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1 Lezioni di filosofia della comunicazione – Ugo Volli – Edizioni Laterza Sintesi di Marzio Bonferroni – 2009 Ugo Volli è ordinario di semiotica del testo all’Università di Torino. E’ autore di numerose pubblicazioni scientifiche. Il testo rappresenta un primo tentativo di sistemazione organica della materia, che non aveva ancora trovato una proposta in tal senso. L’uomo è prima di tutto un essere linguistico che si proietta nella società attraverso la comunicazione. La filosofia della comunicazione è un’antropologia filosofica umanistica che studia il significato del fenomeno comunicativo e le sue influenze dal punto di vista semiotico, psicologico, etnografico, per trarne conclusioni di senso. Non è possibile non comunicare (Paul Watzlawick) LA COMUNICAZIONE E’ UN PROBLEMA FILOSOFICO Da quando esiste la civiltà umana, essa ha avuto al suo centro i fenomeni che oggi noi chiamiamo di comunicazione. Il linguaggio appare come il principale strumento comunicativo, e l’uomo è naturalmente immerso nella vita comunitaria, in quanto portatore di linguaggio. La filosofia della comunicazione dovrà coglierne il significato verticale (cosa comunico) e il significato orizzontale.(a chi comunico), per analizzarne il senso e l’influenza. L’informazione costituisce la base della comunicazione, anche se è un fenomeno distinto.

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Lezioni di filosofia della comunicazione – Ugo Volli – Edizioni Laterza Sintesi di Marzio Bonferroni – 2009 Ugo Volli è ordinario di semiotica del testo all’Università di Torino. E’ autore di numerose pubblicazioni scientifiche. Il testo rappresenta un primo tentativo di sistemazione organica della materia, che non aveva ancora trovato una proposta in tal senso. L’uomo è prima di tutto un essere linguistico che si proietta nella società attraverso la comunicazione. La filosofia della comunicazione è un’antropologia filosofica umanistica che studia il significato del fenomeno comunicativo e le sue influenze dal punto di vista semiotico, psicologico, etnografico, per trarne conclusioni di senso. Non è possibile non comunicare (Paul Watzlawick) • LA COMUNICAZIONE E’ UN PROBLEMA FILOSOFICO • Da quando esiste la civiltà umana, essa ha avuto al suo centro i fenomeni che oggi noi

chiamiamo di comunicazione. • Il linguaggio appare come il principale strumento comunicativo, e l’uomo è naturalmente

immerso nella vita comunitaria, in quanto portatore di linguaggio. • La filosofia della comunicazione dovrà coglierne il significato verticale (cosa comunico) e il

significato orizzontale.(a chi comunico), per analizzarne il senso e l’influenza. • L’informazione costituisce la base della comunicazione, anche se è un fenomeno distinto.

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• La comunicazione trova nell’informazione il proprio esplicitarsi per una trasmissione che

partendo dalla volontà dell’emittente, possa trovare adeguati segni di riconoscimento che permettano la trasmissione voluta fino al suo riconoscersi nel destinatario.

• Nel passaggio di segni e contenuti dall’emittente al ricevente, si determina un primo essenziale

significato del fenomeno comunicazionale, mentre un secondo altrettanto essenziale significato, si determina nel fatto che nel passaggio di segni e contenuti, si genera una necessità e una possibilità di ritorno dal ricevente all’emittente, invertendosi dunque i poli, in un continuo sviluppo della comunicazione che diventa così processo e tessuto sociale e umano.

• Secondo il noto schema di Roman Jakobson (1963), sono sei i fattori sempre presenti in ogni

comunicazione, ovvero

emittente, codice, messaggio, contatto, contesto, destinatario. • Questo schema non è sufficiente ed è da integrare con altre importanti caratteristiche della

comunicazione.

- Mettere in comune. E’ un fondamentale elemento della comunicazione, che permette di condividere e di partecipare a dei valori comuni espressi con segni e significati che lo permettono.

- Competenza comunicativa. E’ l’insieme di ciò ch rende possibile il comunicare, e che determina l’attento ascolto dell’oggetto dello stesso comunicare, considerando da parte del ricevente che l’emittente è nella condizione di poterlo fare e di essere creduto.

