UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANOdell’elettronica, possa servire di guida a un successivo...
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO
Facoltà di Scienze
____________
T E S I D I L A U R E A
INTRODUZIONE ALL’AUTOMAZIONE DI MISURE
Relatore: Chiar.mo Prof. G.P.S. Occhialini (il supplente Alberto Bonetti)
DEGLI ANTONI GIOVANNI
Matricola n° 46936
Anno Accademico 1959-60
I N T R O D U Z I O N E
Negli ultimi tempi il progresso della fisica delle parti-
celle elementari ha subito un notevole incremento, favorito
dai moderni acceleratori e dai nuovi metodi per la rivelazio-
ne delle particelle.
I metodi per la rilevazione delle particelle sono vari e
numerosi, ma in una prima grossolana classificazione possiamo
dividere i rivelatori in elettronici diretti e fotografici.
L’analisi dei risultati ottenuti con i due metodi è natu-
ralmente diversa e relativamente semplice e rapida nel primo
caso.
I metodi fotografici (Camera di Wilson, Camera a bolle,
Emulsioni fotografiche) richiedono una lunga e paziente ana-
lisi, che viene effettuata in vari laboratori da personale
specializzato e da ricercatori. L’enorme quantità di eventi
da ricercare e analizzare pone un limite all’utilizzazione
completa degli acceleratori e si pone quindi il problema
dell’ automazione di almeno alcune delle operazioni associate
alle misure.
E’ in questo spirito e nel tentativo di realizzare un la-
voro che, a parte l’indispensabile conoscenza
dell’elettronica, possa servire di guida a un successivo svi-
luppo degli argomenti trattati e sia nello stesso tempo ra-
gionevolmente autoconsistente, che abbiamo iniziato questo
lavoro.
Per poter far ciò ci occorreva almeno un linguaggio, con
cui unificare le varie informazioni disponibili sui vari ar-
gomenti analoghi a quelli da noi considerati. Questo linguag-
gio l’abbiamo trovato nell’algebra di Boole.
II
Con questo algoritmo, già utilizzato nel progetto di cal-
colatori elettronici numerici, abbiamo raggiunto lo scopo che
ci eravamo prefissati e abbiamo in più potuto risolvere sem-
plicemente e rapidamente vari problemi che diversamente a-
vrebbero richiesto un lasso di tempo assai maggiore, dimo-
strando così l’utilità dell’ algebra di Boole nel progetto di
apparecchi di piccola mole o comunque più semplici dei calco-
latori elettronici.
B I B L I O G R A F I A
Parte generale
Lepage-Seely GENERAL NETWORK ANALYSIS McGraw Hill
Seely ELECTRON TUBE CIRCUITS McGraw Hill
Milman-Taub PULSE AND DIGITALS CIRCUITS McGraw Hill
Hurley JUNCTION TRANSISTOR ELECTRONICS Wiley
Parte attinente al lavoro svolto
Phister LOGICAL DESIGN OF DIGITAL COMPUTERS Wiley
Richards ARITHMETIC OPERATIONS IN DIGITAL COMPUTERS Van Nostrand
Richards DIGITAL COMPUTER COMPONENT AND CIRCUITS Van Nostrand
INDICE
Capitolo I°
1) Misure di grandezza Pag. 1
2) Trasduzioni di posizione ‘ ‘ 2
3) Trasduzioni analogiche e digitali ‘ ‘ 12
4) Lettura delle misure ‘ ‘ 16
5) Analisi delle trasduzioni ‘ ‘ 17
Capitolo II°
1) Introduzione ‘ ‘ 23
2) Algebra di Boole ‘ ‘ 23
3) Codice Binario e di Gray ‘ ‘ 49
4) Altri metodi per la conversione angolo numero ‘ ‘ 58
5) Codice decimale riflesso ‘ ‘ 61
6) Un trasduttore analogo decimale a servomeccanismo ‘ ‘ 69
Capitolo III°
1) Introduzione ‘ ‘ 72
2) Flip-Flop ‘ ‘ 72
3) Circuiti logici a diodi ‘ ‘ 77
4) Progetto elettrico di reti logiche a diodi ‘ ‘ 82
5) Il Clock ‘ ‘ 89
6) Equazioni degli ingressi ‘ ‘ 94
7) Un contatore decimale reversibile ‘ ‘ 107
8) Determinazione senso di conteggio ‘ ‘ 115
Capitolo IV°
1) Introduzione ‘ ‘ 119
2) Un trasduttore angolo-numero ‘ ‘ 119
3) Contatore reversibile ‘ ‘ 125
4) Contatore reversibile a dekatron ‘ ‘ 127
5) Classificatore di ‘Gap’ ‘ ‘ 128
CAPITOLO I
1) Misure di grandezza
I procedimenti della fisica relativi alle misure di gran-
dezze e di eventi si differenziano notevolmente nelle varie
esperienze che vengono realizzate. Questa differenziazione
non è però sostanziale, in quanto, in generale, le grandezze
da misurare vengono ridotte alle grandezze fondamentali della
meccanica e dell’ elettromagnetismo, o, al più, ad un numero
di eventi.
Affinchè inoltre la misura di una grandezza sia attendi-
bile occorre che venga ripetuta un certo numero di volte. E-
sistono poi particolari misure, come le misure su lastre nu-
cleari che hanno senso solo statisticamente.
Questo impone un lavoro lungo per il ricercatore, lavoro
che, eseguito coi procedimenti classici, può diventare enor-
me.
In questo capitolo mostreremo i fondamenti di alcuni me-
todi che permettono un notevole risparmio di fatica e di tem-
po nella determinazione di lunghezze e angoli nel caso questo
necessiti in misure che si ripetono un grande numero di vol-
te.
- 2 -
2) Trasduzioni di posizione
Sono notorii i procedimenti classici per la de-
terminazione della posizione di un punto su di una
retta rispetto ad una origine. Supponiamo che la posi-
zione del nostro punto P venga determinata mediante un
tamburo che fa ruotare una vite, la quale, a sua vol-
ta, fa scorrere il banco di un microscopio.
Ad ogni posizione del tamburo è pos-
sibile far corrispondere la posizione
del cursore di un potenziometro e
quindi la tensione fra un estremo del
potenziometro ed il cursore. Chiamiamo Vo la tensione
(rispetto ad un potenziale comune, ad es. la terra) ad un
estremo del potenziometro. V sia la tensione al cursore
dello stesso. Se il potenziometro è lineare ad ogni posi-
zione del tamburo corrisponde una tensione al cursore del
potenziometro proporzionale alla posizione stessa: diremo
che è stata fatta una trasduzione di misura. Nel nostro
caso la trasduzione è del tipo posizione-tensione ed è
fig.1
- 3 -
avvenuta attraverso i rotismi del microscopio e attraver-
so la trasduzione angolo tensione.
Brevemente: l’informazione posizione è stata ridotta all’
informazione tensione e lo schema della trasduzione è il se-
guente:
Posizione Angolo Tensione
⎯→⎯• Rotismi ⎯→⎯ Potenziom. •⎯→⎯ fig. 2
Trascuriamo l’analisi della trasduzione posizione line-
are angolo e consideriamo invece la trasduzione angolo ten-
sione. Se Kπ è l’angolo di cui può ruotare il potenziometro
lineare ed α è l’ angolo di cui ha ruotato, il potenziale al
cursore è
(1) απK
VoV = ( 0 ≤ α ≤ Kπ)
La tensione V dipende in questo caso linearmente da
α. La trasduzione è quindi lineare. In verità però il
potenziometro non può essere considerato così semplice-
mente, per cui la trasduzione è affetta da errori dovuti
alla non linearità del potenziometro ed alla natura del-
lo stesso: si pensi ad esempio come sono costruiti!
- 4 -
In pratica la tensione V si può rappre-
sentare in funzione di α come in fig. 3.
Esiste cioè in ogni potenziometro una
“mancanza di risoluzione” ed un discosta-
mento dalla linearità. Il potere risolu-
tivo di un potenziometro viene appunto
determinato dalla massima ampiezza misu-
rata in Ohm delle sue discontinuità (v.
fig. 3,a). La deviazione dalla linearità
ε è poi misurata dalla massima differenza
fra il valore vero ed il valore ideale. Nel nostro caso
quindi l’errore della trasduzione è in complesso provocato o
dal potenziometro o da un errato valore di Vo (fig. 1). Si
badi però che, nel caso vengano misurate differenze di ten-
sione (cioè lunghezze) l’errore di Vo non ha importanza,
purchè Vo rimanga costante.
Ben diversamente vanno le cose se il cursore del poten-
ziometro è caricato da un resistore (fig. 4). In questo caso
si ha per la tensione V applicando il teorema di Thevenin:
αΠk
Ro
V
Rfig. 4
- 5 -
Πk
Vo α Πk
Vo α
V= R= (2)
R+ ⎟⎠⎞
⎜⎝⎛
ΚΠ−
ΚΠRoRo αα 1+ ⎟
⎠⎞
⎜⎝⎛
ΚΠ−
ΚΠαα 1
RRo
Dove con R0 si è indicata la resistenza totale del potenziome-
tro. La (2) pensata come funzione di α è rappresentabile da
una famiglia di curve determinate dal parametro R0 (fig. 5).
Nel grafico indicato le curve superiori corrispondono a resi-
stenze maggiori.
Se supponiamo R>>R0 ho dalla 2,
sviluppando in serie di potenze di
RR0 e trascurando i termini di ordine
superiore al I°:
V=⎭⎬⎫
⎩⎨⎧
⎟⎠⎞
⎜⎝⎛
ΚΠ−
ΚΠ−
ΚΠααα 11
RRoVo (3)
La deviazione della linearità in funzione di α vale:
( ) ⎟⎠⎞
⎜⎝⎛
ΚΠ−
ΠΚ=∑
ααα 1222 R
RoVo
Questa espressione è massima per α= 32 ΚΠ ed in corri-
spondenza a questo valore assume il valore
R
RoVo94
=∑ (Volt).
- 6 -
E’interessante notare che scegliendo opportunamente i
valori e la disposizione degli elementi di una rete da
connettere al potenziometro si possono ottenere delle ten-
sioni che approssimano qualunque funzione. Così, ad esem-
pio, con la disposizione di fig.(6) supponendo che la re-
sistenza del potenziometro sia funzione lineare
dell’angolo di rotazione α si ottiene una tensione rappre-
sentata dal grafico di fig.6.
Vo
r
r V
Una funzione monotona qualunque può sempre essere appros-
simata però non solo connettendo al potenziometro una oppor-
tuna rete di resistori, ma anche connettendo resistenze fra
prese del potenziometro stesso (taps). Questo fatto si sugge-
risce come risolvere un interessante problema.
Supponiamo che la misura di una lunghezza venga ef-
fettuata mediante un micrometro non lineare. La relazione
che lega l’angolo di rotazione alla posizione sarà una
certa funzione α=α (x) essendo x la posizione. Se il po-
tenziometro è semplicemente lineare la tensione V al cur-
fig. 6
- 7 -
α=α(x) V=kx x
fig.7
sore del potenziometro non dipenderà linearmente dalla po-
sizione sarà bensì una funzione del tipo V≈α (x).
E’ evidentemente assai utile poter disporre di un po-
tenziometro corretto in modo che la tensione V sia entro
certi limiti una funzione lineare della posizione x . In
questo caso lo schema della trasduzione sarebbe dato dal-
la fig. 7.
La correzione
del potenziometro
per mezzo di re-
sistenze si può
effettuare tenendo
presente il seguente ragionamento:
Sia α= α (x) (4) la funzione di traduzione lunghezza-
angolo.
Si desidera correggere il potenziometro in modo che V =
Kx (5). Considero la funzione x = ψ (α) inversa della (4) e
osservo che grazie alla (5) dovrò avere:
V (α) = K ψ (α) (6). Cioè: per correggere una non
linearità di trasduzione lunghezza angolo la funzione
di trasduzione angolo tensione deve coincidere a meno
di una costante moltiplicativa con la funzione di tra-
duzione angolo lunghezza.
Mcrom. Pot. con correzio
- 8 -
E quindi poiché V = RI e I = RoVo
= cost dovrò avere:
R= cost ψ( α).
Con questo abbiamo determinato come
deve variare la resistenza fra cursore
ed un estremo ( quello di riferimento)
al variare di α (fig.8)
Si tratta ora di costruire un potenziometro opportuno op-
pure di approssimare con uno dei metodi accennati sopra la
funzione richiesta mediante un potenziometro lineare. Ana-
lizzeremo con qualche dettaglio il metodo di approssima-
zione delle funzioni con un potenziometro con taps , limi-
tandoci però al caso delle funzioni monotone.
Sia dunque V = V (α) la curva da
approssimare il cui grafico è
rappresentato dalla fig. 10 .
Supponiamo che per i nostri
scopi una approssimazione con
due spezzate sia sufficiente.
Allora possiamo determinare la fra-
zione h1 di αo h1αo a cui
fig. 10a
- 9 -
corrisponde una tensione V1. Per approssima-
re la curva con due spezzate è sufficiente una
presa sul potenziometro che ri-
spetto all’estremo di riferimen-
to sarà ad h1 α1 radianti.
Nel circuito di fig.10 b
scegliamo le resistenze r1 ed r2
in modo che, tenuto conto della
posizione della presa, V1 abbia il valore ri-
chiesto. Supponiamo inoltre che la corrente I
nel circuito del cursore sia nulla. In queste
condizioni la tensione V = V (α) è rappresentata
dalla spezzata richiesta, ben inteso entro i li-
miti di linearità del potenziometro.
Verifichiamo
questo nella prima
parte di corsa del
cursore del
potenziometro
(fig.11). Poiché la
corrente nel
cursore del
potenziometro è nulla la tensione V è cost. e
quindi la tensione V vale:
V1
o V
hα0
(h<h1) fig. 11
- 10 -
11
1100
010
1001 .
ααα
αα V
hhVhR
hRVCioèVVhRI ====
La tensione ha quindi la pendenza richiesta dalla
prima spezzata e assume il valore V per h = h1.
Nel caso due spezzate non approssimino con suffi-
ciente accuratezza la curva richiesta, si procederà in
modo analogo con n spezzate e quindi con n-1 prese
(taps) sul potenziometro.
Occorre verificare ora l’influenza di una resi-
stenza R0 al cursore del potenziometro sullo scosta-
mento della curva a tratti.
L’analisi dettagliata del cir-
cuito mostra che nel caso che la
corrente I sia abbastanza piccola da
non influenzare la tensione V1,V2,….
e quindi le ∆ V K ai capi di ciascu-
na porzione di potenziometro, si può
applicare l’analisi svolta precedentemente e si ha
quindi:
c
k
RRV
94
11 ∆≈∑
( )c
k
RR
VV94
212 ∆+∆≈∑
- 11 -
( )c
knn R
RVVV
94....21 ∆++∆+∆≈∑
Si intende che il risultato mostrato vale nel ca-
so di Rc>>Rk .
Il risultato è rappresentato
in fig. 12 dove con la curva
punteggiata si è indicata la
V (α) in presenza della resi-
stenza Rc nelle ipotesi sopra
indicate. E’ chiaro che però,
per quanto piccola la corren-
te nel cursore, le tensioni vengono influenzate.Nel
caso si desideri eliminare completamente
la influenza sud-
detta si stabilizze-
ranno le varie tensio-
ni V1, V2,…ad esempio
con diodi Zener (vedi
appendice). Tutto que-
sto è indicato in
fig.13.
o V
V0
fig. 13
- 12 -
3)Trasduzioni Analogiche e Digitali
Come abbiamo già avuto occasione di dire , le
considerazioni precedenti si riferiscono alla più ele-
mentare traduzione: La trasduzione posizione-tensione.
