darüber hinaus gerechtfertigt wer-den, man sollte einen divergenten Bildungsprozess wagen, der diejenigenSubjekte miteinschließt, die bereit sind, ihre eigene Erziehung und Zuge-hörigkeit zu opfern, der hingegen alle diejenigen ausschließt, die nichtbereit sind, diesen Gedankengang zu teilen, oder die unfähig sind, jenseitsund außerhalb ihrer jetzigen Rolle als Weltbürger und Berufstätige zu den-ken. Eine derartige Bildung, die in keinster Weise an der Zeit teilhat, inder wir leben, in ihren Ethiken, Ästhetiken und Politiken überhaupt nicht

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integriert ist, erinnert an eine mythische Initiation voller Entschlossenheit:Das Bad von Siegfried im Blut des Drachen, d. h. einen Ort der Befreiungsowohl vom Panzer der gesellschaftlichen Sitten als auch von der durch sieverursachten Verwundbarkeit, den Augenblick, in dem neue, mit Ansehenausgestattete Charaktere entstehen könnten.Kann eine entschiedener Bruch mit der kritischen Tradition die gegen-wärtige Politik interessieren? Die Moderne war geprägt von einer Entwick-lung, in der die für die Bildung zuständigen Apparate mittels einer verti-kalen Struktur das Ansehen bewahren konnten, d. h. die zum eigenenFortgang nötigen Inhalte vorwegzunehmen. In der viel schnelleren Zeitdes Unterganges moderner Subjekte und Werte könnte hingegen ein Wis-sensherd von Nutzen sein, der dazu bestimmt ist, ganz antimodernenInhalten “Form zu geben” – eine Denkrichtung, die darauf gerichtet ist,jene Fähigkeiten auszuarbeiten, die den gegenwärtigen Sinnstrukturenentgehen. All das, was als Zerfall und Implosion, Stille und Katastrophegelesen und wahrgenommen wird, könnte das Gebiet bilden, in dem es zuverweilen gilt. Mag die Vorstellung eines Denkens, das nicht an die Gegen-wart und Zukunft von Institutionen, Wissensformen und tradierten Beru-fe denkt, auch eine Täuschung sein, so würde es sich trotzdem lohnen, andiese zu glauben und in sie zu investieren: Diesmal wäre es nämlich eineTäuschung, die auf Enttäuschung gründet.

Anmerkungen

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Vanishing PointSupongamos que haya llegado el findefinitivo e irreversible del lugar institu-cional en el que durante varios siglos lassociedades han formado sus propias cla-ses dirigentes, confiando a algunas dis-ciplinas específicas – definidas comohumanísticas a partir de las clásicascomo la ética – latarea de elaborar lasformas de pensamien-to necesarias paragobernar las mutacio-nes y los conflictos desu propio tiempo pre-sente y del tiempo porvenir. Supongamos,entonces, que se hayadisuelto completamen-te la universidad encuanto producción decapacidad de gobierno sobre la compleji-dad de la vida humana. Y, de hecho, lasseñales de esa aparición del sentido ori-ginario de las instituciones académicasseguramente no sobran. Están antenuestros ojos. ¿Es posible, entonces, ima-ginarse un proceso innovador – mejordicho, divergente – que intente salirdel vacío de estas instituciones, de su

ineficacia cultural, encontrando otroslugares y otras modalidades para promo-ver una formación que esté a la alturadel envite en las actuales dinámicas deglobalización y localización de la vidahumana? Mejor: antes aún que esperaractivar la dimensión requerida por el

nacimiento de loslugares y de las moda-lidades con los queproducir una forma-ción divergente, ¿esposible actuar comoun punto de rupturacapaz de experimentarsu propio aislamientorespecto a los valores ylas prácticas quedominan los sistemasformativos modernos

y postmodernos? Es sobre esta cuestiónque conviene forzar nuestra reflexión,dejando a otros el inútil ejercicio de que-darse enjaulados en la triste e impotentelógica de las reformas – de su concatena-ción perversa, de su continuo encadena-miento – con las que hasta hoy se haconsumido en vano cualquier intento desanear las instituciones universitarias.

Cómp quebrar en

algún punto las

estructuras sociales

que están sofocando

cualquier capacidad

de formación de una

clase dirigente

Esta nota propone una reflexión en torno a los proce-sos formativos y de iniciación en cada profesión. Unareflexión circunscrita exclusivamente al ámbito de lasdisciplinas humanísticas y esto no tanto en virtud deuna diferencia real, o no, entre sus aparatos y los delsaber científico, sino en razón del papel que éstas hantenido y podrían volver a tener en la elaboración de los