- Inferenza. E’ la conseguenza deduttiva e di azione concreta determinata dall’emittente in quanto voluta dallo stesso, come nel passaggio di informazioni che possono modificare un atteggiamento e un’opinione, e determinata dal ricevente che assume la comunicazione come causa di propri comportamenti, a volte anche non voluti direttamente dall’emittente.

- Scambio. E’ la modalità in cui si determina la comunicazione. La comunicazione infatti non lascia i soggetti della stessa nella condizione iniziale, in quanto trasferisce loro elementi che prima della comunicazione non erano presenti nelle sfere psichiche dei soggetti emittenti e riceventi. E’ quindi da ritenersi che lo scambio sia un importante elemento della comunicazione in quanto costituisce la modalità attraverso la quale si determinano nuovi elementi e motivazioni dell’agire umano.

• AMBIENTI COMUNICATIVI • La comunicazione ha un fondamentale aspetto spaziale, determinando relazioni fra esseri

umani e creando rapporti circoscritti in sfere, cerchi o meglio in aree più o meno vaste e definibili quali-quantitativamente.

• La comunicazione è “preliminare” all’uomo e alla sua costruzione progressiva. Si può

definire un essere umano anche come sommatoria e prodotto di una serie di comunicazioni complementari ed evolutive. Anche nella religione il “verbo” è preliminare alla creazione, che può essere vista come un atto creativo-comunicativo.

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• La nostra mente è plasmata dal linguaggio e pertanto la comunicazione è dentro di noi oltre che essere l’elemento fondamentale in cui siamo calati attraverso i nostri rapporti interpersonali e sociali, diretti o mediati dai mezzi in cui i messaggi e le informazioni passano e si trasmettono.

• La comunicazione determina la capacità di comprendere la realtà e di plasmarci in essa.

Pertanto è parte integrante del divenire dell’essere umano e dell’umanità, ed di conseguenza è oggetto di induzioni e deduzioni filosofiche.

• Tutta la vita di un uomo si sviluppa attraverso la parola trasmessa e quindi attraverso il

linguaggio, che plasma l’uomo e che dall’uomo è plasmato, in un circuito ad anello continuo e proiettato nel futuro, con le radici e i caratteri plasmanti nel passato.

• Il discorso è la modalità comunicativa che caratterizza la società umana e che può essere

analizzato da diversi punti di vista, sia psicologici che sociologici. Il discorso nfluenza e plasma i rapporti e i partecipanti, e ne è a sua volta influenzato.

• L’ambiente comunicativo e il luogo in cui si genera e si sviluppa il discorso fra i

partecipanti. Esso ha regole rigide e definite (ad es il tribunale) oppure ha regole non rigide e non definite ma che comunque esistono per effetto degli usi e consuetudini sedimentate (ad es. il bar).

• In un ambiente comunicativo in cui si riconosce un nostro potenziale destinatario di un

messaggio nella sua identità, si determina da parte dell’emittente una sorta di – pretesa al discorso – potendo dunque l’emittente parlare e trasferire quanto ritiene comunicabile in un certo momento. L’emittente chiama al discorso una singola persona, se esiste un contatto diretto possibile, oppure gruppi anche molto numerosi di persone, attraverso i mass media.

• Il linguaggio non è semplicemente uno strumento di comunicazione, ma comprende e

organizza il mondo. Avere linguaggio significa partecipare al divenire del mondo, considerando che la responsabilità e la libertà dell’uomo sono di pari valore della sua capacità di esprimersi.

• La comunicazione dunque è anche un atto che richiede conoscenza dei valori inscritti

nell’uomo, e responsabilità per quanto ai suoi effetti sulle persone e sul mondo.

• Esiste una maschera che divide la persona dal soggetto. La persona è l’entità che appare nel discorso come polo attivo e passivo, invertendosi i ruoli quando questo è reso possibile dalla sfera in cui si svolge il discorso. Il soggetto è l’entità profonda che appare soltanto parzialmente nella persona interpellata nel rapporto comunicazionale, e che determina fondamentalmente il risultato-effetto del discorso-causa.

