UT Numero 16

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64 Miele – Flux (Planet/Gene X) Napoli “colorata, disperata, stupenda” come la Hollywood di Kenneth Anger. Hollywood, Babilonia, Napoli: questi i parametri del giovane “breakhead” Miele, maestro nel dipingere il mondo “carnale e ottuso” della metropoli partenopea, “animale vivente” iperrealisticamente ultra-moderno. Napoli, infatti, grazie al proprio retaggio storico e culturale, pare essere l’unica città in Italia in grado di esprimere una propria riflessione artistico-estetica autentica ed originale; questo è dovuto alla incessante capacità di re-cycling di continui flussi di modernità provenienti dall’esterno, non solo dal mondo anglosassone, ma anche da quello arabo e africano. Napoli come “lingua universale” che smembra e ricompone i molteplici linguaggi del divenire globale di mille estetiche difformi. Miele è, in ordine anagrafico, l’ultimo erede di una tradizione felicissima che ha visto negli Almamegretta e in Raiss i pionieri di una rilettura “calda” e mediterranea del dub e dell’elettronica-dance “tout court”. Così nel pentolone di Flux, il giovane cuoco del breakbeat mediterraneo cucina hip hop e melodia, dub e masskultur, drum and bass e tarantella, ballate e “lenti” accecanti da big band groovy-jazz, a metà strada tra Sinatra e Bjork: Toshinori Kondo and Bill Laswell – Life Space Death (Meta) Quattro lunghe suite di dub-jazz extra planetario, su cui ondeggiano le sagge parole di His Holiness The Dalai Lama estrapolate da un’intervista condotta da Kondo stesso, sorreggono il nuovo progetto di Toshinori Kondo e Bill Laswell, su concept iniziale di Eraldo Bernocchi. Il titolo – Vita Spazio Morte - non fa che enfatizzare il terreno di confronto in cui il dub e la “bass culture” si trovano ad operare: l’universo “ascoltato” ed esperito attraverso la spiritualità buddhista. I temi dello spazio, della vita e della morte fanno approdare il dub di Laswell su territori sonori aperti al mistero, alla dilatazione, alla meraviglia della scoperta: Life Space Death è un magico incontro tra spiritualità, scienza sonica e viaggio interiore nell’essenza umana. In un mondo svuotato di senso, la prescrizione aurale della quarta traccia – un’apoteosi estatico-psichedelico di rara potenza – può rivelarsi addirittura “medicina” memorabile. >/ALBUM DOWN IN THE BASSMENT text > Paolo Davoli [email protected] Nikakoi – Sestrichka (wmf) Biancovestito e smilzo, con retina a trattenere le cesarie caucasiche; così si è presentato al pubblico del Sonar barcellonese il georgiano Nikakoi. Va da sé che qui la Georgia è la repubblica post-sovietica, crocevia irrequieto di panrussismo, persianità e mondo ottomano; ultimo baluardo est-europeo prima dell’irrompere asiatico o primo avamposto asiatico nello sfumare d’Europa, chissà. Il ragazzo muove di ritmiche furiose e ariostesche, di bassi fumosi e sdraiati, di tappezzerie David Gould - Adonai in Dub (Tzadik/Radical Jewish Culture) Adonai In Dub: Dio in Dub. Niente meno. Jah o Yahweh sotto il segno di eco e basso. Adonai in Dub ovvero quando il Basso incontra lo Spirito. Il canto tradizionale ebraico rivisitato e disarticolato secondo gli schemi dub da Jamie Saft e David Gould, quest’ultimo membro della band ska-reggae newyorchese John Brown’s Body, è il punto focale dell’album edito dalla prestigiosa etichetta di John Zorn, la Tzadik. Adonai in Dub enfatizza il lato spirituale della musica ebraica, operando una radicale decostruzione tramite bassi, rumori, echi e fiati. L’effetto, spesso, è estremo, polveroso, destabilizzante. Una sottile sensazione di torbidità spirituale, di abbandono, di gioiosa malinconia pervade tutta l’opera. Il suono, sempre filtrato, richiama esplicitamente sia il cotè caraibico più “roots”, sia il mondo yiddish, nel suo lato più hassidim ed est-europeo. Pare a tratti di ascoltare canzoni da un mondo irreale, colto al di là di una lastra di vetro offuscata, illuminato da un sole passivamente triste. “ Dio mi apra la bocca e le labbra affinchè canti le Sue Lodi” è l’epigrafe posta a calce dell’album. Ringraziamenti finali, tra gli altri, a Rabbi Charles Klein e Rabbi Greg Wolfe. elettroniche armoniose e inconfondibili. Una malinconia dolce, pudica, pervade tutta l’opera, scossa, a tratti, da leggere frenesie di drum and bass ed electro accellerata ma assolutamente esauste, molli, frenate come sono dal pigro scorrere diacronico del flusso elettronico sottostante. Arie da linee di confine, doppiamente innocenti, metafore di una condizione umana inaccessibile. Sestrichka è palestra di suoni dai grandi contrasti ma dalla immacolata bellezza. connessioni improbabili, eclettismi convulsivi ma con una capacità di sintesi sorprendente. Flux è l’atto di nascita del barocco “sonico” napoletano del XXI secolo. Il risultato, ad essere onesti, è veramente imponente. Da ammirare, con grande rispetto. Dillinja & Lemon D – Big Bad Bass (Valve) Un unico, grande, basso insolente. Dalla casa madre del Basso Assoluto, il Valve

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Miele – Flux (Planet/Gene X)Napoli “colorata, disperata, stupenda”come la Hollywood di Kenneth Anger.Hollywood, Babilonia, Napoli: questi iparametri del giovane “breakhead”Miele, maestro nel dipingere il mondo“carnale e ottuso” della metropolipartenopea, “animale vivente”iperrealisticamente ultra-moderno.Napoli, infatti, grazie al proprio retaggiostorico e culturale, pare essere l’unicacittà in Italia in grado di esprimere unapropria riflessione artistico-esteticaautentica ed originale; questo è dovutoalla incessante capacità di re-cycling dicontinui flussi di modernità provenientidall ’esterno, non solo dal mondoanglosassone, ma anche da quello araboe africano. Napoli come “linguauniversale” che smembra e ricompone imolteplici linguaggi del divenire globaledi mille estetiche difformi. Miele è, inordine anagrafico, l’ultimo erede di unatradizione felicissima che ha visto negliAlmamegretta e in Raiss i pionieri di unarilettura “calda” e mediterranea del dube dell’elettronica-dance “tout court”. Cosìnel pentolone di Flux, il giovane cuocodel breakbeat mediterraneo cucina hiphop e melodia, dub e masskultur, drumand bass e tarantella, ballate e “lenti”accecanti da big band groovy-jazz, ametà strada tra Sinatra e Bjork:

Toshinori Kondo and Bill Laswell –Life Space Death (Meta)Quattro lunghe suite di dub-jazz extraplanetario, su cui ondeggiano le saggeparole di His Holiness The Dalai Lamaestrapolate da un’intervista condotta daKondo stesso, sorreggono il nuovoprogetto di Toshinori Kondo e Bill Laswell,su concept iniziale di Eraldo Bernocchi.Il titolo – Vita Spazio Morte - non fa cheenfatizzare il terreno di confronto in cuiil dub e la “bass culture” si trovano adoperare: l’universo “ascoltato” edesperito attraverso la spiritualitàbuddhista. I temi dello spazio, della vitae della morte fanno approdare il dub diLaswell su territori sonori aperti almistero, alla dilatazione, alla meravigliadella scoperta: Life Space Death è unmagico incontro tra spiritualità, scienzasonica e viaggio interiore nell’essenzaumana. In un mondo svuotato di senso,la prescrizione aurale della quarta traccia– un’apoteosi estatico-psichedelico dirara potenza – può rivelarsi addirittura“medicina” memorabile.

>/ALBUMDOWN IN THE BASSMENTtext > Paolo [email protected]

Nikakoi – Sestrichka (wmf)Biancovestito e smilzo, con retina atrattenere le cesarie caucasiche; così siè presentato al pubblico del Sonarbarcellonese il georgiano Nikakoi. Va dasé che qui la Georgia è la repubblicapost-sovietica, crocevia irrequieto dipanrussismo, persianità e mondoottomano; ultimo baluardo est-europeoprima dell’irrompere asiatico o primoavamposto asiatico nello sfumared’Europa, chissà. Il ragazzo muove diritmiche furiose e ariostesche, di bassifumosi e sdraiati, di tappezzerie

David Gould - Adonai in Dub(Tzadik/Radical Jewish Culture)Adonai In Dub: Dio in Dub. Niente meno.Jah o Yahweh sotto il segno di eco ebasso. Adonai in Dub ovvero quando ilBasso incontra lo Spirito. Il cantotradizionale ebraico rivisitato edisarticolato secondo gli schemi dub daJamie Saft e David Gould, quest’ultimomembro della band ska-reggaenewyorchese John Brown’s Body, è ilpunto focale dell’album edito dallaprestigiosa etichetta di John Zorn, laTzadik. Adonai in Dub enfatizza il latospirituale della musica ebraica, operandouna radicale decostruzione tramite bassi,rumori, echi e fiati. L’effetto, spesso, èestremo, polveroso, destabilizzante.Una sottile sensazione di torbiditàspirituale, di abbandono, di gioiosamalinconia pervade tutta l’opera. Ilsuono, sempre fi ltrato, richiamaesplicitamente sia il cotè caraibico più“roots”, sia il mondo yiddish, nel suo latopiù hassidim ed est-europeo. Pare a trattidi ascoltare canzoni da un mondo irreale,colto al di là di una lastra di vetrooffuscata, i l luminato da un solepassivamente triste. “ Dio mi apra labocca e le labbra affinchè canti le SueLodi” è l ’epigrafe posta a calcedell’album. Ringraziamenti finali, tra glialtri, a Rabbi Charles Klein e Rabbi GregWolfe.

elettroniche armoniose e inconfondibili.Una malinconia dolce, pudica, pervadetutta l’opera, scossa, a tratti, da leggerefrenesie di drum and bass ed electroaccellerata ma assolutamente esauste,molli, frenate come sono dal pigroscorrere diacronico del flusso elettronicosottostante. Arie da linee di confine,doppiamente innocenti, metafore di unacondizione umana inaccessibile.Sestrichka è palestra di suoni dai grandicontrasti ma dalla immacolata bellezza.

connessioni improbabili, eclettismiconvulsivi ma con una capacità di sintesisorprendente. Flux è l’atto di nascita delbarocco “sonico” napoletano del XXIsecolo. Il risultato, ad essere onesti, èveramente imponente. Da ammirare,con grande rispetto.

Dillinja & Lemon D – Big Bad Bass(Valve)Un unico, grande, basso insolente. Dallacasa madre del Basso Assoluto, il Valve

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Rhythm & Sound – Rhythm &Sound (Basic Channel)Berlino, ancora Berlino, la città doveanche gli angeli sono colti da pietasumana. Una leggenda tutta berlinesesono le due etichette sorelle, BasicChannel e Chain Reaction, dedite a unsuono che è la quintessenza deicambiamenti radicali avvenuti nel cuorepulsante delle città europee edoccidentali. Una elettronica che attiva gliatomi sfilacciati del dub sintetico e dellatechno più “profonda” e li rielaboraemotivamente. In lunghi branistrumentali si cela un labirintoprofondissimo e radicale che sciogliel’house, la techno, il dub e l’ambient inun solo paradigma sonoro. Il risultato diquesta poetica sono dub virati

Staedtizism 3 – Instrumentals(Scape) / Andrew Pekler – StationTo Station (Scape)Mettere le nostre città a nudo, indagarlecome fenomeno sonico e spaziale: eccoalcuni spunti su cui lavorare. Nelbassment berlinese della Scape di StefanBetke, etichetta capace di indagare ilvuoto con lo sguardo fisso alla realtàodierna, ferve alacre l’attività. Misteriosoe austero come sempre, esce ora il terzocapitolo della saga urbana diStaedtizism: il primo è un grandiosoaffresco di contemporaneità dub rilettain chiave di “feticcio urbano” mentre ilsecondo, più umanista e ben normato,ridefinisce il concetto di elettronica comelinguaggio “tecno-naturale” daecosistema in dissolvimento. Il temamusicale di “Urbanismo 3” è invece piùincentrato sui breaks spezzati, macontiene, come i precedenti, dissolvenzee straniamenti, con bassi stratificati emateria aurale imbrogliatissima. InStaedtizism/Instrumentals ci sonomomenti fortemente emozionanti e assaiconvincenti. I nomi da segnare sultaccuino: Andrew Pekler, Bus, JanJelinek, Thomas Fehlmann, Deadbeat,Process. Dal cilindro “poliano”, eccouscire una carta ancor più vincente:l’album di debutto del californiano-berlinese cosmopolita Andrew Pekler,Station to Station. E qui le cose si

Sound System di Dillinja e Lemon D, ciarriva finalmente il primo episodio di una– speriamo - lunga serie dedita al drumand bass più orientato alla scuola deisound system giamaicani. E’ la naturaleevoluzione antroposonica di un cordoneombelicale mai reciso fra “bass culture”e “breakbeat science”. Ed è altrettantologico che la Capitale Tellurica di talesommovimento sia Brixton, il cuore nerodi Londra. In Big Bad Bass riemerge inmodo brillante la “forma profonda” dellajungle/drum and bass, cioè quellaastrazione furiosa di beats, bassi edelettronica che ha rivoluzionato il mondodella dance e dell’elettronica a partiredal biennio 1994/1995. Big Bad Bass èil manifesto della vitalità contemporaneadi una cultura che, pur rimanendosepolta nell’underground più totale, èriuscita a mantenere altissimo il suoprofilo. Il rinnovamento messianico deldrum and bass passa - anche enecessariamente - attraverso Dillinja eLemon D, i due bass-warrior del ValveSound System.

digitalmente, rotti da echi en noir,riverberi ipnotici, sciami di noiseambientale, “spleen” meditativo,ritmiche fragili, intermittenti, appenaappena accennate. Rhythm & Sound èun “grido nel vuoto”, uno slittamentecontinuo, lento ed ininterrotto verso unamusica senza forma, l ibera daconvenzioni, puro suono di“attraversamento”; la colonna sonoraautentica e stordente della crisi della cittàmoderna.

complicano. Perchè l’album èscriteriatamente intenso, sfolgorante.Jazz, romanticismo urbano,mitteleuropa, technè dub, minimalismoaustero, house, grande senso dellospazio. Qui siamo già oltre Herbert:siamo esattamente dove si specchial’anima, direttamente nelle visceredell’essere come in quelle della città. Iljazz urbano smerigliato da breaks liquidi,i grumi di rumori del para-spaziomelanconico, i sub-bassi che tremolanonelle oscurità dei “passages”metropolitani, fanno di quest’album unadelle “memorabilie” riflessive dellacontemporaneità.

FreQ Nasty – Y4K (DistinctiveBreaks)Sicuramente il miglior mixato breakbeatdegli ultimi due anni, punto! Se il vostrostereo ha bisogno di emozioni forti…FreqNasty ha pensato a voi, Y4K èassolutamente il breakbeat elevatoall’ennesimo millennio… nu skool breaks,sub-funk, breakbeat garage, chiamatelocome preferite, questo è il sound delfuturo che si fonde con il meglio delpassato… dub, reggae, hiphop, techno,electro, drum & bass, jazz e house… ètutto qui! 17 tracce di cui 14 esclusive,fra remix, edit create appositamente, McSpoonface gran cerimoniere ed il megliodel meglio: da Belfast l’astro nascentedelle scene techno e breaks Phil Keiran(ora accasato alla Skint), Tayo, ChemicalBrothers, Aphrodite e quando Chuck D(Bring Tha Noise) entra su Amped dellostesso Nasty non ce n’è pernessuno…grande selezione ed energia!

>/COMPILATIONSHAKADELIC FILEStext > [email protected]

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Sunday Best 3 (Sunday BestRecordings)Turn Off your Mind, relax and floatdownstream… Rob da Bank è giornalista,Dj, produttore ed ora anche speaker perBBC1, ma soprattutto ideatore epromotore del Sunday Best, da 6 annila domenicale mecca londinese di tuttociò che è eclettico; nel profondo sud diLondra precisamente nella scalcinataTearoom Des Artists di Wandsworth èriuscito a creare un appuntamentomitico: pochi amici, qualche visuals maun’atmosfera ultra cool. Da Norman Cooka Andrew Weatherall sino a Kruder &Dorfmeister… tutti hanno voluto metterei dischi almeno una volta al Sunday Best.Nei precedenti due volumi avevamoascoltato e conosciuto per la prima voltaGroove Armada (ricordate “At TheRiver”?) ed i Lemon Jelly, e respiravamogià un’influenza nordica nell’aria…nelterzo si esagera: doppio cd, doppiogodimento. Si parte con i Classics, ifavoriti di sempre del buon Da Bank, fracui il già leggendario Neon Heights“There’s A Place Where Happy PeoplePlay”, giusto un innocente loopcampionato da chissà quale pezzonorthern soul che dopo il minimo ascoltonon ti molla più e poi Steve Miller Band,Cocteau Twins, Fleetwood Mac, fino aTom Middleton con lo storico “14.31”sotto lo pseudonimo GlobalCommunications, più che un brano uncapostipite del termine Ambient.Il secondo cd contiene invece braniesclusivi realizzati dai clienti abituali delSunday Best quali Bent, Kinobe,Danmass (fra l’altro da poco accasati allaSkint), i Royksopp, un Lazyboy Remixdi “Poor Leno” che non troverete mai incircolazione ed infine il vero highlightdella sezione exclusives è Drilla vs BoxClever “Mama Says”, progetto dancehall

>/7x7"

1) Johnny Trunk – Sister Woo (TrunkRecords)Tormentone! Bambini che sghignazzanoed improvvisano su un potente groovehip hop… fresco e delirante… go Johnnygo!2) Vendetta Suite – Mercurial (13Amp)Prima uscita dell’etichetta di DavidHolmes, il b-side è puro acid-northern-soul… hype!3) Midfield General – Loverslut /Alpinestars - Coldstar (Slut Smalls)Nuovo split single per l ’etichettacollegata al magazine inglese JockeySlut.Il nu big beat del “generale” si fapreferire alla ballata acustica delle “stellealpine” di Manchester.4) Angelo Hectic – For all the GirlsI’ve loved (Red Egyptian)Nuovo psudonimo per Rob Galliano/EarlZinger e nuova hit sotterranea.5) Four Tet – I’m on Fire (DominoRecording)Elettronica post-rockata, malinconica machirurgicamente perfetta… KieranHebden al suo top…6) Nelly Furtado – Turn off the lights(??????)Direttamente da Kingston una fantasticaversione ragga che rinfrescherebbequalsiasi selezione roots… ma non diteloa Nelly!7) Isso – Strikkly Vikkly (Redbud)Space-dub from Brooklyn. Attenzione aquesta nuova label.

>/PEEDDOO’S HOT TIPS

Le Tigre – Deceptacon (DFA remix)(Mr Lady records)Dai produttori di “The Rapture” unanuova entusiasmante avventura punkmeets house… ah, Le Tigre sono unaband punk di sole donne che incidonoper un etichetta gestita da soledonne…avanti e oltre!Dano – Aural Report Volume One(Red Melon Records)From San Francisco con furore!!!Profonda tech-house che al contrariodelle ultime produzioni del genere nonaddormena ma emoziona!!!!Le Dust Sucker – Driller (StylesKickin’)Dopo il remix di “Funky Heroes” diAfrika Bambaatata per Mantra Vibes, iragazzi terribili da berlino colpisconoancora… check the shakadelicbreakdown!!!Dj Shadow – You Can’t Go HomeAgain (Island/MoWax)NME ai tempi di “Endtroducing” scrissedi DJ Shadow come il Jimi Hendrix delsampler… tutto confermato!Soul Mekanik invents Ben E Lux –If U Nu (Rip Records)Acid House is back amici… nel B-sidec’è la solita Dub dei Chicken lips… neriparleremo in autunno.

di Skitz, nome di punta della scena hiphop inglese…come una doccia fredda inquesti giorni afosi. Un consiglio se dovetecomprare un CD chill out questa estate,fate in modo sia questo… vabbé hoesagerato, almeno non Ambient NoiaCaffè Ibiza 27!!!!

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Andy C è sinonimo di Ram Records, RamTrilogy, Origin Unknown.Andy C è stato votato come miglior dj almondo(non solo drum’n’bass) più volte nelcorso degli anni da svariate riviste di settore.Andy C viene considerato attualmente il piùin f luente d j /produt tore ne l mondo de ldrum’n’bass, quello che suona i dubplates piùnuovi e ne decreta il successo.Andy C è colui che insieme all’amico Shimonha introdotto il “passo tre” (a marcetta perintenderci) con il “monster hit” “Body Rock”.Andy C è un pioniere del genere ed una delleforze attuali più rispettate e crescenti.Passato e futuro si incontrano in un ragazzoche ha esordito nella scena a soli 16 anni eche oggi, ancora giovanissimo, è uno deinumeri uno assoluti. Nonostante questo, icon ta t t i con i l ma ins t ream sono s ta t icomunque pochi, ma è comunque riuscitonell’intento di portare la sua Ram Recordsnelle classifiche di vendita ufficiali, grazie aquel prodigio minimalista che è “Body Rock”.Spesso considerato uno dei dj più duri dellascena è in realtà anche uno dei maggioriinnovatori. Basti pensare all’albo “MoltenBeats” sotto i l marchio Ram Tri logy ( incompagnia di Shimon e Ant Miles), il primoalbum d’n’b che si poteva ballare e fischiettareallo stesso tempo. Essere pop senza usare leregole trite del pop. La quadratura del cerchio.Aldilà del dj/producer /personaggio Andy C,c’è da sottolineare la figura di imprenditoredel groove che è diventato da quando nel ’92insieme al più anziano ed esperto Ant Miles(già tecnico del suono per i terroristi culturaliKLF) ha dato vita alla sua label Ram Records.Sostanzialmente una label a gestione quasifamiliare (come speso accadde nel d’n’bbritannico) che ha però lanciato nomi comeShimon (co-autore appunto di “Body Rock”)e Mov ing Fus ion ( l ’ asso lu to an them“Turbulence” su tutti). Andy C sotto le sigle

Origin Unknown e Ram Trilogy è responsabiled i a l cun i remix , che non sono s ta t isemplicemente dei rmx ma vere e propriet racce or ig ina l i che hanno superato inpopolarità sui dancefloor le già ottime tracceoriginali. Non c‘è “jungle head” al mondo chenon ricordi i remix Ram per “Warhead” diKrust o “Where ’s Jack The R ipper?” d iGrooverider, per non parlare di “Circles” diAdam F, “Tough At The Top” di EZ Rollers,“Heroes” di Roni Size, giusto per nominarnealcuni. Ed è notizia recente l ’ incredibi lesuccesso del remix di “Pacman” di Ed Rush &Optical.Un remix di Andy C è sempre garanzia digroove massicci e “mentali” per il dancefloor.Ma Andy C come abbiamo già detto è pure ilboss della Ram Records, etichetta sulla qualeha un incredibile controllo creativo. Non c’èdj al mondo che non abbia nella valigiaqualche ep della serie “Ram Raiders”, in cuisono sempre incluse almeno un paio di hit.Altra notizia bomba è l’imminente uscita delvo lumi 4 , 5 e 6 d i “Ram Tr i l ogy” chedovrebbero anticipare l’uscita di un nuovoalbum che si annuncia come uno dei piùimpor tant i ne l l a (b reve) s to r ia de ldrum’n’bass, partendo dal presupposto che“Molten Beats” è uno degli album che havenduto di più nella storia del drum’n’bass econsiderando anche che rimane un album diuna label indipendente. La visione artisticadi Andy C (così come quella di alcuni suoiillustri colleghi con cui è solito collaborarecome Bad Company ed Ed Rush & Optical) hamolto a che vedere con la passione per lafantascienza in generale e soprattutto per lostyle cibernetico delle architetture e delletecnologie futur ib i l i p iuttosto che per icontenut i . Le arch i tet ture geometr icheplasmate al computer si riflettono anchenell’artwork delle copertine dei dischi Ram,ma si fanno più evidenti nei groove meccanicidel suono di Andy C. Groove taglienti, a trattiaggressivi, che molto hanno in comune conla techno più radicale ma che vanno oltre allaricerca di qualche scampolo di umanità ormailontana. La durezza dei suoi suoni viene peròresa soppor tab i l e (e inc red ib i lmenteaccattivante su un dancefloor) dalle bassline,tanto potenti quanto ammiccanti verso lemelodie più semplici e penetranti.Una delle caratteristiche di Andy C è proprioquella di insinuare la melodia in un suonodove al primo ascolto la melodia sembrainesistente. Eppure è li, strisciante come unvirus (ogni r i fer imento al la label non èpuramente casuale!). Ai piatti Andy C è unoche bada al sodo, la sua tecnica è ineccepibilema al virtuosismo preferisce lo spaccare ildancefloor con una selezione che non haeguali al momento nell’ambito della d’n’btech/hard step.

text > Alex Dandi

DRITTO ALL’OBBIETTIVOANDY C

RAM Trilogy - Chapter 6www.ramrecords.co.uk

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text > Paolo Davoli - photo > Dario Lasagni / artwork cd > Delicatessen