contenidos que hay que predisponeren vista de toda práctica formativa yprofesional. Estamos, por tanto, en el campo de la responsabilidad profe-sional y política de las clases dirigentes. De la clase política. De sus obliga-ciones y de las capacidades que han de tener para hacerse cargo de estaproblemática. El viejo dicho burgués sostenía que la “propiedad obliga”:la globalización – última etapa de la progresiva pulverización financierade la propiedad en sentido original, así como de la nación, en sentido his-tórico y social – ha frustrado, ha hecho desvanecerse el sentimiento de laobligación individual del propietario de bienes materiales e inmaterialeshacia su propia comunidad de pertenencia, y con ella de las otras existen-cias humanas y del mundo entero, de su misma naturaleza. Esta progresi-va liberación de la carga individual de poseer para sí y para los demás seestá traduciendo en una supremacía absoluta, imperial, de un modo deimaginar y de hacer mundo que es exclusivamente occidental en cuantoque es el “único” que ha sido inventado como “posible” por el ser huma-no y por su voluntad de potencia.

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Esta nota se interroga sobre las posibilidades de crear contenidos capacesde obligar a la persona a sentirse responsable de sí misma y de los demás,yendo más allá de la dicotomía contemporánea entre propiedad e impe-rio. Aquí están las razones de los breves y rápidos análisis de este documen-to. Y de aquí viene su campo de observación: la universidad. La constata-ción directa de la degradación en que se halla la universidad – tanto lossignificados como las formas que la definen – constituye el hilo y el estímu-lo inicial para una teoría más general.

¿Quiénes son entonces los destinatarios? No se dirige a los diferentes acto-res universitarios, ya sean funcionarios o no, con la finalidad de implicar-los en una propuesta cultural militante, como quiere la tradición de quiense mueve en la sociedad según un diseño y un objetivo político; menos aúnse dirige a aquellas profesiones intermedias (manager, artista, intelectual,periodista y escritor) que son el territorio de referencia de la formaciónuniversitaria y que están implicados en sus mecanismos, no sólo para con-fiarles cierto encargo o asignación, sino mucho más para dar cierta ima-gen, crear contactos y clientelas, disponer de medios y esponsorizaciones.Intercambiar saberes y favores. Este discurso no busca interlocutores deinmediato, quiere más bien sustraerse a toda urgente y ardiente actuali-dad, con la convicción de que tal perspectiva constituya la única maneraposible de hacer frente a la acción. “Estar al día” de las necesidades y los pro-blemas del momento significa, en realidad, renunciar a cualquier oportu-nidad divergente, cualquier interrupción del pasado. El objetivo es llegara una primera reflexión sobre el trabajo intelectual y su uso en el campoformativo: mostrar la crisis global, general, no sólo en el centro (o en laperiferia) de las instituciones académicas, sino también en la deriva detodas las formas de trabajo intelectual no universitario que de tales institu-ciones parecen ser la insidia y, al mismo tiempo, la pretensión, sólo enparte consciente, de un profundo recambio.

¿En qué consiste la innovación introducida por ámbitos tan decisivos para lavida humana? Un juicio sobre el valor de los estudios literarios y filosóficos,sociológicos y mediológicos, debe considerar el doble plano a través del cualel saber humanístico ha influido desde los orígenes de la sociedad industrialhasta la actual sociedad de red. La esfera privada de los consumos y la pública delas universidades. La comprensión del mundo, de los conflictos y de los hábi-tos dominantes, se ha desarrollado según dos directrices paralelas: por unlado, un saber experiencial, perfectamente adherido a los flujos y a los capri-chos de la vida cotidiana, y por el otro, un saber progresivamente distante dela realidad, incluso orgulloso de estarlo, interesado, por necesidad o cegue-ra, en su propio poder más que en la efectiva búsqueda de los contenidos. Alos ritmos, a los vacíos y a los excesos de la primera modalidad, la segundaha contestado, y todavía contesta, creando campus y espacios cerrados, revis-tas y colecciones completamente autorreferenciales. Aquí se ha ido elabo-rando un sistema de valores y prohibiciones que – en lugar de superar loslímites del consumo, ir más allá de lo que ya de por sí se hace ilimitado, side-ral, y construir, entonces, a partir de este salto político-cultural la experien-cia de un territorio de vida actual y significativo – multiplica la fuerza y la efi-cacia de sus oposiciones y conjunciones entre teoría y práctica, calidad y can-tidad, sujeto y objeto, reflexión y vivencia, estudio y profesión.Incluso en las contaminaciones recíprocas, hasta la época televisiva, estasesferas – por un lado, la producción de saber y, por el otro, el consumo deexperiencia, por un lado, los lenguajes de la escritura y, por el otro, los len-guajes del cuerpo: por un lado, la cultura de los cultos y, por el otro, la cul-tura popular, o, mejor, de masas – han funcionado como dos universosautónomos, seguros tanto de sus interlocutores como de sus respectivasfunciones: ocupar y diseñar el tiempo profesional, divertir y entretener enlos momentos de pausa y de solaz. Hoy, en la época de las redes, asistimos

