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PONTIFICIA UNIVERSITÀ DELLA SANTA CROCE Facoltà di Diritto Canonico V corso di aggiornamento in diritto matrimoniale e processuale canonico C A S I P R A T I C I Roma, 16-20 settembre 2013

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PONTIFICIA UNIVERSITÀ DELLA SANTA CROCE

Facoltà di Diritto Canonico

V corso di aggiornamento

in diritto matrimoniale

e processuale canonico

C A S I P R A T I C I

Roma, 16-20 settembre 2013

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Sommario

discussione di lunedì 16 settembre 2013

Caso pratico sulla supplenza di facoltà .................................................................5

discussione di martedì 17 settembre 2013

Caso pratico sulla rilevanza della fede nel consenso matrimoniale......................9

discussione di mercoledì 18 settembre 2013

Caso Pratico su mentalità divorzistica ed esclusione dell’indissolubilità...........17

discussione di giovedì 19 settembre 2013

Caso pratico sul canone 1095, 2 e 3....................................................................29

discussione di venerdì 20 settembre 2013

Caso pratico sul difetto di libertà interna ............................................................39

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V CORSO DI AGGIORNAMENTO IN DIRITTO MATRIMONIALE E PROCESSUALE CANONICO

discussione di lunedì 16 settembre 2013

Caso pratico sulla supplenza di facoltà Rev. Prof. Miguel A. Ortiz

Caso I

Dalla species facti

Piero Rossi e Chiara Ferrari si conoscono in occasione del lavoro comune di giornalisti. Nel 1985 decidono di sposarsi e iniziano il corso di preparazione al matrimonio, nella parrocchia di Piero, il Sacro Cuore, diocesi di Utopia. Li prepara don Abbondio Russo, che è stato nominato parroco due anni prima. Il corso ha luogo nei mesi di febbraio e marzo del 1985.

Piero è cattolico praticante e ha frequentato l'oratorio sin da bambino. È molto legato a don Francesco, viceparroco del Sacro Cuore e responsabile dell'oratorio. È a lui che chiede di celebrare le nozze, nella chiesa di Sant'Anna, nel territorio della parrocchia di San Luigi, nella stessa diocesi di Utopia.

Piero si rivolge a don Edoardo, parroco di San Luigi, il quale gli domanda il nome del sacerdote che avrebbe celebrato il matrimonio, e Piero fa il nome di don Francesco. Successivamente, Piero (e sopratutto Chiara) si occupano dei preparativi del matrimonio.

In prossimità della data del matrimonio (che si celebrò il 5 luglio 1985), Piero e Chiara decidono di offrire a don Abbondio la possibilità di presiedere la cerimonia, sia per deferenza nei suoi confronti, sia perché Chiara (che appartiene a un'altra parrocchia della città) si era trovata molto bene con lui. Don Francesco è d'accordo e concelebrerà l'Eucaristia con don Abbondio il giorno del matrimonio.

Il giorno delle nozze, trovano tutto pronto grazie alla solerzia del sagrestano, che ha tutti i documenti pronti per essere compilati. La funzione liturgica è presieduta da don Abbondio, con don Francesco come concelebrante. Nel momento dello scambio del consenso, tutti e due i sacerdoti si avvicinano agli sposi ma è don Abbondio ad interrogare gli sposi. Alla fine della cerimonia, don Abbondio compila il modulo scrivendo il suo nome nel posto riservato al teste qualificato.

Dopo circa nove anni di convivenza, gli sposi si separano. Alla separazione seguì la sentenza di divorzio, e tutti e due si risposano civilmente. Piero introdusse la causa di nullità del matrimonio per diversi capi attinenti a diversi vizi del consenso che, dopo un travagliato iter processuale (compreso l'iniziale rifiuto del libello e la posteriore rinuncia da parte del patrono), non ottenne una doppia sentenza affermativa.

Alcuni anni dopo, consigliato da un sacerdote competente in materia, chiese la nullità per vizio di forma, in quanto il sacerdote che figura come teste qualificato (don Abbondio) non aveva ottenuto la necessaria delega per assistere al matrimonio.

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Dall'atto del matrimonio Il modulo corrispondente al matrimonio tra Piero Rossi e Chiara Ferrari è stato compilato in

tutte le parti (nomi e generalità degli sposi e dei testimoni, ecc.) con la stessa calligrafia, tranne per quanto riguarda il nome del teste qualificato (ABBONDIO RUSSO), che è scritto in caratteri completamente diversi. Inoltre, il modulo ammette la possibilità di segnalare se il teste è il parroco o un suo delegato. Ci sono delle sottolineature sotto la dicitura “(delegato dal) Parroco della Chiesa di...”.

Dalla dichiarazione dell'attore -“Sia io che Chiara abbiamo chiesto ai nostri parroci il permesso per sposarci in una

parrocchia diversa da quella di appartenenza”; -“Parecchi mesi prima del matrimonio sono andato dal parroco di San Luigi (don Edoardo)

per prenotare la chiesa, lui mi domandò se avevamo un sacerdote che potesse celebrare il rito. Io feci il nome di don Francesco, che conoscevo da tanti anni. Don Edoardo mi disse che a lui andava bene il sacerdote che io avevo scelto”;

-“Poche settimane prima del matrimonio, abbiamo deciso con Chiara di chiedere a don Abbondio di presiedere la celebrazione: ci è sembrato doveroso visto che lui aveva tenuto il corso di preparazione ed era il mio parroco. Non ricordo di aver parlato di ciò con il parroco di San Luigi”;

-“Io ritenevo che il proprio parroco (don Abbondio) aveva la competenza per sposarmi, non pensavo minimamente che avesse bisogno di chiedere un permesso”;

-“Gran parte dei partecipanti alle nozze conosceva don Abbondio, appunto perché era il nostro parroco. Alcuni sapevano che ci avrebbe sposato don Francesco, e rimasero sorpresi (anche se don Francesco accompagnava don Abbondio sull'altare)”.

Dalla dichiarazione della convenuta

-“Non ho accompagnato Piero quando è andato a trovare il parroco di San Luigi per chiedergli il permesso di sposarci nella sua parrocchia. Successivamente sono andata alcune volte in chiesa per occuparmi dell'addobbo floreale ecc., ma mai ho avuto occasione di incontrare il parroco. Tuttalpiù ho trovato il sagrestano”;

-“Io ero convinta che il parroco di Piero fosse competente per sposarci, non sapevo che avesse bisogno di una delega. Penso che tutti i presenti, soprattutto i fedeli della parrocchia di Piero, lo ritenessero competente”;

-“Don Francesco ha accompagnato don Abbondio durante la celebrazione, ma è stato don Abbondio a interrogarci nel momento dello scambio del consenso”.

Dalla dichiarazione di Ernesto, amico dello sposo e teste del matrimonio -“Piero mi aveva detto che avrebbe celebrato il matrimonio don Francesco. Poi, il giorno del

matrimonio ho visto che c'era don Abbondio, che io conoscevo bene perché frequentavo la parrocchia che lui reggeva prima di trasferirsi al Sacro Cuore. È stata una bella sorpresa, penso che Piero glielo abbia chiesto pochi giorni prima del matrimonio, perché io non ne ero al corrente”.

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Dalla dichiarazione di don Abbondio - “Ho seguito la preparazione al matrimonio di Piero e Chiara nei mesi di febbraio-marzo.

Qualche settimana prima delle nozze mi chiesero di presiedere la liturgia nuziale; so che inizialmente avevano chiesto di sposarli al viceparroco, don Francesco, che Piero conosceva bene. Ricordo che quando vennero da me avevano già scelto i testi della celebrazione. Non ricordo se mi dissero se avevano parlato con il parroco di San Luigi”;

- “Non ho incontrato il parroco di San Luigi. Il giorno del matrimonio trovai tutto pronto, con una persona che serviva in chiesa. L'atto del matrimonio era precompilato, mancava solo il nome del ministro assistente alle nozze. Ricordo che io scrissi personalmente il mio nome. Oltre a scrivere il mio nome, sottolineai le parole prestampate “delegato dal”, perché ritenevo che ero competente in quanto parroco dello sposo”;

- “All'epoca io non avevo molta esperienza nel celebrare matrimoni. Prima di diventare parroco ero stato viceparroco e i pochi matrimoni che ho celebrato li ho fatti nell'ambito della parrocchia, tutti preparati dal mio parroco”.

Dalla dichiarazione di don Edoardo, parroco di san Luigi

- “Riguardo al matrimonio in questione, penso che fu uno degli sposi a chiedermi di sposarsi in parrocchia, ma non potrei essere molto preciso, perché sono passati alcuni anni. Penso che mi chiesero di potersi sposare nella chiesa di Sant'Anna (che si trova nel territorio della parrocchia di cui ero parroco all'epoca), quando mancavano ancora diversi mesi alla celebrazione”;

- “Quando vennero per parlare di questo matrimonio, probabilmente io chiesi se avevano un sacerdote per la celebrazione, è ciò che facevo abitualmente quando non potevo celebrare io di persona. Ritengo che mi fecero il nome di un sacerdote da me conosciuto, ma non ricordo chi fosse. Io dissi loro che a me andava bene il sacerdote che volevano invitare”;

- “Dopo quel colloquio non ebbi altri contatti riguardo il matrimonio, perché si sarebbe celebrato non nella chiesa parrocchiale ma in un'altra chiesetta del territorio della parrocchia, della quale si occupava il sagrestano che fungeva anche da segretario. Il segretario si metteva d'accordo con gli sposi per i preparativi, prendeva i registri dalla parrocchia (che poi riportava dopo la celebrazione) e precompilava l'atto del matrimonio, spesso lasciando vuoto il nome del celebrante, che di solito veniva indicato al momento della celebrazione”.

Si domanda

a) Ritiene che don Edoardo aveva dato una delega per assistere al matrimonio tra Piero e Chiara? Se anziché dire “mi va bene il nome che fate” avesse detto “mi va bene qualsiasi sacerdote voi inviterete” la risposta sarebbe la stessa?

b) Se don Edoardo aveva dato la delega a don Francesco, e questi era presente alle nozze come concelebrante, insieme a don Abbondio, ritiene che la sua presenza era sufficiente per essere ritenuto teste qualificato?

c) Se don Abbondio non aveva ricevuto una delega ma era da tutti i presenti ritenuto competente (in quanto parroco dello sposo e di gran parte dei fedeli), pensa che possa applicarsi la supplenza di facoltà ex can. 144?

d) Nel racconto dei fatti don Abbondio dice di non aver avuto alcun dubbio riguardo la sua competenza. Se invece gli fosse venuto un dubbio, ritiene che si possa applicare la supplenza di facoltà?

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Caso II

Il 12 settembre 2009, Lei ha partecipato al matrimonio di una coppia di amici, Franco e Monica, in una bella cappella di campagna, Casal Sereno, scelta dagli sposi sia perché l'ambiente raccolto era molto attraente, sia perché la cappella faceva parte di un complesso alberghiero dove si è svolto il ricevimento dopo il matrimonio. Di fatto, gli sposi Le dissero che erano assai frequenti le celebrazioni di matrimoni in quella bella cornice. Il celebrante del matrimonio, don Ernesto, era un parroco della zona, in pratica il sacerdote che si prendeva cura di tenere in ordine la cappella e di provvedere ai libri, paramenti ecc.

Nell'anniversario del matrimonio, gli sposi offrono una cena alla quale Lei è invitato. Durante

la cena, viene a sapere che altri amici che avrebbero voluto celebrare il matrimonio nella stessa cappella non hanno potuto farlo. Concretamente Le dicono che don Ernesto è parroco di Fonte Chiara, un paesino confinante con Casal Sereno e, secondo Franco e Monica, celebrava i matrimoni nella cappella di campagna senza informare il parroco di Casal Sereno, e – a quanto pare – si portava addirittura il registro della sua parrocchia.

Quale conclusione trae dal racconto dei Suoi amici? Cosa ritiene che si debba fare?

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V CORSO DI AGGIORNAMENTO IN DIRITTO MATRIMONIALE E PROCESSUALE CANONICO

discussione di martedì 17 settembre 2013

Caso pratico sulla rilevanza della fede nel consenso matrimoniale Prof.ssa Montserrat GAS AIXENDRI

FACTI SPECIES

Caso A Antonio, ingegnere industriale, conobbe Laura, tecnico industriale, nell’azienda in cui tutti e

due lavorano. Antonio si considerava cattolico, anche se non praticava la fede sin dall’adolescenza. Laura era di famiglia evangelica, ma non era battezzata. Dopo un anno di fidanzamento, decisero di contrarre matrimonio.

In vista delle nozze, la madre di Antonio insistette affinché Laura ricevesse il battesimo per facilitare le cose. Laura, che non aveva alcuna formazione religiosa, accettò come se fosse una formalità burocratica in più da adempiere, così si rivolse al ministro evangelico che le amministrò il battesimo (lei forse pensava di battezzarsi dopo, quando sarebbero stati battezzati i suoi figli).

Quando si parlò della forma di celebrazione del matrimonio, vi fu disaccordo. La madre di Antonio insisteva che la celebrazione del matrimonio si svolgesse nella Chiesa Cattolica. Antonio era d'accordo giacché si considerava credente, anche se non era una persona praticante. Dall'altra parte la madre di Laura voleva che sua figlia si sposasse nella chiesa evangelica.

A questo punto Laura non era d'accordo poiché aveva pianificato di sposarsi soltanto civilmente. Antonio e la madre misero come condizione la celebrazione in chiesa per dar luogo alle nozze.

Dopo un periodo di dubbi, poiché non voleva contraddire sua madre, Laura accettò infine la proposta di Antonio e della sua futura suocera, anche se contrariata dal non aver potuto scegliere per sé stessa il "rito" delle nozze.

Si procurarono la documentazione necessaria, ottenendo così la licenza per la celebrazione del matrimonio misto, secondo i canoni 1124 e ss. del CIC. Laura, da parte sua, non pensava di educare i suoi figli nella fede cattolica, anche se era stata informata della promessa fatta da Antonio secondo i canoni citati. Anzi, lei gli disse espressamente che accettava di sposarsi nella Chiesa Cattolica, in cambio però lui doveva acconsentire a che i loro figli fossero battezzati ed educati nella chiesa Evangelica, ed Antonio accettò.

Prima vi fu il matrimonio civile e una settimana dopo si celebrò il matrimonio in forma canonica nella parrocchia di Antonio. Laura, sebbene non fosse credente, non aveva nulla in contrario nei confronti della Chiesa Cattolica: considerò la celebrazione religiosa come un mero obbligo per sposarsi con Antonio, colui che veramente amava e con il quale desiderava unirsi per sempre.

La convivenza coniugale durò soltanto un anno. Non c’era stata in quel periodo nessuna discussione riguardo la questione religiosa. La causa immediata della rottura si attribuì alle frequenti intromissioni della madre di Laura nella loro vita coniugale, il che dava luogo a frequenti discussioni tra Antonio e la suocera. In più, un ruolo importante nella separazione ebbe la gelosia di

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Antonio (considerata del tutto infondata da Laura) dinanzi alle frequenti uscite della moglie, che era di carattere aperto ed estroverso, con un gruppo di amici.

Tre anni dopo l’ottenimento del divorzio, Laura contrasse matrimonio nella Chiesa Evangelica con un cattolico, con il quale non aveva avuto né problemi né discussioni riguardo la religione. Ebbero tre figli, che sono stati battezzati nella Chiesa Evangelica e frequentano sia la Chiesa Evangelica che la Chiesa Cattolica.

Antonio presentò il libello per chiedere la dichiarazione di nullità, indicando il capo della simulazione, poiché riteneva che Laura, al momento di prestare il consenso, avesse escluso la dignità sacramentale del matrimonio. Manifestò che, sia lui sia la madre, avevano imposto la celebrazione canonica come condizione a Laura e che lei rifiutava in modo radicale la celebrazione in Chiesa e lo stesso sacramento. Si aggiunge anche che Laura ricevette il battessimo in modo forzoso, soltanto per sposarsi senza problemi nella Chiesa Cattolica.

Caso B

Pedro e Gabriela si conobbero nella scuola del quartiere in cui vivevano le rispettive famiglie. Con il passare del tempo, cominciarono a frequentare altri amici e raggiunti i 20 anni circa formalizzarono il loro fidanzamento.

Pedro apparteneva ad una famiglia cattolica, ma dai 16 anni aveva abbandonato la pratica religiosa, ed al compimento del 18esimo anno di età, cominciò a studiare Sociologia all’Università e diventò attivista di vari movimenti “antisistema”, forgiandosi una mentalità fortemente laicista e anticlericale. Partecipava attivamente ad organizzazioni che rivendicavano la scomparsa di qualunque manifestazione religiosa dalla vita pubblica. A 21 anni, seguendo una campagna promossa da una associazione atea di cui faceva parte, decise di fare apostasia dalla Chiesa per non essere contato tra i suoi membri, realizzando “l’atto formale di abbandono della Chiesa”, seguendo le prescrizioni canoniche.

Gabriela era cattolica, anche se aveva abbandonato la pratica religiosa nell’adolescenza e viveva con totale indifferenza per l’ambito religioso. I suoi genitori, al contrario, erano ferventi cattolici e non accettavano di buon grado la sua relazione con Pedro.

Durante il periodo del fidanzamento, Gabriela rimase incinta di Pedro, il quale riteneva che la migliore scelta fosse abortire, poiché allora non si era ancora prospettato un progetto di vita in comune, ed avere un figlio gli avrebbe complicato troppo le cose. Gabriela non era del tutto convinta, ma aveva paura della reazione dei suoi genitori. Acconsentì, infine, ad andare in una clinica privata che realizzava clandestinamente questo tipo di pratiche, senza che nessuno della sua famiglia lo sapesse, né ne venisse a conoscenza.

Quando entrambi ultimarono gli studi universitari, sebbene non avessero un lavoro stabile, decisero di sposarsi. Pedro confidava nell’aiuto dei genitori di Gabriela, che erano socialmente e ed economicamente benestanti. Pedro, per le sue forti convinzioni ideologiche, ripugnava l’idea di contrarre matrimonio in Chiesa, e quindi propose a Gabriela di sposarsi civilmente. Lei preferiva sposarsi in Chiesa perché la celebrazione aveva più “glamour” e solennità, ma accettò la celebrazione civile per non contraddire Pedro, di cui era profondamente innamorata.

I genitori di Gabriela si opposero tassativamente alla proposta di matrimonio civile. Il padre le disse che “se non avesse solcato la scalinata di una chiesa per sposarsi, sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe salito le scale di casa sua”. Dopo questa affermazione così categorica, non ebbero

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molto da scegliere ed accettarono di sposarsi in Chiesa, sia perché avevano bisogno di soldi, sia perché il padre di Gabriela, avendo delle forti amicizie, poteva aiutare Pedro a trovare un lavoro.

Pedro insistette sul fatto che le nozze si celebrassero fuori città, in qualche chiesa isolata dove la celebrazione passasse il più inosservata possibile. Furono invitati alla celebrazione i familiari più stretti, evitando che la notizia arrivasse agli amici, soprattutto a quelli di Pedro. Gabriela e Pedro si sposarono canonicamente nell’aprile 2010.

La convivenza durò appena due anni. La causa della separazione furono le frequenti discussioni nella coppia. Pedro, dopo la celebrazione del matrimonio, sembrò perdere interesse per Gabriela. Appariva distante, lo si vedeva immerso nei propri pensieri ed usciva molto spesso col suo gruppo di amici. Quando Gabriela gli faceva notare, anche con forza, il suo atteggiamento menefreghista, lui rispondeva sistematicamente: “se non ti piace, ci possiamo separare quando vuoi”.

Dall’altra parte, quando Gabriela parlava di avere un figlio, Pedro pur non rifiutandosi apertamente, commentava che le cose non andavano bene per mettere al mondo dei figli.

Nel maggio 2012 Gabriela decise di chiedere la separazione. Nel gennaio 2013 presentò il libello per la dichiarazione della nullità del matrimonio adducendo l’errore determinante riguardo la dignità sacramentale del matrimonio da parte di Pedro e, subordinatamente, l’esclusione della dignità sacramentale del matrimonio da parte di entrambi, nonché l’esclusione del bene della prole da parte di Pedro.

Caso C

Juan José e Maria si conobbero all’Università, dove lei si trovava per un soggiorno di ricerca.

Juan José era stato battezzato nella Chiesa cattolica, anche se non aveva ricevuto educazione religiosa e quindi non si considerava credente. Maria era di religione ebraica ma negli ultimi mesi si sentiva attirata dalla religione cattolica, a causa dei suoi lavori di ricerca in Storia dell’Arte. Dopo alcuni mesi di frequentazione, lei rimase incinta e decisero di instaurare la vita in comune. Maria insistette per sposarsi alcuni mesi più tardi, desiderando farlo nella cattedrale gotica della città in cui si erano conosciuti e vivevano.

Juan Josè pensava che la celebrazione religiosa, così come il matrimonio civile, non avessero alcun tipo di valore. Per lui, infatti, sposarsi era soltanto un mero impiccio burocratico che avrebbe irrigidito la relazione di coppia.

Maria pensava già di battezzarsi come cattolica, ma il parroco le disse che prima doveva seguire il catecumenato, della durata di circa due anni. Dal momento che lei non voleva ritardare le nozze, contrassero matrimonio canonico con la dispensa di disparità di culto.

Due anni più tardi, Maria ricevette il sacramento del battesimo insieme al suo secondo figlio. La convivenza coniugale non fu molto serena e durò circa tre anni. Già dal principio della vita

di coppia, Maria sospettò che Juan Josè non le fosse fedele. In principio ritenne fosse soltanto la sua immaginazione, ma col tempo i suoi sospetti furono più che fondati. Maria chiese apertamente a Juan José, il quale non negò nulla, e in più le rinfacciò che era stata lei ad insistere per sposarsi, e che lui l’aveva avvertita sul fatto che non credeva nel matrimonio. Un anno dopo, Juan Josè abbandonò il focolare domestico senza spiegazioni.

Maria accusò il matrimonio contratto con Juan Josè per simulazione totale del consenso da parte di Juan José.

