Valutare la cultura?

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1 Franco Lai & Rosa Maria Meloni 1 (Università di Sassari) Valutare la cultura? Ulf Hannerz (Hannerz, 2001, p. 113), noto antropologo svedese, ha sostenuto che «oggi il mercato sta sia mercificando più cultura sia rendendo le merci più culturali». Si tratta, secondo numerosi scienziati sociali di un tratto centrale dell’economia globale contemporanea. Forse non ne siamo del tutto consapevoli quando “consumiamo” prodotti culturali; forse non ne siamo del tutto consapevoli anche quando consumiamo prodotti fortemente caratterizzati dal punto di vista della loro specifica origine culturale e territoriale. Nella ricerca antropologica degli ultimi anni un settore molto importante degli studi riguarda l’analisi delle politiche del patrimonio culturale portate avanti da Stati e da organizzazioni internazionali come l’UNESCO. Il dibattito è in corso ma è possibile distinguere da tempo alcune posizioni critiche (vedere, tra gli altri, Palumbo, 2003). Come pure sono critiche le posizioni di numerosi studiosi di area anglosassone riguardo alle politiche di valutazione della cultura, in particolare in campo universitario (vedere, tra gli altri, Shore, Wright, 1999). Tuttavia, vogliamo stare al gioco e parlare del problema della valutazione della cultura. Non proponiamo un metodo e neppure soluzioni. Intendiamo semplicemente mostrare, in sintesi, alcuni aspetti del problema ma anche un caso di ricerca empirica, il Festival Time in Jazz di Berchidda (Olbia-Tempio). Negli ultimi anni si è aperto in Italia un dibattito sul ruolo della cultura nello sviluppo economico. Il quotidiano economico “Il Sole 24 Ore” è stato in prima fila, con numerosi interventi e analisi. Altri interventi sono stati condotti in campo editoriale con volumi quali La cultura si mangia! di Bruno Arpaia e Pietro Greco (2013). Federculture (la Federazione delle Aziende e degli Enti di gestione di cultura, turismo, sport e tempo libero) pubblica ogni anno un rapporto sullo stato dell’economia della cultura in Italia con analisi approfondite corredate di dati sia nazionali che regionali. Tutti questi contributi mostrano che in Italia i settori in cui si produce cultura e spettacolo rappresentano un settore importante e, forse, poco conosciuto dell’economia. Inoltre, nei paesi industriali è notoriamente in crescita il settore del turismo di tipo culturale, ambientale ecc. Tutti elementi che inducono a pensare che in Italia, come nel resto del mondo industriale, con la cultura non solo si mangia ma anche si beve, e si beve parecchio. Questo se pensiamo anche ai beni dei settori dell’agroalimentare e dell’artigianato che in vario modo possono 1 Franco Lai è Professore associato di Antropologia sociale presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali dell’Università di Sassari; Rosa Maria Meloni è Dottore di Ricerca in Scienze Sociali della stessa Università.

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Franco Lai & Rosa Maria Meloni1 (Università di Sassari) Valutare la cultura? Ulf Hannerz (Hannerz, 2001, p. 113), noto antropologo svedese, ha sostenuto che «oggi

il mercato sta sia mercificando più cultura sia rendendo le merci più culturali». Si tratta, secondo numerosi scienziati sociali di un tratto centrale dell’economia globale contemporanea. Forse non ne siamo del tutto consapevoli quando “consumiamo” prodotti culturali; forse non ne siamo del tutto consapevoli anche quando consumiamo prodotti fortemente caratterizzati dal punto di vista della loro specifica origine culturale e territoriale.

Nella ricerca antropologica degli ultimi anni un settore molto importante degli studi riguarda l’analisi delle politiche del patrimonio culturale portate avanti da Stati e da organizzazioni internazionali come l’UNESCO. Il dibattito è in corso ma è possibile distinguere da tempo alcune posizioni critiche (vedere, tra gli altri, Palumbo, 2003). Come pure sono critiche le posizioni di numerosi studiosi di area anglosassone riguardo alle politiche di valutazione della cultura, in particolare in campo universitario (vedere, tra gli altri, Shore, Wright, 1999).

Tuttavia, vogliamo stare al gioco e parlare del problema della valutazione della cultura. Non proponiamo un metodo e neppure soluzioni. Intendiamo semplicemente mostrare, in sintesi, alcuni aspetti del problema ma anche un caso di ricerca empirica, il Festival Time in Jazz di Berchidda (Olbia-Tempio).