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a una profunda reconfiguración de lo existente: a una puesta en discusiónde las precedentes distinciones entre público y privado, trabajo y loisir,interioridad y exterioridad; surge con dramática urgencia la necesidad deuna reconsideración de los modos y de los lugares predispuestos a la inves-tigación y a la consiguiente formación profesional.En este debate están implicados también los que, aunque no hayan vividonunca el consumo y el saber como dos dimensiones inconciliables, hancreído desde el principio en un recorrido formativo centrado en la rique-za simbólica del mundo. Impulsados por la convicción de que los mediosy sus imaginarios pudiesen constituir por sí mismos un contenido formati-vo, la base sobre la que erigir un pensamiento inestable y provisional, peroconstantemente inclinado hacia la comprensión de la vivencia, interesadoen las transformaciones de la experiencia antes que en las metamorfosisdel poder y de la propiedad. Ha sido y es la posición más contrastada porlas tradiciones institucionales y políticas; hasta por la empresa, impulsada– no muy diversamente de la política – por su servilismo hacia los valoresque mejor permiten consentir fáciles consensos y connivencias. La res-puesta de las partes implicadas en estas polémicas – en este choque entrediferentes (pero no excesiva o suficientemente) políticas, es decir, entrediferentes formas de habitar el mundo – ha sido destruida por sus propiasinconciliables contraposiciones ideológicas.

La mediología más atenta a la sociología del imaginario y de los consumos,al menos ha ido buscando un pensamiento experto en superar la dialécti-ca entre consumo y saber, en reconocer la distancia insalvable que separa,por un lado, un humanismo académico caído en miseria, confinado enuna posición marginal e insignificante, y, por el otro, un humanismo deconsumo, extraordinariamente potente, no sólo en los vértices sino tam-bién en la base de la vida cotidiana.Sin embargo, ha sido una miopía insistir durante tanto tiempo en el cho-que entre filosofías y estéticas del consumo y filosofías y estéticas de lasinstituciones. No podía sino ser una batalla de retaguardia. Por tanto, yano basta (¿ha bastado jamás?) un pensamiento que, aun sin incertidum-bres ni ambigüedades, quiera todavía plantear cuestiones de fondo comoestas, cruciales para muchos intelectuales de buena voluntad, pero total-mente intrínsecas a la tradición política occidental: ¿qué objetivos se hade asumir y alcanzar en el ámbito del saber humanístico?, ¿qué lugares osujetos se ha de construir con vistas a su realización efectiva?, ¿qué públi-cos o mercados se ha de imaginar para su difusión real y eficaz? Ahora esevidente que se trata de cuestiones en las que el humanismo mismo selimita a interrogarse sobre sí, a mostrarse perfectible, a reivindicar su pro-pia universalidad y su propio universalismo, pero también a restaurar suscapacidades políticas; su ambición a orientar cualquier tipo de conflicto.A conservar el propio tiempo, su Historia: las formas de vida de un saberconsustancial al poder y, en particular, al estrato de valores sociales conlos que viste su soberanía sobre la vida. Si las preguntas sobre el humanis-mo quedan dentro de estas estrategias propias de encantamiento, hay quecuestionarse, antes de tomar distancia, cuáles son los ámbitos – los hábi-tos y las costumbres – en que el trabajo intelectual ejerce su propiainfluencia sobre las opiniones y los procesos formativos, sin conseguiremanciparse de la coraza de su propio humanismo y, aún así, perdiendoterreno en el plano de sus mismos contenidos.

El indicador que resume mejor que otros la crisis de la universidad y de losprocesos de civilización relacionados con ella es la progresiva pérdida dereputación. El prestigio de un docente, y por extensión de un libro y de unapelícula, se revela en el momento en que la comunicación realizada en esaintervención, acontecimiento, advenimiento, aparece lo suficientementeautorizada como para imponerse a la opinión común, tan eficaz para for-

