UNIVERSITÀ DI PISA Dipartimento di Scienze Politiche Corso ... · AEROPORTUALE DI PISA” E...
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UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Scienze Politiche
Corso di Laurea Magistrale in Comunicazione d'Impresa e Politica delle
Risorse Umane
TESI DI LAUREA
DONNE E CARRIERA: L'AFFERMAZIONE DELLA FIGURA MANAGERIALE
FEMMINILE IN ITALIA ATTRAVERSO L'ANALISI DEI CASI “AZIENDA
AEROPORTUALE DI PISA” E “ASSOCIAZIONE CULTURALE ERACLITO 2000”.
Relatore Candidata
Prof. Marco Giannini Milena Amadu
Anno Accademico 2013/2014
1
Alla mia famiglia,
il mio punto di riferimento costante.
2
INDICE
PREMESSA ….......................................................................................................... 5
1. EXCURSUS STORICO SULLA CONDIZIONE DELLA DONNA ITALIANA
DAL PERIODO PREINDUSTRIALE AI GIORNI NOSTRI
1.1 Donna e lavoro tra '800 e '900....…................................................................7
1.2 L'ingresso della donna nella scuola e negli impieghi...................................14
1.3 I gruppi di difesa della donna tra '800 e i primi anni del '900 ….…............16
1.4 Verso il diritto di voto amministrativo........................................................18
1.5 Le donne tra illusione e delusione................................................................22
1.6 La donna tra il Regime Fascista e Seconda Guerra Mondiale....................24
1.7 Le donne italiane dalla resistenza all'emancipazione..................................32
1.8 Dal secondo dopoguerra agli Anni '60 …...................................................35
1.9 Anni '70, '80 e '90 …................................…................................................37
1.10 Le donne del terzo millennio e carriera dirigenziale...…..........................40
2. DONNE MANAGER IN AZIENDA: CULTURA ORGANIZZATIVA E
DIFFERENZE DI GENERE
2.1 L'evoluzione della figura manageriale.........................................................45
2.2 Leadership “integrata” per una nuova cultura d'impresa …........................55
2.3 Maternità e organizzazione aziendale: un rapporto complesso....................61
2.4 Donne manager in Italia: un confronto con l'Europa ................................. 65
2.5 Le cause e le conseguenze della difficile conciliazione
famiglia e carriera in Italia: un confronto con l'Europa ..….......................71
3. CASO STUDIO: L'AFFERMAZIONE DELLA FIGURA MANAGERIALE
FEMMINILE NELL'AZIENDA AEROPORTUALE DI PISA (SAT) E
NELL'ASSOCIAZIONE CULTURALE ERACLITO 2000
3.1 Intervista alla Dott.ssa Gina Giani,
Amministratore Delegato e Direttore Generale SAT Pisa …..…............76
3
3.2 Intervista alla Dott.ssa Diana Pardini,
Direttrice dell'Associazione Eraclito 2000 e del Master CIBA.........….87
CONCLUSIONI …...................................................................................................96
ALLEGATO 1: INTERVISTA GINA GIANI.......................................................100
ALLEGATO 2: INTERVISTA DIANA PARDINI ….........................................115
BIBLIOGRAFIA….................................................................................................126
4
PREMESSA
In Italia, nel corso dei secoli, la donna ha dovuto superare, in ambito lavorativo, una
molteplicità di ostacoli per il raggiungimento di un'uguaglianza di genere. Nonostante la
cultura maschilista abbia per secoli caratterizzato la nostra società, con il passare del tempo la
donna, costantemente tenace e ambiziosa, è riuscita oggi ad affermarsi negli alti livelli
gerarchici delle organizzazioni aziendali, in veste di manager. Il presente lavoro si propone
l'obiettivo di dimostrare come l'evoluzione della figura manageriale femminile abbia, nella
sua affermazione, rotto gli schemi rispetto al passato: oggi, in un epoca dove l'innovazione
riveste un ruolo cruciale, la diversità è considerata l'ingrediente fondamentale per una
maggiore produttività organizzativa. Quindi, risulta necessario trarre il meglio da entrambi
gli approcci di genere, sostituendo la logica organizzativa di contrapposizione e competizione
uomo-donna con una visione nella quale manager maschi e femmine coniugano le loro
diverse qualità.
L'analisi parte da un excursus storico sulla condizione della donna dal periodo
preindustriale, dove veniva considerata come una fedele domestica, subordinata all'uomo, il
cui compito riguardava la cura e l'educazione dei figli. In un dettagliato racconto verranno
esposte in seguito le prime battaglie del movimento femminista relative al diritto di voto e al
mantenimento del posto di lavoro nelle principali tappe storiche, fino ad arrivare alle attuali
conquiste contemporanee che fanno sfociare nelle donne l'ambizione verso una carriera
lavorativa tutelata.
Nel secondo capitolo, l'attenzione è rivolta all'affermazione della figura manageriale in
azienda, partendo da una spiegazione minuziosa sull'evoluzione delle funzioni e della figura
manageriale in se in un'ottica di genere, per poi mostrare l'importanza della leadership
“integrata” da cui ne consegue un cambiamento della cultura d'impresa e una maggiore
produttività aziendale. Gli ultimi paragrafi di questo capitolo, sono dedicati alle
problematiche, che vincolano la donna nel suo percorso di carriera in quanto portatrice di un
corpo materno, trattando le principali cause e conseguenze della difficile conciliazione
famiglia-carriera in Italia, paragonandolo attraverso statistiche allo scenario europeo.
