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CONVENZIONE TRA IL DIPARTIMENTO PER LA PROTEZIONE CIVILE E L’ARPA PIEMONTE PER L’ASSISTENZA ALLA GESTIONE DELLE SITUAZIONI DI RISCHIO IDRO-METEOROLOGICO SUL TERRITORIO NAZIONALE Progetto di un sistema informativo meteo-idrologico che integra le risorse osservative e modellistiche a supporto della gestione del rischio per la protezione civile nazionale COMPONENTE VALUTAZIONE DEL RISCHIO SOGLIE PLUVIOMETRICHE VERSIONE LUGLIO 2004

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CONVENZIONE TRA IL DIPARTIMENTO PER LA PROTEZIONE CIVILE E L’ARPA

PIEMONTE PER L’ASSISTENZA ALLA GESTIONE DELLE SITUAZIONI DI RISCHIO

IDRO-METEOROLOGICO SUL TERRITORIO NAZIONALE

Progetto di un sistema informativo meteo-idrologico che integra le risorse osservative e

modellistiche a supporto della gestione del rischio per la protezione civile nazionale

COMPONENTE VALUTAZIONE DEL RISCHIO

SOGLIE PLUVIOMETRICHE

VERSIONE LUGLIO 2004

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INDICE

1 SOMMARIO ..............................................................................................................6

2 ACQUISIZIONE DATI ...............................................................................................7

3 MODELLO STATISTICO ..........................................................................................9

3.1 Sommario ..............................................................................................................9

3.2 Introduzione...........................................................................................................9

3.3 le soglie pluviometriche .......................................................................................10

3.4 il modello concettuale ..........................................................................................11

3.5 Effetti al SUOLO..................................................................................................12

3.6 Le linee segnalatrici di probabilità pluviometrica..................................................14

3.7 APPLICAZIONE DEL VAPI .................................................................................18

3.8 pioggia ragguagliata ............................................................................................20

3.9 individuazione degli indicatori dI stato .................................................................23

3.10 Regione piemonte ...............................................................................................25

3.11 Regione emilia romagna......................................................................................28

3.12 Regione calabria..................................................................................................31

3.13 conclusioni...........................................................................................................33

4 MOVIMENTI FRANOSI...........................................................................................35

4.1 Cenni generali sulla pericolosità per frana...........................................................35

4.2 Frane ad innesco piovoso ...................................................................................40

4.3 Approcci e metodologie .......................................................................................41

4.4 Alcuni casi di applicazione dei modelli.................................................................48

5 ESONDAZIONE......................................................................................................53

5.1 Generalità............................................................................................................53

5.2 Le sezioni critiche e le relative portate di guardia ................................................58

5.3 l’andamento temporale dello ietogramma: effetti sugli idrogrammi di piena ........58

5.4 la Procedura di calcolo delle soglie .....................................................................60

5.5 il sistema di preallerta per il bacino del fiume arno ..............................................61

5.6 Sperimentazione sul bacino del toce ...................................................................63

bibliografia .........................................................................................................................66

Allegato 1...........................................................................................................................68

Allegato 2...........................................................................................................................84

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Allegato 3...........................................................................................................................85

Indice delle figure

Figura 1. Soglia pluviometrica per danni di entità lieve per la stazione di Bognanco (VB).

...................................................................................................................................10

Figura 2. Parametro m per durata di 24 ore. .....................................................................19

Figura 3. Parametro KT relativo al tempo di ritorno di 5 anni e durata di 24 ore................20

Figura 4.Coefficiente di ragguaglio r in funzione dell’area per le diverse durate

considerate. ................................................................................................................21

Figura 5. Estrapolazione dell’altezza di pioggia per durate superiori a 24 ore. .................22

Figura 7. Frequenza cumulata della pioggia di 15 gg prec. all’evento per livello di criticità

grave e danni di estensione areale. ............................................................................24

Figura 8. Frequenza cumulata della pioggia di 15 gg prec. all’evento per livello di criticità

lieve e danni di estensione areale. .............................................................................25

Figura 6. Evento alluvionale del 13/16 ottobre 2000 nel settore nord orientale del

Piemonte. ...................................................................................................................26

Figura 9. Confronto per le varie zone di allerta tra la stima di pioggia areale di durata 6 ore

fornita dallo studio di Brath (e) ed ottenuto con il VAPI (p) .........................................31

Figura 10. Confronto per le varie zone di allerta tra la stima di pioggia areale di durata 24

ore fornita dallo studio di Brath (e) ed ottenuto con il VAPI (p) ..................................31

Figura 9. Schema del modello meccanico-idrologico impiegato (Dietrich & Montgomery

1998). .........................................................................................................................48

Figura 10. Modello empirico basato su soglie di 1° ordine................................................49

Figura 11. Modello empirico basato su soglie di 2° ordine................................................50

Figura 12 Applicazione del modello deterministico sul bacino del Torrente Melezzo........52

Figura 13 Schema per la definizione delle soglie sperimentali di preallarme, dove si

considera l’eventuale franco necessario a rappresentare le incertezze di tipo idraulico.

...................................................................................................................................55

Figura 14 Soglia pluviometrica in funzione (sopra) dello stato iniziale di imbibimento del

bacino sotteso dalla sezione critica, rappresentato dall’indice AMC, e (sotto) del tipo di

ietogramma.................................................................................................................55

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Figura 15 La concettualizzazione del sistema-bacino per la soluzione del problema

inverso. .......................................................................................................................57

Figura 16 Profili di pioggia tipici ........................................................................................59

Figura 17 Effetto della forma dello ietogramma sull’idrogramma di piena inverso. ...........59

Figura 18 Soglie pluviometriche di preallerta per la sezione critica di Subbiano (bacino del

Casentino, fiume Arno). ..............................................................................................61

Figura 19 Sezioni critiche individuate sul corso dell’Arno e su alcuni dei suoi affluenti.....63

Figura 20 Corografia del bacino del Toce ..........................................................................64

Figura 21 Soglie pluviometriche di preallerta per la sezione critica di Candoglia (fiume

Toce). .........................................................................................................................64

Figura 22 Confronto fra le soglie pluviometriche di preallerta idraulica (metodo numerico)

per la sezione critica di Candoglia e le soglie per rischio idrogeologico moderato per

l’area del Toce (metodo semiempirico).......................................................................65

Indice delle tabelle

Tabella 1. Valori della funzione obiettivo per livello di criticità moderata e danni di

estensione puntuale....................................................................................................27

Tabella 2. Valori della funzione obiettivo per livello di criticità moderata e danni di

estensione areale. ......................................................................................................27

Tabella 3. Valori della funzione obiettivo per livello di criticità elevata e danni di estensione

puntuale......................................................................................................................28

Tabella 4. Valori della funzione obiettivo per livello di criticità elevata danni di estensione

areale..........................................................................................................................28

Tabella 5. Valori della funzione obiettivo per livello di criticità moderata e danni di

estensione puntuale....................................................................................................30

Tabella 6. Valori della funzione obiettivo per livello di criticità elevata e danni di estensione

puntuale......................................................................................................................30

Tabella 7. Media dei Mancati Allarmi per danni di estensione puntuale e criticità moderata

...................................................................................................................................32

Tabella 8. Media dei Mancati Allarmi per danni di estensione puntuale e criticità elevata

...................................................................................................................................33

Tabella 9. Tempi di ritorno associati alle soglie pluviometriche.........................................34

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Tabella 10. Classificazione abbreviata delle tipologie di movimento secondo Varnes et al.

(1978) .........................................................................................................................36

Tabella 11. Classi di intensità per le frane in funzione della velocità di movimento,

secondo Cruden e Varnes (1994)...............................................................................38

Tabella 12. Scala di intensità per le frane in funzione del volume mobilizzato, secondo Fell

(1994) .........................................................................................................................39

Tabella 13. Sezioni critiche analizzate nell’ambito del bacino del fiume Arno. ..................62

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1 SOMMARIO

Il Sistema di allertamento si basa sull’individuazione di valori di soglia che un indicatore

quantitativo dello stato idrologico (livello pluviometrico, idrometrico e nivometrico) può

assumere conseguentemente alla realizzazione di uno stato meteorologico favorevole

all’insorgenza del rischio. Una fase molto importante consiste nella definizione dei livelli di

attenzione e delle soglie di allarme che questi indicatori possono assumere, i quali sono

strettamente legati alle condizioni di vulnerabilità del territorio e devono tenere conto degli

scenari di rischio che il sistema si propone di monitorare e prevedere.

Per quanto riguarda le soglie pluviometriche (SP) una prima classificazione viene fatta

rispetto alla valenza spaziale:

• soglie pluviometriche puntuali ovvero significative a scala locale (SPp)

• soglie pluviometriche areali ovvero significative alla scala dell’intera Zone di

Allertamento (SPa)

Per le SPp la durata di interesse va tipicamente da 1 ora a 24 ore, mentre per le SPa si

considerano durate più lunghe fino a 72 ore.

La determinazione delle SP richiede l’analisi di un elevato numero di eventi meteorologici

storici significativi, sufficientemente distribuiti sul territorio, tali da essere corredati da un’

idonea base di dati che preveda almeno la conoscenza di:

• valori di pioggia oraria e giornaliera;

• effetti sul territorio determinatisi in seguito alle precipitazioni sui versanti e sui

corsi d’acqua

A partire dall’elaborazione di tali dati ed informazioni il metodo più facilmente

generalizzabile per determinare le SP è quello statistico che consiste nell’utilizzare modelli

di distribuzione di probabilità che forniscono i valori di pioggia di assegnato tempo di

ritorno. La messa in relazione tra SP e tempo di ritorno va definita sulla base dell’analisi

dei dati di eventi sopra richiamati in termini di causa-effetto.

Un approccio specifico per la determinazione delle SPp associate all’innesco dei

movimenti franosi consiste nella costruzione di relazioni più o meno empiriche delle

variabili precipitazione-durata che dividano il campo di stabilità rispetto a quello di

instabilità. In questo caso è indispensabile conoscere, oltre alla precipitazione in sito

sufficientemente prossimo alla frana, anche l’istante di innesco della frana stessa.

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Per la determinazione delle SPa associate ai fenomeni di esondazione dei corsi d’acqua si

può ricorrere a simulazioni numerica del comportamento dei bacini idrografici attraverso

modelli idrologici e idraulici. In particolare si utilizzano tecniche di modellazione inversa

che, tramite sperimentazione numerica di eventi di pioggia sintetici consentono

l’individuazione dei volumi di precipitazione critica. Questo approccio comporta nella

pratica una duplice attività:a) la determinazione delle portate di guardia nelle sezioni

fluviali di interesse b) l’implementazione di un modello idrologico relativo al bacino di

interesse e la sua taratura attraverso la ricostruzione di alcuni eventi di piena storici.

2 ACQUISIZIONE DATI

Questa attività ha riguardato l’acquisizione dei dati su alcune regioni italiane cercando di

rappresentare i diversi contesti italiani compatibilmente con la disponibilità.

Le categorie dei dati trattati sono:

- dati di pioggia alla scala oraria

- processi di versante

- processi sui corsi d’acqua

Le informazioni raccolte sono state validate ed organizzate in una banca dati informatica.

A livello nazionale il lavoro di archiviazione più completo ed importante riguardante danni

idrogeologici è il progetto AVI (Aree Vulnerate Italiane da frane ed inondazioni) che,

nonostante le numerose limitazioni, dovute alla complessità dell’Italia, alla diversa

sensibilità e conoscenza sia attuale che storica dell'impatto che le frane e le inondazioni

hanno sul territorio ed alle risorse limitate, risulta essere il più completo ed aggiornato

archivio di notizie su dissesti idraulici e geologici avvenuti in questo secolo mai realizzato

nel nostro Paese che viene qui utilizzato nelle regioni in cui non è disponibile una banca

dati organica ed informatizzata a più piccola scala.

Il censimento, condotto fra il 1991 ed il 1992, venne realizzato da 17 gruppi di ricerca che

coinvolsero oltre 300 fra esperti, ricercatori ed operatori tecnici. Durante la fase di

censimento sono stati consultati 22 quotidiani locali, per un totale di oltre 350.000 copie di

giornale; sono state reperite ed analizzate circa 1000 pubblicazioni tecniche e scientifiche;

sono state effettuate interviste a 150 esperti nel settore dei movimenti franosi e delle

inondazioni. Successivamente si è provveduto ad estendere il censimento al periodo 1991

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– 1994 attraverso la lettura sistematica di 55 quotidiani locali, per un totale di oltre 70.000

copie di giornale consultate.

Tutte le notizie censite sono andate a costituire un archivio digitale continuamente

aggiornato che è arrivato a contenere fino al 2001 oltre 22.000 informazioni relative a

frane con 18.500 località colpite ed oltre 7500 informazioni relative ad inondazioni con

12.000 località colpite.

Le schede di censimento del progetto AVI sono anche disponibili su Internet

(http://sici.gndci.pg.cnr.it/) con informazioni di vario genere (amministrative, generali

sull’evento, cartografiche, cause innescanti, morfologiche, geologiche, geotecniche, sui

danni).

Esistono poi banche dati a livello regionale e locale quali il Sistema Informativo Geologico

SIGeo dell’Arpa Piemonte che raccoglie in maniera organica e georiferita le informazioni

inerenti i processi di versante (frane), torrentizi e fluviali (piene) che interessano ed hanno

interessato il territorio piemontese. Altra banca dati è quella della Regione Valle d’Aosta

che dispone di informazioni di estremo dettaglio quali le ore di innesco dei movimenti

franosi.

SIGeo prevede varie raccolte di dati nel campo della prevenzione e previsione dei rischi

naturali. Il Sottosistema “processi ed effetti”, in particolare, si occupa di strumenti finalizzati

alla gestione delle informazioni inerenti i processi di versante, fluviali e torrentizi che

interessano od hanno interessato il Piemonte, in termini tipologici e di effetti e danni

indotti. Il database utilizzato è Oracle - Fortè (gestito dall’applicativo Newgeo), collegato al

GIS Arcview per la gestione della componente grafica.

I dati sono tratti da varie fonti (pubblicazioni, perizie tecniche, articoli di giornale ecc..) e

da rilevamento ed osservazioni dirette dei processi di instabilità naturali in atto.

Il confronto incrociato delle fonti consente la valutazione delle qualità del dato e permette

di cogliere i molteplici aspetti della conoscenza dei processi, quali l’incidenza, la

ricorrenza, la distribuzione e la caratterizzazione.

Sebbene si disponga di notizie di danni a partire dall’inizio del secolo scorso, la difficoltà

nel reperire i dati di pioggia alla scala oraria per gli eventi storici e il notevole cambiamento

della vulnerabilità del territorio avvenuta negli ultimi decenni, ha portato a concentrare

l’attenzione sul periodo che va dal 1990 al 2002.

I dati recuperati sono stati organizzati in un db informatizzato di facile consultazione.

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3 MODELLO STATISTICO

3.1 SOMMARIO

Il sistema di allertamento idro-meteorologico si basa sulla definizione di scenari di rischio e

di livelli di soglia ad essi correlati che vengono utilizzati per la previsione ed il monitoraggio

dell’insorgenza del rischio, le soglie pluviometriche si sono dimostrate essere degli utili

indicatori per il rischio idrogeologico sia localizzato sia alluvionale. L’obiettivo del seguente

lavoro è l’individuazione dei Tempi di Ritorno (TR) che caratterizzano le Linee Segnalatrici

di Possibilità Pluviometrica utilizzabili come soglie pluviometriche puntuali e areali. La

metodologia utilizzata consiste nella back analysis di un vasto campione di eventi storici

adeguatamente distribuiti in alcune Regioni campione per il periodo compreso tra il 1990 e

il 2002, per i quali sono noti sia i dati di precipitazione sia gli effetti sul territorio avvenuti a

seguito delle stesse. L’analisi statistica delle precipitazioni si è basata sulla metodologia

VAPI del CNR-GNDCI. Per tener conto delle condizioni iniziali è stata presa inoltre in

considerazione la precipitazione caduta nei giorni precedenti all’evento e confrontata con

valori soglia normalizzati rispetto alla pioggia media annua.

3.2 INTRODUZIONE

Il rischio idrogeologico ed idraulico comprende sia il rischio alluvionale, legato alle

esondazioni torrentizie e fluviali, sia il rischio di dissesto, di tipo localizzato e/o diffuso.

Esso è valutato in base alla teoria dell’affidabilità (Kottegoda e Rosso, 1997) ed è frutto, in

generale, della composizione di tre variabili aleatorie: la pericolosità naturale, gli elementi

a rischio e la vulnerabilità. Ad essere rigorosi per valutare in modo analitico il rischio, si

dovrebbe ricorrere ad una complessa operazione di convoluzione, in base alla

distribuzione congiunta di probabilità delle tre variabili. In questo lavoro si è proceduto alla

valutazione del rischio ricorrendo a due semplificazioni.

La prima, legata alla scala spaziale regionale che caratterizza lo studio, ipotizza che su un

territorio fortemente antropizzato ed urbanizzato la vulnerabilità e l’esposizione (che

misura gli elementi a rischio) siano omogenee e mediamente elevate. Il processo di

antropizzazione ed urbanizzazione del territorio nazionale infatti, si è fortemente sviluppato

negli ultimi decenni con un incremento continuo di occupazione di aree esposte a rischio e

dei danni in occasione di eventi meteorici intensi. Inoltre l’identificazione di esposizione e

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vulnerabilità è possibile solo scendendo ad una scala locale ed è pertanto demandato alle

amministrazioni territoriali ed in particolare ai Comuni che hanno il compito di gestire a

scala locale i Piani di Protezione Civile (Cipolla e Sebastiani, 2000).

