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MICHELE GAZZOLA (Humboldt-Universität zu Berlin) Valutare una politica linguistica. Teoria e applicazione al caso dellOrganizza- zione mondiale della proprietà intellettuale 1. INTRODUZIONE La pianificazione linguistica o studio delle politiche linguistiche è un ambito di ricerca nato negli anni 60 e caratterizzato da un alto grado di interdisciplinarietà. Si tratta di un campo saldamente ancorato alla tradizione sociolinguistica, che però ha saputo accogliere e integrare contributi, teorie e metodi da altre discipline, ad esempio il diritto, la scienza politica e leconomia. Aggiungo che non poteva essere altrimenti. Lo studio delle lingue in societànon può prescindere dallo studio e dalla comprensione delle variabili socio-economiche che influiscono sulle variabili lin- guistiche e che ne sono a loro volta influenzate. È quindi logico che la pianificazione linguistica cerchi di incorporare, adattandoli alle proprie esigenze, approcci metodologici provenienti da altre discipline. Leconomia è certamente uno di questi. Basti partire da una semplice constatazione: qualsiasi politica linguistica necessita di risorse per essere attuata, e poiché le risorse sono sempre scarse e sog- gette potenzialmente ad usi alternativi, al decisore pubblico si porrà inevitabilmente il problema della scelta, cioè come usare al meglio le risorse a disposizione per rag- giungere degli obiettivi definiti. Tuttavia, confinare il contributo delleconomia alla pianificazione linguistica ad una tediosa questione contabile sarebbe riduttivo. Certo, avere un quadro completo delle risorse impiegate per una politica linguistica è una componente fondamentale in ogni valutazione, ma non è certo lunica. Valu- tare una politica linguistica da una prospettiva economica significa applicare un quadro logico che permette di identificare, chiarire, stimare e confrontare gli effetti allocativi e distributivi della politica stessa. Illustrare brevemente questo quadro logico sarà loggetto della prima parte di questo capitolo, mentre la seconda parte fornirà un esempio pratico di applicazione. 2. LE POLITICHE LINGUISTICHE COME POLITICA PUBBLICA 2.1 Lapproccio economico alla valutazione delle politiche linguistiche: cenni storici Linfluenza della terminologia e dei metodi delle scienze economiche sulla

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MICHELE GAZZOLA

(Humboldt-Universität zu Berlin)

Valutare una politica linguistica. Teoria e applicazione al caso dell’Organizza-

zione mondiale della proprietà intellettuale

1. INTRODUZIONE

La pianificazione linguistica o studio delle politiche linguistiche è un ambito di

ricerca nato negli anni ’60 e caratterizzato da un alto grado di interdisciplinarietà. Si

tratta di un campo saldamente ancorato alla tradizione sociolinguistica, che però ha

saputo accogliere e integrare contributi, teorie e metodi da altre discipline, ad esempio

il diritto, la scienza politica e l’economia. Aggiungo che non poteva essere altrimenti.

Lo studio delle “lingue in società” non può prescindere dallo studio e dalla

comprensione delle variabili socio-economiche che influiscono sulle variabili lin-

guistiche e che ne sono a loro volta influenzate. È quindi logico che la pianificazione

linguistica cerchi di incorporare, adattandoli alle proprie esigenze, approcci

metodologici provenienti da altre discipline. L’economia è certamente uno di

questi. Basti partire da una semplice constatazione: qualsiasi politica linguistica

necessita di risorse per essere attuata, e poiché le risorse sono sempre scarse e sog-

gette potenzialmente ad usi alternativi, al decisore pubblico si porrà inevitabilmente

il problema della scelta, cioè come usare al meglio le risorse a disposizione per rag-

giungere degli obiettivi definiti. Tuttavia, confinare il contributo dell’economia alla

pianificazione linguistica ad una tediosa questione contabile sarebbe riduttivo.

Certo, avere un quadro completo delle risorse impiegate per una politica linguistica

è una componente fondamentale in ogni valutazione, ma non è certo l’unica. Valu-

tare una politica linguistica da una prospettiva economica significa applicare un

quadro logico che permette di identificare, chiarire, stimare e confrontare gli effetti

allocativi e distributivi della politica stessa. Illustrare brevemente questo quadro

logico sarà l’oggetto della prima parte di questo capitolo, mentre la seconda parte

fornirà un esempio pratico di applicazione.

2. LE POLITICHE LINGUISTICHE COME POLITICA PUBBLICA

2.1 L’approccio economico alla valutazione delle politiche linguistiche: cenni

storici

L’influenza della terminologia e dei metodi delle scienze economiche sulla

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pianificazione linguistica non è un fatto recente. Al contrario, si può affermare che

le scienze sociali hanno svolto un ruolo importante nella prima fase di sviluppo

della disciplina, grossomodo fra gli anni ’60 e ’70. Come notato da Kaplan e Bal-

dauf in riferimento alle politiche linguistiche adottate in diversi paesi resisi indipen-

denti dopo la fine della colonizzazione europea:

Molte delle originarie radici della pianificazione linguistica possono essere

trovate nella convinzione positivista, molto in voga negli anni ’50 e ’60, se-

condo cui i governi avrebbero potuto superare molti dei problemi che li

avevano assillati nei decenni precedenti attraverso la pianificazione razionale,

spesso fondata su modelli di pianificazione economica e facendo uso di termi-

nologia economica (Kaplan, Baldauf, 1997, p. 153, traduzione mia).