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IN IURE Codex Iuris Canonici:

Can. 1055

§1. Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla generazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento.

§2. Pertanto tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso sacramento.

Can. 1056

Le proprietà essenziali del matrimonio sono l'unità e l'indissolubilità, che nel matrimonio cristiano conseguono una peculiare stabilità in ragione del sacramento.

Can. 1057

§1. L'atto che costituisce il matrimonio è il consenso delle parti manifestato legittimamente tra persone giuridicamente abili; esso non può essere supplito da nessuna potestà umana.

§2. Il consenso matrimoniale è l'atto della volontà con cui l'uomo e la donna, con patto

irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio.

Can. 1099 L'errore circa l'unità o l'indissolubilità o la dignità sacramentale del matrimonio non vizia il

consenso matrimoniale, purché non determini la volontà.

Can. 1101 §1. Il consenso interno dell'animo si presume conforme alle parole o ai segni adoperati nel

celebrare il matrimonio.

§2. Ma se una o entrambe le parti escludono con un positivo atto di volontà il matrimonio stesso, oppure un suo elemento essenziale o una sua proprietà essenziale, contraggono invalidamente.

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a) Giurisprudenza della Rota Romana:

-­‐ Elementi per provare la simulazione:

Sentenza c. Funghini 9-3-1994: "La prova della simulazione deve superare con argomenti validi la presunzione stabilita dal c. 1101 § 1 del CIC. Si consegue quando concorrono tre elementi: la confessione giudiziale del simulante, o meglio ancora la confessione stragiudiziale corroborata in giudizio da testi degni di fede “in tempore insuspecto” una causa di simulazione (causa simulandi) che sia grave e proporzionata e che deve distinguersi adeguatamente dalla causa per la quale si è contratto matrimonio (causa contrehendi); infine, le circostanze antecedenti e successive al matrimonio, oltre alle concomitanti”.

-­‐ Sull’errore determinante la volontà:

Sentenza c. Stankiewicz, 19-V-1988: “Qualsiasi idea erronea circa le proprietà essenziali del matrimonio, ossia, l’unità, l’indissolubilità o la dignità sacramentale, danneggia la formazione della decisione quando l’errore specifica l’oggetto, in modo che la volontà lo sceglie in maniera certa e senza paura di sbagliare, viziando il consenso matrimoniale”.

-­‐ Sulla esclusione della dignità sacramentale:

Sentenza c. Burke, 23-06-1987: “È un errore abbastanza frequente ritenere che la sacramentalità si trovi nella celebrazione dei riti religiosi esterni, che alcuni possono anche rifiutare. La sacramentalità, ciononostante, in sé stessa non dipende dal rito né è direttamente collegata ad esso, si riferisce invece alla nuova dignità, ampliata dai doni sopranaturali, che Cristo ha voluto conferire al matrimonio. Di modo che la intenzione di escludere il rito religioso non si identifica necessariamente con la esclusione della sacramentalità. Solo rende nullo il matrimonio quella esclusione che, con atto positivo della volontà, rifiuta l’indole sacramentale del matrimonio tale come è stata costituita da Cristo”.

- Sulla rilevanza della mancanza di fede personale:

Sentenza c. Stankiewicz, 19-V-1988, n. 4: “Nella valutazione della validità del

matrimonio celebrato da un non credente, a giudizio della giurisprudenza consolidata della Rota Romana, la prova deve basarsi, essenzialmente sia nella prova della rettitudine d’intenzione che della mancanza di fede”.

Sentenza. c. Stankiewicz, 25-IV-91, n. 3: il Ponente afferma che la fede non è necessaria per contrarre un matrimonio valido, ma quello che è necessario, è la retta intenzione. Però è difficile trovare tale retta intenzione in chi aderisce ad ideologie atee, non tanto perché rifiuta la sacramentalità, ma perché non accetta il matrimonio naturale: «At qui ob firmam adhaesionem atheismo systematico qualemcumque a Deo dependentiam respuit,

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difficulter potest rectam efformare intentionem, verum scilicet matrimonium ineundi cum implicita saltem intentione faciendi quod facit Ecclesia, quoniam, praeter repudiationem dignitatis sacramentalis, etiam contra vinculum indissolubile, libertatem personalem astringens, potissimum repugnabit».

Sentenza c. Deffilippi, 24-X-2003, n. 4: “Assente la fede personale nel contraente

battezzato, può sorgere un sacramento valido se il contraente vuole contrarre un vero matrimonio”. (...) “Deve mantenersi per contraente battezzato, fino a che si provi il contrario, la presunzione della retta intenzione di celebrare il matrimonio secondo il disegno divino, anche se questi abbia lasciato la pratica religiosa o anche abbia abbandonato la fede in modo notorio (cfr. c. 1071 § 1, n. 4)”.

b) Magistero pontificio:

Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 01-02-2001, n. 8: “per identificare quale sia la realtà che già dal principio è legata all'economia della

salvezza e che nella pienezza dei tempi costituisce uno dei sette sacramenti in senso proprio della Nuova Alleanza, l'unica via è quella di rifarsi alla realtà naturale che ci è presentata dalla Scrittura nella Genesi (1, 27; 2, 18-25). E' ciò che ha fatto Gesù parlando dell'indissolubilità del vincolo coniugale (cfr Mt 19, 3-12; Mc 10, 1-2), ed e ciò che ha fatto San Paolo illustrando il carattere di "mistero grande" che ha il matrimonio "in riferimento a Cristo e alla Chiesa" (Ef 5,32). (...) D'altra parte, l'introdurre per il sacramento requisiti intenzionali o di fede che andassero al di là di quello di sposarsi secondo il piano divino del "principio", - oltre ai gravi rischi che ho indicato della Familiaris Consortio (n. 68, l.c. pag. 164-165): giudizi infondati e discriminatori, dubbi sulla validità di matrimoni già celebrati, in particolare da parte di battezzati non cattolici -, porterebbe inevitabilmente a voler separare il matrimonio dei cristiani da quello delle altre persone. Ciò si opporrebbe profondamente al vero senso del disegno divino, secondo cui è proprio la realtà creazionale che è un "mistero grande" in riferimento a Cristo e alla Chiesa.”

Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 30-01-2003, n. 8: “L'importanza della sacramentalità del matrimonio, e la necessità della fede per

conoscere e vivere pienamente tale dimensione, potrebbe anche dar luogo ad alcuni equivoci, sia in sede di ammissione alle nozze che di giudizio sulla loro validità. La Chiesa non rifiuta la celebrazione delle nozze a chi è bene dispositus, anche se imperfettamente preparato dal punto di vista soprannaturale, purché abbia la retta intenzione di sposarsi secondo la realtà naturale della coniugalità. Non si può infatti configurare, accanto al matrimonio naturale, un altro modello di matrimonio cristiano con specifici requisiti soprannaturali.

Questa verità non deve essere dimenticata al momento di delimitare l'esclusione della sacramentalità (cfr can. 1101 ' 2) e l'errore determinante circa la dignità sacramentale (cfr can. 1099) come eventuali capi di nullità. Per le due figure è decisivo tener presente che un atteggiamento dei nubendi che non tenga conto della dimensione soprannaturale nel matrimonio, può renderlo nullo solo se ne intacca la validità sul piano naturale nel quale è posto lo stesso segno sacramentale. La Chiesa cattolica ha sempre riconosciuto i matrimoni tra i non battezzati, che diventano sacramento cristiano mediante il Battesimo dei coniugi, e

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non ha dubbi sulla validità del matrimonio di un cattolico con una persona non battezzata se si celebra con la dovuta dispensa.”.

Benedetto XVI, Allocuzione alla Rota Romana, 26-01-2013:

n. 1 “Il patto indissolubile tra uomo e donna, non richiede, ai fini della sacramentalità,

la fede personale dei nubendi; ciò che si richiede, come condizione minima necessaria, è l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Ma se è importante non confondere il problema dell’intenzione con quello della fede personale dei contraenti, non è tuttavia possibile separarli totalmente”…

n. 2 “A nessuno sfugge come sulla scelta dell’essere umano di legarsi con un vincolo

che duri tutta la vita influisca la prospettiva di base di ciascuno, a seconda cioè che sia ancorata a un piano meramente umano, oppure si schiuda alla luce della fede nel Signore. Solo aprendosi alla verità di Dio, infatti, è possibile comprendere, e realizzare nella concretezza della vita anche coniugale e familiare, la verità dell’uomo quale suo figlio, rigenerato dal Battesimo.

(…) la chiusura a Dio o il rifiuto della dimensione sacra dell’unione coniugale e del suo valore nell’ordine della grazia rende ardua l’incarnazione concreta del modello altissimo di matrimonio concepito dalla Chiesa secondo il disegno di Dio, potendo giungere a minare la validità stessa del patto qualora, come assume la consolidata giurisprudenza di codesto Tribunale, si traduca in un rifiuto di principio dello stesso obbligo coniugale di fedeltà ovvero degli altri elementi o proprietà essenziali del matrimonio.”

n. 4 “(…)Non si deve quindi prescindere dalla considerazione che possano darsi dei casi nei quali, proprio per l’assenza di fede, il bene dei coniugi risulti compromesso e cioè escluso dal consenso stesso; ad esempio, nell’ipotesi di sovvertimento da parte di uno di essi, a causa di un’errata concezione del vincolo nuziale, del principio di parità, oppure nell’ipotesi di rifiuto dell’unione duale che contraddistingue il vincolo matrimoniale, in rapporto con la possibile coesistente esclusione della fedeltà e dell’uso della copula adempiuta umano modo.”

QUESTIONI

1. Realizzare un’analisi generale di ogni singolo caso.

2. Tutti i matrimoni canonici, sono matrimoni sacramentali? 3. Valutare le conseguenze del rifiuto della celebrazione religiosa in ogni singolo caso.

4. Dare un parere riguardo al livello di fede dei contraenti e le sue possibili conseguenze circa la validità del matrimonio in ogni singolo caso.

5. Identificare i possibili capi di nullità che possano derivare dalla mancanza di fede.

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M. GAS AIXENDRI, El error determinante sobre la dignidad sacramental del matrimonio y su relevancia jurídica: algunas reflexiones acerca de la jurisprudencia reciente, en “Ius Canonicum” XLIII, (2003), pp. 185-221.

M. GAS AIXENDRI, Sul rapporto tra realtà naturale e dimensione soprannaturale nel matrimonio: alcune conseguenze sul piano giuridico canonico, in “Ius Ecclesiae” 15 (2003), pp. 279-293.

Z. GROCHOLEWSKI, Relatio inter errorem et positivam indissolubilitatis exclusionem in nuptiis contrahendis, en “Periodica” 69 (1980), pp. 569-601.

J. MIRAS, Consentimiento y sacramentalidad. Reflejos de la sacramentalidad del matrimonio en la regulación jurídica del consentimiento en el CIC y en el CCEO, en “Fidelium Iura” 14 (2004), 133-160.

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M.A. ORTIZ, Volontà matrimoniale naturale e rifiuto della dignità sacramentale. Commento alla sent. Reg. Triveneti seu Veronen., 10 marzo 2006, en “Ius Ecclesiae” 20 (2008), 134-148.

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V CORSO DI AGGIORNAMENTO IN DIRITTO MATRIMONIALE E PROCESSUALE CANONICO

discussione di mercoledì 18 settembre 2013

Caso Pratico su mentalità divorzistica ed esclusione dell’indissolubilità Prof. Mons. Massimo Mingardi

[N.B.: si tratta di un caso reale, dove sono stati sostituiti i nominativi delle Parti e i luoghi di nascita e domicilio nonché il riferimento ai Tribunali competenti di primo e secondo grado, e quindi – anche se è stato usato il nominativo di Tribunali regionali italiani effettivamente esistenti, si tratta di riferimenti fittizi e anche il nome del Vicario giudiziale è inventato; tutte le date indicate nel caso sono invece quelle originali. Per le citazioni letterali di quanto prodotto dal Convenuto è sembrato preferibile mantenere la forma originale del testo, in un italiano non perfetto ma sicuramente comprensibile, in modo da consentire una valutazione più diretta possibile della posizione di lui]

Fattispecie SIMONA F., nata a M. il 16/05/1973, cattolica, e KARL H., nato a S. (Germania) il

30/08/1969, protestante, si conoscono nell’autunno mentre lei è in Germania per un programma Erasmus. Tra i due sorge una relazione sentimentale che li induce dopo nove mesi a decidere concordemente il matrimonio; questa scelta viene affrettata perché lo status di coniugato avrebbe consentito al giovane di fare la sua specializzazione in Psicologia in un luogo più agevole, mentre come single avrebbe rischiato di essere assegnato a sedi universitarie meno gradite. Pertanto il martedì giungono in Italia, e dopo la presa di contatto con il parroco di lei, e un paio di colloqui con il Vicario Generale (che poi celebrerà le nozze) si uniscono in matrimonio a M. il successivo sabato, 12/07/1998. Trascorso qualche giorno i due tornano in Germania, dove resteranno per i due anni successivi. Ma la donna fa fatica a far valere in quel paese i propri titoli di studio che in Italia le consentono di svolgere l’attività di avvocato, e dopo aver preso contatto con studi legali della città di origine, che le offrono possibilità lavorative, i coniugi si trasferiscono in Italia. Il marito però non si adatta alla cultura del nuovo paese, e alla fine del 2002-inizio 2003 rientra in Germania, adducendo anche motivazioni professionali. Da allora la convivenza coniugale non si è più ricostituita, e nel corso del tempo gli stessi contatti tra i coniugi, per lo più telefonici, si sono diradati. Dal matrimonio non sono nati figli.

Nel marzo 2009 la donna, desiderosa di chiarificare la propria posizione – peraltro senza ancora alcuno sviluppo sotto il profilo civile nel senso della separazione legale o addirittura del divorzio – introduce la causa di nullità adducendo come motivo l’esclusione dell’indissolubilità da parte del marito in quanto protestante.

* * * Passaggi preliminari della causa Ai decreti di ammissione del libello e di formulazione del dubbio, inviati contestualmente, il

Convenuto risponde per scritto come segue:

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Al tribunale ecclesiastico regionale piceno il presidente Mons. Dott. Giuseppe Rossi

Via Sisto V, 3 I-63023 FERMO (AP)

Italia PER TELEFAX

Giovedì, il 12 marzo 2009 Oggetto: la Vostra lettera dello 03.03.

Egregio Presidente Mons. Dott. Rossi, Onorato Tribunale Ecclesiastico,

con abbastanza sorpresa ho ricevuto la Vostra lettera (8 pagine) per posta raccomandata il giorno 10.03.2009 (il martedì di questa settimana). Cercherò dì risponderVi nel seguente in conformità alle pagine che avete spedito nell’ordine di queste pagine. Vorrei chiedervi di scusare gli errori che certamente farei scrivendo questa lettera; la lingua italiana non è mia madrelingua, e da qui ci possono nascere malintesi ed equivoci. Perciò Vi prego di chiedere più dettagliatamente se ci sarebbero dubbi riguardo questa mia risposta.

Riguardo alla Vostra prima pagina (iniziando con le parole "La parte attrice...") mi piacerebbe notare che questo processo veramente è molto grave per me, però non mi posso permettere un'assistenza legale in questo momento. In Germania ho un legale di mia fiducia a Salzgitter, però lui è tedesco e non ha l’abilitazione per l'Italia. Cerco però di “difendermi” personalmente per mezzo di questa lettera il meglio possibile. Poi non so quanto mi costerebbe un difensore d'ufficio, però faccio il mio meglio nella ricerca della verità.

Riguardo alla Vostra seconda pagina (intestato “DECRETO”) mi permetto cortesemente di notare che - vedendo che vivo ed abito in Germania, circa 1400 kilometri da Macerata - non sarebbe facile per me venire per un’interrogazione personale, perché non ho delle ferie fino ad agosto 2009, e mi costerebbe solo il viaggio già circa 600 euro che al momento sarebbe difficile per me di impiegare qui. Se però la mia presenza personale sarebbe essenziale ed indispensabile sarei certamente disposto a renderlo possibile nonostante la mia situazione difficile recente.

Inoltre Vi prego di tenere conto di altre due aspetti importanti in questo caso: Voi avete scritto che attendiate un mio scritto in merito entro il termine perentorio di solo 10 giorni dal timbro postale della presente. Una scadenza di questo tipo è quasi impossibile di adempiere, soprattutto se il destinatario (in questo caso io) non è residente in Italia. Per questo motivo sarebbe però anche utile dì usare il mio indirizzo nel modo corretto; questo permette dì ridurre anche il tempo per la consegna della posta. L’ortografia corretta del mio indirizzo è esattamente questo: [omissis].

Riguardo alla Vostra terza pagina (intestato “DECRETO DI COSTITUZIONE DEL TRIBUNALE COLLEGIALE”) ho una domanda: c’è scritto che il motivo per l’annullamento del mio matrimonio sarebbe una “esclusione dell’indissolubilità da parte del convenuto” – che cosa significa? Potrebbe avere delle conseguenze negative? Quali sono gli “effetti civili” in forza del Concordato (pagina uno) riguardo a questo – soprattutto se sarei d’accordo con la domanda di mia moglie? Non conosco né dettagli legali né conseguenze giuridiche di tutto questo processo e non ho nessuno che mi potrebbe spiegare queste cose in questo momento.

Riguardo alle tre pagine dell'avvocato di mia moglie dello 02.03.2009 devo notare che il mio indirizzo è incompleto, inesatto ed indicato nel modo sbagliato (vedi sopra). Inoltre non so che cosa significa il capo di nullità accusato (Can. 1101 § 2 Cod. Iuris Can), cioè l’argomento specifico di questo avvocato personalmente non mi appare chiaro. A questo proposito del c.d. “Libello

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dell’attore” vorrei volentieri prendere posizione come segue: visto nell'insieme sono in sostanza d’accordo con quello che scrive l’avvocato di mia moglie sebbene non con ogni dettaglio.

Il primo punto che non posso condividere completamente sarebbe quello riguardo alla ragione per sposarci: parlando di me stesso posso dire che la mia decisione di sposare Simona Fiorini è stato motivato dall’amore vero e proprio e ho sempre avuto l’intenzione di mantenere il nostro matrimonio fino alla morte. In aggiunta di questo posso anche notare che non ho mai tradito mia moglie. Ciononostante è vero che abbiamo trovato la decisione di sposarci in fretta a causa della possibilità mia di essere mandato a un'Università tedesca della Germania orientale.

Questo punto forse non fa tanta differenza rispetto all’argomentazione dell’avvocato di mia moglie. A quel tempo però sembrava la decisione giusta per non aggravare la nostra situazione in genere (vedendo anche che mia moglie è stata sempre in preda a un travaglio interiore tra l’Italia e la Germania allora). Abbiamo preso questa decisione insieme – con parecchi “vantaggi” per tutti noi due (Simona e me) in egual misura, credo – però eppure è stato un matrimonio d’amore. Almeno io l’ho percepito così – fino ad oggi.

Il fatto in comune però è che la nostra decisione di sposarci è stata troppo affrettata: sarebbe stato meglio di darci più tempo per prima conoscerci più profondamente. In quel tempo non ho visto questo punto come un errore ovvero uno sbaglio ma oggi penso diversamente, perché il tempo passato da allora ha mostrato che è stato, infatti, un errore grave che abbiamo commesso insieme: sposarci prima di conoscersi molto meglio. Il punto successivo (“... Huber, tuttora protestante, fu chiaro nella sua volontà di non abbandonare la sua fede”) mi sembra caricato troppo.

Non mi ricordo che questa domanda è mai stato un discorso, però forse mi sbaglio. Almeno nella mia memoria non mi ricordo che abbiamo parlato di questa domanda mai – ma forse non avevo capito bene in quei tempi – allora non ancora parlavo Italiano. Direi dal punto di vista di oggi che soprattutto le due diverse madrelingue hanno ostacolato un conoscersi meglio, e che purtroppo non c’è stato modo di impedire questo punto grave e fatale: perché al tempo del nostro matrimonio non abbiamo avuto un’idea sufficiente del “chi è l’altro” in realtà.

Questo argomento mi sembra il punto cruciale: non è possibile che due persone – soprattutto provenienti da due paesi abbastanza diversi – riescono a conoscersi sufficientemente per sposarsi dopo solo 6 mesi (se io mi ricordo bene iniziava la nostra relazione d’amore solo 6 mesi prima del nostro matrimonio). Perciò possiamo constatare che al giorno del nostro matrimonio non abbiamo avuto un’idea sufficiente né della persona né della personalità del altro – soprattutto non sufficiente per sposarsi.

A quel tempo però erroneamente abbiamo pensato di conoscere l’altro sufficientemente per prendere una decisione di questa vasta portata. Questa idea non è venuta a nessuno quella volta, nessuno ci aveva messo in guardia riguardo a questo punto. Dal punto di vista di oggi avevo voluto o desiderato che qualcuno fosse stato disponibile a quel tempo per spiegarci due il rischio di sposare una persona “sconosciuta” (ovvero non conosciuto sufficiente). Però né noi né chiunque altro ha notato questo, e noi stessi eravamo troppo innamorati per vederlo.

Subito dopo il nostro matrimonio iniziava, il declino del nostro amore per questo motivo: eravamo sovraccaricati e abbiamo avuto solo noi due – senza un aiuto d’anima esterna. Mia moglie, par esempio, sviluppava una forte nevrosi di migrazione durante nostri due primi anni di matrimonio in Germania. A causa di questo disturbo lei iniziava fortemente di svalutarmi verbalmente quasi ogni giorno, fino a quel punto quando mio amore, per lei era quasi distrutto. Tuttavia non volevo lasciarla, perché prendevo il giuramento di matrimonio troppo sul serio.

Mi ricordo che ero già nell’anno 1999 quando ho cercato aiuto professionale a causa dei problemi gravi nel nostro matrimonio: mi sentivo da parte della mia moglie proprio e sempre di più umiliato e mortificato mentalmente. Questo ho detto sempre a lei, volevo anche iniziare una terapia di coppia, però mia moglie mai voleva partecipare e ha continuato il suo modo di

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svalutazione verbale. Solo quando eravamo in Italia dopo questi due anni c’era un piccolo miglioramento perché la nostalgia e tristezza di migrazione da parte sua non c’era più.

