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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 51 V.2 Portate di piena In questo capitolo viene affrontato il problema delle valutazioni idrologiche rilevanti il PGUAP. Nel testo che segue sono indicate sia le procedure tradizionalmente impiegate nell’ambito Provinciale per tali determinazioni, sia le linee guida per il loro progressivo adattamento, e dunque delle prescrizioni rilevanti il Piano, allo sviluppo delle conoscenze in questo ambito. Una avvertenza: alcune ripetizioni nel testo del piano sono spiegabili con la necessità di compendiare in modo organico le diverse impostazioni, che riflettono diversi utenti e diverse competenze interne all’amministrazione. V.2.1 Precipitazioni intense del Trentino In questo paragrafo vengono presentati i criteri e gli studi riguardanti la determinazione delle portate di piena utilizzati e seguiti in Trentino prima della stesura del presente Piano Generale di Utilizzazione delle Acque Pubbliche. Per quanto riguarda l’analisi dei regimi pluviometrici in Provincia di Trento, sono riportati nel testo del Piano alcuni studi (e le relative procedure rilevanti il Piano) relativi alla caratterizzazione idrologica delle piogge puntuali del Trentino, in particolare delle linee segnalatrici di possibilità pluviometrica, identificate sulla base di una larga messe di dati provinciali per zone omogenee. Sono anche discusse le linee guida relative alla procedure che tengono in conto del ruolo della variabilità spazio-temporale delle precipitazioni intense del Trentino con specifico riferimento alla appicazione di modelli della risposta idrologica. Alcune osservazioni preliminari sono opportune. Il Piano Generale di Utilizzazione delle Acque Pubbliche del 1986 prevedeva, per la progettazione delle opere di sistemazione idraulica, una portata di riferimento con tempo di ritorno Tr pari a 100 anni (si definisce, ovviamente, con tempo di ritorno il numero medio di anni necessari per osservare un valore maggiore o eguale di portata massima annuale). Tale portata di deduceva da precipitazioni critiche per il bacino idrografico (chiuso alla sezione interessata alle opere) di pari tempo di ritorno con modelli razionali, e schematici, della risposta idrologica. Nota la portata, il calcolo idraulico (generalmente relativo ad ipotesi di moto uniforme, e di fondo fisso del corso d’acqua) consente la determinazione del tirante d’acque in condizioni di piena. Rispetto ai livelli così calcolati era necessario, secondo le linee guida del Piano del 1986, aggiungere un franco pari ad un metro per il dimensionamento delle opere di sistemazione o di difesa idraulica. Va osservato che il Piano Generale di Utilizzazione del 1986 non prescriveva un particolare metodo da utilizzare per il calcolo della portata di piena, lasciando la scelta al progettista dell’opera. Questa scelta, adatta ai tempi, evidentemente portava ad una notevole dispersione dei dati idrologici. Per ovviare a questo problema si era

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 51

V.2 Portate di piena

In questo capitolo viene affrontato il problema delle valutazioni idrologicherilevanti il PGUAP. Nel testo che segue sono indicate sia le procedure tradizionalmenteimpiegate nell’ambito Provinciale per tali determinazioni, sia le linee guida per il loroprogressivo adattamento, e dunque delle prescrizioni rilevanti il Piano, allo sviluppodelle conoscenze in questo ambito. Una avvertenza: alcune ripetizioni nel testo delpiano sono spiegabili con la necessità di compendiare in modo organico le diverseimpostazioni, che riflettono diversi utenti e diverse competenze interneall’amministrazione.

V.2.1 Precipitazioni intense del Trentino

In questo paragrafo vengono presentati i criteri e gli studi riguardanti ladeterminazione delle portate di piena utilizzati e seguiti in Trentino prima della stesuradel presente Piano Generale di Utilizzazione delle Acque Pubbliche. Per quantoriguarda l’analisi dei regimi pluviometrici in Provincia di Trento, sono riportati nel testodel Piano alcuni studi (e le relative procedure rilevanti il Piano) relativi allacaratterizzazione idrologica delle piogge puntuali del Trentino, in particolare delle lineesegnalatrici di possibilità pluviometrica, identificate sulla base di una larga messe didati provinciali per zone omogenee. Sono anche discusse le linee guida relative allaprocedure che tengono in conto del ruolo della variabilità spazio-temporale delleprecipitazioni intense del Trentino con specifico riferimento alla appicazione di modellidella risposta idrologica.

Alcune osservazioni preliminari sono opportune. Il Piano Generale diUtilizzazione delle Acque Pubbliche del 1986 prevedeva, per la progettazione delleopere di sistemazione idraulica, una portata di riferimento con tempo di ritorno Tr paria 100 anni (si definisce, ovviamente, con tempo di ritorno il numero medio di anninecessari per osservare un valore maggiore o eguale di portata massima annuale).Tale portata di deduceva da precipitazioni critiche per il bacino idrografico (chiuso allasezione interessata alle opere) di pari tempo di ritorno con modelli razionali, eschematici, della risposta idrologica. Nota la portata, il calcolo idraulico (generalmenterelativo ad ipotesi di moto uniforme, e di fondo fisso del corso d’acqua) consente ladeterminazione del tirante d’acque in condizioni di piena. Rispetto ai livelli cosìcalcolati era necessario, secondo le linee guida del Piano del 1986, aggiungere unfranco pari ad un metro per il dimensionamento delle opere di sistemazione o di difesaidraulica.

Va osservato che il Piano Generale di Utilizzazione del 1986 non prescrivevaun particolare metodo da utilizzare per il calcolo della portata di piena, lasciando lascelta al progettista dell’opera. Questa scelta, adatta ai tempi, evidentemente portavaad una notevole dispersione dei dati idrologici. Per ovviare a questo problema si era

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introdotto un metodo semplificato di tipo statistico, a partire da dati raccolti a livelloprovinciale, che consentisse una stima della portata di piena di riferimento daadottare. A completamento della documentazione della procedura citata, il presentePiano riporta il metodo di regionalizzazione dei dati idrometrici ottenuto tramite analisistatistica a livello provinciale. Nel Piano si sono richiamati brevemente i metodimaggiormente utilizzati per il calcolo della portata di progetto; ed anche posti i metodiin prospettiva delle potenzialità delle nuove conoscenze per le applicazioni.

Negli anni intercorsi fra i due Piani successivi le discipline idrologiche hannoavuto notevole impulso, specie per la grande disponibilità di dati resa possibile daiprogressi dell’informazione automatica, ed in particolare dalla disponibilità di sistemiinformativi geografici digitali. Il presente Piano recepisce i progressi salienti delleconoscenze, in particolare nella definizione di strumenti che contemperino le nuoveconoscenze con la pratica della progettazione delle opere di sistemazione e di difesaidraulica. Vale la pena di osservare che i metodi schematici conducono generalmente asovrastime delle portate di piena. Se in passato il sovradimensionamento delle opereera socialmente e politicamente fattibile, assai più difficile appare, in tempi moderni(in ragione della accresciuta sensibilità ambientale e per l’attenzione all’uso razionaledelle risorse economiche) ignorare gli impatti ambientali che gli interventicomportano. Dunque metodi di calcolo che prefezionano le conoscenze dei fenomeniconducendo al progetto di opere meno impattanti sono considerati, nel Piano, congrande interesse.

V.2.1.1 Determinazione delle zone omogenee per le piogge intensenel Trentino

Su incarico dell’Azienda Speciale di Sistemazione Montana di Trento, è statopubblicato nel 1976 (Della Lucia et al. 1976) il primo studio comprensivo di tipoprobabilistico sui caratteri delle piogge brevi ed intense della Provincia di Trento, alloscopo di ottenere una conoscenza delle portate di piena per i bacini montani dellaProvincia, per i quali questo tipo di precipitazioni risultano molto pericolose. Lo studiosi è articolato in due fasi:

• lo studio probabilistico delle precipitazioni di notevole intensità e di breve duratain Provincia di Trento;

• l’individuazione all’interno della Provincia di zone a regime pluviometricoomogeneo.

In una prima fase del lavoro è stata eseguita un’elaborazione statistica dei datimisurati da ciascun pluviografo, in modo tale da ridurre l’influenza di eventualifenomeni eccezionali verificatisi nel periodo di osservazione e per estendere la validitàdelle relazioni così ottenute ad un intervallo più ampio di quello definito dalle serietemporali misurate. Nota la distribuzione temporale delle precipitazione di notevoleintensità e di breve durata rilevate dai singoli pluviografi, è stato eseguito uno studiodella distribuzione spaziale delle precipitazioni allo scopo di formare gruppi omogeneidi pluviografi e pluviometri. Infine a questi gruppi si è fatta corrispondere unasuddivisione in zone omogenee, unendo le aree di pertinenza dei pluviometriappartenenti ad uno stesso gruppo.

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Nello studio sono stati utilizzati solo i dati raccolti dal Servizio Idrograficoitaliano a partire dal 1919 nelle stazioni in cui si avevano almeno 15 anni diosservazione; per il periodo 1919-1970 è stato possibile reperire 88 stazionipluviometriche, di cui 40 dotate di pluviometro registratore. Alcune delle stazioniconsiderate nello studio non ricadono all’interno del confine amministrativo dellaProvincia, ma appartengono alle Province di Bolzano, Belluno e Vicenza; esse sonostate incluse comunque nell’analisi vista la loro vicinanza al territorio trentino. Lestazioni sono distribuite come indicato in Tabella V.2.1 nei bacini idrografici dellaProvincia:

Bacino idrografico N° stazioni pluviometriche

Adige 52

Brenta 16

Sarca - Lago di Garda 12

Chiese 4

Piave 2

Bacchiglione 2

Tabella V.2.1: Numero di stazioni pluviometriche che insistono sui vari bacini del territorio provinciale.

Per ogni stazione sono stati considerati i massimi annuali delle precipitazioniper le varie durate ed è stato analizzato se i dati misurati possono essererappresentate dalle leggi teoriche di distribuzione (di Fuller-Coutagne, lognormale, diGumbel, di Frechet). La scelta della legge che meglio rappresenta il fenomenopluviometrico oggetto dell’indagine è stata fatta utilizzando dei test statistici diverifica. I dati così ottenuti sono stati utilizzati per costruire la curva di possibilitàpluviometrica della forma:

nath = (1)

Per evidenziare se nel territorio in esame sono presenti caratteri di uniformitàè necessario poi mettere a punto un modello statistico che riesca ad accertare se undeterminato gruppo di pluviografi è omogeneo. A tal fine è stato verificato che per unastessa durata k per i pluviografi appartenenti allo stesso gruppo le stime media evarianza differiscano tra loro per variazioni casuali.

L’ultimo passo effettuato è la delimitazione del territorio in zone omogenee,che non risulta sempre facile, essendo i pluviografi quasi sempre troppo lontani perriuscire ad individuare con precisione i limiti di separazione tra le diverse zone.

Il procedimento utilizzato per delimitare le zone pluviometriche omogenee puòessere sintetizzato come segue:

• un insieme di stazioni pluviometriche può essere associato a formare un gruppoomogeneo solo se la posizione delle stazioni e le caratteristiche climatiche delterritorio confermano l’omogeneità, in precedenza accertata tramite procedimentidi tipo statistico;

• quando le condizioni orografiche e climatiche sembrano favorevoli a stabilirel’omogeneità tra un gruppo di pluviografi si verifica l’omogeneità facendo ricorsoa test di tipo statistico.

• Oltre agli ovvi requisiti della vicinanza delle stazioni e della continuità geografica,si devono tenere presenti altri fattori quali l’orientamento delle valli e dei versanti

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rispetto alla direzione prevalente delle perturbazioni e la presenza di spartiacquein grado di influenzare la distribuzione delle precipitazioni. Applicando questometodo, il territorio trentino è stato inizialmente suddiviso in 9 zone omogenee,che sono state in seguito ridotte a sole 5.

Non tutte le zone abbiano continuità geografica; alla zona 1 per esempioappartengono 19 stazioni, di cui 13 delimitano una sottozona all’interno del bacino delNoce, mentre le rimanenti si trovano in una sottozona nel bacino del Brenta. Nellazona 2 ricadono buona parte dei bacini del Sarca, Lago di Garda e del Chiese; mentrele rimanenti stazioni del bacino del Sarca : Stenico, Molveno, S.Lorenzo in Banale,Vezzano, Dro, Arco e Riva) ricadono nella zona 3 comprendente il maggior numero distazioni. In questa zona ricadono anche le stazioni ubicate lungo l’asta principaledell’Adige e lungo i suoi affluenti. La zona 4 raggruppa le parti alte dei bacini di Avisio,Fersina e Leno, Brenta e Bacchiglione.

L’ultima zona (zona 5) occupa una piccola area della Provincia di Trento; inessa ricadono i pluviografi di Fiera di Primiero e Passo di Cereda.

Sulla base dei risultati ottenuti è possibile trattare le serie delle misure rilevatedagli strumenti appartenenti ad una zona come un unico campione di dimensionimaggiori, in modo tale da potere stimare meglio i parametri a ed n della distribuzione.Nella Tabella V.2.2 sono riportati per ciascuna delle 5 zone individuate i dati di pioggiaregolarizzati per le durate di 1, 3, 6, 12 e 24 ore, ed i valori di a ed n da inserire nellecurve di possibilità pluviometriche. I dati così ricavati hanno messo in evidenza che lazona più piovosa è la zona 5 (Trentino orientale, zona del Primiero); mentre la zonameno piovosa è la zona 1 (parte del bacino del Noce e una zona nel bacino delBrenta).

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Altezza h [mm] delle piogge di durata t [h]Parametri della curva

h=atnTempo di ritorno

[anni]1 3 6 12 24 a n

Zona n° 1

2 14,7 23,2 33,0 46,6 63,3 14,4 0,47

5 20,6 31 44,0 64,5 90,6 19,6 0,47

10 24,6 36,2 51,1 76,5 109,3 23,0 0,48

25 29,6 42,6 59,9 91,8 133,5 27,3 0,48

50 33,5 47,3 66,4 103,3 151,9 30,5 0,48

100 37,3 52,0 72,9 114,8 170,6 33,6 0,49

200 41,3 56,7 79,3 126,4 189,7 36,8 0,49

Zona n° 2

2 18,6 27,1 38,2 53,8 74,0 17,7 0,44

5 26,6 35,8 49,3 69,4 96,5 24,7 0,41

10 32,0 41,5 56,2 79,4 110,9 29,3 0,40

25 39,0 48,5 64,8 91,5 128,7 35,3 0,38

50 44,4 53,6 71,0 100,4 141,6 39,7 0,37

100 49,8 58,7 77,0 109,0 154,3 44,2 0,36

200 55,3 63,7 83,1 117,6 167,0 48,8 0,35

Zona n° 3

2 19,6 27,9 36,1 47,9 63,8 19,0 0,37

5 27,1 37,4 46,7 62,2 83,7 26,0 0,35

10 32,0 43,6 53,5 71,4 96,4 30,6 0,34

25 38,3 51,3 61,8 82,6 112,1 36,4 0,33

50 43,1 56,9 67,8 90,8 123,6 40,8 0,33

100 47,8 62,6 73,7 98,9 135,0 45,1 0,32

200 52,6 68,2 79,6 106,9 146,3 49,5 0,32

Zona n° 4

2 19,1 28,8 38,7 54,3 75,5 18,4 0,43

5 26,8 39,4 53,5 77,3 111,0 25,3 0,45

10 32,0 46,4 63,4 92,9 135,9 29,9 0,46

25 38,7 55,2 75,9 113,2 168,5 35,6 0,47

50 43,7 61,8 85,3 128,5 193,7 39,9 0,47

100 48,8 68,4 94,8 144,1 219,5 44,2 0,48

200 54,0 75,1 104,3 160,0 246,1 48,6 0,48

Zona n° 5

2 20,0 38,6 57,7 82,9 110,8 20,8 0,54

5 27,1 53,3 80,0 117,1 160,4 28,0 0,56

10 31,7 63,0 94,8 140,3 194,6 32,8 0,57

25 37,5 75,5 113,8 170,1 239,1 38,7 0,59

50 41,8 84,8 127,9 192,6 273,2 43,1 0,59

100 46,1 94,1 142,2 215,4 307,9 47,5 0,60

200 50,4 103,6 156,6 238,6 343,6 51,9 0,60

Tabella V.2.2: Risultati delle elaborazioni per le zone omogenee individuate (Della Lucia et al., 1976).

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V.2.1.2 Linee segnalatrici di possibilità pluviometrica del Trentino

Scopo dell’indagine più recente (Borga, 2000) è quello di pervenire, tramitel’analisi statistica dei valori massimi annuali di precipitazione di diversa durata, allavalutazione su base regionale delle linee segnalatrici di probabilità pluviometrica per ilterritorio della Provincia Autonoma di Trento.

Un’adeguata conoscenza del regime delle piogge intense costituisce infattielemento di fondamentale importanza per un’esauriente definizione dellecaratteristiche climatiche del territorio ed è requisito essenziale per la valutazione delrischio idraulico e idrogeologico. L’analisi statistica delle piogge intense è sintetizzata,per ciascun sito di misura, in una relazione che descrive, per un assegnato valore diprobabilità di superamento, la crescita dell’altezza di pioggia temibile al crescere delladurata. Tale relazione prende il nome di linea segnalatrice di probabilità pluviometrica(LSPP).

La valutazione delle linee segnalatrici in siti privi di osservazioni pluviometricherichiede l’estrapolazione spaziale dei risultati ottenuti nelle stazioni di misura.Utilizzando il tradizionale metodo dei quantili regolarizzati (o metodo italiano, illustratonel paragrafo V.2.1.1), si devono valutare, per ogni generico punto di coordinate udella regione esaminata, i valori del coefficiente pluviometrico aT(u) e dell’esponentenT(u) della corrispondente espressione di potenza, variabili con il tempo di ritorno T, apartire da quelli stimati nelle stazioni limitrofe. In tal senso, il metodo dei quantiliregolarizzati non si presta ad una razionale soluzione del problema di estrapolazione,poiché obbliga a risolvere il problema di stima di aT(u) e di nT(u) per ogni valore di Tdi interesse. Inoltre, operando separatamente tale estrapolazione per ciascun tempodi ritorno, può accadere di incorrere in soluzioni inconsistenti del problema, nellequali, ad esempio, le linee segnalatrici corrispondenti a due generici tempi di ritornopossono intersecarsi.

Tenendo conto di questo fatto, sono state applicate delle metodologie di stimafondate sulla cosiddetta proprietà dell’invarianza di scala, rispetto alla durata, per imomenti di primo e secondo ordine rispetto all’origine delle altezze di precipitazione(Burlando e Rosso, 1991, 1996; Bacchi et al., 1995). Nel seguente paragrafoV.2.1.2.1 viene brevemente descritto il metodo dei quantili regolarizzati; utilizzato perla stima delle linee segnalatrici di probabilità pluviometrica con la consueta legge dipotenza a due parametri h=atn e suddividendo il campo di durate in due intervalli (15min – 1h e 1 h – 24 h) per i quali vengono separatamente individuati i corrispondentivalori dei parametri di scala n. Per durate comprese nell’intervallo 1-24 h è statoutilizzato il modello invariante di scala sia per la stima locale che per l’estrapolazionespaziale delle LSPP; che è descritto nel paragrafo V.2.1.2.3. Nel paragrafo V.2.1.2.4sono illustrate le metodologie geostatistiche utilizzate per l’estrapolazione regionale edi risultati conseguiti in termini di mappatura della variabilità spaziale dei parametridelle linee segnalatrici.

Le procedure di analisi sono state applicate sulla base dei valori massimiannuali di precipitazione di breve durata registrati tra il 1923 ed il 1990 in 37 stazionipluviografiche ubicate nel territorio provinciale. Dette 37 stazioni sono quelle, sulle 67rese disponibili, caratterizzate da numerosità campionaria almeno pari a 25 anni pertutte le durate comprese nell’intervallo 1h-24h, onde garantire una buona robustezza

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delle stime. Per quanto riguarda il problema di estrapolazione spaziale delle lineesegnalatrici, al fine di rendere più affidabile tale valutazione nelle zone ‘di bordo’prossime ai confini amministrativi provinciali sono stati utilizzati dati di precipitazionemassima annuale relativi a diverse stazioni ubicate in provincie limitrofe (8 stazioniper la provincia di Brescia, 18 stazioni per quella di Bolzano ed 11 stazioni per leprovincie di Belluno e Vicenza). Anche tali stazioni soddisfano il vincolo di numerositàcampionaria non inferiore a 25 elementi per le durate comprese fra 1h e 24h.

V.2.1.2.1 Analisi di frequenza dei massimi annuali di precipitazione ederivazione delle linee segnalatrici di probabilità pluviometrica(LSPP)

Nella tradizionale pratica idrologica la procedura utilizzata per la stima delleLSPP si articola nei seguenti tre passaggi fondamentali:

• l’identificazione del modello probabilistico rappresentativo della serie dei massimiannuali delle altezze di pioggia di assegnata durata. Si noti che tale modello può,a rigore, essere diverso per le varie durate;

• la stima dei parametri della distribuzione di probabilità prescelta per ciascunadurata di pioggia e determinazione, per ciascuna durata d, delle piogge diassegnato tempo di ritorno T (quantili1), qui indicati come hT(d);

• l’interpolazione dei valori dei quantili di precipitazione ottenuti per le varie durateal fine di ottenere, per ciascun tempo di ritorno considerato, la corrispondenteLSPP.

Questa procedura viene denominata metodo dei quantili regolarizzati, poiché sibasa sulla regolarizzazione statistica delle stime relative ai quantili di diversa durata.Una volta stimati i parametri della regressione, le altezze di precipitazione sonoesprimibili mediante una relazione, da tempo adottata nella pratica progettualeitaliana, del tipo

TnTT dadh =)( (2)

in cui la costante aT e l’esponente di scala nT dipendono dal tempo di ritorno.Nell’ambito di questo studio per la formulazione delle LSPP è stata utilizzata

l’equazione dell’equazione (2), utilizzando due diversi valori per l’esponente di scala nper le durate inferiori all’ora e per quelle superiori. La stima dei parametri a, n ed ns(dove n ed ns indicano rispettivamente l’esponente di scala per l’intervallo di duratecompreso fra 1h e 24h, e quello valido per l’intervallo 15 min – 1h) è stata ottenutautilizzando il metodo dei minimi quadrati.

V.2.1.2.2 Distribuzioni di probabilità

La stima dei parametri è stata eseguita con il metodo dei momenti e per lesole distribuzioni di Gumbel e lognormale, con il metodo della massimaverosimiglianza. Per quanto riguarda il caso della distribuzione di Gumbel e di Frechet,si è utilizzato sia il metodo dei momenti convenzionale che quello basato sul metododei momenti lineari (L-moments).

1 Si definisce quantile F-esimo di una variabile aleatoria continua H il valore hF che H assume con una probabilità disuperamento pari a 1-F.

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Per verificare se il campione di dati disponibili differisce in manierastatisticamente significativa rispetto alle stime conseguite tramite l’applicazione delgenerico modello probabilistico sono stati utilizzati due test di adattamento: χ2 (o diPearson) e Kolmogorov-Smirnov.

L’esame dei risultati ottenuti indica che complessivamente il miglioradattamento si ottiene con le distribuzioni di Gumbel e lognormale, mentre menoadatta appare la distribuzione di Frechet.

Sulla base di tali risultati, e dei risultati ottenuti in studi precedenti (DellaLucia et al., 1976, cfr. V.2.1.1), la distribuzione lognormale è stata quindi assuntacome quella riferimento, e si sono calcolati i risultati in base a tale distribuzione, conparametri stimati secondo il metodo dei momenti convenzionali.

V.2.1.2.3 Linee segnalatrici invarianti di scala

Recenti indagini relative al processo di precipitazione hanno ipotizzato lavalidità della seguente eguaglianza in probabilità

)()( tZtZ dn

d

d λλ = (3)

dove Z(t) rappresenta il processo integrale

Z t X dd t d

t d( ) ( )=

+∫ ζ ζ

2

2 (4)

X(t) rappresenta l’intensità di pioggia all’istante t, il simbolo =d

indical’eguaglianza in distribuzione di probabilità, λ indica un fattore di scala ed n unesponente caratteristico del sito esaminato. Questa relazione, detta di invarianza discala del processo, indica che la distribuzione di probabilità del processo integrato èinvariante rispetto alla scala utilizzata per integrare il processo X(t). La (3), applicataall’analisi delle piogge intense, può essere espressa, in altra forma, come

n

T

T

dhdh λλ

=)()(

(5)

La relazione indica che il rapporto fra due quantili T-ennali di precipitazione,relativi a due diverse durate, è pari alla potenza n-esima del fattore di scala. Questarelazione, meno restrittiva della (3) implica l’invarianza di scala per il momento,calcolato rispetto all’origine, d’ordine qualsiasi delle variabili, ossia

[ ] [ ]ld

nlld HEHE ⋅= λλ (6)

dove l rappresenta l’ordine del momento ed Hd rappresenta il processo deimassimi annuali di durata d. Pertanto, quando sia verificata la (6), media e varianzadei massimi annuali per piogge di diversa durata vengono a riscalarsi rispettivamentesecondo i fattori λn e λ2n.

Conseguenza importante di questa proprietà è l’invarianza del coefficiente divariazione V rispetto alla durata; infatti, se consideriamo un intervallo di durate entroil quale la precipitazione è scala invariante nel tempo, si ha

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[ ] [ ][ ]

[ ][ ]

[ ][ ] [ ] tHVHE

H

HEd

Hd

HE

HHV

dn

dn

d

dd cos

varvarvar1

12

122

2

2===== (7)

Più in generale, si può verificare che, in quest’ipotesi, anche il coefficiente diasimmetria e quello di appiattimento sono indipendenti dalla durata.

La relazione (6) può essere riscritta nel modo seguente

nT

n

TT dhd

hdh )1(1

)1()( =

= (8)

dove hT(1) indica il quantile T-ennale dell’altezza di pioggia per la durata diriferimento (per esempio oraria). La relazione (8) può dunque rappresentare la lineasegnalatrice corrispondente al tempo di ritorno T, espressa come legge di potenza ilcui esponente risulta invariante con la durata.

Il quantile T-ennale dell’altezza di pioggia generica si può scrivere utilizzando ilfattore di frequenza introdotto da Chow (1951) (cfr. Chow et al., 1988, p. 389) nelmodo seguente

]var[][)( dTdT HKHEdh += (9)

dove KT indica il fattore di frequenza. È pertanto possibile ottenere unafamiglia di linee segnalatrici scala-invarianti nel modo seguente

nTT dVKadh )1()( 1 += (10)

dovea1=E[H(1)] rappresenta il coefficiente di scala della linea segnalatrice, valore atteso

dell’altezza di pioggia massima annuale per la durata di riferimento (si notiche il valore della variabile a1 può ottenersi in termini generali comerapporto fra il valore atteso dell’altezza di pioggia massima annuale didurata T* e la durata stessa elevata a potenza n-esima);

(1+VKT) rappresenta il fattore di crescita in frequenza, in quanto esso dipende datempo di ritorno T e dalla distribuzione di probabilità scelta perrappresentare il processo dei massimi annuali;

n rappresenta l’esponente di scala con cui la variabilità del fenomeno sitrasmette dalla scala temporale di riferimento alle altre scale temporali.

Nello studio è stata utilizzata una formulazione scala-invariante con il modellolognormale.

V.2.1.2.4 Valutazione delle linee segnalatrici di probabilità pluviometrica insiti privi di osservazioni pluviometriche

La valutazione delle linee segnalatrici in siti privi di osservazioni pluviometricherichiede l’estrapolazione spaziale dei risultati ottenuti tramite le elaborazionistatistiche dei dati di pioggia massima annuale nelle stazioni pluviografiche..L’adozione del modello scala-invariante consente di risolvere, allorché la proprietà diinvarianza di scala sia verificata, il problema di stima delle linee segnalatrici in puntiprivi di osservazioni pluviometriche mediante estrapolazione di un numero limitato di

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parametri, legati alle statistiche delle precipitazioni osservate nei punti di misura. Lametodologia di stima risulta quindi statisticamente più robusta, per questo scopo,rispetto a quella che basata sul metodo dei quantili regolarizzati.

Utilizzando la distribuzione lognormale, per ogni punto t dell’area esaminatavengono stimati i valori dei parametri a1(t), n(t) e V(t) a partire dai valori di a1(ti),n(ti) e V(ti) valutati separatamente in ognuna delle n stazioni localizzate nei punti dicoordinate ti, i=1,...,n.

Nello studio è stata utilizzata la tecnica geostatistica nota come kriging, perottenere le mappe dei tre parametri delle linee segnalatrici scala invarianti.

Con questa tecnica, con riferimento ad una griglia di punti corrispondente aquella del modello digitale del terreno della Provincia Autonoma di Trento, si sonostimati i valori puntuali dei parametri sull’intera area di indagine con una risoluzione di0,25 km2. A partire da questi sono state quindi ottenute, tramite un programma dimappatura automatica, le isolinee dei parametri e le mappe iso-linee delle piogge diprogetto per alcune durate e tempi di ritorno.

V.2.1.3 Scale caratteristiche dei bacini e delle precipitazioni critiche

Un punto nodale delle analisi idrologiche concerne la relazione fra la scalacaratteristica dei bacini chiusi alla sezione in cui deve essere valutata la portata dipiena e la scala caratteristica delle precipitazioni critiche per quel bacino.

Il problema concerne, dunque, la valutazione delle caratteristiche degli eventimeteorici intensi del territorio Provinciale, mutuati dalla storia idrologica misuratanelle diverse stazioni di misura e relativi ai diversi bacini idrografici di interesse delPiano.

Le questioni teoriche mobilitate dal problema sono molte e complesse, inparticolare relativamente al fatto se la domanda posta (se esistano scale spazialicaratteristiche delle correlazioni nelle piogge intense) abbia senso. Per gli scopi delPiano appare ragionevole assumere che la domanda sia sensata, teoricamente epraticamente. In effetti sono disponibili diverse analisi geostatistiche di campi spazio-temporali di precipitazione trentini, in particolare nel bacino dell’Adige (e.g. Sadler,1999; Bellin et al., 2001). È di rilievo particolare l’analisi di tre eventi meteorici benstrumentati con almeno 30 stazioni (nel 1997, 1998 e 1999, che hanno prodottoeventi di piena di ritorno circa decennale: ciò che sembra, ma non è, un ossimoro), siarelative ai volumi di afflusso che relative alla mappe delle distribuzioni orarieregistrate e interpolate per via geostatistica con un metodo adeguato (e.g. Bellin eRubin, 1996). Da tali analisi è possibile dedurre la scala di correlazione spaziale(ovvero la macroscala, la distanza – in qualunque direzione, per semplicità – entro laquale un osservatore che misuri una precipitazione intensa può ritenere correlato ilvalore della precipitazione che, in quell’istante, egli osserva) tipiche per gli eventiintensi del territorio Trentino. In sintesi estrema, e rimandando alla letteratura citata,tali scale sperimentali del Trentino sono risultate sempre inferiori alle poche decine dichilometri.

L’importanza applicativa della determinazione delle macroscale delle pioggenel trentino, idealmente anche per le valli alte oltre che per la val d’Adige, risiede nelfatto che la loro analisi discrimina i bacini per i quali può assumersi una precipitazionecostante nello spazio per la determinazione delle portate di piena. Infatti se ladimensione del bacino è confrontabile con la macroscala delle piogge intense per ledurate critiche può assumersi ragionevolmente che le piogge siano distribuite

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uniformemente nello spazio: con il corollario della applicabilità della maggior parte deimetodi in uso. Se, invece, la dimensione del bacino fosse sicuramente maggiore dellamacroscala una tale assunzione diviene irrealistica.

Una discussione particolare meriterebbe la determinazione della scalacaratteristica di un bacino idrografico, che può essere grossolanamente determinatadalla radice dell’area del bacino idrografico. In realtà la materia è complessa (e.g.Rodriguez-Iturbe e Rinaldo, 1997), e per gli scopi del presente Piano basterà una taleassunzione.

In conclusione, le analisi dei campi di precipitazione intensa del Trentinosuggeriscono che:

• per bacini di dimensione inferiore ai 100 km2, indipendentemente dallecaratteristiche idrografiche e geografiche del bacino, è sensato assumereprecipitazioni di intensità costante, uniformemente distribuita, ai fini delladeterminazione delle portate di piena;

• per bacini di superficie superiore a 200 km2 è necessario tenere in conto dellavariabilità delle precipitazioni nei modelli della risposta idrologica, ad esempiosecondo le linee guida (cfr. V.2.1.2.4) che definiscono le opportune interpolazionidi campi non uniformi (nello spazio e nel tempo) di precipitazione al suolo;

• per bacini di dimensione compresa fra i 100 ed i 200 km2 non può darsi unaregola generale, dovendosi considerare le peculiarità del caso di specie (e.g.relativamente all’importanza dell’opera in progetto; al rischio idraulico connesso;ai caratteri geografici e alle eventuali barriere orografiche; ai fattoriidrometeorologici rilevanti). Per gli scopi del presente Piano appare dunqueragionevole che la decisione sulla procedura di calcolo più adatta sia affidata alcompetente Ufficio Provinciale.

V.2.1.4 Modelli stocastici delle distribuzioni spazio-temporali delleprecipitazioni

V.2.1.4.1 Modelli Montecarlo-generazione sistetica di realizzazioni diprocessi stocastici

La valutazione dei tempi di ritorno di eventi di piena fluviali con un metodoMontecarlo richiede la generazione sintetica di molte, diverse e indipendenti,realizzazioni di significativi campi di precipitazione intensa sul bacino di interesse e lamodellazione della loro risposta idrologica. Una tale impostazione, sempliceconcettualmente, ha diversi pregi. Consente infatti, se il metodo per la generazione dicampi di precipitazione produce risultati ragionevoli, di generare con un modello dellarisposta idrologica ripetute realizzazioni di piene fluviali, caratterizzate da diversaportata al colmo e diversi volume e forma. Una tale procedura postula la stazionarietàdei caratteri climatici e idrometeorologici che influenzano le portate di piena: unaassunzione assai meno restrittiva rispetto a quella, assai più problematica, dellastazionarietà della risposta del bacino: che implica la trascurabilità delle modifichenell’uso del suolo e degli effetti di opere di difesa e di sistemazione nel arco del tempo

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di ritorno dell’evento di progetto. Una eventualità che, nel caso del Trentino, apparedavvero intenibile.

Nel presente Piano appare opportuno descrivere le linee guida della proceduradi calcolo del ritorno probabile dei caratteri delle piene fluviali, basata su un modellostocastico di campi di precipitazione massimi annuali e su un modello geomorfologicodella risposta idrologica (descritta nel seguito, cfr. V.2.2.2.5). Alcune recentiapplicazioni della procedura per bacini simili a quelli di interesse del presente Piano,infatti, segnalano la fattibilità tecnica delle applicazioni: ed il loro notevole interessepratico (Rinaldo et al. 2002).

V.2.1.4.2 Modello stocastico spazio-temporale dei campi di precipitazione

Il modello di interesse (Marani et al., 1999; Rinaldo et al., 2002) èun'estensione del modello di Cox e Isham (1988) e si basa sulla descrizione stocasticadei processi che compongono gli eventi di precipitazione. Si è infatti impiegato unprocesso di generazione (nello spazio e nel tempo) di celle di precipitazione cheriproduca la caratteristica struttura a celle convettive degli eventi osservati (Houze,1981). Il processo di arrivi delle celle è di tipo poissoniano: del numero di cellegenerate per unità di tempo e del numero di celle per unità di superficie. Ciascunacella è caratterizzata da dimensioni (raggio) e durata distribuiti secondo leggiesponenziali. Si può mostrare che la struttura degli arrivi adottata induce unacorrelazione esponenziale della precipitazione nello spazio e nel tempo (Cox e Isham,1988). Le celle sono caratterizzate da intensità costante per tutta la loro durata laquale, a differenza del modello di Cox e Isham (1988), è caratterizzata da unadistribuzione lognormale. Questa scelta è suggerita dalla constatazione che l'uso diuna distribuzione ad un solo parametro (e.g. una distribuzione esponenziale) nonconferisce al modello la flessibilità necessaria a riprodurre la varianza spazialeosservata (Sadler, 1999: Bellin et al., 2002; Rinaldo et al., 2002): che verrebbealtrimenti sottostimata con conseguenze per la riproduzione di eventi estremi. Ilmodello descritto ha dunque sei parametri determinati utilizzando le statistiche dellaprecipitazione misurata nelle 17 stazioni pluviografiche. In particolare, sono assegnati:il volume totale di un evento, la sua varianza spaziale (media nel tempo), la scalaintegrale della correlazione spaziale, la frazione di area asciutta, la varianzatemporale, e la correlazione temporale per lag unitario. Data la relativa complessitàdello schema di generazione non è possibile ricavare relazioni analitiche che leghino iparametri del modello alle statistiche da riprodurre. La taratura deve essere quindisvolta calcolando le statistiche su sequenze di campi sintetici, variando i parametri delmodello fino ad ottenere una soddisfacente riproduzione dei valori desunti dalleosservazioni.

Le mappe dei valori istantanei delle intensità di precipitazione dedotte dalmodello citato si mostrano in grado di riprodurre i caratteri osservati delle pioggereali. L’applicazione del modello alla generazione di centinaia d’anni di eventi intensi(massimi annuali) di prefissata durata consente la determinazione di altrettanti eventidi risposta del bacino, dai quali la deduzione del tempo di ritorno dei caratteri dellepiene è immediata.

È appena il caso di segnalare che una tale procedura si mostra particolarmenteadatta al calcolo di dispositivi di laminazione delle piene nei casi, invero frequenti, incui i volumi da destinarsi ad invaso non siano grandi rispetto al volume complessivo

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della piena da moderare. Infatti la generazione di molte piene di diverso carattere(ripidità, volume, colmo, esaurimento) consente di calcolare il comportamentoidraulico degli organi di regolazione e di sfioro in molte, diverse circostanze idrologiche– come accade in realtà alle opere: dalle quali si deduce il vero tempo di ritorno dellaportata in uscita, invero di questionabile determinazione guardando ai caratteri di unasola piena di progetto

V.2.2 Linee Guida per la determinazione delle portate di piena

V.2.2.1 Sui metodi di stima delle portate di piena

Il metodo da adottarsi per la determinazione delle portate di piena dipende dalproblema da trattarsi. Per il progetto di opere di sistemazione di modesta importanza,e in sezioni idrauliche sottese da piccoli bacini, metodi speditivi di tipo empirico,specie se sostenuti da esperienza del campo, sono infatti da ritenersi del tuttosoddisfacenti. Il progetto di importanti opere di difesa in sezioni sottese da grandibacini idrografici richiedono, invece, considerazioni tecniche di notevole complessità.La scelta operata dal presente Piano Generale di Utilizzazione delle Acque è quella dipresentare diverse procedure, tradizionali e innovative, empiriche e relative allo statodell’arte delle conoscenze teoriche: immaginando di delegare la definizione dellaprocedura adatta al problema di specie, fra le diverse possibili qui elencate, agli ufficiProvinciali competenti in ragione dell’importanza dell’opera, dei rischi connessi, degliimpatti sociali ed ambientali e della dimensione del bacino idrografico.

La stima delle portate di piena, in passato, era esercizio empirico temperatodalla esperienza. Il futuro delle determinazioni idrologiche concerne la definizionesempre più precisa, e in bacini non strumentati, di idrogrammi e sedimentogrammiper il progetto di opere idrauliche, e la determinazione del rischio idraulico, incondizioni attuali e di riforma di uso del suolo, clima, infrastrutture idrauliche. Inquesta sezione del Piano sono descritti sia gli approcci tradizionali che le tendenze diparticolare rilevanza per il dimensionamento di dispositivi di laminazione delle piene.

Va segnalato, in particolare, che una classe di modelli innovativiparticolarmente importanti in prospettiva sono relativi alla generazione di tipoMontecarlo di significative piene fluviali, e la determinazione di relativi tempi di ritorno(della portata al colmo; del volume della piena; della forma dell’idrogramma). Larilevanza del problema appare evidente: potendosi generare una sequenzaarbitrariamente estesa di eventi di piena (interi idrogrammi, non solo valori al colmo)postulando la stazionarità statistica degli eventi meteorologici invece che quella, piu'problematica, della risposta del bacino. Scenari di uso del suolo sono, infatti,facilmente incorporati nella struttura dei modelli idrologici di nuova concezione basatisulla descrizione accurata della morfologia dei bacini quale quella desumibile dacartografie digitali. Vale la pena di osservare che modelli basati sulla teoriageomorfologica della risposta idrologica (cfr.V.2.2.2.5), su una accurata descrizionemorfologica di reti e versanti mutuata da letture automatiche, e colte, di mappe

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digitali del terreni, e che facciano uso di informazioni telerilevate e distribuite sulterritorio per ricavare le informazioni sull'uso del suolo necessarie alla modellazionepuntuale dei fenomeni di produzione di deflusso sono considerati la nuova frontieraper applicazioni rilevanti. I modelli di risposta idrologica di nuova concezione sonoaccoppiati a modelli stocastici delle precipitazioni nello spazio-tempo per lagenerazione di eventi meteorologici importanti: i cui caratteri sono mutuati dallestatistiche degli eventi massimi annuali registrati (descritti al precedente ParagrafoV.2.1.4.2). Le relative piene fluviali alla sezione di chiusura prescelta rendonopossibile una statistica degli eventi estremi sia per il valore di portata al colmo che peril volume e la forma dell’onda di piena. L’interesse del Piano, ai fini della verifica diqualsiasi opera di difesa, appare dunque evidente. È parimenti evidente che un taleedificio tecnico-scientifico si giustifica solo per applicazioni di particolare rilevanza:sulla cui definizione si soffermano le norme proposte.

Il calcolo del tempo di ritorno di piene fluviali mitigate da opportunecostruzioni idrauliche si basa generalmente sull’assunto che esista una formacaratteristica dell’onda di piena, caratterizzata da una portata al colmo di probabilitàdi superamento definibile, tale da consentire il calcolo della efficacia di dispositivimoderatori quali casse di espansione o serbatoi: o, semplicemente, dovuti a fenomenipropagatori. Una tale ipotesi si dimostra, di solito, inadeguata (e.g. Wigmosta eBurges, 2001). Inoltre la necessità di progettare opere di difesa di sempre minoredimensione, per esigenze di carattere ambientale e per la ridotta disponibilità digrandi volumi in territori a crescente antropizzazione, forza una revisione dei criteri didimensionamento mirati ad un uso ottimo di spazi e strutture. Il cumulo dellesemplificazioni di solito adottate nella pratica tende dunque rapidamente a divenireeccessivo nel rapporto fra lo stato delle conoscenze e le esigenze del mondo reale. Dauna parte, ad esempio, la deduzione del tempo di ritorno di portate di piena mutuatodalla storia idrologica di portate osservate nel bacino si basa su una improbabilestazionarietà statistica – non esiste bacino idrografico di una certa importanza in Italiache possa dirsi immune da significative modifiche dell’uso del suolo. Su questa basesola, ad esempio, è questionabile l’uso di metodologie statistiche di regionalizzazione(e.g. Darlymple, 1965; Rossi et al., 1984; Cunnane, 1988; Villi et al., 2001), sulla cuiimprobabilità esiste una ampia letteratura (e.g. Brath e Rosso, 1994). Dall’altramodelli di trasformazione delle precipitazioni in portate si basano, in genere e fino adoggi, su ipotesi quali e.g: l’uniforme distribuzione spaziale delle precipitazioni; ilfunzionamento secondo schemi concettuali di larga massima dei complessi fenomenidi produzione di deflusso; la sommaria descrizione geomorfologica del bacino e dellasua ricchezza di forme e funzioni, che chiedono una sistemazione alla luce delle nuoveconoscenze (e.g. Bras, 1990; Rodriguez-Iturbe e Rinaldo, 1997).

La stagione tecnologica aperta dall’informazione basata sulla descrizioneremota dell’uso del suolo, dei pattern spazio-temporali delle precipitazioni e dellamorfologia del bacino rende obsoleti gli schemi del passato recente: culturalmente,come è naturale; ma anche per ragioni pratiche, potendosi intravvedere un notevolemargine di utilità delle nuove culture intorno alla definizione del vero tempo di ritornodi eventi di piena, basato su assunzioni robuste quali, ad esempio, la stazionarietà delclima su scale temporali proporzionali alla vita di opere di difesa (e.g. Rinaldo et al.2002).

Non pare inopportuno ricordare che gli schemi detti geomorfologici dellarisposta idrologica (Rodriguez-Iturbe e Valdes, 1979; Gupta e Waymire, 1980; Mesa e

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Mifflin, 1988; Kirshen e Bras, 1983; Rosso, 1984; Troutman e Karlinger, 1985, 1992;Karlinger e Troutman, 1985; Rinaldo et al., 1991; Rinaldo e Rodriguez-Iturbe, 1996)hanno sistemato culturalmente una antica questione sopra il presunto primato dimetodi a fondamento cinematico o di invaso, ovvero di modelli concentrati piuttostoche distribuiti: potendosi riguardare i metodi razionale e dell’invaso come casiparticolari del caso generale del metodo geomorfologico nel quale si possonoconsiderare analiticamente sia effetti di invaso che di propagazione (Rinaldo et al.1991); e inoltre i caratteri del metodo sono distribuiti nella descrizione dellamorfologia del bacino (Mesa e Mifflin, 1988; Rinaldo et al., 1995) ma basati sullaformulazione del trasporto per tempi di residenza, e dunque stocastici e concentratinei loro parametri dinamici (Cox e Miller, 1965; Dagan, 1989). Dunque critiche soprala pretesa superiorità applicativa di schemi che del metodo geomorfologico sono casiparticolari, si basano su una volonterosa ma malcerta comprensione della suageneralità, specie se applicati ad una descrizione della geometria del bacino conmodelli, ad esempio Hortoniani, che eliminano inescapabilmente ogni complessitànella descrizione geometrica e topologica della rete idraulica (e.g. Kirchner, 1993;Rodriguez-Iturbe e Rinaldo, 1997) e del bacino idrografico (Montgomery e Dietrich,1988, 1989, 1992; Dietrich et al., 1986, 1988, 1992, 1993; Howard, 1994). È appenail caso di menzionare i grandi progressi del passato recente sopra la determinazioneautomatica delle caratteristiche geomorfologiche (i.e. relative alla determinazionedella frazione canalizzata e di quella di versante del bacino), geometriche etopologiche dei reticoli idrografici da mappe digitali del terreno (e.g. Dietrich et al.1993; Rodriguez-Iturbe e Rinaldo, 1997).

Da queste osservazioni, la presente sezione del PGUAP discute problemi eprospettive delle applicazioni dei metodi di calcolo, tradizionali o innovativi: con lareiterata avvertenza che il livello di dettaglio da applicarsi allo studio del problemaprogettuale di specie dovrà essere deciso, caso per caso o per classi di problemi, dagliuffici Provinciali competenti.

V.2.2.2 Metodi in uso nella Provincia di Trento per il calcolo delleportate di piena

La progettazione delle opere idrauliche, degli interventi di ingegnerianaturalistica, delle infrastrutture civili e delle misure (strutturali e non-strutturali) perla mitigazione del rischio alluvionale – misure che comprendono anche le regole dipianificazione e gestione del territorio volte a diminuirne la vulnerabilità – richiede duelivelli previsionali:

• la valutazione della portata al colmo di piena, temibile lungo la rete idrografica;

• la valutazione di idrogrammi di piena significativi.

La individuazione delle possibili metodologie atte a conseguire una valutazionedel regime di piena e delle portate temibili dipende da vari fattori; primi fra tutti, ladisponibilità di dati osservati e la copertura spaziale della rete idrometeorologica. Inrelazione ai dati disponibili, sono stati scelti, in passato, tre possibili percorsi:

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• l’analisi statistica di una lunga serie di osservazioni di portate e volumi di pienanella sezione idrografica di interesse, qualora disponibili (e qualora abbia sensoimmaginare che il bacino sia rimasto sostanzialmente lo stesso, idrologicamente,nel periodo delle misure);

• l’analisi statistica dell’insieme delle osservazioni di portate e volumi di pienadisponibili in una regione idrologica, la quale presenti caratteristiche diomogeneità in relazione al regime di piena;

• l’analisi statistica delle osservazioni pluviometriche e la successivatrasformazione in probabilità delle portate e dei volumi di piena.

La prima impostazione è raramente percorribile, sia per carenze diosservazioni idrometriche diffuse capillarmente lungo le reti idrografiche, sia per larelativa brevità delle serie eventualmente disponibili. Di norma, la lunghezza delperiodo di osservazione non consente di estrapolare la distribuzione di probabilità nelcampo delle frequenze di superamento associate ai tempi di ritorno compatibili conaccettabili livelli del rischio alluvionale. Di conseguenza, è necessario ricorreregiocoforza a statistiche di insieme, tramite procedure di regionalizzazione statistica delregime di piena e successiva particolarizzazione nel sito di interesse, ovvero allatrasformazione delle statistiche della precipitazione in probabilità associate ai valoridella portata e del volume di piena. I principi di tali metodologie sono nel seguitosinteticamente descritti.

V.2.2.2.1 Modelli di regionalizzazione di dati idrologici (analisi statistica alivello provinciale)

In questo paragrafo viene descritto il metodo semplificato di tipo statisticoelaborato dal Servizio Idrografico della Provincia Autonoma di Trento per ladeterminazione della portata di piena a partire dai dati raccolti a livello provinciale

Questo metodo di calcolo della portata di piena consente di esprimereempiricamente la portata di piena per un tempo di ritorno pari a cento anni infunzione della sola area del bacino sotteso alla sezione di chiusura mediante unaformula del tipo:

nmSQ =100 (11)

Tale formula, pur semplificata, consente di modellare il calo del contributounitario al crescere dell’area del bacino, e costituisce un buon termine di paragone perevitare di adottare portate poco credibili o comunque poco cautelative.

Sono state così ricavate due diverse espressioni della (11) validerispettivamente per bacini di estensione minori e maggiori di 1000 km2; esse sono:

6839,0100 8029,8 SQ = per S<1000km2 (12)

4421,0100 697,46 SQ = per S>1000km2 (13)

Nella seguente Tabella V.2.3 sono riportati i valori del contributo unitario diportata e della portata con Tr pari a 100 anni per le diverse estensioni del bacino.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 67

Superficie Contributo unitario Portata Superficie Contributo unitario Portata

[km2] [m3/s/km2] [m3/s] [km2] [m3/s/km2] [m3/s]

1 8,8 9 170 1,74 295

2 7,07 14 180 1,71 307

3 6,22 19 190 1,68 319

4 5,68 23 200 1,65 330

5 5,29 26 250 1,54 384

6 5 30 300 1,45 435

7 4,76 33 350 1,38 484

8 4,56 36 400 1,33 530

9 4,39 40 450 1,28 574

10 4,25 43 500 1,23 617

12 4,01 48 550 1,2 659

14 3,82 54 600 1,17 699

16 3,66 59 700 1,11 777

18 3,53 64 800 1,06 852

20 3,41 68 900 1,03 923

25 3,18 80 1.000 0,99 990

30 3 90 1.200 0,89 1.073

35 2,86 100 1.400 0,82 1.149

40 2,74 110 1.600 0,76 1.219

45 2,64 119 1.800 0,71 1.284

50 2,56 128 2.000 0,67 1.345

55 2,48 136 2.500 0,59 1.485

60 2,41 145 3.000 0,54 1.609

65 2,35 153 3.500 0,49 1.723

70 2,3 161 4.000 0,46 1.828

75 2,25 169 4.500 0,43 1.925

80 2,2 176 5.000 0,4 2.017

85 2,16 184 5.500 0,38 2.104

90 2,12 191 6.000 0,36 2.186

95 2,09 198 6.500 0,35 2.265

100 2,05 205 7.000 0,33 2.341

110 1,99 219 7.500 0,32 2.413

120 1,94 233 8.000 0,31 2.483

130 1,89 246 8.500 0,3 2.550

140 1,85 258 9.000 0,29 2.616

150 1,81 271 9.500 0,28 2.679

160 1,77 283 10.000 0,27 2.740

Tabella V.2.3: Valori limiti di verifica della portata di massima piena con Tr=100 anni.

Nei grafici di Figura V.2.1 e Figura V.2.2 sono riportati gli andamenti dellecurve che esprimono il legame tra portata di piena e area del bacino per estensionirispettivamente minori e maggiori di 1000 km2.

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Portate di piena S < 1000 km2

y = 8,8029x 0,6839

R 2 = 1

0

200

400

600

800

1000

1200

0 200 400 600 800 1000 1200S [km2]

Q [

m3 /s

]

Figura V.2.1: Portata di piena per bacini di estensione minore di 1000 km2.

Portate di piena S > 1000 km2

y = 46,697x 0,4421

R 2 = 1

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

0 2000 4000 6000 8000 10000 12000S [km2]

Q [

m3 /s

]

Figura V.2.2: Portata di piena per bacini di estensione maggiore di 1000 km2.

V.2.2.2.2 Metodo razionale

Si tratta di un metodo largamente utilizzato grazie alla sua sempliceformulazione (e.g. Moisello, 1998). L’ipotesi alla base del metodo è che laprecipitazione sia uniforme su tutto il bacino e che la durata dell’evento critico sia parial tempo di corrivazione, cioè: Tp = Tc. La portata di massima piena è data da:

c

cp T

AChQ ⋅= 278,0 (14)

dove: Qp= portata al colmo [m3/s];0,278= coefficiente di conversione delle unità di misura;C= coefficiente di deflusso medio per l’area in esame;hc= altezza di pioggia critica [mm];A= area del bacino [km2];Tc= tempo di corrivazione del bacino [h]

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 69

Il tempo di corrivazione Tc può essere calcolato attraverso formule empiriche;ad esempio secondo la formula di Giandotti si ha:

ZH

LSTc

−+=

8,0

5,14 (15)

con S= estensione del bacino [km2]L= lunghezza dell’asta principale del corso [km]H= altitudine media dl bacino imbrifero sotteso [m s.m.m.]Z= quota della sezione considerata [m s.m.m.]Tc= tempo di corrivazione del bacino [h]

L’applicazione del metodo consente di associare il tempo di ritorno dell’altezzadi pioggia, hc, alla stima della portata: naturalmente nelle ipotesi semplificative citate.

V.2.2.2.3 Metodo del Soil Conservation Service (S.C.S.)

Il metodo detto del Soil Conservation Service (1972; e.g. Moisello, 1998) sibasa sull’osservazione che in natura il tempo di accumulo, cioè la fase crescentedell’idrogramma di piena è minore del tempo di esaurimento, ovvero la fasedecrescente dell’idrogramma di piena ed è pure diverso dal tempo di pioggia, ma adesso può essere correlato introducendo il tempo di ritardo. Come per il metodorazionale vale l’ipotesi che la precipitazione sia uniforme su tutto il bacino; in questasituazione la portata la colmo può essere espressa come segue:

ap T

VAQ 278,0= (16)

con: Qp= portata di massima piena [m3/s];0,278 = coefficiente di conversione delle unità di misura;V= volume di deflusso superficiale [mm]A = superficie del bacino [km2]Ta= tempo di accumulo

Il metodo si basa sull’ipotesi che il deflusso superficiale sia funzione delcontenuto idrico del suolo, della pioggia netta (cioè della pioggia depurata delleperdite iniziali per intercettazione), e del contenuto idrico massimo del suolo. Leperdite iniziali possono essere correlate al contenuto idrico massimo, e il volume dideflusso superficiale si può esprimere come:

SPSP

V8,02,0

+−= (17)

dove P = altezza di pioggia critica [mm]S = contenuto idrico massimo del suolo [mm]

Il contenuto idrico massimo del suolo è funzione del parametro CN, che variatra 0 e 100 ed esprime la propensione di un bacino a produrre deflussi in funzionedelle diverse combinazioni suolo-soprassuolo presenti. Valori bassi di CN identificanouna situazione locale poco favorevole alla formazione del deflusso superficiale, mentre

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valori progressivamente crescenti caratterizzano superfici che tendonoall’impermeabilità. Si ha:

−= 101000

4,25CN

S (18)

Nell’ipotesi di pluviogramma di forma rettangolare si ha:

pLa TTT 5,0+= (19)

dove Tp= tempo di pioggiaIl metodo considera un tempo di pioggia critico pari a:

6,0con2 L

ccpT

TTT == (20)

TL = tempo di ritardo, esprime l’intervallo temporale tra il baricentro delpluviogramma e il punto di massimo dell’idrogramma. Un’ampia letteratura empirica ètesa a legare i parametri del metodo alle caratteristiche degli idrogrammi di progetto.Ad esempio, la formula di Mockus correla il ritardo ad alcuni parametri del metodo efisici, i.e.

7,08,05,0 9

1000342,0

−= −

CNLYTL (21)

con Y= pendenza media del bacino [%]

Il metodo proposto dal Soil Conservation Service sintetizza le proprietà deisuoli superficiali relativamente alla loro attitudine alla produzione di deflusso,definendo la permeabilità dei suoli a saturazione con la suddivisione qualitativa inquattro classi (gruppi idrologici),denominati con le lettere da A a D, con attitudinecrescente alla produzione di deflusso superficiale (impermeabilità crescente).

Suddiviso il territorio in esame in gruppi idrologici omogenei, si costruisce unamappa del parametro chiave del metodo, il curve number CN, assegnando alle diversecombinazioni di permeabilità - uso del suolo un valore di questo parametro, comeriportato a titolo di esempio in Tabella V.2.4.

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Gruppi Idrologici

A B C D

Fustaia 13 16 21 25

Fustaia rada 19 23 28 32

Ceduo 24 27 32 37

Ceduo scadente 26 29 34 39

Rupi boscose 29 32 38 43

Arbusteti 32 35 41 46

Prati e colture agrarie 43 46 55 59

Alpi e pascoli 48 51 60 64

Improduttivi 56 59 68 72

Aree urbanizzate 90 90 90 90

Corsi d'acqua e laghi 95 95 95 95

Paludi 95 95 95 95

Tabella V.2.4: Valori di CN per diversi complessi suolo – soprassuolo secondo AMC II (metodo S.C.S. modificato) (SoilConservation Service, 1972).

La tabella di riferimento (Soil Conservation Service, 1972) ha un valoreindicativo sia per il carattere del metodo, sia per il fatto che i parametri in essacontenuti sono stati stimati in condizioni di uso del suolo ed ambientali diverse daquelle proprie del territorio trentino.

Il metodo può tenere in conto diverse condizioni di saturazione del suoloall’inizio dell’evento adeguando il valore di CN tramite un parametro, AMC (AntecedentMisture Conditions), che contempera le precipitazioni cadute in un congruo numero digiorni precedenti l’evento, come riportato in Tabella V.2.5. Vale la pena di osservareche lo stabilirsi di quanti siano i giorni rispetto ai quali valutare lo stato iniziale delbacino dovrebbe a rigore definirsi caso per caso, in ragione dei tempi di esaurimentoprofondo e della dimensione del bacino. È in uso, viceversa, riferirsi in modostandardizzato alla precipitazione nei cinque giorni precedenti l’evento: il che, attesala schematicità del metodo, appare adeguato.