La pertinenza delle teorie e dei metodi di ricerca dell’economia e della valuta-

zione delle politiche pubbliche per la pianificazione linguistica emerge già in uno

dei primi libri della disciplina, Can languages be planned? (Rubin, Jernudd,

1971a), che contiene un intero capitolo sull’analisi costi-benefici (Thorburn, 1971)

e un capitolo sulla valutazione (Rubin, 1971). L’introduzione del libro rivela chiara-

mente un’influenza della terminologia dell’economia sulla pianificazione lingui-

stica, definita da come un’attività «mirata alla risoluzione dei problemi e carat-

terizzata dalla formulazione e dalla valutazione di problemi linguistici alternativi al

fine di trovare la risposta migliore (o ottimale o più efficente). Essa comunque

orientata al futuro; vale a dire che i risultati delle politiche e delle strategie devono

essere specificati prima di intraprendere delle azioni» (Rubin, Jernudd,1971b, p.

xvi, citato in Jernudd, Nekvapil, 2012, p. 16, traduzione mia).

Nonostante ciò la valutazione economica delle politiche linguistiche non è stata

oggetto di specifiche ricerche fino agli anni ’90 (Kaplan, Baldauf, 1997, p. 90), anche

se alcune importanti eccezioni non mancano1. Fra i fattori che contribuiscono a spie-

gare questo paradosso dobbiamo citare il generale declino nella fiducia nella pianifi-

cazione come strumento per intervenire nella vita economica e sociale iniziato negli

anni ’80 unito a un concomitante ritorno in voga delle teorie del libero mercato, il

fatto che «la maggior parte dei sociolinguisti e dei linguisti applicati ha una

formazione modesta o nulla nell’analisi delle politiche» (Ricento, 2006, p. 18), e

1 Si segnalano i lavori di diversi economisti negli anni ‘70 e ‘80 sulle politiche linguistiche

nel Canada e in particolare nel Quebec (per una panoramica, rimando a Breton, 1998; Grin, 1996,

2003; Vaillancourt, 1985).

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VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 69

infine l’emergere delle teorie “critiche” alla pianificazione linguistica (Tollefson,

2006). Queste teorie hanno messo in discussione la presunta natura “razionale” della

pianificazione linguistica come processo tecnico per trovare soluzioni efficienti a

problemi di natura linguistica, mettendo invece in evidenza la centralità dei rapporti di

potere, della politica e della perpetuazione dell’ineguaglianza come fattori

determinanti delle politiche linguistiche. In altre parole, le teorie critiche, non a torto,

rifiutano l’idea che realizzare una politica linguistica “ottima” consista nel trovare la

soluzione “efficiente” ai problemi linguistici sulla base di un’astratta nozione di

razionalità (in diversi contesti ciò implicava l’imposizione e la giustificazione del

monolinguismo e l’omogeneità culturale al fine di garantire l’unità nazionale e il

progresso economico dei paesi in via di sviluppo).

Gli approcci critici hanno certamente arricchito la nostra comprensione della

pianificazione linguistica come processo anche politico e non solo tecnico, ma

hanno contribuito a creare l’erronea impressione che la razionalità fosse un attributo

teleologico e non procedurale delle politiche linguistiche. Come osservato da Grin

(2003, pp. 8-9), il concetto di razionalità in economia e nella valutazione delle poli-

tiche pubbliche non si riferisce ai fini di una politica, ma alle procedure seguite per

raggiungere i fini definiti nell’ambito del dibattito pubblico. Difendere una lingua

minoritaria non è in sé meno razionale che promuovere la conoscenza di una sola

lingua in uno stato, e sostenere il multilinguismo nella comunicazione internazio-

nale non è meno razionale di voler limitare l’uso delle lingue di lavoro a una o due

per contenere i costi. Tutto dipende, in ultima analisi, dal valore che gli attori danno

alla diversità linguistica in un determinato ambiente e dai costi e dai benefici mate-

riali e simbolici di politiche linguistiche alternative (Grin, Vaillancourt, 1997).

L’approccio economico alle politiche linguistiche vuole quindi fornire un quadro

coerente per confrontare opzioni alternative di politica linguistica, e non per giusti-

ficare una politica sulla base della sua intrinseca “razionalità”.

A partire già dagli anni ’70, ma con intensità crescente dagli anni ’90, diversi

scienziati sociali hanno iniziato a importare ed adattare allo studio delle politiche

linguistiche teorie e metodi dall’economia, dalla teoria delle scelte razionali e

dall’analisi delle politiche pubbliche (si veda Grin, 2003 e Gazzola, 2014 per una

panoramica). Ci si è resi conto che le politiche linguistiche possono essere analiz-

zate come una specifica forma di politica pubblica, cioè un insieme di misure prese

da diverse autorità per risolvere in modo mirato un problema definito politicamente

come collettivo (Knoepfel et al., 2006). Così come le politiche pubbliche mirano a

risolvere problemi collettivi (ad esempio, l’inquinamento o la mancanza di alloggi),

la pianificazione linguistica mira a risolvere “problemi linguistici” tramite degli

interventi deliberati, espliciti o impliciti, portati avanti dalle autorità pubbliche in

vista di modificare in una certa direzione un determinato ambiente linguistico per

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, invece,
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presunta

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quanto riguarda il corpus, lo status e l’acquisizione di una lingua2.

È necessario precisare che la definizione di cosa sia un “problema linguistico”,

ad esempio, modernizzare il lessico di una lingua, rivitalizzare un idioma tramite un

intervento sul suo status, oppure insegnare una lingua straniera nelle scuole per fa-

vorire il commercio internazionale, non è una questione tecnica; essa invece è (o

dovrebbe essere) oggetto di un dibattito pubblico aperto. La valutazione delle poli-

tiche quindi non intende sostituirsi al dibattito pubblico e politico, ma a contribuire

al dibattito stesso tramite un giudizio ponderato sugli effetti e i costi delle misure di

pianificazione linguistica (Grin, 2003). Nella prossima sezione, vedremo breve-

mente in che modo l’analisi delle politiche pubbliche può fornire un’intelaiatura

teorica e metodologica coerente per la valutazione delle politiche linguistiche.

2.2 Valutare una politica linguistica: fasi, criteri e indicatori

La valutazione di una politica linguistica è un processo complesso che si com-

pone di diverse fasi. Non è qui possibile presentare nel dettaglio tutti i passaggi lo-

gici che la caratterizzano3; ci limiteremo ad illustrare attraverso la Figura 1 un breve

schema che riassume i principali passaggi.