E’chiaro che si potranno avere traduzioni più ge-
nerali che fanno corrispondere ad una grandezza fisica
un’altra grandezza che dipenda dalla prima attraverso
la funzione di trasduzione.
Si potrà ad esempio trasdurre una velocità linea-
re ed angolare in una tensione, una pressione, o in
una tensione o in uno spostamento, una temperatura in
una tensione, una tensione in uno spostamento di un
indice, ecc.
Le trasduzioni che fanno corrispondere in modo
continuo due grandezze o della stessa specie o di spe-
cie diversa le diremo d’ora in poi analogiche o non
numeriche. Chiameremo numeriche o digitalizzate, infi-
ne, le trasduzioni che ad una grandezza fanno corri-
spondere un numero direttamente. La differenza tra i
trasduttori analogici e digitali sarà chiarita con un
esempio. Cominciamo però con l’osservare che questa è
sostanziale in quanto nelle trasduzioni analogiche non
è implicito il concetto di numero che è implicito nel-
le trasduzioni
- 13 -
digitali e che è in generale la conseguenza
di una lettura tuttora esclusa dalle nostre con-
siderazioni.
Come esempio di trasduttore
numerico si consideri il seguen-
te tipo angolo numero.
Luce
Opaco
Si consideri il cerchio C di fig. 14. Questo è stato
diviso in quattro settori a loro volta divisi dalla
circonferenza C.
Esattamente indicando con O e T le parti rispettiva-
mente opache e trasparenti, le quattro zone in cui è
stato diviso il cerchio sono caratterizzate ciascuna
da una delle 22= 4 disposizioni con ripetizione delle
lettere O e T .
Partendo dalla posizione A in senso antiorario abbia-
mo: O, O; O, T; T,O; T, T . In corrispondenza a queste
quattro posizioni le due fotocellule I (interna) ed E
(esterna) saranno illuminate o no dalla lampada L a
- 14 -
seconda della zona in cui si trovano e quindi condur-
ranno o no . Precisamente avremo:
Zona 0 1 2 3
Foto
cel lu la
I
E
Non conduce
Non conduce
Non conduce
Conduce
Conduce
Non conduce
Conduce
conduce
La posizione è quindi ora indicata dalle disposizioni de-
gli stati delle due fotocellule oppure dalla trasparenza del
disco.Non rimane che chiamare 0 lo stato corrispondente alla
non conduzione delle fotocellule e l lo stato opposto per a-
vere il seguente quadro:
E I settore
0
0
1
1
0
1
0
1
0
1
2
3
I quattro settori sono quindi numerati nel seguente ordi-
ne:
- 15 -
0 0 , 0 1, 1 0, 1 1. Se ora osserviamo che 0 0 ,
0 1, 1 0, 1 1 rappresentano i numeri 0, 1, 2, 3 nella
ordinaria numerazione binaria, risulta che i quattro
settori sono individuati dai numeri con cui li abbiamo
distinti. Naturalmente si utilizzerà normalmente un
numero assai maggiore di settori e quindi di corone
circolari: se queste sono n e se l’angolo giro viene
diviso in parti uguali ciascuna corrispondente ad una
possibile disposizione dei bianchi e dei neri e se
tutte le disposizioni vengono utilizzate, le divisioni
sono 2n.
Così con 10 corone circolari, o 10 piste come dir
si voglia, abbiamo 210 =1024 divisioni per angolo giro.
L’aumento del numero delle piste porta con sé al-
cuni inconvenienti di carattere costruttivo oltre gli
inconvenienti derivanti dalla natura del codice e dal-
la difficoltà di allineare le n fotocellule imponendo
loro di leggere il contenuto di un solo settore.
Queste difficoltà verranno analizzate in seguito
dove prenderemo in esame quale sia il codice ( ovvero
: come disporre le zone opache e trasparenti) da uti-
lizzare caso per caso.
- 16 -
4) Lettura delle Misure.
Una volta effettuata la trasduzione analogica o di-
gitale delle grandezze associate con l’evento in esame
si pone il problema della lettura del contenuto della
trasduzione, si tratta cioè di trasportare nel lin-
guaggio umano accessibilmente il risultato delle misu-
re sotto forma di numero. Evidentemente, la trasduzio-
ne digitale risolve automaticamente il problema, oc-
corre al più indicare con lampade o con un circuito
stampanti, con un nastro perforato, ecc. il risultato
delle trasduzioni.
Nel caso della trasduzione analogica il problema
è più complesso e può, a volte, essere necessaria una
ulteriore trasduzione analogico-digitale per ridurre a
numero il risultato della prima trasduzione.
Pur tuttavia, è possibile in qualche caso effet-
tuare una lettura analogica come potrebbe essere quel-
la ottenuta osservando l’indice di uno strumento.
- 17 -
5) Analisi delle Trasduzioni
Sia T un trasduttore
che associa ad ogni
valore x di una gran-
dezza in esame un va-
lore f (x) della va-
riabile y “trasduzione della x”. y = f (x) sarà in ge-
nerale una funzione continua con la sua derivata prima
che approssimerà entro certi limiti l’andamento reale
del trasduttore che sarà meglio rappresentato da una
funzione y* = f* (x). Per avere un’idea dell’andamento
della f* consideriamo un valore x0 e ripetiamo median-
te il trasduttore la stessa misura, un numero abba-
stanza grande di volte. In generale, a causa dei gio-
chi non otterremo f(x0), otterremo bensì dei valori
che si discosteranno di una quantità massima ± ∆ f (x0
)dal valore f (x0).
Ripetiamo l’operazione per ogni valore di x e rappre-
sentiamo graficamente il risultando osservando che le
incertezze della traduzione possiamo racchiuderle nel-
la striscia determinata delle funzioni, f (x) + ∆ f
(x) e f(x) - ∆ f (x).
X f(x) fig 15
T
- 18 -
La nostra funzione f
*(x) può essere consi-
derata rappresentata
graficamente dalla
striscia considerata(
fig.16).
Se con ∆ indichiamo ora l’estremo superiore dei
valori di f(x) possiamo affermare che qualunque
sia x0 il risultato della traduzione di x0 è f
(x0) ± θ∆ dove con θ si è indicato un numero
maggiore di zero e minore di uno. Questo finchè
x non è affetto da incertezze. Supponiamo ora
invece che x sia da un errore assoluto ±∆ x. In-
dichiamo con ⎯∆x il massimo delle incertezze ∆x
e cerchiamo di
vedere come van-
no le cose nelle
peggiori ipotesi.
Come si vede nella
fig.17( a), mentre x
cade
fig.17a
- 19 -
nell’intervallo 2 ∆ x, y cade
nell’intervallo determinato dalla striscia f*
(x) e di ampiezza 2 ∆ y. Per determinare una re-
lazione quantitativa tra le incertezze ∆ x e ∆
y maggioriamo le dimensioni del rettangolo A B C
D considerando il segmento A P1 e P2 C uguali
fra loro ed uguali a ∆ che è, come abbiamo
visto,
l’estremo superio-
re dei valori di
∆ f (x). Limitan-
doci alle trasdu-
zioni lineari
(fig.17 b),
l’ampiezza 2 ∆ y vale 2 ∆ + 2 tgα ∆x. Per una
trasduzione lineare, poiché y = x tgα, o meglio
( )αtg
essendok 1= x= K y, possiamo concludere che :
∆ y = ∆ + K1∆ x (2)
Se moltiplichiamo ∆ y per K otteniamo l’incertezza
∆x di x considerando perfetto il trasduttore e attri-
buendo ogni fluttuazione ad x:
∆x =K∆ + ∆x (3)
17b
- 20 -
Questo ci mostra che (dopo la trasduzione ) le
incertezze di x si sommano al prodotto K∆= (costante
trasduzione)(gioco trasdurttore).
Questo risultato è importante in quanto permette
di trascurare nelle analisi statistiche l’effetto del
trasduttore come via intermedia attraverso il quale
scorre l’informazione x . Considerando inoltre ∆x =
∆_
x + K∆, come la somma di due segmenti con incertezze
∆x e K∆, possiamo concludere, ricordando i risultati
della teoria degli errori, che l’incertezza quadratica
complessiva, relativa a x, σ2 si può ottenere sommando
quadraticamente ∆x e K∆ ; cioè :
( ) 2222 kx ∆+∆=σ (4)(*)
Consideriamo ora il caso di più trasduttori (ad es.
-------
(*) A rigore, il risultato non è esatto. La distri-
buzione dei possibili valori dei giochi del trasdutto-
re non è infatti gaussiana poiché in condizioni norma-
li di funzionamento il gioco non può essere superiore
ad una quantità costante prefissata.
-------
- 21 -
due per semplicità) in cascata (fig.18).
Supponiamo che
i due
trasduttori
siano lineari e che K1, K2 e ∆1 ,∆2 siano ri-
spettivamente le costanti di trasduzione e i
giochi del primo e secondo trasduttore. Se con
2xσ indichiamo gli errori quadratici di x otte-
niamo :
(5) ( ) ( ) ( )222
211
22 ∆+∆+∆= KKxxσ
Qui si è indicato con ∆x l’incertezza da cui
è affetta la grandezza in esame x . Infatti, y1
“vede” x affetta da un errore quadratico σ12 =
( ∆ x)2+( K1∆1)2 e ye “vede” y1 affetta da un erro-
re: σ12 + (K2 ∆2)2. Da qui segue che y2 “vede” at-
traverso le due trasduzioni x complessivamente
con un errore quadratico
σx2 =(∆ x)2+(K1 ∆1)2 +(K2 ∆2)2
Le considerazioni precedenti sono sostan-
zialmente
Fig.18
- 22 -
rivolte a trasduttori analogici, ma possono venire
estese in modo ovvio a trasduttori digitali o a tra-
sduttori misti analogico-digitali.
Vedremo in seguito una più dettagliata estensione,
qui ci basti osservare che anche nel caso dei trasdut-
tori digitali ha senso parlare di gioco e costante di
traduzione.
- 23 -
Capitolo II
1) Nel capitolo precedente abbiamo esposto i
principi fondamentali dei metodi di traduzione
senza entrare nei dettagli in progetto. In
questo capitolo analizzeremo dettagliatamente
le trasduzioni digitali ed i relativi metodi
di analisi. Fondamentale, a questo scopo, è lo
studio dei codici, che però può essere svilup-
pato sufficientemente solo con l’ausilio di un
semplice ed elegante metodo di analisi:
l’algebra di Boole.
Esporremo pertanto brevemente questo speciale al-
goritmo senza soffermarci troppo sulle giustifica-
zioni rigorose dei suoi metodi di calcolo.
Seguiremo anzi una esposizione intuitiva che è più
utile agli scopi che ci prefiggiamo.
2) Algebra di Boole
Consideriamo
l’interruttoreideale di
fig. (1).Questo è un di-
spositivo che può essere
Chiuso R= 0 C=∞
Aperto R=∞ C=0
Fig.1
- 24 -
aperto o chiuso, che permette o non permette cioè il
passaggio di una corrente elettrica. Più precisamente
, se immaginiamo che sia costituito di un materiale
privo di resistenza, supportato su un isolante ideale,
possiamo dire che il nostro interruttore è un condut-
tore che presenta conduttanza nulla (aperto) oppure
infinita (chiuso).
Con queste ipotesi l’interruttore diventa un ente a
due stati: 0 (aperto) ∞ (chiuso). Indichiamo con l,
considerato come simbolo, il simbolo ∞ e indichiamo
con A lo stato dell’interruttore.
A potrà essere 0 oppure 1.
Chiameremo “commutazione” l’interruttore e “variabile
di commutazione” la lettera A che ne rappresenta il
generico stato. Rappresenteremo infine una commutazio-
ne come in fig2.
Consideriamo ora un gene-
rico circuito (fig. 3) co-
stituito dalle N
Commutazioni A1,A2….,An e
consideriamone due suoi
nodi x,x1. Ovviamente la
conduttanza
A A=0 aperto A=1 chiuso Fig. 2
- 25 -
fra questi due punti o è zero o è infinita a seconda
della disposizione particolare delle singoli commuta-
zioni e dello stato delle stesse.
Corrispondentemente lo sta-
to del circuito ai punti X
e X1 sarà 0 oppure 1. Dire-
mo funzione di commutazione
delle variabili A1,A2,….An
lo stato misurato ai punti
X e X1
fig. 3
Con ciò la funzione di commutazione f o è 0 o è l.
Interessa esprimere f in funzione delle variabili A1,A2,….An
f = f ( A1,A2,….An)
Questo si può fare direttamente con una tabella con-
siderando le 2N disposizioni con ripetizioni dei simboli 0,1
ed una colonna che indica corrispondentemente ad ogni dispo-
sizione lo stato del circuito ai punti considerati. Il caso è
illustrato dalla tabella I-a che illustra il semplice circuito
della fig.4
A
A2
A6 AJ
A4 A5
x X1
- 26 -
fxx1= f (ABC) X X1
fig.4
Tab.I-a
A B C f (A, B, C)
m0
m1
m2
m3
m4
m5
m6
m7
0 0 0
0 0 1
0 1 0
0 1 1
1 0 0
1 0 1
1 1 0
1 1 1
0
0
0
1
1
1
1
1
Osserviamo che accanto ad ogni disposizione delle lettere A,
B, C, abbiamo posto la lettera m con un pedice che corrispon-
de al numero rappresentato dai simboli 0 ed 1 che A B C assu-
me nella ordinaria rappresentazione binaria di
A
B c
- 27 -
un numero decimale. Così mo accanto alla riga 0 0 0 corrispon-
de nella numerazione binaria al numero 0.22 + 0.21 + 0. 20 = 0,
m1 corrisponde a 0.20 + 0.21+ 1.20 = 1, m2 a 0.22 + 1.21 + 0.20
= 2…..ecc. In generale, data una qualunque disposizione A0 A1
A2 A N delle lettere 0 ed 1, la faremo corrispondere al nume-
ro:
An 2n + An-1 2n-1 +….+ A1 21 + A 0 20
Viceversa, dato un simbolo come my lo faremo corrispondere ad
una disposizione del minor numero possibile di variabili se-
guendo il criterio precedente.
Così, ad esempio, m11 corrisponde alla seguente disposizione:
1 0 1 1.
Abbiamo infatti:
1. 23 + 0. 22 + 1.21 + 1.2 0 = 1 1
Cerchiamo ora di risolvere direttamente il problema di rap-
presentare direttamente una funzione f delle variabili di
commutazione. Per fare questo, istituiremo alcune semplici
regole fondamentali relative al corpo numerico costituito dai
due soli simboli 0 e 1 delle variabili in gioco.
- 28 -
Definiamo quindi due regole di combinazione, la somma logica
ed il prodotto logico. La somma logica, rappresentata simbo-
licamente dal segno +, è definita dalle seguenti regole:
A + B = B + A (1) A e B sono variabili di commutazione
o variabili logiche
0 + 0 = 0 (2)
0 + 1=1 (3) 0, 1 valori attribuiti alle variabili
1 + 1 = 1 (4)
Valgono invece le seguenti proposizioni a definire il prodot-
to logico rappresentato simbolicamente dal segno oppure dal
semplice accostamento delle variabili.