Precipitazione caduta nei 5 giorni precedenti l’evento

Periodo vegetativo Riposo vegetativoAMC

Minore di 35 mm Minore di 13 mm I

tra 35 mm e 53 mm Tra 13 mm e 28 mm II

Maggiore di 53 mm Maggiore di 28 mm III

Tabella V.2.5: Definizione del parametro di stato iniziale del bacino (AMC).

I valori del parametro CN si possono ricavare da apposite tabelle che loriportano per diverse combinazioni suolo-soprassuolo. Solitamente questi valori sonoriferiti alla classe AMC II (intermedia), ma esistono delle tabelle per convertire i valoridi CN così calcolati anche nelle altre 2 classi.

È appena il caso di segnalare che nel caso di bacini caratterizzati da usi delsuolo diversificati e/o da proprietà dei suoli superficiali identificabili per aree

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti72

omogenee, nella relazione (9) andrà inserito un valore di CN medio, <CN>, ottenutocome media pesata sulle aree dei valori delle aree omogenee.

Il calcolo dell’idrogramma di piena di progetto viene in alcuni casi eseguitoutilizzando un modello di simulazione afflussi-deflussi che utilizza qualunque chema diformazione dei deflussi all’interno di un software che applichi il metodo in mododistribuito all’interno del bacino di studio.

L’applicazione del metodo applicato nella forma distribuita, consente didescrivere il processo idrologico in modo più completo. Infatti, l’applicazionetradizionale del metodo SCS con un valore di CN medio, non produce pioggia efficacee quindi deflusso per valori di precipitazione inferiori alle perdite iniziali, anche seall’interno del bacino idrografico si osserva la presenza di zone a scarsa permeabilità,in grado di produrre deflusso anche a fronte di modeste precipitazioni. Tale fenomenopuò essere descritto con l’applicazione di un modello distribuito, ovveroparametrizzando le zone omogenee in modo differenziato e gestendo ciascuna di essein modo indipendente.

Nelle applicazioni si è osservato che, per una data serie di eventi misuratiriportati in un diagramma precipitazione-deflusso, anche la migliore interpolazioneottenuta con l’equazione del SCS applicata in modo concentrato sottostima laproduzione di deflusso degli eventi brevi e, al contrario, tende a sovrastimare quelladegli eventi prolungati nel tempo (Dalla Fontana e Cazorzi, 1993).

L’applicazione di un modello distribuito con l’uso di sistemi informativigeografici consente di seguire la realtà più da vicino visto che vi sono sempre alcuneareole con valori elevati del CN (aree urbane, specchi d’acqua) che produconodeflusso anche per valori bassi di precipitazione. Alla sezione di chiusura giunge quindiuna serie di impulsi di portata (numero di celle per numero di intervalli di calcolo), lacui somma definisce l’idrogramma del deflusso superficiale o diretto. È possibile, poi,supporre che la pioggia caduta e non partecipe al deflusso diretto (pioggia totalemeno la pioggia efficace) sia globalmente cumulata in un unico serbatoio che siesaurisce in modo lineare producendo il deflusso di base.

Il metodo permette di prendere in considerazione diverse condizioni di umiditàdel terreno all’inizio della precipitazione, attraverso il parametro AMC, che esprime ildiverso stato idrico del terreno. Come visto, secondo la formulazione originaria questoparametro può assumere valori discreti variabili da 1 a 3 rispettivamente per unacapacità di deflusso superficiale bassa (1), media (2) o elevata (3). In realtà ilcontenuto idrico del suolo presenta un comportamento continuo e quindi è possibileammettere anche l’uso di valori intermedi. Un tale ragionamento presuppone unavariabilità del parametro AMC anche al di fuori dei valori originariamente previsti equindi che il valore 3, talvolta, non esprima in modo completo la massima capacità diproduzione di deflusso del bacino idrografico. In un’ipotesi progettuale, ipotizzando lecondizioni più sfavorevoli per il bacino idrografico preso in considerazione si puòammettere l’uso di valore di AMC superiori a 3. La correzione dei valori di CN infunzione del parametro AMC avviene secondo le formule empiriche di seguito riportate(Cazorzi, 1996):

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10**

2

2

+=

parBCNparACN

CN (22)

dove i valori di parA e parB sono espressi in funzione di AMC come segue:

47225,008454,2 )80709,0*( −= AMCeparA (23)

058,0100

2,4 −−= parAparB (24)

Un altro aspetto delicato del metodo SCS è la quantificazione delle perditeiniziali. Infatti, parte della pioggia caduta non concorre a produrre deflusso, in quantointercettata dalla vegetazione o trattenuta dal terreno. Secondo la formulazioneoriginale del metodo le perdite iniziali sono quantificate in modo empirico pari al 20%del contenuto idrico del suolo, mentre studi condotti in ambiente alpino hannoevidenziato che tali perdite sono più contenute. È ormai consolidato l’uso di uncoefficiente per la quantificazione delle perdite iniziali pari a 0,1 volte il contenutoidrico del terreno, in sostituzione al valore originale 0,2, anche se per piccoli bacinimontani e ad elevata pendenza alcuni studi idrologici sono stati condotti applicando unvalore di perdite iniziali pari a 0,05 (e.g. Lenzi e Paterno, 1997). Per le caratteristicheintrinseche al metodo, l’adozione di un valore diverso da 0,2 comporta una variazionedei coefficienti originali di CN per le varie combinazioni suolo-soprassuolo.

La propagazione degli impulsi di pioggia efficace alla sezione di chiusura delbacino è influenzata dalla forma e dalla lunghezza del percorso idrografico che sidiparte da ciascuna cella, prima lungo il versante e poi nel reticolo idrografico.L’informazione cartografica tradizionale rappresenta una porzione più o meno estesadella rete idrografica reale, ma non sufficiente a descrivere in modo esteso i percorsidell’acqua lungo i versanti. Ne consegue che la maggior parte delle unità di area chedefiniscono il bacino (generalmente definite celle, o pixel) non sono connesse in modounivoco alla sezione di chiusura. Attraverso l’utilizzo ragionato di sistemi informativigeografici e sulla base della sola mappa digitale delle elevazioni (D.E.M.) è possibilericavare l’insieme di percorsi che collegano ciascuna cella del bacino alla sezione dichiusura in modo univoco (per esempi di programmi di calcolo di analisigeomorfologiche disponibili gratuitamente in rete si vedano e.g. Tarboton, 2001;Rigon e Cozzini, 2001). L’insieme dei percorsi, che si sviluppano seguendo le linee dimassima pendenza, possono essere interpretati come un reticolo idrografico sintetico.Naturalmente una tale interpretazione dipende dai criteri di identificazione automaticadella frazione canalizzata del bacino, e per differenza dell’estesa dei versanti, sullaquale esiste una importante letteratura specifica (e.g. Montgomery e Dietrich, 1988,1992; Dietrich et al., 1993, 1996; Howard 1994; Tarboton et al. 1989, 1991;Rodriguez-Iturbe e Rinaldo, 1997).

Il modello idrologico simula la concentrazione dei deflussi superficiali prodottida una precipitazione uniformemente distribuita, nell’ipotesi di perfetta omogeneitàdel suolo su tutto il bacino.

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L’individuazione dell’insieme dei percorsi delle acque superficiali rendepossibile l’elaborazione dell’area drenata, nel quale ciascuna unità territoriale diriferimento (cella) assume un valore che esprime il numero di celle che fannoconvergere il deflusso in quel punto, definendo il numero di celle che compongono ilbacino orografico sotteso da ciascuna cella.

Un criterio possibile è il seguente. Ipotizzando una distribuzione uniforme deldeflusso sul bacino è possibile individuare l’area minima contribuente (area di soglia)in grado di produrre deflusso superficiale, ossia in grado di originare il reticoloidrografico. Quando su una cella converge il deflusso prodotto da un numero di cellepari o superiore all’area di soglia si ritiene che la cella assuma le caratteristiche di uncanale; questo permette di definire un reticolo idrografico sintetico. Tutte le altre cellesono, per esclusione, classificate come di versante. La scelta dell’area di soglia èun’operazione arbitraria, pertanto per valori diversi produce reticoli differenti, ovveropiù o meno espansi. Altri criteri impiegano valori di soglia della curvatura topograficao valori di area dipendente dalla pendenza locale.

Il modello idrologico da impiegarsi nelle simulazioni in genere potràconsiderare solo aspetti macroscopici del tipo di moto, distinguendo le dinamiche diversante da quelle di alveo. L’attribuzione di un valore di velocità media del deflussosuperficiale lungo il versante e lungo il reticolo idrografico, consente di definire iltempo di propagazione dell’acqua caduta nelle singole celle fino alla sezione dichiusura. All’interno del programma è necessario quindi ipotizzare dei valori medi divelocità negli stati versante e quelli canalizzati.

Il modello afflussi-deflussi basato su un sistema informativo è così in grado dicalcolare l’idrogramma di piena sulla base di alcune mappe raster (mappa del CN,mappa della lunghezza dei percorsi lungo il reticolo sintetico e lungo i versanti) ed inbase ad altri parametri per il controllo del deflusso diretto (parametro AMC per lecondizioni di umidità del terreno, velocità media del deflusso sul versante, velocitàmedia del deflusso in alveo) e del deflusso di base (portata iniziale e coefficiente diesaurimento del serbatoio lineare). Ai fini del calcolo della portata di piena a scopiprogettuali i primi tre parametri sono da considerarsi senz’altro i più significativi. Ilparametro che descrive l’esaurimento del serbatoio lineare assume particolaresignificato nei bacini in cui il deflusso superficiale è scarso o assente, mentre assumemaggiore importanza il deflusso di base.

Vale la pena di menzionare che un tale metodo si configura come casoparticolare di schemi più generali della risposta, che sono di seguito descritti (cfr.V.2.2.2.6).

V.2.2.2.4 Regionalizzazione statistica delle piene

I vari modelli probabilistici per la stima delle portate ad assegnato tempo diritorno conducono, come è noto, a risultati spesso molto differenti fra loro. Inoltre lacapacità discriminante dei tests di adattamento, comunemente utilizzati per la sceltafra le varie distribuzioni, risulta spesso piuttosto limitata. In queste condizioni,l’attendibilità della valutazione dei quantili delle portate può essere inficiatadall’arbitrarietà delle scelte fatte dall’operatore. La variabilità delle stime può risultareparticolarmente sensibile quando si operi si campioni osservati di limitata numerosità,quali normalmente si incontrano nella pratica. Questi problemi, che si incontranofrequentemente nell’analisi puntuale di frequenza delle piene, nonché quelli posti dalla

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 75

necessità di effettuare valutazioni in sezioni del reticolo idrografico privo diosservazioni, hanno portata allo sviluppo di tecniche di regionalizzazionedell’informazione idrometrica disponibile (Cunnane, 1988). Numerosi studi hannodimostrato che le valutazioni ritraibili da queste ultime risultano generalmente piùaffidabili rispetto a quelle puntuali, in quanto caratterizzate da una minore variabilitàdi stima (Lettenmaier, 1988). L’analisi regionale si basa sull’individuazione diraggruppamenti di bacini idrografici che abbiano caratteristiche comuni nei riguardi deifenomeni di formazione delle piene e per i quali, quindi, si possano ipotizzaredistribuzioni di probabilità con qualche caratteristica comune. Essa richiede lapreventiva omogeneizzazione delle osservazioni provenienti dalle diverse stazioniidrometriche. A tal fine, è assai diffuso l’uso del metodo della piena indice (Dalrymple,1965), che consiste nell’adimensionalizzazione delle serie campionarie X (x1, x2, x3,..,xi,…,xn; dove n rappresenta la numerosità campionaria della serie generica), rispettoad un valore caratteristico di ciascuna serie (piena indice), in genere assunto pari alvalore medio µx; successivamente i singoli campioni, così ottenuti, vengono riuniti inun’unica serie, che viene utilizzata ai fini inferenziali. Con il metodo della piena indice,la valutazione del quantile di portata QT di assegnato periodo di ritorno T, vienecondotta tramite la relazione

xTT xQ µ= (25)

dove la procedura inferenziale di tipo regionale fornisce la stima del quantile xT

(curva di crescita) del deflusso normalizzato rispetto alla piena indice µx caratteristicadi ciascun sito fluviale. Tale metodo prevede infine la derivazione di equazioniregionali di tipo multi-regressivo, che legano la portata indice ad alcune caratteristichegeomorfoclimatiche del bacino. Tali legami consentono la stima della piena indice persezioni fluviali prive di osservazioni idrometriche dirette, una volta che il bacinosotteso venga identificato come appartenente ad uno dei gruppi individuati, rendendoquindi possibile la stima della piena indice per sezioni fluviali prive di osservazioniidrometriche dirette, una volta che il bacino sotteso venga identificato comeappartenente ad uno dei gruppi individuati, rendendo quindi possibile la stima deiquantili delle portate al colmo anche in tali sezioni.

L’ipotesi di base dell’analisi regionale è che la distribuzione delle portate alcolmo standardizzate X/µx sia invariante all’interno dei gruppi di baciniidrologicamente omogenei: una assunzione problematica nel contesto del territoriotrentino. L’invarianza della distribuzione equivale, nel caso dei modelli a dueparametri, ad assumere costante nella regione il coefficiente di variazione CV, mentreè necessario valutare l’ipotesi aggiuntiva di costanza del coefficiente di asimmetria CSper il caso di modelli a tre parametri. Di conseguenza, uno degli aspetti più importantidell’analisi regionale è quello dell’identificazione di gruppi di bacini che possanoconsiderarsi omogenei nei riguardi delle caratteristiche di dispersione, edeventualmente di asimmetria, dei massimi valori di portata al colmo. Tale operazionepuò talvolta risultare problematica a causa della notevole variabilità campionaria diqueste statistiche. Il metodo più semplice e più comunemente impiegato perl’individuazione delle regioni omogenee è quello basato sull’adozione di criteri di tipogeografico; tale approccio è stato, ad esempio, adottato dal NERC (1975) per laregionalizzazione delle portate di piena in Gran Bretagna. È comunque da tenerpresente che il criterio geografico non va considerato di validità generale: numeroseesperienze hanno infatti evidenziato come la continuità geografica fra bacini non neimplichi necessariamente l’omogeneità nel regime di frequenza delle piena. In

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alternativa, possono essere utilizzate tecniche di analisi multivariata, in particolarel’analisi dei ‘grappoli’ o ‘cluster analysis’, adottando, come attributi, caratteristichegeomorfologiche e indici climatici dei bacini sottesi; queste tecniche hannorecentemente conosciuto larga applicazione nell’analisi regionale di frequenza dellepiene (Wiltshire, 1986; Wiltshire e Beran, 1987; Acreman e Sinclair, 1986; Burn,1988; Adom, 1990). L’applicazione di tali metodologie produce talvolta tuttaviarisultati geograficamente e climaticamente improbabili, delimitando l’area esaminatain regioni omogenee distribuite a macchia di leopardo, secondo strutture spazialidifficilmente giustificabili con argomenti fisici (cfr. ad es., Brath e Rosso, 1994). Diconseguenza, le ipotesi di omogeneità che sono a fondamento del metodo della pienaindice non vengono talvolta suffragate da un sufficiente riscontro oggettivo (cfr. ades., Stedinger et al., 1993).

Va inoltre osservato che i metodi fondati sul cosiddetto metodo razionalemuovono dalla ipotesi di isofrequenza fra la portata temibile ed il tasso di pioggia checaratterizza i nubifragi (pioggia di progetto). Attraverso una rappresentazione globaledel funzionamento idrologico del bacino in esame, tali metodi trasformano la pioggiatemibile in valori temibili di portata al colmo, associati al corrispondente idrogramma,il cui periodo di ritorno è, a rigore, quello della sollecitazione meteorica. Nei casi piùsemplici, la trasformazione viene rappresentata dalla formula razionale, ma semprepiù sovente si fa ricorso alla simulazione tramite modelli idrologici di piena. Recentiapplicazioni del metodo razionale (qui indicate come Metodo Razionale Esteso) vedonol’utilizzazione di modelli idrologici di tipo distribuito per la simulazione dellatrasformazione afflussi-deflussi, tipicamente implementati su supporto GIS. Taliapplicazioni consentono di descrivere la variabilità spaziale delle caratteristiche diassorbimento e trasporto delle acque sui versanti e lungo la rete idrografica. Per viadell’intrinseca capacità di descrivere la variabilità spaziale di tali caratteristiche, ilmetodo si presta ad un’implementazione distribuita sul territorio. Una volta prodotto losforzo per costruire il modello idrologico ed implementarne la consultazione medianteun supporto cartografico automatico, la previsione di piena può essere agevolmentecondotta su ogni ramo del reticolo idrografico e coprire quindi l’intera gamma dellescale spaziali contemplata nel modello. Inoltre, il metodo si presta a valutazioni inpresenza di modificazioni delle coperture e degli usi del suolo. In tal modo, è possibilevalutare la sensitività del regime di piena in relazione a cicli climatici naturali e/ointerventi antropici distribuiti sul territorio stesso.

La metodologia soffre peraltro in ragione di almeno due motivi: i) le incertezzetipiche derivanti dalla implicita difficoltà di stima del valore dei parametri utilizzatinella modellazione idrologica; ii) l’ipotesi di isofrequenza fra la portata temibile e iltasso di pioggia dei nubifragi, che può risultare non necessariamente realistica.L’esigenza di prefissare l’andamento temporale e spaziale del nubifragio di progettointroduce ulteriori elementi di arbitrarietà.

Risulta pertanto evidente dalla esposizione precedente come entrambe lemetodologie sinteticamente illustrate soffrano di limitazioni oggettive. In particolare,l’utilizzazione del metodo razionale esteso, mentre appare idonea a cogliere ladistribuzione spaziale delle caratteristiche del regime di piena, non è necessariamentein grado di riprodurre per intero l’andamento della distribuzione di frequenza delleosservazioni. In modo speculare, le tecniche statistiche di regionalizzazione sembranofornire prestazioni più convincenti proprio per la stima delle statistiche di ordinesuperiore, e, quindi, della curva di crescita xT. Queste considerazioni indicano

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l’opportunità di procedere alla stima delle portate di piena QT tramite uno sviluppointegrato delle due impostazioni, quella statistica, propria dell’analisi di frequenzaregionale, e quella concettuale, propria del metodo razionale, con l’intento di miraread un’utilizzazione ottimale delle peculiarità di entrambe.

Le sezioni seguenti sono dedicate alla presentazione di tale metodologia, conlo specifico obiettivo di evidenziare tre caratteristiche di possibili procedure diprevisione statistica delle piene:

• possibilità di piena utilizzazione del metodo nel caso di bacini montani di modestaestensione spaziale (ovvero per bacini idrografici di estensione spaziale nonmaggiore di 200 km2);

• caratteristiche di utilizzazione omogenea ed uniforme della procedura sull’interoterritorio della Provincia di Trento;

• possibilità di accesso e consultazione della metodologia mediante modernetecnologie informatiche di analisi spaziale dei dati territoriali.

Uno studio regionale del regime di piena esteso al Triveneto è statocompletato recentemente ad opera del CNR-IRPI di Padova nell’ambito del progettoVAPI-CNR (Villi et al. 2002). Sulla scorta delle elaborazioni effettuate a scalaregionale, condotte utilizzando le 25 serie di osservazioni idrometriche ultra 30-ennali,il progetto VAPI è pervenuto a due risultati:

• la stima della cosiddetta curva di crescita regionale, ovvero della relazione chelega, per ogni sezione idrometrica considerata, il valore di xT, (rapporto fra laportata al colmo QT, di assegnato tempo di ritorno T, e la media dei colmimassimi annuali nella medesima sezione µx), ed il tempo di ritorno T stesso;

• l’identificazione delle leggi che consentono la determinazione della piena indiceµx.

Utilizzando, secondo la procedura VAPI, la distribuzione TCEV (TwoComponents Extreme Value, Rossi et al., 1984), le stime dei parametri che lacaratterizzano assumono i seguenti valori:

Λ*=0,8937Θ*=2,0184Λ1=15,862che comportano una legge di crescita regionale (nella sua forma

approssimata):

)ln(4396,0544,0 TxT += (26)

La curva di crescita porge pertanto i seguenti valori per i tempi di ritorno dimaggior interesse tecnico:

T 5 10 30 75 100 200 500 1000

xT 1,254 1,561 2,273 2,452 2,579 2,886 3,291 3,598

Tabella V.2.6: Valori del parametro xT per diversi tempi di ritorno.

La stima della piena indice è stata parimenti effettuata. Per la determinazionedella portata al colmo di dato tempo di ritorno QT occorre moltiplicare il valore di xT

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per quello della portata indice, in questo caso coincidente con la media dei colmi µx.Per le varie zone del Triveneto sono state stimate le relazioni interpolari di seguitoriportate in Tabella V.2.7.

Bacino Relazione

Alto bacino fino a Tel e Rienza fino alla confluenza µx =10,4 10-2 A 200<A<2000

Affluenti dell’alto Adige e della Rienza µx =5.5 A 0,52 70<A<800 (1)

Affluenti medio bacino dell’Adige da Merano a

Roveretoµx =10,63 A 0,40 70<A<1200 (2)

Adige

Asta principale da Merano a Rovereto µx =0,4444 A 0,844

Parte montana µx=0,5608 A 0,88 20<A<500 (3)Brenta e Piave

Bassa valle del Piave, del Brenta e affluenti µx=1,76 A 0,78 (4)

Tagliamento Valle del Tagliamento-Fella µx=0,67 A 50<A<2000 (5)

Livenza Parte montana µx= 10,19 A 0,45 40<A<300 (6)

Bacchiglione Intero bacino µx =13.58 A 0,42 100<A<1400 (7)

Tabella V.2.7: Parametri a e b delle relazioni µx.=aAb, per i bacini del Triveneto (dove A rappresenta la superficie delbacino, in km2, e la portata µx è espressa in m3s-1).

a) la curva tarata come interpolare delle 4 coppie di valori µx -A (relative alle sezionidell’Isarco a Bressanone, Aurino a Caminata ed a S. Giorgio, del Rio Riva aSeghe di Riva) che presentano i contributi più elevati della zona rappresentaquindi una curva inviluppo.Recenti stime su portate di piena dell’Avisio, effettuate tramite il bilancio afflussi-deflussi al serbatoio di Stramentizzo, sembrano indicare valori di portate mediepiù elevate rispetto a quelle stimabili dai dati reperibili sulle pubblicazioni delServizio Idrografico Italiano. Appare pertanto consigliabile, ai fini delle stimedella portata indice dei tributari del medio bacino dell’Adige, procedere averifiche puntuali basate sulla frequenza di esondazioni segnalate in relazionealla capacità di portata degli alvei;

b) la curva ottenuta come interpolare di 5 coppie µx - A (Piave a Ponte Cordevole,Presenaio e Ponte della Lasta, Mis a Ponte S. Antonio e Boite a Vodo) (curvainviluppo);

c) la curva tarata utilizzando dati del Cordevole pubblicati su specifici studi sullavalle del Piave.La curva sovrastima i dati delle m(Q) per le sezioni idrometrcihe del Fella aDogna e del Tagliamento. La relazione vale solo per la parte montana del bacino.

d) la stima effettuata impiegando due sole coppie di dati (Astico a Forni diValdastico e Bacchiglione a Montegaldella). Appare pertanto consigliabile, ai finidelle stime della portata indice, procedere a verifiche puntuali basate sullafrequenza delle esondazioni segnalate in relazione alla capacità di portata deglialvei.

Sulla base dei risultati ottenuti e della metodologia applicati, la proceduramessa a punto tramite il progetto VAPI risulta difficilmente utilizzabile per l’analisidelle piene per bacini di piccola dimensione. Questo per tre motivi:

• le piene osservate nei bacini di dimensione maggiore di 300-500 km2 risultanoinfluenzate in modo marcato dalla distribuzione spaziale e temporale della

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precipitazione (basti pensare alla struttura della formazione delle piene lungol’asta dell’Adige a valle della stazione di Bronzolo, dove i contributi dell’Adige edell’Isarco quasi mai si sommano in modo diretto);

• per le sezioni idrometriche poste lungo l’asta dell’Adige, e quindi corrispondenti aibacini idrografici di dimensioni maggiori, hanno storicamente giocato un ruoloimportante le sorgenti di non stazionarietà dovute alla costruzione di serbatoiartificiali;

• le relazioni individuate per la stima della piena indice non si prestano ad unautilizzazione nel caso di bacini di ridotta dimensione. Per il medio bacinodell’Adige, ad esempio, lo studio del regime di piena propone una relazioneinterpolare valida solo per bacini bacini di estensione superiore a 70 km2.

Sulla base di queste osservazioni, si propone di stabilire una nuova procedurastatistica di regionalizzazione, limitata ai soli dati relativi a piccoli e medi baciniidrografici nella zona dell’Alto e Medio Bacino dell’Adige, del Sarca, del Brenta e delBacchiglione.

I dati disponibili sono relativi ai bacini idrografici indicati in Tabella V.2.8.

Bacino idrografico Superficie [km2]

Isarco a Prà di Sopra 652

Rienza a Monguelfo 273

Aurino a Cadipietra 155

Ridanna a Vipiteno 206

Rio di Rive a Seghe 91

Gadera a Mantana 387

Avisio a Soraga 208

Avisio a Pezzè di Moena 212

Travignolo a Sottosassa 102

Sarca a Ponte Seghe 23

Posina a Stancari 114

Tabella V.2.8: Bacini idrografici considerati nella messa a punto della procedura di regionalizzazione statisticaproposta.

Ai dati già disponibili verranno aggiunte le serie storiche rese disponibilidurante il progetto.

Si propone l’adozione della legge generalizzata dei valori estremi (GEV:Generalized Extreme Values) quale modello statistico della curva di crescita delmassimo annuale della portata al colmo di piena. La scelta è basata sul favorevolebilancio fra prestazioni e semplicità operativa che caratterizza l’applicazione delmodello GEV per la descrizione delle curve di crescita regionali nell’area oggetto diindagine. La GEV, proposta da Jenkinson (1955) per ottenere un’unica espressione perle tre leggi asintotiche dei valori estremi, si scrive nel modo seguente:

−−−=

kxkxP

1)(

1exp)(α

ξ(27)

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dove k, α e ξ sono i tre parametri (rispettivamente, di forma, di scala e diposizione) della distribuzione. La stima regionale dei parametri della distribuzioneverrà condotta utilizzando la tecnica dei momenti lineari (L-Moments; Hosking, 1990).Gli L-moments sono quantità analoghe ai momenti convenzionali ma sono stimati sullabase di combinazioni lineari di statistiche di diverso ordine. Quantità analoghe airapporti di momenti convenzionali quali il coefficiente di variazione CV, il coefficientedi asimmetria CS ed il coefficiente di appiattimento (o di curtosi) sono i rapporti di L-moments: L-CV, L-CS e L-kurtosi.

Un importante vantaggio dei momenti lineari è costituito dal fatto che, poichéquesti sono funzioni lineari dei dati, risentono meno della variabilità campionaria edella distorsione dovuta alla elevazione a potenza dei dati. È ben noto, infatti, chestime di CV e CS basate su campioni di limitata numerosità (inferiori a 100 elementi)soffrono di significativa distorsione e variabilità campionaria (Fischer, 1929; Hazen,1930; Wallis et al., 1974). Wallis et al. (1974) hanno mostrato come le proprietàcampionarie (distorsione e varianza) degli stimatori convenzionali dei momentistatistici dipendano dal tipo di distribuzione di probabilità cui appartiene il campione.Per questo motivo, le metodologie introdotte per limitare l’influenza della distorsionesu tali stime sono generalmente coronate da limitato successo. I momenti lineariintrodotti a Hosking (1990) sono, per contro, quasi indistorti per tutte le distribuzionied anche per basse numerosità campionarie. I momenti lineari sono descritti inletteratura, fra gli altri, da Hosking (1990), Stedinger et al. (1993), Wallis (1989),Vogel e Fennessey (1993) e Wang (1996).

I primi quattro momenti lineari sono definiti nel modo seguente

[ ][ ]

[ ]

[ ]

2

44

2

33

1

22

4:14:24:34:44

3:13:23:33

2:12:22

1:11

3341

23121

λλτ

λλτ

λλτ

λ

λ

λ

λ

=

=

=

−+−=

+−=

−=

=

XXXXE

XXXE

XXE

XE

(28)

dove Xj:m indica la variabile posta in posizione j in un campione di dimensionem ordinato in senso crescente ed E[ ] indica l’operatore di media. Il calcolo deimomenti lineari è tradizionalmente effettuato utilizzando i momenti pesati inprobabilità (probability weighted moments, Greenwood et al., 1979). È possibile,tuttavia, fondare la stima dei momenti lineari direttamente sulla loro definizione, comemostrato da Wang (1996). Utilizzando quest’ultima opzione, e prendendo il caso di λ2

come esempio, questo momento viene calcolato(i) selezionando tutte le possibile coppie di valori del campione,(ii) calcolando per ciascuna coppia la differenza come indicato in (28),

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(iii) calcolando la media di tutte le differenze così ottenute, ed infine(iv) dividendo il risultato per due.

Generalmente λ2 assume valori che sono all’incirca la metà dei valori delladeviazione standard del campione. Il momento lineare di primo ordine è equivalentealla media del campione. Si nota che i rapporti dei momenti lineari possono assumerevalori compresi in un intervallo limitato, essendo |τr|<1 per r=3,4 e 0<τ2 <1 percampioni costituiti da elementi di valore positivo.

La verifica delle ipotesi di suddivisione del territorio in zone omogenee verràeseguita utilizzando i consueti test statistici e sulla base del test della statistica Hbasato sull’analisi degli L-moments (Hosking e Wallis, 1993). H rappresenta un indicedi eterogeneità relativo alla zona indagata: valori di H<1 indicano omogeneità, H>2eterogeneità.

V.2.2.2.5 Modelli geomorfologici della risposta idrologica –cenni sui modellidistribuiti

I caratteri principali della risposta idrologica dei bacini possono essere dedottitramite l’analisi della loro morfologia, di cui è disponibile una descrizione numerica conSistemi Informativi Territoriali in particolare con riferimento alla manipolazionenumerica dei modelli digitali del terreno (per esempi di programmi non commerciali dianalisi geomorfologiche si vedano e.g. Tarboton, 2001; Rigon e Cozzini, 2001). A talfine, la descrizione morfologica dei bacini viene conseguita tramite la rappresentazionedei percorsi di drenaggio e la definizione automatica del reticolo idrografico, previacaratterizzazione dei percorsi in tratti di versante e tratti di canale tramite ladefinizione di regole opportune per la individuazione della soglia.

Il metodo generale che sfrutta l’informazione distribuita disponibile dallemappe digitali del terreno è il metodo mutuato dalla teoria geomorfologica dellarisposta idrologica, un campo di ricerca e di applicazioni iniziato da un classico lavorodi Rodriguez-Iturbe e Valdes (1979).

Una prima caratterizzazione degli idrogrammi di piena può essere ottenutasemplificando radicalmente i processi dinamici. Infatti, associando tempi di residenzadistinti ai tratti di versante ed ai tratti canalizzati, e note le velocità con cui i diversitratti vengono percorsi, è possibile ottenere direttamente una misura del deflusso checompendia la dettagliata geometria del bacino e della rete idrografica. Dette uc ed uh

le velocità con cui vengono percorsi i tratti rispettivamente canalizzati e quelli noncanalizzati, il tempo generico di residenza, T, per ogni volume di pioggia efficacerilasciato in un punto arbitrario nel bacino sarà data da (Rinaldo et al. 1995):

hch

h

c

c TTuL

uL

T +=+= (29)

dove Lc ed Lh sono rispettivamente le lunghezze dei tratti di percorso (dalpunto arbitrario) all’interno della rete e lungo il versante, e Tc e Th i relativi tempi diresidenza. Nel caso si analizzi l’intero bacino il tempo di residenza complessivodipenderà dalla variabilità spaziale delle due velocità e dalla distribuzione spaziale deidue tipi di percorso. Si può provare che l’equazione (29) rimane valida per il tempomedio di residenza nel bacino, E(T), non appena alla lunghezza dei percorsi interni ed

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esterni alla rete si sostituiscano le lunghezze medie dei tratti lungo versanti, <Lh>, enei canali, <Lc>, e la forma dei primi non dipenda consistentemente dalla distanzadalla sezione di controllo. Nell’ipotesi che le due velocità si possano considerarecostanti su tutto il bacino si può ricavare il tempo medio di residenza nel bacini (Rigonet al., 1996):

( ) ( ) ( )htc

TEAAuDC

TE +−= −− ββ 11 (30)

dove E(Th) è il tempo medio di residenza sui versanti, A è l’area totale delbacino, At definisce l’area media di un versante (determinata dalla soglia topograficadella canalizzazione cfr. Montgomery e Dietrich, 1988, 1992), β è l’esponente delladistribuzione delle aree cumulate – variabile in natura nel campo 0,40-0,50(Rodriguez-Iturbe e Rinaldo, 1997). Inoltre C è un’opportuna costante, e Drappresenta la densità di drenaggio, definita come il rapporto fra la lunghezza totaledei canali e l’area del bacino. L’equazione (30) indica che per piccole aree contribuentiil termine di versante domina la risposta idrologica ed il tempo di residenza all’internodel bacino è all’incirca costante, mentre per aree più estese il tempo medio risultabene approssimato da una legge di potenza il cui esponente varia da 0,35 a 0,5.Questi risultati forniscono un’indicazione relativa alla significativa influenza che verràesercitata sul risultato della modellazione idrologica dalla corretta valutazionedell’estensione del reticolo idrografico.

La metodologia descritta si presta a descrivere in modo dettagliato lavariabilità spaziale del regime di piena e reclama quindi una implementazionedistribuita lungo il reticolo idrografico. A tal fine, si prevede la possibilità d’uso delmodello in modo tale da rendere possibile la valutazione automatica delle pienetemibili in corrispondenza di sezioni generiche del reticolo idrografico selezionatedall’operatore.

Il caso citato, di semplice esposizione e dichiaro significato fisico, si dimostracaso particolare dello schema geomorfologico generale.

Il modello generale si basa sulla teoria geomorfologica della risposta idrologica(Rodriguez-Iturbe e Valdes, 1979; Rodriguez-Iturbe et al., 1980; Gupta e Waymire,1983; Mesa e Mifflin, 1988; Rosso, 1984; Troutman e Karlinger, 1985; Karlinger eTroutman, 1985; Rinaldo et al., 1991; Rinaldo e Rodriguez-Iturbe, 1996). Questa sifonda sulla definizione delle distribuzioni di probabilità dei tempi di residenza neidiversi stati (stati versante e stati canale) e su un postulato generale di indipendenzastatistica del tempo di residenza in stati morfologicamente diversi. Infatti ladistribuzione dei tempi di residenza successivi ad un impulso istantaneo ed unitario diprecipitazione efficace è la risposta del bacino, i.e. il suo idrogramma istantaneounitario. Praticamente, lo schema generale richiede la definizione dei percorsiidrologici del bacino, con cui comporre le distribuzioni dei tempi di residenza perconvoluzioni successive (‘nested’) secondo la reale composizione dei percorsi. Èappena il caso di segnalare che i metodi razionale, cinematico, dell’invaso e numerosimodelli concettuali della risposta del bacino (del tipo del modello di Nash o di Dooge)si dimostrano casi particolari dello schema generale. Dunque la pratica può suggerireschemi particolari e sperimentati in luogo di quello generale: ma la teoria può ritenersiconclusa ed aperta alle applicazioni.

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Le distribuzioni dei tempi di residenza in rete si possono dedurreanaliticamente da uno schema parabolico che include sia fenomeni cinematici che diinvaso (Rinaldo et al., 1991), che viceversa nello schema suesposto (Eq. 10) silimitavano ad una definizione deterministica di velocità costante nei due stati possibili,versante e canale. Le complesse sequenze di convoluzioni delle pertinenti densità diprobabilità, necessarie alla soluzione dello schema morfologico generale (e.g. Gupta eWaymire, 1983), sono calcolabili con algoritmi accurati di trasformata integrale cherendono trascurabile l’errore numerico anche per lunghe simulazioni. Le ‘pathprobabilities’ o probabilità di percorso necessarie alla determinazione del peso relativodei diversi percorsi (e.g. Gupta e Waymire, 1983) sono dedotte direttamente dalledistribuzioni sintetiche o sperimentali delle precipitazioni (si osservi che nel caso più inuso si suole assumere che la probabilità di percorso sia semplicemente il rapporto fral’area del versante in testa al percorso idrologico e l’area dell’intero bacino: ciò chepostula precipitazione uniforme. Ogni possibile variante discende direttamente con uncalcolo numerico laborioso ma non difficile).

È da osservare che la suddivisione rete-versanti, da frasi sulla base di unmodello digitale del terreno (DEM) con tecniche automatiche di individuazione dellafrazione canalizzata del bacino, deve essere opportunamente in grado di risolvere ogniambiguità nella definizione delle direzioni di drenaggio in presenza di areetopograficamente convesse, ovvero per topografie divergenti (Tarboton et al., 1991;Dietrich et al., 1993; Cabral & Burges, 1994; Rodriguez-Iturbe e Rinaldo, 1997;Tarboton, 2001).

Non pare inopportuno menzionare le possibilità delle nuove teconologie per ladescrizione delle proprietà superficiali e di uso del suolo dei sottobacini con algoritmidi estrazione automatica secondo metodi di classificazione di dati multispettraliLandsat ETM 7. In particolare è suggerito l'algoritmo di classificazione controllata delloSpectral Angle Mapper (Kruse et al., 1993), segmentando il territorio in classi dicopertura (e.g. boschi, aree urbanizzate, incolto scoperto, aree a pascolo) di interesseidrologico. In base a tale partizione del territorio è possibile determinare i parametriche controllano i processi di formazione dei deflussi. Il modello di produzione dideflusso da utilizzars è arbitrario, com’è logico: pur se appare sensato applicare ilmetodo del Soil Conservation Service (cfr. V.2.2.2.3) per il quale è anche possibilelegare direttamente il valore dei parametri ad osservazioni satellitari (e.g. Ragan eJackson, 1980).

Va segnalato che il metodo si presta ad applicazioni rilevanti bacini fortementeantropizzati quali quelli del Trentino. Ad esempio, nel caso di presenza di serbatoiidraulici, è possibile affinare il calcolo idrologico con il calcolo idraulico locale deglieffetti dei volumi di invaso e delle regolazioni. La laminazione delle piene in serbatoiidraulici può essere condotta, infatti, a partire dall'idrogramma idrologico in ingressoal serbatoio che viene enucleato dallo schema geomorfologico. Viene poi integratal’equazione dei serbatoi per le diverse manovre e geometrie degli scarichi e degliinvasi, e reimmettendo l'idrogramma in uscita nello schema geomorfologico (cfr.Rinaldo et al. 2002).

La determinazione della risposta idrologica secondo gli schemi del tipomorfologico richiede generalmente la determinazione di due parametri dinamici, uno

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per la celerità di propagazione nella rete idrografica (potendosi riguardare ladispersione idrodinamica (cfr. Chow, 1959; Moisello, 1998) nello schema comesostanzialmente ininfluente in un ampio intervallo di valori fisicamente significativi cfr.Rinaldo et al., 1991) ed uno per i tempi di residenza fuori rete se, come appareragionevole, ci si affida ad una distribuzione esponenziale dei tempi di residenza neglistati esterni alla rete idraulica. In ogni modo, l’onere delle calibrazioni risulta ridottorispetto a schemi distribuiti della risposta idrologica. La situazione ideale dovrebbeconsentire di confrontare la celerità nei divesi rami della rete idraulica mediata da:misure idrologiche di campo in diverse sezioni significative dei corsi d’acquainteressati al modello idrologico di piena; calcoli di moto uniforme; leggi di scala conl’area di drenaggio, producendo schema geomorfoclimatici (Rodriguez-Iturbe et al.,1980) in cui la celerità in ogni tronco di rete dipende dalla intensità dell’evento, dallapendenza e dalle geometrie dedotte da DEM. I tempi di residenza esterni alla reteidraulica sono definiti da distribuzioni esponenziali, in cui il tempo medio è scalato conla densità di drenaggio locale calcolata da DEM. L’esaurimento profondo, descritto dauna distribuzione esponenziale, è dedotto direttamente dagli esaurimenti osservati.

La Figura V.2.3 mostra un esempio delle potenzialità di metodi geomorfologici-Montecarlo con riferimento al bacino del Brenta chiuso a Bassano (Rinaldo et al.,2002).

0

500

1000

1500

2000

1 10 100TEMPO DI RITORNO (anni)

PO

RT

AT

A A

L C

OL

MO

(m3 /s

)

CORLO REGOLATO A QUOTA: 262 m

CORLO REGOLATO A QUOTA: 240 m

Figura V.2.3: Tempo di ritorno della portata al colmo del F. Brenta a Bassano del Grappa in diverse ipotesi diregolazione del serbatoio del Corlo (da Rinaldo et al., 2002).

Lo studio, non di stretto interesse Provinciale per l’ampia porzione di bacinoidrografico di competenza della Regione del Veneto, si segnala per questionimetodologiche e per alcune similarità con i bacini fortemente antropizzati del Trentino.

Infatti la relazione fra portata al colmo e tempo di ritorno è dedotta simulandostocasticamente (cfr. V.2.1.4.2) cento anni di distribuzioni spazio-temporali di pioggemassime annuali di durata pari a due giorni (critiche per i valori del colmo di piena),con i quali si sono prodotti cento idrogrammi di piena completi in due diverse ipotesidi gestione idraulica del territorio. Le due ipotesi interessano la gestione del serbatoiodel Corlo, posto quasi in chiusura del T. Cismon, affluente di sinistra del Brenta,

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 85

appena fuori dal territorio provinciale. Il tempo di ritorno delle portate a Bassano indue diverse condizioni di regolazione del livello del serbatoio del Corlo È calcolatosimulando la laminazione di tutte le cento piene così determinate.

L’effetto della regolazione, senza ulteriori misure strutturali di contenimentodelle piene, è da ritenersi significativo nel caso del Brenta a Bassano. Dalla FiguraV.2.3 si nota che valori modesti della portata di piena (verosimilmente associati avalori paragonabili del ritorno probabile dei volumi in gioco) sono in ogni caso mitigatidall’invaso posto al di sopra della quota degli scarichi, talchè le portate nelle dueipotesi di gestione idraulica sono vicine. Per piene più intense la differenza di volumeinvasabile produce sensibili differenze nelle portate scaricate, e dunque nel rischioidraulico a Bassano. Per valori estremi delle piene, superiori alla piena centenaria, ilvolume di laminazione diviene rapidamente insufficiente indipendentemente dallaregolazione. L’esempio citato è da ritenersi rilevante per il PGUAP. Infatti il dibattitosopra l’effettiva capacità di laminazione delle piene conseguente ad un diverso uso deiformidabili serbatoi Trentini esistenti (si pensi, ad esempio, alla diga di S. Giustina sulT. Noce) potrebbe utilmente beneficiare di tali procedure.

Va osservato, in conclusione, che la struttura dei modelli analizzati permette diutilizzarli direttamente, senza ritarature, nella previsione degli effetti di un mutato usodel suolo e di scenari di cambiamento climatico; e nella determinazione nongrossolana dei tempi di ritorno delle piene a valle di costruende (o ipotizzate) opere didifesa.

È infine da menzionare l’ampia classe di modelli distribuiti della rispostaidrologica che combinano informazioni dai sistemi informativi geografici (si veda, peruna recente analisi, e.g. Gebremeskel et al. 2002). Tali modelli presuppongono unamole importanti di dati territoriali per la loro taratura. È verosimile che bendifficilmente essi possano considerarsi strumenti per la progettazione di opere esistemazioni entro il tempo di vita del presente Piano. Non pare ragionevole, d’altraparte, doverli escludere per questioni di principio dalle linee guida per ladeterminazione delle portate di piena. Pare infatti sensato affidare agli uffici provincialicompetenti il giudizio sopra l’opportunità della accettazione di modelli di un tale tipo:escludendosi, viceversa, l’opportunità di raccomandarli per applicazioni di interessepratico.

V.2.2.2.6 Parametrizzazione, calibrazione ed implementazione

Le linee guida devono prevedere l’impostazione e il perseguimento di unametodologia – composta di analisi di sensibilità e di verifiche - tale da accertare lacapacità del metodo di ricostruire curve osservate di frequenza di piena con minimavarianza di stima e con minima complessità strutturale del modello (Flood StudiesReport, I.6.7 e Flood Estimation Handbook, 4.36 e segg.).

Una regola generale relativa alla selezione dei parametri della funzione dipropagazione dei deflussi verrà dedotta sulla base di misure idrometrografiche,accoppiate alla stima dei campi spazio-temporali corrispondenti delle precipitazioni,relative ad eventi di piena osservati in più bacini idrografici localizzati nelle Alpinordorientali. Sulla base di tali informazioni sono stimate le risposte idrologiche deibacini con qualunque metodo, e sono quindi selezionati i valori dei parametri checonsentono l’accurata ricostruzione di tali stime. Tale dotazione sperimentale è anche

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti86

da utilizzarsi per confermare la procedura di identificazione della soglia diindividuazione dei canali rispetto ai versanti.

I parametri che figurano nelle funzioni destinate a descrivere il processo diformazione del deflusso superficiale sono caratterizzati sia in senso fisico (stante laloro relazione con caratteristiche fisiche riconoscibili dei suoli e dei loro usi) che insenso statistico. Infatti, poiché le distribuzioni di probabilità dei nubifragi e delleportate temibili non sono in generale del tutto congruenti (Titmarsh et al., 1995), ognifattore che consente la conversione dalle prime nelle seconde deve poter variare con ilperiodo di ritorno considerato per il calcolo.

Uno studio di piena proporzionato deve prevedere:

• la definizione di una procedura di determinazione del massimo potenziale diritenzione idrica e della sua variabilità spaziale sulla base delle informazionidisponibili a scala provinciale;

• il controllo dell’affidabilità della procedura di stima del massimo potenziale diritenzione idrica mediante confronto con i valori medi a scala di bacino deducibilidall’analisi dei dati pluvio-idrometrici disponibili per una serie di eventi di piena inalcuni bacini rilevanti il caso di specie;

• la definizione della relazione fra potenziale massimo di ritenzione idrica, perditeiniziali e condizioni di saturazione del bacino all’inizio dell’ipotetico evento dipiena (tale relazione dovrà essere definita per diversi tempi di ritorno di interessetecnico);

• la verifica della relazione in base alla ricostruzione tramite modello afflussi-deflussi della curva di crescita regionale e della distribuzione di frequenza delleportate osservate in corrispondenza di alcuni bacini idrografici;

• il confronto fra stime puntuali della portata indice lungo il reticolo idrografico. Talistime verranno verificate sulla base della capacità di portata degli alvei (portataa piene ripe, che nella regione in esame è usualmente caratterizzata da unafrequenza di superamento pari a 1-2 anni). Per altra via, la stima distribuita dim(Q) può essere conseguita calcolando il rapporto fra la portata di esondazione,cui si attribuisce una frequenza pari al numero di esondazioni censite in relazioneal periodo di osservazione, ed il rispettivo coefficiente di crescita regionaledeterminato tramite la procedura statistica di regionalizzazione;

• lo sviluppo di una procedura atta alla ricostruzione della distribuzione spaziale delmassimo potenziale di assorbimento tramite un adatto sistema informativoterritoriale.

L’implementazione del metodo richiede la definizione delle caratteristicherelative alla forzante meteorologica, in termini di durata, forma e riduzione all’area.

Se è sensato assumere precipitazioni uniformemente distribuite sul bacini (cfr.V.2.1.1), la forzante meteorologica verrà definita in base alle linee segnalatrici diprobabilità pluviometrica (LSPP), recentemente definite e rese disponibili per l’areaTrentina tramite procedure di estrapolazione spaziale. L’implementazione delle LSPPtramite un supporto informatico georeferenziato ridurrà gli errori materiali di

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 87

consultazione del materiale cartografico necessario a rappresentare la variabilitàspaziale delle LSPP, tramite l’interrogazione di mappe raster dei parametri costitutivi.

Quando siano disponibili stime spazialmente distribuite delle linee segnalatricipuntuali, estese ad un assegnato bacino, la linea segnalatrice associata al bacino puòessere dedotta essenzialmente tramite due vie diverse:i) viene calcolata la media a scala di bacino dei parametri necessari per la

costruzione della linea segnalatrice invariante di scala;ii) si calcolano le precipitazioni a scala di bacino per ogni durata e tempo di ritorno,

e si tracciano successivamente su questa base le linee segnalatrici valide per ilbacino.

Per quanto riguarda la forma dello ietogramma di progetto, da un punto divista metodologico risulta possibile operare mediante l’introduzione di forme sintetichedello ietogramma. In alternativa, è possibile conservare la proprietà di invarianza discala della pioggia nel tempo, rappresentata dall’esponente della LSPP. L’adozionedella prima soluzione è oltremodo opinabile, in quanto l’estrapolazione geografica delprofilo di pioggia introduce enormi incertezze. La seconda presenta, senza dubbio, unamaggiore coerenza con la dinamica prevalentemente scala invariante dei nubifragimaggiori. Essa fornisce poi risultati soddisfacenti soprattutto quando l’allocazionetemporale della massima intensità dello ietogramma rispetta la prevalente dinamica discroscio del sito in esame (per esempio, frontale, ciclonica o convettiva). Pareopportuno vengano considerati tutti i diversi scenari scala-invarianti didisaggregazione della pioggia T-ennale, avendo scelto un opportuno passo temporaleper l’integrazione del modello. I risultati verranno valutati in termini di qualità dellaricostruzione da parte del metodo della curve di frequenza osservate, e comparati conquelli ottenibili mediante la semplice ipotesi di andamento uniforme nel tempo delloietogramma di progetto.

Nell’ambito dello studio verrà stabilita una metodologia per la definizioneautomatica della durata della precipitazione di progetto, che sarà determinata inrelazione alla risposta idrologica (idrogramma dei tempi di contribuzione), in modotale da rendere massimo il picco di portata risultante.

L’assunzione di particolari forme funzionali per il fattore di riduzione all’arearisulta estremamente incerta, sia perché rimane tuttora oscura la struttura stocasticadella variabilità spaziale dei nubifragi, sia perché mancano esaurienti ed aggiornatistudi strumentali in materia. In generale, il fattore di riduzione non dipende soltantodall’area del bacino e dalla durata della precipitazione, ma anche dalla forma edall’evoluzione del campo di pioggia, a loro volta determinati dall’interazione fraorografia e meteorologia. I diversi metodi utilizzabili sono spesso legati all’ambiente divalidazione per cui sono stati concepiti, così che la loro estrapolazione ad ambienticlimatici e geografici diversi è soggetta ad incertezze più o meno elevate. Si puònotare che anche in questo campo è possibile utilizzare, almeno teoricamente, ilconcetto di invarianza di scala.

Stante le incertezze relative alla stima del fattore di riduzione all’area delleprecipitazioni di progetto, la virtuale assenza di dati che ne consentano la

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti88

determinazione, e la modesta estensione spaziale dei bacini idrografici oggetto dellostudio, tale fattore non verrà esplicitamente considerato nello studio.

Per quanto invece concerne l’utilizzo di modelli delle distribuzioni spazio-temporali delle precipitazioni (cfr. V.2.1.4), i valori sono direttamente distribuiti alsuolo, e qualunque modello di formazione dei deflussi propone le medesimeproblematiche.

Il grado di dettaglio richiesto alla tratura degli strumenti di uno studioidrologico varia grandemente con l’importanza del problema di specie. Per problemi diuna certa rilevanza, è sempre opportuno riferirsi a misure idrologiche per la taratura.La classica procedura di minimizzazione dei quadrati degli scarti fra osservazioni diportata nel tempo e simultanei valori simulati con qualunque schema (che mantienecome parametri della ottimizzazione i parametri del modello idrologico) si segnalacome il metodo generalmente considerato più robusto ed affidabile. Per problemi dipiccola scala ed opere di modesta importanza metodi empirici di larga massima sonodi certo sufficienti. Come altrove osservato nel presente Piano, la procedura ritenutapiù affidabile è quella di affidare la decisione sopra il grado di dettaglio necessario alleindagini idrologiche agli uffici Provinciali competenti.

Un obiettivo di particolare importanza per il Piano concerne la valutazione dellaportata di progetto per una qualsiasi sezione del reticolo idrografico provinciale.Appare opportuno che nel tempo di vita del presente Piano, l’AmministrazioneProvinciale si doti di software adeguato di analisi e restituzione specificatamentededicato all’analisi di piena. Il codice dovrà essere culturalmente adeguato: e fornirel’informazione distribuita mediante l’operazione su una finestra interattivageoreferenziata, utilizzando un dettaglio coerente con l’impiego del metodo. Èragionevole rendere possibile l’aggiornamento del sistema a fronte di:

• aggiornamento delle previsioni statistiche di pioggia allorché nuove informazionipluviometriche vengano rese disponibili;

• aggiornamento delle mappe di uso del suolo, in relazione a modifiche verificatesinel corso del tempo o prospettate per il futuro;

• scenari di mutamento climatico;

• realizzazione di significative infrastrutture idrauliche di difesa e di utilizzazione.

• Il sistema potrà prevedere, ad esempio, la descrizione dell’intero reticolo didrenaggio della Provincia Autonoma di Trento in termini della portata di pienacaratterizzata da tempi di ritorno pari a 10 e 100 anni per la loro importanza aifini della progettazione di opere di sistemazione.

Lo schema complessivo del sistema potrà essere costituito da:

• un insieme di modelli relazionali e matematici, secondo gli schemi descritti inquesto Capitolo;

• un sistema esperto che gestisce il flusso dei dati da e verso la banca dati; eseguei modelli matematici in una sequenza controllata; guida l’utente nell’assunzionedi decisioni riguardanti una questione particolare o la soluzione di un problema;

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 89

• un sistema di gestione della banca dati, che include una serie di procedure ditrattamento dei dati stessi;

• un sistema informativo territoriale che consenta la gestione dei datigeoreferenziati mediante gli strumenti tipici dell’analisi spaziale, come adesempio l’identificazione automatica dei bacini e della rete drenante, mentre loscambio dei dati fra GIS e modelli viene gestito in maniera ottimale dal SistemaEsperto;

• un interfaccia utente. La restituzione informatizzata, ad esempio in ambienteWindows, dovrà facilitare l’uso di tutte le procedure previste dal programma, chesi intende avvalere della sintassi operativa propria di tale ambiente. Inparticolare, è consentita la personalizzazione delle elaborazioni condotte dalsistema, sia attraverso operazioni dirette di “taglia/incolla” sia attraversosalvataggio su archivio richiamabile da applicativi specifici.

V.2.3 Linee Guida per il calcolo del trasporto di sedimenti

V.2.3.1 Stima delle portate solide con metodi empirici

Assieme alla portata liquida, anche il trasporto solido gioca un ruolo centralenel determinare le modalità di deflusso, e quindi i maggiori danni per il territorio e perle infrastrutture. Durante gli eventi di piena e di morbida si assiste ad unrimodellamento del fondo dell’alveo dovuto al trasporto, spesso massiccio, delmateriale proveniente non solo dalla zona del corso d’acqua, ma di tutto il bacino, inragione delle sue caratteristiche geologiche e della copertura vegetale.Per unavalutazione, almeno di massima, del trasporto solido, nel passato sono state utilizzatein particolare le seguenti tre metodologie:

i) il metodo di Scheuringer (1984) è un metodo empirico che permette di valutare iltrasporto solido che può instaurarsi in un tratto di corso d’acqua a partiredall’analisi delle caratteristiche principali dello stesso. Il corso d’acqua vienediviso in tratti omogenei ai quali si associa un coefficiente di trasporto solido(metri cubi al secondo per metro lineare) che dipende dall’analisi delle possibilifonti di materiali (erosioni, frane), dalle granulometria in gioco e dalla presenzadi interventi di consolidamento. Il rilevatore sintetizza le valutazioni in unoschema in cui per ogni tratto sono indicate la quota, la lunghezza del tratto, laquantità media di trasporto solido per metro lineare e la somma del trasportosolido per l’intero tratto. La portata di piena di riferimento è caratterizzata da untempo di ritorno di 150 anni. I coefficienti tipici di trasporto solido variano davalori prossimi a 0 [m3/s m] per alvei in roccia fino a 20 [m3/s m]. A questi valoriva aggiunto l’eventuale contributo di frane attive e sottratto il quantitativo che siprevede possa venire sedimentato a monte. Per valutare le possibili frane chepossono raggiungere l’alveo è importante avvalersi di indicatori geomorfologiciquali forme che indicano fenomeni di movimento, o la presenza di specie vegetaliindicatrici o di particolari associazioni vegetali. Naturalmente per avere unquadro più preciso della situazione, qualora si abbiano tempo e mezzi sufficienti

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti90

a disposizione, si può procedere a dettagliate analisi geomorfologiche,(perforazioni e carotaggi, analisi geotecniche a varie profondità). Molto utilerisulta anche un sopralluogo sul torrente fatto preferibilmente a partire dall’altoin modo tale da affrontare il problema del trasporto solido dalla sua fontevalutandone poi la possibile evoluzione procedendo verso valle essendo laquantità di materiale che può essere trasportato dal corso d’acqua la risultante diuna serie di fenomeni che si verificano su tutto il bacino;

ii) il metodo di Kronfellner Kraus (1984) permette di valutare, in manieranecessariamente approssimata, il trasporto solido eccezionale di un torrentealpino. Sulla base di un’ampia serie di osservazioni è stata definita la seguenteformula, valida per bacini di area inferiore agli 80 km2:

EJKGS = (31)

dove:GS =trasporto solido per eventi eccezionali;E =superficie;J = pendenza;K = coefficiente di torrenzialità.