Figura 1: Il ciclo di vita di una politica linguistica

2 Definizione adattata da Grin (2003) e Dell’Aquila e Iannàccaro (2004).

3 Rimando a Grin, Gazzola (2013) e Gazzola (2014) per una discussione più dettagliata.

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Grin e

VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 71

La vita di una politica pubblica è spesso rappresentata come un ciclo il cui punto

di partenza è un determinato contesto. Nel caso di una politica linguistica si tratta so-

litamente di un ambiente caratterizzato da un certo grado di diversità linguistica

all’interno del quale emerge un determinato “problema linguistico”, ad esempio,

rivitalizzare una lingua minoritaria che ha subito una progressiva erosione da parte di

una lingua maggioritaria, o scegliere/modificare un regime linguistico di un’organiz-

zazione internazionale in cui persone di lingue diverse devono lavorare insieme.

La valutazione interviene in due fasi nel ciclo di una politica. In primo luogo,

essa serve a confrontare le opzioni alternative di politica linguistica e a dare un soste-

gno informativo alla scelta. Si parla a questo proposito di valutazione ex ante. Nella

valutazione ex ante le opzioni alternative sono confrontare sulla base degli obiettivi

prefissati, delle risorse disponibili (o “input”), e delle realizzazioni (o “output”) e dei

risultati (o “outcome”) attesi. Qualche definizione è a questo punto di rigore.

Per risorse si intende l’insieme dei mezzi finanziari, umani, materiali, organiz-

zativi e regolativi mobilizzati per realizzare una politica linguistica. Le realizzazioni

di una politica sono ciò che è ottenuto o realizzato attraverso le risorse investite

nella politica stessa, mentre i risultati sono definiti come gli effetti finali della poli-

tica linguistica sulla popolazione-obiettivo. La distinzione fra realizzazioni e risul-

tati è molto importante, perché la valutazione di una politica si interessa anzitutto a

questi ultimi. Per esempio, gli output di una politica di rivitalizzazione di una lingua

minoritaria portata avanti tramite dei corsi di lingua facoltativi per adulti sono (i) il

numero di corsi effettuati in un certo periodo e (ii) il numero di partecipanti. Gli

outcome, invece, sono gli effetti finali dei corsi sulla popolazione, cioè (i) il livello

di competenza effettivamente raggiunto dai partecipanti e soprattutto (ii) il tempo di

utilizzo della lingua nella vita sociale (Grin, 2003).

La valutazione ex post si concentra sullo studio degli effetti finali di una poli-

tica. Essa è necessaria per comprendere se gli obiettivi prefissati sono stati effetti-

vamente raggiunti, quali sono stati gli effetti osservati e a quale costo. La valuta-

zione ex post fornisce un prezioso insieme di informazioni che costituiscono un ri-

scontro per il decisore e per il pubblico in generale4.

4 Si noti che alcune politiche linguistiche non sono messe in atto con l’intenzione di avere

una determinata durata. Per esempio, la politica linguistica adottata da un’organizzazione interna-

zionale per gestire la sua comunicazione interna ed esterna (per esempio, la scelta di un certo nu-

mero di lingue ufficiali) non ha necessariamente una fine. Tuttavia, ciò non implica che la politica

non possa essere valutata. È sempre possibile confrontare una politica linguistica con se stessa in

tempi diversi (valutazione diacronica), soprattutto se sono intervenute modifiche o riforme, o con-

frontarla con la politica linguistica di altre organizzazioni (valutazione sincronica).

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72 MICHELE GAZZOLA

La valutazione di una politica non è effettuata di astratto, ma alla luce di una

serie di criteri fondamentali. Fra cui i più importanti citiamo l’efficacia, l’efficienza

(interpretata qui come efficacia rispetto ai costi) e l’equità. L’efficacia è la capacità

di una politica di produrre effetti o risultati coerenti con gli obiettivi prefissati. A

parità di altre condizioni, una politica A è più efficace di una politica B se A garanti-

sce migliori risultati di B. Valutare l’efficienza di una politica pubblica significa

mettere in relazione i costi di una politica con i risultati ottenuti. Tipicamente si cal-

cola il rapporto fra costi e risultati di una politica. Una politica A può quindi essere

più efficace di una politica B, ma non necessariamente più efficiente. Ad esempio,

se l’effetto della politica A è 100 al costo di 100 (rapporto costi-risultati uguale a 1)

e l’effetto della politica B è 90 al costo di 80 (rapporto costi-risultati uguale a 0,89),

in generale B sarà più efficiente di A.Valutare l’efficienza equivale quindi a valutare

gli effetti allocativi di una politica, cioè in che modo le risorse sono state utilizzate

(allocate) per raggiungere determinati risultati.

Veniamo ora all’equità. Nell’analisi delle politiche pubbliche il concetto di

equità non rimanda a un criterio morale, ma all’identificazione e alla stima degli ef-

fetti distributivi di una politica sui gruppi portatori di interessi. In altre parole, si tratta

di capire chi guadagna e chi perde (o chi guadagna di più e chi di meno) se una

determinata politica viene adottata. Nel caso delle politiche linguistiche, i gruppi di

attori portatori di interesse sono generalmente identificati sulla base della lingua

nativa o di educazione primaria. La valutazione dell’equità fornisce al decisore

pubblico un insieme di informazioni utili per capire se gli effetti distributivi di una

certa politica sono “accettabili” per la società, cioè se corrispondono alla sensibilità

prevalente di una comunità o parte di essa. Una politica efficiente può essere respinta

se il decisore ritiene non accettabili gli effetti distributivi che ne deriverebbero.