Il lavoro si concluderà con l'analisi di due casi. È stata da noi prescelta la figura
5
manageriale dell'Azienda aeroportuale di Pisa e dall'Associazione culturale Eraclito 2000,
rispettivamente guidate dalla Dott.ssa Gina Giani e dalla Dott.ssa Diana Pardini.
Attraverso l'analisi dei due casi, abbiamo voluto dimostrare innanzitutto il percorso
professionale intrapreso e le difficoltà incontrate per la loro affermazione come donne in
carriera, prendendo in considerazione il problema della maternità e la conseguente
conciliazione famiglia-lavoro.
A seguire le caratteristiche che contraddistinguono la loro leadership e i valori culturali
da loro trasmessi, per poi sottolineare le qualità che differenziano la donna dall'uomo, al fine
di una loro integrazione per il raggiungimento di migliori risultati e un cambiamento della
cultura aziendale.
6
CAPITOLO 1
EXCURSUS STORICO SULLA CONDIZIONE DELLA DONNA ITALIANA
DAL PERIODO PREINDUSTRIALE AI GIORNI NOSTRI.
Il percorso di emancipazione femminile in Italia per la conquista dei diritti civili e
politici è stato lungo e difficile, in quanto la nostra società era improntata sul genere
maschile mentre la donna era considerata un essere inferiore.
1.1 Donne e lavoro tra '800 e '900
Analizzando la condizione della donna dal periodo preindustriale, ci rendiamo conto che
essa non aveva nessuna possibilità di affermazione, era considerata come una fedele
domestica, sottomessa totalmente all'uomo, il cui compito riguardava la cura e l'educazione
dei figli; dunque la condizione sociale della donna era paragonabile a quella dello schiavo, un
lavoro senza un orario, senza un salario, retribuito in vitto, alloggio e protezione.1
Dal punto di vista lavorativo la donna si impegnava come sarta, filatrice, orefice,
merlettaia, fiammiferaia sia in campagna che in città.2 Queste attività venivano svolte per lo
più in casa, o se la donna si allontanava da casa lo faceva per brevi periodi, portandosi dietro i
figli più piccoli.
Alla fine del XIX secolo, l'industrializzazione si estese in maniera intensa nel nostro
Paese, comportando un cospicuo ingresso delle donne in molti settori lavorativi e un
cambiamento delle logiche di mercato.
Le nuove logiche di mercato richiedevano un impegno a tempo pieno della lavoratrice
lontano da casa e dai loro figli, entrando a contatto con altre figure maschili diverse da quelle
della famiglia, permettendo così alla donna maggiore visibilità sociale rispetto al passato.
Queste attività però, non erano compatibili con il ruolo tradizionale della donna, poiché con
l'industrializzazione era necessario distinguere il luogo della famiglia da quello del lavoro.
1 F. Pieroni Bortolotti, Appunti sulle origini del movimento femminile tra 800 e 900, C. Salemi Tipografo editore,Roma, 1986. p.26.
2 Duby e Perrot, Storia delle donne – L’Ottocento, Laterza. Roma – Bari, 1994, p.141.
7
L'industrializzazione portò allo sviluppo di grandi fabbriche tessili con forte presenza
femminile; le donne alla pari dei ragazzini si trovavano in una situazione fortemente
disperata, con retribuzioni bassissime rispetto agli uomini che erano impegnatati nello stesso
lavoro.
Basti pensare allo stabilimento tessile di Fara d'Adda, che occupava 650 uomini, 680
donne e 220 ragazzini: gli uomini guadagnavano dalle 2 alle 3 lire al giorno, le donne da 0,60
a 1,30 lire e i ragazzini da 0,60 a 0,90 lire.3
Considerate le loro misere retribuzioni, le operaie erano costrette a integrare il lavoro di
fabbrica con quello agricolo per poter sopravvivere, e in più ricadeva sulle loro spalle il
lavoro domestico e l'allevamento dei figli.
Anche nell'agricoltura, che rimaneva il lavoro trainante dell'intera economia, il lavoro
per la donna era precario e molto duro.
Le donne venivano impiegate in lavori come la semina, la raccolta del riso; lo
sfruttamento intenso e le condizioni ambientali malsane dei luoghi di lavoro portavano ad un
invecchiamento precoce e ad un minore rendimento delle operaie.4
Considerata la difficile situazione lavorativa, a pesare profondamente sulla condizione
femminile furono i grandi movimenti migratori maschili verso l'estero; quindi in certi periodi
dell'anno gli uomini attratti dai salari industriali più alti abbandonavano i campi, le donne
rimanendo in casa, oltre ad occuparsi delle attività domestiche e della cura dei figli, si
trasformarono in salariate occupandosi anche di compiti maschili per poter sopravvivere.
Questa situazione spiega la forte instabilità delle operaie, che lavoravano
stagionalmente ed erano vittime delle continue imposizioni e degli odiosi ricatti padronali.
L'operaia alla prima gravidanza veniva licenziata poiché “l'industria non vuole donne
maritate e partorienti, ma donne giovani”.5
Quanto agli orari di lavoro, essi erano lunghi e logoranti: le donne lavoravano dalle
tredici alle sedici ore al giorno compresa la domenica e i giorni festivi, non era previsto il
3 R. Morandi, Storia della grande industria in Italia, Einaudi, Torino, 1960, p. 43.
4 P. Alfieri, G.G.Ambrosini, La condizione economica,sociale e giuridica, della donna in Italia, Paravia Percorsi, Torino, 1975, p.23.