GROOVE SAFARI, UN WEEKEND ULTRAMODERNO

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“Dobbiamo fare qualcosa di vivo, qualcosa che ci aiuti a vincere lo squalloree che sia, appunto, non accademia nè scienza in stiffelius nè seccumed’erbe da farmacia di provincia, ma giovinezza, sfida ai testi, reverie,giuoco coi congegni dello stile, una scienza spettacolo”Angelo Maria Ripellino – Lettere

Non c’è dubbio che la coppia schizo-pop dei Groove Safari (Tavernelli-Degola)abbia come stella polare comportamentale i due precetti ripelliani seguenti: feriredi gioia e straziare il grigiore. E’ infatti con cipiglio vitalista che i Groove Safari,illustri metamatici reggiani, combattono la labilità dell’esistenza e il meschinoquotidiano rinchiudendosi nel proprio laboratorio sintetico con antidiluviani PCAtari, poster autografati di Tetsuo e bizzose fono-valigie fuori catalogo. La coppia,che si abbronza alla figura del Dr. Gonzo di Hunter S. Thompson, abita isterica laPianura Lattea del Granducato Socialista emiliano-romagnolo e appartiene a pienodiritto a quella generazione neo-godereccia, insicura e viziata del baby boom damiracolo economico italiano del dopoguerra; e a conti fatti, è la stessa generazione,in Occidente come in Giappone, che ha fatto il surf davanti al televisore, hapropugnato la leggerezza dello zapping sensoriale, ha teorizzato il superfluonecessario, ha conosciuto lo “shock del futuro” e per finire ha rammendato afatica il rapporto identitario con sè stessa. Una generazione in perenne overloadinformativo e semiologico; questa bizzarra variante antropologica Occidentale siè costruita un proprio immaginario frammentato che è un frullato random diimmagini, segni e sogni, che la porta ad essere sbadatamente no-global e post-ideologica allo stesso tempo. L’isteria e il malcontento dei Settanta e degli Ottantasembra aver prodotto negli anni Novanta un sentire catatonico, impermeabile alsociale. William Gibson, nel definire gli otaku giapponesi prodotti dalla NintendoGeneration, ha scritto nero su bianco: tecno-feticismo patologico con deficit sociale.Ritornando da Chiba alle zolle tecno-fertilizzate di Mandrio, l’ideologo del safarismorosso, satollo e groovedelico, Tavernelli Fabrizio - un rarissimo caso di zavattinianoal silicio - immagina la propria Correggio come una metropoli-borgo che “odora divastità e di mare e dove sulle strade verdeggia l’erba...” (Sklovskij, 1920). Il popper lui è quindi un itinerario verso il fantastico, una “conversazione in cielo”, unluogo meraviglioso che ricompone magicamente l’incanto del proprio nido d’infanzia.La sua geografia personale confonde Shibuya con Carpi, Lido Pò con RedondoBeach, il Delta del Grande Fiume Padano con quello del Mississipi, la Via Emiliacon la Route 66, i ghat di Calcutta con Viale Ceccarini a Riccione. In questadimensione onirico-fantastica, quasi-surrealista, i Groove Safari navigano - comei banditi del tempo di Terry Gilliam - una mappa astrale sgualcita che permettedi entrare e uscire a proprio piacimento dalle epoche musicali del passato; comearcheologi pop setacciano miriadi di strati geologici della cultura di massa in cercadi reperti fossili che riscostruiscano un “senso” al nostro quotidiano “magico”. Avolte i suoni sbandano pericolosamente vicini alla Banda del Club dei Cuori Solitaridel Sgt. Pepper in viaggio fatato su ippogrifi intra-stellari, altre volte deraglianoverso il neuro-pop degli XTC, in una versione più nano-tech a cassa dritta. Con laretromarcia premuta a tavoletta, i Groove Safari offrono così una cosmogoniaspumeggiante del pop elettronico degli ultimi trent’anni, dal John Foxx di On thePlaza ai Kraftwerk aedi delle tecnologie immateriali in Modem, per finire all’eleganzaspaccona e picaresca del beat grasso del cowboy Freddy Fresh. Nucleo efficace diquesta epifania nomade nella orizzontalità del tempo – che riporta in superficieuna visione retro-modernista del mondo esteticamente molto vicina a “Playtime”di Jacques Tati - sono il frenetico synth-punk di Rock’n’roll Destroy e l’house

ketaminica di Fenomeno Logico e Isi. Eproseguendo nella giungla Viet dellaguerilla-pop da bella gioventù sintetica, iGroove Safari ci propugnano un blues dadisco-dancing sul Pò (Stunt Man, l’inno al“pensiero debole”, dedicato a Holler Togni),il country-tech pirotecnico di Freaky Funghio il tema robo-pop perfetto per la PokemonGeneration, Nei tuoi occhi. Ma al di là dellafacile congettura, una cosa è certa: questagenerazione che ha esperito il Mondo solocome Magazzino delle Merci, propone testidi canzoni che sotto la abbagliantesuperficie caramellosa da prodotto diconsumo, hanno guizzi insospettabili diconsapevolezza sociale.E proprio sul finire della traccia conclusiva“Dimmi Cosa”, una voce femminile dal tonoaccorato, malinconico, craccata da qualchebrindello di celluloide alla deriva nellospazio, svela la portata della falsainnocenza del Robopop dei nerboruti delgroove:Ci voleva proprio questo safari perchiarire i nostri orizzonti... Speravo inun mondo diverso, positivo e invece ètutto finito...Termina così l’avanspettacolo scoppiettantedei Groove Safari, con l ’atmosferamalinconica del clown triste che, terminatolo spettacolo, esce di scena con la cipriasmattonata e gli occhi velati di lacrime.Abbiamo scherzato, sembra suggerire ilclown, il nostro Barbie-Pop è tutto falso.Sotto la scorza da candito coloratissimo,avviluppato nella glassa rosa-shockingdello zucchero filato da baraccone, questoMondo Sfavillante - laboratorio precario delfuturo catastrofico che ci aspetta - “suscitadesolazione (così scrisse Ripellino perKontik Letaev) come un circo durante lepulizie del mattino”.

Groove Safari - Groove Safari (KFM)www.groovesafari.it

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1) Non mi piace definire rigorosamente la miamusica perché dentro ci si può trovare veramentedi tutto. E’ uno spazio pieno di esseri ibridi econtraddizioni, prima tendevo ad escludere suonied atmosfere che credevo lontane ed intoccabili,oggi preferisco sporcarmi ed osare. Mi piacefilosofeggiare con gli scarti ed i rifiuti. D’altra parteamo giocare con le terminologie, i neo-logismi,mi sento felice come un bambino nell’inventaregeneri musicali inesistenti. Questo è un discopopedelico, mimetico, pieno di insidie e strategie,è robopop semi-colto. Ho inserito elementidevianti all’interno di ogni canzone, virus, genialterati, elementi teorici sottoforma di filastrocca.Campioni di musica contemporanea che si devonoadattare a brani infantili. Mi torna in mente unafelice definizione che mi ha sempre intrippato,quella di “avanguardia commerciale” e qui potreicitare migliaia di nomi che arbitrariamentepossono rientrare in questa non-etichetta : Punk,New Wave, No-Wave, Devo, Talking Heads, Bowie,Eno, Laurie Anderson, Pere Ubu, la tradizionedella canzone sbilenca inglese che parte daiBeatles, passando per Syd Barrett sino a giungereagli XTC, il kraut rock, Chrisma, Gaznevada, ilTropicalismo, Beck, l’euro-space-disco, la blackmusic, i produttori r’n’b, le musiche del subconsciointrappolate dai nostri neuroni tipo Carosello, sigledi vecchi sceneggiati e cartoni animati,Canzonissima, Topo Gigio, TV dei ragazzi, colonnesonore di films di serie Z. Naturalmente sono dasempre automaticamente ed auricolarmenteattirato dall’elettronica, tutto ciò che presenta ilsuffisso electro + qualcosa mi piace. DaiKraftwerk, Suicide, Aphex Twin, passando perl’hip-hop, house ed ogni nuova forma di usosonoro della tecnologia. Ultimamente mi piaccionomolto Herbert, il soul astratto di Spacek, il BrokenBeat e mi fa muovere il culo il 2 step. Un belguazzabuglio vero, soprattutto se penso alle coseignobili ed innominabili che fanno parte della miadiscografia.

2) Il campionamento ha avuto tra i tanti effetti quellodi purificare, depurare e sdoganare suoni e paroleche non sarebbero mai entrati in certi ambienti.In questo vengono in aiuto mercatini dell’usatoin cui reperire dischi improbabili che magaricontengono il frammento giusto, l ’ ideastrampalata su cui costruire un brano. Ci sonovinili dimenticati in solaio, nascosti perchérappresentano momenti non propriamentebrillanti della nostra adolescenza che una voltariscoperti si rivelano veri e propri tesori dasaccheggiare. Io mi rifornisco spesso dai FratiCappuccini di San Martino, lì ho trovato dischiveramente assurdi e stimolanti, a forza dispulciare e girare cominci ad acquisire un certofiuto nel capire se quel particolare disco strano,

GROOVE SAFARI

rovinato e sconosciuto ha il contenuto giusto o glielementi scatenanti. Bisognerebbe cominciare aguardare nell’immenso mondo della discografiaminore italiana, senza aspettare input esterni oqualcuno che da fuori arrivi a dare dignità a musicheche conosciamo bene e da tempo, ma che nonabbiamo mai preso in considerazione. E’ successocosì per l’easy listening e le colonne sonore di filmdi genere italiani, non ci siamo accorti della loroavvenenza sino a che non sono venuti a dircelo igiapponesi, i tedeschi, gli americani etc. Bastaguardare all’operazione di gruppi della scenafrancese, vedi Daft Punk o Air, tra i primi a riportarealla luce musiche alla deriva, sonorità kitsch, disco-rock, progressive, after-punk, muzak, funky tamarroo quella house che odiavamo quando ascoltavamo iSonic Youth. Stessa cosa si può dire riguardo il lavoroelettro-archeologico tra gli scavi in area anni ’80 dellaInternational Deejay Gigolo.

3) Sono tutti segnali ormai evidenti della grande crisiin cui versa il mercato discografico e le Majors. Enon sono soltanto gli artisti a trovarsi da un giornoall’altro a piedi e senza contratto, ma gli stessiorganici, i direttori artistici, le sottoetichette, gli

AAAAAUTUTUTUTOINTEROINTEROINTEROINTERVISTVISTVISTVISTAAAAUTOINTERVISTA

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addetti al settore stanno vivendo una incertezza che per il momento non presenta sbocchi.Qualche colpa? Il costo dei cd naturalmente, ma anche il modo di gestire la musica che ricordapiù tangentopoli che qualcosa di artistico, d’accordo stiamo parlando di un’industria e di fatturatoma ormai non si parla di nient’altro. La politica di investimento e ritorno immediato non paga alungo termine. Qualche altra colpa? I Network? La società? La politica? Gli artisti stessi? Restail fatto che questa crisi può aprire smagliature creando spazi e opportunità per ciò che si muovedal basso. Molte grosse strutture stanno rischiando l’estinzione come i dinosauri, sono strutturerigide, complesse, poco elastiche. Può essere allora che organismi più agili, adattabili ed inevoluzione possano creare qualcosa di nuovo. La musica dovrà sapere interpretare e affrontarequesti nuovi scenari.

4) Gli A.F.A. erano il progetto in cui concentravo tutte le energie. Ora preferisco replicarmi inmolte identità senza paranoie di stili, coerenza o gabbie. Continuo a ragionare in modopragmatico-surrealista, ovvero lavoro a sensazione, a getto automatico, con una buona dosedi istintualità, ma poi tendo a concretizzare ogni progetto. Nonostante tutto (il tutto è comunqueun bel fardello da sostenere) devo dire che sono stato fortunato visto che i dischi in un modo onell’altro sono tutti usciti: Duozero per Snowdonia, Roots Connection per Baracca&Burattini/Edel ed infine Groove Safari uscito con due singoli per la Sony e con l’album per il Kom-Fut.Inoltre quest’anno insieme a Bronski dopo la produzione di Groove Safari e Roots Connectionho affrontato la produzione di cinque brani per l’album delle Officine Schwartz. Ciliegina sullatorta è l’apparizione nel secondo capitolo della compila del Maffia come remixatore e remixato(in questo caso da DJ Rocca). Ci sono altre cose in cantiere, ma per il momento vivono soltantoa livello teorico. Tornando al discorso della identità mutante Groove Safari è altrettantotrasformabile fuori dallo studio di registrazione, infatti può uscire come live-set che Dj-setquesto per affrontare le diverse situazioni.

5) In verità non riesco a trovare una definizione appropriata: musicista, cantante, DJ, produttore,teorico, equilibrista…boh non saprei. In verità mi colpì molto Eno quando disse di ritenersi unnon-musicista, allora tra il proliferare di virtuosi dello strumento musicale era quasi unabestemmia. Non era stata ancora ufficializzata la figura del moderno produttore, delprogrammatore, di chi trafficava con manopole, pulsanti, cursori. Quello che so è che mi piacepartire da un’ottica non-classica, magari da un rumore, da un’atmosfera inconsueta, da unaripetizione di suoni o beats ed in questa situazione apparentemente statica fare uscire unaforma riconducibile alla canzone. Tanto per fare della poesia è un po’ come lo scultore cheintravede e percepisce già la statua, la scultura, in un blocco di marmo informe. Altre voltecome un cantautore risvegliato dall’ibernazione mi metto a comporre con una chitarra acusticada due soldi, un campione loopato al volo sul Dr.Sample e qualche parola in testa pensando giàal giusto arrangiamento o alla destrutturazione a cui il pezzo sarà destinato. Spesso ho la testaintasata come un polveroso magazzino in cui non ci sta più nulla e sempre più spargo per casaappunti e note. Sempre più spesso durante l’ascolto di un disco isolo il momento topico… eccoil campione giusto al momento giusto! Sempre più spesso è un safari alla ricerca di nuovespecie sonore, per fotografare il groove nascosto.

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text > Riccardo Vaia - photo > tratta dalla per-formance di Yves Klein “La Sinfonia Monotona”

È bene tenere vispa l’attenzione sul bersaglio finchéè a tiro ed essere rapidi, epigrafici. Eppure già ilbersaglio, mentre lo si mira, prende a mutare, ametamorfizzare, a slanciarsi di proteo in proteo: inrealtà di che cosa stiamo parlando quando parliamodi immagini e di suoni?, cosa stiamo cercando omeglio, cosa sta cercando noi?, cos’è un’immagine ecos’è un suono?, cosa e come deve occupare il nostrodiscorso e perché abbiamo ancora bisogno di questisimulacri per comunicarci in verità qualcos’altro?…Immagine e suono: vecchî, vecchissimi soggetti cheancora ingombrano la scena, l’agorà pubblico-mediatica di questi nostri tempi buî e muti (nel sensoche vanno ‘illuminati’ e vanno’ sonorizzati’)… Lerisposte condivise e non, si snocciolano ad ogniangolino di strada o di rete in cui s’inciampa, manessuna abbastanza seria e abbastanza rigorosa, chenon s’inzaccheri d’un tratto in un s’emmerderdeludente e ‘governativo’.Già. Forse il bersaglio è mutante perché siamo noi ilbersaglio e le proposizioni che annodiamo e licenziamonell’attesa di qualche illuminazione, di qualche ecoche ci soccorra, sono esse stesse a incendiarsi comepiccole micce fosforiche, come cerini nell’ombra, chel’ombra subito ingoia. Dalla nostra prospettiva non èsemplice avere una buona visuale per unatriangolazione di fuoco e tutto sommato il fuori-fuoco,l’out of focus, il blow up, la distorsione potrebberoanche farci comodo. Meglio così, a patto chequest’ennesimo modo di ricongiungersi con il ‘rizoma’almeno non sia una moda, una media, una mesotes,non diventi l’abbrivio per poter cianciare di qualsiasicosa, legittimati dalla deriva di tutte le nostreistituzioni, delle nostre cattedre e dei nostri massimisistemi…C’è da concentrarsi per contro tendendo i sensi alpunto di rottura, non tanto per ‘parlare’ di immaginie suoni, quanto per ‘coglierli’, per ‘catturarli’ quandoci passano sotto il naso, per denunciare noi, per primi,come stanno le cose e per non tacere di quantemenzogne ci siano in giro, per far arrivare al maggiornumero di persone possibile una véritable histoire ducinéma, parafrasando Godard, una véritable histoirede la musique, per ‘dire la verità’ insomma.Siamo circondati di immagini e di suoni, tanto daesserne avvezzi, nauseati, tostati. D’altra parte siamocircondati di ‘virtuale’, tanto da non accorgerci che ilvirtuale è già tutto ciò che non è qui, in questo

momento: virtuale dell’è inquanto già fuit, già passato,vissuto, defunto, o del sarà inquanto schermo proiettivo,video-catalogo di un tempo dilà da venire: cioè, in fondo, iltempo ci frulla e siamo noi ilvirtuale (è sempre lo stessoZenone a tenerci ancora abattesimo, anche nell’epoca delweb). Questa è la buona novellaimbellettata per la circostanza.Questo è il carosello che tienebanco. Nient’altro. Ben venganopoi, fatta la debita premessa,tutti i dibattiti sull’immagine esulla musica digitale-elettroniche, sui cripto-suoni ecripto-segni dell’aura digitale,sul mondo-diviso-in-beat dellepoetiche DJs, sull’acustica esull’ottica programmate, sulvideo-calamaio ecc. ecc. ecc. Ciòche deve essere palese fin dall’inizio è che suoni evisioni oscillano e beccheggiano nel divenire,minutamente intessuti di fili, di pixel, di bit, di punti,e che questo divenire non ha nessuna altra forma senon quella dei nostri corpi e delle nostre menti.Qualsivoglia psicologia del suono, delle sfere sonore,dell’immagine, dello schermo, del visus, della traccia,e chi più ne ha più ne metta, è da rigettarsi, comebolsa spazzatura di un’era neo-positivista econtroriformista che si ha il dovere di sputtanare, penauna stessa credibilità, anzi un silenzio dove perlomenofar roteare il disprezzo.Qualche frequenza di disturbo, un’ispida interferenza,scricchiolante e squamosa può farci al caso, magarisintonizzata, sul principio burocratico-gerarchico cheinficia l’oceano di vibrazioni acustiche e ottiche cuisiamo connessi dai sensi. Infatti capire e far capirecome si dibatta il potere al fine di gettare manciatedi oscurantismo sui nostri sogni-sensibili (da etimo),come esso castri la vera natura sonora e visiva, percastigarla in una prigione, in una monade donde nonpuò uscire vincitore altri che il mandatomonoculturale, identico, logico e normativo di unfascismo dell ’ascolto, tanto subdolo quantoparadossalmente ‘moderno’ a prima (s)vista, è un

Prende il via con questo numero diUltratomato una nuova rubrica di‘attraversamento’ tra suoni eimmagini, con l’intento dirinverdire i fasti dell’antico InnerCinema e rilanciare - se è dato unrilancio possibile oggi - su inedititerritorî d’avventura eavanscoperta...

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dovere morale; la vera natura dei suoni e delleimmagini è un’altra, è quella di essere delle ‘aperture’,degli ‘attraversamenti’ si diceva, dei ‘tramite’ chespalancano zaffate su altri mondi, su altre speculazionidel pensare o del de-pensare.Carmelo Bene sbottava spesso che la visione fosseuno ‘scandalo’, che non ci fosse mai stato “un filmche mi abbia fatto vedere la vista”, ripeteva: e avevaragione, perché quell’empasse è ciò che ci porta aun’immagine acustica, alla celia che un’immagine sialeggibile appena come musicalità, all’assunto che ladialettica è finita e sepolta. I campi si ibridano, leosmosi miniaturizzano i soggetti, la contaminazione(parola che non mi piace, ma che ricatto ad usum) èall’ordine del giorno. E mentre queste scie tratteggianoa lampi il cielo, c’è ancora qualcuno che si ostina ausare tre o quattro codici bislacchi e marioleschi, acercare il meccanismo di causa-effetto, a fare cinemanarrativo, come un romanzo dell’800 alla Dickens oalla George Sand, a fare musica sincronizzando pezzie strumenti, canticchiando intonandosi intorno a vocalidi una frase e mantenendo fissa l’altezza della nota,quando un secolo è passato (ma è ancora qui) con

gente come Ezra Pound, Joyce, Ejzenštejn, John Cage,John Zorn, Webern, Burroughs, David Lynch, MilesDavis, Klee, Jackson Pollock, Straub, e viadissennando… e quel che è peggio è il sottileaccomodamento a un’industria del consenso, checerte amenità durano e sublimano, senza fatica.Visivo è un silenzio musicale della voce, è una parolache mima un gesto, è un accordo che si sgretola neisuoi armonici e la ricchezza di questi armonici (semprepericolosa per il sistema) è la molteplicità di un cutcinematografico… oggettiva è la musica e l’immaginequando queste ‘risuonano’ oltre il comune concettodel senso e della logica. Oggettivo è il ritmo di unpiano-sequenza di Godard o la ricerca luminosa diuna serie dodecafonica di Pierre Boulez. Concerto puòdefinirsi un video di Syberberg e film può dirsi unapartitura semiografica di Cage. Geroglifico sonoro èl’immagine-papier di un regista come Greenaway esinestesia cinematica è il martellìo delle percussioniin Xenakis. Non per confondere le idee; piuttosto perchiarire le sensazioni!La sensazione è sovrana. Dal che Heidegger ci informache rappresentare significa: «Il far stare di fronte a

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noi la cosa come oggetto». Ecco qui. E se le cose inHeidegger hanno smarrito di spessore e consistenza,dopo l’oblio del loro tête-à-tête con l’Essere, siamodunque noi ad oggettivarci di fronte alla cosa. Omeglio è lo spazio tra noi e la cosa (l’entre-deux) che‘risuona’ in una rappresentazione, in un’immagine-acustica appunto. Nel rimpiattino estremo doveformicolano le nostre certezze, la rappresentazioneha addensato ancor di più l’inganno barocco di unBernini, le nubi di stucchi e oro dove si scancellaestatica una S. Teresa, i ninfei dove si educa unavegetazione esotica, cerebrale, umida e‘disonestamente’ rigogliosa, che in fondo è quellastessa dell’accumulo post-moderno del grande cartonecontinuo che fodera l’arredo urbano delle nostre cittàe delle nostre teste, quella stessa delle iper-superficinell’architettura e nella grafica odierne più aggressivee cool, quella stessa della ridondanza d’immaginario- che è tabula rasa d’immagine - dei video-game. Inciò postmoderno e barocco vanno davvero a braccetto– si è avuto modo di sentirlo dire, senza che fosseben spiegato perché -; come la polita poliritmia di unDJ Shadow va a braccetto con la fioritura polifonicadi un canone bacchiano dall’Arte della fuga.Nella lichtung, la radura luminosa al limitar del boscoche Heidegger inventa per parlare dell’immagine, ilmostrarsi e il ritirarsi della ‘Natura’ si decalca su unostesso brillìo di ‘luce’, in un giochetto casto e oscenodi svelamenti e nascondimenti (peraltro questa,insieme con quella di Narciso che si specchia, èl’allegoria più sincera di ciò che vuol dire ‘immagine’).… è fatta allora: immagine e suono sono segni,marche, tacche di una non-presenza delle cose a sestesse. Pacificati a questa verità non si può chemettersi in ascolto e diventare parte del ‘paesaggio’.Cioè anche: la prima inquadratura è quella giocatatra le palpebre, nel cut di un batter ciglio. Immagine-acustica (pontificava Carmelo Bene) - e mi piaceripartire da lì correggendo Heidegger - sarà se nonaltro: il “far stare di fronte a noi la differenza tra lecose e le immagini, tra le cose e i suoni come un

M. Heidegger, Cos’è la metafisica?, Firenze, LaNuova Italia, 1965.M. Heidegger, Essere e tempo. L’essenza delfondamento, UTET.M. Heidegger, Sentieri interrotti, La Nuova Italia.J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte,Milano, Feltrinelli, 1992.J. Baudrillard, Il sistema degli oggetti, Milano,Bompiani, 1972.J. Baudrillard, Il delitto perfetto, Milano, RaffaelloCortina ed., 1996.

Straub, Mosè e Aronne di Schonberg Ejzenštejn , Que Viva Mexico!

oggetto in divenire”. Una scrittura di effimeraimpermanenza che (non) ritorna, un gioco in between,un diversivo di specchî, alleato dei moti libertarî (chenon ci sono purtroppo in piazza) di un manipolo disperimentatori, un invito a una ‘congiura di Uguali’pronti a tutto, pronti ad aprire veramente gli occhî ele orecchie… o almeno a tenere alta la posta.