La seconda semplificazione è legata al fatto che la pericolosità può essere valutata solo

alla scala spaziale tipica delle sollecitazioni meteoriche

intense, in funzione dei Tempi di Ritorno che le caratterizzano. Pertanto alla base di

questo studio c’è la suddivisone del territorio in zone di allertamento in cui è possibile

ipotizzare omogenea la pericolosità. Ciò posto, la previsione del rischio per ciascuna delle zone di allertamento si riconduce

alla definizione di soglie pluviometriche a prefissata pericolosità.

Il calcolo della pioggia di assegnato tempo di ritorno è stato condotto su tutte le zone di

allerta italiane, mentre la verifica in termini di mancati e falsi allarme è stata applicata ad

alcune regioni italiane.

3.3 LE SOGLIE PLUVIOMETRICHE

Le soglie pluviometriche (SP) identificano i valori critici di precipitazione al superamento

dei quali sono attesi effetti al suolo; in un piano cartesiano (P,d), in cui P rappresenta la

precipitazione cumulata e d la durata progressiva dell’evento meteorico, le soglie

pluviometriche si rappresentano come una curva che delimita i due possibili stati: al di

sopra la situazione si può considerare potenzialmente critica, al di sotto invece l’evento

meteorico non ha le caratteristiche di intensità tali da innescare uno stato di attenzione.

Nella Figura 1 si riporta a titolo di esempio, la soglia pluviometrica per danni di entità lieve

per la stazione di Bognanco.

Figura 1. Soglia pluviometrica per danni di entità lieve per la stazione di Bognanco (VB).

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Teoricamente è possibile individuare una famiglia di curve le quali definiscono una serie di

stati a pericolosità crescente. Nella stesura di piani operativi di Protezione Civile ci si limita

ad un numero ridotto di livelli di pericolosità (Cipolla e Sebastiani, 2000), ad esempio in

Piemonte si adottano, durante la fase di allertamento solo due situazioni: moderata o

elevata criticità. Da qui l’esigenza di individuare le due relative soglie pluviometriche.

Una ulteriore classificazione delle soglie può essere fatta rispetto alla valenza spaziale: 1)

soglie pluviometriche puntuali (SPp) da riferirsi al punto/stazione e come tali sono

rappresentative dei fenomeni quali frane, attività torrentizia e piene limitatamente al

reticolo idrografico minore; 2) soglie pluviometriche areali (SPa), da intendersi come

precipitazioni ragguagliate all’area a cui si riferiscono, che rappresentano i fenomeni di

piena del corso d’acqua che sottende il bacino considerato.

Un approccio specifico per la determinazione delle SPp associate all’innesco dei

movimenti franosi, consiste nell’identificazione di relazioni tra le variabili precipitazione-

durata che dividono il campo di stabilità rispetto a quello di instabilità a partire da eventi

franosi in cui sia nota la precipitazione e l’ora di innesco.

Per la determinazione delle SPa associate ai fenomeni di esondazione dei corsi d’acqua si

può ricorrere a simulazioni numeriche: si parte da un modello idrologico del suolo che

simula i processi fisici che determinano la risposta del bacino preso in considerazione.

Tale modello viene tarato e validato sulla base delle informazioni idrometriche e

pluviometriche disponibili in sezioni di controllo e successivamente è utilizzato per

risolvere il “problema idrologico inverso”, ovvero la valutazione delle precipitazioni in grado

di generale la portata al colmo critica (Rosso, 2002).

3.4 IL MODELLO CONCETTUALE

Un metodo semplificato per determinare le SP è quello che consiste nell’utilizzare modelli

di distribuzione di probabilità che forniscono i valori di pioggia di assegnato tempo di

ritorno. La messa in relazione tra SP e tempo di ritorno va definita sulla base dell’analisi

dei dati di eventi storici in termini di causa-effetto.

Il modello adottato per la determinazione delle SP finalizzate all’allertamento a scala

regionale, è così formulato:

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( )IATRdfSP H ,,,= (1)

dove: d è la durata della precipitazione, TRH è il tempo di ritorno relativo a ciascun livello di

pericolosità H, A è l’estensione areale dei processi attesi e infine I è l’indicatore dello stato

idrologico.

Il modello adottato per la determinazione delle SP è un modello concettuale all’interno del

quale il tempo di ritorno TR rappresenta il parametro di taratura. Esso deve essere

ricavato in modo da minimizzare il numero dei mancati allarmi e dei falsi allarmi tenendo

conto che un aumento del TR, con corrispondente aumento della soglia, si traduce in un

aumento dei mancati allarme a fronte della riduzione dei falsi allarme, e viceversa. Nel

presente lavoro è stato definito mancato allarme (MA) la situazione in cui a fronte di un

danno, la precipitazione associata non supera la soglia pluviometrica mentre è stato

definito falso allarme (FA) il verificarsi del superamento della soglia senza alcun effetto sul

territorio.

Il TR ottimale risulta essere quello per il quale la funzione obiettivo Φ definita dalla

seguente relazione:

( ) ( )TRTR FApMAp ∗+∗=Φ 21 (2)

assume il valore minimo.

La scelta dei pesi p1 e p2 della funzione obiettivo assume un aspetto particolarmente

delicato in quanto legata a valutazioni non propriamente di natura tecnica ma piuttosto

socio-economiche, infatti un MA determina un ritardo nell’attivazione delle procedure di

emergenza e quindi una riduzione dell’efficacia delle azioni di salvaguardia per i beni e

soprattutto per la pubblica incolumità (Castelli e Becchi, 1998). Un FA al contrario non

comporta un danno diretto, ma comunque un costo “sociale” legato all’attivazione di livelli

di operatività delle strutture di protezione civile e contribuisce a diminuire l’efficacia

dell’allertamento.

3.5 EFFETTI AL SUOLO

L’approccio seguito per la determinazione delle soglie pluviometriche è quello della back

analysis. E’ riconosciuto, a livello di indirizzo generale, che l’indagine storico retrospettiva

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degli eventi e dei danni avvenuti in un determinato territorio costituisce un’ottima base per

la definizione e la mappatura del rischio.

I processi naturali sono stati suddivisi in funzione della causa associata in due insiemi:

puntuali (frane, attività torrentizia, reticolo idrografico secondario) e areali (piene), ed in

funzione dell’entità del danno, associato in due livelli di criticità definiti nel sistema di

allertamento: lievi e gravi.

Sono stati considerati danni lievi quelli relativi a danneggiamenti modesti alle opere, alle

infrastrutture e le occupazioni di aree agricole: ad essi si associano soglie di pericolosità

media. Sono stati considerati gravi, invece, i casi di consistenti o diffusi danneggiamenti

oppure distruzioni di edifici, strade, opere idrauliche, ponti, infrastrutture o ancora casi di

perdite di vite umane dovute alla magnitudo dell’evento e ad essi si abbinano soglie di

elevata pericolosità.

Dopo aver selezionato gli eventi significativi si è proceduti con la caratterizzazione

pluviometrica dell’evento. Ad ogni danno sono state abbinate una o più registrazioni

pluviometriche con l’obiettivo di individuare i TR caratteristici delle precipitazioni che hanno

causato i singoli danni. Dall’insieme di tutte le segnalazioni disponibili per il periodo

analizzato, sono poi stati considerati solo i fenomeni direttamente riconducibili alle

precipitazioni.

I dati di monitoraggio pluviometrici, nivometrici, termometrici ed idrometrici rappresentano

la base fondamentale per un’efficace ed efficiente valutazione del livello di criticità

idrogeologico del territorio. A seguito dell’elevata frequenza con cui il Piemonte viene

colpito da eventi alluvionali, a partire dalla fine degli anni ottanta è stata implementata una

rete meteoidrografica che si è via via accresciuta ed attualmente conta oltre 250 punti di

misura della precipitazione corrispondente ad una densità media di rilevamento di 1

stazione ogni 100 km2. I dati registrati dalle stazioni di rilevamento in telemisura presenti

sul territorio confluiscono in tempo reale al Centro Funzionale, successivamente vengono

validati e inseriti nella Banca Dati Meteorologica da cui sono stati estratti per le

elaborazioni del presente studio.

Per quanto riguarda i danni puntuali, la scelta delle stazioni di pioggia rappresentative per

il fenomeno si è basata sulla distanza, sulla quota planimetrica e sull’assenza di rilievi

orografici di separazione. I casi in cui non è stato possibile disporre del dato di pioggia in

un intorno significativo dell’area coinvolta, sono stati scartati dalle successive analisi. Per

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

14

quanto riguarda gli eventi di piena sono state utilizzate tutte le stazioni di pioggia presenti

in posizione utile per la determinazione del volume di afflusso al bacino idrografico.

3.6 LE LINEE SEGNALATRICI DI PROBABILITÀ PLUVIOMETRICA

Per la determinazione delle Linee Segnalatrici di Probabilità Pluviometriche si sono

utilizzati i risultati ottenuti dai rapporti VAPI (Valutazione delle Piene in Italia 2000)

sviluppati per tutta l’Italia seppure con disomogeneità di applicazione. La procedura VAPI

è stata messa a punto dalla Linea di Ricerca sulla Previsione e Prevenzione dagli eventi

ideologici estremi (Linea 1) del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi

Idrogeologiche (GNDCI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).

Essa fra i diversi risultati, fornisce una base statistica che consente l’individuazione dei

Tempi di Ritorno associati alle altezze massime di precipitazione di durata pari a 1, 3, 6,

12 e 24 ore su tutto il territorio.

Il Rapporto VAPI è utilizzabile da ricercatori e tecnici operanti sul territorio come guida per

comprendere i fenomeni coinvolti nella produzione delle portate di piena naturali e per

effettuare previsioni sui valori futuri delle piene in una sezione di un bacino naturale con il

minimo possibile di incertezza. A tal fine occorre tener presente che le principali fonti di

incertezze derivano essenzialmente da due fattori:

• ci sono eventi estremamente intensi con caratteristiche di rarità in ogni sito e di

aleatorietà per quel che riguarda il sito stesso ove esse potranno verificarsi nel

futuro, sicché il fatto che in un punto eventi straordinari di tale tipo non si siano

verificati storicamente, non è garanzia di sicurezza che non se ne verificheranno nel

futuro; in realtà occorre stimare quale è il rischio idrologico che si verifichi una piena

estrema in ogni punto del territorio;

• i dati idrometrici diretti a disposizione sono pochi e sparsi, con bassa densità sul

territorio, essi mostrano una grande variabilità dei valori delle piene indice

(solitamente il valor medio) osservati da sito a sito. Questo fa si che in un punto

qualsiasi del territorio, la stima dei valori delle piene future si presenta incerta non

solo per la valutazione del rischio di un evento estremo, ma anche per la

valutazione del valore indice.

L’intero territorio italiano è stato suddiviso in 9 Compartimenti:

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

15

• Parma e Genova

• Triveneto

• Roma e Pescara

• Campania

• Puglia

• Basilicata

• Calabria

• Sicilia

• Sardegna.

Il processo metodologico è comune a tutti i compartimenti e consta dei seguenti step:

a) raccolta della base di dati pluviometrici: indicando con X il massimo annuale di una

delle grandezze idrologiche di interesse, ad esempio le portate di piena al colmo Q o le

altezze di pioggia di durata d, h(d), e con XT il valore massimo di X corrispondente ad

un prefissato periodo di ritorno T in anni, si pone:

( )xmKx TT ∗= (3)

ove:

KT è il fattore probabilistico di crescita, costante su ampie aree omogenee ed m(x) è la

media della distribuzione dei massimi annuali della variabile X (pioggia indice);

b) stima degli eventuali livelli di regionalizzazione: l’identificazione delle sottozone viene

effettuata, in genere, facendo riferimento all’informazione idrologica più diffusamente

disponibile sul territorio italiano, sia in termini di densità spaziale che di stazioni di

misura e di numerosità campionaria delle serie storiche, ovvero le altezze di

precipitazione giornaliere, rilevate dalle stazioni pluviometriche. In particolare nel primo

livello di regionalizzazione si ipotizza che il coefficiente di asimmetria Λ* delle serie dei

massimi annuali delle piogge di assegnata durata sia costante in una regione molto

ampia. Il secondo livello di regionalizzazione riguarda l’individuazione di sottozone

omogenee all’interno della zona di primo livello, per esse si mantengono costante sia il

valore del coefficiente di asimmetria che il valore del coefficiente di variazione della

legge teorica. Ciò vorrà dire che per tutte le serie campionate i valori dei parametri Λ*,

Θ* devono essere costanti. Il terzo livello di regionalizzazione prevede la ricerca di

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16

relazioni regionali tra il parametro centrale della distribuzione di probabilità e le

grandezze geografiche (altitudine, distanza dal mare, ecc) relative al sito di misura;

c) individuazione del modello probabilistico.

Per la realizzazione del Rapporto Vapi si è fatto ricorso a due distribuzioni, la TCEV e la

GEV, quest’ultima usata solo per il compartimento di Parma e Genova.

La peculiarità del modello Two Component Extreme Value elaborato da Rossi et al.

(1982), noto anche con l’acronimo di TCEV è quella di tradurre in termini statistici la

differente provenienza degli estremi idrologici riconducendosi formalmente al prodotto di

due funzioni di probabilità di tipo Gumbel: la prima denominata componente base assume

valori non elevati ma frequenti, mentre la seconda genera eventi più rari ma mediamente

più rilevanti (componente straordinaria).

La legge di distribuzione TCEV ha come espressione generale:

( ) ( )*/*/11*1

Θ−Θ− ΛΛ−Λ−=hh ee

H ehFηη

(4)

Il periodo di ritorno, definito come l'intervallo medio di tempo (generalmente numero medio

di anni) all'interno del quale un evento di precipitazione può essere eguagliato o superato,

è esprimibile mediante la seguente espressione:

( )( )hF

TH−

=1

1 (5)

la quale lega, per l’appunto, il tempo di ritorno e la probabilità di non superamento FH(h).

Nelle approssimazioni è possibile far riferimento ad un’espressione più semplificata, del

tipo:

LnTLnLnKT ηηη

*1** Θ+

Λ+

ΛΘ=

(6)

La presenza dei parametri conferisce al modello probabilistico TCEV caratteristiche di

maggior flessibilità e ciò migliora l’adattamento alle singole serie, tuttavia si presentano

difficoltà connesse al metodo di stima dei parametri. Per ridurre l’incertezza si utilizza la

procedura di regionalizzazione nella fondata convinzione che le stime regionali dei

parametri, proprio perché condotte con un notevole numero di dati, sono più affidabili di

quelle ottenute da singole serie. Più sinteticamente fare una stima regionale dei parametri

vuol dire utilizzare tutti i dati storici rilevati all’interno della regione idrologica presa in

considerazione.

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17

In particolare, per i parametri di ordine più elevato (forma e scala), si analizzano ampie

regioni che si suppongono omogenee. Le analisi svolte nella Valutazione delle Piene

hanno evidenziato che, qualunque sia la durata delle precipitazioni, da 5 minuti a 5 giorni,

quasi ovunque tali parametri sono unici e non si può rigettare l'ipotesi che le corrispondenti

regioni siano omogenee a tale livello, per cui i parametri di forma e di scala assumono

valore unico non solo con le durate ma anche da sito a sito nella regione. Le stesse

conclusioni valgono sia per i massimi annuali delle portate al colmo, sia per i massimi

annuali delle portate medie per durate comprese fra 0.5 ore e 5 giorni. Tali conclusioni

portano a dire che il rapporto fra il valore con generico rischio di una variabile ed il valore

indice (o media), detto coefficiente probabilistico di crescita, assume una legge di

variazione con il rischio unica per l'intera regione.

Nel rapporto regionale del Compartimento di Parma e Genova è stato preso in esame il

bacino del Po chiuso a Pontelagoscuro e i bacini liguri con foce sul litorale tirrenico.

Ipotizzando inutile l’identificazione di sottozone pluviometriche omogenee in relazione alla

distribuzione di probabilità cumulata delle piogge da 1 a 24 ore consecutive, si è utilizzata

la Distribuzione Generalizzata del Valore Estremo GEV.

Per ogni stazione presa in considerazione sono stati calcolati i parametri di forma k, di

scala, α, e di posizione ε, della GEV:

( )

−−−

=

κε

α

1

1

)(xk

X exF

(7)

Il fattore di crescita è esprimibile mediante la:

( )TkyT e

kK −−+= 1αε (8)

dove yT indica la variabile ridotta di Gumbel pari a:

−−=

1lnln

TTyT

(9)

e sostituendo questa nell’espressione del KT si ottiene:

−+=

−1lnln

1 TTk

T ek

K αε (10)

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18

L’altezza di pioggia cumulata è legata al fattore di crescita KT tramite la seguente

equazione:

TT Kdmdh )()( = (11)

dove m(d) è il valore atteso dell’altezza di pioggia massima annuale caduta in d ore

consecutive.

I rapporti dei vari compartimenti sono riportati nell’allegato 1.

3.7 APPLICAZIONE DEL VAPI

La raccolta dei vari rapporti e la loro unificazione è stata condotta dal Centro

Interuniversitario di Monitoraggio Ambientale di Savona nell’ambito del programma di

ricerca avviato nel 2002 dal GNDCI dal titolo “soglie pluviometriche per allerta

meteorologica” e resa disponibile per il presente studio.