5 G. Ascoli, N. Fusini, M. Gramaglia, L. Menapace, S. Puccini, E. Santarelli, La Questione Femminile in Italia dal '900 ad oggi,
Franco Angeli, Milano, 1977, p.16.
8
riposo e si lavorava anche di notte.6
Contro tale sistema di sfruttamento, il 15 maggio del 1891 Papa Leone XIII°, con
l'enciclica Rerum Novarum7, chiedeva per le donne migliori condizioni di lavoro:
“Un lavoro proporzionato all'uomo alto e robusto, non è ragionevole che s'imponga a
una donna o a un fanciullo. Anzi per quanto ai fanciulli si ha da stare bene cauti di non
ammetterli all'officina prima che l'età non ne abbia sufficientemente sviluppate le forze
fisiche, intellettuali e morali. Certe specie di lavoro non si addicono alle donne, fatte da
natura per i lavori domestici, i quali grandemente proteggono l'onestà del sesso debole, e
hanno naturale corrispondenza con l'educazione dei figli e il benessere della casa”.8
Le richieste da parte della chiesa cattolica miravano al benessere dei lavoratori minori
ma non si battevano con lo stesso interesse alla condizione lavorativa delle operaie, in quanto
la chiesa cattolica ribadiva l'innaturalezza del lavoro extradomestico femminile. L'interesse
dei laici e cattolici alle dure condizioni lavorative delle donne erano dovute solamente alle
gravi conseguenze sulle capacità riproduttive di queste ultime; quindi l'alto tasso di aborti
spontanei, di mortalità infantile e malformazioni congenite spinse la chiesa a cercare una
soluzione.
In sostanza, l'appello di Leone XIII° agli imprenditori era un invito a migliorare le
condizioni lavorative degli uomini, in modo tale che le donne e i bambini tornassero al lavoro
domestico, restaurando così la vecchia famiglia patriarcale.
Il disinteresse da parte degli industriali a migliorare le condizioni lavorative di donne e
bambini spinse i socialisti a prendere dei provvedimenti legislativi. Una delle esponenti del
Partito socialista era Anna Kuliscioff9, che nel 1897 presentò il primo progetto di riforma
chiedendo una legislazione opportuna a favore dell'igiene nelle fabbriche e particolari tutele
6 M. Natoli, Dall’incapacità giuridica al nuovo diritto di famiglia, in AA.VV.,Roma, 1976, p. 13.
7 Rerum novarum :(1891) enciclica (Papa Leone XIII) che costituì il fondamento teorico della dottrina sociale cattolica erappresentò la risposta della Chiesa sulla questione operaia. Pur condannando le dottrine socialiste, l'enciclica denunciavale ripercussioni sociali delle trasformazioni economiche provocate dall'espansione del capitalismo industriale.8 M. L.Odorisio, A. Rossi Doria, L. Scaraffia, M. Turi, Donna o cosa?, Edizioni Milvia, Torino, 1986, p.48.
9 Anna Kuliscioff fu una rivoluzionaria russa (Moskaja, Cherson, 1854- Milano 1925). All'età di sedici anni si recò inSvizzera, dove aderì alle tesi anarchiche di M. A. Bakunin Anarchica; qui incontrò il rivoluzionario italiano A. Costa, conil quale strinse un'intensa relazione politica e sentimentale. Studentessa di medicina in Svizzera, completò gli studi inItalia dove svolse un'intensa attività gratuita di medico dei poveri. Aderì al marxismo e condivise con Filippo Turati (cuisi unì dal 1885) la direzione di Critica sociale (1891). Esponente della corrente riformista del Partito socialista, militò nelmovimento per l'emancipazione delle donne, di cui fu una delle figure più rappresentative.
9
per le donne e i fanciulli.
La proposta della Kuliscioff prevedeva “la riduzione dell'orario lavorativo delle donne
a sole 48 ore settimanali, la limitazione degli straordinari, il divieto d'impiegare personale
femminile o minorenne in occupazioni insalubri, pericolose o notturne e stabiliva un congedo
parzialmente retribuito di sei settimane prima o dopo il parto; l'età minima prevista per
l'assunzione veniva fissata a quindici anni per entrambi i sessi”.10
La Kuliscioff era consapevole che l'abolizione del lavoro delle donne nelle industrie le
avrebbe recluse nuovamente in casa, ma allo stesso tempo le leggi di tutela avrebbero liberato
la donna dalle difficili condizioni lavorative permettendo loro di trovare il tempo e le forze
per lottare accanto agli uomini. Le leggi di tutela della Kuliscioff si presentarono inizialmente
come salvaguardia per le condizioni salariali e igieniche, in seguito assunsero un significato
di protezione, equiparando sempre di più la donna con il fanciullo. L'evidente equiparazione
della donna al bambino fu criticata da Emilia Mariani11 in una conferenza tenuta a Roma il
primo maggio del 1901, sostenendo che :
“ mentre il fanciullo si libera della situazione di inferiorità sancita dalle leggi col
diventare uomo, la donna, rimanendo donna, porta per tutta la vita il marchio di
quell'inferiorità che codeste leggi hanno inflitto.