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Ogni tanto ci sono strane collisioni, mondi che siincrociano nelle intenzioni o nei fatti, e tu non l’avrestimai detto. Cosa può collegare la compassataattitudine nu jazz mitteleuropea di Jazzanova con losfavillante mondo hollywoodiano di Will Smith sospesofra Alì, i M.I.B., successi di rap commerciale emilionate di dollari ai botteghini dei cinema?Apparentemente, nulla. Ma come si vedrà alla fine diquesto ritratto/intervista con Jeff Townes, meglioconosciuto come Jazzy Jeff, si tratta di due mondiche possono essere visti come perfettamenteconciliabili fra loro – non per vezzo, ma per pacificaconvinzione.Per gli appassionati di hip hop, Jazzy Jeff non habisogno di molte presentazioni. Virtuoso dello scratchquando erano ancora in pochissimi a cimentarsi inquest’arte (parliamo degli anni ’80), produttore dibasi di cassetta al servizio del socio di vecchia dataWill Smith (il nome della ditta era Jazzy Jeff & TheFresh Prince), ad un certo punto sembrava esserescomparso dalle scene. Nessun disco a suo nomeprima di questo “The Magnificent”, nessuna presenzaesplicita nei lustrini del mainstream. Sembrava. Inrealtà, con uno spirito che gli fa onore, ha deciso didedicarsi allo sviluppo di un team di giovani artisticon base a Philadelphia, la A Touch Of Jazz. E’ perquesto che non si è fatto più vedere? “In parte sì, masolo in parte. E’ vero che questi sono anni in cui la ATouch Of Jazz ha portato via molto del mio tempo:siamo stati molto concentrati per completare al meglioil lavoro su Jill Scott, una persona dal talentostrabiliante che però non aveva ancora raggiunto ilriconoscimento che meritava. Ora che i suoi dischisono usciti possiamo davvero essere contenti delrisultato, il frutto del nostro lavoro è finalmente visibilee ci riempie di orgoglio. Ma non è solo per questo chec’è voluto tanto tempo prima di uscire con un miolavoro solista: il fatto è che se facevo uscire qualcosa,volevo farlo con un disco che fosse pieno di sostanza.Per me non sarebbe stato difficile buttare giù qualchebase e radunare un po’ di ospiti che ci cantassero orappassero sopra, ma non sarei stato onesto con mestesso se avessi fatto così. Far maturare il processocreativo è per me una cosa fondamentale, e puòrichiedere tanto tempo. Dato che me lo possopermettere, ho fatto le cose senza la minima fretta oscadenza precisa”. Oddio, sembrerebbe quasi peròche una precisa intenzione di Jeff fosse quella difuggire dal mainstream: “Non puoi mai fuggire dalmainstream! (ride) Prima di tutto, vorrei dire alcunecose riguardo a Will. Molti pensano che abbiamolitigato, che i nostri rapporti si sono incrinati… soloper il fatto che non escono più dischi a nome “JazzyJeff & The Fresh Prince”… beh, niente di più falso!Will è una bellissima persona che sono orgoglioso di

avere come amico, nonché un performer che ammirotantissimo. Penso che l’ammirazione sia tutt’orareciproca, anche perché recentemente mi ha chiestose mi andava di aiutarlo nelle sue prossime produzioni– è possibile che succeda, anche se al momentopurtroppo gli ho dovuto dire di no, vorrei primaseguire al meglio questo mio disco in uscita più alcunealtre cose che ho sotto mano. Ma in futuro facile chetorneremo a fare cose assieme, come del resto inquesti anni non abbiamo mai smesso di farenonostante magari non apparisse il mio nome sullacopertina. Comunque, tornando al discorso delmainstream: io in effetti non sono soddisfattissimodella musica che si sente in giro, però ci sono ancoracose validissime anche ai primi posti delle charts (Jay-Z, per dire). Il vero successo è un altro: partire dauna propria idea musicale e riuscire a farla apprezzaread un vasto numero di persone. I Masters At Work lohanno fatto, Pat Metheny lo ha fatto… ora la loromusica viene vista come mainstream, ma in partenzadi certo non era vista come tale!”.Una cosa assolutamente da chiedere a Jeff è qualisono i criteri con cui sceglie chi entra a far parte dellasua “famiglia musicale”: “E’ molto semplice: devonoessere persone creativamente libere. Non devonoavere paura di esprimere se stessi col massimo dellaspontaneità”. Detto così sembra facile, ma non pareche in giro ci sia poi tantissima gente con questaattitudine… “No! E’ un luogo comune quello che stianoscomparendo, io continuo ad incontrarne. E’ solo cheil nostro suono a livello di quella che è la grandeesposizione mediatica si sta appiattendo, ma a cercarebene c’è un numero incredibile di artisti di talentocon una forte personalità. Basta non cercare dicondizionarli inseguendo chissà quale legge dimercato, e metterli nella condizione di esprimersi almeglio. Questo è quello che mi propongo di fare conla A Touch Of Jazz, quando vedo che ci sto riuscendosono immensamente felice…”.Ricollegandoci a questa sua attitudine, nella tracciache apre The Magnificent i due rapper ospiti del pezzoad un certo punto dicono di lui una cosa come “nonha mai cercato di dimostrare di essere il migliore,anche se avrebbe potuto”; una cosa piuttosto inusualenel mondo dell’hip hop, dove le “questioni di ego”sono comunque una parte imprescindibile dellafaccenda, una specie di vero e proprio canoneartistico: “Beh, effettivamente penso che le cosestiano così, nel senso che non mi è mai assolutamenteinteressato dimostrare di essere “il migliore”, ocomunque uno “incredibilmente bravo”. Nell’hip hopci sono molte questioni di ego, lo so, però mi sentomolto lontano da questo; ma questo è il mio caratterefin da piccolo, fin da quando ragazzino andavo a

Per molti “The Magnificent” di Jazzy Jeff sarà un gran bel disco di musica black di classe, hip hop di raraeleganza e anche di una certa discrezione. Nulla a che fare col rap che sbanca le chart americane, e distanteanche dalle spigolosità, ora molto di moda, di gente come Anti Pop Consortium ed El-P. Una specie di “terzavia”, se vogliamo, che attinge al patrimonio della musica black cercando il suono bello ma non stucchevole,levigato ma non commerciale, cercando una soffice linearità piuttosto che spigolosità avanguardiste. Maquel che è da sottolineare è che Jazzy Jeff non è un personaggio che viene dal nulla: è uno che ha fatto lastoria della musica nera degli ultimi anni, vuoi quella da classifica, vuoi quella di grande qualità e ricercatezza.Solo che non si è mai preoccupato troppo di farlo sapere in giro…

MAGNUMILTA’

IFICHEtext > Damir Ivic - photo > Mike Diver

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giocare a basket e non mi interessava fare numeri adeffetto per impressionare la gente… inoltre, ci terrei adire che la musica è musica, non è una gara sportiva incui devi vincere delle gare o battere dei record”.Davvero, non è molto comune sentire un americanoparlare così. Così come non è molto comune sentire unamericano pronunciare una frase come “Io amo quelloche sta succedendo in Europa! La musica di gente comeJazzanova o Saint Germain è fantastica!”. E’ vero chel’hip hop è nato attingendo anche al patrimonio musicaleeuropeo (i Kraftwerk è l’ovvio esempio), ma sono ormaianni che ha trovato una sua legittimazione vuoi nelleclassifiche vuoi nel fatto che anche le scene più di nicchiadel rap europeo, quelle fuori magari dai circuiticommerciali, tendono a ricopiare gli stilemi statunitensi.Con la conseguenza di una frattura netta fra mondodance/breakbeat e la scena hip hop, cosa inimmaginabiledieci anni fa. L’una non guarda l’altra, l’una vede l’altrastatica e poco interessante, l’altra considera l’una fighettae laccata. E se fosse il momento di ricomporre questaguerra? Se fosse almeno il caso di tornare a parlarsi,tenendo comunque ben differenziate le due storie edidentità? In realtà, questa è una divisione netta che vienefatta più dagli ascoltatori che dai musicisti stessi. Ed èuna divisione che soprattutto ha preso piede in Italia,mentre in Inghilterra così come in altri paesi è già moltomeno marcata. Intanto, Jazzy Jeff ci dice queste parole,un gran bel messaggio distensivo: “La musica della clubculture europea che a me piace è conosciuta pochissimo,e infatti uno dei miei obiettivi è quello di farla conoscereil più possibile, qua dalle mie parti. Io sono convinto chele novità musicali più fresche, taglienti e coraggiose stianoarrivando in questo momento proprio dall’Europa.Abbiamo molto da imparare. So che in America questonon è un discorso molto popolare, non siamo abituati adimportare musica da altre parti. Ma dobbiamo smetterlacon questo tipo di atteggiamento. Dobbiamo capire, noiamericani e non solo, che il mondo non è più fatto diisole separate e non comunicanti fra loro. L’unico criterio

che deve cominciare a guidarci è il fatto di andare lì dovesentiamo più libertà creativa, come ascoltatori e anchecome musicisti. Ecco perché vedo con grande interesseil fatto che alcuni mc americani abbiano trovato contratticon label europee… non abbiamo che da guadagnarne,da questi scambi reciproci! Sottolineo infine anche cheio poi ho scelto la BBE, etichetta inglese, quando potevotranquillamente accasarmi con qualche major americana.Ma c’è una cosa che i soldi non potranno mai comprare,almeno per me: la libertà creativa, la libertà di seguire ipropri tempi, i propri gusti, le proprie direzioni”.

Jazzy Jeff - The Magnificent (Rapster)www.rapsterrecords.com

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Parlando nei giorni scorsi con il resto della redazione diUltratomato, si conveniva su come dovessimo cercare divalutare obiettivamente le opere musicali, senza peròdimenticare la valenza dei personaggi che le esprimono,cercando di farla trasparire dalle nostre parole.L’importanza della storia, quindi, l’importanza del passatoin rapporto a un presente più o meno scintillante.Questa introduzione al nuovissimo – e spasmodicamenteatteso – album di Layo & Bushwacka!, perché, al di làdel risultato ottenuto qui ed ora, dev’essere ben chiaro ilpeso di questi due artisti nella scena elettronica europea.Matthew Benjamin aka Bushwacka! è uno dei più richiestiproduttori e remixer dell’ultima generazione – vediDepeche Mode, Danny Tenaglia fra i vari clienti -, grazieanche al rispetto creatosi attorno alla sua seminaleetichetta breakbeat, la Plank Records. Leo Paskin akaLayo, invece, è il dandy del combo, fautore – insieme albuon Mr C ed alla sua famiglia – del famosissimo edidolatrato The End, uno dei più rappresentativi clubd’Albione.Dall’unione di questi due pesi massimi, è scaturito quelLow Life che è da considerarsi come primo passonell’universo trasversale della coppia, gravitante frasensibilità breakbeat, ritmi hip hop, incedere house,atmosfere techno, giochetti electro e tanto altro.Dopo quattro anni trascorsi ad imporsi a livello mondiale,fra remix, residenze in club esclusivi - lo Space di Ibizaed il brasiliano Sirena ad esempio -, bootleg bomba comeil Billy Jean di Jacko, firma per la rinomata XL Recordings,eccoli finalmente di ritorno sulla lunga distanza. Anticipatodall’hit travolgente Love Story, Nightworks in realtà siapre con due introduzioni atmosferiche, fra echi discratch, secchi beat hip hop, accenni di tribale e i cut upvocali, elementi poi interamente sviluppati in quello cheè, a tutti gli effetti, il vero primo pezzo, Shining Through,

meraviglioso breakbeat percussivo che trova il suospleen nell’avvento chitarristico a metà opera.Nightworks si dimostra un effettivo fluire, quasi unconcept-album che si racconta ininterrottamente,scivolando di episodio in episodio, anche grazieall’utilizzo di perfetti intermezzi come Sahara,quaranta secondi di latenti intrecci orientali adintrodurre il downbeat spezzato di We Met Last Night,melodicamente sostenuto da un assolo di prog guitare da un pianoforte accennato, con uno stupendoinserirsi di basso. Mainling è un altra breve parentesinotturna, assolutamente d’impatto e vagamenteinquietante, ad anticipare i l breakbeat piùmovimentato di Let The Good Times Roll che, comeLove Story, accoglie contributi vocali di una superbaNina Simone, portatrice sana di raffinatezza e pathosnei ritmi sincopati dei Nostri. All Night Long è ungiochino ritmico dall’ottica danzante, in continuaevoluzione fra beat spezzati ed algida house, mentreStrike è pura presentazione all’ottima SleepyLanguage, scurissimo slowbeat rarefatto, graziato dauna voce filtrata e da elegantissimi fiati che donanogrande profondità.L’album procede come fosse una colonna sonora,incentrato più su un approccio bedroom chedancefloor, affascinando grazie ad una produzionecuratissima ed a costruzioni sonore levigate ad arte;è proprio in questo senso, il languido incedere di BlindTiger, sublimato da vocalizzi soul e contesto jazzato,assolutamente magistrale nel suo intreccio dipianoforte e beat, con contrabbasso portante. Proprionel finale, dopo un altro minuto di suoni ambient,arriva lei, la regina dei club, Love Story, in versioneradio edit, con la sua leggiadra partenza, il suo fascino,il maestoso crescere, illuminato da quella voce; intutto e per tutto, un capolavoro. A chiudere il viaggio,2MRW, con secche ritmiche e sensibilità detroitiane,giusto a confermare la personalissima trasversalitàdel duo. Se avete compreso il passato, sappiate cheil presente è splendido.

LAYO & BUSHWACKANIGHTWORKStext > Valerio Tamagnini - photo > Press Agency

Layo & Bushwacka! - Night Works (XL)www.xl-recordings.comwww.the-end.co.uk

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In un modo o nell’altro, tutti abbiamo la Mano Negranel cuore, anche se magari non lo sappiamo. Laventata di energia e capacità di combinare elementiche il gruppo ha portato nella scena musicale è unpatrimonio ancora oggi preziosissimo, un patrimonioche viene usato anche da chi non ha magari nemmenoun loro vinile a casa. Sono passati sette anni dalloscioglimento ufficiale; che è successo dopo? Di ManuChao sappiamo vita, morte e miracoli. Molto meno siè parlato di un altro spin off, quello dei P 18, il progettocapitanato da quel Tom Darnal che dei Mano Negraera tastierista (nonché parte importante nella graficache contrassegnava i prodotti del gruppo). Dei P 18va detto prima di tutto che hanno fatto negli anni unmare di concerti (sono passati anche per l’Italia), ilche è sempre una bella cartina di tornasole. Eppurenon hanno mai avuto grande attenzione da parte deimedia. Peccato, perché nei P 18 sopravvivono belleattitudini manonegresche. Dopo il debuto con “UrbanCuban”, con l’attuale “Electropica” le cose si fannoancora più interessanti: c’è sempre un forte elementocaraibico, ma negli ultimi tempi Darnal ha preso afrequentare con più insistenza ambienti elettronici, ela cosa nel disco si sente. C’è dietro le quinte uncontributo di Laurent Collart (“Laurent Collart è unomolto in gamba. Ha lavorato per alcuni anni con la F

text > Damir Ivic - photo > Eric CatarinaNEONEONEONEONEOTRTRTRTROPICALISMIOPICALISMIOPICALISMIOPICALISMITROPICALISMI

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Comm: insomma, è uno realmente addentro al megliodella scena elettronica”), c’è un primo brano –probabilmente il migliore del disco – per la cui stesuraDarnal dice di essersi ispirato all’Adam F di “BrandNew Funk”. C’è in generale questa commistione fraun forte carattere “etnico” della musica (in questocaso, caraibico) e un’elettronica che tenta di esserepresente ma non invadente. Non è un disco dielettronica, “Electropica”; ma è come se fosse l’altrafaccia della medaglia, più rock-based, del tentativointrapreso da Frederic Galliano con le sue suggestioniafricane. Più in generale, i P 18 sono un idealtipo daseguire con attenzione, perché siamo pronti ascommettere che negli anni saranno sempre di piùquelli che tenteranno di combinare l’elettronica colloro abituale approccio musicale. Con quale spirito?“La mia relazione con la club culture? Eh eh eh…quando vado in un club, beh, sono così stonato chenon sento neanche com’è la musica… questa è la miarelazione con la club culture! Scherzi a parte, agliinizi degli anni ’90 mi sono interessato anche io atutte le cose che stavano venendo fuori, la house ecose così, ma non mi è mai venuto in mente diprodurre musica simile. Sai, ero coi Mano Negra, nonavevamo rapporti con questo tipo di produzione. Iprimi anni dell’acid house inglese mi hanno però

davvero esaltato, mi sono divertito un sacco in queglianni. Alcuni miei amici di Londra, eravamo amiciperché essenzialmente suonavamo musica funk, mifecero per la prima volta sentire un nastro di puraacid house. La mia prima reazione fu: come diavolopossono fare una cosa del genere?! Io eroappassionato della scena electrofunk, gente come iMaterial, Mantronix, Afrika Bamabaataa, questo tipodi suono. La house però andava oltre. Coi Mano Negraperò ci capitava di andare spesso in Inghilterra…capisci che i Mano Negra non erano il tipo di gruppoche alla fine del concerto se ne stava in albergo:andavamo in giro, alla ricerca delle cose più strane evitali. Fu inevitabile ad un certo punto entrare incontatto con la scena dei rave, seppur in manieramolto sporadica e superficiale.”

E’ possibile recuperare dei punti di contatto fral’energia della scena rave e quella che invececontrassegnava la Mano Negra?“Penso che effettivamente ci sia una connessione fral’energia che si trova in un rave party e quella chenoi come Mano Negra sfornavamo con la nostrapatchanka; ma faccio fatica a definirla di preciso,questa connessione. Probabilmente sta tutto in unaattitudine simile.”

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Ma i P 18 si sentono più vicini alla Mano Negra o aun, per dire, Laurent Garnier?“I P18 non sono vicini a Mano Negra o viceversa ad unLaurent Garnier, non quanto lo possano essere invecenei confronti dei Funkadelic: sì, George Clinton puòessere indicato come il nostro vero riferimento. Abbiamoun sacco di musicisti, siamo un vero collettivo, ci piace“occupare” il palco.”Per la vostra forte attenzione all’elemento etnico,nel vostro caso cubano, mi viene abbastanzaspontaneo fare un paragone con quanto stafacendo un altro francese, ovvero FredericGalliano…“Sì, conosco Frederic, abbiamo anche fatto un po’ diconcerti insieme. Ho comprato “African Divas”, e lo trovoun disco splendido. Apprezzo veramente la sua visionedella musica.”Trovi che sia simile alla tua?“Sì, è simile alla mia.”Sei uno che ascolta molti cd di altri musicisti, opreferisci invece concentrarti quasi esclusivamentesu quello che fai tu?“Ascolto un sacco di musica ogni giorno, sempre. Inoltre,lavorare nella musica ti consente di avere a disposizionemolti cd in anteprima, e io ne approfitto a piene mani. E’una fortuna.”Qual è il tuo rapporto con la parte commerciale/professionale dell’esser musicisti? La Mano Negraha sempre tentato di avere un approccio nonconvenzionale sotto questo punto di vista…“Devo dire che la mia impressione è che come P 18 nonabbiamo mai avuto il supporto che meritavamo; e parloanche dei media. Non siamo molto bravi a muoverci neicircuiti commerciali della musica. Però: io ho quindicipersone da mantenere, fra musicisti e tecnici del suono,questa è una cosa che non posso ignorare. Il dato difatto comunque è che l’industria discografica ogni annoè sempre peggio. Quando ho cominciato a fare ilmusicista (ero un punk rocker, con tutto quel che neconsegue) già vedevo che le cose erano messe male;quello che all’epoca non sapevo era che ogni annosarebbe stato peggio. Guarda ai giorni d’oggi: l’industriaè tutta concentrata nel creare boy band. Stannodefinitivamente tentando di richiudere la musica dentrodei format commerciali e commerciabili. Che è come sefossimo tutti obbligati a mangiare ogni giorno lo stessocibo (per giunta, manco tanto buono).”

Hai la paura che questoprogressivo orientarsi dei P18 verso l’elettronica sia vistocome una ricerca diintercettare un bacino piùmodaiolo, o comunque unaltro mercato più o menoredditizio?“Sì, posso avere questo tipo dipaura. Anche l’elettronica ha ilsuo mercato: ha la sua nicchia, ilsuo bacino di ascoltatori, il suo

giro di riviste specializzate. Tu che mi stai intervistandopenso lo sappia molto bene. Ma vedi, se io avessi volutofare i soldi mettendomi a fare musica elettronica, non ciavrei messo dentro tutti questi elementi sonori caraibici.Avrei chiamato un po’ di vip a farmi le voci, oppure deiremix… ma pensi che abbia fatto “Electropica” colsemplice intento di guadagnarci sopra più soldi possibile?”Direi di no.“Sia chiaro: se uno, magari dopo aver suonato per annie anni, decide di provare a lavorare per sfornare una hit,fare un colpo grosso che sbanchi le classifiche e riempiail suo conto in banca, io in questo non ci trovo nulla dimale, nel momento in cui so che è un musicista serio eche per anni si è fatto il mazzo. Ma questa cosa non faper me. Probabilmente non sarei neanche capace di farlo.La musica che di solito sta in cima alle classifiche in lineadi massima non mi piace: ecco che quindi per me sarebbedavvero difficile riuscire a farla, e a farla funzionare.Andrei in giro con un “oddio cosa sto facendo” stampatosulla faccia – cosa che non ti aiuta molto a vendere dischi,credimi.”E se fosse magari proprio la diffusione della musicaelettronica nel mainstream l’evento capace discombinare le carte in tavola, capace di confonderevecchie certezze, e quindi vecchie divisioni fra cosaè commerciale e cosa non lo è?“Penso di sì, penso che possa accadere. Negli anni ’90 lamusica elettronica si è sviluppata anche perché potevaessere fatta usando strumentazioni a basso costo. Questoè sempre un bene, è un processo di democratizzazione.Eri finalmente nella condizione di fare ottima musicaanche se non avevi i soldi per pagarti musicisti e ore diregistrazione in uno studio. Questo processo continua,all’interno delle stesse strumentazioni elettroniche: ognianno che passa si fanno più efficienti e raffinate, quelloche prima potevi fare solo combinando più macchineinsieme ora ti viene risolto nella metà del tempo con unquarto del costo con un decimo del materiale – senzaperdere nulla in qualità sonora, anzi. Ogni giorno chepassa hai sempre più possibilità, quello che prima poteviottenere solo con degli strumentisti in carne ed ossa oralo ottieni premendo un bottone. E’ come avere più freccenel proprio arco. Col risultato che non sono più solo glialtri a dirci cosa fare, e a darci la possibilità di farlo.”

P 18 - Electropica (Virgin)

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HIS MAJESTYHIS MAJESTYHIS MAJESTYHIS MAJESTYHIS MAJESTY

PAULOAKENFOLD?

L’Europa si fa sempre più unita, almeno nell’industriadell’intrattenimento: se si guardano le classifichedei diversi paesi, la somiglianza si fa sempre piùtotalizzante (i più cattivelli potrebbero parlare diomologazione). Le stesse boy band, gli stessiGeorge Michael, le stesse Shakire. Ogni tanto c’èqualche gloriosa eccezione, icone nazionaliinesportabili come Johnny Hallyday in Francia oVasco e Ligabue in Italia, ma si tratta per lo più digente che segue canoni musicali non attualissimi,gloriosi bastioni di retroguardia dello spirito del poprock vecchia maniera. Bene o male tutta la nuovamusica nata negli ultimi dieci anni, che sia rock opop o elettronica, ha le potenzialità per essereesportabile, soprattutto le ultime due categorie.Anzi, spesso si arriva al paradosso che alcuni gruppisono più famosi all’estero che in patria.E’ quindi davvero con attenzione che bisognaapprocciare il fenomeno-Oakenfold. Perché qua in

text > Damir Ivic - photo > Anton Corbijn

Italia, davvero, non siamo mai riusciti adinquadrarlo per quello che è il suo effettivo valore,la sua effettiva importanza, la sua effettiva(smisurata) fama. Oakenfold è in Inghilterra,semplicemente, il numero uno. Il numero unocome importanza, come potere, come esposizionenei media per quanto riguarda i dj. Considerandoche l’Inghilterra è il punto di riferimento assoluto(molto più dell’America) per quanto riguarda lamusica fatta da dj, fate un po’ voi. Oakenfold èun po’ un archetipo, è una sigla, è “il” dj perantonomasia quando bisogna spiegare allacasalinga di Voghera (di Southampton?) cos’è undj e perché è diventato così influente nella culturacontemporanea. Come è arrivato a questo?

La storia parte in profondità, giù negli anni ’80.Paul Oakenfold è un ragazzo sveglio con, diconole leggende metropolitane, velleità da cuoco

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ad Ibiza, la prima volta che andai all’Amnesia.Questa era la mia cosa, questo era quello checercavo. E l’ho fatto prima di quasi tutti gli altri…perché senza false modestie sono empre stato unoaffamato di novità. Quando ancora nessuno dei djinglesi mixava, io lo facevo, perché l’avevo vistofare a New York, anche se il deejaying non era certola mia prima attività”. Il punto sarà anchel’eclettismo, ma un ruolo importante lo gioca lascomparsa dell’ingenuità: i “quattro fessi”, Paul egli altri, smetteranno di affidarsi solo al caffè,durante quel settembre 1987 a Ibiza. Girare peruna settimana esclamando “E’ stupendo, ragazzi!”non sarà solo effetto della caffeina: “L’ecstasy èuna cosa che ti fa pensare “posso farlo – lo farò!”. Ecosì lo fai”.