Il coefficiente di torrenzialità K tiene conto dei fenomeni di sedimentazione e ditrasporto che possono avvenire nel bacino, in base alla sua geomorfologia e allesue dimensioni. Per i bacini piccoli e ripidi, con ampi tratti in erosione o in cuisono visibili i segni di erosioni passate o con copertura vegetale facilmenteerodibile sono caratterizzati da valori di K elevati (intorno a 1500); mentre ibacini ampi, con abbondante vegetazione e ridotte capacità di materialeerodibile, hanno K bassi (intorno a 500). Per esprimere il coefficiente K gli autorihanno proposto delle formule del tipo:

EBAeK ⋅−= (32)

dove A e B sono due coefficienti ricavati per lacune zone di studio, ed E èl’estensione del bacino.Facendo variare K si arriva a definire un intervallo di valori da adottare per lastima del trasporto solido eccezionale;

iii) l’estensione del metodo di Kronfellner-Kraus (1987) al territorio trentino prendein considerazione parametri aggiuntivi rispetto alla formulazione originaria:tenendo conto del grado di sistemazione del bacino, della natura geologica deidetriti, delle condizioni di trasporto (debris flow, debris flood, bedload) epermette di calcolare i volumi di sedimento che possono essere convogliati su unconoide.In base alle osservazioni su 62 bacini di estensione inferiore a 85 km2nel Trentino Orientale sono state ricavate le seguenti formule:

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 91

( )

( )( )( )

( )( )( )( ) 3,05,1

15,1

6,03,1

25,1

5,19,0

3,1

005,0

....39

..1..36

..334

..1160

..45

211

667

=

+=

=

+=

=

=

=

TIGIAIG

SCGIAIG

TIAiG

SCAG

GIiAG

AiG

AieG

S

S

S

S

S

S

AS

(33)

dove: GS= volume del sedimento trasportatoI.T.= indice di trasporto (1 per debris flow; 2 per debris flood; 3 per

bedload).A= superficie del bacino chiuso all’apice del conoidei = pendenza media del torrenteI.G. =indice geologico, variabile da 0 a 5 quantifica l’attitudine della classe

litologica a generare eventi di trasporto estremoC.S. = coefficiente di sistemazione del bacino; indica il grado di efficienza

delle sistemazioni per quanto riguarda gli interventi strutturali inalveo e le sistemazioni di versante. Il valore C.S.=1 rappresenta lasituazione ideale, grazie alla quale si limiterebbero fortemente leconseguenze negative di un evento alluvionale; un valore intermediocompreso tra 0 e 1 fornisce la misura degli interventi ancoranecessari al conseguimento della sistemazione ideale.

Per il calcolo dell’indice geologico I.G. che compare nelle (33) si può farriferimento alla seguente Tabella V.2.9.

Classe litologica Punteggio

Copertura morenica, alluvionale e di falda 5

Rocce metamorfiche, filladi, gneiss, ecc… 4

Rocce “terrigene”: marne, strati di Werfen,ecc. 3

Rocce laviche degradate, tufi basaltici, brecce 2

Rocce calcaree 1

Rocce porfiriche, granitiche, dioritiche 0

Tabella V.2.9: valori dell’indice I.G. per diverse classi di rocce

Le formule (27) sono state ottenute da un’analisi di regressione multipla,cercando la dipendenza dalle 5 variabili: A,i, I.G., C.S., I.T. ; la prima di esse è lagià citata equazione di Kronfellner-Kraus; la seconda equazione rappresenta unmigliore adattamento della stessa alla zona di studio. Gli autori hanno poistudiato la dipendenza del trasporto solido da variabili aggiuntive, rispettoall’area del conoide e alla pendenza; tra le formule proposte è stato notato chel’indice geologico I.G. rappresenta la variabile in grado di migliorare in modo piùsensibile l’accuratezza della stima. Le equazioni in cui compare il coefficiente disistemazione C.S. permettono di fare dei paragoni tra il trasporto solido nellasituazione di partenza e dopo la sistemazione.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti92

Va infine osservato che i tre metodi esposti forniscono risultati assai variabilitra loro (ad esempio il metodo di Kronfellner Kraus fornisce valori generalmentesuperiori a quelli dedotti con il metodo di Scheuringer), ma propongono un intervallodi valori su cui fare affidamento.

V.2.3.2 Trasporto di sedimenti a scala di bacino

In modo non dissimile da quanto avviene nella modellazione idrologica,l’intensità del trasporto solido reale, che si verifica in un tratto arbitrario della reteidrografica ad opera di un evento di piena, dipende dalle condizioni del bacino cheprecedono l’evento considerato. La conoscenza dell’intensità del trasporto solidocostituisce una condizione necessaria per la corretta pianificazione degli interventi disistemazione dei corsi d’acqua, che spesso in passato sono stati progettati dal puntodi vista idraulico ignorando l’effetto del trasporto dei sedimenti, sulla base della solaesperienza del progettista o in analogia con opere realizzate in ambienti simili.

Nel caso del trasporto solido, sia che si verifichi un trasporto di tipo ordinario(di fondo e/o in sospensione), sia una corrente iperconcentrata, sia, infine, una colatadi detriti o di fango (debris o mud flow), la condizione antecedente è rappresentatadalla disponibilità di sedimenti resi prontamente disponibili dall’alveo e dalle areesorgenti di sedimento direttamente connesse con la rete idrografica. È quindi il livellodi ricarica dei sedimenti lungo la rete idrografica che risulta determinante per laprevisione della risposta solida ad un evento reale (Ashida et al., 1976).

Il territorio della Provincia Autonoma di Trento è caratterizzato in larga misurada corsi d’acqua a forte pendenza e con granulometrie dei sedimenti abbastanzagrossolane, perciò la capacità teorica di trasporto, determinata dalle portate liquide,richiede di norma una disponibilità di sedimenti superiore a quella riscontrabile in sito.

La metodologia che si intende utilizzare per la stima delle portate solideconseguenti agli idrogrammi di piena modellati prescinderà, specie per quantoriguarda la stima del trasporto solido di fondo, dalle condizioni di alimentazione solidalocali, operando sull’idrogramma di piena una valutazione che si basa sulla capacità ditrasporto. Quest’ultima, giova ripeterlo, è la capacità che un flusso liquido, canalizzatoin un alveo alluvionale, possiede di veicolare una certa portata solida, quando ilcanale, non mutando il suo profilo di fondo, riceve da monte un’alimentazione solidaesattamente pari a quella che la corrente è in grado di smaltire.

La capacità di trasporto quindi, per quanto teorica, possiede una buonavalenza da un punto di vista della progettazione degli interventi, poiché rappresentaun limite superiore rispetto alla portata solida reale ed è a questo limite che èopportuno riferirsi nel definire gli interventi di sistemazione idraulica.

Anche per la stima della portata solida (Qs), per congruenza e continuità con ilsistema di modellazione idrologica proposto, si intende mantenere la possibilità dipervenire alla determinazione dell’evoluzione temporale della piena solida in un puntoarbitrario del reticolo idrografico della Provincia.

A questo fine, tuttavia, il reticolo idrografico, già introdotto con finalitàidrologiche, deve essere ridimensionato ad un reticolo di interesse per il trasportosolido. Il primo, infatti, verrà esteso fino ad interessare i collettori di primo ordine peri quali, ai fini sistematori, la determinazione della variazione nel tempo della portatasolida risulta poco significativa. Questo reticolo di interesse, che sarà comunque dadefinirsi, nel dettaglio, in concertazione con i tecnici dell’ASSM della Provincia, poco si

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 93

discosterà da quello numerato nella Carta dei Corsi d’Acqua Pubblici (ProvinciaAutonoma di Trento, Dipartimento Territorio, Ambiente e Foreste, 1990).

Su questo reticolo, andando a selezionare la sezione ove si intende chiudereun determinato bacino, la procedura di utilizzo del software che verrà approntatoconsentirà di stimare sia l’evoluzione temporale della piena solida generata dalverificarsi di un trasporto solido di fondo, sia, se di interesse, una possibile evoluzionetemporale di un’onda da debris-flow.

Per meglio definire le aspettative di utilizzo, il grado di affidabilità e la qualitàdei risultati attesi per le due forme di trasporto che si sono distinte, vengono diseguito indicati i presupposti teorici, le verifiche di campo e le successive ipotesi, suiquali si intende tarare e progressivamente affinare gli algoritmi di calcolo che sarannoimplementati.

V.2.3.2.1 La scabrezza nei corsi d’acqua naturali a fondo fisso

La condizione di moto uniforme in un corso d’acqua naturale si realizzadifficilmente, a causa delle variazioni longitudinali delle sezioni trasversali. Nellostabilire la resistenza al moto è tuttavia utile fare riferimento ad una ideale condizionedi moto uniforme, che si instaurerebbe nel caso in cui il canale fosse cilindrico disezione pari a quella in esame.

La formula di Darcy-Waisbach rappresenta la legge razionale di resistenza, manella pratica progettuale può essere più agevole impiegare delle formule empiriche,che fanno dipendere il coefficiente di scabrezza dalla sola scabrezza assoluta (formuladi Gaukler-Strickler e formula di Manning) oppure dalla scabrezza relativa (formula diChèzy-Tadini).

2/13/2 iRAKQ hs= Gaukler-Strickler

2/12/1 iRAQ hχ= Chèzy-Tadini (34)

2/13/21iR

nAQ h= Manning

Nelle equazioni proposte, Q rappresenta la portata liquida, A l’area dellagenerica sezione, i la pendenza del fondo del canale, Rh=A/C il raggio idraulico dellagenerica sezione (C contorno bagnato), Ks il coefficiente di Strickler, χ il coefficiente diChèzy ed n il coefficiente di Manning. La formula di Manning può essere facilmentericondotta a quella di Strickler, osservando che Ks=1/n, mentre la formula di Stricklerpuò essere trasformata in quella di Chèzy-Tadini:

6/1−= hs RK χ (35)

Sebbene non esista un criterio oggettivo che consenta di determinare quale siala formula migliore, nell’idraulica dei corsi d’acqua si utilizza in genere la formula diGaukler-Strickler, poiché il relativo coefficiente dipende in misura minore dal raggioidraulico e quindi, almeno in condizioni di sommergenza elevata, dipendesostanzialmente dalla scabrezza assoluta della parete.

Per calcolare il coefficiente di Strickler, nel caso in cui la scabrezza siariconducibile al solo materiale di fondo, si ricorre spesso alle seguenti espressioni:Formula di Strickler:

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti94

6/150

1,21

dKs = [ ] [ ] [ ] [ ]13/1; −== smKmd s (36)

Formula di Henderson:

6/190

26

dKs = [ ] [ ] [ ] [ ]13/1; −== smKmd s (37)

Formula di Limerinos:

6/184

013,0

ln86,016,1

h

h

s R

dR

K+

= [ ] [ ] [ ] [ ]13/1; −== smKmd s (38)

Nel caso in cui sia presente vegetazione in alveo oppure il canale presentiparticolari peculiarità, si può invece fare riferimento ai valori proposti da Chow(Armanini, 1999).

V.2.3.2.2 Trasporto solido ordinario

Il trasporto solido viene definito come ordinario se il moto dei sedimenti èdeterminato prevalentemente dalle azioni idrodinamiche (di resistenza e di portanza)esercitate dalla corrente e non dalla forza di gravità, come avviene invece per lecolate di detriti. Come indicato nella premessa generale, la stima viene operata sullacapacità di trasporto solido, ovvero la massima quantità di sedimenti che la correnteriesce a trasportare. Questa condizione richiede che sia disponibile una quantità dimateriale sufficiente. In caso contrario, la corrente trasporta tutto ciò che èdisponibile, ma la portata solida effettiva sarà inferiore alla capacità di trasporto. Unastima di questa quantità può essere condotta grazie ai risultati che sono emersi, inambito di ricerca, dalle numerose sperimentazioni condotte con sistematicità da oltreuna cinquantina d’anni in canali di laboratorio e su modello fisico.

Una volta che il materiale si sia messo in movimento, esso può continuare ilsuo moto secondo due modalità (Armanini, 1999):

Moto di fondo: il materiale si sposta rotolando sul fondo oppure attraverso unaalternanza di piccoli salti, durante i quali il materiale si alza ad una distanzarelativamente piccola dal fondo, dell’ordine della dimensione della particella stessa.

Moto in sospensione: la particella viene sollevata ad una altezza dal fondodell’ordine del tirante d’acqua e, prima di tornare in contatto con il fondo, percorre untratto dell’ordine del tirante d’acqua, spesso ad esso diverse volte superiore.

Nella letteratura scientifica sono citate molte formule di trasporto. Per molteviene esplicitamente dichiarato che esse si riferiscono al trasporto di fondo, per altrel’intervallo di diametri delle particelle nel quale esse sono state testate fa supporre cheesse siano da ritenersi valide solo per il trasporto di fondo, mentre in altri casi ancorale formule sono state calibrate per il trasporto totale. Alcune teorie si basano sullaprobabilità di distacco dei grani, che si estende da 1 a 0, per cui non si introduce unvalore di soglia della portata liquida al di sotto del quale corrisponda l’assenzaassoluta di trasporto. Tra queste la più famosa è sicuramente la teoria elaborata daEinstein (1950). La maggiore parte delle formule di trasporto si basano invece sulconcetto del valore critico di moto incipiente. Molte di queste formule sono puramente

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 95

empiriche, ricavate cioè sulla base di una serie di osservazioni sperimentali condottein laboratorio o in campagna.

Una delle fonti di questi dati di più indiscusso valore è sicuramenterappresentata dalle esperienze condotte presso il Politecnico di Zurigo da Meyer-Petere Müller (1948) prima, quindi da Smart e Jäggy (1983) e, infine, da Rickenmann(1991). Le esperienze di questi ricercatori hanno il merito di avere progressivamenteesteso il campo di indagine a pendenze via via più elevate, sino ad arrivare a coprireun campo compreso fra lo 0,04 ed il 20%.

La formula di Meyer-Peter e Müller, nel caso dei corsi d’acqua alpini, consentedi esprimere la portata solida totale per unità di larghezza del canale qs, nellaseguente forma:

( ) 5,1'8 crs

DgD

q ϑϑ −⋅=⋅∆⋅⋅

(39)

nella quale 'ϑ rappresenta il parametro di mobilità di Shields, calcolato conriferimento alla sola resistenza di grano (non conteggiando gli effetti indotti dalle

forme di fondo), g l’accelerazione di gravità,ρ

ρρ −=∆ s la densità relativa del grano

immerso e D il diametro caratteristico del materiale trasportato. Il valore critico delparametro di mobilità di Shields crϑ può essere ricavato dal diagramma di Shields

(Figura V.2.4:) in funzione del numero di Reynolds di granoν

Du ⋅= **Re , in cui la

velocità di attrito HRigu ⋅⋅=* è espressa in funzione del raggio idraulico RH, della

pendenza del fondo i e dell’accelerazione di gravità g.

Figura V.2.4: Diagramma di Shields

Nella formula di Meyer-Peter e Müller veniva posto θcr = 0,047; la formula èstata tarata per materiali di diametro abbastanza grossolano (0,4 ÷ 29 mm) ed èraccomandata per i corsi d’acqua ghiaiosi, con pendenze fino al 2%. Per pendenzesuperiori, la formula sottostima la portata solida, per cui è preferibile ricorrere ad unaformula alternativa, quale quella di Smart e Jäggy, che rappresenta l’estensione di

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti96

quella di Meyer-Peter e Müller ai canali con forte pendenza (comunque inferiore al20%).

( )crs

uu

iDD

DgD

q ϑϑϑ −⋅⋅⋅⋅

⋅=

⋅∆⋅⋅5,0

*

6,02,0

30

90

50

4 (40)

Gli autori consigliano di porre θcr = 0,05. si noti inoltre che in questa formulaviene utilizzato il valore totale del parametro di mobilità di Shields, inclusivo cioè dellaresistenza di forma. Nel caso dei corsi d’acqua alpini, a granulometria piuttostoeterogenea (fatte salve situazioni particolari), il rapporto d90 /d30 è compreso fra 2 e4,5, cosicché il parametro (d90 /d30)0,2 è contenuto nel range 1,15-1,35, con un valoremedio di 1,25.

Dalla formula di Meyer-Peter e Müller, nel caso di elevata mobilità delmateriale (θ >> θcr), si osserva che la portata solida risulta indipendente dal diametrodel materiale, ovvero si instaurano le condizioni di equimobilità. Tuttavia è assaiimprobabile che in natura si instaurino tali condizioni, poiché in genere sarà presenteuna frazione granulometrica, anche se in quantità modeste, di pezzaturasufficientemente grande da determinarne una mobilità prossima a quella critica. Talesituazione è di norma favorita dal corazzamento dinamico, processo per il quale legranulometrie sottili sono più facilmente asportate, per cui il materiale di dimensionimaggiori tende a concentrarsi in prossimità della superficie dell’alveo. Dal momentoche la portata solida di ogni classe granulometrica è proporzionale alla percentuale delmateriale di quella classe presente in alveo, la portata solida del materiale piùgrossolano sarà modesta mentre, a parità di portata liquida, la portata solida relativaalle frazioni più sottili sarà molto elevata, per cui ad una variazione repentina deldiametro corrisponderà una variazione della portata solida molto elevata. Si capiscecosì che ad esempio la rottura dello strato di corazzamento comporti una variazionenotevole della portata solida e quindi inneschi un notevole processo erosivo, per cuidal punto di vista quantitativo fare riferimento in questo caso alla granulometria delsubalveo risulterebbe cautelativo nei confronti della sicurezza. La portata solida totalepuò essere espressa mediante la sommatoria, su ciascuna classe, del prodotto tra lapercentuale di materiale presente in alveo di ogni classe e la relativa portata solida,calcolata nell’ipotesi di un alveo costituito da materiale omogeneo di diametro pari aldiametro caratteristico della classe in esame.

La revisione più significativa alla formulazione originale della formula ditrasporto proposta da Meyer-Peter e Müller è sicuramente quella di Smart e Jäggy,alla quale Rickenmann ha aggiunto un parametro correttivo che tiene conto delnumero di Froude della corrente. L’apporto delle esperienze di Smart e Jäggy e,soprattutto, di Rickenmann è di notevole importanza, poiché ha in sostanzadimostrato la possibilità di formulare un'unica equazione di trasporto che copre uncampo di concentrazioni solide dei sedimenti in seno alla corrente da meno di unpunto percentuale al 25-28%, valori questi ultimi che già competono a flussiiperconcentrati ben sviluppati. Takahashi (1987) ha anche condotto una analisi di tipocomparativo fra le formule sopra menzionate e le principali formule giapponesi,dimostrando che i risultati sono similari.

Le equazioni proposte, oppure altre equivalenti che si prestino allo stessoscopo, nascono da sperimentazioni in condizioni stazionarie di portata, ma possonoessere utilizzate per la stima dell’evoluzione temporale della piena solida,scomponendo l’idrogramma liquido in uscita dal modello idrologico in una successione

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di intervalli (∆t) a portata costante pari al valor medio degli estremi dell’intervallo.Ciascuno di questi intervalli andrà quindi a produrre un volume solido (∆Vs= Qs ∆t) checonsentirà di costruire, passo passo, la variazione della portata solida e di pervenire,operando una semplice sommatoria dei volumi parziali, anche alla stima del volumesolido complessivo che transita attraverso la sezione considerata. L’ammissionedell’ipotesi di stazionarietà del trasporto, anche se effettuata su ∆t piccoli (ad esempio5’), implica necessariamente di non tenere conto dei fenomeni di isteresi che invece siosservano in campo (D’Agostino e Lenzi, 1996). Infatti, una stessa portata liquidaandrà a produrre il medesimo trasporto solido, indipendentemente dal fatto che essasi presenti nella fase ascendente o discendente dell’idrogramma di piena.

Per l’applicazione delle equazioni che esprimono la capacità di trasporto, ènecessaria una valutazione della pendenza del canale. A questo riguardo si prevede dimettere a punto una procedura automatica che opererà direttamente sul raster dellequote relativo alle celle del reticolo di interesse.

Una volta selezionata una cella, il programma di calcolo determinerà lapendenza media di un tratto d’alveo a monte della cella selezionata per una lunghezzadi un centinaio di metri (potrà eventualmente anche consentirsi la scelta di unalunghezza arbitraria).

Si prevede anche di lasciare all’utente la possibilità di inserire direttamente lapendenza da considerare; ciò per due ordini di motivi: sia perché può esseredisponibile un rilievo topografico che fornisce con maggior precisione il dato, siaperché può essere necessario valutare l’effetto, in termini di riduzione del trasportosolido, che un intervento di consolidamento dell’alveo determinerebbe sul tratto inesame.

Completeranno i risultati della simulazione: i valori della massimaconcentrazione solida e della massima portata solida da attribuire al piccodell’idrogramma di piena; sono infatti questi ultimi gli elementi di maggiore utilità peril dimensionamento o la verifica delle sezioni idrauliche, mentre i volumi totalirisultano ovviamente di maggiore interesse per verificare la funzionalità di aree dideposito destinate ad un invaso, anche parziale, dei sedimenti.

V.2.3.2.3 Colate detritiche

Nella valutazione dell’onda di piena associata ad una colata detritica si devonoconsiderare le seguenti problematiche:

A) valutazione dell’idrogramma solido in aggiunta a quello liquido, e valutazionedella composizione granulometrica e litologica della fase solida della colata;

B) stato dell’alveo in merito alla partecipazione ai processi di erosione e deposito;

C) determinazione di relazioni esplicative di condizioni di moto caratterizzanti, qualila condizione di moto uniforme, la condizione di moto in curva;

D) elementi di verifica delle opere di controllo delle colate detritiche;

E) valutazione del rischio associato all’evento colata.

Le problematiche qui evidenziate sono comunque fra loro dipendenti, epertanto le proposte metodologiche ed analitiche devono correttamente considerarequesta reciprocità. Inoltre, occorre differenziare le colate che convoglianoessenzialmente sedimento grossolano (propriamente colate detritiche o debris flows)da quelle di fango (mud flows) che convogliano, eventualmente in aggiunta al

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sedimento grossolano, non trascurabili frazioni limose e argillose. In misture reali, incui siano presenti frazioni granulometriche molto fini, sono spesso importanti sia gliaspetti tipici delle colate detritiche che quelli delle colate di fango, le quali vengonospesso identificate con il termine colate viscose. Allo stato attuale della conoscenzarisulta non ancora definito alcun criterio interpretativo al riguardo. L’identificazione deiprocessi specifici dei due diversi regimi in esame risulta fondamentale per ladefinizione dei meccanismi di resistenza locale (reologia della mistura in moto), chepossono variare all’interno di una medesima colata, e dipendono inoltre dal regime dimoto. Una semplice indicazione sulla distinzione in esame per una miscela di acqua esedimenti si può ottenere dalla curva granulometrica. Infatti, secondo Coussot (1994),le miscele caratterizzate dalla presenza di particelle fini (diametro inferiore a 40 µm)con una concentrazione volumetrica superiore al 10%, vengono classificate comemuddy debris flow (Coussot, 1994). Quest’ultimo tipo di colate è, ad esempio, moltofrequente proprio in ambiente dolomitico, quando l’abbondanza di detriti morenici,abbinata allo sfasciume che deriva dal disfacimento delle pareti calcaree, rendepossibile la genesi di colate, che, pur avendo nella matrice una modesta quantità dimateriale coesivo, finiscono per avvicinarsi nel loro comportamento reologico allecolate fangose. La distinzione anzidetta ha delle implicazioni non trascurabili neiriguardi della portata di picco di un onda di debris flow. Molti studi su colate reali(Mizuyama et al., 1992, Rickenmann, 1991 e 1994) hanno infatti evidenziato come, aparità di volume solido complessivamente mobilitato dalla colata, le colate di tipopuramente granulare diano luogo a valori della portata al colmo notevolmente piùelevati.

A) Valutazione dell’idrogramma solido in aggiunta a quello liquido, e valutazionedella composizione granulometrica e litologica della fase solida della colataSi considerano i metodi che la letteratura recente ha proposto in merito allavalutazione dell’idrogramma solido, od al suo valore di picco. Quanto si proponein questa sezione (nei punti A1, A2 e A3) riguarda unicamente alvei torrentizi incui si dispone di una quantità illimitata di materiale sciolto ed erodibile, ed in cuila colata è di tipo detritico e generata da un evento pluviometrico di forteintensità e breve durata (evento temporalesco con durata sempre inferiore oduguale all’ora, ed assegnato tempo di ritorno).Per le colate di fango è invece necessaria la conoscenza tramite osservazionediretta del valore della concentrazione solida media c (che spesso ha valoriprossimi o addirittura superiori al 50 %, come nel caso di Sarno, Campania). Per

esse si può porre, in prima approssimazione, ld Qc

Q−

=1

1, ove Ql è la portata

liquida, mentre Qd e la portata volumetrica totale (comprensiva delle fasi solida eliquida).

A1) Un primo metodo di valutazione riguarda il valore della portata di piccodeterminabile nell’ipotesi di scorrimento di una portata di acqua chiara su di unammasso granulare sciolto e completamente saturo in torrenti ad elevatapendenza (> 20 gradi sess.). Qd può allora stimarsi con la formula (metodovolumetrico):

ld Qcc

cQ

=∞*

* (41)

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ove c* = concentrazione di massimo impaccamento del materiale costituentel’ammasso, e può in genere assumersi c* = 0,65 (Armanini, 1999); c∞ =concentrazione volumetrica di equilibrio del fronte stazionario della colata inmovimento; per pendenze del fondo superiori al 35% la concentrazione c∞ èesprimibile come:

*cc α=∞ (42)

con α prossimo a 0,9. Per pendenze inferiori la determinazione di α può essereleggermente inferiore.L’idrogramma ottenuto tramite la (41) deve essere quindi ridotto per tener contodel fatto che i fenomeni di colata si verificano quando lo sforzo tangenzialeagente sul contorno eccede un valore di soglia τs Questo valore può essereottenuto dalla seguente relazione 9006,0 dgws ∆= ρτ , ove ρw e la densità di massadell’acqua. Nota la pendenza del fondo, si determina quindi, a mezzo diformulazioni di moto uniforme (es. la formula di Strickler) la portata liquida Qs

cui corrisponde un tirante idrico ed uno sforzo tangenziale medio sul fondo pari aτs. Infine, l’idrogramma dei volumi totali risulta dalla seguente espressione:

slsld QQseQQcc

cQ >−

=∞

)(*

* (43)

slld QQseQQ ≤= (44)

A2) Un secondo metodo riguarda le colate che hanno origine da collasso disbarramento. Si noti che lo sbarramento può anche non pre-esistere nel trattoesaminato, ma può essere messo in conto come il risultato di un naturaleprocesso di sbarramento operato dalla presenza di tronchi ed altro materialevegetale ingombrante nelle sezioni più strette. In questo caso si può assumereun valore che, in termini volumetrici, sia assai prossimo a quello che deriva dallasoluzione analitica di Ritter, valida per condizioni di fluido inviscido e fondo fisso,

ovvero 5,1

278

hgQl = , ove h è l’altezza idrica in prossimità allo sbarramento. La

portata solida massima, nel caso di sbarramento effimero formatosi duranteeventi di trasporto solido, si ricava con una relazione del tipo ld QcQ eq= , ove ceq

/cb=β, cb e la concentrazione solida in alveo (in generale cb=0,6-0,65), βrappresenta un parametro di mobilità del sedimento in alveo. Nel caso di rotturadi sbarramenti esistenti, tipicamente le briglie di trattenuta e consolidamento, laportata solida massima, nel tratto immediatamente a valle della briglia, può

essere stimata per mezzo della seguente 5,1

278

gbl hgcQ = , ove hg e l’altezza del

deposito, fino alla gaveta, a monte della briglia. La determinazione dei parametri(ad es. β) e la teoria si trovano in Fraccarollo e Armanini, 2000, ed in Fraccarolloe Capart, 2002.

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A3) Nel caso di pendenze inferiori ai 20°, un metodo di valutazione dell’interoidrogramma solido in una sezione del reticolo idrografico si basa sulla seguente

ipotesi ld QcQ eq= , ove)tan(tan

taneq ϑφ

ϑ−∆

=c con ∆ ≈ 1,65, φ = angolo di attrito

statico (indicabile, in assenza di valutazioni specifiche, in circa 40°), ϑ=pendenzalongitudinale del fondo. Qualora la valutazione di ceq ecceda il limite fisico cb, siassuma bcc 9,0eq = , come suggerito da Takahashi (1991). Una trattazione teorica

delle risultanze qui riferite si trova in (Armanini et al. (2000), Fraccarollo et al.(2000)).

B) In A) si sono date indicazioni per la valutazione delle portate defluenti nellesituazioni in cui la dinamica evolutiva del fondo sia associabile a quella dellacolata defluente. Tale condizione cessa nel caso il fondo, ed il materiale che locostituisce, non siano in relazione (condizione di equilibrio) con il materiale chepartecipa al deflusso. Una situazione tipica è rappresentata dagli scorrimentientro canaloni in roccia. Qualora l’alveo è fisso non è possibile la valutazionedella frazione solida del trasporto, o del trasporto totale, tramite espressioni deltipo sopra proposto. Occorrerà pertanto ricorrere ad espressioni quali quellasopra riportata per le colate di fango, in cui il valore della concentrazione solida èdisgiunto dalle condizioni idrodinamiche locali e richiede generalmente unavalutazione sperimentale.

C) condizioni di moto caratterizzanti: la condizione di moto uniforme, la condizionedi moto in curvaSi considerano, nella presente sezione, condizioni di moto di grande interessenella pratica ingegneristica. Esse, infatti, rappresentano condizioni prossime aquelle reali in gran parte dello sviluppo di una colata, oppure riguardanofenomeni localizzati importanti nella valutazione della sicurezza delle opere enella valutazione del rischio idraulico.

C1) Moto uniformeLa condizione di moto uniforme può essere assunta rappresentativa del moto neitratti ad andamento rettilineo. L’esame della relazione fra portate volumetricheliquida e totale è già stato esaminato in A).Si vuole ora indicare la relazione che intercorre fra la portata totale e legrandezze idrodinamiche in gioco. Si opererà una suddivisione fra colatedetritiche e fangose.

C1a) Colate fangose.Per le colate fangose occorre stabilire come la presenza di frazioni fini influenzi lalegge reologica. Nella fattispecie si può assumere

dydu

y µττ += (45)

ove τy e` la tensione di soglia e µ è la viscosità dinamica del fluido.Per un miscuglio solido-liquido con particelle di dimensioni d<0,01 mm (slurrymixtures, ovvero miscugli fangosi), la viscosità dipende fortemente sia dallaconcentrazione solida che dal tipo di materiale. In generale, la viscosità relativadella mistura rispetto all’acqua viene calcolata usando formule del tipo (O’Brien &Julien, 1988):

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cr eβαµ = (46)

in cui α e β sono coefficienti da determinarsi sperimentalmente in laboratorio, oricorrendo a tabelle.La tensione di soglia τy compare quando la concentrazione solida della matricefluida eccede un valore di soglia. La concentrazione critica varia con la tipologiadel sedimento e con la sua composizione mineralogica; in generale la tensione disoglia τy cresce con la concentrazione del miscuglio e molte formule empirichesono state proposte per esplicitarne la variazione con la concentrazione. Inparticolare sono state ampiamente utilizzate formule esponenziali del tipo(O’Brien & Julien, 1988) :

my cK=τ (47)

ove c e` la concentrazione solida e K variabile con la composizione mineralogicadel sedimento, mentre l’esponente m in molti casi viene adottato pari a 3. Valorisuperiori a 3 sono utilizzati per miscugli ad elevata concentrazione, e valoriinferiori a tre per miscugli a basse concentrazioni. La formula precedente, inoltre,risulta essere un’espressione semplificata di τy, in quanto non considera un valorecritico di concentrazione sotto cui tale tensione non esiste.Da quanto esposto si nota un’ampia variabilità di µ e τy in funzione dellaconcentrazione del miscuglio e dell’assortimento del sedimento (O’Brien & Julien,1988):

Inoltre, se la tensione di soglia è tale che tutte le particelle del flusso sono piùpiccole del seguente valore Do :

ws

ykDγγ

τ−

=0 (48)

i sedimenti trasportati si comportano come trasporto neutrale in galleggiamento,ed il flusso può essere trattato come monofase. Il significato del parametro k èspiegato in Wan e Wang (1994).La distribuzione di velocità di un flusso laminare di un fluido fangoso dipendedalla presenza della tensione di soglia. Infatti nella parte centrale e superiore delflusso, in un canale a pelo libero, laddove lo sforzo tangenziale è minore dellosforzo di soglia, non si hanno gradienti di velocità (zona di plug), e lospostamento è di tipo traslazionale rigido, con velocità up.Il profilo di velocità teorico, nel caso di sezione rettangolare larga, al di sottodello strato in moto rigido, risulta essere:

( )i

HyperyiHiy

um

yymm γ

ττγγ

µ−≤≤−−= 022

2(49)

ove i e` la pendenza del fondo, γm è il peso specifico della mistura, H l’altezza delflusso ed y la distanza dal fondo. Nella zona di plug, il fluido si muove allavelocità up data da:

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti102

2

2

−=

iHu

m

yip

m

γτ

µγ

(50)

Nel caso in cui τy risulti nulla, si ottengono i profili di velocità di un fluidoNewtoniano.

C1b)Colate detritiche.Vi sono evidenze sperimentali che fanno risaltare come, al variare dei parametridimensionali in gioco, ed in particolare la pendenza del fondo, si realizzanoregimi di moto uniforme assai diversi (Armanini et al., Capart et al.). Senzaentrare in tali dettagli, si propongono relazioni semplificate di moto uniforme.Una prima trattazione deriva dall’ipotesi di esistenza del regime reologicodispersivo di Bagnold (Takahashi, 1991) sull’intera sezione trasversale del moto.Si ottiene la seguente espressione del coefficiente di Strickler:

( )( )

61152

hsina

Cg

Dh

Ks

ws φρ

ρλ

+∆= (51)

ove, in aggiunta a simboli già identificati in quanto precede, h e l’altezza di motouniforme, λ la concentrazione lineare di Bagnold, ρs è la densità di massa delmateriale solido;In assenza di elementi di valutazione della espressione (50), si consiglial’adozione della espressione di Strickler assumendo un valore del parametro diStrickler nell’intervallo 5<Ks<15, rimanendo vicini al limite inferiore per valorielevati della concentrazione solida e delle dimensioni rappresentative delsedimento.

C2) Condizione di moto in curva.In caso di curva planimetrica occorre considerare le variazioni di quotaaltimetrica fra estradosso ed intradosso della sezione trasversale, cheinteressano sia la superficie libera che la linea di fondo.Per la superficie libera si può adottare una espressione del tipo (Armanini, 1999)

rB

gU

h2

αδ = (52)

esprimente il dislivello, in una sezione prossima alla forma rettangolare, fra laquota di estradosso ed intradosso. In essa α è un parametro adimensionale, B/rrappresenta il rapporto fra la larghezza dell’alveo ed il raggio medio di curvaturanella sezione. Il parametro α è pari all’unità nel caso di correnti idriche sub-critiche, ed a 2 nel caso di correnti super-critiche. Ciò può essere con una certaapprossimazione applicato anche alle colate viscose. Per fluidi a comportamentogranulare o dispersivo, occorre ipotizzare valori del coefficiente α maggioridell’unità, in un intervallo che alcuni autori estendono fino a valori maggiori diun’ordine di grandezza rispetto a quelli per correnti idriche.Circa le variazioni altimetriche di tipo morfometrico, vi sono poche informazionirelativamente alle colate detritiche e fangose. Poiché questo aspetto può averequalche influenza in sede di analisi e verifica di elementi progettuali, si rinvia asoluzioni proposte per le correnti fluviali e torrentizie (Seminara e Tubino, 1989).

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V.2.3.3 Altre considerazioni.

V.2.3.3.1 Trasporto solido di fondo

Come indicato nella premessa generale, una stima comune del trasporto vieneoperata sulla capacità di trasporto solido al fondo. Una stima di questa quantità puòessere condotta grazie alle risultanze che sono emerse, in ambito di ricerca, dallenumerose sperimentazioni condotte in laboratorio su modello fisico e che sono inziatecon sistematicità da oltre una cinquantina d’anni. Una delle fonti di questi dati di piùindiscusso valore è sicuramente rappresentata dalle esperienze condotte presso ilPolitecnico di Zurigo da Meyer-Peter e Muller (1948) prima, quindi da Smart e Jaeggy(1983) e, infine, da Rickenmann (1991). Le esperienze di questi ricercatori hanno ilmerito di avere progressivamente esteso il campo di indagine a pendenze via via piùelevate sino ad arrivare a coprire un campo compreso fra lo 0,04 ed il 20%. Larevisione più significativa alla formulazione originale della formula di trasportoproposta da Meyer-Peter e Muller è sicuramente quella di Smart e Jaeggy, alla qualeRickenmann ha aggiunto un parametro correttivo che tiene conto del numero diFroude della corrente. L’apporto delle esperienze di Smart e Jaeggy e, soprattutto, diRickenmann è di notevole importanza, poiché ha in sostanza dimostrato la possibilitàdi formulare un'unica equazione di trasporto che copre un campo di concentrazionisolide dei sedimenti in seno alla corrente da meno di un punto percentuale al 25-28%,valori questi ultimi che già competono a flussi iperconcentrati ben sviluppati.Takahashi (1987) ha anche condotto una analisi di tipo comparativo fra le formulesopra menzionate e le principali formule giapponesi dimostrando che i risultati sonosimilari.

Le formulazioni svizzere presentano però lo svantaggio di risultare alquantoonerose per una applicazione su larga scala, quale è quella rappresentata da tutto ilterritorio montano della Provincia di Trento. Esse richiedono la conoscenza, oltre chedella portata liquida, anche dello sforzo tangenziale medio sul fondo da associare aquesta portata liquida. Si intuisce quindi come, per la stima di questo sforzotangenziale, sarebbe richiesta, in modo quasi puntuale, la conoscenza della geometriadelle sezioni del reticolo di interesse e, ancor più difficile, di una parametro discabrezza idraulica.

Lefort (1991) ha messo a punto per il SOGREAH una formula che è derivatadai dati delle sperimentazioni di Smart e Jaeggy e Meyer-Peter e Muller e che contienele seguenti variabili:

Q : portata liquida (m3 s-1);Qcr : portata liquida di inizio del trasporto solido (portata critica) (m3 s-1);I : pendenza del canale (-);d90 / d30 : rapporto fra i frattili del 90% e del 30% della curva granulometrica

cumulata del materiale superficiale costituente l’alveo.

La formula proposta originariamente da Lefort ha la forma:

=

375,05,1

2,0

30

90' 145,4Q

QI

dd

QQ cr

ss ρρ

ρ(53)

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ove la portata solida 'sQ è espressa come volume apparente di deposito (m3/s)

ed include quindi anche i vuoti tra le particelle, mentre ρs e ρ esprimono,rispettivamente, la densità dei sedimenti e dell’acqua: ρ / (ρs - ρ) ≅ 1/ 1,65.

Nel caso dei corsi d’acqua alpini, a granulometria piuttosto eterogenea (fattesalve situazioni particolari) il rapporto d90 /d30 è compreso fra 2 e 4,5, cosicché ilparametro (d90 /d30)0,2 è contenuto nel range 1,15-1,35 con un valore intermedio di1,25. Ricordando che la formula di Lefort è stata ricavata per una densità apparentedel materiale depositato pari a 2000 kg m-3, (53) può fornire direttamente una stimadella capacità di trasporto solido in termini di volume effettivo:

−≅

375,05,1 12

QQ

IQQ crs (54)

relazione che, come quasi tutte le formule di trasporto solido, tende ad unasovrastima quando la portata liquida Q è di poco superiore a Qcr. Koulinsky (1993) haperaltro osservato che questa formula presenta un discreto comportamento, rispetto aquella di Smart e Jaeggy (1983), anche per trasporti solidi deboli.

Per la valutazione di Qcr, sempre Lefort (1991), ha proposto la relazione:

( ) 3/86/135,2 2,1192,0 IIdQ mcr −= − (55)

essendo dm il diametro medio (in m) della curva di distribuzionegranulometrica dei sedimenti del letto.

La eq. (53), che nasce da sperimentazioni in condizioni stazionarie di portata,sarà utilizzata per la stima del sedimentogramma di piena, scomponendol’idrogramma liquido in uscita dal modello idrologico in una successione di intervalli(∆t) a portata costante e pari al valor medio agli estremi dell’intervallo. Ciascuno diquesti intervalli andrà quindi a produrre un volume solido (∆Vs= Qs ∆t) che consentiràdi costruire, passo passo, il sedimentogramma e di pervenire, operando una semplicesommatoria dei volumi parziali, anche alla stima del volume solido complessivo chetransita attraverso la sezione considerata. L’ammissione dell’ipotesi di stazionarietàdel trasporto, anche se effettuata su ∆t piccoli (ad esempio 5’), implicanecessariamente di non tenere conto dei fenomeni di isteresi che invece si osservanoin campo (D’Agostino e Lenzi, 1996). Infatti, una stessa portata liquida, andrà aprodurre il medesimo trasporto solido, indipendentemente dal fatto che essa sipresenti nella fase ascendente o discendente dell’idrogramma di piena.

Per la valutazione della portata critica di inizio e di cessazione del trasporto -eq.(55), si propone di ricorrere alla relazione (56) solo in una seconda fase di verificadella metodologia su alcune sezioni campione scelte sui collettori di maggioreimportanza (quali ad esempio l’Avisio, il Travignolo, il Fersina, il Maso, il Vanoi, ilSarca, l’Adanà, il Noce, il Leno,…).

Vi è inoltre da osservare che, nella eq.(53), il peso di Qcr sulla stima di Qs vaprogressivamente riducendosi al crescere della portata liquida in esame. Pare quindipoco significativo ricercare una stima oltremodo accurata di Qcr lungo tutto il reticolodi interesse. Si propone piuttosto di ammettere, come ulteriore ipotesi semplificativa,che la portata di inizio del trasporto solido coincida con la portata a piene rive (notaanche, secondo terminologia anglosassone, come “bankfull discharge”). È questaun’ipotesi di lavoro che può portare in qualche caso ad una leggera sovrastima della

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portata di inizio del trasporto, ma che costituisce un criterio oggettivo di valutazione,specie in ragione dell’estensione dell’area in esame.

Le prime ricerche sulla portata che determina un flusso a piene rive ne hannoidentificato un tempo di ricorrenza probabile (Tr) compreso fra 1 e 2 anni (Leopold etal., 1964).Questo valore è di norma crescente al crescere dell’area drenata (Nixon,1959), risultando tendenzialmente inferiore ad 1,5 per le zone di testata dei bacini.Petit e Pauquet (1997) hanno condotto uno studio su un gruppo di 26 bacini dell’areadelle Ardenne, con alvei in ciottoli che scorrono su di un substrato impermeabile; per iltempo di ritorno (Tr) della “bankfull discharge” i due rimatori hanno ottenuto larelazione:

19,0log58,0 += ATr (56)

Essendo Tr espresso in anni e l’area drenata (A) in km2.Ammettendo, anche per la zona in studio, una relazione prossima alla (56), se

ne deduce un tempo di ritorno della portata a piene ripe che va da 0,7 anni per unbacino della superficie di 10 km2, ad 1,35 per una superficie di 100 km2.

Nella valutazione della portata critica di inizio del trasporto solido che competeai torrenti montani della Provincia Autonoma di Trento, potrà quindi assumersi, in unaprima fase, un valore pari alla portata generata da un evento di pioggia con tempo diritorno di un anno.

In una seconda fase, sia tramite verifiche di campo, sia anche tenendo contodelle condizioni geo-litologiche degli alvei, il valore assunto dalla procedura di calcolopotrà anche affinarsi, utilizzando una relazione sul tipo della (56), eventualmente conqualche correttivo sui coefficienti che vi compaiono suggerito dal confronto con unapproccio più deterministico (55).

Vale la pena di sottolineare che in questa fase si riuscirà anche a realizzareuna buona sinergia di lavoro fra le esigenze imposte dalla determinazione delsedimentogramma e la messa a punto del modello idrologico, che pure richiede laconoscenza della portata a piene ripe.

Per l’applicazione della eq.(54) è anche necessaria una valutazione dellapendenza del canale. A questo riguardo si prevede di mettere a punto una proceduraautomatica che opererà direttamente sul raster delle quote relativo alle celle delreticolo di interesse.

Una volta selezionata una cella, il programma di calcolo determinerà lapendenza media di un tratto d’alveo a monte della cella selezionata per una lunghezzadi un centinaio di metri (potrà eventualmente anche consentirsi la scelta di unalunghezza arbitraria).

Si prevede anche di lasciare all’utente la possibilità di inserire direttamente lapendenza da considerare; ciò per due ordini di motivi: sia perché può esseredisponibile un rilievo topografico che fornisce con maggior precisione il dato, siaperché può essere necessario valutare l’effetto, in termini di riduzione del trasportosolido, che un intervento di consolidamento dell’alveo determinerebbe sul tratto inesame.

Completeranno i risultati della simulazione: i valori della massimaconcentrazione solida e della massima portata solida da attribuire al piccodell’idrogramma di piena; sono infatti questi ultimi gli elementi di maggiori utilità peril dimensionamento o la verifica delle sezioni idrauliche, mentre i volumi totalirisultano ovviamente di maggiore interesse per verificare la funzionalità di aree dideposito destinate ad un invaso, anche parziale, dei sedimenti.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti106

Al proposito, la Figura V.2.5 riporta un’applicazione esemplificativa dellametodologia appena descritta: nella applicazione eseguita vengono ad esempiomobilitati dall’evento circa 32000 m3; la portata solida al picco è di circa 3,5 m3 s-1 ela corrispondente concentrazione volumetrica è del 16%.

0500

1000150020002500300035004000

0.00

1.30

3.00

4.30

6.00

7.30

9.00

10.3

0

12.0

0

te m p o ( h )

po

rtat

a so

lida

(m3

in 0

.25

h)

0

5

10

15

20

25

po

rtat

a liq

uid

a (m

3 /s)por tata s o lida

por tata liqu ida

Figura V.2.5: Esempio di un sedimentogramma calcolato da un onda di piena: in figura sono rappresentati i volumi chetransitano ogni 15’, il calcolo è stato implementato su intervalli ∆t di 5’.

V.2.3.3.2 Sedimentogrammi da colata detritica

Nella valutazione dell’onda di piena generata da una colata detritica sono ingioco, oltre all’apporto idrico che satura i versanti e genera deflusso, un numeroconsistente di variabili.

Queste descrivono, solo per citare le più importanti, i meccanismi di innesco edi propagazione della colata stessa, la composizione granulometrica e litologica dellacolata, le caratteristiche del fluido intergranulare, i sedimenti ed il legname chevengono progressivamente coinvolti nel moto della colata.

Possono inoltre distinguersi colate di tipo granulare, colate fangose, ove èprevalente la presenza di sedimenti coesivi a grana fine o, anche, colate che, purveicolando una forte quantità di sedimenti granulari, finiscono per avvicinarsi, nel lorocomportamento, alle colate viscose. Questo ultimo tipo di colate è, ad esempio, moltofrequente proprio in ambiente dolomitico, quando l’abbondanza di detriti morenici,abbinata allo sfasciume che deriva dal disfacimento delle pareti calcaree, rendepossibile la genesi di colate, che, pur avendo nella matrice una modesta quantità dimateriale coesivo, finiscono per avvicinarsi nel loro comportamento reologico allecolate fangose. Il flusso di queste colate, nelle quali sono presenti anche massi, è perla gran parte costituito da materiale minuto (sabbie, ghiaie, piccoli ciottoli) ed assumenel complesso l’aspetto di una colata pseudo-coesiva.

La distinzione anzidetta ha delle implicazioni non trascurabili nei riguardi dellaportata di picco di un onda di debris flow. Molti studi su colate reali (Mizuyama et al.,1992, Rickenmann, 1999) hanno infatti evidenziato come, a parità di volume solidocomplessivamente mobilitato dalla colata, le colate di tipo puramente granulare dianoluogo a valori della portata al colmo notevolmente più elevati.

Per la complessità del fenomeno, che è stata sopra sinteticamente richiamata,la metodologia che si intende utilizzare per la stima di un sedimentogramma da colata

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 107

viene costruita su alcune ipotesi di base che, semplificando la problematica, neconsentono una quantificazione di massima.

Le ipotesi di lavoro proposte sono di seguito indicate.

a) La colata viene generata da un evento pluviometrico di forte intensità e brevedurata (evento temporalesco con durata sempre inferiore od uguale all’ora) diassegnato tempo di ritorno.

b) L’alveo dispone di una quantità illimitata di sedimenti; viene cioè mobilizzatotutto il sedimento asportabile dalla “portata idrologica” (similmente per iltrasporto di fondo si è valutata la capacità di trasporto in luogo della portatasolida reale). Più precisamente, la disponibilità illimitata di sedimento vieneipotizzata in concomitanza del transito della portata di colmo dell’idrogrammaliquido.

c) La portata di picco del debris flow (Qd), intesa come somma della portata liquida(Q=Ql) e della portata solida (Qs), viene determinata nell’ipotesi di scorrimento diuna portata di acqua pulita su di un ammasso granulare completamente saturo.Qd può allora stimarsi con la formula (metodo volumetrico):

ld Qcc

cQ

=∞*

* (57)

ovec* = concentrazione di massimo impaccamento del materiale costituentel’ammasso; può in genere assumersi c* = 0,65 (Armanini, 1999);c∞ = concentrazione volumetrica di equilibrio del fronte stazionario della colata inmovimento; per pendenze del fondo superiori al 35% la concentrazione c∞ èesprimibile come:

*cc α=∞ (58)

con α prossimo a 0,9.

La relazione (57) è supportata dai riscontri sperimentali di Hashimoto et al.(1978) (in Ghilardi et al. 1996) e di Tubino e Lanzoni (1993); tuttavia, come siosserva dalla Figura V.2.6, od anche da un esame del comportamento della eq.(57), è sufficiente una variazione anche di pochi punti percentuali del coefficienteα per far variare sensibilmente il valore della quantità che compare entroparentesi (coefficiente moltiplicativo) nella eq. (57) Così ad esempio per: α=0,90, risulta Qd=10 Ql, ma per α =0,93, diviene già: Qd=14 Ql.

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Figura V.2.6: Legame funzionale fra i parametri che compaiono nell.eq. 57: rappresentazione dei risultati sperimentalidi Hashimoto et al., (1978): tratto da Ghilardi et al. (1996).

Nella applicazione del metodo al reticolo idrografico di interesse potràammettersi, per una prima analisi, un valore di default di α pari 0,9 (quindi Qd =

10 Q;max

585,065,09,0/ ∞∞ ==×== cQQc ds ).

d) L’ultima ipotesi che viene posta riguarda la variazione del coefficiente ∞c durantegli intervalli di tempo che precedono e che seguono l’istante di picco;l’assunzione di un valore pari a c∞ max da applicare a tutta la durata dell’ondaliquida porterebbe, infatti, alla determinazione di un sedimentogramma da debrisflow assai poco realistico. L’ipotesi di lavoro è quindi quella di fare incominciarel’onda da colata in corrispondenza al transito di una portata liquida pari a 2,5volte la portata di inizio del trasporto di fondo (Qcr; paragr. precedente),determinando il primo valore della portata del debris flow Qd per un valore di c∞

= 0,2 = c∞ min (è noto che l’arrivo di una colata detritica viene spesso precedutoda un flusso iperconcentrato). Considerando, quindi, il tempo di crescita deldebris flow, come l’intervallo che separa, sull’idrogramma liquido, gli istanti in cuisi verificano le portate 2,5 Qcr e Ql=Qmax, si determinano i successivi valori di Qd

ammettendo un andamento lineare di c∞ (da c∞ min a c∞ max) in funzione del tempo.Procedura analoga si applica per la fase calante della colata, ipotizzando chel’ultimo valore di Qd sia ancora determinato da Q =2,5 Qcr e da c∞ min = 0,2 e chela decresita di c∞ sia lineare a partire dal valore di picco c∞ max.In Figura V.2.7 viene riportato un esempio di applicazione della proceduraanzidetta per un bacino idrografico che sottende una superficie di 3,5 km2. Nelcaso specifico l’idrogramma di piena è quello prodotto da un evento della duratadi 45’, costruito, a partire da una linea segnalatrice di possibilità pluviometrica,ordinando in senso crescente le massime altezze di pioggia che si determinanocon successione temporale di 5’. Avendo assunto un valore c∞ max = 0,585, ilvolume complessivo (solido + liquido) movimentato dalla colata nel corso di tuttol’evento è risultato pari a 140.000 m3. Il volume d’acqua è prossimo ai 30.000m3, il solo volume solido è di 110.000 m3. Per una simulazione meno “estrema”dell’evento sarebbe sufficiente ripetere il calcolo riducendo unicamente il valoredi c∞ max.

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0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

110

120

130

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

t (minuti)

Q (

m3 s

-1)

-h

(mm

)

precipitazione

portata liquida

portata debris flow

c∝= 0.585

c∝= 0.2 c∝= 0.2

Figura V.2.7: Esempio del risultato di calcolo di un onda di piena da debris flow a partire da un idrogramma liquido

La finalità di una tale metodologia sono orientate a fini progettuali.Conveniente appare anche la possibilità di pervenire, in un arbitraria sezione delreticolo idrografico, ad una comparazione immediata di due diversi scenari d’evento,potendo stimare la portata solida sia nel caso che si ipotizzi un trasporto massivo(colata) innescato da un evento intenso, sia nel caso si valuti il trasporto di fondo perscorrimento del letto. Tale opportunità è particolarmente utile per i bacini che drenanouna superficie inferiore ai 30 km2, per i quali i due fenomeni, anche nella realtà delterritorio trentino, si trovano spesso a coesistere. Il metodo si propone, infine, comeun punto di partenza, sul quale innestare, mediante il supporto di un’azione dimonitoraggio, misura di campo e controllo dei risultati, dei successivi affinamenti. Conspecifico riferimento alla problematica del trasporto solido, questi affinamenti sifocalizzano sostanzialmente su due aspetti:

• verifica in campo della stima della portata critica di inizio del trasporto solido subase geomorfica attraverso la misura della portata a piene ripe di tratti nondisturbati (molto opportuno per questa verifica è il periodo di fusione nivale).

• calibrazione del coefficiente di concentrazione solida di equilibrio per le colatedetritiche: questa calibrazione, sicuramente più complessa della precedente,potrà giovarsi di informazioni storiche, ricostruzione e osservazione di eventisignificativi, indagini geo-litologiche e granulometriche sui sedimenti chegenerano e alimentano e le colate detritiche.

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V.3 Progettazione degli interventi di sistemazione deicorsi d’acqua

V.3.1 Criteri generali

Nella progettazione di un’opera di sistemazione di un corso d’acqua ènecessario tenere conto di diversi fattori interagenti tra loro, intesi come criteri guidache possono indirizzare la progettazione verso una soluzione piuttosto che un’altra.

In primo luogo la sistemazione deve soddisfare il criterio della sicurezza,garantendo cioè che nel tratto di corso d’acqua interessato dal progetto non siverifichino inondazioni, frane e altri dissesti come colate detritiche o di fango. Il gradodi sicurezza con cui progettare l’opera andrà deciso in base alle possibili conseguenzedel disastro stesso (perdita di vite umane, danni economici, sociali ed ambientali). Inquesto contesto è necessario valutare se una situazione di rischio potenziale (versantein frana; possibili colate di detriti) si concretizzi in un effettivo pericolo per lo stato avalle e se quindi sia opportuno operare una sistemazione o accettare invece lanaturale evoluzione dei fenomeni. L’opportunità di non praticare eventi di salvaguardiapuò trovare giustificazione sulla base di due considerazioni: il carattere naturaledell’evoluzione del fenomeno in studio; ed il suo stretto rapporto con il paesaggio delluogo e la necessità di garantire comunque un flusso di materiale da convogliare versovalle.

Un secondo criterio che gioca un ruolo decisivo è quello della valutazionedell’impatto sull’ambiente e dell’impatto sul paesaggio che la sistemazione comportascegliendo, compatibilmente con il fattore legato alla sicurezza, opere che noninterferiscano in maniera eccessiva sulla vita dell’ecosistema fluviale e conservino perquanto possibile le caratteristiche di naturalità dello stesso.

Infine è necessario tenere conto dei criteri di efficacia, che misura fino a chepunto la sistemazione sia utile a risolvere le problematiche che è chiamata adaffrontare, di affidabilità della sistemazione, cioè la stima della probabilità che l’opera(o il complesso di opere) assolva ai suoi compiti durante la sua vita d’esercizio e didurabilità dell’opera, soprattutto nei casi in cui esistano difficoltà di manutenzione.

V.3.1.1 Scelta del periodo dell’intervento

L’esecuzione delle opere di progetto nell’ambito fluviale va calibrata al fine diminimizzare le situazioni di rischio.

In generale è molto difficile inquadrare il periodo migliore d’intervento inalveo, infatti, per una analisi completa è necessario tenere conto di più aspetti chedifficilmente potranno andare a definire univocamente il periodo di intervento.Semplificando, è possibile schematizzare i diversi aspetti suddividendoli in tre

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti118

categorie: esigenze di tipo tecnico, condizionamento antropico ed esigenze di tiponaturalistico.

Esigenze di tipo tecnicoNaturalmente va premesso che l’aspetto tecnico è di primaria importanza,

perciò andrà valutato con priorità assoluta sugli altri. Esso è caratterizzato da dueelementi che risultano di particolare importanza per la determinazione del periodo incui eseguire gli interventi in alveo.

Il primo elemento è quello climatico. Quest’ultimo impone sia l’individuazionedegli eventi idrologici persistenti, in particolare dei periodi di magra, sia la valutazionedella temperatura dell’ambiente. È evidente che gli interventi in alveo diventano moltodifficili se non eseguiti nei periodi di magra, poiché condizionano molto i tempi diesecuzione delle opere per le quali si rende necessario realizzare costosi interventi dideviazione dell’acqua, riducendo peraltro la sicurezza dei lavoratori. L’elementoclimatico, come visto, impone inoltre di tenere conto della temperatura. Risulta,infatti, problematico lavorare con temperature rigide sia per le difficoltà che ciòcomporta per i lavoratori e la loro sicurezza, sia per le difficoltà tecnica di eseguiredeterminati interventi, quali ad esempio le gettate di cemento con conseguente presa.

Esistono inoltre dei condizionamenti tecnici anche per quanto riguarda letecniche di sistemazione naturalistica. Queste, infatti, sono positivamente eseguibilisolo in determinati periodo dell’anno, basti pensare al trattamento e all’impianto delletalee altamente sconsigliato nel periodo vegetativo delle piante.

Idrologia

LMFG GMA NOSA D

Tecniche di sistemazione " a verde "

Semine

Talee Talee

Piantagione

Temperatura

Periodi consigliati Periodi sconsigliatiSituazioni da valutare

caso per caso

Piantagione

Tabella V.3.1: Calendario degli interventi secondo le esigenze di tipo tecnico.

Condizionamento antropico

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 119

Tale aspetto, anche se meno rilevante di quello tecnico, può comunquecondizionare la scelta del periodo più idoneo d’intervento. Bisogna tenere conto, seprevisto, del possibile uso “ricreativo” dell’alveo ad esempio per la pesca o lanavigabilità. Non va poi sottovalutato l’effetto negativo dal punto di vistapaesaggistico: cantieri in alveo possono ripercuotersi negativamente sul turismolocale.

Turismo

LMFG GMA NOSA D

Attivitàdi pesca

Navigazione

Periodi consigliati Periodi sconsigliatiSituazioni da valutare

caso per caso

Tabella V.3.2: Calendario degli interventi secondo i condizionamenti di tipo antropico.

Esigenze di tipo naturalisticoUltimo, ma di pari importanza rispetto al condizionamento antropico, è

l’aspetto naturalistico. Nei casi in cui sia possibile scegliere il periodo migliore in cuiintervenire, è necessario rispettare i cicli biologici della fauna ittica ed in particolare iperiodi di riproduzione della stessa. Una prima schematizzazione può essererappresentata dalla seguente tabella.