Le informazioni disponibili sono le mappe a copertura nazionale relative al coefficiente di

crescita KT(d) e all’altezza di pioggia m(d) per le durate di 1, 3, 6, 12, e 24 ore ed utilizzate

per i tempi di ritorno di 2, 5, 10 e 20 anni.

Riassumendo le matrici a disposizione sono:

Durata (ore) T = 2 anni T = 5 anni T = 10 anni T = 20 anni

1 K2(1) K5(1) K10(1) K20(1)

3 K2(3) K5(3) K10(3) K20(3)

6 K2(6) K5(6) K10(6) K20(6)

12 K2(12) K5(12) K10(12) K20(12)

24 K2(24) K5(24) K10(24) K20(24)

Nella Figura 2 si può osservare la distribuzione della pioggia indice per la durata 24 ore e

nella Figura 3 è riportato il coefficiente di crescita K5(24).

Dai valori puntuali di tali indici si è calcolata la media sulle aree di allertamento di prima

ipotesi.

Per calcolare l’altezza puntuale di precipitazione massima hpT per ogni zona di

allertamento, relativa ai diversi tempi di ritorno e alle differenti durate si è quindi calcolato:

)()()( dKdmdhp TT = (12)

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19

Figura 2. Parametro m per durata di 24 ore.

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

20

Figura 3. Parametro KT relativo al tempo di ritorno di 5 anni e durata di 24 ore.

3.8 PIOGGIA RAGGUAGLIATA

Per il calcolo dell’altezza di precipitazione areale bisogna considerare che con l’aumentare

della superficie, diventano non trascurabili le caratteristiche della scala di evoluzione

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21

spaziale dell’evento di pioggia e diventa necessario considerare un fattore di ragguaglio

areale che trasformi la stima puntuale in areale. Nell’estendere l’analisi della precipitazione

misurata dal punto stazione all’area si è utilizzato il metodo proposto da Eagleson del U.S.

National Weather Service nel quale il coefficiente di ragguaglio r, anche detto fattore di

riduzione areale ARF, è espresso nella forma seguente (Eagleson, 1972):

)01.01.1()1.1( 4/14/11 Add eer −−− +−= (13)

dove d è la durata espressa in ore e A è l’area espressa in Km2.

La Figura 4 mostra, per le diverse durate esaminate, l’andamento del coefficiente di

ragguaglio con l’area da cui si osserva che per aree superiori a 500 km2 r è pressoché

costante rispetto all’area.

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1,0

1,1

0 100 200 300 400 500 600

area (km^2)

r

d=1h

d=72h

Figura 4.Coefficiente di ragguaglio r in funzione dell’area per le diverse durate

considerate.

Introducendo la formula di ragguaglio, l’espressione del calcolo dell’altezza di

precipitazione massima areale, specificato per le durate da 1 a 24 ore, diventa:

)()()()( drdKdmdha TT = (14)

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22

Mentre per le SPp le durate di pioggia rappresentative dei fenomeni che si considerano

vanno tipicamente da 1 a 24 ore, per le Spa si considerano anche durate di più giorni in

funzione della dimensione dell’area considerata; per il presente studio le durate indagate

vanno da 6 a 72 ore.

L’estensione alle durate superiori alle 24 ore è stata calcolata estrapolando i valori per le

durate note attraverso una legge di potenza nella forma:

nT addha =)( (15)

Nella Figura 5 è riportato un esempio della LSPP areale per un’area di allertamento fino a

72 ore.

0

50

100

150

200

250

0 20 40 60 80

d [ore]

h [m

m] T=2

T=5T=10T=20

Figura 5. Estrapolazione dell’altezza di pioggia per durate superiori a 24 ore.

Sono quindi state calcolate le altezza di pioggia puntuale hpT e areale haT per le diverse

durate ed i differenti tempi di ritorno considerati, relative ad ogni zona di allertamento. I

valori calcolati sono riportati in allegato.

Nell’ambito dei rapporti stretti con i centri Funzionali regionali per lo sviluppo delle attività

previste dalla convenzione, è stato acquisito uno studio commissionato dalla Regione

Emilia Romagna al prof. Brath nel quale è proposta una relazione di riduzione della

pioggia con l’area ottenuta dall’U.O. del GNDCI della Facoltà di Ingegneria dell’Università

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23

di Bologna per il bacino del Fiume Reno. I valori dell’ ARF a parità di durata e di area

risultano essere inferiori alla (13) con massimo scostamento per le brevi durate. In allegato

si riportano i valori di ARF di Eagleson e di Brath.

3.9 INDIVIDUAZIONE DEGLI INDICATORI DI STATO

Per tener conto della dipendenza dei processi idrologici dallo stato del sistema ovvero dal

grado di saturazione dei suoli si è fatto riferimento ad un indice indiretto quale la

precipitazione avvenuta nei giorni precedenti l’evento.

Per quanto riguarda i processi di tipo puntuale si è fatto ricorso alla formulazione di Moser

(1983) ricavata per le Alpi austriache e ripresa da Cancelli e Nova nelle Alpi valtellinesi

(1985) estendendola all’area in studio attraverso l’applicazione di un fattore di

normalizzazione:

( )( ) NDI ∗∗= − 78.066.44 (16)

dove I è l’intensità di pioggia espressa in mm/h, D la durata espressa in ore ed N il fattore

di normalizzazione pari al rapporto tra la pioggia media annua dell’area in esame e quella

dell’area in cui è stata ottenuta la relazione.

Tale formulazione di natura empirica, ha una validità generale e separa il campo di

stabilità da quello dove è alta la probabilità dei fenomeni franosi. Sebbene sia stata

determinata con riferimento a frane, l’esperienza ha dimostrato spiegare in maniera

soddisfacente anche altri fenomeni legati alle dinamiche torrentizie.

Essa è stata utilizzata per definire la quantità di pioggia precedente all’evento da

considerare critica per la categoria dei fenomeni qui definiti puntuali; l’analisi di sensitività

ha messo in evidenza che la massima pioggia cumulata da 1 a 15 giorni rappresenta

l’indicatore maggiormente rappresentativo.

Per ogni evento caratterizzato da danni puntuali sono stati analizzati i valori delle

precipitazioni di intensità massima considerando le aggregazioni temporali di 1, 3, 6, 12 e

24 ore. Questi valori hanno consentito il calcolo dei tempi di ritorno delle LSPP ottenute

con il VAPI.

Per gli eventi storici di piena sono stati individuati i bacini idrografici interessati: per ogni

bacino sono stati quindi calcolati i valori della precipitazione ragguagliata media per le

durate superiori a 6 ore e calcolati i corrispondenti tempi di ritorno.

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24

Per tenere conto delle dinamica dello stato del suolo alla scala di bacino, per ciascuno di

essi è stata calcolata la pioggia cumulata di 5, 10, 15, 20, 25 e 30 giorni precedenti alla

segnalazione dei danni e la pioggia media annua.

Il rapporto tra i suddetti valori ha permesso di individuare un valore di soglia per ogni

bacino che delimita due possibili stati: situazione critica al di sopra e situazione di

attenzione al di sotto. Come si può notare (Figura 6 e Figura 7) dai grafici della funzione

di frequenza cumulata della pioggia di 15 giorni precedenti, in entrambi i casi – sia per

danni areali di entità lieve che grave – essa manifesta un flesso ben marcato per il valore

della pioggia precedente prossima all’8% della pioggia media annua.

Tale valore di soglia è stato utilizzato per calcolare il numero di mancati allarme.

00.1

0.20.3

0.40.50.6

0.70.8

0.91

0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% 45%

Pioggia cumulata di 15 gg prec / P.m.a.

Freq

uenz

a cu

mul

ata

Figura 6. Frequenza cumulata della pioggia di 15 gg prec. all’evento per livello di criticità

grave e danni di estensione areale.

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25

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% 45%

Pioggia cumulata di 15 gg prec / P.m.a.

Freq

uenz

a cu

mul

ata

Figura 7. Frequenza cumulata della pioggia di 15 gg prec. all’evento per livello di criticità

lieve e danni di estensione areale.

3.10 REGIONE PIEMONTE

L’analisi per il Piemonte è stata condotta utilizzando le informazioni reperite nella banca

dati dei dissesti Si-Geo (Sistema Informativo Geologico), dal 1990 al 2002 ed i dati

pluviometrici della rete meteoidrografica regionale (densità attuale 1 pluviometro ogni 100

km q).

Per ciascun evento considerato sono stati ubicati su base cartografica i danni ed i

pluviometri di riferimento: nella Figura 8 si riporta un esempio della cartografia prodotta.

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

26

Figura 8. Evento alluvionale del 13/16 ottobre 2000 nel settore nord orientale del

Piemonte.

Al fine di individuare la funzione obiettivo (2) di tutti gli eventi, sono stati conteggiati i

mancati e i falsi allarme per diversi tempi di ritorno. Non sono stati considerati mancati

allarme i casi con:

• precipitazione precedente l’evento critica e TR superiore a 2 anni per i danni lievi e

5 anni per quelli gravi;

• altri pluviometri che hanno superato la pioggia di assegnato TR ricadenti nella

stessa zona di allertamento.

Per valutare i falsi allarme per le SPp, sono stati conteggiati i superamenti registrati da

tutte le stazioni pluviometriche raggruppate per aree di allertamento rispetto alle piogge

con TR pari a 2, 5, 10 e 20 anni per le durate 1, 3, 6, 12 e 24 ore. Per quanto riguarda le

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

27

SPa, sono state calcolate le piogge ragguagliate ai bacini idrografici dello stesso periodo e

conteggiati i superamenti rispetto alle piogge con TR pari a 2, 5, 10 e 20 anni per le durate

6, 12 e 24 ore. I superamenti così ottenuti sono poi stati raggruppati per aree di

allertamento e per evento e sono stati considerati FA quelli per i quali non sono stati

rilevati danni.

La scelta dei pesi p1 e p2 della funzione obiettivo, come detto, è legata a valutazioni di tipo

socio economiche, ed in ogni caso è logico ipotizzare p1>p2 in quanto un mancato allarme

comporta ripercussioni certamente più pesanti di un falso allarme. E’ quindi stato calcolato

l’andamento della funzione obiettivo per diversi valori del rapporto p2/p1. Nelle tabelle 1 e 2

è riportata la funzione obiettivo per diversi valori del rapporti p2/p1 compresi tra 0.4 e 0.1,

rispettivamente associati a danni di entità lieve e danni gravi.

p2/ p1 TR (anni)

Media annua FA

Media annua MA 0.4 0.3 0.2 0.1

2 63 1.8 27 20 14 8

5 44 5.9 23 19 14 10

10 37 6.7 22 18 14 10

20 33 7.8 21 17 14 11

Tabella 1. Valori della funzione obiettivo per livello di criticità moderata e danni di

estensione puntuale.

p2/ p1 TR

(anni)

Media

annua FA

Media

annua MA 0.4 0.3 0.2 0.1

2 27.5 0.5 12 9 6 3

5 14 2.4 8 7 5 4

10 9 2.9 7 6 5 4

20 6 3.8 6 6 5 4

Tabella 2. Valori della funzione obiettivo per livello di criticità moderata e danni di

estensione areale.

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28

p2/ p1 TR (anni)

Media annua FA

Media annua MA 0.4 0.3 0.2 0.1

5 44 0.7 18 14 10 5

10 37 0.8 16 12 8 5

20 33 0.9 14 11 8 4

Tabella 3. Valori della funzione obiettivo per livello di criticità elevata e danni di estensione

puntuale.

p2/ p1 TR (anni)

Media annua FA

Media annua MA 0.4 0.3 0.2 0.1

5 14 1.6 6 5 3 2

10 9 2.2 5 4 3 3

20 6 3.6 5 4 3 3

Tabella 4. Valori della funzione obiettivo per livello di criticità elevata danni di estensione

areale.

3.11 REGIONE EMILIA ROMAGNA

Per l’Emilia Romagana è stato utilizzato il progetto AVI (Aree Vulnerate Italiane da frane

ed inondazioni) in quanto è risultato essere l’unico archivio di dissesti idraulici e geologici

organico disponibile.

I dissesti sono stati classificati in base alla causa scatenante in due gruppi: areali (piene) e

puntuali (frane, attività torrentizia, reticolo idrografico secondario).

In prima analisi sono state individuate nell’archivio dell’Avi circa 450 frane e circa 40 eventi

di estensione areale avvenuti tra il 1991 e il 2000.

Successivamente, analizzando con maggior precisione le informazioni riportate in

ciascuna scheda AVI, tutte quelle che non presentavano dettagli né risultavano esaurienti

sulle cause scatenanti, sul tipo di movimento e di terreno coinvolto, sulla tipologia ed entità

dei danni non sono più state prese in considerazione per la back analysis.

Sono state altresì eliminate tutte le schede AVI i cui danni sono conseguenze di

riattivazioni di vecchie frane, di crolli in roccia e di sisma: ciò ha portato in definitiva

all’utilizzo del solo 60% delle schede inizialmente selezionate.

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29

Per individuare la caratterizzazione pluviometrica degli eventi si è proceduti

all’abbinamento dei pluviometri ai danni e alla scelta dei periodi per il quale far richiesta

dei dati di pioggia al fine di calcolare i Tempi di Ritorno caratteristici delle precipitazioni

che hanno causato i singoli danni. Sono stati richiesti i dati pluviometrici di circa 150

stazioni pluviometriche facenti parte del Compartimento di Parma e di Bologna dal 1990 al

2000 ma non per le tutte le stazioni i dati risultavano completi.

Ad ogni danno segnalato sono state abbinate una o più registrazioni pluviometriche per un

totale di 98 pluviometri di cui l’80% significativo per danni di entità moderata e il 20% significativo per danni di entità elevata.

Di essi sono state calcolate sia le altezze di pioggia per durate pari a 1, 3, 6, 12 e 24 ore

registrate durante i giorni dell’evento meteorico, sia le cumulate giornaliere fino a 15 giorni

precedenti all’inizio dello stesso.

In prima analisi la maggior parte delle precipitazioni registrate presentavano delle linee

segnalatrici minori di 2 anni e per essi è stato ripetuto il calcolo considerando delle altezze

di precipitazione pari al 70 % delle altezze registrate durante l’evento.

Per tener conto della dipendenza dei processi idrologici dallo stato del sistema ovvero dal

grado di saturazione dei suoli si è proceduti all’analisi delle piogge pregresse facendo

ricorso alla formulazione di Moser, ripresa poi da Cancelli e Nova al fine di individuare il

numero di Mancati Allarme.

Per ogni pluviometro è stato verificato il superamento o non superamento, della massima

pioggia cumulata di 15 giorni precedenti all’evento, della soglia proposta da Cancelli.

Quest’ultima è stata calcolata per ciascun pluviometro ritenuto significativo, nota la pioggia

media annua i cui valori sono stati ricavati dalla “Carta della Precipitazione media annua in

Italia per il trentennio 1921-1950”.

Per poter calcolare la funzione obiettivo definita sempre come:

( ) ( )TRTR FApMAp ∗+∗=Φ 21 (2)

sono stati calcolati i Falsi Allarme a partire dai superamenti puntuali di circa 150 stazioni

pluviometriche ubicate sul territorio emiliano per il periodo compreso tra il 1991 e il 2000

per le durate di 1, 3, 6, 12 e 24 ore e per Tempi di ritorno pari a 20, 10, 5, 2 ed inoltre per il

70% di 2 anni. La scelta dei pesi p2 e p1 è esattamente identica a quella fatta per gli eventi

che hanno colpito la Regione Piemonte e il rapporto p2 /p1 varia da 0.1 a 0.4.

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30

Nelle Tabella 5 e Tabella 6 si riportano i risultati ottenuti:

p2/ p1 TR

(anni)

Media

annua FA

Media

annua MA 0.4 0.3 0.2 0.1

2 48.6 1.8 21 16 11 7

5 22.1 4.6 13 11 9 7

10 11.7 5.4 10 9 8 7

20 7.2 6 9 8 7 7

Tabella 5. Valori della funzione obiettivo per livello di criticità moderata e danni di

estensione puntuale.

p2/ p1 TR

(anni)

Media

annua FA

Media

annua MA 0.4 0.3 0.2 0.1

5 22.1 1 10 8 5 3

10 11.7 1.3 6 5 4 2

20 7.2 1.4 4 4 3 2

Tabella 6. Valori della funzione obiettivo per livello di criticità elevata e danni di estensione

puntuale.

È immediato notare come il massimo valore della media annua dei Falsi Allarme si ottiene

per un tempo di ritorno pari a 2 anni ma esso si dimezza per Tr =5 anni e ulteriormente

per TR=10 anni.

Il valore medio dei mancati allarme è piuttosto stabile per danni di entità lieve tra 5 e 20

anni mentre nel caso di danni caratterizzati da livello di criticità elevata esso comincia ad

essere significativo per Tr maggiore o uguale a 5 anni.

La funzione obiettivo calcolata per danni di estensione puntuale e criticità moderata

(Tabella 5) è minima per rapporto p2/p1 pari a 0.1, esattamente come verificato anche per

la stessa tipologia di danni avvenuti in Piemonte.

Analizzando i risultati della funzione obiettivo dei danni puntuali caratterizzati da criticità

elevata, per qualsiasi scelta di TR tra 5 e 20 anni la Φ è minima sempre per rapporto p2/p1

pari a 0.1.

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Invece facendo variare il rapporto p2/p1 tra 0.4 e 0.1, la funzione è minima sempre per

TR=20 anni.