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mar y diseñar al destinatario. El principio teórico subyacente en todo el sis-tema de reflexión de McLuhan – el medium es mensaje – sostiene que lacalidad del medium es, en general, más fuerte que quien toma voz en esemismo dispositivo. Cada comunicación goza de un grado de reputacióndirectamente proporcional al éxito y al poder del que dispone el mediumen cuestión. Así, los académicos del pasado eran grandes porque grandeera la institución que ellos mismos contribuían a hacer tal; igualmente cir-cular era y es el prestigio entre empresas de prensa y grandes periodistas.La deriva que vive hoy la institución universitaria es debida, en parte, a unaexagerada burocratización, y, en parte, a una difusa incapacidad en leer yatribuir valor a una formación anti-académica, relacionada con el consu-mo y con sus ambientes más significativos. Piénsese en particular en cómola publicidad y la ficción televisiva han acelerado algunas transformacionesesenciales: el paso de la sociedad industrial a la post-industrial, de la repro-ductibilidad técnica a la digital, de las identidades colectivas a la persona.A pesar de que los principios de excelencia y mérito sean hoy enarboladoscomo símbolos y testimonios de una formación anti-académica, el saber semantiene, sin embargo, cerrado en innumerables segmentos disciplinarios,en paquetes esterilizados, en programas igualmente vacíos y opacos. La lógi-ca dominante, tanto de los docentes como de los reformadores, se limita aconfirmar y satisfacer las exigencias de un sistema ya existente, sin corregirnunca o negar su tradición de fondo. Sus fundamentos. Una universidad asívivida y concebida, está totalmente privada de prestigio, despojada de espe-ranzas y perspectivas. Las pruebas de examen sancionan de forma ejemplarla repetición y el simple calco de nociones compartidas entre trabajo y forma-ción, universidad y empresa. Los discípulos ven en el docente un supervisoro, como mucho, una institución asistencial a su servicio. El docente es inca-paz de regenerarse, formarse con y a través de los discípulos. Los contenidosy las personas son, por tanto, una transmisión mecánica, sin ninguna forma-ción posible del trabajo por incapacidad para construir sus contenidos.

¿Quién tiene entonces confianza y credibilidad entre los jóvenes? Es plau-sible creer que ellos estén influenciados por figuras del imaginario pre-sentes en los media y los new media, que ellos estén atraídos por otros mun-dos: el fútbol, la música, los cómics, los videojuegos, las series de televi-sión. Lo mismo vale, en definitiva, para los académicos y los intelectuales.La fama de un profesor depende casi totalmente de la prensa y de la tele-visión. Así en el pasado de los medios de masas como, más aún hoy, en eltiempo de las redes. La universidad, con sus protocolos de trabajo y com-portamiento, no parece en grado de seguir los ritmos y la velocidad de lasredes, cada vez concede menos espacio y tiempo a los docentes para apa-recer en los media, deja a estos últimos la tarea de otorgar fama y notorie-dad, por tanto, credibilidad a las formas de trabajo y pensamiento intelec-tual. A este estado de cosas se añade una literatura desarrollada en las cul-turas hacker, un uso difundido de los blogs y de los social network, delque descienden nuevos perfiles profesionales y formas de reputaciónnegociadas de diferente manera respecto a la tradición, la de las corpora-ciones profesionales y de las jerarquías académicas. El conjunto de estosprocesos – ínsitos, como lo están, dentro de territorios mediales que vanexpandiéndose como alternativa a los viejos media, pero también como sunueva frontera o mercado – constituye el desarrollo último de las formasde reputación creadas por la industria cultural, en un recorrido que man-tiene una estrecha continuidad entre viejos y nuevos media, y, al mismotiempo, una progresiva catástrofe de los modos en que la academia haconstruido sus propios valores, su fama y sus jerarquías.

Existe quizás un resquicio, la posibilidad de recuperar un pensamiento de lavida cotidiana y del imaginario. Un pensamiento táctil y, sin embargo, capazde construir un plan de reflexión ulterior, un punto de vista sobre la com-

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plejidad de la vivencia; que se contraponga al saber político y social que haproducido tanto los contenidos de las instituciones civiles como un uso delas tecnologías como instrumentos de dominio de los procesos de moder-nización; esos contenidos que ahora responden al declive o a la esteriliza-ción de tales procesos exasperando sus raíces. Una dimensión en que pen-samiento y experiencia, conocimiento y estilo de vida constituyen un uni-cum originario e inseparable.Los procesos de civilización son en general un “noble” intento de reducirla violencia “fundadora”, que anima las formas y los modos de ser. Se nece-sitaría ir al corazón del engaño, desenmascarar la oferta de un dios, celes-te o terrenal, que promete la Felicidad en nombre de una Finalidad, quejustifica la fuerza y el deseo en los límites y no-límites del Poder; experi-mentar un proceso formativo divergente que incluya en su interior lossujetos dispuestos a sacrificar su educación y pertenencia, que excluya, porcontra, a cualquiera que no esté dispuesto a compartir el espacio de esterazonamiento, o que sea incapaz de pensar más allá y fuera de lo que hoyél es en cuanto a ciudadano y profesional del mundo. Tal formación ennada participativa del tiempo que vivimos, en absoluto integrada en sus éti-cas, estéticas y políticas, recuerda una iniciación mítica densa de determi-nación: el baño de Sigfrido en la sangre del dragón, el lugar de una libe-ración de la coraza y de la vulnerabilidad de las costumbres sociales; el ins-tante en el que podrían nacer nuevas figuras dotadas de reputación.¿Puede una fisura clara con la tradición crítica interesar a las políticasactuales? Durante el curso de la modernidad, los aparatos predispuestospara la formación conseguían, mediante una estructura vertical, mantenerla reputación, anticipar los contenidos necesarios para su propio avance.En la época mucho más veloz del eclipse de los sujetos y de los valoresmodernos, podría, por contra, requerirse un foco de saber destinado a“dar forma” a contenidos absolutamente anti-modernos, un claro de pen-samiento inclinado a elaborar las capacidades que escapan a los actualesregímenes de sentido. Todo lo que es leído y percibido como deriva eimplosión, silencio y catástrofe podría constituir el territorio sobre el quehabitar. Aunque fuera una ilusión este conseguir pensar un pensamientoque no piensa el presente y el futuro de las instituciones, de los saberes yde las profesiones históricas, valdría la pena aún así creer y dedicarse en ya ella: la ilusión fundada esta vez sobre la desilusión.