• Rispettare la maschera è un principio etico fondamentale per evitare forzature e

condizionamenti nel rapporto comunicazionale fra persone libere sia di comunicare che di accogliere tutta o parte della comunicazione.

• Nel distacco esistente fra maschera-persona e realtà-soggetto, si inserisce sia il livello di

libertà da rispettare sia una notevole e spesso difficilmente sondabile serie di elementi interpretativi del significato profondo del rapporto e del senso stesso da attribuire alla comunicazione fra esseri umani.

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• Rappresentare ruoli diversi dal proprio ruolo personale e soggettivo, richiede un passaggio di identità voluto e costituito in alcuni modelli e convenzioni, come quelli che si determinano ad esempio nella vita pubblica. In questo ruolo, il rappresentante agisce secondo codici scritti e non scritti, che trasferiscono nella comunicazione elementi vincolanti di cui occorre tener conto da entrambe le parti del rapporto comunicativo. Si determina pertanto una sorta di gioco comunicativo.

• L’apparire e l’essere sono due condizioni essenziali della comunicazione, anche se

l’apparire coincide in prima istanza con la sfera discorsiva e quindi con la comunicazione stessa, lasciando all’essere l’enigma dell’analisi interpretativa.

• L’informazione rende visibile la comunicazione fra emittente e ricevente, ma non ne

definisce la totale potenzialità, dato che questa si completa con il dialogo e pertanto con la tensione reciproca al mettere in comune i valori che sono espressi nella comunicazione, di cui l’informazione diventa per così dire il loro vettore.

• La comunicazione richiede inoltre partecipazione, intendendo con essa non soltanto la

condizione di spettatori ma anche quella di attori diretti o indiretti. La partecipazione significa infatti prendere parte e trovare in una parte, e in un partito nel caso dei dibattiti politici, la propria adesione a un’idea, un valore, un programma. In questo senso la politica diventa metafora della comunicazione in generale, in cui siamo chiamati a prendere parte attraverso la partecipazione e il dialogo.

• La presenza diretta del comunicatore e del ricevente rende la comunicazione atto diretto e

non mediato da chi può agire per conto del comunicante. Anche la trasmissione della comunicazione attraverso un mezzo esterno alla comunicazione diretta, rende la comunicazione meno efficace, dato che non permette il dialogo.

• Si tratta di considerare che ogni soggetto è unico e che la sua presenza forte, in carne ed

ossa, (logocentrismo) permette una comunicazione vera e davvero esaustiva, almeno nella sua prospettiva collegata agli obiettivi che vengono messi in campo, difendendo gli stessi dalle incomprensioni e dalle interpretazioni arbitrarie.

• L’ambiente discorsivo delimita la sfera entro cui si sviluppano i rapporti comunicativi, in

piena libertà o secondo vicoli e tensioni che possono essere o non essere determinati, ma che comunque rappresentano dei vincoli alla piena e libera espressione comunicativa.

• E’ da notare come la libertà comunicativa si espliciti in modo diverso se l’area comunicativa

in cui essa si realizza sia di natura pubblica oppure di natura privata, agendo in esse diverse regole e modalità. Diverso è infatti l’agire nella comunicazione per obiettivi che si determinano come pubblici, rispetto alla comunicazione fra soggetti privati, per i quali vale oggi la legge della privacy. In buona sostanza, per determinare la comunicazione nei termini progettuali e operativi, è necessario analizzare e determinare con chiarezza vincoli e norme che agiscono in modo diverso nel pubblico e nel privato.

• Gli interessi e le argomentazioni determinano una sostanziale diversità nella comunicazione fra entità che appunto si basano su interessi, rispetto alla comunicazione basata puramente su argomentazioni. La seconda normalmente è aperta a una libertà di partecipazione alla comunicazione da parte di chi possieda o possa recepire gli argomenti in gioco, mentre la

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prima si svolge in sfere comunicative riservate a coloro che hanno la possibilità economica o professionale di parteciparvi.

• L’apparire e il parlare sono due elementi complementari della comunicazione, in cui il

primo permette lo svilupparsi del secondo. Come entità separate possono avere nei confronti dei loro testimoni-fruitori una loro funzione autonoma anche rispetto agli effetti che esse determinano, ma è nella sinergia degli stessi che si sviluppa la massima efficacia comunicativa.

