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MICHELE GAZZOLA
(Humboldt-Universität zu Berlin)
Valutare una politica linguistica. Teoria e applicazione al caso dell’Organizza-
zione mondiale della proprietà intellettuale
1. INTRODUZIONE
La pianificazione linguistica o studio delle politiche linguistiche è un ambito di
ricerca nato negli anni ’60 e caratterizzato da un alto grado di interdisciplinarietà. Si
tratta di un campo saldamente ancorato alla tradizione sociolinguistica, che però ha
saputo accogliere e integrare contributi, teorie e metodi da altre discipline, ad esempio
il diritto, la scienza politica e l’economia. Aggiungo che non poteva essere altrimenti.
Lo studio delle “lingue in società” non può prescindere dallo studio e dalla
comprensione delle variabili socio-economiche che influiscono sulle variabili lin-
guistiche e che ne sono a loro volta influenzate. È quindi logico che la pianificazione
linguistica cerchi di incorporare, adattandoli alle proprie esigenze, approcci
metodologici provenienti da altre discipline. L’economia è certamente uno di
questi. Basti partire da una semplice constatazione: qualsiasi politica linguistica
necessita di risorse per essere attuata, e poiché le risorse sono sempre scarse e sog-
gette potenzialmente ad usi alternativi, al decisore pubblico si porrà inevitabilmente
il problema della scelta, cioè come usare al meglio le risorse a disposizione per rag-
giungere degli obiettivi definiti. Tuttavia, confinare il contributo dell’economia alla
pianificazione linguistica ad una tediosa questione contabile sarebbe riduttivo.
Certo, avere un quadro completo delle risorse impiegate per una politica linguistica
è una componente fondamentale in ogni valutazione, ma non è certo l’unica. Valu-
tare una politica linguistica da una prospettiva economica significa applicare un
quadro logico che permette di identificare, chiarire, stimare e confrontare gli effetti
allocativi e distributivi della politica stessa. Illustrare brevemente questo quadro
logico sarà l’oggetto della prima parte di questo capitolo, mentre la seconda parte
fornirà un esempio pratico di applicazione.
2. LE POLITICHE LINGUISTICHE COME POLITICA PUBBLICA
2.1 L’approccio economico alla valutazione delle politiche linguistiche: cenni
storici
L’influenza della terminologia e dei metodi delle scienze economiche sulla
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pianificazione linguistica non è un fatto recente. Al contrario, si può affermare che
le scienze sociali hanno svolto un ruolo importante nella prima fase di sviluppo
della disciplina, grossomodo fra gli anni ’60 e ’70. Come notato da Kaplan e Bal-
dauf in riferimento alle politiche linguistiche adottate in diversi paesi resisi indipen-
denti dopo la fine della colonizzazione europea:
Molte delle originarie radici della pianificazione linguistica possono essere
trovate nella convinzione positivista, molto in voga negli anni ’50 e ’60, se-
condo cui i governi avrebbero potuto superare molti dei problemi che li
avevano assillati nei decenni precedenti attraverso la pianificazione razionale,
spesso fondata su modelli di pianificazione economica e facendo uso di termi-
nologia economica (Kaplan, Baldauf, 1997, p. 153, traduzione mia).
La pertinenza delle teorie e dei metodi di ricerca dell’economia e della valuta-
zione delle politiche pubbliche per la pianificazione linguistica emerge già in uno
dei primi libri della disciplina, Can languages be planned? (Rubin, Jernudd,
1971a), che contiene un intero capitolo sull’analisi costi-benefici (Thorburn, 1971)
e un capitolo sulla valutazione (Rubin, 1971). L’introduzione del libro rivela chiara-
mente un’influenza della terminologia dell’economia sulla pianificazione lingui-
stica, definita da come un’attività «mirata alla risoluzione dei problemi e carat-
terizzata dalla formulazione e dalla valutazione di problemi linguistici alternativi al
fine di trovare la risposta migliore (o ottimale o più efficente). Essa comunque
orientata al futuro; vale a dire che i risultati delle politiche e delle strategie devono
essere specificati prima di intraprendere delle azioni» (Rubin, Jernudd,1971b, p.
xvi, citato in Jernudd, Nekvapil, 2012, p. 16, traduzione mia).
Nonostante ciò la valutazione economica delle politiche linguistiche non è stata
oggetto di specifiche ricerche fino agli anni ’90 (Kaplan, Baldauf, 1997, p. 90), anche
se alcune importanti eccezioni non mancano1. Fra i fattori che contribuiscono a spie-
gare questo paradosso dobbiamo citare il generale declino nella fiducia nella pianifi-
cazione come strumento per intervenire nella vita economica e sociale iniziato negli
anni ’80 unito a un concomitante ritorno in voga delle teorie del libero mercato, il
fatto che «la maggior parte dei sociolinguisti e dei linguisti applicati ha una
formazione modesta o nulla nell’analisi delle politiche» (Ricento, 2006, p. 18), e
1 Si segnalano i lavori di diversi economisti negli anni ‘70 e ‘80 sulle politiche linguistiche
nel Canada e in particolare nel Quebec (per una panoramica, rimando a Breton, 1998; Grin, 1996,
2003; Vaillancourt, 1985).
VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 69
infine l’emergere delle teorie “critiche” alla pianificazione linguistica (Tollefson,
2006). Queste teorie hanno messo in discussione la presunta natura “razionale” della
pianificazione linguistica come processo tecnico per trovare soluzioni efficienti a
problemi di natura linguistica, mettendo invece in evidenza la centralità dei rapporti di
potere, della politica e della perpetuazione dell’ineguaglianza come fattori
determinanti delle politiche linguistiche. In altre parole, le teorie critiche, non a torto,
rifiutano l’idea che realizzare una politica linguistica “ottima” consista nel trovare la
soluzione “efficiente” ai problemi linguistici sulla base di un’astratta nozione di
razionalità (in diversi contesti ciò implicava l’imposizione e la giustificazione del
monolinguismo e l’omogeneità culturale al fine di garantire l’unità nazionale e il
progresso economico dei paesi in via di sviluppo).
Gli approcci critici hanno certamente arricchito la nostra comprensione della
pianificazione linguistica come processo anche politico e non solo tecnico, ma
hanno contribuito a creare l’erronea impressione che la razionalità fosse un attributo
teleologico e non procedurale delle politiche linguistiche. Come osservato da Grin
(2003, pp. 8-9), il concetto di razionalità in economia e nella valutazione delle poli-
tiche pubbliche non si riferisce ai fini di una politica, ma alle procedure seguite per
raggiungere i fini definiti nell’ambito del dibattito pubblico. Difendere una lingua
minoritaria non è in sé meno razionale che promuovere la conoscenza di una sola
lingua in uno stato, e sostenere il multilinguismo nella comunicazione internazio-
nale non è meno razionale di voler limitare l’uso delle lingue di lavoro a una o due
per contenere i costi. Tutto dipende, in ultima analisi, dal valore che gli attori danno
alla diversità linguistica in un determinato ambiente e dai costi e dai benefici mate-
riali e simbolici di politiche linguistiche alternative (Grin, Vaillancourt, 1997).
L’approccio economico alle politiche linguistiche vuole quindi fornire un quadro
coerente per confrontare opzioni alternative di politica linguistica, e non per giusti-
ficare una politica sulla base della sua intrinseca “razionalità”.
A partire già dagli anni ’70, ma con intensità crescente dagli anni ’90, diversi
scienziati sociali hanno iniziato a importare ed adattare allo studio delle politiche
linguistiche teorie e metodi dall’economia, dalla teoria delle scelte razionali e
dall’analisi delle politiche pubbliche (si veda Grin, 2003 e Gazzola, 2014 per una
panoramica). Ci si è resi conto che le politiche linguistiche possono essere analiz-
zate come una specifica forma di politica pubblica, cioè un insieme di misure prese
da diverse autorità per risolvere in modo mirato un problema definito politicamente
come collettivo (Knoepfel et al., 2006). Così come le politiche pubbliche mirano a
risolvere problemi collettivi (ad esempio, l’inquinamento o la mancanza di alloggi),
la pianificazione linguistica mira a risolvere “problemi linguistici” tramite degli
interventi deliberati, espliciti o impliciti, portati avanti dalle autorità pubbliche in
vista di modificare in una certa direzione un determinato ambiente linguistico per
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quanto riguarda il corpus, lo status e l’acquisizione di una lingua2.
È necessario precisare che la definizione di cosa sia un “problema linguistico”,
ad esempio, modernizzare il lessico di una lingua, rivitalizzare un idioma tramite un
intervento sul suo status, oppure insegnare una lingua straniera nelle scuole per fa-
vorire il commercio internazionale, non è una questione tecnica; essa invece è (o
dovrebbe essere) oggetto di un dibattito pubblico aperto. La valutazione delle poli-
tiche quindi non intende sostituirsi al dibattito pubblico e politico, ma a contribuire
al dibattito stesso tramite un giudizio ponderato sugli effetti e i costi delle misure di
pianificazione linguistica (Grin, 2003). Nella prossima sezione, vedremo breve-
mente in che modo l’analisi delle politiche pubbliche può fornire un’intelaiatura
teorica e metodologica coerente per la valutazione delle politiche linguistiche.
2.2 Valutare una politica linguistica: fasi, criteri e indicatori
La valutazione di una politica linguistica è un processo complesso che si com-
pone di diverse fasi. Non è qui possibile presentare nel dettaglio tutti i passaggi lo-
gici che la caratterizzano3; ci limiteremo ad illustrare attraverso la Figura 1 un breve
schema che riassume i principali passaggi.
Figura 1: Il ciclo di vita di una politica linguistica
2 Definizione adattata da Grin (2003) e Dell’Aquila e Iannàccaro (2004).
3 Rimando a Grin, Gazzola (2013) e Gazzola (2014) per una discussione più dettagliata.
VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 71
La vita di una politica pubblica è spesso rappresentata come un ciclo il cui punto
di partenza è un determinato contesto. Nel caso di una politica linguistica si tratta so-
litamente di un ambiente caratterizzato da un certo grado di diversità linguistica
all’interno del quale emerge un determinato “problema linguistico”, ad esempio,
rivitalizzare una lingua minoritaria che ha subito una progressiva erosione da parte di
una lingua maggioritaria, o scegliere/modificare un regime linguistico di un’organiz-
zazione internazionale in cui persone di lingue diverse devono lavorare insieme.
La valutazione interviene in due fasi nel ciclo di una politica. In primo luogo,
essa serve a confrontare le opzioni alternative di politica linguistica e a dare un soste-
gno informativo alla scelta. Si parla a questo proposito di valutazione ex ante. Nella
valutazione ex ante le opzioni alternative sono confrontare sulla base degli obiettivi
prefissati, delle risorse disponibili (o “input”), e delle realizzazioni (o “output”) e dei
risultati (o “outcome”) attesi. Qualche definizione è a questo punto di rigore.