In ogni esercizio valutativo, i criteri dell’efficacia, dell’efficienza e dell’equità

devono essere operazionalizzati attraverso opportuni indicatori. Un indicatore, in

generale, può essere definito come:

la misura di un obiettivo da raggiungere, un effetto ottenuto, una misura di

qualità o una variabile di contesto. Un indicatore produce informazioni quanti-

ficabili che servono ad aiutare gli attori coinvolti nell'intervento pubblico a

comunicare, negoziare e a prendere decisioni. Nella valutazione, gli indicatori

più importanti sono quelli legati ai criteri di successo degli interventi pubblici.

(Commissione europea, 2008, p. 111 traduzione mia).

Non è questa la sede per illustrare nel dettaglio le modalità di decomposizione e

specificazione di concetti complessi in indicatori misurabili e le proprietà desidera-

bili degli indicatori valutativi (si veda a tal proposito Gazzola, 2014). Basti ricor-

VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 73

dare che la funzione degli indicatori è di indicare semanticamente il concetto che

essi riflettono, fornendo una misura quantitativa di supporto alle decisioni di poli-

tica linguistica. Poiché i criteri di efficacia, efficienza ed equità si declinano in

modo diverso a seconda del contesto di riferimento e della natura della politica lin-

guistica da valutare, è preferibile presentare un caso concreto di applicazione invece

di affrontare la questione in astratto. Sarà questo l’oggetto delle prossime sezioni.

3. IL REGIME LINGUISTICO DELL’OMPI

3.1 Le lingue dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale

Un brevetto industriale è un insieme di diritti di sfruttamento commerciale

esclusivo di un’invenzione. Un brevetto è concesso a un inventore da un’istituzione

competente se l’invenzione è nuova, utile, non banale e brevettabile (nel senso che

si tratta di qualcosa che può essere oggetto di brevetto, per esempio un macchinario,

ma non una teoria scientifica). Il brevetto è interpretabile come una sorta di con-

tratto fra la società e un inventore: lo stato concede ad un inventore un insieme di

diritti esclusivi di sfruttamento commerciale della sua invenzione per un periodo

limitato di tempo (di solito 20 anni), ma in contropartita richiede che la descrizione

dell’invenzione sia pubblicata in modo da diventare una fonte potenziale di nuove

invenzioni (e ciò anche se il brevetto non viene alla fine rilasciato).

Non esiste oggi un’istituzione che rilasci brevetti validi in tutto il mondo, ma

esiste un accordo internazionale per facilitare la richiesta di brevetti nazionali o re-

gionali tramite una singola domanda di brevetto. Si tratta del Trattato di coopera-

zione in materia di brevetti (o Patent Cooperation Treaty – PCT), firmato nel 1970

ed entrato in vigore nel 1978. Oggi 142 paesi aderiscono al trattato. Il PCT è gestito

dall’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI), un’agenzia spe-

cializzata delle Nazioni Unite fondata nel 1967 il cui compito è di elaborare un si-

stema internazionale della proprietà intellettuale che ricompensa la creatività, sti-

mola l’innovazione e contribuisce allo sviluppo economico5. L’OMPI si occupa di

diversi aspetti della proprietà intellettuale, dal diritto d’autore alla proprietà indu-

striale; quest’ultima comprende, oltre ai brevetti, anche altre forme di protezione

della proprietà intellettuale come i marchi e i disegni industriali. In questa sezione ci

soffermeremo solo sui brevetti.

Non è qui possibile presentare le complesse procedure che regolamentano il

PCT6; basti dire che il sistema PCT permette di richiedere la protezione per

5 Fonte: www.wipo.int.

6 Si veda Abbott et al. (2007).

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un’invenzione in molti paesi simultaneamente sulla base di una sola domanda, detta

domanda internazionale di brevetto. La domanda è inizialmente depositata da una

persona fisica o giuridica presso un ufficio competente (nel caso italiano si tratta

dell’Ufficio italiano marchi e brevetti o dell’Ufficio europeo dei brevetti). Dopo

alcuni accertamenti formali e sostanziali che possono durare diversi mesi la do-

manda è trasferita all’OMPI che la pubblica. A partire da quel momento, il conte-

nuto dell’invenzione diventa accessibile a chiunque. Se la domanda non è stata riti-

rata, e dopo un certo numero di ulteriori procedure, il depositante entra nella cosid-

detta “fase nazionale” al più tardi dodici mesi dopo la pubblicazione. In pratica, ciò

significa che la domanda internazionale di brevetto viene depositata negli uffici

preposti degli stati scelti dal depositante, i quali provvederanno a esaminare la do-

manda e, in caso di buon esito dell’esame stesso, a rilasciare un brevetto valido nel

territorio di loro competenza.

Il sistema PCT prevede dieci lingue ufficiali dette lingue di pubblicazione, cioè

le lingue in cui l’OMPI ammette la pubblicazione delle domande internazionali di

brevetto. All’entrata in vigore del trattato nel 1978, il regime linguistico del PCT

comprendeva cinque lingue di pubblicazione, cioè il francese, il giapponese, l’inglese,

il russo e il tedesco, a cui sono stati aggiunti in seguito lo spagnolo (1985), il cinese

(1994), l’arabo (2006), il coreano e il portoghese (2008). Dal 1998 è possibile

depositare una domanda internazionale di brevetto anche in altre lingue, a patto di

fornire entro un mese una traduzione in una delle lingue di pubblicazione (le spese di

traduzione sono a carico del depositante). La Figura 2 illustra l’evoluzione

dell’utilizzo delle maggiori lingue di pubblicazione nella fase di deposito dal 1978 al

20107. Sono escluse le domande depositate ma ritirate prima della pubblicazione.

L’inglese è la lingua più utilizzata nelle domande internazionali di brevetto nella

fase di deposito, grazie soprattutto all’attività innovativa delle imprese americane,

seguita a distanza dal giapponese e dal tedesco. Nel corso degli ultimi quindici anni,

tuttavia, si è avuta una progressiva erosione della percentuale di domande internazio-

nali di brevetto depositate in inglese (56,1% nel 2010), che si spiega in parte come

l’effetto della riforma del 1998 (vedi sopra), e in parte con il forte incremento per-

centuale di domande depositate in giapponese, cinese e coreano. Il dinamismo delle

economie asiatiche ha avuto logicamente un effetto sull’uso delle lingue nel sistema

PCT. Negli ultimi anni, la percentuale di domande internazionali depositate in cinese

e coreano ha superato la percentuale di domande depositate in francese (la percentuale

nel 2010 si attesta al 5% per il cinese, 3,7% per il coreano e 3,6% per il francese).