Una volta tornato in Inghilterra, Oakey e i suoi socidanno perciò inizio alla saga dell’acid house.Rampling con le sue seminali serate chiamate“Shoom”, volutamente tenute in un locale piccolo edalle frequentazioni molto selezionate. Oakenfoldè invece il primo ad avere il coraggio di credere neigrandi numeri, nell’infinito successo di folla. Dopoalcuni primi tentativi, non tutti completamenteriusciti, fa il botto con la serata “Spectrum”,riuscendo a riempire nella di solito pessima seratadel lunedì sera una discoteca grossa quale l’Heavendi Londra. Pensare in grande. La marcia in più diPaul Oakenfold. Ma non è solo questione di saperfare bene di conto e di essere imprenditori baciatidal successo. La sua reputazione musicale va di paripasso, sa gestire molto bene il titolo acquisito sulcampo di gran sacerdote e pioniere dell’acid house.Anni e anni passati negli ingranaggi dell’industriadiscografica degli anni ’80 non sono certo stati inutili,impartendo insegnamenti che possonotranquillamente essere usati pure in questa nuovamusica visionaria, l ’house, questa ineditasublimazione astratta di funk disco ed electro messiinsieme… o anche, se preferite, questa “musica dimerda per froci sfigati” (questo si sentì dire il djMike Pickering la prima volta che la suonò a Londra,e Pickering è accreditato per essere il primo dj adaver importato l’house in Inghilterra, anche se iltitolo è ancora incerto). La mossa decisiva nellacarriera di Oakenfold è decidere di produrre nel 1990“Pills, Thrills And Bellyaches” degli Happy Mondays,reucci della vita notturna e sregolata di Manchester,nuovi ambasciatori della cultura dei rave con la

professionista ma soprattutto una grande capacità di fiutarel’aria. E’ in questa maniera che entra nell’organicodell’etichetta Champion e in breve tempo ne diventa A&R,approfittando anche di una permanenza a New York di unpo’ di mesi, in cui si guarda attentamente in giro. Tornacon una notevole sensibilità nei confronti del nascentemovimento hip hop e convince la Champion a puntare suun paio di nomi allora semisconosciuti, Salt’N’Pepa e JazzyJeff & The Fresh Prince: acts che negli anni raggranellerannovendite multimilionarie (del secondo, basti dire che dietroall’alias Fresch Prince ci sta Will Smith, icona pop che orasi divide fra Hollywood e il rap più commerciale e redditizio;di Jazzy Jeff potete leggere nelle pagine di questo UT…),ma che comunque fin dall’inizio fanno lievitare lareputazione di questo ragazzino inglese piuttosto sveglio.Arrivano le chiamate prima della Profile e poi della DefJam, autentici colossi della discografia, Oakenfold si trovaad essere il primo referente in Inghilterra per gruppi dallafama già all’epoca gigantesca come Run DMC e BeastieBoys. E’ lì che impara per davvero cosa si deve fare per fardiventare la musica “qualcosa di grosso”: pensare ingrande… non sono in tanti a saperlo fare.

Settembre 1987, isola di Ibiza: “Fondamentalmente quelloche si vedeva erano quattro tamarri inglesi che giravanoper San Antonio al grido di “E’ stupendo, ragazzi!”. Noicredevamo di essere a posto, mica di fare la figura deifessi, ma se ci pensiamo un attimo probabilmente quellafigura l’abbiam fatta dappertutto”. Tamarri, probabile. Fessi,è tutto da vedere. Certo, quella appena descritta è unascena che si ripete in maniera seriale ad Ibizia, migliaia dimiliardi di volte, da quando Franco decise di puntare lefiches per risollevare la collassata economia spagnola sulturismo, facendo costruire nel 1967 l’aeroportointernazionale di Ibiza. Qualche anno di rodaggio, in cuil’isola era essenzialmente metà di hippies accorti e turistiin cerca di incontaminata tranquillità, e poi è arrivata lafuribonda britanizzazione a colpi di voli charter. Infinitequantità di “quattro fessi tamarri inglesi” sono passate eripassate per l’isola, attirate da sole mare pesetas svalutatebirre e, certo, droghe, ammaliate da discoteche (Amnesia,Pacha, e poi mille altre) così diverse dai claustrofobici clubdi casa loro. Infinite. Ma è davvero importante riuscire arecuperare “quel” settembre 1987 con “quei” quattro fessi…Di chi si trattava? Il quartetto era stato invitato da TrevorFung e Ian St. Paul, due inglesi che con l’isola balearicaavevano già una certa familiarità. I quattro fessi? Uno, ilproprietario della ironica autodescrizione di cui sopra, eraNicky Holloway. C’era poi il suo socio Danny Rampling,dilettante velista e dj soul a tempo perso sulla radio piratalondinese Kiss FM. Il terzo, un altro dj, Johnny Walker,trentenne con una certa reputazione nel giro funk dellacapitale. Ed infine c’era Oakenfold, che era un po’ l’ospited’onore in quanto questa vacanza ibizenca era nata comeun’idea per festeggiare il suo ventiseiesimo compleanno.E’ un momento importante, perché è proprio durante questasettimana ad Ibiza che Oakey verrà definitivamenteconquistato dallo “spirito di Ibiza”: “Nasce tutto dai mieiviaggi a New York: è lì che mi sono imbattuto nelle serateal Paradise Garage gestite da Larry Levan. Pazzesco. Lesue serate lì duravano per tutta la notte. All’epoca eromolto ingenuo, mi ci vollero sei settimane per capire chela gente riusciva a ballare tutto questo tempo solo graziealle droghe, io tiravo avanti a furia di caffè. Ma non eraquesto il punto: ciò che era fondamentale per me era lamusica, sentivo suonare Clash e Queen in mezzo a pezzidisco e soul, un eclettismo che in Inghilterra non esisteva.Lo stesso eclettismo che poi ho ritrovato in Alfredo Fiorillo

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capacità di combinarla, musicalmente parlando, convecchi e collaudati stilemi pop, rock e funk, per quantoriletti in chiave semidelirante. Il risultato è un discoche è una pietra miliare nella sua capacità di respirarelo spirito dei tempi, di rinnovare il concetto di rock eal tempo stesso di dare dignità nazionalpopolare allevibrazioni house. Il successo del disco manderà iMondays giù di testa (dall’uso di sostanze stupefacentisi passerà all’abuso…), mentre Oakenfold mantieneuna fredda lucidità e una grande sapienza strategica.Questo è il momento fondamentale della sua carriera,la consacrazione simbolica arriva comunque un paiod’anni dopo quando remixa “Even Better Than TheReal Thing”: la sua reinterpretazione arriva a venderepiù copie del singolo originale (!!)… la popolarità diOakenfold si fa inscalfibile.Nasce la Perfecto, la sua personale etichettadiscografica. Si rafforza un alone di leggenda attornoalla sua figura di dj, anche grazie a strategie astuteche lo portano nella seconda metà degli anni ‘90,proprio nel momento in cui tutti i dj cercano dimonetizzare il loro nuovo ruolo di Pastori Di Folle, arifiutare un sacco di chiamate in giro per il mondoper concentrarsi sulla sua residenza settimanale aLiverpool, “Cream” – manco a dirlo, diventerà unevento di autentico culto, in cui Paul affinadefinitivamente la sua inconfondibile cifra musicaledi house/trance in bilico fra facili morbidezze e cupemalinconie. Il passaggio fra i due millenni vede Oakeyimpegnato a compiere l’ultimo passo che gli manca,conquistare l’America. Facile che ci riesca. Intanto, siè già appaltato la colonna sonora di “Swordfish”, filmad alto budget con Travolta come protagonista. Nelfrattempo cura con feroce attenzione lo sviluppo dellaPerfecto: va a pescare artisti in ogni angolo del pianetapur di trovare gente che abbia sì un tocco personale

ma che si inserisca alla perfezione nel filone sospesofra tech-house e trance che contrassegna la label.Scopre e mette sotto contratto il tedesco Timo Maas(non c’è bisogno di presentazioni…), gli israelianiFlash, l’argentino Hernan Cattaneo, l’italiano Nilo(Daniele Davoli), i russi PPK… Per uno che potrebbepermettersi di fare dj set strapagati per il resto dellasua vita fregandosene di andare a scovare nuovitalenti in zone strane del mondo, non è male, no?Arriviamo ad oggi, arriviamo a “Bunkka”. Il primo verodisco di Oakenfold, in cui lui non fa il remixer ol’assemblatore di pezzi altrui. Una lista di ospitipiuttosto sfiziosi (l’inedita accoppiata Tricky / NellyFurtado, Emiliana Torrini, Perry Farrel; ma anche,incredibile!, lo scrittore Hunter S. Thompson…),qualche caduta di tono ma anche pezzi di alta qualità(come il singolo “Ready Steady Go”) che ridefinisconoi confini di una musica elettronica che possaconquistare anche le playlist radiofoniche e larotazione su MTV senza per questo rinunciare allaqualità. La stampa inglese, in maggioranza, si divertea prendere a pallettate il disco, fioccano le stroncaturee i brutti voti. Ma il malanimo è troppo eccessivo peressere vero, la cosa è fin troppo evidente. Troppavoglia di sparare contro uno che sostiene serenamentedi essere il Numero Uno. Infatti, non è per nulla uncaso, in Italia l’album sta avendo un’accoglienza bendiversa. Qua Oakenfold non è Il Personaggio, non èIl Dj, lo si può giudicare con animo tranquillo, cadutedi tono comprese. Qua la rivoluzione dell’acid houseci è arrivata solo per folate successive, rarefatte, senzamai diventare un autentico fenomeno di massa senon nelle sue formule più innocue e annacquate dadiscoteca house commerciale del sabato sera(domenica, liscio!), tranne rare eccezioni. Ecco perchéfacciamo fatica a comprendere l’alone che circondala figura di Oakenfold… rappresenta (e comanda) unmondo che l’Italia ha a malapena osservato, mentreda altri parti è mainstream puro. Ma forse è megliocosì, per una volta. Che parli la musica.

Paul Oakenfold - Bunkka (Perfecto)www.pauloakenfold.comwww.perfecto-fc.com

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Paul Pesce detto Peshay, un nome che per ildrum’n’bass è stato lungamente sinonimo didrum’n’bass con venature jazzy e giri di bassofunk. Ora, a distanza di qualche anno, torna abuttarsi nella mischia con “Fuzion”, un nuovoalbum che sposta le coordinate del suo suonoverso la disco, il soul e la house, intese comeinfluenze all’interno della matrice jungle. Peshayha anche sancito ufficialmente questo cambio disonorità cambiando nome alla sua label personale,da Pivotal (per la quale il nostro DJ Rocca inciseanche il seminale “Made In Italy”) alla nuovaCubik. Deciso ad esplorare l’altra faccia deldrum’n’bass, quella metà solare che incontrapposizione al dark side del d’n’b è rimastaa lungo schiacciata sul dancefloor dalla“pesantezza” dei groove tech step. Ma si vociferaormai da tempo che la d’n’b più raffinata stiafinalmente abbattendo le resistenze anche delpubblico più hardcore e Peshay è l’uomo che piùdi tanti altri merita la “leadership” in questo senso.In realtà, più che di nuova direzione ci sarebbeda parlare di evoluzione nel caso di Peshay cheda sempre è stato attento al lato funk del d’n’b,anche se, per sua stessa ammissione, quando èin consolle preferisce mescolare diversi stili inambito d’n’b per evitare di cadere nell’errore diessere monotematico. La visione di Peshay deld’n’b è quella di un universo fatto di tanti diversicolori e sfumature con un denominatore di velocitàcomune.I nuovi singoli estratti da Fuzion, “U Got MeBurning” e “Satisfy My Love” sono già due megahit nei club d’n’b del Regno Unito ma hanno, asorpresa, suscitato anche l’entusiasmo di buonaparte della schizzinosa scena house britannica,specie da parte degli estimatori di un certo stile“disco garage”. In pratica Peshay si è trovatonuovamente proiettato nella scena più cool deld’n’b senza averlo cercato più di tanto masemplicemente seguendo un suo intraprendentepercorso stilistico, al di là delle mode. D’altrondeil “pesce” di origini italiane non ha mai avuto pauradi sguazzare fuori dalle proprie acque territorialie sperimentare come era evidente anche nel suopenultimo album “Miles From Home”, in cuibreakbeat, funk, disco, soul, hip hop facevanocapolino in diverse tracce lasciando spiazzaticoloro che si aspettavano un album di pura jungle.“Miles From Home” in realtà si rivelò uno deimomenti più difficili della carriera di Peshay che,a causa dei ritardi di pubblicazione da parte dellaMo’ Wax (ai tempi oberata di lavoro a causa delmonumentale/fallimentare progetto Unkle), si videcostretto a farlo uscire per la major Island quandogià stava costruendo nuove direzioni sonore. Tragli ospiti figurava l’outsider della jungle perantonomasia Photek (non a caso deciso anch’essoad esplorare velocità fuori dai canonici 170 bpm)

text > Alex Dandi - photo > press agency

THE COMEBACKPESHAY

e per qualche tempo le due P del d’n’b sembraronoveramente degli outsider; ma ora non è più così,per lo meno per Mr. Peshay.Il rispetto di cui gode Peshay tra gli addetti ailavori e tra il pubblico è quasi incondizionato,grazie anche ai suoi esordi alla corte di Goldiedurante la lavorazione delle prime produzioni dei4 Hero per la Reinforced, label per la quale debuttòcon l’Ep “Protegè” nel ’93. Dalla Reinforced ilpassaggio alla Metalheadz risultò quasi obbligatocosì come le uscite di diversi 12” per la morbidaGood Looking di LTJ Bukem. Ma la fama e il rispettoPeshay se l’è conquistato sul campo portandoavanti il suo suono anche nei momenti più difficili,come i già citati problemi con la Mo’ Wax e i seriproblemi di salute che lo costrinsero adabbandonare le scene per un paio d’anni.La tenacia nel perseguire gli obiettivi dev’essereun’altra delle caratteristiche di Peshay, alla lucedel fatto che ha sempre preferito evolvere il suonoparticolarmente melodico anche in un momentoin cui sembrava più facile conquistare le plateecreando beat sempre più duri, sempre più velocie sempre più ripetitivi. Mantenere uno stilepersonale è costato a Peshay qualche critica perquanto riguarda l’effettiva discontinuità nel livelloqualitativo delle sue produzioni capaci diimprovvisi guizzi di genio a livello compositivo(senza eguali nella scena d’n’b) ma anche disoluzioni formali troppo azzardate. Ma una delleprerogative del suono di Peshay è proprio quelladi fondere suoni diversi in un insieme inedito evolutamente spiazzante, caratteristica che sievidenzia nei suoi dj set, sempre sorprendenti edelettrizzanti.

Peshay - Fuzion (Cubik)www.discogs.com/artsit/Peshay

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VOGLIO ESSEREIL NUMERO UNO...(DOPO TREVOR JACKSON)

Il primo incontro fu casuale, un distratto sguardo alloschermo che mandava in rotazione video più o menobelli. Il volume del televisore era basso per cuimancava l’elemento capzioso dell’ascolto, quello chemi attirava e mi costringeva a concentrare la miaattenzione era un robottino che si dimenava su unaluccicosa pista da ballo da Fever Night nello spazio.Alzai il livello della musica e d’incanto sprofondaibeatamente in un Paradiso di sensazioni, qualcosache il mio organismo aveva conosciuto nel tempo: avolte erano infezioni che avevo combattuto e che glianticorpi riconoscevano a distanza, altre volte eranosostanze nutritive che il sistema digestivo assimilavacon futuro beneficio. Ma non era soltanto un deja-vubio-chimico-sensoriale, non era soltanto nostalgiacromosomica; quel cyber-dancer e quella musica micoinvolgevano in un party cerebrale stimolante, i primipassi di danza partivano dritti dritti dai famigeratianni 80 ma poi, trasformandosi, andavano a piroettarein nuove dimensioni.Il video era lo strepitoso “Number One” dei Playgrouped in questo caso la computer animation dimostravadi aver fatto passi da gigante, anzi da ballerino,sbaragliando in un sol colpo Tony Manero/JohnTravolta, facendosi beffe del moon-walk di MichaelJackson e meritandosi il massimo rispetto dei break-dancers e l’invidia di Mr.Jason Kay/Jamiroquai. Machi c’era dietro le movenze perfettamentesincronizzate del cromato automa? Ginger e Fredclonati? Nureyev allo Studio 54? Un Don Lurio dell’eradigitale? No, a dare mossa e massa al numero unodella fanta-discoteca c’era un tale Trevor Jacksonunica figura che fatica a celarsi dietro al gioco anascondino di Playgroup. Il personaggio, oggichiaccheratissimo ed à la page, non è in vero unpivello, infatti con la sigla di Underdog si era messoin luce come remixatore di U2, Massive Attack edaltri. Ora le sue attenzioni si rivolgono a tuttoquell’immaginario che precede il 1990 compresi suonie tecniche di studio, anche se lo spirito di questaoperazione non è passatista ma assolutamenteadattata all’odierno.“Number One” è il primo album targato 2001 ed è,col senno di poi, una delle cose più interessanti dellapassata annata. Naturalmente, per capire a fondol’opera, si deve nutrire un imprescindibile odio-amoreper gli anni ottanta, bisogna essere stati all’epocatanto schizzinosi e snob per potere capire gli errori diconsiderazione fatti e subiti. In quella decade, ormaipossiamo dirlo tranquillamente, c’è stata tanta musicabella, coraggiosa, sfacciata, innovativa. Forse è statol’ultimo periodo in cui si è creato qualcosa di originale.Gli stili, svariati e strampalati, spesso non eranorapportabili a fenomeni del passato, la tensione post-moderna tra ricerca e fruibilità ha dato vita a progettiunici e probabilmente irripetibili. Abbiamo un po’ tutti

text > Fabrizio Tavernelli - photo > press agency

parlato male di quegli anni, ma sempre più è evidenteche la decade successiva non è stata altrettantostimolante e controversa. Gli anni ’90 hanno portatorestaurazione, riletture, chiusura su se stessi, stasied attualmente le cose più consistenti sono quelleche mantengono un filo comune con lo scenario degli’80. Insomma eravamo tarri, ma almeno ancorasvegli, reattivi, pronti a dare una risposta, diversificati,promiscui, avventurosi. La nevrosi era un segnale diallarme, il sistema nervoso, i sensi erano ancoraall’erta. Trevor Jackson si ciba e si abbevera di tuttoquello che resta di quegli anni ed in più compie operadi archeologia andando a scoprire opere nascoste tipobrani taroccati disco italiani, rare-grooves daspeleologi, new-wave, minimalismi house e space-funk, giungendo a ricomporre il lato oscuro degliottanta. Nel disco d’esordio ci sono poi varie sorpresecome i filologici campionamenti di Paul Haig e ScrittiPolitti e la presenza di Edwyn Collins (Orange Juyce)e Roddy Frame (Aztec Camera). La produzionecalibratissima presenta tutti gli emblemi sonori, itrucchi, i topoi, i significanti dell ’artedell’arrangiamento e del mixer, rimandando a dischicome “Thriller”, “Sign of the times” o a produttoricome Arthur Baker. “Number One” passa con eleganza

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maranza dalla prima elettronica di marca Mute(Depeche Mode, Daniel Miller/The Normal, FatGadget), Cabaret Voltaire, Human League, Yazoo,Moroder, alla prima techno di Detroit, dalle ritmichedelle beat-box electro/Hip-Hop ad episodi di dubalieno, dalla piano-house al funky bianco targatoFactory.Ma non è finita perché di recente è uscito un DJ Kicksper la instancabile !K7 che rende il tutto ancora piùchiaro e confuso. Qui Trevor Jackson si esibisce in uncertosino lavoro da topo da biblio/disco/tecaconfezionando un mix-album di funk esistenzialista.Una virtuosa session di underground disco-house, unasequenza spaced-out di brani dal piglio visionario-futurista. E’ una cascata di melassa che ti invischia insuggestioni appicicaticce tra giri di bass-line dark,arpeggi di synth e voci che svisano tra gorgheggiacid-soul, isterie punk-no wave ed indolenze pop-edonistiche. Non è facile riconoscere quanto del discosia originale e quanto sia rivisitato perché l’effetto èassolutamente omogeneo. Sono ritmi sui quali sidimenava la fauna trasgressiva di locali come TheLoft e Paradise Garage a New York o il Warehouse diChicago, sono ritmi che dalle nostre parti si ballavanoal Graffio o al Tenax e che troviamo nei weekend post-moderni di Tondelli. Sono i party selvaggi in cui lametropoli si trasfigurava in giungla tra segni tribali egraffiti, tra pelle nera, tessuti zebrati e maculati, danzeepilettiche, meticciato, cocaina, poppers. Sono i tempiin cui l’aids era ancora denominato “cancer gay”. Sonoi tempi della ZE Records e della Mutant Disco. Oggicome allora c’è sempre qualcosa di oscuro che si

muove sotto questi brani, è la deeper side of disco, èl’heavy bass sound, è la raw dub technology, è ladisco che sbava per il punk o il post-punk che scopreil funky e suona come gli Chic anoressici. Oggi è ilritorno a bomba all’house più minimale, all’electro, aquella sensibilità analogica pre-digitale applicata astrumenti poeticamente avveniristici come Synclavier,Fairlight, Drumatix, Linn Drum, Simmons Drum, Dr.Click Rhythm Controller, Syncussion, Prophet 5,Emulator etc.Nomi, elementi e conoscenze che stanno nella testadi Trevor Jackson/Playgroup e nel nuovo DJ Kickscapace di sorprenderci con dimenticate produzionidisco italiane, con il neurofunk di Material (“Ciqurì”),con l’elettropop di Human League (“Do Or Die”), conl’house da fanta-dramma di Tiny Trendies (“The SkyIs Not Crying”), con la versione dub-concreta di“Money” tratta dal geniale album di musica practicadi Flyng Lizards, con le pulsazioni afro di Cultural Vibe(“Ma Foom Bey”), con il funk imbottito di anfetaminedi Wanda Dee (“Gonna Make You Sweat”).Ecco cosa resterà di quegli anni ottanta!