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G F M A M G L A S O N D

Cicliriproduttivi

fauna acquatica

Salmonidi

Ciprinidi e altri

Ciclibiologici:Idrofite

Ciclibiologici:

Fauna TerrestreNidificazione,Riproduzione Vertebrati

Periodi consigliati Periodi sconsigliatiSituazioni da valutare

caso per caso

Tabella V.3.3: Calendario degli interventi secondo le esigenze di tipo naturalistico.

Come si vede dall’intersezione delle diverse tabelle, risulta impossibiledeterminare il periodo, nel quale intervenire, che soddisfi i vari aspetti sopra descritti.

Spetta quindi al progettista, caso per caso, individuare il momento più idoneoper eseguire l’intervento in alveo.

V.3.1.2 La vegetazione in alveo

In occasione di piene di grandi dimensioni, le piante trascinate dalla correntepossono essere causa diretta di danni anche di notevoli proporzioni. Infatti, moltospesso sono proprio le piante che provocano l’intasamento di ponti (o di altre sezioniristrette) che poi a loro volta sono causa di deviazioni della corrente e di esondazioni.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 121

Figura V.3.1: Trattenimento di materiale vegetale ad opera di pila di ponte.

Accade spesso, che questi sbarramenti temporanei, improvvisamente cedanoalla crescente pressione dell’acqua, con la formazione di forti ondate con elevatotrasporto solido, caratterizzate da velocità, capacità erosiva e violenza di impattoelevatissime. Il ruolo “negativo” della presenza delle piante nell’alveo in questo caso èindubitabile.

Appare quindi certamente utile, e necessario, intervenire sulla vegetazionenell’alveo e in prossimità di esso, allo scopo di cercare di prevenire questi possibili-effetti negativi.

D’altra parte non possono essere trascurati i vantaggi derivanti dalla presenzadella copertura vegetale sulle sponde e sui versanti, come quelli:

• di ordine statico (consolidamento meccanico delle sponde da parte delle radici,drenaggio acque tramite evapotraspirazione);

• idraulici (la vegetazione rallenta la velocità di scorrimento dell’acqua);

• biologici (rallentamento della corrente e formazione di punti di ristagno, apportodi sostanza organica; arricchimento dell’ambiente di ripario, ombreggiamento);

• di carattere estetico-paesaggistico.

Il problema è dunque di intervenire correttamente sulla copertura vegetale, inmodo mirato e consapevole, per attenuare e possibilmente eliminare, gli effettinegativi e ottimizzare le funzioni positive che essa è in grado di svolgere.

Talora, invece, una concezione puramente idraulica, che considera i torrenticome dei canali e riduce tutti i problemi a quello di far passare una determinataquantità di acqua attraverso una certa sezione, ha portato a considerare lavegetazione in alveo prevalentemente come un ostacolo al deflusso e quindi a ridurreil problema del trattamento della vegetazione a quello della sua eliminazione: darisolvere quindi con interventi di taglio raso, più estesi possibile e da effettuarsi inqualsiasi stagione.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti122

In considerazione dei molteplici vantaggi che una copertura vegetale adatta(specializzata) garantisce, sembra invece quantomai utile passare ad una concezione“di trattamento della vegetazione” che abbia lo scopo di favorire l’evoluzione ed ilmantenimento di una cenosi specializzata, adatta alle particolari condizioni edesigenze di alveo, di sponda e di versante in prossimità dell’alveo. Si tratta diprendere atto che nel torrente ideale, la situazione a cui la gestione del torrente realedeve tendere, non è quella priva di vegetazione, bensì quello con un certo tipo dicenosi vegetale. Infatti, la presenza di vegetazione sulle sponde o nelle zone golenalidell’alveo comporta una serie di vantaggi che possono essere riassunti nei seguentipunti:

• Stabilizzazione: l’effetto di stabilizzazione dei terreni sciolti, e delle opere inpietrame a secco o in legname, prodotto dalle radici delle piante è di granderilevanza. La copertura vegetale garantisce una importante e duratura protezionecontro l’erosione superficiale, mentre l’apparato migliora la struttura del suolo,attraverso l’azione consolidante e l’apporto di sostanza organica, favorendo laformazione di aggregati resistenti. E ancora di grande rilevanza è l’azione direttadelle radici che trattengono il suolo (e aumentano la resistenza alla degradazionedelle opere a secco).Nei confronti dei manufatti in calcestruzzo o pietrame e calcestruzzo invece,l’azione delle radici può risultare disgregatrice, in quanto insinuandosi nellefessure tende ad espanderle.Questi effetti sono prodotti in modo diverso, da qualsiasi tipo di vegetazione –erbacea, arbustiva ed arborea- a seconda delle caratteristiche dell’apparatoradicale e della lettiera: particolarmente efficiente risulta la vegetazione ripariaspecializzata, soprattutto di salici e ontani. Tali specie sono dotate di apparatiradicali profondi e ben sviluppati, sono resistenti alla sommersione eall’interramento, hanno capacità pollonifera elevata che garantisce una rapidaripresa dopo la ceduazione, non raggiungono mai dimensioni eccessive, sonodotate di notevole flessibilità e resistenza soprattutto nella fase giovanile, hannouna elevata capacità colonizzatrice. Evidentemente minore è l’effetto dellavegetazione erbacea; ma anche delle conifere, che a causa della conformazionesuperficiale dell’apparato radicale (abete rosso in modo particolare) e dellegrandi dimensioni che possono raggiungere (trasmettendo al terreno fortisollecitazioni per effetto del proprio peso, del vento, o di corrente), risultanodecisamente meno adatte.

• Rallentamento della corrente: l’effetto idraulico della presenza di vegetazionesulle sponde, nelle aree golenali e nelle parti di alveo dove l’acqua non scorre concontinuità, è quello di rallentare la velocità di scorrimento. Si tratta di un effettofavorevole, alla sola condizione che la sezione sia sufficiente per il deflusso dellapiena.Il sovradimensionamento della sezione dovrebbe comunque essere unacondizione di sicurezza generalizzata, con la sola eccezione di condizionipreesistenti particolari (cunettoni, attraversamenti di abitati) : in questi ultimicasi il rallentamento della corrente sarebbe negativo in quanto accentual’insufficienza della sezione e può provocare il deposito del trasporto solido.Ai fini idraulici è importante che la vegetazione sia specializzata all’ambiente dialveo: flessibile resistente alle sollecitazioni della corrente e alla temporaneasommersione. Essenziale è che non raggiunga grandi dimensioni per evitare che

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 123

nel corso della piena possa schiantarsi provocando pericolosissimi sbarramentiprovvisori.

• Miglioramento biologico: la qualità dell’acqua è legata da una parte allaimmissione di sostanze inquinanti e dall’altra alla capacità di autodepurazione deltorrente. Quest’ultima dipende dalla filtrazione e dal deposito di inquinanti, dalgrado di ossigenazione dell’acqua (autodepurazione fisica) e dall’azione dellacomunità (vegetale e animale) acquatica (autodepurazione biologica). Tanto piùcomplessa è la biocenosi acquatica, e il numero di specie che la compongono neè una buona espressione, secondo un concetto generale dell’ecologia validoanche in questo caso, tanto migliore risulta la qualità delle acque.Il numero di specie che possono vivere in un certo tratto di torrente dipendedalla varietà dei micro-ambienti presenti. Un alveo in condizioni naturali ècaratterizzato da una grandissima variabilità di condizioni in brevi spazi, pereffetto dell’alternanza di grossi sassi e di depositi di ghiaia e sabbia, di tratti conelevata velocità e salti (ossigenazione) e zone di ristagno, di luce e di ombra eper la presenza di una copertura vegetale mista. All’estremo opposto sono lecondizioni di un canale rivestito: le condizioni assolutamente omogenee su fondoe sponde (velocità della corrente, substrato, caratteristiche dell’acqua)permettono la vita ad un numero molto limitato di organismi, per cui la strutturadella biocenosi risulta molto semplificata e l’autodepurazione biologica delleacque risulta molto limitata.L’effetto della vegetazione è certamente migliorativo: la linea di sponda vieneresa irregolare con la creazione di piccole anse e aree di rallentamento dellacorrente, viene modificato il substrato; si determina un’alternanza di luce eombra; vi è un apporto di sostanza organica che permette l’insediamento di altrespecie. Complessivamente si instaura una condizione di variabilità dimicroambienti che riproduce le condizioni naturali e permette la vita ad unacenosi più complessa.

• Effetto estetico-paesaggistico: è forse l’aspetto più evidente e di più immediatapercezione, per cui non occorre spenderci molte parole. L’effetto della presenzadella vegetazione (in modo particolare sulle sponde) è di creare l’impressione diun ambiente naturale, non contaminato dall’opera dell’uomo e questo vieneimmediatamente percepito come bello. L’importanza dei torrenti e delle zoneriparie come elementi del paesaggio (in termini estetici, ma anche ecologici) èevidente: e da questo deriva la necessità di saperne tenere conto nell’attività disistemazione, necessità che probabilmente è destinata ad aumentare nelprossimo futuro e a rappresentare un fattore di grande importanza neldeterminare l’atteggiamento dell’opinione pubblica verso le sistemazioni. Lavegetazione non è certamente l’unico elemento da considerare ma è senz’altrouno dei più importanti. E il sistematore deve tenerne conto nelle scelteprogettuali e nell’esecuzione e nella rifinitura dei lavori:

• nella scelta del tipo di intervento, dando –quando è possibile- la preferenza allesoluzioni di tipo naturalistico (soprattutto limitando allo stretto indispensabile lacostruzione di argini e cunettoni), e a quelle più rispettose dell’ambientenaturale;

• rispettando le aree di espansione naturale (ed eventualmente creandone diartificiali dove la morfologia del terreno lo permetta), molto utili anche dal punto

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti124

di vista strettamente idraulico in quanto rallentano la corrente e favoriscono ladeposizione del trasporto solido;

• salvaguardando (o ricreando) la vegetazione riparia naturale;

• dando all’alveo una conformazione con caratteristiche variabili e simili a quelledell’ambiente naturale (e rispettivamente mantenendole se queste sussistono),evitando per quanto possibile una conformazione geometrica.

Vale la pena sottolineare l’effetto mascherante che la vegetazione nell’alveo esulle sponde può esercitare, anche nei confronti di interventi di tipo strettamentetecnico: in proposito si possono citare vari esempi di sistemazioni che dopo alcuni annisono “sparite”, in quanto nascoste dallo sviluppo della vegetazione spontanea (per lopiù ontani). Il punto che qui si vuole sottolineare è che tale effetto può essere di granlunga superiore se già in fase di progettazione questo effetto viene considerato dalprogettista dell’intervento, per cui sia la scelta del tipo di intervento, sia l’esecuzionedelle rifiniture tengono conto direttamente della necessità di ricreare un paesaggio ditipo naturale.

Si ribadisce, quindi, che la corretta progettazione di un intervento sistematoriodeve prevedere la presenza di vegetazione; gli effetti negativi che essa induce intermini di capacità di deflusso devono essere previsti in fase di progetto, econseguentemente le sezioni devono essere dimensionate in base a questa ulterioreesigenza.

V.3.1.3 Sistemazione ed interventi di riqualificazione paesaggistico-ambientale

V.3.1.3.1 Introduzione

Le cause principali del degrado ambientale e paesaggistico di molti corsid’acqua sono riconducibili sostanzialmente a due fattori, spesso sinergici, decisamenteinfluenti sugli equilibri ecosistemici e, di conseguenza, sulle caratteristiche quali-quantitative dell’acqua e quindi sulle potenzialità di utilizzazione estesa delle risorseidriche:

• le opere di regimazione, rettifica e regolarizzazione degli alvei fluviali;

• il complesso delle derivazioni idriche.

Tali fattori provocano, nei corsi d’acqua, una riduzione:

• delle naturali capacità di autodepurazione organica;

• della biodiversità;

• dell’attrazione paesaggistica,

• dell’utilizzazione turistico-ricreativa;

e suggeriscono un approccio complessivo, multifunzionale, nella progettazionedei nuovi interventi, nelle azioni di ripristino e/o miglioramento ambientale di opereesistenti, anche attraverso la più ampia applicazione delle tecniche di ingegneria

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naturalistica, specialmente in ambiti fluviali, nonché la definizione di deflussi minimivitali a valle delle derivazioni idriche attive sui corsi d’acqua.

V.3.1.3.2 Cenni storici

Le esigenze di difesa idraulica del territorio hanno determinato, già dalla metàdell’Ottocento, proseguendo negli anni Venti del Novecento e poi soprattutto inseguito all’alluvione del 1966, la diffusa realizzazione di opere di difesa idraulica deicorsi d’acqua. L’incidenza delle opere idrauliche sul territorio è quindi elevata, cosìcome la loro permanenza; non di rado la loro progettazione ha trascurato gli aspettipaesaggistici e la funzionalità ecologica dei corsi d’acqua.

La costruzione di briglie e grandi arginature, peraltro necessarie quali strutturedi sicurezza idrogeologica del territorio, d’altra parte, ha prodotto la semplificazionedell’ambiente riducendo la diversità morfologica dell’alveo e degli ambienti ripariali, inmolte sezioni ha provocato l’interruzione della continuità fisica e biologica dei corsid’acqua, perlopiù con grave danno per i naturali processi di migrazione ittica,particolarmente per quegli ambienti naturalmente privi di fattori di discontinuità qualisono particolarmente i corsi d’acqua di fondovalle (ove peraltro giocano ruolofondamentale anche gli impianti a scopo idroelettrico).

I danni derivanti da questo approccio eminentemente e/o spessoesclusivamente idraulico all’intervento sul reticolo idrografico hanno provocato, tral’altro, una generale riduzione delle superfici fluviali e ripariali, e dunque dei substratiutili per l’insediamento della fauna macrobentonica, anfibia e ittica e per la spontaneaautodepurazione organica delle acque. Si può stimare che, rispetto alle condizioni delreticolo idrografico provinciale dell’inizio dell’ottocento, la capacità complessiva diproduzione ittica si sia ridotta del 60 - 70 %.

La possibilità di imporre, da parte della Giunta provinciale, la realizzazione dipassaggi per i pesci esplicitamente contemplata dalla L.P. 60/78, inoltre, è statararamente applicata, sicché oggi il reticolo idrografico mantiene un elevato grado didiscontinuità determinato da barriere fisiche artificiali insuperabili.

V.3.1.3.3 Situazione odierna

Recenti esperienze, condotte principalmente nell’area alpina e centro-europea,offrono oggi la possibilità di intervenire con finalità ed effetti congiunti di difesaidraulica e di ripristino o di conservazione ambientale in buona parte degli ambientifluviali della nostra provincia. Le attuali tecniche dell’ingegneria naturalistica adattatee applicate agli ambiti torrentizi e fluviali alpini, consentono di unire gli obiettivi disicurezza idraulica agli scopi di tutela o ripristino della funzionalità ecologica edapprezzabilità paesistica dei corsi d’acqua, nonchè di incremento o restauro dellecapacità ittiogeniche spontanee. Risulta perciò prioritaria l’esigenza di applicare il piùdiffusamente possibile metodologie e tecniche di sistemazione idraulica ispirate acriteri ecosistemici, sia nelle nuove realizzazioni sia nelle ristrutturazioni delle opereesistenti.

È fondamentale realizzare i nuovi interventi tenendo conto, già nelle fasiiniziali di programmazione e progettazione, delle esigenze di tutela e ripristino degliambienti acquatici ai fini biologici, paesaggistici, turistico-ricreativi. In altre parolenell’operare sugli ambienti acquatici per garantire la sicurezza idraulica del territoriodeve maturare la consapevolezza che si agisce su ecosistemi. Uno sforzo culturalesicuramente non indifferente che presuppone l’integrazione di professionalità esensibilità diverse, la sperimentazione di tecniche nuove, l’aggiornamento e ilconfronto continuo di esperienze. Tale approccio consentirà di ottenere non solo

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migliori risultati sul piano paesaggistico e ambientale ma anche, più in generale,mantenere il più elevato grado di efficienza delle molteplici funzioni che un ecosistemamodificato razionalmente dall’uomo e non a senso unico è comunque in grado diespletare.

I concetti sinora esposti sono tra l’altro condivisi dalla revisione della CartaIttica della Provincia di Trento, approvata dalla Giunta nel settembre 2001 con propriadeliberazione. Anche finalità e azioni che sono di seguito illustrate corrispondono inbuona parte a quelle individuate nel documento anzidetto, che evidentementedefinisce indicazioni operative di riqualificazione e ripristino in relazione, in sintesiestrema, al loro positivo effetto sulla capacità ittiogenica degli ambienti acquatici.

V.3.1.3.4 Obiettivi e azioni tipo

Nel perseguimento prioritario degli obiettivi di sicurezza del territorio andrannopreviste, dunque, soprattutto per quanto riguarda i corsi d’acqua di fondovalle,soluzioni atte anche a produrre:

1. incremento delle superfici fluviali tramite il recupero almeno parziale di aree diespansione ed esondazione e delle aree periferiche di pertinenza fluviale;

2. conservazione o ripristino della naturale continuità biologica longitudinale eriduzione della discontinuità tramite la realizzazione di strutture transitabili perl’uomo (scivoli e rampe) e per la fauna ittica (scale di monta, etc.);

3. conservazione o ripristino della continuità paesaggistico ambientale trasversale(gli argini non devono costituire una frattura tra il corso d’acqua e il territorio cheattraversano);

4. conservazione o ripristino del naturale scambio idrico tra corso superficiale efalda freatica;

5. conservazione o ripristino della diversità morfologica e biologica dell’ambientefluviale, tramite il restauro del naturale assetto fisico dell’alveo, l’utilizzo dimateriali naturali per le opere di sponda e di fondo, il ripristino delle areegolenali, il mantenimento degli ambienti fluviali periferici;

6. conservazione o ripristino delle fasce riparie vegetate anche tramite l’impianto diarbusti, l’applicazione delle “scogliere vive”, delle “coperture diffuse” e delletipologie d’opera tipiche dell’ingegneria naturalistica (gradonate, palificate vive,cordonate etc.);

7. salvaguardia o ripristino delle aree e dei tasselli ambientali di particolare valoreper la fauna come, in particolare, i siti riproduttivi e di rifugio per la fauna ittica.

L’applicazione di questi criteri generali si concretizza nelle tipologie diintervento, azione e indicazioni elencate e di seguito descritte, è una sintesi generaledi tutte le indicazioni utili al miglioramento ambientale che possono adattarsipresumibilmente alla buona parte degli ambienti d’acqua corrente del territorio alpino.

Le tipologie di intervento sono:

• Rinaturalizzazione delle sponde nei tratti arginati con strutture rigide eimpermeabili tramite ristrutturazione naturalistica delle arginature e ripristinodella fascia riparia vegetata;

• Riqualificazione dell’alveo dei corsi d’acqua canalizzati tramite la riapertura deitratti interrati, la ristrutturazione totale o parziale dei canali al fine di realizzare

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meandri, inserire vegetazione sulle sponde, generare diversità ambientale eripristinare i fondali naturali adatti all’insediamento della faunamacrozoobentonica ed alla riproduzione ittica;

• Ripristino della naturale diversità ambientale e morfologica dell’alveo nei trattistrutturalmente alterati;

• Eliminazione o riduzione delle barriere artificiali alla continuità biologica del corsod’acqua anche tramite la realizzazione di passaggi per pesci adatti alle migrazionidei Salmonidi;

• Ripristino della vegetazione riparia naturale nei tratti di sponda devegetati elimitazione e definizione di criteri del taglio della vegetazione riparia arbustiva;

• Ripristino di ambienti perifluviali di lanca e di risorgiva naturali tramite laristrutturazione delle aree golenali a struttura seminaturale;

È comunque necessario valutare complessivamente, nella programmazione edesecuzione degli interventi, le esigenze di tipo tecnico, antropico e naturalistico (cfr.paragrafo V.3.1.1).

Per ottimizzare l’azione sistematoria complessiva, migliorandone anchel’efficacia in termini costi-benefici, non sembra superfluo aggiungere ai criteri generalielencati sopra, alcune “considerazioni applicative” di intervento che condizionanopositivamente la capacità ittiogenica degli ambienti acquatici.

a) Caratteristiche geometriche delle opere

Nella progettazione (e/o rifacimento) di opere trasversali preferire soluzioni che:

• scompongano la teorica “traversa unica” di altezza insuperabile alla fauna itticain più salti non eccedenti la misura di 60÷80 cm;

• contengano per quanto possibile la dimensione sommitale del corpo dell’operanel senso dello scorrimento dell’acqua, prevedano comunque una sagomaturatrasversale tale da concentrare l’acqua al fine di mantenere, anche in magra,tiranti minimamente utili a “contenere fisicamente” i soggetti in passaggio;

• evitino profilature longitudinali che impediscano, anche in opere non sviluppate inaltezza, la risalita dei pesci;

• non prevedano la collocazione di massi a valle dell’opera a spezzare la lamastramazzante (massi sui quali inevitabilmente urterebbe il pesce in spostamentoverso valle) ma la creazione di una buca utile sia alla dissipazione dell’energiadell’acqua sia alla creazione di siti di rifugio e riposo nonchè spazio per la“rincorsa” dei soggetti in risalita, necessaria per superare il salto a monte;

• qualora si ponga mano ad opere insuperabili ai pesci, non modificabili in altezza,valutare la possibilità e l’opportunità di realizzare scale di monta o rampe inmassi o percorsi di risalita ecc..

Nella realizzazione (e/o rifacimento) di opere longitudinale preferire soluzioni che:

• applichino più diffusamente tecniche di ingegneria naturalistica;

• prevedano copertura e rinverdimento di scogliere, scarpate, ecc.;

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• utilizzino per la realizzazione delle stesse preferibilmente (in ordine di priorità discelta) massi a secco, massi legati, massi cementali con fughe profonde.

b) Ambiti sensibili

Foci e tratti terminali di affluenti in recettori di fondovalle sono spesso porzionidel reticolo estremamente importanti quali siti riproduttivi, soprattutto dei Salmonidi:il mantenimento e/o il ripristino della loro risalibilità e di un substrato naturale,almeno per un certo tratto, con demolizione di briglie o cunettoni terminali insuperabilidai pesci e la sostituzione con opere meno alte o con altri manufatti che consentanomedesimi livelli di sicurezza idraulica sono senz’altro da favorire. Evidentementenell’eventuale demolizione si deve ritenere prioritario l’intervento sui manufatti piùvicini al recettore procedendo quindi da valle a monte nell’opera di ripristino dellarisalibilità del corso d’acqua. Altri ambiti sensibili puntuali sono espressamenteindividuati in alcuni Piani di Gestione relativi a singoli ecosistemi omogenei (o a gruppidi essi) nei quali è stato suddiviso il reticolo idrografico provinciale, ai fini principalidella loro gestione ittiogenica, dalla revisione 2001 della Carta Ittica.

c) Asporto di materiale d’alveo

Per la realizzazione delle opere deve essere evitato di utilizzare massi dirilevanti dimensione presenti in alveo, in quanto costituiscono elemento fondamentaleper movimentare morfologicamente e dinamicamente l’alveo; salvo ricorrervi qualoranon esista alternativa praticabile in termini tecnici, a fronte di necessità di messa insicurezza del sito. Gli stessi elementi vanno esclusi dai prelievi in alveo, qualoravengano autorizzati asporti di materiale litoide; inoltre la sistemazione dell’alveo aseguito di detti lavori non deve consistere nella banalizzazione della naturalemorfologia fluviale, ad esempio con “rettificazione” del fondo.

d) Compensazioni

Nella condizione di dover necessariamente attuare interventi connessi a forteperdita di naturalità (e.g. cunettoni) si prevedano eventuali interventi compensativi dirinaturalizzazione in altri tratti del corso d’acqua.

V.3.2 Portata di progetto

Le opere idrauliche di difesa si differenziano da molte altre opere di ingegneriain quanto sono destinate a regolare grandezze naturalmente variabili, che possonoessere considerate e trattate come grandezze aleatorie: note, cioè, solo con laprobabilità di essere eguagliate o superate. La dizione corrente è quella di grandezzecasuali o variabili. Assumendo dunque che le precipitazioni meteoriche possano, ingenerale, essere considerate come un evento casuale, è pratica comune assumere cheanche le portate in un corso d’acqua possano essere trattate come tali. Grazie adanalisi di tipo statistico e probabilistico è possibile far corrispondere ad ogni valore diuna variabile idrologica la probabilità che si verifichi un evento maggiore o uguale diquello dato, cioè di individuare per ogni evento il suo tempo di ritorno; teoricamente,l’inverso della frequenza di superamento di un evento. Nel caso si regolarizzino eventimassimi annuali(di precipitazione per un assegnata durata, di portata) il tempo di

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ritorno si misura dunque in anni.. Nella progettazione si assumerà quindi un evento diriferimento e l’opera sarà in grado di svolgere la sua funzione in modo corretto soloper eventi meno gravosi di quello scelto. Al contrario, il grado di inefficienza diun’opera aumenterà al crescere della distanza tra l’evento reale e quello assunto allabase del progetto. La scelta dell’evento su cui basare la progettazione sarà quindiassociata ad un certo grado di rischio, che si ritiene essere accettabile.

Si riporta di seguito una descrizione del metodo da adottarsi per stimare iltempo di ritorno per il progetto di un’opera idraulica di sistemazione. Nei paragrafi cheseguono verrà descritto con maggior dettaglio come applicare il metodo proposto allaverifica idraulica degli attraversamenti (ponti, attraversamenti aerei) e per laprogettazione di tutte le opere di sistemazione e manutenzione dei corsi d’acqua.

Per le due categorie di interventi (di sistemazione e attraversamenti) sonostati definiti degli intervalli di condizioni di rischio potenzialmente accettabili. fissandoun tempo di ritorno massimo ed uno minimo come riportato nella seguente TabellaV.3.4.

Tipologia di opera idraulica Tr min [anni] Tr max [anni]

Interventi di sistemazione e manutenzione 30 200

Attraversamenti del corso d’acqua (ponti, attraversamenti aerei) 100 200

Tabella V.3.4: Intervallo di riferimento per l’adozione del tempo di ritorno da assegnare all’opera idraulica

Il criterio proposto prevede di determinare il valore del tempo di ritorno Trcalcolo

da usare nella progettazione dell’opera usando la seguente formula:

( )minmaxmin rrrrcalcolo TTTT −+= α con 10 ≤≤ α (1)

Il coefficiente α può essere determinato tenendo conto del valore dell’uso delsuolo cui sono soggette le zone circostanti il tratto di corso d’acqua in cui si eseguel’opera e del tipo di evento che interessa il corso d’acqua su cui si progetta grazie allaseguente formula:

21 ααα ⋅= (2)

con: α1 = coefficiente ( 10 1 ≤≤ α )che tiene conto dell’uso del suolo

α2 = coefficiente ( 10 2 ≤≤ α ) descrittivo del tipo di fenomeno.

Per assegnare il valore numerico α1 ai diversi usi del suolo si è fattoriferimento ai valori delle classi di uso del suolo determinati per la quantificazione delrischio idrogeologico sul territorio. Le categorie di uso del suolo sono state accorpatepassando da 13 a 5 classi essendo queste ultime sufficienti ai fini della determinazionedel tempo di ritorno di progetto. Si riportano nella seguente Tabella V.3.5 le 5 classiscelte con i rispettivi valori.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti130

Classe di uso del suolo Valore α1

Centri abitati, edifici 1

Aree produttive, aree con infrastrutture,

depuratori, imp. idroelettrici, strutture turistiche0,93

Aree agricole 0,23

Aree verdi e bosco 0,15

Paesaggi naturali ed improduttivo 0,02

Tabella V.3.5: Valori assegnati alle classi di uso del suolo

Va sottolineato il fatto che le categorie d’uso del suolo considerate nel metodoproposto costituiscono solo una semplificazione della situazione reale e che nellamaggior parte dei casi difficilmente le zone intorno al tratto di corso d’acquaconsiderato ricadono in un’unica categoria. In questi casi, per garantire un adeguatogrado di sicurezza, l’analisi andrà condotta scegliendo tra gli usi del suoloeffettivamente presenti sul territorio interessato quello caratterizzato dal valore α1

maggiore.

È stato poi introdotto un valore α2 per tenere conto del grado di pericolositàdel fenomeno che può verificarsi, distinguendo le situazioni riportate in Tabella V.3.6con i rispettivi valori.

Descrizione del fenomeno Valore α2

Colate detritiche (debris flow) in zone pendenti (superiori al 20%) e sui conoidi caratterizzati da

violenta attività torrentizia con elevatissimo trasporto solido che si instaura in seguito a precipitazioni

di forte intensità e breve durata in bacini idrografici di ridotte dimensioni con elevata disponibilità di

materiale solido movimentabile sui versanti (per frane) e in alveo.

1

Corsi d’acqua a carattere torrentizio caratterizzati da trasporto solido generalmente molto elevato,

alimentato dai fenomeni di monte. In questo caso il livello idrico di piena non è controllato dalla

portata liquida, ma dall’innalzamento del fondo dovuto al deposito del materiale solido trasportato

dalla corrente. La situazione è aggravata dal fatto che l’eventuale esondazione interessa zone

pendenti (fino al 20%).

0,9

Corsi d’acqua maggiori a carattere fluviale caratterizzati da fenomeni di trasporto solido generalmente

ridotti. In questo caso si può considerare che il livello idrico di piena sia controllato dalla portata

liquida, l’eventuale esondazione interessa zone pianeggianti.

0,7

Corsi d’acqua minori nella rete idrografica di pianura, caratterizzate da fenomeni di trasporto solido e

da portate liquide di piena ridotti. L’eventuale esondazione interessa zone pianeggianti.0,55

Tabella V.3.6: Definizione del valore del coefficiente α2 per i vari fenomeni

Il valore più elevato del coefficiente α2 è stato assegnato alle colate di detriti inquanto questi fenomeni sono particolarmente pericolosi e distruttivi a causa delle fortivelocità raggiunte dal materiale e della capacità di trasportare blocchi di dimensionielevate. Inoltre, le colate di detriti sono di difficile previsione e quantificazione, inquanto legate a eventi piovosi intensi e di breve durata e ad una malcertadeterminazione dei volumi di sedimento movimentabili dall’evento. Questecaratteristiche impongono di scegliere in sede progettuale margini di sicurezzamaggiori rispetto ad altri fenomeni pur rilevanti per la difesa del suolo.

È stato scelto un coefficiente elevato anche per i corsi d’acqua caratterizzati daelevato trasporto solido, in quanto le difficoltà insite nella loro modellazione rendono

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 131

difficile la previsione affidabile degli eventi rilevanti le sistemazioni. In particolarerisulta difficile il controllo dei depositi localizzati all’interno dell’alveo che possonoportare ad innalzamenti notevoli dei livelli idrici e quindi a possibili esondazioni ederosioni localizzate che possono causare instabilità sia delle sponde sia diinfrastrutture di attraversamento.

Per i corsi d’acqua in pianura sono stati adottati dei coefficienti α2 minori inquanto i modelli di previsione dei fenomeni risultano più attendibili, e l’intensità deidanni minore. Sono stati distinti i corsi d’acqua maggiori da quelli minori per tenereconto delle diverse proporzioni dei fenomeni.

Scelti i coefficienti α1 e α2 per il contesto in cui l’opera stessa sarà inserita, èpossibile a questo punto determinare il valore del tempo di ritorno Tr.calcolo applicandole formule (1) e (2).

I tempi di ritorno Trcalcolo così ottenuti sono stati poi raggruppati nelle classi diriferimento riportate in Tabella V.3.7; nella stessa tabella è riportato anche il valore ditempo di ritorno di progetto da scegliere per ogni classe.

Classi Intervallo su Tr calcolo Tr di progetto

1 T r calcolo ≤ 40 T r progetto = 30 anni

2 40< T r calcolo ≤ 60 T r progetto = 50 anni

3 60< T r calcolo ≤ 120 T r progetto = 100 anni

4 120< T r calcolo ≤ 160 T r progetto = 150 anni

5 T r calcolo > 160 T r progetto = 200 anni

Tabella V.3.7: Valore del tempo di ritorno di progetto per i valori di tempo di ritorno di calcolo

V.3.2.1 Criteri di compatibilità idraulica per i ponti

La condizione minima richiesta per verificare la compatibilità idraulica di unponte è riferirsi ad una portata di piena di progetto con tempo di ritorno di 100 anni,mantenendo un franco minimo tra la quota idrometrica e la quota di intradosso delponte non inferiore ad 1 m. Il valore del franco deve essere assicurato per almeno i2/3 della luce quando l’intradosso del ponte non sia rettilineo e comunque per almeno40 m nel caso di luci superiori a tale valore.

In alcune particolari situazioni viene richiesto al progettista di eseguire unaverifica con un tempo di ritorno maggiore, che può essere desunto con la metodologiagià vista.

Si riportano di seguito i valori del tempo di ritorno di progetto ottenutiapplicando i coefficienti riportati in Tabella V.3.5 e Tabella V.3.6 per il caso dei ponti.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti132

α2 = 1

Colate di detritiPonti Uso suolo

Uso suolo*α2 Tr calcolato Tr progetto

Centri abitati, edifici 1,00 1,00 200 200

Aree produttive, aree con infrastrutture, depuratori,

imp. Idroel., viabilità, strutture turistiche0,93 0,93 193 200

Aree agricole 0,23 0,23 123 150

Aree verdi e bosco 0,15 0,15 115 100

Paesaggi naturali e improduttivo 0,02 0,02 102 100

α2 = 0,9

Corsi d’acqua a carattere torrentizioPonti Uso suolo

Uso suolo*α2 Tr calcolato Tr progetto

Centri abitati, edifici 1,00 0,90 190 200

Aree produttive, aree con infrastrutture, depuratori,

imp. Idroel., viabilità, strutture turistiche0,93 0,84 184 200

Aree agricole 0,23 0,21 121 150

Aree verdi e bosco 0,15 0,14 114 100

Paesaggi naturali e improduttivo 0,02 0,02 102 100

α2 = 0,7

Corsi d’acqua maggiori a carattere fluvialePonti Uso suolo

Uso suolo*α2 Tr calcolato Tr progetto

Centri abitati, edifici 1,00 0,70 190 200

Aree produttive, aree con infrastrutture, depuratori,

imp. Idroel., viabilità, strutture turistiche0,93 0,65 165 200

Aree agricole 0,23 0,16 116 100

Aree verdi e bosco 0,15 0,11 111 100

Paesaggi naturali e improduttivo 0,02 0,01 101 100

α2 = 0,55

Corsi d’acqua minori in pianuraPonti Uso suolo

Uso suolo*α2 Tr calcolato Tr progetto

Centri abitati, edifici 1,00 0,55 155 150

Aree produttive, aree con infrastrutture, depuratori,

imp. Idroel., viabilità, strutture turistiche0,93 0,51 151 150

Aree agricole 0,23 0,13 113 100

Aree verdi e bosco 0,15 0,08 108 100

Paesaggi naturali e improduttivo 0,02 0,01 101 100

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 133

Nei casi in cui il tempo di ritorno di progetto calcolato tenendo conto dell’usodel suolo e della tipologia dell’evento risulti maggiore di 100 anni, è necessariovalutare la riduzione di franco che si manifesta per la portata di progetto; ai fini di unacompleta determinazione dello stato di sicurezza dell’opera sarà necessario verificareche il franco idraulico di 1 m sia sufficiente a far defluire la nuova portata di progetto.Quando questo non avviene il franco dovrà essere adeguato.

V.3.2.2 Criteri di progettazione delle opere di sistemazione emanutenzione

Per la progettazione di tutte le tipologie di opere di sistemazione e degliinterventi di manutenzione deve essere eseguita una verifica idraulica con la portatacaratterizzata da un tempo di ritorno definito in funzione delle caratteristichedell’evento e dell’uso del suolo con il metodo proposto.

Per i vari fenomeni presi in considerazione si ottengono i seguenti valori deltempo di ritorno in funzione dell’uso del suolo nel territorio circostante il corsod’acqua.

α2 = 1

Colate di detritiInterventi di sistemazione e manutenzione Uso suolo

Uso suolo*α2 Tr calcolato Tr progetto

Centri abitati, edifici 1,00 1,00 200 200

Aree produttive, aree con infrastrutture, depuratori,

imp. Idroel., viabilità, strutture turistiche0,93 0,93 188 200

Aree agricole 0,23 0,23 69 100

Aree verdi e bosco 0,15 0,15 56 50

Paesaggi naturali e improduttivo 0,02 0,02 33 30

α2 = 0,9

Corsi d’acqua a carattere torrentizioInterventi di sistemazione e manutenzione Uso suolo

Uso suolo*α2 Tr calcolato Tr progetto

Centri abitati, edifici 1,00 0,90 183 200

Aree produttive, aree con infrastrutture, depuratori,

imp. Idroel., viabilità, strutture turistiche0,93 0,84 172 200

Aree agricole 0,23 0,21 65 100

Aree verdi e bosco 0,15 0,14 53 50

Paesaggi naturali e improduttivo 0,02 0,02 33 30

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti134

α2 = 0,7

Corsi d’acqua maggiori a carattere fluvialeInterventi di sistemazione e manutenzione Uso suolo

Uso suolo*α2 Tr calcolato Tr progetto

Centri abitati, edifici 1,00 0,70 149 150

Aree produttive, aree con infrastrutture, depuratori,

imp. Idroel., viabilità, strutture turistiche0,93 0,65 141 150

Aree agricole 0,23 0,16 57 50

Aree verdi e bosco 0,15 0,11 48 50

Paesaggi naturali e improduttivo 0,02 0,01 32 30

α2 = 0,55

Corsi d’acqua minori in pianuraInterventi di sistemazione e manutenzione Uso suolo

Uso suolo*α2 Tr calcolato Tr progetto

Centri abitati, edifici 1,00 0,55 124 150

Aree produttive, aree con infrastrutture, depuratori,

imp. Idroel., viabilità, strutture turistiche0,93 0,51 117 100

Aree agricole 0,23 0,13 52 50

Aree verdi e bosco 0,15 0,08 44 50

Paesaggi naturali e improduttivo 0,02 0,01 32 30

A questo punto è possibile trovarsi di fronte a tre casi:

Tr progetto<100 anni

Tr progetto =100 anni

Tr progetto>100 anni

Nel primo caso, la progettazione deve essere eseguita con il Tr progetto definitodal modello, ma è comunque necessario verificare il comportamento dell’opera inrapporto ad una piena con un tempo di ritorno di 100 anni (Tr100) e garantire che inquesta situazione non si verifichi un aggravamento delle condizioni di rischio idraulicosul territorio circostante.

Nei casi in cui il tempo di ritorno di progetto coincida con il tempo di ritornominimo (cioè Tr= 30 anni) il progettista deve valutare l’alternativa di non interveniresul corso d’acqua tramite un’analisi costi-benefici relativa all’opera.

Al fine di ottenere questa condizione nella determinazione dell’altezza delleopere di difesa longitudinali andrà assegnato un franco adeguato.

Nel secondo caso il Trprogetto è 100 anni e solo in base a questo deve essereverificata l’opera da progettare; mantenendo un franco di sicurezza pari ad 1 mrispetto alla quota del pelo libero al passaggio della piena di progetto.

Nel terzo caso, dove il Tr risulta maggiore di 100 anni sarà necessarioverificare il rischio idraulico al passaggio di una piena con il Trprogetto che risulta dalmodello e aggiungere un franco pari a 1m ai livelli idrici così calcolati.

Va infine notato che in situazione di particolari rischi o per la protezione disituazioni particolari presenti sul territorio è possibile considerare valori del tempo diritorno maggiori di quelli calcolati, ad esempio scegliendo dei Tr maggiori di 200 anni.

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I tempi di ritorno a cui riferirsi nella progettazione di un’opera di sistemazioneo di manutenzione di un corso d’acqua possono quindi essere riassunti nella seguentetabella in funzione dell’uso del suolo da proteggere.

Tempi di ritornoCategorie uso del suolo

< 30 30 50 100 150 200 > 200

Paesaggi naturali e improduttivo

Aree verdi e bosco

Aree agricole

Aree produttive, infrastrutture, viabilità

Centri abitati, edifici

Rischi e situazioni particolari

V.3.3 Progettazione delle opere di sistemazione

Nel capitolo precedente sono stati presentati i criteri generali che devonoessere utilizzati per la corretta progettazione delle opere di sistemazione di un corsod’acqua; l’estrema variabilità delle situazioni che si possono incontrare fa sì che siamolto difficile definire direttive generali di progettazione. È pertanto opportunostudiare ogni caso separatamente. In generale, è comunque possibile osservare cheper la corretta progettazione delle opere di sistemazione di un corso d’acqua è semprenecessario studiare attentamente le modificazioni del tratto di corso d’acquainteressato dagli interventi di progetto. Questa analisi permette di valutare se lasistemazione assolve ai compiti per i quali è stata progettata, e tutti gli altri effetti cheessa produca sul regime idraulico del corso d’acqua in cui è inserita.

A tale proposito è necessario evidenziare come le problematiche da indagarenon vadano limitate alla sola zona dell’intervento, ma anzi estese alle tratte di valle, inquanto anch’esse possono pesantemente risentire degli effetti indotti dallasistemazione. Un tipico esempio di questo problema è rappresentato dai sovralziarginali, il cui uso indiscriminato peggiora le condizioni di deflusso a valle a causadell’aumento della portata legato alla sottrazione delle naturali zone di espansione.Pertanto, come opera idraulica di difesa, essa, ove possibile, va consentita solamenteper la protezione diretta ed attiva di aree urbane. Possono altresì essere progettate erealizzate particolari risagomature arginali in compresenza di misure strutturalicompensative, quali aree di espansione controllata, che garantiscano la neutralitàcomplessiva degli interventi rispetto alla crisi idraulica dei comprensori di valle.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti136

Figura V.3.2 Rilevati arginali in corrispondenza di un attraversamento di centri storici

Il progetto deve inoltre garantire e verificare la stabilità delle opere realizzatee di quelle preesistenti nelle condizioni idrauliche di riferimento. L’efficacia dellasistemazione di progetto deve essere indagata eseguendo un confronto tra lasituazione di partenza e quella di progetto. In particolare la verifica idraulica devemettere in luce i seguenti aspetti:

• variazioni delle quote idrometriche e compatibilità con le opere di difesalongitudinali presenti nel tratto;

• variazioni della velocità e/o del profilo trasversale di velocità, evidenziando inparticolare le conseguenze di queste variazioni sull’evoluzione della geometriadella sezione (scavi, depositi) e sulla stabilità delle opere preesistenti;

• variazione della capacità di trasporto solido della corrente e dello sforzotangenziale al fondo;

• variazione della forma dell’idrogramma di piena di valle (effetto di laminazione).

La verifica idraulica del tratto di corso d’acqua in cui andranno inserite le operedi sistemazione va eseguita con riferimento a tre diverse situazioni:

1. Stato attuale, cioè la situazione prima della realizzazione dell’opera in questione

2. Stato di progetto, cioè lo scenario con la configurazione definitiva dell’opera

3. Fasi di costruzione dell’opera ritenute interessanti per l’analisi.

Il confronto tra le condizioni di moto nella situazione attuale e in quella diprogetto va eseguito considerando la portata di progetto, cioè quella corrispondente altempo di ritorno calcolato nel paragrafo V.3.2.

Nella progettazione delle opere, oltre alle considerazioni inerenti la portataliquida, è necessario valutare con la migliore approssimazione possibile anche lacomponente solida, facendo riferimento a quanto già esposto nella parte V.2.3; a tal

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 137

fine si rimanda anche agli elementi per il dimensionamento delle opere per il controllodel trasporto solido e delle colate di detriti presenti nell’Allegato 1: elementi didimensionamento e verifica delle opere di controllo del trasporto solido e delle colatedetritiche.

La valutazione del deflusso durante le fasi di costruzione dell’opera va fattaqualora si ipotizzi, in questa condizione, una situazione più gravosa per le condizioni dideflusso. È il caso, per esempio, di lavori in alveo necessari per la costruzionedell’opera che costringono a condizioni di deflusso con sezioni parzializzate. In questocaso il tempo di ritorno da assumere come riferimento nella verifica idraulica è pari atrenta anni.

Lo scopo delle simulazioni così eseguite è quello di quantificare gli effetti sulcorso d’acqua dovuti al nuovo assetto di progetto. Per valutare la compatibilità delprogetto con i vincoli presenti si devono considerare i seguenti punti:

• Verifica della stabilità dell’intervento e delle eventuali opere preesistenti duranteil deflusso della piena, evidenziando in particolare gli effetti dell’azione erosivadella corrente e le sollecitazioni cui sono sottoposte le opere. Vanno evidenziateeventuali temporanee riduzioni di funzionalità delle opere di sistemazioneprogettate durante l’ evento di piena e gli accorgimenti tecnici tesi ad evitarepericolo per le persone o danno per i beni.

• Calcolo delle modificazioni delle altezze idrometriche (nella situazione finale odurante la realizzazione della sistemazione) dovute all’intervento in seguito arestringimenti o alla formazione di depositi localizzati. Vanno evidenziati iprovvedimenti presi per evitare tracimazioni con conseguenti danni alle personeo ai beni.

• Analisi delle modificazioni della capacità di invaso dell’alveo per riduzione dellesuperfici allagabili. Nei casi in cui l’intervento provochi la riduzione del volume diinvaso e, di conseguenza, della capacità di laminazione del tratto di corsod’acqua va analizzata la modifica dell’idrogramma di piena a valle dell’intervento.

• Interazioni tra l’intervento di progetto ed eventuali opere di difesa preesistenti.Vanno indicati quali sono gli effetti che il progetto ha sulle situazione pregressa egli accorgimenti adottati per scongiurare possibili peggioramenti della stabilità.

• Modifiche indotte dall’intervento sulle caratteristiche naturali, biologiche epaesaggistiche dell’area fluviale. Vanno indicate le conseguenze dell’inserimentodelle opere progettate sull’ambiente naturale; nei casi in cui esse comportino unpeggioramento della situazione dal punto di vista naturale vanno indicati gliinterventi che si intendono adottare, compatibilmente con le esigenze disicurezza, per mitigare gli effetti della sistemazione o, nel caso di intervento dirinaturalizzazione, per ripristinare una situazione di maggiore naturalità.

• Modifiche indotte sull’assetto planimetrico e altimetrico dell’alveo. Vanno indicatigli elementi che permettono di escludere prevedibili modificazioni altimetriche ocreazione di vie di deflusso preferenziali incompatibili con la situazione diprogetto.

Condizione necessaria per la scelta e il dimensionamento corretto dell’opera eper la verifica della sua efficacia in termini degli obiettivi prefissati è la conoscenzadelle modalità di deflusso della corrente nel tratto d’asta interessato dallasistemazione stessa.

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Un’analisi di questo tipo richiede una procedura specifica per il calcolo dellegrandezze richieste con grado di approfondimento dell’analisi evidentementecommisurato alla natura del problema ed all’entità della sistemazione proposta.Vengono richiamati di seguito gli elementi essenziali per la stesura di una verificaidraulica per lo studio dell’efficienza dell’intervento di sistemazione che si intenderealizzare. In particolare i punti da considerare sono i seguenti:

1. dati di input per il calcolo;

2. scelta del metodo di calcolo da utilizzare;

3. condizioni al contorno.

V.3.3.1 Dati di input per il calcolo

Per procedere all’implementazione dell’algoritmo di calcolo è necessariodefinire le grandezze che influenzano il fenomeno. In particolare i dati di partenza perla progettazione di un intervento di sistemazione idraulica sono i seguenti:

• caratteristiche geometriche dell’alveo;

• caratteristiche morfologiche dell’alveo;

• caratteristiche granulometriche del materiale d’alveo;

• definizione del coefficiente di scabrezza dell’alveo

• caratteristiche ambientali e paesistiche della regione fluviale;

• opere e manufatti interferenti

• portate di piena

V.3.3.1.1 Caratterizzazione geometrica dell’alveo

La descrizione dell’alveo necessaria per l’impostazione di tutte le verificheidrauliche, deve essere effettuata avvalendosi di una planimetria aggiornata a scala didettaglio adeguata (1:1.000 – 1:10.000 in relazione alle dimensioni dell’opera inprogetto e del corso d’acqua) e da sezioni trasversali topografiche.

La descrizione delle caratteristiche geometriche dell’alveo va fatta ricavandoun numero opportuno di sezioni topografiche, comprensive della parte batimetrica peri corsi d’acqua perenni. Le sezioni devono rappresentare la geometria attualedell’alveo. La scelta delle sezioni da inserire nello studio va fatta in modo tale da poterrappresentare le singolarità dell’alveo e le variazioni delle dimensioni dello stessolungo il tratto di indagine. Le sezioni non devono essere parziali, ma contenere ladescrizione dell’intero alveo di piena.

Il numero e l’interasse delle sezioni necessarie per la rappresentazione dellageometria dell’alveo vanno commisurati alle esigenze di dettaglio delle analisiidrauliche da effettuare.

V.3.3.1.2 Caratteristiche morfologiche dell’alveo

L’analisi morfologica del corso d’acqua ha lo scopo di evidenziare la situazionedell’alveo attivo e delle zone fluviali abbandonate e/o riattivabili in caso di piena. Inparticolare vanno studiati:

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• il grado di stabilità dell’alveo inciso, in concomitanza a situazioni di piena, inrapporto a possibili fenomeni di divagazione trasversale (erosioni di sponda,modificazioni del tracciato del talweg) e di innalzamento o abbassamento delfondo alveo, tenendo conto delle opere di difesa idraulica presenti e dell’assettocomplessivo dell’alveo;

• le condizioni morfologiche delle aree golenali o inondabili, con particolareriferimento alla presenza di forme fluviali abbandonate e/o riattivabili in piena ealla distinzione tra zone sede di deflusso in piena e quelle che svolgono funzionidi invaso; complessivamente gli elementi considerati devono permettere divalutare il grado di stabilità dell’alveo di piena;

• la tendenza evolutiva dell’alveo, da definire in base agli elementi di cui ai puntiprecedenti, anche in relazione al grado di sistemazione idraulica presente oeventualmente in progetto; gli elementi di interesse concernono le modificazionidel tracciato planimetrico dell’alveo inciso, la variazione delle quote di fondo(tendenza all’erosione o al deposito) e le trasformazioni delle aree golenali oinondabili.

Le analisi devono essere condotte attraverso i seguenti elementi principali:

• definizione dell’alveo tipo attuale e valutazione comparativa delle caratteristicheplanimetriche dell'alveo e delle sue modificazioni recenti (ultimi 30-40 anni);

• quantificazione delle modificazioni geometriche dell’alveo inciso tramite confrontodi sezioni e profili d'alveo riferiti a rilievi topografici eseguiti in epoche diverse(dove disponibili) ovvero tramite la considerazione di altri indicatori locali;

• identificazione della morfologia di antichi alvei abbandonati;

• ricostruzione delle aree allagate in occasione di significativi eventi di piena e dellemodalità di allagamento.

V.3.3.1.3 Caratteristiche granulometriche del materiale d’alveo

Per un calcolo accurato del coefficiente di scabrezza (ks) oppure nel caso in cuisi renda necessario effettuare valutazioni sulla capacità di trasporto solido nel trattointeressato (calcolo della pendenza di equilibrio per opere trasversali, valutazioni dierosioni o depositi localizzati), deve essere prodotta una caratterizzazione delmateriale d’alveo mediante analisi granulometriche.

I punti di campionamento devono caratterizzare i depositi di fondo alveo, lesponde ed eventualmente le aree golenali e dovranno essere in numero adeguato allarappresentazione delle caratteristiche del materiale, verificando anche se esiste uneffetto di corazzamento dell’alveo.

V.3.3.1.4 Definizione del coefficiente di scabrezza dell’alveo

Il coefficiente di scabrezza in un alveo naturale è una misura globale dellaresistenza al moto; la scelta del valore da assegnare a questo coefficiente deve essereeffettuata a seguito di un’accurata ricognizione dei luoghi, considerando lecaratteristiche specifiche dei materiali che compongono l’alveo e la copertura vegetaledelle sponde e delle aree golenali adiacenti interessate al deflusso.

Ricordando la formula di Strickler:

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti140

2132fhs iRkV = (1)

o in alternativa la formula di Manning:

21321fh iR

nV = (2)

con V = velocità media della corrente [m/s]Rh = raggio idraulico della corrente [m]if = pendenza media del fondo [m/m]ks = coefficiente di scabrezza di Strickler [m1/3/s]n = coefficiente di scabrezza di Manning [s/m1/3]

Il coefficiente di scabrezza n di Manning può essere scritto come:

( ) 543210 mnnnnnn ++++= (3)

Per la scelta dei valori numerici da assegnare al coefficiente di scabrezza n sipuò fare riferimento alle indicazioni fornite dalle tabelle di "Open Channel Hydraulics",Ven te Chow, McGraw Hill International Editions riportate in Tabella V.3.8.

Condizioni dell’alveo Valori

Terra 0,020

Roccia 0,025

Alluvione grossolana 0,028Materiale costituente l’alveo

Alluvione fine

n0

0,024

Trascurabile 0,000

Bassa 0,005

Moderata 0,010

Irregolarità della superficie della

sezione

Elevata

n1

0,020

Graduale 0,000

Variazione occasionalmente 0,005Variazione della forma e della

dimensione della sezione trasversaleVariazione frequente

n2

0,010 ÷ 0,015

Basso 0,005 ÷ 0,010

Medio 0,010 ÷ 0,025

Alto 0,025 ÷ 0,050Effetto della vegetazione

Molto alto

n4

0,050-0,100

Modesto 1,000

Apprezzabile 1,150Grado di sinuosità dell’alveo

Elevato

m5

1,300

Tabella V.3.8: Metodo per il calcolo del coefficiente di scabrezza n nei corsi d’acqua

In Tabella V.3.9 sono riportati i valori tipici del coefficiente di scabrezza ks per icorsi d’acqua.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 141

Tipologia del corso d’acqua ks = 1/n (m1/3 s-1)

Corsi d’acqua minori (raggio idraulico ≅ 2 m; larghezza in piena < 30 m)

Corsi d’acqua di pianura

• alvei con fondo compatto, senza irregolarità 45 ÷ 40

• alvei regolari con vegetazione erbacea 30 ÷ 35

• alvei con ciottoli e irregolarità modeste 25 ÷ 30

• alvei fortemente irregolari 25 ÷ 15

Torrenti montani

• fondo alveo con prevalenza di ghiaia e ciottoli, pochi grossi 30 ÷ 25

• alveo in roccia regolare 30 ÷ 25

• fondo alveo con ciottoli e molti grossi massi 20 ÷ 15

• alveo in roccia irregolare 20 ÷ 15

Corsi d’acqua maggiori (raggio idraulico ≅ 4 m; larghezza in piena > 30 m)

• sezioni con fondo limoso, scarpate regolari a debole copertura erbosa 45 ÷ 40

• sezioni in depositi alluvionali, fondo sabbioso, scarpate regolari a copertura erbosa 25 ÷ 30• sezioni in depositi alluvionali, fondo regolare, scarpate irregolari con vegetazione arbustiva

e arborea35

• in depositi alluvionali, fondo irregolare, scarpate irregolari con forte presenza divegetazione arbustiva e arborea

20 ÷ 25

Aree golenali (raggio idraulico ≅ 1 m)

• a pascolo, senza vegetazione arbustiva 40 ÷ 20

• coltivate 50 ÷ 20

• con vegetazione arbustiva spontanea 25 ÷ 10

• con vegetazione arborea coltivata 30 ÷ 20

Alveo in terra• materiale compatto, liscio 60• sabbia compatta, con argilla o pietrisco 50• sabbia e ghiaia, scarpata lastricata 50 ÷ 45• ghiaietto 10-30 mm 45• ghiaia media 20-60 mm 40• ghiaia grossa 50-150 mm 35• limo in zolle 30• grosse pietre 30 ÷ 25

• sabbia,limo o ghiaia, con forte rivestimento 25 ÷ 20

• con lavorazione media 25 ÷ 20

• con lavorazione grossolana 20 ÷ 15

Alveo in muratura

• muratura in pietra da taglio 80 ÷ 70• muratura accurata in pietra da cava 70• muratura normale in pietra da cava 60• pietre grossolanamente squadrate 50• scarpate lastricate, fondo in sabbia e ghiaia 50 ÷ 45

Alveo in calcestruzzo• pavimentazione in cemento 100• calcestruzzo con casseforme metalliche 100 ÷ 90

• calcestruzzo con intonaco 95 ÷ 90• calcestruzzo lisciato 90• intonaco di cemento intatto 90 ÷ 80

• calcestruzzo con casseforme in legno, senza intonaco 70 ÷ 65

• calcestruzzo costipato, superficie liscia 65 ÷ 60• calcestruzzo vecchio, superficie pulita 60• rivestimento in calcestruzzo ruvido 55• superfici irregolari in calcestruzzo 50

Tabella V.3.9: Valori del coefficiente di scabrezza per i corsi d’acqua.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti142

Figura V.3.3: Variazioni trasversali del coefficiente di scabrezza in un alveo naturale

Una stima approssimativa del coefficiente di scabrezza si può fare per i torrentie per la parte medio-alta dei fiumi con la relazione:

6190

26

dks = (4)

o in alternativa usando la formula:

6150

1,21

dks = (5)

nelle quali d90 e d50 [m] sono i diametri del materiale d’alveo cui corrispondeun passante pari al 90% ed al 50 % rispettivamente.

Nei casi in cui all’interno dell’alveo del corso d’acqua sia presente dellavegetazione è possibile stimare il coefficiente di scabrezza applicando le formulepresenti nella letteratura scientifica sull’argomento. Innanzitutto occorre distingueretra vegetazione flessibile di tipo erbaceo e vegetazione rigida di tipo arbustivo edarboreo; nella prima situazione si può utilizzare il metodo proposto da Kouwen,mentre nel caso di vegetazione di tipo arboreo si può utilizzare la teoria proposta daPetrik-Bosmaijan.

La presenza di vegetazione di tipo erbaceo sul contorno bagnato di un corsod’acqua comporta in alcuni casi un sensibile aumento della scabrezza dello stesso equindi della resistenza al moto.

La velocità media V del moto in un canale a pelo libero in cui sia presente dellavegetazione di tipo erbaceo può essere calcolata attraverso l’equazione di Darcy –Weisbach:

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 143

hifg

V ⋅= 8(6)

dove f = fattore di attrito dimensionale secondo Darcy – WeisbachIl fattore di attrito f che compare nella (6) è legato alla scabrezza relativa y0/k

attraverso la formula logaritmica:

+=

vkh

BLogAf

101

(7)

con:A e B = coefficienti dipendenti dal tipo e dallo stato della vegetazione,kv = altezza della scabrezza.

In Tabella V.3.10 sono indicati i valori di A e B in funzione dello stato dellavegetazione.

Tipo vegetazione A B

Vegetazione eretta 0,15 1,85

Vegetazione prona 7,6 ÷ 9,9 0,6 ÷ 0,8

Tabella V.3.10: Valori di A e B (Kouwen e Li, 1980).