Anotaciones

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Esta nota propõe uma reflexão em torno dos processoseducativos e formação profissional. Uma reflexão cir-cunscrita somente ao âmbito das disciplinas humanísti-cas, e isto não tanto em virtude de uma real ou menosreal diferença entre os seus aparatos e aqueles do conhe-cimento científico, quanto em razão do papel que elastêm e poderiam voltar a ter na elaboração dos conteú-

dos a disponibilizar tendo em vista cada prática educativa e profissional.Estamos, portanto, no campo da responsabilidade profissional e políticadas classes dirigentes. Da classe política. Das suas obrigações e das capaci-dades que se deve ter para se lidar com essa responsabilidade. O velhoditado burguês dizia que a “propriedade obriga”: a globalização – a últimaetapa da progressiva pulverização financeira da propriedade no sentidooriginário, assim como da nação em um sentido histórico e social – temfrustrado e feito dissipar o sentimento de obrigação individual do proprie-tário de bens materiais e imateriais diante da sua comunidade de perten-cimento e, com ela, das outras existências humanas e, enfim, do mundointeiro, da sua própria natureza. Essa progressiva libertação da responsa-bilidade individual de possuir para si e para os outros está se traduzindoem supremacia absoluta, imperial, de um modo de imaginar e de fazermundo que é somente ocidental enquanto é o “unico” que foi inventadocomo o “possível” pelo ser humano e pela sua vontade de poder.Esta nota se interroga sobre a possibilidade de criar conteúdo capaz deobrigar a pessoa a se sentir responsável por si mesma e por outros, indo

Vanishing PointSuponhamos que se tenha alcançado ofim definitivo e irreversível do lugar ins-titucional no qual, por vários séculos,as sociedades formaram as suas pró-prias classes dirigentes confiando aalgumas disciplinas específicas – defi-nidas humanísticas a partir daquelasclássicas como a ética- a tarefa de elaboraras formas de pensa-mento necessáriaspara governar asmudanças e os confli-tos do tempo presente edaquele que estavapor vir. Suponhamos,assim, que tenha sedissipado completa-mente a universidadeenquanto produção decapacidade de governo sobre a complexi-dade da vida humana. E, de fato, ossinais desse desaparecimento do sentidooriginal das instituições acadêmicascertamente não faltam. Estão diante denossos olhos. É, então, possível imagi-nar um processo inovativo – melhordizer, divergente – que procura sair do

vazio de tais instituições, da sua inefi-ciência cultural, encontrando outroslugares e outras modalidades de se fazeruma formação que seja à altura dos des-afios das atuais dinâmicas de globali-zação e localização da vida humana?Melhor: antes ainda de esperar para

ativar a dimensãonecessária do nasci-mento dos lugares edas modalidades comas quais produziremuma formação diver-gente, é possível agircomo um ponto deruptura capaz deexperimentar o pró-prio isolamento dosvalores e das práticasque dominam os siste-

mas formativos modernos e pós-moder-nos? É sobre esta pergunta que convémforçar a nossa reflexão deixando aoutros o inútil exercício de permaneceraprisionados na lógica triste e impoten-te das reformas – que até agora consu-miu em vão cada tentativa de melhoraras instituições acadêmicas.

Como romper em um

instante as estru-

turas sociais que

estão sufocando

toda a capacidade

de formação de uma

classe dirigente

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além da dicotomia contemporânea entre propriedade e império. Aquiestão as razões das breves e rápidas análises deste documento. E daquiadvém o seu campo de observação: a universidade. A constatação diretado degrado em que se encontra a universidade – tanto os significadosquanto as formas que a distinguem – constitui a pista e o estímulo inicialpara uma teoria mais geral.