7 Le cifre citate in questa sezione e nella prossima sono state estratte direttamente dall’autore

da una base dati gentilmente fornita dall’OMPI (che ringrazio). Alcuni dati sono ripresi da Gazzola

(2014).

VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 75

Figura 2: Utilizzo delle principali lingue di pubblicazione nella fase di deposito (1979-2010)

– Fonte: Base dati statistica dell’OMPI e Gazzola (2014).

Le altre lingue di pubblicazione giocano un ruolo abbastanza marginale. Dopo

il crollo dell’Unione sovietica il russo ha perso gradualmente di importanza stati-

stica; solo il 0,4% del totale di domande internazionali di brevetto nel 2010 è stato

depositato in questa lingua, contro il 3,8% del 1981 o il 1,8% del 1989. Il porto-

ghese e lo spagnolo sono ancora poco utilizzati (nel 2010, 0,1% e 1% rispettiva-

mente). L’arabo non è stato mai utilizzato. Fra le lingue non di pubblicazione, le più

utilizzate sono l’italiano (0,9% nel 2010), l’olandese (0,3%) e lo svedese (0,2%). Ci

sono quindi delle lingue di pubblicazione che sono utilizzate meno sovente di al-

cune lingue non di pubblicazione. Per il caso italiano, è interessante notare che dopo

la riforma del 1998 la percentuale di domande internazionali di brevetto depositate

in inglese da imprese italiane è progressivamente scesa dal 98,2% nel 1998 al

49,6% del 2010. Le domande depositate in una lingua che non è una delle lingue di

pubblicazione del PCT sono solitamente tradotte in inglese (Gazzola, 2014).

3.2 Valutazione del regime linguistico dell’OMPI: il caso del coreano

La riforma del 2008, che ha aggiunto le lingue coreana e portoghese alle otto

precedenti lingue di pubblicazione del PCT, offre la possibilità di effettuare una

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valutazione comparativa ex post del regime linguistico del PCT. Quali sono stati gli

effetti allocativi e distributivi della riforma? Il regime linguistico del PCT è diven-

tato più efficace ed efficiente di prima? Quali sono stati gli effetti della riforma

sull’equità? In questa sezione ci concentreremo sul caso della lingua coreana.

L’esiguo numero di domande internazionali di brevetto depositate in portoghese

rende infatti meno solidi i risultati della valutazione per questa lingua.

Prima di fornire stime empiriche è necessario adattare i criteri generali

dell’efficacia, efficienza ed equità al caso della valutazione dei regimi linguistici

delle organizzazioni internazionali come l’OMPI. Ricordiamo che un regime lin-

guistico è un particolare tipo di politica linguistica volta a gestire la comunicazione

multilingue in un contesto sovranazionale. Seguendo l’approccio sviluppato da

Gazzola e Grin (2013), definiamo un regime linguistico come efficace se esso

contribuisce al raggiungimento degli obiettivi perseguiti da una certa istituzione od

organizzazione. Nel caso dell’OMPI dobbiamo quindi valutare qual è il contributo

del regime linguistico del PCT al perseguimento degli obiettivi statutari dell’orga-

nizzazione, cioè la diffusione della conoscenza e la promozione di nuove

invenzioni. Per misurare l’efficacia di un regime linguistico, o meglio, per compa-

rare l’efficacia di regimi linguistici alternativi, dobbiamo avvalerci di alcuni indi-

catori di risultato8. Senza entrare nel dettaglio

9, basti citare alcuni esempi.

˗ Il “numero di nuove domande internazionali di brevetto depositate per

anno in una determinata lingua che fanno riferimento ad altre domande

tradotte e pubblicate nella stessa lingua”. Citare una domanda interna-

zionale di brevetto già pubblicata in una nuova domanda è un modo per

accertare che un’invenzione ha influenzato la creazione di una nuova

invenzione. Poter accedere nella propria lingua alle domande di brevetto

già pubblicate (si tratti di domande redatte in tale lingua o tradotte)

accresce le possibilità di utilizzare la descrizione dell’invenzione per

sviluppare nuove idee.

˗ Il “numero di nuove domande internazionali di brevetto pubblicate per

anno”. Si tratta di un indicatore piuttosto impreciso perché è difficile

8 Meno rilevanti per l’analisi qui svolta sono gli indicatori che misurano le realizzazioni di un

regime linguistico (si veda la sezione 2.2 qui sopra per le definizioni). Un esempio di indicatore di

realizzazione di un regime linguistico è il “numero di domande internazionali redatte in lingua X

che sono tradotte in lingua Y”. Gli indicatori di realizzazione riflettono i prodotti diretti di un re-

gime linguistico, tipicamente documenti tradotti o numero di ore di interpretariato. 9 Per una trattazione più approfondita degli indicatori di risultato, rimando a Gazzola (2014).

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in una certa lingua

VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 77

isolare l’effetto della politica linguistica dai vari fattori che influiscono sul

numero di domande pubblicate, ma ha il vantaggio di essere relativamente

semplice da stimare. Il fatto di poter depositare delle domande internazio-

nali di brevetto nella propria lingua senza dover far fronte a delle spese di

traduzioni preliminari costituisce di fatto una riduzione del costo di

accesso alla protezione intellettuale che può avere un effetto positivo sul

numero medio di domande depositate.