…..le vere leggi che possono difendere e tutelare il lavoro delle donne sono quelle che
stabiliscono un legame e limitato tirocinio per le fanciulle impiegate nei magazzini e nelle
officine, che proibiscono il lavoro della donna nel periodo della maternità e che sanciscono
il sacrosanto principio che a lavoro uguale deve essere data mercede uguale alla donna
come all'uomo”.12
A criticare fortemente la proposta della Kuliscioff fu anche un'altra pioniera del
femminismo italiano, Anna Maria Mozzoni13, convinta che la presenza delle leggi sulla tutela
10 M. L. Odorisio, A. Rossi Doria, L. Scaraffia, M. Turi, 1986, op.cit., p.49.
11 Emilia Mariani: (Torino 1854 – Firenze 1917), maestra, femminista rigorosa di origini democratiche- repubblicane emazziniane. Insegnò per trentotto anni ma l’insegnamento non rappresentò però che un aspetto della vita della M., il cuilascito è legato in primo luogo alle battaglie per l’emancipazione femminile di cui fu protagonista. Particolare impegnoriversò nella lotta per la riforma dell’educazione femminile e per l’elevazione delle condizioni lavorative delle maestre ela parificazione con i colleghi maschi. Nel 1897, insieme con A. Cabrini, fondò la prima Unione insegnanti.
12 M. L. Odorisio, A. Rossi Doria, L. Scaraffia, M. Turi, 1986, op.cit., p.54.
13 Anna Maria Mozzoni: Femminista (Rescaldina, Milano, 1837-Roma 1920) di nobili origini. Fu un personaggio
10
delle donne avrebbero comportato la loro esclusione dalle fabbriche, ricacciando la donna in
casa come “una gallina nel suo pollaio a covare le uova nella solitudine e nel silenzio”.14
La Mozzoni si rendeva conto delle logoranti e pessime condizioni lavorative che la
donna doveva sopportare ma, allo stesso tempo, secondo lei, tutta questa sofferenza faceva
crescere nelle donne un “forte spirito di associazione, di affiatamento, intelligenza e
coscienza degli interessi speciali, omogenei e degli interessi generali di classe e di sesso,
percezione chiara della efficacia e della solidarietà e della unione, per cui le operaie dei
centri industriali sono giunte a sopravanzare d'assai nel sentimento della realtà della vita
delle donne e delle classi socialmente più elevate […]. Inoltre sosteneva “Si dia la massima
efficacia alla protezione dei bambini. Questi non devono lavorare – debbono essere
provveduti. Ma lasciate che la donna, che ben sovente ha sulle sue spalle il peso della
famiglia, giudichi ella stessa delle sue opportunità e convenienze ”.15
Dunque, sia per la Mozzoni che per la Mariani le uniche leggi che potevano difendere le
donne e l'intera classe proletaria erano quelle a favore della parità salariale dei sessi e quelle
che andavano contro il lavoro dei minori.
Per quanto riguarda il progetto di riforma socialista presentato dalla Kuliscioff, fallì alla
Camera e il partito socialista ritirò la proposta. Questa sorta di arresa del partito nel ritirare la
proposta colpì fortemente le donne che avevano posto fiducia nelle leggi.
Furono fatte tante battaglie per tutelare il lavoro femminile, spesso accompagnate da
forti scontri non solo tra lavoratrici e patronato, ma anche all'interno dello stesso movimento
socialista e tra le varie schiere che all'epoca si battevano per l'emancipazione femminile.
Anche tra gli imprenditori si creò una divisione: coloro che temevano di aggravare i
costi di produzione e coloro che invece consideravano ormai non più rimandabile per la
risorgimentale, repubblicana e mazziniana, sentì intensamente l'ideale dell' unificazione dell' Italia. . Di formazioneilluministica, al corrente del dibattito europeo sulla questione femminile, Anna Maria ebbe una visione particolarmenteavanzata del lavoro femminile per l'epoca in cui scrisse il suo libro, poiché non solo rivendicava il diritto al lavoro, maanche il diritto a una giusta retribuzione. Si batteva inoltre sul il diritto di voto alle donne, riformare il sistema educativoe i rapporti all’interno della famiglia. Condusse quindi dal 1864 al 1920 una lunga battaglia per inserire la questionefemminile in tutti i problemi che l’Italia postunitaria doveva affrontare (riforma del codice civile, riforma della leggeelettorale). Favorì la costituzione di leghe di lavoratrici e aderì al movimento socialista.Nel corso della sua lunga vita Anna Maria Mozzoni operò sempre per promuovere i diritti delle donne in Italia, superandodelusioni, difficoltà, rifiuti.
14 M. L.Odorisio, A. Rossi Doria, L. Scaraffia, M. Turi,1986, op.cit.,p.50.
15 Ivi, p.51.
11
salute della popolazione la tutela del lavoro delle donne e dei minori.
Si arrivò alla soluzione di compromesso con la legge n. 242 c.d. Carcano16 del 1902, che
con lievi modifiche, fu applicata fino al 1936. Prescriveva “la giornata lavorativa di 6 ore
per i ragazzi tra i 15 e i 18 anni e di 8 ore per quelli tra i 18 e i 20 anni; vietava alle donne il
lavoro sotterraneo a qualunque età e vietava, ma solo alle donne minorenni, il lavoro
notturno sancendo per loro l'obbligo del riposo settimanale. Il lavoro femminile venne
limitato alle dodici ore giornaliere contro le otto chieste dai socialisti”17 . Bisognerà giungere
al 1919 affinché le 8 ore possano considerarsi una conquista effettiva per il proletariato
italiano.