Negli ultimi anni si è aperto in Italia un dibattito sul ruolo della cultura nello sviluppo

economico. Il quotidiano economico “Il Sole 24 Ore” è stato in prima fila, con numerosi interventi e analisi. Altri interventi sono stati condotti in campo editoriale con volumi quali La cultura si mangia! di Bruno Arpaia e Pietro Greco (2013). Federculture (la Federazione delle Aziende e degli Enti di gestione di cultura, turismo, sport e tempo libero) pubblica ogni anno un rapporto sullo stato dell’economia della cultura in Italia con analisi approfondite corredate di dati sia nazionali che regionali. Tutti questi contributi mostrano che in Italia i settori in cui si produce cultura e spettacolo rappresentano un settore importante e, forse, poco conosciuto dell’economia. Inoltre, nei paesi industriali è notoriamente in crescita il settore del turismo di tipo culturale, ambientale ecc. Tutti elementi che inducono a pensare che in Italia, come nel resto del mondo industriale, con la cultura non solo si mangia ma anche si beve, e si beve parecchio. Questo se pensiamo anche ai beni dei settori dell’agroalimentare e dell’artigianato che in vario modo possono

                                                                                                               1  Franco  Lai  è  Professore  associato  di  Antropologia  sociale  presso   il  Dipartimento  di  Scienze  Umanistiche  e  Sociali  dell’Università  di  Sassari;  Rosa  Maria  Meloni  è  Dottore  di  Ricerca  in  Scienze  Sociali  della  stessa  Università.  

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essere visti come «oggetti culturali» (vedere i contributi raccolti nel volume di Caoci e Lai, a cura di, 2007).

Considerando che una decisa e visibile tendenza del mercato globale è quella di ricercare prodotti fortemente caratterizzati in senso culturale, forse potrebbe essere utile cercare di definire quali aspetti della cultura, in un senso molto vasto del termine, possono essere centrali in una operazione di valutazione della cultura.

Nel campo del turismo culturale e ambientale l’“autenticità”, “genuinità”, il legame con uno specifico territorio e con una peculiare tradizione sono elementi centrali della richiesta di prodotti di settori quali l’artigianato, l’agroalimentare, ecc. Ma anche il paesaggio, l’architettura e i manufatti cosiddetti “tradizionali”, la ritualità e la cultura popolare sono elementi fortemente ricercati (cfr., tra gli altri, Simonicca, 1997).

Quanto possono contare in termini economici questi elementi della cultura locale? Riteniamo che sia possibile ricostruire la rilevanza economica dei prodotti culturali,

rintracciando quanto conta nella produzione di beni e quanto rappresenta in termini di occupazione, anche cercando di arrivare a delle stime per quanto riguarda l’economia (talvolta sommersa) di settori quali l’artigianato, l’agroalimentare, l’ospitalità e la ristorazione ai diversi livelli (hotel, B & B, agriturismi, ecc.).

Le politiche culturali indirizzate al sostegno degli eventi attraverso il finanziamento pubblico sono state criticate in anni recenti poiché tale sostegno non sempre si è basato sulla qualità delle manifestazioni artistiche e culturali ma sulla loro capacità di produrre un consenso verso le forze politiche che ne garantivano il sostegno. Da questo fatto è nata l’esigenza di individuare criteri di valutazione degli eventi culturali in relazione alla loro qualità e in relazione alla capacità di contribuire allo sviluppo dell’economia locale.

La cultura, il paesaggio, le produzioni locali possono offrire risorse da valorizzare e il processo di promozione della località può porre le basi per creare o rinnovare la coesione sociale. Gli studi sulla cosiddetta “festivalizzazione” mostrano che i festival (musica, letteratura, teatro, cinema, ecc.), pur nella loro limitata collocazione temporale, possono produrre una immagine della località che spesso porta a un senso di coesione sociale e ad una forma di autorappresentazione, diciamo, positiva della comunità locale. E possono anche dare luogo o comunque richiedere professionalità specifiche a vari livelli (organizzazione, marketing, pubblicità, servizi tecnici, trasporti, ecc.), come mostra, ad esempio, Richards (2010). E anche la stessa necessità di lavoro gratuito e volontario produce nel medio-lungo periodo una forma di consenso e coesione sociale.

Un problema che riteniamo sia centrale è quello delle forme di creatività sociale e culturale che la valorizzazione della cultura e del territorio potrebbe far nascere. Creatività che si può esprimere non solo sul piano organizzativo e imprenditoriale ma anche nel produrre e nel proporre progetti di elaborazione culturale tendenti all’innovazione e, appunto, alla creatività.

Questi aspetti, per quanto riguarda la Sardegna, possono essere riscontrati nel Festival Time in Jazz, come emerge dalla ricerca etnografica e qualitativa condotta da Rosa Maria Meloni (2013).