A • B = B • A (1)b
0 • 0 = 0 (2)b
0 • 1 = 0 (3)b
1 • 1 = 1 (4)b
Con questo osserviamo che se consideriamo due commutazio-
ni in parallelo la funzione di commutazione del circuito
globale si ottiene
- 29 -
semplicemente sommando le variabili delle due commutazio-
ni, mentre se le commutazioni sono in serie le variabili si
moltiplicano logicamente. Ho infatti per il circuito costi-
tuito dal parallelo di due commutazioni (fig. 5):
f (A1 B ) = A + B
X X1
Fig. 5
Tab.II-a
A B F(A, B) A + B
0 0
0 1
1 0
1 1
0
1
1
1
0
1
1
1
Dalla tabella si vede che per gli stessi valori di A e B ho f
( A, B) = A + B.
A
B
- 30 -
Il caso del circuito costituito da due commutazioni dispo-
ste in serie è illustrato dalla fig. 6 e dalla tab. III-a
dalla quale, come sopra, si vede che l’espressione A . B
coincide con f (A, B ) per gli stessi valori delle variabi-
li.
X X1
F ( A, B ) = A•B
Fig. 6
Tab.III –a
A B F(A, B) A • B
0 0
0 1
1 0
1 1
0
0
0
1
0
0
0
1
Dalle definizioni date risulta immediata la costruzione
della funzione di commutazione relativa a due punti X X1 di
una rete riducibile a elementi in serie o in parallelo.
Così nel caso della fig. 4 si ha immediatamente:
fx x1 = A + B • C .
A B
- 31 -
Si vede subito però, dall’esempio di fig.7, che il metodo de-
scritto non è sufficiente alla
determinazione della funzione di
commutazione relativa ai punti X
X1 del circuito rappresentato.
Quel circuito infatti non è
semplicemente riducibile ad
elementi in serie ed in
parallelo.
Prima di iniziare lo studio di
quella classe di circuiti
stabiliamo alcune regole di
calcolo.
Poiché 1 + 1 = 1 ed 1 + 0 = 1, qualunque sia x abbiamo:
a) 1 + X = 1
Infatti X può assumere solo i valori 0 e 1.
b) A + A = A
Infatti i due addendi logici assumono contemporaneamente
gli stessi valori.
Fig. 7
- 32 -
Analogamente:
b)(*) A • A = A:
c) A (B + C) = A • B + A • C E’ sufficiente verificare
direttamente
d)( A + B ) (A + C) = A • A + A • C + A • B + B • C =
= A + A • C + A • B + B • C =
= A• ( 1 + C ) + A • B + B • C =
= A + A • B + B • C =
= A • ( 1 + B ) + B • C = A + B C
Qui si osservi che ogni passaggio equivale al cambiamento
della struttura della rete rappresentata dalle equazioni su
cui si opera. Così,ad esempio, il primo e l’ultimo membro
della (d) rappresentano due diverse reti che per lo stesso
valore delle variabili assumono lo stesso valore della con-
duttanza fra i punti prefissati (fig.8).
X X1 X X1
Fig. 8
f( A, B, C) = ( A + B) (A+ C) = A + B + C
A
B
A
C
A
B C
- 33 -
Iniziamo ora lo studio delle reti come quella di fig. 7 non
rappresentate da semplici circuiti serie parallelo classifi-
cando le connessioni che congiungono due nodi qualunque pre-
fissati X e X1.
Se partendo da X, seguiamo le connessioni e le commutazioni
ed arriviamo ad X1 in modo unico diremo che la connessione
seguita è immediata . Da quanto detto risulta che la funzione
di commutazione relativa ad un percorso immediato fra due
punti di una rete è costituita semplicemente dal prodotto di
variabili di commutazione.
Considereremo connes-
sioni immediate anche
quelle che ad una cer-
ta distanza da X e da
X1 sono costituite di
commutazioni riducibi-
li e semplici circuiti
serie parallelo, tali
però che ripercorrendo
il circuito si possa
Fig. 9
- 34 -
tornare ad X ed X1 solo nel modo con cui si è partiti. Diremo
mediante le altre connessioni. La fig. 9 illustra quanto det-
to.
Si osservi in ogni caso che le connessioni, mediate o imme-
diate che siano, hanno la seguente forma:
CK= A1 • A2 • …. A ακ (5)
Ciò posto, dimostriamo il seguente
Lemma: Se sommiamo logicamente ad una funzione di commutazio-
ne relativa a due punti X X1 di una rete l’espressione Ck di
una qualunque connessione mediata o immediata, il valore del-
la funzione non cambia.
Infatti, se la connessione CK aggiunta è immediata,
l’espressione della funzione di commutazione contiene già CK
pertanto poiché CK+CK +Ck, la funzione non cambia.
In ogni caso, se CK = 1 anche f ( A1 , A2 ,… , A n ) = 1
ed in questo caso il lemma risulta verificato. Se poi
f (A1 , A2 ,… , A n) = 0 non può aversi Cs = 1, poiché
dovrebbe necessariamente essere f ( A1,…….., An ) =1.
Con ciò il lemma risulta dimostrato.
- 35 -
Possiamo dimostrare il seguente:
Teorema : La funzione di commutazione relativa a due
punti X X1 di una rete di commutazioni indipendenti si
ottiene sommando logicamente le funzioni di commuta-
zioni di tutti i possibili cammini mediati o immediati
che congiungono X ad X1.
Per i cammini immediati il teorema è ovvio, ed esclu-
diamoli pertanto dalle nostre considerazioni.
Dal lemma precedente, se C1 + C2 + …. + C5 è la somma
dei cammini mediati e se f xx1 ( A1, A2…… AN ) è la fun-
zione di commutazione relativa ai punti X X1 abbiamo:
f x x1 ( A1, A2, ….., AN ) = f x x1 ( A1, A2, ….., AN) + C1
+ C2 + …. + C5 (6).
Però ritenere valida la (6) significa affermare che,
ove sia f x x1 =0, è pure C1 + C2 + …. + C5 = 0.
Se poi f x x1 =1 C1 + C2 + …. + C5 può essere
dalla (6), tanto 0 quanto 1. Non può però essere zero
in quanto esiste un cammino mediato che rende 1 f x x1
e che pertanto compare fra i CK.
- 36 -
Come esempio di quanto detto, consideriamo il ponte di
commutazioni rappresentato dalla fig. (10).
La funzione di commutazione, relativa ai punti X ad X1
, è data da:
X1 f = A B + C D + A E D
+ C E B (7).
La (7) rappresenta numerose reti di commutazione delle
quali la più semplice , cioè quella col minor numero di
commutazioni, è quella di fig. (10). Naturalmente, tutte
le reti che è possibile rappresentare con la (7) mediante
alcuni cambiamenti della forma della (7) stessa hanno il
medesimo stato ai morsetti X X1 per una medesima disposi-
zione dei valori delle variabili A, B, C, ecc.
Così interpretando la (7) come una rete costituita di rami
in parallelo di commutazioni in serie, abbiamo il circuito
di fig. (11 a) mentre se operiamo la semplice trasforma-
zione f = A (B + E D) + C ( D + E B ), il circuito è di-
verso ed è rappresentato dalla fig. (11 b).
fig. 10
- 37 -
X X1 X X1
fig. 11 a) b)
Sorge così il problema di determinare la più semplice
struttura rappresentata da una funzione di commutazione f
( A, B, C,….).
Il problema non è univoco e la sua soluzione dipende dalla
classe di enti su cui si è rivolta la nostra analisi. Se
rimaniamo nel campo delle commutazioni, il criterio di
semplicità, come abbiamo già detto, coincide con quello di
“minor numero possibile di contatti”.
Introduciamo ora il completamento di A di una variabile A
mediante la seguente definizione. Se A à 0, 1, A è ri-
spettivamente 1 oppure 0. Cioè:
A ⎯A
0 1
1 0
A B
A E D
C E D
C D
B
E D
E B
D
A
C
- 38 -
E’ ovvio il significato di ⎯A : mentre la commutazione A è
aperta (chiusa), ⎯A è chiusa (aperta).
Cerchiamo ora il complemento di una funzione f delle va-
riabili A e ⎯A, B e ⎯B, C e ⎯C, ecc, e stabiliamo le pro-
prietà fondamentali.
Intanto osserviamo che qualunque sia x abbiamo :
X + ⎯X = 1 (8 a)
X •⎯X = 0 (8 b)
Si verifica anche facilmente che:
A + ⎯A B = A + B (9)
Infatti:
A B A + ⎯A B A + B
0 0
0 1
1 0
1 1
0
1
1
0
0
1
1
0
Per determinare il complemento ⎯f di una funzione f osser-
viamo le seguenti regole:
(⎯A ) =⎯A (10) a
( ⎯A ) = A (10) b
A • B = ⎯A + ⎯B (10) c
(A + B) = ⎯A • ⎯B (10) d
- 39 -
Dal complesso delle ( 10 a, b, c, d ), che è facile
verificare, si vede che per determinare il complemento di
una funzione si sostituisce ad ogni variabile il suo com-
plemento, al segno (+) il segno (• ) ed al segno (• ) il
segno ( + ). Ad esempio, determiniamo il complemento della
funzione f = ( ⎯A + B ) C + ⎯D . Abbiamo:
⎯f = ( A ⎯B + ⎯C ) • D
Quanto abbiamo detto fino a questo punto si riferisce
alla teoria delle commutazioni. E’ però chiaro che le re-
gole di calcolo relative a queste è sostenibile ad altri
enti di natura qualunque purchè soddisfino ad un certo nu-
mero di condizioni. Così noi possiamo dire che l’algebra
di Boole è relativa a enti A1 , A2 ,…….che soddisfano al
complesso delle regole di calcolo di questo capitolo, e
qui non importa il fatto che queste regole sono in numero
sovrabbondante e non indipendenti.
Ci siamo poi soffermati lungamente sulla teoria delle
commutazioni in quanto ci sarà utile mezzo nei prossimi
capitoli. Prima di chiudere questo, esponiamo il teorema
fondamentale dell’algebra di Boole.
- 40 -
Consideriamo la tavola ( I V ). In questa , come
d’uso, abbiamo disposto ordinatamente tutte le disposizio-
ni dei valori delle variabili A , B , C , D . Associamo ad
ogni disposizione mi delle variabili il prodotto di tutte
queste col segno di complemento oppure no a seconda che
nella disposizione corrispondente compaia uno zero oppure
uno rispettivamente. Così ad esempio, alla disposizione 0
0 0 0 associamo il prodotto ⎯A ⎯B ⎯C ⎯D , alla disposizio-
ne 0 0 0 1 associamo ⎯A ⎯B ⎯C D e così via di seguito.
Porremo anzi m0 = ⎯A ⎯B ⎯C ⎯D , m1 = A ⎯B ⎯C D, ecc. Tutto
questo è illustrato nella tavola ( I V).
- 41 -
Tav. IV
A B C D
0 0 0 0 m0 = ⎯A ⎯B ⎯C ⎯D m0 = 1 solo se A = 0, B = 0, C = 0, D= 0
0 0 0 1 m1= ⎯A ⎯B ⎯C D m1= 1 solo se A = 0, B = 0, C = 0, D= 1
0 0 1 0 m2= ⎯A ⎯B C D m2 = 1 solo se A = 0, B = 0, C = 1, D= 0
0 0 1 1 m3= A ⎯B C D ……………
0 1 0 0 m4 = ⎯A B ⎯C ⎯D …………….
0 1 0 1 m5= ⎯A B ⎯C D ecc.
0 1 1 0 m6= ⎯A B C ⎯D
0 1 1 1 m7 = ⎯A B C D
1 0 0 0 m8 = A ⎯B ⎯C ⎯D
1 0 0 1 m9 = A ⎯B ⎯C D
1 0 1 0 m10 = A ⎯B C ⎯D
1 0 1 1 m11 = A ⎯B C D
1 1 0 0 m12 = A B ⎯C ⎯D
1 1 0 1 m13 = A B ⎯C D
1 1 1 0 m14 = A B C ⎯D
1 1 1 1 m15 = A B C D
Ora chiamati “termini minimi” gli mi , si osservi che ogni
mi è l solo se le variabili A, B, C, D assumono i valori
- 42 -
corrispondenti alla esima disposizione delle lettere O e
l. Così m9 = A ⎯B ⎯C D = l se A = 1, B = 0, C= 0, D= 1.
E’ invece m9 = 0 in tutti gli altri casi.
Ciò posto veniamo all’annunciato teorema riferendo-
ci per semplicità al caso di tre sole variabili A, B, C.
Teorema- Ogni funzione logica delle variabili A, B, C può
esprimersi
come somma di termini minimo relativi alle variabili stes-
se.
Qualunque sia f ( A, B, C ) avremo cioè:
f (A, B, C) = f0 m0 + f1 m1 +…….+ f 7 m7 = ∑=
7
0i fi mi (11)
dove f1 è il valore (0 oppure 1) che la funzione assume in
corrispondenza all’iesimo termine minimo mi. Si costruisca
infatti la tabella dei valori della f. Per la esima dispo-
sizione la f assumerà il valore (0 oppure l) fi, , e conse-
guentemente il prodotto mi fi della (11) assumerà il valo-
re fi solo nela caso che mi = l, nel caso cioè che le va-
riabili abbiano proprio la esima disposizione.
Ripetendo il ragionamento per ogni i si ha subito la (11).
Si consideri ad esempio la funzione delle variabili A, B,
C che assume i valori f dati dalla tabella (V).
- 43 -
A B C f Tab. (V)
0 0 0
0 0 1
0 1 0
0 1 1
1 0 0
1 0 1
1 1 0
1 1 1
0
1
0
1
0
0
0
1
f0 = 0
f1 = 1
f2 = 0
f3 = 1
f4 = 0
f5 = 0
f6 = 0
f 7= 1
Notiamo che la funzione f assume il valore l solo in
corrispondenza a m1, m3, ed m7, cioè ad ⎯A ⎯B C, ⎯A B
C, e A B C.
Da quanto detto risulta immediatamente che la f e-
spressa come somma di termini minimi ha la seguente forma:
f= ∑=
7
0if i mi = 0 • m0 + 1• m1 + 0 • m2 + 1• m3 + 0 • m 4+ 0 • m5 + 0
•m6 + 1 • m7=
=⎯A ⎯B C + ⎯A B C + A B C
- 44 -
Notiamo qui esplicitamente che il teorema fondamentale ora
esposto ha un significato che va oltre a quello da noi e-
nunciato.
Come ci ha mostrato l’esempio che abbiamo esposto, il
teorema permette la “sintesi” diretta delle reti di commu-
tazione quando è nota la tabella di valori delle commuta-
zioni e dei corrispondenti valori della funzione logica
relativi ad una qualunque coppia di morsetti X, X1.
Progettare pertanto una rete logica si definiscono
le sue “funzioni” con una tabella del tipo (V), con i me-
todi esposti si scrive la funzione come somma di termini
minimi, e con i procedimenti algebrici precedentemente in-
dicati si effettuano eventuali semplificazioni.
Nell’esempio precedente la funzione determinata è
semplificabile con semplici procedimenti che qui indichia-
mo come esempio :
f = ⎯A⎯B C + ⎯A B C + A B C = ⎯A ⎯B C + B C ( A + ⎯A)=
= ⎯A ⎯B C + B C = C (B + ⎯B ⎯A) = C (B + ⎯A).
Di questo teorema vedremo in seguito numerose appli-
cazioni.