• RAGIONI DEL DIALOGO

• Nel termine con-dividere c’è il significato di dialogo, che deriva etimologicamente dal

processo di dia-logos, ovvero dall’essere divisi da un logos, un’entità, che nel dividere ci accomuna. E’ il paradosso del dialogo e della partecipazione, che dunque si basano su due entità ben definite e libere che si uniscono essendo assolutamente divise ma proiettate nella condivisione di un elemento fondamentale comune che è appunto il logos da entrambe le parti riconosciuto nelle sue caratteristiche formali e sostanziali, causa di effetti presso interlocutori definiti, negli aspetti emotivi ma anche razionali ed etici, che compongono la comunicazione nella sua integralità espressiva e causale.

• Il dialogo, elemento fondamentale della, nella e per la comunicazione, si realizza

compiutamente soltanto nello spazio pubblico, in cui l’intelligenza umana si incontra con la conoscenza, e la determina nel suo sviluppo proprio attraverso il dialogo e il conseguente trasferirsi discorsivo di elementi che permettono alla conoscenza, il suo arricchimento progressivo.

• Soltanto la situazione dialogica vede il soggetto pienamente riconosciuto, ed il dialogo che

si determina in essa è collegato ad un progetto di verità che è implicito in ognuno degli interlocutori

• Nel dialogo, a patto della reciprocità, ci si espone alla possibilità di cambiare idea. E’ quindi

fondamentale lasciare spazio all’altro per far sì che il dialogo ci conduca in sentieri anche imprevedibili e che possono sorprenderci e arricchirci.

• La libertà intellettuale consiste proprio nella possibilità di subire influenze diverse attraverso il dialogo e reciprocamente nella possibilità di determinare nel nostro prossimo, in piena libertà, convinzioni e opinioni diverse da quelle che aveva prima dell’effetto generato dal dialogo. Dalla causa all’effetto, si possono dunque determinare processi di inferenza per risalire dall’effetto alla causa, determinata dal dialogo e dall’entità che lo ha causato.

• Il dialogo come modello umano è stato riconosciuto fondamentale e studiato a fondo sia

nella cultura greca che in quella ebraica, che lo hanno posto anche a base delle discipline umanistiche e giuridiche. Un principio fondamentale del dialogo consiste nella distanza e nel rispetto che – l’altro – deve avere nel rapporto di dialogo che ho con lui, riconoscendone il valore e l’essenza stessa della persona con cui entro in contatto. Su queste basi é pensabile che vi possa essere un reciproco arricchimento attraverso la parola, il discorso e i valori che con essi si trasferiscono reciprocamente.

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• Nel dialogo e soltanto in esso, e non nella scrittura, si determina la possibilità di raggiungere progressivamente la verità a cui desiderano tendere coloro che hanno generato e costruito il dialogo. La scrittura in effetti trasferisce i risultati che si producono attraverso il dialogo.

• Socrate afferma che dialogare implica la volontà di chiedere e la disponibilità a esporsi.

• Il dialogo consiste nel chiedere e nel rispondere, e sia la domanda sia la risposta devono

essere congruenti con certi criteri non solo funzionali ma anche estetici. Le regole del gioco dialogico sono tacite ma estremamente formalizzate.

• La filosofia presenta fin dall’inizio, per il metodo socratico della ricerca della verità e del

funzionamento delle cose, come una dimensione di filosofia della comunicazione.

• Socrate si interessa del discorso e quindi della comunicazione, e la sua filosofia vuole essere scienza di una verità radicata nell’uomo, attraverso la sua esperienza.

• La retorica è comunicazione, ovvero un’arte produttrice di persuasione, nell’interesse del

raggiungimento della conoscenza.

• Il dialogo è una sfida a convincere l’altro, a partire dai suoi stessi argomenti, e ogni consenso è come un paletto, uno scalino, nel percorso della dimostrazione e della comunicazione-persuasione, il cui vero obiettivo deve essere non di far soltanto credere, il che può essere vero o falso, ma di creare vera conoscenza.