Playgroup - Dj Kicks (!K7)www.k7.com

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E’ un personaggio strano Trevor Jackson, ovvero coluiche sta dietro al personaggio Playgroup. Perrintracciare sue tracce nel music biz possiamopermetterci di andare indietro fino agli anni ’80, finoalla loro seconda metà. Ma non è fra strumenti emacchine che troveremmo Trevor, se fossimo dotatidi una macchina del tempo, bensì fra pennarelli e iprimi computer in grado di gestire la grafica. Alcunidischi usciti per la Champion (etichetta di cui all’epocaera a&r Paul Oakenfold) e 4th & Broadway ebbero lecopertine disegnate da lui (ad esempio quelli di EricB & Rakim, o quelli dei Jungle Brothers, o anche loghiper Stereo Mc’s e Todd Terry). E’ inevitabile però chenel passaggio fra anni ’80 e anni ’90 si venisse investitida una irresistibile voglia di mettersi a fare musica inproprio, partendo dalla propria passione percollezionare vinili facendo razzie nei mercatini diPortobello Road: i campionatori diventavanostrumento quotidiano e non più esotica leggendametropolitana, ma del resto i primi esperimentimusicali di Jackson sono arrivati usando un miserrimoC 64… l’arte di arrangiarsi…Non bisogna però fare l’errore di infilare Trevor nelcalderone dei “folgorati dall’acid house”. Certo, nonè stato e non è insensibile al fascino di tutto ciò che èsuccesso in quegli anni, ma il suo primo riferimentoè sempre andato ad un’estetica e ad un’etica sospesafra l’hip hop e l’electro, senza cercare sconfinamenti“acidi”, al massimo pagando attenzione e tributi allosconfinato mondo dei rare grooves. Il suo nomecomincia a circolare per davvero legandolo al mondodell’hip hop inglese: Jackson è una delle menti dellacrew The Brotherhood, quella che nel 1996 sfornerà“Elementalz” considerato ancora adesso una pietramiliare dell’hip hop britannico. Ma che Jackson sia untipo sui generis, lo si può intuire scambiando qualchechiacchiera sull ’argomento: “I Brotherhood?Un’esperienza bruttissima. O meglio, della musica hoanche un bel ricordo. Ma molta della gente che stavanella crew, beh, se riesco a dimenticarla del tuttosono nient’altro che contento”. Non è però solo aiBrotherhood che lega il suo nome; fin dall’inizio conl’alias The Underdog incomincia a sfornare unaquantità incredibile di remix, più o meno ufficiali: “Unlavoraccio. Devo aver fatto qualcosa come settantaremix, prima che qualcuno si accorgesse di quelloche stavo facendo. I Gravediggaz e RZA del Wu TangClan sono stati i primi a riconoscere il mio lavoro,volevano anche ri-rappare sulle mie basi. AnchePeshay è un altro che mi ha sostenuto fin dall’inizio”.Con la seconda metà degli anni ’90, le cose comincianoad andare in discesa: arrivano per il Jackson remixerdelle committenze importanti, U2, UNKLE, MassiveAttack – nel 1998 sarà chiamato ad unirsi ad un tourdell’originale Wild Bunch, la crew che ha fatto nascereil suono di Bristol così come lo conosciamo e checomprendeva il sancta sanctorum della scena locale(da Nellee Hooper a Daddy G). Diventa un dj regolaredi “Dusted”, la serata della Mo’ Wax al leggendarioBlue Note di Hoxton Square. Resta affezionato al suonick di The Underdog che, indicativamente, significaqualcosa come “outsider”, “non-favorito”, “lasorpresa”. Un nick non casuale, scelto con intenzione?“Non ti saprei dire. Forse sì, forse no. Non è che misia esattamente posto il problema di quali significatiimplica il mio alias, però è anche vero che se l’hoscelto così un motivo ci sarà, per quanto magari

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inconscio. Non sono mai stato una superstar, né mi èmai interessato esserlo”.Una certa notorietà è arrivata però col progettoPlaygroup. Un disco, uscito l’anno scorso per la Virgin,che ha proiettato Trevor Jackson nelle charts europee.Un disco scanzonato, volutamente semplice, sospesofra disco anni ’70, electro, spunti di cassa in quattro,pop d’autore (e il buon Tavernelli ne parla più inprofondità nell’articolo qua a fianco): “Mi sonodivertito veramente tanto a fare Playgroup. E’ statofantastico. Perché fare un lavoro di mero remixing,come stavo facendo, alla lunga si fa terribilmentenoioso. Poter invece dedicarsi a creare delle coseinteramente tue è la vera sfida”.Intanto però ritroviamo Trevor alle prese con materialealtrui, ed è una piccola delizia. Si va ad aggiungere ilsuo nome infatti alla collana “Dj Kicks” della !K7, forsela serie più prestigiosa nel campo dei cd mix. Jacksonricambia questo onore sfornando una compilasorprendente, fantasiosa, simile a nessun’altra. Nelle23 tracce ci sono praticamente più di venti,venticinque anni di storia, mischiati in maniera randomfra di loro. Una ginnastica per la mente, seguire questisaliscendi cronologici, eppure miracolosamente nonc’è nessuna sensazione di discontinuità: “La storia èimportante. E’ importante la storia del rock, èimportante quella del soul, è importante pure quelladel pop. E’ giunto il momento di dire che anche lamusica dance (più ancora un’attitudine, che un generecodificato) ha la sua storia, si estende nel tempo. Citengo a comunicare questa cosa. Lo facciochiaramente col mio tocco personale: per me uno deigruppi seminali è senz’altro quello degli HumanLeague, infatti sono nella mia selezione, più di quantopossa esserlo un Lee Perry – ma questa naturalmentenon è una scala di valori assoluta, è la mia scala”.Una scala, quella del signor Jackson, davverosorprendente, fatta di escursioni nell’house di RalphiRosario come nella No Wave newyorkese dei primianni ’80, dai Flying Lizards ad I:Cube, da Metro Areaai Rapture. Di tutto, insomma. In tempi i cui i dj troppospesso si preoccupano di crearsi un’identità fin troppodecisa e definita, cesellata nei confini di un genere osottogenere, dove un minimo cambio di bpm o disuonino digitale comporta sconquassi semantici neldefinire un’area di appartenenza musicale, Jacksonnon se ne dà cura, senza nemmeno rifugiarsi nel portofranco dei rare grooves, strada ormai che è quasi unluogo comune, ma inseguendo una sua personalericetta musicale. Per chi ha voglia di sentire qualcosadi diverso, per chi vuole recuperare un po’ di funkbianco anni ’80 di quello molto “avanti” eintellettualoso, e che vuole sentire come suonaplanato in un contesto moderno, questo è davveroun “Dj Kicks” consigliatissimo. Il che non significache dobbiate ascoltarlo con un taccuino in mano eappuntarvi spunti epistemologici; è comunque robache si balla, e si balla gran bene... “Per certi versi èvero che quando dico che ‘la storia è importante’,questo è un approccio quasi didattico, da professorino.Non è questa la mia intenzione. Perché se da un latoritengo fondamentale che la gente si renda conto dellospessore culturale che c’è dietro alla selezione operatada un dj, dall’altro credo o almeno spero che questosia un processo del tutto spontaneo e naturale, chenon ostacola in alcun modo il divertirsi pazzamentesulla pista da ballo”.

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RESET 02Secondo appuntamento per ReSet: è bello poter presentare unamanifestazione che dopo il valoroso inizio dell’anno scorso ha tuttal’intenzione di voler crescere ancora e farsi sempre più adulta. Crediamofermamente che i festival siano una dimensione imprescindibile per viverela musica dance elettronica, e non solo le grandi adunate rock: unadimensione per incontrare nuove idee, per scambiare impressioni edopinioni, per mettere a confronto diretto diverse cifre artistiche, perconfermare quel senso di “comunità” che va al di là di divisioni geograficheo di stile. La prima edizione è stata senz’altro tutto questo; ora, la secondapresenta una posta in gioco più alta. Raddoppiata è la durata (da duegiorni si passa ad uno), lo spirito invece vuole essere lo stesso. Si passada Reggio Emilia alla Tenda Estragon della Festa dell’Unità di Bologna, il 6e il 7 settembre. Al solito, vengono attraversati diversi territori musicali:quelli della prima giornata sono vari, dall’energia micidiale di Timo Maasallo stile di X-Press 2 passando per tutti gli altri, alternando momentieleganti downtempo quasi cantautoriali (Avril) a sfacciate feste house/breakbeat (Santos), e poi Weekendance, Alex Dandi, 5th Suite, GrooveSafari. La seconda giornata invece mira al cuore del basso e batteria conmaestri del genere (Andy C, Peshay), padri nobili (Smith&Mighty), derivejazzy e 2 step (Maddslinky, Alessio Bertallot), certezze di casa nostra (MaffiaSound System, Link Drum’N’Bass Arena, l’A&R della ottima etichettabolognese Mantra Vibes Marco “Peeddoo” Gallarani) e giovani promesse(Syncopator, Basebog Camp). Qui di seguito troverete una sezione specialedi UT, con approfondimenti vari.Ma più ancora del singolo artista, quello che speriamo è che di ReSet 02 siricordi soprattutto l’insieme: la voglia di esplorare, presentare, vivere,respirare la musica che da anni ci accompagna, così come quella chepensiamo ci accompagnerà in futuro. Un lungo groove che a diversi bpmcarezzi la mente e il corpo.Vi aspettiamo a Bologna!

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RESET: L’ALTRA LINE UPA completare il cartellone di ReSet 02 ci sono degli actsnon da poco. Il primo da nominare è senz’altro il live setdi Avril: artista francese che viene fuori dalla scintillantescuderia della F Comm (da Laurent Garnier a Llorca,passando per Aqua Bassino e quant’altri), nello scorsonumero di UT abbiamo recensito in anteprima il suo discod’esordio. E’ uno di quei casi in cui la musica elettronica“pensa in grande” e decide di attraversare anche i territoridella forma-canzone. Il primo paragone è inevitabilmentequello coi conterranei Air, e in effetti alcune similitudinici sono; però a sentire il disco dalla parte di Avril c’èsenz’altro maggiore spigolosità, maggior desiderio diesplorare territori strani, di stupire in maniera tantoispirata quanto beffarda. Vederlo all’opera in un vero eproprio live set, per la prima volta in Italia, sarà senz’altrola cartina di tornasole definitiva.Anche il progetto Maddslinky ha avuto degnapresentazione nelle pagine dello scorso numero di UT: sitratta della joint venture angloitaliana fra Rocca del MaffiaSound System e Zed Bias, “peso massimo” della 2 stepinglese di maggior qualità. Nonostante i chilometri cheseparano le rispettive residenze, Zed e Rocca hanno giàdimostrato (al Summer Sessions Festival di Rovereto,ad esempio) di avere un interplay invidiabile dietro laconsole, in equilibrio fra l’irresistibile ritmo spezzatodell’uk garage e raffinatezze jazzy.La nutrita pattuglia italiana, oltre a Santos di cui parliamonelle pagine precedenti, è costituita prima di tutto dadue vere e proprie istituzioni della radiofonia italiana piùilluminata: Weekendace e Alessio Bertallot. I primi (FabioDe Luca e Luca De Gennaro) sono già da anni punto diriferimento imprecindibile dell’FM italiano coi loroprogrammi su Rai Radiodue, oltre che ottimi giornalistigià da anni e anni nel “cuore” delle cose. Alessio Bertallotè colui che è riuscito a portare le sonorità più raffinatedella club culture (e in generale, della musica di qualità)in quel terreno pericoloso che è quello delle radiocommerciali. Il suo “B-Side” su Radio Deejay è unappuntamento che con gli anni è diventato un vero e

proprio culto, facendo un’opera di divulgazione in “zonestraniere” di un valore inestimabile – il tutto sempre congrande qualità e nessun ammiccamento commerciale. E’riduttivo però inquadrarlo solo in questa veste di speakerradiofinico: Alessio da anni e anni è deejay, musicista (viricordate gli Aeroplanitialiani e la loro stranianteapparizione a Sanremo? Lui ne era il frontman…), personadi grande sensibilità culturale capace di combinare musicae letteratura.Abbiamo accennato a Santos: nella line up di ReSet 02ci sarà anche chi ne ha supervisionato l’esordiodiscografico, ovvero Marco “Peeddoo” Gallarani, che daràuna dimostrazione della grande sapienza sonora che stadietro alle idee della sua Mantra Vibes, sottoetichettadella bolognese Expanded, pronta a sfornare altri prodottidi qualità come Drive Red 5 (recentemente ottimiremixatori dei Subsonica) e Le Dust Sucker. Di GrooveSafari parliamo in altre pagine di questo numero di UT.Dietro la sigla 5th Suite troviamo il talentuoso Luca Fronza,in bilico fra hip hop elegante e big beat caciarone. AlexDandi è già da tempo protagonista del clubbingbolognese, ed è stato il fautore dei più grandi eventidrum’n’bass in terra emiliana (Pan Human, ad esempio);lui ama comunque muoversi nei campi più diversi dellamusica da dancefloor. Chi invece si concentra nel cercareun micidiale impatto seguendo il solco dei breakdrum’n’bass sono la storica Link Drum’N’Bass Arena (ifrequentatori del Link sanno bene di che si tratta, d’n’bsenza compromessi di sicuro effetto), l’emergenteBasebog Camp, realtà cresciuta attorno all’ottimowww.basebog.it, e Syncopator col suo live set e le suesoluzioni sonore che hanno conquistato la giuria delprestigioso concorso Diesel U Music (Syncopator è statoil vincitore della sezione drum’n’bass). A completare iltutto (e non poteva mancare!) il glorioso Maffia SoundSystem, crew che ormai non ha bisogno di troppepresentazioni…Buon ReSet 02 a tutti!

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Ogni tanto accadono dei piccoli miracoli in musica, e la scena danceitaliana ha mostrato negli anni una certa capacità di sfornarli. Ilclassico esempio è il fiorire della “spaghetti house” sul finire deglianni ‘80, un capolavoro di astuta amatorialità che ha portato lamusica dance nostrana ad essere conosciuta nel mondo (e amatamolto più in Inghilterra che in Italia…). Senza major alle spalle,senza la gigantesca scena che c’è in Inghilterra per quanto riguardala club culture, molti italiani sono arrivati in cima al mondo. Unfenomeno bizzarro, e che meriterebbe molta più considerazione ericonoscimenti, qua da noi.Uno di questi casi, e senz’altro uno dei più recenti, è Santos. Natonel 1971 nel Lazio, si è tuffato nei primi anni ’90 subendo in pienola fascinazione per la house music – non poteva essere altrimenti,dopo un’infanzia passata ad ascoltare Jean Michel Jarre, Kraftwerk,Brian Eno, Cerrone e soprattutto Giorgio Moroder, così come stelledell’hip hop e del taglia&cuci più pionieristico come GrandmasterFlash, LL Cool J, Run DMC, Arthur Baker e Paul Hardcastle: alcunidei filoni musicali che stanno alla base della nascita della musicahouse.E’ nel 1992 che riesce ad attrezzare il suo primo studio, construmentazione ancora molto povera, ma gli basteranno un paiod’anni per cominciare a farsi notare da nomi “pesanti” della scenadance italiana come Dino Lenny, Savino Martinez, Claudio Coccoluto,che lo aiuteranno a far uscire la sua prima produzione su etichettaUMM, “Play House” a firma Shoante.Nel 1995 entra in contatto con la bolognese Expanded: il frutto è“The Piano”, prima produzione a firma Santos, e ottima biglietto davisita per un produttore che comincia ad affinare la sua capacità disorprendere, di cercare soluzioni nuove, senza però mai rinunciaread una schietta attitudine da dancefloor. Le quotazioni del Nostrocrescono, e nel 1998 arriva “Lararari (Canzone Felice)”, co-firmatacon Savino, un’autentica hit della tradizione happy house italiana.A questo punto però Santos decide di andare in cerca di nuovistilemi e nuovi stimoli, piuttosto che cominciare a ripetere la formulache lo ha portato al successo. Si tuffa nell’ascolto dei “grandiinnovatori” dell’elettronica - da Carl Craig a Daft Punk, passandoper Chemical Brothers e Fatboy Slim - e in combutta con Marco“Peeddoo” Gallarani, a&r della Mantra Vibes (divisione dellaExpanded), dà vita a qualcosa di nuovo ed eccitante nel campodelle musiche da dancefloor: la cultura “shakadelica”, come a loropiace definirla, ovvero un’eccitante commistione di breakbeat esonorità house venate di funk. Rimane la “vibra allegra” e latendenza ad una gioiosa ironia, ma le sonorità si fanno più raffinatee ricercate.Questa evoluzione stilistica non tarderà a trovare estimatori benoltre il suolo italiano, ricevendo un’accoglienza entusiastica da djcome Pete Tong, Steve Lamacq, Anna Nightingale, Judge Jules eAshley Beedle. Ma forse il più grande fan di Santos è nientemenoche sua maestà Fatboy Slim, che commissionerà il remix di “DropThe Hate” ed inserirà due tracce “shakadeliche” nel suomonumentale “Live From Brighton Beach” (“3,2,1 Fire!” e “Pray”).Per Santos quindi una definitiva consacrazione internazionale, diun livello tale che ben pochi artisti italiani possono inserirne unasimile a curriculum; ma, per lui, non è questo il punto. L’importanteè continuare a fare musica che sia gioiosa e che abbia sui dancefloorun impatto micidiale. Il fatto di non essersi guadagnato le copertinedei magazine italiani non rappresenta per lui assolutamente unproblema, così come non gli fa nessuna differenza suonare di frontea 2 o 2000 persone.Forse siamo noi che dovremmo imparare a valorizzare meglio lecose buone (e ce ne sono!) che vengono fuori dalla club cultureitaliana; ma questo magari è un discorso da addetti ai lavori. Santos,ne siamo certi, ci vuol vedere ballare: poche chiacchiere, è ilmomento delle danze e dell’avere una gran bella serata…

SANTOStext > Mediablitz - photo > press agency

Santos - R U Shakadelic? (Mantra Vibes)www.discogs.com/label/Mantra_Vibes

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Ai meno attenti alle “storie di clubbing” d’oltremanica ilnome Richard Scanty potrebbe dire effettivamente pocoanche se in Inghilterra è già uno dei dj e producer piùstimati tra quelli del giro della nuova house britannica,quella imbastardita dal fenomeno Big Beat e dal cicloneFatBoy Slim. Ed è proprio tramite quest’ultimo cheRichard Scanty è riuscito ad imporsi tra i nomi checontano, quando nei primi mesi del 2000 è uscito il primosingolo a nome Scanty Sandwich, quella “Because Of U”che campionava i Jacksons 5 e che divenne un successomondiale (numero tre nelle classifiche di vendita uk enumero uno in MTV Dancefloor Chart). Purtroppo il suonomolto stile Fatboy Slim periodo “Rockafella Skank” e ilfatto che il suddetto la suonasse da quasi un anno suwhite label crearono l’equivoco per cui Scanty Sandwichfosse l’ennesimo nickname di FatBoy Slim. Ultimodettaglio: il singolo venne pubblicato proprio dall’etichettapersonale di Norman Cook ovvero la Southern Fried.Dopo un primo momento di confusione, l’equivoco si èrivelato un’ottima mossa promozionale quando FatBoyha rivelato al mondo che Scanty Sandwich era un uomoin carne e ossa e si chiamava Richard Marshall, dj congià diversi anni di esperienza ai piatti e diverse produzionidi successo underground, apprezzate da dj come CarlCox e Paul “Trouble” Anderson.Di lì a poco lo pseudonimo Scanty Sandwich venneabbandonato in favore del più “sobrio” Richard Scanty einiziarono i tour in giro per il mondo di supporto a FatBoySlim, Howie B e Darren Emerson, tra i tanti. A seguirearrivarono anche i tour come rappresentante della“brightoniana” Big Beat Boutique e le partecipazionia diversi festival tra cui Creamfields e il Free JazzFestival in Sud America.Dopo l’hit mainstream “Because OF U” Scanty haconquistato i favori di critica e soprattutto dei dj dimezzo mondo con tre 12" davvero incendiari e

suonatissimi: “Las Vegas”, “Get Next To The OppositeSex’” e “Buenos Aires”. Le sonorità sono più smashhouse ma anche molto meno pop che nel recentepassato. La stima guadagnatasi tra i dj l’ha portatodi recente a remixare ufficialmente il mega hit“Shifter” di Timo Mass. Abbiamo incontrato RichardScanty in occasione del suo ultimo mini tour italianoe gli abbiamo fatto qualche veloce domanda.Come definiresti la tua musica?“Mi è molto difficile definire la musica che creo. Suppongoche abbia il funk, o dovrebbe averlo in qualche modo, eanche un certo senso dell’humor. Nel senso che quandola creo dovrebbe divertirmi e di conseguenza divertire ilpubblico.Quando sono al lavoro in studio cerco di divertirmi perchécredo che se mi annoiassi questo si rifletterebbe nellamusica che creo e non sarebbe di certo una buona cosa.”E’ difficile fare della passione una professione?“Nel mestiere di dj e produttore, tutto sta nell’esercitarsigiorno dopo giorno. Se segui questo principio puoi arrivaredove vuoi. Per quanto mi riguarda ritengo di essere ancoraall’inizio, sto imparando cose sempre nuove. Ho ancorauna lunga strada da percorrere e cerco di fare del miomeglio.”Fino a che età si può fare il dj secondo te?“Puoi andare avanti fino a che ti diverti. Anche perchénon bisogna necessariamente avere un certo aspetto perfare i dj, a differenza delle rockstar. Non è necessarioessere giovani e scattanti per stare dietro ai piatti o instudio di registrazione. Poi ovviamente c’è anche l’aspettoeconomico, finché c’è quello è anche difficile smettere.”Pensi di fare musica rivolta ad una certa fasciad’età, ad esempio verso i più giovani?“Direi di no, non necessariamente. Anche perché pensola musica che può piacere a me e a quelli della miagenerazione, di quelli che stanno intorno ai trent’anni.”Come sei entrato in contatto con Norman Cook e lasua Southern Fried?

text > Alex Dandi

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“Gli ho mandato dei dischi e Norman li ha suonati permolto tempo. Dopo averne ricevuti due o tre mi ha chiestodi fare un disco ufficiale con la Southern Fried con uncontratto discografico. E’ stato abbastanza semplice.”Stai preparando un album?“Sì, l’album non è ancora finito ma ci siamo quasi e sperodi finirlo per la fine dell’estate.”Cosa dobbiamo aspettarci dal tuo album?“Un paio di singoli che sono quelli già usciti su 12” sarannoinclusi e ci saranno un paio di remix di cose già fatte eun paio di cose downbeat/hip hop. Attualmente stocercando di scegliere le tracce cercando di dargli un filoconduttore.”Che tipo di hip hop ti ispira di più?“Sicuramente Natural Elements & Company Flow.Comunque non l’hip hop mainstream…l’hip hop aimargini.”Ci saranno degli ospiti nell’ album?“Non dico niente finché non avrò la certezza delleconferme ma spero in uno o due ospiti. Spero di fareuna co-produzione con un altro artista Southern Fried.”Cosa ne pensi della musica dance suonata dal vivo?“Penso sia una cosa fantastica. All’inizio dell’evoluzionedella scena house il livello medio non era un granché,ma adesso ci sono live bellissimi. Ad esempio mi è piaciutomolto il live di Howie B, che ho appena visto. Anche iChemical Brothers dal vivo mi piacciono, anchel’integrazione con i visuals.”Che ne dici dei musicisti sul palco?“Mi sembra una buona cosa. Al momento io non sareicosì tranquillo a fare un live perché mi sento più a mioagio con i piatti.”Suoni diversi stili nei tuoi dj set?“Molti. E compro molti dischi di stili diversi perché è belloaver tante scelte. Perché molto spesso la gente vuolecose diverse e alcuni dischi non funzionano con ogni tipodi pubblico.”Oltre ai vinili usi anche i cd?

“No, però penso che inizierò a farlo, perché quando finisciun pezzo in studio è più facile metterlo su cd che fare undubplate. Non ho mai usato un cdj però ci sono semprei lettori cd nei locali dove vado e quindi penso di iniziaremolto presto. Ci sono dj famosi che hanno la borsa deidischi e quella dei cd. Sono comunque a favore dellatecnologia e per usare tutto.”Come hai lavorato al remix di Timo Maas?“Io lavoro con macchine molto semplici come un vecchiocampionatore Akai 950 e Cubase. Per il rmx di TimoMaas non volevo cambiare molto ma solo farlo più house,un po’ più martellante e cambiare un po’ le voci.Comunque ogni remix lo affronto in modo diverso, disolito comincio tenendo l’elemento dell’originale che mipiace di più.”Che consiglio ti senti di dare ai dj più giovani?“ Non penso di essere così influente per poter dare giàdei consigli ai dj più giovani. Penso che Norman abbiamolti dj giovani che gli chiedono di entrare nella suaetichetta e riceve davvero un sacco di dischi ognisettimana. E’ sempre bello vedere nuova gente che entranella scena, la mantiene viva e pulsante.”Saresti interessato a gestire un etichetta?“Sì, già in passato ho gestito due piccole label. Robemolto underground. Nel futuro potrei rifare una mia labele tenerla come progetto collaterale.”Diventeresti un A&R a tempo pieno?“No, preferisco stare in studio.”Qual è la capacità tecnica che deve avere un dj perfare un buon dj set?“Divertirsi! Un trucco molto tecnico.”

Richard Scanty - Southern Thing ep (Southern Fried)www.angloplugging.co.uk

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DJ SHADOWtext > Damir Ivic - photo > press agency

Pochi personaggi hanno avuto un’influenza cosìdecisiva sulla musica dell’ultimo decennio comeDj Shadow -all’anagrafe, Josh Davis-. Il suo“Endtroducing”, uscito nel 1996, ha raggiunto cifredi vendita assolutamente incredibili per quello chenasceva come un prodotto strettamenteunderground e di nicchia (siamo nell’ordine delmilione di copie), per giunta stampato suun’etichetta indipendente e all’epoca artigianalecome la Mo’ Wax di James Lavelle (sarà proprio lostrabiliante successo di “Endtroducing” atrasformare la Mo’ Wax in una semi-major). E’stato anche un disco che ha creato un sacco diequivoci attorno al suo autore, facendolo passarecome “profeta del trip hop”, intruppandolo a forzanel suono bristoliano (quello di Massive Attack,Portishead, Tricky), oppure ancora piùsuperficialmente catalogandolo come cavalieredella musica dance elettronica tout court (filoneChemical Brothers, per intenderci). Errori chegiustamente infastidiscono Shadow, e non poco:

perché sono un modo per ignorare la sua storiapersonale, e quella da cui proviene la musica checrea.“Fin dall’inizio è stata una questione di crudezza,di realtà. L’hip hop è stato questo. Erano i primianni ’80, io comunque già cercavo di ascoltaregruppi che avessero un particolare modo di buttaregiù le cose, DEVO, Blondie, varie cose di newwave… ma quando ho sentito ‘The Message’ diGrandmaster Flash, accidenti, è stata unarivoluzione. La musica: era quasi un “panoramanon-esistente”, di una essenzialità totale… ma altempo stesso potentissimo e funk. Le liriche:quelle erano la realtà… erano dirette, crude, nonera solo questione di fare poesia… era la realtàcosì com’era. Insomma, una cosa potentissima.Più o meno tre settimane dopo, ho sentito ‘PlanetRock’ di Afrika Bambaataa. E la mia vita ècambiata completamente. Sono diventato unfanatico dell’hip hop”. Quanto ha da spartire labiografia di Shadow con l’immaginario del ghettometropolitano? “Non sono nato in una grande città.Però una di queste, Sacramento, era a soli ventiminuti di macchina, e anche San Francisco in fondoera distante solo un’ora e mezzo. Resta il fattoche non sono cresciuto in una metropoli, gli stimolie le vibrazioni che essa ti può portare me li sonodovuti andare a cercare, non era qualcosa cheavevo fuori dal mio giardino. Penso che sia per

FARE COSE CHE ALTRI NON FANNO“Sì.L’hip hop è stato quasi tutto quello cheho ascoltato negli ultimi quattordici anni; cer-to, non tutto, perché sono sempre aperto aqualsiasi forma musicale, ma di sicuro è esempre sarà il mio punto di riferimento prin-cipale”. Bisogna tenerla a mente, questa fra-se: se la si ignora, non si potrà mai davverocapire chi è Dj Shadow.