Iniziava però poi un nuovo problema; quando eravamo in Italia ho inconsapevole ed inconscio riversato la propria ira a mia moglie, provenendo dalle sue persistenti svalutazioni e svilimenti della mia persona in Germania. Oggi mi rende abbastanza triste come abbiamo distrutto il nostro amore e il nostro matrimonio insieme, e mi dispiace tanto anche tutto questo torto che ho fatto a mia moglie. Non posso dire chi e che ha danneggiato di più; so solo che è stato involontariamente e che veramente è da piangere.

Non a causa della fede invece piuttosto a causa delle necessità professionali ecc. dovevo ritornare in Germania in agosto 2003 – come era previsto già dall’anno 2000. Infatti, questo punto ero un accordo tra mia moglie e me: abbiamo voluto ritornare insieme in Germania dopo la mia partecipazione al programma universitario Erasmus/Sokrates all’Università di Ancona (2000-2002). Però mia moglie aveva cambiato mente e non voleva ritornare in Germania insieme con me. Questo fatto è anche comprensibile vedendo che la problematica di migrazione è molto grave.

Negli anni 2003-2006 abbiamo cercato entrambi di trovare un lavoro rispettivamente nel paese del altro – senza successo. Successivamente. si è manifestata il tipico estraniamento e l’alienazione tra una coppia che vive a lunga distanza l’uno dall’altro. Quello che non avevamo già avuto distrutto della nostra relazione di coppia durante il nostro insieme abbiamo certamente distrutto attraverso “il telefono” (comunicazione disfunzionale ecc.) in questi “anni di separazione indesiderata ed involontaria”.

Ho sempre sperato che ci troviamo di nuovo insieme e posso dire che ho cercato di raggiungere una “riunificazione” di noi due – senza successo, anche perché ci sono sempre due persone nella coppia (se solo una persona lo vuole non è sufficiente). Posso anche ammettere in tutta coscienza che amo ancora mia moglie e che non ho iniziato nessuna nuova relazione con un’altra donna fino ad oggi. Però non mi vuole più come marito e certamente non è possibile di estorcere questo di una persona. Poi non voglio bloccare la sua felicità.

Vorrei la sua migliore, anche se questo richiede di uccidere il resto di me dentro di lei e del nostro matrimonio – che mi dispiace tanto. Io ho sempre pensato – forse troppo “tradizionale” – che l’uomo sarebbe seguace dalla donna, ovvero che la moglie segue il marito. Ho dovuto imparare che non è più così: oggi richiede la sottomissione totale dell’uomo sotto la donna. Purtroppo non sono disposto a questo abito “moderno”, e sono forse anche ancora troppo “tradizionale” riguardo per esempio questo che dice il nostro amato signore Gesù Cristo:

Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.

Anche in questo senso, devo lasciare andare mia moglie, e se lei pensa che per lei stessa il modo più adatto di cancellare ed eliminare non solo nostro matrimonio ma anche ogni traccia stesso è veramente la sua coscienza, non la mia. Anche lei (come me) aveva la possibilità di vivere una buona vita insieme con il proprio coniuge – anche con me. Però entrambi abbiamo insozzato e rovinato questo, insieme con il nostro amore, una volta tantissimo fiorente. Adesso è troppo tardi per salvare qualcosa così tanto danneggiato e distrutto, però non è soltanto e non è prevalentemente colpa mia. In questo senso chiedo perché non si dice invece “esclusione dell’indissolubilità da parte della moglie” ovvero “da parte dei coniugi” in questo caso?

Potrei veramente oppormi allo sterminio ed annientamento completo delle rovine del nostro matrimonio? Si vede che tutto questo è già abbastanza complesso, ambivalente e difficile. Forse si può dire che ognuno di noi due ha una sua argomentazione diversa, ma la conclusione è quasi la

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stessa: il fine del nostro matrimonio. Perciò potrei dire che sono tecnicamente “favorevole alla causa” – in un certo senso – e se non ci sono conseguenze negative per me personalmente. Potrei allo stesso tempo anche dire che per me sarebbe anche possibile di rimettermi alla giustizia del Tribunale, in quanto credo di fatto che giudicherà secondo giustizia. Perché credo di cuore che non abbiamo più nessun futuro insieme – cosa che mi rende ancora abbastanza depresso.

In attesa della vostra risposta e certamente disponibile per ogni chiarimento rimango con

distinti saluti ed in buona fede Dr. Karl H.

* * * Il Vicario Giudiziale risponde con alcuni punti: 1. l’interrogatorio del Convenuto si può

svolgere per rogatoria; 2. gli verrà nominato un avvocato d’ufficio, senza spese; 3. Chiede risposta alla lettera appena possibile; 4. “esclusione dell’indissolubilità da parte del convenuto” significa che lui si è sposato senza accettare un vincolo coniugale per tutta la vita, e riconoscere questo non ha conseguenze per lui; 5. in occasione dell’interrogatorio potrà chiedere al Giudice tutto quanto ritiene opportuno.

Il Convenuto risponde così:

Al Tribunale Ecclesiastico Regionale Piceno il Presidente Mons. Dott. Giuseppe Rossi

via Sisto V, 3 I-63023 FERMO (AP)

Italia PER TELEFAX

Mercoledì, lo 01 aprile 2009 Oggetto: la Vostra lettera del 24 marzo 2009 (data della firma)

Egregio Presidente Mons. Dott. Rossi, Onorato Tribunale Ecclesiastico,

grazie tanto per la Vostra gentilissima risposta, che mi ha fatto bene e che posso solo apprezzare. Volentieri posso rispondere alle Sue riflessioni – che ho ricevuto oggi – come segue:

1. Sono molto grato che non è necessario di venire a Fermo per il processo. A causa di un funerale devo però essere a Merano il prossimo fine settimana. Posso perciò tristemente proporre un incontro personale il 13 di aprile sia a Fermo sia a Merano (meglio per me sarebbe Merano). Potrebbe però nonostante essere più utile il Vescovo cattolico più vicino alla città dove abito adesso, perché posso sempre andare lì senza problema. Lascio la decisione volentieri a Lei. Vedendo comunque che lavoro anche nella clinica psichiatrica dell’Università di Friburgo in Brisgovia sarebbe probabilmente più facile di coinvolgere l’Archidioecesis Friburgensis.

2. Grazie per la Sua gentilezza di nominare un avvocato d’ufficio per me gratuitamente.

3. Lo farei cosi sempre molto volentieri. Già la stima per Lei e per la Santa Chiesa mi dà questa motivazione.

4. Questa parte della Sua lettera per me è anche la più difficile: non posso dire che non avrei accettato il vincolo coniugale che durasse per tutta la vita, e non so come mai che qualcuno mi può accusare di questa mentalità che io dal cuore detesto. Non ho mai detto qualcosa del genere, e non credo che mio comportamento verso mia moglie sia stato di questo tipo. Si può accusarmi di essere stato troppo ingenuo e naif. Si può anche accusarmi di non avere avuto capito la vasta portata della

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decisione matrimoniale. Però non dobbiamo tutti noi indossare meglio nelle nostre decisioni dopo dì averle preso – come in un abito quando si sarà cresciuti? Si può anche dire che si tratterebbe di una questione solamente formale, niente di più. Io credo invece che non solo si tratta di una questione d’onore ma anche di fede. Ma non voglio nuocere mia moglie ancora di più. Voglio invece terminare la malattia di questo stato d’anima di lei e di me che già perdura troppo lungo. Ogni passo ragionevole ed etico in questa direzione per me perciò sarebbe alla fine accettabile.

5. Grazie. Questo probabilmente è il più importante punto della Sua lettera gentilissima. Con cordiali saluti e che Dio Le benedica rimango alla Sua cortese disposizione,

Dr. Karl H. * * *

Istruttoria Vengono quindi interrogati l’Attrice e due testimoni da lei indicati (il padre e la compagna di

lui dopo la separazione dalla madre dell’Attrice). L’Attrice sostiene che il Convenuto non accettava l’indissolubilità essendo stato formato così dalla sua religione; i due testi non sono in grado di indicare l’intenzionalità dell’uomo quanto all’indissolubilità.

Frattanto, il Convenuto manda il seguente scritto:

Al Tribunale Ecclesiastico Regionale Piceno il Presidente Mons. Dott. Giuseppe Rossi

Via Sisto V, 3 I-63023 FERMO (AP)

Italia PER TELEFAX

Sabato, il 18 Aprile 2009 Oggetto: la Vostra lettera dello 06.04.2009 (data di firma) e la chiamata della mia moglie.

DICHIARAZIONE Egregio Presidente Mons. Dott. Rossi,

Onorato Tribunale Ecclesiastico, grazie per il Vostro gentile decreto del 06.04.2009 che ho ricevuto bene. Allo stesso tempo mi

ha anche chiamato mia moglie però, che mi ha raccontato dell’incontro con l’Ill.mo Monsignore, e che mi ha anche spiegato come è importante che io mi rivolgo a Voi con questa dichiarazione. Questo faccio molto volentieri per lei, perché anche per me non è facile tutto questo processo e sarei molto grato per la possibilità di un buon/fine tra poco tempo. Poi non è la mia intenzione dì rendere tutto questo processo ancora più difficile, però probabilmente quello che ho scritto prima ha portato a certi equivoci (se ho capito bene).

Ho capito per esempio che Voi mi avete dato un avvocato e ho anche capito che tutto questo processo potrebbe anche essere concluso senza un avvocato mio. Ho anche capito che non devo difendermi, perché sono aderente alla domanda di annullamento nel senso che sono di una religione diversa a quella della mia moglie, e non ho mai cambiato religione fino ad oggi. Perciò penso che un avvocato per me non sarebbe necessario, perché sono sostanzialmente d’accordo con quello che vuole mia moglie. Con altre parole: non e necessario un processo legale in questo caso perché nessuno è contro l’altro di noi due (mia moglie ed io).

Poi non voglio rendere tutto questo processo ancora più difficile, non voglio bloccare la via di vita della mia moglie, e non voglio prolungare questo processo già tristissimo – né per lei, né per

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me, né per la Santa Chiesa. Credo o spero che – dichiarando questo qui – non sarebbe necessario sia un avvocato per me, sia un incontro a Friburgo. Ciononostante sono certamente sempre alla Vostra gentile disposizione e farei quello che presumete o tenete Voi necessario ed importante. Avere detto questo posso ancora solo delineare quello che ho già scritto prima: che certamente mi rimetto senza dubbio ancora e pienamente al giudizio ed alla giustizia del Santo Tribunale.

Comunque mia moglie mi ha per esempio anche detto che per Voi è importante sapere che sono di religione protestante. Ho ricevuto il battesimo e la comunione evangelica, questo è vero, e non sono mai stato cattolico, e anche con il nostro matrimonio non è stato cambiato questo. Almeno io non ho cambiato fede o chiesa fino ad oggi, ed il matrimonio è stato celebrato col rito cattolico in certo qual modo da parte della mia moglie sola. Mia moglie mi ha fatto anche capire che cosa significa la “indissolubilità”. Credo che in questo caso sarebbe da escludere l’indissolubilità a causa di tutto quello che ho già scritto.

In questo senso confermo che sono d’accordo con mia moglie che questo matrimonio è formalmente nullo riguardo alla religione della mia moglie perché è cattolica solo lei, io no e i suoi principi ovviamente non sono i miei, come si vede.

In attesa della Vostra gentile risposta e certamente disponibile per ogni chiarimento rimango Con distinti saluti e in buona fede

Dr. Karl H. * * *

È stata presentata un’ulteriore testimone attorea, nel cui interrogatorio ella dice di aver saputo dal Convenuto, a nozze avvenute, che lui non ha mai condiviso i principi cattolici e che la sua convinzione è che l’unione tra un uomo e una donna “dura finché dura”.

Dopo qualche difficoltà nell’accordarsi, viene finalmente ottenuta anche la deposizione giudiziale del Convenuto, raccolta dal sacerdote incaricato di una Missione Cattolica Italiana ubicata nei pressi del luogo di domicilio del Convenuto:

Deposizione di Karl H.

Mi chiamo Karl H., sono nato e battezzato di religione evangelica e giuro di dire la verità. In famiglia ho ricevuto un’educazione severa, ma abbastanza libera; dal punto di vista religioso non eravamo assidui praticanti; ho ricevuto i sacramenti, ma non un’educazione religiosa profonda, specifica e diretta.

Ho conosciuto Simona F. a S., in un piccolo negozio, vicino a casa mia, nel 1997, quando lei era studentessa all’Università di Ancona e, grazie al programma Erasmus, era stata mandata in Germania per fare pratica. Verso la fine del 1997 abbiamo cominciato a frequentarci. Dapprima erano incontri occasionali per partecipare a qualche manifestazione, a qualche mostra o a qualche gita; ci frequentavamo per conoscerci.

All’inizio del 1998 abbiamo iniziato una relazione d’amore, senza che ci fosse l’intenzione del matrimonio o non. Per i primi 3 mesi, circa, ognuno abitava per conto proprio; lei abitava in una stanza in affitto in un appartamento, insieme ad una famiglia. In seguito ad un mio invito, circa 4 mesi prima di sposarci, ha traslocato presso di me. Eravamo felici, gioiosi, festeggiavamo la vita; vivevamo come marito e moglie e non abbiamo avuto problemi di vita quotidiana prima di sposarci. Dopo le incomprensioni hanno cominciato ad affacciarsi quando abbiamo posto sul tavolo le prospettive di studio per il futuro. Io volevo frequentare l’Università tedesca, lei quella italiana. La mia intenzione di base non è stata quella di lasciare il mio paese, e mia moglie non aveva l’intenzione di vivere in Germania per sempre – voleva ritornare in Italia e vivere lì. Io volevo però

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stare a Salzgitter, avere la famiglia e gli amici vicino e soprattutto volevo completare i miei studi. Ma su questa problematica non ci siamo capiti bene: lei non parlava tanto bene il tedesco, io non parlavo quasi niente l’italiano – e a quel tempo non conoscevamo la malinconia dell’emigrazione. Parlavamo con il presupposto che l’altro capisse, ma in realtà non capiva a sufficienza e nessuno dei due lo realizzava. Solo anni dopo mi sono reso conto che avevamo parlato due linguaggi diversi e che nessuno dei due aveva capito sufficientemente l’altro.

Tre o quattro settimane prima del matrimonio ci è venuta per la prima volta l’idea teorica di sposarci e ne abbiamo parlato tra di noi; ma non era ancora una decisione definitiva, né tanto meno urgente. Lo status di “sposato” mi dava il vantaggio di avere un posto di studio in un’Università vicina alla mia famiglia. Poi siamo andati in Italia per vacanza. Prima di procedere, nel progettare la nostra vita, volevamo mettere al corrente le nostre rispettive famiglie. In Italia ho conosciuto i suoi genitori per la prima volta e abbiamo parlato con loro della nostra idea di matrimonio. Stranamente loro sono stati subito d’accordo; abbiamo fatto quasi tutto al volo e poco più di una settimana dopo ci siamo già sposati. La decisione pratica di sposarci, quindi, e stata presa circa una settimana prima del matrimonio. L’iniziativa di farlo ha visto come protagonista più attiva, mia moglie.

Io però, avevo qualche dubbio, non sul matrimonio con Simona in genere, ma sulla sua rapida realizzazione; dubbio che, in un primo momento, ho attribuito al mio carattere di avere sempre qualche dubbio nelle decisioni importanti, ma poi mi accorgevo che si stava sviluppando una specie di autodinamica tra tutti noi che non potevo più fermare, che mi coinvolgeva sempre di più, che non mi lasciava più “uscire” – pensando anche alla sua famiglia cosí gentilissima che stava facendo di tutto per realizzare un matrimonio bellissimo. Da parte mia, ero sinceramente e profondamente innamorato di Simona, e l’ho sposata per amore e con l'intenzione di sposarla veramente come persona – anche se la vasta portata di questa decisione a me non era per niente chiaro a quel tempo, e anche se avevo paura. È vero che io, a livello intellettuale, anche non capivo e non conoscevo nei dettagli le realtà sacramentali della Chiesa cattolica; non avevo pienamente coscienza di che cosa fosse il Sacramento del Matrimonio nella Religione Cattolica, tuttavia, a livello pratico io ritenevo e ritengo ancora il matrimonio per sua natura, per onestà e sincerità; a livello pratico io volevo che questo matrimonio fosse serio, profondo e – se possibile – per tutta la vita. Per me il matrimonio significava e significa dedicarsi e donarsi ad un’altra persona in comunione di vita e di ideali per il più lungo tempo possibile, forse perfino per tutta la vita. Per me il matrimonio voleva e vuol dire realizzare il meglio per l’altro partner, prendersi corresponsabilità per la vita dell’altra persona ecc.

Posso dire in tutta verità che in quel giorno di Luglio 1998, nella chiesa cattolica di M. io ho sposato Simona per amore, anche se al corso per fidanzati abbiamo partecipato dopo matrimonio, nella Chiesa tedesca di Hildesheim (Germania). È vero, durante la cerimonia in chiesa, non capivo in italiano tutto ciò che mi veniva chiesto; io leggevo e ripetevo ciò che mi veniva detto, ma sentivo che amavo questa donna e che la stavo sposando per amore e con serietà. Dopo la cerimonia e dopo un’organizzata festa nel ristorante, siamo andati in viaggio di nozze in Spagna per circa 3 settimane con la macchina. Abbiamo messo il domicilio coniugale a S., in Germania, e la vita matrimoniale si svolta in Germania dal 1998 al 2000, sempre più con problemi.

Il primo vero grande conflitto matrimoniale si è verificato già poco dopo il matrimonio (diverse concezioni della vita, soprattutto riguardo agli studi ecc.) e poi abbastanza nel 2000, quando lei ha detto che per forza doveva tornare in Italia.

Io ho fatto di tutto presso la mia Università per farmi mandare all’Università di A.: ho ottenuto di frequentare per 1 anno l’Università italiana ed ho seguito mia moglie in Italia. Al termine dell’anno ottenuto, mia moglie si rifiutava di tornare in Germania, e ne è nato nuovamente il conflitto. Per la seconda volta mi sono attivato, con successo, presso l’Università tedesca per avere il prolungamento di un secondo anno (mai capitato prima!) presso l’Università di A. Al termine di questo secondo anno di permanenza universitaria a A., dovevo necessariamente tornare in Germania per completare gli studi; ma mia moglie si rifiutava ancora di seguirmi. Davanti al rifiuto deciso di mia moglie ho dovuto trasferire tutti i miei studi a Ancona e sostenere lì l’esame di

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laurea. Dopo essermi laureato ho insistito con mia moglie, affinché tornassimo in Germania, sia per poter frequentare il corso di dottorato, sia perché il domicilio coniugale era ancora in Germania. Ma lei si rifiutava perché prima non voleva interrompere il suo curriculum di studi giuridici, poi dopo perché non voleva perdere o lasciare un posto lavorativo pagato abbastanza bene come avvocato. Erano passati 3 anni di permanenza in Italia, rispetto ai 6 mesi che avevamo concordato all’inizio. Contro il suo volere io sono tornato in Germania senza mia moglie, nel luglio 2003. Questa data è stata una data cruciale. Dopo questo ritorno in Germania, i nostri rapporti, quasi sempre telefonici, sono stati, per lo più, molto conflittuali: lei pretendeva che io tornassi in Italia ed io pretendevo che lei tornasse in Germania. Questo conflitto ha portato, lentamente, anche a distanziarci ed alienarsi sempre più, psicologicamente. Nell’estate del 2004, nel tentativo di salvare il nostro matrimonio, siamo andati insieme, in vacanza, a Malta. Dopo questo viaggio, mia moglie, dall’Italia, ha cercato un lavoro in Germania; per me era un segnale che anche lei voleva salvare il matrimonio.

Poi è successo che sua madre si è ammalata e c’erano tanti problemi da risolvere (lavoro della madre ecc.). Dall’inizio del 2005, mia moglie ha dovuto per forza prendersi cura della madre e questo è stato un colpo duro per il nostro matrimonio, io non potevo stabilire il mio domicilio in Italia perché avevo già un lavoro in Germania e non potevo trovare un posto lavorativo in Italia. Da allora in poi, mia moglie mi ha accusato di essere io la causa di un’eventuale rottura del nostro matrimonio, perché avevo “lasciato e abbandonato” lei (mito personale di mia moglie). Ci siamo incontrati di persona, trattandoci ancora come marito e moglie, nell’agosto del 2005. Ma nell’aprile del 2006, quando ci siamo incontrati a Z., eravamo già come due estranei. Per la prima volta mia moglie mi ha detto che non vedeva un futuro insieme, io le ho risposto che non ero d’accordo con l’idea di lasciarsi, ho detto che l’amavo ancora, anche se c’erano problemi gravi. Nell’ultima fase della nostra crisi di coppia le ho proposto di fare una terapia di coppia presso un noto psicoterapeuta a Z., che era a metà strada per tutti e due. Ma lei non ha accettato; mi ha risposto che, se volevo fare una terapia, la potevo fare da solo! Probabilmente la strategia di mia moglie non era quella di far finire il matrimonio, ma quella di farmi tornare in Italia. Nel 2007-2008 mia moglie mi ripeteva che non aveva più senso la nostra vita matrimoniale e che era meglio che ci lasciassimo. E cosi ha contattato la Chiesa Cattolica. Ma io non ero convinto. Adesso io continuo a vivere da solo. Per me non è una buona idea iniziare una nuova relazione di coppia senza essere finalizzata al matrimonio, io sono ancora sposato e portavo sempre dentro di me la speranza e ero sempre molto legato a mia moglie. Lei, invece, non so con chi vive, so che ha cambiato domicilio ma non so dove sia esattamente e con chi adesso.

