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Lettere dai campi U.N.R.R.A. in provincia di Lecce28 ottobre 2011 di Redazionedi Gianni Vitale
Lettera spedita da Marina di Leuca, il 3 novembre 1945, da un ospite del campo H.Q. IT 35 ed
indirizzata negli Stati Uniti d’America dove arrivò il 2 dicembre. Utilizzo di etichetta per
Raccomandata di Mesagne, cancellata a lapis, per mancanza in loco di analoghi modelli.
Annullo e striscia di censura; timbri d’arrivo U.S.A. (Foto Archivio Priv. G. Vitale)
La fine del secondo conflitto mondiale non rappresentò la conclusione del dramma degli ebrei. In mezzo
alle rovine della guerra, attorno agli ex campi di concentramento del Terzo Reich, nella Germania
meridionale ed in Austria (Bergen Belsen-Mathausen), vagavano decine di migliaia di sopravvissuti allo
sterminio nazista. Per affrontare tale emergenza umanitaria furono istituiti diversi campi profughi, sotto la
sigla di «Displaced persons», da parte dell’U.N.R.R.A.
La United Nations Relief and Rehabilitation Administration fu costituita a Washington (U.S.A.) il 9
novembre 1943. Si trattava di un’organizzazione umanitaria internazionale, fondata con l’accordo di
quarantaquattro paesi, allo scopo di fornire aiuto e assistenza immediata ai paesi più colpiti dalla guerra.
L’UNRRA cominciò a operare in Europa nel 1944 e si trovò impegnata in un’immensa e complessa opera di
soccorso non appena le forze alleate iniziarono la liberazione dei paesi mediterranei e balcanici,. L’azione
dell’UNRRA si concentrò soprattutto nei Paesi europei (Polonia, Grecia, Albania, Italia) e in Cina. Nel
periodo più denso della sua attività l’UNRRA impiegò venticinquemila persone; dal 1944 al 1946 vennero
spesi quattro miliardi e mezzo di dollari in aiuti, forniti per lo più dagli Stati Uniti d’America. I programmi
dell’UNRRA comprendevano soprattutto l’invio di generi di prima necessità: viveri, medicinali, vaccini e
forniture mediche, la distribuzione di vestiario e l’assegnazione di sementi, concimi e macchinari per
permettere la ripresa della produzione agricola, nonché di materie prime e beni strumentali per aiutare le
industrie locali a riorganizzare la loro attività. Lo sforzo profuso dall’UNRRA fu comunque orientato, in
generale, verso le fasce di cittadini più indigenti e verso i bambini. In sede locale furono costituiti comitati
comunali per la gestione e per la distribuzione degli aiuti. L’UNRRA cessò di esistere nel 1947; i progetti
rimasti in sospeso vennero ereditati dall’Organizzazione internazionale per i rifugiati, dall’Organizzazione
mondiale per la sanità e dal Fondo internazionale d’emergenza delle Nazioni Unite per l’infanzia (che
diventerà in seguito il Fondo delle Nazioni unite per l’Infanzia – UNICEF).
La Puglia fu tra i primi territori italiani ad essere liberata dall’occupazione nazista, venne utilizzata dagli
alleati, all’indomani dell’armistizio firmato dal capo del governo Badoglio, l’8 settembre del 1943, come
punto strategico per tutte le operazioni connesse con i due fronti militari posti rispettivamente
sull’Adriatico e sui Balcani. Da questa fatidica data e ben oltre l’inizio dell’anno 1947, la nostra regione
divenne dimora protetta e dunque facile meta di profughi che giunsero dai campi di concentramento
sparsi tra le regioni della Basilicata, Campania, Abruzzo, Molise e Lazio. Durante i primi tre anni di ostilità,
tra il 1940 e il 1943, nelle regioni del Mezzogiorno, furono confinati migliaia di jugoslavi dai territori
annessi e trasformati nelle nuove province italiane di Lubiana, Spalato e Cattaro o provenienti altresì dalle
due vecchie province di frontiera Fiume e Gorizia, ritenuti “individui pericolosi per le contingenze belliche”.