• Opinione e scienza, doxa ed episteme, sono in contrapposizione, quali fasi di ricerca della

verità, dove il loro scarto è la premessa della metafisica..

• L’etica è per il filosofo Gorgia, la guida della retorica e quindi della comunicazione, indicando che essa va usata solo per il bene, e che in sé é strumento neutro.

• Il fondamento del dialogo è la convinzione dell’altro, il consenso, ma la sua base non è data

ma costruita, senza ricorso ad un’autorità terza.

• Il discorso e il dialogo hanno comunque un loro valore intrinseco che si realizza progressivamente nella ricerca della verità e del significato, anche a volte attraverso la contrapposizione delle posizioni dialettiche, che ne possono rappresentare un elemento importante e fondante del dialogo e del risultato della comunicazione.

• Si dimostra sempre di più che senza dialogo non c’è vera comunicazione e che la

comunicazione si deve sempre necessariamente fondare sul dialogo.

• Instaurare con una persona un rapporto di dialogo, significa anche riconoscergli una personalità, una trascendenza, nel lasciare che essa emerga come soggetto da un rapporto comunicativo. Entra in gioco la capacità di vedere l’altro come alter-ego, di considerarlo come un soggetto che ci somiglia e in cui riconoscere un obbligo etico.

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• L’etica del dialogo è quindi un’etica che determina principi di responsabilità e di comportamento, nella regola della reciproca apertura, nella modalità di relazione e di disponibilità alla prova e al rischio connesso, pur nella distanza tra le parti.

• Nella narrazione biblica, quello del serpente con Eva è il primo esempio di dialogo

comunicativo, basato sulla seduzione e sulla promozione di valori che siano puramente estetici e non tanto intrinseci. L’apparire e non l’essere, dunque, come entità comunicativa realizzata attraverso il dialogo e la comunicazione.

• La comunicazione-seduzione non è molto distante dalla comunicazione-violenza, sul piano

dialogico, in quanto produce un distacco dalla sostanza dei valori intrinseci, razionali ed etici, producendo un distacco dalla realtà completa. E’ la comunicazione biblica preferita dal serpente-demonio, in quanto il suo ruolo è di comunicare per dividere. Demonio significa infatti divisore. E’ interessante notare questa distanza fra la comunicazione puramente emotiva generata dalla seduzione e la comunicazione più completa, generata da un dialogo che tenga conto delle componenti valoriali più intime, come la ragione e l’etica.

• L’etica è la condizione del dialogo e non viceversa, intendendo per dialogo in senso

completo e profondo la comunicazione che abbia come riferimento iniziale il senso della responsabilità e quindi giustizia per l’altro, non da sedurre dunque, ma da far crescere nella propria dimensione umana integrale attraverso la trasmissione di valori che siano anche razionali ed etici.

• Il dialogo cambia il mondo, influisce sugli atteggiamenti degli interlocutori, ma richiede un

atto di coraggio previo, un impegno a mettersi in gioco. Ne è esempio biblico il dialogo fra Dio ed Abramo, a cui viene chiesto il sacrificio di Isacco, fino al momento in cui la completa fiducia di Abramo, attraverso il dialogo, viene ricompensata.

• Il dialogo è la modalità comunicativa per eccellenza, anche perché promette all’interlocutore

di esserci, di perpetuare una relazione e comunque una disponibilità paritetica e non aggressiva. Il dialogo platonico invece tendeva verso il proprio fine, con lo scopo di concludersi escludendo una delle due tesi e quindi una delle due parti.

• Il vero dialogo promette non una pedissequa ripetizione ma la continuità per l’evoluzione..

• Nel dialogo c’è uno scambio libero di identità aperte all’evoluzione e al progresso, una reciproca apertura, la richiesta di una presenza che si perpetui, la disponibilità a continuare nel rapporto, ferma restando il riconoscere la distanza e il rispetto per l’altro. Anche in questo troviamo nella Bibbia, come negli episodi di Mosé e Giobbe una radice e un modello originario nel dialogo col divino, ricordando il Dio biblico che sceglie e chiama per nome, facendosi conoscere con il proprio nome, anche se con diverse modalità. Il dialogo fra uomini nasce quindi da una profonda radice, che si direbbe voluta e compresa nello stesso progetto originario dell’essere umano.