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questo che ho potuto apprezzarli veramente. Dopola prima fiammata, la cultura hip hop (il rap, maanche la breakdance) ha avuto una prima crisinel 1985, quando sembrava passata di moda, oalmeno così avevano stabilito quelli che le modele facevano. Ma non poteva fregarmene di menose era di moda o meno, ormai avevo imparato arespirarla nella sua vera essenza e ho semprecontinuato a sentirne lo spirito, l’energia. Cosache continuo a fare ancora adesso, nonostantel’hip hop sia di nuovo in un periodo creativamente

critico per i troppi soldi che ci circolano attorno”.Ecco, appunto: se volete socializzare in fretta conShadow, lanciatevi con lui in una discussione sullostato delle cose nell’hip hop (dimostrando di avereun minimo di cognizione di causa, naturalmente),ve ne sarà grato e parlerà con grande passione, eidee molto lucide e pungenti: “E’ salutare per lacultura hip hop tenerla sempre sotto critica.Peccato che lo facciano ormai in pochi. Hannopaura della reazione della scena – o meglio, deipuristi, o di quelli che tengono in mano i soldi (iprimi sono spesso condizionati dai secondi). Unasorta di “pressione intimidatoria” chepersonalmente non mi intimidisce per nulla.Parlando chiaro: un giornale che rappresenta ilmainstream hip hop per eccellenza come TheSource, all’inizio mi ha spinto e sostenuto,parliamo di otto, nove anni fa. Ora invece per loro

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è come se non esistessi: non sono cambiato io,sono cambiati loro. Il punto è che oggi, per fare isoldi con l’hip hop, bisogna produrre musica rapcon determinati canoni, ultracommerciali e a modoloro estremamente banali. Quando li segui,funziona, e ci guadagni sopra palate di soldi. Ame va anche bene, ci sono persone di grandetalento come Busta Rhymes che hanno deciso diseguire questi canoni e ora sono smodatamentericche; ma la vera conoscenza della cultura hiphop ti impedisce assolutamente di pensare chequesto sia il modo giusto per far evolvere le cose,per rispettarne lo spirito. Chiedilo a tutti i pionieri,chiedilo a gente come Prince Paul (uno dei piùquotati e geniali produttori, creatore di quellapietra miliare che è “3 Feet High And Rising” deiDe La Soul, ndr.). L’hip hop non è solo rap, è ilwriting (il graffitismo, ndr.), il breaking, ilturntablism. E’ una cultura”. Insomma, è evidentein Shadow la maniacale volontà di “penetrare” lecose, di pensarle in profondità, di aggredirlecercandone l’essenza. Ma sempre con lo sguardorivolto al futuro: “Io non voglio fare musica chepiaccia solo ai veterani dell’hip hop, ai pionieri.Non voglio fare old school. Ripeterecalligraficamente le cose del passato, per quantobellissime, non porta da nessuna parte. Bisognacogliere lo spirito, non copiare la forma. Il rap oldschool aveva dei beat molto semplici, che all’epocasuonavano freschi e rivoluzionari, ma oggi di sicuronon più. Bisogna andare avanti, scoprire nuovecose, perché questo è lo spirito dei b-boy originari,è così che sono riusciti a creare le basi per unafaccenda rivoluzionaria come l’hip hop”.Qui nasce l’equivoco. “Endtroducing” è statoeffettivamente sconvolgente, rivoluzionario,terribilmente avanti rispetto a tutto quello che sisentiva in giro. Il suo spirito progressista però èstato colto da una scena, quella della club culture,che ha in qualche modo “riconosciuto” la musicadi Shadow perché animata dal suo stesso spiritoinnovatore ed iconoclasta. Ma “Endtroducing” è,in tutti i suoi stilemi, un disco hip hop, ed è inquesta tradizione che va contestualizzato (e sefate così, lo apprezzerete ancora di più). E’ inquesta tradizione che assume ancora più spessore,portandosi dietro tutto il bagaglio storico dellacultura hip hop, tutto il suo coraggio futurista,quello che le ha permesso di rivoluzionare la storiadella musica mettendo insieme per prima il funkdi George Clinton, l’electro dei Kraftwerk e i griotsvocali afrogiamaicani, oppure di sconvolgere le

arti visuali con i graffiti (o, più correttamente,aerosol art), o anche di dare una scossa allediscipline del ballo con la breakdance. Che negliultimi anni il rap sia diventato un bastione delmainstream più conservatore e povero di ideecoraggiose, è un altro paio di maniche (e Shadow,come abbiamo visto, non lo nasconde di certo).E’ per questo che ormai, più o menoinconsciamente, al termine hip hop non vieneassociato più dalla cerchia di non-addetti qualcosadi innovativo, curioso, inedito, appassionante,tutte qualità che bene o male vengono attribuitealle mille propaggini della musica elettronica (o,in misura minore, al rock). E’ un grave errore. Ascavare nel milieu artistico e geografico di Shadowci si addentra in quella Bay Area (San Francisco edintorni, insomma) che è di una vitalità estrema,vitalità che si esprime in buona misura in un hiphop fresco, creativo, coinvolgente. C’è il team diShadow, la Solesides; ma ci sono stati negli annii Pharcyde (“Bizzarre Ride To The Pharcyde” è uncapolavoro pazzesco, peccato in Italia loconoscano solo i b-boy più avvertiti), i Lootpackdi Madlib aka Quasimoto, Freestyle Fellowship,Kutmasta Kurt, Peanut Butter Wolf, così come sipotrebbe riempire la lista con gruppi come DilatedPeoples e Jurassic 5. Tutta gente dotata di unafantasia visionaria e al tempo stesso coinvolgente.Creatori di musica che anche la scena elettronicadovrebbe andarsi a cercare. Senza però volerseneappropriare. Perché è una musica fatta da breaksprima ancora che da bit, dal turntablism primaancora che dalle macchine. “Ho sempre usatomacchine molto semplici. Non sono uno che vapazzo per la tecnologia. Mi piace mantenere ilprocesso di creazione musicale il più semplicepossibile, dal punto di vista tecnico. Detto questo,non c’è nessuna scusa nel prendere una frase in4/4 e usarla così com’è. Un campionamento vareinventato, ricontestualizzato, solo così ha veradignità artistica: a partire dalle ritmiche, dove iomi diverto sempre a prendere beat in 4/4 e arimontarli in 3, 4, 5, 7. Non che io stia creandocose dal nulla: prima di me ci sono state personeche rispetto enormemente e mi sentirai semprecitarli come dei maestri, gente come Mantronix oLarge Professor. Ma cerco di dare un mio tocco”.Qua il discorso va anche a toccare l’equivoco triphop: “…ad esempio, uno che mi piace molto èGeoff Barrow, dei Portishead, perché riesce adusare i campionamenti con uno sguardo inedito,molto personale. Non fa nulla di incredibile, ma

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delinea chiaramente quello che è il suo stile.Abbiamo poco in comune, ma di sicuro gli va ilmio rispetto. Così come un sacco di gente dellascena drum’n’bass ha un bel modo di trattare ibeat – non è la mia scena, non ne sonoparticolarmente appassionato, ma sono il primoa dire che è valida, interessante. Il punto è: prendiun’idea, e sviluppala. Questa è l’attitudine. Poi,ognuno la fa nel suo campo, partendo da quelloche è il suo background. Qual è il problema coltrip hop? Al di là del fatto che per anni la gente miha associato a questa scena, quando invece iol’ho sempre ascoltato poco o nulla, il fatto è che ame sembra che il trip hop sia diventato col tempoqualcosa di estremamente formalizzato, musicada costruire con canoni ben precisi. Non miinteressa, non è la mia cosa. Il mio motto è‘costruisci e distruggi’, mi piace sempre andareavanti, ripartire, fare cose che altri non fanno. E’nel mio carattere. Da sempre”.

Come è ripartito Shadow dopo l’incredibile, einaspettato, successo di “Endtroducing”? C’è stataprima di tutto l ’avventura di U.N.K.L.E.,estremamente controversa, in cui Shadow è statoil “braccio armato” che doveva far quadrare le ideee i sogni musicali di James Lavelle. Una megaproduzione con una lista di ospiti lunghissima,probabilmente troppo lunga (ricordiamo gliinterventi più riusciti: Richard Ashcroft, Mike Ddei Beastie Boys, e soprattutto Thom Yorke deiRadiohead con la sua “Rabbit In Your Headlight”),un lavoro che è stato anche ampiamente criticato

per il suo eccesso di ambizione, un tentativo diracchiudere gli ultimi venticinque anni di musicasotto un’ottica futurista non del tutto riuscito. Colsenno di poi si può dire tranquillamente che ciòche è mancato in quel lavoro (la coesione, primadi tutto) non va ascritto a Shadow, è “colpa” diLavelle e del suo aver voluto volare troppo in alto– in pratica, “Psyence Fiction” ha tentato di esseretre anni prima quello che è stato “Kid A” nel 2001,ma gli mancavano ispirazione sufficiente e graziae compattezza. Shadow comunque non rinnegaquell’esperienza, anche se è stato l’ultimo suoprodotto sfornato per la Mo’ Wax di Lavelle: “Possodire che “Psyence Fiction” era un tentativo cheandava fatto, era il mio modo di provare amisurarmi col mainstream stando in combutta conuno di cui mi fidavo, cioè James. Anche ora cheme ne sono andato dalla sua etichetta devo direche i nostri rapporti restano molto buoni. Lui hacapito la mia scelta, c’era stata una serie distravolgimenti societari che avevano portato laMo’ Wax sotto nuovi padroni di cui non mi fidavoe non mi fido. Vediamo ora come funzionerà conla Universal…”. Certo però che dal 1998 di“Psyence Fiction” al 2002 di “The Private Press”ne è passato di tempo. “Per qualche anno, hovoluto ritrovare il piacere di suonare, il piacere dicimentarmi col turntablism, di stare con la miacrew, di collaborare con artisti hip hop che sentivoparticolarmente vicini artisticamente eumanamente. Era necessario che lo facessi, primadi tuffarmi nella lavorazione di un nuovo albumsolista. Mi sono preso tutto il tempo necessario, e

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solo quando ne ho sentito davvero l’esigenza sonotornato in studio per costruire del materialemusicale nuovo. Io riesco a lavorare solo così”. Diquesto interregno fra un disco e l’altro restanodelle tracce che sono autentiche pepite percollezionisti (cd-r venduti solo ai suoi dj set, chesuccessivamente si sono potute trovareabusivamente in vendita in rete anche perun’ottantina di euro, come “Brainfreeze”),interregno che è stato gestito per lo più incombutta con Cut Chemist, prodigioso turntablistcaliforniano. Le esibizioni a due che hanno offertosono state rare, in Europa, ma tanto per dareun’idea le due date di Londra sono andate soldout in prevendita in meno di metà giornata: sitrattava di show costruiti esclusivamente sullamanipolazione di vinili e, tanto per aggiungerecoefficiente di difficoltà, spesso i vinili eranounicamente dei 45 giri, materiale rarissimo. Nelleparole di Cut Chemist: “Shadow è un grandeturntablist, un autentico maestro dello scratch,anche se lui non si dà il credito che meriterebbe”.Con l’inizio del 2000 è arrivato però il momentodi rinchiudersi in uno studio: “Avevo due concettiin mente quando ho cominciato a lavorare al disconuovo: quello di “sfida”, e quello di “non-linearità”.Sono state le mie due parole guida, tanto più chele ho scritte su vari bigliettini che poi ho attaccatoin giro per lo studio. Ho provato a lavorare conmetodologie per me inedite, come nel caso di“Monosylabik”, una canzone costruita su uncampionamento solo montato, rimontato,effettato, trattato digitalmente. Di solito non facciomai così: di solito accumulo sample su sample,cerco di trovare una soluzione diversa per ognipassaggio musicale, con “Monosylabik” ho volutoinvece mettermi alla prova – più di una voltamentre costruivo il brano mi veniva la tentazionedi usare qualcos’altro oltre al campionamentooriginale ma alla fine ce l’ho fatta a resistere! Ionon uso apparecchiature complicate, non mi piacepassare troppo tempo al computer per stravolgerei suoni di un campionamento, preferisco lavoraresul sample così com’è. Qualche piccolo interventoogni tanto può essere interessante: prendi la lineadi basso di “Fixed Income”, si tratta in realtà diun suono digitale che ho stretchato, standosempre attento a farlo suonare “umano”. E’ moltodifficile trovare delle buone linee di basso dacampionare: le uniche che reperisci facilmentesono quelle che trovi negli assoli di contrabbassodei dischi jazz, ma campionare ‘sta cosa faveramente molto 1991… sono passati dieci anni…”.Resta la varietà straordinaria delle fonti (c’è perfinoun Battiato d’annata che fa capolino…): “Nonriesco a tenere il conto dei dischi che compro eascolto. Io stesso faccio fatica a ricordarmi, unavolta che risento i miei pezzi a distanza di qualcheanno, da dove ho preso quella voce o queldeterminato frammento. C’è un negozio di dischivicino a casa mia che sembra la pattumiera dovefiniscono tutti i dischi promozionali messi in girodalla case discografiche: ecco che quindi ora possocomprare le maggiori commercialate uscite negliultimi tempi ad offerte tipo “prendine cinque conun dollaro”, così come posso in ogni caso frugarein mezzo ai dischi usati. Anche quando vado ingiro a suonare tento sempre di fermarmi inqualche negozio di dischi. Se ascolto così tanta

musica è perché cerco di seguire lo spiritooriginario dell’hip hop, va da sé; e questo non miimpedisce di appassionarmi anche a generi chehip hop non sono, come può essere, che so?, ilgarage rock”. Non è solo questione di accumulareascolti e campionamenti, è anche questione dicome li si usa: “Quasi tutti sentendo nel mio ultimodisco “You Can’t Get Home Again” hanno detto“wow, questa è una traccia veramente new wave,veramente anni ’80!”. La cosa curiosa è chepraticamente nessun campionamento in quellacanzone è stato preso da dischi new wave anni’80…”.La grandezza di Shadow sta nella sua unicità, èdifficile che ci sia qualcuno che gli possasomigliare; ma al tempo stesso seguendo la suamusica si possono trarre delle linee guida chepossano definire meglio le pratiche creative delnuovo millennio, linee guida che diventino quindiun patrimonio collettivo. La sterminata mole diinformazioni a cui possiamo accedere va gestita,e va re/interpretata: l’introduzione della tecnicadel campionamento e delle macchine digitali hastravolto la musica negli ultimi vent’anni, ma ora,passato l’effetto-meraviglia in cui ogni utilizzoanche il più banale è accompagnato da “ooooh”di meraviglia, bisogna avere la capacità e ilcoraggio di usare questi nuovi mezzi in manieracreativa, sorprendente. Shadow lo fa. E’ unesempio di vero artista post-moderno che fondespazio e tempo, crea musica che suona nuovissimautilizzando vinili degli anni ’70, sforna un’alchimiasonora terribilmente compatta che però metteinsieme dischi provenienti da ogni parte delpianeta. Al tempo stesso è strettamente attaccatoalla sua tribù, alla sua identità artistica di partenza,l’hip hop. Senonché, invece di usare l’hip hop comeguscio rassicurante, soprattutto ora che i suoicanoni più commerciali sono diventatitremendamente redditizi, tenta sempre di seguirnelo spirito e non la forma che assume via via invari periodi storici, tutto questo per poter scoprirenuove strade e nuove risorse per, appunto, la suatribù. La coesistenza di questi estremi opposti(musica nuova con materiale vecchio, musicainnovativa e ricca di riferimenti inediti ma che allafine vuole sempre fare capo ad una singola storiae tradizione) è proprio da manuale dellapostmodernità, come ce la può spiegare unFrederic Jameson.Lunga vita a Dj Shadow, quindi. Anche perché aldi là di ogni sofisticata teorizzazione va detto cheil signor Davis sforna musica tremendamente funk,esaltante da ascoltare, esaltante quando se nepercepisce il ritmo; e questo funk a sua volta hala profondità per racchiudere un mare dichiaroscuri emotivi, non solo la ballabilità. Talentopuro, insomma. Di quelli che, fortunatamente,sono universalmente riconosciuti… anche se sonodannatamente scomodi, perché spazzano via densistrati di opportunismo, pigrizia artistica, banalità,luoghi comuni.

Dj Shadow - The Private Press (MCA / Universal)www.djshadow.com

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Darqwan - Said The Spider (Texture)Oris Jay, nuova stella del nu GarageCamp alla serata Forward, stadistinguendosi con singoli e remix diassoluta potenza e creatività. La suaetichetta Texture è arrivata al terzosingolo con uno dei suoi migliori branicome Darqwan: “Said the Spider”.Questa traccia, già contenuta nel CD mixBingo Beats vol.2, si distingue per unabassline memorizzabileistantaneamente, un po’ per la sua indoledub, un po’ per la sua tendenza a farevibrare anche gli organi interni diqualsiasi ascoltatore...

Cane - Licka/Malfunktion(Retrofresshh)Dodici poll ici più che necessario,assolutamente da pista, questobellissimo incrocio tra techno, breakbeat,garage, drum’n’bass e ragga. Comepotrebbe essere ora un singolo deiLeftfield, sia “Licka” sia i l retro“Malfunktion”, irrompono tra i woofer conun amalgama di suoni che ripercorronola storia degli ultimi dieci anni delladance. Ritmo shuffle, cassa e rullanteelectro, sub basso distorto alla Dillinja,e suoni da retro synth techno anninovanta. Meraviglia...

Benny Ill Kode 9 & The Culprit - FatLarry’s Skank (Tempa)La Tempa è una di quelle etichettesottovalutate, ma con un suono originalepur facendo parte di un filone benpreciso. Il breakstep, che è ormai unterritorio al confine con qualsiasi altro

genere, può permettersi di sperimentarequalsiasi sapore ritmico e qualsiasisuono. Benni Ill, senz’acca, all’ottavosingolo per la sua bellissima etichettaTempa, sposta il confine del genere unpoco più avanti sperimentando afro,funky, poetry, trip hop, drum’n’bass inun solo brano che oserei dire unico!Splendido.

The Henchmen - Jigga Up (Ring theAlarm) - Original+DJ Hype rmx(Sidestepper)Sulla scia del sempreverde ‘JamaicanFlavour’, arriva il brano dell’estate. Unclassico rivisitato in chiave breakbeat/garage su entrambi i lati: sulla side Arimane l’integrità del brano con cantatoe rap che si alternano sul tempo originalee raddoppio di beat con bassline dub ebreaks da brivido! Mr Hype, i ldrum’n’bass hero, ci delizia con una suaversione a 135 bpm cyber-ragga nel latoB, con un tempo sincopato ed il suo tipicotocco di basse frequenze che si sentononello stomaco.

Recap - In Search Of SomethingDifferent (Backroom Records)Secondo singolo per la neonataBackroom Records, e secondo bellissimobrano per chi ama il basso serio e lafunkyness nel breakbeat. Recap aliasRich Wilson sembra un appassionato deldrum programming sopraffino, masoprattutto un’artigiano delle linee dibasso che si creano con i monosynthanalogici. Il brano sulla side A è davveroun capolavoro di subfrequenze datedall’inviluppo e dalla frequenza impazzitadi una bassline molto, ma molto densa!Il lato B sinceramente non è cosìindimenticabile...

Daluq - Supafine / OrientalExpress (SoulJa)Finalmente in uscita il quarto attesissimosingolo per una delle migliori label dibreakstep. Uno di quei singoli che hannoun doppio lato A, vale a dire cheentrambe le facciate riportano tracce dausare in pista. “Supafine” è un breaksteptanto potente quanto tagliente, sampleda film anni ’70, rullanti impazziti ed unabassline da far invidia ad un branodrum’n’bass. Sul retro “Oriental Express”sembra proprio un treno in corsa in bilicotra il broken beat e la garage piùsperimentale, potente e raffinato.

Realside - High Noon (Sirkus)Nuovo progetto dal prolifico Domu, quiin versione deep broken house.Bellissimo brano d’atmosfera quantoricco di rimandi alla black music direiquasi subliminali, “High Noon” si dilatapiano piano dando un senso di benesseresia all’ascoltatore sia a chi se lo staballando…Maddslinky si occupa del remixsull’altro lato, riprendendo quel feelingda brano deep ma in formula breaksshuffle, infarcito da una bassline tra l’ukgarage ed il drum’n’bass.

Cousin Cockroach - This Ain’tTom & Jerry (Bitasweet)Il cuginetto scarafaggio altro non è cheil nostro caro amico Dego McFarlane,ossia uno dei quattro eroi, o 4Hero. Dopoavere ormai portato alle orecchie di moltila nuova scena West London e tutti i suoiadepti, il caro Dego strizza l’occhio alnuovo suono della garage piùsperimentale, che si riappropria dellebassline più poderose del drum’n’bass esi infarcisce di blackness fino al collo.Bellissimo brano con ritmo shuffle un po’sghembo e accordi jazz funk alla HerbieHancock.

>/SINGOLI

>/BREAKBEATtext > Dj [email protected]

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Digital - Sounds Of Freedom (C.I.A.)Dopo l’onnipresenza di Digital nella scenadrum’n’bass dei dodici mesi passati,ormai ci si aspettava qualche cosa diassolutamente memorabile, quindieccolo arrivare con un assolutocapolavoro alla stregua dei suoiindimenticabili “Waterhouse dub” e“Deadline”. Sull ’etichetta del suocompagno di scorribande Spirit, unabomba di dub & bass come solo lui riescea comporre: voce ragga totalmentedopante e break di amen in salsa Roots.Agustus Pablo inna space...

Dom Um Romao - Remix E.P. 2 (HeadTo Toe)Singolo di remix per uno dei miglioripercussionisti cui tutta la scena danceattuale dovrebbe inchinarsi. Sempredall’italiana Head To Toe ecco il secondoEP di remix con relativo album in CD,ma questa volta con una strizzatinad’occhio per chi vuole il beat a 170 bpm.Sci Clone alias A Sides e Nathan Hinescreano un capolavoro assoluto diJazz…sì, non si tratta più di drum’n’bass,o breakbeat o West London, ma jazzdigitale, con il favoloso flauto e saxsoprano di Nathan Hines!! Da segnalareanche un remix di Domu.

Pascal - Watershed E.P. (TruePlayaz)Il terzo eroe del laboratorio di beatz &bass della casa Ganja Kru, si cimenta inun secondo lavoro ad ampio respiro sullascienza del drum’n’bass. Quattromeravigliose angolature sul modernostato della jungle: dalla cantata “HoldYou”, all’houseggiante “What You Need”ma con bassline molto vicina a

‘Snapshot’. Completano il doppio singolo“Watershed”, con sfumature di old skoolfunk e l’intramontabile vocal sample diHypnotizin, e “Hold it now”…semplicemente essenziale.

RAM Trilogy - Chapter 6 / HuggyBear (RAM)Il ‘Trio Fantasticus’ del drum’n’bass nonsi stanca di affrontare la scienza del beatperlustrando tutte le sue potenzialitàsonore. Questa volta sembra che sianosaliti sull’auto di Starsky&Hutch, persfrecciare a 180 beat l’ora nel funk deglianni settanta, per poi scenderne erielaborarne una personale visione.Campione di amen per non sbagliarsi erolling beats per la traccia sul lato A“Huggy Bear”, e zampa d’elefante anchenel retro “Superfly”... i titoli dei brani ladovrebbero già dire lunga...

J Majik & Goldie - Sunray (Infrared)Un nuovissimo singolo per J Majik, ilquale rende il favore a colui che lo hascoperto e lanciato nell’olimpo deiproduttori di drum’n’bass: Goldie. Quasicome una riunione di famiglia, che ormainon ha più quel sapore underground chepoteva avere nel 1995, anche perché sulretro c’è un brano prodotto da un altrosuper peso massimo, che risponde alnome di Paul Peshay! Tutti in fila dunquegli inventori di quel suono che stadiventando il mainstream della modernadance music, che mischia house e funknel frullatore drum’n’bass.

Sonic & Silver - On The Anson(Metalheadz)Ogni anno un nuovo team di produttorisi fa largo nel panorama delle storicheetichette, dai Total Science, ai BadCompany, ai Future Cut, aDigital&Spirit…il 2002 sembra propriol’anno di Sonic&Silver, i quali sonoarrivati per così dire al traguardo

rilasciando un singolo per niente menoche la Metalheadz…e che singolo!Bell issimo brano leggermentecinematografico, dubbato, ma con lapotenza di un bel break che rotola, comeanche il retro “Into the light’, jazzato econ una voce femminile quasi daragazzina...

AaVv - MDZ 02 (Metalheadz)Come se dovesse confermare la suaautorevolezza, Goldie, fotografa l’odiernascena con un album da sei vinili pieno diperle per la pista. Da Marcus Intalex &ST Files con “My Soul”, agli UsualSuspects con l’house influenced“Tribute”, a TeeBee, Total Science, Klute,Loxy & Ink, Hidden Agenda…I nuoviarrivati Sonic & Silver con l’old skool rave“Innacorna”, addirittura il redivivo JonnyL con un brano molto funk dal titolo “Partof U”. Insomma, se comprate un discoall’anno...

Tronik 100 - Night Fever E.P.(Reinforced)La vena disco nel drum’n’bass, che a mioparere può regalare ancora molto, parepoco sfruttata se non da Peshay o perqualche titolo della Creative Source diFabio. Naturalmente la Reinforced, la piùblack delle label jungle, trova in Tronik100, produttore tedesco, l’alfiere delsuono Salsoul e PhiladelphiaInternational, il quale nel suo doppio 12"ci regala atmosfere piene di stringsseventy. Da segnalare, oltre “NightFever”, anche “The Sound” e “Feel forLove”.