È ovviamente possibile sviluppare molti altri indicatori di efficacia. Il reale

problema, tuttavia, è trovare dei dati adeguati per nutrire tali indicatori. Purtroppo

nella maggior parte dei casi questi dati non esistono o non possono essere derivati

dalle statistiche ufficiali. Per effettuare una valutazione completa sarebbe quindi

necessario effettuare delle indagini mirate per ottenere dei dati ad hoc. Baseremo

quindi la nostra analisi su delle inevitabili approssimazioni statistiche. In mancanza

di dati più precisi, utilizzeremo come indicatore di efficacia del regime linguistico

del PCT il numero di domande internazionali pubblicate all’anno e in particolare il

numero di le domande pubblicate in coreano.

Dal 2009 al 2010, sono state pubblicate 10.225 domande internazionali di bre-

vetto la cui lingua di deposito era il coreano (essenzialmente imprese con sede nella

Corea del sud). Grazie al fatto che dal 2008 il coreano è una lingua di pubblicazione

del PCT, molte imprese coreane hanno potuto risparmiare sulle spese di traduzione

dal coreano verso un’altra lingua di pubblicazione (solitamente l’inglese e in misura

minore il giapponese). Un risparmio sulle spese di traduzione al momento del depo-

sito di una domanda equivale di fatto a una diminuzione del costo di accesso alla

protezione della proprietà intellettuale attraverso il sistema PCT rispetto a sistemi

alternativi di protezione (esempio, una protezione nazionale)10

. A parità di altre

condizioni, una diminuzione di costo di accesso si traduce in generale in un au-

mento della domanda di brevetti (Van Pottelsberghe, Mejer, 2010; Danguy, e Van

Pottelsberghe, 2011). Questi studi mostrano che, in media, una riduzione dell’1%

del costo di accesso alla proprietà industriale (per esempio tramite una diminuzione

degli emolumenti pagati all’ufficio dei brevetti) genera un incremento della do-

manda di brevetti (cioè del numero di domande di brevetto depositate) compreso fra

lo 0,3% e lo 0,4%. Si parla a tal proposito di “elasticità della domanda al prezzo”.

Come mostrato altrove (Gazzola, 2014), i costi medi di traduzione di una domanda

di brevetto sono circa euro 1.700 per un brevetto di una lunghezza media di 20 pa-

gine. Abolire i requisiti di traduzione in fase di deposito internazionale equivale di

10

Questo argomento è stato utilizzato dalla Corea del sud per giustificare la sua richiesta di

includere il coreano fra le lingue di pubblicazione del PCT (WIPO 2007).

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Sud
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autori
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OMPI
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statistiche
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si tratta di domande depositate da aziende
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,
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ad

78 MICHELE GAZZOLA

fatto a una riduzione dei costi di un accesso alla protezione della proprietà indu-

striale. Nel caso di un’impresa stabilita in Corea del Sud che sceglie il coreano

come lingua di deposito di una domanda internazionale di brevetto, i costi di tradu-

zione prima del 2008 incidevano per il 54% circa del totale dei costi di accesso al

sistema PcT. Di conseguenza, possiamo aspettarci che una diminuzione del 54% dei

costi di accesso generi, alla fine del periodo di aggiustamento (tipicamente un paio

d’anni), un aumento delle domande internazionali di brevetto depositate in coreano

compreso fra il 16,2% e il 21,6% rispetto al numero medio di domande internazio-

nali di brevetto depositate in questa lingua negli anni immediatamente precedenti

alla riforma. Non sappiamo quante domande internazionali di brevetto pubblicate

fra il 2009 e il 2010 da depositanti di lingua coreana non sarebbero state depositate

se il coreano non fosse stato una lingua di pubblicazione, ma sulla base di quanto

appena detto sull’elasticità al prezzo è molto plausibile ritenere che l’effetto della

riforma del 2008 sia stato positivo, e che quindi l’efficacia del regime linguistico sia

aumentata11

.

Valutare l’effetto della riforma del 2008 sull’efficienza del regime linguistico è

più complesso. Dobbiamo mettere a confronto il rapporto fra i costi del regime lin-

guistico PCT prima e dopo il 2008 con il nostro indicatore di efficacia (il numero

annuo di domande pubblicate la cui lingua di deposito era il coreano). I costi

direttamente imputabili a un regime linguistico sono composti da due parti:

˗ i costi primari, composti a loro volta dai costi diretti dei servizi linguistici

di traduzione e interpretariato e dai costi indiretti dei servizi linguistici,

cioè una quota di costi generali amministrativi (per esempio, una quota

dei costi di gestione degli immobili dove lavorano i funzionari dell’or-

ganizzazione analizzata, fra cui appunto traduttori e interpreti);

˗ i costi secondari, vale a dire i costi dovuti a ritardi, incomprensioni ed

errori che spesso accompagnano la comunicazione multilingue, per

esempio, errori di traduzione o errori dovuti a una non perfetta padro-

nanza delle lingue ufficiali di un’organizzazione da parte dei locutori non

nativi. A causa della mancanza di dati affidabili, è spesso molto difficile

stimare quantitativamente i costi secondari. In questo capitolo ci

limiteremo quindi ai costi primari.

11

Per contro, è ragionevole ritenere che l’aggiunta del coreano non abbia influito

significativamente sul numero di domande internazionali di brevetto depositate da inventori non

coreanofoni, se non tramite un possibile aumento dei costi informativi per gli inventori anglofoni

(si veda sotto).

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PCT (Gazzola 2014)
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, cioè

VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 79

Il regime linguistico del PCT prevede che tutti i titoli e i riassunti delle do-

mande internazionali di brevetto siano tradotti in inglese e francese prima della

pubblicazione a spese dell’OMPI. Prima del 2008, i depositanti di domande inter-

nazionali di brevetto di lingua coreana dovevano scegliere una lingua di pubblica-

zione fra le otto ufficiali. Solitamente sceglievano l’inglese. All’OMPI non restava

che tradurre il titolo e il riassunto in francese. Con l’aggiunta del coreano fra le lin-

gue di pubblicazione è stato necessario tradurre titoli e riassunti delle domande in

coreano anche in inglese. Aggiungere la lingua coreana alle otto precedenti lingue

di pubblicazioni ha comportato un aumento dei costi primari del regime linguistico

del PCT di € 1,15 milioni fra il 2009 e il 2010 (Gazzola, 2014).