Mas quem são, portanto, os destinatários? Não se endereça aos diferentesatores universitários, temporários ou contratados que sejam, a fim de envol-vê-los numa proposta cultural militante, como quer a tradição de quem nasociedade se move segundo um padrão e um objetivo político, muitomenos se destina àqueles profissionais intermediários (manager, artista,intelectual, jornalista e escritor) que, pela formação universitária, são olugar de referência, e que, nos jogos universitários, são frequentementeenvolvidos, não apenas para lhes dar algum cargo ou responsabilidade, masmuitas vezes para construir imagem, criar contatos e clientela, dispor demeios e patrocínios. Realizar intercâmbio de conhecimentos e favores.Esse discurso não procura interlocutores no imediato, deseja, ao invésdisso, escapar de cada urgente e pungente atualidade, na convicção de queessa perspectiva é o único caminho possível de lidar com o agir.“Acompanhar’” as necessidades e os problemas do momento realmente sig-nifica renunciar a qualquer oportunidade divergente, qualquer interrup-ção do passado (nem um seu repensamento, nem a aceitação do presenteque se deixa intuir). O objetivo é chegar a uma primeira reflexão sobre otrabalho intelectual e a sua utilização no campo formativo: mostrar a suacrise global, geral, não apenas no centro (ou periferia?) das instituições aca-dêmicas, mas também na deriva de todas as formas de trabalho intelectualnão universitário que de tais instituições parecem ser a ameaça e também apretensão, apenas parcialmente consciente, de uma mudança de época.

Em que consiste a inovação introduzida pelos âmbitos decisivos para a vidahumana? Um juízo sobre o valor dos estudos literários e filosóficos, socio-lógicos e mediológicos, deve considerar os dois níveis por meio dos quais osaber humanístico influiu, desde as origens da sociedade industrial até aatual sociedade das redes: a esfera privada dos consumidores e aquela pública dasuniversidades. A compreensão do mundo, dos conflitos e dos hábitos domi-nantes, se desenvolveu segundo duas diretrizes paralelas: de um lado umconhecimento experiencial, perfeitamente aderente aos fluxos e aos capri-chos da vida cotidiana, do outro um conhecimento progressivamente dis-tante da realidade, até mesmo orgulhoso de sê-lo, interessado, por necessi-dade ou cegueira, no próprio poder mais do que na efetiva pesquisa dosconteúdos pelos quais exercitá-lo. Aos ritmos, aos vazios e aos excessos daprimeira modalidade, a segunda respondeu e ainda responde criando cam-pus e espaços fechados, revistas e coleções de todo modo auto-referenciais.Aqui se está elaborando um sistema de valores e interdições que – em vezde superar os limites de consumo, indo além disso que, por si mesmo, já éilimitado, sideral, e, portanto, construir a partir deste salto político-culturala experiência de território de vida atual e significativo – multiplica a forçae a eficácia das suas oposições e conjunções entre teoria e prática, qualida-de e quantidade, sujeito e objeto, reflexão e vivido, estudo e profissão.Embora pelas mútuas contaminações, até a época televisiva essas esferas –por um lado, a produção de conhecimento e, por outro, o consumo deexperiência; de um lado, as linguagens da escrita e, do outro, das lingua-gens do corpo; por um lado a cultura dos cultos e por outro a culturapopular, ou melhor, de massa – têm funcionado como dois universosautônomos, seguros dos seus interlocutores como das suas respectivasfunções: ocupar e desenhar o tempo profissional, divertir e entreter osmomentos de descanso e recreação. Hoje, na época das redes, se assistea uma profunda reconfiguração do existente: ao colocar em discussão as

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precedentes distinções entre público e privado, trabalho e lazer, interiori-dade e exterioridade, se põe com dramática urgência a necessidade deum repensamento dos modos e dos lugares predispostos à pesquisa e àconseqüente formação profissional.Estão envolvidos, neste debate, também aqueles que, mesmo não tendonunca vivido o consumo e o saber como duas dimensões irreconciliáveis,têm imediatamente acreditado num percurso formativo centrado sobre ariqueza simbólica do mundo. Motivados pela convicção que os media e osseus imaginários poderiam por si mesmos constituir um conteúdo forma-tivo, a base sobre qual se erguer um pensamento instável e provisório, masconstantemente direcionado à compreensão do vivido, interessado pelastransformações da experiência mais do que pelas metamorfoses do podere da propriedade. Essa foi e é a posição mais contestada pelas tradicionaisinstituições e políticas; até mesmo pela empresa, impulsionada – nãomuito diversamente pela política – a pelo seu servilismo nos embates dosvalores que mais são capazes de consentir fáceis consensos e conivências.A resposta das partes envolvidas nesta polêmica – neste embate entrediversas (mas não demasiada ou suficientemente) políticas, ou seja, entrediversas formas de habitar o mundo – foi estilhaçada pelas próprias irre-conciliáveis contraposições ideológicas.