Per risorse si intende l’insieme dei mezzi finanziari, umani, materiali, organiz-
zativi e regolativi mobilizzati per realizzare una politica linguistica. Le realizzazioni
di una politica sono ciò che è ottenuto o realizzato attraverso le risorse investite
nella politica stessa, mentre i risultati sono definiti come gli effetti finali della poli-
tica linguistica sulla popolazione-obiettivo. La distinzione fra realizzazioni e risul-
tati è molto importante, perché la valutazione di una politica si interessa anzitutto a
questi ultimi. Per esempio, gli output di una politica di rivitalizzazione di una lingua
minoritaria portata avanti tramite dei corsi di lingua facoltativi per adulti sono (i) il
numero di corsi effettuati in un certo periodo e (ii) il numero di partecipanti. Gli
outcome, invece, sono gli effetti finali dei corsi sulla popolazione, cioè (i) il livello
di competenza effettivamente raggiunto dai partecipanti e soprattutto (ii) il tempo di
utilizzo della lingua nella vita sociale (Grin, 2003).
La valutazione ex post si concentra sullo studio degli effetti finali di una poli-
tica. Essa è necessaria per comprendere se gli obiettivi prefissati sono stati effetti-
vamente raggiunti, quali sono stati gli effetti osservati e a quale costo. La valuta-
zione ex post fornisce un prezioso insieme di informazioni che costituiscono un ri-
scontro per il decisore e per il pubblico in generale4.
4 Si noti che alcune politiche linguistiche non sono messe in atto con l’intenzione di avere
una determinata durata. Per esempio, la politica linguistica adottata da un’organizzazione interna-
zionale per gestire la sua comunicazione interna ed esterna (per esempio, la scelta di un certo nu-
mero di lingue ufficiali) non ha necessariamente una fine. Tuttavia, ciò non implica che la politica
non possa essere valutata. È sempre possibile confrontare una politica linguistica con se stessa in
tempi diversi (valutazione diacronica), soprattutto se sono intervenute modifiche o riforme, o con-
frontarla con la politica linguistica di altre organizzazioni (valutazione sincronica).
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La valutazione di una politica non è effettuata di astratto, ma alla luce di una
serie di criteri fondamentali. Fra cui i più importanti citiamo l’efficacia, l’efficienza
(interpretata qui come efficacia rispetto ai costi) e l’equità. L’efficacia è la capacità
di una politica di produrre effetti o risultati coerenti con gli obiettivi prefissati. A
parità di altre condizioni, una politica A è più efficace di una politica B se A garanti-
sce migliori risultati di B. Valutare l’efficienza di una politica pubblica significa
mettere in relazione i costi di una politica con i risultati ottenuti. Tipicamente si cal-
cola il rapporto fra costi e risultati di una politica. Una politica A può quindi essere
più efficace di una politica B, ma non necessariamente più efficiente. Ad esempio,
se l’effetto della politica A è 100 al costo di 100 (rapporto costi-risultati uguale a 1)
e l’effetto della politica B è 90 al costo di 80 (rapporto costi-risultati uguale a 0,89),
in generale B sarà più efficiente di A.Valutare l’efficienza equivale quindi a valutare
gli effetti allocativi di una politica, cioè in che modo le risorse sono state utilizzate
(allocate) per raggiungere determinati risultati.
Veniamo ora all’equità. Nell’analisi delle politiche pubbliche il concetto di
equità non rimanda a un criterio morale, ma all’identificazione e alla stima degli ef-
fetti distributivi di una politica sui gruppi portatori di interessi. In altre parole, si tratta
di capire chi guadagna e chi perde (o chi guadagna di più e chi di meno) se una
determinata politica viene adottata. Nel caso delle politiche linguistiche, i gruppi di
attori portatori di interesse sono generalmente identificati sulla base della lingua
nativa o di educazione primaria. La valutazione dell’equità fornisce al decisore
pubblico un insieme di informazioni utili per capire se gli effetti distributivi di una
certa politica sono “accettabili” per la società, cioè se corrispondono alla sensibilità
prevalente di una comunità o parte di essa. Una politica efficiente può essere respinta
se il decisore ritiene non accettabili gli effetti distributivi che ne deriverebbero.
In ogni esercizio valutativo, i criteri dell’efficacia, dell’efficienza e dell’equità
devono essere operazionalizzati attraverso opportuni indicatori. Un indicatore, in
generale, può essere definito come:
la misura di un obiettivo da raggiungere, un effetto ottenuto, una misura di
qualità o una variabile di contesto. Un indicatore produce informazioni quanti-
ficabili che servono ad aiutare gli attori coinvolti nell'intervento pubblico a
comunicare, negoziare e a prendere decisioni. Nella valutazione, gli indicatori
più importanti sono quelli legati ai criteri di successo degli interventi pubblici.
(Commissione europea, 2008, p. 111 traduzione mia).
Non è questa la sede per illustrare nel dettaglio le modalità di decomposizione e
specificazione di concetti complessi in indicatori misurabili e le proprietà desidera-
bili degli indicatori valutativi (si veda a tal proposito Gazzola, 2014). Basti ricor-
VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 73
dare che la funzione degli indicatori è di indicare semanticamente il concetto che
essi riflettono, fornendo una misura quantitativa di supporto alle decisioni di poli-
tica linguistica. Poiché i criteri di efficacia, efficienza ed equità si declinano in
modo diverso a seconda del contesto di riferimento e della natura della politica lin-
guistica da valutare, è preferibile presentare un caso concreto di applicazione invece
di affrontare la questione in astratto. Sarà questo l’oggetto delle prossime sezioni.