Non so se i miei concetti di amore e di matrimonio corrispondano al concetto religioso della Chiesa Cattolica, ma certamente essi sono fondati sui valori biblici, io non ho mai avuto dubbi sul fatto che il matrimonio dovesse essere fondato sulla fedeltà e – in linea principale – sull’indissolubilità. Per me e stato sempre chiaro questo (anche se ci sono circostanze quando un matrimonio mi sembra nullo – per esempio nel caso di adulterio). Ed ho fatto di tutto per viverlo cosí, fedele e devoto, in tutti questi anni. Ho anche scritto una lunga lettera al Tribunale Piceno per spiegare la mia posizione in tutto questo processo. Ho vissuto in tutti questi anni nella speranza che il matrimonio non fallisse; ho sempre pensato che forse c’è una possibilità, forse possiamo essere di nuovo uniti; ho sempre scritto e-mail pieni di speranza e di amore. Anche durante questo tempo del processo sull’annullamento ho chiesto sempre a lei: “Sei sicura che non c’è un’altra via, non c’è un’altra possibilità; sei sicura che noi due non possiamo tornare a vivere insieme?”. Ma adesso sono convinto che mia moglie non mi voglia più e che non esiste più una possibilità per salvare la nostra relazione di coppia. Perciò anche un annullamento potrebbe concludere questa via tanta dolorosa per me. Grazie.

Confermo il presente libello, dichiaro di non aver nulla da aggiungere, né da modificare e lo sottoscrivo in ogni sua pagina.

25/04/10 Karl H.

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* * * A fronte di un tentativo dell’avvocato assegnatogli d’ufficio di contrastare il riconoscimento

di nullità dopo la pubblicazione degli atti, il Convenuto invia il seguente scritto al tribunale: Al Tribunale Ecclesiastico Regionale Piceno

Il presidente Mons. Dott. Giuseppe Rossi Via Sisto V, 3

I-63023 FERMO (AP) Italia

PER TELEFAX Martedì, 08 giugno 2010

Oggetto: Il processo di annullamento tra mia moglie – Simona F.– e me Il vostro decreto del 26/05/10

La lettera del Avv. XY del 31/05/10 Egregio Presidente Mons. Dott. Rossi,

Onorato Tribunale Ecclesiastico, grazie per avere nominato come mio difensore d’ufficio l’Avvocato XY; ho appreso dalla sua

lettera che sarebbe pronto per intervenire come legale per mio conto. Sicuramente questo gesto è stato fatto a fin di bene, però credo di non avere bisogno per un aiuto legale in questo processo – perché sono d’accordo con l’annullamento (non ho mai creduto nel mantenere un matrimonio ad ogni costo “per sempre” – che mi pare un abbastanza lungo tempo in genere) e posso svolgere i miei diritti e doveri in questo processo da solo. Preciso anche di non avere mai nominato tale legale che certo non potrà mai esibire una procura da me sottoscritta. Non ho mai dato a lui mandato e scrivo con il presente a Voi che non volevo e non voglio un avvocato, perché secondo me non c’è bisogno. Perciò né io né mia moglie possono pagare i costi per l’Avv. XY, mi dispiace. Disconosco pertanto anche ogni istanza formulata per mio conto dall’Avv. XY e vi prego di procedere direttamente all’annullamento.

Grazie per la Vostra gentile comprensione e considerazione, e più cordiali saluti, Dr. Karl H.

* * *

Decisione in primo grado, e secondo grado di giudizio In primo grado, e nonostante il parere contrario del Difensore del Vincolo, viene data risposta

affermativa. Nel tribunale di secondo grado viene deciso di procedere per via ordinaria, limitandosi alle eventuali richieste istruttorie di parte, e in questa prospettiva vengono risentiti i tre testimoni del primo grado, che però non aggiungono nulla di nuovo a quanto già deposto in primo grado. Prima ancora di queste escussioni, il Convenuto ha mandato al tribunale il seguente scritto:

Al TRIBUNALE ECCLESIASTICO REGIONALE ETRUSCO Via del Corso, 8

I-50122 FIRENZE Italia

Per Telefax

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lunedì 11 luglio 2011 Oggetto: Il processo di annullamento tra Simona F. e Karl H.,

Nullità di Matrimonio F./H. Fase. 56/A/11 II vostro decreto del 08/06/11

Egregio Presidente, egregio Cancelliere, Onorato Tribunale Ecclesiastico,

grazie per la vostra comunicazione datata lo 08.06.2011, che ho ricevuto e letto. A tal proposito desidero comunicare che, come già detto, non intendo partecipare alla causa.

Mi rimetto alla giustizia del tribunale di cui ho piena fiducia e ritengo giudicherà in modo corretto.

Desidero comunque ribadire e confermare quanto già dichiarato nel mio interrogatorio e cioè che io volevo che questo matrimonio fosse per il più lungo tempo possibile, anche per tutta la vita, se possibile. Se però ciò non fosse stato possibile, ho sempre pensato prima del matrimonio – e lo penso tuttora – come ho già detto – che ci si può lasciare, separarsi, divorziare ecc.

Per questo motivo il Vostro dubbio non corrisponde con la mia convinzione, come l’ho dichiarato esattamente nel mio interrogatorio e libello dato il 31.03.2010. Perciò spero tanto che non dura più a lungo questo procedimento.

La cosa più umana, più cristiana sarebbe di procedere con l’annullamento nel senso della confermazione della dichiarazione del Tribunale Ecclesiastico di Fermo del 06.12.2010.

Grazie per la Vostra comprensione e per la Vostra grazia.

Distinti saluti. In fede

Dr. Karl H. * * *

Quesiti per la discussione sul caso 1. La causa sembra sufficientemente istruita, almeno per quanto riguarda l’acquisizione delle

informazioni sul consenso espresso dalla parte convenuta? In che modo e su che punti sarebbe stato eventualmente possibile approfondire l’istruttoria?

2. Esiste nel caso specifico una mentalità divorzista? Come può essere delineata, e a partire da quali elementi? Quale il suo influsso sul consenso?

3. Se foste Patrono dell’Attrice in questa causa, su quali aspetti maggiormente fondereste la richiesta di pronunciamento affermativo?

4. Se foste Difensore del Vincolo in questa causa, quale tipo di richiesta fareste? Su quali basi?

5. Come avreste giudicato la causa nel grado di appello?

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V CORSO DI AGGIORNAMENTO IN DIRITTO MATRIMONIALE E PROCESSUALE CANONICO

discussione di giovedì 19 settembre 2013

Caso pratico sul canone 1095, 2 e 3 Prof. Héctor Franceschi

1. Si presenta un estratto — omettendo la parte in iure — di una sentenza di Prima Istanza riguardante il canone 1095 nei suoi numeri 2 e 3. Benché sia stato presentato come capo di nullità, in modo subordinato, l’esclusione dell’indissolubilità da parte della donna conventae, il caso si incentrerà sul canone 1095, omettendo quanto riguarda l’esclusione.

2. I partecipanti al corso, nel preparare la discussione del caso, terranno conto dei seguenti aspetti e domande:

a) La relazione tra il difetto grave della discrezione di giudizio e l’incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.

b) Nella sentenza si parla più volte di grave immaturità. Alla luce della giurisprudenza della Rota Romana e dei Discorsi Pontifici alla Rota, pensa che sia sufficiente la prova dell’immaturità per dichiarare la nullità? Considera che l’immaturità sia un capo di nullità del matrimonio? Dovrebbe esserci sempre un’anomalia psichica?

c) Le difficoltà o meno per distinguere tra il 1095, 2 e il 1095, 3 nel caso concreto. d) La valutazione delle perizie e le ragioni per le quali i giudici si discostano parzialmente

dalle conclusioni del perito. e) Quali ritiene dovrebbero essere i punti principali da trattare nella parte in iure della

sentenza. f) Se è d’accordo o meno con la decisione dei giudici e per quali motivi.

g) Nel fare l’appello, se includere o meno il canone 1095, 3°, per il quale i giudici hanno dato sentenza negativa.

h) Nel caso nella seconda istanza i giudici decidessero affermativamente ma solo per il canone 1095, 3°, ritiene che ci sarebbe la conformità delle sentenze? A quali condizioni?

Factispecies 1.– Luca Rossi, parte attrice, nato a Roma il 3 agosto 1970, cattolico, di professione operaio,

conobbe Angela Bianco, parte convenuta, nata a Roma il 2 luglio 1975, cattolica, di professione ragioniere, nell'anno 1988, quando lui aveva 18 anni e lei 13. Poco dopo si fidanzano. Il fidanzamento è segnato da molti alti e bassi. Lui era molto geloso e non permetteva che la ragazza avesse altri amici né che uscisse senza di lui, neanche con la sorella, e la convinse a lasciare gli studi. Il matrimonio fu celebrato nella Parrocchia di San Giovanni, diocesi di Roma, il 27 maggio 1995. Scelgono il regime di separazione nei loro rapporti patrimoniali (cfr. Atto di matrimonio).

Il fidanzamento è durato sei anni. Lui è molto geloso. Si sposano e subito cominciano i problemi. In un primo momento, lei non vuole partire per il viaggio di nozze, ma lui (col l'aiuto della sorella di lei) la convince. Il viaggio va male e il rapporto si caratterizza per i costanti litigi tra i coniugi. La moglie riprende gli studi ma il marito la controlla molto. Vi è una gravidanza ma lei decide di abortire, malgrado le insistenze di lui per tenere il bambino. Dopo un anno di vita coniugale, si separano definitivamente.

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Vi è la separazione consensuale il 24 giugno 1997, la quale viene omologata il 18 luglio 1997. Ora entrambi hanno una nuova relazione.

2.– Il marito, mediante libello presentato il 15 novembre 2000, chiede la nullità del matrimonio per i seguenti capi: «1. A norma del can. 1095 n. 3 del Cod. Jur. Can.; seu ob incapacitatem assumendi obligationes matrimonii essentiales ex parte viri et 2. A norma del can. 1095 n. 2 C.J.C. seu ob defectum discretionis iudicii ex parte mulieris et subordinate 3. A norma del can. 1101 § 2 seu ob exclusum bonum sacramenti ex parte mulieris».

Il dubbio viene concordato l'8 gennaio 2001 con la seguente formula: «An constet de nullitate matrimonii in casu ex capitibus incapacitatis, ob causas naturae psychicae, obligationes matrimonii essentiales assumendi ex parte viri et defectus discretionis iudicii circa iura et officia matrimonialia essentialia mutuo tradenda et acceptanda ex parte mulieris; subordinate: exclusionis boni sacramenti ex parte eiusdem mulieris».

In data 10 gennaio 2003, durante la fase probatoria, il patrono stabile di parte attrice chiede una nuova concordanza del dubbio. Dopo aver ascoltato le sua ragioni e il parere del difensore del vincolo, il giudice decide una nuova formula del dubbio: «An constet de nullitate matrimonii in casu ex capitibus incapacitatis, ob causas naturae psychicae, obligationes matrimonii essentiales assumendi et gravis defectus discretionis iudicii circa iura et officia matrimonialia essentialia mutuo tradenda ac acceptanda ab utraque parte; subordinate: exclusionis boni sacramenti ex parte mulieris» (Addendum, p. 8).

In Iure

(Omissis) In Facto

20.– In questa causa si vedono due persone che si accostano al matrimonio dopo sei anni di fidanzamento e che non riescono, sin dal primo momento, a costruire una seppur minima comunità di vita. La ragazza entra in crisi subito dopo la celebrazione del matrimonio e l'attore non riesce a riconoscere le necessità di crescita della convenuta ed è eccessivamente geloso di qualunque rapporto al di fuori di quello con lui, persino della convenuta con sua sorella maggiore.

Per valutare l'esistenza o meno di una vera incapacità consensuale in una o in entrambe le parti, valuteremo prima la personalità dell'attore e le circostanze precedenti e successive al matrimonio e dopo studieremo la personalità della convenuta, per identificare la possibile causa psichica dell'incapacità consensuale per difetto grave della discrezione di giudizio e/o l'incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.

De incapacitate actoris 21.– L'attore appare come una persona prepotente, patologicamente geloso, che vuole sempre

dominare la moglie e non ammette dissensi. Lui stesso ammette: «Geloso come ero, non le consentivo di comportarsi come i ragazzi» (cfr. p. 30). E ammette che «nell'ultimo tempo della nostra vita matrimoniale, vissuta come ho raccontato, io ero molto geloso e mi sono comportato in modo violento» (p. 31). La convenuta lo descrive così: «è molto egocentrico, molto possessivo, molto geloso, direi dall'impressione che ho avuto, una persona con pochissimo equilibrio» (p. 36). Più avanti, afferma: «essendo lui molto geloso, non voleva che io usassi gonne, abbigliamento che mettesse in risalto le forme fisiche femminili, non voleva che frequentassi altri ragazzi, che mi truccassi. Del resto acconsentivo a ciò che lui diceva, ad esempio non voleva che io uscissi mai la sera (...) per lui bisognava stare a casa e basta» (p. 37).

Il teste Giampiero Astolfi dice della famiglia dell'attore e dell'attore stesso: «Ho conosciuto la famiglia di Luca e non saprei definirla se non dicendo che sono un po' particolari, Luca compreso. Non posso dire che sia cattivo, ma mi sembrava un po' lunatico. Posso dire di aver assistito ad alcune scenate quando veniva a prendere Angela nella scuola serale che lei frequentava e dove io

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insegnavo. Ho visto scene di gelosia che non mi sarei aspettato» (p. 57). E ancora: «Avevo modo di vedere le loro discussioni, che partivano sempre da lui. I motivi erano sempre la sua gelosia, il suo senso di possessività» (p. 57).

Il marito si dimostra una persona prepotente, insincera: preleva cinque milioni di lire dal conto della convenuta per darli ai suoi genitori, obbliga la moglie a lasciare il lavoro dicendo che lei doveva stare a casa e che il suo stipendio era sufficiente; una volta rubarono la loro macchina e lui disse che era andato a lavoro, ma ammise in seguito che gliela avevano invece rubata all'Olimpico, dove era andato con un'altra ragazza (cfr. p. 41).

Questa gelosia del marito si manifesta anche sin dall'inizio della vita matrimoniale, e lo porta a impedire qualunque crescita umana della moglie. Come racconta la stessa, e confermano alcuni dei testimoni, lei aveva deciso di re-iscriversi a scuola e in un solo anno è riuscita a finirne quattro. Mancava solo la maturità ma il marito non voleva che facesse l'ultimo anno (cfr. p. 42). La vita coniugale era ormai in crisi. La convenuta propose di tornare ognuno dai suoi, ma lui si oppose. Lei voleva continuare la scuola, ma il marito non voleva. Lei dice: «Io proponevo di uscire con i miei compagni di scuola e Luca si rifiutava, dicendomi di non frequentare la scuola (...). Luca non voleva neanche darmi i soldi per iscrivermi, mi aiutò mia sorella dandomi i soldi e mi iscrissi l'ultimo giorno utile» (p. 42). Il teste Gianpiero Astolfi conferma quanto racconta la convenuta sull'opposizione del marito al fatto che lei frequentasse la scuola, e sulle gelosie immotivate del marito. Così conclude: «la voleva in una campana di vetro, segregata, a sua disposizione e basta. Angela non poteva nemmeno ricevere telefonate, perché lui controllava tutto» (p. 59). E la sorella Rosalva Bianco conferma che è stata lei a pagare la scuola della sorella perché il marito non voleva che studiasse. Dice: «Luca ha reagito male, andava alla fine della scuola a prendere mia sorella facendo scenate di gelosia fuori luogo, ridicolo di fronte agli altri, mettendo in difficoltà mia sorella (...) [Angela] era contenta di questa sua nuova situazione e avrebbe voluto coinvolgere Luca per uscire insieme anche con altre persone, cosa che Luca non faceva e quindi nemmeno lei» (p. 63).

La stessa testimone dice dell'attore: «Luca direi che non ha una personalità molto ferma, mi sembra che non sia equilibrato e cioè soggetto a umori, e nello specifico con Angela passava da un atteggiamento abbastanza carino, simpatico, ad un atteggiamento aggressivo. È una persona che mostra diverse sfaccettature» (p. 61).

Sul fidanzamento ricorda: «si incontravano soltanto il sabato e la domenica, si facevano lunghe telefonate la sera, spesso con litigi perché lui voleva sapere cosa aveva fatto ed esternava la sua gelosia; Angela non poteva muoversi senza di lui, nemmeno uscire con me, che ho sette anni più di lei» (p. 62). E ancora: «Lui un giorno disse ad Angela: "Io vorrei che tu fossi come in una campana di vetro e non avessi a pensare altro che a me, senza volere bene nemmeno a tuo padre e a tua madre, vorrei che pensassi solo a me". Luca era geloso di tutto ciò che mia sorella faceva, non poteva usare cose di abbigliamento senza il suo permesso. Angela non dava adito a questa gelosia, era sempre in casa, non frequentava nessuno» (p. 62). Queste affermazioni confermano la gelosia e la possessività esagerate dell'attore e la dipendenza assoluta della convenuta, succube del fidanzato.

La madre della convenuta mette in luce come il problema non fosse soltanto la mancanza di intesa tra i coniugi ma piuttosto una impossibilità del marito per rapportarsi in condizioni di uguaglianza con la moglie. Dice la madre della convenuta: «Luca nel giro di un anno di matrimonio per ben tre volte se n'è andato per conto suo in villeggiatura, lasciando mia figlia sola a casa senza un soldo; le diceva che tanto sarebbe venuta da me» (p. 70). Conferma anche la storia dei soldi sottratti dall'attore (cfr. p. 70), cosa che conferma anche il padre della convenuta (cfr. p. 73).

Anche durante la breve vita coniugale, durata più o meno un anno, il marito continua a manifestare la sua gelosia e fa continuamente delle scenate. Lui stesso afferma che convinse la moglie a lasciare il suo lavoro da commessa e si prese lui un altro lavoro. Poi, si rivela quando vede la moglie maturare e cambiare a causa dei rapporti con ragazzi della sua stessa età, con i quali faceva la scuola: laa obbliga a lasciare la scuola, benché mancasse soltanto la maturità.

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Anche di fronte alla gravidanza della moglie e al suo rifiuto ad avere il bambino, perché il matrimonio era già in crisi, la reazione del marito è violenta. Non sembra che voglia semplicemente salvare la vita del bambino, ma dagli atti di causa quello che viene fuori è una reazione di possessività dell'attore nei confronti del bimbo: vuole assolutamente che nasca e prendersene cura lui, perché è suo figlio, dicendo perfino che il bambino non avrebbe neanche saputo chi era sua madre (cfr. Summ. p. 42-43). All’opposizione della moglie, lui stesso racconta che: «comincio a diventare violento, verbalmente e fisicamente, la seguo per strada, spesso l'aspetto fuori della scuola insultandola e aggredendola, pregiudicando, in tal modo, definitivamente, la situazione. Il mio atteggiamento persecutorio nei confronti di Angela finisce solo quando interviene il padre di lei e, con autorità, mi convince a desistere» (Summ. p. 4).

22.– La perizia sulle parti è stata realizzata dal dottor Franceschini, il quale ha studiato il sommario, ha realizzato visite sulle parti, e ha realizzato esami psicodiagnostici sulle parti in causa. La valutazione della perizia che fa il patrono stabile di parte attrice è molto accurata (cfr. Restrictus, p. 10-12 e 14-15), non così quella che fa il difensore del vincolo deputatus (Animadversiones, p. 23-24).

23.– Riguardo all'attore, dice il perito: «All'epoca del matrimonio, il periziando risultava affetto da un “disturbo di personalità del Cluster B”, a prevalente espressività Borderline. Si tratta di una distorsione della personalità con esordio già in adolescenza, caratterizzato da una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell'immagine di sé e dell'umore, ed una marcata impulsività. Il quadro del periziando è inoltre aggravato dalla significativa presenza di tratti narcisistici, appartenenti allo stesso Cluster B» (perizia, p. 17).

Poi, nell’indicare il perché di questa diagnosi, indica i criteri presenti che lo hanno portato ad essa:

«- sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono;

- ideazioni paranoidi; - difficoltà a controllare la rabbia;

- relazioni interpersonali instabili e intense; - instabilità affettiva dovuta a marcata reattività dell'umore» (perizia, p. 17 e pp. 18-19 nelle

quale fa diversi esempi di questi tratti). Riguardo ai tratti disarmonici di personalità rilevati in commorbilità con la prevalente

espressività borderline, indica i seguenti tratti narcisistici: «- è assorbito da fantasie di amore ideale;

- richiede eccessiva ammirazione; - manca di empatia ed è incapace di riconoscere i sentimenti e le necessità altrui;

- sfruttamento interpersonale» (perizia, p. 17 e p. 19 nella quale esemplifica le manifestazioni di questi tratti dell'attore durante il fidanzamento e nello svolgimento della vita matrimoniale).

Conclude per una grave immaturità che lo rendeva incapace di valutare sufficientemente il matrimonio: «Il tipo di disturbo di personalità del periziando era tale da viziarne il consenso coniugale perché il Rossi non era in grado di compiere un adeguato esame della realtà propria e una valutazione adeguata della possibilità di realizzare una buona unione con la convenuta. Tale incapacità di fornire un consenso sufficientemente maturo è legata ad un'emotività gravemente labile, sulla base della quale il periziando agiva, tanto labile da alterarne le reali capacità di giudizio: il polo ottimista di questa emotività labile faceva percepire e vivere al periziando facili entusiasmi senza la valutazione adeguata delle difficoltà già riscontrate nella relazione con la convenuta e senza una valutazione adeguata delle responsabilità che implicava la scelta del matrimonio cristiano. Egli quindi era "sicuro" e "felice" di quanto andava realizzando, ma tali

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atteggiamenti interni erano, in realtà, superficialmente fondati su un'affettività instabile e impulsiva, gravemente immatura e soggetti, quindi, a repentini cambi d'atteggiamento inclini all'irritabilità (fino alla violenza) e al comportamento non coerente con le promesse sostenute sull'onda dell'entusiasmo (abbandono del tetto coniugale per fare delle vacanze, infedeltà, mancanza di rispetto e di amore con comportamenti violenti e controllanti, sfruttamento indebito delle risorse economiche della convenuta, ecc.)» (perizia, p. 19-20).