- 45 -
Vogliamo ora estendere il campo d’ applicazione
dell’algebra di Boole, passando dalle semplici commutazio-
ni ai circuiti a relè ed analoghi.
Consideriamo ad esem-
pio la fig.12. In questo
circuito, costituito es-
senzialmente da un relè,
distinguiamo un morsetto
d’ingresso E ed un mor-
setto d’uscita U.
Supponiamo che il relè non
sia energetizzato, allora la
tensione al morsetto d’uscita
è nulla.
Fig. 13
- 46 -
Se invece il relè è energetizzato ( V E ≠ 0) allora
il morsetto d’uscita assume il potenziale di 1 Volt.
Trattiamo le tensioni d’ingresso e d’uscita come varia-
bili di Boole attribuendo loro il valore 0 nel caso di
tensioni nulle ( o basse) ed il valore l nel caso di
tensioni alte o, come in questo caso, semplicemente di-
verse da zero.
Con questa conversione nel circuito di fig. 12 ab-
biamo V = 0 (1) se E = 0 (1) . Abbiamo cioè semplice-
mente: U = E.
Nel caso della fig. 13 abbiamo invece:
E U
0
1
1
0
e cioè, semplicemente per definizione di complemen-
to:
U = ⎯E. In questo schema ogni variabile A, B,
C….appare pertanto come la rappresentazione logica di
tensioni ad opportuni morsetti. I circuiti a relè hanno
la funzione di realizzare le operazioni sulle variabili
A , B , C,……
- 47 -
La fig. 12 rappresenta semplicemente l’operazione iden-
tità, mentre il circuito di fig .13 rappresenta l’ “operato-
re complemento”.
In fig. 14 poi sono rappresentati i circuiti che rea-
lizzano la somma logica ed il prodotto logico. Accanto ad
ogni circuito è indicato poi il simbolo dello stesso, esso è
indicato il simbolo del circuito che realizza il complemento
di una variabile logica.
+1 volt + 1 volt
A+B
A • B
1 volt
A • B
A B
A ⎯A fig. 14
_
•
- 48 -
Con queste definizioni si può costruire qualunque funzione di
Boole delle variabili A, B, C,…..Qualche volta però, è , in
pratica, più comodo introdurre altri circuiti logici oltre ai
già nominati “somma”, “prodotto” e “complemento”. A titolo di
esempio costruiamo il circuito logico alla tab. (VI).
Tab. (VI)
A B f
0 0
0 1
1 0
1 1
0
1
1
0
Si ha subito : f = ⎯A B + A ⎯B .
In base agli elementi logici definiti il circuito è il se-
guente:
- 49 -
Se avessimo invece definito anche il circuito X ⎯Y il
circuito avrebbe assunto un aspetto un po’ diverso. Quanto
abbiamo detto ora per i circuiti a relè estenderemo a suo
tempo anche per i circuiti elettronici.
Fin d’ora però possiamo estendere i circuiti simbolici
della fig.14 al caso in cui le tensioni abbiano due valori
distinti uno dei quali non sia necessariamente nullo.
Quest’ultimo è in sostanza il caso dei circuiti elettro-
nici.
3) Codice binario e codice di Gray riflesso per la con-
versione posizione-numero.
Come abbiamo già detto a suo tempo, le trasduzioni di-
gitali angolo-numero ( lunghezza-numero) possono effettuarsi
mediante sistemi di zone opache e trasparenti di un disco
rigidamente connesso all’asse di rotazione. Tali dischi ven-
gono chiamati “ dischi a codice”.
Naturalmente nulla vieta che lo stesso metodo venga
utilizzato per una trasduzione lineare invece di angolare: è
sufficiente sostituire al disco una lastra opportunamente
disposta. Anzi, anche le traduzioni angolari è
preferibile vengano effettuate con mezzi diversi del disco.
- 50 -
Nel disco infatti le disposizioni delle zone opache e traspa-
renti si trovano in un settore circolare e pertanto la loro
superficie diminuisce al diminuire della distanza dal centro
del disco.
Si può ad esempio adot-
tare la disposizione
costruttiva di fig.
(16) che però ha il di-
fetto di richiedere un
cilindro su cui è trac-
ciato l’insieme delle
disposizioni. Questo
fatto impedisce di uti-
lizzare, come si fa nel
disco, una lastra foto-
grafica in vetro.
Di conseguenza, se viene utilizzata come cilindro una ripro-
duzione su “film”, è possibile che il tempo e l’azione delle
lampade per l’illuminazione producano deformazioni del cilin-
dro.
- 51 -
Questo richiede quindi una maggior manutenzione del disco che
però ha il difetto di dover venire costruito con maggior ac-
curatezza.
Come abbiamo già accennato, i codici da utilizzare vanno
scelti in modo da evitare errori di valutazione. Per quella
ragione non è utilizzabile il codice binario puro.
Diversi codici sono stati appositamente inventati.
Noi esporremo qui il codice riflesso di Gray e mostreremo
come possa venir”tradotto” nel codice binario ordinario che
ha l’enorme vantaggio di essere maneggevole negli apparati
elettronici.
Limitiamoci al caso di quattro piste, corrispondente al
caso di 4 corone circolari e quindi a 24 = 16 possibili dispo-
sizioni. Siano A , B , C , D le “uscite” dei fotodiodi rive-
latori. Attribuiamo a ciascuna di queste variabili il valore
l nel caso che le uscite siano a potenziale alto, e o nel
caso contrario.
Siamo con queste convenzioni nello schema di Boole.
Consideriamo ora la tavola (VII).
- 52 -
Tav. (VII)
N A B C D
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
0 0 0 0
0 0 0 1
0 0 1 1
0 0 1 0
0 1 1 0
0 1 1 1
0 1 0 1
0 1 0 0
1 1 0 0
1 1 0 1
1 1 1 1
1 1 1 0
1 0 1 0
1 0 1 1
1 0 0 1
1 0 0 0
Questa ci fornisce il modo di disporre le disposizioni del
codice riflesso di Gray. Cominciamo con l’osservare che la
parte della tavola inferiore alla linea tratteggiata è asim-
- 53 -
metrica, rispetto a quella linea, della parte di tavola supe-
riore. Questo non vale però per la colonna dei valori della
cifra più significativa A.
Osserviamo inoltre che nel passaggio da una disposizione
alla successiva cambia solo il valore di una variabile. Que-
sto è il principale pregio del codice.
Supponiamo infatti che il disco (o il cilindro) sia fermo
in una posizione intermedia fra una cifra e la sua successi-
va.
E’ chiaro che la cifra letta può essere l’una o l’altra a
seconda dei casi. In ogni caso l’errore è sempre al massimo
di una cifra . Lo stesso ragionamento vale per la prima e
l’ultima cifra.
Vediamo ora come il codice di Gray riflesso possa ve-
nir tradotto in binario puro. Per vedere questo chiariamo il
problema.
All’uscita del trasduttore considerato abbiamo quattro
conduttori A, B, C, D che contengono codificato complessiva-
mente un numero N che dipende dalla disposizione degli zeri e
degli 1 come indicato nella tav. (VII).
Occorre progettare un circuito logico, che ha quattro con-
duttori
- 54 -
di uscita α, β, χ, δ, in modo tale che i potenziali dei
morsetti d’uscita rappresentino il numero N della tav. (VII)
secondo lo schema binario.
Per scrivere le equazioni logiche di traduzione confron-
tiamo i due codici. Si vede ad esempio che il morsetto α deve
essere 1 in corrispondenza delle ultime disposizioni della
tav. (VII). Queste sono poi caratterizzate dall’avere A = 1.
Possiamo scrivere quindi direttamente : α = A. Così per scri-
vere l’espressione delle variabili β, χ, δ, possiamo determi-
nare i termini minimi delle variabili A, B, C, D che rendono
1 β oppure χ oppure δ. Determinati questi termini minimi li
sommiamo semplicemente. Ad esempio δ deve essere 1 in corri-
spondenza alle seguenti disposizioni:
A B C D
0 0 0 1
0 0 1 0
0 1 1 1
0 1 0 0
1 1 0 1
1 1 1 0
1 0 1 1
1 0 0 0
- 55 -
Abbiamo pertanto per δ :
δ = ⎯A ⎯B ⎯C D + ⎯A ⎯B C ⎯D +……ecc.
Come si vede l’espressione è complessa e richiede pertanto
un complesso circuito di traduzione. Vediamo come semplifica-
re le cose utilizzando un ,metodo meno meccanico ma un po’
utile ed interessante.
Riscriviamo la tavola (VII). Accanto ad alcuni gruppi di
stati di ogni colonna abbiamo posto dei tratti verticali con
l’indicazione dello stato della variabile corrispondente nel
codice binario puro. Dove non esiste tratto verticale si deve
pensare che la variabile corrispondente binaria sia 0 (tab.
VII b).
N= α• 23 + β• 22 + χ• 21 + δ• 20
X Y Fig.17 U= X ⊕ Y = X⎯Y=⎯X Y
C. B. R N
⊕
- 56 -
Tav. (VIII b)
A B C D 0 0 0 0
0 0 0 δ= 1 [ 1
0 0 1 1
0 0 1 δ= 1 [ 0
0 1 1 0
0 1 1 δ= 1 [ 1
0 1 0 1
0 1 0 δ= 1 [ 0
1 1 0 0
1 1 0 δ= 1 [ 1
1 1 1 1
1 1 1 δ= 1 [ 0
1 0 1 0
1 0 1 δ= 1 [ 1
1 β= 1 0 χ =1 0 1
1 0 0 δ= 1 [ 0
Tanto per cominciare si vede che α = A.
Si vede anche che solo in corrispondenza a β = 1 abbiamo
B⎯α + ⎯B α = 1. Pertanto β = B ⎯α + ⎯B β.
χ =1
χ =1
χ =1
β= 1
α=1
- 57 -
In quanto a χ si vede, sempre esaminando la tavola (VII
b) che se χ = 1 abbiamo C ⎯β + ⎯C β = 1 ed ancora una volta
possiamo scrivere : χ = C⎯β+ ⎯Cβ.
Continuando il processo abbiamo il seguente gruppo di
funzioni logiche che meccanizzano la traduzione:
α = A
(12) β = B ⎯α +⎯Bα
χ = C⎯β + ⎯Cβ
δ = D ⎯χ + ⎯Dχ
E’ così facile estendere la conversione ad un numero mag-
giori di variabili. Qui si noti che le (12) danno le cifre
meno significative binarie pure in funzione delle più signi-
ficative sempre della stessa classe.
Il circuito a blocchi della traduzione può perciò essere
quello indicato dalla fig. (17).
- 58 -
4) Altri metodi per la conversione posizione – numero.
Un altro modo, oltre al già accennato disco
codificato, per tradurre una posizione (angola-
re) in un numero è semplicemente realizzabile
contando i tratti opachi o trasparenti di un di-
sco con un reticolo
periferico secondo la
disposizione di
fig. (18). La misura
viene effettuata come
segue: si fissa un
tratto origine corri-
spondente ad esempio
all’inizio delle ro-
tazioni.
In questa posizione il contenuto del conta-
tore, cioè il numero indicato, deve essere zero.
Si ruota poi l’albero di rotazione in un solo
senso fino a raggiungere la posizione desidera-
ta.
Fig. 18
- 59 -
Il contatore avrà contato il numero di tratti
corrispondenti all’angolo ruotato. Si badi però che se
l’operatore, dopo aver ruotato ad esempio di un angolo
corrispondente a 100 tratti, si arresta, esegue un mo-
vimento in senso opposto di 10 tratti e quindi ripren-
de il senso primitivo e si arresta quando il contato-
re ha quantizzato il numero 200, avrà commesso un er-
rore di 10 tratti se si terrà valido il numero indica-
to del contatore.
Per ovviare a questo inconveniente è sufficiente
disporre di un contatore reversibile e di un disposi-
tivo per la determinazione del senso di rotazione
dell’albero.
Così quando l’albero ruota in un verso prefissato
in contatore quantizza sommando il numero dei tratti,
mentre se l’albero ruota in senso contrario il conta-
tore sottrae a tratti già contati quelli corrisponden-
ti a detta rotazione.
Lo schema di questa trasduzione è indicato dalla
fig. (19).
La trasduzione effettuata con dischi come detto
è molto semplice e può essere assai efficiente e pron-
ta. L’inconveniente principale di questa è connesso
con la determinazione
- 60 -
fig. 19
In compenso , si possono ottenere risoluzio-
ni estremamente elevate ad errori sistematici
praticamente trascurabili. Così è ad esempio
possibile dividere l’intero angolo giro in più
di 2000 parti. In seguito, mostreremo anche come
si possa “elettronicamente” e molto semplicemen-
te aumentare la risoluzione.
Contatore reversibile
senso di conteggio
Ingresso contat.
del senso
di rotazio-
ne e con la
conseguente
determina-
zione del
senso di
conteggio.
E’inoltre
abbastanza
evidente
che gli ap-
parati e-
lettronici
sono un po’
complessi.
- 61 -
5) Codice decimale riflesso.
Le idee esposte nel paragrafo dedicato al codice
binario di Gray possono essere applicate alla costru-
zione di un codice di decadimale riflesso facendo uso
di una rappresentazione binaria delle cifre dallo 0 al
9. Consideriamo la seguente tabella.
Tab.VIII
A B C D
0 0 1 0
0 1 1 0
0 1 1 1
0 1 0 1
0 1 0 0
1 1 0 0
1 1 0 1
1 1 1 1
1 1 1 0
1 0 1 0
f0 (0)
f1 (1)
f2 (2)
f3 (3)
f4 (4)
f5 (5)
f6 (6)
f7 (7)
f8 (8)
f9 (9)
Le dieci disposizioni esposte rappresentano
uno dei tanti modi possibili di rappresentare ad
esempio mediante dei bianchi e dei neri i numeri
da 0 a 9.
- 62 -
Studiamo le proprietà di quel codice. Cominciamo con
l’osservare che se passiamo da una disposizione ad una
sua contigua cambia soltanto uno zero oppure un uno
analogamente a quanto detto nel caso del codice bina-
rio riflesso. Osserviamo poi che se mutiamo in una
qualunque di quelle disposizioni f1 il valore della ci-
fra più significativa A nel suo complemento logico, f1
viene mutata in f9-1 in quella rappresentazione. Così,
ad esempio, 1 1 1 0 rappresenta f8 o semplicemente 8.
Se cambiamo il primo 1 in uno 0, otteniamo 0 1 1 0
cioè 9-8 = 1.
Ricordiamo che con quattro variabili binarie A, B, C,
D si possono costruire 24 disposizioni con ripetizione
distinte. Nella rappresentazione esposta dei numeri da
0 a 9 noi utilizziamo solo 10 dalle 16 disposizioni.
Le disposizioni non utilizzate, o ridondanti, sono:
A B C D Termini ridondanti 0 0 0 0 r1 = m0
0 0 0 1 r2 = m1
0 0 1 1 r3 = m3
1 0 0 0 r4 = m8
1 0 0 1 r5 = m9
1 0 1 1 r6 = m11
Tab. IX
- 63 -
Ora è chiaro che se il codice analizzato viene ad esempio
utilizzato per identificare un settore di un disco diviso
, le disposizioni r1 r2 r3 r4 r5 r6 non compaiono e quindi
i corrispondenti termini minimi sono nulli. Questo fatto
potremo utilizzarlo, come vedremo per semplificare alcune
espressioni logiche. Immaginiamo rappresentati i numeri
con le disposizioni della tab. VIII e vediamo come è co-
struito il codice decimale riflesso. (tab.X).