3. IL REGIME LINGUISTICO DELL’OMPI
3.1 Le lingue dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale
Un brevetto industriale è un insieme di diritti di sfruttamento commerciale
esclusivo di un’invenzione. Un brevetto è concesso a un inventore da un’istituzione
competente se l’invenzione è nuova, utile, non banale e brevettabile (nel senso che
si tratta di qualcosa che può essere oggetto di brevetto, per esempio un macchinario,
ma non una teoria scientifica). Il brevetto è interpretabile come una sorta di con-
tratto fra la società e un inventore: lo stato concede ad un inventore un insieme di
diritti esclusivi di sfruttamento commerciale della sua invenzione per un periodo
limitato di tempo (di solito 20 anni), ma in contropartita richiede che la descrizione
dell’invenzione sia pubblicata in modo da diventare una fonte potenziale di nuove
invenzioni (e ciò anche se il brevetto non viene alla fine rilasciato).
Non esiste oggi un’istituzione che rilasci brevetti validi in tutto il mondo, ma
esiste un accordo internazionale per facilitare la richiesta di brevetti nazionali o re-
gionali tramite una singola domanda di brevetto. Si tratta del Trattato di coopera-
zione in materia di brevetti (o Patent Cooperation Treaty – PCT), firmato nel 1970
ed entrato in vigore nel 1978. Oggi 142 paesi aderiscono al trattato. Il PCT è gestito
dall’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI), un’agenzia spe-
cializzata delle Nazioni Unite fondata nel 1967 il cui compito è di elaborare un si-
stema internazionale della proprietà intellettuale che ricompensa la creatività, sti-
mola l’innovazione e contribuisce allo sviluppo economico5. L’OMPI si occupa di
diversi aspetti della proprietà intellettuale, dal diritto d’autore alla proprietà indu-
striale; quest’ultima comprende, oltre ai brevetti, anche altre forme di protezione
della proprietà intellettuale come i marchi e i disegni industriali. In questa sezione ci
soffermeremo solo sui brevetti.
Non è qui possibile presentare le complesse procedure che regolamentano il
PCT6; basti dire che il sistema PCT permette di richiedere la protezione per
5 Fonte: www.wipo.int.
6 Si veda Abbott et al. (2007).
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un’invenzione in molti paesi simultaneamente sulla base di una sola domanda, detta
domanda internazionale di brevetto. La domanda è inizialmente depositata da una
persona fisica o giuridica presso un ufficio competente (nel caso italiano si tratta
dell’Ufficio italiano marchi e brevetti o dell’Ufficio europeo dei brevetti). Dopo
alcuni accertamenti formali e sostanziali che possono durare diversi mesi la do-
manda è trasferita all’OMPI che la pubblica. A partire da quel momento, il conte-
nuto dell’invenzione diventa accessibile a chiunque. Se la domanda non è stata riti-
rata, e dopo un certo numero di ulteriori procedure, il depositante entra nella cosid-
detta “fase nazionale” al più tardi dodici mesi dopo la pubblicazione. In pratica, ciò
significa che la domanda internazionale di brevetto viene depositata negli uffici
preposti degli stati scelti dal depositante, i quali provvederanno a esaminare la do-
manda e, in caso di buon esito dell’esame stesso, a rilasciare un brevetto valido nel
territorio di loro competenza.
Il sistema PCT prevede dieci lingue ufficiali dette lingue di pubblicazione, cioè
le lingue in cui l’OMPI ammette la pubblicazione delle domande internazionali di
brevetto. All’entrata in vigore del trattato nel 1978, il regime linguistico del PCT
comprendeva cinque lingue di pubblicazione, cioè il francese, il giapponese, l’inglese,
il russo e il tedesco, a cui sono stati aggiunti in seguito lo spagnolo (1985), il cinese
(1994), l’arabo (2006), il coreano e il portoghese (2008). Dal 1998 è possibile
depositare una domanda internazionale di brevetto anche in altre lingue, a patto di
fornire entro un mese una traduzione in una delle lingue di pubblicazione (le spese di
traduzione sono a carico del depositante). La Figura 2 illustra l’evoluzione
dell’utilizzo delle maggiori lingue di pubblicazione nella fase di deposito dal 1978 al
20107. Sono escluse le domande depositate ma ritirate prima della pubblicazione.
L’inglese è la lingua più utilizzata nelle domande internazionali di brevetto nella
fase di deposito, grazie soprattutto all’attività innovativa delle imprese americane,
seguita a distanza dal giapponese e dal tedesco. Nel corso degli ultimi quindici anni,
tuttavia, si è avuta una progressiva erosione della percentuale di domande internazio-
nali di brevetto depositate in inglese (56,1% nel 2010), che si spiega in parte come
l’effetto della riforma del 1998 (vedi sopra), e in parte con il forte incremento per-
centuale di domande depositate in giapponese, cinese e coreano. Il dinamismo delle
economie asiatiche ha avuto logicamente un effetto sull’uso delle lingue nel sistema
PCT. Negli ultimi anni, la percentuale di domande internazionali depositate in cinese
e coreano ha superato la percentuale di domande depositate in francese (la percentuale
nel 2010 si attesta al 5% per il cinese, 3,7% per il coreano e 3,6% per il francese).
7 Le cifre citate in questa sezione e nella prossima sono state estratte direttamente dall’autore
da una base dati gentilmente fornita dall’OMPI (che ringrazio). Alcuni dati sono ripresi da Gazzola
(2014).
VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 75
Figura 2: Utilizzo delle principali lingue di pubblicazione nella fase di deposito (1979-2010)
– Fonte: Base dati statistica dell’OMPI e Gazzola (2014).