Sfortunatamente non esistono dati sufficientemente dettagliati per effettuare una

valutazione comparata dell’efficienza del regime linguistico del PCT prima e dopo il

2008. Avremmo bisogno, oltre che ai dati sui costi, di separare l’effetto della riforma

sul numero di domande pubblicate da altri fattori esplicativi della crescita di domande

in coreano, come la produttività degli inventori coreani o le risorse investite in ricerca

e sviluppo dalle imprese coreane. Sulla base dei dati esistenti, però, possiamo valutare

a quali condizioni l’efficienza del regime linguistico del PCT è aumentata.

Ipotizziamo che tra il 2009 e il 2010 l’effetto dell’inclusione del coreano fra le

lingue di pubblicazione del PCT sia stato un aumento totale delle domande deposi-

tate da inventori di lingua coreana pari al 13,22% delle domande internazionali di

brevetto pubblicate nei due anni precedenti all’entrata in vigore della riforma del

regime linguistico (cioè dal 2007 al 2008) la cui lingua di deposito era il coreano (si

ricorda che era possibile depositare in coreano dal 1998, ma solo dopo il 2008 non è

più necessario fornire una traduzione della domanda). Dal 2007 al 2008 sono state

pubblicate 7.958 domande internazionali di brevetto la cui lingua di deposito era il

coreano. Un aumento del 13,22% rispetto al totale di queste domande equivale a

1.052 domande internazionali di brevetto. Un aumento del 13,22% è quindi compa-

tibile con quanto dalle simulazioni fondate sui coefficenti dell’elasticità della do-

manda di brevetti al prezzo (cioè al costo di accesso). Queste stime, ricordiamo,

prevedevano un aumento fra il 16,2% e il 21,6% (vedi sopra). Teniamo per il mo-

mento a mente il numero 1.052.

Ora, il regolamento del PCT dispone che i depositanti debbano pagare alcuni

emolumenti all’OMPI all’atto di presentazione di una domanda internazionale di

brevetto. L’emolumento medio per domanda è di euro 1.093. Se effettivamente la

riforma del regime linguistico ha generato 1.052 nuove domande internazionali di

brevetto pubblicate fra il 2009 e il 2010 la cui lingua di deposito era il coreano,

allora l’OMPI ha ottenuto grazie a ciò un extra gettito pari a 1,15 milioni di euro

(euro 1.093-1,052 domande). Poiché 1,15 milioni di euro compensano esattamente

l’incremento di costi primari del regime linguistico, possiamo affermare che, se la

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stabilisce
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cambiare con : 1.093 X 1.052 si tratta di una moltiplicazione non di una sottrazione

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nostra ipotesi è vera, allora l’efficienza del regime linguistico del PCT è aumentata:

a parità di costi il numero di domande pubblicate è cresciuto.

Concludiamo questa sezione con una valutazione dell’equità del cambiamento

di regime linguistico del PCT. Un primo effetto distributivo è la riduzione delle

spese di traduzione per i depositanti di lingua coreana. Fra il 2009 e il 2010 sono

state pubblicate in coreano 6.834 domande internazionali di brevetto. Questo nu-

mero è inferiore al numero di domande pubblicate fra il 2009 e il 2010 che erano

state depositate in coreano (10.225). Come illustrato nella precedente sezione, il de-

posito di una domanda internazionale di brevetto avviene diversi mesi prima della

pubblicazione. È probabile che alcune domande depositate in coreano ma pubbli-

cate in un’altra lingua (solitamente l’inglese) fra il 2009 e il 2010 fossero state de-

positate prima dell’entrata in vigore della riforma. Ad ogni modo, se il coreano non

fosse stato una lingua di pubblicazione i depositanti si sarebbero dovuti accollare le

spese di traduzione verso un’altra lingua di pubblicazione. Dato che il costo medio

di traduzione per una domanda di brevetto è di circa euro 1.700 (vedi sopra), il ri-

sparmio per i depositanti di lingua coreana può quindi essere stimato a 11,6 milioni

di euro sui due anni (euro 1.093-6.834 domande). Ricordiamo che l’aumento dei

costi primari del regime linguistico del PCT dopo il 2008 è stato molto più basso

(1,15 milioni di euro). Inoltre, l’inclusione del coreano fra le lingue di pubblica-

zione del PCT ha permesso di ridurre il fabbisogno di traduzione delle imprese di

lingua coreana nell’interazione con l’OMPI in diverse procedure amministrative. La

riforma ovviamente non ha avuto alcun effetto sui costi di traduzione di accesso alle

procedure PCT per depositanti di altre lingue.

Un ulteriore effetto distributivo però si è avuto a livello dei “costi informativi”,

vale a dire costi di diversa natura che sorgono nel momento in cui si deve accedere

a delle informazioni disponibili in una lingua che non si padroneggia. Può trattarsi

di costi di traduzione, ma anche di costi solo parzialmente quantificabili come la

perdita di tempo, la fatica e l’insicurezza nella lettura. L’introduzione del coreano

fra le lingue di pubblicazione ha certamente ridotto i costi informativi per i deposi-

tanti di lingua coreana, poiché per costoro è diventato più facile e meno costoso ac-

cedere alla descrizione delle invenzioni pubblicate in coreano. Inoltre, la maggiore

accessibilità delle informazioni tecniche contenute nelle domande internazionali di

brevetto pubblicate in coreano potrebbe aver avuto un effetto positivo sulla produ-

zione di invenzioni da parte degli inventori che padroneggiano la lingua coreana

(ricordiamo che i brevetti esistenti e le domande pubblicate sono la principale fonte

di letteratura specialistica su cui lavorano gli inventori). Un effetto opposto invece

potrebbe aver avuto luogo per gli altri inventori, e in particolare per gli inventori

anglofoni. Ricordiamo che prima del 2008 le domande depositate in coreano veni-

vano di solito tradotte in inglese ai fini della pubblicazione. Oggi invece solo il ti-

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Si tratta di una moltiplicazione, quindi cambiare con: 1.093 X 6.834

VALUTARE UNA POLITICA LINGUISTICA 81

tolo e il riassunto delle domande internazionali di brevetto pubblicate in coreano

sono tradotti in inglese.