Tab. X Si vede che nel passaggio da 9 (unità
) a 10 ( una decina, zero unità) cam-
bierebbero i valori di due variabili e
incorreremmo in errori.
Per evitare questo noi non passeremo
dal 9 al 10, bensì dal 9 al 19.
Retrocederemo poi fino al 10 e quindi
passeremo al 20. Dal 20 procederemo fi-
no al 29 e passeremo al 39 e così via
di seguito. Per dividere il disco in
mille settori dovremo disporre di
3.4=12 piste con opportuni bianchi e
neri.
0 0 0
0 0 1
0 0 2
0 0 3
.…
0 0 8
0 0 9
0 1 9
0 1 8
….
0 1 0
0 2 0
0 2 1
0 2 2
….
ecc.
- 64 -
Si pone ora il problema di decidere il numero corrispon-
dente ad un certo settore una volta effettuata una lettura di
bianchi (1) e neri (0).
Un attento esame della costruzione della tab. X mostra
che le centinaia hanno lo stesso significato della loro rap-
presentazione non essendoci “riflessione” nelle cifre più si-
gnificative. Le decine non cambiano significato se sono pre-
cedute da una centinaia pari. Se però la cifra delle centi-
naia è dispari (1, 3, 5 ,7 , 9 ), le decine devono venir cam-
biate nel loro complemento al nove. Le decine così tradotte
precedono le unità che rimangono immutate per decine pari e
vengono mutate nel loro complemento al nove per decine dispa-
ri. Cerchiamo ad esempio il significato della seguente dispo-
sizione:
1 1 0 0 – 0 1 0 1 – 1 1 1 1
Si vede confrontando con la tab. VIII che il numero rap-
presentato è 5 3 7 . Questo numero corrisponde ad una certa
divisione del cerchio che dobbiamo determinare.
Il 5 ha il significato corretto. Poiché il 5 è dispari,
il 3 va mutato nel suo complemento al 9, cioè nel 9 – 3 = 6.
- 65 -
Ora il 6 è pari, quindi il 7 non viene mutato.
Il settore è quindi individuato dal 5 6 7.
Vediamo come può compiersi la traduzione da codice deci-
male riflesso a codice decimale puro. Cominciamo a tradurre
le centinaia. Dalla tab. VIII abbiamo immediatamente:
f0 = ⎯A ⎯B C ⎯D (13)
f1= ⎯A B C ⎯D
f2= A B C D
f3= ⎯A B C D
f4= ⎯A B ⎯C ⎯D
f5= A B ⎯C ⎯D
f6= A B ⎯C D
f7= A B C D
f8= A B C ⎯D
f9= A ⎯B C ⎯D
Utilizziamo ora I termini minimi ridondanti per sempli-
ficare le (13). Se sommiamo ad esempio ad f0 il termine ridon-
dante sempre nullo ⎯A ⎯B ⎯C ⎯D otteniamo:
f0= f0 +⎯A ⎯B ⎯C ⎯D = ⎯A ⎯B C ⎯D +⎯A ⎯B ⎯C ⎯D=⎯A ⎯B ⎯D (C + ⎯C
)=⎯A⎯B⎯D
Utilizzando una tecnica analoga e con un pò di pazienza,
è facile arrivare alle seguenti espressioni per le f10 .
- 66 -
f0 = ⎯A ⎯B
f1= ⎯A B C D A B C D
f2= ⎯A B C D
f3= ⎯A ⎯C D
f4= ⎯A ⎯C ⎯D
f5= A ⎯C ⎯D
f6= A ⎯C D f0 f1 f9
f7= A C D
f8= A B C ⎯D fig. 20
f9= A ⎯B
Il circuito che realizza la conversione è schematizzato
in fig.20 con una scatola a quattro ingressi e 10 uscite .
Nella scatola vengono meccanizzate le espressioni logiche 14
ad esempio mediante relè. Quando le variabili A , B, C, D as-
sumono valori corrispondenti ad una qualunque delle f1 (tab
VIII) per le centinaia, l’uscita fi stessa risulta 1 e tutte
le altre uscite sono zero. Per tradurre le decine, per quanto
detto, occorre un circuito analogo. Occorre però che
l’ingresso A venga mutato nel suo complemento se le centinaia
sono dispari. Osserviamo per questo che le centinaia pari so-
no:
2 10
- 67 -
f0 (0), f2 (2), f4 (4), f6 (6), f8 (8).
Per individuare la parità delle centinaia è sufficiente
quindi l’espressione :
p = f0 + f2 + f4 + f6 + f8
Il circuito che effettua il complemento logico della ci-
fra più significativa A binaria delle decine può essere sem-
plicemente il seguente:
A1 = p A + ⎯p ⎯A.
Analoghe considerazioni valgono per le unità.
Comunque, il circuito completo per la lettura del disco
con fotodiodi è illustrato in fig. 21. In fig. 22 invece è
mostrato una porzione di codice disegnato.
- 68 -
fig.22
- 69 -
6)Un trasduttore analogo-digitale.
Prima di addentrarci nel progetto di contatori e dei di-
spositivi per la determinazione del senso di rotazione di un
albero, descriviamo rapidamente un semplice apparecchio ana-
logo-digitale per la traduzione angolo- numero (fig.20).
Uno sguardo d’assieme dello schema a blocchi mostra il
funzionamento dell’apparecchio. PM è un potenziometro
- 70 -
lineare il cui cursore è rigidamente collegato ad un
micrometro, ad esempio al micrometro oculare di Klau-
sen di un microscopio per
lastre nucleari. Il campo di misura corrisponde ad una
rotazione di 45° di PM . PR è un potenziometro che può
compiere una rotazione di 10 giri. Le resistenze R so-
no di valore abbastanza alto, cosicché la tensione V
alla giunzione di queste può essere considerata la me-
dia aritmetica di e1 ed e2. Ora, ad esempio, se
l’osservatore ruota il micrometro in modo che e1 di-
minuisca, come indicato dalla freccetta , V diminuisce
e, se supponiamo che precedentemente V fosse uguale a
V01a( V0 – V) diventa positiva. Quando questa tensione,
che viene fornita da un opportuno amplificatore diffe-
renziale, supera un certo valore,il motore viene ali-
mentato e fa ruotare l’albero del potenziometro PR se-
condo i versi indicati dalla freccetta tratteggiata.
Così e2, e quindi V1 aumentano fino a ridurre a ( V0 –
V) quasi a zero, fino cioè che viene a mancare
l’alimentazione del motore che prosegue la sua rota-
zione per inerzia di poco. In questa fase il motore
viene frenato ed il movimento per inerzia non supera
un certo valore in modo che nell’intervallo E ( vedi
figura ) il motore viene arrestato.
- 71 -
Ad ogni posizione del cursore di PM corrisponde così una
posizione di PR a meno del “gioco”. Se quindi ci colleghiamo
rigidamente all’albero di PR
un traduttore angolo-numero a contattiera abbiamo un com-
pleto trasduttore angolo cifra che fra l’altro ha il van-
taggio di amplificare il movimento facendo corrispondere,
come abbiamo già detto , ad una rotazione di 45° di PM una
di 3600° di R. E’inoltre possibile modificare la curva di
traduzione correggendo opportunamente i potenziometri con
resistori inseriti fra taps di questi.
Nel circuito descritto conviene modificare la curva del
potenziometro PR, data la maggior parte del cursore.
- 72 -
CAPITOLO III
1) In questo capitolo inizieremo lo studio logico
dei circuiti associati alle traduzioni. Questo
studio comprende il progetto dei contatori o
più generalmente dei circuiti sequenziali.
Questo studio può essere svolto in modo del
tutto formale oppure in modo più semplice,
purchè si utilizzino certe cognizioni della
teoria dei circuiti elettronici.
Noi ci atterremo ad una via intermedia ed utilizzeremo
elementi che comunque svilupperemo qui superficialmen-
te.
2) Flip-Flop
La fig. 1 mostra lo schema elettrico di un circuito. denomi-nato
Flip Flop, di cui ci
interessa esaminare il
funzionamento in modo da
definirlo logicamente.
T1, T2 sono due triodi
- 73 -
identici disposti nel circuito in modo simmetrico. La
conoscenza delle caratteristiche ia = ia ( Va , Vg)
della corrente anodica dei triodi e dei valori di Rc ,
r, Rg dovrebbe permettere la determinazione dei poten-
ziali e delle correnti del circuito. Così ad esempio
si dovrebbe poter determinare le tensioni ( riferite
alla terra) agli anodi dei due triodi che comunque per
ragioni di simmetria dovrebbero risultare identiche.
In questo stato oltre ai potenziali agli anodi risul-
tano identici anche i potenziali alle griglie e le
correnti anodiche nei due triodi.
Si vede però facilmente che questa configurazione è
instabile. Supponiamo infatti ad esempio che per una
qualunque ragione aumenti la corrente anodica in T1 .
Questo aumento di corrente ha come conseguenza una di-
minuzione di tensione anodica di T1 ed una conseguente
diminuzione del potenziale di griglia di T2. La dimi-
nuzione del potenziale di griglia di T2 provoca un au-
mento del potenziale della griglia T1 ed un conseguen-
te aumento di corrente anodica dello stesso. Come si
vede, il processo è rigenerativo e continua finchè T2
non è completamente all’interdizione, finchè cioè si
annulla la corrente anodica di T2.
- 74 -
Il potenziale dell’anodo di T1 è così basato mentre quello di
T2 è alto. Se il circuito è ben progettato e se nessuna per-
turbazione esterna ne altera le condizioni di funzionamento,
il circuito rimane indefinitamente nella situazione descrit-
ta. Se ora applichiamo alla griglia di T1 un breve impulso ne-
gativo, ad esempio tramite un condensatore, T1 si interdice
mentre T2 condurrà. La situazione è così invertita e il cir-
cuito rimane nuovamente in questa situazione indefinitamente.
I condensatori C servono appunto a determinare il senso del
cambiamento in prossimità dello stato di equilibrio instabi-
le. Il tempo necessario al flip-flop per compiere la transi-
zione da “T1 interdetto” a “T2 interdetto” dipende dalle capa-
cità parassite, dai valori delle resistenze, dal tipo di
triodo e dalla escursione di tensione V= Vmax - Vmin alle
placche dei due triodi. Questo tempo è comunque molto breve.
In seguito il circuito che utilizzeremo sarà un po’ più com-
plicato ( fig.2) dalla presenza dei diodi di “clamp” che ri-
ducono la escursione ∆V della tensione anodica e che permet-
tono di “caricare” il flip-flop senza alterare il valore Vmax e
di Vmin.
- 75 -
Nel circuito di fig. 2
ad esempio Vmax= 90 V e
Vmin = 60 V.
Cerchiamo ora di indivi-
duare gli aspetti logici
del flip-flop.
Allo scopo chiamo Q (0
oppure 1) lo stato se-
condo la schematizzazio-
ne dell’algebra di Boole all’anodo di T1
intendendo con 0 Vmin e con 1
Vmax. Osservo poi che se lo stato all’anodo di T1 vale
Q, lo stato dell’anodo di T2 vale ⎯Q.
Se un impulso negativo viene applicato ad S (fig.2)
Q diventa 1 qualunque sia lo stato precedente di Q. Se
invece l’impulso negativo viene applicato ad R, Q di-
venta zero e rimane tale, indipendentemente dallo sta-
to precedente.
Se però vengono contemporaneamente applicati ai due
ingressi R ed S due impulsi negativi, lo stato finale
di Q è del tutto indetermi-
nato e dovremo pertanto evitare tale eventualità.
Fig. 2
- 76 -
Esaminiamo ora a titolo di esempio come varia Q
quando ad R e ad S venga applicata una successione di
impulsi
(fig.3)
Q
V+
V-
S
R
Iniziale di Q.
E’abbastanza naturale dopo queste nostre conside-
razioni definire il flip-flop “elemento di memoria”.
Così definito Q appare come lo stato
dell’elemento di memoria che al tempo t dipende dalla
storia dell’andamento dei potenziali in R ed in S.
0 t
0t
0t
Andamento del po-
tenziale all’anodo
di T1 quando ad R e
ad S viene appli-
cata una succes-
sione di impulsi.
Naturalmente
l’andamento di Q
in funzione del
tempo dipende dal-
la condizione Fig 3
- 77 -
3) Circuiti logici a diodi.
c1 c2
V= Max (c1 c2)
a)
somma
+E E>(c1, c2) ≥ 0
b)prodotto
U=Min (c1c2)
Fig. 4
a vuoto.
Questi dispositivi sono estremamente più veloci
dei corrispondenti elettromeccanici e necessitano
per il loro corretto funzionamento di potenze e-
stremamente più basse. Analizziamo i circuiti di
fig. 4 . Supponiamo che i diodi siano ideali, ab-
biano cioè resistenza interna nulla per correnti
dirette, per correnti cioè che li percorreranno
Abbiamo visto a
suo tempo alcuni
circuiti che rea-
lizzano il pro-
dotto logico e la
somma logica e il
complemento di
variabili logiche
che mediante
l’uso di relè.
Vedremo ora altri
circuiti non più
a relè che rea-
lizzano le stesse
“operazioni” con
diodi al germa-
nio e con tubi
- 78 -
convenzionalmente dall’anodo al catodo, e resi-
stenza inversa infinita per correnti inverse. E’
facile convincersi che nel circuito a il potenziale
V è il più alto fra i potenziali e1, e2 mentre nel
caso della fig.4 b accade il contrario.
Se utilizziamo perciò i circuiti a e b appli-
cando ai morsetti e1 ed e2 due tensioni, ad esempio
60 V e 90 V realizziamo la somma logica e il pro-
dotto logico (fig. 5 e tabelle associate).
E=150V
U1
A B U1 = A • B
A B U2 Fig.5 U2 = A+ B
A(volt) B(volt)
U (Volt)
60 60 60 90 90 60 90 90
60 60 60 90
A B
U1
0 0 0 1 1 0 1 1
0 0 0 1
A(volt) B(volt)
U (Volt)
60 60 60 90 90 60 90 90
60 90 90 90
A B
U1
0 0 0 1 1 0 1 1
0 1 1 1
- 79 -
Per quanto riguarda il complemento è suffi-
ciente ricordare che se un triodo è connesso co-
me amplificatore con catodo a terra il potenzia-
le di anodo è alto (basso ) se il potenziale di
griglia è basso (alto). Comunque la fig. 6 mo-
stra lo schema di un circuito che realizza il
complemento.
Al solito i diodi clamp vincolano la tensio-
ne anodica ad assumere solo valori definiti ed
in armonia con le altri parti del circuito, ad
esempio, 60 e 90
Volt per rimanere
aderenti
all’esempio cui finora ci
siamo riferiti.