>/DRUM’N’BASStext > Dj [email protected]

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Erik Sumo - Just A Woman (PulverRecords)Come un ciclo che ritorna, un movimentocostante di Rhodes, rare voci chefluttuano, incisivo tappeto breakbeat ebasso acustico nella tradizione dei TangoForte. Singolo accompagnato da “FuckMy Fucking Rmx” rallentato con bassiprofondi, samples voluttuosi e battutacara a K&D: la crew di InverseCinematics è pronta a scaldare il vostroset slomo. Girato l’acetato trovate “PrettyNu”, cocktail lento e percussivo, stravoltonel rmx dei Crate Soul Brothers consintetizzatori anni 70, staffilate di trombaed un offbeat straniante. East-Europeanjazz vibe!

ritmo al pezzo funky scialbo dei SoulMekanik e poi una revisione dellaseconda opera targata Stylophonic – akaStefano Fontana, nuovo talento Made inItaly -: dall’electro pop danzereccia esaltellante dell’original al vigorosotrattamento dei Nostri, nel consueto stileinondato di Ottanta.Inconfondibilmente affascinante, in pistafa un figurone.

Layo & Bushwacka! - Love StoryRemixes (XL)Paul Oakenfold - Southern Sun /Ready Steady Go (Maverick US)Partendo dal presupposto che Love Storyoriginale è di un altro mondo, il remix diTim Deluxe è carino, ma banalizza assai,mentre è decisamente esaltante laversione di Bushwacka! stesso chereinventa le ritmiche, trasfigura l’inno ecrea un’altra bomba con tastiere acid,grande feeling e super appeal. Ottimolavoro anche nel reinventare ReadySteady Go, in cui il duo costruisce il solitocongegno dancefloor di house diversache funziona perfettamente,convogliando beats, echi vocali ed insertiatmosferici.

Sinead O’Connor - Troy, ThePhoenix From The Flame (Defected)Jon Creamer & Stephane K - WhileU Were Sleeping EP (Pipeline US)Ecco un’altra coppia che viaggia sullacresta dell’onda: Creamer & Stephane

K, fautori di uno stile inconfondibile,profondo ed oscuro, con impressionantiritmiche dallo spirito tribale, atte acostruire un viaggio pauroso.Peccato che nel 12” della Defected nonsia stata inserita la versione vocal delpezzo che è da pura pelle d’oca.

Kylie - Love At First Sight(Parlophone)Le melodie trash della nanetta del popmondiale sono sublimate nella cupa edaffascinante interpretazione dell’ottimoScumfrog, con un incedere moltodefinito, simil marcetta. Segnatevelo.

Mondomusica - Angel (cdr)Quasistereo - Addiction(Azuli )Un altro produttore nostrano da teneremarcato è il rotondo Jr Duffer chedapprima rivede il famoso pezzo di casatorinese Mondomusica – leggi LorenzoLSP – con l’altrettanto nota acappella diAsia Argento, La tua Lingua Sul MioCuore, ributtandolo in un inquietantevortice tribale dalle ritmiche incessanti,quindi riprende Addiction e la lancia inun universo dark con echi e tamburelli.

David Byrne - You’ll Be Jesus(Promo)Dopo aver creato il tomentone Lazy, gliX-Press 2 ricambiano il favore al buonDavid Byrne, remixandogli l’imminenteYou’ll Be Jesus, creando un orgasmo ditastiere e melodie spiritual, che viaggiaal limite fra l’house e la musica daautoscontri.

Radiohead - Everything In Its RightPlace (Promo)Dall’affascinante spleen dei Radiohead,Josh Wink ricava una versione dritta emolto semplice che però – e non è cosada sottovalutare – sa mantenere il mooddel pezzo originale, comunque

>/DOWNBEATtext > [email protected]

>/HOUSEtext > Valerio Tamagnini *[email protected]

Soul Mekanik Invents Ben e Lux .If U Nu (Rip)Stylophonic - Bizarre Mind(Prolifica)Due nuove gemme targate Chicken Lips:prima una virata electro house di gran

insuperato. Non ho ancora capito se lacosa mi prende davvero, ma dateci unascolto perché comunque è interessante.

16B - Bruno (white)L’original ha veramente un bel passo:grande partenza, bella situazione, unsaliscendi di giochi ritmici e finalmenteun bel basso portante che ammalia.16B si mantiene, al solito, su livellid’assoluto riguardo.

Ralph Falcon - Every Now And Then(Lambs Unlimited US)Ultima recensione per quella che stacrescendo come una delle hit sotterraneedegli ultimi mesi: la versione di PeteHeller – che mette il marchio di fabbricasoprattutto nella seconda parte del brano– sfrutta un beat semplice, il vocalizzosognante e dolci tappeti elettronici.Facile, ma molto godibile.

*grazie a Ricky Bitti

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Seelenluft - Out Of The Woods(Klein)Quarto album per lo svizzero Beat Soleraka Seelenluft, terzo per la vienneseKlein. Aperture pop vanno ad arricchireun sound ormai consolidato, un mix dijazz eclettico dominato dal contrabbasso,lounge e bizzarre divagazioni quasi postrock. Da segnalare il singolo “Manila”,surreale ballata dance cantata dal rapperdodicenne Mic-Smith, incontratocasualmente dall’autore per le strade diL.A.

Megablast - Tribute EP (intoThis)Seconda raccolta per Megablast: rimanel’idea di dub ma lo stile si fa più distintivoed acustico. Tre pezzi ed un remix,midtempos tra soffi etnici e volistrumentali a cura dei Jazz Cats In Town.Lo stile di una città, Vienna, si senteprofondamente (in “Sunset”), così comela voglia di dire la propria (in “GoldenHarvest”): c’è la mia definizione di jazz:ciò che conta è il groove, il mescolarsi diritmi e melodie. Copertina a cura diMoerth aka Stereotyp.

Stereotyp - My Sound (G-Stone) Unlavoro in 11 tracce e molte voci chesembrano voler unire le vibrazioni diKingston al cielo plumbeo di Vienna. Tragli altri Sugar B, Collage e Tikimanoffrono il loro toasting al dub profondoe ricercato di “My Sound”. La title track,“Royal Jelly” e “Time” a nostro avviso ibrani più interessanti di questo viaggiofatto di suoni profondi e bassi davverodensi, per la gioia del vostro sub-woofer.

Zion Train - Original Sounds Of TheZion (Universal Egg)Registrato in Galles tra la fine del 2001e l’inizio del 2002, rappresenta unulteriore passo di questo collettivo dalverbo più strettamente reggae/dubverso una diffusione “clubby”: in diverse

tracce i bpm aumentano e la cassa drittafa capolino, effettata ed accompagnatada sovrapposizioni ritmiche speziate diaromi giamaicani. Particolarmenteincisiva appare “Peace & Justice”, pezzodestinato a far muovere le anche e a farcondividere il desiderio sotteso di equitàdelle liriche.

Spaceboys Vs Lay&Quakerma - AfroComet/Dread On The Moon (Lupeca)Sorella della portoghese Offtherecord, laLupeca esce con questo ultimo lavoro diSpaceboys arricchendosi dellacollaborazione con Lay e Quakerman,attivi nei club di Lisbona. Due tracceinfluenzate dalla matrice dubmitteleuropea, cosa che non stupiscedato che proprio K&D hanno indicato laLupeca e la Nylon, come le realtà piùinteressanti della scena portoghese.Afrobeats e suoni calibrati e avvolgentiper un insolito Portogallo.

Tweak - Rmxs (Straight Ahead)Test pressing che uscirà ufficialmente asettembre dall’etichetta di Alex Dallas.Si tratta di un rimaneggiamento di duebrani da “Hybrid Organics”: “Weirdo” èuna traccia vocale affidata alle sapientimani di Beanfield, ma a fare la differenzaè la potente versione di “Fathord” adopera di Raw Deal nuovo astro nascenteche firma anche “Domination”, una delleprove migliori in “Reset” di PeaceOrchestra (G-Stone).

Minus 8 - Theia (Compost)Dalla nota scuderia di Monaco, tornano iMinus 8 con un 12 pollici perfetto per ildancefloor. “Theia” è il brano principale,un veloce jazz-boogie contemporaneo,disimpegnato quanto basta per le nottiestive, che nel rmx di un JamesHardaway in controtendenza, diventaun’avvolgente dubhouse a cassa dritta.Ma il solco più sorprendente è “A Concha

Corderosa”. Risacche oceaniche, cuica evoci lontane costruiscono una stranacreatura brasiliana su ritmiche d’n’b.Patife docet?

Grupo Batuque - Big Bang Rmxs (FarOut)Aria di mondiali per la squadra inglesedella Far Out che mette a segnol’ennesimo colpo di classe: “Between TheLines” del Grupo Batuque, ensemble dipercussionisti e musicisti brasiliani, cheper l’occasione scendono in campo“dopati”. Qui si gioca con la solita tatticavincente, ritmo spezzato, percussioniafrobrasiliane, la calda voce di MarcinaArnold ed è subito goal!

Sun Ra - Sunset On The River Nile(Mo’ Smog)Continua la serie di remix dedicata aigrandi del jazz e curata da Paolo Scotti,dopo Archie Shepp, Chet Baker, LillianTerry, Dizzy Gillespie e George Russellquesta volta tocca al faraonico Sun Ra.Trattamento a cura dei croati Eddy&Dus,tra i migliori produttori del momento: tretracce broken beat e riprese in 4/4. Lepercussioni brasiliane, il vorticoso loopvocale e l’apertura cocktail del finalerendono il “Blue Cave Mix” un must peri set più raffinati. In arrivo una versionepazzesca di “Satellites Are Spinning”, acura di Zero Db e Gilles Peterson.

Juice Loosers - Elephant Bop (Nolabel)Produzione italiana in tiraturalimitatissima a 100 copie. Un beatstrutturato ed un inesauribile tappeto dipercussioni sostengono il rincorrersi diRhodes e chitarra, mentre la tromba fafede al titolo del brano: strumentisti divalore ed attitudine matura porterannoi loro frutti. Sembra che LTJ Bukeeml’abbia molto apprezzato per scaldare lepiste.

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Nello scorso numero di UT ci siamo lungamentesoffermati sulla storia di Rob Smith e Ray Mighty.E’ il classico caso di artisti sottovalutati, di pionieriche non hanno avuto il giusto riconoscimento alivello popolare. I nomi sulla bocca dei grandinumeri sono quelli di Tricky, Massive Attack,Portishead; ma proprio questi nomi sono i primi ariconoscere che se dobbiamo fare attenzione acome la faccenda è iniziata veramente, beh, allorabisogna fare capo a questo duo di pigri bristoliani.Il momento seminale di tutta la scena di Bristol èstato quando Smith & Mighty hanno preso estravolto un pezzo di Erik Satie, anno 1987: lì c’èstata la prima codificazione in termini musicali ditutto uno Spirito che poi ha profondissimamentesegnato la musica degli anni ’90, un’influenza checomunque anche col passaggio al nuovo millennionon accenna a diminuire.Il matrimonio delle spirituali rarefazioni del dub,delle vibrazioni giamaicane con le inquietudiniurbane del breakbeat è uno dei migliori riassuntidella nostra epoca. Un matrimonio che mette ingioco, qui e ora, spazi e patrimoni culturali diversie al tempo stesso conviventi a stretto contatto digomito – solo che ancora nessuno (o quasi) sen’era accorto. Un matrimonio dall’essenzapostmoderna, nel suo essere composto daelementi così originariamente antitetici che peròhanno la capacità di fondersi con un senso che èaddirittura quello di inevitabilità (quanti di noisentendo gli albori del trip hop hanno pensato“ecco, questa è la NOSTRA musica”?). Ecco: diquesto patrimonio, Smith & Mighty sono non solopossessori, ma anche veri originatori. Che poi neglianni la loro storia sia stata quella di una lunganon-presenza, ecco, di questo bisogna incolpare ifarraginosi meccanismi dell’industria discografica:un apparentemente vantaggioso contratto con laPolygram si è col tempo rivelato una micidialetrappola che per molto tempo ci ha lasciato senzanessuna uscita discografica da parte della coppiabristoliana.Ma Smith & Mighty non sono solo storia, loro sonoanche presente. Una volta liberatisi degli accordi-capestro, i due si sono messi a sfornare musicacon buona continuità. Senza la possibilità di avereparecchio hype alle spalle, perché stare con

BASS IS MATERNALROB SMITH & RAY MIGHTYtext > Damir Ivic - photo > press agency

etichette indipendenti ha sì vantaggi ma anchesvantaggi, hanno fatto uscire perle come “BassIs Maternal” (1995, ristampato nel 2000), ilvolume della serie “Dj Kicks” da loro curato (1998),“Big World, Small World” (2000) e buon’ultimo“Life Is” (2002). La loro impronta è inconfondibile,bassi così profondi che sembrano proveniredall’inconscio si mescolano a linee melodicheaffascinanti e malinconiche, breakbeat precisi etagliati con sapienza tengono insieme il tutto. ARob e Ray si è aggiunto col tempo un terzo socio,Peter D. Rose, senza comunque provocarestravolgimenti dal punto di vista del prodottofinale. Anche il loro modo di lavorare è di unameravigliosa indolenza: tempi dilatati, frequentipause a base di, uhm, sigarette speziate. Masoprattutto il loro studio è una vera e propriacomunità, con un continuo via vai di gente. Cipossono passare le stelle che noi tutti conosciamo,i Massive Attack, i Geoff Barrow, ma i Nostritengono parecchio alla possibilità di dare voce edospitalità anche a giovani artisti di talento di Bristole dintorni. L’ultima volta che abbiamo avuto mododi parlare con Rob Smith, era per parlaredell’uscita di “Life Is”, lui ha insistito parecchiosul fatto che tutti i vocalist presenti nel disco (enon sono pochi) sono ragazzi della loro città, agliesordi dal punto di vista discografico. “La nostramusica deve essere prima di tutto una famiglia”:è indubbio che sia così. Del resto, ascoltando leloro linee di basso e i loro misurati breakbeat,diventa quasi naturale sentirsi anche noi parte diquesta famiglia. “Bass Is Maternal”... qualeriassunto migliore?

Smith & Mighty - Life Is (!K7)www.smithandmighty.co.uk

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E’ live? O è un campionamento? E’ un algoritmo o unasequenza? Quali sono i codici scritti nei suoni invisibilidell’elettronico qui e ora? La permutazione delle domandescorre in avanti come una traccia familiare di un discoche conosciamo per bene, un suono che sta sul bordodell’immaginazione collettiva. Ciò che ti resta da fare,come suggerisce il bottone stesso, è di premere “play”.

Un flash illumina lo stato delle cose. Segui stili liberi.

Sonar. Come ad ogni angolo di un incrocio cittadino, devisempre guardare in ogni direzione, e questo è ciò cherende la musica elettronica così divertente tanto da farequanto da ascoltare. Questa per me è l’essenza del Sonar.Come trovare l’equilibrio tra tutti i nuovi stimoli che lamusica elettronica ha instillato in noi. Sia che si tratti ditechno revivalista degli anni’80, hip hop, drum’n’bass, oin qualsiasi modo tu voglia chiamarla, la sensazionefondamentale è quella di una grande scena teatrale.Immaginate il “Gesamtkunstwerk” di Wagner mixato con,che so?, “Where’s Your Head At” dei Basement Jaxx (colvideo diretto da TRAKTOR) o “Frontier Psychiatry” degliAvalanches (Kuntz & MacGuire gli autori del video) – ecco,sentite la vibra: la cultura pop rappresentata come unfreak show, musicisti assurdi provenienti dal Pianeta DelleScimmie, ogni parte musicale in scena sul palco arriva aguadagnarsi un suo proprio significato - , l’interaprospettiva analitica dei pazienti resta irrisolta: un incuboaffiora in superficie. Pensate alle circostanze: usiamo tuttidei software, lavoriamo tutti di programmazione. Ciò chefa variare il risultato finale sono le condizioni culturaliche ciascuna persona porta in dote. Quella che Debordchiamò “dérive”, beh, basta che togliate una “é” e vienefuori “drive” (“guida”). O ancora meglio, pensate a tuttoquesto come agli elementi che Gaudì usava in superficieper la sua “architettura dell’inconscio”. Gli impulsi sonogli stessi. E’ il formato a variare. Usate i vostri occhi persentire e le vostre orecchie per vedere – inseguite larealtà del ritmo. Fondamentalmente, è solo un nuovomodo di fare cose che sono state nostre compagne daquando esistiamo come uomini: creare nuove forme congli oggetti che troviamo in giro. La nuova commistione cilibera da vecchie associazioni. Nuovi contesti nasconoda ciò che è stato. Lo script viene stravolto. Il linguaggiosi evolve ed impara ad esprimersi in nuove forme, nuovipensieri: il suono pensiero diviene di nuovo intellegibilelì negli angoli dei nuovi significati. Dopo tutto, tutto ciòche vi chiediamo di fare è di imparare una nuova lingua…Soundlab – un evento a New York City o anche un sabbaper la cultura dei festival nell’era della macchina invisibile.E’ in fondo tutta questione di un “avvenimento”.…dislocazioni geografiche… Pensate ai “roto-reliefs” diDuchamp mixate con “Notes From Underground” diThelonius Monk, e infettate entrambi con le paroledell’omonima novella di Dostoyevskij (“Memorie DalSottosuolo”): avrete un esempio di cosa intendo. Suono.

Invisibile. Migrante. Trame nell’aria. Pensate a questocome a un nuovo modo di far combinare la culturaelettronica con quello che Amiri Baraka ha chiamato “ilmedesimo in mutazione”. Prendete quest’idea e fatelasviluppare su se stessa. Pensate a lei come ad un “laptopjazz”, jazz cibernetico, nu-bop, illbient… un concetto senzanome, senza forma, senza dimensioni la cui struttra èdata dal ritmo, e già questo è un bell’inizio. Optometria:è un nuovo modo di pensare a qualcosa che è nelle nostrevite ogni giorno: trame, codici, cifre… da qualsiasi partela si guardi, è sempre una questione di poter comunicarecon l’invisibile, e fare in modo che la conversazione sifaccia medium, si faccia puro testo. Il risultato finale:optometria. Quella che si potrebbe chiamare “arte totale”diventa il codice di sorgente per il contesto. La colonnasonora vola via e lascia il film da solo. Suono e immaginedivorziano e si riconfigurano, prima di riunirsi nuovamentein un mix. Vi prego, pensate a questo quando ascoltatedei suoni. Le ruote si muovono, i dischi girano, gli harddisk avanzano secondo la logica ricorsiva della tiranniadel ritmo – i tempi cambiano, e la musica si evolve. E’questione di flusso di coscienza… Ma alla fine dei conti, ètutta questione di una medesima identità che cambia,l’essenza della ripetizione vista secondo il pensieromoderno che Duke Ellington amava sintetizzare conquesta domanda: “Chi gioca a fare l’ombra di chi?”. E’ ilventunesimo secolo. L’eclisse afroeuroasiatica incontrail nu-bop nella strade della città remixata. Una lista dipredecessori: Bud Powell, Fats Weller, Duke Ellington,The New York Art Ensemble, Erik Satie, Morton Feldman…la litania è lunga, e potrebbe andare avanti all’infinito.Ma proprio questo è il punto. I campionamenti e iframmenti riescono ad esprimere l’inesprimibile, le radicirimangono intatte: affronta lo script, svolgi l’equazione,guarda che sta succedendo. Guy Debord usava chiamaretutto questo “détournement”, Freud lo chiamava“l’inconoscibile”, noi lo chiamiamo “wildstyle”. Lochiamiamo carnevale. Lo chiamiamo “parade”. Ed è unmodo di vivere che è qua per starci a lungo. Era unaquestione di contingenze allora, ed è tale anche adesso,solo che è tutto molto più sistematico. E’ live? O è uncampionamento? Ancora dopo tre decadi di scienza delritmo, la domanda resiste sempre più attuale.L’Inconoscibile resta con noi. Charlie Parker e CharliePatton hanno suonato note di un underground che erapiù concentrato sul contenuto che sul contesto. La musicadella macchina invisibile arriva a noi attraverso il softwaredel giorno. Max/MSP, Traktor, Supercollider, Nato + 55,Reason, Rebirth, Recycle, Mixman… i nomi vanno avanti,ma il quadro si delinea. Il software è infinito. Il Sonar èquestione di riflesso sonoro che serve a farci abitare unambiente elettronico. Pensate ai pipistrelli che volanonella notte. Navigate la metafora, tagliatela&incollatelanel qui e ora. La Commedia Dell’Arte si fa digitale, diventateatro totale, diventa elettronica. Sentitene le frequenze.Sonar 2002.

Per gentile concessione di 21C Magazine

SONAR 2002text > Paul D. Miller - traduzione > Damir Ivicphoto > Stefano Camellini

Paul D. Miller aka Dj Spookywww.djspooky.comwww.21cmagazine.com

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Rovereto 13-14-15 giugno 2002. Festival internazionale di musica elettronica.Cosi’ recita l’elegante manifesto della terza edizione delle Summer Sessionsroveretane, organizzate dal Centro Didattico Musicateatrodanza (http://www.cdmrovereto.it). E che festival: il cartellone prevede Badmarsh & Shri,Dave Watts, Frederic Galliano & the African Divas, senza contare i diversi djsets che si alterneranno alle perfomance live degli ospiti. Una rassegna dallaforte impronta etnica, come gia’ era avvenuto per il fratello maggiore di questofestival, quel Reset dello scorso settembre, organizzato dai tipi del Maffia, chetanti commenti positivi aveva suscitato. L’elemento trainante delle propostesonore e’ quindi l’approccio multiculturale, ormai completamente assorbitodalla nuova scena dance ed elettronica internazionale. La parte del leone inquesto vivace angolo del Trentino e’ riservata all’asian breakbeat, nella secondaserata. Infatti, dopo il dj set targato Boogaloo (caposaldo musicale nella zona,ma non solo, quasi una sorta di posse elettronica) tocca a UK Apache invitarei presenti, circa 2000, ad accogliere come dovuto Badmarsh & Shri, per unlive set che stupira’ positivamente tutti coloro che ancora non conoscevano ivirtuosismi, con strumenti e macchine, della formazione angloindiana. Jungle,ragga, tabla, un basso suonato con l’archetto, splendidi esercizi vocali: tuttoquesto si fonde perfettamente in un’esplosione sonora che rapisce, anche perla sua semplicita’ e naturalezza. Dall’ascolto attento, mistico, verrebbe dadire, dei musicisti dell’Outcaste Records, si passa al ballo grazie all’eccellente,seppur breve, set di Dave Watts, leader dei Fun-Da-Mental. Un altro nomestorico dei suoni asian. Anche qui troviamo diversi mondi accostati tra loro:hip hop, reggae, funky, tutti proposti con intelligenza e in un crescendo dibattute che ci porta alla sorpresa della serata, l’arrivo sul palco di una tipaall’apparenza tranquilla che si rivelera’ essere una delle animatrici delle seratedel Pacha di Ibiza: Lottie. Si avvicina ballando alla consolle che Watts sta perlasciare e iniziera’ una vera e propria fiesta di stampo house. Forse all’iniziospiazza un po’ i presenti, ormai abituati a suoni roots, ma una volta superatol’effetto sorpresa le danze andranno avanti fino alla mattina. Ritmi perappassionati del genere ma la sensazione, anche per chi ama jungle e drumand bass, e’ che si tratti davvero del meglio in circolazione: suoni curati,accattivanti, insomma tutto molto cool.