A mediologia, mais atenta à sociologia do imaginário e dos consumos, foiao menos buscando um pensamento especialista em superar a dialéticaentre consumo e saber, reconhecendo o fosso insuperável que separa, deum lado, um humanismo acadêmico aprofundado em miséria, confinadonuma posição marginal e insignificante, e do outro, um humanismo deconsumo que se tornou extraordinariamente potente, não só no topo, mastambém na base da vida cotidiana. No entanto, foi uma miopia insistir tanto sobre o choque entre filosofias eestéticas do consumo e filosofias e estéticas das instituições. Tinha que seruma batalha de retaguarda. Portanto, não pode mais ser suficiente (foialguma vez suficiente?) um pensamento que, por incerteza e ambiguida-de, ainda deseje colocar questões de fundo como estas, cruciais para mui-tos intelectuais de boa vontade, mas completamente internas à tradiçãopolítica ocidental: quais objetivos assumir e alcançar no âmbito do saberhumanístico? Quais lugares e sujeitos construir tendo em vista uma suaefetiva realização? Quais lugares e mercados imaginar para uma sua real eeficaz difusão? Agora é evidente que se trata de questões em que o huma-nismo mesmo se limita a se interrogar sobre si mesmo, a mostrar-se perfec-tível, a reivindicar a própria universalidade e o próprio universalismo, mastambém para restaurar as suas capacidades políticas, a sua ambição paraorientar todos os tipos de conflitos. A conservar seu próprio tempo, a suaHistória: as formas de vida de um saber consubstancial ao poder e, em par-ticular, ao manto de valores sociais do qual veste a sua soberania sobre avida. Se as perguntas sobre o humanismo permanecem dentro destas suasestratégias de encantamento, há de se perguntar, antes de estabelecer asdistâncias, quais são os âmbitos – as vestes e os hábitos – em que o trabal-ho intelectual exercita a sua influência sobre opiniões e processos forma-tivos, sem conseguir emancipar-se da couraça do próprio humanismo e,todavia, perdendo terreno no plano dos seus mesmos conteúdos.

O outro indicador que melhor resume a crise da universidade e de proces-sos civilizatórios ligados a ela, é a progressiva perda de reputação. O pres-tígio de um professor, e por extensão de um livro ou de um filme, se reve-la no momento em que a comunicação realizada por aquela singular inter-venção, ocorrido, evento, aparece de tal modo com autoridade para seimpor à opinião comum, tão eficaz para formar e desenhar o destinatário.O princípio teórico subjacente a todo o sistema reflexivo de McLuhan – omeio é a mensagem – defende que a qualidade do meio seja, em geral,

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mais forte do que aquele que toma voz naquele mesmo dispositivo. Ascomunicações individuais gozam de um grau de reputação diretamenteproporcional ao sucesso e ao poder do qual dispõe o meio em questão.Assim, os acadêmicos do passado eram grandes, porque grande era a ins-tituição em que eles próprios contribuíam para que ela assim fosse; namesma medida, circular era e é o prestígio entre manchetes dos jornais egrandes jornalistas. A deriva que atravessa hoje a instituição universitáriaé devida, em parte, a uma exagerada burocratização e, em outra parte, auma incapacidade generalizada no ler e atribuir valor a uma formaçãoanti-acadêmica, ligada ao consumo e aos seus ambientes mais significati-vos. Pense-se em particular em como a publicidade e a ficção televisivaaceleraram algumas mudanças essenciais: a passagem da sociedade indus-trial para a pós-industrial; da reprodutibilidade técnica para a digital; dasidentidades coletivas para a pessoa.Não obstante os princípios de excelência e mérito sejam hoje exibidos,como símbolos e testemunhas de uma formação anti-acadêmica, o saber estáainda fechado em inumeráveis segmentos disciplinares, em pacotes estereli-zados, em programas igualmente vazios e opacos. A lógica dominante, tan-tos dos professores quanto dos reformistas, se limita a confirmar e satisfazeras exigências de um sistema já existente, sem jamais corrigir ou negar a suatradição de fundo, os seus fundamentos. Uma universidade, assim vivida econcebida, é totalmente privada de prestígio, despida de esperanças e pers-pectivas. As provas de exames sancionam de forma exemplar a repetição e asimples cópia de noções compartilhadas entre trabalho e formação, univer-sidade e empresa. Os alunos vêem no professor um fiscal ou ao máximo umainstituição assistencial a seu serviço. O professor é incapaz de se regenerar,de se desenvolver com e através dos alunos. Os conteúdos e as pessoas são,portanto, uma transmissão mecânica, sem nenhuma possível formação detrabalho porque é incapaz de construir os seus conteúdos.