24.– Tenuto conto dei fatti analizzati in causa e della valutazione accurata fatta dal perito, noi giudici riteniamo che è stato provato il difetto grave della discrezione di giudizio nell'attore al momento del matrimonio.

Riguardo all'incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, invece, qualche dubbio resta in Noi giudici. Su questo punto, non concordiamo con l'affermazione fatta dal patrono di parte attrice che sembra indicare che l'incapacità di assumere è contenuta nel difetto di discrezione di giudizio (cfr. add. summ. p. 7). Se così fosse, il comma 3° del can. 1095 non avrebbe ragion d’essere. Oltre a questo, però, è parere dei giudici che il perito, nella risposta n. 6, quando parla della capacità per assumere e dà la sua risposta affermativa all'incapacità, dalla lettura di quanto dice, non sembra che stesse parlando di capacità per celebrare un valido matrimonio ma un'unione perfetta e integrata, e questo non appartiene alla capacità (cfr. perizia, p. 20, ad 6). Per queste ragioni, noi giudici riteniamo che la vera ragione dell'incapacità consensuale nel momento della celebrazione del matrimonio fosse il difetto grave delle discrezione di giudizio e non invece l'incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.

De incapacitate conventae 25.– La convenuta, nel descrivere se stessa e la sua famiglia, dice di essere aperta e socievole

ma di riconoscersi anche con tanta timidezza: «Io adoro mia sorella ed amo tanto la mia famiglia, siamo molto attaccati, forse con mia sorella ho un amore morboso» (p. 36).

La convenuta, che si fidanzò quando aveva 14 anni, appare come una persona totalmente dipendente dagli altri, succube del fidanzato, che non aveva avuto una vera adolescenza e che soltanto dopo le nozze scoprì cosa significava essere una ragazza, avere degli amici, avere dei propri piani e dei progetti. Un'affermazione della convenuta mette in luce la sua passività e dipendenza: «A quell'epoca, per paura che mi lasciasse, accettavo quello che lui voleva. Questo dovuto al fatto che, non frequentando altre persone, non mi potevo rapportare con altre situazioni» (p. 37). «Luca con me aveva una sorta di potere, lui mi aveva come soggiogata. Mentre io facevo questa vita da reclusa, lui andava in vacanza da solo, andava in discoteca, usciva con amici» (p. 37). Dice il padre dell'attore che la sua impressione era che lei fosse troppo ragazzina, e che più che innamorati fossero infatuati (cfr. p. 48).

Gianpiero Astolfi, amico della famiglia della convenuta, dice: «vedevo Angela alla sua età, diciotto-diciannove anni, che si era lasciata andare, si era appassita; Luca incideva molto nella vita di Angela, la quale non ha vissuto l'adolescenza e la giovinezza» (p. 58). Riteneva le parti troppo immature per il matrimonio e ha consigliato loro di aspettare, ma si vedevano invaghiti e Angela era totalmente dipendente da Luca (cfr. p. 58). E la sorella della convenuta afferma che lei li vedeva completamente impreparati al matrimonio e insistette perché non lo celebrassero. Vedeva il desiderio del matrimonio come un desiderio infantile di sua sorella, che non si rendeva conto di quel che faceva (cfr. p. 63). La madre della convenuta, invece, con grande semplicità, dice di non ritenere nè la figlia nè Luca immaturi al tempo del matrimonio (cfr. p. 71). Non è che questi ragionamenti neghino quanto detto. Anzi, servono a sottolineare la sincerità della sue dichiarazioni. Spetta a noi giudici valutare la capacità o l'incapacità delle parti alla luce dei fatti provati.

26.– Le circostanze prenuziali mettono chiaramente in luce la grave immaturità della convenuta e la sua dipendenza patologica dal fidanzato, del quale era completamente succube. Questo viene confermato dalle dichiarazioni delle parti e dei testimoni.

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Dice l'attore, quando spiega la natura del loro rapporto: «Passavamo però molto tempo da soli, stavamo molto poco con altri ragazzi e Angela lamentava di sentirsi troppo isolata. La verità è che io ero gelosissimo di lei e, mentre io a Roma avevo una normale vita di relazione e uscivo con amici e amiche, Angela, a causa della mia gelosia, si era 'annullata' completamente» (Summ., p. 2). Anzi, si può affermare che è stato lo stesso attore, con il suo atteggiamento profondamente sbagliato, a impedire la maturazione minima necessaria della fidanzata. La stessa convenuta dice: «essendo lui molto geloso, non voleva che io usassi gonne, abbigliamento che mettesse in risalto le forme fisiche femminili, non voleva che frequentassi altri ragazzi, che mi truccassi. Del resto io acconsentivo a ciò che lui diceva, ad esempio non voleva che uscissi mai la sera (...) per lui bisognava stare a casa e basta» (p. 37).

Sul fidanzamento ricorda la sorella della convenuta: «si incontravano soltanto il sabato e la domenica, si facevano lunghe telefonate la sera, spesso con litigi perché lui voleva sapere cosa aveva fatto ed esternava la sua gelosia; Angela non poteva muoversi senza di lui, nemmeno uscire con me, che ho sette anni più di lei» (p. 62). E ancora: «Lui un giorno disse ad Angela: "Io vorrei che tu fossi come in una campana di vetro e non avessi a pensare altro che a me, senza volere bene nemmeno a tuo padre e a tua madre, vorrei che pensassi solo a me". Luca era geloso di tutto ciò che mia sorella faceva, non poteva usare cose di abbigliamento senza il suo permesso. Angela non dava adito a questa gelosia, era sempre in casa, non frequentava nessuno» (p. 62). Queste affermazioni confermano la gelosia e la possessività esagerate dell'attore e la dipendenza assoluta della convenuta, che era succube del fidanzato. E la madre della convenuta afferma che la figlia, dopo aver conosciuto Luca, «ha lasciato gli studi, perché lui, talmente geloso, non voleva nemmeno che andasse a scuola» (p. 67). E più avanti dice: «Posso dire che il giovane aveva sempre da ridere su mia figlia, perché alla fine la voleva quasi come lui, trascurata, mentre lei era sempre ben sistemata, non provocante, ma normale. Luca invece non gradiva mai perché era troppo geloso, non voleva nemmeno che qualcuno la salutasse; era anche geloso che le mie due figlie avessero tra loro un rapporto buono» (p. 68). E lei si sottometteva sempre e aveva paura di contrariarlo.

27.– Anche le circostanze della celebrazione nuziale dimostrano la grave immaturità della convenuta al momento del matrimonio e come fosse completamente impreparata ad esso.

La decisione di contrarre il matrimonio è venuta dalla convenuta, ma quasi come una conseguenza del fatto di essere insieme da sei anni, come una necessità (cfr. p. 38). Oggi, la convenuta descrive così il loro rapporto: «Luca è riuscito a farmi sentire una persona spenta. Descrivendo la sensazione di allora il mio comportamento era quello di un burattino nelle mani di Luca. Lui decideva chi frequentare, come vestire, cosa fare... Oggi posso dire che mi faceva violenza psicologica» (p. 38). Si faceva sempre quello che voleva il fidanzato e lei finiva per assecondarlo, persino chiedendo perdono se aveva proposto all'inizio qualche cosa che non piacesse al fidanzato (cfr. p. 39).

Si accostano al matrimonio con entusiasmo e spensieratezza. Ma tutto si infrange la stessa notte delle nozze. Dice l'attore: «È andato tutto bene fino alla sera, quando ci siamo trovati soli, nella nostra casa. Non so come spiegare, Angela si mise a piangere e voleva tornare a casa, era più che disperata, le prese una crisi di paura. Non so ancora spiegare. Lo stesso comportamento lo ha avuto il giorno dopo, aveva anche deciso di non partire per il viaggio di nozze» (Summ. p. 28).

La sorella della convenuta la convince a partire. Il viaggio doveva essere di 20 giorni, ma sin dal primo giorno fu un disastro. Lei vedeva tutto buio e piangeva, telefonava parecchie volte a settimana a casa dei suoi. Il marito, esagerando, dice che telefonava parecchie volte al giorno e dice che non ci sono stati rapporti (cfr. Summ., pp. 28-29). Alla fine, hanno dovuto anticipare il rientro in Italia. Durante il viaggio di nozze ci sono stati pochi rapporti coniugali (durante il fidanzamento, quasi sin dall'inizio, avevano avuto rapporti sessuali).

La visione del viaggio di nozze che dà la convenuta non è tanto buia come quella del marito il quale esagera un po'. La convenuta conferma i ripensamenti subito dopo le nozze: «la sera stessa

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del matrimonio tornando a casa mi prese il panico, cominciai a pensare di aver fatto un passo molto importante (...). Mi prese paura di avere una vita nuova, occuparmi di una casa, di mio marito, non mi sentivo preparata. Era come se mi fossi svegliata e non mi ritenevo pronta ad affrontare la nuova vita» (p. 40). Dice che consumarono il matrimonio quella sera. Conferma che al mattino cominciò a fare i bagagli ma non voleva partire per il viaggio di nozze. Alla fine sua sorella l’ha convinta e sono partiti per l'Austria (cfr. p. 40). Sui giorni passati in Austria, conferma che era molto triste e voleva tornarsene a casa (dice che sentiva la mancanza del suo cagnolino!), ma sostiene che ci furono dei momenti tranquilli, ci fu qualche rapporto coniugale, e le telefonate ai suoi non erano più volte al giorno ma tre o quattro volte a settimana perché costavano troppo. Alla fine decisero di anticipare il rientro in Italia. Giampiero Astolfi, diversamente dai genitori dell'attore, ricorda che il rientro dal viaggio di nozze fu anticipato perché lei sentiva troppo la mancanza della sua famiglia, in modo particolare della sorella (cfr. p. 59). Anche Francesco Bianco, padre della convenuta, conferma il rientro anticipato dal viaggio di nozze e il fatto della tristezza della figlia perché era lontana da loro (cfr. p. 74). Le esagerazioni del marito nel descrivere i problemi durante il viaggio di nozze, a nostro avviso, rispecchiano la personalità dell'attore, che carica tutte le colpe, forse inconsapevolmente, alla moglie, come se lui non avesse avuto nessuna colpa.

28.– Durante i primi mesi della vita coniugale la parte convenuta appare completamente dipendente dalla volontà del marito. Il marito convince la moglie a lasciare il lavoro che aveva, prendendosi lui due lavori. Lo stesso marito ammette che, quando lei riprese a frequentare la scuola dopo qualche mese dalle nozze, ella scoprì cosa significa essere adolescente: uscire con gli amici, andare a prendersi una pizza, avere delle amiche. Lei non aveva avuto queste possibilità, perché appena quattordicenne iniziò il rapporto con il fidanzato che era molto geloso e assorbente (cfr. Summ., p. 29-30). Dice la convenuta che sin dall'inizio è stato impossibile stabilire un minimo rapporto di coppia: la moglie restava a casa e il marito "al lavoro". Vi erano rapporti sessuali ma sempre più distanziati. Il marito non si prendeva cura della moglie, e rifiutava persino di portarla a fare una passeggiata, perché era stanco (cfr. p. 42), e lei lasciava fare.

29.– Il "risveglio" della convenuta comincia quando decide di riprendere gli studi che per volere del fidanzato aveva interrotto. Solo allora inizia un processo di crescita personale, ma in quel momento, data la personalità dell'attore e il suo rifiuto della decisione della moglie, che abbiamo già analizzato, inizia il declino finale del loro rapporto, che si conclude definitivamente con la decisione della convenuta di ricorrere all'aborto.

La convenuta aveva deciso di re-iscriversi a scuola e in un solo anno era riuscita a finirne quattro. Mancava solo la maturità ma il marito non voleva che lei facesse l'ultimo anno (cfr. p. 42). La vita coniugale era ormai in crisi. La convenuta propose di tornare ognuno dai suoi, ma lui si oppose. Lei voleva continuare la scuola, ma il marito non voleva. Lei dice: «Io proponevo di uscire con i miei compagni di scuola e Luca si rifiutava, dicendomi di non frequentare la scuola (...). Luca non voleva neanche darmi i soldi per iscrivermi, mi aiutò mia sorella dandomi i soldi e mi iscrissi l'ultimo giorno utile» (p. 42). Dice il marito: «Dall'inizio della scuola fino alla fine, il matrimonio è crollato. Angela aveva preso coscienza della sua età. Prima che finisse quell'anno scolastico, posso dire che il matrimonio era già finito» (p. 30). «Io non volevo che lei andasse a scuola, visto com'era cambiata» (p. 30). Nel mese di agosto hanno ripreso i rapporti e a settembre lei si è trovata incinta, ma non voleva il figlio. Il marito ha tentato di convincerla, dicendole che lui si sarebbe tenuto il bambino. Ma lei ha deciso l'aborto e, tornata dall'ospedale, il rapporto si è chiuso definitivamente e la convenuta è tornata dai suoi genitori (cfr. p. 30).

30.– In questa situazione di crisi la convenuta resta incinta e decide di non tenere il bambino. Come abbiamo già spiegato in precedenza, la reazione del marito fu molto violenta, ma lei non cedette e abortì. Questa fu la fine del matrimonio. Dice la convenuta: «mi prese il panico perché la nostra situazione era sempre più traballante (...). Lui voleva assolutamente il bambino. Ricordo a tal proposito un episodio, durante il quale lui mi spinse verso il muro e diede un pugno alla porta rompendola. Questo avvenne in un nostro litigio proprio perché io non volevo il bambino, lui lo

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voleva ad ogni costo. Questo perché io sentivo da una parte una forza che mi diceva di non abortire, ma da un'altra non me la sentivo di affrontare una gravidanza poiché portare avanti il bambino era un peso troppo grande per me» (p. 42-43).

Il marito propose alla convenuta di tenere il bambino e che si sarebbe occupato di lui. In seguito, disse alla moglie che se avesse tenuto il bambino per se (erano già separati di fatto) le avrebbe reso la vita impossibile (cfr. p. 43). Alla fine lei decise di abortire, o così racconto gli ultimi incontri con l'attore: «Devo dire che dal giorno che ho fatto l'aborto Luca mi perseguitava, mi seguiva a scuola, ed una volta per togliermi la fede mi ruppe i capillari di un dito» (p. 43).

La madre della convenuta conferma la gravidanza della figlia in un momento di grande crisi e come la figlia abbia deciso di abortire, dicendo che se avesse avuto il bambino il marito se lo sarebbe tenuto. L'attore ha minacciato la moglie e ha anche fatto delle minacce alla sua familia, esigendo che non abortisse e lasciasse a lui il figlio (cfr. p. 70). Sembra che più che un desiderio di salvare la vita del figlio fosse, semplicemente, un'altra manifestazione della sua personalità possessiva.

Questi fatti, successivi al matrimonio, secondo noi giudici, dimostrano non tanto una vera e propria incapacità di assumere della convenuta, in questo caso riguardo ai diritti/doveri derivanti dal bonum prolis, ma un rifiuto radicale, causato da questo suo risvegliarsi su che cosa significa il matrimonio, di qualunque fatto o evento che la unisse definitivamente all'attore, rifiuto che viene poi aggravato dall'atteggiamento del marito che voleva a qualunque costo il figlio come esclusivamente suo (vid. sopra). Ci sono invece, molti elementi che portano alla certezza sul difetto grave della discrezione di giudizio.

31.– Anche la perizia sulla parte convenuta è stata realizzata dal dottor Franceschini, il quale ha studiato il sommario, ha realizzato visite sulle parti, e ha realizzato esami psicodiagnostici sulle parti in causa.

Il perito fa un'accurata analisi dei fatti che emergono dagli atti. Anche in questo caso, c'è la visita medica e si fanno i test psicodiagnostici.

Alla luce dell'intervista medica, dei test diagnostici e dello studio degli atti, la conclusione del perito riguardo alla convenuta è che in lei c'era un «Disturbo di personalità del Cluster C, a prevalente espressività dipendente. Tale disturbo era già presente in età adolescenziale e costituisce il fondamento, gravemente immaturo, della scelta matrimoniale» (perizia, p. 29). Indica anche i criteri che lo hanno portato a questa conclusione:

«- difficoltà ad esprimere disaccordo per il timore di perdere il sostegno;

- tolleranza e sopportazione di situazioni spiacevoli pur di ottenere accudimento; - bisogno continuo di consigli e rassicurazioni;

- sentimenti di disagio quando ci si sente soli nel timore di non saper provvedere a se stessi; - ricerca immediata al termine di una relazione intima di un'altra relazione stretta» (perizia, p.

28-29; cfr. anche p. 29-30 nelle quali fa dei chiari esempi sulla manifestazione di questi criterio nella convenuta).

Per queste ragioni, sostiene il perito, «non si può parlare di "sufficiente consenso" in una persona con Disturbo di Personalità Dipendente: la Bianco vicariava e delegava le proprie responsabilità, esprimendo un consenso viziato da atteggiamenti conformisti, minato dal timore di essere lasciata dall'attore e di perdere l'approvazione dei genitori» (perizia, p. 30).

32.– Tenuto conto dei fatti analizzati in causa e della valutazione accurata fatta dal Dott. Franceschini, riteniamo che è stato provato il difetto grave della discrezione di giudizio nella convenuta al momento del matrimonio.

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Riguardo all'incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, invece, riteniamo che non sia stata provata con certezza morale. Tutta la perizia è stata impostata sulla grave immaturità della convenuta al momento delle nozze. Benché poi si faccia riferimento alle difficoltà della convenuta nel fare un consapevole dono di sé, non è chiaro che, al momento delle nozze, fosse incapace di assumere gli obblighi essenziali. Più che un'incapacità di assumere, il suo era un difetto grave della discrezione di giudizio, il che poi si vede con chiarezza nella paura apparsa subito dopo la celebrazione nel rendersi conto dell'importanza del passo che aveva compiuto. Per queste ragioni, noi giudici riteniamo che la vera causa dell'incapacità consensuale nel momento della celebrazione del matrimonio era il difetto grave delle discrezione di giudizio e non invece l'incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.

De exclusione indissolubilitatis ex parte conventa (Omissis)

Conclusioni 35.– Alla luce dei fatti e delle risultanze processuali, le conclusioni di noi giudici sono le

seguenti: a) È stato provato in entrambi i contraenti il grave difetto della discrezione di giudizio, per

una grave immaturità causata da un Disturbo di personalità del Cluster B, a prevalente espressività Borderline nell'attore e per la grave immaturità della donna causata da un disturbo di personalità dipendente.

b) Non è stata provata invece l'incapacità di assumere gli obblighi essenziali da parte dell'attore, perché non appare tanto chiara la gravità della causa psichica di cui parla il perito nei confronti della capacità stessa per assumere gli obblighi essenziali del matrimonio. Al riguardo, va tenuto conto della importante distinzione tra incapacità e difficoltà persino gravi.

c) Non è stata provata l'incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio nella donna convenuta. Era gravemente immatura al momento delle nozze, ma non si vede che fosse incapace di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio (non si tratta di due gradi dell'incapacità ma di due dimensioni della capacità consensuale).

d) (Omissis)

Decisione 36.– Per tanto, considerando attentamente quanto è stato esposto sia in diritto che in fatto,

Noi, sottoscritti Giudici del Tribunale di Prima Istanza del Vicariato di Roma, radunati legittimamente nella sede del Tribunale, dopo aver invocato il nome del Signore, dichiariamo e definitivamente sentenziamo che al proposito dubbio deve rispondersi, come in effetti rispondiamo:

«AFFIRMATIVE, seu constare de nullitate matrimonii, in casu, ex capite gravis defectus discretionis iudicii circa iura et officia matrimonialia essentialia mutuo tradenda et acceptanda ab utraque parte; vetito transitu ad alias nuptias Ordinario inconsulto.

NEGATIVE, quoad incapacitatem assumendi onera ab utraque parte et exclusionem boni sacramenti ex parte mulieris».

(Omissis)

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V CORSO DI AGGIORNAMENTO IN DIRITTO MATRIMONIALE E PROCESSUALE CANONICO

discussione di venerdì 20 settembre 2013

Caso pratico sul difetto di libertà interna Prof. Mons. Davide Salvatori

LIBELLUS ACTORIS

Parte Attrice: ROSSI MAURO, nato a ROMA, il 19.02.1970, residente in ROMA, via … n. 1 (Parrocchia S. Domenico);

e Parte Convenuta: BIANCHI KATIUSCIA, nata a ROMA, il 30.12.1974, residente a ROMA,

via …. n. 10, cattolica (parrocchia S. Lorenzo). Io sottoscritto Rossi Mauro mi rivolgo a Codesto Tribunale affinché sia acclarata la nullità del

mio matrimonio contratto con la Sig.ra Bianchi Katiuscia, in data 25.06.1994 nella Chiesa “Conversione di S. Paolo”, diocesi di Roma, e a tal fine espongo quanto segue:

Ho conosciuto Katiuscia nell'ottobre del 1991 da parte di comuni amici nel gruppo che frequentavo. Sorse immediatamente simpatia tra noi e da 1ì a poco iniziammo a frequentarci sempre più assiduamente. Katiuscia aveva 17 anni, io 21.

In famiglia non ero vissuto serenamente in quanto appena compiuti i tre anni rimasi orfano di mio padre e, quando ne compii sette, fui costretto, mio malgrado, ad entrare nel Collegio della Sacra Famiglia di Pescara, in quanto mia madre, sull'orlo della disperazione, non riusciva a mandare avanti la famiglia che era composta da altri due fratelli.

La permanenza in collegio (dal 1977 al 1984) sviluppò in me una grande insicurezza e timidezza, tanto che non riuscivo ad avere amici: sentivo la mancanza di una vera famiglia e vivevo l'essere stato mandato in Collegio come una sorta di rifiuto da parte della mia famiglia. Né riuscivo a considerare come la mia famiglia sia i ragazzi che come me si trovavano nel Collegio, né le suore e il personale che lavorava in quella sede. Si trattava di persone gentili, che cercavano di colmare, senza riuscirci, quel vuoto che si era creato dentro di me.