Furono sistemati assieme ad avversari politici, antifascisti, ebrei, zingari, testimoni di Geova e
pentecostali ma, ben presto, i primi luoghi allestiti per questa “momentanea” accoglienza, si rivelarono
logisticamente insufficienti a dare ospitalità a questo fiume di persone, pertanto in molte località pugliesi
vennero presi in consegna, dalle autorità militari alleate, luoghi o edifici adibiti a “campi profughi”. A
Manfredonia, ad esempio, l’ex mattatoio comunale divenne un campo d’accoglienza, così come accadde
anche per l’ex colonia penale per gli antifascisti ed ex campo di concentramento, sin dalla guerra di Libia,
delle Isole Tremiti; ad Alberobello venne requisita la masseria Gigante, a Pisticci e a Ferramonti Tarsia si
scelsero colonie confinarie costruite dalla ditta Parrini e, nel nostro Salento, vennero preferite alcune tra
le più incantevoli località delle costa, come Santa Maria al Bagno, Santa Cesarea Terme, Tricase e Santa
Maria di Leuca. Il flusso di fuggitivi stranieri soprattutto di origine ebraica, tra cui notevoli gruppi di
scampati ai massacri perpetrati dai nazisti nei “campi della morte”, si fece più intenso tra il 1946 ed il
1947 e, sempre nel nostro territorio, per la loro accoglienza furono predisposti altri campi gestiti prima
dall’UNRRA e poi dall’IRO, entrambe organizzazioni che provvedevano all’accoglienza e alla sistemazione
di questi rifugiati. Proprio in quel periodo, tra il 1943 ed il 1947, tantissimi profughi di nazionalità ebraica
ma non solo, fecero il loro arrivo in condizioni misere e deplorevoli, occupando le bellissime case di
villeggiatura che erano state “temporaneamente” sequestrate. Non si conosce il numero esatto dei
profughi che calpestarono il suolo salentino ma si sa che furono migliaia, che hanno sempre considerato
questa nostra terra, ricca e benevola e loro porto per la ritrovata libertà. A riguardo, sono molteplici le
commoventi testimonianze di sopravvissuti che sono ritornati in questi luoghi cari a ricordare le loro
angosciose esperienze. Non bisogna, difatti, scordare l’impegno che profusero le nostre genti, anch’esse
fiaccate dalla fame e dalla povertà che dilagava in quegli anni del dopoguerra, affinché questi poveri
derelitti ricominciassero a condurre una vita normale e sicura. A Lecce una direzione, locata nel palazzo
del Banco di Roma, gestiva i campi di: Bagni (Santa Maria al Bagno), Santa Maria di Leuca, Santa
Cesarea e Tricase, un magazzino a Maglie e un ospedale a Leuca.
Santa Maria di Leuca – CAMP 35
L’unico accampamento (ebreo e non-Ebreo) misto di DP in Italia fu localizzato nell’area del porto dedita ai
lavori della pesca e nella stazione turistica di Santa Maria di Leuca, nelle campagne di Arnesano. Anche se
la capacità dell’accampamento poteva contare un massimo di circa 1.800 persone, la popolazione superò
naturalmente quel limite. Nell’accampamento vi risiedevano circa 400 persone non ebree, mentre i
rifugiati ebrei erano divisi per una metà in DP non affiliati e per l’altra metà in membri del “camp’
kibbutzim”, principale comunità separata dei “kibbutz Aviv”. La popolazione DPS viveva in ville requisite
che erano normalmente le abitazioni residenziali estive dei salentini benestanti. Come l’accampamento di
Santa Maria al Bagno anche quello di Leuca si è vantato di eccezionali troupe di teatro ed una scuola per
bambini. Benchè la formazione professionale fosse criticata frequentemente per il ritardo rispetto agli altri
accampamenti italiani di DP, la squadra di calcio del suddetto campo raggiunse una reputazione notevole
e si poté fregiare del titolo di squadra più riuscita negli accampamenti italiani del sud.
Tricase – CAMP 39
Un accampamento di taglia media di DP, alla punta del sud dell’Italia, fu fondato nel 1944 dalla
Commissione alleata e divenne troppo grande rapidamente tanto da costringere le autorità militari al
sequestro di un numero sempre maggiore di ville, originariamente atte alle vacanze estive dei salentini.
Nel gennaio 1946 l’UNRRA, che prese in carico l’amministrazione dell’accampamento verso la fine del
1945, stabilì definitivamente che Tricase non poteva accogliere più di 800 persone anche perché le ville
inutilizzate vennero considerate inabitabili nel periodo invernale. Tricase alloggiò molti membri del kibbutz
di Betar e del campo d’orientamento sionistico. Furono organizzate molte conferenze ed attività dagli
inviati israeliani. Come altri centri del sud di DP italiani, Tricase inoltre servì daorganizzazione clandestina
per l’illegale immigrazione in Palestina. Due kibbutzim comprarono delle radio che permettevano le
comunicazioni sia con la Palestina che con le navi per l’invio di corrispondenza e profughi non dichiarati.