La legge entrò in vigore il 1° luglio del 1903, limitandosi a tutelare le operaie
industriali, dei laboratori e delle arti edilizie, la grande maggioranza delle quali era costituita
da donne nubili e giovani, volutamente precarie nelle loro attività lavorative e che comunque
spesso ambivano a cambiare settore di lavoro.18
Una volta divenute madri, ad essere fortemente escluse da questa tutela erano le donne
impiegate nel settore agricolo, nel lavoro domestico, le maestre e le impiegate.19
In un certo senso, anche questa legge cercava di riportare le donne tra le pareti
domestiche, escludendole dal mercato del lavoro in quanto il suo obiettivo principale era la
protezione delle donne in tale ambito, essenzialmente per salvaguardare la loro capacità di
procreazione.
La sola innovazione riscontrata nella legge 242/1902 è contenuta negli artt. 6 e 10, ed è
rappresentata dal “congedo di maternità” di un mese dopo il parto, riducibile
eccezionalmente a tre settimane. Durante il periodo di riposo post-partum però alla
lavoratrice non era assicurata alcuna retribuzione, né tanto meno era garantita la
conservazione del posto di lavoro. La parità di retribuzione della donna con l'uomo restava un
16 Paolo Carcano: Uomo politico italiano (Como1843- ivi 1918); diciassettenne partecipò all'impresa dei Mille; nel 1866fu a Bezzecca, l'anno dopo venne ferito Monterotondo. Deputato dal 1881 fino alla morte, sottosegretario alle Finanzecon Crispi (1889-91), fu ministro allo stesso dicastero con Pelloux (1898-99), poi ministro dell'Agricoltura con Saracco(1900-01), ancora ministro delle Finanze con Zanardelli (1901), del Tesoro con Fortis (1905-06), con Giolitti (1907-1909), con Salandra (1914-16), di cui fu prezioso collaboratore nella preparazione bellica, e infine con Boselli (1916-17).
17 M. De Cristofaro, “Tutela e/o parità. Le leggi sul lavoro femminile tra protezione ed uguaglianza”, Cacucci editore,Bari, 1979. p.20.
18 A. Buttafuoco, Il posto della donna. Lavoro, maternità, ruolo sociale femminile nella legislazione di tutela traOttocento e Novecento, Arezzo, 1989, p.45.
19 Ivi, p.55.
12
problema ancora aperto.20
Inoltre, ad imitazione della legge portoghese del 1891, si stabiliva che, nelle fabbriche,
che occupavano più di 50 operaie, doveva trovarsi una stanza per l’allattamento, che poteva
essere adoperata nelle ore e nei modi fissati dal regolamento interno della fabbrica, da
concordarsi tra gli imprenditori e le rappresentanze operaie.21
Con la legge del 7 luglio 1907 n. 416 la legge Carcano fu modificata e poi confluita nel
Testo Unico (T.U.) sul lavoro delle donne e dei fanciulli (legge 10 novembre 1907, n. 816),
con l’emanazione del quale si chiudeva la questione del lavoro notturno che la legge del 1902
aveva lasciato aperta. Il T.U. sanciva il generale divieto di lavoro notturno per le donne di
qualsiasi età.22
Qualche anno più tardi, con la legge n. 520 del 17 luglio 1910, fu istituita una “Cassa di
maternità”, con sede in Roma, al fine di favorire un sussidio alle operaie in occasione di
parto o di aborto, prevedendo 40 lire nel primo caso e 30 lire nel secondo. La cassa era
finanziata con un contributo annuale obbligatorio, per metà a carico dell'imprenditore e per
metà a carico dell'operaia, ricevendo anche un contributo aggiuntivo dallo Stato.23
Nel frattempo era emersa una forte ostilità da parte dei lavoratori di sesso maschile
verso qualunque norma a favore delle loro colleghe donne, che svolgevano le stesse mansioni
ma venivano pagate meno. Il fatto che le operaie fossero sottopagate costituiva non solo un
freno per l'elevamento dei salari generali ma anche un motivo di competizione verso la
manodopera maschile.
Gli imprenditori, quindi, assumevano le donne nelle attività con minore specializzazione
e continuavano a tenere bassi i loro salari . Questa strategia industriale impediva da un lato
una carriera professionale alle operaie, provocando in loro una maggiore consapevolezza di
lotta per la conquista dei loro diritti, dall'altro permetteva ai padroni di approfittare della
facilità nel reperire manodopera femminile, per ricattare gli operai ogni volta che chiedevano
aumenti salariali o migliori condizioni di lavoro.
20 M.V. Ballestrero, La protezione, concessa e l'uguaglianza negata, Laterza Bari, 1996 ,p. 451.
21 M.L. De Cristofaro, 1979, op. cit., pp. 56,57.
22 M. Natoli,1976, op.cit., p.20.
23A. Buttafuoco, 1989, op.cit., pp. 49-54.
13
1.2 L'ingresso della donna nella scuola e negli impieghi
Nella seconda metà dell'Ottocento si verificarono altri importanti avvenimenti, come
l'ingresso della donna nelle scuole e negli impieghi.