• Interessante è capire come dalle scoperte fondamentali del filosofo Hegel in poi, il dialogo si

pone anche come contrapposizione fra un’io in evoluzione nelle fasi dell’autocoscienza, ed un tu a cui l’io si contrappone nella pulsione distruttiva originaria che se viene moderata e compresa dagli aspetti etici e ragionevoli, può pervenire a risultati costruttivi. Il dialogo dunque non è un elemento semplice e spontaneo, anche se in parte può sembrarlo, ma una

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continua conquista prima in noi stessi e poi nell’altro e con l’altro. Dalla disputa fra l’io e l’altro nasce in buona parte la cultura della comunicazione nel novecento.

• In Husserl, il riconoscersi fra individui è un necessario passaggio di “rispecchiamento” in

cui l’altro è visto come un alter-ego, anche se in questo passaggio si direbbe primario, quello che manca è proprio il dialogo. Nella sua teoria della conoscenza, il riconoscersi è la base dell’intersoggettività, identificata nella filosofia di Husserl, che però tende a costruire un altro io, condizione non sufficiente per l’istaurarsi di un dialogo, che come sappiamo ha invece bisogno da parte di un io di riconoscere un io diverso con da rispettare e con cui instaurare un rapporto di dialogo.

• In Heidegger, la riflessione sul dialogo parte dalla considerazione del quotidiano come

realtà, come vita concreta in cui ci è dato di incontrare gli altri. Ma in lui non troviamo il piacere della comunicazione come convivialità, non trovando lo spazio per il dialogo e per il libero confronto delle differenze.

• Abbiamo dunque incontrato varie posizioni filosofiche, come in Platone con una modalità

scientifico/politica, e nella Bibbia, con una modalità etica. Nei pensatori moderni sono rare le posizioni in cui emerge la dimensione plurale dell’umanità, mentre a volte emerge con forza anche drammatica l’impossibilità o la difficoltà del dialogo. In Hegel e in Nietzsche la condizione determinante della convivenza fra esseri umani è la lotta. Ammettono la necessità della comunità ma sono poco attenti al modo in cui gli individui possono incontrarsi e stabilire un rapporto.

• Nel corso del novecento si sono poi aperte riflessioni sul come gli esseri umani

interagiscono simbolicamente e dunque dialoghino e sul come dovrebbero essere organizzate le società per permettere lo sviluppo del dialogo. I primi filosofi del dialogo furono Martin Bauber ed Emmanuel Lévinas.

• In Martin Bubber si determina una sorta di distinguo fra due assi di percezione della realtà e delle persone che ci circondano, da parte di un singolo essere. Un asse io-esso considera oggettivamente la posizione altrui in rapporto con la posizione personale di chi vive il rapporto, ma in un modo che porta a vivere il rapporto stesso come distanza in una doppia sfera di competenza soggettiva. Un altro asse che si definisce come io-tu, permette invece di riconoscere le differenze individuali in una determinata società, come parti che non si fronteggiano per mai connettersi, ma invece per comprendersi, rispettarsi e instaurare un rapporto di dialogo, paritetico e con la fondamentale volontà di un reciproco arricchimento esperienziale e concettuale. E’ questa seconda posizione la posizione del dialogo inteso come elemento centrale della comunicazione interpersonale e sociale. Secondo Levinas, il grande progetto storico dell’occidente, che inizia quantomeno con Socrate, è la trasformazione del mondo in “esperienza”, ovvero il far conoscere ogni cosa, sensazioni, emozioni, il rapporto col prossimo, con il gruppo sociale, con la divinità, nel – sapere –

• Il contenuto fondamentale del pensiero europeo è quindi visto da Levinas come un processo

con cui si porta a conoscenza il mondo e lo si mette in luce come pensabile e conoscibile. E’ quindi una filosofia contraria alla conoscenza che si chiude nel soggetto e che non appare

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come necessariamente fruibile al di fuori di noi stessi. Una visione dunque aperta e relazionale, quella di Levinas, contraria ad una visione ego riferita e chiusa al prossimo.

• Nella tradizione che viene dalla Grecia, il dialogo è il luogo in cui si può ottenere verità.