La vita culturale nei kibbutz permetteva la pratica di alcuni sport, compreso tornei di ping-pong e di boxe,
di scacchi nell’estate del 1946.
Lettera spedita da Tricase Porto, il 3 ottobre 1946, da rifugiato nel campo 39 con destinazione
New York. Il mittente, vivente ed attualmente residente in Canada, mi ha raccontato le
vicissitudini del periodo avendo soggiornato a circa 2 chilometri da Tricase Porto, in una
villetta signorile. (Foto Archivio Priv. G. Vitale)
Santa Maria al Bagno – CAMP 34
Santa Maria al Bagno, il più grande accampamento di DP in Italia del sud, alloggiava 2.300 rifugiati ebrei.
Dal marzo 1945 al gennaio 1946 da 771 si passò a 2.277 profughi. Il campo, a volte ricordato anche con
la denominazione “Croce”, si estendeva su un vasto territorio del comune di Nardò, a forma di pentagono
irregolare, i cui confini possono delinearsi in riferimento alle principali strade del territorio: lungomare
delle marine della località di Santa Caterina e di Santa Maria al Bagno fino alla Torre del Fiume (nota
come Torre delle Quattro Colonne), Portoselvaggio, la vecchia Via Sallentina, strada Posto di Blocco-
Pagani, strada Santa Maria al Bagno-Galatone. L’accampamento servì da centro amministrativo per
l’espletamento delle pratiche di immigrazione verso la Palestina. L’11 aprile 1946, il comitato
dell’accampamento organizzò uno sciopero della fame, coinvolgendo nella protesta oltre 2.000 persone,
contro le limitazioni che le autorità britanniche applicavano alle procedure d’espatrio. Così scrisse il
comitato di Bagni alle autorità britanniche: ” È nei principi e diritti morali degli uomini la possibilità per
ognuno di ritornare nella propria terra d’origine”. Il comitato dell’accampamento diffuse, col Bollettino
Settimanale, le notizie degli avvenimenti in essere nel suddetto campo. Nel marzo 1946,Santa Maria al
Bagno ospitava 258 bambini e questo richiese l’istituzione di ben due scuole nell’accampamento. Un ha-
noar kefar semi-independent (villaggio della gioventù) ospitò gli appartenenti a diverse categorie di
lavoro e sportive. Si organizzarono numerose conferenze in specie per i giovani, colmando così la
mancanza di rifornimenti culturali provenienti dalla terra d’origine. Inoltre circa 20 allievi furono iscritti
nelle scuole italiane limitrofe. I corsi per adulti a Santa Maria comprendevano stage per il lavoro in
ebraico ed in inglese, l’addestramento alla vita quotidiana del campo, corsi di sartoria e di scienza
elettrica. Il gruppo del teatro dell’accampamento ebbe degli ottimi risultati. La squadra di calcio “Macabi”
tenne numerosi tornei anche con altre compagini dei paesi vicini. La cucina kasher, con tipiche regole
alimentari ebraiche, assecondò i gusti degli ebrei ortodossi dell’accampamento, mentre con prodotti locali
si cercava di completare le razioni fornite dall’UNRRA e dall’IRO in modo da rendere le diete dei rifugiati
più equilibrate.
Lettera Raccomandata spedita da Nardò, l’11 gennaio 1946, diretta a Portici da rifugiato nel
campo U.N.R.R.A. IT 34 H.Q. A.C. C.M.F.. Annullo Ambulante 55 tratta Lecce-Bari. (Foto
Archivio Priv. G. Vitale)
Santa Cesarea – CAMP 36
Del campo DP di Santa Cesarea si conosce molto poco e rare sono le notizie reperibili in letteratura. Ecco
un’interpellanza all’Assemblea Costituente del 16 giugno 1947 relativa agli stablimenti termali.