Le altre lingue di pubblicazione giocano un ruolo abbastanza marginale. Dopo
il crollo dell’Unione sovietica il russo ha perso gradualmente di importanza stati-
stica; solo il 0,4% del totale di domande internazionali di brevetto nel 2010 è stato
depositato in questa lingua, contro il 3,8% del 1981 o il 1,8% del 1989. Il porto-
ghese e lo spagnolo sono ancora poco utilizzati (nel 2010, 0,1% e 1% rispettiva-
mente). L’arabo non è stato mai utilizzato. Fra le lingue non di pubblicazione, le più
utilizzate sono l’italiano (0,9% nel 2010), l’olandese (0,3%) e lo svedese (0,2%). Ci
sono quindi delle lingue di pubblicazione che sono utilizzate meno sovente di al-
cune lingue non di pubblicazione. Per il caso italiano, è interessante notare che dopo
la riforma del 1998 la percentuale di domande internazionali di brevetto depositate
in inglese da imprese italiane è progressivamente scesa dal 98,2% nel 1998 al
49,6% del 2010. Le domande depositate in una lingua che non è una delle lingue di
pubblicazione del PCT sono solitamente tradotte in inglese (Gazzola, 2014).
3.2 Valutazione del regime linguistico dell’OMPI: il caso del coreano
La riforma del 2008, che ha aggiunto le lingue coreana e portoghese alle otto
precedenti lingue di pubblicazione del PCT, offre la possibilità di effettuare una
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valutazione comparativa ex post del regime linguistico del PCT. Quali sono stati gli
effetti allocativi e distributivi della riforma? Il regime linguistico del PCT è diven-
tato più efficace ed efficiente di prima? Quali sono stati gli effetti della riforma
sull’equità? In questa sezione ci concentreremo sul caso della lingua coreana.
L’esiguo numero di domande internazionali di brevetto depositate in portoghese
rende infatti meno solidi i risultati della valutazione per questa lingua.
Prima di fornire stime empiriche è necessario adattare i criteri generali
dell’efficacia, efficienza ed equità al caso della valutazione dei regimi linguistici
delle organizzazioni internazionali come l’OMPI. Ricordiamo che un regime lin-
guistico è un particolare tipo di politica linguistica volta a gestire la comunicazione
multilingue in un contesto sovranazionale. Seguendo l’approccio sviluppato da
Gazzola e Grin (2013), definiamo un regime linguistico come efficace se esso
contribuisce al raggiungimento degli obiettivi perseguiti da una certa istituzione od
organizzazione. Nel caso dell’OMPI dobbiamo quindi valutare qual è il contributo
del regime linguistico del PCT al perseguimento degli obiettivi statutari dell’orga-
nizzazione, cioè la diffusione della conoscenza e la promozione di nuove
invenzioni. Per misurare l’efficacia di un regime linguistico, o meglio, per compa-
rare l’efficacia di regimi linguistici alternativi, dobbiamo avvalerci di alcuni indi-
catori di risultato8. Senza entrare nel dettaglio
9, basti citare alcuni esempi.
˗ Il “numero di nuove domande internazionali di brevetto depositate per
anno in una determinata lingua che fanno riferimento ad altre domande
tradotte e pubblicate nella stessa lingua”. Citare una domanda interna-
zionale di brevetto già pubblicata in una nuova domanda è un modo per
accertare che un’invenzione ha influenzato la creazione di una nuova
invenzione. Poter accedere nella propria lingua alle domande di brevetto
già pubblicate (si tratti di domande redatte in tale lingua o tradotte)
accresce le possibilità di utilizzare la descrizione dell’invenzione per
sviluppare nuove idee.
˗ Il “numero di nuove domande internazionali di brevetto pubblicate per
anno”. Si tratta di un indicatore piuttosto impreciso perché è difficile
8 Meno rilevanti per l’analisi qui svolta sono gli indicatori che misurano le realizzazioni di un
regime linguistico (si veda la sezione 2.2 qui sopra per le definizioni). Un esempio di indicatore di
realizzazione di un regime linguistico è il “numero di domande internazionali redatte in lingua X
che sono tradotte in lingua Y”. Gli indicatori di realizzazione riflettono i prodotti diretti di un re-
gime linguistico, tipicamente documenti tradotti o numero di ore di interpretariato. 9 Per una trattazione più approfondita degli indicatori di risultato, rimando a Gazzola (2014).
VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 77
isolare l’effetto della politica linguistica dai vari fattori che influiscono sul
numero di domande pubblicate, ma ha il vantaggio di essere relativamente
semplice da stimare. Il fatto di poter depositare delle domande internazio-
nali di brevetto nella propria lingua senza dover far fronte a delle spese di
traduzioni preliminari costituisce di fatto una riduzione del costo di
accesso alla protezione intellettuale che può avere un effetto positivo sul
numero medio di domande depositate.
È ovviamente possibile sviluppare molti altri indicatori di efficacia. Il reale
problema, tuttavia, è trovare dei dati adeguati per nutrire tali indicatori. Purtroppo
nella maggior parte dei casi questi dati non esistono o non possono essere derivati
dalle statistiche ufficiali. Per effettuare una valutazione completa sarebbe quindi
necessario effettuare delle indagini mirate per ottenere dei dati ad hoc. Baseremo
quindi la nostra analisi su delle inevitabili approssimazioni statistiche. In mancanza
di dati più precisi, utilizzeremo come indicatore di efficacia del regime linguistico
del PCT il numero di domande internazionali pubblicate all’anno e in particolare il
numero di le domande pubblicate in coreano.