Il parametro kv è legato alle altre grandezze descrittive del fenomeno dallarelazione:

( ) 59,125,00...

14,0

=

vegveg h

IEMhk

τ(8)

dove: hveg =altezza della vegetazione;

M = densità di vegetazione definita da 21

20

λλy

M = ;

E = modulo di elasticità del materialeI = momento d’inerzia dell’area degli steli.τ0 rappresenta la tensione tangenziale totale al contorno

La relazione tra hveg ed MEI può essere quantificata attraverso le seguentiequazioni:

- erba verde 3,3319 veghMEI = (9)

- erba dormiente 26,24,25 veghMEI = (10)

In mancanza di indicazioni sullo stato del manto erboso, si può avvalersi dellaseguente relazione che media i due casi:

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti144

125,3223 veghMEI = (11)

Va osservato che la teoria di Kouwen si applica al caso di vegetazionesommersa

La valutazione della scabrezza equivalente in presenza di vegetazione rigida ècondotta con il metodo di Petrik e Bosmajian, (1975), che permette di valutare ilcoefficiente di resistenza ks di Strickler per i canali a pelo libero caratterizzati dallapresenza di vegetazione di tipo rigido non troppo fitta, per la quale è possibilecalcolare la resistenza offerta dalla singola pianta. Scrivendo l’equazione del moto perun tratto di canale in moto uniforme:

∑+= iE RCLALi 0τγ (12)

dove γ = peso specifico del liquidoA = sezione trasversaleL = lunghezza del tratto di canale consideratoRi = resistenza idrodinamica offerta dalla pianta i-esimaC = perimetro bagnato del canale

La forza di resistenza esercitata dalla singola pianta si può scrivere come:

gAVC

R iidi 2

2γ= (13)

con Cd = coefficiente di resistenza della vegetazioneVi = velocità in prossimità dell’i-esima piantaAi = area della pianta proiettata in direzione della correnteg = accelerazione di gravità.

A partire dalla (7) e dalla (8) è possibile trovare la seguente relazione che legail coefficiente di scabrezza equivalente globale kseq al coefficiente di scabrezza dellasezione ks0 e a quello per la sola vegetazione:

220

2

111

svegsseq kkk+= (14)

Introducendo il parametro densità di vegetazione Λ :

AL

AC iD ∑=Λ (15)

si ottengono le seguenti relazioni:

gR

k

H

sveg

2

1

32 Λ

= (16)

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 145

342

0

0

21 Hs

sseq

Rkg

kk

Λ+= (17)

Per il calcolo del termine ∑ iA che compare nella (15), nell’ipotesi che le piante

abbiano spaziature e diametri simili tra loro, si può scrivere:

yx

i

yxyxi ss

dAL

A

ssALd

dhss

BLNdhA =⇒=== ∑∑

Nella seguente tabella sono riportati i valori indicativi dei diametri medi dialcuni tipi di piante e delle distanze in direzione x e y tra le stesse.

Vegetazione Grado di sviluppo dp [m] sx [m] sy [m]

Vegetazione distribuita

• canneto - 0,003 ÷ 0,01 0,01 ÷ 0,03 0,01 ÷ 0,03

• arbusti 1 anno 0,03 0,25 ÷ 0,35 0,25 ÷ 0,35

• salici Più anni 0,03 ÷ 0,06 0,15 ÷ 0,25 0,15 ÷ 0,25

• alberi Betulla, 5 anni 0,04 ÷ 0,10 1,0 ÷ 5,0 1,0 ÷ 5,0

Betulla, > 5 anni 0,15 ÷ 0,50 3,0 ÷ 10,0 3,0 ÷ 10,0

Solo tronchi 0, 5 ÷ 1,0 10,0 ÷ 20,0 5,0 ÷ 15,0

Piante isolate e gruppi di piante

• cespugli Più anni 3,5 3,5 ÷ 10,0 3,5 ÷ 10,0

• gruppi di alberi Più anni 1,0 10,0 10,0

Tabella V.3.11: Valori indicativi dei parametri dp, sx e sy per alcuni tipi di vegetazione

Nei casi in cui il contorno del canale sia costituito da materiali con scabrezzediverse è necessario calcolare il coefficiente di scabrezza equivalente per la sezione. Ètipico il caso per i corsi d’acqua di pianura di un alveo di piena costituito da un alveocentrale (alveo inciso) per il deflusso di magra o di piene moderate, e di una o duezone laterali talvolta anche molto estese (golene) contribuenti al moto, impegnatesolo nel corso delle piene più gravose, che sono normalmente vegetate o coltivate e incui la profondità di corrente è ridotta.

Per la valutazione del comportamento di queste sezioni composite la maggiorparte dei moduli di calcolo permette di assegnare valori diversi di scabrezza per ogniparte elementare della sezione; in alternativa si deve fare ricorso a un valore discabrezza equivalente, che può essere calcolato con il metodo di Einstein-Horton o conquello di Engelund.

V.3.3.1.5 Caratteristiche ambientali e paesistiche della regione fluviale

Per definire le caratteristiche ambientali e paesistiche della regione fluviale siprocede analizzando l’uso del suolo nella regione fluviale evidenziando le aree naturali(distinguendo tra zone con vegetazione spontanea arborea, erbacea ed aree prive dicopertura vegetale) e quelle interessate da attività antropiche (aree a uso agricolo,infrastrutture, insediamenti).

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Vanno inoltre individuate le aree ad elevato pregio ambientale e le componentinaturalistiche, ambientali e paesistiche più sensibili nei confronti degli effetti indottidalla realizzazione dell’opera.

V.3.3.1.6 Opere e manufatti interferenti

Il modello utilizzato per le verifiche idrauliche richieste per la redazione delprogetto di sistemazione del corso d’acqua deve descrivere dal punto di vistageometrico tutte le opere e i manufatti esistenti nel tratto in oggetto nonché tuttequelle previste nel progetto.

V.3.3.1.7 Portate di piena

Per quanto riguarda la scelta della portata di piena da considerare nelle analisisi rimanda al paragrafo V.3.2, in cui è riportata la metodologia da applicare perdeterminare il tempo di ritorno da assumere nella progettazione in funzione dellagravità del fenomeno considerato e dell’uso del suolo nelle zone circostanti il tratto dicorso d’acqua in esame, ed al capitolo V.2 per i metodi di calcolo delle portate dipiena.

V.3.3.2 Scelta del metodo di calcolo

A seconda dell’approfondimento dell’analisi da eseguire sono possibili varicriteri di calcolo. In ordine di semplificazione si distinguono:

• Profilo di moto uniforme (portata e geometria costanti) ; in generale configurauna approssimazione semplicistica (in particolare, l’assunzione di geometriacostante è spesso inadeguata per gli alvei naturali) e pertanto da usare consaggezza.

• Profilo di moto permanente monodimensionale (portata costante e geometriavariabile). Questa schematizzazione è adeguata per tutti quei casi in cui lavariabilità delle grandezze in direzione ortogonale alla corrente non siasignificativa, e sia quindi lecito rappresentare il fenomeno in termini di grandezzemediate sulla sezione. È dunque adatto a sezioni compatte ed alvei privi di curvepronunciate. In questo contesto è comunque possibile considerare un’eventualevariabilità trasversale della scabrezza mediandola in modo opportuno sullesezione (per esempio il metodo di Horton).

• Profilo di moto permanente bidimensionale (portata costante e geometriavariabile). Permette di calcolare eventuali sovralzi e profili di velocità indotti dallapresenza di curve ai fini, per esempio, di valutare in modo migliore la capacitàerosiva della corrente o il rischio di esondazione.

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Figura V.3.4: Esempio di sovralzo all’estradosso di una curva (Leno a Rovereto).

• Profilo di moto vario (portata variabile nel tempo) Permette di valutare gli effettidi laminazione dell’onda di piena dovuti all’azione di casse di espansione o altro.Richiede la conoscenza dell’idrogramma di piena completo, che va quindicalcolato separatamente con una metodologia afflussi/deflussi; si tratta quindi diuna schematizzazione adatta a sistemazioni di notevole rilievo.

• Profilo di moto permanente in presenza di evoluzioni morfologiche (modello afondo mobile). Richiede considerazioni morfodinamiche per calcolare sovralzi eprofili.

I metodi di calcolo, ad eccezione dell’ultimo, si intendono a fondo fisso, cioèsenza considerare l’effetto del trasporto solido nel rimodellare il fondo alveo. Ingenerale, infatti, l’implementazione di un modello a fondo mobile richiede un notevolesforzo a livello scientifico non ripagato da un livello sufficiente di affidabilità deirisultati, in particolare per le grosse incertezze legate alle condizioni al contorno daassegnare.

Tuttavia in più di un caso risultano necessarie analisi relative alle condizioni dimovimentazione del materiale d’alveo. In particolare:

• Calcolo della pendenza di equilibrio da raggiungere tramite la costruzione dibriglie o soglie

• Calcolo dell’erosione localizzata a valle di una briglia

• Calcolo di stabilità per opere trasversali o spondali costituite da massi sciolti

• Calcolo dell’erosione localizzata in corrispondenza di un ponte

Per queste tipologie di problemi è possibile impostare l’analisi delle condizionidi incipiente movimento dovuta a Shields od utilizzare formule empiriche apposite,

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ben note in letteratura (per esempio la formula di Schoklitsch per l’erosione a valle diuna briglia).

Per quel che riguarda l’analisi di stabilità di rampe, scogliere e muri in massisciolti sono disponibili in letteratura abachi sperimentali basati sulla teoria di Shieldsestesa a condizioni più generali (effetto di nascondimento, effetto della pendenza delfondo o delle sponde).

Per maggiori dettagli sul calcolo della portata solida e sul suo effetto sulleopere di sistemazione si rimanda al V.2.3 e al V.3.7.

V.3.3.3 Condizioni al contorno

Le condizioni al contorno da assegnare sono:

• La portata massima (o l’intero idrogramma, nel caso di moto vario) che defluiscenella sezione di monte;

• Un'altra condizione al contorno (in termini di tiranti) da assegnarsi a monte nelcaso di corrente veloce, a valle nel caso di corrente lenta;

• Eventuali altre condizioni da porre in corrispondenza di sezioni di controllo (adesempio il passaggio per l’altezza critica in un restringimento localizzato, quandosi abbia transizione).

V.3.4 Verifica idraulica per gli attraversamenti dei corsi d’acqua

Nella progettazione delle opere di attraversamento stradale o ferroviario (pontie viadotti) va sempre garantito che esse risultino compatibili con il corso d’acqua, perquesto esse non devono costituire ostacolo al deflusso della portata di piena. Vaprestata attenzione anche al fatto che l’opera non interferisca e modifichi i fenomeniidraulici naturali che possono aver luogo nel fiume e non pregiudichi le caratteristichedi particolare rilevanza naturale dell’ecosistema fluviale. In particolare per campatefino a 40 metri è consigliabile evitare di utilizzare pile (in quanto tecnicamnetepossibile), anche al prezzo di maggiori spessori dell’impalcato e quindi minori franchi adisposizione.

Nella progettazione di un’opera di attraversamento di un corso d’acqua sidevono tenere presenti le seguenti considerazioni:

• conseguenze dell’inserimento del ponte sul profilo di piena: la verifica dellacompatibilità dell’attraversamento da questo punto di vista si può fareconfrontando il profilo di piena in condizioni indisturbate con quello che si ha inpresenza dell’opera. Andrà verificato che l’innalzamento del livello idrometricoprovocato dal restringimento dovuto alla presenza del ponte sia compatibile conle opere di difesa longitudinali esistenti o in progetto; questa condizione deveessere garantita lungo tutto il tratto fluviale interessato dall’innalzamento dellivello idrometrico. Va inoltre verificato che la costruzione del ponte non provochieffetti di destabilizzazione dei rilevati arginali o fenomeni di infiltrazione nel corpoarginale o di sifonamento delle fondazioni (fontanazzi). Nei tratti non arginati vacomunque garantito che la realizzazione dell’opera non provochi conseguenze di

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rischio inaccettabili per le zone circostanti il corso d’acqua. Vanno inoltrequantificate, se presenti, le riduzioni delle superfici allagabili, causate dallarealizzazione dell’intervento e gli effetti di queste in termini di diminuzione dellalaminazione in alveo lungo il tratto fluviale mettendo quindi in evidenza lariduzione del volume di invaso e il corrispondente aumento del colmo di piena.

• modifiche indotte dal ponte sull’assetto morfologico planimetrico ed altimetricodell’alveo di magra e di quello di piena. Questo va verificato controllando chel’introduzione dell’opera non comporti effetti erosivi di sponda o del fondo e nondia luogo alla formazione nuove vie di deflusso all’interno dell’alveo di piena.

Figura V.3.5: Effetti erosivi in sponda a monte del ponte di S. Michele all’Adige nel 1966.

• possibili modifiche degli ecosistemi fluviali naturali circostanti l’opera. Questopunto va preso in considerazione in modo particolare per le situazioni in cuiesistano componenti o elementi di particolare rilevanza o molto sensibili allevariazioni introdotte. In questi casi si potrà ricorrere ad opere di mitigazionedegli impatti naturale e paesaggistico.

• condizione di sicurezza dell’opera durante i fenomeni di piena: vanno garantite lecondizioni di stabilità e quindi di funzionalità dell’opera in relazione allesollecitazioni che si possono avere durante il deflusso della piena, tenendo contonella progettazione dei livelli idrici raggiunti e delle conseguenze sulle fondazionidei fenomeni di erosione del fondo da parte della corrente.

Per verificare queste condizioni è quindi necessario predisporre uno studio perverificare la compatibilità dell’opera di attraversamento con il corso d’acqua; lo studiodeve contenere i seguenti punti, descritti nei criteri di progetto delle sistemazioni ecioè:

1. caratterizzazione geometrica dell’alveo,

2. caratteristiche morfologiche dell’alveo,

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3. caratteristiche granulometriche del materiale costituente l’alveo,

4. definizione del coefficiente di scabrezza dell’alveo

5. caratteristiche ambientali e paesistiche della zona in esame,

6. opere e manufatti interferenti,

7. portate di piena,

8. modalità di deflusso in piena,

9. effetti degli interventi in progetto.

In particolare per quanto riguarda le modalità di deflusso della piena vaprestata particolare attenzione agli effetti di rigurgito provocati dal possibilerestringimento e le erosioni localizzate che si possono verificare attorno alle fondazioni(fenomeni di scalzamento).

Di seguito vengono descritte alcune metodologie per lo studio di questi dueeffetti (rigurgito e scalzamento), utili per completare l’analisi di compatibilità idraulicadi un attraversamento.

V.3.4.1 Effetto di rigurgito provocato da restringimenti e da pile

Nel caso in cui il ponte costituisca una singolarità geometrica dell’alveo,comportando un restringimento della sezione per effetto delle pile e/o delle spalle,esso provoca alcune modifiche alle altezze idrometriche della corrente, che devonoessere tenute in conto nella progettazione del ponte e delle eventuali operecomplementari necessarie.

Figura V.3.6: Effetto di rigurgito indotto da un ponte.

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Il calcolo del sovralzo a monte del restringimento va effettuato, nell’ambitodella costruzione del profilo idrico, attraverso l’impiego delle usuali formulazioni dellaletteratura scientifica, in funzione della classe di moto presente:

• classe A: il moto è lento e rimane lento nel restringimento;

• classe B: il moto avviene con transizione, da lento a veloce o viceversa (casi 1b e2b);

• classe C: il moto è veloce e rimane veloce.

La distinzione tra le classi è rappresentata nel diagramma di Figura V.3.7, in

funzione del numero di Froude gh

vFr = e del rapporto di strozzatura r = b1/b0.

dove: v = velocità media della corrente [m/s]g = accelerazione di gravità [m/s2]h= altezza della corrente

Figura V.3.7: Classificazione dei metodi di deflusso attraverso un restringimento.

Nel caso in cui il deflusso sia di tipo A, sono disponibili numerose formulesperimentali per determinare il sovralzo rispetto all’altezza del moto indisturbato.Quelle d’uso più comune sono le seguenti.

Formula di Yarnell

( ) ( )[ ] 22

422 115156,0 FrrrFrkk

yy

yy −+−+−=∆

dove ( ) ( )0

101b

bbr

−=− è il grado di restringimento e ky un coefficiente di forma

che assume i valori riportati in Figura V.3.8.

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Figura V.3.8: Coefficienti di forma per le pile dei ponti.

Nell’ipotesi che la corrente investa l’asse della pila con un angolo α diverso da0, i valori di ∆y calcolati con l’espressione riportata, vanno moltiplicati per uncoefficiente che assume valori 1,3 per α = 10° e 2,3 per α = 20°.

Formula di Rehbock

( )g

Vrky R 2

12

2−=∆

doveKR = 1, per pile e rostri arrotondatiKR = 2, per pile a spigoli vivi.

Formula di Nagler

gV

Cyg

VygbkQ RN 22

22

02

221 +∆

−= θ

dove:θ = coefficiente di turbolenza (normalmente assunto pari a 0,3),CR = coefficiente in funzione del rapporto di contrazione r = b1/b2 (cfr. FiguraV.3.9),kN= coefficiente di forma della pila, funzione di r, dell’angolo formato dallacorrente conl’asse della pila e della forma della pila (cfr. Tabella V.3.12).

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Figura V.3.9: Valori del coefficiente CR in funzione del rapporto di contrazione r [formula di Nagler].

Rapporto di contrazione r

0,9 0,8 0,7 0,6 0,5

Tipo di pila KN KA KN KA KN KA KN KA KN KA

con fronte e retro a spigolo vivo 0,91 0,96 0,87 1,02 0,86 1,02 0,87 1,00 0,89 0,97

con fronte e retro semicircolari 0,94 0,99 0,92 1,13 0,95 1,20 1,03 1,26 1,11 1,31

con fronte e retro triangolari con angolo

acuto al vertice di 90°0,95 0,94 0,92

coppia di cilindri con o senza setto di

collegamento0,91 0,89 0,88

con fronte e retro lenticolari 0,95 1,00 0,94 1,14 0,97 1,22

Tabella V.3.12: Valori di KN e KA per pile parallele alla corrente.

Formula di Aubuisson

2021 2 vygybKQ A +∆=

dove KA dipende principalmente dal rapporto di contrazione r e dalla forma edall’orientamento dell’ostacolo; i valori di questo coefficiente sono riportati in TabellaV.3.12.

Nel caso in cui il deflusso attraverso il ponte sia di classe B, il moto avvienepassando nella sezione ristretta in condizioni critiche. Per deflusso di classe 1b, laprofondità a monte della sezione contratta è data da:

( ) 3/12lim

20

2

0Frgb

QKy =

dove:b0 = larghezza dell’alveo a monte del restringimento,Frlim = numero di Froude, in Figura V.3.7 è riportato in funzione del rapporto dicontrazione.

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K = coefficiente dipendente dalla forma dell’ostruzione (cfr. Tabella V.3.13)

Tipo di ostruzione K

pile con fronti squadrate 1,135

pile con fronti triangolari 1,085

pile con fronti semicircolari 1,050

contrazione laterale ben accompagnata 1,030 ÷ 1,020

Tabella V.3.13: Valori del coefficiente K per la condizione di moto di classe 1b.

Nel caso in cui il deflusso attraverso il ponte sia di classe C, il massimodell’elevazione si ha nella sezione contratta ed è inferiore, o al massimo uguale,all’altezza critica.

V.3.4.2 Erosioni localizzate attorno alle fondazioni (scalzamento)

Le rapide variazioni d’intensità e di distribuzione della velocità della corrente incorrispondenza di restringimenti ed ostacoli (pile del ponte) possono provocarefenomeni di erosione localizzata, soprattutto se l’alveo è composto da materialeincoerente.

La profondità di scavo massima è determinabile tramite l’applicazione diformule empiriche, disponibili nella letteratura scientifica, derivanti dai risultati diindagini sperimentali. La scelta della formula da utilizzare è demandata alle valutazionida effettuare nell’ambito dello studio di compatibilità, in funzione della migliorerispondenza alle condizioni del caso specifico e degli elementi conoscitivi acquisiti.

A titolo esemplificativo, una delle formule comunemente utilizzate è di seguitoriportata:

( )

=

sl

fformafsy

vv

fsd

c

s ,tanh2 3200

1 α

dove:ds = profondità di scavo a partire dal fondo indisturbato;s = larghezza della pila;l = lunghezza della pila;vo = velocità media della corrente indisturbata;

( )γ

γγ −= s

c gdv 285,0 velocità critica di trascinamento, intesa come velocità

media della corrente alla quale inizia il movimento del materiale di fondo diassegnato diametro d; per materiale disomogeneo si adotta normalmente d =d50; γ s e γ indicano il peso specifico del materiale di fondo e dell’acqua;α = angolo tra la direzione della corrente indisturbata e la pila;f1 (vo/vc) = 0 per vo/vc ≤ 0,5;f1 (vo/vc) = 2 vo/vc –1 per 0,5<vo/vc ≤ 1,0;f1 (vo/vc) = 1 per vo/vc > 1,0;f2 (forma) = 1,00 per pile circolari o con fronti arrotondate;f2 (forma) = 0,75 per pile sagomate in modo da accompagnare la corrente;f2 (forma) = 1,30 per pile rettangolari;

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f3 (α, l/s) = ricavabile dalla Figura V.3.10.

Figura V.3.10: Andamento della funzione f3 al variare dei parametri α e l/s.

In sede di progetto, volendo contenere il valore dello scalzamento nel limitederivante dalla dimensione della pila, è necessario porre il plinto di fondazione a unaquota inferiore al valore ds rispetto al fondo alveo; infatti nel caso in cui esso vengamesso allo scoperto dall’erosione, le dimensioni maggiori e le forme più tozzeprovocano un ulteriore scalzamento. In tal caso il calcolo di ds va ripetutoconsiderando le dimensioni del plinto invece che quelle della pila.

In sede di progetto o di verifica il massimo scalzamento stimabile incorrispondenza di una pila in alveo è pertanto definito come:

as ddd +=max

dove:ds = scalzamento proprio della pila valutabile secondo l’espressione soprariportata;da = abbassamento proprio del fondo alveo (eventuale) dipendente dallatendenza evolutiva del corso d’acqua, estrapolato sulla base della durata divita economica dell’opera.

V.3.4.3 Prescrizioni e indirizzi per la progettazione e la verificaidraulica dei ponti

I ponti che attraversano un corso d’acqua interferiscono con le condizioni dideflusso quando le pile siano collocate in alveo e quando le spalle o i rilevati diaccesso diano luogo a un restringimento dell’alveo stesso. In generale quindi gli effettisull’assetto di un corso d’acqua derivanti dall’inserimento di un ponte sono facilmenteclassificabili ed è possibile di conseguenza stabilire a priori dei criteri di compatibilitàspecifici, cioè una serie di prescrizioni, che costituiscono condizioni da rispettare inmodo tassativo e degli indirizzi alle scelte di natura progettuale, finalizzati a orientareil progetto per il migliore inserimento dell’opera all’interno del corso d’acqua.

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Vengono presentate di seguito le prescrizioni da adottarsi sia per le nuoveopere in progetto sia per quelle esistenti, quando sia necessario verificare lacompatibilità. In generale si vuole garantire:

• che l’inserimento della struttura sia coerente con l’assetto idraulico del corsod’acqua e non comporti alterazioni delle condizioni di rischio idraulico;

• che siano valutate in modo adeguato le sollecitazioni di natura idraulica cui èsottoposta l’opera, in rapporto alla sicurezza della stessa.

La verifica di compatibilità idraulica per i ponti va comunque realizzata con glistessi criteri visti per le opere in progetto; nel caso in cui non sia soddisfatta la verificaidraulica di compatibilità andranno definiti:

• le eventuali condizioni di esercizio transitorio della struttura, sino allarealizzazione degli interventi di adeguamento progettati,

• i criteri di progettazione degli interventi correttivi e di adeguamento necessari.

V.3.4.4 Criteri di compatibilità idraulica per i ponti e i rilevati diaccesso

V.3.4.4.1 Portata di piena di progetto e franco idraulico

La condizione minima richiesta per verificare la compatibilità idraulica di unponte è riferirsi ad una portata di piena di progetto con tempo di ritorno di 100 anni,mantenendo un franco minimo tra la quota idrometrica e la quota di intradosso delponte non inferiore ad 1 m. Il valore del franco deve essere assicurato per almeno i2/3 della luce quando l’intradosso del ponte non sia rettilineo e comunque per almeno40 m. nel caso di luci superiori a tale valore.

Per la valutazione della portata di progetto e del franco idraulico da assegnaresi rimanda comunque al paragrafo V.3.2, dove sono state analizzati, caso per caso, itempi di ritorno da adottare per la progettazione in base alla suddivisione del territorioin classi di uso del suolo e al grado di rischio attribuito al tipo di evento.

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Figura V.3.11: Riduzione del franco idraulico in corrispondenza di un ponte.

V.3.4.4.2 Posizionamento del ponte rispetto all’alveo.

L’insieme delle opere costituenti l’attraversamento non deve comportarecondizionamenti al deflusso della piena e indurre modificazioni all’assetto morfologicodell’alveo. L’orientamento delle pile (ed eventualmente delle spalle) deve essereparallelo alla direzione della corrente principale. In particolare devono essererispettate le seguenti condizioni:

• Corsi d’acqua arginati: la quota di intradosso del ponte deve essere superiore aquella della sommità arginale; la spalla del ponte deve essere sul lato campagna,a una distanza minima di 10 m dal piede dell’argine maestro; lo stesso limitevale per il caso siano presenti pile sul lato campagna; sul lato fiume la posizionedelle pile deve essere al di fuori del petto dell’argine; in via eccezionale la pilapuò interessare il corpo arginale, purché non intacchi il nucleo centraledell’argine stesso e sia integrata con opportuni accorgimenti di difesa e dirivestimento;

• Corsi d’acqua non arginati: le pile e le spalle devono essere poste al di fuori dellesponde incise dell’alveo; in via eccezionale la pila può interessare la sponda,purché sia integrata con opportuni accorgimenti di difesa e di rivestimento;

• nei casi in cui il ponte sia inserito in un tratto di corso d’acqua interessato daaltre opere di attraversamento poste in adiacenza, a monte o a valle, ènecessario che le pile in alveo (ed eventualmente le spalle) siano allineate conquelle esistenti in modo che le pile presenti, considerate congiuntamente, nonriducano la luce effettiva disponibile, anche ai fini del rischio di ostruzione daparte del materiale trasportato in piena;

• la struttura deve consentire il mantenimento della continuità della pista diservizio in fregio al corso d’acqua ovvero sul rilevato arginale.

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V.3.4.4.3 Effetti idraulici indotti dal ponte.

La soluzione progettuale per il ponte e per i relativi rilevati di accesso devegarantire l’assenza di effetti negativi indotti sulle modalità di deflusso in piena; inparticolare il profilo idrico di rigurgito eventualmente indotto dall'insieme delle operedi attraversamento deve essere compatibile con l’assetto difensivo presente e nondeve comportare un aumento delle condizioni di rischio idraulico per il territoriocircostante. Vanno inoltre verificati seguenti aspetti aggiuntivi:

• assenza di riduzione della superficie delle aree allagabili per effetto del ponte alfine di evitare effetti di minore laminazione della piena lungo l’asta fluviale;

• compatibilità dell’opera e delle eventuali sistemazioni idrauliche connesse con glieffetti indotti da possibili ostruzioni delle luci ad opera di corpi flottanti trasportatidalla piena ovvero di deposito anomalo di materiale derivante dal trasportosolido, soprattutto nel caso possano realizzarsi a monte invasi temporanei didimensione significativa.

V.3.4.4.4 Opere idrauliche collegate al ponte.

Nel caso in cui l’inserimento o la presenza del ponte comporti la realizzazionedi opere idrauliche con funzioni di sistemazione dell’alveo nel tratto interessatodall’attraversamento, il progetto deve comprendere la definizione delle opere stessecon lo stesso livello di dettaglio relativo all’opera principale.

V.3.4.4.5 Condizioni di sicurezza idraulica del ponte e delle opere collegate.

Il progetto del manufatto e delle opere connesse deve contenere la verificadella stabilità strutturale rispetto ai seguenti aspetti:

• scalzamento massimo sulle fondazioni delle pile, delle spalle;

• urti e abrasioni provocate dalla corrente sulle pile in alveo;

• scalzamento massimo sui rilevati di accesso per effetto dell’erosione dellacorrente;

• spinta idrodinamica per effetto del sovralzo idrico indotto dalla struttura; oveopportuno la valutazione deve essere condotta anche con riferimento a condizionidi tracimazione del ponte per effetto di ostruzione delle luci.

V.3.4.5 Indirizzi alle scelte progettuali

Nella definizione delle caratteristiche dimensionali del ponte, oltre ai valori diprescrizione indicati in precedenza, vanno considerati anche altri elementi, da definirsicaso per caso, prendendo in conto i caratteri specifici di manifestazione della piena,che dipendono dalle caratteristiche del bacino idrografico sotteso e del corso d’acquanella parte a monte, in rapporto alla copertura vegetale e alle sue condizioni distabilità. In particolare si deve tenere conto dei seguenti aspetti:

• dislivello tra quota di intradosso impalcato e fondo alveo: non inferiore a 6-7 mquando si possa temere il transito di alberi di alto fusto; valori maggiori vannomantenuti per ponti con luci inferiori ai 30 m o posti su torrenti su cui sonopossibili sovralzi del fondo alveo per deposito di materiale solido;

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• dislivello tra quota di intradosso impalcato e piano campagna: è opportuno,soprattutto nei territori di pianura, che la quota di intradosso dell’impalcato delponte sia superiore a quella del piano campagna circostante per i corsi d’acquanon arginati;

• dimensione dell’alveo del corso d’acqua: ai fini della definizione della luce delponte e dell’ubicazione dei manufatti relativi (pile e spalle) è necessarioconsiderare, oltre alle dimensioni attuali dell’alveo, anche quelle eventuali diprogetto, in modo tale che l’opera, una volta realizzata, non sia di ostacolo afuturi interventi di sistemazione idraulica sul corso d’acqua, compresi gliampliamenti delle dimensioni dell’alveo;

• luce del ponte: nei casi in cui la larghezza dell’alveo di piena sia limitata, nonsuperiore ai 40 m, è preferibile la realizzazione di un ponte con luce unica inmodo da non avere pile in alveo e da ubicare le spalle al di fuori dell’alveostesso;

• dislocazione delle pile: la parte maggiormente attiva dell’alveo,significativamente l’alveo inciso, deve essere lasciata libera da pile,compatibilmente con i vincoli di natura strutturale, ricercando una soluzione checollochi le pile in golena o nelle zone dove il livello idrometrico in piena siarelativamente modesta;

• forma delle pile in alveo: è preferibile la forma circolare o di tipo profilato inmodo da costituire minore ostacolo alla corrente (minore esposizioneall’erosione); nei casi in cui si abbia elevata velocità di corrente abbinata a untrasporto solido significativo, la parte delle pile a contatto con la corrente deveessere opportunamente protetta;

• soluzioni per il controllo dello scalzamento: le fondazioni delle pile e delle spalledevono essere dimensionate in modo da sopportare direttamente il massimoscalzamento prevedibile (scalzamento diretto ed eventuale abbassamento delfondo alveo), senza la necessità di opere idrauliche aggiuntive. Ad esempio nelcaso di fondazioni su pali il dimensionamento dei pali deve considerare scopertoil tratto di palo compreso tra la testa e la quota di massimo scalzamento;

• interferenza con le opere idrauliche presenti: nel caso l’opera sia inserita in untratto di corso d’acqua arginato è frequente la necessità prevedere protezioni(rivestimenti e/o diaframmature) del paramento lato fiume dell’argine, inconseguenza delle maggiori sollecitazioni idrodinamiche indotte dall’opera stessa.In situazioni particolari possono essere necessarie opere di ringrosso e/o sovralzoarginale locale.

V.3.5 Quaderno delle opere tipo

In allegato viene fornito un quaderno delle opere tipo, ossia un insieme dischede descrittive delle principali tipologie di opere di sistemazione presenti sulterritorio trentino che possa servire da punto di riferimento per le future attività diprogettazione.

Si è utilizzato il termine generico di opere di sistemazione, senza uno specificoriferimento all’idraulica, in quanto il quaderno è comprensivo non sole delle opere

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti160

d’alveo vere e proprie, ma anche delle opere di sistemazione delle aree franose: siritiene infatti che i due argomenti siano fortemente interagenti e che quindi vadanopresentati parallelamente.

Il quaderno presenta una struttura ad albero riassunta nell’apposito quadrosinottico; per ogni tipologia d’opera, oltre alle singole schede che la compongono, èstata redatta un’introduzione che riepiloga per sommi capi i criteri progettuali e lefinalità della tipologia stessa.

Il quaderno propone una vasta gamma di opere, che in taluni casi possonoriproporsi pressoché identiche in diverse famiglie (per esempio tra opere di sostegnodei versanti e opere di difesa di sponda). In questi casi la scheda viene proposta duevolte, senza tenere in conto delle ripetizioni di testo e disegno.

Per quanto riguarda gli interventi di ingegneria naturalistica, non si è ritenutodi dedicarvi una specifica categoria, in quanto essi devono essere intesi come parteintegrante dell’opera: pertanto ciascuna scheda è comprensiva sia dell’opera grezzasia delle eventuali possibilità di rinaturazione che si possono prevedere in quel casospecifico.

A fianco delle schede relative alle opere tipo viene presentata una carrellata diparticolari, e significativi, interventi di riqualificazione ambientale.

Le schede contengono una serie di termini tecnici; la classificazione stessadelle opere si basa su di una terminologia che potrebbe dare adito a fraintendimenti,in quanto taluni termini possono avere, anche in letteratura, un significato ambiguo ocomunque sfumato.

Per ovviare a questo problema si è pensato di affiancare al quaderno unglossario, che contiene una definizione il più possibile precisa dei termini adottati,soffermandosi in particolare sulle terminologie che possono dare adito ad unamaggiore ambiguità.

Il quaderno delle opere è quindi costituito dalle seguenti parti:

• A: Opere di consolidamento degli alvei

• B: Opere di consolidamento dei versanti

• C: Opere di controllo delle portate solide

• D: Opere speciali

• E: interventi di riqualificazione ambientale

• Glossario

Vengono di seguito riportate per sommi capi le descrizioni delle categorieappena citate e il relativo quadro sinottico.

Nella parte A sono riportate le opere di consolidamento dell’alveo, cioè quegliinterventi diretti alla stabilizzazione del fondo dell’alveo e alla salvaguardia delterritorio circostante lo stesso da esondazioni.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 161

A.2.3: muro di sponda in massi a

secco

A.2.4: scogliera in massi e calcestruzzo

A.2.5: scogliera in massi a secco

A.2.2: muro di sponda in massi cementati

A.2: OPERE SPONDALI

A.2.7: difesa di sponda in gabbioni

A.2.8: difesa di sponda in legname e

pietrame

A.2.6: scogliera in massi a secco legati

A.2.9: copertura diffusa

A.3.4: adeguamneto in sagoma e/o

quota di argine esistente

A.3.3: adeguemento rilevato stradale

o ferroviario per difesa arginale

A.3.1: realizzazione nuovo argine

(h <4m)

A.3.2: realizzazione nuovo argine

(h >4m)A.3: RILEVATI ARGINALI

A.4.2: platee in massi a secco

A.4.1: platee in pietrame e calcestruzzo

A.4: RIVESTIMENTI

D'ALVEO

A.5.1: cunettone in massi a secco

A.5.2: cunettone in massi cementati

A.5.3: cunettone in legname

A.5.4: cunettone in calcestruzzo rivestito

in pietrame

A.5: CUNETTE E

CUNETTONI

A.6.1: repellente in pali e fascine

rinforzato con protezione in massiA.6: REPELLENTI

A: OPERE DI CONSOLIDAMENTO

DELL'ALVEO

A.1.: OPERE TRASVERSALI

A.1.1: briglie e soglie in massi a

secco

A.1.2: briglie e soglie in massi

cementati

A.1.3: briglie e soglie in legname

e pietrame

A.1.4: briglie e soglie in

calcestruzzo rivestito

A.1.5: briglie e soglie in

calcestruzzo

A.2.1: muro di sponda in calcestruzzo

(rivestito in pietrame)

Nella parte B sono riportate le opere di sistemazione dei versanti.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti162

B: OPERE DI SISTEMAZIONE DEI

VERSANTI

B1: OPERE DI REGIMAZIONE DELLE

ACQUE SUPERFICIALI

B2: OPERE DI PROTEZIONE E

CONSOLIDAMENTO SUPERFICIALE

B.1.1: DRENAGGI

SUPERFICIALI

B.1.1.1: canaletta inerbita

B.1.1.2: canaletta in sassi

B.1.1.3: canaletta in legname

B.1.1.4: canaletta in legname e

pietrame

B.1.1.5: canaletta in elementi

prefabbricati

B.1.2.1: trincea drenante con

fascinate vive o morte

B.1.2.3: trincea drenante

B.1.2.4: trincea drenante con

struttura sintetica

B.1.2.5: dreni suborizzontali

B.1.2.2: trincea drenante con

fascinate e tubo forato

B.1.2: DRENAGGI

PROFONDI

B.2.1.1: semina con fiorume

B.2.1.4: semina con reti antierosive

B.2.1.3: idrosemina

B.2.1.2: semina con il metodo "nero

verde"B.2.1: INTERVENTI DI

COPERTURA

B.2.2.4: gradonata o cordonata

B.2.2.3: cespugliamento con talee di

specie pioniere

B.2.2.2: piantagione o cespugliamento

con specie radicate

B.2.2.1: semina di specie legnose

B.2.2.7: palizzata

B.2.2.6: viminata o graticciata

B.2.2.5: fascinata

B.2.2.8: grata in legname con

elementi vivi

B.2.2: SISTEMAZIONI

STABILIZZANTI

B.3.2: muro di sostegno in massi

cementati

B.3.3: muro di sostegno in massi a secco

B.3.1: muro di sostegno in calcestruzzo

rivestito di pietrame

B.3.7: palificata in legname con talee

B.3.4: scogliera in massi e calcestruzzo

B.3.5: scogliera in massi a secco

B.3.6: muro di sostegno in gabbioni

B.3.8: terra rinforzata con geotessili

o geogriglie

B.3.9: "ombrelli da neve"

B3: OPERE DI SOSTEGNO

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 163

Nella parte C sono riportate le briglie aperte, opere per il controllo dellaportata solida.

C: OPERE PER IL CONTROLLO

DELLA PORTATA SOLIDA: BRIGLIE

APERTE

C.1: briglie a fessura

C.2: briglie a finestra

C.3: briglie a pettine

C.4: briglie a fune

C.5: briglie a sperone

Nella categoria D delle opere speciali rientrano tutte quelle tipologie di opereche non appartengono specificatamente a categorie di intervento quali sistemazionid’alveo o di versante. Sono particolari tecniche costruttive che vanno combinate o chesupportano le normali tipologie di intervento.

D.1: diaframmi

D.2: micropali

D.3: jet grouting

D: OPERE SPECIALI

Nella parte E sono riportati i seguenti esempi particolari di riqualificazioneambientale:

1. Brenta a Maso Tollo

2. Rio Maggiore a Levico

3. Fersina a Canezza

4. Fersina a Doss del Ciuss

5. Mandola a Calceranica

6. Chiese a Cimego

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti164

V.3.6 Riferimenti bibliografici

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[3] AA.VV. (1995) Piano stralcio per la realizzazione degli interventi necessari alripristino dell’assetto idraulico, alla eliminazione delle situazioni di dissestoidrogeologico e alla prevenzione dei rischi idrogeologici nonché per il ripristinodelle aree di esondazione (PS45). Autorità di Bacino del fiume PO, Parma.

[4] AA.VV. (1996) Dimensionamento delle opere idrauliche. Autorità di Bacino deifiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta-Bacchiglione, Venezia.

[5] AA.VV. (1997) Linee guida, criteri progettuali e nuove tecniche con riferimentoagli impatti delle opere civili nelle sistemazioni idrauliche. Autorità di Bacino deifiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta-Bacchiglione. Università deglistudi di Padova. Padova.

[6] AA.VV. (1997) Sistemazione tecnica e biologica dei corsi d’acqua: 20 anni diesperienze. Az speciale per la regolazione dei bacini montani Bolzano, Italy.

[7] AA.VV. (2000) Piano stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI). Autorità diBacino del fiume PO, Parma.

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[11] Begemann W., Schiechtl H.M. (1992) Igenieurbiologie. Handucch zumoekologischen Wasser. U. Erdbau Bauverlag Gmbh.

[12] Benedetti G., (1995) Analisi teorica e sperimentale del funzionamento dellebriglie aperte, Tesi di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio,Università degli studi di Trento. Trento.

[13] Carbonari A., Mezzanotte M. Tecniche naturalistiche nella sistemazione delterritorio. Provincia Autonoma di Trento, S.R.V.A.. Trento.

[14] Dellagiacoma F. (1991) Il trattamento della vegetazione in alveo. Dattiloscrittointerno A.S.S.M. Provinxcia Autonoma di Trento.

[15] Florineth F. (1993) Consolidamento di versanti franosi con tecniche diingegneria naturalistica. 10 Verdeambiente, 6.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 165

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[18] Graf W.H. Altinaker M.S. (1996) Traitè de Genie Civil de l’ecole polytechniquefederale de Lausanne. Volume 16.Hydraulique Fluviale. Tome 2. Ecoulementnon permanent et phenomenes de transport. Ed.: Presses Polytecniques etUniversi_taires Romandes, CH_1015 Lausanne.

[19] Gray D.H., Sotir R.B. (1996) Biotechnical and soil bioengineering slopestabilization. A pratical guide for soil erosion control. Ed. John Wiley & Sons,Inc. New York.

[20] Lenzi M.A., D’Agostino V., Sonda D., (2000) Ricostruzione morfologica erecupero ambientale dei torrenti. Ed. Bios, Cosenza.

[21] Marchetti M. (2000) Geomorfologia fluviale. Pitagora Editrice, Bologna.

[22] Ministero dell’Ambiente. Servizio VIA Commissione per la VIA (1997) Lineeguida per capitolati speciali per interventi di ingegneria naturalistica e lavori diopere a verde.Prestampa. Reperibile c/o AIPIS-TS.

[23] Pignatti S. (1964) Fitogeografia. In C. Cappelletti Botanica Vol I UTET Torino.

[24] Sansoni G., (1993) – La rinaturalizzazione degli ambienti fluviali, Lezioni tenutepresso l’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige (Trento)

[25] Sauli G., Siben S. (1992) Tecniche di rinaturazione e di ingegneria naturalistica:esperienze europee. Patron Editore, Quarto Inferiore (BO).

[26] Schiechtl H.M. (1992) Bioingegneria forestale - Biotecnica naturalistica. EdCastaldi. Feltre (BL).

[27] Schiechtl H.M. (1996) I salici nell’uso pratico.Ed Arca Gardolo (TN).

[28] Schiechtl H.M. Stern R. (1992) Ingegneria naturalistica – Manuale delle opere interra. Ed. Castaldi. Feltre (BL).

[29] Schiechtl H.M. Stern R. (1996) Ingegneria naturalistica – Manuale dellecostruzioni idrauliche. Ed Arca Gardolo (TN).

[30] Zeh H. (1988) Opere di ingegneria naturalistica sulle sponde tecnichecostruttive ed esempi nel cantone di Berna. (Trad. 1993). Ministerodell’Ambiente, Servizio Valutazione Impatto Ambientale, Informazione aiCittadini e per la Relazione sullo Stato dell’Ambiente. Roma

[31] Zeh H. (1988) Tecniche di ingegneria naturalistica. Ed Il Verde Editoriale,Milano.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti166

V.3.7 Allegato 1: elementi di dimensionamento e verifica delleopere di controllo del trasporto solido e delle colatedetritiche

D1) Condizione non stazionaria di impatto di fronti che si propagano controparamenti fissi.

La sovrapressione p∆ generatasi durante l’impatto di fronti di colata controopere di frangimento o paramenti di briglie può essere determinata attraversoopportuni bilanci di massa e quantità di moto, come dimostrato da Armanini e Scotton(1993):

2impactdfp vap ρ=∆ (1)

in cui ρdf rappresenta la densità di massa del fluido, νimpact la velocità del fronte(che può essere maggiore della velocità del corpo centrale, a moto uniforme, dellacolata), e ap è un coefficiente correttivo, che risulta pari a 2 per colate lente, e scendea 0,7 per le colate più fluide e veloci. La velocità di avanzamento del fronte può essereassunta pari al valore maggiore fra la velocità di moto uniforme (vu) e la celerità delfronte di valle nel moto conseguente a collasso di sbarramento in condizioni inviscida(vdam-break).

32

21

usu hiKv =5

3

2122

==−

iBK

Qgghv

subreakdam { }breakdamuimpact vvv −= ,max (2)

Per quanto concerne il dimensionamento statico di opere di difesa, ènecessario considerare che la forza trasmessa dalla colata all’impatto è diretta nelladirezione del flusso. Ciò risulta importante nei casi in cui la superficie di impatto nonsia ortogonale alla corrente in arrivo, sì da evitare sovrastime eccessive dellapressione di impatto.

D2) Criteri di dimensionamento di cunettoni in massi sciolti

I cunettoni vengono di solito costruiti quando un corso d’acqua deveattraversare un centro abitato e lo spazio a disposizione è esiguo. I cunettoni sonoquindi dei canali, di sezione abbastanza stretta, realizzati per garantire il rapidodeflusso di grandi quantità d’acqua.

Nella letteratura specializzata non si trovano a riguardo criteri didimensionamento opportuni, pertanto, nella pratica progettuale, si è fatto sempreriferimento all’esperienza progettuale maturata nel corso dei decenni e talvolta si èapplicato il criterio di Shields senza conoscere l’effettivo contributo dell’effetto dellapendenza del fondo, dell’ammorsamento meccanico e idrodinamico dei massi el’influenza della granulometria del sottofondo sulla stabilità.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 167

Gli studi preliminari in acqua chiara fino ad ora condotti hanno messo in rilievoil peso dei contributi sopra evidenziati nel caso di sezione trasversale rettangolare,trapezia e parabolica.

Nei grafici e nelle formulazioni sotto riportate si fa riferimento alle condizioni dimobilitazione dei massi delle protezioni che ricoprono l’alveo.

Allo stato attuale dello studio si dispone di dati sufficienti per fornire il criterioprogettuale per sezione rettangolare (Chini, 2002).

La sezione rettangolare è costituita da un fondo in massi sciolti, in grado dimantenere la continuità tra alveo e subalveo, e da pareti in calcestruzzo armato.

Lo studio sperimentale è stato condotto disponendo sul fondo i massi delleprotezioni con cura, cioè ammorsandoli, pertanto la scabrezza del fondo non ècorrelata alla dimensione caratteristica dei massi ma piuttosto alla scabrezzasuperficiale dei singoli massi e alla loro spaziatura.

La scabrezza equivalente si può rappresentare per massi da frantoio, ocomunque irregolari (fattore di forma compreso tra 0,5-0,7), in funzione del diametrocaratteristico d50:

504,0 dke ⋅≈ (3)

L’analisi progettuale si fonda sulla determinazione del tirante di progetto, apartire dalla formula di resistenza per moto a bassa sommergenza, ricavata in questasede.

][;43 131

61

−⋅⋅÷≈ smRh

gks

Con riferimento alla teoria di Shields la relazione progettuale ricavata è laseguente:

%,/, 057,0)sen(

Pdsshkeifp

teocr fffd

Rh ⋅⋅⋅=⋅∆

⋅= αθ ;

dove:

ρρρ −

=∆ S ;

( ) WC ρρ ⋅+∆= 1 ;5,0

/ 67,01

⋅+=

hk

f ehke (Armanini, 1990);

( ) ( )( )φ

αρρ

ραtg

fs

ifsen

cos ⋅−

−= ;

%01,078,166,0%,%, Pdd

Pddf

P

ss

P

ssPdss ⋅++=

.

da cui si ricava, noti i parametri geometrici ed il tirante, il diametro delleprotezioni.

Nel termine della pendenza fif, φ non corrisponde all’angolo di naturale riposodei massi delle protezioni ma all’angolo di contatto (Ulrich, 1987), che descrive

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti168

opportunamente la disposizione regolare dei massi sul fondo posti a stretto contattotra loro:

%30(%);45,061)( <⋅+=° PPφ

Nelle espressioni sopra riportate è utilizzata la seguente simbologia:dss = diametro del materiale di sottofondo;dP =diametro del materiale della

protezioni;ϑcr,mi s = parametro di mobilità di Shields misurato;ϑcr,teo = parametro di mobilità di Shields teorico;α = pendenza del fondo;φ = angolo di contatto;fif = fattore correttivo della pendenza del fondo e dell’ammorsamento

meccanico tra massi delle protezioni;Ke = scabrezza equivalente;Ks = coefficiente di Gaukler-Strickler;fke/h = fattore correttivo della bassa sommergenza;fdss,P% = fattore correttivo del rapporto tra i diametri del materiale delle

protezioni (SF=0,68) e del sottofondo, e percentuale di massiallungati (SF=0,58) inseriti verticalmente;

P [%] = percentuale di massi allungati rispetto al totale dei massi impiegati;ρW = densità dell’acqua;ρS = densità del materiale solido;ρ = densità del mistura.

D3) Risagomatura di tratti torrentizi e inserzione di piazze di deposito

Alcuni tra i possibili oggetti di progettazione e sistemazione di alvei torrentizi ècostituito dalla risagomatura di tratti torrentizi e dalla inserzione di piazze di deposito.Data l’estrema varietà delle situazioni analizzabili, nelle presenti poche righe non èpossibile fornire uno schema propositivo di ausilio agli interventi adottabili. Siraccomanda perciò l’uso di strumenti predittivi di calcolo idonei a descrivere in modocorretto l’esito di possibili interventi nelle situazioni di interesse.

In generale, tuttavia, vale la pena di ricordare che la congiunzione di tratti alivelletta diversa comporta esiti opposti a seconda che vi sia un addolcimento od unirripidimento del fondo muovendo da monte verso valle. Il caso di pendenza via viapiù dolce è causa di deposito di sedimento a partire dalla zona di cambio di pendenza;il fenomeno propaga sia verso monte che verso valle con celerità di propagazionefacilmente approssimabili (Armanini, 1999) Tale situazione va pertanto attentamentevalutata. Un’altra situazione schematica di interesse riguarda le variazioni brusche dilarghezza dell’alveo. A seconda del regime della corrente detritica (Fr > o < di 1) siverificano erosioni/depositi che muovono verso monte e verso valle, ma con celeritàsostanzialmente diverse. Nel caso infine, di piazze di deposito laterali, va ricordato cheil volume utile può essere significativamente minore dello spazio geometricodisponibile, a causa delle modalità di riempimento che la colata attua, e che dipendefortemente dalla geometria dell’accesso alla piazza e dal numero di Froude (Fr).

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 169

F) Analisi del rischio nelle zone investite dalla colata

L’evoluzione dinamica di una colata, in uno con le eventuali connessevariazioni morfologiche, determina condizioni di pericolo nelle aree interessate daldeflusso. La valutazione del rischio associato a colate detritiche è determinabile aseguito della messa a punto di protocolli di definizione del rischio stesso, e tramiteapplicazioni di modelli matematici e numerici in grado di predire l’evolversi dell’onda dipiena. Esempi di analisi del rischio perseguiti secondo la modalità delineata si trovanonegli atti conclusivi del progetto europeo DFR (Debris flows Risk Assessment, 1995-1998). Gli strumenti di calcolo impiegabili riguardano sia i fenomeni confinati entroalvei torrentizi (uni-dimensionali), sia i fenomeni di sbocco delle colate in areericettrici quali piazze di deposito naturali o artificiali, o conoidi di deiezione (bi-dimensionali). Detti strumenti possono inoltre essere di tipo commerciale e moltodiffusi (Ex. Flow 2D, Mike11-21) o rappresentare prodotti dello stato dell’arte dellaricerca in quest’ambito (Ghilardi et al., 1996, Fraccarollo e Capart, 2002). Si ricordache un codice di calcolo dedicato e completo nei confronti delle colate detritiche puòfornire elementi di valutazione globali delle caratteristiche delle colatedi estremointeresse, quali: le condizione di innesco e di arresto di un evento, la duratadell’evento, la celerità di propagazione di eventuali fronti.

V.3.7.1 Trasporto solido e opere di sistemazione

Le azioni erosive esercitate dagli agenti atmosferici sulla superficie della Terra,ed in particolare nelle zone montane, determinano l’accumularsi di materiale solido incorrispondenza dei collettori naturali costituenti i bacini idrografici. Il deflussodell’acqua in tali collettori, in particolare modo durante gli eventi di piena, innescaulteriori fenomeni di erosione a monte e di deposito lungo il tratto inferiore deicollettori, determinando lo spostamento di ingenti quantitativi di sedimenti versovalle, sia sotto forma di trasporto solido ordinario che di colate detritiche. Se la pienaha una durata sufficiente per garantire il trasferimento del materiale solidoaccumulato a monte fino al tratto più pianeggiante del corso d’acqua, laconfigurazione ottenuta si dimostra stabile. In caso contrario, lungo il trattointermedio dell’asta torrentizia, il materiale forma un deposito, che si rende disponibileper il trasporto nel corso di una piena successiva. Da queste considerazioni si evincecome non sia il solo evento idrologico eccezionale, ovvero una pioggia con un elevatotempo di ritorno, il motore di potenziali catastrofi, ma come sia necessaria laconcomitanza di una elevata disponibilità di materiale solido in alveo. D’altro cantonon solo i casi di eccesso di materiale solido costituiscono potenziali rischi; infatti,nella eventualità in cui il torrente sia sottoalimentato, ovvero nel caso in cui lapresenza di materiale solido sia tale da non garantire l’instaurarsi della capacità ditrasporto, s’innescano fenomeni erosivi lungo l’intera asta del corso d’acqua e, dove laconformazione geologica lo consenta, possono innescarsi la frana dei versanti e loscalzamento delle fondazioni di opere adiacenti.

Tali fenomeni possono assumere connotazioni di tipo catastrofico incorrispondenza di eventi che si presentano con tempi di ritorno che superanogeneralmente diverse decine di anni, ovvero un periodo che va oltre quella che puòessere definita la memoria della popolazione. Infatti, l’uomo ha spesso sottovalutato lapotenza devastante della natura ed ha costruito insediamenti nelle immediatevicinanze o addirittura in corrispondenza di zone ad alto rischio idrogeologico, proprio

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avvalendosi della constatazione che da molti anni la situazione appariva stabile e privadi minacce potenziali alla propria incolumità, facendo dimenticare le conseguenze chesi erano verificate magari cinquanta anni prima. In questo modo in alcuni luoghi ènata, ed in altri è aumentata, la necessità di intervenire in modo mirato sul territorio,al fine di impedire il verificarsi di danni alle abitazioni, alle infrastrutture ed allapopolazione.

Gli interventi di sistemazione realizzabili possono interessare le sole aste deicorsi d’acqua oppure aree più estese all’interno del bacino. In quest’ultimo caso loscopo consiste nella protezione della superficie del suolo e nella stabilizzazione deiversanti in frana, intervenendo già nella fase di accumulo del materiale solido. Gliinterventi sono quindi mirati alla prevenzione del dissesto generale, tenendo conto deltipo di copertura vegetale e del tipo di suolo, con lo scopo di migliorare lo stato dellasuperficie del bacino idrografico, di aumentare il tempo di corrivazione e di diminuirel’erosione e, con questa, l’apporto di eccessivo materiale solido ai torrenti.

In questa sede si focalizzerà l’attenzione sugli interventi in alveo, finalizzati aconferire una stabilità dinamica al corso d’acqua e a prevenire possibili danni apersone, insediamenti e infrastrutture dovuti a fenomeni di erosione o disovralluvionamento. Alcuni concetti fondamentali riguardo ai criteri di progettazionesono richiamati di seguito:

• l’effetto della sistemazione di un bacino deve essere dinamico, come dinamica èl’evoluzione di un torrente, e la tipologia degli interventi deve adattarsi allecaratteristiche del torrente in maniera il più possibile adeguata;

• la sistemazione deve essere un intervento a scala di bacino, evitando di prenderein considerazione in modo isolato problemi locali;

• la progettazione deve essere studiata in modo da ottenere i risultati desideraticontenendo il più possibile l’impatto ambientale ed i costi di realizzazione e dimanutenzione;

• accanto alle funzioni tradizionali proprie delle tradizionali tipologie costruttive,consolidare, stabilizzare e ritenere, si aggiungono ora le funzioni di selezionare,regolare e frangere le colate, che consentono al progettista di intervenire sullaspecifica individualità di ogni torrente.

Una classificazione intuitiva delle opere di sistemazione dei torrenti può essereeffettuata distinguendo tra le opere disposte trasversalmente e quelle dispostelongitudinalmente rispetto alla direzione prevalente della corrente. Le operetrasversali hanno di solito la funzione di controllare in modo diretto l’evoluzionemorfologica dell’alveo, impedendone l’erosione o provocandone l’innalzamento. Alleopere longitudinali sono invece affidati compiti di contenimento della corrente e didifesa delle sponde dall’erosione. Spesso tuttavia la difesa delle sponde è affidata adopere trasversali, costruite con lo scopo di ridurre la velocità della corrente e, quindi,la capacità erosiva.

Le opere di difesa trasversali sono essenzialmente le soglie e le briglie. Ladistinzione tra queste due tipologie di opere è abbastanza arbitraria e pocosignificativa: come soglie si intendono le traverse completamente inserite nell’alveodel corso d’acqua, oppure sono dei salti di fondo abbastanza modesti, inferiori almetro, a valle dei quali la corrente si mantiene radente al fondo, senza dare luogo adun effetto di vena libera. Le briglie sono invece opere di dimensione maggiore, nellequali la vena che abbandona l’opera fluisce liberamente con il bordo inferiore a

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contatto con l’atmosfera. Da un punto di vista funzionale, sia le soglie che le brigliehanno lo scopo di ridurre, sebbene in forma e misura diverse, il trasporto solido di untorrente, intervenendo direttamente sul flusso dei sedimenti oppure indirettamenteriducendo la sua capacità di trasporto.

Le difese longitudinali dei corsi d’acqua sono quelle opere che vengonocostruite per contenere i corsi d’acqua entro limiti laterali compatibili con le attivitàantropiche, proteggendo gli insediamenti dalle inondazioni: di questa categoria fannoparte le arginature, i muri di sponda e le protezioni di sponda mediante pennelli. Nellaprogettazione di tali opere, particolare attenzione va posta nei tratti interessati dacambi di pendenza e da variazioni planimetriche. I tratti nei quali la pendenzadell’alveo si riduce, saranno generalmente interessati da processi di depositolocalizzato, mentre i tratti in curva possono determinare la formazione di scavilocalizzati, che possono pregiudicare la stabilità delle fondazioni delle opere.