Possiamo ora tranquillamente progettare reti logiche a
diodi utilizzando quanto già detto per le commutazioni
e
connettendo la cascata più circuiti logici. Conside-
riamo, per vedere questo, un gruppo di esempi signifi-
cativi per alcune considerazioni che faremo:
-200
+90 Fig.6
- 80 -
I° f1 = A• B •C
II° f2 = A + B + C
+ +
III°f 3= A • B + C •D
A B C D
+
A B C D
IV° f4 = (A + B) • (C + D)
+ + C V° f5 = ( A • B + C ) D
A B D
+ f1 A B C
A B C f2
f3
f4
f5
- 81 -
I circuiti come il I° e il II° si dicono del I°
ordine, il III° e IV° del II° ordine, il V° del
III°ordine. Questa classificazione deriva dal fatto
che nel primo ordine si ha una semplice operazione,
nel secondo ordine un circuito di somma o prodotto
“pilota” uno di prodotto o di somma, nel terzo ordine
una operazione fra alcune variabili logiche pilota il
risultato di un’altra operazione ; il risultato così
ottenuto pilota un altro circuito di somma o di pro-
dotto. Il termine “pilotare” a sua volta deriva dal
modo in cui le correnti giocano nei varii elementi
della rete logica. All’aumentare dell’ordine della re-
te debbono essere aumentate le precisioni dei compo-
nenti, per cui l’ordine di una rete, che è inessenzia-
le dal punto di vista logico, è estremamente importan-
te dal punto di vista elettrico. Il progetto logico
deve essre effettuato quindi tenendo presente il mas-
simo ordine delle reti logiche. Così pure il problema
della semplificazione della rete viene influenzato
dall’ordine. Il criterio per semplificare una rete di
diodi nel nostro caso è quindi il problema di minimiz-
zare il numero dei diodi essendo ammesso un determina-
to ordine di rete. Noi utilizzeremo al massimo di reti
del terzo ordine, utilizzando, però, ove sia possibile
- 82 -
reti di ordine inferiore.
Per vedere quanto esposto, vediamo come si effettua
il calcolo delle resistenze delle reti in alcuni casi
semplici, o meglio, vediamo qual è il criterio per la
scelta dei valori. Questo semplice studio metterà in
chiaro il corretto funzionamento delle reti logiche a
diodi.
Per semplicità però noi qui rimaniamo nello schema
di diodi ideali, trascuriamo cioè le resistenze diret-
te e le resistenze inverse dei diodi.
4) Progetto elettrico delle reti logiche a diodi
Sia V + la tensione corrispondente all’1 logico, V
– quella corrispondente allo 0 ed E la tensione
dell’alimentazione. Supponiamo che E – V + = V - : per
continuare l’esempio precedente porremo E = 150 , V +=
90, V - = 60.
Consideriamo come primo il circuito che realizza il
prodotto caricato in tre modi diversi da una resisten-
za R o da due resistenze (fig. 8) .
Cominciamo dal primo caso (a). La massima corrente
I1 che percorre R si ha quando il potenziale U è alto,
cioè
- 83 -
quando entrambi A e B
sono al potenziale V+.
Questa corrente vale R
V +
è viene portata a R dal
resistore Rp.
Se la corrente I che per-
corre Rp fosse uguale a
RV +
basterebbe una pic-
cola diminuzione di R
per far diminuire il po-
tenziale U che non as-
sumerebbe così il valore
richiesto. Se però I è un
po’ maggiore di R
V +
allo-
ra compaiono due cor-
renti I A e I B che riporta-
no U al potenziale ri-
chiesto. Se ora almeno
uno dei due ingressi
E
Rp
U
R
I
IA IB
AB
I1
a)
E
RU
I2
IBIA
A B
E
Rp I
b)
IA
IB
I
E
Rp
A B
U
R2 I1
E
I2 R1
Fig. 8
c)
- 84 -
A o B assume il potenziale V- la corrente I che prima
era pp R
VR
VE −+
=−
passa al valore pR
V +
, mentre la corrente
I1 diminuisce e quindi aumenta IA e IB. In queste con-
dizioni il circuito funziona correttamente , e possia-
mo quindi concludere che se un circuito di prodotto è
caricato da una resistenza che preleva corrente dal
morsetto d’uscita U, per il corretto funzionamento
dobbiamo avere
pp RV
RVE −+
=− >
pRV +
cioè:
pRR
VV
⟨−
+
(1 a )
Una più approfondita analisi ci porterebbe anche a
concludere che tanto R quanto Rp debbono entrambe es-
sere assai maggiori delle resistenze dirette dei diodi
e assai minori della loro resistenza inversa.
Nel caso (b) invece la corrente I2 viene introdotta
da R nel morsetto d’uscita U e pertanto non può in-
fluenzare il potenziale d’uscita se si ritiene trascu-
rabile la resistenza diretta dei diodi. La resistenza
R introdotta in questo caso è il parallelo ad Rp. Que-
sta considerazione è utile nell’esame del terzo caso,
dove abbiamo due resistenze che caricano l’uscita del
prodotto: una R1, introduce
- 85 -
corrente, mentre l’altra, R2, preleva corrente.
Ricordando le considerazioni precedenti e la (1 a)
se indichiamo con Rp ⎢⎢R1 la resistenza equivalente al
parallelo di Rp con R1 , possiamo concludere che per
il corretto funzionamento del prodotto doppiamente ca-
ricato dobbiamo avere :
1
21
RRR
VV
pΙΙ⟨−
E quindi, poiché Rp ⎢⎢R1< Rp è sufficiente che sia
pRR
VV 2⟨−
+
(1 c)
Trattiamo ora gli analoghi, meglio duali, casi della somma logica (fig. 9) .
Nel caso (a) la massima corren-
te I1 che percorre R si ha
quando entrambi A e B si trova-
no al potenziale V-
e quindi anche
a)
a)
- 86 -
SRV
RVE −−
⟨−
Cioè:
SRR
VV
⟨−
+
(2 a)
Se poi almeno fra le due tensioni A e B si trova a
V+ , la corrente I1 diminuisce e la corrente I aumenta,
per cui la rete funziona correttamente.
Nel caso (b) la resistenza R viene a trovarsi in
parallelo ad Rs e, se si trascurano le resistenze di-
rette dei diodi, non influisce sul potenziale U
all’uscita del circuito.
Nel caso C, conformemente con quanto esposto ora e
dualmente con quanto detto nel caso del prodotto, per
il corretto funzionamento della rete dobbiamo avere
U si trova a potenzia-
le V- . I1 in questa
condizione vuole un
po’ minore della cor-
rente I = sR
V −
e dob-
biamo quindi avere:
A B
I Rs
Rs⎢⎢R1
IB
U
I2
I1
R1
E
IA R2
Fig. 9c
- 87 -
SRR
VV 2⟨−
+
(2 c)
Analizziamo ora a titolo di esempio un caso più
complesso sfruttando quanto già detto nei semplici ca-
si già trattati.
Consideriamo il circuito
del III° ordine di fig.
10, corrispondente alla
funzione ( AB + CD) E.
Tanto per cominciare per
ragioni di simmetria,
possiamo porre R1= R
R2 = R. Se il morsetto
d’uscita U non è caricato,
possiamo anche scegliere arbitrariamente R4.
Ora , R4 introduce una certa
corrente nel morsetto d’uscita della somma di A B e C
D. Dalla (2 a) abbiamo quindi :
3
4
RR
VV
⟨−
+
- 88 -
Infine R3 carica e R1 e R2. Supponendo che carichi
ad esempio solo l’uscita di A B , abbiamo dalla (1 a
):
1
3
RR
VV
⟨−
+
Per concludere , fissata R4 , si determina R3 . Deter-
minata R3 , si determina R e quindi R2.
E’ facile rendersi conto che con l’aumentare
dell’ordine della rete l’importanza delle resistenze
dirette e inverse dei diodi aumenta e rende la rete
praticamente assai difficile da trattare e estremamen-
te sensibile alla tolleranza dei componenti.
- 89 -
5) Il Clock.
Un circuito costituito di Flip-Flop e di reti logiche
è una rete in cui le variabili degli stati dei flip flop
Z1 seguono una opportuna successione temporale. Gli in-
gressi di comando dei flip- flop oltre ad essere connes-
si alla rete logica e quindi alle uscite dei Flip-Flop,
devono essere connessi ad un opportuno segnale che fac-
cia loro cambiare stato all’istante richiesto.
Ad esempio, all’istante tn il flip flop x si trovi nel-
lo stato 0; se la successione prevede che all’istante
tn+1 il flip flop non cambi stato, allora nessun impulso
negativo deve essere applicato nel punto S (set) del
flip flop di fig.2. Se però all’istante tn+2 il flip flop
deve cambiare stato occorre che un impulso negativo ven-
ga applicato in S. E’ così chiaro che il fatto che un
impulso negativo si presenti o no agli ingressi dei flip
flop all’istante tn+1 dipende esclusivamente dallo stato
dei flip flop all’istante tn.
La successione dei tempi t0, t1,……tn, determina la suc-
cessione degli stati.
Questa successione dei tempi è determinata da una op-
portuna successione d’impulsi detti impulsi del clock
o semplicemente clock. Sono gli impulsi del clock che
entrano, se la rete logica non li inibisce, negli in-
- 90 -
gressi R ed S dei vari Flip_Flop. Vediamo in fig. 11
a come questo venga effettivamente ottenuto:
il flip flop X è connesso ad una rete logica a cui
sono
t t0 t1 t2 t3
Rete logica
Y ⎯Y
0
V-
V+
Clock
b)
Fig.11
- 91 -
eventualmente connessi altri flip flop. Le uscite X ed
⎯X entrano nella rete. Dalla rete escono due segnali,
R (reset) ed S (set) che pilotano due circuiti di pro-
dotto ed hanno entrambi come fattori gli impulsi E del
clock. Il segnale S, o set; come sappiamo, ha la fun-
zione di portare a l lo stato X del flip flop. Affin-
ché questo avvenga è necessario che lo stato delle va-
riabili X, Y dei vari flip_flop sia tale che la fun-
zione S (X, Y,….)sia !. Se questo è vero, appena il
segnale del Clock diventa 1 (90 V se ci riferiamo al
solito esempio) il punto A diventa 1 e quindi il flip
flop X acquista lo stato 1 indipendentemente dal suo
stato precedente. Il meccanismo esatto dal punto di
vista elettrico è il seguente: l’impulso del Clock è
un impulso di forma rettangolare che ha rapidi tempi
di salita e di discesa (fig.11b). Il circuito r, c è
un differenziatore approssimato. Ai capi di r si mani-
festa un breve guizzo positivo corrispondente alla sa-
lita di ogni impulso del clock. Questi impulsi positi-
vi vengono bloccati da diodi (nell’esempio in discus-
sione D1) e pertanto non influenzano lo stato dei
flip- flop.
In corrispondenza alla discesa, cioè agli istanti
t0, t1, t2,…..
- 92 -
si manifesta invece un guizzo negativo che può
mutare lo stato del flip flop.
Nulla di tutto ciò però si verifica se la funzione
s ( X, Y, Z,…..) vale 0. In questo caso infatti il
punto A rimane costantemente a zero (60 Volt nel so-
lito esempio).
Quanto detto per il set del flip - flop va ripetuto
per il reset dello stesso e così via di seguito per
tutti gli ingressi di tutti i flip- flop. Possiamo an-
zi addirittura definire nuovamente il flip-flop intro-
ducendo i due ingressi R ed S a cui connettere diret-
tamente la rete logica (fig.12). In questo modo il
punto a cui vanno connessi i segnali del clock fanno
parte del flip- flop stesso.
- 93 -
Il flip- flop descritto in questo paragrafo non è
l’unico tipo di flip-flop realizzabile. Questo viene chia-
mato flip- flop R- S dal nome dei suoi due ingressi.
Un altro esempio è il flip- flop ad un solo ingres-
so T o trigger. Questo tipo è caratterizzato dal fatto
che il suo stato muta ogni volta che compare al suo
ingresso un impulso del clock, più esattamente in cor-
rispondenza alla discesa degli impulsi del clock. Tut-
to ciò naturalmente se
la funzione di comando
T (X, Y,….) è uguale
ad 1 (fig.13). Noi u-
seremo indifferente-
mente l’uno o l’altro
dei due flip- flop a
seconda delle applica-
zioni che desidereremo
farne. Rimane da spe-
cificare che i flip-
flop descritti
fig. 13
- 94 -
non sono gli unici possibili, e altri se ne possono
inventare ad esempio a tre ingressi ma con una diversa
funzione degli stessi.
6)Equazioni degli ingressi.
Nel paragrafo precedente abbiamo messo in evidenza
le funzioni del clock in circuiti con flip flop e reti
logiche. La nostra discussione ha messo altresì in lu-
ce la natura di tali circuiti. Precisiamo ulteriormen-
te questi concetti descrivendo l’intero circuito come
un “black box” con n entrate e1 (n coppie di morset-
ti), m uscite n1 ed r stati interni zi e1 ui zi assumono
solo valori binari 0 oppure 1 che saranno Ei Ui e Zi.
Gli stati Zi del sistema in generale evolvono, con una
legge che dipende dagli stati iniziali Z°i dal valore
delle variabili Ei e dalla struttura del circuito, se-
guendo la cadenza imposta dal clock. Se all’istante tn
mutiamo le condizioni di qualche E1 il modo di evolve-
re del sistema muta. Un simile circuito è chiamato un
circuito sequenziale.
Dato un certo circuito sequenziale identifichiamone
gli stati
con i simboli mi dei termini minimi corrispondenti alle
disposizioni di 0 e di 1 dello stato attuale Z1(n),
- 95 -
Z2(n)….. Zr(n). Per ogni disposizione dei valori delle
variabili d’ingresso il circuito sequenziale percorre
una successione di stati. Identifichiamo gli stati di
ingresso con la lettera Et intendendo con questa la
disposizione degli 0 e l delle variabili d’ingresso
corrispondenti al numero binario t. Poiché n è il nu-
mero delle variabili binarie di ingresso 2n sarà il
numero dei possibili stati Et d’entrata.
Analogamente 2r è il numero dei possibili stati del si-
stema.
Soffermiamoci un po’ su un particolare stato Et ,
ad es. E1, delle variabili d’ingresso e vediamo come
può evolvere il sistema partendo da una certa configu-
razione delle variabili d’ingresso, ad esempio m0, li-
mitandoci al caso di tre variabili interne e quindi
2=38 possibili stati del sistema.
Fig.14
- 96 -
Come mostra automaticamente la fig.14, che si rife-
risce ad un qualunque esempio di un circuito sequen-
ziale, da m0 si passa ad m1 e quindi attraverso m1 m5,
m6, m4, m3, ad m1 e così di nuovo per gli stati prece-
denti. La fig.14 mostra anche che partendo da m7 si
torna ad m7 stesso.
Nel primo caso si dice che partendo da una certa
configurazione si confluisce in un ciclo, il ciclo m1,
m5, m6, m4, m3, m1. Nel secondo caso diciamo che il si-
stema non evolve.
Se cambiamo la configurazione delle variabili
d’entrata del sistema la successione degli stati muta.
E’ però possibile che alcuni stati percorrano una
stessa successione parziale. Questo fatto può essere
utilizzato ad esempio per minimizzare i componenti.
In un circuito sequenziale costituito da flip-flop
e reti logiche lo stato del sistema è individuato dal
valore delle variabili associate ad ogni flip flop.
L’evoluzione del sistema dipende dalla forma delle e-
quazioni delle reti di comando degli ingressi degli
stessi flip- flop. Fissato pertanto per un circuito
sequenziale l’evoluzione degli stati,
- 97 -
rimane da determinare la forma di quelle equazioni.
Questo può essere fatto in vari modi. Noi qui se-
guiremo un semplice metodo intuitivo e non rigorosa-
mente formale e ci limiteremo ad esempi semplici che
comunque saranno utili. Consideriamo la successione
degli stati di fig. 15 .
Da qualunque configurazione si parta si
percorre un ciclo e sem-
pre solo quello.