Dal 2009 al 2010, sono state pubblicate 10.225 domande internazionali di bre-
vetto la cui lingua di deposito era il coreano (essenzialmente imprese con sede nella
Corea del sud). Grazie al fatto che dal 2008 il coreano è una lingua di pubblicazione
del PCT, molte imprese coreane hanno potuto risparmiare sulle spese di traduzione
dal coreano verso un’altra lingua di pubblicazione (solitamente l’inglese e in misura
minore il giapponese). Un risparmio sulle spese di traduzione al momento del depo-
sito di una domanda equivale di fatto a una diminuzione del costo di accesso alla
protezione della proprietà intellettuale attraverso il sistema PCT rispetto a sistemi
alternativi di protezione (esempio, una protezione nazionale)10
. A parità di altre
condizioni, una diminuzione di costo di accesso si traduce in generale in un au-
mento della domanda di brevetti (Van Pottelsberghe, Mejer, 2010; Danguy, e Van
Pottelsberghe, 2011). Questi studi mostrano che, in media, una riduzione dell’1%
del costo di accesso alla proprietà industriale (per esempio tramite una diminuzione
degli emolumenti pagati all’ufficio dei brevetti) genera un incremento della do-
manda di brevetti (cioè del numero di domande di brevetto depositate) compreso fra
lo 0,3% e lo 0,4%. Si parla a tal proposito di “elasticità della domanda al prezzo”.
Come mostrato altrove (Gazzola, 2014), i costi medi di traduzione di una domanda
di brevetto sono circa euro 1.700 per un brevetto di una lunghezza media di 20 pa-
gine. Abolire i requisiti di traduzione in fase di deposito internazionale equivale di
10
Questo argomento è stato utilizzato dalla Corea del sud per giustificare la sua richiesta di
includere il coreano fra le lingue di pubblicazione del PCT (WIPO 2007).
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fatto a una riduzione dei costi di un accesso alla protezione della proprietà indu-
striale. Nel caso di un’impresa stabilita in Corea del Sud che sceglie il coreano
come lingua di deposito di una domanda internazionale di brevetto, i costi di tradu-
zione prima del 2008 incidevano per il 54% circa del totale dei costi di accesso al
sistema PcT. Di conseguenza, possiamo aspettarci che una diminuzione del 54% dei
costi di accesso generi, alla fine del periodo di aggiustamento (tipicamente un paio
d’anni), un aumento delle domande internazionali di brevetto depositate in coreano
compreso fra il 16,2% e il 21,6% rispetto al numero medio di domande internazio-
nali di brevetto depositate in questa lingua negli anni immediatamente precedenti
alla riforma. Non sappiamo quante domande internazionali di brevetto pubblicate
fra il 2009 e il 2010 da depositanti di lingua coreana non sarebbero state depositate
se il coreano non fosse stato una lingua di pubblicazione, ma sulla base di quanto
appena detto sull’elasticità al prezzo è molto plausibile ritenere che l’effetto della
riforma del 2008 sia stato positivo, e che quindi l’efficacia del regime linguistico sia
aumentata11
.
Valutare l’effetto della riforma del 2008 sull’efficienza del regime linguistico è
più complesso. Dobbiamo mettere a confronto il rapporto fra i costi del regime lin-
guistico PCT prima e dopo il 2008 con il nostro indicatore di efficacia (il numero
annuo di domande pubblicate la cui lingua di deposito era il coreano). I costi
direttamente imputabili a un regime linguistico sono composti da due parti:
˗ i costi primari, composti a loro volta dai costi diretti dei servizi linguistici
di traduzione e interpretariato e dai costi indiretti dei servizi linguistici,
cioè una quota di costi generali amministrativi (per esempio, una quota
dei costi di gestione degli immobili dove lavorano i funzionari dell’or-
ganizzazione analizzata, fra cui appunto traduttori e interpreti);
˗ i costi secondari, vale a dire i costi dovuti a ritardi, incomprensioni ed
errori che spesso accompagnano la comunicazione multilingue, per
esempio, errori di traduzione o errori dovuti a una non perfetta padro-
nanza delle lingue ufficiali di un’organizzazione da parte dei locutori non
nativi. A causa della mancanza di dati affidabili, è spesso molto difficile
stimare quantitativamente i costi secondari. In questo capitolo ci
limiteremo quindi ai costi primari.
11
Per contro, è ragionevole ritenere che l’aggiunta del coreano non abbia influito
significativamente sul numero di domande internazionali di brevetto depositate da inventori non
coreanofoni, se non tramite un possibile aumento dei costi informativi per gli inventori anglofoni
(si veda sotto).
VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 79
Il regime linguistico del PCT prevede che tutti i titoli e i riassunti delle do-
mande internazionali di brevetto siano tradotti in inglese e francese prima della
pubblicazione a spese dell’OMPI. Prima del 2008, i depositanti di domande inter-
nazionali di brevetto di lingua coreana dovevano scegliere una lingua di pubblica-
zione fra le otto ufficiali. Solitamente sceglievano l’inglese. All’OMPI non restava
che tradurre il titolo e il riassunto in francese. Con l’aggiunta del coreano fra le lin-
gue di pubblicazione è stato necessario tradurre titoli e riassunti delle domande in
coreano anche in inglese. Aggiungere la lingua coreana alle otto precedenti lingue
di pubblicazioni ha comportato un aumento dei costi primari del regime linguistico
del PCT di € 1,15 milioni fra il 2009 e il 2010 (Gazzola, 2014).