Il primo censimento della popolazione, effettuato nel nostro Paese nel 1871, registrava
un tasso elevatissimo di analfabetismo: il 78% degli italiani non sapeva né leggere né
scrivere. Il basso grado di istruzione riguardava perciò tutta la popolazione italiana, maschile
e femminile, con forti dislivelli tra le diverse classi sociali e tra le diverse zone della penisola;
si pensi che all'inizio del secolo gli analfabeti erano quasi la metà della popolazione e
superavano il 69% nel Mezzogiorno.24
Nel 1874 le donne vennero ammesse alle Università e pochi anni dopo, nel 1883 si
aprirono per loro le porte anche nelle scuole superiori. Tra il 1877 e il 1900 in Italia si
raggiunge un numero di 244 donne laureate. Nel 1900 erano iscritte alle scuole superiori25
più di diecimila ragazze.
Non si tratta di cifre considerevoli, ma vanno sempre rapportate al lentissimo
incremento della scolarizzazione del nostro Paese.
Furono le ragazze borghesi ad approfittare dell'accesso all'istruzione. Molte di esse
frequentavano scuole magistrali e professionali, così che tra il 1890 e il 1900 cominciarono a
formarsi educatrici che in poco tempo superarono il primato maschile nell'insegnamento.
Ma queste donne dovevano confrontarsi con l'opinione corrente secondo la quale il
lavoro, per una donna di estrazione borghese, era considerato come un fallimento,
un'umiliazione, una perdita della sua vera identità. Infatti, erano proprio le donne borghesi
che incontravano più ostacoli delle operaie nell’inserimento nel lavoro poiché le abitudini ed
il costume imponevano loro un destino di moglie e di madre.
In quegli anni erano aumentate le difficoltà economiche del ceto medio, difficoltà che
potevano essere risolte con l’inserimento delle donne borghesi nel mercato del lavoro. Il
24 T. De Mauro, Storia linguistica dell'Italia unità, Laterza, Bari, 1970, pp.36 e 91.
25 sono considerate sotto questa denominazione scuole classiche e tecniche, governative e parificate; scuole professionali
e commerciali. Non sono computate le studentesse delle scuole Normali.
14
lavoro di queste donne avrebbe, infatti, contribuito al risanamento del bilancio familiare,
poiché esse con il loro salario avrebbero aiutato la loro famiglia e non avrebbero pesato su di
essa soprattutto in caso di disgrazie capitate al padre o al marito.
Negli ultimi anni si verificò l'ingresso di molte donne nel settore terziario e nei servizi,
poiché necessitavano di personale istruito ma sottopagato rispetto agli uomini. Il fatto che la
donna fosse sottopagata era una caratteristica perfettamente femminile, soprattutto perché
l’istruzione aveva loro permesso di disporre di una preparazione tecnica e culturale adeguata,
ed il costo del lavoro che le caratterizzava era inferiore a quello degli uomini: la loro
assunzione si traduceva quindi in un investimento sicuro.
Attività connesse al commercio, ma anche lavori di segreteria, di contabilità, di
archivio, di centralino furono ricoperti da donne, sia nell’ambito della pubblica
amministrazione sia nel settore privato.
Nell'ambito delle professioni impiegatizie, le possibilità per le donne di fare carriera e di
ottenere una retribuzione migliore erano minime. Inoltre, i colleghi uomini occupati nello
stesso settore guardavano con ostilità il lavoro delle donne e contribuivano a renderne più
difficile la posizione. Non era diversa la situazione delle maestre. che erano costrette a
trasferirsi lontane da casa per poter insegnare, inserendosi così nelle nuove comunità e tra i
loro colleghi maschi, i quali difendevano con tutte le forze i loro privilegi gerarchici.
La Kuliscioff sosteneva che queste lavoratrici donne erano accompagnate da una forte
insoddisfazione: “Svolgono gli stessi compiti degli uomini; sono richieste loro le medesime
qualificazioni (diplomi o lauree si prendono nello stesso modo, che siano uomini che donne);
superano eguali concorsi, ascendono ad analoghi livelli e poi non solo sono pagate di meno,
ma non contano niente tanto nell'ambito della loro attività quanto nell'intero contesto
sociale. La loro voce non può levarsi in nessuna sede: nella famiglia sono sottoposte alla
tutela del padre o del marito e, nella società, le norme giuridiche, le leggi e il costume, le
escludono da ogni ambito decisionale. Persino il suffragio è loro negato”.26
Tutta questa sofferenza portò, nell'ultimo decennio dell'Ottocento, allo sviluppo di
movimenti di rivendicazione femminile. Nelle donne cresceva la consapevolezza della
propria condizione subordinata e con essa l'esigenza di organizzarsi e di riconoscersi in
26 G. Ascoli, N. Fusini, M. Gramaglia, L. Menapace,S. Puccini, E. Santerelli, 1977, op.cit., p.29.
15
strutture politiche specifiche.