Infine si è proceduto a verificare le differenze delle piogge di assegnato TR ottenute con il

VAPI e le piogge ottenuto dallo studio commissionato dalla Regione Emilia Romagna al

prof. Brath sopra citato.

Utilizzando il fattore ARF proposto da Brath, si può notare (cfr. Figura 9 e Figura 10) che

le differenze tra i due metodi statistici sono molto modeste.

Figura 9. Confronto per le varie zone di allerta tra la stima di pioggia areale di durata 6 ore

fornita dallo studio di Brath (e) ed ottenuto con il VAPI (p)

Figura 10. Confronto per le varie zone di allerta tra la stima di pioggia areale di durata 24

ore fornita dallo studio di Brath (e) ed ottenuto con il VAPI (p)

3.12 REGIONE CALABRIA

Anche per la Calabria si è consultato il Progetto AVI (Aree Vulnerate Italiane da frane ed

inondazioni) . Sono state selezionate circa 450 schede di danni di estensione puntuale

avvenuti tra il 1990 e il 2001. Alcune di queste non riportano informazioni sufficienti a

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32

classificare il danno e altre invece annoverano tra le cause sisma, mareggiate, filtrazioni,

fenomeni di saturazione e crollo di massi e rocce per cui non sono state ritenute

significative per l’analisi.

Di conseguenza scartando le schede sopra citate, si è potuto contare su appena 300

schede AVI di cui l’80 % rappresentativo per danni di criticità moderata e il 20% di criticità

elevata. Ad ognuna di esse sono state abbinate una o più stazioni pluviometriche e

individuati i periodi per i quali fare la richiesta delle precipitazioni registrate durante

l’evento. Le altezze di precipitazione di durata 1, 3 , 6, 12 e 24 ore sono stati forniti dal

Centro Funzionale di Catanzaro.

In definitiva i pluviometri ritenuti significativi per danni con estensione puntuale e per i quali

si è proceduti all’identificazione degli indicatori dello stato del sistema ovvero dei grado di

saturazione dei suoli sono 18 per danni di elevata criticità e 64 di moderata criticità.

I risultati sono riportati nelle Tabella 7. Media dei Mancati Allarmi per danni di estensione

puntuale e criticità moderata e Tabella 8. Media dei Mancati Allarmi per danni di

estensione puntuale e criticità elevata.

TR (anni) Media Annua M A

2 1

5 2.5

10 3.5

20 3.7

Tabella 7. Media dei Mancati Allarmi per danni di estensione puntuale e criticità moderata

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TR (anni) Media Annua M A

5 0.8

10 0.9

20 1.1

50 1.1

Tabella 8. Media dei Mancati Allarmi per danni di estensione puntuale e criticità elevata

Nella Tabella 7 appare evidente che per danni di tipo puntuale e caratterizzati da entità

moderata, nel passare da una soglia di 2 anni a 5, il numero medio annuo di mancati

allarme è più che raddoppiato, mentre è quasi identico nel passare da 10 a 20 anni.

Invece per danni caratterizzati da entità grave, il valore medio dei mancati allarme oscilla

tra 0.8 e 1.1 passando da una soglia di 5 a una di 50 anni.

3.13 CONCLUSIONI

I risultati ottenuti per gli eventi caratterizzati da danni di entità lieve indicano che il numero

medio annuo di FA è particolarmente elevato per TR=2 anni, mentre al crescere di TR non

sono più trascurabili i MA (soprattutto per Tr>5 anni). Se il rapporto p2/p1 è pari a 0.1, la

funzione Φ è minima per TR=2 anni, mentre per valori maggiori di tale rapporto si ritiene

prudente assumere TR=5 anni.

Per gli eventi associati a danni gravi corrispondenti ad uno scenario di elevata criticità, la

funzione Φ assume un minimo per TR=5 anni solamente nell’ipotesi di p2/p1=0.1, mentre in

tutti i restanti casi il minimo corrisponde a TR pari a 20 anni.

I risultati fin qui ottenuti dalla back analysis degli eventi avvenuti in Piemonte, Emilia

Romagna e Calabria, suggeriscono di adottare i tempi di ritorno indicati nella matrice di

contingenza riportata nella Tabella 9 sia per le SPp che per le SPa:

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34

Pioggia precedente Livello di

criticità non critica critica

moderata

(danno lieve) 5 2

elevata

(danno grave) 20 5

Tabella 9. Tempi di ritorno associati alle soglie pluviometriche.

Lo studio mette inoltre in evidenza come l’ipotesi di una relazione causale tra forzante

meteorica ed effetti al suolo non consenta di spiegare tutti i casi esaminati. Infatti

l’osservazione di FA e MA in corrispondenza della medesima soglia fornisce

un’indicazione circa le possibili fallanze del sistema a soglie.

In conclusione la previsione del rischio operata tramite soglie pluviometriche utilizzando la

metodologia proposta, rappresenta un valido strumento speditivo.

Va sottolineato che la verifica è stata condotta su un numero limitato di ambiti in quanto al

momento dello studio non erano disponibili adeguate banche dati informatiche relative alle

piogge ed agli effetti, pertanto la generalizzazione è da considerarsi assolutamente

provvisoria ed è necessario che vengano costituite banche dati regionali sufficientemente

dettagliate attraverso cui procedere ad una puntuale ed approfondita verifica.

Per quanto riguarda l’utilizzo della funzione di ragguaglio della pioggia con l’estensione

areale ARF, nel presente studio è stato utilizzata l’espressione nota nella letteratura

statunitense e proposta da Eagleson (13) ed è anche stata presa in considerazione la

formulazione ottenuta dall’Unità Operativa del GNDCI della Facoltà di Ingegneria

dell’Università di Bologna per il bacino del Fiume Reno e proposta da Brath per la Regione

Emilia Romagna. Attraverso i coefficienti di ragguaglio riportati nell’allegato 2 è possibile

calcolare le pioggie areali con una delle due formule citate.

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4 MOVIMENTI FRANOSI

4.1 CENNI GENERALI SULLA PERICOLOSITÀ PER FRANA

La valutazione della pericolosità connessa ai movimenti franosi si articola in quattro punti

fondamentali:

1. identificazione delle aree suscettibili

2. caratterizzazione del fenomeno franoso

3. valutazione della possibile evoluzione del fenomeno franoso nello spazio e nel

tempo

4. previsione temporale

Per l’identificazione delle aree suscettibili è necessario disporre di dati tali da poter risalire

ad una corretta distribuzione dei fenomeni franosi sul territorio e correlare quest’ultima ad

una serie di parametri che descrivano le condizioni in cui il fenomeno stesso si è verificato.

La raccolta dei dati per operare questo tipo di valutazione sarà funzione della scala di

indagine e del grado di approfondimento che si vuole considerare.

Il risultato sarà rappresentato da una carta inventario, di tipo semplice o di tipo complesso

a seconda della quantità e qualità delle informazioni riportate per ogni singolo fenomeno

franoso (da una semplice rappresentazione delle aree stabili e instabili basata sulla

distribuzione dei fenomeni franosi indistinti, fino ad una trattazione completa per ogni frana

rappresentata e correlato contesto geologico s.l., climatico e storico).

Una classificazione esaustiva di una frana si basa su parametri quali:

• Tipologia di movimento

• Geometria del fenomeno

• Stato di attività

• Distribuzione di attività

• Stile di attività

• Intensità del fenomeno

L’identificazione della tipologia di movimento è fondamentale per una corretta valutazione

della pericolosità, poiché a seconda della tipologia considerata varieranno i criteri

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utilizzabili ai fini delle valutazione stessa. Per le diverse tipologie di movimento cambiano

infatti cause, concause, intensità e fattori di controllo (litologia, clima, orografia, ecc).

TIPO DI MATERIALE MOBILIZZATO

Suoli

Tipo di Movimento Substrato roccioso Grossolani Fini

Crollo Crollo di roccia Crollo di detrito Crollo di terra

Ribaltamento Ribaltamento di roccia Ribaltamento di detrito Ribaltamento di terra

Scivolamento Scivolamento di rocciaScivolamento di

detrito Scivolamento di terra

Espansioni laterali Espansioni l. di roccia Espansioni l. di detrito Espansioni l. di terra

Flusso Flusso di roccia Flusso di detrito Flusso di terra

Tabella 10. Classificazione abbreviata delle tipologie di movimento secondo Varnes et al.

(1978)

I principali parametri geometrici che vengono considerati per quantificare le dimensioni di

un fenomeno franoso, sono:

• la larghezza della nicchia di distacco

• la lunghezza della superficie di scorrimento esposta

• la lunghezza totale del fenomeno (dalla nicchia di distacco al piede dell’accumulo)

• lo spessore medio del materiale coinvolto (o profondità media della superficie di

scorrimento)

Tramite la combinazione di tali grandezze è possibile ricavare l’area interessata dal

fenomeno e il volume del materiale mobilizzato, informazioni fondamentali ai fini della

valutazione della pericolosità o del rischio. Conoscere i parametri dimensionali di un

fenomeno franoso consente inoltre di tracciare l’eventuale evoluzione del fenomeno nel

tempo grazie all’osservazione di eventuali variazioni delle grandezze dimensionali note.

Per evoluzione di un fenomeno franoso si intende la tendenza di una frana a svilupparsi

(stato di attività e stile di attività) e a propagarsi (distribuzione di attività). A tal fine è

indispensabile conoscere, oltre ai parametri classificativi visti in precedenza inerenti la

tipologia di movimento, anche le caratteristiche fisico-meccaniche e morfometriche

dell’ambito in cui il fenomeno evolve. Questo perché sono proprio i parametri fisici (massa,

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37

densità, struttura e tessitura del materiale mobilizzato, ecc.), meccanici (resistenza al

taglio e coesione del materiale costituente il versante, ecc.) e morfometrici (inclinazione,

concavità o convessità del versante, ecc.) a determinare l’evoluzione e la tipologia di

movimento del fenomeno franoso.

ATTIVITA’

Stato Distribuzione Stile

Attiva (1) In avanzamento (5) Complessa (10)

Riattivata (2) Retrogressiva (6) Composita (11)

Sospesa (3) Confinata (7) Multipla (12)

Costante (8) Successiva (13)

In allargamento (9) Singola (14)

Inattiva (4)

-quiescente (4a)

-naturalmente stabilizzata (4b)

-artificialmente stabilizzata (4c)

-relitta (4d)

Classificazione delle Attività secondo il WP/WLI (1993, 1994): (1) in movimento al

momento dell’osservazione; (2) attiva dopo un periodo di inattività; (3) in movimento

nell’ultimo ciclo stagionale ma inattiva al momento dell’osservazione; (4) mossasi per

l’ultima volta prima dell’ultimo ciclo stagionale; (4a) inattiva al momento dell’osservazione

ma riattivabile dalle cause originarie; (4b) inattiva e non più riattivabile dalle cause

originarie; (4c) inattiva e protetta dalle cause originarie tramite opere di mitigazione; (4d)

inattiva e sviluppatasi in contesti geomorfologici e climatici diversi da quelli attuali; (5) la

nicchia di distacco tende a svilupparsi nella direzione di movimento; (6) la nicchia di

distacco tende a svilupparsi nella direzione opposta a quella di movimento; (7) sono visibili

i segni del movimento solo in zona di distacco, ma non si evidenzia una superficie di

scorrimento; (8) la frana continua a muoversi in modo costante senza apprezzabili

variazioni di velocità e di volume; (9) la nicchia di distacco tende a svilupparsi

lateralmente; (10) si osservano più tipologie di movimento in successione temporale; (11)

si osserva il simultaneo verificarsi di più tipologie di movimento; (12) si sono osservate più

attivazioni, di un medesimo fenomeno, caratterizzate dalla stessa tipologia di movimento;

(13) si osserva la neoattivazione di una frana caratterizzata della stessa tipologia di

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movimento rispetto ad una frana precedente e limitrofa; (14) si è osservata una singola

attivazione.

L’intensità di un fenomeno franoso è direttamente correlabile al grado di pericolosità. Una

frana avrà infatti un potenziale distruttivo elevato o moderato a seconda che la sua

intensità, osservata o attesa, sia rispettivamente alta o bassa.

L’intensità viene espressa più comunemente in funzione del volume o della velocità della

massa mobilizzata (valutazione monoparametrica) o, più correttamente, considerando

entrambe le grandezze (valutazione multiparametrica).

CLASSE DESCRIZIONE VELOCITA’

7 Estremamente rapida 5 m/secondo

6 Molto rapida 3 m/minuto

5 Rapida 1.8 m/ora

4 Moderata 13 m/mese

3 Lenta 1.6 m/anno

2 Molto lenta 16 mm/anno

1 Estremamente lenta < 16mm/anno

Tabella 11. Classi di intensità per le frane in funzione della velocità di movimento,

secondo Cruden e Varnes (1994)

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(1) SCALA DI INTENSITA’ (I)

DESCRIZIONE VOLUME (m3)

7 Estremamente grande > 5·106

6 Molto grande 1·106 - 5·106

5 Mediamente grande 2.5·105 - 1·106

4 Media 5·104 - 2.5·105

3 Piccola 5·103 - 5·104

2.5 Molto piccola 5·102 - 5·103

2 Estremamente piccola < 5·102

Tabella 12. Scala di intensità per le frane in funzione del volume mobilizzato, secondo Fell

(1994)

La previsione temporale definisce la probabilità che un evento franoso si inneschi in un

determinato momento in una data area.

In linea generale, per operare la previsione di un innesco franoso si fa ricorso all’analisi

delle serie temporali dei fattori di innesco. L’approccio basato sull’analisi delle serie

temporali degli eventi è invece utilizzato principalmente per prevedere altri tipi di fenomeni

che concorrono alla pericolosità naturale, quali ad esempio le piene. Ciò è dovuto al fatto

che altri fenomeni, di cui è nota l’intensità, non hanno una distribuzione temporale casuale,

in tal modo risulta possibile assegnare loro un tempo di ritorno con un soddisfacente grado

di attendibilità.

Per le frane è più complicato stabilire un tempo di ritorno poiché gli eventi franosi hanno

frequenze e ripetitività relativamente basse, nonché intensità molto variabili.

Per questo motivo viene usata l’analisi delle serie temporali dei fattori di innesco: la

probabilità che avvenga una frana è data dalla somma delle probabilità dei diversi fattori di

innesco (Canuti e Casagli, 1996). Le cause di innesco possono essere trattate anche in

modo euristico assegnando a ciascuna di esse un peso differente sulla base

dell’importanza relativa a loro assegnata (Mejìa Navarro et al., 1996).

Più correttamente H. H. Einstein (1988) introduce il concetto di “probabilità condizionata”:

probabilità che il fenomeno si verifichi dato un certo fattore di innesco.

La maggior parte delle tipologie di frana sono condizionate da fattori che sfuggono ad un

controllo di tipo probabilistico (attività antropica; sismi; assestamenti strutturali degli

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ammassi rocciosi; ecc.) poiché non caratterizzabili temporalmente. Le uniche tipologie di

frana di cui è possibile prevedere l’innesco sono dunque quelle le cui cause sono esse

stesse prevedibili.

Le precipitazioni sono la causa di innesco che più si presta ad un approccio previsionale,

di conseguenza le frane ad innesco piovoso sono le uniche a poter essere previste con un

soddisfacente grado di affidabilità una volta determinate le relazioni dirette che

intercorrono tra altezze pluviometriche e inneschi storici.

4.2 FRANE AD INNESCO PIOVOSO

Le frane che mostrano una correlazione diretta con le precipitazioni sono le cosiddette

“frane superficiali”. Esistono poi altri fenomeni il cui innesco è correlabile alle

precipitazioni, anche se con modalità più complesse e meno dirette rispetto alle frane

superficiali: i flussi in terra caratterizzati da una superficie di movimento profonda

(profondità > a 1.5 m) e i flussi in detrito, gli scivolamenti traslativi e rotazionali che

interessano il substrato roccioso.

Le frane superficiali devono il loro nome alla scarsa profondità a cui si sviluppa la

superficie di scivolamento, le profondità variano infatti da una decina di centimetri fino ad

un massimo di 1.5 m, ne consegue un’esigua potenza del materiale mobilizzato e,

ovviamente, un ridotto volume dello stesso (raramente superiori a 1000 m3). Nonostante le

dimensioni ridotte sono frane molto pericolose poiché caratterizzate da: alte velocità di

movimento (da 5 a oltre 15 m/s), rapida evoluzione (fenomeni istantanei), elevata capacità

di propagazione, capacità di saltare gli ostacoli, tendenza alla coalescenza delle nicchie di

distacco e del materiale mobilizzato, alta densità di fenomeni per unità di superficie

durante un singolo evento pluviometrico. Per queste caratteristiche le frane superficiali

costituiscono fenomeni ad elevato potenziale distruttivo: sono di fatto responsabili del 50%

dei decessi causati da frane negli ultimi 100 anni in Piemonte. Sono frane che non

mostrano segni premonitori, proprio a causa della loro rapidità d’evoluzione, e che molto

raramente si attivano nel medesimo sito (stile di attività singolo e/o successivo), da ciò

deriva l’impossibilità di prevedere l’ubicazione esatta di un possibile innesco e ci si deve

limitare all’individuazione di aree, più o meno estese, soggette a frane di questo tipo. Ciò

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41

che per questa tipologia di frane si può determinare, con un accettabile margine di

incertezza, è la previsione temporale.