Pertanto, fin dalla prima adolescenza, anelavo ad avere in futuro una mia "famiglia" tale da rappresentare un porto sicuro e d'affetto che mai avevo avvertito dentro di me e che potesse mettere fine alle ansie e alle angosce che provavo nelle mie giornate, e alla mia timidezza e alla mia insicurezza, che, neanche il servizio di leva militare - svolto tra i paracadutisti - riuscì a farmi superare.

Mosso dal vivo desiderio di una "famiglia", appena conobbi Katiuscia, tutte le mie aspirazioni sembrarono realizzarsi.

Katiuscia, infatti, nei primi mesi del nostro rapporto mi fece credere di avere un grande desiderio di formare una famiglia e di avere dei figli, assecondando così quelle che erano le mie aspirazioni.

A quel punto non mi preoccupai neppure di conoscerla meglio e avevo solo il terrore di perderla e quando tra noi c'erano contrasti, ero io che cercavo sempre di tornare sui miei passi, timoroso che i miei sogni andassero in fumo.

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Quando Katiuscia si rese conto di essere incinta, questa gravidanza mi mise profondamente in crisi e provai un grande senso di angoscia e non fui assolutamente in grado di affrontare una situazione che non ero in grado di gestire. L'avvenimento aveva creato in me uno stato continuo di tensione e, pertanto, finii per accettare in modo assolutamente succube, senza reagire in alcun modo, tutte le vessazioni e le decisioni al riguardo del mio/nostro futuro provenienti sia dalla fidanzata, sia da parte dei genitori di lei.

La gravidanza, infatti, ha costituito il pretesto per attuare continuamente nei miei confronti una serie di pretese, rimproveri, esigenze di vario genere.

Senza alcun preavviso, mi vidi costretto ad ospitare nella casa di mia madre, la mia fidanzata e la figlia appena nata, sentendomi oppresso da una responsabilità che non volevo assumermi.

Dopo diciotto mesi, trovammo un piccolo appartamento in affitto e la mia fidanzata decise che era opportuno sposarci. Io, pur non essendo di questa opinione, accettai con rassegnazione, anche perché volevo il bene di mia figlia e mi angosciava abbandonarla senza darle una famiglia in cui crescere.

Frequentai, da solo, il corso per fidanzati con un’angoscia sempre più crescente perché le mie perplessità aumentavano così come aumentava il timore di essere costretto, in un certo senso, ad un matrimonio riparatore, ma non trovai la forza morale per non compiere questo passo.

Il matrimonio è stato celebrato il 25.06.1994 nella Chiesa “Conversione di S. Paolo” diocesi di Roma.

Dopo la celebrazione del matrimonio, e l'apparente serenità di quel momento, la vita coniugale si svolse con momenti drammatici che divennero sempre più frequenti.

Da un lato mia moglie, non volendo rassegnarsi all'incombenza delle cure materne, decise di svolgere un’attività lavorativa nelle ore serali, lasciando quindi a me, fino a tarda notte, 1’incombenza di prendermi cura della bimba, mentre le sue assenze da casa si prolungavano sempre di più; dall'altro lato la mia angoscia era sempre maggiore e rifiutavo questa situazione di abbandono morale e materiale, anche perché mi sentivo profondamente inadeguato e incapace.

Dopo l’intervento di consulenti del consultorio a cui mi ero rivolto nel tentativo di salvare la situazione e, quindi, di dare un ambiente sereno a mia figlia, vi fu un relativo periodo di tranquillità. Nacque una seconda figlia, anch’essa concepita senza che mi rendessi conto del contesto non pacifico che vivevo con mia moglie e, quindi, senza ponderare le responsabilità che ciò avrebbe potuto comportare. L'aumento degli impegni familiari, invece di rinforzare l’unione, provocò in mia moglie un desiderio estremo di svago e di divertimento e in me un senso di frustrazione per avvenimenti più grandi di me.

TRIBUNALE ECCLESIASTICO REGIONALE

causa n.m. 1 33.2004

DECRETO DI CONCORDANZA DEL DUBBIO Dl CAUSA

Il sottoscritto Preside nella causa sopra indicata, visti il proprio decreto in data 7 aprile 2004 e la normativa ivi indicata;

considerato che il Difensore del vincolo nulla ha osservato; considerato che parte convenuta non ha manifestato la sua posizione in causa;

decreta 1. La formulazione come segue del dubbio di causa, dato agli aventi diritto il termine di giorni

dieci dalla notifica per eventuali eccezioni: «se consti la nullità del matrimonio per grave discrezione di giudizio da parte dell’uomo»;

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2. Che si dia inizio all’attività istruttoria. Si notifichi agli aventi diritto.

Milano, 29 aprile 2004 Sessione prima

Oggi, 20 maggio 2004, alle ore 9.00, presenti i sottoscritti Giudice e Notaio, si procede all’escussione giudiziale del Signor Rossi Mauro parte attrice, che alle domande del Giudice risponde come segue:

Sono Rossi Mauro

luogo e data di nascita: domicilio:

stato civile: coniugato civilmente divorziato professione: libero professionista

religione: cattolico praticante Riconosciuto con valido documento d’identità.

Giuro di dire la verità. Il Giudice, visti i quesiti predisposti dal patrono dell'attore e l'integrazione proposta

dalla Difesa del Vincolo, dispone di proporne di propri. All’epoca delle mie nozze la mia famiglia di origine era composta dalla mamma e da tre fratelli già usciti di famiglia in quanto coniugati. Il papà non c’era perché defunto quando io avevo tre anni.

Per quanto riguarda l’educazione religiosa ricevuta, devo dire che mi è stata, in qualche modo, imposta nel senso che a partire dalla seconda elementare, per sei anni, sono stato in un grosso istituto gestito da religiosi che, di fatto, era un orfanotrofio. Mia mamma mi aveva mandato in questo istituto perché dopo la morte del papà si era trovata a dover crescere da sola quattro figli. Anche i miei due fratelli sono stati messi in collegio, ma vi hanno trascorso meno anni di me e in un’epoca diversa. Sono uscito dall’istituto dopo la terza media. Pur essendo libero di proseguire gli studi, ho preferito avviarmi subito al lavoro perché sentivo un disagio verso la mia famiglia, nel senso che il vuoto creato dal papà non era stato incolpevolmente colmato dalla mamma. Con il lavoro volevo guadagnare un po’ di soldi così da riuscire, nell’arco di un breve tempo, a costruirmi una mia famiglia che colmasse quel bisogno di famiglia che non avevo trovato in casa. Concretamente ho incominciato a fare il manovale in un’impresa edile. Ho svolto questo lavoro fino al servizio militare quando sono entrato nel corpo dei Paracadutisti. Fu una scelta voluta perché volevo dimostrare a me stesso di essere una persona forte. In realtà mi accorsi ancora una volta di essere una persona insicura, che si lascia trascinare dagli altri e dagli eventi. Dopo il servizio militare sentivo la necessità di costruire qualche cosa di mio come una famiglia perché, di fatto, mi sentivo piuttosto solo.

Non avevo molti amici se non i ragazzi della polisportiva. Ero piuttosto timido e non amavo uscire di casa. Dopo il servizio militare ho lavorato per un magazzino di ortofrutta per un breve periodo, poi sono rimasto sempre nel campo dell'edilizia. Dal 1999 lavoro come libero professionista nel restauro di monumenti.

La famiglia di Katiuscia era composta dai genitori e da un fratello non ancora coniugato. A livello religioso, come me, non era praticante. Per quanto mi riguarda il motivo dell'abbandono della pratica religiosa era legato all’educazione ricevuta, cioè a quella religiosità che mi era stata imposta in collegio. A livello di studi anche Katiuscia aveva soltanto la terza media, poi si era impiegata in un’azienda di elettromeccanica, come operaia. Quando ci siamo sposati faceva la

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casalinga. I rapporti tra Katiuscia e i familiari erano normali, così come i miei, anche se non li sentivo molto.

3. Al di là dei disagi, che ho già descritto, non ho sofferto di particolari disturbi psichici, tanto da ricorrere alla cura di qualche specialista. La stessa cosa devo dire per Katiuscia.

4. Ho conosciuto Katiuscia tramite gli amici della polisportiva nell'ottobre 1991. Dapprima ci incontravamo in compagnia, poi gradualmente abbiamo fatto coppia fissa. Per entrambi era la prima storia sentimentale. Con l’andare del tempo riconoscevo sempre più in Katiuscia la figura della persona che desideravo per me e cioè una donna forte che fosse la mia compagna e la madre dei miei figli.

In questa relazione abbiamo ammesso rapporti intimi. Stavamo attenti a evitare indesiderati concepimenti. Non utilizzavamo contraccettivi artificiali. In uno di questi rapporti è stata concepita Federica. Quando Katiuscia si accorse di essere incinta, io andai un po’ nel pallone nel senso che da una parte c’era in me il desiderio di farmi una famiglia, dall'altra non sapevo come fronteggiare la situazione, dal momento che avevo ventuno anni e Katiuscia solo diciassette. Tra i due la persona più forte fu senza dubbio Katiuscia. Io ero molto smarrito: ascoltavo i consigli di tutti, ma non prendevo una decisione. Dopo la scoperta della gravidanza siamo rimasti ciascuno nella propria famiglia e questo fino a dopo la nascita di Federica. In quel periodo ho subito vessazioni soprattutto da parte dei familiari di Katiuscia che volevano che dessi il mio contributo economico. Faccio presente che Katiuscia, essendo operaia, aveva la maternità pagata, mentre io che lavoravo per mio cognato, senza libri, non avevo un introito sicuro: Voglio precisare che al di là della questione economica, la pressione dei famigliari di Katiuscia mi portava ad avere con lei una relazione che non era più spontanea, ma in qualche modo costretta dalle circostanze e questo diventava per me un peso. Dopo l'agosto 1992 mi trovai improvvisamente a casa Katiuscia con la bambina perché era stata allontanata dai suoi genitori. Mia madre si rese disponibile ad accoglierla, anche se incominciò a farmi capire che si doveva regolarizzare la posizione.

A precisa richiesta del Giudice devo dire che Federica alla nascita venne riconosciuta da entrambi. Io lo feci anche per un senso di protezione nei confronti di mia figlia, perché da subito non le mancasse quello che era mancato a me. Questo atteggiamento di protezione è stato quello che mi ha portato a smorzare le difficoltà di rapporto che nella convivenza incominciavo a notare tra Katiuscia e me. In questo contesto incominciavo a vedere Katiuscia come una persona meno forte, un po’ ripiegata su sé stessa. Da una parte non la vedevo più come la moglie ideale che in precedenza avevo pensato, dall’altra non volevo tirarmi indietro, soprattutto a motivo della presenza di Federica, che suscitava in me un atteggiamento di tutela e protezione.

Voglio ulteriormente precisare. Nel mio desiderio di famiglia era contemplato il tempo giusto per una conoscenza reciproca e per una scelta ponderata ed equilibrata. Mi sono trovato inserito in una serie di eventi come la nascita della figlia, Katiuscia buttata fuori dai suoi, la convivenza nella casa di mia madre che non era il tipo di famiglia da me desiderato.

5. Dopo un anno e mezzo a casa di mia madre, vi fu l’occasione di un appartamento in affitto ad un costo modesto. Con qualche indebitamento riuscimmo a procurare il mobilio e così ci siamo trasferiti nella nuova abitazione. Dopo tre mesi di vita assieme, abbastanza positivi per la novità della cosa, dietro pressione di Katiuscia e di alcune circostanze, come il fatto che Federica stava crescendo, il paese era piccolo e quindi c’erano mormorazioni… Tutto questo mi ha portato ad accettare l’idea di contrarre un matrimonio che regolarizzasse la nostra famiglia sotto tutti gli aspetti. Mi viene in mente un episodio che può aiutare a capire come sono giunto ad accettare la proposta di matrimonio. Quando ci siamo trasferiti nel nuovo appartamento Katiuscia incominciò a dire che non si trovava bene a stare a casa da sola. Era arrivata a far riferimento ad un psicologo, il quale le aveva prescritto dei tranquillanti. Aveva inoltre cercato un’occupazione e l’aveva concretamente trovata in un bar dove lavorava dalle sette e trenta della sera alle undici. Incominciò allora a rincasare sempre più tardi, oltre la mezzanotte e le prime ore del mattino. Di fronte a questo

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comportamento, ad un certo punto, le dissi basta e come risposta ella ingerì tutta la scatola di tranquillanti tanto che dovetti portarla al pronto soccorso. Dopo questo evento e spaventato da questo fatto, decisi che non mi sarei più imposto, ma avrei accondisceso a tutto quanto chiestomi da Katiuscia. Questo mio atteggiamento comportò una tranquillità nel nostro rapporto di coppia nel senso che non vi era più conflittualità. In questo contesto Katiuscia fece la proposta di matrimonio alla quale accondiscesi.

A precisa richiesta del Giudice devo dire che la proposta di matrimonio fatta da Katiuscia faceva riferimento a quello in chiesa perché ella desiderava sposarsi con l’abito bianco. Inoltre, si riteneva più ufficiale il matrimonio in chiesa che quello in comune.

ADR. Propriamente nessuno ci ha consigliato il matrimonio. Implicitamente mia sorella mi ha fatto capire che non era d’accordo con la mia scelta non partecipando alle nozze. Secondo lei la mia decisione non era libera, ma condizionata dalle circostanze.

ADR. Guardando al mio futuro coniugale pensavo che ci sarebbero state delle difficoltà derivanti dal fatto che Katiuscia aveva un atteggiamento impositivo, ma poi lasciava a me l’esecuzione delle cose. Magari con il fil di ferro, ma ritenevo che il nostro matrimonio avrebbe avuto una sua tenuta. Per dire come era l’atteggiamento di Katiuscia, posso riferire la modalità con cui abbiamo partecipato al corso per i fidanzati. La prima volta siamo andati insieme, poi Katiuscia mi ha detto di andarvi da solo perché lei doveva tenere la bambina. Avevo l’impressione di fare delle cose perché dovevano essere fatte, quasi a salvare la facciata, ma io non mi sentivo coinvolto in prima persona. Era un po’ come in collegio dove mi dicevano che cosa dovevo fare, quando dovevo mangiare, giocare e pregare.

6. Con Katiuscia non ho discusso circa il matrimonio che andavamo a contrarre nel senso che con lei non ho riflettuto sul fatto che esso è un vincolo indissolubile, che comporta l’impegno della fedeltà e l’apertura ai figli. Richiestomi di dire con quali intenzioni sono andato al matrimonio, mi sento di rispondere così: facevo una cosa che a quel punto doveva essere fatta, nel senso che nella successione degli eventi, cioè il concepimento e la nascita di Federica, l’espulsione da casa di Katiuscia, la convivenza da mia madre e poi la convivenza in un ambiente nostro, a quel punto vi era il matrimonio. Come ho già detto fin da quando era giovanissimo avevo il desiderio di farmi una mia famiglia, ma non pensavo di doverla fare in quel modo e cioè pieno di dubbi circa la bontà del mio matrimonio e non partecipe di esso.

ADR. Andando al matrimonio non abbiamo affrontato tra noi in maniera esplicita il discorso dei figli se cioè oltre a Federica ne avremmo cercati altri. In queste circostanze, nel corso della vita coniugale, è nata Chiara. Dopo il matrimonio la nostra vita intima aveva conosciuto un calo. Vi fu un momento di crisi tra noi, nel senso che io mi sentivo a disagio in famiglia, tanto da fare fatica a rincasare. Proprio perché c’era Federica, non volevo chiudere con il mio matrimonio. In quel periodo tra noi non vi erano più intimità: Io chiesi aiuto al consultorio cattolico di Bergamo “il Conventino”. Lì fummo aiutati dal professore M. che riuscì a mediare la nostra situazione. Andammo da lui diverse volte. Ad un certo punto Katiuscia disse basta e fu basta, anche se io avevo il desiderio di proseguire nei colloqui con il professor M. In quel periodo la situazione tra noi migliorò. C’era il desiderio di avere un altro figlio, anche se concretamente non l’avevamo programmato. In un rapporto completo in un periodo che pensavamo infecondo, venne concepita Chiara che nacque il 15 febbraio 1996.

7. Ho già accennato al fatto che facemmo il corso di preparazione al matrimonio. Lo facemmo nella nostra parrocchia di S. Paolo. Il giudice mi illustra il cosiddetto consenso: ricordo di aver fatto qualche cosa del genere con il parroco, don Antonio. Preciso che egli non ci sentì separatamente, ma insieme. A domanda del Giudice devo dire che ho vissuto tutto questo come un pro-forma nel senso che nella situazione creatasi, dovevamo fare il matrimonio anche se io non mi sentivo coinvolto in esso. Comunque don Antonio non sconsigliò le nostre nozze. Qualora il Giudice intenda convocarlo non solleva difficoltà.

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Non ho nulla di particolare da riferire se non che abbiamo firmato i documenti prima della celebrazione delle nozze perché quel giorno in parrocchia vi erano tre matrimoni ed il registro doveva essere riportato nella chiesa parrocchiale.

8. La vita coniugale è durata fino al settembre 1997, quando di ritorno dalle ferie Katiuscia ha preso le figlie ed è tornata da sua madre. La decisione di separazione fu di entrambi anche se io ho vissuto quel momento con l’insicurezza e l’incertezza che aveva contrassegnato la mia decisione di matrimonio nel senso che da una parte vedevo l’opportunità della separazione, dall’altra mi spaventava il futuro, soprattutto in riferimento alle figlie. Inoltre mi accorgevo che si sfaldava quella famiglia, o meglio quel sogno e desiderio, cui avevo in qualche modo tenuto.

9. Non ritengo che qualcuno di noi due sia venuto meno in maniera grave ai doveri coniugali. La nostra vita di coppia era squilibrata nel senso che chi gestiva la famiglia era Katiuscia, mentre io ero costretto ad andare a ruota.

10. Ho già detto come è stata concepita e generata la seconda figlia. Nel corso della nostra vita coniugale non abbiamo mai utilizzato contraccettivi artificiali. Per evitare indesiderate gravidanze interrompevo io il rapporto. Le nostre figlie sono state ben accolte e ben volute. Non ritengo che qualcuno di noi due sia venuto meno al dovere di essere un buon genitore. Voglio aggiungere spontaneamente che quando nacque la seconda figlia si ruppe la macchina di Katiuscia, insorsero problemi tra noi due e di carattere economico. In quel contesto io cedetti alla richiesta di Katiuscia di comprare una macchina del valore di sessanta milioni che allora non potevamo permetterci. Ho riferito questo per dire come facevo le scelte. Vedevo che una cosa non si doveva fare e alla fine mi trovavo ad averla fatta, rispondendo alla richiesta di un altro.

11. Dopo la fine del nostro matrimonio Katiuscia si è rifatta una famiglia nel senso che vive con un compagno. Anch’io ho conosciuto una ragazza, Silvia con la quale convivo e che mi ha aiutato a riavvicinarmi alla Fede e alla pratica religiosa. Infatti, adesso ho un confessore con cui mi confido, don Tarcisio, parroco di S. Alessandro della Croce. Ho partecipato al pellegrinaggio del Giubileo a Roma. Ho raccontato la mia vicenda personale e coniugale al Vescovo di Parma, mons. B., che è stato assistente scout, il movimento cattolico in cui è inserito il papà di Silvia. Egli mi ha incoraggiato circa l’introduzione di una causa di nullità di matrimonio.

Non ho altro. Letto, confermato e sottoscritto

Sessione terza

Causa n.m. Rossi – Bianchi Oggi, 8 settembre 2004, alle ore 9.00, presenti i sottoscritti Giudice e Notaio, si procede

all’escussione giudiziale della Signora Vanda F …, teste di parte attrice, che alle domande del giudice risponde come segue.

1. Sono Vanda F. … luogo e data di nascita:

domicilio: stato civile:

professione: religione:

Riconosciuta con valido documento d’identità. Giuro di dire la verità.

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Si seguono i quesiti predisposti dal Preside Istruttore All’interrogatorio è presente l’avvocato … patrono di parte attrice.

2. Sono la mamma di Mauro che è l’ultimo dei miei quattro figli. Katiuscia la conoscevo prima che si mettesse con Mauro perché facevo la bidella nella scuola media che lei aveva frequentato. Dopo essere diventato orfano di padre all’età di tre anni, per esigenze economiche e lavorative, ho dovuto mettere Mauro come gli altri figli in collegio. Mauro dalla seconda elementare alla terza media è stato in collegio ed ha vissuto questo periodo sentendo molto forte il distacco da me. Quando è rientrato in paese non aveva amici e per non lasciarmi sola, stava in casa con me. Soltanto dopo il militare ha cominciato a farsi delle amicizie. Nel gruppo vi era anche Katiuscia ed egli si è innamorato di lei, tanto da parlarne più che positivamente.

ADR. All’epoca della relazione di Mauro con Katiuscia egli certamente frequentava la Chiesa. Fu proprio nell’ambiente dell’oratorio che incominciò a farsi degli amici. Non ricordo se anche Katiuscia frequentasse la Chiesa. Certamente era una brava ragazza e Mauro era felice di essersi messo con lei.

ADR. Mauro all’epoca del fidanzamento lavorava come operaio in un’azienda ortofrutticola. Prima di rimanere incinta Katiuscia lavorava come operaia.

ADR. Per quello che so io, sia Mauro che Katiuscia avevano dei buoni rapporti nelle rispettive famiglie.

3. Ho già detto che Mauro ha conosciuto Katiuscia dopo il servizio militare. Praticamente entrambi erano alla loro prima relazione sentimentale.

Vedendo come Mauro era attaccato a Katiuscia, ritenevo la loro relazione una cosa seria. Entrambi allora frequentavano le rispettive famiglie.