1.3 I gruppi di difesa della donna tra '800 e i primi anni del '900
La prima categoria di donne a organizzarsi fu quella delle maestre, impiegate,
telegrafiste e telefoniste, che ambivano alla parità salariale e a un maggiore riconoscimento
sociale. Molte di loro furono tra le fondatrici di associazioni quali l'Unione femminile,27
Federazione romana delle opere di attività femminile.28
Così, le donne borghesi che si erano occupate negli anni precedenti dell'unificazione del
mercato nazionale e della nascita dello Stato costituzionale, si battevano per quella che
veniva chiamata “emancipazione” femminile, portando avanti il discorso del riconoscimento
di diritti alle donne al pari degli uomini e sostenendole nelle battaglie del lavoro. Queste
donne si interessarono molto alle classi sfruttate: questo fu un punto di raccordo con il
nascente movimento operaio e il motivo per cui la Mozzoni si interessava a creare
un'associazione generale dei lavoratori. Nel 1881 la Mozzoni creò a Milano una “lega per gli
interessi femminili”, composta sia da donne del ceto medio che miravano al diritto di voto,
sia dalle operaie della manifattura tabacchi e tessili, interessate alla conquista dei diritti di
eguaglianza e di retribuzione.29
Questa lega prese parte ad una serie di agitazioni a Milano, collegandosi intorno al 1886
al primo raggruppamento di tutte le leghe operaie, prendendo il nome di Partito operaio
Italiano.
Sempre in quegli anni si andava formando la Lega socialista milanese, che raggruppava
intellettuali come Filippo Turati,30 Anna Kuliscioff e Maria Mozzoni. Essi si allearono
formando, nel 1891, un programma comune. In questo programma la Mozzoni inserì il
27Unione femminile nazionale: fondata a Milano nel 1899 da un gruppo di donne diverse per estrazione sociale e formazioneculturale. L'Unione si diffuse rapidamente in tutta Italia con un proprio progetto politico per un femminismo caratterizzatodall'impegno pratico per la salvaguardia delle lavoratrici - operaie, maestre, impiegate, insegnanti di scuola media - e per l'affermazionedel valore sociale della maternità.
28 Federazione romana delle opere di attività femminile: istituita nel 1900 dalla contessa Lavinia Taverna.
29 F. Pieroni Bortolotti, 1986, op.cit., p.18.30 Filippo Turati : Uomo politico italiano (Canzo1857- Parigi 1932).Di formazione democratica e positivista, aderì al marxismo e futra i fondatori della rivista Critica Sociale (1891) e del Partito socialista dei lavoratori italiani (1892). In età giolittiana promossel'ascesa del movimento operaio per via gradualista e parlamentare. Leader dei riformisti, fu espulso dal PSI (1922). In esilio a Parigi,promosse la nascita della Concentrazione antifascista e la riunificazione del partito.
16
principio di emancipazione della donna e il principio di emancipazione fra i sessi. Nel 1892 il
congresso di Genova diede origine al partito dei lavoratori italiani, che diventò in seguito il
partito socialista.
Alle soglie di questo congresso vi fu un grosso dibattito sulla condizione femminile tra
la Mozzoni, che sosteneva che le donne dovevano fare una campagna separata per
l'emancipazione femminile rispetto a quella per l'emancipazione della classe operaia, e la
Kuliscioff che invece sosteneva che il termine socialismo automaticamente rendeva inutile
l'emancipazione femminile. Da quel momento le due campagne, non soltanto furono distinte
ma si scontrarono all'interno dello stesso partito.
L'8 marzo del 1893 a Milano nasce, grazie a Linda Malnati31 e a Carlotta Clerici32, la
“lega per la tutela degli interessi femminili”, che raccolse l'eredità della lega della Mozzoni.
Questa lega, grazie all'attiva partecipazione delle socie, poteva vantare sedi nelle principali
città italiane.
Era composta da un comitato di donne emancipazioniste e socialiste. Gli obiettivi della
lega erano in linea con quelli che avevano caratterizzato la lega della Mozzoni: suffragio
femminile, abolizione dell'autorizzazione maritale, manifestazioni pubbliche per
sensibilizzare i partiti e la popolazione sulle difficoltà economiche e sociali delle donne, con
un programma minimo di intervento pratico locale, che prevedeva l'istituzione di una cassa di
beneficenza, una campagna per il miglioramento delle condizioni morali ed economiche delle
maestre d'asilo, delle telegrafiste, delle telefoniste, l'istruzione professionale per le figlie delle
operaie, l'ammissione delle donne ai consigli di amministrazione delle opere pie e corsi di
istruzione e di aggiornamento, oltre, alle rivendicazioni dei diritti morali e giuridici della
donna".33 La lega operò a stretto contatto con l'amministrazione comunale milanese e negli
31 Linda Malnati: (Milano 1855 - Como 1921) Educatrice italiana, di famiglia nubile. La sua formazione avvenne a contatto con icircoli democratici del capoluogo lombardo, dove apprese a coltivare ideali di giustizia sociale ed emancipazione femminile.L'insegnamento fu per lei una passione e una missione. Nel 1894 entrò nel consiglio direttivo della Società umanitaria, mentredall'interno delle associazioni magistrali e della Lega intensificava la battaglia per una riforma democratica della scuola edell'insegnamento elementare. Nel 1903, insieme con la Clerici, organizzò a Como il I congresso delle maestre elementari dal qualescaturirono importanti indicazioni di lotta per la categoria. La questione del suffragio femminile fu quella che più di ogni altra mise allaprova la sua fedeltà al partito socialista e all'unità delle forze democratiche.
32 Carlotta Clerici :(Milano, 1851 – Milano, 1924) un’attivista femminista socialista. Diplomatasi maestra elementare, nel 1890 fu trale fondatrici della sezione femminile della Camera del Lavoro di Milano e nel 1892 s’iscrisse al PSI, all’interno del quale nel 1897costituì il movimenti femminile socialista assieme ad Anna Kuliscioff e Linda Malnati. Realizzò la ristrutturazione e laicizzazione delleOpere Pie di Milano, conseguentemente, diventando delle congregazioni di carità e dell’orfanotrofio femminile, promuovendol’innovativo esperimento dei nuclei familiari per le orfane adulte. Dal 1912 fu delegata della Federazione delle Mutue al ConsiglioSuperiore del Lavoro. Fu promotrice delle Cassa di Maternità e della campagna per il suffragio femminile con l’Unione Femminile.Dal 1907 collaborò al giornale femminista L’Alleanza.