Un tale circuito sequen-
ziale viene chiamato contato-
re. Il significato di questa
denominazione sta nel fatto
che se la configurazione ini-
ziale è m0 (zero binario) dopo un impulso del
clock si passa ad m1 (1 binario), dopo due im-
pulsi ad m2 ( 2 binario) e così via di seguito. Con tre
variabili interne (tre flip-flop) si possono quindi
“contare” 8 impulsi.
L’ultimo impulso corrispondendo alla rimessa a ze-
ro, cioè alassaggio da m7 ad m0 che non può essere mes-
so in evidenza però da quel circuito. Per metterlo in
evidenza si può aggiungere però un
m6
Fig.15
- 98 -
altro flip flop o più altri. Progettiamo quel contato-
re utilizzando ad esempio tre flip flop T . Conside-
riamo per questo la tabella I.
Le prime tre colonne danno lo stato del sistema
all’istante tn. Gli stati sono disposti verticalmente
secondo l’ordine di successione . Le altre tre colonne
danno lo stato all’istante tn+1.
Tab. I
tn Tn+1
A B C A B C
0 0 0
0 0 1
0 1 0
0 1 1
1 0 0
1 0 1
1 1 0
1 1 1
0 0 1
0 1 0
0 1 1
1 0 0
1 0 1
1 1 0
1 1 1
0 0 0
Analizziamo le colonne degli A all’istante tn e
all’istante tn+1. Osserviamo che corrispondentemente al-
le prime tre configurazioni (m0,m1,m2) il flip flop A
non cambia stato nel passaggio dall’istante
- 99 -
tn all’istante tn+1 . In corrispondenza invece alla
disposizione 0 1 1 (m3) allo istante tn il flip flop A
cambia stato quando si passa allo istante tn+1. Questo
significa che corrispondentemente alla configurazione
⎯A B C l’ingresso TA del flip flop A deve essere 1 in
modo da poter accettare il successivo impulso del
clock che porterà il flip flop A da O a 1. Vediamo an-
che che il flip flop deve cambiare stato in corrispon-
denza alla disposizione m7 e quindi anche in questo
caso dobbiamo avere TA = 1. La funzione di comando del
T di A avrà pertanto la seguente forma:
TA= ⎯A B C + A B C = B C (A +⎯A) = B C
Analizzando le colonne B della nostra tabella ve-
diamo che B deve cambiare stato quando all’istante tn
abbiamo le configurazioni ⎯A⎯B C, ⎯A B C,A⎯B C, A B C.
Corrispondentemente a quelle configurazioni il T di B
deve essere alto in modo da non inibire l’ingresso de-
gli impulsi del clock.
Dovremmo avere cioè:
TB = ⎯A⎯B C+⎯A B C+ A⎯B C+ A B C = ⎯B C ( A + ⎯A) +
B C ( A + ⎯A)= ⎯B C+ B C = C (B + ⎯B) = C
- 100 -
Se poi analizziamo le colonne C della tab. I tro-
viamo che 0 cambia stato sempre ad ogni impulso del
clock e pertanto possiamo scrivere Tc = 1
Riassumendo abbiamo:
Tc = 1
TB = C ( 1)
TA = B C
Nel caso di quattro Flip –flop A, B, C, D disposti
a ciclo le equazioni degli ingressi sono una ovvia e-
stensione della (1):
TA= B C D
TB = C D ( 2)
TC = D
TD = 1
Un simile circuito sequenziale percorrerebbe il ci-
clo da m0 ad m15 dato dalla solita tabella :
- 101 -
tab II
A B C D
m0 0 0 0 0
m1 0 0 0 1
m2 0 0 1 0
m3 0 0 1 1
m4 0 1 0 0
m5 0 1 0 1
m6 0 1 1 0
m7 0 1 1 1
m8 1 0 0 0
m9 1 0 0 1
m10 1 0 1 0
m11 1 0 1 1
m12 1 1 0 0
m13 1 1 0 1
m14 1 1 1 0
m15 1 1 1 1
Se questo circuito venisse utilizzato per contare
gli impulsi del clock potremmo contarne 15. Al 16° im-
pulso si torna alla configurazione di partenza.
- 102 -
La fig.16 mostra lo schema del nostro contatore nel
caso di tre flip-flop A, B, C.
Estendiamo il nostro semplice circuito introducendo
un ingresso che ne inverta il senso di percorrenza del
ciclo.
La tabella di percorrenza è la seguente:
A B C
1 1 1
1 1 0
1 0 1
1 0 0
0 1 1
0 1 0
0 0 1
0 0 0
Applicando il metodo precedente usato per la deter-
minazione delle equazioni dei T abbiamo:
TA = A ⎯B⎯C+⎯A⎯B⎯C = ⎯B⎯C
TB = A B ⎯C+ A⎯B⎯C+⎯A B⎯C +⎯A⎯B⎯C=⎯C (3)
TC = 1
Introduciamo ora un ingresso K tale che se K vale l
venga percorso il ciclo voluto dalle equazioni l men-
tre se K vale zero venga percorso il ciclo vloluto
dalle equazioni (3).
- 103 -
Per ottenere un cambiamento di ciclo è necessario cam-
biare la forma delle equazione degli ingressi.Se con-
sideriamo per i T dei nostri flip-flop le seguenti e-
spressioni vediamo che il nostro scopo è raggiunto:
TA = K B C +⎯K⎯B⎯C
TB = K C + ⎯K⎯C (4)
TD = 1.
Infatti come mostrano le (4) se K vale l abbiamo:
TA = B C
TB = C (1’)
TD = 1,
e cioè proprio le (1). Se K vale invece 0 abbiamo:
TA = ⎯B⎯C
TB = ⎯C (3’)
TD = 1.
E questa volta otteniamo le (3).L’estensione ad un nu-
mero qualunque di flip- flop è ovvia. Comunque le e-
quazioni di un simile circuito nel caso di quattro
flip- flop sono:
TA = K B C D +⎯K⎯B⎯C⎯D
TB = K C D + ⎯K⎯C⎯D (5)
TC = K D + ⎯K⎯D
TD = 1.
- 104 -
Il circuito sequenziale governato dalle equazioni
(5) degli ingressi dei Flip-flop T può essere conside-
rato un semplice esempio di contatore binario reversi-
bile.
Partiamo dalla configurazione (0, 0, 0, 0) ≡ m0 e
supponiamo che “entrino” nel contatore 12 impulsi del
clock. Se K = 1 il contatore si troverà nello stato (1
1 0 0)≡ m12. Se ora poniamo K = 0 il nostro circuito
“conterà” gli impulsi del clock in senso opposto al
precedente. Così, ad esempio, dopo altri 10 impulsi
del clock con K=0 il contatore si troverà nella confi-
gurazione m2 ( 0 0 1 0 ).
Rimane il problema di sincronizzare il segnale K che
comanda il senso di conteggio col segnale del clock in
modo da evitare possibili errori nel senso di conteg-
gio. Supponiamo di avere due sorgenti d’impulsi diver-
se: gli impulsi avanti (U) e gli impulsi indietro (D)
che vanno sottratti ai precedenti.
Tanto per cominciare U• D =Σ rappresenta un segnale
che deve sempre essere 0 ( il contatore deve contare o
avanti o indietro) e che pertanto può servire come se-
gnale d’errore. La somma U + D rappresenta tutti gli
impulsi che debbono venir contati e che fanno le veci
del clock.
- 105 -
I segnali U devono rendere K = 1 mentre quelli D de-
vono rendere K=0. Per ottenere questo comandiamo il
Set di un Flip-flop R S (fig.2) con le discese dei se-
gnali U supposti normalizzati.
Analogamente con le discese comandiamo il Reset del-
lo stesso.
Questo Flip-flop diventa l per segnali U e zero per
segnali D: lo chiameremo flip-flop “K”. La tensione di
K di comando del senso di conteggio del nostro conta-
tore non è altro quindi che la tensione anodica del
flip-flop “K”. E’ chiaro che se per ragioni elettriche
K diventa 1 un po’ dopo che l’impulso del clock si è
fermato l’impulso che entra viene sottratto invece di
essere sommato al totale quantizzato precedentemente.
Per evitare questo si può utilizzare lo schema di
fig.17. Come si vede il clock viene formato coi due
impulsi U e D, e viene inviato con un ritardo τ al
contatore. Gli impulsi U e D entrano invece diretta-
mente nel set e reseti di “K”.
Un altro modo molto semplice ed elegante per ottene-
re questo risultato è quello di utilizzare la durata
finita degli impulsi U e D. Supponiamo che questi im-
pulsi abbiano tutti la medesima
- 106 -
ampiezza (siano cioè normalizzati) e la medesima dura-
ta. Supponiamo che la durata di questi impulsi sia un
po’ maggiore del tempo impiegato dal flip-flop K a
portare il contatore in uno dei due sensi di conteggio
. E’ noto che il contatore conta gli i pulsi U + D
corrispondentemente agli istanti di discesa di questi.
Se noi utilizziamo le salite di questi impulsi per co-
mandare il senso di conteggio abbiamo raggiunto lo
scopo senza introdurre elementi di ritardo. Natural-
mente, poiché il flip flop K è comandabile solo da
guizzi negativi, occorre invertire gli impulsi U e D
prima di inviarli agli ingressi di K dove vengono dif-
ferenziati e vengono utilizzati i guizzi negativi che
corrispondono alla salita di U oppure D (fig.18).
Fig.17
- 107 -
7) Un contatore decimale reversibile.
Nel paragrafo precedente abbiamo visto come si pro-
getta un semplice contatore binario reversibile. De-
terminiamo ora le equazioni degli ingressi dei flip
flop necessari a costituire un contatore decimale.
Supponiamo che la successione degli stati sia la
seguente: (m0, m1, ………m9 ). Per ottenere 10 stati di-
stinti tre variabili sono
+
Contatore
K ⎯KS R
•
-
-
Σ Fig.18
- 108 -
insufficienti. Dovremo utilizzare quattro flip-flop
che sceglieremo del tipo R-S. Intanto determineremo le
equazioni degli ingressi dei vari F. F. per un conta-
tore binario che conti cioè da m0 a m15.
Riferendoci alla tab.II che ci dà l’ordine di suc-
cessione degli stati vediamo che il F. F. A passa da
0 a 1 in corrispondenza ad m7. Dovremo perciò avere :
SA = ⎯A B C D. Sempre riferendoci ad A, osserviamo che
passa da 1 a 0 in corrispondenza ad m15 . E quindi TA =
A B C D. Analogamente riferendoci a B otteniamo:
SB = m3 + m11 =⎯A ⎯B C D +A⎯B C D =⎯B C D
RB = m7 + m15 =⎯A B C D +A B C D =B C D
Per I F.F C e P infine abbiamo:
SC = m1 + m5 + m9 + m13 =⎯A ⎯B ⎯C D +⎯A B ⎯C D + A⎯B
⎯C D + A B ⎯C D= ⎯B⎯C D + B⎯C D= D ⎯C (B+⎯B) = D⎯C
RC= m3+ m7 + m11 + m15 = C D
SD = ⎯D
Infatti D deve diventare 1 se è 0 e 0 se è 1
RD = D
Riassumendo, abbiamo per le equazioni avanti dei
quattro F.F.
- 109 -
SIA = ⎯A B C D RI
A = A B C D
SIB = ⎯B C D RI
B = B C D (6) SI
C = ⎯C D RIC = C D
SI
D = ⎯D RID = D
Per determinare le equazioni che danno il conteggio
indietro osserviamo sempre la tab. Il percorrendola
però dal basso all’alto.
Abbiamo:
SII
A = ⎯A ⎯B ⎯C ⎯D RIIA = A ⎯B ⎯C ⎯D
SII
B = ⎯B ⎯C ⎯D RIIB = B ⎯C ⎯D
(7) SII
C = ⎯C ⎯D RIIC = C ⎯D
SII
D = ⎯D RIID = D
Le equazioni complete del contatore binario reversibi-
le sono quindi se K è il controllo del senso di con-
teggio:
SA = K⎯A B C D + ⎯K⎯A⎯B⎯C⎯D
RA = K A B C D + ⎯K A⎯B⎯C⎯D
SB = K ⎯B C D + ⎯K⎯B⎯C⎯D
RB = K B C D + ⎯K B⎯C⎯D (8)
SC = K ⎯C D + ⎯K⎯C⎯D
RC = K C D + ⎯K C⎯D
SD = K ⎯D + ⎯K⎯D = ⎯D
RD = K D + ⎯K D = D
- 110 -
Le (8) sono le equazioni degli ingressi R, S di
quattro F.F. nel caso si desideri contare fino a 15.
Se vogliamo un contatore decimale dobbiamo arre-
stare il ciclo ad m9 in modo che il decimo impulso del
clock (siamo partiti da m0 e stiamo contando avanti)
riporti a zero A, B, C e D.
Osserviamo a questo scopo la tab. II che mostra il
succedersi degli stati per K= 1.
Si vede così che nel passaggio dalla configurazio-
ne m9 (1 0 0 1) alla configurazione m10 (1 0 1 0) dei
F. F. (A, B, C, D) avvengono i seguenti cambiamenti:
a) A rimane 1
b) B rimane 0
c) C passa da 0 a 1
d) D passa da 1 a 0.
Noi vogliamo che alla configurazione m9 il conta-
tore passi alla m0 per cui dovremo avere:
aI) A passa da 1 a 0
bI) B rimane 0
cI) C rimane 0
dI) D passa da 1 a 0.
- 111 -
I punti b e bI , d e dI coincidono per cui non ci
preoccupiamo di modificare le equazioni degli in-
gressi dei F.F. B e D in corrispondenza allo stato
m9.
Evidentemente in m9 RA = 0. Se aggiungiamo però
all’espressione di RA il termine minimo m9 =
A⎯B⎯C D otteniamo una nuova espressione di comando
del reset di A che vale 1 per A,B, C,D) (1 0 0
1). Infine , sempre in m9, dobbiamo rendere nullo
il set di C acciocchè rimanga 0. Ora A⎯B⎯C D vale
1 in m9 : il suo complemento A⎯B⎯C D vale invece
0. Se perciò moltiplichiamo RA per A⎯B⎯C D ot-
teniamo lo scopo che ci eravamo proposti. Una no-
tevole semplificazione della rete di comando dei
F.F. può aversi se osserviamo che il prodotto AD è
0 da m0 fino ad m8 compreso. In m9 diventa 1. m9 può
quindi essere caratterizzato da A D anzicchè da
A⎯B⎯C D giacchè non si interessano gli stati da
m10 a m15.
Concludendo, le equazioni che danno il conteggio
“avanti”per il contatore decimale possono essere
- 112 -
scritte così:
SIA = ⎯A B C D RI
A = A B C D + A D = AD
SIB = ⎯B C D RI
B = B⎯C⎯D (9) SI
C = ⎯C D • (AD) = ⎯A⎯C D RIC = C D
SI
D = ⎯D RID = D
Ragionando in modo analogo nel caso di K =0 (con-
teggio indietro) e, conglobando le equazioni com-
plete della “decade” reversibile:
SA = K⎯A B C D + ⎯K⎯A⎯B⎯C⎯D RA= A B C D
SB = K⎯B C D +⎯K A⎯B⎯C⎯D RB = K B C D+ ⎯K B⎯C⎯D
SC = K⎯C D A+⎯K⎯C⎯D A+⎯K⎯C⎯D B RC =K C D +⎯K C⎯D
SD = ⎯D RD = D
Occorre ora costruire una funzione di riporto R
che sia 1 per (A, B, C, D ) m9 se K = 1 e per (A
B C D) m0 se K = 0. Questa funzione , che è sem-
plicemente R = K A⎯B⎯C D +⎯K⎯A⎯B⎯C⎯D (10b) serve
ad aprire l’ingresso agli impulsi del clock ad una
eventuale seconda decade, che conterà così le de-
cine . Con due decadi potremo quindi contare da 0
fino a 99. Se si desidera contare un numero mag-
giore di impulsi si possono aggiungere altre deca-
- 113 -
di. La fig.19 mostra lo schema con blocchi parzia-
li di un contatore con due decadi mettendo in evi-
denza il modo di interconnessione tra le due.