In assenza di dati precisi, è difficile stimare se la diminuzione di costi infor-

mativi per gli inventori di lingua coreana ha compensato l’aumento di costi infor-

mativi per gli inventori anglofoni. Possiamo tuttavia utilizzare un indicatore com-

posto per stimare degli ordini di grandezza con un’approssimazione statistica. Defi-

niamo l’indicatore IR (o “indice di rappresentazione”) come il rapporto fra la

percentuale di domande internazionali di brevetto pubblicate in lingua X per anno e

la percentuale di domande pubblicate per anno che sono state depositate da deposi-

tanti residenti in un paese dove la lingua X è lingua ufficiale. Se l’indice IR è supe-

riore a 1 significa che una lingua è “sovrarappresentata”, cioè che essa è usata in

modo più che proporzionale alla percentuale di domande internazionali di brevetto

già pubblicate che sono state depositate da inventori di lingua X. Ciò implica un

vantaggio in termini di costi informativi, poiché gli inventori di lingua madre X

possono accedere ogni a un deposito di informazione tecnica superiore a quanto ge-

nerato ogni anno dai depositanti residenti in un paese di lingua ufficiale X. Un in-

dice inferiore a 1 invece denota una sottorappresentazione di una lingua.

Dal 2008 al 2010 l’indice IR per le imprese e gli inventori di lingua coreana è

passato da 0 a 0,7, mentre quello per i depositanti di lingua inglese è rimasto so-

stanzialmente invariato a 1,6 in buona parte però grazie a fattori esogeni. Possiamo

concludere che l’aggiunta del coreano fra le lingue di pubblicazione del PCT nel

complesso ha ridotto i costi informativi per gli inventori di lingua coreana. I costi

informativi sostenuti dalle imprese e dagli inventori residenti in paesi anglofoni

sono probabilmente aumentati, ma tale aumento o non è stato significativo o è stato

compensato da fattori esogeni, tipicamente un maggior utilizzo dell’inglese da parte

di depositanti provenienti da altri paesi non anglofoni (si veda Gazzola 2014 per la

discussione più approfondita). In generale possiamo concludere che la riforma del

2008 ha contribuito a ridurre diverse disparità di costo esistenti prima del 2008 fra

depositanti di lingua coreana e depositanti di lingua inglese.

4. CONCLUSIONI

La valutazione delle politiche linguistiche è una specializzazione dell’eco-

nomia linguistica che analizza la pianificazione linguistica come una particolare

forma di politica pubblica. Ciò permette di applicare, adattandoli, teorie e metodi di

valutazione utilizzati nell’analisi delle politiche pubbliche (policy analysis) alle mi-

sure di pianificazione linguistica. In questo capitolo, abbiamo illustrato le finalità e

le principali fasi della valutazione delle politiche linguistiche, e abbiamo presentato

e discusso i criteri fondamentali su cui una valutazione si fonda, vale a dire

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un ambito di ricerca all'interno
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nei

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l’efficacia, l’efficienza e l’equità. La valutazione delle politiche linguistiche è nata

di fatto con la pianificazione linguistica negli anni ’60, ma per quasi tre decenni,

con alcune eccezioni, non è stata oggetto di ricerche empiriche e teoriche di ampio

respiro. La situazione però ha iniziato a cambiare negli anni ’90, ed è oggi più

chiaro come la valutazione può contribuire alla ricerca nella pianificazione

linguistica. Essa fornisce strumenti che integrano e completano gli approcci

esistenti, e offre un quadro analitico coerente per l’utilizzo degli indicatori

linguistici valutativi, cioè gli indicatori utilizzati per valutare una politica lin-

guistica12

. Lo sviluppo di tali indicatori è un promettente terreno di ricerca

interdisciplinare nel quale la sociolinguistica riveste ovviamente un ruolo centrale.

Il caso del regime linguistico del PCT gestito dall’OMPI, discusso nella se-

conda parte di questo capitolo, fornisce un esempio di come strutturare la valuta-

zione di una politica linguistica in pratica. Abbiamo visto che un’attenta valutazione

degli effetti allocativi e distributivi di una politica permette di sfatare alcuni luoghi

comuni, ad esempio, che la soluzione più efficiente nel gestire la comunicazione

multilingue consiste sempre nell’utilizzare un’unica lingua, o che il multilinguismo

è più costoso del monolinguismo. Osservando le cose da più vicino, si scopre che la

realtà è più complessa e che un regime linguistico più multilingue, come quello

dell’OMPI dopo la riforma del 2008, può dunque essere allo stesso tempo più

efficiente di un regime meno multilingue, e può portare a una distribuzione meglio

ripartita dei costi legati alla protezione della proprietà intellettuale.

Ringraziamenti: l’autore desidera ringraziare il progetto integrato europeo

DYLAN (“Dinamiche linguistiche e gestione della diversità”) e il Fondo nazionale

svizzero per la ricerca scientifica (progetto PBGEP1-136158 e PBGEP1-145655)

per il loro sostegno finanziario.

12

Rimando a tal proposito a Grin, Gazzola (2013) e a Gazzola (2014), e in particolare agli

indicatori linguistici elaborati da questi autori nel quadro del progetto DYLAN (“Dinamiche

linguistiche e gestione della diversità”): http://bit.ly/1kezgTw.>

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