4.3 APPROCCI E METODOLOGIE

La previsione temporale di innesco di un fenomeno franoso si traduce nell’identificazione

della sua probabilità di accadimento. Nel fare ciò, la previsione temporale fornisce una

valutazione assoluta della pericolosità.

Ovviamente per operare una previsione di tipo temporale occorre far riferimento ad entità

cronologiche ben definite; si devono quindi considerare dei marker temporali quali, in

ordine decrescente di risoluzione: ora, giorno, mese e anno. In altre parole, la probabilità

che un fattore causa di innesco si presenti, deve necessariamente essere correlabile ad

un intervallo temporale di riferimento.

Al fattore di innesco “pioggia” è attribuibile un tempo di ritorno espresso come Tr = 1/P,

dove “P” è la probabilità di occorrenza di un evento caratterizzato da una nota intensità in

un dato intervallo di tempo. Per gli eventi caratterizzati da precipitazioni piovose l’intervallo

temporale di riferimento è espresso in anni.

Il problema successivo è individuare i rapporti diretti che intercorrono tra le grandezze

pluviometriche e gli inneschi dei fenomeni franosi ad esse correlabili. Come indicatore

della probabilità che si verifichi un fenomeno franoso viene considerato generalmente una

quantità di precipitazione corrispondente alla soglia di attivazione. La definizione delle

soglie di pioggia critica per gli inneschi è estremamente complessa poiché dipendente da

numerose variabili tra loro interagenti: bilancio idrologico del versante (rapporto

runoff/infiltrazione efficace), caratteristiche del materiale costituente il versante

(permeabilità, coesione, angolo di attrito, ecc.) , morfometria e morfologia del versante

(inclinazione, esposizione, concavità e convessità), tipologia di land cover (copertura

vegetale, uso del suolo, presenza di strutture e infrastrutture antropiche, ecc.), contributo

coesivo degli apparati radicali della vegetazione, caratteristiche idrogeologiche (tipo di

falda acquifera: superficiale, profonda, effimera, permanente, drenante o alimentante,

libera o in pressione, ecc.).

La definizione di soglie pluviometriche viene essenzialmente affrontata utilizzando due

tipologie di modelli:

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1. modelli empirici: basati su elaborazioni di tipo statistico volte all’individuazione di

rapporti diretti tra le precipitazioni e gli inneschi dei fenomeni franosi, avvalendosi

solo di valutazioni di tipo statistico e qualitativo per quanto riguarda le variabili

ambientali sopra citate;

2. modelli deterministici: basati sull’utilizzo di modelli numerici in grado di fornire una

valutazione delle condizioni di stabilità di un versante tramite l’analisi quantitativa

delle variabili in gioco: bilancio idrologico, altezze piezometriche e ricarica delle

falde, dati geotecnici e morfometrici del versante.

(a) Modelli empirici

L’approccio empirico vede come parametro fondamentale la precipitazione cumulata

(solitamente espressa in mm), in un dato intervallo di tempo (solitamente espresso in ore o

giorni). Il passo successivo consiste nell’associare una funzione del tipo y(t) = f[x(t)], che

dipende dalle piogge cadute prima dell’istante t, dalla probabilità P di innesco di un

fenomeno franoso E all’istante t.

In letteratura esistono molti esempi a riguardo, in particolare si individuano due famiglie di

soglie:

1. soglie di 1° ordine: definite tramite l’inviluppo o interpolazione delle quantità minime

di pioggia necessarie per l’attivazione di fenomeni franosi (Caine, 1980; Govi e

Soriana, 1980; Cancelli e Nova, 1984; Moser & Hohensinn, 1983; Cannon, 1985;

Cerini et al., 1994);

2. soglie di 2° ordine: analoghe alle precedenti, ma distinte da queste poiché vengono

considerati anche aspetti indicativi riguardanti la geologia s.l., la geomorfologia, i

regimi pluviometrici e il contributo delle piogge pregresse.

L’associazione più ovvia tra le precipitazioni e la probabilità di occorrenza di un fenomeno

franoso è data, una volta stabilito il valore soglia Ys, da:

[ ]

>

≤=

s

s

t

YtYse

YtYseEP

)(1

)(0

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43

in cui si attribuisce una probabilità pari a 0 per valori di Y(t) inferiori o uguali a Ys, ed una

probabilità pari ad 1, cioè innesco certo, per valori superiori.

Nel dettaglio, per definire le soglie di 1° ordine vengono utilizzate principalmente tre

metodologie:

1. valori di precipitazione massima:

si valutano i massimi giornalieri delle precipitazioni (Y);

2. curve di precipitazioni cumulate/durata:

in cui si valuta il valore di pioggia cumulata per un determinato intervallo di tempo di durata

d:

∫=d

dttydy0

)()(

il rapporto tra durata e pioggia cumulata è governato da una legge potenza:

Y = adb

che definisce la “curva di possibilità climatica” calcolabile per determinati tempi di ritorno;

3. curve di intensità di precipitazione/durata:

in cui si valutano i rapporti tra intensità di pioggia I e durata dell’evento D espressi

mediante la relazione:

I = f(D)

da cui vari autori:

• Caine, 1980: I = D-39 · 14.82 ottenuta dal diagramma intensità vs durata e confronto

con dati storici

• Cancelli e Nova, 1985: Log I =1.65 - 0.78 Log D; Log I = costante - Log D ottenute

dal diagramma intensità vs durata

• Cannon, 1985: D = 46.1 - 3.6 · 103 In + 7.4 · 104 In2 ottenuta dal diagramma

intensità vs durata e intensità oraria normalizzata con la Pioggia Media Annua (In)

vs durata

• Wieczorek, 1987: D = 0.90/(I – 0.17); D = ore, I = mm/ora ottenuta dal diagramma

intensità vs durata

• Ceriani et al., 1994: I = D-55 · 20; PMA = 27.51 - 23.51 · ln I per I < 2 mm/ora, PMA =

13.56 – 3.65 · ln I per I > 2 mm/ora; In = D-0.55 · 2.01 ottenute tramite diagrammi

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intensità vs durata e intensità oraria normalizzata con la Pioggia Media Annua (In)

vs durata

Le soglie di 1° ordine hanno validità per intervalli temporali ristretti (alla scala dell’evento

meteoidrologico), quindi per quei fenomeni franosi detti “istantanei”, il cui innesco non è

governato dalle piogge antecedenti l’evento pluviometrico rivelatosi determinante.

Per questo tipo di soglie la pioggia considerata critica è quella caduta dall’inizio dell’evento

piovoso sino all’innesco dei primi fenomeni franosi.

Per determinare le soglie di pioggia critica di 2° ordine si considera il contributo dato dalle

piogge, espresse come pioggia giornaliera cumulata, precedenti l’evento in intervalli

temporali plurigiornalieri:

∫=

=n

iixy

1

dove xiindica i valori di pioggia giornaliera cumulata del giorno iesimo.

Nel 1988 Capecchi e Focardi introducono un indice di precipitazione espresso dalla

seguente funzione:

1

00

1 −

=∫= nn

iix

yy λ

dove y0 identifica il valore soglia di pioggia critica espresso come massimo di pioggia con

tempo di ritorno e durata prefissati, mentre λ è il coefficiente, con valori compresi tra 0 e 1,

che rappresenta indicativamente le condizioni idrogeologiche dell’area d’interesse.

Il maggior problema legato all’utilizzo di questo tipo di soglie consiste nello stabilire quale

sia il numero di giorni piovosi precedenti l’evento che realmente contribuiscono all’innesco.

Tale valutazione può essere fatta solo su base statistica e sperimentale (back analyses)

mantenendo elevato il margine di incertezza.

(b) Approccio deterministico

L’approccio deterministico tenta di individuare le condizioni per cui un versante è o non è

in equilibrio tramite la definizione del Fattore di Sicurezza, che definisce appunto

l’equilibrio limite, dato da:

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zantidestabilizfattorintistabilizzafattoriFS =

Per ricavare il Fattore di Sicurezza vengono utilizzati modelli completi di versante basati

sulla modellazione fisica dei fenomeni franosi; si rende dunque necessaria una dettagliata

caratterizzazione geotecnica e geomeccanica del versante oggetto della modellazione.

L’impiego di tali modelli è quindi da ritenersi, al contrario dei modelli empirici, non

applicabile su scala regionale ma solamente a ristretti ambiti territoriali ben definiti (scala

del sito interessato dai movimenti franosi o del singolo versante).

L’unico modello deterministico utilizzabile su zonazioni territoriali più o meno ampie, anche

se in misura ridotta rispetto ai modelli empirici, è il modello unidimensionale del pendio

indefinito o infinito la cui applicabilità è limitata solamente a fenomeni franosi di tipo

superficiale.

Per Hammond et al. (1992) il fattore di sicurezza FS per il modello unidimensionale del

pendio indefinito è:

ββγϕγγγβ

τ cos'tan))()((cos2'

zsenzzzCCSFS

s

wwswssr −+−++==

dove: Cr è la coesione degli apparati radicali espressa in kPa; C’s è la coesione del

terreno espressa in kPa; γs è il peso dell’unità di volume del terreno espresso in kN/m3; γw

è il peso dell’unità di volume di dell’acqua espresso in kN/m3; Z è la profondità della

superficie di mobilizzazione espressa in metri; Zw è l’altezza della falda idrica al di sopra

della superficie di mobilizzazione espressa in metri; β è l’angolo di inclinazione del

versante espresso in gradi; ϕ’ è l’angolo di resistenza al taglio in condizioni efficaci

espresso in gradi.

La determinazione del livello di falda atteso per un certo valore di precipitazione viene

valutata tramite l’utilizzo di un modello idrologico, il quale ha il compito di caratterizzare i

meccanismi di infiltrazione, di runoff e di deflusso sotterraneo.

In letteratura l’avanzamento del fronte di saturazione viene approcciato con due differenti

modalità:

• il fronte di saturazione procede dalla superficie verso il basso, secondo Horton;

• il fronte di saturazione procede dal basso (per innalzamento del livello di falda)

verso la superficie, secondo Dunne.

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46

Entrambi i meccanismi sono da considerarsi validi poiché in natura agiscono

simultaneamente, ma con pesi diversi a seconda delle caratteristiche idrogeologiche dei

terreni.

Al modello di Hammond possono essere associati modelli idrologici, più diffusamente

basati sul meccanismo di Dunne. Un esempio di modello utilizzato è quello idrologico

stazionario di Beven e Kirkby (1979), che considera il deflusso sub-superficiale governato

dal gradiente topografico. Viene così introdotto il concetto di “area contribuente”, definita

come area di raccolta a monte per unità di larghezza lungo le isoipse. Tale concetto nasce

da osservazioni sperimentali per cui le aree a maggior umidità sono identificate con le

zone di convergenza topografica dove, oltretutto, si ha l’incidenza più alta di inneschi dei

fenomeni franosi di tipo superficiale (Montgomery & Dietrich, 1994).

Un altro modello deterministico che unisce un modello idrologico ed uno di stabilità dei

versanti per pendii indefiniti è quello di Montgomery & Dietrich (1994-1998). Anch’esso si

basa sul principio di Dunne per quanto riguarda il meccanismo di avanzamento del fronte

di saturazione.

Per l’applicazione di tale modello devono essere soddisfatte alcune condizioni di base:

• il piano di scorrimento e il corpo idrico, a cui è attribuita una geometria tabulare,

che satura il materiale costituente il versante, devono avere una giacitura parallela

rispetto alla superficie topografica;

• il piano di scorrimento coincide con una superficie che individua un netto

contrasto di permeabilità;

• il flusso idrico sub-superficiale deve essere caratterizzato da un regime stazionario;

• non devono essere presenti delle interferenze, di carattere drenante o alimentante,

da parte di falde idriche ospitate nel substrato.

Quando il fronte di saturazione migra verso l’alto, aumentando l’altezza h del corpo idrico

sub-superficiale, produce una diminuzione della tensione normale efficace sul piano di

scorrimento da cui consegue una diminuzione della resistenza al taglio.

Il rapporto h/z rappresentante l’aliquota di colonna di terreno saturo per una determinata

altezza di pioggia, viene associato al fattore idrologico q/T che identifica la magnitudo di

precipitazione, rappresentata da q, relativa alla capacità del suolo di drenare l’acqua

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47

verso valle, e al fattore topografico a/(b·sinθ) rappresentante il controllo sul runoff da parte

della topografia:

Wb

aTq

zh

=⋅

⋅=θsin

dove:

z = spessore della coltre superficiale

q = pioggia infiltrata nel terreno

T = K· z·cosθ = trasmissività idraulica satura

K = conducibilità idraulica satura

a = area di drenaggio

b = larghezza della sezione di deflusso

θ = inclinazione del versante

L’equazione include il modello di stabilità dei versanti secondo la formulazione di

Skempton e De Lory (1957) che considera un pendio infinito con infiltrazione parallela al

profilo della superficie topografica, unitamente al criterio di resistenza al taglio secondo

Mohr-Coulomb espresso in termini di tensioni efficaci:

θθγφθγ

cossintancos)( '2'

⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅−+

=z

zgWcFS w

dove:

FS = fattore di sicurezza

c’ = coesione del terreno

γ = peso di volume del terreno

γw = peso del volume d’acqua

φ’ = angolo di resistenza al taglio

La combinazione del modello idrologico e del modello di stabilità, in funzione dell’area di

drenaggio riferita alla sezione di deflusso, produce la seguente espressione:

θφθ

γγ

φθγsen

qT

zc

ba

ww

⋅⋅

−⋅+

⋅⋅⋅≥

'tantan1

'tancos'2

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(a) Modello di stabilità del versante all’equilibrio limite: h e z sono gli spessori dello strato di terreno saturo e della massa

potenzialmente instabile, rispettivamente. (b) Vista piana e sezione del versante con riferimento al modello idrologico: a

è l’area di drenaggio, b la larghezza di deflusso. La pioggia netta infiltrata, q, è uguale alla precipitazione, p, meno

l’evapo-traspirazione, e, e il drenaggio profondo, r.

Figura 11. Schema del modello meccanico-idrologico impiegato (Dietrich & Montgomery

1998).

4.4 ALCUNI CASI DI APPLICAZIONE DEI MODELLI

Nel corso degli ultimi anni l’Arpa Piemonte ha promosso una serie di iniziative volte alla

comprensione dei fenomeni franosi in chiave previsionale, utilizzando metodi ed approcci

noti in letteratura e ideandone di nuovi.

Gli studi promossi nell’ambito di tali iniziative hanno consentito di sviluppare alcuni modelli

previsionali sperimentali applicati a scala regionale e provinciale, riguardanti specifiche

tipologie di fenomeno, tra le quali quelli che interessano la coltre superficiale,

promuovendo inoltre affinamenti delle relazioni piogge-frane grazie a specifici

approfondimenti tematici.

Tali analisi hanno interessato le aree del territorio piemontese che sono state colpite nel

corso dell’ultimo secolo da eventi pluviometrici intensi, in particolare rivolgendosi verso i

seguenti casi:

• Novembre 1994, Cuneese

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• Novembre 1994, Torinese, Astigiano e Biellese

• Luglio 1996, Cusio

• Estate 1998, Verbano, Vercellese ed Alessandrino

• Aprile 2000, Torinese

• Giugno 2000 Cuneese e basso Torinese

• Ottobre 2000 Ossola, Vercellese, Biellese e Torinese

• Maggio 2002, Ossola, Sesia, Biellese ed Alessandrino

• Giugno 2002, Ossola, Sesia, Biellese ed Alto Canavese

• Luglio 2002, Cuneese

• Agosto 2002, Ossola ed Alessandrino

• Dicembre 2003, Torinese, Cuneese, Alessandrino

Di seguito sono riportati alcuni esempi di applicazione delle metodologie fino ad ora

illustrate:

Figura 12. Modello empirico basato su soglie di 1° ordine

Il Grafico mostra un esempio di elaborazione empirica pluviometrica di piogge orarie

critiche relative a fenomeni superficiali, dove l’intensità oraria viene messa in relazione con

la durata dell’evento: la posizione dei simboli triangolari (evento alluvionale dell’ottobre

2000) e quadrati (eventi alluvionali del 1968, 1972 e 1994) rispetto alle curve proposte da

diversi autori (linee rosse e blu) indica la criticità della situazione, a seconda che ricada

0,1

1

10

100

1000

0,01 0,1 1 10 100 1000DURATA (h)

INTE

NS

ITA

' (m

m/h

)

Campo diInstabilità

Campo di Stabilità

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nel campo di stabilità o di instabilità. L’elaborazione dei dati riferiti a molti eventi post-anni

’90, dimostra la validità del metodo a scala regionale.

Figura 13. Modello empirico basato su soglie di 2° ordine

Uno dei metodi empirici idrologici adottato in un recente studio su due aree campione del

territorio regionale, basato sull’elaborazione di piogge giornaliere critiche su di un periodo

variabile a seconda del “tempo di influenza” tipico di ciascun fenomeno, ha consentito di

individuare soglie basate sulla probabilità di superamento di una determinata “Funzione di

Mobilizzazione” che dipende, attraverso una “Funzione di Trasferimento”, dall’intensità

d’infiltrazione dell’acqua nel sottosuolo. La scelta della “Funzione di Trasferimento” più

rappresentativa del singolo fenomeno franoso avviene per mezzo del “Criterio Ranking”,

che consente di fissare i parametri della “Funzione di Trasferimento” per mezzo dei quali

la “Funzione di Mobilizzazione” assume, nell’ambito della serie pluviometrica analizzata, i

più alti valori in corrispondenza delle date di mobilizzazione.