Si analizzano ora le tipologie costruttive e i parametri progettuali significatividal punto di vista idraulico nella realizzazione delle principali tipologie di operetrasversali, mettendo in evidenza l’importanza di tenere conto dell’effetto del trasportodei sedimenti, soprattutto per le opere maggiori.

V.3.7.1.1 Briglie chiuse

Lungo i corsi d’acqua si sono costruite moltissime tipologie di briglie, in molticasi di dubbia funzionalità, giacché nel momento della loro realizzazione nonesistevano dei criteri progettuali standardizzati ai quali fare riferimento. Inoltre,considerando che gli eventi per cui esse furono costruite si presentano con tempi diritorno che superano generalmente i cinquanta anni, manca tuttora una casisticasufficiente a valutarne l’efficienza.

In letteratura sono stati proposti diversi criteri di classificazione, che peròspesso rendono arduo lo sforzo di avere una chiara visione delle caratteristichefunzionali di tali opere. Uno dei metodi tuttora più accreditati consiste nel distinguerein briglie con funzione di trattenuta e briglie di consolidamento, a seconda che sianocostruite su torrenti che trasportino un’ingente quantità di sedimenti oppure sutorrenti in erosione. Tale distinzione, però, si dimostra in alcuni casi semplicistica:infatti, uno stesso torrente può presentare delle zone in cui si ha tendenza al depositodei sedimenti e altre in cui si innescano fenomeni di scavo più o meno localizzato.Parallelamente lo stesso tratto del torrente può comportarsi nell’uno o nell’altro modo,a seconda degli eventi meteorici e dell’effettiva disponibilità in alveo di materialetrasportabile dalla corrente.

Il più semplice e, probabilmente, più efficace metodo di classificazione dellebriglie porta alla distinzione funzionale tra le più tradizionali briglie chiuse e le briglieaperte o filtranti, a seconda che esse siano o no permeabili ai sedimenti.

Le briglie chiuse vengono impiegate nella sistemazione dei torrenti ormai dasecoli e vengono realizzate per ottenere uno o più dei seguenti scopi:

• creare un invaso al cui interno trattenere il materiale solido in arrivo;

• fissare la quota dell’alveo in un determinato punto impedendo l’abbassamentoprogressivo di tutto il letto del torrente;

• ridurre la pendenza longitudinale dell’alveo nel caso in cui vengano realizzate piùopere in successione, conferendogli una struttura a gradini.

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Al fine del raggiungimento di questi obiettivi, si verificano però degli effettiindesiderati:

• la briglia non ha capacità di autopulizia, per cui esaurisce la propria funzione ditrattenuta del materiale, mantenendo però quella di consolidamento, nelmomento in cui l’invaso è completamente riempito, a meno che esso non vengaripristinato artificialmente mediante l’ausilio di macchine per la movimentazionedei terreni;

• la briglia esercita una selezione granulometrica modesta sul materiale datrattenere, bensì lo blocca tutto indistintamente;

• la briglia trattiene tutto il materiale solido in arrivo anche in condizioni di magra,riducendo l’invaso disponibile in occasione di un evento di piena straordinaria;

• a valle, a meno che non si sia ormai esaurita la capacità di trattenuta, si ha lafuoriuscita di acqua chiara priva di sedimenti; considerando che nel caso ditorrenti alpini il volume di invaso è generalmente troppo piccolo per garantireuna laminazione apprezzabile della portata liquida, il picco di piena (contenentesolamente acqua) presenta un carattere fortemente erosivo e costituisce unpotenziale pericolo per la stabilità delle fondazioni di argini e manufatti limitrofi;

• tali opere hanno un elevato impatto visivo sul territorio, soprattutto nel caso incui vengano realizzate in serie al fine di ottenere una sezione trasversale deltorrente a gradini;

• nei tratti compresi tra due briglie, talvolta si tende ad eliminare l’alternanza didiverse condizioni idrodinamiche, di tratti in corrente veloce e di altri in cui si haun parziale ristagno della corrente, potendo creare qualche problema al correttosviluppo della catena trofica che è alla base del processo di autodepurazione deitorrenti;

• la presenza del salto effettuato dall’acqua a valle dell’opera costituisce spesso unostacolo per la risalita della fauna ittica.

Riguardo al primo punto considerato, bisogna aggiungere che nel caso dibriglie completamente interrate a monte un certo accumulo di materiale solidodurante le piene è talvolta possibile. In caso di forte trasporto solido, infatti, lapendenza di equilibrio può essere maggiore della pendenza che si aveva primadell’evento e quindi garantire un volume di invaso supplementare durante la fase dipicco della piena. Parte di questo materiale accumulato durante l’evento può venireparzialmente rimosso dalla piena stessa in fase di calo ed in parte durante eventisuccessivi, dotati magari di portata solida minore e portata liquida maggiore(caratterizzati quindi da una pendenza di equilibrio minore). Ciò è particolarmenterilevante se l’alimentazione solida deriva da processi di scaricamento dei versanti deltipo colata di detriti. Calcolare il contributo di questo effetto di laminazione dellaportata solida è molto difficile e spesso poco cautelativo: vale quindi la penaconsiderarlo solo come un ulteriore grado di sicurezza durante gli eventi disovralluvionamento (Armanini, 1995).

Dal punto di vista idraulico, la briglia provoca localmente una alterazione deldeflusso della corrente, generalmente inducendone il rallentamento a monte. Comeconseguenza si ha un deposito del materiale solido ed una variazione morfologica cheè praticamente definitiva nel caso delle briglie chiuse e più o meno provvisoria nelcaso delle briglie aperte. La brigli atende a fare assumere all’alveo un assetto di

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equilibrio. Ammettendo la presenza di trasporto solido, è possibile determinare lapendenza di equilibrio iθ del corso d’acqua utilizzando una formula che esprima lacapacità di trasporto della corrente. Ad esempio, facendo riferimento all’equazione diMeyer-Peter e Müller, si ottiene la seguente espressione:

⋅∆⋅⋅⋅+⋅⋅∆=

32

81

DgD

qRD

i scr

H

ϑϑ (4)

Nel caso in cui la portata solida si annulli, la pendenza di equilibrio assume unvalore che viene definito pendenza di compensazione ico.

crH

co RD

i ϑ⋅⋅∆= (5)

Il concetto di pendenza di compensazione ha dei riscontri oggettivi nel fattoche spesso i tratti di alveo a monte di briglie chiuse tendono ad autocorazzarsi neltempo, ovvero si assiste ad un continuo accumulo nello strato superficiale dell’alveo dimateriale sempre maggiore, che non riesce ad essere trasportato dalle piene piùricorrenti. Si deve tuttavia tenere presente che tale strato tende a rompersi durante lepiene eccezionali.

Dal punto di vista progettuale, la nuova pendenza dell’alveo può essereassunta, a seconda dei casi, pari alla pendenza di compensazione (4) o alla pendenzadi equilibrio (5). L’altezza ed il numero di briglie possono essere determinati sulla basedel valore di tale pendenza e facendo in modo che, nel caso di briglie di trattenuta, lasomma dei volumi di invaso disponibili a monte di ciascuna briglia sia pari al volumetotale dei sedimenti da trattenere. Lo schema della pendenza dell’alveo sistemato permezzo di una serie di briglie è rappresentato in Figura V.3.12. Un calcolo corretto deitempi di interramento può essere effettuato solo sulla base dei modelli di evoluzionemorfologica.

Figura V.3.12: Schema della pendenza dell’alveo dopo la sistemazione sulla base della pendenza di compensazione(Armanini, 1995).

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Nel dimensionamento idraulico della gaveta di una briglia, si può assumere cheessa sia assimilabile ad uno stramazzo a soglia larga, trascurando il carico cineticodella corrente in arrivo. Con riferimento, per quanto riguarda i simboli, alla FiguraV.3.13, l’altezza a della gaveta può essere calcolata per mezzo della seguenteespressione:

32

238,0

=

gL

Qa (6)

la quale, per inclinazioni dei bordi della gaveta poco pronunciate (n<4),consente la compensazione dell’effetto di riduzione della portata transitante dovutoalla contrazione della vena fluida e, quindi, di operare a favore di sicurezza.

B

L

a

H

n

1

Figura V.3.13: Schema della gaveta di una briglia.

Al fine di evitare la tracimazione dello sbarramento in corrispondenza delle ali,è necessario verificare in ogni caso che l’altezza della gaveta sia maggiore ad unavolta e mezza l’altezza critica della corrente in tale sezione (Armanini et al., 2000),come espresso dall’equazione (7).

31

2

2

23

>

gL

Qa (7)

Nel caso di opere trasversali minori, con salti inferiori a 3 m indotti dallasingola briglia e differenze globali di quota, dovute alla successione di più opere, chenon eccedano i 15 m circa, le espressioni (6) e (7) possono ritenersi uno strumentosufficiente per il corretto dimensionamento della gaveta. Nel caso in cui ci si occupiinvece di opere di maggiore importanza, è opportuno dimensionare la gaveta anchesulla base di considerazioni che coinvolgano, oltre alla portata liquida, anche laportata solida. Se il volume a monte della briglia è completamente riempito disedimenti, la presenza della gaveta, che si comporta come un restringimento

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localizzato dell’alveo, determina un effetto analogo a quello indotto da una briglia afessura, inducendo quindi la formazione di un deposito a monte, la cui altezza puòessere determinata utilizzando i criteri esposti nel paragrafo V.3.7.1.3 relativo allebriglie a fessura. In questo caso è opportuno verificare che la relazione (7) siasoddisfatta mantenendo un franco di sicurezza di almeno mezzo metro.

L’impatto della vena che stramazza dalla gaveta può provocare un’erosionelocalizzata a valle della briglia stessa che, se non contenuta entro limiti tollerabili, puòcomportare l’instabilità della struttura e, in alcuni casi, il suo collasso. Vista ladifficoltà oggettiva di affrontare analiticamente il problema, si preferisce in questocaso ricorrere all’espressione sperimentale ottenuta da Schoklitsch, nella quale isimboli utilizzati fanno riferimento alla (Figura V.3.14).

( )32,0

90

57,02,0075,4

d

qhhhh v

vt−

+−= (8)

La relazione, espressa in forma dimensionale, le altezze devono essereespresse in metri, il diametro d90 del materiale d’alveo in millimetri e la portata liquidaper unità di larghezza q in [m3 s-1 m-1].

ho

ht

hv

Q

Figura V.3.14: Schema relativo ai fenomeni erosivi a valle di una briglia.

Un’espressione analoga, con riferimento alla stessa simbologia, è stataproposta da Veronese:

( )42,0

90

54,0225,0068,3

d

qhhhh v

vt−

+−= (9)

Nelle applicazioni delle formule per il calcolo dell’erosione a valle delle briglie,si consiglia una maggiorazione di sicurezza di 0,5÷0,6 m.

Il contenimento dell’erosione può essere ottenuto corazzando l’alveo di vallecon materiale di pezzatura sufficientemente grande, sulla base delle relazioni (8) e(9). Il materasso di materiale grossolano deve essere sufficientemente profondo,poiché lo scalzamento di parte del materiale di superficie potrebbe mettere a nudo glistrati inferiori, che, se di granulometria troppo sottile, potrebbe essere facilmenteasportato dalla corrente, provocando il collasso della struttura. L’entità dell’erosione

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dipende in maniera significativa dal valore del tirante di valle hv, il quale è influenzato,a sua volta, dalle condizioni di valle, che, opportunamente controllate, possono quindideterminare una significativa riduzione dello scavo.

V.3.7.1.2 Briglie aperte

Le briglie aperte sono degli sbarramenti costruiti in alveo al cui internovengono ricavate una o più aperture di dimensione dell’ordine di grandezzadell’altezza della briglia stessa. Tali opere vengono spesso chiamate anche brigliefiltranti, in quanto una delle loro caratteristiche principali è quella di trattenere ilmateriale di dimensioni maggiori e di lasciare passare la frazione più fine, agendocome un vero e proprio filtro.

La costruzione di briglie aperte consente di ridurre alcuni degli effettiindesiderati prodotti da quelle chiuse. Infatti, con riferimento ai difetti elencati nelparagrafo precedente, si possono annoverare i seguenti miglioramenti:

• durante la fase calante della piena, oppure durante le piene minori, la briglia puòrilasciare una portata di sedimenti superiore a quella proveniente da monte,ovvero è atta all’instaurarsi di un processo di laminazione e di autopulizia,allungando la durata dell’efficacia della sistemazione;

• la briglia esercita una selezione granulometrica sul materiale proveniente damonte ed in particolare favorisce la sedimentazione delle granulometrie didimensioni maggiori, senza impedire il libero deflusso verso valle di quelle piùsottili;

• in condizioni di magra la briglia non impedisce il deflusso verso valle delmateriale, anzi, come descritto al punto precedente, favorisce il processo diautopulizia;

• a valle non si ha in alcun caso la fuoriuscita di acqua priva di sedimenti,riducendo il potere erosivo della corrente;

• si ha l’assenza di salti che impediscano alla fauna ittica di risalire la corrente.

Un caso in cui le briglie aperte offrono probabilmente minori garanzie rispettoa quelle chiuse è quello in cui ci si prefigga di realizzare un’opera con lo scopoprincipale di consolidare l’alveo. Anche in questo caso, comunque, tali opere non sirivelano completamente inefficaci poiché la creazione di una o più aperturerelativamente piccole può indurre a monte profili di corrente lenta, con conseguenteriduzione della velocità e della capacità erosiva.

V.3.7.1.3 Briglie a griglia e briglie a fessura

Dal punto di vista del funzionamento, può essere conveniente raggruppare lebriglie aperte in due grandi categorie: le briglie a griglia e le briglie a fessura. Leprime sono costituite da sbarramenti al cui interno sono ricavate una o più aperturepresidiate da griglie di diverse forme, il cui scopo è il trattenimento mediantevagliatura meccanica dei sedimenti di dimensione maggiore e del legname trasportatodalla corrente. La distanza tra gli elementi delle griglie secondo alcuni autori(Zollinger, 1984; Mizuyama, 1984) è di 1,2 ÷ 1,5 volte, mentre secondo altri(Üblagger, 1972) è di 3 volte il diametro delle granulometrie da trattenere. A volteaccade che durante un evento intenso l’accumulo di questi sedimenti e del materialevegetale a monte delle griglie rende praticamente impermeabile al trasporto solido

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l’apertura della briglia. Tale riempimento progressivo ha quindi l’effetto di portare adesaurimento la funzione filtrante di queste opere nell’arco di un periodo di tempo più omeno lungo, trasformandole così in briglie chiuse con funzione di consolidamento.

Nelle briglie a fessura vengono praticate una o più aperture verticalirelativamente strette, che si estendono dal basamento dell’opera fino alla soglia dellagaveta. Tali aperture sono generalmente presidiate da griglie o da barre al fine diprevenirne l’intasamento ad opera del legname. Nell’ipotesi che la corrente di montesia supercritica, lo scopo dell’apertura è di provocare a monte un profilo di rigurgito,con passaggio in corrente lenta e quindi notevole riduzione delle velocità, tale daconsentire il depositarsi delle granulometrie di dimensioni maggiori.

Spesso le aperture delle briglie vengono otturate da materiali vegetali o damassi di grande dimensioni, impedendone il corretto funzionamento. In tali casi sirende necessario l’intervento di macchine operatrici in modo da ristabilire l’efficienzadell’opera idraulica. Al fine di impedire tali fenomeni di intasamento, le aperturevengono talvolta presidiate da filtri, i quali sono generalmente fissati medianteancoraggi mobili per agevolare l’intervento umano, finalizzato a rimuovere eventualiostruzioni.

La progettazione del filtro è forse la parte più difficile, visto che non siconoscono metodi codificati per individuarne il tipo più adatto in relazione a quanto sivuole ottenere in termini di funzionalità dell’opera. Proprio per questo motivo, dove èpossibile, è utile progettarlo a elementi mobili, in qualche maniera modulabile, perpoterlo eventualmente modificare dopo averne constatato il funzionamento durante unevento di piena (Cerato, 1995).

Il tipo di filtro va scelto tenendo conto delle caratteristiche idrogeologiche deltorrente, possibilmente avvalendosi della conoscenza storica di eventi del passato, inmodo da stabilire a quali funzioni dare maggiore o minore prevalenza: il trattenimentodel materiale, il consolidamento, la laminazione, la selezione granulometrica, ecc.

Il filtro a griglia orizzontale presenta delle fessure formate da elementi dispostiorizzontalmente; tale struttura si ostruisce con notevole facilità, per cui è daprediligersi in manufatti il cui scopo primario sia la ritenzione del materiale.

Il filtro a griglia verticale presenta delle fessure formate da elementi verticali;tale struttura denota una maggiore selettività e capacità di autosvuotamento, perciò èda prediligersi in opere con prevalente funzione di selezione e laminazione deltrasporto.

Il filtro a griglia inclinata è costituito da una serie di travi disposte secondo unao più inclinazioni il cui scopo è quello di accumulare il materiale vegetale nella partepiù elevata delle aperture, in modo da prevenire le possibilità di intasamento; taletipologia di filtro è da prediligersi nelle opere che devono mantenere la funzione diselezione e laminazione nel tempo oppure in quelle di trattenuta del legname.

A differenza delle briglie a griglia, il cui scopo è la trattenuta del legname e deisedimenti di dimensioni maggiori trasportati dalla corrente mediante una vagliatura ditipo meccanico, le briglie a fessura basano il loro funzionamento su principi di naturaidrodinamica: nell’ipotesi che la corrente di monte sia supercritica, come avvienegeneralmente nei torrenti alpini, lo scopo dell’apertura consiste nel provocare a monteun rigurgito della corrente, con una riduzione delle velocità tale da consentire ildepositarsi delle granulometrie di dimensioni maggiori.

Nel descrivere il processo di sedimentazione a monte della briglia si fariferimento ad un torrente di sezione prismatica, la cui pendenza iniziale io nel trattoindisturbato è maggiore della pendenza critica ic. Spesso questa tipologia di opere

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viene costruita in tratti ad elevata pendenza, lungo i quali non avvengono fenomeni dideposizione del materiale solido (la pendenza i0 del fondo roccioso è maggiore dellapendenza di equilibrio iθ) oppure lungo i quali il deflusso avviene in equilibrio con ilfondo (io = iθ). La pendenza di equilibrio viene univocamente determinata per mezzodella portata liquida Q, della portata solida Qs, del diametro caratteristico D delmateriale trasportato e della larghezza B del canale indisturbato. Utilizzando adesempio la formula di Meyer-Peter e Müller ( ( ) 23

crs nDgDBQ ϑϑ −∆= ) per definire la

portata solida e la formula di moto uniforme di Chèzy per definire la portata liquida siottiene:

23321

∆+∆=gB

Qn

DQB

i scrϑχ

ϑ (10)

nella quale χ rappresenta il coefficiente di Chèzy, θcr il parametro di mobilitàcritico di Shields, )/(2

* Dgu ∆=ϑ il parametro di mobilità effettivo, g l’accelerazione digravità e ∆=(ρs-ρ)/ρ la densità relativa del materiale immerso; n è un coefficienteassunto in origine dagli autori pari a 8.

iθio

∆zo

u u’ d

Figura V.3.15: Profilo del fondo e del pelo libero (io > iθ > ic): (a) in assenza di deposito; (b) durante il transitorio; (c)a regime.

Se la portata liquida e la portata solida non variano nel tempo, il profilo delfondo tende a portarsi in una condizione di regime, caratterizzata da un deposito dipendenza costante pari a iθ a monte della briglia. Spesso tale pendenza è superiore aquella critica (io > iθ > ic). La sedimentazione del materiale inizia in corrispondenza delrisalto idraulico (Figura V.3.15 a) ed il deposito si estende verso monte e verso valle

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 179

(Figura V.3.15 b) fino a raggiungere la condizione di regime (Figura V.3.15 c). Nei casiin cui io > iθ > ic, durante il transitorio il risalto si localizza in prossimità dell’estremitàdi monte del deposito.

L’altezza ∆z0 del deposito a monte della briglia (Figura V.3.15 c) può esserecalcolata per mezzo di due differenti schemi, a seconda che si verifichi una delle dueseguenti situazioni:

• La fessura è sufficientemente larga ed al suo interno la velocità critica è piùpiccola della velocità di trasporto (velocità di moto uniforme relativa allapendenza di equilibrio iθ); nella fessura, quindi, il deflusso avviene in condizionisupercritiche.

• La fessura è sufficientemente stretta ed al suo interno la velocità critica èsuperiore alla velocità di trasporto; nella fessura, quindi, si instaurano lecondizioni critiche, corrispondenti al valore minimo dell’energia specifica.

Nel primo caso (fessura larga) l’altezza del deposito può essere calcolataimponendo tre equazioni di conservazione tra la sezione u, immediatamente a montedella briglia, e la sezione d, in corrispondenza della fessura (Figura V.3.15 c): laconservazione della portata liquida, della portata solida e dell’energia. Sempreutilizzando la formula di Meyer-Peter e Müller per definire la portata solida etrascurando le perdite localizzate di energia si ottiene:

( )( )

−−+−

+−=

∆1

211

1

232

3232

0

u

cru

u

cru

FrR

RR

Rhz

ϑϑ

ϑϑ

(11)

nella quale compaiono il rapporto di restringimento R=B/b (con b larghezzadella fessura), il tirante di moto uniforme hu sul deposito, il parametro di mobilitàeffettivo sul deposito θu ed il numero di Froude della corrente sul deposito Fru.Nell’ipotesi in cui sul deposito si instaurino le condizioni di incipiente movimento,ovvero nel caso in cui si faccia riferimento alla pendenza di compensazione invece chealla pendenza di equilibrio, la (11) si semplifica notevolmente:

10 −=∆

Rh

z

u

(12)

Per scopi progettuali, l’utilizzo dell’espressione (12) in luogo della (11) nelcomune campo di impiego comporta degli errori contenuti. Per maggiori dettagli sirimanda ad Armanini e Larcher (2000).

Nel secondo caso (fessura stretta) la capacità di trasporto nella fessura èsuperiore a quella che si realizza sul deposito.Giacché si assume che il fondo siainerodibile in corrispondenza della briglia, la portata solida si conserva in ogni modo,ma non può essere calcolata mediante una formula di trasporto solido. In questo casonella fessura vengono imposte le condizioni critiche e si ottiene:

( )2

12

3 2320 u

uu

FrRFr

h

z−−=

∆(13)

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti180

Si è osservato sperimentalmente che nella regione compresa tra le sezioni u ed si verifica una separazione di corrente, con conseguenti perdite localizzate dienergia. Se ne può tenere conto facilmente calcolando l’energia specifica nella sezioneu’ ipotizzando, in prima approssimazione, che anche nel caso di fessura larga nellafessura si instaurino le condizioni critiche. In questo modo, in luogo dell’espressione(11), si ottiene:

( )( ) ( )

32

1112

1

1

23232

2

3232

0

−+

−−+−

−+=

∆ −RFrRFr

RR

Rhz

uu

cru

u

cru ϑϑ

ϑϑ

(14)

Mentre in luogo dell’espressione (13) si ottiene:

( ) ( )

−−−−=

∆ −2

322

320

32

112

123

RFrFr

RFrh

zu

uu

u

(15)

Confrontando la teoria proposta con i risultati di una serie di campagnesperimentali di laboratorio, emerge che nella fessura si instaurano delle condizioni chesi discostano poco da quelle critiche, indipendentemente dalla portata. In questomodo le differenze ottenute utilizzando le cinque formule proposte per il calcolodell’altezza del deposito sono generalmente modeste, per cui la formula semplificata(12) si dimostra un valido indicatore nei casi esaminati, non solo nel caso in cui iltorrente sia interessato da trasporto solido di tipo ordinario, ma anche da colate didetriti e di fango (Larcher e Armanini, 2000).

V.3.7.1.4 Evoluzione del deposito durante una piena

Durante un evento di piena si può osservare che gli effetti indotti dallapresenza di una briglia a fessura variano nel tempo. Nelle piene di minore entità, lecondizioni di deflusso sono influenzate in piccola misura dalla presenza dell’opera ed isedimenti vengono trasportati a valle indisturbati. In questo modo la capacità diinvaso a monte del restringimento rimane a disposizione per le piene caratterizzate daun tempo di ritorno più elevato. Queste ultime, durante la loro fase crescente,determinano la formazione di un risalto idraulico a monte della briglia ed ilconseguente passaggio della corrente in condizioni subcritiche. La diminuzione dellavelocità causa la riduzione della capacità di trasporto e la deposizione di una parte delmateriale solido trasportato. A questo punto le condizioni di deflusso possono evolverein due modi diversi:

Se, per un fissato valore del rapporto di contrazione R, la portata solida èsufficientemente elevata, durante la fase crescente dell’idrogramma di piena il campodi moto evolve attraverso una successione ideale di stati di equilibrio (Figura V.3.15c), che si possono descrivere mediante le equazioni riportate nella sezione precedente.

Se, al contrario, la portata solida è troppo piccola, il fronte del deposito siposiziona ad una certa distanza a monte della briglia, come rappresentato nella FiguraV.3.15 b, e l’evoluzione del campo di moto non può essere interpretata per mezzo diuna successione di stati di equilibrio. La distanza tra il fronte del deposito e la briglia ètanto più grande, quanto più piccola è la portata di materiale granulare. In questocaso la briglia non rilascia sedimenti fino al momento in cui il deposito raggiungel’opera, ad esclusione del contributo dato dall’eventuale trasporto in sospensione.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 181

Per stabilire quale sia la condizione che si verifica, si può introdurre unparametro adimensionale M (Larcher, 1998), definito come rapporto tra l’integraledell’idrogramma della portata solida tra l’istante iniziale t0 ed il tempo di picco tp ed ilvolume teorico Vp del deposito calcolato per la portata solida di picco Qs-peak,nell’ipotesi in cui esso sia stato ottenuto mediante una successione di stati diequilibrio. Vp può essere calcolato facendo riferimento alle formule proposte perdeterminare iθ e ∆z0. Considerando che i corsi d’acqua montani sono caratterizzati daportate ordinarie piccole e da idrogrammi ripidi, la cui parte crescente è quasi lineare,si propone la seguente espressione per il calcolo di M:

( ) ( ) ( )

peak

ppeaks

p

ppeaks

p

t

ts

iiz

B

ttQ

V

ttQ

V

dttQ

M

p

−=

−≅= −−

ϑ0

20

00

210 (16)

Per valori di M inferiori all’unità, durante la fase crescente della piena il frontedel deposito non raggiunge la briglia. Per M=1 il fronte raggiunge la briglia incorrispondenza del picco della piena. Lo schema secondo il quale si descrivel’evoluzione del campo di moto attraverso una successione di stati di equilibrio diventapiù pertinente al crescere di M. In particolare, per valori di M maggiori di 4÷8, taleschema può essere assunto come corretto.

Se M>1, durante la fase decrescente della piena si ha una riduzionedell’altezza di equilibrio del deposito ∆z0 e una conseguente veloce erosione del frontedel deposito. In questo modo la portata solida uscente dalla fessura è costituita dallasomma di due contributi: il primo dato dal materiale granulare trasportato sopra aldeposito, il secondo determinato dal processo di vuotamento del volume invasatodurante la fase crescente dell’idrogramma (autopulizia del deposito). Per valori di Minferiori all’unità, invece, la fase di rilascio dei sedimenti inizia solamente dopo che ilfronte del deposito ha raggiunto la briglia, ovvero dopo (o anche molto dopo) ilsuperamento del picco dell’evento di piena.

Quando la portata liquida diventa sufficientemente piccola, il deflusso avvienelimitatamente in una porzione dell’alveo, in uno o più canali incisi nei quali il tiranteidraulico è sufficientemente elevato da garantire una capacità di trasporto superiore aquella calcolabile sulla base di ipotesi monodimensionali, secondo le quali il deflussoavvenga a tutta larghezza.

La scelta di M dipenderà, quindi, dallo scopo dell’intervento di sistemazione.Se la briglia è finalizzata ad una moderata laminazione della portata solida, in terminidi abbattimento del picco dell’idrogramma e di selezione granulometrica, e ad unaelevata capacità di autopulizia, vanno utilizzati valori di M elevati (tipicamenteM=2÷3). Se lo scopo perseguito consiste invece nell’abbattimento della portata solidadi picco, specialmente durante gli interventi estremi al fine di prevenire alluvioni avalle, si raccomandano valori di M prossimi all’unità o leggermente inferiori. Nei casi incui M sia molto inferiore all’unità i sedimenti non vengono rilasciati nemmeno durantela fase di picco della piena, provocando a valle possibili problemi di erosione.

Scelto il valore di M, mediante le equazioni proposte si possono determinareunivocamente l’altezza ∆z0 del deposito ed il rapporto di restringimento R. Consideratal’incertezza di cui sono solitamente affetti i parametri progettuali, l’utilizzodell’equazione (12) può essere considerato un’approssimazione accettabile,

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indipendentemente dalle condizioni idrodinamiche che si instaurano effettivamente(fessura larga oppure stretta). Tutti gli altri parametri in gioco dipendonodall’idrogramma di piena di progetto, che generalmente corrisponde ad un tempo diritorno superiore a 50 anni. Il valore massimo ammissibile di ∆z0 presenta dei limiti dinatura topografica e strutturale, espressi dalla seguente condizione:

admdamu

u HHfg

uhz ≤=+++∆

2

2

0 (17)

nella quale f rappresenta il franco di sicurezza per impedire la tracimazionedell’opera, Hdam rappresenta l’altezza della briglia e Hadm il corrispondente massimovalore ammissibile. Se la (17) non viene soddisfatta, si suggerisce la costruzione di Nbriglie in cascata, ad una distanza L>Hdam/(io-iθ).

Si osservi comunque che l’approccio proposto è valido solamente per brigliecostruite in torrenti ad elevata pendenza, nei quali la sedimentazione naturale delmateriale solido non avviene (la pendenza io del fondo è superiore alla pendenza diequilibrio iθ per eventi estremi) oppure per tratti di alveo nei quali la corrente è inequilibrio con il fondo sottostante.

Il dimensionamento della gaveta può essere effettuato, a scopo cautelativo,utilizzando lo schema proposto nel paragrafo V.3.7.1.1, nell’ipotesi che la fessura siacompletamente ostruita, per cui l’opera si comporti a tutti gli effetti come una brigliachiusa. In questo modo la gaveta è in grado di consentire il deflusso dell’interoammontare della portata proveniente da monte.

V.3.7.1.5 Elementi per la progettazione

Nella progettazione di una briglia bisogna tenere conto di diversi fattori:innanzitutto bisogna effettuare una accurata analisi delle caratteristiche del bacino,cercando di stabilire la quantità massima possibile di trasporto solido e se questo sianecessariamente di tipo ordinario oppure possa assumere la configurazione di colatadetritica. Una volta stabiliti tali dati di ingresso è necessario analizzare mediantemezzi opportuni quali siano i danni potenziali durante un evento alluvionale all’internodel bacino e del suo conoide, individuando le aree a rischio. Nel caso in cui tali areesiano abitate o si trovino comunque nelle vicinanze di infrastrutture, bisogna stabilirein che misura la realizzazione di una o più briglie possa migliorare la situazione esceglierne l’ubicazione. Per i piccoli bacini, con conoide urbanizzato e con areesoggette a rischio alluvionale, il luogo di costruzione più indicato è l’apice del conoidestesso, possibilmente in una gola rocciosa con allargamento della valle verso monte.Se tale luogo ideale non è individuabile oppure se in sua corrispondenza si trova giàuna vecchia opera di sistemazione bisogna ricercare un sito alternativo che si trovi amonte delle aree da proteggere. Questo sito deve garantire una adeguata proporzionetra il volume da invasare per ottenere una efficace laminazione del trasporto solido edil volume dell’invaso effettivamente disponibile. Bisogna inoltre verificare la stabilitàdelle sponde del corso d’acqua a tergo della briglia, in quanto sono soggette acontinue pulsazioni di pressione e quindi ad erosione, e proteggere il tratto di valledall’erosione localizzata causata dall’impatto della vena fluida.

Se possibile la briglia va posizionata in una zona con pendenza inferiore allamedia e con larghezza superiore alla media per garantire un maggiore volume diinvaso. Il luogo di costruzione dovrebbe inoltre essere accessibile da autocarri per gli

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interventi di costruzione e manutenzione ed essere il più possibile nascosto in mododa ridurre l’impatto visivo.

Una volta scelta l’ubicazione è necessario individuare le ipotesi di carico per laprogettazione della statica dell’opera, tenendo conto anche di eventuali azioni di tipodinamico e di un adeguato drenaggio sotto le fondazioni dell’opera (per evitarefenomeni di galleggiamento).

Si procede in seguito alla progettazione delle aperture e del filtro ed allavalutazione dell’impatto ambientale dell’intero intervento di sistemazione, nel rispettodel paesaggio e dell’ecosistema fluviale.

V.3.7.2 Riferimenti bibliografici

[1] Armanini, A. (1994) Appunti delle lezioni di Sistemazione dei Bacini Idrografici,Università degli Studi di Trento.

[2] Armanini, A. (1998), “Previsione e prevenzione del rischio da colata di detriti”,In: Atti del simposio Il rischio idrogeologico e la difesa del suolo, AccademiaNazionale dei Lincei, Roma 1-2 Ottobre, 1998.

[3] Armanini, A., (1999). Principi di Idraulica Fluviale, Editoriale Bios, Cosenza, 152pp.

[4] Armanini, A., Benedetti, G., (1996). “Sulla larghezza di apertura delle briglie afessura”, XXV Convegno di Idraulica e Costruzioni Idrauliche, Torino 16-18Settembre 1996, Atti-Volume III, pp. 13-24.

[5] Armanini, A., Fraccarollo, L., Larcher, M. (2001). “Recenti sviluppi delladinamica delle colate di fango e di detriti e delle opere per il loro controllo”.Accademia Nazionale dei Lincei – Atti del convegno Il dissesto idrogeologico:inventario o prospettive, Roma 5 Giugno 2001.

[6] Armanini, A., Fraccarollo, L., Larcher, M., Rigon, R. (2002). Linee guida per lamappatura del rischio da colate di detriti e sovralluvionamento, Autorità diBacino di Interesse Nazionale del fiume Po, Parma, in stampa.

[7] Armanini, A., Larcher, M. (2001). “Rational criterion for designing opening of slitcheck dam”, J. Hydr. Engrg, ASCE, 127(2), 94-104.

[8] Armanini, A., Larcher, M., Fraccarollo, L., Papa, M. (2001) Considerazioni sulladinamica delle colate di fango e sulle opere per il loro controllo, Atti delconvegno “Forum per il rischio idrogeologico in Campania: fenomeni di colatarapida di fango nel maggio ’98”, Napoli 22 giugno.

[9] Armanini, A., Larcher, M., Majone, B., Rigon, R., Benedetti, G., Mizuno, H.,(2000). “Restoration of the basins Quebrada San José de Galipán and Quebradael Cojo”, International Workshop on the Debris Flow Disaster of December 1999in Venezuela, Caracas, November 27th-December 1st 2000.

[10] Capart, H., Fraccarollo, L., Guarino, L., Armanini, A. & Zech, Y., (2000)Granular velocities, concentrations and temperatures for loose bed debris flowsin steady uniform conditions, Second Int. Conference on Debris-Flow HazardMitigation: Mechanics, Prediction and Assessment, Taipei, Agosto 16-18.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti184

[11] Cerato, M., (1995) Sulla progettazione ed il funzionamento delle briglie filtranti,L’Italia Forestale e montana, 2, 147-169.

[12] Chini D., (2002) Analisi sperimentale della stabilità delle protezioni di canali aforte pendenza con massi regolari, Tesi di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente eil Territorio, Università degli studi di Trento.

[13] Fraccarollo L., Capart, H. (2002) A Godunov method for the computation oferosional shallow water transient, in stampa, Int. Journal of Numerical Methodsin Fluids.

[14] Fraccarollo L., Capart, H., (2002) Riemann wave description of erosional dam-break flows, in stampa, Journal of Fluid Mechanics.

[15] Fraccarollo, L., Armanini, A., (2000) Analisi sperimentale delle caratteristichegenerali di colate granulari su fondo mobile”, XXVII Convegno Naz. di Idraulicae Costr. Idr., Genova, 2000.

[16] Fraccarollo, L., Armanini, A., e H. Capart, (2000) Distribuzioni reologiche nellecolate granulari su fondo mobile, XXVII Convegno Naz. di Idraulica e Costr.Idr., Genova, 2000.

[17] Fraccarollo, M., Papa, M. (2000) Numerical simulation of real debris-flowevents, Phis. Chim. Earth B, 25(9), 757-763.

[18] Larcher, M. (1998) Analisi sperimentale del processo di riempimento a monte dibriglie a fessura in moto vario. Tesi di Laurea in Ingegneria per l'Ambiente e ilTerritorio, Università degli Studi di Trento.

[19] Larcher, M., Armanini, A. (2000) Design criteria of slit check dams anddownstream channels for debris flows, International Workshop on the DebrisFlow Disaster of December 1999 in Venezuela, Caracas, November 27th-December 1st 2000.

[20] Larcher, M., Armanini, A. (2000) Dimensionamento della larghezza dell’aperturadelle briglie a fessura, XXVII Convegno di Idraulica e Costruzioni Idrauliche,Genova, 12-15 Settembre 2000, Atti-Volume I, 289-297.

[21] Papa, M., Fraccarollo, L. (2000) Metodologia di indagine di correnti detritichereali, XXVII Convegno Naz. di Idraulica e Costr. Idr., Genova.

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V.4 Criteri di manutenzione degli alvei e delle opere didifesa

Per manutenzione appropriata dei corsi d’acqua, si intende il mantenimentodella capacità di deflusso e dell’efficienza delle opere di protezione e delle opere diconsolidamento, contenimento e stabilizzazione.

In molti casi la manutenzione preventiva costituisce l’intervento di maggioreimportanza per mantenere in efficienza le sistemazioni realizzate e consentire unefficace funzionamento delle opere in modo tale da evitare situazioni di pericolo per icentri abitati e per le infrastrutture a causa degli impedimenti che si vengono a creareal regolare deflusso dei corsi d’acqua in condizioni di piena (ridotta capacità dellesezioni, barriere e ostruzioni create dalla vegetazione in alveo in corrispondenza delleluci dei ponti, ecc.).

La manutenzione dell’alveo comprende l’eliminazione di alberi e cespugli chepossono restringere il profilo di deflusso e mettere in pericolo la stabilità delle opere disistemazione, lo sgombero della legna e dei detriti sparsi dalla sfera d’azione dellepiene, lo sgombero di sedimentazioni pericolose, lo svuotamento di bacini di depositoe la riparazione di danni alle opere di protezione.

In merito va ricordato il DPR del 14 Aprile 1993, "Atto di indirizzo ecoordinamento alle regioni recante criteri e modalità per la redazione dei programmidi manutenzione idraulica e forestale”, nel quale si afferma che:

1. Gli interventi sono finalizzati alla eliminazione di situazioni di pericolo per i centriabitati e per le infrastrutture, in conseguenza di eventi critici di deflusso,derivanti da carenze dello stato manutentorio degli alvei e delle opere idrauliche.

2. Gli interventi devono avere finalità di manutenzione e caratteristiche tali da noncomportare alterazioni sostanziali dello stato dei luoghi. Devono porsi comeobiettivo il mantenimento ed il ripristino del buon regime idraulico delle acque, ilrecupero delle funzionalità delle opere idrauliche e la conservazione dell’alveo delcorso d’acqua, riducendo, per quanto possibile, l’uso dei mezzi meccanici.

3. Possono essere inseriti nei programmi interventi da realizzare sia in alveo siasulle opere idrauliche presenti nello stesso.

Le situazioni di carenza dello stato manutentorio possono essere definite conlocalizzazioni sia a carattere puntuale, in corrispondenza a singolarità specifichedell’alveo, sia a carattere più diffuso, legate cioè all’assetto morfologico di tratti dialveo.

Le tipologie più diffusamente presenti sono costituite:

• nei corsi d’acqua collinari e montani, dal materiale solido movimentato inconnessione all’attività torrentizia e depositato in corrispondenza dai cambi dipendenza e allo sbocco in pianura, che crea pericolose riduzioni della sezionedisponibile al deflusso;

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti186

• nei corsi d’acqua di pianura, gli effetti di occlusione in corrispondenza di ponti odi altri restringimenti naturali o artificiali per accumulo di materiale litoide opresenza di vegetazione in alveo;

• dal dissesto delle opere di difesa di sponda per effetto dell’erosione al piede daparte della corrente e/o dell’erosione di sponda o dell’aggiramento nei punti diimposta dell’opera stessa;

• dal dissesto degli argini di ritenuta per effetto di scalzamento al piede, per lapresenza di vegetazione non compatibile nel corpo arginale, per l’instaurarsi divie preferenziali di filtrazione nel corpo arginale stesso ovvero nelle fondazioni;

• dall’insufficiente funzionalità delle opere di regolazione (manufatti regolatori);

• dal dissesto o l’insufficiente funzionalità delle opere trasversali di regimazione(briglie, soglie, traverse), per scalzamento al piede, anomalo accumulo dimateriale solido a monte.

V.4.1 Criteri generali

In generale le zone in cui si concentrano le maggiori necessità dimanutenzione riguardano i bacini montani e collinari e le aree di pianura interessateda sistemi arginali continui.

Le tipologie degli interventi manutentori possono essere suddivise in duecategorie:

a) Interventi di riassetto morfologico degli alvei:

• rimozione dei rifiuti solidi e taglio di vegetazione in alveo, intesi comeeliminazione dalle sponde e dagli alvei dei corsi d'acqua dei materiali dirifiuto provenienti dalle varie attività umane e collocazione a discaricaautorizzata; rimozione dalle sponde e dagli alvei attivi delle alberature chesono causa di ostacolo al regolare deflusso delle piene ricorrenti, conperiodo di ritorno orientativamente trentennale, sulla base di misurazionie/o valutazioni di carattere idraulico e idrologico, tenuto conto dell'influenzadelle vegetazione sul regolare deflusso delle acque, nonché‚ dellevegetazione pregiudizievoli per la difesa e conservazione delle sponde,salvaguardando, ove possibile, la conservazione dei consorzi vegetali checolonizzano in modo permanente gli habitat ripari e le zone di depositoalluvionale adiacenti;

• rinaturazione delle sponde, intesa come protezione al piede delle spondedissestate od in frana con strutture flessibili spontaneamente rinaturabili;restauro dell'ecosistema ripariale, compresa l'eventuale piantumazione diessenze autoctone. Per quanto è possibile, gli interventi non devono essererealizzati contemporaneamente su entrambe le sponde, in modo dafacilitare la colonizzazione spontanea della sponda opposta e conservarel'ecosistema fluviale preesistente;

• ripristino della sezione di deflusso, inteso come eliminazione, nei tratti criticiper il deflusso delle portate idriche, dei materiali litoidi, trasportati eaccumulati in punti isolati dell'alveo, pregiudizievoli al regolare deflusso

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 187

delle acque. La sistemazione degli stessi di norma deve avvenire nell'ambitodello stesso alveo.;

• sistemazione e protezione spondale, intese come risagomatura esistemazione di materiale litoide collocato a protezione di erosioni spondali;sostituzione di elementi di gabbionata metallica deteriorata od instabile odaltra difesa artificiale deteriorata od in frana, utilizzando tecnologie diingegneria naturalistica;

• interventi di riduzione dei detrattori ambientali, intesi come rinaturazionedelle protezioni spondali con tecnologie di ingegneria naturalistica, alloscopo di favorire il riformarsi della stratificazione vegetazionale;

• ripristino della funzionalità di tratti tombati, tombini stradali, ponticelli ecc.,inteso come ripristino del regolare deflusso sotto le luci dei ponti, conrimozione del materiale di sedime e vario accumulato nei sottopassi stradali,nei tombini, nei sifoni, sulle pile od in altre opere d'arte;

• ripristino della stabilità dei versanti, inteso come ripristino della stabilità deiversanti prospicienti le sponde di corsi d'acqua, mediante tecniche diingegneria naturalistica.

b) Interventi di manutenzione delle opere di difesa:

• manutenzione delle arginature e loro accessori, intesa come taglio divegetazione sulle scarpate, ripresa di scoscendimenti, ricarica di sommitàarginale, interventi di conservazione e ripristino del parametro,manutenzione di opere d'arte e manufatti connessi al sistema arginale(chiaviche, scolmatori, botti a sifone ecc.), manutenzione e ripristino deicippi di delimitazione e individuazione topografica delle pertinenze idraulichee delle aree demaniali per una attiva individuazione dei tratti fluviali;

• ripristino di protezioni spondali deteriorate o franate in alveo (gabbioni escogliere), inteso come risagomatura e sistemazione di materiale litoidecollocato a protezione di erosioni spondali; sostituzione di elementi digabbionata metallica deteriorata o instabile od altra difesa artificialedeteriorata od in frana, utilizzando, ove possibile, tecnologie di ingegneriaambientale;

• manutenzione di briglie e salti di fondo, intesa come sistemazione dellebriglie ed idonei interventi a salvaguardia di possibili fenomeni diaggiramento o scalzamento o erosione dell'opera da parte delle acque,interventi di mitigazione dell'impatto visivo;

• ripristino della stabilità dei versanti, inteso come ripristino della stabilità deiversanti prospicienti le sponde di corsi d'acqua, mediante tecniche diingegneria naturalistica.

L’esecuzione degli interventi di manutenzione volta a realizzare sezioni d’alveoche garantiscano il deflusso delle portate di piena ammissibili, deve essere effettuatain modo tale da non compromettere le funzioni biologiche del corso d’acqua e dellecomunità vegetali ripariali, fatta salvo la necessità di garantire la sicurezza idraulica inrelazione a fenomeni di rischio per i centri abitati e per le infrastrutture. La portata dipiena ammissibile per il dimensionamento del ripristino della sezione dell’alveo èfissata pari a quella con tempo di ritorno di 30 anni, salvo i casi particolari in cui sia

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necessario assumere un tempo superiore ovvero in cui le opere di protezione esistemazione presenti siano dimensionate per un tempo di ritorno superiore (cfr. par.V.3.2).

La manutenzione ed il ripristino, anche parziale, delle opere trasversali inalveo deve prevedere, se tecnicamente possibile, gli opportuni accorgimenti perassicurare il mantenimento della continuità biologica del corso d’acqua tra monte evalle, con particolare riferimento alla fauna ittica. La manutenzione ed il ripristino diopere e manufatti in alveo deve essere realizzata di norma tenendo conto, ove questonon sia già stato fatto, di criteri di ingegneria, atti ad una riqualificazione ambientale.

Per quanto riguarda ulteriori criteri utili a ottimizzare gli interventi dimanutenzione anche dal punto di vista ittico-ambientale, vale quanto espresso alcapitolo V.3.

Gli interventi di manutenzione dell’alveo e delle opere all’interno del corsod’acqua, volti al ripristino delle condizioni di deflusso ed all’efficienza delle opere,andranno eseguiti nel più breve tempo possibile in tutti i casi in cui si tema che lasituazione pregiudichi lo stato di sicurezza del tratto di corso d’acqua in esame.L’esistenza di una situazione di sicurezza rappresenta, infatti, la condizione primariaed essenziale di un intervento manutentorio.

In generale è molto difficile inquadrare il periodo migliore d’intervento inalveo, infatti, per una analisi completa è necessario tenere conto di più aspetti chedifficilmente potranno andare a definire univocamente il periodo di intervento.Semplificando, è possibile schematizzare i diversi aspetti suddividendoli in trecategorie: esigenze di tipo tecnico, condizionamento antropico ed esigenze di tiponaturalistico.

V.4.1.1 Esigenze di tipo tecnico

Naturalmente va premesso che l’aspetto tecnico è di primaria importanza,perciò andrà valutato con priorità assoluta sugli altri. Esso è caratterizzato da dueelementi che risultano di particolare importanza per la determinazione del periodo incui eseguire gli interventi in alveo.

Il primo elemento è quello climatico. Quest’ultimo impone sia l’individuazionedegli eventi idrologici persistenti, in particolare dei periodi di magra, sia la valutazionedella temperatura dell’ambiente. È evidente che gli interventi in alveo diventano moltodifficili se non eseguiti nei periodi di magra, poiché condizionano molto i tempi diesecuzione delle opere per le quali si rende necessario realizzare costosi interventi dideviazione dell’acqua, riducendo peraltro la sicurezza dei lavoratori. L’elementoclimatico, come visto, impone inoltre di tenere conto della temperatura. Risulta,infatti, problematico lavorare con temperature rigide sia per le difficoltà che ciòcomporta per i lavoratori e la loro sicurezza, sia per le difficoltà tecnica di eseguiredeterminati interventi, quali ad esempio le gettate di cemento con conseguente presa.

Esistono inoltre dei condizionamenti tecnici anche per quanto riguarda letecniche di sistemazione naturalistica. Queste, infatti, sono positivamente eseguibilisolo in determinati periodo dell’anno, basti pensare al trattamento e all’impianto delletalee altamente sconsigliato nel periodo vegetativo delle piante.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 189

Idrologia

LMFG GMA NOSA D

Tecniche di sistemazione " a verde "

Semine

Talee Talee

Piantagione

Temperatura

Periodi consigliati Periodi sconsigliatiSituazioni da valutare

caso per caso

Piantagione

Tabella V.4.1: Calendario degli interventi secondo le esigenze di tipo tecnico.

V.4.1.2 Condizionamento antropico

Tale aspetto, anche se meno rilevante di quello tecnico, può comunquecondizionare la scelta del periodo più idoneo d’intervento. Bisogna tenere conto, seprevisto, del possibile uso “ricreativo” dell’alveo ad esempio per la pesca o lanavigabilità. Non va poi sottovalutato l’effetto negativo dal punto di vistapaesaggistico: cantieri in alveo possono ripercuotersi negativamente sul turismolocale.

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Turismo

LMFG GMA NOSA D

Attivitàdi pesca

Navigazione

Periodi consigliati Periodi sconsigliatiSituazioni da valutare

caso per caso

Tabella V.4.2: Calendario degli interventi secondo i condizionamenti di tipo antropico.

V.4.1.3 Esigenze di tipo naturalistico

Ultimo, ma di pari importanza rispetto al condizionamento antropico, èl’aspetto naturalistico. Nei casi in cui sia possibile scegliere il periodo migliore in cuiintervenire, è necessario rispettare i cicli biologici della fauna ittica ed in particolare iperiodi di riproduzione della stessa. Una prima schematizzazione può essererappresentata dalla seguente tabella.

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G F M A M G L A S O N D

Cicliriproduttivi

fauna acquatica

Salmonidi

Ciprinidi e altri

Ciclibiologici:Idrofite

Ciclibiologici:

Fauna TerrestreNidificazione,Riproduzione Vertebrati

Periodi consigliati Periodi sconsigliatiSituazioni da valutare

caso per caso

Tabella V.4.3: Calendario degli interventi secondo le esigenze di tipo naturalistico.

Come si vede dall’intersezione delle diverse tabelle, risulta impossibiledeterminare il periodo, nel quale intervenire, che soddisfi i vari aspetti sopra descritti.

Spetta quindi al progettista, caso per caso, individuare il momento più idoneoper eseguire l’intervento in alveo.

V.4.2 Manutenzione degli alvei

V.4.2.1 Ripristino delle condizioni di deflusso con asportazione delmateriale litoide

L’asportazione di materiale dal corso d’acqua viene eseguita nelle situazioni disovralluvionamento, verificando comunque la compatibilità dell’operazione con ilcomplessivo equilibrio trasporto/sedimentazione del corso d’acqua. In alcunecircostanze le esigenze di sicurezza idraulica possono venire ottemperate tramitesemplice movimentazione del materiale all’interno dell’alveo, senza la necessità di unavera e propria estrazione.

Va inoltre sottolineata l’importanza di mantenere la diversità morfologicadell’alveo, soprattutto per quanto riguarda l’asportazione del materiale dal corsod’acqua, affinché possa essere mantenuta e/o favorita la massima diversificazione dihabitat e microhabitat atti alla vita di fauna ittica e macrobentonica.

Per quanto riguarda l’estrazione dei materiali litoidi i dirigenti dei servizipreposti possono disporre la concessione o l’autorizzazione per l’estrazione e

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l’asportazione del materiale litoide d’alveo, ai fini degli interventi di sistemazione e dimanutenzione idraulica.

Il prelievo di materiale litoide si intende valere su tutti i corsi d’acqua iscrittinell’elenco delle acque pubbliche sulle proprietà demaniali, le particelle del demanioidrico o comunque comprese all’interno dell’area interessata dalle piene, ed inoltreall’interno di serbatoi artificiali, a monte di opere di presa, ed in tutte le altresituazioni in cui il sovralluvionamento dell’alveo, può favorire fenomeni di esondazionedel corso d’acqua.

Figura V.4.1: Consistente deposito a monte di un ponte.

Si distinguono i provvedimenti di concessione e di autorizzazione:

• Il provvedimento di concessione è a titolo oneroso e si applica per quantitativinon modesto di materiale con buone caratteristiche o che comunque possatrovare un utilizzo economicamente vantaggioso. La concessione viene concessaa seguito di un sondaggio informale alla quale debbono essere interpellatealmeno cinque ditte

• Il provvedimento di autorizzazione è a titolo gratuito; si applica per quantitativimodesti di materiale, od in caso di qualità scadente, od ancora qualora non visiano ditte disposte a prelevare il materiale.

Nei casi che richiedano un intervento rapido, per esigenze di sicurezza,l’accumulo temporaneo del materiale asportato in un sito idoneo nelle vicinanze delcorso d’acqua prescinde dalle normative vigenti in materia di smaltimento in discarica.Le corrette procedure di smaltimento vanno messe in atto solamente ultimatal’emergenza.

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V.4.2.2 Trattamento della vegetazione in alveo

Per quanto riguarda la presenza della vegetazione in alveo, non devono esseresottovalutati i problemi che essa può comportare; in particolare durante gli eventi dipiena. Infatti, l’occupazione di parte della sezione che essa determina, causa unadiminuzione dell’area trasversale libera, con una conseguente riduzione della capacitàdi deflusso della stessa. A ciò si aggiunge l’aumento di scabrezza provocato dallepiante, che si traduce in una diminuzione della velocità della corrente all’interno delfiume. Inoltre, in condizioni di piena la forza dell’acqua può causare lo sradicamentodelle piante che, trascinate dalla corrente possono essere causa diretta di danni anchedi notevoli proporzioni. Infatti, molto spesso sono proprio le piante che provocanol’intasamento di ponti (o di altre sezioni ristrette) che poi a loro volta sono causa dideviazioni della corrente e di esondazioni.

Accade spesso, che questi sbarramenti temporanei, improvvisamente cedanoalla crescente pressione dell’acqua, con la formazione di forti ondate con elevatotrasporto solido, caratterizzate da velocità, capacità erosiva e violenza di impattoelevatissime. Il ruolo “negativo” della presenza delle piante nell’alveo in questo caso èindubitabile.

Appare quindi certamente utile, e necessario, intervenire sulla vegetazionenell’alveo e in prossimità di esso, allo scopo di cercare di prevenire questi possibili-effetti negativi.

D’altra parte non possono essere trascurati i vantaggi derivanti dalla presenzadella copertura vegetale sulle sponde e sui versanti, come quelli:

• di ordine statico (consolidamento meccanico delle sponde da parte delle radici,drenaggio acque tramite evapotraspirazione);

• idraulici (la vegetazione rallenta la velocità di scorrimento dell’acqua);

• biologici (rallentamento della corrente e formazione di punti di ristagno, apportodi sostanza organica; arricchimento dell’ambiente di ripario, ombreggiamento);

• di carattere estetico-paesaggistico.

Il problema è dunque di intervenire correttamente sulla copertura vegetale, inmodo mirato e consapevole, per attenuare e possibilmente eliminare, gli effettinegativi e ottimizzare le funzioni positive che essa è in grado di svolgere.

Talora, invece, una concezione puramente idraulica, che considera i torrenticome dei canali e riduce tutti i problemi a quello di far passare una determinataquantità di acqua attraverso una certa sezione, ha portato a considerare lavegetazione in alveo prevalentemente come un ostacolo al deflusso e quindi a ridurreil problema del trattamento della vegetazione a quello della sua eliminazione: darisolvere quindi con interventi di taglio raso, più estesi possibile e da effettuarsi inqualsiasi stagione.

In considerazione dei molteplici vantaggi che una copertura vegetale adatta(specializzata) garantisce, sembra invece quantomai utile passare ad una concezione“di trattamento della vegetazione” che abbia lo scopo di favorire l’evoluzione ed ilmantenimento di una cenosi specializzata, adatta alle particolari condizioni edesigenze di alveo, di sponda e di versante in prossimità dell’alveo. Si tratta diprendere atto che nel torrente ideale, la situazione a cui la gestione del torrente realedeve tendere, non è quella priva di vegetazione, bensì quello con un certo tipo dicenosi vegetale.

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Per quanto concerne il trattamento della vegetazione in alveo, questo deveessere eseguito mantenendo come criterio principale la sicurezza dal punto di vistaidraulico, con la condizione che la sezione di deflusso sia sufficiente, ma con l’obiettivodi favorire la diffusione di una vegetazione riparia specializzata:

• nella parte di alveo non soggetta a scorrimento permanente soprattutto specieflessibili e resistenti alla sommersione temporanea (varie specie di salice eontani);

• nella parte superiore dell’argine pioppi, aceri, sorbi, frassini e altre latifoglie(oltre alle stesse specie riparie).

Essendo le condizioni e le caratteristiche di ogni alveo e di ogni molto variabilial suo interno, dovrà essere definito un obiettivo sulla base dello studio sommariodelle peculiarità del corso d’acqua e del sito. Il tipo di vegetazione ottimale varierà aseconda delle caratteristiche stazionali, della portata e delle sue variazioni, dellapendenza, delle sezioni di deflusso, ecc.

Il successivo trattamento di questa vegetazione avrà come obiettivo:

1. il mantenimento di queste cenosi (evitando quindi l’evoluzione verso tipi con lapresenza di conifere e l’inserimento di altre specie non specializzate, per esempiola robinia);

2. la frequente rinnovazione (soprattutto agamica) delle piante per mantenerle inuno stadio giovanile (con fusti flessibili e mai di grandi dimensioni) migliorando alcontempo la radicazione ed esaltando la capacità pollonifera delle specie.

Occorre ancora sottolineare che si tratta di un trattamento mirato a mantenereun cero tipo di consociazione (vegetazione specializzata) e una certa fase di sviluppo(fase giovanile) e non dell’eliminazione della vegetazione dall’alveo. Per cui ilpersonale addetto alla manutenzione della vegetazione, che deve essere esperto inquesto tipo di lavori, dovrà essere in grado:

• di intervenire correttamente per mantenere/modificare la mescolanza;

• di valutare gli effetti estetici dell’intervento, evitando il taglio raso su superficieccessivamente estese (buoni risultati può dare il taglio raso su tratti di 30-50m);

• di eseguire il taglio in modo tecnicamente corretto, così da favorire la prontarinnovazione vegetativa.