Time in Jazz viene considerato in questo studio come un caso di festivalization. L’associazione culturale Time in Jazz e il musicista Paolo Fresu costituiscono gli attori principali in questo processo insieme al Comune di Berchidda. Essi attivano una rete di relazioni, cercando di aggregare numerose amministrazioni locali, la quale comprende vari

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enti finanziatori, sponsor istituzionali e privati, tra i quali la Regione Sardegna, le Provincie di Sassari e di Olbia-Tempio, la Fondazione Banco di Sardegna, l’UNESCO. Si tratta di un evento culturale il quale, oltre a creare arte e cultura, attrae un flusso turistico in grado di concorrere allo sviluppo locale e di veicolare l’immagine del territorio attraverso la risonanza mediatica dell’evento stesso.

Questa manifestazione è nata nel 1988 a Berchidda, un paese di circa 3.000 abitanti, non distante dalla costa e dalla città di Olbia, caratterizzato da un'economia agro-pastorale e delle produzioni agroalimentari. La rassegna è giunta nel 2014 alla sua XXVIII edizione e gradualmente si è estesa alla vasta area interna che include numerosi comuni dell’entroterra del nord della Sardegna situati tra la provincia di Sassari e quella di Olbia-Tempio.

Il festival è diretto dal musicista berchiddese Paolo Fresu, dura dieci giorni, ed frequentato ogni anno da circa 25.000-30.000 turisti, una parte dei quali soggiorna nelle strutture del territorio. L’organizzazione viene curata dall’Associazione culturale Time in Jazz e si fonda sull’apporto prevalente del volontariato e sul coinvolgimento delle comunità, in particolare quella di Berchidda. Il progetto del festival nel suo complesso è orientato a coinvolgere il territorio e il suo tessuto economico e sociale mettendo in primo piano risorse, luoghi e musica come elementi di richiamo per un turismo di tipo culturale e ambientale (cfr. Simonicca, 2004).

Ogni edizione della rassegna segue un tema comune che funge da filo conduttore del festival. I contenuti di tale tema sono stati nella sua storia i più disparati quali, ad esempio, Sonos e memoria, Il sogno di Orfeo, Aria, Acqua, Terra, Fuoco, Piedi. Intorno a questo tema viene stabilito un dialogo tra i diversi linguaggi dell’arte. Oltre ai concerti, Time in Jazz organizza, infatti, una serie di iniziative artistiche come mostre di pittura contemporanea, di fotografia, di scultura, di installazioni video, laboratori di danza e teatro rivolti anche ai bambini, le quali rientrano nelle attività del PAV (Progetto Arti Visive), diretto dalla critica d'arte Giannella Demuro e da Antonello Fresu. Il PAV cura diverse attività e due sezioni stabili: Sèmida, un museo all'aperto nella Foresta Demaniale Monte Limbara di Berchidda, dove vengono effettuati interventi di arte ambientale e la Collezione di arte contemporanea che documenta l'attività creativa di giovani artisti sardi. La sezione Immagini e cinema, diretta dal regista Gianfranco Cabiddu, organizza una rassegna cinematografica, proponendo anche film etnografici in collaborazione con l'Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna. Le attività del PAV, secondo l'orientamento generale del festival, risultano ancorate al territorio e alle comunità, e promuovono il patrimonio ambientale e paesaggistico, recuperando anche spazi in disuso come ad esempio Casa Sanna o il vecchio caseificio di Berchidda divenuto oggi Centro Laber.

I temi proposti nel festival, insieme ad altre iniziative, rappresentano talvolta lo spunto per sottoporre al pubblico argomenti di forte attualità che implicano contenuti non solo di tipo culturale ma anche umanitario, etico- sociale ed ecologico. A questo scopo nella rassegna sono previste una o due brevi conferenze, che di solito precedono un concerto, tenute da un esperto del settore. Il Time in Jazz intende proporsi anche da questo punto di vista come un luogo di dibattito e di scambio.

Il festival segue una scelta ecologica, sia con diverse misure tese a ridurre l’impatto ambientale della stessa manifestazione attraverso il programma Green Jazz (Musica, arte e sostenibilità al Festival Time in Jazz) sia con forme di sensibilizzazione verso i temi

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ambientali. Time in Jazz propone momenti di incontro anche tra culture musicali diverse dal jazz,

dalla musica improvvisata contemporanea alle musiche popolari di altri paesi del mondo e della Sardegna nell'ottica del rispetto e dell’incontro delle diversità culturali.