I modelli deterministici vengono sviluppati e integrati con modelli idrologici tramite l’utilizzo

di software GIS (Geographic Information System) in grado di elaborare i dati territoriali

georeferenziati in formato raster. I dati spazializzati permettono la discretizzazione del

territorio in celle elementari parametrizzabili.

Data un’area di indagine, la procedura che si prospetta può essere sintetizzata nei

seguenti punti:

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• predisposizione di tutti gli strati informativi necessari (DTM (Digital Terrain Model),

variabili, parametri);

• valutazione della pioggia netta infiltrata q sulla base della previsione meteorologica;

• applicazione del modello per ogni cella elementare e definizione dello scenario

d’innesco corrispondente (componente spaziale della pericolosità) in tempi

estremamente rapidi, benché dipendenti dall’estensione del dominio di indagine;

Oltre a ciò, è chiaro che uno dei risultati attesi dall’utilizzo dell’approccio presentato è

costituito dalla zonazione della pericolosità. Proprio in questa ottica gli strati informativi dei

dissesti osservati e dei risultati ottenuti sono stati rielaborati calcolando la “densità relativa

di celle instabili” Γ definita, per ciascuna unità territoriale di riferimento, come rapporto tra il

numero di celle instabili e il numero complessivo di celle. L’intervallo di variazione 0 ≤ Γ ≤

1 è stato suddiviso in quattro intervalli di uguale ampiezza e le unità territoriali sono state

classificate secondo questo schema. Questa prima macro-zonazione può portare ad una

mappa della componente spaziale della pericolosità, in cui ad ogni unità elementare è

associato per i dissesti previsti e osservati (al fine di valutare il procedimento) l’intervallo di

Γ corrispondente.

Si possono definire “a favore di sicurezza” tutte quelle situazioni in cui Γ previsione ≥ Γ

osservazione.

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Figura 14 Applicazione del modello deterministico sul bacino del Torrente Melezzo

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5 ESONDAZIONE

5.1 GENERALITÀ

Le soglie numeriche di guardia idraulica o di preallarme definiscono la quantità di

precipitazione lorda che per assegnata durata genera una porta di guardia in una

prefissata sezione fluviale. In tal modo è possibile definire se una precipitazione prevista

possa essere causa di portate superiori a quella di guardia e come tale destare stati di

preallerta negli organismi preposti alle funzioni di protezione civile. Queste soglie si

basano sulla ricerca della soluzione inversa della classica trasformazione afflussi meteorici

in deflussi di piena. Infatti, assegnata una portata di guardia nelle sezioni caratteristiche di

un tronco fluviale si determina tramite modellistica numerica la quantità di precipitazione

lorda, che per diverse durate determina la portata di piena assegnata. Il valore di portata è

a sua volta definito come quella che determina un livello idrico, che transita con un franco

medio di 1m per ciascun tronco principale del reticolo idrografico di cui è nota la

geometria.

Mediante le soglie pluviometriche è possibile definire se una precipitazione prevista possa

essere pericolosa e come tale destare stati di preallerta negli organismi preposti alle

funzioni di protezione civile.

Le soglie numeriche di guardia idraulica si basano sulla ricerca della soluzione inversa

della classica trasformazione da afflussi meteorici in deflussi di piena. Infatti, assegnata

una portata di guardia nelle sezioni caratteristiche di un tronco fluviale si determina tramite

modellistica numerica la quantità di precipitazione lorda, che per diverse durate determina

la portata di piena data. Il valore di portata è a sua volta definito come quella che

determina un livello idrico, che transita con un franco medio di 1m per ciascun tronco

principale del reticolo idrografico di cui è nota la geometria.

Le soglie sono quindi relative ad alcuni tronchi fluviali ritenuti a rischio di esondazione e

quindi critici, sia per esperienza di episodi siffatti, sia in base a considerazioni di geometria

idraulica. Lungo questi tratti del reticolo fluviale si identificano le sezioni critiche, laddove il

rischio idraulico di esondazione è maggiore a parità di pericolosità idrologica di un evento

di piena lungo la rete idrografica stessa. L’identificazione della criticità potrà venire

condotta considerando o meno, nel computo idraulico, un certo franco sui livelli idrici

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raggiungibili dalle acque, nel quale conglobare tutte le incertezze di stima dovute alle

valutazioni idrauliche sui fenomeni di propagazione alveata dell’onda di piena (v. (Aree

Vulnerate Italiane da frane ed inondazioni) in quanto è risultato essere l'unico archivio di

dissesti idraulici e geologici organico disponibile. ). La portata idrica corrispondente alla

configurazione idraulica critica viene indicata nel seguito come portata critica.

Questo può essere raggiunta e superata per diverse configurazioni del campo di pioggia a

sua volta rappresentabile da una funzione p=p(x,t) , che esprime il tasso di precipitazione

al tempo t in un punto x dello spazio.

In generale la soluzione di questo problema è assai complessa, visto l’elevato contenuto di

fluttuazioni che il processo stocastico p(x,t) manifesta nello spazio x e nel tempo t. Il

problema, in prima approssimazione, può tuttavia essere affrontato sviluppando una

soluzione semplificata e perciò soggetta a notevoli indeterminazioni, ma tuttavia

applicabile, con le dovute cautele, ai problemi pratici. Essa comporta una valutazione

globale delle precipitazioni in termini di pioggia accumulata dopo un tempo d dall’inizio del

nubifragio e ragguagliata sull’area del bacino sotteso dalla sezione critica, che indichiamo

con P. In pratica, per la sezione critica in esame si deve ricercare il luogo dei punti sul

piano (P,d) che possono produrre la situazione limite di criticità, ossia possono provocare

il raggiungimento di un valore di portata al colmo pari alla portata critica di riferimento.

Questo luogo di punti o insieme limite può dare origine a una curva di pioggia cumulata

che esprime il volume di precipitazione massimo senza che vi sia rischio di esondazione

(evento Ec), e il volume di precipitazione minimo registrabile affinchè vi sia rischio di

esondazione (evento E), per ogni durata d.

Quando l’insieme limite sopra definito collassa in una curva Plim(d) riconoscibile sul piano

(P, d) definiremo questa curva linea segnalatrice di precipitazione cumulata critica o, più

brevemente, soglia di precipitazione cumulata o, più semplicente, soglia pluviometrica (v.

Figura 15, Figura 16).

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

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Sezione di Controllo

SezioneCritica

Pluviometro

hlim

franco

ylim

Figura 15 Schema per la definizione delle soglie sperimentali di preallarme, dove si

considera l’eventuale franco necessario a rappresentare le incertezze di tipo idraulico.

d

AMC IAMC IIAMC III

PlimPlim (d AMC)

d10 Figura 16 Soglia pluviometrica in funzione (sopra) dello stato iniziale di imbibimento del

bacino sotteso dalla sezione critica, rappresentato dall’indice AMC, e (sotto) del tipo di

ietogramma

Il primo e fondamentale fattore di controllo dell’insieme limite e del suo collassamento in

una curva sul piano (P,d) è costituito dalle condizioni iniziali di imbibimento dei terreni

all’inizio del nubifragio. La dinamica dell’umidità del terreno è un fenomeno assai

complesso e dà luogo, a rigore, a un processo stocastico spazio-temporale u(x, t), con

fluttuazioni peraltro assai più contenute di quelle di p(x,t). In via approssimata, tale

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56

condizione può essere espressa in modo sintetico con un indice di imbibimento, quale, per

esempio, l’indice AMC del Soil Conservation Service (USDA, 1986). Ci si deve quindi

attendere che differenti stati AMC diano origine a differenti soglie pluviometriche.

Un secondo e importante fattore di controllo è legato alla evoluzione temporale della

precipitazione. Poichè p(x,t) varia congiuntamente nello spazio e nel tempo, anche tale

influenza non è facilmente rappresentabile. In via di prima approssimazione, si può

ritenere che lo ietogramma globale di pioggia cumulata (ossia della pioggia ragguagliata

sull’area del bacino) sia rappresentabile da ietotipi standard, che rappresentano i casi

limite di piogge con tasso pressochè uniforme, crescente e decrescente nel tempo. Ci si

deve quindi attendere che differenti ietotipi possano originare differenti soglie

pluviometriche.

In definitiva, quindi, la soglia pluviometrica avrà una forma condizionata del tipo

Plim(dAMC,ieto) in dipendenza dei due principali fattori di controllo, l’imbibimento iniziale

e la forma dello ietogramma. Inoltre, la soglia pluviometrica sarà definibile soltanto per

valori di durata della pioggia superiori a un valore temporale minimo di sensitività, d1, a

partire dall’inizio del nubifragio.

L’impiego della simulazione idrologica per la valutazione delle linee segnalatrici di

precipitazione cumulata critica o soglie pluviometriche comporta l’esecuzione di

esperimenti di simulazione in grado di enucleare, in base ai diversi scenari di

precipitazione che si possono potenzialmente verificare su un bacino idrografico, la

configurazione critica del campo di precipitazione che corrisponde al superamento della

prefissata portata critica di riferimento nella sezione di chiusura del bacino stesso, posta in

corrispondenza di una sezione critica del corso d’acqua preso in esame in relazione alla

sua capacità di smaltimento dei deflussi di piena.

Per la posizione del problema inverso sopra delineata, bisogna schematizzare innanzi

tutto il sistema esaminato in forma assai semplificata. In pratica, bisogna considerare un

sistema a singolo ingresso (rappresentato dalla precipitazione meteorica che viene

progressivamente a cumularsi sul bacino chiuso dalla sezione di interesse) e singola

uscita (rappresentata dalla portata al colmo nella sezione di chiusura). Infatti, qualora

l’ingresso del sistema non sia definito in modo univoco, il grado di indeterminazione della

soluzione del problema inverso condurrebbe a una molteplicità di soluzioni di complessa

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interpretazione scientifica e, soprattutto, di modesta utilità pratica e scarsa ricaduta

applicativa (v. Figura 17).

Input (pioggia)

Output (portata alla sez.di chiusura)

BACINO

input

Output

BACINO

input

Output

?Fisso unvalore perl’output e

ricavol’input

corrispon-dente

Il calcolo“a ritroso”

non èapplicabile

Figura 17 La concettualizzazione del sistema-bacino per la soluzione del problema

inverso.

Di conseguenza, l’ingresso di pioggia va necessariamente rappresentato in modo globale,

introducendo un valore caratteristico (mediato o, meglio, ragguagliato all’area del bacino

idrografico sotteso tramite la valutazione di opportuni pesi) della precipitazione che via via

si accumula sull’area del bacino chiuso dalla sezione di interesse.

Un ulteriore fattore di variabilità riguarda infine lo “stato” del sistema, rappresentato dalle

condizioni iniziali di imbibimento dei terreni del bacino idrografico. L’umidità del terreno

presenta una dinamica spazio-temporale assai complessa e la sua valutazione richiede

modelli matematici sofisticati e identificabili soltanto in base a un fitto controllo di campo

tramite misure specifiche. Lo scopo applicativo del lavoro in oggetto richiede, d’altro canto,

criteri di valutazione di uso semplice e immediato. A tale scopo, l’unico indicatore efficace

è rappresentato dalla stessa precipitazione antecedente l’episodio idrometeorologico

preso in esame. Di qui la necessità di implementare un indice sintetico di semplice e

immediata valutazione, seppure grossolano, quale l’indice AMC del Soil Conservation

Service (USDA, 1986). Tale indice rappresenta lo stato di imbibimento in tre classi: stato o

tipo I, per bacino complessivamente asciutto; tipi II e III rispettivamente per bacino

mediamente e fortemente imbibito.

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58

5.2 LE SEZIONI CRITICHE E LE RELATIVE PORTATE DI GUARDIA

La fase propedeutica alla valutazione delle soglie consiste nell’individuazione delle sezioni

fluviali critiche, ossia di quelle sezioni appartenete a tronchi fluviali che presentano lungo il

loro sviluppo frequenti fenomeni di esondazioni e sono quindi da considerarsi critici

rispetto allo smaltimento della portata di piena. Per tali tronchi sono quindi state

individuate le portate di guardia come quelle che mediamente garantiscono un franco di 1

metro ed individuate da una specifica sezione che assume il nome di sezione critica. In

definitiva il valore di portata per il quale si calcolano le soglie pluviometriche è un valore di

guardia idraulico per l'intero tronco critico in esame essendo l'esondazione di un tronco

fluviale spesso non confinabile in una precisa sezione trasversale del corso d'acqua. La

determinazione di tali portate si basa sul calcolo del profilo idraulico nel tratto considerato.

Va osservato in proposito che tali valutazioni di capacità idraulica di smaltimento delle

piene si riferiscono a uno stato ben definito dei luoghi e, soprattutto, dell’assetto fluviale.

Eventuali modificazioni nel corso del tempo dovranno dare luogo a revisioni delle

valutazioni stesse e, di conseguenza, dell’intera procedura di valutazione delle relative

soglie pluviometriche.

5.3 L’ANDAMENTO TEMPORALE DELLO IETOGRAMMA: EFFETTI SUGLI IDROGRAMMI DI PIENA

Come illustrato in precedenza, la risposta del bacino delimitato dalla sezione critica in

esame viene analizzata in corrispondenza di precipitazioni sintetiche che, per una fissata

durata e per fissati valori di pioggia cumulata, possano presentare diverse forme dello

ietogramma. In Figura 18 rappresentati alcuni tipi di profili di pioggia, il cui andamento

riflette il fenomeno fisico che dà origine alle precipitazioni.

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

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0%0%

100%

100%

% P

iogg

ia C

umul

ata

% Durata dell’Evento

Temporali

intensità

CicloniTropicali

Piogge Frontali

x

y

Figura 18 Profili di pioggia tipici

Gli andamenti temporali del profilo e del relativo ietogramma (ietotipo) presi in esame nel

presente studio sono quelli rappresentati rispettivamente in Figura 19. Essi corrispondono

a uno (1) ietogramma a gradino o pioggia uniforme nel tempo, uno (2) ietogramma

triangolare a gradiente positivo (tasso crescente) tipico dei fenomeni ciclonici di forte

intensità, uno (3) ietogramma triangolare a gradiente negativo (tasso decrescente) tipico

dei fenomeni convettivi di forte intensità. Si evidenzia come lo ietotipo triangolare

crescente sia quello che, a parità di volume di pioggia caduto V, generi il picco più' alto di

portata e di conseguenza la soglia di precipitazione più bassa.

Q p1

i

t V

i

t V

i

t V

Ieto 1

Ieto 2

Ieto 3

q

t

Q p2

Q p3

Figura 19 Effetto della forma dello ietogramma sull’idrogramma di piena inverso.

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60

5.4 LA PROCEDURA DI CALCOLO DELLE SOGLIE

Una volta fissata la forma dello ietogramma o ietotipo, la durata d della pioggia e lo stato di

imbibimento iniziale del terreno in base all’indice AMC, con i quali si caratterizza l’episodio

idrologico per il quale si intende stimare il valore della soglia, va ricercato il valore di

altezza cumulata della pioggia ragguagliata in grado di provocare il superamento della

portata critica di riferimento nella sezione critica presa in esame. A tal fine, le simulazioni

sono state condotte in modo indipendente tra loro per tutte le combinazioni dei quattro

ietotipi sopra considerati, dei tre tipi di AMC e per quattro orizzonti di durata, pari a 3, 6, 12

e 24 ore. La ricerca del valore di soglia viene ottenuto per iterazioni successive del

modello di simulazione, fino ad ottenere quel valore di pioggia cumulata che provoca nella

sezione di chiusura del bacino (sezione critica) un valore di portata al picco Qp pari alla

portata massima smaltibile (portata critica di riferimento, Qcrif).

Per la soluzione del problema di calcolo numerico, è stato implementato un semplice

algoritmo di ottimizzazione automatica monodimensionale, che costruisce piogge con

diversi valori di altezza cumulata Hd, per il quale la durata e la forma dello ietogramma

sono fissabili a priori. L’obiettivo dell’algoritmo è variare Hd fino a minimizzare (ovvero

rendere nullo) lo scarto quadratico tra il valore di portata al picco Qp, simulata nella

sezione critica, e la portata critica di riferimento, Qcrif.

F =(Qp–Qcrif)2.

L’andamento della funzione obiettivo F in relazione alla variabile indipendente Hd risulta

essere quasi parabolico: in questi casi risulta ottimale l’utilizzo dell’ algoritmo di ricerca

noto in letteratura come metodo di interpolazione parabolica, che si è rivelato,

confermando le aspettative, molto efficiente, garantendo una convergenza molto rapida.

A titolo di esempio, nella Figura 20 e Figura 23 viene riportata la soglia pluviometrica

calcolata per la sezione critica di Subbiano, situata sul fiume Arno in Toscana, che

sottende un’area di 738 km2 e risulta caratterizzata da una portata critica di 600 m3/s.

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Soglie Pluviometriche: Sezione Subbiano

0

40

80

120

160

0 6 12 18 24 30durata [ore]

Piog

gia

cum

ulat

a [m

m]

ieto1 - AMC 1ieto1 - AMC 2ieto1 - AMC 3ieto2 - AMC1ieto2 - AMC2ieto2 - AMC3ieto3 - AMC1ieto3 - AMC2ieto3 - AMC3

Figura 20 Soglie pluviometriche di preallerta per la sezione critica di Subbiano (bacino del

Casentino, fiume Arno).