Prima del concepimento di Federica, non ho mai sentito i due parlare di una prospettiva matrimoniale. Dopo la gravidanza di Katiuscia posso dire che mio figlio era molto contento perché vedeva la possibilità di farsi una famiglia. Quella che ha incominciato a parlare più espressamente di questo è stata Katiuscia. Subito dopo l’inizio della gravidanza i due non hanno parlato di matrimonio. Qualche mese dopo la nascita di Federica Mauro mi ha detto che Katiuscia si trasferiva da noi anche perché, essendosi sposato l’altro mio figlio, vi era più spazio per loro. Sono rimasti a casa mia per diciotto mesi, poi Katiuscia ha incominciato a spingere per trovarsi una sistemazione autonoma e quando hanno trovato una portineria in paese si sono trasferiti nella nuova abitazione. A partire da quel momento Katiuscia ha proposto il matrimonio. Voglio aggiungere spontaneamente che la persona che prendeva iniziativa era sempre Katiuscia, era sempre lei che parlava e Mauro le andava dietro.

ADR. Non so se qualcuno dei familiari di Katiuscia abbia fatto pressioni per il matrimonio. A me risulta che fosse lei desiderosa di sposarsi e Mauro ha acconsentito perché temeva di perdere la figlia, cioè di non poterla eventualmente più vedere, se non avesse accettato di sposarsi.

4. Già risposto alla prima parte delle domande. Nel periodo in cui hanno abitato a casa mia, i due andavano d’accordo anche perché mio

figlio, come ho già detto, era sempre accondiscendente nei confronti di Katiuscia. ADR. Quando ho saputo che si sarebbero sposati, non avevo timore per la loro unione perché

a me sembrava che andassero d’accordo. ADR2. Non mi risulta che qualcuno abbia sconsigliato il matrimonio. Non mi risulta neppure

che il parroco abbia fatto difficoltà. Faccio presente che i due si sono rivolti autonomamente al parroco per le loro nozze.

5. Ritengo che Mauro sia andato al matrimonio con le migliori intenzioni perché, come ho già detto, era desideroso di farsi una famiglia. Qualche volta se osavo fargli osservare qualche limite in

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Katiuscia, subito prendeva le sue difese. Egli si è sposato perché lo voleva Katiuscia e perché non voleva perderla. Non ho sentito comunque dei discorsi di Mauro che potessero manifestare contrarietà a qualcuno degli impegni del matrimonio.

6. Non ho nulla di particolare da riferire circa la celebrazione del matrimonio e la festa nuziale.

7. La vita coniugale è durata circa tre anni.

La separazione è stata voluta ed attuata da Katiuscia. Non so che cosa alla fine sia successo. So che ad un certo punto, dopo la nascita della seconda figlia, che non so se sia stata cercata o meno, Katiuscia ha incominciato a mostrare insofferenza verso Mauro e la vita familiare. Infatti spesso lasciava il marito da solo con le bambine ed usciva fino a tarda ora. È stato a quel punto che Mauro ha incominciato a “risvegliarsi” e a capire che cosa stava succedendo.

ADR. Sono certa che Mauro è stato fedele alla moglie nel corso della vita coniugale. Ho avuto dei sospetti di infedeltà di Katiuscia per alcune voci che giravano e questo soprattutto dopo la nascita della seconda figlia. Qualche volta mi sono trovata a dire a Mauro se fosse sicuro che la figlia fosse sua. Egli, che non amava le mie critiche, non ha mai accettato i miei sospetti e mi ha sempre detto di credere che anche la seconda figlia fosse sua.

ADR. Mauro è stato un bravo papà: è stato soprattutto lui che curava le figlie. 8. Non so se per superare le difficoltà coniugali si sono rivolti a qualcuno. Voglio aggiungere

che fino al cambiamento di Katiuscia i due andavano d’accordo, anche perché Mauro non si è mai ribellato nei confronti della moglie.

ADR. Mio figlio è sempre stato un tipo un po’ chiuso. Non mi risulta che abbia mai sofferto a livello psichico. Ha avuto invece dei contraccolpi sulla salute la sua separazione che Mauro ha vissuto male, soprattutto per il fatto che gli sono state un po’ sottratte le figlie.

ADR2. Dopo la separazione Katiuscia si è messa con un altro uomo sul quale non girano buone voci. Mauro è fidanzato con una brava ragazza.

Non ho altro.

Letto, confermato e sottoscritto.

Sessione sesta Oggi, 10 settembre 2004, alle ore 9.00, presenti i sottoscritti Giudice e Notaio, si procede

all’escussione giudiziale della Signora Piera, teste di parte attrice, che alle domande del Giudice risponde come segue.

1. Sono Piera luogo e data di nascita:

domicilio: stato civile:

professione: religione:

Riconosciuta con valido documento d’identità. Giuro di dire la verità.

Alla deposizione è presente il patrono di parte attrice, Si seguono i quesiti predisposti dal Preside istruttore.

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2. Conosco entrambe le parti in causa. La conoscenza di Mauro risale alla nostra infanzia dal momento che le rispettive famiglie si conoscevano e si frequentavano. Ricordo allora che quando uscivamo insieme Mauro appariva un bambino solitario. Con l’andare del tempo ho perso un po’ i contatti con lui che ho ripreso alla fine degli anni ottanta quando, prima Katiuscia e poi Mauro, sono venuti a lavorare nell’azienda metalmeccanica dove già io lavoravo come operaia. Da allora abbiamo ripreso a frequentarci e ad uscire insieme.

ADR. Da alcuni comportamenti deduco che Katiuscia non si trovasse molto bene in famiglia. Infatti, spingeva per andare a vivere con Mauro. Quest’ultimo non era molto convinto ma una serie di circostanze, come la gravidanza e la nascita della figlia favorirono dapprima la convivenza presso la mamma di Mauro e poi il matrimonio dopo che trovarono una abitazione indipendente. Devo dire che Mauro era un po’ succube di Katiuscia: faceva tutto per assecondarla e non perderla, anche quando personalmente non era convinto di alcune scelte.

Senz’altro all’inizio della loro relazione i due si volevano bene. La nota negativa era che Katiuscia “girava” Mauro come voleva lei.

ADR. Penso che il concepimento di Federica sia stato casuale. Non so dire come venne accettata la gravidanza. Posso invece riferire che Mauro era desideroso di avere una persona accanto e di diventare papà. A Mauro sono sempre piaciuti i bambini. Non era sulla stessa posizione Katiuscia.

ADR2. Che io sappia, dopo la nascita della bambina, chi maggiormente premeva per il matrimonio era Katiuscia. Come ho già accennato, Mauro non era convinto, ma dietro l’insistenza di lei alla fine ha detto di si.

4. Per quanto io ricordi, di ritorno da una vacanza, dopo che era già nata la bambina, i genitori di Katiuscia non la vollero più in casa. Anche la mamma di Mauro non era convinta di accoglierli, ma per amore del figlio e della nipotina, alla fine, li ha accettati. Lì sono rimasti per circa un anno e mezzo.

Richiestomi se in quel periodo i due andassero d’accordo, rispondo che i problemi li hanno sempre avuti per il carattere di lei. Katiuscia era una ragazza tosta, la quale decideva di testa sua e se una cosa doveva essere in un certo modo, non c’era nulla che la facesse cambiare.

ADR. Non saprei dire se qualcuno abbia sconsigliato il loro matrimonio. 5. Per come li conoscevo devo dire che erano consapevoli di ciò che il matrimonio comporta e

lo accettavano. Non penso che allora immaginassero come sarebbe andato a finire il loro matrimonio.

6. Ho partecipato al matrimonio in qualità di testimone di nozze. Quel giorno è andato tutto bene, anche se Mauro non era convinto al cento per cento.

7. La vita coniugale è durata circa tre anni. La separazione è stata voluta da entrambi. Quello che alla fine ha ceduto è stato Mauro perché non ce la faceva più. Erano insorti seri problemi nel loro matrimonio. A titolo di esempio posso riferire che Mauro tornava a casa dal lavoro stanco, la moglie gli lasciava la figlia e usciva per il suo lavoro in un bar, anche se sapeva che questo non era gradito al marito.

ADR. Non so dire se negli anni della vita coniugale qualcuno dei due sia venuto meno alla fedeltà.

ADR2. Corrisponde al vero che nel matrimonio è nata un’altra figlia. Essa è stata in qualche modo voluta al termine di un periodo di crisi coniugale. Nel periodo della gravidanza sembrava che Katiuscia si stesse rimettendo in carreggiata, ma dopo qualche mese dalla nascita della bambina ella ha voluto riprendere la vita di prima, cioè il suo lavoro al bar perché diceva che era ancora giovane e aveva bisogno di divertirsi.

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ADR3. Come ho già detto, Mauro è sempre stato desideroso di farsi una famiglia e di avere dei figli e proprio per questo motivo è sempre stato molto presente e molto attento alle sue figlie. Non posso dire che Katiuscia non sia stata una brava mamma, certamente non era attaccata alle figlie come lo era Mauro.

8. Non ricordo con precisione, ma so che Mauro si è rivolto a qualcuno o ha fatto qualche cosa per vedere di salvare il matrimonio. Katiuscia a questo non era interessata.

ADR. Dopo la separazione Katiuscia si è “risistemata” abbastanza alla svelta, nel senso di essersi rifatta un nucleo familiare. Mauro invece ha molto sofferto per non essere riuscito a rimettere insieme il suo matrimonio. Tempo dopo la separazione anch’egli si è rifatto una famiglia.

ADR. Non mi risulta che Mauro abbia sofferto di disturbi psichici veri e propri con necessità di cure. Devo però dire che ha sofferto sul piano psicologico per il fatto di essere diventato orfano di padre quando era molto piccolo e per esigenze familiari, di aver dovuto trascorrere diversi anni in collegio. Questo ovviamente l’ha un po’ segnato.

Non ho altro.

Letto, confermato e sottoscritto.

Sessione ottava Oggi, 10 settembre 2004, alle ore 11.00, presenti i sottoscritti Giudice e Notaio, si procede

all’escussione giudiziale del prof. Natalino, teste d’ufficio che alle domande del Giudice risponde come segue.

Sono Natalino. Luogo e data di nascita:

domicilio: stato civile:

professione: Bergamo

Religione: Noto al Tribunale.

Alle deposizione è presente il Patrono di parte attrice, Giuro di dire la verità.

ADR. Conosco entrambe le parti in causa in quanto si sono rivolti al consultorio cattolico di Bergamo il 25 gennaio 1995, come evinco dalla mia scheda. Voglio aggiungere che si sono rivolti a me avendomi conosciuto durante il corso per fidanzati. Quando si sono rivolti a me, i loro problemi di coppia consistevano nel fatto che bisticciavano spesso. Katiuscia si mostrava “ragazzina” (non aveva ancora ventun’anni), pretenziosa ed aggressiva nei confronti del marito, il quale non era da meno nei confronti della donna, anche se tentava di ostentare una tolleranza che non riusciva a mantenere, A precisa richiesta devo dire che, quando parlo di aggressività non intendo forme di violenza, ma ad esempio eccessi verbali.

A Mauro dissi che non poteva irridere o fare ironia sulla moglie quando si trovava di fronte una donna che si sottovaluta.

Mauro era molto esigente sul piano sessuale nei confronti della moglie ed ella non sempre gli corrispondeva.

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ADR2. Io ho avuto con loro in totale sei incontri: alcuni insieme altri separatamente. A mio giudizio necessitavano ancora di essere seguiti, poiché quando nel maggio 1995

hanno smesso di venire da me, non avevano risolto i loro problemi, anche perché la donna stava facendo precipitare la situazione con il suo comportamento negativo nei confronti della vita coniugale. Infatti ella usciva di sera, ritornando, specie venerdì, sabato e domenica, alle prime ore dell’alba.

ADR3. Sapevo che i due avevano una bambina, nata prima del loro matrimonio quando Katiuscia era poco più che diciassettenne. So che non è stata una gravidanza cercata, ma non so dire che rilievo abbia avuto sulla decisione di matrimonio.

Ricordo che Katiuscia era stata buttata fuori di casa dopo la nascita della figlia ed era stata accolta dalla futura suocera presso la quale ha vissuto più di un anno. In seguito i due sono andati a vivere insieme da un’altra parte e hanno deciso per il matrimonio.

Quando sono venuti al corso per i fidanzati già convivevano. Al corso per i fidanzati i due non mi denunciarono problemi nel loro rapporto. Faccio

osservare che il corso da loro frequentato era a ridosso del loro matrimonio perché quando li ho rivisti al consultorio non era trascorso molto tempo da quando li avevo conosciuti. Nel corso dei colloqui mi raccontavano quanto ricordavano del corso per fidanzati.

Non mi risulta che i due avessero qualche problema psichico. Ricordo che Mauro diceva a Katiuscia che doveva ancora crescere e, stando ai comportamenti di lei, penso che avesse una qualche ragione. A titolo esemplificativo Katiuscia mi riferiva che Mauro le rinfacciava che lei mettesse l’affetto per il cane prima di quello per il marito. Ella replicava che non era vero, ma che metteva la figlia prima di lui.

ADR4. Non sapevo che in questo matrimonio fosse nata un’altra figlia il 15 febbraio 1996. Io li ho incontrati per l’ultima volta nel maggio del 1995, dopo che non si erano fatti vedere ai precedenti appuntamenti. Ricordo che in quell’occasione Katiuscia era intenzionata a mandare a monte il matrimonio. Io li ho invitati ad essere più cauti in questo, facendo osservare che avevano bisogno di un maggior dialogo e di comunicazione. Facevo leva sul fatto che, dopo le loro beghe, i due avevano intimità. Facevo presente che questo era il loro modo per manifestare il bisogno di comunicare. Soltanto non era sufficiente. Voglio ancora aggiungere che la loro vita di coppia fu disturbata dall’intrusione delle rispettive famiglie.

Riguardando i miei appunti noto che nel mese di febbraio, quando ho incontrato i due insieme per la seconda volta, essi mi riferivano di un certo miglioramento. Mauro evidenziava che riusciva ad avere intimità con la moglie almeno una volta alla settimana. Katiuscia non sapeva spiegarsi perché non avesse maggiore desiderio di lui. Nell’incontro precedente del 4 febbraio, parlando della loro intimità, Mauro riconosceva di non essere molto attento a gesti affettuosi nei confronti della moglie che non fossero soltanto il rapporto intimo. Sulla stessa linea si esprimeva Katiuscia la quale desiderava una maggior compagnia e tenerezza da parte di Mauro. In un incontro con loro Mauro lamentava anche una certa invadenza di “Marco” il quale lanciava delle frecciatine alla moglie da lei ricambiato. Non so dire chi sia questo Marco, o almeno adesso non ricordo.

La volta che ho incontrato solo Katiuscia, il 27 gennaio, ella mi riferiva che i due avevano una visione un po’ diversa dell’amore coniugale nel senso che Mauro tendeva a farlo coincidere con il solo rapporto intimo, mentre per Katiuscia esso era qualche cosa di più. In quell’occasione mi disse di un suo desiderio di avere un altro figlio. Mauro non era contrario, ma non voleva in quel momento.

ADR5. Non so del fatto che i due si fossero separati. E comunque anche dopo la separazione nessuno dei due si è rivolto a me.

A richiesta dell’avvocato rispondo:

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Non sapevo che Mauro fosse orfano di padre. Nella mia scheda non l’ho annotato. Questa è stata una mia mancanza. Comunque dai colloqui con lui non è emerso questo dato né come ricordo, né come problema.

Letto il verbale, voglio ancora riferire due cose che ho annotato nei miei appunti, presi allora. Quando Katiuscia fu allontanata dai suoi, ella mi disse di essere stata accolta dalla mamma di Mauro e in quell’anno e mezzo vissuto in casa Rossi disse di aver trovato una vera famiglia. Parlando della decisione di matrimonio celebrato nel giugno del 1994, Katiuscia mi disse “il matrimonio quest’anno a giugno per nostra scelta convinta”. A precisa richiesta del Giudice devo dire che Mauro non mi ha parlato della loro scelta di sposarsi, o comunque io non mi sono al riguardo appuntato nulla.

Non ho altro. Letto, confermato e sottoscritto.

Sessione nona

Causa n.m. Rossi – Bianchi Oggi, 22 settembre 2004, alle ore 10.30, presenti i sottoscritti Giudice e Notaio, si procede

all’escussione giudiziale di don Antonio, teste d’ufficio, che alle domande del Giudice risponde come segue.

Sono Don Antonio Luogo e data di nascita:

Riconosciuto con valido documento d’identità. Giuro di dire la verità.

ADR1. Prima del matrimonio conoscevo le parti soltanto di vista, nel senso che non erano assidui frequentatori della parrocchia. Sapevo che avevano avuto una figlia fuori dal matrimonio. Non ricordo se in occasione del battesimo della bambina abbia rivolto loro l’invito a regolarizzare la loro situazione familiare. Ricordo che hanno fatto riferimento a me per il matrimonio e nella preparazione ad esso mi sono sembrati abbastanza impegnati. Ho proceduto a fare l’esame dei fidanzati sentendoli separatamente. In tale occasione non sono emersi elementi sufficienti per impedire il matrimonio. Avevo forti perplessità, legate al fatto che soprattutto Katiuscia era molto giovane. Ricordo di averla invitata a ponderare bene la decisione di matrimonio.

C’era poi il fatto che per le nozze avevano un loro prete, missionario, e per questo motivo non ho potuto seguire la preparazione immediata del matrimonio, nel senso della preparazione della celebrazione liturgica e del rito delle nozze.

Dopo il matrimonio ho avuto modo di vederli all’asilo di cui ero il preside. Allora mi sembravano impegnati e questo fu per me motivo di soddisfazione.

In seguito ho perso i contatti tanto da non aver saputo della loro separazione. Soltanto lo scorso anno si è presenta da me Katiuscia con le due figlie e mi ha riferito che si era da tempo separata. Allora non ho potuto fare altro che darle qualche consiglio per l’educazione delle bambine. In quella circostanza non mi disse di essersi rifatta un’altra famiglia o di convivere con qualcuno. È mia convinzione che sia stata inviata da me per avere qualche buona indicazione dalla mamma o dalla nonna materna che conosco bene perché frequenta assiduamente la chiesa. So che queste due donne erano entrambe preoccupate per Katiuscia.

ADR2. Conosco soltanto di vista la famiglia di Mauro. Questo sta a significare che non sono assidui frequentatori della chiesa. Non sono in grado di pronunciarmi sulla loro attendibilità.

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Mi viene chiesto se conosco Marco, indicato come teste, lo conosco e conosco soprattutto la sua famiglia che è una buona famiglia. So che il suo matrimonio è in crisi per il comportamento leggero della moglie. Conosco Marco come una persona sincera e quello che dice normalmente corrisponde a verità.

ADR3. Corrisponde al vero che Katiuscia, dopo aver ricevuto la citazione del Tribunale, si è presentata a me portandomi tutto il materiale ricevuto. Io ho letto quello che mi ha dato, ma ho cercato di fare capire che era lei che doveva interessarsi di questo procedimento. Il fatto stesso che non avesse capito bene di che cosa si trattasse, mi ha convinto ulteriormente sul fatto che è una ragazza immatura.

ADR4. Non so esprimermi sulla credibilità di Katiuscia, anche se devo dire che quando ha parlato con me è stata piuttosto schietta in riferimento al precedente matrimonio. Ciò che mi ha meravigliato è che non era cosciente di ciò che aveva fato, ad esempio separandosi dal marito.

Voglio aggiungere spontaneamente che già prima del matrimonio la nonna di Katiuscia mi parlava con preoccupazione della nipote perché non riusciva a tenerla. Ricordo che io replicavo chiedendole dove fosse la mamma. Ho avuto l’impressione che Katiuscia si trovasse meglio nella famiglia dei nonni.

ADR. Quando li ho preparati al matrimonio sono certo che non avevano alle spalle pressioni perché si spossassero: le nozze erano una loro scelta esclusiva.

Non ho altro. Letto, confermato e sottoscritto.

Sessione X

Oggi, 4 ottobre 2004, alle ore 9.15, nella sede della Curia Vescovile di Bergamo sono presenti i sottoscritti Giudice e Notaio: si procede all’escussione giudiziale della sig.a Katiuscia Bianchi, parte convenuta, alle domande del Giudice risponde come segue.

Sono Katiuscia Bianchi

Luogo e data di nascita: Residenza:

Stato civile Professione:

Religione: Riconosciuta con valido documento d’identità.

Giuro di dire la verità Si seguono i quesiti predisposti dal Preside Istruttore.

1. Quando ci siamo coniugati eravamo usciti di famiglia: Avevo allora due genitori, nella casa d’origine, ed un fratello maggiore di me di due anni che era ancora in famiglia. Ho ricevuto una buona educazione religiosa. Per quanto riguarda la pratica vado in chiesa quando me la sento. Come titolo di studio ho la licenza media. Mi sono subito avviata al lavoro che ho conservato in maniera regolare fino alla nascita delle bambine. Devo dire che comunque ho sempre impiegato il mio tempo in lavori saltuari. Da poco sono in prova come commessa.

2. Mauro prima che andassimo a convivere in un’abitazione indipendente viveva con la mamma. Aveva tre fratelli già usciti di famiglia, ma molto presenti e condizionanti. A livello religioso Mauro non è mai andato a messa, almeno non è mai venuto con me, neppure nelle

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maggiori festività. Anch’egli come studi ha soltanto la licenza media inferiore. Lavorava poi come muratore. Non so attualmente cosa faccia anche perché, per evitare di dare gli alimenti alle figlie, non dichiara il lavoro sostenuto.

A richiesta: non so dire quali fossero i rapporti di Mauro con i suoi familiari perché egli è stato in collegio nella fanciullezza, poi al lavoro e poi si è messo con me. Ho avuto l’impressione che non vi fosse in casa sua una vera e propria famiglia. Con i miei genitori invece i miei rapporti sono stati buoni fino a quando sono rimasta incinta e hanno saputo che volevo mettermi con Mauro. Mio padre non era d’accordo con questa mia scelta. I rapporti con i miei familiari, per questo motivo sono stati altalenanti fino a quando mi hanno cacciato di casa quando Federica aveva 6-7 mesi.

3. Non mi risulta che Mauro abbia sofferto di veri e propri disagi psicologici prima del matrimonio. Mi portava a vedere i luoghi in cui era cresciuto, vale a dire dai frati di M. Mi aveva fatto conoscere le famiglie che egli incontrava quando queste venivano a trovare i loro figli in collegio. Si lamentava del fatto che la mamma non andava mai a trovarlo. Ella quando riusciva, andava una volta al mese.