Sfortunatamente non esistono dati sufficientemente dettagliati per effettuare una
valutazione comparata dell’efficienza del regime linguistico del PCT prima e dopo il
2008. Avremmo bisogno, oltre che ai dati sui costi, di separare l’effetto della riforma
sul numero di domande pubblicate da altri fattori esplicativi della crescita di domande
in coreano, come la produttività degli inventori coreani o le risorse investite in ricerca
e sviluppo dalle imprese coreane. Sulla base dei dati esistenti, però, possiamo valutare
a quali condizioni l’efficienza del regime linguistico del PCT è aumentata.
Ipotizziamo che tra il 2009 e il 2010 l’effetto dell’inclusione del coreano fra le
lingue di pubblicazione del PCT sia stato un aumento totale delle domande deposi-
tate da inventori di lingua coreana pari al 13,22% delle domande internazionali di
brevetto pubblicate nei due anni precedenti all’entrata in vigore della riforma del
regime linguistico (cioè dal 2007 al 2008) la cui lingua di deposito era il coreano (si
ricorda che era possibile depositare in coreano dal 1998, ma solo dopo il 2008 non è
più necessario fornire una traduzione della domanda). Dal 2007 al 2008 sono state
pubblicate 7.958 domande internazionali di brevetto la cui lingua di deposito era il
coreano. Un aumento del 13,22% rispetto al totale di queste domande equivale a
1.052 domande internazionali di brevetto. Un aumento del 13,22% è quindi compa-
tibile con quanto dalle simulazioni fondate sui coefficenti dell’elasticità della do-
manda di brevetti al prezzo (cioè al costo di accesso). Queste stime, ricordiamo,
prevedevano un aumento fra il 16,2% e il 21,6% (vedi sopra). Teniamo per il mo-
mento a mente il numero 1.052.
Ora, il regolamento del PCT dispone che i depositanti debbano pagare alcuni
emolumenti all’OMPI all’atto di presentazione di una domanda internazionale di
brevetto. L’emolumento medio per domanda è di euro 1.093. Se effettivamente la
riforma del regime linguistico ha generato 1.052 nuove domande internazionali di
brevetto pubblicate fra il 2009 e il 2010 la cui lingua di deposito era il coreano,
allora l’OMPI ha ottenuto grazie a ciò un extra gettito pari a 1,15 milioni di euro
(euro 1.093-1,052 domande). Poiché 1,15 milioni di euro compensano esattamente
l’incremento di costi primari del regime linguistico, possiamo affermare che, se la
80 MICHELE GAZZOLA
nostra ipotesi è vera, allora l’efficienza del regime linguistico del PCT è aumentata:
a parità di costi il numero di domande pubblicate è cresciuto.
Concludiamo questa sezione con una valutazione dell’equità del cambiamento
di regime linguistico del PCT. Un primo effetto distributivo è la riduzione delle
spese di traduzione per i depositanti di lingua coreana. Fra il 2009 e il 2010 sono
state pubblicate in coreano 6.834 domande internazionali di brevetto. Questo nu-
mero è inferiore al numero di domande pubblicate fra il 2009 e il 2010 che erano
state depositate in coreano (10.225). Come illustrato nella precedente sezione, il de-
posito di una domanda internazionale di brevetto avviene diversi mesi prima della
pubblicazione. È probabile che alcune domande depositate in coreano ma pubbli-
cate in un’altra lingua (solitamente l’inglese) fra il 2009 e il 2010 fossero state de-
positate prima dell’entrata in vigore della riforma. Ad ogni modo, se il coreano non
fosse stato una lingua di pubblicazione i depositanti si sarebbero dovuti accollare le
spese di traduzione verso un’altra lingua di pubblicazione. Dato che il costo medio
di traduzione per una domanda di brevetto è di circa euro 1.700 (vedi sopra), il ri-
sparmio per i depositanti di lingua coreana può quindi essere stimato a 11,6 milioni
di euro sui due anni (euro 1.093-6.834 domande). Ricordiamo che l’aumento dei
costi primari del regime linguistico del PCT dopo il 2008 è stato molto più basso
(1,15 milioni di euro). Inoltre, l’inclusione del coreano fra le lingue di pubblica-
zione del PCT ha permesso di ridurre il fabbisogno di traduzione delle imprese di
lingua coreana nell’interazione con l’OMPI in diverse procedure amministrative. La
riforma ovviamente non ha avuto alcun effetto sui costi di traduzione di accesso alle
procedure PCT per depositanti di altre lingue.
Un ulteriore effetto distributivo però si è avuto a livello dei “costi informativi”,
vale a dire costi di diversa natura che sorgono nel momento in cui si deve accedere
a delle informazioni disponibili in una lingua che non si padroneggia. Può trattarsi
di costi di traduzione, ma anche di costi solo parzialmente quantificabili come la
perdita di tempo, la fatica e l’insicurezza nella lettura. L’introduzione del coreano
fra le lingue di pubblicazione ha certamente ridotto i costi informativi per i deposi-
tanti di lingua coreana, poiché per costoro è diventato più facile e meno costoso ac-
cedere alla descrizione delle invenzioni pubblicate in coreano. Inoltre, la maggiore
accessibilità delle informazioni tecniche contenute nelle domande internazionali di
brevetto pubblicate in coreano potrebbe aver avuto un effetto positivo sulla produ-
zione di invenzioni da parte degli inventori che padroneggiano la lingua coreana
(ricordiamo che i brevetti esistenti e le domande pubblicate sono la principale fonte
di letteratura specialistica su cui lavorano gli inventori). Un effetto opposto invece
potrebbe aver avuto luogo per gli altri inventori, e in particolare per gli inventori
anglofoni. Ricordiamo che prima del 2008 le domande depositate in coreano veni-
vano di solito tradotte in inglese ai fini della pubblicazione. Oggi invece solo il ti-
VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 81
tolo e il riassunto delle domande internazionali di brevetto pubblicate in coreano
sono tradotti in inglese.