5.5 IL SISTEMA DI PREALLERTA PER IL BACINO DEL FIUME ARNO

L’Autorità di Bacino del Fiume Arno ed il Centro Funzionale della Regione Toscana hanno

messo a punto un sistema di previsione e preannuncio delle piene (ARTU). Nell’ambito di

tale iniziativa il Politecnico di Milano, dipartimento DIAR, ha determinato le “Soglie

Idrometeorologiche di Preallarme delle Piene Fluviali nel Bacino dell’Arno” utilizzando le

metodologie sopra esposte.

Per l’implementazione del modello di preallerta di piena, sono state individuate quelle

sezioni fluviali che presentano particolari insufficienze idrauliche causa di frequenti

esondazioni. Per i tronchi presi in esame sono quindi state individuate le portate di guardia

come quelle che mediamente garantiscono un franco di sicurezza di 1 metro. Il valore di

portata per il quale si calcolano le soglie pluviometriche è un valore di guardia idraulico per

l’intero tronco critico in esame essendo l’esondazione di un tronco fluviale spesso non

confinabile in una precisa sezione trasversale del corso d’acqua.

Per quanto riguarda il corso principale del fiume Arno, sono state individuate, cinque

sezioni salienti: Subbiano e Rassina, che sottendono il bacino del Casentino, San

Giovanni in Valdarno, che sottende la parte iniziale della Valdarno Superiore a valle della

confluenza della Chiana, Rignano, che chiude la Valdarno Superiore a monte della

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confluenza della Sieve, e Nave di Rosano, a monte di Firenze, laddove l’Arno sottende

anche il bacino idrografico della Sieve.

Sul bacino del fiume Sieve, principale affluente di destra dell’Arno, le sezioni individuate si

riferiscono alle località di Sagginale, Vicchio, Contea, Rufina e Pontassieve, elencate da

monte verso valle.

Sugli affluenti dell’Arno a valle di Firenze si sono individuate le sezioni di San Piero a Ponti

sul fiume Bisenzio e Poggio a Caiano e Quarrata sul fiume Ombrone.

Nella figura e tabella seguente si mostrano l’ubicazione e le caratteristiche principali delle

sezioni critiche individuate.

Sezione critica Lon (UTM)

Lat (UTM)

Superficie drenata (Kmq)

Q critica (m3/s)

Tc (ore)

CASENTINO 1 Rassina 729417 4835050 600 450 11.502 Subbiano 731817 4828250 738 600 12.00ALTA VAL D’ARNO 3 San Giovanni Valdarno 701817 4829650 2750 855 27.884 Rignano 698817 4846650 3095 900 29.635 Nave di Rosano 695017 4849650 3900 1500 33.25SIEVE 6 Sagginale 694417 4868050 395 450 16.007 Vicchio 698417 4867250 498 450 16.508 Contea 702017 4858450 748 460 16.259 Rufina 701017 4856650 765 500 16.5010 Pontassieve 698417 4852650 831 550 16.75BISENZIO 11 San Piero a Ponti 671475 4852459 304 500 9 OMBRONE 12 Quarrata 663081 4856997 390 240 6.68 13 Poggio a Caiano 665870 4853523 434 400 12

Tabella 13. Sezioni critiche analizzate nell’ambito del bacino del fiume Arno.

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63

Figura 21 Sezioni critiche individuate sul corso dell’Arno e su alcuni dei suoi affluenti

5.6 SPERIMENTAZIONE SUL BACINO DEL TOCE

Analogamente a quanto fatto per il bacino dell’Arno, lo studio e la valutazione delle soglie

numeriche di guardia idraulica a titolo di esempio è stato condotto su sezioni di altri corsi

d’acqua; in particolare si è svolto uno studio preliminare per la valutazione delle soglie

pluviali nel bacino del Fiume Toce in territorio piemontese. La sezione considerata in

questa fase è stata quella di Candoglia posta poco a monte della foce a lago del F. Toce.

La stazione sottende un bacino di circa 1500 Km2.

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64

Figura 22 Corografia del bacino del Toce

La sezione di Candoglia sottende presenta una portata di preallerta valutata in 1500 m3/s.

Le soglie calcolate per questa sezione sono riportate in Figura 23.

Soglie Pluviometriche: Sezione Candoglia

0

40

80

120

160

0 6 12 18 24 30durata [ore]

Piog

gia

cum

ulat

a [m

m]

ieto1 - AMC 1ieto1 - AMC 2ieto1 - AMC 3ieto2 - AMC1ieto2 - AMC2ieto2 - AMC3ieto3 - AMC1ieto3 - AMC2ieto3 - AMC3

Figura 23 Soglie pluviometriche di preallerta per la sezione critica di Candoglia (fiume

Toce).

Dal momento che il bacino in esame praticamente coincide con una delle aree del sistema

di allertamento piemontese è possibile confrontare le soglie ottenute per l’area del Toce

con il metodo semi-empirico adottato dalla regione Piemonte.

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Soglie Pluviometriche: Sezione Candoglia

0

40

80

120

160

0 6 12 18 24 30durata [ore]

Piog

gia

cum

ulat

a [m

m]

ieto1 - AMC 1

ieto1 - AMC 2

ieto1 - AMC 3

ieto2 - AMC1

ieto2 - AMC2

ieto2 - AMC3

ieto3 - AMC1

ieto3 - AMC2

ieto3 - AMC3

regione Piemonte

Figura 24 Confronto fra le soglie pluviometriche di preallerta idraulica (metodo numerico)

per la sezione critica di Candoglia e le soglie per rischio idrogeologico moderato per l’area

del Toce (metodo semiempirico).

Si evidenzia come, pur trattandosi di approcci differenti al problema, si abbia una

sostanziale convergenza dei due metodi. Si nota infatti come le soglie pseudoempiriche

siano confrontabili con le soglie numeriche calcolate per il caso di suolo asciutto.

Un’estensione di questo primo confronto ad altre sezioni potrebbe essere utile per meglio

comprendere il significato fisico di questa somiglianza.

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Convegno di Idraulica e Costruzioni Idrauliche, 2002.

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

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Regione Piemonte. Manuale d’uso del sistema di allertamento per situazioni di rischio

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R. Rosso. Manuale di Protezione Idraulica del Territorio. Cusl, Milano 2002.

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

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ALLEGATO 1

RAPPORTI VAPI

Compartimento di Parma e Genova

Il compartimento di Parma e Genova comprende il bacino del Po chiuso a Pontelagoscuro

ed i bacini liguri con foce sul Tirreno e non è stato indispensabile individuare sottozone

pluviometriche omogenee. Sono stati raccolti i dati di 366 stazioni di misura (270 nel

bacino padano e 96 nella Liguria) con almeno 20 anni di osservazione e numerosità media

di 34 anni.

Per ogni stazione presa in considerazione sono stati calcolati i parametri di forma k, di

scala, α, e di posizione ε, della distribuzione Generalizzata del Valore Estremo (GEV):

( )

−−−

=

κε

α

1

1

)(xk

X exF

Il fattore di crescita è esprimibile mediante la:

( )TkyT e

kK −−+= 1αε

dove yT indica la variabile ridotta di Gumbel pari a

−−=

1lnln

TTyT

e sostituendo questa nell’espressione del KT si ottiene:

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

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−+=

−1lnln

1 TTk

T ek

K αε

L’altezza di pioggia cumulata è legata al fattore di crescita KT tramite la seguente

equazione:

TT Kdmdh )()( =

dove m(d) è il valore atteso dell’altezza di pioggia massima annuale caduta in d ore

consecutive.

Le leggi di probabilità pluviometriche definiscono come varia la media del massimo

annuale dell'altezza di pioggia su una fissata durata d, m[h(d)], con la durata stessa. Per la

zona del compartimento di Parma e Genova è stata adottata un’espressione del tipo:

m[h(d)] = a1 d n

I parametri inseriti nell’equazione sono stati valutati con regressione ai minimi quadrati

nelle 366 stazioni di misura pluviografiche presenti sul territorio esaminato. I valori

osservati variano per a1 da 10 a 49 mm/oren e per n da 0.21 a 0.61: l’ampiezza di questi

intervalli richiede un modello di variabilità spaziale dei parametri.

Compartimento del Triveneto

La raccolta di dati sia idrometrici che pluviometrici della stazioni di misura presenti sul

territorio del Triveneto fa capo al Magistrato alle Acque di Venezia, costituito nel 1907. Nel

tempo sono state rilevate precipitazioni in 804 stazioni pluviometriche, su un territorio di

39836 km2. Ai fini della regionalizzazione delle piogge giornaliere sono state condotte

analisi su 39 serie storiche costituite da dati pubblicati sugli Annali Idrologici a tutto il 1993

e caratterizzate da numerosità campionaria pari o superiore a 50 anni, per complessivi

2445 dati e, successivamente, su 123 serie con numerosità ≥38 per le stime dei parametri

di forma e di scala che caratterizzano la distribuzione probabilistica TCEV.

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

70

Il territorio è stato suddiviso in un’unica regione omogenea dopo aver preso in

considerazione le diverse ipotesi (unica sottozona, due sottozone, più sottozone

omogenee) perché è stato verificato che i fattori di crescita differivano al massimo dell’1%.

È da sottolineare però che questa scelta non è del tutto corretta perché porta ad escludere

che nella varianza totale ci sia una componente imputabile alla varianza spaziale.

I parametri di forma della distribuzione TCEV sono pari a:

Λ* =0.8961

Θ* =1.7218

Λ1 = 38.00

per cui l’espressione semplificata per il Triveneto è la seguente:

KT = 0.650+0.324 LnT Per valori del Tempo di Ritorno superiori a 10 anni, l’errore nell’uso di questa espressione

semplificata è sempre inferiore al 10%.

Compartimento di Roma e Pescara

L’area interessata dallo studio riguarda i bacini di competenza dell’Ufficio di Roma del

Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale (SIMN), ossia il bacino del Tevere e i bacini

minori con foce nel tratto laziale del litorale Tirrenico, tra il fosso Tafone (incluso) e il fiume

Garigliano (escluso).

Per tenere conto delle informazioni al contorno la regionalizzazione delle piogge è stata

eseguita su un’area molto più ampia, che interessa un intero tratto dell’Italia Centrale, che

si estende dal promontorio di Piombino alla foce del Garigliano sul Tirreno e include i

litorali marchigiano e abruzzese sull'Adriatico.

Su questo territorio sono state considerate 964 stazioni pluviometriche e per ognuna di

esse sono state raccolte le serie dei massimi annuali delle piogge giornaliere. Soltanto 309

stazioni sono attrezzate con strumento registratore e per esse sono state raccolte le serie

delle precipitazioni di massima intensità e breve durata.

Ai fini della regionalizzazione dei massimi annuali delle altezze di pioggia giornaliere sono

state complessivamente utilizzate le serie di 628 stazioni pluviometriche, di cui 626 con

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

71

numerosità di almeno 30 anni e 2 con numerosità compresa tra 30 e 20 anni, queste

ultime selezionate per coprire zone che altrimenti sarebbero rimaste scoperte.

Ai fini della regionalizzazione delle piogge di massima intensità e breve durata sono state

complessivamente utilizzate le serie di 309 stazioni pluviometrografiche, di cui 86 con

numerosità compresa tra 10 e 19 anni.

Al primo e al secondo livello di regionalizzazione sono state identificate tre regioni

omogenee, in cui l’ipotesi della costanza del coefficiente di variazione e del coefficiente di

asimmetria può essere accettata:

sottozona A (Tirrenica) che interessa la fascia del litorale tirrenico e si protende all’interno

lungo le valli dei principali corsi d’acqua;

sottozona B (Appenninica) che interessa l’ampia fascia dell’Appennino propriamente detto,

con le propagini dei colli Albani, e i monti Lepini, Ausoni e Aurunci, nonché, separati da

questa zona, i gruppi montuosi nell’entroterra tirrenico a nord-ovest del Tevere (i massicci

dell’Amiata e del Cetona con i monti Vulsini e i monti Cimini con i monti della Tolfa e i

monti Sabatini);

sottozona C (Adriatica) che interessa una ristretta fascia del litorale adriatico e si protende

con ristrette lingue lungo le valli dei corsi d’acqua.

Sottozona Λ* Θ* Λ1 η

A 0.174 3.490 29.31 4.480

B 0.762 1.241 22.02 4.359

C 0.795 2.402 27.81 5.301

L’espressione semplificata per la sottozona tirrenica è del tipo:

KT = -0.6086+0.779 LnT

L’espressione semplificata per la sottozona appenninica è del tipo:

KT = 0.6419+0.289 LnT

e l’espressione semplificata per la sottozona adriatica è del tipo:

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

72

KT = 0.5296+0.459 LnT

Il valore della pioggia indice per ciascuna durata da 1 a 24 ore per il compartimento di

Roma e Pescara dipende linearmente solo dalla quota z della stazione.

Compartimento della Regione Campania

L’area interessata dallo studio riguarda i bacini del versante Tirrenico che vanno dal Fiume

Liri-Garigliano al Fiume Bussento. I dati idropluviometrici relativi sono gestiti dalla sezione

di Napoli del Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale (SIMN).

La rete pluviometrica del SIMI al 1980 risultava composta da 319 stazioni di misura delle

piogge con almeno 10 anni di osservazione, di cui 227 ricadono all'interno dell'area di

studi, in particolare, 44 di esse posseggono anche 10 o più anni di osservazioni

pluviografiche relative ai massimi annuali delle altezze di pioggia di durata inferiore al

giorno.

L'area relativa al Rapporto Vapi riguarda solamente i bacini del versante Tirrenico della

Campania, mentre quelli sul versante Adriatico sono stati esaminati dai prof Copertino e

Fiorentino dell’Università di Basilicata [1992].

Una parte dei bacini del Sele, del Volturno e del Liri-Garigliano ricade in regioni limitrofe

alla Campania, per cui, complessivamente, l'area indagata non coincide del tutto con i

limiti amministrativi della Regione Campania.

Fissati i parametri di forma e di scala della distribuzione di probabilità cumulata all'interno

della sottozona pluviometrica omogenea previamente identificata, resta univocamente

determinata la relazione fra periodo di ritorno T e valore del coefficiente di crescita KT. I

valori dei parametri sono:

Λ* =0.224

Θ* =2.136

Λ1=41

η=4.688

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

73

e a seguito di approssimazioni è possibile anche fare riferimento ad una espressione

semplificata è del tipo:

KT = 0.110 + 0.456 Ln T

Solitamente si assume che il fattore probabilistico di crescita sia costante al variare della

durata soprattutto a causa del numero ridotto di serie storiche disponibili per tale analisi e

della loro generalmente più piccola dimensione campionaria che non ne permettono

un'analisi sistematica come nel caso delle piogge giornaliere.

In Campania il Servizio Idrografico gestisce 68 stazioni pluviografiche con serie n >10 anni

dei massimi annuali delle altezze di pioggia hd per d= 1, 3, 6, 12 e 24 ore consecutive, per

un totale di 1957 anni-stazione ed una numerosità media di 26 anni, ma un'ampia

variabilità campionaria. La consistenza di tale rete è, quindi, di gran lunga inferiore a

quella pluviometrica, inoltre, le piccole dimensioni campionarie renderebbero inaffidabili le

stime dei parametri statistici necessarie per l'analisi al primo e secondo livello di

regionalizzazione.

Un test per la verifica dell'ipotesi che i parametri di forma e di scala dei massimi annuali

delle piogge giornaliere siano validi anche per le hd non possa essere rigettata, è stato

effettuato confrontando la distribuzione osservata dei coefficienti di asimmetria Cs e di

variazione Cv per le hd, con quella campionaria teorica ottenuta con simulazioni

MonteCarlo per 5000 serie sintetiche aventi assortimento di dimensioni simile a quello

delle serie osservate. Le leggi di probabilità pluviometriche definiscono come varia la

media del massimo annuale dell'intensità di pioggia (pioggia indice) su una fissata durata

d, con la durata stessa.

Mediamente l'intensità di pioggia media per una durata superiore deve essere

necessariamente minore di quella per una durata inferiore. Per la Campania è stata

adottata una espressione del tipo:

m (d) = m( Io )/ ( 1+ d/dc )β

in cui d e dc vanno espressi in ore, m[Io] e m(d) in mm/ora e con β= C – D * Z

I parametri sono delle costanti all'interno di singole aree pluviometriche omogenee, e

variano nel passare dall'una all'altra.

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

74

Compartimento della Regione Puglia

Il rapporto Regionale della Puglia ha preso in esame i bacini compresi tra il fiume Ofanto a

sud e il torrente Candelaro a nord.

I dati pluviometrici utilizzati sono gestiti quasi tutti dalla sezione di Bari del Servizio

Idrografico e Mareografico Nazionale. La rete pluviometrica al 1985 risultava composta da

100 stazioni di misura delle precipitazioni con almeno 10 anni di osservazione. In

particolare si è tenuto conto di 73 stazioni pluviografiche di cui 60 con una serie n> 10 anni

dei massimi annuali delle altezze di pioggia di durata inferiore al giorno.

La consistenza della rete di misura idrometrica è molto variata nel corso degli anni: fino al

1970 risultavano complessivamente, per il Compartimento di Bari, 20 stazioni

idrometriche.

Nel dettaglio per i massimi annuali delle portate istantanee si fa riferimento a 20 stazioni

idrometrografiche con numerosità compresa fra 7 e 53 anni. Per i massimi annuali delle

portate in più ore consecutive si considerano i dati che nella quasi totalità non sono mai

stati pubblicati e sono stati ricavati appositamente ricorrendo alla lettura delle strisce

idrometrografiche originali o delle tabelle in cui il dato idrometrico è stato già corretto,

attraverso la scala di deflusso appropriata, in dato di portata.