Quem tem, portanto, ainda confiança e credibilidade entre os jovens? Éplausível acreditar que eles sejam influenciados por figuras do imagináriopresentes nas mídias e nas novas mídias, que eles sejam atraídos por outrosmundos: o futebol, a música, os quadrinhos, os videogames, as séries detelevisão. O mesmo vale, aliás, para os acadêmicos e intelectuais. A fama deum professor depende quase inteiramente da imprensa e da televisão.Assim, no passado das mídias de massa, ainda mais hoje, tempo das redes.A universidade, com os seus protocolos de trabalho e comportamento, nãoparece ser capaz de lidar com os ritmos e a velocidade das redes, concedesempre menos espaço e tempo aos professores para aparecer nas mídias,deixa estes últimos a tarefa de conferir a fama e a notoriedade, portanto, acredibilidade às formas de trabalho e pensamento intelectual. Neste estadodas coisas acrescenta-se uma literatura desenvolvida entre as culturas hac-kers, um uso disseminado de blogs e de redes sociais, que descendem novosprofissionais e formas de reputação negociadas de modo diverso respeito àtradição, àquela das corporações profissionais e das hierarquias acadêmi-cas. O conjunto desses processos – inervados como são dentro de territó-rios mediáticos que se vão expandindo em alternativa à velha mídia, mastambém como sua nova fronteira ou o mercado – constitui o desenvolvi-mento último das formas de reputação criadas pela indústria cultural, emum percurso que vê uma estreita continuidade entre mídias antigas e novas,e ao mesmo tempo, uma progressiva catástrofe dos modos através dos quaisa academia construiu os seus valores, a sua fama e as suas hierarquias.

Existe talvez uma abertura, a possibilidade de recuperar um pensamentoda vida cotidiana e do imaginário – um pensamento tátil e, no entanto,capaz de construir um plano reflexivo ulterior, um ponto de vista sobrea complexidade do vivido, a contrapor ao saber político e social que pro-duziu tanto os conteúdos das instituições civis quanto um uso das tecno-

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logias como instrumentos de dominação dos processos de moderniza-ção, conteúdos esses que agora respondem ao declínio ou à esterilizaçãode tais processos exasperando as suas raízes. Uma dimensão em que pen-samento e experiência, conhecimento e estilo de vida, constituem umunicum originário e inseparável.Os processos de civilização são geralmente uma “nobre” tentativa de redu-zir a violência “fundadora”, que anima as formas e os modos de ser.Necessitaria ir ao coração da mentira, desmascarar a oferta de um deus,celeste ou terreno, que promete a Felicidade em nome de um Fim que jus-tifica a força e o desejo nos limites e não-limites do Poder; experimentarum processo educativo divergente que inclua internamente os sujeitos dis-postos a sacrificar a sua educação e pertencimento, que exclua qualquerum não esteja pronto a compartilhar o espaço deste raciocínio ou sejaincapaz de pensar além e fora daquilo que é hoje, enquanto cidadão e pro-fissional do mundo. Uma formação assim constituída, em nada participa-tiva do tempo em que vivemos, por nada integrada às suas éticas, estéticase políticas, reclama a uma iniciação mítica densa de determinação: obanho de Siegfried no sangue do dragão; o lugar de libertação da couraçae da vulnerabilidade dos costumes sociais; o instante em que poderiamnascer novas figuras dotadas de reputação.Uma clara ruptura com a tradição crítica pode afetar as políticas atuais? Aolongo do curso da modernidade, os dispositivos predispostos à formaçãoconseguiam, mediante uma estrutura vertical, preservar a reputação, ante-cipar os conteúdos necessários para seu progresso. No tempo muito maisrápido dos eclipses dos sujeitos e dos valores modernos, poderia, ao con-trário, servir como um centro de irradiação de saber destinado a “colocarem forma” conteúdos integralmente anti-modernos, uma clareira de pen-samento que tende a elaborar aquelas habilidades que escapam aos atuaisregimes de sentido. Tudo o que é lido e percebido como deriva e implo-são, silêncio e catástrofe, poderia ser o território sobre o qual habitar.Mesmo sendo uma ilusão essa capacidade de pensar um pensamento quenão pensa o presente e o futuro das instituições, dos saberes e das profis-sões históricas, valeria, mesmo assim, a pena crer e dissipar-se nela: umailusão, desta vez, fundada sobre a desilusão.

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Anotações

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English translation by Lucy SobreroTraduction du français par Fabienne PerboyerÜbersetzung aus dem Italienischen von Martino Boccignone und Sascha BerningerTraducción del español de Rayco González y Marcello SerraTradução em português por Massimo Di Felice e Eliete Pereira

Luca Sossella editore srlwww.luca sossella editore.it

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lucasossellaeditore

Come spezzare in un punto lestrutture sociali che stannosoffocando ogni capacità di for-mazione di una classe dirigente

How to break away from the Socialstructures that suffocate allattempts to educate those whogovern us

Pour rompre en un point lesstructures sociales oppressanttoute capacité de formationd’une classe dirigeante

Wie man die Sozialen StrukturenBricht, die die Bildungsfähigkeiteiner jeden FührungsschichtErsticken

Cómp quebrar en algún punto lasestructuras sociales que estánsofocando cualquier capacidad deformación de una clase dirigente

Como romper em um instante asestruturas sociais que estãosufocando toda a capacidade deformação de uma classe dirigente