• La pace viene ad essere il riconoscimento formale della verità della convivenza, raggiunta

attraverso il dialogo.

• Il punto su cui si gioca il valore del rapporto e del dialogo, sta nel riconoscere le esigenze dell’altro senza determinarle.

• Per Levinas la mia umanità non solo ha origine nell’altro, ma gli è affidata e sempre si

misura su di lui. La libertà è la libertà degli altri e la conseguenza etica è il rispetto di questa libertà, pertanto anche nel dialogo e nella necessaria comunicazione per favorirlo e svilupparlo.

• NECESSITA’ DELL’INTERPRETAZIONE

• Buona parte della filosofia continentale si definisce ermeneutica, ovvero interpretativa. Si

direbbe che la comunicazione non possa fare a meno dell’interpretazione, anche se a livelli diversi di rifiuto, estensione, limitazione, esaltazione.

• L’interpretazione, che nella filosofia antica significa per lo più – indicazione – o

– espressione - interessa in quanto attraverso di essa arriviamo alla ricerca personale o scientifica, del senso vero della comunicazione interpersonale, nei testi e nei media.

• Ogni dettaglio della comunicazione è significativo e portatore di senso e quindi oggetto di

interpretazione.

• Una felice definizione di – interpretazione – la dobbiamo a Wilhelm Dilthey (1883): quel processo nel quale noi conosciamo un’interiorità sulla base di segni che ci sono dati sensibilmente dall’esterno, in cui noi, sulla base di segni sensibili che ne sono la manifestazione, conosciamo qualcosa di psichico. Questo noi lo chiamiamo interpretare per comprendere.

• L’esteriorità è al centro dell’interpretazione.

• L’interpretazione può essere scissa in a) atto interpretativo b) testo da interpretare c) il nuovo testo interpretato. Inoltre l’interprete deve essere legittimato ad esserlo, agli occhi di chi chiede l’interpretazione.

• L’interpretazione si comprende e si giustifica soltanto in un determinato ambiente socio-

culturale.

• L’interpretazione è tanto più efficace quanto più si attiene ad un codice etico naturale, che consideri le reali intenzioni del comunicate, il contesto e le possibilità interpretative analizzate anch’esse nella loro completezza e arricchite dallo stesso apporto interpretativo, che salvo contesti violenti e dittatoriali, è basato sulla libertà e sul confronto in questo caso delle libere interpretazioni, fra le quali per propria forza intrinseca emergerà e vivrà quella con maggiore intrinseco significato valoriale umano e sociale.

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• Interessante notare come il fenomeno interpretativo istintivo o dedotto da successive analisi da parte del destinatario la comunicazione, incida sul fenomeno della comprensione e della sedimentazione del o dei messaggi nella memoria di cui riceve, per diventare nucleo causale di atteggiamenti e di comportamenti, a loro volta generatori di comunicazione. Siamo quindi in presenza di un processo umano che si interromperà soltanto nell’ultimo istante della vita di ogni singolo essere oggetto e a sua volta soggetto di comunicazione.

• L’interpretazione può completarsi non in una tautologia ma in una spiegazione, conferendo

a questa il senso etimologico di – dispiegare, togliere le pieghe che rendono difficile il - vedere –

• Che ci siano o meno regole interpretative, che queste siano o meno applicate attraverso

un’ulteriore interpretazione che le rende pertinenti, quel che in ultima analisi giustifica un’interpretazione è la pratica comunicativa o la forma di vita in cui si inserisce.

• Il metodo inaugurato da Freud, consiste nel considerare ciò che appare, come elemento da

interpretare e poi da mettere da parte, per arrivare alla vera causa. Per Freud l’interpretazione è sempre funzionale alla scoperta della verità causale.

• La fiducia è una pre-condizione comunicativa essenziale in molte situazioni, perché è alla

base del riconoscimento dell’atteggiamento naturale della comunicazione, che consiste nell’attribuire all’interlocutore punti di vista e sistemi di rilevanza comuni a chi riceve il messaggio, nel supporre un orientamento sociale comune come garanzia della comprensione.

• Anche il controllo sull’uso possibile del contenuto, è un carattere fondamentale di

un’ermeneutica fiduciaria.