Complessivamente sono state analizzate 8 serie idrometrografiche con numerosità fra i 12

e 24 anni per durate fra 0.5 e 48 ore.

Fissati i parametri di forma e di scala della distribuzione di probabilità cumulata all'interno

della sottozona pluviometrica omogenea previamente identificata, resta univocamente

determinata la relazione fra periodo di ritorno T e valore del coefficiente di crescita KT.

I parametri della distribuzione di probabilità dei massimi annuali delle piogge in Puglia

sono:

Θ* = 2.352

Λ*= 0.772

Λ1 = 45

η= 5.662

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

75

Inserendo i valori dei parametri nell’equazione del KT si ottiene un’espressione semplificata

del tipo:

KT= 0.5648+ 0.415 LnT Utilizzare l’espressione semplificata anziché quella generale porta ad un errore sempre

inferiore al 3%.

Per la Puglia è stata adottata, per il calcolo della pioggia indice, un’espressione del tipo:

m[h(d)] = a dn

I parametri dell’espressione sono costanti all'interno di singole aree pluviometriche

omogenee e variano nel passare dall'una all'altra.

L’identificazione delle aree omogenee è stata effettuata con riferimento al valor medio del

massimo annuale dell’altezza di pioggia giornaliera, m(hg): è stato infatti osservato che è

possibile suddividere l’area indagata in 4 aree pluviometriche omogenee in funzione del

legame caratteristico tra m(hg) e la quota Z, nelle stazioni di misura. Questo permette di

generalizzare la legge di probabilità pluviometrica per tener conto della variabilità di

m[h(d)] con la quota Z, attraverso un’espressione del tipo:

m[h(d,Z)] = a dn(Z)

Compartimento della Regione Basilicata

Lo studio effettuato sulla Regione Basilicata è relativo ai bacini del versante ionico. Esso

comprende i bacini del Bradano, del Basento, del Cavone, dell'Agri e del Sinni e si

estende per circa 8500 Km2. Nell’analisi sono stati presi in considerazione anche zone

relative ad alcuni bacini minori, tra cui quello del Noce.

I dati pluviometrici analizzati sono desunti dalle pubblicazioni del Servizio Idrografico

Italiano relative ai Compartimenti di Catanzaro, Bari e Napoli. L'archivio dei dati

pluviografici, basato sulle citate pubblicazioni, è aggiornato al 1987. Per alcune stazioni è

stato tuttavia possibile, grazie alla collaborazione fra il SIMN di Catanzaro ed il C.N.R.-

I.R.P.I. di Rende (CS), utilizzare i dati, non ancora pubblicati, aggiornati al 1992.

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

76

I dati utilizzati sono relativi a 55 stazioni pluviografiche con almeno 15 anni di

funzionamento. Alcune stazioni sono situate all'esterno dei limiti di bacino allo scopo di

migliorare le stime dei parametri areali relativi ai bacini idrografici.

Le ipotesi di regionalizzazione sono state poste contestualmente rispetto al primo ed al

secondo livello. Le alternative valutate sono state:

una in cui si considera l'intera Basilicata come unica zona omogenea al primo ed al

secondo livello;

una seconda che individua una sottozona Nord composta da 70 stazioni ed una sottozona

Sud-Ovest comprendente le rimanenti 8, con zona ancora unica al primo livello.

Tale soluzione viene suggerita dalla particolare collocazione geografica delle 8 stazioni, a

ridosso del massiccio del Pollino, che individuano la sottozona Sud-Ovest.

I parametri della distribuzione di probabilità sono :

Sottozona Λ* Θ* Λ1 η

A 0.104 2.623 20.64 3.841

B 0.104 2.632 55.23 4.825

I risultati ottenuti suddividendo la regione in una o in due zone omogenee sono favorevoli

alla seconda ipotesi: infatti nelle applicazioni si considerano una sottozona Nord e una

Sud-Ovest. Quest'ultima risulta anche omogenea rispetto alla sottozona di secondo livello

indicata come “tirrenica” nel rapporto VAPI Calabria. Fissati i parametri di forma e di scala

della distribuzione di probabilità cumulata all'interno della sottozona pluviometrica

omogenea previamente identificata, resta univocamente determinata la relazione fra

periodo di ritorno T e valore del coefficiente di crescita KT:

Sottozona Nord: KT= -0.7628+0.6852 Ln T Sottozona Sud Ovest: KT= -0.4032+0.5455 LnT Utilizzando le equazioni semplificate per valori del Tempo di Ritorno superiore a 25 anni si

commette un errore del 5% nella sottozona Sud Ovest, mentre lo stesso errore si ottiene

nella zona Nord per tempi a partire da 50 anni.

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

77

Compartimento della Calabria

I dati utilizzati nella stesura del rapporto Vapi relativo alla Regione Calabria sono stati

desunti dagli annali del Servizio Idrografico e Mareografico (SIMN) di Catanzaro.

Per quanto riguarda i valori massimi annuali delle precipitazioni giornaliere e di breve

durata sono state utilizzate tutte le stazioni calabresi del compartimento di Catanzaro che

hanno funzionato nel periodo 1916-1987. In particolare sono state prese in considerazioni

278 stazioni munite di pluviometro e 125 di pluviografo. Il numero di dati presenti per ogni

stazione varia notevolmente: in riferimento ai massimi annuali delle piogge giornaliere

esso va da un minimo di 6 (Sella Entrata) ad un massimo di 52 (Torano Scalo,

Longobucco, Trepidò, Albi, Catanzaro, Girifalco, Serra S. Bruno, Motta S. Giovanni,

Reggio Calabria, Rogliano) mentre, i massimi annuali delle piogge di breve durata

presentano un numero minore di anni di funzionamento; si va infatti da 2 (Rende) ad un

massimo di 37 (Cittanova e Decollatura).

Per i massimi annuali delle piogge giornaliere le stazioni con il numero di dati maggiore di

30 sono 176 per un totale di 8015 anni stazione, mentre quelle con i massimi annuali delle

piogge brevi con n ≥ 20 sono 49 per un totale di 1423 anni stazione.

Per la definizione del primo livello di regionalizzazione in Calabria sono state prese in

considerazione tutte le serie dei massimi annuali delle piogge giornaliere con dimensione

N ≥ 48 Non sono state prese in esame le serie di S. Sosti, che mostra un andamento

irregolare delle frequenze storiche cumulate, e di Vibo Valentia, che presenta un valore

eccezionale che non trova contemporanea corrispondenza nelle stazioni limitrofe. Si tratta

in definitiva di 53 stazioni ben distribuite spazialmente, per un totale di 2624 anni stazione.

Ipotizzando che la Regione Calabria possa essere considerata come un’unica zona

pluviometrica omogenea, si sono ottenute le seguenti stime TCEV:

Θ* =0.418

Λ* =2.154

Al secondo livello di regionalizzazione è stato verificato che la Calabria può essere

suddivisa in 3 sottozone omogenee, denominate rispettivamente:

sottozona A Tirrenica

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

78

sottozona B Centrale

sottozona C Jonica

I parametri sono:

Sottozona Λ* Θ* Λ1 η

A 2.154 0.418 48.914 5.173

B 2.154 0.418 22.878 4.414

C 2.154 0.418 10.987 3.681

Le tre equazioni del fattore di crescita, una per ogni sottozona, diventano:

Sottozona Tirrenica KT = 0.3887 + 0.416 Ln T Sottozona Centrale KT = 0.2837 + 0.488 Ln T Sottozona Ionica KT = 0.1410 + 0.585 Ln T Il terzo livello di regionalizzazione consiste nell’individuazione di legami tra valori medi

delle serie storiche ed i parametri geografici che caratterizzano le località in cui sono

installate le stazioni di misura.

Nel caso della Calabria è stata osservata, all’interno di aree omogenee, una buona

relazione tra la media annuale dei massimi giornalieri e la quota Z. Si è pertanto ipotizzato

che l’intera regione possa essere suddivisa in aree omogenee in ciascuna delle quali

esiste una correlazione tra i valori della media del massimo annuale dell’altezza di

precipitazione giornaliera m[hg] e la quota sul mare Z, h, del tipo:

m[h] = C Z + D in cui C e D sono due parametri variabili da area ad area.

Per la Calabria sono state individuate 13 aree pluviometriche omogenee.

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

79

Compartimento della Regione Sicilia

I dati idropluviometrici relativi alla regione Sicilia sono gestiti dal compartimento di Palermo

del Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale (SIMN).

In particolare si è fatto riferimento alla sola rete pluviografica del SIMN, che al 1981

risultava composta da 172 stazioni di misura con almeno 10 anni di osservazione, con una

densità media di una stazione per 150 km2. In questa maniera si è completamente

rinunciato all’informazione pluviometrica, consistente di 225 stazioni con numerosità

superiore a 30 anni, per concentrarsi direttamente sull’analisi delle grandezze di più

immediato interesse alla derivazione delle portate di piena.

Per la regione Sicilia è stata individuata una sola zona omogenea al primo livello di

regionalizzazione, con parametri di forma pari a:

Λ* = 0.455

Θ* = 2.632

da cui sono escluse le isole minori.

Al secondo livello, utilizzando criteri di cluster analysis, sono state effettuate verifiche sulla

significatività della suddivisione in sottozone omogenee in numero da 1 a 5. Il risultato

finale è la suddivisione del territorio regionale in 3 sottozone. I parametri di scala stimati

per le singole sottozone sono:

Sottozona Λ* Θ* Λ1 η

C 0.455 2.632 12 4.001

D 0.455 2.635 16 4.288

E 0.455 2.635 23 4.651

La distribuzione TCEV nell’espressione più semplificata, nelle diverse sottozone della

Sicilia diventa:

Sottozona C (45 stazioni) KT= 0.1031 + 0.658 Ln T

Sottozona D (60 stazioni) KT= 0.1632 + 0.614 Ln T

Sottozona E (114 stazioni) KT= 0.2285 + 0.566 Ln T

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

80

Per valutare la pioggia indice in Sicilia, è stata adottata una procedura che distingue:

• per d <1 ora, si ritiene valida una semplice espressione monomia del tipo:

m[h(d)] = a dn

in cui le durate sono in ore e i parametri a ed n sono stati valutati in tutte le 155 stazioni di

misura pluviografiche mediante regressione ai minimi quadrati in campo logaritmico;

• per 30 min <d<60 min, una espressione monomia valida per l’intera Sicilia, del tipo:

m[h(d)] = 0.208 m[h(60)] d^0.386

in cui le durate sono in minuti.

Tale espressione è stata ricavata analizzando i dati forniti nella Tab. V degli Annali

Idrologici, relativi alle precipitazioni di breve durata e notevole intensità, che costituiscono

un complesso di 191 stazioni con 354 dati.

Compartimento della Regione Sardegna

L’applicazione del modello probabilistico TCEV alle piogge giornaliere massime annue

registrate in Sardegna è stata basata sui dati di 200 stazioni pluviometriche con almeno 40

anni di osservazioni nel periodo 1922-80. A scopo di verifica, sono state inoltre utilizzate

altre 111 stazioni con un numero di anni osservati compreso tra 15 e 39.

Le elaborazioni relative agli eventi brevi ed intensi sono state condotte su di una base dati

costituita dalle massime piogge annue di durata pari a 30, 45 e 60 minuti e 3, 6, 12 e 24

ore, rilevate nel periodo 1929-82 in 46 stazioni pluviografiche con almeno 17 anni di

osservazioni.

Le osservazioni sopraindicate sono state in parte estratte dagli Annali Idrologici del

Compartimento di Cagliari del SIMN e, in parte, digitalizzate direttamente dai diagrammi

pluviografici, messi a disposizione dallo stesso compartimento. I dati osservati sono stati

sottoposti a verifica controllando in ogni stazione la congruenza tra l’altezza di pioggia

giornaliera e quella di 24 ore e, più in particolare, tra altezze di pioggia di differente durata.

Al primo livello di regionalizzazione è stata verificata ed accolta l’ipotesi che tutto il

territorio regionale ricada in un’unica zona omogenea, caratterizzata dalla costanza in tutti

i punti del territorio del coefficiente d’asimmetria e dei parametri di modello Λ* e Θ* .

Le loro stime effettuate col metodo di massima verosimiglianza, sono risultate:

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SOGLIE PLUVIOMETRICHE

81

Λ* = 2.207

Θ* = 0.517

Le verifiche di questa ipotesi sono state condotte generando, per ogni serie osservata,

1000 serie sintetiche di pari numerosità, costruendo da questi dati la curva di ripartizione

teorica del coefficiente d’asimmetria campionario, determinando la probabilità di non

superamento relativa al valore del coefficiente d’asimmetria osservato e verificando infine

l’uniformità della distribuzione delle 200 probabilità di non superamento ottenute per le 200

stazioni. L’analisi è stata supportata dal confronto visivo tra la distribuzione empirica dei

200 valori di asimmetria osservati e la distribuzione di riferimento, costituita dai 200000

valori.

Al secondo livello di regionalizzazione è stata riconosciuta la necessità di ripartire il

territorio in tre sottozone omogenee, ognuna caratterizzata dalla costanza del coefficiente

di variazione e del parametro Λ1 . L’aggregazione delle stazioni in gruppi omogenei è stata

condotta con tecniche di cluster analysis. La stima dei parametri è stata condotta

dapprima col metodo di massima verosimiglianza ed è stata in seguito affinata variando

iterativamente i valori dei parametri sino ad ottenere nelle serie generate sinteticamente gli

stessi coefficienti di variazione (CV) osservati in media in ciascuna sottozona.

Per la verifica di queste stime è stato adottato un procedimento analogo a quello

impiegato al primo livello di regionalizzazione. La delimitazione territoriale delle sottozone

è stata effettuata utilizzando anche i dati delle 111 stazioni con minor numero di

osservazioni, le quali sono state attribuite ai tre gruppi mediante tecniche di analisi

discriminante, ed è semplicemente basata sull’aggregazione dei topoieti delle stazioni

appartenenti ad una medesima sottozona. La spezzata costituita dai lati di confine, che

separano topoieti appartenenti a diverse sottozone, è stata regolarizzata con una spline

function.

I valori dei parametri nelle tre sottozone sono risultati:

Sottozona Λ* Θ* Λ1 η

A 0.517 2.207 74.50 5.856

B 0.517 2.207 21.20 4.599

C 0.517 2.207 6.68 3.444

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Le equazioni del fattore di crescita, valide per tempi di ritorno compresi tra 2 e 1000 anni,

risultano: Sottozona A KT = 0.69319 + 0.72015 LogT + 3.1364 10-2 (LogT)2

Sottozona A KT = 0.60937 + 0.91699 LogT + 3.9932 10-2 (LogT)2 Sottozona A KT = 0.47839 + 1.2245 LogT + 5.3321 10-2 (LogT)2 Al terzo livello di regionalizzazione, viene presa in considerazione come pioggia indice la

media del massimo annuale dell’altezza di precipitazione giornaliera m[hg]. Per definire la

distribuzione sul territorio della pioggia indice sono stati formulati tre differenti modelli di

trasposizione e sono state confrontate le relative prestazioni:

1. il primo modello è basato sulla mappatura spaziale della grandezza di interesse,

attraverso tecniche di Kriging;

2. il secondo è fondato sull’identificazione di aree omogenee caratterizzate da

correlazioni lineari tra il logaritmo della pioggia indice e la quota sul mare della

stazione;

3. il terzo è basato sull’applicazione di modelli neurali.

La taratura dei tre modelli è stata effettuata utilizzando le osservazioni delle 200 stazioni

con base dati più estesa, mentre la loro verifica è stata condotta raffrontando i risultati con

le osservazioni delle 111 stazioni con minor numero di dati, non impiegate nel processo di

taratura.

Le indagini hanno evidenziato la miglior capacità interpretativa del modello basato sulle

tecniche di Kriging. Per facilitare l’impiego del modello, sono stati preliminarmente stimati i

valori di m[hg] in corrispondenza dei nodi di un reticolo di 1 km di lato, ricoprente l’intero

territorio regionale. Il valore della pioggia indice in qualunque punto del territorio può

essere stimato mediante interpolazione lineare tra i valori nei quattro nodi circostanti.

Per le piogge brevi ed intense, il legame tra la pioggia indice m[h(d)] e la durata d è

risultato ben descritto in tutti i siti considerati da un’espressione monomia analoga a quella

impiegata per rappresentare le curve di crescita:

m[h(d)]= ao dno

Per trasferire i valori di ao ed no a siti non osservati, dopo aver esplorato alcune ipotesi

alternative basate su correlazioni con i parametri morfologici e sull’impiego di superfici

interpolari, risultate non praticabili per l’esiguo numero di stazioni osservate, si è prescelto

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di ricercare delle relazioni generali con l’altezza di pioggia giornaliera media, che è

facilmente calcolabile in tutti i punti del territorio.

Le relazioni ritrovate risultano:

ao = m(hg) /(0.88624 no)

no = -0.493+0.476 Log m(hg)

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ALLEGATO 2

COEFFICIENTI DI RAGGUAGLIO ARF PER LE ZONE DI ALLERTA

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ALLEGATO 3

PRECIPITAZIONI DI ASSEGATO TEMPO DI RITORNO PER CIASCUNA AREA DI

ALLERTAMENTO