In assenza di dati precisi, è difficile stimare se la diminuzione di costi infor-
mativi per gli inventori di lingua coreana ha compensato l’aumento di costi infor-
mativi per gli inventori anglofoni. Possiamo tuttavia utilizzare un indicatore com-
posto per stimare degli ordini di grandezza con un’approssimazione statistica. Defi-
niamo l’indicatore IR (o “indice di rappresentazione”) come il rapporto fra la
percentuale di domande internazionali di brevetto pubblicate in lingua X per anno e
la percentuale di domande pubblicate per anno che sono state depositate da deposi-
tanti residenti in un paese dove la lingua X è lingua ufficiale. Se l’indice IR è supe-
riore a 1 significa che una lingua è “sovrarappresentata”, cioè che essa è usata in
modo più che proporzionale alla percentuale di domande internazionali di brevetto
già pubblicate che sono state depositate da inventori di lingua X. Ciò implica un
vantaggio in termini di costi informativi, poiché gli inventori di lingua madre X
possono accedere ogni a un deposito di informazione tecnica superiore a quanto ge-
nerato ogni anno dai depositanti residenti in un paese di lingua ufficiale X. Un in-
dice inferiore a 1 invece denota una sottorappresentazione di una lingua.
Dal 2008 al 2010 l’indice IR per le imprese e gli inventori di lingua coreana è
passato da 0 a 0,7, mentre quello per i depositanti di lingua inglese è rimasto so-
stanzialmente invariato a 1,6 in buona parte però grazie a fattori esogeni. Possiamo
concludere che l’aggiunta del coreano fra le lingue di pubblicazione del PCT nel
complesso ha ridotto i costi informativi per gli inventori di lingua coreana. I costi
informativi sostenuti dalle imprese e dagli inventori residenti in paesi anglofoni
sono probabilmente aumentati, ma tale aumento o non è stato significativo o è stato
compensato da fattori esogeni, tipicamente un maggior utilizzo dell’inglese da parte
di depositanti provenienti da altri paesi non anglofoni (si veda Gazzola 2014 per la
discussione più approfondita). In generale possiamo concludere che la riforma del
2008 ha contribuito a ridurre diverse disparità di costo esistenti prima del 2008 fra
depositanti di lingua coreana e depositanti di lingua inglese.
4. CONCLUSIONI
La valutazione delle politiche linguistiche è una specializzazione dell’eco-
nomia linguistica che analizza la pianificazione linguistica come una particolare
forma di politica pubblica. Ciò permette di applicare, adattandoli, teorie e metodi di
valutazione utilizzati nell’analisi delle politiche pubbliche (policy analysis) alle mi-
sure di pianificazione linguistica. In questo capitolo, abbiamo illustrato le finalità e
le principali fasi della valutazione delle politiche linguistiche, e abbiamo presentato
e discusso i criteri fondamentali su cui una valutazione si fonda, vale a dire
82 MICHELE GAZZOLA
l’efficacia, l’efficienza e l’equità. La valutazione delle politiche linguistiche è nata
di fatto con la pianificazione linguistica negli anni ’60, ma per quasi tre decenni,
con alcune eccezioni, non è stata oggetto di ricerche empiriche e teoriche di ampio
respiro. La situazione però ha iniziato a cambiare negli anni ’90, ed è oggi più
chiaro come la valutazione può contribuire alla ricerca nella pianificazione
linguistica. Essa fornisce strumenti che integrano e completano gli approcci
esistenti, e offre un quadro analitico coerente per l’utilizzo degli indicatori
linguistici valutativi, cioè gli indicatori utilizzati per valutare una politica lin-
guistica12
. Lo sviluppo di tali indicatori è un promettente terreno di ricerca
interdisciplinare nel quale la sociolinguistica riveste ovviamente un ruolo centrale.
Il caso del regime linguistico del PCT gestito dall’OMPI, discusso nella se-
conda parte di questo capitolo, fornisce un esempio di come strutturare la valuta-
zione di una politica linguistica in pratica. Abbiamo visto che un’attenta valutazione
degli effetti allocativi e distributivi di una politica permette di sfatare alcuni luoghi
comuni, ad esempio, che la soluzione più efficiente nel gestire la comunicazione
multilingue consiste sempre nell’utilizzare un’unica lingua, o che il multilinguismo
è più costoso del monolinguismo. Osservando le cose da più vicino, si scopre che la
realtà è più complessa e che un regime linguistico più multilingue, come quello
dell’OMPI dopo la riforma del 2008, può dunque essere allo stesso tempo più
efficiente di un regime meno multilingue, e può portare a una distribuzione meglio
ripartita dei costi legati alla protezione della proprietà intellettuale.
Ringraziamenti: l’autore desidera ringraziare il progetto integrato europeo
DYLAN (“Dinamiche linguistiche e gestione della diversità”) e il Fondo nazionale
svizzero per la ricerca scientifica (progetto PBGEP1-136158 e PBGEP1-145655)
per il loro sostegno finanziario.
12
Rimando a tal proposito a Grin, Gazzola (2013) e a Gazzola (2014), e in particolare agli
indicatori linguistici elaborati da questi autori nel quadro del progetto DYLAN (“Dinamiche
linguistiche e gestione della diversità”): http://bit.ly/1kezgTw.>
VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 83
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