Il riporto R di ogni decade viene costruito, come
abbiamo visto, con diodi e resistenze. L’uscita di
quel circuito non è in generale adatta a pilotare il
grande numero dei prodotti (8) della successiva deca-
de: occorre introdurre un opportuno amplificatore af-
finché ciò sia possibile.
Rimane ora da discutere il problema della lettura
del contenuto del contatore che si presenta in forma
semibinaria. Se si desidera una lettura decimale è
facile scrivere le equazioni che effettuano la tradu-
zione . Si tratta di costruire un circuito che faccia
- 114 -
corrispondere a ciascuna delle 10 disposizioni mi (i=
0, 1,…….., 9) che possiamo attribuire a 4 variabili
d’ingresso A, B, C, D una tensione al corrispondente
dei 10 morsetti d’uscita.
Se indichiamo con f1i il morsetto che corrisponde ad
m1, otteniamo immediatamente:
fi = mi (10c)
( i = 0, 1, 2,…….9)
Le equazioni (10 c) si possono semplificare tenendo
conto dei 6 termini minimi ridondanti m10 , m11 ,m12 ,
m13, m14 ,m15 ,m16.
Le equazioni semplificate per la traduzione diventano
così:
f0 = ⎯A⎯B⎯C⎯D f5 = B⎯C D
f1 = ⎯A⎯B⎯C D f6 = B C⎯D
f2 = ⎯B C⎯D f7 = B C D (10 d)
f3 = ⎯B C D f8 = A⎯D
f4 = B⎯C⎯D f9 = A D
- 115 -
8) Determinazione del senso di conteggio.
Nel numero 4 del II° capitolo abbiamo visto come la di-
gitalizzazione delle misure angolari ( lineari) possa ef-
fettuarsi contando con un opportuno contatore reversibile i
tratti di un reticolo. Un dispositivo importante per un
simile modo di procedere è quello che determina il senso di
rotazione (scorrimento ) del reticolo diviso . Uno dei modi
più semplici per ottenere questo è disporre due fenditure
corrispondenti a due fotodiodi, (o similli), allineate coi
tratti del reticolo e sfasate ad esempio di mezzo tratto.
Per vedere come da queste fotocellule possa dedursi il co-
mando K (K =1 avanti, K=0 indietro ) semplifichiamo le ipo-
tesi supponendo che il reticolo sia costruito di tratti
trasparenti e opachi di uguale grandezza.
In queste condizioni le tensioni disponibili alle due
fotocellule, se si ruota il disco, sono quadrate e sfasate
di una quantità corrispondente alle fenditure. (fig.20).
t A
B
BI
BII
Fig. 20
- 116 -
A e B sono i segnali alle due fotocellule
dopo opportuna amplificazione.Consideriamo oltre
a questi segnali anche la derivata approssimata
di B ottenuta con un circuito differenziatore.
Questa assume l’aspetto BI ruotando il reticolo in
un senso, oppure BII ruotando il reticolo in senso op-
posto.
Qui si osservi che in un senso di rotazione l’asse
dei tempi è diretto da sinistra a destra nella fig. 20
, mentre in senso opposto da destra verso sinistra .
Se confrontiamo la successione di impulsi A con BI
e BII vediamo che sono correlate secondo questo schema:
avanti A positivo negativo ecc.
BI positivo negativo
indietro A negativo positivo ecc.
BII positivo negativo
Si vede dunque che a seconda il senso di rotazione
si hanno due successioni di impulsi diversi e quindi
si possono distinguere i segnali avanti da quelli in-
dietro e si possono inviare ai contatori reversibili
che abbiamo precedentemente descritti. Questo può es-
sere fatto utilizzando i guizzi positivi derivati di B
per comandare un univibratore che ci dia un opportuno
- 117 -
impulso di una certa durata B1. Con i derivati negativi
formiamo sempre con un univibratore
un impulso sempre positivo identico al precedente. Si
vede facilmente che le successioni nei due sensi sono
le seguenti : (fig.21).
1
0
Con questo ci siamo posti in condizione di
poter utilizzare l’algebra di Boole e possiamo
perciò scrivere immediatamente le equazioni per
t
A
B1
B2
avanti
A
B1
B2
indietro
Fig.21
- 118 -
i segnali avanti U e quelli indietro D. Ottenia-
mo :
U= A B1 + ⎯A B2 (11)
D =⎯A B1 + A B2
Detto questo il circuito che ci permette la realizza-
zione delle (11) è immediato. Un particolare notevole
da osservare è che il circuito che realizza le equa-
zioni 11 fornisce un numero di impulsi doppio del nu-
mero di tratti del reticolo se utilizziamo
l’espressione U + D come segnale per la formazione del
clock del contatore. Ciò è dovuto alla presenza delle
due fotocellule che ci permettono un aumento di riso-
luzione puramente elettronico.
Rimane soltanto da precisare il modo per ottenere le
tensioni A e B ben squadrate nel tempo e con una am-
piezza costante indipendente, entro certi limiti, dal-
la trasparenza del reticolo utilizzato. Ciò è facil-
mente ottenibile se la tensione (o corrente) fornita
dalle fotocellule viene discriminata con un discrimi-
natore a corrente continua, ad esempio con un “Smith
trigger”.
- 119 -
CAPITOLO IV
1) Nei capitoli precedenti abbiamo esposto i princi-
pi generali delle trasduzioni e dei circuiti ad
esse associati. Mostreremo in questo alcune ap-
plicazioni realizzate ed in corso di realizzazio-
ne in cui vengono utilizzate le idee esposte pre-
cedentemente.
2) “Un trasduttore angolo numero”.
Le idee contenute nel n. 5 del II° capitolo so-
no state utilizzate per costruire un trasduttore
angolo numero e relativo decodificatore. Il codice
esposto è stato utilizzato per dividere in 100 par-
ti uguali di 360° di un disco. Il disco diviso è
stato prima disegnato su carta e quindi se ne è ot-
tenuta una copia su lastra fotografica su proiezio-
ne. Il diametro del disco così ottenuto è di 10 cm.
Il prelievo del numero contenuto è effettuato me-
diante 8 fotodiodi allineati con un raggio del di-
sco e montati in corrispondenza ad una fenditura.
La montatura del disco dei fotodiodi è stata stu-
diata dal Dr. Cantù. Particolare attenzione è stata
posta alla centratura del disco. Il decodificatore
è stato realizzato a relè secondo lo schema a bloc-
- 120 -
chi della fig. 21 del II° ed è stato realizzato per
4 cifre decimali.
I relè sono comandati da circuiti di Smith pi-
lotati a loro volta da fotodiodi di lettura. La po-
sizione del disco appare sul pannello del decodifi-
catore direttamente in forma decimale. Per questo
sono stati utilizzati speciali tubi a gas in cui
sono contenuti 10 catodi, sagomati secondo i numeri
0,1,2,……,9, ed un anodo.
Fornendo una opportuna tensione ad uno dei ca-
todi (e mantenendo ad un opportuno potenziale
l’anodo) questo si illumina rappresentando così il
numero richiesto. L’alimentazione dei circuiti di
Smith per il comando dei relè è stabilizzata.
Tutta la parte elettronica è costruita a tran-
sistori. Lo schema a blocchi è mostrato in fig.1.
Le figure 2, 3 e 4 mostrano i particolari blocchi e
l’alimentazione. Ci pare interessante soffermarci
su una estensione in corso di studio che può essere
ottenuta da simili dischi divisi a settori codifi-
cati allorché questi vengano utilizzati per deter-
minare una frazione di giro ad esempio di una vite
di cui interessa anche il numero dei giri. Il nume-
ro dei giri può essere contato direttamente con un
contatore reversibile connesso ad un opportuno di-
spositivo. Si può pure effettuare una demoltiplica-
- 121 -
zione delle rotazioni angolari in modo che il nume-
ro dei giri possa essere valutato dalla posizione
di un disco analogo a quello che abbiamo già de-
scritto. In entrambi questi casi esiste però il
problema della corrispondenza fra l’inizio (o la
fine) di un giro completo ed il numero di giri. Se
infatti il disco codificato indica ad esempio il
numero 99 mentre il dispositivo che dà il numero
dei giri si trova all’inizio ( e non alla fine) ad
es. del III° settore invece di trovarsi alla fine
del precedente (II°), a causa di un inevitabile
gioco, il numero visto è 399 invece del numero cor-
retto 299.E’ pertanto utile (e semplice) prelevare
tutte le informazioni dal disco che dà la frazione
di giro della vite. Per poter far questo è suffi-
ciente osservare che si deve accumulare in un con-
tatore reversibile un nuovo giro di vite quando il
disco che fornisce la frazioni passa da 99 a 00 (
ci stiamo riferendo ad un disco diviso in 100 set-
tori), mentre dobbiamo detrarre dal numero quantiz-
zato dal contatore una unità quando passiamo da 00
a 99. Indichiamo con f99 e f00 il prodotto dei termi-
ni minimi delle decine e delle unità corrispondenti
al 99 ed alla posizione 00. Nel caso del disco che
abbiamo testè descritto, vediamo dalla tabella di
pag.61 (tenendo inoltre conto del particolare modo
- 122 -
di costruzione del codice decimale riflesso) che 99
e 00 sono descritti dalle seguenti
combinazioni:
Ad Bd Cd Dd Au Bu Cu Du
99 1 0 1 0 0 0 1 0
00 0 0 1 0 0 0 1 0
Abbiamo perciò :
f99 = Ad ⎯Bd Cd ⎯Dd Au Bu ⎯Cu Du
f00 = Ad Bd ⎯Cd Dd Au Bu ⎯Cu Du
Osserviamo ora l’andamento di f99 ed f00 in funzione del tempo sup-
ponendo di ruotare avanti e indietro il disco (fig.5).
f99
F99
99 00
00 99
f99
f00
f99
F00
f00
Fig. 5
Supponiamo di ruota-
re avanti. Si vede
immediatamente che
la discesa di f99 è
seguita da un impul-
so dovuto ad f00.
Ruotando sempre a-
vanti vediamo che la
discesa di f00
- 123 -
non è seguita da nessun impulso almeno fino all’inizio
del prossimo giro. Con l’impulso f991 ottenuto con
processi di differenziazione comandiamo un univibrato-
re che ci fornisca un breve impulso F99. Moltiplichiamo
logicamente F99 con f00 : otteniamo un segnale u che
esiste solo quando il disco ruota in senso positivo e
che può essere quantizzato nel contatore del numero
dei giri. Analogamente possiamo ottenere un segnale D
moltiplicando logicamente f99 con F00. In definitiva:
F00 • f99 = D
F99 • f00 = U.
Lo stesso risultato può essere ottenuto osservando
che ruotando in un senso una delle due tensioni f00 o
f99 sale mentre l’altra scende. Ruotando in senso oppo-
sto il modo di variare delle due tensioni e le inviamo
agli ingressi di un amplificatore differenziale otte-
niamo all’uscita impulsi positivi o negativi a seconda
del senso di rotazione . Alla uscita si ottengono i-
noltre altri impulsi corrispondenti ai fianchi non u-
tilizzati dei segnali.
Questi impulsi sono però di ampiezza minore e pos-
sono quindi venir discriminati.
- 124 -
Gli impulsi ottenuti in uno dei due modi qui espo-
sti vengono quindi inviati ad un contenitore reversi-
bile che può essere a bassa velocità (e quindi a baso
costo).
- 125 -
3) Contatore Reversibile.
In questo paragrafo presentiamo lo schema di
una decade di un contatore reversibile realizzato
secondo le idee del III capitolo.
La decade è realizzata con 4 flip-flop (A, B,C e
D) di conteggio del tipo T, connessi tra di loro con
una rete logica che realizza le seguenti funzioni:
TA= K B C D + K A D + ⎯K⎯B⎯C⎯D
TB= K C D + ⎯K⎯C ⎯D A + ⎯K⎯C⎯D B 1a)
TC= K ⎯A D + ⎯K A ⎯D + ⎯K B⎯D + ⎯K C⎯D
TD= 1
L’uscita della decade può pilotare un’altra decade
ed il segnale necessario può essre prelevato
all’uscita del circuito che realizza la seguente fun-
zione
R = K A D + ⎯K⎯A⎯B⎯C⎯D 1b)
La rete logica che realizza le (1) è stata sempli-
ficata tenendo presente che nelle varie espressioni
alcuni fattori possono comparire più volte e pertanto
sono costruiti una sola volta. Ad esempio nella prima
e nella seconda delle 1° il fattore ⎯K⎯C ⎯D compare tre
volte ed è stato quindi costruito una sola volta e
trattato come una variabile indipendente.
- 126 -
Così posto Y = ⎯K⎯C ⎯D le prime due (1 a) si tra-
sformano nelle seguenti:
TA= K B C D + K A D + Y⎯B
TB= K C D + Y A + Y B.
La rete logica completa semplificata con quel crite-
rio è mostrata in fig. 6. Le fig.6 e 7 mostrano in-
vece i due tipi di Flip - Flop . Il Flip – Flop D è
leggermente diverso dei tre A, B,C poiché il Clock
in questo flip- flop pilota direttamente l’ingresso
essendo TD = 1 .
- 127 -
4)Contatore reversibile a Dekatron.
La fig.7 rappresenta lo schema completo del-
la prima decade di un contatore reversibile in
cui l’elemento di conteggio è costituito per o-
gni decade da un tubo a gas del tipo dekatron.
Il contatore comprende anche i circuiti necessa-
ri per la formazione del clock e per la determi-
nazione del senso di scorrimento dei tratti di
un reticolo lineare e angolare secondo le idee
sviluppate nel numero 4 del II capitolo e nel
numero 8 del terzo capitolo. Il contatore è a-
datto per velocità di 5 Kc/sec e può venire uti-
lizzato ad esempio per meccanizzare il microme-
tro angolare o un qualunque tipo di micrometro.
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5)Classificatore di “Gap”
Il circuito dell’apparecchio che descriviamo
coincide sostanzialmente con quello di altri analo-
ghi in uso presso il “Naval Research Laboratory ”
di Washington e ci è stato fornito dal Dr. Stiller
di quel laboratorio. L’apparecchio permette le se-
guenti misure su lastre nucleari:
a) lunghezza totale di traccia
b) somma delle lunghezze di tutti i gap
b1) somma delle lunghezze dei gap maggiori di
una lunghezza arbitraria prefissabile Σ1
c) numero totale di gap
d) numero di gap maggiori di 5 lunghezze diver-
se prefissabili Σ1 ,Σ2 ,Σ3 ,Σ4 , Σ5 .
Tutte queste misure e classificazioni vengono effet-
tuate da una apparecchiatura elettromeccanica ed e-
lettronica su comando dell’operatore nel modo che
segue.
Il carro del microscopio è connesso tramite una de-
moltiplica ad alto rapporto ad un motore a velocità
regolabile sul cui asse è fissato un disco opaco con
10 fori che permettono la illuminazione di un foto-
diodo.