Uno spazio stabile negli ultimi anni viene riservato alla Gara di poesia sarda. Il confronto con la tradizione musicale della Sardegna e con la riappropriazione della propria cultura e della propria lingua non viene inteso nel Time in Jazz come una ripetizione tout court della tradizione precedente o addirittura di una sua reinvenzione o folklorizzazione, ma come una mescolanza tra la propria cultura e quella degli altri popoli la quale dà vita a una nuova creazione.

I turisti del festival hanno un alto livello di fidelizzazione alla manifestazione e tendono a ritornarvi; alcuni dichiarano di frequentarlo dalle prime edizioni. Uno degli elementi di maggior attrattiva, secondo l'opinione dei visitatori, è costituito dalla qualità elevata dell'evento culturale nel suo complesso e dalla scelta di privilegiare progetti musicali originali e innovativi. Un altro aspetto riguarda la possibilità di conoscere luoghi altrimenti inaccessibili per un comune turista, luoghi che non rientrano nei circuiti del sistema turistico organizzato e che, dunque, rappresentano alternativa alla Sardegna più conosciuta.

Time in Jazz prevede, infatti ,non solo i concerti serali a pagamento ma una serie di concerti e altri eventi gratuiti sparsi sul territorio che si svolgono al mattino, nel pomeriggio e, talvolta, all’alba o al tramonto (in chiese campestri, altari rupestri, nella foresta demaniale e tra gli impianti eolici, piccole piazze ma anche in treno, in traghetto e in aeroporto). La partecipazione a tali eventi comporta per il pubblico una continua mobilità e dunque la conoscenza di siti che lo sguardo turistico considera suggestivi dal punto di vista paesaggistico, carichi di storia e coinvolgenti.

Il festival si propone di facilitare l’incontro turistico che, in genere, è un «incontro mancato» (Aime, 2005). L’atmosfera di tranquillità, di relax, di convivialità, di festa, unita alla condivisione dei contenuti culturali che sono alla base del festival contribuisce alla costruzione di un senso di appartenenza tra i partecipanti e tra questi e il Time in Jazz. La partecipazione attiva alla manifestazione e l'esperienza diversa da quella che si conduce abitualmente nei festival fa sì che il festival risulti per i visitatori un evento carico di autenticità.

Il turismo del festival è diventato un aspetto rilevante dell’economia del territorio. Nel caso di Berchidda esso ha inciso in profondità oltre che sul tessuto economico e sociale, anche su quello culturale. Così a Berchidda, paese di tradizione bandistica, è nata una seconda orchestra specializzata ne repertorio funky e jazz.

Per il ruolo che il festival e l'associazione Time in Jazz svolgono nella promozione della cultura e del territorio, e «come momento di crescita e riflessione sull'uso sostenibile delle risorse del patrimonio culturale e naturale», Time in Jazz ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra i quali il patrocinio dell'UNESCO nel 2009 e la laurea Honoris Causa in Psicologia dei processi decisionali, e dei comportamenti economici attribuita a Paolo Fresu dall’Università di Milano Bicocca non tanto come artista, ma quanto di promotore culturale e del «benessere culturale e umano attraverso la cultura».

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Riferimenti bibliografici Aime, M., 2005, L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini, Bollati Arpaia, B., Greco, P., 2013, La cultura si mangia!, Guanda, Parma. Boringhieri, Torino. Caoci, A., Lai, F., a cura di, 2007, Gli “oggetti culturali”. L’artigianato tra estetica,

antropologia e sviluppo locale, Franco Angeli Editore, Milano Hannerz, U., 2001, La diversità culturale, il Mulino, Bologna (ed. orig. 1996). Meloni, R.M., 2013, Turismo e politiche di produzione della località. Il Festival Time in

Jazz di Berchidda (Olbia-Tempio), tesi di dottorato, tutor Prof. Franco Lai, Co-tutor Prof. Alessandro Simonicca, Scuola di Dottorato in Scienze Sociali, XXVI ciclo, Università di Sassari

Palumbo, B., 2003, L’UNESCO e il campanile. Antropologia, politica e beni culturali in Sicilia orientale, Meltemi, Roma.

Richards, G., 2010, The Festivalization of Society or the Socialization of Festivals? The Case of Catalunya, in G. Richards, ed., Cultural Tourism. Global and Local Perspectives, Routledge, London, 2010, pp. 257-280.

Shore, C., Wright, S., 1999, Audit Culture and Anthropology: New Liberalism in British Higher Education, in «The Journal of Royal Anthropological Institute», Vol. 5, No. 4, pp. 557-575.

Simonicca, A., 1997, Antropologia del turismo, Carocci, Roma. Simonicca, A., 2004, Turismo e società complesse. Saggi antropologici, Meltemi,

Roma.