• Il principio fondamentale della comunicazione, dell’interpretazione del suo senso, su basi di reciproca fiducia, si può constatare nell’arricchimento che deriva dal trarre insegnamento da quanto viene comunicato, che per principio non può che essere per amore di una verità che si evolve e che nel suo comunicarsi arricchisce chi la riceve, rendendolo intimamente più sapiente e trasformandolo i vista di più vaste comprensioni.

• Dunque la trasposizione da uno spazio semantico a un altro, da un luogo a un altro, accresce il senso individuale e collettivo.

• Molti filoni interpretativi, dalla psicoanalisi alla critica artistica e letteraria funzionano

secondo principi almeno parzialmente analoghi. In ogni caso l’interpretazione presuppone sempre la comprensione che a volte differisce dallo stesso senso che viene inteso da chi genera la comunicazione.

• LA CICATRICE DI ODISSEO. LA COSTITUZIONE DISCORSIVA DELL’IO.

• La figura che nei poemi omerici incarna la nuova antropologia dell’io è Odisseo,

personaggio di cui spesso viene sottolineata la specificità e l’isolamento rispetto ai compagni d’avventura, dai quali non si differenzia tanto per l’intelligenza, quanto per l’astuzia e la capacità di inventare trucchi e strattagemmi per ottenere i suoi fini.

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• Odisseo (Ulisse) rappresenta la capacità di autodecisione basata sull’esperienza, mentre Achille aspetta l’intervento della divinità. E’ dunque dalla contrapposizione di due concezioni filosofiche della vita che si crea l’entità che considera in modo equilibrato le posizioni dell’io e le posizioni della divinità, fra di loro interdipendenti.

• Sentirsi guidati dagli dei è certamente assai diverso che attribuirsi una capacità personale di

scelta e decisione, nella capacità di unificare tutto il comportamento della persona, e quindi di comandare al proprio corpo usandolo come uno strumento in una forma di auto comunicazione.

• L’identità di una persona è il suo saper restare uno nel tempo, come affermerà Kant. E

l’identità ha un carattere spiccatamente comunicativo, nella capacità di raccontarsi e di esporre agli altri il proprio spazio mentale che normalmente é celato. In tale identità si crea la costituzione discorsiva dell’io comunicante e comunicativo.

• La comunicazione è un elemento decisivo nella formazione del soggetto occidentale, prima

ancora di avere questo nome e di essere pensata come tale.

• La cicatrice di Odisseo-Ulisse è dunque il segno tangibile dell’identità, che proviene dall’esperienza e dalla memoria incancellabile.

• LA COMUNICAZIONE MEDIATA

• Il mezzo non è il messaggio, come asserisce Mc Luhan, ma certamente favorisce certi contenuti su altri, in pratica incidendo su ciò che si può comunicare.

• Una primaria necessità umana si esplicita e si rivela pienamente nella comunicazione, e nel

tentativo di ricondurre la stessa a un rapporto fra due esseri umani, essenziale e completo nello stesso tempo, anche se necessariamente mediata da mezzi tecnici che in qualche modo ne condizionano l’essenza, rispetto alla comunicazione che si sviluppa senza intermediazione mediatica.

• Motivazioni estensive della comunicazione hanno nei millenni determinato la necessità di

comunicazione da uno a molti, attraverso conquiste tecniche che sono passate dal semplice uso della parola, alla scrittura, alla stampa, alla fotografia, al cinema, alla radio, alla televisione, ai mezzi digitali, in una progressione e in una estensione che hanno moltiplicato le potenzialità della comunicazione da un soggetto emittente a un soggetto ricevente.

• Resta immutata la capacità e soprattutto la necessità di integrare la comunicazione mono

direzionale con una comunicazione di dialogo e di costante interazione. Resta sempre viva la necessità primaria che vede l’uomo prima incontrare un altro uomo, poi comunicare, poi dialogare, per un reciproco arricchimento che avviene nei millenni attraverso il passaggio di

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informazioni, idee, soluzioni, e comunque di notizie e fatti rilevanti con potenzialità di “conquista” sia della sfera emotiva che delle sfere razionale ed etica del destinatario.