Infine a questo proposito vanno ricordati gli effetti negativi che un trattamentonon corretto di queste cenosi può comportare: a parte i vistosi effetti paesaggistici deltutto negativi, spesso un taglio a raso indiscriminato, magari effettuato nel pieno dellastagione vegetativa, avvia una evoluzione verso consociazioni miste nelle quali leconifere acquistano progressivamente spazio. Oppure rischia di favorire lo sviluppo dispecie non specializzate: un caso particolarmente evidente, osservato con frequenza,di questi effetti negativi è rappresentato dalla diffusione della robinia in seguito altaglio a raso della vegetazione dell’alveo.

Il risultato dell’intervento è, in sostanza, l’accelerazione dello sviluppo indirezione di tipi di vegetazione che presentano vantaggi minori ed effetti sfavorevolisuperiori rispetto alla vegetazione attuale. La valutazione dell’intervento in questocaso non può che essere decisamente negativa.

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Un altro esempio di risultati negativi è rappresentato dall’eliminazione dellavegetazione dagli argini e dalle opere a secco. Infatti più di una volta è statoosservato che poi, in breve tempo, tali opere sono state distrutte. Questo fattoevidenzia come la vegetazione esercitava un’azione di consolidamento di questimanufatti a secco e delle sponde; nel momento in cui è venuto a mancare questaazione le opere non più consolidate, sono state distrutte.

Anche il trattamento della vegetazione (e qui si intende soprattutto quellaforestale) in prossimità di alvei soggetti a fenomeni torrentizi di rilievo, dovrebbeessere oggetto di valutazioni particolari.

Infatti come già evidenziato in precedenza, la presenza di tronchi nellacorrente può costituire un elemento di grave pericolo nella dinamica di una piena. Perquesto sarebbe importante definire sui versanti in prossimità dei torrenti piùpericolosi, dei tipi colturali di fustaia nei quali l’aspetto della stabilità prevalga suquello strettamente produttivo; il che concretamente significa avere una maggiorrappresentanza delle latifoglie rispetto alle conifere, evitare la presenza di soggetti digrandi dimensioni (turni pi ù brevi o stature colturali inferiori), preferire, anche neidiradamenti, soggetti più stabili.

Questo ovviamente non significa eliminazione del bosco (o suo snaturamento)lungo tutti i rivi montani, ma attento esame delle condizioni dei torrenti per definiretratti o punti particolari che potrebbero risultare pericolosi, e considerazione esplicitadi questa attività torrentizia nel trattamento del bosco in questione. Il che altro non èche una corretta applicazione del concetto di bosco di protezione.

Per quanto detto, considerando gli aspetti positivi della vegetazione, èimportante mantenere all’interno dell’alveo, una vegetazione specializzata di tipospontaneo, poiché le fasce di vegetazione riparia, agendo da zona filtro tra l’ambienteterrestre ed il corso d’acqua, contribuiscono in modo significativo al mantenimento diun’elevata qualità delle acque del fiume. Infatti le acque di ruscellamento superficiale,fortemente rallentate dalla presenza della vegetazione, depongono il loro carico solido(costituito principalmente da materiali argillosi) prima di raggiungere il corso d’acqua;questo porta ad una chiarificazione delle acque provenienti dal runoff e ad unamaggiore limpidezza dei fiumi.

A quest’azione di filtrazione meccanica si aggiunge un’intensa azione didepurazione biologica (fitodepurazione). Studi sul campo hanno infatti dimostrato chele fasce di vegetazione riparia possiedono un elevato potere di rimozione dei nutrientie svolgono per questo un importante ruolo protettivo nei confronti dell’eutrofizzazionefluviale. Un ettaro del cosiddetto “ecofiltro ripario” trattiene ogni anno circa 50 – 90 kgdi azoto e 4 kg di fosforo; sebbene queste cifre possano sembrare esigue, estendendoil potere depurante di un ettaro di ecoflitro ripario all’intera lunghezza del reticoloidrografico, si può affermare che le fasce di vegetazione riparia diventano undepuratore diffuso su tutto il territorio.

Pertanto, anche nei casi in cui dal punto di vista idraulico la sezione risultisufficiente, è sconsigliato utilizzare le superfici disponibili all’interno dell’alveo per finiagricoli.

Infatti in questo caso si viene a perdere l’effetto tampone della vegetazioneriparia ed anzi si avvicinano sempre più all’alveo le fonti di inquinamento. Simanifestano inoltre, in particolare per le specie arboree, ulteriori aspetti negativi dalpunto di vista della sicurezza e dell’impatto paesaggistico legati alla presenza di mezziagricoli in alveo, di strutture ausiliarie fisse o mobili (ad esempio serre) ed eventualiimpianti di irrigazione.

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V.4.3 Manutenzione delle opere di difesa

V.4.3.1 Metodologia di valutazione della efficienza delle opere

La raccolta sistematica, il riordino e l’informatizzazione dei dati contenuti nelcatasto delle opere idrauliche consentono di trarre un quadro complessivo sullo statogenerale degli interventi di difesa idraulica che sono stati realizzati in un assegnatobacino idrografico. Tale valutazione può essere effettuata in termini di efficienza,assumendo come efficienza lo stato di conservazione del manufatto nel suocomplesso.

Procedendo in questa direzione, per ogni opera è necessario considerarel’insieme dei materiali impiegati nella sua costruzione con le relative caratteristichetecnologiche. A questa prima identificazione segue quindi una valutazione del grado diconservazione in considerazione del fatto che l’opera, a partire dalla data del suocompletamento, è stata soggetta ad una serie di alterazioni e danni che sonoimputabili agli agenti di seguito indicati:

• geo-meccanici, che provocano la spinta dei terreni, impatti dinamici e diabrasione delle colate detritiche, l’attrito volvente e radente e d’urto del trasportosolido, la caduta di massi;

• idraulici, quali il flusso dell’acqua, le sotto-escavazioni delle fondazioni, isifonamenti, gli aggiramenti;

• climatici, dovuti al ghiaccio, alla luce solare, al calore, all’umidità dell’aria e delterreno;

• biologici, che sono collegati ad attacchi di funghi, di insetti, di batteri (importantiper le opere in legname);

• chimici, imputabili in larga misura alle azioni di disgregazione e dilavamento chepossono subire calcestruzzi e malte in presenza di acque particolarmenteaggressive e povere di sali (come avviene, talora, per opere di sistemazioneidraulica ubicate nella parte alta dei bacini).

In bacini di tipo alpino o prealpino, come quelli relativi al territorio trentino, idanni maggiori colpiscono, in genere, quelle opere collocate in particolari ambienticaratterizzati da notevoli movimenti dei pendii. In tali zone, in continua evoluzione, lecause del danneggiamento progressivo delle opere non sono solo riconducibili aldecadimento della resistenza dei materiali, ma, soprattutto, alle forti sollecitazionicausate da forze esterne di natura meccanica. Tali forze esterne possono esserepresenti fin dal momento della costruzione dell’opera oppure possono manifestarsi inseguito al collasso di opere limitrofe (si pensi ad esempio alla rottura di una briglia chedetermini l’abbassamento del letto del torrente, mettendo a nudo le fondazioni dellabriglia più a monte e delle eventuali difese spondali accessorie).

La fase della valutazione dell’efficienza consiste quindi non solonell’identificazione dei danni macroscopici presenti sull’opera, ma anchenell’individuazione dei primi sintomi di possibili danni futuri e delle forze che lideterminano.

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La prima fase di lavoro deve prevederne una prima distinzione gerarchizzatafra tronchi di corsi d’acqua ove siano presenti sistemazioni idrauliche a carattereintensivo e tratti non interessati da interventi antropici di sistemazione. Si ritieneinfatti importante riconoscere, soprattutto a livello della rete idrografica periferica,quelle situazioni di assetto morfologico che, ove non ricorrano particolari situazioni didissesto e sui quali non si è quindi intervenuti con opere di sistemazione, possanoriflettere una condizione di equilibrio dinamico dell’alveo.

Una suddivisione ed individuazione fra tronchi sistemati e tronchi nonsistemati costituisce quindi uno strumento propedeutico necessario per indirizzare lemodalità e le intensità delle proposte di mantenimento migliorativo, soprattutto allaluce di una politica di tutela e rispetto paesaggistico ed ambientale. Secondo ladefinizione dell’Ente nazionale italiano di unificazione (UNI 9910, UNI 10147) lamanutenzione è definita come “la combinazione di tutte le azioni tecniche edamministrative, incluse le azioni di supervisione, volte a mantenere o a riportareun’entità in uno stato in cui possa seguire le funzioni richieste”. In questo sensoquesta prima fase conoscitiva e ricognitiva costituisce già di per sé stessa, qualeazione di supervisione, un intervento di manutenzione.

È utile ricordare, inoltre, che la distruzione ed il danneggiamento di un'operacomporta conseguenze negative anche per quelle soprastanti e sottostanti, per cuinella valutazione della durata e dell'efficienza nei confronti delle piene di unadeterminata sistemazione idraulica sempre considerare l'insieme delle opere checostituiscono un tratto sistemato.

Con riferimento all’inquadramento dell’efficienza idraulica appena richiamato sipropone di utilizzare una metodologia di valutazione quali-quantitativa dell’efficienza,procedendo ad una classificazione della stessa sulla base degli interventi dimanutenzione che risultano necessari per riportare un’opera idraulica allo stato dipiena efficienza e stabilità da un punto di vista strutturale e per eliminare gli effetti deidanni che risultano rilevabili sulla struttura.

Le informazioni che si possono reperire, specialmente a livello di catasto delleopere idrauliche, costituiscono la base di partenza per questo tipo di analisi.L’organizzazione sistematica ed informatizzata dei dati del catasto delle opere, unitaalle informazioni dei responsabili presso i vari Servizi ed Uffici Provinciali competentiper zona, consentono di trarre una carta di sintesi, denominabile appunto “carta diefficienza delle opere idrauliche”, che fornisce il quadro complessivo, lungo la reteidrografica, sullo stato di conservazione degli interventi presenti.

Seguendo una suddivisione che si è andata affermando da parte degli Entipreposti alla gestione delle opere idrauliche (Baroncini, 1994) si è adottata unaclassificazione di efficienza basata sulle azioni manutentorie. Questo schema prevedele tre classi di seguito indicate.

Opere efficienti: Sono opere che necessitano solo di una manutenzioneordinaria di controllo, pulizia e piccole riparazioni da effettuare solo dopo importantieventi di piena; rientrano negli interventi di manutenzione ordinaria quelli necessariad integrare e mantenere in efficienza le sezioni originali di deflusso del corso d’acqua,effettuati senza alterare lo stato dei luoghi e la volumetria dei manufatti.

Opere poco efficienti: Sono opere che necessitano nell’immediato diinterventi di straordinaria manutenzione straordinaria. Si richiedono quindi, con unacerta urgenza, interventi di riparazione, modifica o sostituzione di elementi

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti198

strutturalmente importanti per la stabilità dell’opera e per un suo risanamento econsolidamento integrale. Per queste opere può essere opportuna la trasformazione instrutture anche parzialmente diverse (anche sotto il profilo funzionale oltre chevolumetrico) da quelle originarie, ma compatibili e funzionali ai compiti di difesaidraulica originariamente assegnati in sede di progettazione.

Nelle opere poco efficienti l’entità dei danni è comunque tale da nonpregiudicare per l’opera la possibilità di essere riportata integralmente nella suasituazione funzionale originaria. Tale funzionalità originaria viene ancora in parteassicurata per eventi di piena di tipo ordinario o poco più che ordinario (tempo diritorno di 5-10 anni) ma verrebbe con buona probabilità compromessa dal verificarsidi piene a carattere eccezionale (tempi di ritorno superiori ai 50 anni). Si elencano diseguito le principali azioni manutentorie da associare alle opere poco efficienti:rifacimento integrale di porzioni dell’opera; consolidamento delle fondazioni erealizzazione di opere di sotto-fondazione; costruzione di nuove difese spondali aconsolidamento del manufatto danneggiato; modifica o rifacimento di difese spondali;risagomatura delle sponde o delle arginature rivolta al conseguimento della stabilitàdelle opere o dei versanti; introduzione nei manufatti esistenti di nuovi manufattiaventi il fine di conseguire un corretto e più idoneo funzionamento nei riguardi delladifesa idraulica e di evitare la messa fuori d’uso dell’opera in particolare condizioni disollecitazione; introduzione di nuove opere di regolazione del flusso all’interno distrutture esistenti; eliminazioni di viziosità dell’opera che inducono condizioni dideflusso non accettabili o fenomeni di erosione localizzata molto spinti.

Opere non efficienti: Sono opere la cui funzionalità strutturale ècompromessa a tal punto da non assicurare alcuna funzionalità idraulica o, addiritturada far temere che, la loro presenza, finisca per peggiorare il comportamento idraulicodel tratto di corso d’acqua, specie in occasione di piene di una qualche entità (tempodi ritorno di 10-20 anni). In questo tipo di opere non sono convenienti neppureinterventi di manutenzione straordinaria. Risulta di norma più opportuna lademolizione dell’intera opera ed il suo rifacimento nello stesso sito o in un sitolimitrofo, giudicato più adatto, sia in ragione della mutata morfologia dell’alveo, sia infunzione di nuove esigenze di difesa idraulica.

A conclusione di questa suddivisione in classi di efficienza è opportuno ancorasottolineare che può essere fuorviante l’attribuire un peso eccessivo all’efficienzastrutturale di una singola opera; pare invece più conveniente filtrare i giudizi diefficienza anche considerando se la fallanza di una singola opera possa ripercuotersi inmodo decisivo, in termini di aggravio del pericolo, sull’idrosistema quando questovenga sollecitato da piene di assegnato tempo di ritorno.

Tenendo presente questa circostanza, specie a livello di piccoli sottobacini,molte opere di consolidamento che interessano la zona di testata dei collettori e cherisalgono anche ai primi dell’1800 possono non avere ancora subito interventi dimanutenzione straordinaria. La giustificazione di ciò è data molto spesso dal fatto chequeste opere hanno in parte già esercitato la loro funzione, in un momento ditorrenzialità avanzata del collettore, e, in tempi più recenti, pur non essendopienamente efficienti dal punto di vista strutturale, continuano comunque a garantireun funzione di consolidamento accettabile, se considerata nell’ambito della prioritàdelle esigenze sistematorie del bacino al quale afferiscono.

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V.4.3.2 Valutazione della efficienza idraulica delle opere

La qualità di un opera di difesa idraulica non si esaurisce con la valutazionedella sola efficienza strutturale, anche se quest’ultima costituisce una dellecaratteristiche di maggior peso nella programmazione degli interventi dimanutenzione. Alla stima di efficienza si deve affiancare una determinazione delcomportamento dell’opera, quale sinonimo di grado di rispondenza alle esigenze diregimazione nel contesto delle problematiche di sicurezza idraulica che il bacinomanifesta.

Questo comportamento dell’opera, che potrebbe meglio definirsi con il terminedi efficacia, traduce quindi la risposta funzionale dell’opera in occasione del verificarsidi un determinato scenario dal punto di vista dell’evento idrologico.

Rispetto alla definizione di efficienza introdotta nel precedente paragrafo, eche è incentrata prevalentemente sulle condizioni strutturali, in questo ambito si deveporre particolare attenzione alla efficienza di comportamento idraulico dell’opera. Laseparazione concettuale fra questi due attributi non è sempre facilmente individuabile,poiché quando un’opera versa in un cattivo stato di manutenzione, tale stato puòessere imputabile unicamente al decadimento dei materiali costruttivi che lacompongono od anche, evenienza molto frequente, ad un comportamento pocosoddisfacente dal punto di vista del suo funzionamento idraulico o, infine, allacombinazione delle due cause appena menzionate.

Nella valutazione dell’efficienza puramente idraulica (o efficacia) non è agevoleneppure la determinazione dello scenario di evento di piena sul quale si va stimare laprestazione che l’opera garantisce. Se, infatti, si sta considerando un tratto dicollettore che interessa la parte valliva (pedemontana e di pianura) la prestazione puòessere valutata, in modo prioritario, sulla base della sicurezza idraulica inconcomitanza del transito dei deflussi liquidi di picco (o meglio ancora dei relativiidrogrammi di piena) associati all’evento di prefissato tempo di ritorno (30, 100, 200anni) che può dedursi con una modellazione di tipo idrologico.

Andando invece a considerare i collettori dei primi ordini dei sottobacini cheafferiscono alla parte montana di un bacino, l’efficacia degli interventi può essereevidentemente certamente ancora valutata sulla base delle portate liquide, ma,congiuntamente ad esse, è necessario considerare le possibili forme di veicolazionedei sedimenti.

In un contesto quale quello alpino la pericolosità degli eventi deve esserecontraddistinta in ordine a forme di trasporto differenziate. Riprendendo una notaclassificazione proposta da Aulitzky (1973, 1982) e correntemente utilizzata in camposistematorio (D’Agostino, 1996), si possono distinguere quattro categorie di trasportosolido torrentizio, che vengono di seguito descritte in ordine di pericolositàdecrescente.

• Le colate detritiche ("debris flow" o "mud - debris flow"), anche definite"trasporto di massa": sono manifestazioni parossistiche legate al trasportoimpulsivo e gravitativo di sedimenti. La colata (nella quale vengono coinvolti difrequente anche massi di dimensione ciclopica) è costituita da unaconcentrazione volumetrica dei sedimenti compresa generalmente fra il 30 e il 70%. Questi valori di concentrazione solida fanno si che il fluido, ad alta viscosità,non possa più considerarsi di tipo newtoniano. I debris-flow avvengono lungo larete idrografica secondaria (la superficie dei bacini interessati supera di rado i 20km2) e influiscono in misura rilevante sulla evoluzione geomorfologica di

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti200

fondovalle, essendo responsabili dei processi di accumulo su coni di deiezione edell'ingresso di sedimenti nelle aste idrogafiche di ordine superiore. Per larapidità con cui possono manifestarsi e la forza di impatto connessa al trasportoingente di materiali litoidi a velocità non trascurabili (non sono improbabilivelocità anche di 6-8 m s-1) le colate detritiche possono determinare effettidistruttivi e danni notevoli su zone abitate ed infrastrutture.

• Le correnti iperconcentrate ("debris flood"): sono flussi di massa solida e acquacon concentrazione volumetrica dei sedimenti compresa, in genere, fra i 20 ed il30%. Il fenomeno, pur venendo ancora mobilizzata nel corso di un evento unanotevolissima quantità di sedimenti, non ha le caratteristiche distruttive el'impatto territoriale di una colata (il processo di deposizione non si concentra sudi un'area limitata, come per i debris flow). Il fluido, per la più ridottapercentuale di sedimenti contenuti nell'acqua, può essere considerato di tiponewtoniano anche se altre classificazioni propendono per un inquadramentoreologico differente da quello dell’acqua.

• Il trasporto di fondo ("bedload"): è il classico moto dei sedimenti per scorrimentodel letto. La traslazione verso valle dei sedimenti avviene per rotolamento,strisciamento e saltazione in vicinanza del fondo dell'alveo. Fenomeni di tipodiscontinuo nello spazio e nel tempo. Il fenomeno è innescato dal superamento dideterminati valori di soglia della velocità della corrente in prossimità al fondo (odello sforzo tangenziale medio sul contorno). Si raggiungono molto raramenteportate solide dei sedimenti trasportati che eccedono il 15 - 20% delle portateliquide. Anche questo tipo di trasporto può determinare, se protratto nel tempo,la movimentazione di notevoli volumi di materiale e l’alterazione morfologica ditratti d'alveo a fondo mobile. Il bedload rappresenta la componente piùimportante del trasporto totale nei torrenti alpini e si alimenta con gli elementipiù grossolani del letto e delle sponde.

• A queste tre tipologie è anche da aggiungere il trasporto di legname (D’Agostinoet al., 2000) che, specie in collettori che presentano fasce spondali boscate, sirivela spesso cruciale nel determinare fenomeni di ostruzione temporanea opermanente di sezioni e manufatti o, addirittura, la generazione di debris flowper effetto del crollo (“dam break”) di sbarramenti effimeri generati daaccatastamenti di materiale accumulatesi nel collettore.

Effettuando una analisi accurata sul comportamento idraulico delle opere inordine alle problematiche sinteticamente richiamate è possibile operare unamodellazione accurata ricorrendo a strumenti raffinati di simulazioni, quali quelliofferti da modelli matematici uni o bidimensionali eventualmente anche supportati dainvestigazioni ad hoc su modello fisico.

Si è ritenuto tuttavia opportuno proporre una valutazione di efficienza idraulicadi primo livello che consenta, soprattutto, di mettere in evidenza:

1. se un’opera sia da ritenersi, nel complesso, adeguatamente dimensionata;

2. se un’opera, essendosi evidenziata nella analisi di primo livello qualche riserva inmerito alla sua efficienza idraulica, debba essere verificata con una modellazioneidraulica più accurata di secondo livello (studio del profilo di moto permanente odimplementazione di uno scenario di moto non stazionario).

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 201

I criteri generali e le ipotesi assunte nella formulazione della stima di taleefficienza idraulica vengono di seguito sintetizzati.

• L’efficienza deve essere valutata in condizioni di stazionarietà della portata alcolmo associata al tempo di ritorno considerato.Per la determinazione diquest’ultimo si rimanda al capitolo V.2 (cfr.par. V.3.2).

• In caso di deflusso da opere trasversali (soglie, briglie, traverse) va ipotizzatoche la portata transiti in condizioni di corrente critica. Le gàvete delle operepossono essere pertanto assimilate a stramazzi in parete grossa. Nei tratti ove èprevisto il passaggio di flussi accompagnati da trasporto solido di fondo o dicorrenti iperconcentrate vanno considerate idraulicamente efficienti le situazionicon un franco superiore o uguale ai 0,5 m, poco efficienti quelle con un francoidraulico compreso tra i 0,5 m e zero, non efficienti le situazioni di annullamentodel franco accompagnate dal deflusso della corrente sulle ali dell’opera. Si ricordache questo modo di procedere risulta sempre cautelativo: sia in caso di correntelenta a monte dell’opera, sia nei casi in cui tratto di monte risulti avere, per laportata considerata, una pendenza superiore alla critica. Nel caso di operetrasversali interessate dal passaggio di debris flow questa valutazione non si èeffettuata, spostando maggiormente l’attenzione sulle opere (in genere brigliefiltranti) che sono preposte a intercettare parzialmente il debris flow e/o atrasformare il debris flow in una forma di trasporto meno temibile.

• In caso di deflusso in tratti d’alveo interessati da opere longitudinali o dacunettoni la verifica idraulica può essere compiuta con i metodi definiti nelcapitolo 3, sia per quanto riguarda la scelta dei modelli di calcolo del profilo(moto permanente), sia per la scelta dei coefficienti di scabrezza. Relativamentealla caratterizzazione della classe di efficienza vanno considerate idraulicamenteefficienti le situazioni con un franco superiore o uguale ad 1 m, poco efficientiquelle con un franco idraulico compreso tra i 1 m e lo zero, non efficienti tutte lesituazioni di sormonto idrometrico rispetto alle quote sommitali di sponda.

• In caso di presenza di pile di ponti che riducono la sezione idraulica da unalarghezza B ad una larghezza utile BR si è preventivamente devono essereeseguite le verifiche idrauliche definite nel capitolo V.3 (cfr.par. V.3.4) per gliattraversamenti. Anche in questo caso la caratterizzazione del livello di efficienzaidraulica (opera efficiente, poco efficiente, o non efficiente) viene operata sullabase del valore determinato per il franco idraulico, analogamente al caso delleopere longitudinali e dei cunettoni, con l’ovvia differenza che il franco deveessere stimato rispetto alla quota più ribassata dell’impalcato del ponte, anzichérispetto alle sponde.

• Per la stima della efficienza idraulica dei bacini di deposito e delle briglie filtrantinon si ritiene opportuno procedere ad una verifica di tipo strettamente idraulico.Le opere aperte, che in genere sottendono a monte un bacino di deposito,risultano, di norma, abbondantemente sovra-dimensionate in relazione alleportate liquide. Risulta invece determinante, sulla loro efficienza idraulica lavalutazione dei seguenti aspetti:

• l’idoneità del tipo di filtro prescelto in relazione alla forma di trasportoprevalente; un filtro che risulta ad esempio inadeguato a contenere grossiafflussi di legname rischia persino di vanificare ogni capacità di laminazionedella portata solida; così pure, un filtro sul quale transita, al più, una

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corrente iperconcentrata può rivelarsi troppo aperto e non riuscire acontrollare i deflussi solidi nella fase più intensa dell’evento;

• il confronto fra la produzione di sedimento attesa per un bacino in occasionedi un evento di straordinario e la capacità di invaso dei volumi solidigarantita dalla briglia aperta; la valutazione di quest’ultimo parametro,sebbene non risulti sempre di agevole determinazione, può esseresupportata da dati sui volumi osservati in occasione di eventi storici, darelazioni di tipo empirico o semi-empirico (in genere anche queste ottenutedai dati storici) ed, infine, da stime geo-morfiche condotte direttamente sulcampo (Spreafico et al., 1999) e talora disponibili anche dai piani di bacinocondotti da professionisti per conto degli uffici di sistemazione montana. Inassenza di queste informazioni la disponibilità di sedimento della rete potràanche condursi, in via speditiva, con il supporto di tabelle (Hungr etal.,1984; tabella 1) o con l’utilizzo di equazioni di inviluppo (Marchi e Tecca,1996).

In questo caso le classi di efficienza “idraulica” possono stabilirsi adottando ilseguente schema:

• opere efficienti se rispondenti sia al requisito di idoneità del filtro che a quello digarantire un volume di invaso comparabile con quello atteso da un eventoalluvionale di una certa eccezionalità (si ricorda che per i debris flow non esistonoancora stime attendibili in grado di correlare la loro magnitudo ad una frequenzaprobabile);

• opere poco efficienti se mancanti di almeno uno dei due requisiti di cui sopra;

• opere non efficienti se mancanti di entrambi i requisiti sulla funzionalità del filtroe sul volume di invaso utile.

Tipologiatorrentizia

Pendenza(gradi °) Materiale dell’alveo Versanti laterali Condizioni di

stabilità

Quota detrito perunità di lunghezza

(m3/m)

I 20-35 (°) roccia compatta non erodibili

stabile,praticamente

privo di coperturadel suolo

0-5

II 10-20 (°)sottile strato detritico osuolo sciolto sopra la

roccia

non erodibili(roccia compatta)

stabile 5-10

III 10-20 (°)spesso strato di detriti

di falda o morene alti meno di 5 m stabile 10-15

IV 10-20 (°) spesso strato di detritidi falda o morene

detriti di falda,alti più di 5 m versanti stabili 15-30

V 10-20 (°)spesso strato di detriti

di falda o morenedetriti di falda,alti più di 20 m

versantipotenzialmenteinstabili (area di

frana)

superiore a 200, seconsiderato come

area sorgente

Tabella V.4.4: Individuazione della quantità di detrito complessivamente asportabile in relazione alle caratteristichegeomorfiche del collettore (modificato da Hungr et. al., 1984).

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V.4.3.3 Densità delle opere di sistemazione.

La densità degli interventi di sistemazione presenti in un bacino non puòessere utilizzata come un parametro assoluto di valutazione, ma deve costituire unostrumento per un analisi di tipo comparato tra bacini aventi caratteristichemorfologiche, geologiche e climatiche che presentano una certa similarità.

In particolare la densità sistematoria non deve essere considerata, in alcunmodo, un indice di efficienza della sistemazione. Vi sono, infatti, situazioni per le qualicon un’unica opera si è in grado di ottenere una riduzione accettabile del pericolo cheincombe sulle aree vulnerabili di un bacino. Per converso, la densità delle operepresenti in un corso d’acqua e nel suo bacino è piuttosto una testimonianzaabbastanza eloquente della persistenza “storica” di problematiche idrogeologiche nelbacino stesso. Ad una concentrazione di opere di consolidamento corrisponde,sempre, la memoria di una fase durante la quale nel torrente i processi di erosione etrasporto si sono andati intensificando fino ad abbassare marcatamente il suo profilo ea compromettere la stabilità dei versanti.

Ove le informazioni sul catasto dello opere risultino disponibili, si può cercaredi desumere in forma tabellare, con l’estrazione di alcuni parametri, l’intensità delleopere di difesa e di sistemazione presenti nei bacini principali e nei sottobacini diordine inferiore.

L’intensità della sistemazione si può raggruppare essenzialmente secondo tredirettive, che, pur semplificando in una certa misura le modalità funzionali delle operedi difesa, danno modo di leggere in modo abbastanza diretto ed immediato laconcentrazione e l’entità degli interventi.

• Considerando in primo luogo le briglie di tipo chiuso presenti in ciascunsottobacino (nella maggior parte dei casi si tratta di opere di consolidamento, adeccezione di qualche caso isolato rappresentato da vecchie opere di trattenuta),si può estrarre il dislivello complessivo recuperato con l’inserimento di questeopere ed il numero di queste opere. Questo dislivello si ottiene come sommatoriadelle altezze delle opere ed esprime, indirettamente, sia l’entità di riduzione dellapendenza originaria del collettore sia la densità di opere che sono risultate finoad oggi necessarie per continuare a mantenere una certa stabilità del letto.Questo dislivello può essere anche rapportato alla lunghezza complessiva deltratto sotteso dalla presenza delle opere e alla lunghezza complessiva del corsod’acqua desunta dai dati catastali o dalla carta tecnica provinciale.

• Analizzando, in secondo luogo, gli interventi longitudinali, si possono estrarre lelunghezze degli sviluppi complessivi. Questi valori danno la misura della densitàdi interventi concentrati in quella parte dei sottobacini dove è più alta lapressione antropica (conoidi di deiezione).

• Come ultima analisi di sintesi si può valutare la numerosità degli interventi voltiad ottenere una trattenuta controllata dei sedimenti. L’affermarsi e il diffondersidell’utilizzo di briglie di tipo filtrante o aperto ha permesso di conseguire, in moltibacini, un’apprezzabile miglioramento della sicurezza idraulica: sia nei riguardidel pericolo di sovra-alluvionamento delle sezioni (e conseguente pericolo didivagazione dei flussi), sia nei confronti del decongestionamento dei sedimentiapportati nei collettori di fondovalle, che sovente hanno una capacità dismaltimento delle portate solide non proporzionata agli apporti provenienti daitributari. La numerosità dei dispositivi di tipo filtrante presenti nei sottobacini è

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un indicatore delle necessità di laminazione e controllo del trasporto solido che sisono manifestate nel corso del tempo. Tale necessità non è legata alla solaattitudine alla produzione di sedimenti, ma è parimenti condizionata dal controllodi una serie di fattori quali: la presenza di infrastrutture e vie di comunicazione,la tutela delle esigenze di difesa proveniente dal comparto agricolo, turistico edindustriale, la difesa di siti di interesse storico e paesaggistico e, non ultimo,l’assetto idraulico dei nodi di confluenza.

Le considerazioni critiche relative ai primi due aspetti di densità sistematoriapotranno essere sviluppate a mano a mano che verranno organicamente riordinati einformatizzati i dati del catasto di ciascuno dei principali bacini che interessano ilterritorio provinciale. L’analisi sulla necessità complessiva di gestione e controllo deltrasporto solido per i vari sottobacini ed affluenti, desunta dalla presenza delle opereaperte di trattenuta, sarà invece svolta a consuntivo del riordino sistematico di tutti idati raccolti.

V.4.4 Riferimenti bibliografici

[1] AA.VV. (1995) Piano stralcio per la realizzazione degli interventi necessari alripristino dell’assetto idraulico, alla eliminazione delle situazioni di dissestoidrogeologico e alla prevenzione dei rischi idrogeologici nonché per il ripristinodelle aree di esondazione (PS45). Autorità di Bacino del fiume PO, Parma.

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[3] Anselmo V. (1996) – Interferenze della vegetazione nelle sistemazioniidrauliche, in: Atti del convegno: Sistemazioni idrauliche con metodinaturalistici: un programma di calcolo, AIPIN, 19 Aprile 1996, Bologna.

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[5] Aulitzky H. (1982) - Preliminary two-fold classification of torrents, in: Mitteil.der Forst. Bundesversuchsanstalt, Wien, Heft 144, 243-256.

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[16] Marchi L., Tecca P.R., 1996 – Magnitudo delle colate detritiche nelle AlpiOrientali Italiane, GEAM, Geoingegneria Ambientale e Mineraria, vol. 33, n. 2/3.

[17] Puma F., 2000 – Il concetto di manutenzione dei corsi d’acqua, L’acqua –numero speciale, Atti del convegno: Soluzioni innovative nella manutenzione deicorsi d’acqua con forte trasporto solido, Capri, 10-11 Giugno 1999, n. 3.

[18] Sansoni G., (1993) – La rinaturalizzazione degli ambienti fluviali, Lezioni tenutepresso l’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige (Trento)

[19] Schiechtl H.M., Stern R. (1992) - Ingegneria naturalistica

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V.5 Pianificazione e programmazione degli interventi

L'evento alluvionale del 1966 mise in evidenza la necessità di adottare a livellopolitico uno strumento strategico e programmatico di ampio respiro, attraverso ilquale, terminata al fase dell'emergenza, pianificare gli intervento di difesa delterritorio montano.

A Roma prese così origine, su iniziativa dei Ministeri dei Lavori Pubblici edell'Agricoltura e Foreste, il "Piano De Marchi", dal nome della Presidente dellaCommissione incaricata.

Le direttive della Commissione prevedevano il ripristino di una accettabilecondizione di sicurezza idrogeologica del territorio, da ottenersi attraverso larealizzazione di un piano di intervento di validità trentennale.

In realtà, con il passare degli anni, le esigenze sistematorie messe in evidenzanel 1967 sono state precisate, ed altre ne sono nate in seguito ad altri eventialluvionali, per cui il piano Demarchi ha continuato a rappresentare un riferimento, macontinuamente sottoposto a verifiche ed affinamenti.

Verso la fine degli anni ’80, su iniziativa dell’allora Servizio Azienda speciale diSistemazione Montana nascono così i “Piani di Bacino”, poi denominati Piani Generalidegli interventi di sistemazione idraulico-forestale, redatti per bacini idrografici di 1°livello, che assumono, oltre la consueta veste tecnica, anche, dal 1996 - scaduto il"Piano De Marchi" - valenza programmatica.

Attualmente, tramite un rapporto di collaborazione con il DipartimentoTerritorio e Sistemi Agro-Forestali dell’Università degli studi di Padova, si staprocedendo ad una verifica metodologica per la stesura di questi piani, in modo dapoter disporre di analisi idrologiche più raffinate e quindi più vicine alla realtà. Apartire da questi dati si potranno così programmare gli interventi, calibrandoli conmaggiore precisione, e attuando una più attenta pianificazione delle opere darealizzare.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti208

Piani di bacino redatti

al 1989 - 2001Piani di bacino in corso Piani di bacino previsti

1 A002 Rio Bondone Rio Moggio Dosso di Nago

2 A003 Cameras - Gresta Ceggio-Borgo Commezzadura - Mezzana

3 A051 Torrente Ala Montagne Bleggio Inferiore

4 A052 Torrente Leno Sarca di Val Genova

5 A0A1 Roverè della Luna Terlago

6 A0A3 Sardagna - Ravina Val di Daone e Fumo

7 A0A4 Arione - Villalagarina Rio San Romedio

8 A0Z2 San Valentino - Cipriana S.Giustina Ovest

9 A0Z4 Cavallo - Secco Sfruz - Vervò

10 A0Z5 Mattarello - Man Terzolas - Cavizzana

11 A0Z6 Cortesano Gardolo Sarca inf. sp. dx

12 A0Z7 Lavis - S.Michele ValMoena – Cermis - Lagorai

13 A151 Rio Brusago Torrente Pescara

14 A153 Torrente Travignolo Torrente Vela

15 A1A1 Antermont - Duron Vignola - Tenna

16 A1A2 Udai – Soial - Barbide Aviana

17 A1A3 Costalunga – Valsorda - Gardonè Brentonico - Tierno

18 A1A7 Giovo - Cembra Carega

19 A1Z1 Albiano - Lases Cordevole - S.Pellegrino

20 A1Z2 Segonzano Gambis - Predaia

21 A1Z3 Longo - Predisella P.sso Lavazè

22 A201 Fersina – Testata fino a val Cava S Margherita - Lizzana

23 A2A1 Fersina – fino al Palaori S.Pellegrino - Forno

24 A2A2 Fersina – fino al Doss del Cius Sabbionara - Pilcante

25 A2A4 Civezzano – Cognola (Farinella) Soraga - Mazzin

26 A2Z1 Cimirlo – Roncogno - Zivignago (Salè) Testata Avisio - Val Contrin

27 A301 Testata Val di Pejo Val Averta – Bianco - Stava

28 A302 Torrente Vermigliana Valda - Capriana

29 A303 Rio Meledrio Astico - Lavarone

30 A304 Torrente Tresenica Astico - Posina

31 A305 Torrente Sporeggio Castelnuovo - Grigno sponda dx

32 A354 Torrente Rabbies Cavelonte - Cauriol

33 A3A1 Pellizzano - Marilleva Levico - Novaledo

34 A3A3 Cles - Tassullo Mandola - Merdar

35 A3A4 Termon - Lovernatico Val Fredda - Val de Fora

36 A3A5 Zambana - Mezzolombardo S. Giuliana - Sella

37 A3Z1 Rotaliana - Ton Sagron - Pale (Cordevole)

38 B001 Torrente Centa Senaiga

39 B051 Torrente Maso Tezze sponda sinistra

40 B0Z3 Roncegno – Ronchi (Larganza) Torrente Grigno

41 B0Z5 Strigno - Ospedaletto (Chieppena) Rio Cadino

42 B101 Vanoi – testata fino a Caoria Rio Silla

43 B1A1 Vanoi - Canal S.Bovo Bresimo - Caldes

44 B201 Cismon – fino a Fiera Montagnaga - Canzolino

45 B2A1 Cismon - a valle di Fiera Torrente Novella

46 E101 Sarca di Campiglio

47 E102 Sarca di Nambrone

48 E104 Torrente Arnò

49 E151 Molveno - Bondai

50 E1A1 Caderzone - Borzago

51 E1A2 Rendena sponda destra

52 E1A3 Zuclo - Bleggio (Duina)

53 E1B1 Ponale

54 E1BA Garda Occidentale

55 E1CA Garda Occidentale

56 E1Z1 Stivo

57 E1Z2 M.te Bondone Ovest

58 E1Z4 Stenico - Banale (Ambiez)

59 E1Z6 Rendena - sponda sinistra

60 E2A1 Chiese - sponda dx

61 E2Z2 Chiese - sponda sinistra

62 E2Z1 Palvico - Bondone

Totale 62 2 45

Tabella V.5.1: Situazione dei piani di intervento.

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 209

Figura V.5.1: Situazione dei piani di bacino.

V.5.1 Piani degli interventi di sistemazione

I Piani degli interventi di sistemazione hanno lo scopo di reperire, organizzareed analizzare l’insieme delle informazioni disponibili e necessarie per una correttaattività di pianificazione degli interventi di sistemazione idraulica, idraulico-forestale edi difesa del suolo all’interno di un determinato bacino idrografico. Pertanto, gliinterventi previsti nei Piani, potranno essere finalizzati oltre che alla difesaidrogeologica ed idraulica, anche alla riqualificazione ambientale dei corsi d’acqua,volta alla gestione sostenibile degli ecosistemi acquatici.

Gli ambiti idrografici di riferimento dei Piani sono individuati nei sottobaciniidrografici di primo livello, già perimetrati e definiti dal sistema di codifica idrograficaadottato dal SIAT (cfr. I.10) e fatto proprio dal Piano generale di utilizzazione delleacque pubbliche.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti210

Per consentire una programmazione dei lavori di manutenzione o dei nuoviinterventi di sistemazione, i Piani saranno articolati anche in relazione allasuddivisione delle competenze attualmente esistenti sul territorio provinciale inmateria di demanio idrico ed opere idrauliche (rif. L.P.18 luglio 1976, n. 18 - Norme inmateria di acque pubbliche, opere idrauliche e relativi servizi provinciali. Pertanto laredazione dei Piani relativi agli ambiti di fondovalle o per le parti terminali di un bacinoidrografico dovranno tener conto di quanto previsto nei Piani relativi alla partemontana.

I contenuti ed i criteri di redazione dei Piani dovranno corrispondere agliindirizzi stabiliti dal Piano generale per l’utilizzazione delle acque pubbliche (PGUAP) e,per la parte di competenza del Servizio di Sistemazione Montana, anche dal PianoGenerale Forestale.

La struttura generale di un Piano potrà articolarsi in:

• Descrizione delle stato generale del bacino ed individuazione delle principalicriticità

• Individuazione degli interventi prioritari su un arco di tempo almeno decennale

Gli interventi proposti nei Piani non avranno carattere impositivo, ma vannointesi come indicazioni per i Programmi annuali e triennali (cap V.5.1).

In particolare i contenuti specifici dei piani ed i relativi elaborati tecnici ecartografici dovranno essere riferiti ai seguenti aspetti e documenti:

• Caratteri generali del bacino idrografico

• Inquadramento generale del bacino

• Parametri geometrici e morfometria

• Parametri idrografici

• Geomorfologia

• Tettonica e stratigrafia

• Erodibilità e permeabilità

• Fenomeni erosivi e franosi

• Sorgenti e fenomeni carsici

• Clima e regime pluviometrico

• Vegetazione, uso del territorio e loro interferenze sul regime idrologico

• Fauna ittica e caratterizzazione bio-ecologica dell’ambiente acquatico

• Derivazioni ed utilizzazioni principali

• Analisi storica degli interventi alluvionali

• Analisi storica degli interventi di sistemazione

• Analisi della rete idrografica

• Descrizione analitica dei corsi d’acqua

• Fenomeni franosi ed erosivi rilevati sui singoli corsi d’acqua

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 211

• Analisi dei conoidi

• Determinazione delle portate di massima piena

• Analisi e quantificazione del trasporto solido

• Valutazione dell’efficienza delle sezioni di deflusso e delle opere di sistemazione

• Pianificazione degli interventi

• Obiettivi strategici per garantire la stabilità del bacino idrografico e la difesa delsuolo

• Sezioni critiche e aree di pericolo

• Criteri di intervento

• Ambiti di intervento e relative priorità

I Piani degli interventi di sistemazione dovranno essere approvati condeterminazione della Conferenza di Servizi di cui all’art. 16 della L.P.30 novembre1992, n. 23 e s.m (Principi per la democratizzazione, la semplificazione e lapartecipazione all'azione amministrativa provinciale e norme in materia diprocedimento amministrativo), convocata dal Dirigente del Servizio competente.

Alla conferenza partecipano di volta in volta, a seconda del contesto, i dirigentidei Servizi provinciali competenti in materia di sistemazioni idrauliche e montane, didifesa del suolo e calamità pubbliche, di urbanistica, di caccia e pesca, foreste edeventuali altri servizi interessati.

Negli allegati al presente capitolo sono riportate alcune note metodologiche elinee guida per la redazione delle carte tematiche ai fini idrologici, che dovrannoessere allegati ai PIS:

• Carta dell’uso del suolo (cfr. V.5.3);

• Carta geologica (cfr. V.5.4);

Tali elaborati sono in fase di predisposizione a cura del Servizio diSistemazione Montana, che si avvale della consulenza instaurata con l’AssociazioneItaliana di Idronomia (AIDI) ed il Servizio Geologico provinciale, utilizzando i datidisponibili nel SIAT Foreste, opportunamente elaborati dal liberi professionisti. Illavoro, in fase avanzata di elaborazione, verrà completato nel corso dell’anno 2003.

V.5.2 Programmazione degli interventi

Per gli ambiti di competenza, il Servizio Opere Idrauliche ed il Servizio diSistemazione Montana predispongono il Programma Annuale ed il ProgrammaTriennale degli interventi di sistemazione idraulica e idraulico-forestale, da eseguirsinell’ambito delle unità idrografiche omogenee, individuate dai bacini di primo livello oricadenti nei perimetri dei bacini montani, già individuati sul territorio provinciale eclassificati ai sensi del R.D. 30 dicembre 1923 n. 3267 (Riordinamento e riforma dellalegislazione in materia di boschi e di terreni montani).

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti212

Tali programmi sono elaborati dai Servizi competenti in relazione all’entitàdelle risorse assegnate dalla Giunta Provinciale.

Nel rispetto dei criteri generali di progettazione ed intervento stabiliti dal Pianogenerale di utilizzazione delle acque pubbliche, i Programmi dovranno recepire leindicazioni fornite dai Piani degli interventi di sistemazione, ove questi siano giàapprovati, e dovranno valutare le esigenze sistematorie degli altri bacini idrografici ele relative priorità.

I Programmi di cui al presente articolo sono approvati con Deliberazione dellaGiunta Provinciale. Per i corsi d’acqua di seconda categoria il Servizio Opere Idraulichepredispone un programma triennale, d’intesa con lo Stato (ai sensi del DPR 11novembre 1999 n°463).

L’approvazione di un Programma degli interventi di sistemazione, che prevedainterventi o opere non contemplati nel Piano degli interventi di sistemazione,costituisce modifica e integrazione al Piano stesso. Tale procedure vale anche per gliinterventi di somma urgenza o di ripristino da attuarsi in seguito ad eventi alluvionalio altre calamità.

V.5.3 Allegato1 : Linee guida per la redazione della carta dell’usodel suolo ai fini idrologici: modalità di acquisizione edelaborazione delle informazioni

Le indicazioni contenute nel presente lavoro si inseriscono nell’ambito di unProgetto di redazione delle nuove linee metodologiche per la redazione dei Piani degliinterventi di sistemazione idraulico-forestale in Provincia di Trento; a tale progetto,promosso dall’Azienda Speciale Sistemazione Montana della Provincia Autonoma diTrento, collabora l’Associazione Italiana di Idronomia che è incarica dell’assistenzatecnico-scientifica.

I professionisti incaricati della redazione della carta d’uso del suolo dovrannoobbligatoriamente seguire le seguenti indicazioni metodologiche e procedurali, inmodo da ottenere un prodotto che possa essere il più possibile uniforme per qualità edettaglio sull’intero territorio provinciale.

È proposta una nuova legenda per le singole categorie d’uso, un po’ differentedalla classica legenda fino ad oggi adottata, essa risponde all’obiettivo di identificarele diverse categorie d’uso del suolo in relazione al loro potenziale grado di efficienzaidrologica, passano quindi in secondo piano considerazioni di ordine botanico eselvicolturale.

• Categorie d’uso del suolo proposte:

fustaia densa di coniferefustaia rada di coniferebosco di latifoglieceduo scadentelariceti, cembrete e larici-cembretepinete di pino silvestre e pino neropascoli nudi e arboratiprati e colture agrarie

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 213

rupi boscatearbusteti e mugheteimproduttivo nudoaree urbanizzatepiste da scilaghi e corsi d’acquazone umideghiacciai

• La scala di restituzione della nuova cartografia dell’uso del suolo deve essereobbligatoriamente 1:10.000

• Il formato di restituzione dovrà essere DIGITALE e GEOREFERENZIATO (base CTPraster 10.000 e digitalizzazione con GIS, preferibilmente ArcView)

• Il formato dei files di digitalizzazione dovrà essere preferibilmente quello diArcView, ossia:

• .SHP per poligoni, linee e punti

• .DBF per il database collegato a ciascuna forma

• .AVL per le legende

Dovrà essere prodotto un unico progetto (.APR) in modo che le zone dicontatto e di conseguenza anche i limiti delle formazioni tra bacini contigui, e affidatiad altro professionista, corrispondano perfettamente.

Al riguardo, sarà obbligatoria l’interazione tra professionisti operanti su bacinicontigui per verificare l’esatta corrispondenza tra i limiti delle formazioni tracciate, perevitare disuniformità del prodotto finale.

• Per poter essere cartografata, ogni categoria dovrà ricoprire una superficieminima di almeno 0,1 Ha (10 pixels nel caso di raster 10 x10 m).

• L’acquisizione dei dati necessari alla redazione delle nuove carte d’uso del suoloin scala 1:10.000 dovrà avvenire utilizzando le seguenti fonti di dati e secondo lemodalità in seguito riportate:

1. Ove è a disposizione la carta dell’uso del suolo dei vecchi piani di bacino(generalmente 1:25.000), si utilizzerà tale informazione come base (previapreventivo controllo sulla qualità ed età dell’informazione stessa). Siprocederà quindi ad un’integrazione e correzione delle diverse categoriesulla base della nuova legenda sopra proposta previa controllo da OrtofotoVolo Italia 2000 e produzione della carta in scala 1:10.000.

2. Ove manca l’informazione dei piani di bacino (zone non coperte da piani) lacartografia dovrà essere costruita ex-novo. Le fonti di dati al riguardodovranno essere le seguenti:

3. Dati dei piani di assestamento e degli inventari forestali

4. Carte dei tipi strutturali per i boschi da produzione

5. Carta fisionomica della copertura forestale del Trentino (possibilmente la piùrecente, aggiornata al 31/12/2000)

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti214

6. Dati SIAT, Servizio Opere igienico-sanitarie, Servizio Urbanistica e Tuteladel paesaggio (viabilità principale, secondaria e forestale, aree urbanizzate,ghiacciai, ecc.)

7. Fotointerpretazione da ortofoto volo Italia 2000

8. Carta Tecnica Provinciale 1:10.000 (per verifica)

9. Eventuali rilievi in campo puntuali e non generalizzati, se necessari, perintegrare le zone non coperte dai piani di assestamento e in ombra nelleortofoto.

I dati relativi alle prime tre fonti sono diponibili presso il Servizio Foreste dellaPAT (CD-ROM sui dati della pianificazione forestale), sezione Assestamento forestale.

I dati relativi alla rete viaria principale, secondaria (strade statali, provinciali eparte delle comunali) sono disponibili presso il Servizio Opere Igienico Sanitarie dellaPAT. I dati relativi alla rete viaria forestale, ai ghiacciai, ai laghi, ai corsi d’acqua, ecc.sono disponibili al SIAT (sarà obbligo del professionista controllare e correggereeventuali errori di tali dati previa fotointerpretazione e/o rilievo in campo).

Nota: non dovranno utilizzarsi altre fonti di informazioni e database diversi daquelli sopra proposti (es. CORINE, ecc.).

Ove risulterà possibile sarà bene combinare ed integrare le informazioni ditutte le fonti per avere un prodotto cartografico il più possibile corrispondente con larealtà.

Le modalità di classificazione delle diverse categorie d’uso del suolo chedovranno costituire la nuova legenda delle carte dei piani di bacino sono le seguenti:

1. Fustaia densa di conifere: i parametri discriminanti per le fustaie adulte sarannola provvigione/ha e la densità media mentre per quelle giovani sarà la densità dei tipistrutturali.

Saranno comprese in questa categoria le seguenti coperture vegetali dellacarta fisionomica del Trentino:

a) fustaie di produzione con provvigione >= 150 m3/ha e densità media >= 0,5

b) popolamenti di produzione giovani appartenenti ai tipi strutturali spessina, eperticaia con densità dei tipi strutturali media e elevata.

• Abete rosso puro

• Abete rosso prevalente

• Misto (abete rosso con maggiore %)

• Abete bianco puro

• Abete bianco prevalente

• Misto (abete bianco con maggiore %)

• Misto abete rosso e abete bianco

• Misto abete rosso e larice

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 215

Dopo una prima interrogazione del database per estrarre le fustaie dense diconifere con P >=150 e d >= 0,5, occorrerà una verifica da ortofoto e sulla base dellecarte dei tipi strutturali di tutte quelle particelle riconosciute come fustaia densa macon presenza di novelleto, perché in molti casi questo copre anche superficiabbastanza ampie e quindi va cartografato come fustaia rada e non come densa.

2. Fustaia rada di conifere: saranno comprese nella categoria le stesse formazionidella carta fisionomica viste nella fustaia densa ma:

1. fustaie di produzione con provvigione < 150 m3/ha e densità media < 0,5;

2. popolamenti di produzione giovani appartenenti ai tipi strutturali novelleto(qualunque sia la loro densità) e spessina, e perticaia con densità dei tipistrutturali scarsa;

3. le fustaie di protezione con provvigione < 150 m3/ha;

4. gli schianti da vento e da valanga di superficie > 0,1 Ha (rilevare da ortofoto oda dati dei distretti forestali)

NB. Ove manca il rilievo dei tipi strutturali il parametro da utilizzare perdiscriminare le fustaie sarà la sola provvigione/ha.

V.5.3.1 Bosco di latifoglie

Saranno comprese all’interno di questa categoria le seguenti coperturevegetali della carta fisionomica:

FUSTAIE DI LATIFOGLIE delle seguenti formazioni (da carta fisioniomica)

• Faggio puro

• Faggio prevalente

• Misto (faggio con maggiore %)

• Altre latifoglie

• Altre latifoglie prevalenti

• Misto (altre latifoglie con maggiore %)

• CEDUI delle seguenti formazioni (da carta fisioniomica)

• Faggio

• Misto (faggio con maggiore %)

• Specie pregiate e secondarie

• Querce

• Misto (querce con maggiore %)

• Carpino-orniello

• Misto (carpino-orniello con maggiore %)

• Castagno-robinia

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti216

• Misto (castagno-robinia con maggiore %)

• Misto (specie pregiate e secondarie con maggiore %)

• Misto di querce, carpino e ornello:

• appartenenti alla classe di fertilità A

• appartenenti alla classe di fertilità B e con superficie da convertire o inconversione > della superficie a regime

3. Ceduo scadente: in questa categoria ricadranno tutti i cedui di protezione e icedui da produzione, appartenenti alle categorie fisionomiche sopra riportate per icedui appartenenti ai “boschi di latifoglie” e:• appartenenti alla classe di fertilità C• appartenenti alla classe di fertilità B e con superficie da convertire o in conversione

<= della superficie a regime

4. Lariceti, larici-cembrete, cembrete: in questa categoria rientreranno le seguenticategorie della carta fisionomica del Trentino:

• Larice puro

• Larice prevalente

• Misto (larice con maggiore %)

• Pino cembro puro

• Pino cembro prevalente

• Misto (pino cembro con maggiore %)

5. Pinete di pino silvestre e pino nero: in questa categoria rientreranno le seguentiformazioni della carta fisionomica del Trentino:

• Pino (silvestre+nero) puri

• Pino silvestre e nero prevalenti

• Misto (pino silvestre+pino nero con maggiore %)

6. Pascoli nudi e arborati: rientreranno in questa categoria le seguenti formazionedella carta fisionomica del Trentino:

• Pascolo pubblico nudo

• Pascolo pubblico alberato (sia conifere che latifoglie)

• Formazioni miste

• Pascolo nudo privato e demaniale (I dati relativi ai pascoli privati e demaniali,rilevati con uno studio effettuato dal Servizio Foreste negli anni '70, integranoquelli rilevati tramite i piani e gli inventari forestali. Si trovano, nella cartella“pascoli privati-demaniali” del CD-ROM del Servizio Foreste, i suddetti dati informato shape ArcView (shp), AutoCad (DXF), ARC/INFO export.

Ove mancano i dati del servizio foreste, si dovrà operare obbligatoriamente viafotointerpretazione.

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 217

7. Prati e colture agrarie: tali formazioni, non essendo riportate nella cartafisionomica del Trentino e nei piani di assestamento, dovranno essere evidenziate ecartografate solamente previa fotointerpretazione e, ove fosse necessario, rilievodiretto in campo.

Dovranno rientrare nella categoria anche le aree agricole abbandonate nonancora o solo parzialmente colonizzate da vegetazione arbustiva, riconoscibili previafotointerpretazione.

8. Rupi boscate: rientreranno nella categoria le formazioni della carta fisionomica delTrentino

• Improduttivo a rupi boscate

• Improduttivo a formazioni erbacee

• Improduttivo misto

Ovviamente, le informazioni riguardanti la categoria potranno/dovranno esseresempre validate ed eventualmente integrate previa analisi da ortofoto.

9. Arbusteti e mughete: rientreranno in questa categoria le seguenti formazionidella carta fisionomica del Trentino:

• Arbusteto

• Ontaneto

• Mugheto

• Formazioni riparali

Le formazioni ripariali andranno rilevate da ortofoto.

10. Improduttivo nudo: rientra in questa categoria solamente la formazioneimproduttivo nudo della carta fisionomica del Trentino. Vi dovranno essere inseriteinoltre tutte le zone a improduttivo non rilevate dai piani e costituite da rocce, faldedetritiche, aree in frana ed erosione, canaloni da valanga non vegetati, areespondali non vegetate, oltre alla viabilità forestale. Anche in questo caso leinformazioni riguardanti la categoria dovranno essere sempre validate edeventualmente integrate previa analisi da ortofoto.

Sarà da inserire nella categoria anche l’improduttivo privato e demaniale.(I dati relativi agli improduttivi privati e demaniali, rilevati con uno studio effettuatodal Servizio Foreste negli anni '70, integrano quelli rilevati tramite i piani e gliinventari forestali. Si trovano, nella cartella "pascoli privati-demaniali" del CD-ROMdel Servizio Foreste, i suddetti dati in formato shape-ArcView (shp), AutoCad (DXF),ARC/INFO export.

11. Aree urbanizzate: rientreranno in questa categoria insediamenti urbani,discariche, infrastrutture varie, grandi parcheggi, cave, viabilità principale icui dati sono disponibili presso il Servizio Urbanistica e il servizio Opere igienico-sanitarie e al SIAT. Trattasi in ogni modo di dati da verificare accuratamente da fotoaeree viste le variazioni spaziali cui tali aree sono suscettibili nel tempo.

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti218

12. Piste da sci: rientrano in questa categoria tutte le piste da sci che dovrannonecessariamente essere rilevate da fotointerpretazione in quanto i piani diassestamento ne riportano solamente la presenza ma non l’ubicazione e l’estensione.Ove ciò non è possibile sarà necessario un rilievo in campo.

13. Laghi e corsi d’acqua: da rilevare per fotointerpretazione, dai dati del SIAT, daidati presenti sul CD-ROM del Servizio foreste (riportano la rete idrografica e glispecchi d’acqua).

14. Zone umide: rientrano nella categoria le paludi e le torbiere alte e basse. Dafotointerpretazione, dalla carta dei biotopi ed eventuale rilievo diretto in campo.

15. Ghiacciai: da fotointerpretazione, rilievo diretto in campo e da dati SIAT.

Nota: sia le strade principali che forestali sono rappresentate da elementilineari che per essere rappresentati a livello di raster dell’uso del suolo dovrannoobbligatoriamente essere trasformarti in poligoni. Per far questo si dovrà creare unbuffer pari ad almeno 10 m (dimensione minima delle celle dei raster); ciò si adattaabbastanza bene nel caso di strade principali, la cui larghezza non si allontana tantoda questa misura, mentre fornisce una certa sovrastima della larghezza delle stradeforestali (generalmente 3-3,5 m). Si può quindi pensare di “bufferizzare” (e quindirendere visibile a livello di raster) solamente le strade principali (autostrade e stardestatali), usando invece le comunali e le forestali solo come elemento grafico almomento di una visualizzazione e/o stampa della carta, non facendole partecipare alivello di analisi idrologica.