A richiesta: prima del matrimonio Mauro aveva degli amici e una vita sociale. Infatti ci siamo conosciuti proprio perché egli non stava in casa. Prima di mettersi con me aveva avuto una ragazza la quale ci tempestava di telefonate quando ci siamo messi insieme.

4. Ci siamo conosciuti in una compagnia. Ci siamo propriamente messi insieme quando sono rimasta incinta di Federica il 15 aprile 1991.

A richiesta: la gravidanza non fu casuale. Entrambi, forse in maniera un po’ incosciente e pensando allora di volerci bene, volevamo farci una nostra famiglia per uscire da quella d’origine. Dopo essere rimasta incinta, io ho aspettato più di tre mesi a comunicarlo in famiglia perché d’accordo con Mauro volevamo tenere la bambina. Dal momento che all’inizio della gravidanza ebbi dei disturbi che non furono subito diagnosticati dovetti subire delle cure che avrebbero potuto influire sul feto. Per questo motivo la sorella di Mauro mi consigliò l’aborto, cosa che entrambi rifiutammo. Proprio per questo Mauro litigò con la sorella. Sono contenta della scelta che allora abbiamo fatto perché Federica non ha avuto problemi.

A richiesta 2: quando comunicai la gravidanza, visto che ero ancora minorenne, mio padre ritenne opportuno che si incontrassero le due famiglie per decidere il da farsi. Quando ci recammo presso mia suocera, trovammo lei con tutti i figli con i rispettivi coniugi i quali assunsero un tono accusatorio nei miei confronti e nei confronti della mia famiglia perché non ero stata capace di evitare la gravidanza. Mio padre fece osservare che certe cose si fanno in due e quindi c’era anche la responsabilità di Mauro. Da quel momento si interruppero i rapporti fra le due famiglie. Proprio perché desiderosa e convinta di potermi fare una mia famiglia con Mauro litigai con i miei ed interruppi i rapporti con loro proprio quando avevo bisogno del sostegno almeno di mia madre.

5. Quando nell’agosto-settembre 1992 ho rotto con i miei sono stata ospitata nella casa dei Rossi. Fin da subito avevo espresso a Mauro il desiderio che ci trovassimo una sistemazione autonoma perché mi sembrava giusta una nostra indipendenza. Devo dire che non mi sono sentita accolta da sua madre e poi vi era l’ingerenza di lei e degli altri familiari nella nostra vita di coppia. A titolo di esempio, c’erano lamentele da parte della mamma di mauro la quale aveva da ridire circa il fare la doccia tutti i giorni o l’usare la lavatrice. In meno di un anno dalla permanenza in casa Rossi abbiamo trovato una casa come custodi che ci comportava poche spese, sia d’affitto che di riscaldamento. Lì ci siamo trasferiti nel 1993. In quel periodo noi andavamo d’accordo. La decisione di matrimonio maturò tra noi quando conseguimmo la nostra indipendenza. La proposta venne da Mauro. Io volevo aspettare un poco, alla fine mi convinsi della sua bontà anche perché dava una legalità alla nostra famiglia e questo poteva essere un bene per la nostra figlia. Ci furono delle interferenze pesanti della famiglia Rossi che non vedeva e non voleva il nostro matrimonio non tanto in sé ma perché temevano che con le nozze io potessi intervenire nel loro asse ereditario e

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portar via loro chissà che cosa. Poiché la proposta di matrimonio e il desiderio di farsi una famiglia proveniva soprattutto da Mauro, i suoi fratelli intervennero su di me cercando di tenere nascosta a lui la cosa. Volevano convincermi e proseguire nella convivenza. Nel caso di matrimonio mi invitavano a scegliere la separazione dei beni adducendo come motivo una mia tutela, mentre volevano tutelarsi loro che erano proprietari di una casa.

A richiesta: presa la decisione di matrimonio ne abbiamo parlato con il nostro Parroco don Antonio il quale mi sembrò contento della scelta che avevamo fatto. Ci ha invitato a riflettere bene su quanto intendevamo fare. Riconobbe la bontà del fatto che avendo una bambina battezzata, con il matrimonio le assicuravamo una famiglia cristiana. Abbiamo fatto il corso per i fidanzati che ha seguito più Mauro di me perché a casa con la bambina. Ricordo di aver fatto con don Antonio il consenso. In quell’occasione comunicai a don Antonio qualche mia paura, ma egli mi aiutò a comprendere la bontà di quella scelta. A quel punto siamo giunti entrambi ad accettare il matrimonio come un vincolo che dura per sempre, che comporta l’impegno della fedeltà e la disponibilità ad avere figli, tanto è vero che abbiamo messo al mondo, nel 1996, Chiara.

6. Prima del matrimonio abbiamo discusso tra noi di ciò che esso comporta. Come ho già detto la persona che spingeva di più in tal senso era Mauro. Io avevo qualche perplessità a motivo della giovane età. Ritenevo il matrimonio un impegno serio e definitivo. Per questo motivo volevo aspettare: intuivo che non era un matrimonio da celebrarsi allora.

7. Ho già detto della preparazione al matrimonio. Il giorno del matrimonio è stato turbato dall’assenza dei miei familiari che io non avevo invitato per fare un piacere ai Rossi. Ad esclusione dei miei genitori partecipavano altri miei parenti seppur con un certo disagio. Il matrimonio non fu celebrato da don Antonio perché quel giorno era impegnato altrove, ma da un prete venuto da fuori che noi non conoscevamo. Ricordo che questo sacerdote nell’omelia sottolineò il valore della fedeltà e del fatto di non aver vergogna di mostrare l’anello nuziale che indica la condizione di coniugati. È stato bello anche perché fu coinvolta anche Federica.

8. La vita coniugale è durata fino al 1998. Essa però era già fortemente in crisi nel 1996. Nonostante questo e forse con la volontà di formarci ancora una volta una vera famiglia, abbiamo messo al mondo Chiara. Probabilmente un elemento della nostra crisi fu la relazione allora insorta tra Mauro e più donne. Affermo questo perché Mauro ha avuto modo di lavorare già dal 1996 con la donna con cui ora convive. Infatti mia figlia Federica si ricorda di aver visto, nella casa in cui ora vive Mauro, il papà con una donna che allora venne definita collega di lavoro. Nel 1997 io avevo già attuato la separazione di fatto trasferendomi con le bambine dai miei perché era intollerabile la convivenza con Mauro dal momento che tra noi vi erano litigi e scontri. In occasione di un mio tentativo di rientro nella casa coniugale venni affrontata da Mauro che, con il calcio di una pistola, mi procurò una lesione sulla testa. Egli non voleva che entrassi in casa perché con lui c’era una ragazza allora minorenne, Emanuela. Questo fatto è emerso durante il processo intentato da Mauro nei miei confronti per calunnia che alla fine si è ritorto contro di lui, dal momento che è risultata provata la sua violenza e la minorenne in casa.

A richiesta: come già accennato, la decisione della separazione e l’attuazione di essa fu opera mia.

A richiesta 2: per superare la crisi del nostro matrimonio facemmo riferimento al dottor M. del Consultorio. Questo avvenne nel 1995. Alla luce degli incontri avuti ci siamo convinti che potevamo superare le nostre difficoltà e così siamo arrivati alla decisione di avere la seconda figlia. Purtroppo, in seguito, le cose tra noi non andarono, tanto da dover giungere alla separazione definitiva. A precisa richiesta del Giudice devo dire che io ho cominciato ad attuare una separazione, se non definitiva, quando mia figlia Chiara aveva 8 mesi e questo perché talvolta Mauro alzava su di me le mani. Io facevo lo stesso su di lui, magari rompendo oggetti di sua proprietà.

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9. Fino a quando non è degenerata la nostra convivenza, entrambi abbiamo osservato abbastanza i doveri coniugali. Di sospette infedeltà di Mauro prima del 1996, non ho avuto conoscenza. La vita coniugale più che da noi è stata disturbata dall’intromissione della famiglia Rossi.

10. Fin quando siamo vissuti insieme Mauro non ha mancato ai doveri della paternità, nel senso di non aver voluto bene alle figlie. È stato però un padre un po’ assente, delegando troppo a me la cura e l’educazione delle bambine. Dopo la separazione non sono stati molto positivi i rapporti tra Mauro e le sue figlie. Di questo vi è un riflesso nella sentenza di divorzio. Infatti egli non può prelevare le figlie contro la loro volontà. Questo è stato voluto soprattutto da mia figlia Federica.

11. Attualmente io convivo on un altro uomo, Giorgio C., che si preoccupa delle mie figlie. Da lui non ho avuto alcun figlio. Mauro convive con Silvia B. con la quale ha contratto matrimonio civile e dalla quale ha avuto una figlia, Beatrice, nata se non erro nel febbraio di due anni fa. So che, attraverso questa donna, Mauro si è riavvicinato alla pratica religiosa, non so dire con quale convinzione.

A richiesta: prima di ricevere il libello e la convocazione del Tribunale io non sono stata informata dell’intenzione precisa di Mauro di introdurre la causa di nullità. Me ne aveva accennato in sede di richiesta di divorzio. Io allora ho acconsentito al divorzio a patto che egli pagasse tutti gli alimenti arretrati che non aveva a suo tempo pagato. Non vedo invece su che cosa si possa fondare una domanda di nullità. Chiedo al Giudice se può spiegarmi la richiesta di nullità formulata da Mauro. Il giudice mi risponde spiegandomi il contenuto del can. 1095 al n. 2. Per quanto io comprenda, non ravviso nella nostra decisione di matrimonio un difetto di discrezione di giudizio, proprio perché non ci siamo sposati sotto la pressione della gravidanza oppure dei familiari di Mauro. La scelta fu nostra, anzi, fu più sua, dopo che raggiungemmo una nostra indipendenza e autonomia. Potrebbe andare bene anche a me la nullità di matrimonio ma non fondata su cose false. Dopo aver saputo dal giudice che Mauro non ha comunicato al Tribunale né il fatto del nuovo matrimonio civile né quello della nascita di una nuova figlia, per altro battezzata, voglio che risulti a verbale la mia meraviglia.

Non ho altro da aggiungere. Letto, confermato e sottoscritto.

Katiuscia Bianchi, parte convenuta Dott. Sac. Luigi B., giudice istruttore

Laura T., notaio attuario. Dott.ssa

Studio Iscriz.

RELAZIONE PSICODIAGNOSTICA DEL SIG. ROSSI MAURO Il signor Rossi Mauro, nato a ________ il 19/02/1970, di anni 34, viene inviato dallo studio

legale dell’avv. ________ per un approfondimento psicodiagnostico in riferimento alla causa per nullità del vincolo matrimoniale.

Il signor Rossi si presenta all’appuntamento da solo, appare abbastanza tranquillo, curato nell’aspetto, adeguato nei modi e mostra un atteggiamento estremamente collaborativo.

Al momento si occupa di restauro insieme a Silvia, l’attuale moglie, con la quale trascorre anche la maggior parte del tempo libero; prende parte attiva alla gestione domestica e riferisce di avere con la compagna un ruolo intercambiabile anche per ciò che riguarda le funzioni genitoriali.

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La sua famiglia di origine è composta dalla madre, e da altri tre fratelli, di cui lui è il più giovane. Riferisce un’infanzia e un’adolescenza estremamente difficili e dolorose, in quanto è rimasto orfano di padre all’età di tre anni. La madre, ormai sola e con quattro figli, decise di inserirli tutti, a turno, tranne la femmina, in un collegio maschile. Il soggetto racconta di essere rimasto lì dai sette ai quattordici anni di età e di aver frequentato sia le scuole elementari che medie all’interno dello stesso Istituto.

Riferisce di non avere molti ricordi di suo padre e di aver cercato di ricostruirne l’immagine attraverso i racconti dei parenti e di coloro che lo conoscevano, senza aver mai avuto il coraggio di chiedere direttamente alla propria madre.

Racconta di aver avuto, durante l’infanzia, un rapporto quasi simbiotico con la figura materna, anche se dice di averla sempre vissuta come emotivamente distante e di essere cresciuto nel terrore che anche quest’ultima potesse morire. Ricorda infatti episodi in cui, durante la notte, controllava il sonno e il respiro della madre per accertarsi che fosse viva.

Durante le visite a casa, riporta di aver vissuto sempre con forte angoscia il dover ritornare in collegio e dice testualmente «mi sentivo parcheggiato»; ma quando tornava a casa si percepiva emarginato, non facente parte di quella famiglia; tuttavia in qualche modo avvertiva quel senso di sollievo e di appartenenza che all’interno del collegio non era riuscito a provare, se non in rarissime occasioni.

All’età di quattordici anni lasciò il collegio con grosse aspettative rispetto al fatto che finalmente poteva riappropriarsi di quella famiglia cui aveva sempre desiderato appartenere.

Cominciò a lavorare quasi subito come manovale presso l’impresa edile del compagno di sua madre. Definisce tale figura come importante, un maestro e dice testualmente «vedere un uomo o donna, ossia mia madre e il compagno, in qualche modo mi dava una sensazione di stabilità e di normalità». Dice tuttavia che quest’uomo non ha in alcun modo colmato il grande vuoto lasciato della scomparsa del padre e non ha sopperito al bisogno di famiglia che sentiva essere sempre più forte.

Inoltre racconta di no aver mai avuto molti amici e di essere sempre stato un ragazzo introverso che si lasciava facilmente influenzare dalle altre persone, incapace di prendere decisioni autonome per un senso di inadeguatezza e di inferiorità, nonché un bisogno quasi totale di sentirsi accettato.

Una volta tornato dal collegio passava molto tempo a casa con sua madre per cercare di ricostruire il loro rapporto e per recuperare tutti gli anni in cui erano stati separati; ciò lo faceva stare bene.

Definisce come l’unica decisione presa autonomamente quella di far parte del corpo dei paracadutisti durante il servizio di leva, esperienza che descrive come positiva per la sua crescita. Sentiva in qualche modo di far parte di una famiglia, in quanto condivideva con gli altri gli stessi ideali; dice di essersi sentito per la prima volta importante, un po’ più sicuro di se stesso.

All’età di 17 anni ha conosciuto Katiuscia Bianchi e dopo tre anni è iniziata la loro storia. Lui la definisce come la prima esperienza importante della sua vita: avevano in comune gli stessi obiettivi, lei lo valorizzava, lo faceva sentire importante; dice testualmente «in lei vedevo la casa, il lavoro, la moglie, i figli, la famiglia; tutto ciò che avevo sempre sognato e che fino a quel momento mi era mancato. I miei sogni di realizzazione erano tutti focalizzati su di lei e mi sono buttato di testa». Aveva trovato una persona con cui parlare, una persona che lo capiva, che in qualche modo colmava il suo vuoto e lo faceva sentire accolto.

Il loro fidanzamento nella fase idillica è durato sette mesi, poi è sopraggiunta una gravidanza e le cose sono precipitate. Secondo il signor Rossi, Katiuscia avrebbe desiderato un bambino più per emulare una sua amica, che per istinto materno: riguardo a lui riferisce di non aver cercato quella

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gravidanza, dice di essersi lasciato trasportare dagli eventi. Dopo due anni dalla nascita della bambina (Federica) si sono sposati; il signor Rossi racconta di aver affrontato questo passo per dare a sua figlia quella figura paterna che a lui era mancata così tanto, inoltre continuava a sperare in quell’ideale di famiglia che aveva sempre desiderato e rincorso nonostante sentisse che questo matrimonio non era la scelta giusta. Successivamente la situazione migliorò grazie ad una breve mediazione familiare, nacque la seconda figlia, Chiara, ma subito dopo il signor Rosi e la moglie si separarono perché la situazione era diventata ormai insostenibile. Il soggetto riferisce di essersi sentito tradito dalla ex moglie perché lei aveva fatto fronte comune con la sua famiglia di origine estromettendolo da qualsiasi decisione; in questo modo era venuto meno il suo ideale di famiglia, il suo senso di appartenenza.

Dopo la separazione riferisce un periodo caratterizzato da uso e abuso di sostanze stupefacenti, terminato con l’aiuto di una psicologa del Ser.T. e della seconda moglie, Silvia, dalla quale ha avuto una bambina molto desiderata (Beatrice), di 20 mesi, che lui definisce bellissima. Descrive l’attuale moglie come una persona buona, una «chioccia», con uno spiccato senso di famiglia, capace di calmarlo, sempre presente; accanto a lei si sente protetto e dice testualmente «mi fa sentire pieno, mi riempie totalmente». Continua dicendo che con lei si sente valorizzato, sono sulla stessa lunghezza d’onda. Racconta di essere andato quasi subito a vivere con Silvia, in quanto entrambi volevano una casa, un lavoro, la famiglia.

Ha chiesto l’annullamento del vincolo perché non lo riconosce come suo e dice testualmente «ci sono state occasioni in cui ho scelto delle cose e ho presso delle decisioni, ma questa non sento di averla presa io»

Durante tutto il colloquio il soggetto adotta uno stile comunicativo contraddittorio: esprime il suo dolore raccontando episodi estremamente drammatici ridendo. Ciò può indicare un atteggiamento difensivo e di mancata elaborazione di traumi infantili vissuti come angoscianti. Inoltre si evidenzia una forte idealizzazione della famiglia e della figura paterna.

I test somministrati al soggetto sono nell’ordine: MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory), test della figura umana, test dell’albero e il test della famiglia.

MMPI

Il test affrontato con atteggiamento collaborativo appare probabilmente valido. Il punteggio della scala K (punti T = 52) indicherebbe una personalità abbastanza integra, espressa senza particolari resistenze; il basso punteggio della scala L (punti T = 13) un’assenza di preoccupazioni rispetto al giudizio che potrà essere emesso sulla base dei risultati del test, ciò è indice di una elevata autocritica tesa all’esibizione dei propri difetti; il punteggio della scala F (punti T = 49) evidenzierebbe la presenza di alcuni problemi emotivi di non grave entità, circoscritti a determinare situazioni o conflitti.

Per ciò che riguarda le scale cliniche, di particolare interesse sono: la scala Pa (punti T = 72) indice di una personalità che utilizza difese di tipo proiettivo – interpretativo e che teme di essere discriminata, si tratta di un soggetto di particolare sensibilità ed estremamente emotivo; infine la scala Hs (punti T = 67) potrebbe indicare personalità con tratti di immaturità, mancanza di consapevolezza del legame tra base emozionale e processi somatici, visione egocentrica della realtà.

TEST DELLA FIGURA UMANA Il disegno della figura umana è rappresentato da due persone, che il soggetto definisce come

se stesso e la sua attuale moglie: Silvia, disegnate una accanto all’altra e collocate nella parte superiore del foglio; ciò indica la presenza di tratti d’idealizzazione, ottimismo spesso ingiustificato, tendenze regressive di dipendenza e bisogno di appoggio, nonché disturbo nel processo di separazione/individuazione.

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Il tratto appare ripassato, circolare e in alcuni punti discontinuo; ciò indica instabilità, forte emotività, insicurezza ed ansia. Inoltre elementi importanti nella figura femminile sono: l’omissione dei seni e la presenza di bottoni, indici entrambi di un’ambivalenza nei confronti della figura materna, vissuta dal soggetto come frustrante, ma, al tempo stesso, fonte di una forte dipendenza affettiva.

TEST DELL’ALBERO

Il soggetto disegna, dal basso verso l’alto, un albero di mele, con frutti anneriti, foglie ripassate e rami che sembrano spezzati; indici che nel loro complesso confermano una personalità con tratti legati all’idealizzazione, senso di inadeguatezza, inibizione nel pensiero e presenza di traumi non risolti, non elaborati. Immaturità, infantilismo, ingenuità.

TEST DELLA FAMIGLIA Al momento della consegna, il soggetto mostra difficoltà nell’esecuzione del disegno.

Raffigura la famiglia nucleare, con l’aggiunta delle due figlie avute dal primo matrimonio, il cane e con un neonato in carrozzina.

Il tratto è discontinuo, ripassato, e le linee, a tratti, spezzate, elementi che indicano instabilità emotiva, ansia, incertezza, tendenza al ripensamento.

Il disegno è posto frontalmente e collocato tendenzialmente nella parte sinistra ed inferiore del foglio. La famiglia è raffigurata in giardino, davanti ad una casa, indici che fanno pensare a: infantilismo, orientamento verso il passato, regressione, sentimenti di inadeguatezza, bisogno di appoggio, ricerca di affetto e attaccamento alla figura materna.

Inoltre il soggetto rappresenta la propria famiglia reale e non una immaginaria e disegna tutti i personaggi raffigurandoli “a bastoncino”, tali elementi indicano: forti difese a livello emotivo, tendenza ad evitare il contatto con il fantasma familiare interno perché fonte di angoscia e carico di oggetti distruttivi. Dal test si evidenzia che il soggetto utilizza quali meccanismi di difesa: l’isolamento, l’idealizzazione e la rimozione, infine dimostra di avere forti angosce di contatto con il proprio mondo interno.

CONCLUSIONI Emergono nella storia personale del soggetto esaminato la non rielaborazione del lutto per la

morte improvvisa del padre e l’ambivalenza rispetto ad una figura materna percepita come emotivamente distante, con conseguente senso di esclusione dalla famiglia, a cui si è aggiunto un isolamento sociale.

Si delinea una personalità fortemente dipendente con conseguente presenza di angosce abbandoniche e di morte legate alla figura materna. Sono presenti, tratti regressivi, senso di inferiorità ed inadeguatezza con uso preponderante di meccanismi di difesa quali: rimozione, negazione ed idealizzazione in riferimento al proprio mondo interno.

In ultima analisi è possibile affermare che il soggetto non ha superato la fase di separazione/individuazione dalle figure di riferimento interiorizzate, con un conseguente arresto dello sviluppo psichico; tali indici definiscono una personalità con tratti di immaturità affettiva e con bisogni primari che, non essendo stati adeguatamente integrali e successivamente rielaborati dal soggetto, sono diventati preponderanti.

Allego i test eseguiti dal signor Rossi Mauro. Roma, 9 novembre 2004