DE MARIA, CODACCI PISANELLI, GABRIELI. – Al Ministro dell’interno e dell’Alto Commissario per
l’igiene e la sanità pubblica. – «Per sapere se non ritengano opportuno dare disposizioni, perché per la
prossima stagione sia sgombrata dai profughi stranieri, attualmente residenti, la spiaggia di Santa Cesarea
in provincia di Lecce, stazione termale di primaria importanza. Ciò è indispensabile nell’interesse dei
numerosi pazienti che dalle Puglie e da varie altre parti d’Italia lì affluiscono per necessità sanitarie. Per i
profughi si potrebbero eventualmente requisire altre spiagge che non adempiono finalità di pubblico
interesse»
RISPOSTA. – «Questo Alto Commissariato conferma che il Compendio demaniale di Santa Cesarea è
classificato tra gli stabilimenti talassoterapici. Allo scopo di evitare ulteriori danneggiamenti dei fabbricati
e di promuovere un assetto turistico e talassoterapico dal quale possa trarne vantaggio, dal punto di vista
igienico, la collettività, furono da tempo mosse premure ai componenti Uffici affinché detta stazione fosse
al più presto restituita alle sue finalità originarie, premure che hanno finalmente avuto esito favorevole.
L’Ufficio di Bari con l’U.N.R.R.A., infatti, ha recentemente informato che gli stabilimenti in parola sono
stati tutti derequisiti e riconsegnati ai rispettivi gestori». F.to: l’Alto Commissariato Aggiunto per l’’igiene e
la sanità pubblica, D’AMICO.
RISPOSTA. – «Il campo profughi stranieri di Santa Cesarea, in provincia di Lecce, amministrato
dall’U.N.R.R.A., ha cessato di funzionare il 3 marzo scorso [n.d.t. 1947]. Secondo quanto ha riferito il
prefetto, l’attuale assetto della zona consente la ripresa parziale del funzionamento degli stabilimenti
talassoterapici, sino a raggiungere il 50 per cento dei posti ante-guerra». F.to: il Ministro dell’interno,
SCELBA.
Lettera per l’Argentina inoltrata da Lecce Stazione, il 3 luglio 1946, da ospite del campo IT 36
di “Santa Cesaria Terme”. Annullo d’arrivo a destino. (Foto Archivio Priv. G. Vitale)
Conclusioni
Questa breve trattazione vuole essere semplicemente una testimonianza del vissuto nel periodo post
bellico nel Salento, terra ricca di accoglienza ed ospitalità. L’aver potuto ascoltare quanto trascorso nella
nostra terra, da un testimone ancora vivente, in un italiano scarno ma efficace, ricco di inflessioni e
cadenze del nostro dialetto, mi hanno spinto a ricercare gli avvenimenti di quegli anni, sia nella
letteratura cartacea che in rete. Tutto ciò, unito alla mia passione per la storia postale del periodo, mi ha
permesso di chiudere il cerchio.
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Riferimenti bibliografici e fonti consultate:
Assemblea Costituente: allegato della seduta del 16 giungo 1947.
Bollettino Salesiano, A. LXX n. 11 – 1 luglio 1943: visibile at http://www.sdb.org/bs/1946/194611.htm
Dizionario di Storia, “UNRRA” visibile athttp://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/u/u017.htm
Ebraismo pugliese ed interculturalità: accessibile athttp://www.profughiebreinpuglia.it/storiografia.asp
G. FERRARI, La Convenzione sullo status dei rifugiati. Aspetti storici, Relazione tenuta all’Università degli
Studi di Roma “La Sapienza”, il 16 gennaio 2004, nell’ambito del XII° Corso Multidisciplinare Universitario
“Asilo: dalla
Convenzione di Ginevra alla Costituzione Europea” (12 dicembre 2003 – 14 maggio 2004).
C. HEIN, Rifugiati in Italia / Legislazione,regolamenti e strumenti internazionali”, Roma, gennaio 1989.
AA.VV., Informazioni bibliografiche sulla storia contemporanea italiana fondate da Jens Petersen: Roma,
1938.
Shoah Le testimonianze in Puglia, sta in «Mediterraneo News », febbraio 2008
M. MENNONNA, Ebrei a Nardò, Galatina 2008
P. POZZI – G. LOCATELLI, United Nations Relief and Rehabilitation Administration – UNRRA: visibile at
http://www.lombardiabeniculturali.it/archivi/profili-istituzionali/MIDL000233/
G. FERRARI, Rifugiati in Italia. Excursus storico-statistico dal 1945 al 1995:visibile at
http://www.unhcr.it/cms/attach/editor/PDF/escursus.pdf
Storia dell’accoglienza salentina tra il 1943 e il 1947: visibile athttp://www.liceovanini.org/confini.pdf