I codici (ID) da assegnare ai poligoni di digitalizzazione sono gli stessidell’elenco (1-16) sopra riportato.

La grafica della legenda potrebbe essere la seguente:

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 219

Le colorazioni delle singole categorie dovranno essere decise in accordo tra iprofessionisti incaricati alla redazione delle carte e il SASSM, con l’accortezza diutilizzare dei colori non eccessivamente carichi e saturi.

NB. La verifica e validazione della cartografia prodotta sarà eseguita a curadell’ASSM mediante il controllo aree campione.

V.5.4 Allegato 2: Linee guida per la redazione della cartageologica ai fini idrologici: modalità di acquisizione edelaborazione delle informazioni

Le indicazioni contenute nel presente lavoro si inseriscono nell’ambito di unProgetto di redazione delle nuove linee metodologiche per la redazione dei Piani degliinterventi di sistemazione idraulico-forestale in Provincia di Trento; a tale progetto,promosso dall’Azienda Speciale Sistemazione Montana della Provincia Autonoma diTrento, collabora l’Associazione Italiana di Idronomia che è incarica dell’assistenzatecnico-scientifica.

I professionisti incaricati della redazione della carta geologica dovrannoobbligatoriamente seguire le seguenti indicazioni metodologiche e procedurali, inmodo da ottenere un prodotto che possa essere il più possibile uniforme per qualità edettaglio.

• La scala di restituzione della nuova cartografia geologica deve essereobbligatoriamente 1:25.000

• Il formato di restituzione sarà DIGITALE (preferibilmente digitalizzato con GISArcView) su base raster 25.000 derivata dal 10.000 della CTP

• Per essere cartografata, ogni formazione o deposito superficiale dovrà coprireuna superficie minima di almeno 0,1 Ha (10 pixel nel caso di raster 10x10 m)

• Ad ogni formazione cartografata dovrà corrispondere un poligono (anche per iconodi di deiezione e i coni detritici). Le linee e i punti si utilizzeranno solamenteper le grafie e simbologie morfo-tettoniche.

L’obiettivo ultimo della cartografia è quello di consentire un’interpretazione, ilpiù possibile oggettiva, della permeabilità dei litotipi giungendo al loro accorpamentonei gruppi idrologici previsti dalla metodologia adottata.

L’acquisizione ed elaborazione delle informazioni necessarie alla redazionedelle carte dovrà avvenire secondo le modalità di seguito riportate:

• La legenda verrà creata confrontando le legende dei piani a disposizione e lecarte del Servizio Geologico (10.000 ove disponibile o 25.000 (da100.000),cercando di porre attenzione non solo sulla natura dei litotipi, ma anche su tuttauna serie di parametri idrogeologici e tettonici ad essi legati e spesso trascuratiquali la fessurazione, la permeabilità primaria e secondaria, l’erodibilità, lapotenza dello strato o del deposito (ove possibile rilevarla e solo per depositi diparticolare rilevanza), la presenza di faglie primarie e secondarie, la giacitura

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti220

degli strati (immersione e inclinazione), zone cataclastiche, ecc. Ad esempio, ledifferenze tra una dolomia compatta e una molto fratturata, pur rappresentanti lastessa categoria (“dolomia”), dovranno essere evidenziate a livello di cartografiacon colore e codice diverso, in modo da poterle distinguere al momentodell’attribuzione dei gruppi idrologici. Tali caratteri dovranno essere evidenziati,se non lo sono già sulle carte dei piani a disposizione ed inseriteobbligatoriamente nelle carte di nuova produzione.

• L’informazione riguardante la copertura quaternaria (o depositi superficiali),dovrà essere ove possibile, integrata e migliorata, aumentandone il dettaglio,evidenziandole diverse proprietà idrogeologiche, in particolare la permeabilità(es. morene ad elementi calcarei o morene ad elementi vulcanici, morene difondo, morene a grossi blocchi, morene di ablazione, ecc.), sulla base delcostipamento, della granulometria, % di matrice fine, ecc. Anche i depositialluvionali dovranno essere distinti sulla base della granulometria e dellapresenza o meno di matrice fine. Quanto appena detto vale anche per le faldedetritiche. Dovrà essere evidenziata la potenza dei depositi, in particolare di queilembi caratterizzati da spessori rilevanti.

• Dovranno essere sicuramente evidenziate, almeno sugli affioramenti di maggioreinteresse, le giaciture (immersione e inclinazione) degli strati, essendo caratteriin grado di influenzare la circolazione idrica;

• Sono da segnalare eventuali zone con più o meno rilevanti fenomeni carsici;

• La scelta della legenda adeguata agli scopi idrologici dovrà essere sicuramentediscussa con il professionista incaricato della redazione della carta, scegliendo semantenere tutte o solo alcune delle formazioni presenti, magari attuando degliaccorpamenti tra formazioni aventi caratteristiche simili.

• Inoltre sembra utile ordinare la legenda in tre categorie (quaternario,sedimentario, magmatico) evitando legende confusionarie e caotiche (come inalcuni casi riscontrato) rispettando le successioni stratigrafiche.

ID Formazione Permeabilità Erodibilità Potenza degli strati Giacitura in gradi

Valore

assegnato

(4 classi: A, B, C, D)

Tipo di campo: stringa

(6 classi:1,2,3,4,5,6)

Tipo di campo: numero

(3 classi: 1, 2, 3)

Tipo di campo: numero

Immersione/inclinazione

Tipo di campo: stringa

Esempio di informazione richiesta nel database della nuova cartografiageologica 1:25.000

1. codice ID del poligono (di default il programma assegna ID 0)

2. permeabilità (4 classi: ELEVATA (A), MEDIA (B), BASSA (C), MOLTO BASSA(D))

3. erodibilità (6 classi: ALTISSIMA (1), ALTA (2), MEDIO-ALTA (3), MEDIA (4),BASSA (5), BASSISSIMA (6))

4. potenza dello strato o del deposito in m (3 classi: 1- da 1 a 5 m, 2- da 5 a 10m, 3- > 10 m)

5. giacitura degli strati in gradi (immersione e inclinazione in gradi con 0° riferitial N e rotazione oraria; es 130/60)

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 221

• Per la colorazione e la simbologia morfo-tettonica da adottare si consiglia di fareriferimento all’impianto colori prodotto dal Servizio Geologico per la carta1:25.000

• I codici (ID) da assegnare alle diverse categorie sono di seguito indicati accantoa ciascuna formazione rilevabile.

QUATERNARIO: distinzione in 6 categorie a diverso comportamento idrologicosulla base della prevalenza granulometrica; gli ID corrispondenti dovranno essere iseguenti:

• ALLUVIONI prevalentemente ghiaiose ID 101

• ALLUVIONI prevalentemente sabbioso-limose ID 102

• MORENE grossolane ID 103

• MORENE a matrice fine ID 104

• DETRITO DI FALDA a ghiaia prevalente ID 105

• DETRITO DI FALDA a sabbia e limo-prevalenti ID 106

SUBSTRATO: distinzione delle formazioni della carta litologica e dei lineamentistrutturali del Trentino (1:200.000) sulla base del loro comportamento idrogeologico;gli ID corrispondenti dovranno obbligatoriamente essere i seguenti:

• GRANITI, GRANODIORITI, TONALITI DELL’ADAMELLO – EOCENE MEDIO-OLIGOCENE ID 1

• PORFIROIDI, GNEISS, PARAGNEISS, ORTOGNEISS – PREPERMIANO ID 2

• MICASCISTI E FILLADI ID 3

• GRANITOIDI – PERMIANO ID 4

• CONGLOMERATI DI PONTE GARDENA – PERMIANO ID 5

• VULCANITI (O PORFIDI) RIOLITICHE, RIODACITICHE E ANDESITICHEINDISTINTE – PERMIANO ID 6

• UNITA’ CLASTICO EVAPORITICA INCOMPETENTE (Arenarie di Val Gardena,Formazione a Bellerophon, Formazione di Werfen, ecc.) E CONGLOMERATO DIRICHTHOFEN – PERMIANO SUP., TRIAS INF. ID 7

• PRIMA UNITA’ CARBONATICA COMPETENTE (Dolomia dello Sciliar, Formazione diContrin, Calcare di Esino, Formazione di Breno) – ANISICO – CARNICO ID 8

• PRIMA UNITA’ CARBONATICA STRATIFICATA INCOMPETENTE (Formazioni di LaValle, Livinallongo, S. Cassiano, Calcare di Prezzo, Calcare di Angolo) – ANISICO-CARNICO ID 9

• EFFUSIONI ED INTRUSIONI TRIASSICHE INDISTINTE – TRIAS MEDIO ID 10

• VULCANITI BASALTICHE – TRIAS MEDIO ID 11

• CONGLOMERATO DELLA MARMOLADA – TRIAS MEDIO ID 12

• DISCONTINUO INTERVALLO INCOMPETENTE PELITICO-CARBONATICOEVAPORITICO: STRATI DI RAIBL – CARNICO ID 13

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti222

• SECONDA UNITA’ CARBONATICA COMPETENTE: DOLOMIA PRINCIPALE –NORICO ID 14

• SECONDA UNITA’ CARBONATICA INCOMPETENTE – NORICO-RETICO ID 15

• SUCCESSIONE INDISTINTA CALCAREO-DOLOMITICA A CARATTERE INPREVALENZA INCOMPETENTE – RETICO-LIAS ID 16

• TERZA UNITA’ CARBONATICA COMPETENTE – LIAS ID 17

• TERZA UNITA’ CARBONATICA INCOMPETETENTE – GIURASSICO-CRETACEO ID18

• INTERVALLO CLASTICO CARBONATICO INCOMPETENTE – CRETACICO SUP.-OLIGOCENE ID 19

• BASALTI – EOCENE ID 20

• DEPOSITI CLASTICI IN PARTE SINTETTONICI – OLIGOCENE SUP.-MIOCENE ID21

Per l’attribuzione del valore di permeabilità delle varie formazioni, ilprofessionista dovrà fare riferimento al seguente schema di massima:

GRUPPO “A”

• Tufi incoerenti, pozzolane, ceneri, scorie, lapilli (si presentano in strati e banchi,dune, depositi sabbiosi di origine eolica a ridosso delle spiagge);

• Rocce calcaree (calcari dolomitici, calcari marnosi, travertini, calcareniti, breccecalcaree, calcari organogeni), fossilifere, organogene, molto fratturate, gessi,salgemma);

• Limi, sabbie, ghiaie, ciottoli (formano depositi alluvionali di origine fluviale olacustre, tali materiali formano le pianure alluvionali, i coni di deiezione, i terrazzifluviali);

• Falde e coni di detrito, macereti, composti da cumuli di frammenti rocciosi, disolito angolosi, talora più o meno cementati (brecce di pendio), si trovano aipiedi dei versanti montuosi ripidi e presentano tracce più o meno evidenti distratificazione);

• In generale formazioni del gruppo “B” a prevalenza di elementi grossolani;

Di norma, a meno di particolari valutazioni locali, in questo gruppo sarannocomprese le categorie con i seguenti ID: 101, 103,105

GRUPPO “B”

• Morene ed in genere depositi glaciali;

• Coltri eluviali e colluviali – costituite prevalentemente da sabbie e limi con minoriquantità di ghiaie, variamente mescolati tra loro;

• Conglomerati, brecce, sabbioni e sabbie cementate (ciottoli, ghiaie, sabbie e limoa vari gradi di cementazione)

• Rocce del gruppo “C” molto fratturate

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 223

Di norma, a meno di particolari valutazioni locali, in questo gruppo sarannocomprese le categorie con i seguenti ID: 102, 104, 106, 8, 14, 17

GRUPPO “C”

• Rocce sedimentarie compatte – dolomie, marne, arenarie, tufi cementati, pomici,alternanza di argille e arenarie, di argille e calcari;

• Rocce dolomitiche compatte;

• Rocce calcaree compatte;

• Rocce del gruppo “D” a fratturazione medio-alta

Di norma, a meno di particolari valutazioni locali, in questo gruppo sarannocomprese le categorie con i seguenti ID: 9, 10, 15, 16, 18, 20

GRUPPO “D”

• Rocce eruttive (o magmatiche) intrusive – graniti, sieniti, dioriti e gabbri;

• Rocce eruttive (o magmatiche) effusive – porfidi, trachiti, lipariti, fonoliti,porfiriti, andesiti, basalti, tefriti, leuciti;

• Rocce argillose – argilloscisti, argille varie, depositi argillosi di origine lacustre,banchi argillosi di origine fluviale intercalati spesso nei sedimenti alluvionali,depositi eluviali (ferretto, terra rossa) o colluviali argillosi che possono copriresottostanti rocce più permeabili rendendo così impermeabile il terreno;

• Rocce metamorfiche – gneiss, micascisti, quarziti, filladi, scisti anfibolici,talcoscisti e scisti di natura silicea.

Di norma, a meno di particolari valutazioni locali, in questo gruppo sarannocomprese le categorie con i seguenti ID: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 11, 12, 13, 19, 21

NB: L’attribuzione delle varie formazioni alle diverse classi di permeabilitàseguirà lo schema sopra riportato sino a quando non si dovessero trovare localmentedelle particolari condizioni di maggiore o minore permeabilità dovute a fenomeniparticolari (es. forte fratturazione) che potranno rendere necessaria l’attribuzione dellaformazione ad una classe diversa da quella a cui viene normalmente assegnata.

I criteri su esposti verranno seguiti solamente nella realizzazione delle cartegeologiche dei piani mancanti e nell’integrazione di quelle già esistenti; ove però ilServizio Geologico ha già coperto il territorio con il 10.000, la base su cui lavoraresarà ovviamente quest’ultima, chiaramente previa semplificazione a scopi idrologicidelle numerose formazioni presenti a causa dell’elevato dettaglio.

Prima di iniziare la redazione delle carte mancanti, i professionisti incaricatidovranno obbligatoriamente interagire con il Servizio Geologico per una verifica delmateriale già esistente ed un’eventuale integrazione di questo, seguendo le lineeguida proposte. Interessante sembra inoltre integrare le informazioni con la “Cartadei lineamenti strutturali da dati Landsat”, a disposizione al Servizio Geologico, ingrado di evidenziare i fenomeni tettonici di maggiori dimensioni difficilmenteapprezzabili in campo.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti224

Il Servizio Geologico ha già ha disposizione, anche per le zone non ancoracoperte dal 10.000, una cartografia parte al 25.000 e parte al 10.000 (es. cartografiepiù o meno inedite per Cismon e parte alta Avisio) che dovrà obbligatoriamente essereutilizzata, almeno come base di partenza, dal professionista incaricato, insieme allecarte geologiche dei piani di bacino già redatti, almeno ove il dettaglio di questerisulta buono.

La migliore procedura da seguire sarà senz’altro rifarsi a tali basicartografiche, ove presenti, limitandosi solamente ad una loro integrazione con icaratteri idrogeologici e tettonici sopra descritti.

Nelle zone non coperte da piani di bacino, sarà obbligo del professionistaincaricato, partire dalla base cartografica al 25.000 a disposizione al ServizioGeologico, integrando le informazioni contenute in questa attraverso rilievi in campo,foto aeree e altro materiale già disponibile presso il Servizio Geologico stesso.

La verifica e validazione della cartografia prodotta sarà eseguita a curadell’ASSM mediante controllo di aree campione.

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V.6 Laminazione delle onde di piena

Il controllo delle piene può farsi, in qualche caso, inserendo nel corso d’acqua(sull’asta principale o su qualche suo affluente) una adatta capacità che sia in grado dimodificare, ritenendone una parte, i deflussi di piena da avviare verso valle. Talicapacità sono denominate serbatoi di piena o casse di espansione. L’azione che essisvolgono è nota come laminazione della piena. I volumi vengono creati medianteun’opera di ritenuta che intercetta il corso d’acqua in una zona adatta dal punto divista geologico e topografico; o altrimenti, nelle parti medie e basse di corsi d’acqua,in fregio al corso d’acqua regolando la derivazione e la reimmissione delle acquefluviali con opere accessorie. Va preliminarmente osservato che le opere di difesa o diutilizzazione (ovvero le une e le altre congiuntamente) possono configurarsi in mododiverso in dipendenza dai valori delle portate o dei volumi da regolare. In generale, sele portate ed i volumi, con le loro distribuzioni temporali peculiari dell’idrologia delbacino, sono piccoli rispetto ai valori fluenti ‘naturali’ (intendendosi con una taledefinizione le grandezze del bacino prima dell’intervento), derivazioni o invasi possonocomportare interventi limitati e senza modifiche significative nella successionetemporale dei deflussi in rapporto allo stato del tratto a valle del corso d’acqua. Inqualche altra situazione, riferibile a parti importanti del territorio trentino, la nontrascurabile entità delle portate o dei volumi da regolare per la difesa idraulica delterritorio possono richiedere di modificare in modo apprezzabile la successione degliafflussi ‘naturali’ rispetto ai deflussi tollerabili verso valle – ovvero, in genere,riducendo il valore della massima portata istantanea che transita nel corso d’acquaentro valori compatibili con la capacità di deflusso. Il processo idraulico che prendeorigine dalla necessità di ridistribuire nel tempo i volumi e le portate con modalitàdiverse da quelle attuali è detto regolazione delle portate.Possono configurarsi, nelTrentino e in generale, interventi diffusi, di limitata entità e distribuiti sul territorio, opuntuali, di grande dimensione ed efficacia ma anche maggiormente impattanti. Deiprimi, va ricordato che tali interventi possono interessare, per esempio, lecaratteristiche del bacino imbrifero a monte della sezione di corso d’acquaconsiderata. Una maggiore presenza di vegetazione, per esempio, consente didiminuire il contributo efficace di pioggia che contribuisce al deflusso e di allungare itempi di corrivazione dell’acqua piovana verso il corso d’acqua: di conseguenza lepiene, a piccola scala, sono destinate ad assumere caratteristiche meno impulsive(con picchi meno pronunciati) ed una durata maggiore a causa del ritardo deicontributi di precipitazione più distanti dalla sezione di chiusura. In quale misura taliinterventi siano significativi, come detto in premessa, dipende dalle dimensioni deivolumi in gioco rispetto ai totali nelle sezioni critiche per il sistema. Per i secondi, varicordata la loro rilevanza per i casi dei grandi bacini dove difficilmente, per i volumi ingioco nelle piene, opere diffuse sono risolutive.

Fissate le caratteristiche del bacino (pendenza, caratteristiche geologiche,vegetazione), e quindi stabilita (almeno in via di principio, cfr. cap. V.2) la formacompleta dell’onda di piena corrispondente al tempo di ritorno di progetto, è possibilerenderla compatibile con le capacità di deflusso lungo le aste fluviali invasando il

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volume d’acqua in eccesso in appositi serbatoi (serbatoi di piena e casse diespansione), per restituirlo in tempi successivi.

Serbatoi di piena

Il controllo delle piene con serbatoi comporta generalmente che i volumi darendere disponibili siano dell’ordine delle decine di milioni di metri cubi.

Il loro funzionamento è governato dalla legge di conservazione della massa. Laportata di piena entrante viene invasata sfruttando i volumi a disposizione delserbatoio e rilasciata tramite opere accessorie, e.g. scarichi di fondo e/o di superficie.Gli scarichi possono essere liberi oppure presidiati. Questi ultimi permettono diminimizzare i volumi di invaso, in quanto è possibile regolare la portata uscente su unvalore massimo compatibile con valle restringendo la luce di efflusso tramite laparatoia. La presenza di organi di regolazione meccanica espone il sistema ad unamaggiore debolezza di gestione: mancanza di energia, blocco delle paratoie, etc.

Va inoltre tenuta presente la necessità di garantire, a valle del serbatoio dipiena, una portata minima vitale compatibile con la biologia del corso d’acqua.

In generale il problema dei serbatoi concerne i rilevanti impatti ambientalidella loro messa in opera e funzionamento: mentre possono dirsi risolutivi per lasicurezza idraulica. Il bilancio di costi e di benefici per la loro realizzazione è difficile e,in generale, irrisolto.

Casse di espansione

Talvolta è possibile reperire dei volumi sufficienti ad esplicare un qualcheeffetto di laminazione anche nei tratti medio-bassi dei corsi d’acqua; questa possibilitàè limitata dal fatto che i volumi di invaso disponibili sono generalmente piccoli rispettoa quelli delle piene qualora le altezze siano da contenersi in valori limitati e sianecessario prevederne uno sviluppo planimetrico non particolarmente ampio (checomporterebbe, fra l’altro, elevati costi di espropriazione).

Le casse di espansione vengono alimentate da opere di imbocco adeguate,e.g. tramite una soglia sfiorante che permette la derivazione della portata una voltaraggiunta una determinata altezza idrometrica nell’alveo. Per rendere più efficientequesto processo, specie in caso di corrente veloce, è possibile indurre uninnalzamento del pelo libero tramite dispositivi idraulici quali un restringimento. Lacassa d’espansione è dotata di opere di scarico per restituire all’alveo eventuali volumiin eccesso e per restituire il volume invasato nei modi più opportuni. Per una ottimaleregolazione delle piene è anche opportuno, in molti casi, realizzare più casse collegatein serie.

V.6.1 Principali criticità idrauliche

Ferma restando la possibilità di varie crisi a scala locale laddove siverificassero eventi di tipo parossistico, le situazioni di maggiore criticità dal punto divista idraulico che, seppur ricadenti in provincia di Trento hanno ripercussioni a scaladi bacino idrografico, anche alla luce di quanto verificatosi in occasione delle recentipiene – autunno 2000 in particolare, sono riconducibili ai tre nodi seguenti:

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1. passaggio dell’Adige a valle della confluenza con l’Avisio, ed in particolare aTrento;

2. passaggio del fiume Brenta attraverso l’abitato di Borgo Valsugana;

3. gestione della galleria Adige-Garda;

Le prime due riguardano in particolare la capacità delle sezioni degli alvei difar defluire le portate di piena, e sono quindi correlate, seppur in misura diversa, allanecessità di interventi di laminazione. La terza assume invece importanza vitale per lasicurezza idraulica dei territori meridionali del Trentino e di quelli veneti, inclusa inparticolare la città di Verona.

In generale, il dibattito sopra le diverse questioni connesse con le proponendeopere di sistemazione ancora ferve. Il tema centrale concerne le diverse priorità degliinterventi, la loro reale efficacia, e le possibili alternative. In quanto segue vienepresentato un esame delle proposte e, comparativamente, dei loro costi complessivi(sociali ed ambientali) e dei benefici connessi.

V.6.1.1 Adige a Trento

Con riferimento alle informazioni di tipo idrologico e idraulico disponibili, etenuto anche conto delle recenti integrazioni allo studio di impatto ambientale relativoal progetto della diga di Valda per la laminazione delle piene del T. Avisio richiesto dalMinistero dell’Ambiente in data 3.12.1997 (cfr. Rapporto sintetico sullo stato deilavori, 2001) e delle successive osservazioni, possono farsi le seguenti considerazioni:

1. l’analisi delle capacità di deflusso dell’Adige a Trento evidenzia, già per tempi diritorno relativamente bassi (di circa 30 anni), possibili problemi di esondazione apartire dalla zona a sud della città (cfr. Figura V.6.1);

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti228

Figura V.6.1: Situazione a Trento dopo 13 ore dall’inizio della piena (portata trentennale).

2. per scongiurare questo evento una possibile ipotesi, costruita su un percorsoprogettuale successivo alla Relazione della Commissione De Marchi (1970), è lacostruzione di uno sbarramento artificiale in località Valda al fine di laminarel’onda di piena in arrivo dal bacino dell’Avisio (responsabile, nel 1966, di unapercentuale consistente della portata transitata per Trento). Nelle sue diverseconfigurazioni possibili, la diga di Valda potrebbe creare invasi notevoli per lalaminazione delle piene d’Avisio, e dunque essere risolutiva per la sicurezzaidraulica dei territori trentini di valle;

3. la configurazione massima prevista per la diga di Valda, progettata in uncontesto di sensibilità ambientale diverso da quello odierno, è caratterizzata danotevoli volumi da dedicare alla espansione delle piene, e pertanto si prestanaturalmente bene alla funzionalità idraulica. Essa peraltro non contemperava lacompresenza di altre opere di laminazione delle piene d’Adige, che consentisserola riduzione della sua capacità, e dunque viene presentata in una configurazioneche desta notevoli preoccupazioni dal punto di vista dell’impatto ambientale,sociale e paesaggistico e in generale dell’architettura del territorio connesso;

4. alcune preoccupazioni sorte intorno a possibili effetti di aumentata sincronia frale piene d’Adige e piene d’Avisio indotti dalla possibile costruzione del nuovoinvaso sono fugate da un’analisi estesa sui possibili scenari di laminazione e di

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 229

propagazione. La dimensione dell’invaso massimo in Valda è infatti tale daridurre sempre in modo decisivo i contributi d’Avisio, talchè non esiste situazioneidrologica per la quale la realizzazione dell’invaso di Valda possa peggiorare lasituazione attuale. È dunque da rilevarsi che la diga di Valda è da considerarsirisolutiva dal solo punto di vista idraulico: mentre preoccupazioni relative al suoimpatto ambientale relativamente alla architettura generale del territorio sonosempre considerevoli;

5. dato l’indubbio impegno dell’opera, e le prevedibili ricadute di carattereambientale e paesaggistico, sono state studiate una serie di alternative o diopere complementari, che prevedano la combinazioni di più interventi di minorimpatto. La combinazione di diverse strutture, dispositivi e regole d’uso applicatee/o realizzate con gradualità appare la via più opportuna, socialmente etecnicamente, per condurre progressivamente l’adeguamento della sicurezzaidraulica della città di Trento in un campo accettabile;

6. l’esistente diga di S. Giustina permette un’efficace laminazione della portata delNoce, sicuramente significativa anche in relazione alle piene complessive d’Adigenel territorio trentino, agendo sulla regolazione dei volumi esistenti. Inparticolare, stante la notevole capacità del serbatoio esistente, una efficaceopera di laminazione può essere ottenuta riducendo marginalmente la produzioneidroelettrica e rendendo certamente disponibile un volume adeguato di invasocon criteri di regolazione derivati da esigenze di piena;

7. opere diffuse di laminazione delle piene, quali ad esempio casse di espansione inVal d’Adige nel suo territorio trentino, possono dare un contributo alla riduzionedella frequenza probabile della tracimazione dell’Adige in Trento, ma talecontributo è da ritenersi complessivamente modesto in ragione della limitatadisponibilità di volumi di espansione a fronte degli afflussi;

8. opere diffuse sul territorio trentino che promuovano la riduzione dei colmi dipiena d’Adige appaiono comunque inadatte alla significativa riduzione del rischioidraulico in Trento.

9. opere locali o diffuse di rialzo arginale ed in generale relative all’aumento dellaofficiosità della sezione idraulica in relazione allo smaltimento delle portate dipiena possono dare un contributo non marginale all’aumento del ritorno probabiledella crisi idraulica della città di Trento;

Con riferimento anche alle risultanze degli studi citati, si può osservare che lealternative studiate prevedono:

• la realizzazione, nella città di Trento, di un rialzo arginale che permetta ilpassaggio di 2500 m3/s, al posto degli attuali 2100 m3/s circa. Va osservato cheun tale intervento ne postula altri connessi. Infatti, oltre al rialzo arginale, sarànecessario intervenire sulla confluenza tra Adige ed Adigetto per evitare effetti dirigurgito del primo nel secondo che vanificherebbero l’officiosità degli interventiarginali (l’argine sinistro dell’Adigetto è attualmente insufficiente allo scopo);

• la laminazione delle portate del Torrente Noce assicurando in caso di piena ladisponibilità di 20-30 milioni di metri cubi nell’invaso esistente di S. Giustina, lacui capacità complessiva e di circa 183 milioni di metri cubi;

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• la laminazione della portata dell’Avisio tramite la costruzione di un invaso conpotenzialità di trattenuta pari a 16-20 milioni di metri cubi. Una tale soluzione,certamente meno impattante della progettata diga di Valda, progressivamenteriduce il margine di sicurezza che essa produce in ragione della sua dimensione;

• la regolazione modificata dell’esistente invaso di Stramentizzo, rispetto alla qualeva osservato che la capacità di questo serbatoio e la sua posizione relativa nelbacino idrografico non sono tali da consentire un intervento risolutivoparagonabile a quello che sarebbe invece consentito dalla realizzazione di nuoveopere appositamente calibrate allo scopo prefisso;

Vale ancora la pena di ricordare che un problema da considerare è la possibileriduzione della portata dell’Adige proveniente dalla provincia di Bolzano. Nellasituazione attuale si può prevedere, a Bronzolo, una portata cinquecentenariadell’ordine di 1600 m3/s, portata che risulta piuttosto bassa anche in termini dicontributo specifico di piena per confronto con situazioni alpine comparabiliclimaticamente. Ciò accade, in particolare, per alcune anomalie meteorologiche che èpresumibile siano da ritenersi stazionarie, almeno nei tempi di interesse del presentePiano: ma soprattutto grazie alla presenza diffusa di aree di esondazione naturale neiterritori di monte.

La materia induce qualche preoccupazione. Infatti, qualora la provincia diBolzano decidesse di proteggere tali zone ad esempio mediante diffusi rialzi arginali(non escludibili a priori nel contesto di uno sviluppo sociale ed economico dei territoriin questione), la portata attesa per il medesimo tempo di ritorno salirebbe a circa2000 m3/s, il che imporrebbe opere più consistenti nelle regioni più a valle.

Assume quindi notevole importanza la gestione coordinata degli interventisugli argini del Fiume Adige, che dovrebbero essere alzati solo in casi eccezionali ecomunque limitatamente alle esigenze di sicurezza degli abitati esistenti, individuando(e realizzando) al contempo le misure compensative atte ad impedire che siproducano aumenti significativi delle portate in direzione dei territori posti più a valle.

In conclusione si sottolinea la necessità che l’insieme degli interventiprospettati venga realizzato in maniera coordinata e graduale, prestando particolareattenzione ai livelli di sicurezza ad essi associabili, utilizzando al meglio le struttureesistenti e considerando sinotticamente il contributo di tutte le opere. A tal fine siriassumono di seguito le considerazioni ritenute ineludibili in relazione alleproblematiche poste:

1. attualmente la città di Trento è soggetta a rischio di inondazione con tempi diritorno variabili dai 30 ai 50 anni, a seconda del tipo di analisi che le contempera.Pare opportuno considerare cautelativamente il tempo di ritorno della crisiidraulica in circa 30 anni. Indipendentemente dalle valutazioni specifiche, talelivello di rischio è da considerarsi inaccettabile;

2. un possibile intervento utile, non controverso e capace di aumentare il citatotempo di ritorno della crisi della città, consiste nella ricalibrazione degli argini infregio a Trento ed alla sistemazione di opere complementari (e.g. il nodoidraulico della foce dell’Adigetto);

3. un consistente aumento della sicurezza idraulica di Trento può essere ottenutocon una regolazione del serbatoio esistente di S. Giustina che possa renderecertamente disponibili all’uso di piena 20-30 milioni di metri cubi. L’uso

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 231

combinato dei rialzi arginali e dell’uso di piena di S. Giustina porta il tempo diritorno dell’inondazione della città di Trento nel campo di 80-100 anni;

4. la predisposizione di nuovi volumi di invaso (pari ad almeno 16 milioni di metricubi) preposti alla laminazione delle piene in alveo dell’Avisio consente diaumentare ulteriormente il tempo di ritorno della crisi di Trento fino all’ordine dei200 anni;

5. ogni intervento di sistemazione nei territori di monte volto alla riduzione dellearee di naturale espansione delle piene (e.g. rialzi arginali) deve esserecompensato dalla creazione di invasi supplementari in grado di non aggravare lasituazione idraulica dei territori di valle.

V.6.1.2 Brenta a Borgo Valsugana

Nel transitare per l’abitato di Borgo Valsugana il fiume Brenta si trova apassare attraverso una vistosa strozzatura che limita le capacità di deflusso dellacorrente.

Si può stimare, anche attraverso un’analisi dei livelli idrometrici occorsidurante la piena del 1993, che la massima capacità di deflusso in condizioni attualinon superi i 110 m3/s.

Viceversa l’analisi della risposta idrologica complessiva del fiume brenta chiusoa borgo fornisce valori di portata maggiori già a partire da tempi di ritorno di circa 20anni.

Figura V.6.2: Transito in piena del fiume Brenta attraverso l’abitato di Borgo Valsugana.

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti232

Per ovviare a questo problema sono state avanzate diverse ipotesi, anche inragione di incertezze nella forma dell’onda di piena di progetto legate al calcolodell’effetto di laminazione indotto dai laghi di Levico e Caldonazzo.

Le possibili soluzioni individuate, per salvaguardare Borgo Valsugana dallepiene del fiume Brenta, possono essere schematizzate in due tipologie d’intervento: leprime mirano alla riduzione del volume entrante nel canale con abbattimentodell’apice dell’onda di piena, le seconde ad incrementare la sezione del canale,assicurando così lo smaltimento della portata di piena.

Le possibili soluzioni studiate, per la riduzione della portata entrante nelcanale, sono: una galleria di by-pass, una singola cassa di espansione, più casse diespansione e interventi di riforestazione del bacino.

Per le gallerie di by-pass sono state individuate quattro alternative dipercorso: due in sponda sinistra e due in sponda destra. Per quanto riguarda le primedue (in sponda sinistra), sono finalizzate all’allontanamento della portata di piena delBrenta Vecchio: per ottenere un funzionamento ottimale delle gallerie è indispensabileche il primo tratto dell’opera abbia una pendenza maggiore rispetto a quella dell’alveo.Ciò comporta, nel caso della ipotesi “lunga”, la difficoltà di reimmissione nel FiumeBrenta per problemi di quote. Nel caso dell’ipotesi “corta”, oltre ai problemi direimissione nel Fiume Brenta precedentemente evidenziati, esiste anche un nodoall’imbocco della galleria poiché non è possibile realizzare un imbocco idraulicamenteefficiente.

Le gallerie proposte in sponda destra sono state pensate per scolmare laportata del Fiume Brenta. Anche in questo caso sono stati individuati due percorsi,uno “corto” ed uno “lungo”. Nel primo caso il tracciato è stato individuato sotto lavecchia strada statale. Anche per questa configurazione si presentano gli stessiproblemi di formazione del sifone (mancanza di un sufficiente dislivello) oltre aproblematiche legate alla profondità di scavo all’interno dell’abitato (oltre i 10 metri) ealla presenza di sottoservizi.

La seconda ipotesi (Galleria di by-pass “lunga”), prevede la zona diimmissione, posta in prossimità della confluenza del Torrente Moggio, mentrel’imbocco è situato nei pressi del nuovo ponte della ferrovia. Questa alternativa apparecome una delle ipotesi idraulicamente ed ambientalmente percorribili.

Per quanto riguarda la realizzazione di una o due casse di espansione, nellaprima ipotesi è stata individuata la zona denominata Paludi, Questa alternativaprevede la realizzazione di una cassa di espansione di 33 ettari (profondità media di 2metri, volume d’invaso di 660.000 m³). Questa alternativa, che appare idraulicamenteinefficace in quanto non permette la laminazione di tutto il surplus di portata, ha comenodo critico l’impossibilità di stoccaggio del materiale movimentato in aree prossimealla zona di intervento.

Un’altra alternativa interessa sia l’area in località “Paludi” sia la zona di “LagoMorto“. Questa proposta, individuata a suo tempo anche dall’Università di Trento nellostudio commissionato dal Comprensorio della Bassa Valsugana e Tesino, prevede larealizzazione di due casse di espansione con approfondimento del piano di campagna:la prima in località Paludi (33 ettari, profondità media di 2 metri, volume d’invaso di660.000 m³), la seconda in località Lago Morto (78,5 ettari, profondità media 2,8metri, volume d’invaso di 2.240.000 m³). Il volume complessivo da invasare, ovverotutta quella parte dell’onda di piena superiore ai 110 m³/sec che rappresentano ilvolume transitabile attraverso l’abitato di Borgo Valsugana, ammonta a 2.900.000m³. L’ipotesi, economicamente e socialmente molto gravosa (dovrebbero essereespropriati 112 ettari di aree agricole primarie), presenta come nodo critico

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 233

l’impossibilità di stoccaggio del materiale di risulta dagli scavi, nonché tutti i problemiconnessi al trasporto a discarica del detrito movimentato.

Per l’abbattimento dell’onda di piena, è stata presa in considerazione anche lapossibilità di incrementare la copertura boscata del bacino. Questa alternativa, cheprevede notevolissimi investimenti nella riforestazione e nel miglioramento dellestrutture forestali, presenta tre criticità: la prima legata alla ridotta efficacia idraulica(l’abbattimento dell’onda di piena è inferiore al 10% del totale), la seconda ai tempilunghi per la sua realizzazione (oltre un secolo), la terza dovuta all’impossibilitàpratica di rimboschire qualsiasi area del bacino non attualmente occupata da bosco.

Per quanto riguarda le possibili misure da adottare per l’incremento dellasezione del canale, sono state studiate le seguenti alternative: riprofilatura dell’alveo einnalzamento degli argini. Queste, non incidono sulla forma dell’idrogramma di piena(se ne mantiene pertanto inalterato anche il volume) ma modificano la forma delcanale per incrementarne la capacità di smaltimento delle portate.

La prima ipotesi progettuale prevede la riprofilatura dell’alveo eliminando sia ilsalto a valle della vecchia opera di derivazione della filanda (mantenendone inalteratele caratteristiche architettoniche) sia della soglia strumentata posta nei pressi delnuovo polo scolastico. Il dislivello così ottenuto verrebbe uniformemente distribuitolungo tutta la lunghezza dell’attraversamento di Borgo Valsugana ottenendo un alveopiù profondo e leggermente più pendente: questo nuovo assetto permetterebbe losmaltimento “al limite” della portata centenaria.

La seconda ipotesi progettuale prevede l’innalzamento delle arginature di circaun metro e mezzo e, contestualmente, la chiusura di tutti i fori presenti lungo il LungoBrenta Trento – Trieste. Questa soluzione ha un punto nodale estremamentecomplesso: si tratta infatti di ridisegnare completamente l’altimetria delle piazze edelle strade prossime al torrente e di sopraelevare tutti i ponti. Questi ultimi però sonosoggetti a tutela e perciò non possono essere modificati.

Dal processo di valutazione degli impatti, si è potuto giungere alla definizionedi due possibili alternative per salvaguardare Borgo Valsugana dalle piene del fiumebrenta:

1. misure per la riduzione del volume entrante nel canale: galleria di by-pass“lunga”in sponda destra;

2. misure per l’incremento della sezione del canale: riprofilatura dell’alveo.

Entrambe le alternative sono dotate di un indice di efficacia positivo in quantopermettono lo smaltimento del deflusso, garantendo quindi la sicurezza dell’abitato diborgo.

V.6.1.3 Galleria Adige-Garda

Nel marzo del 1959 è stata inaugurata la galleria Adige-Garda. Essa collega ilfiume Adige, partendo da Mori, con il lago di Garda, nei pressi di Torbole. Si estendeper una lunghezza di quasi 10 km e compie un dislivello di 106 m, con una pendenzacostante pari a 0,87%.

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti234

Figura V.6.3: Lo sviluppo della galleria, dal fiume Adige al lago di Garda.

Figura V.6.4: Opera di presa di Mori.

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 235

Figura V.6.5: Sbocco a Torbole.

La galleria ha lo scopo di difendere il territorio del medio e basso corsodell’Adige, in particolare la città di Verona, scolmando nel lago di Garda, fino ad unmassimo di 500 m3/s, le portate al colmo di piena del fiume Adige. Infatti, l’estensionedello specchio lacustre di circa 370 km2 può, almeno per un certo tempo, fungere dacassa di espansione con modesti aumenti del livello lago. Va, in ogni caso, osservatoche i livelli in lago sono fortemente condizionati dai sostegni idraulici nel Mincioemissario (i.e. Salionze) ben oltre la possibile variazione indotta dai contributi dellagalleria. È anche da segnalarsi la vitale importanza della operatività della galleria perla sicurezza idraulica dei terreni veronesi di valle, come testimoniato dalle disastroserotte storiche dell’Adige in quei comprensori.

L’utilizzo della galleria è stato attivato dall’Ufficio del Genio Civile di Trento inoccasione degli eventi di piena del fiume Adige verificatisi tra il 1960 e il 1983 per bennove volte, ma solamente nei giorni 4 e 5 novembre 1966 le paratoie di Mori vennerocompletamente aperte fino a raggiungere la massima portata prevista di 500 m3/sec.In tale occasione furono scaricati nel lago di Garda circa 64 milioni di metri cubid’acqua, con un incremento del livello di circa 17 cm.

In seguito al passaggio delle competenze dallo Stato alla Provincia Autonomadi Trento avvenuto nel novembre 1999, la galleria è stata utilizzata durante l’evento dipiena del fiume Adige nei giorni 17 e 18 novembre 2000, ma per una portata massimadi soli 100 m3/sec che ha scaricato nel Garda circa cinque milioni di m3 d’acqua,corrispondenti ad un aumento del livello lago inferiore ai 2 cm.

In tabella sono riportate, in corrispondenza di ogni evento di piena durante ilquale la galleria ha funzionato, l’istante di apertura e chiusura della luce di ingresso,con il volume complessivamente scolmato.

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 236

Evento Apertura Chiusura Vs[m3]

09/1960

09/1965

07/1966

08/1966

11/1966

09/1976

10/1980

07/1981

05/1983

10/2000

17/09/60 11:30

18/09/60 12:40

02/09/65 14:07

20/07/76 10:30

17/08/66 17:25

04/11/66 16:45

14/09/76 09:30

17/10/80 18:40

19/07/81 08:30

23/05/83 21:00

17/10/00 18:00

18/09/60 07:00

21/09/60 18:30

05/09/65 11:30

22/07/76 08:30

18/08/66 21:30

06/11/66 14:30

15/09/76 00:00

19/10/80 08:00

19/07/81 16:30

25/05/83 00:00

19/10/00 10:00

71.325.000

79.270.800

6.499.920

16.695.000

63.777.300

12.420.000

26.410.000

6.930.000

20.016.000

4.700.000

Tabella V.6.1: Volume scolmato della galleria Adige-Garda in relazione agli eventi per i quali è stata attivata.

Il convogliamento di parte delle acque di piena del fiume Adige nel lago di Garda comporta ovviamente un aumento della portata dell’emissario, il fiume Mincio, che andrà a gravare sul bacino del fiume Po, per cui l’apertura della galleria Adige-Garda, deve essere coordinata anche secondo le esigenze di sfasamento temporale delle portate massime dei corsi d’acqua gestiti dalle due Autorità di Bacino interessate (Adige e Po).

Attualmente la Provincia Autonoma di Trento, in accordo con la Regione Veneto, la Regione Lombardia, l’Agenzia interregionale per il fiume Po , l’Autorità di Bacino del fiume Adige e l’Autorità di Bacino del fiume Po, ha definito e concordato in data 1 luglio 2002, le condizioni e le modalità d’uso della galleria Adige-Garda in caso di emergenza di piena del fiume Adige. Non pare inopportuno riportare alcuni termini tecnici necessari per la corretta gestione e di base all’accordo stabilito:

1. La Provincia di Trento, tramite i suoi referenti, gestisce le operazioni della galleria. Il responsabile, può avvalersi della collaborazione dei Servizi competenti della Provincia Autonoma di Trento ed è tenuto ad acquisire dati su: le previsioni meteo; la situazione idraulica generale; le condizioni idrometriche in Alto Adige, in Trentino e nel residuo bacino del fiume Adige e nel lago di Garda. Le Regioni e l’Agenzia interregionale per il fiume Po sono tenuti a fornire ed aggiornare tempestivamente i dati di cui sopra, per quanto di rispettiva competenza. Le decisioni in merito alle operazioni sulla galleria spettano esclusivamente al responsabile provinciale dopo aver valutato tutte le informazioni acquisite.

2. Quando l’altezza idrometrica nel fiume Adige a Trento (ponte S. Lorenzo) raggiunge la quota di m 4,00 ed è prevedibile un ulteriore sensibile aumento dell’altezza idrometrica, il responsabile allerta le Regioni e l’Agenzia interregionale per il fiume Po, in modo che durante la piena possa essere chiesto il parere di tali soggetti e possano essere comunicate le decisioni assunte; al momento dell’allertamento ciascun ente provvede a segnalare il mezzo più idoneo per le comunicazioni e conferma ovvero indica i recapiti dei funzionari da contattare.

3. Fino a diversa e comune determinazione, ai fini della decisione sulle manovre della galleria, si considerano critiche le altezze idrometriche di seguito riportate. I

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PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 237

valori indicati non sono comunque da considerare vincolanti, ma solo di riferimento, per il responsabile provinciale:

operazioni di apertura

• m 5,00 a Trento (ponte S. Lorenzo);

• m 5,20 a Villa Lagarina;

• m 5,40 a Marco di Rovereto;

• m 5,50 a Vò Destro di Avio;

• m 2,10 a Pescantina;

• m 2,20 a Verona (ponte S. Gaetano). In particolare le manovre sulla galleria saranno volte a mantenere l’altezza idrometrica a Vò Destro di Avio ad un valore inferiore a m 5,70; operazioni di chiusura

Al fine della decisione di chiudere la galleria, si potrà considerare la piena non più pericolosa quando, nella fase di decrescenza, le altezze idrometriche sono entrambe scese sotto le seguenti condizioni:

• m 4,80 a Trento (ponte S. Lorenzo);

• m 5,30 a Vò Destro.

4. Quando l’andamento della piena è tale per cui viene presa in considerazione l’ipotesi dell’apertura della galleria, il responsabile contatta il Magistrato per il Po,à le Regioni ed e alll’Agenzia interregionale per il fiume Po, inviando una nota via fax (seguita da telefonata al numero predefinito al punto 4 per conferma) con cui prospetta il quadro di massima della situazione e delinea un programma, sempre di massima, per l’uso della galleria. Tali soggetti esprimono il parere entro il tempo massimo di un’ora; il responsabile provinciale può non considerare il parere pervenuto dopo il termine stabilito. Un eventuale parere contrario all’apertura della galleria deve essere motivato in linea tecnica. Qualora sussistano ragioni di imperiosa urgenza, il responsabile provinciale può richiedere che il parere venga espresso immediatamente . Il responsabile provinciale segue la stessa procedura quando ritiene opportuno chiudere la galleria.

V.6.2 Gestione degli scarichi degli invasi idroelettrici

Va infine osservato che è necessaria una disciplina dello scarico dai numerosi invasi vasti e piccoli generalmente per uso idroelettrico che sono presenti nel territorio provinciale.

Infatti sono note condizioni di disagio generate da una gestione degli organi di scarico solo avveduta delle necessità della produzione idroelettrica2.

2 È evidente che l’operazione degli scarichi deve essere legata ad una sensata e sostenibile regolazione dei volumi di invaso

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti 238

È necessario che venga concordata per ogni invaso una procedura, ispirata a criteri di gradualità e di presenza anche per considerazioni idrauliche nelle tratte di valle, che stabilisca modi e tempi dell’apertura degli organi di scarico. Tale procedura dovrà essere concordata entro …. con gli uffici competenti della PAT e dovrà corrispondere un grado di affinamento delle relazioni di sostegno proporzionato all’importanza dell’opera (i.e. il suo volume di invaso; la capacità di portata massima degli organi di scarico e delle opere accessorie).

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti i

INDICE DELLE TABELLE

Tabella V.1.1: Caratteristiche principali del bacino del fiume Chiese. .................................... 3

Tabella V.1.2: Catasto delle opere di sistemazione idraulico forestali per il bacino montanodel Chiese (fonte Servizio di Sistemazione Montana). ..................................... 3

Tabella V.1.3: Opere realizzate nel bacino del fiume Chiese dal 1976 al 2001 (fonte S.O.I.).... 3

Tabella V.1.4: Caratteristiche principali del bacino montano del torrente Fersina. .................. 4

Tabella V.1.5: catasto delle opere di sistemazione idraulico forestali per il bacino montanodel Fersina (fonte Servizio di Sistemazione Montana). .................................... 4

Tabella V.1.6: Caratteristiche principali del bacino del torrente Fersina di competenza delS.O.I........................................................................................................ 4

Tabella V.1.7: Opere realizzate nel bacino del torrente Fersina dal 1976 al 2001 (fonteS.O.I.)...................................................................................................... 4

Tabella V.1.8: Caratteristiche principali del bacino del torrente Noce.................................... 5

Tabella V.1.9: Consistenza delle opere di sistemazione idraulico forestali per il bacinomontano del Noce (fonte Servizio di Sistemazione Montana). .......................... 5

Tabella V.1.10: Caratteristiche principali del bacino del torrente Noce di competenza delS.O.I........................................................................................................ 5

Tabella V.1.11: Opere realizzate nel bacino del torrente Noce dal 1976 al 2001 (fonteS.O.I.)...................................................................................................... 6

Tabella V.1.12: Caratteristiche principali del bacino del fiume Sarca. ................................... 7

Tabella V.1.13: Consistenza delle opere di sistemazione idraulico forestali per il bacinomontano del Sarca (fonte A.S.S.M.). ............................................................ 7

Tabella V.1.14: Opere realizzate nel bacino del fiume Sarca dal 1976 al 2001 (fonte S.O.I.). .. 7

Tabella V.1.15: Caratteristiche principali del bacino del fiume Adige..................................... 8

Tabella V.1.16: Consistenza delle opere di sistemazione idraulico forestali per il bacinomontano dell’Adige (fonte Servizio di Sistemazione Montana).......................... 8

Tabella V.1.17: Opere realizzate nel bacino del fiume Adige suddivise tra asta Adige e Lenodal 1976 al 2001 (fonte S.O.I.).................................................................... 8

Tabella V.1.18: Caratteristiche principali del bacino montano del torrente Avisio. .................. 9

Tabella V.1.19: Consistenza delle opere di sistemazione idraulico forestali per il bacinomontano dell’Avisio (fonte Servizio di Sistemazione Montana). ........................ 9

Tabella V.1.20: Opere realizzate nel bacino del fiume Avisio dal 1976 al 2001 (fonte S.O.I.)..10

Tabella V.1.21: Caratteristiche principali del bacino montano di Brenta, Cismon e Vanoi........11

Tabella V.1.22: Consistenza opere di sistemazione idraulico forestali per il bacino montanodi Brenta, Cismon e Vanoi (fonte Servizio di Sistemazione Montana). ..............11

Tabella V.1.23: Opere realizzate nel bacino di Brenta e Cismon dal 1976 al 2001 (fonteS.O.I.).....................................................................................................11

Tabella V.2.1: Numero di stazioni pluviometriche che insistono sui vari bacini del territorioprovinciale. ..............................................................................................53

Tabella V.2.2: Risultati delle elaborazioni per le zone omogenee individuate (Della Lucia etal., 1976). ...............................................................................................55

Tabella V.2.3: Valori limiti di verifica della portata di massima piena con Tr=100 anni...........67

Tabella V.2.4: Valori di CN per diversi complessi suolo – soprassuolo secondo AMC II(metodo S.C.S. modificato) (Soil Conservation Service, 1972)........................71

Tabella V.2.5: Definizione del parametro di stato iniziale del bacino (AMC). .........................71

Tabella V.2.6: Valori del parametro xT per diversi tempi di ritorno......................................77

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versantiii

Tabella V.2.7: Parametri a e b delle relazioni µx.=aAb, per i bacini del Triveneto (dove Arappresenta la superficie del bacino, in km2, e la portata µx è espressa in m3s-

1)............................................................................................................78

Tabella V.2.8: Bacini idrografici considerati nella messa a punto della procedura diregionalizzazione statistica proposta............................................................79

Tabella V.2.9: valori dell’indice I.G. per diverse classi di rocce ...........................................91

Tabella V.3.1: Calendario degli interventi secondo le esigenze di tipo tecnico. ....................118

Tabella V.3.2: Calendario degli interventi secondo i condizionamenti di tipo antropico. ........119

Tabella V.3.3: Calendario degli interventi secondo le esigenze di tipo naturalistico..............120

Tabella V.3.4: Intervallo di riferimento per l’adozione del tempo di ritorno da assegnareall’opera idraulica ...................................................................................129

Tabella V.3.5: Valori assegnati alle classi di uso del suolo................................................130

Tabella V.3.6: Definizione del valore del coefficiente α2 per i vari fenomeni........................130

Tabella V.3.7: Valore del tempo di ritorno di progetto per i valori di tempo di ritorno dicalcolo...................................................................................................131

Tabella V.3.8: Metodo per il calcolo del coefficiente di scabrezza n nei corsi d’acqua ...........140

Tabella V.3.9: Valori del coefficiente di scabrezza per i corsi d’acqua.................................141

Tabella V.3.10: Valori di A e B (Kouwen e Li, 1980). .......................................................143

Tabella V.3.11: Valori indicativi dei parametri dp, sx e sy per alcuni tipi di vegetazione.......145

Tabella V.3.12: Valori di KN e KA per pile parallele alla corrente. .......................................153

Tabella V.3.13: Valori del coefficiente K per la condizione di moto di classe 1b. ..................154

Tabella V.4.1: Calendario degli interventi secondo le esigenze di tipo tecnico. ....................189

Tabella V.4.2: Calendario degli interventi secondo i condizionamenti di tipo antropico. ........190

Tabella V.4.3: Calendario degli interventi secondo le esigenze di tipo naturalistico..............191

Tabella V.4.4: Individuazione della quantità di detrito complessivamente asportabile inrelazione alle caratteristiche geomorfiche del collettore (modificato da Hungret. al., 1984)..........................................................................................202

Tabella V.5.1: Situazione dei piani di intervento. ............................................................208

Tabella V.6.1: Volume scolmato della galleria Adige-Garda in relazione agli eventi per i qualiè stata attivata.......................................................................................236

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versanti iii

INDICE DELLE FIGURE

Figura V.1.1: Briglia ad andamento rettilineo e curvilineo. .................................................16

Figura V.1.2: Tipologie di briglie filtranti..........................................................................17

Figura V.1.3: Paramento a monte...................................................................................18

Figura V.1.4: Parametri geometrici descrittivi per una briglia. ............................................19

Figura V.1.5: Briglia a doppia gaveta e briglia a gaveta curvilinea.......................................20

Figura V.1.6: Modalità di misura della pendenza dei fianchi della gaveta di una briglia. .........20

Figura V.1.7: Esempio di gaveta anomala. .......................................................................20

Figura V.1.8: Parametri geometrici misurati per le briglie curvilinee. ...................................21

Figura V.1.9: Esempio di opera di presa trasversale..........................................................21

Figura V.1.10: Sezioni trasversali tipo di un’opera di canalizzazione....................................23

Figura V.1.11: Tipo di fondo di un cunettone....................................................................23

Figura V.1.12: Parametri geometrici per un cunettone. .....................................................24

Figura V.1.13: Parametri geometrici descrittivi delle opere spondali. ...................................27

Figura V.1.14: Parametri geometrici misurabili. ................................................................29

Figura V.1.15: Drenaggio superficiale e profondo..............................................................31

Figura V.1.16: Forme planimetriche di piazze di deposito. .................................................33

Figura V.1.17: Parametrici geometrici misurabili per una piazza di deposito. ........................33

Figura V.1.18: Definizione parametri geometrici per le diverse tipologie. .............................35

Figura V.1.19: Parametri geometrici rilevabili per una sezione............................................40

Figura V.1.20: Localizzazione di una zona golenare...........................................................40

Figura V.1.21: Segni per l’individuazione dell’altezza idrometrica massima. .........................40

Figura V.2.1: Portata di piena per bacini di estensione minore di 1000 km2..........................68

Figura V.2.2: Portata di piena per bacini di estensione maggiore di 1000 km2. .....................68

Figura V.2.3: Tempo di ritorno della portata al colmo del F. Brenta a Bassano del Grappa indiverse ipotesi di regolazione del serbatoio del Corlo (da Rinaldo et al., 2002)..84

Figura V.2.4: Diagramma di Shields................................................................................95

Figura V.2.5: Esempio di un sedimentogramma calcolato da un onda di piena: in figura sonorappresentati i volumi che transitano ogni 15’, il calcolo è stato implementatosu intervalli ∆t di 5’. ................................................................................106

Figura V.2.6: Legame funzionale fra i parametri che compaiono nell.eq. 57:rappresentazione dei risultati sperimentali di Hashimoto et al., (1978): trattoda Ghilardi et al. (1996). .........................................................................108

Figura V.2.7: Esempio del risultato di calcolo di un onda di piena da debris flow a partire daun idrogramma liquido ............................................................................109

Figura V.3.1: Trattenimento di materiale vegetale ad opera di pila di ponte. ......................121

Figura V.3.2 Rilevati arginali in corrispondenza di un attraversamento di centri storici.........136

Figura V.3.3: Variazioni trasversali del coefficiente di scabrezza in un alveo naturale ..........142

Figura V.3.4: Esempio di sovralzo all’estradosso di una curva (Leno a Rovereto). ...............147

Figura V.3.5: Effetti erosivi in sponda a monte del ponte di S. Michele all’Adige nel 1966. ...149

Figura V.3.6: Effetto di rigurgito indotto da un ponte. .....................................................150

Figura V.3.7: Classificazione dei metodi di deflusso attraverso un restringimento. ..............151

Figura V.3.8: Coefficienti di forma per le pile dei ponti. ...................................................152

Figura V.3.9: Valori del coefficiente CR in funzione del rapporto di contrazione r [formula diNagler]..................................................................................................153

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Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche

PARTE V: Sistemazione dei corsi d’acqua e dei versantiiv

Figura V.3.10: Andamento della funzione f3 al variare dei parametri α e l/s. ......................155

Figura V.3.11: Riduzione del franco idraulico in corrispondenza di un ponte. ......................157

Figura V.3.12: Schema della pendenza dell’alveo dopo la sistemazione sulla base dellapendenza di compensazione (Armanini, 1995)............................................173

Figura V.3.13: Schema della gaveta di una briglia. .........................................................174

Figura V.3.14: Schema relativo ai fenomeni erosivi a valle di una briglia. ..........................175

Figura V.3.15: Profilo del fondo e del pelo libero (io > iθ > ic): (a) in assenza di deposito;(b) durante il transitorio; (c) a regime.......................................................178

Figura V.4.1: Consistente deposito a monte di un ponte. .................................................192

Figura V.5.1: Situazione dei piani di bacino....................................................................209

Figura V.6.1: Situazione a Trento dopo 13 ore dall’inizio della piena (portata trentennale)...228

Figura V.6.2: Transito in piena del fiume Brenta attraverso l’abitato di Borgo Valsugana. ....231

Figura V.6.3: Lo sviluppo della galleria, dal fiume Adige al lago di Garda. ..........................234

Figura V.6.4: Opera di presa di Mori. ............................................................................234

Figura V.6.5: Sbocco a Torbole. ...................................................................................235