Il sabato l’attesa e’ tutta per Frederic Galliano & The African Divas, una dellegrandi sorprese degli ultimi mesi. Fin dalle prove, nell’assolato pomeriggiotrentino, si capisce che si tratta di un qualcosa di speciale, di molto particolare.E la sera, quanto di buono si era carpito dal sound check emerge con forza: lesplendide voci delle dive, le tastiere che ci riportano ai suoni funky e soul, lepercussioni. Il tutto sorretto da solide ritmiche elettroniche, piu’ consone afumosi club inglesi che ai vasti spazi del continente africano. Eppure, comegia’ sperimentato la sera prima con la miscela asian-breakbeat, tutti questielementi si fondono alla perfezione secondo magiche alchimie note alcoraggioso Galliano.Il finale della manifestazione invece e’ tutto all’insegna del ballo, grazie allapresenza sul palco di Maddslinky, progetto a quattro mani che vede impegnatiZed Bias, una delle maggiori voci del 2step garage inglese, e dj Rocca, delMaffia Sound System. I due si divertono davvero, mixano lasciando da partele cuffie e alternano vere e proprie hit, vedi alla voce Kosheen, a gustosenovita’. Propongono un set di 2 step con influenze jazzy e suoni davvero distile che tiene incollati alla pista le molte centinaia di presenti accorsi in questosabato elettronico. ‘La nostra e’ un po’ una scommessa -racconta Paolo Fanini,il simpatico direttore del CDM, ai lettori di Basebog- cosi come lo e’ stataquella della scuola musicale. Fortunatamente le persone hanno risposto benee la collaborazione con le Istituzioni non e’ mai venuta a mancare. L’idea e’stata quella di crescere con le proposte del festival nel corso del tempo, siamoappena alla terza edizione, ma gia’ i nomi sono di tutto rilievo. Alcuni di noiavrebbero voluto osare anche qualcosa di piu’, ma vogliamo maturare insiemealla gente che ci segue e che partecipa con tanto calore alla nostra iniziativa’.Si vede che e’ soddisfatto e non posso che convenire con lui, osservandointorno a noi le tante facce da festival: rilassate, curiose, consapevoli dipartecipare ad un evento che muove i primi passi, ma destinato a diventarepunto di riferimento della scena elettronica nazionale.(tatto da BASEBOG MAGAZINE - www.basebog.it)

SUMMERSESSIONtext > Francesco Marchese

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“Mi è sempre piaciuta l’idea di costruire un mio proprio suono, di lavorarecioè con suoni diversi per arrivare a creare qualcosa di nuovo e fresco. Ecomunque, non mi svenderò, come invece è successo ad altri artistitedeschi…”

Signore e signori, Timo Maas. Un dj che anno dopo anno è arrivato a costruirsi unareputazione micidiale, creando un’identità fortissima attorno al suo nome e alla suamusica (forse il massimo traguardo, per un dj…). La consacrazione fra i non addetti ailavori è arrivata quest’anno con “Loud”, lp firmato a suo nome: non un mix album,ma un vero e proprio disco di canzoni. E che canzoni: “To Get Down” ha una taleprodigiosa forza da aver invaso anche i canali più mainstream, e l’attuale singolo“Help Me” (che vede la partecipazione di Kelis) rischia di fare altrettanto. Pochissimidj sono riusciti nel “cortocircuito” di mettere d’accordo la scena pop mainstream conquella della club culture. Però va detto che era già da qualche anno che il nome diTimo stava sulla bocca di tutti gli osservatori e frequentatori della club culture, unpeso massimo in ogni adunata in quattro quarti che si rispetti: ormai l’unica sfida chedoveva affrontare era quella di misurarsi fuori dalle amichevoli mura delle discotecheper entrare nel complicato mondo di MTV e delle playlist radiofoniche. Non è quindiuna meteora che arriva all’improvviso, ma un dj che con metodica precisione e micidialeregolarità ha piano piano abbattuto ogni ostacolo. Teutonico, insomma. Il physiquedu role, indubbiamente, c’è.La sua storia comincia ad Hannover, sua città natale: “Già a tredici anni, durante lefeste, mentre tutti i miei compagni di classe pensavano a fare comunella e magari aprovarci con qualche ragazza, io stavo tutto concentrato sui dischi. E’ stato naturaleritrovarmi dopo qualche anno a mettere su vinili nelle discoteche di Hannover”. Lafine dell’età scolastica lo vede intraprendere un’attività da venditore di telefonini perconto della Deutsche Telekom di giorno, continuando invece a fare l’instancabilemischiadischi di notte. Per quanto il business dei cellulari possa essere remunerativo,i riconoscimenti per la sua abilità da dj cominciano ad essere troppi: il primo momentodi svolta della sua carriera arriva quando il superclub amburghese The Tunnel glioffre una residenza. La sintonia con l’altro dj resident del club, Gary D, è totale. I dueaffinano uno stile che definiscono “aggressive trance”… rende l’idea, no? Il risultatoconcreto, oltre a ore di dj set infuocati, è “Die Herdplatte”. E’ in questo preciso istanteche la fama di Maas comincia ad uscire dai confini nazionali. Arriva il contratto con laHope Recordings, arrivano inviti per suonare in Austria, Svizzera, Inghilterra.Parte la fase due della carriera. Inizia la trafila di dischi registrati sotto vari alias:Kinetic A.T.O.M. (“Borg Destroyer”, 8.000 copie vendute col semplice potere delpassaparola, nessuna promozione stampa, radio o tv), e soprattutto Orinoko. E’ sottoquesto pseudonimo che nel 1997 Maas sforna “Mama Konda”, un micidiale martelloche diventa un classico nelle sarate di Dave Morales o di Sasha, e catapulta Timo nelgotha del clubbing mondiale. Da questo momento in avanti, non è più possibile tornareindietro. Ogni produzione da lui firmata arriva a vendere non meno di 10.000 copie,così, per pura inerzia; fioccano le richieste per approntare dei remix: “E’ stato unperiodo di iperattivismo quasi folle, sono arrivato a fare 90 produzioni in tre anni. Miviene da sorridere, se penso che nell’ultimo anno l’unica cosa che ho fatto oltre al mioalbum è stato un remix per Kelis!”. La sua reinterpretazione di “Doom’s Night” degliAzzido Da Bass (1999) è una pietra miliare.

TIMO MAAStext > Damir Ivic - photo > press agencyDJ FOR THE MASSES

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E’ a questo punto che entra in gioco Oakenfold con la sualabel Perfecto. La cifra artistica di Maas si sposa benissimocon le linee sonore dell’etichetta di Oakey, era quasi destinoinevitabile che i due entrassero in stretto contatto. Per Timoquesto significa il definitivo lasciapassare per la celebrità,l’inserimento nella cerchia non troppo allargata dei super-dj: arrivano committenze da Placebo (“Special K”), Madonna(“Don’t Tell Me”), Fatboy Slim (“Star 69”). Arrivano mix cdcome “Music For The Maases” (album dell’anno sia perMinistry che per Mixmag) e “Connected” che portano il djtedesco negli scaffali dei megastore europei, non più solonei negozi specializzati in musica dance. Il terreno per “Loud”è pronto. Quando arriva, nel marzo 2002, preceduto da duesingoli, “Der Schieber” e “Ubik”, è il botto. Meritato. Costruitopasso dopo passo.

“La mia fortuna è di essere arrivato ad una condizionein cui posso essere io a scegliere cosa fare. E’ unprivilegio, questo: ecco perché lo esercito con moltaattenzione. Non per questo però ora voglio fermarmi:per l’inizio del 2003 vorrei aver finito il prossimoalbum. Non ho ancora idea di come sarà, quel che ècerto è che non voglio perdere lo spirito e ildivertimento che mi ha catturato finora”

Definire la cifra artistica di Timo Maas porta a confrontarsicon quelle che sono le sue radici geografiche, con tutto quelloche ne consegue. La frase “non mi svenderò, come invece èsuccesso ad altri artisti tedeschi” è indicativa del fatto cheMaas stesso ha ben presente cosa rappresenti la Germaniaper la club culture, almeno ad una vista superficiale. Cosìcome l’Italia ancora oggi è legata indissolubilmente alla“spaghetti house” (quella dei primi anni ’90, che campionavale pianole funky, le velocizzava, e ci piantava sopra unamelodia facile facile), la Germania deve fare i conti colpredominio di una trance house grossolana, da Festa dellaBirra, da autoscontro al luna park. La predilezione che c’ènel centro Europa per questo tipo di musica (o per le variantiun po’ meno di grana grossa, un po’…) ha portato i giornalistiinglesi a coniare il termine “eurobeat”, una vera e propriadefinizione di genere (esattamente come successo dieci annifa per “spaghetti house”). Un dj che viene da Hannover esuona trance, come nel caso di Timo Maas, rischia di essereun luogo comune vivente o, vedendola da un altro punto divista, può obbligare il cliché ad inseguire l’artista, piuttostoche viceversa. In Maas si avverte forte questa radice

centroeuropea, la sua musica è poderosa, quadrata, conritmiche scandite e inequivocabili, (state per dire “una musicacrucca”? Ok, ditelo). Ma è proprio qua che viene fuori la suaclasse: se da un lato sa come prendere le folle, dall’altro,una volta che le ha catturate con groove semplici, incominciaa portarle in un viaggio spiazzante, fatto di folate melodichegelide, di improvvisi inserti difficili da prevedere, insomma,molto lontano dai canoni abituali (e solitamente più redditizi)del genere. Può permettersi di farlo, avendo dalla sua comedj una tecnica dalla pulizia prodigiosa, capace di “nascondere”il passaggio da un pezzo all’altro. I suoi dj set sono di unacompattezza assoluta. E si tratta di un raro caso di dj aivertici mondiali che dimostra di essere un abile produttoreanche quando si tratta di sfornare e “tagliare” delle canzoni(molti nomi grossi in questo tentativo hanno o fallito o avutodei risultati non del tutto soddisfacenti, un nome per tutti:Carl Cox). Ma tornando specificatamente al suo lavoro comemischiadischi, quello che si può sentire in “Connected”, in“Music For The Maases” o semplicemente in una delle sueserate è qualcosa che riesce a creare un equilibrio definitivofra grandiosità della forza ritmica e suggestioni trance-ggiantidi sottile e inquietante malinconia. Che è un po’ anche laricetta dell’Oakenfold migliore, quella che lo ha portato adiventare un’icona assoluta a partire dai primi anni ’90; maascoltando Timo Maas, sentendo la sua terrificante capacitàdi sostenere il groove, qua e là viene voglia di dire che l’allievoha superato il maestro…

Timo Maas - Loud (Perfecto)www.perfecto-fc.comwww.timomaas.de

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Molti di noi hanno un computer conneso alla rete, esclu-sivamente utilizzato per navigare e scrivere/inviare mes-saggi dalla posta elettronica. Parallelamente ci sono moltialtri che vedono il web come un nuovo mezzo di comuni-care, un nuovo modo di poter essere visibili di fronte almondo. Ci occuperemo principalmente di questi perso-naggi e delle loro creazioni che danno vita a questo uni-verso ancora relativamente nuovo, sono i web designerscresciuti con Photoshop, Illustator, Photopaint piuttostoche con matite e tecnigrafo. Di seguito un passaggio ve-loce sui siti che nelle ultime settimane hanno richiamatodi piu' la mia attenzione. Ovviamente tutti gli URL sonoattivi al momento in cui scrivo queste righe, non si ga-rantisce restino tali nel tempo, internet è anche questo.

Il primo sito che vi segnalo è (http://lagraphica.com),arriva da Los Angeles e si occupa proprio di questa città.Le immagini sono foto di Los Angeles ritoccate a compu-ter e rese molto colorate con tinte piene e predominanzadi colori caldi. Le immagini da visionare sono molte seavete tempo per navigare. Il prossimo è (http://www.dasquerformat.de/). All'entrata c'è la possibili-tà di scegliere il colore con cui navigare tra le pagine, lascelta è il verde o il rosa, l'impostazione è molto minimalecon caratteri piccoli e ravvicinati. L'idea che c'è dietro èsemplice, ricostruire in maniera digitale i fiori. Infatti nel-le gallerie si trovano fiori ricreati al computer in manieraesemplare, merita una visita. Passiamo ora a (http://www.allmylifeforsale.com/) dove il ragazzo in que-stione mette in vendita la sua vita, o meglio, gli oggettiche fanno parte della sua vita, come le scarpe, libri ecianfrusaglia assortita. L'idea è carina ma alla fine noncredo che ci siano molte persone interessate all'acquisto.A questo indirizzo invece (http://www.weltschmerz.ca/) trovate i comics di un artistaamericano, si parte con la striscia più recente ma si puònavigare e leggere tutte quelle in archivio, il sito è tuttoin inglese. Se siete alla ricerca di immagini astratte allorafate una visita su (http://www.inclosure.com/index.jsp), trovate pane per i vostri denti, immagini vir-tuali di righe che si incrociano, colori rossi che sfumano,forme indefinite che fluttuano, è tutto molto cerebrale eben strutturato. All'indirizzo (http://www.9gods.com)trovate il sito personale di questo designer, del quale misfugge il nome, che ha ricreato un'atmosfera leggera erilassante. Tutta la struttura è impaginata al centro e ilbianco e l'azzurro dei colori conferisce un senso di legge-rezza notevole. Le immagini sono dettagliate e moltofuturibili, in contrasto con la leggerezza del contorno del-la struttura.

Un sito molto frequentato è (http://www.bornmag.com/) che dalla sua non ha certamen-te il design ultra tecnologico, ma i contenuti. Infatti que-sto magazine sperimentale è molto minimale come con-cezione, poche foto e molto testo da leggere, sempre in-teressante e con argomentazioni varie. Su (http://refugeedesign.org), sito che viene dalla prolifica Au-stralia, hanno indetto un contest per la libertà del design,che a dire il vero non ho capito fino in fondo a cosa vo-gliono arrivare ma ho capito come supportare la causa,con delle t-shirts. Ci sono varie realizzazioni grafiche e sideve votare qual è quella che più si addice al loro intento,votate e supportate. Se invece siete fanatici delle anima-zioni in Flash visitate il sito personale di Larry Carlson(http://www.larrycarlson.com/). Appena dentro c'èda scegliere tra moltissimi filmati divertenti e ben fatti.Parliamo anche di un portale italiano (http://www.ectoplasma.it/), all'interno informazioni che ri-mandano sempre al design, molto colorato e intuitivo. Iltutto è ancora un pochino acerbo ma potrebbe miglioraremolto. Ho trovato interessante il sito (http://www.hotsnakes.com/), molto colorato e in stile“collage”, pieno di icone e animazioni in flash. Loro sonoun gruppo musicale, abbastanza sconosciuto ma con unsito molto più decente di altri personaggi più famosi. Sulsito (http://www.gferna.com.ar/) trovate delle otti-me fotografie, non spaventatevi dalla semplicità del tut-to, andate a vedere le immagini nelle gallerie e il motivodell'esistenza del sito è spiegato. All'indirizzo (http://www.miedoz.com/) invete trovate immagini in biancoe nero molto artistiche, vettoriali e di classe. Sul sito(http://www.spent2000.com/2002/index.html)trovate molte fotografie di città e particolari urbani, moltedi queste sono anche ritoccate, come ad esempio un cieloall'interno di un parcheggio sotterraneo. Anche se il nomeè abbastanza dubbio, su (http://www.antigirl.com)trovate una piccola galleria di immagini con uno stile chesi adatta bene alla parola “riciclo” oppure “grezzo”. Unodei designer più famosi sul web è senza dubbio Preshaa,sul suo sito molto minimale (http://www.preshaa.com/) trovate la galleria dei suoi lavori,andate a visitare e non ve ne pentirete. Il prossimo è unodei miei preferiti di questo momento, il sito è (http://www.fatoe.com/) e vi raccomando di passare a vedereil suo lavoro. Il sito cambia molto spesso, le immaginidella homepage mutano con una certa velocità come lagrafica della pagina di navigazione principale. Al momen-to nell'index del sito trovate il disegno abbozzato, in stilefumetto, di un paio di mech (robot alla Gundam tanto perintenderci) davvero belli e all'interno sulla sinistra il dise-gno di un writer intento a fare la sua tag sul muro diturno. Le gallerie di immagini sono sempre aggiornatecon la possibilità di scegliere tra le sezioni print, web estyle. Molto fornita la sezione dedicata alle sue copertinedi dischi, soprattutto di gruppi dell'underground hiphopamericano. Tra tutti i siti segnalati è sicuramente quellopiù fantasioso. Alla prossima.

text > Andrea Rosciano

Iniziamo un nuovo viaggio che ci por-terà ad esplorare l'universo digitaleil quale continua prepotentemente adentrare nella nostra vita quotidiana.

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Li guardi da vicino e ti sembrano tre nerd in estaticaricerca della via maestra; li squadri, da capo a piedi,e l’impressione non cambia: un due metri un po’insignificante, un esile e compassato nanetto e unrotondo cioccolatino. Sembrano divertirsi, i tre, liosservi, li fissi, ma non riesci nemmeno per un attimoa cogliere la loro grandezza.Gli X-Press 2 sono il perfetto [anti] manifesto di quelloche è la club culture e le sue modalità di star system:portare sul capo del mondo, fronte a mille riflettori,tre persone qualsiasi, tre persone ombra.Nessuna ricerca d’immagine, nessun finto sorriso –al massimo, smile indotti, ma di questo parleremodopo -, nessuno uomo copertina, solo laconsacrazione dell’essenza.Rocky, Diesel e, soprattutto, Ashley Beedle sono trepersonaggi dalla statura musicale inarrivabile, tre pesimassimi dell’elettronica modiale, niente di meno. Maperché tutta quest’enfasi ? Per un solo, meraviglioso,singolo ?No, naturalmente, perché quella Lazy scritta a 4 mani– anzi, otto – insieme a monsieur David Byrne,sublime fusione fra etica pop ed estetica dancefloor,è solo la punta dell’iceberg di una storia da raccontare,da tramandare ai posteri.La storia degli X-Press 2 è parallela all’affermarsidell’elettronica in terra inglese e, fin dagli inizi, i Nostrigiocano dei ruoli importanti, stringendo amicizie,formando progetti, legandosi a padrini della scena.

Ashley, in particolare, inizia la sua avventura insiemea evangelisti acid come Mr C, Kid Batchelor e EvilEddie Richards, tramite l’esordio Boys In Shockgriffato Shock Sound System, nient’altro che undivertissement per fare esperienza, in attesa dicentrare obiettivi più importanti.Obiettivi che iniziano a diventare nitidi grazieall’occupazione nel rinomatissimo record shoplondinese Black Market che, indirettamente, glipermette di confrontarsi con svariati mostri sacri –abituali cl ienti del negozio – e di arrivareassolutamente ispirato ai suo primi passi con ilmoniker Black Science Orchestra: singoli come SoulPower Music, Where Were You? e Strong sono perlein omaggio alla disco-era, revisionismi colmi distruggente poesia, aggraziata da saliscendi di archiad incorniciare il tutto.Beedle inizia a collaborare con gente come Rob Mello,John Howard e, soprattutto, a stringere l’importantesodalizio con la Junior Boy’s Own di Terry Farley,personaggio fondamentale per l’esplosione house inquel di Albione.Farley, infatti, è uno dei fari per l’approdo acid nelterritorio inglese, grazie alle sue prime esperienzenei seminali club Shoom e Spectrum, allapubblicazione della storica fanzine Boy’s Own, allecompilation apripista Balearic Beats e The HouseSound Of Europe, nonché soprattutto per la suacollaborazione in full effect con cotanto Andrew

X-CONSACRATI

PRESS 2ALLA STORIAtext > Valerio Tamagnini - photo > press agency

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Weatherall nel manipolare il suono di ensemble eartisti simbolo come Primal Scream, Happy Mondayse Paul Oakenfold.Ma Farley non è solo eroe della summer of lovebritannica, ma è rilevante nel nostro racconto, perchésarà il primo – insieme a un altro personaggino comePete Heller – ad apprezzare e, conseguentemente,importare in Europa il famoso wild pitch americano,forgiato da Dj Pierre e tanto caro al nostro trioespresso.Beedle fa comunella con questi due pionieri e, travoltodall’ondata di E-sorrisi, si lancia in svariati progetti,dapprima con il classico di prog-house De Niro a firmaDisco Evangelist - insieme ad un’ancora technooriented David Holmes - e quindi prendendo le brigliedella consolle dell’influente Queens Club, in cui arrivaa conoscere i due Darren più talentuosi d’Inghilterradopo sua maestà Emerson (vedi alla voceUnderworld): Darren Rock - aka Rocky - e DarrenHouse - aka Diesel -, suoi imminenti compagni dibattuta.Il feeling fra i tre è, indiscutibilmente, immediato, seè vero che in poco più di un anno il nuovo combotargato X-Press 2 pubblica una trilogia di singoli daurlo, Muzik Express, London Express e Say What, cheli lanciano nell’orbita dell’house mondiale, trovandocome fan sfagatati proprio quei dj statunitensi, daJunior Vasquez a Danny Tenaglia, che in un qualchemodo li avevano ispirati.

Il progetto X-Press 2, infatti, nasce per dar voce aquel groove scaturito dalla fusione del warehousesound londinese con il sentimento hard della criccanewyorkese, tanto intenso, quanto drogato nella suaripetitività ossessiva.Ma Beedle & Co. si fanno conoscere anche per la lororaffinatezza a 360 gradi, perfettamente espressanell’idea Ballistic Brothers, progetto che porta il trioin territorio funk, jazz e disco, in un’esperienza ditotale recupero delle origini.La questione del passato, infatti, è più che un semplicerevival per i Nostri, ma un modo per omaggiare etramandare un suono che li ha fortemente influenzati,tanto che il buon Ashley, nelle sue innumerevoliproduzioni, troverà più volte il modo di renderegiustizia a quest’eredità, citando il suo disco-eroeWalter Gibbons implicitamente ed esplicitamente, atestimonianza di un rispetto mai venuto meno.Così, la seconda metà degli anni novanta, li vedeimpegnati in svariate opere sotto numerosi alias, daidue capitoli sulla lunga distanza come Ballistic Bros –il secondo, Rude System, prodotto insieme alnuphonico Dave Hill e alla tastierista Uschi Classen,è vero e proprio capolavoro di dub visionario, funk edisco in ottica cinematografica –, al magico debutalbum di Black Science Orchestra, non scordando ilsolo project di Beedle firmato Black Jazz Chronicles,inquietante viaggio nei territori afro e jazz.

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Ma la fine dei nineties, naturalmente, è ancheoccasione per forgiare altre composizioni a nomeX-Press 2, tanto che il gruppo costruisce altri tremostri da rave-mania, Rock 2 House/Hip Housin,The Sound e Tranz-Euro X-Press, che risentiti ora,suonano – incredibilmente - tanto attuali quantodistanti.Paradossalmente, però, proprio questi singoli, veraconsacrazione per l’ensemble, sono in un qualchemodo un freno, visto che per quasi quattro anni ilprogetto X-Press 2 verrà ibernato a favore degliesperimenti ritmici dei seguiti di Black ScienceOrchestra e Black Jazz Chronicles, del duettoBeedle – Diesel negli Human Arts, mentre Rockymetterà i germogli per i suoi Problem Kids,dapprima impegnati in una house più classica equindi debitori del nuovo x-press sound nel piùriuscito My First Acid House.E’ l’inizio del nuovo millennio a risvegliare i Nostri,grazie anche alla brillante intuizione del solitoFarley, che, consigliando un campione adatto alloro sound, fa riaccendere la scintilla nei tremoschettieri. Da qui in poi, la strada sarà semprepiù concentrata su X-Press 2, lasciandosemplicemente come side project le altreavventure; così, in poco più di un anno, il Nome ècollegato non solo a remix eccellenti, ma ad altritre singoli che suonano come definitivaconsacrazione.Nell’ordine, il fuego di X-Press 2 produce il ritmotribale di AC/DC, treno in corsa dall’incedere epicoe dalla pausa stratosferica, il tessuto in 4/4 diMuzikizum, splendidamente illuminata dalletastiere a dai maestosi archi, ed il prepotente beatdi Smoke Machine, vigoroso esempio di tech housemoderna.In tutti i casi, tre manifesti perfetti dell’etica X-Press 2 - progressioni incredibili, pause di grandeimpatto, ritmiche serrate e grande pathos -, tantoche si dimostrano, una dopo l’altra, vere e propriebombe da dancefloor.Ed è proprio sotto questo segno che cresce l’albumMuzikizum, uno dei debutti più attesi nella storiadell’house – niente di meno -, per un ensemblecomposto da autentiche stelle della categoria.Licenziato dalla prestigiosa XL Recordings – giàcon Prodigy, Basement Jaxx, The Avalanches eLayo & Bushwacka! -, Muzikizum si apre con ilconcentrato di muscoli proposti dall’omonimacanzone e prosegue con la moroderiana Supasong,videogioco ritmico a tinte electro.Ma è il terzo episodio a segnare la storiadell’album, non a caso scelto come reale apripistacommerciale, quella Lazy che è ormai inno globale,grazie al contributo determinante del redivivoDavid Byrne, icona della passata generazione, quitrasportata nel ritmico futuro e perfettamente asuo agio nelle vesti di chansonnier del 2002.In verità, il rapporto fra i tre e Mr. Byrne ha radicipiù lontane, se è vero che la relazione è nata graziea quel Rude Boy firmato Ballistic Brothers, di cuiil portabandiera delle Teste Parlanti pare si fosseperdutamente innamorato.Ma, tralasciando le origini di questa lussuosacollaborazione, c’è da sottolineare come i risultatisiano assolutamente stratosferici, con il tappetomelodico di tastiere ad innescare l’indolente vocedel Talking Head, che si amalgama perfettamentefra struttura armonica e bassi.Il flavour portato da Byrne è notevole, ma non èda sottovalutare la stupenda base costruita daiNostri, rotonda e dal grande appeal, con pause

perfette e ritornello da pelle d’oca I’m wicked andI’m lazy, don’t you wanna save me ?.Il pezzo che è gia storia precede il solido beat diAngel - grande impatto, ottima presa, macontemporaneamente sognante e rarefatta - equindi il techno style di Palenque, esempi concretidell’infinito background del combo.L’album procede con il terzo singolo della saga,Smoke Machine, immane sforzo a dimostrare lafisicità della house, e con una delle novità più belledel long playing, I Want You Back, che vede lapartecipazione dell’ex Yello – ricordate Oh Yeah ?– Dieter Maier, voce roca e profonda a graziare lasincopata ritmica del trio, percussiva e tribale,rifinita con echi paradisiaci.Ed è proprio verso la fine che l’album regalaulteriori sorprese: oltre alla già nota AC/DC, infatti,compaiono Call That Love - il più poppy dei braniinsieme a Lazy, grazie all’ottima ugola nera diSteve Edwards, già con Basement Jaxx e FilaBrazillia – e The Ending, escursione sonorasublimata dall’accorparsi magico di basso, tastiereed archi.Un finale che regala sacralità all’opera, perfettaistantanea del suono X-Press 2 e congruaespressione del viaggio regalato dai tre.Ashley Beedle, I love you.

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