33 Cfr. V. A. Buttafuoco, Vie per la cittadinanza, Associazionismo politico femminile in Lombardia tra 800 e 900, in Donna Lombarda.
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anni si dimostrò disponibile a collaborare anche con altre associazioni femminili come
l'Unione femminile. In seguito ai tumulti del 1898 Giuseppe Zanardelli34 sciolse le leghe.
Nel 1904 viene fondata a Roma un'importante associazione femminile, il Consiglio
Nazionale delle Donne Italiane (CNDI), presieduto da Gabriella Spalletti Rasponi,35 con lo
scopo non solo di rivendicare i diritti reclamati dal gruppo femminile come il lavoro,
l'istruzione ecc., ma anche di coordinare le lotte a favore del voto femminile. Nel 1909 Pio X
incarica Maria Cristina Giustiniani36 di organizzare un'associazione femminile, chiamata
“Unione donne Cattoliche Italiane” che rispondeva direttamente al pontefice. L'ideale
femminile di questi ambienti si identifica ancora con “l'angelo del focolare”.37 Ma anche in
questo caso si avvertiva l'esigenza di dare alle donne qualche riconoscimento nella vita
sociale.
Le donne borghesi lottavano anche per avere il diritto di decidere di se stesse nel
matrimonio, nel lavoro e di poter diventare protagoniste come gli uomini della “politica”
intesa come governo della cosa pubblica, iniziando dal diritto di voto.
1.4 Verso il diritto di voto amministrativo
Il diritto di voto delle donne fu uno dei temi più dibattuti. La prima richiesta di voto
amministrativo per le italiane risale al 1863 da parte di Peruzzi;38 tra gli uomini politici
1860-1945, Milano, Franco Angeli, 1992.34 Giuseppe Zanardelli : (Brescia 1826 – Maderno 1903) Patriota e politico italiano.
35 Gabriella Spalletti Rasponi:(Ravenna 1853 - Roma 1931) Attivista e aristocratica italiana.Nel 1870 sposò il nobile reggianoVenceslao Spalletti Trivelli (1837 – 1899).Dopo la morte del marito, a quarantasei anni assunse la presidenza del Consiglio NazionaleDonne Italiane, fondato nel 1903 su modello dell'International Council Women, fondato nel 1888 dall'americana May WrightSewall.Fra le attività svolte durante la presidenza della Spalletti è da ricordare la costituzione di un Comitato di Sostegno alle vittimedel terremoto che colpì Messina e Regio Calabria nel 1908; il comitato fu patrocinato e riconosciuto anche dalla regina Elenarisultando così Gabriella Rasponi Spalletti la prima donna alla quale fu conferita la missione ufficiale di tutrice di minori. Nei suoi annidi presidenza sostenne la laicità della scuola e il suffragio universale.
36 Maria Cristina Giustiniani Bandini: (Roma 1866 - Roma 1959)Dopo l'istruzione impartitale dai precettori nella casa paterna,completò la sua educazione presso le suore del Sacro Cuore di Trinità dei Monti, dove concluse gli studi superiori e, spinta da unasincera vocazione, abbracciò la vita religiosa. Dopo l'abbandono di Trinità dei Monti, la G. era stata attratta dal nascente movimentofemminile cattolico, si accostò alle tematiche del movimento, introducendo a sua volta nuovi argomenti d'impegno e di riflessione. Nelsuo sforzo programmatico la G. si avvalse del sostegno del pontefice Pio X, di cui condivideva la concezione di un associazionismofondato su un modello di vita attento più agli aspetti sacrali e devozionali che non a quelli sociali e politici. Nell'ambito dellaprospettiva pastorale di papa Sarto, l'iniziativa della G. si rivelò pienamente funzionale al progetto pontificio sintetizzabile nel mottoprogrammatico "instaurare omnia in Cristo". Di fatto, in quella prospettiva mirante al recupero di una posizione di controllo dellaChiesa sulla società civile, l'iniziativa del movimento femminile era destinata a scontrarsi con le organizzazioni laiche di caratterefemminista sorte in Italia in quegli anni.
37 M. R.Cutrufelli, E. Doni, P. Guaglianone, E. Giannini Belotti, R. Lama, L. Levi, L. Lilli, D. Maraini, C. Ravaioli, L. Rotondo, M.Saba, C. di San Marzano, M. Serri, S. Tagliaventi, G. Turnaturi, C. Valentini, Il Novecento delle italiane: una storia ancora daraccontare, Editori Riuniti, Roma, 2001, p. 23.
38 Ubaldino Peruzzi: Uomo politico (Firenze1822- Antella 1891); gonfaloniere di Firenze (1848-50), fu destituito per una petizione
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dell'Ottocento c'era la convinzione che l'emancipazione della donna dovesse avvenire per
gradi, ottenendo prima l'elettorato amministrativo, per poi conseguire in un secondo tempo
anche il voto politico.
Il 18 giugno 1867 Salvatore Morelli39 presentò alla Camera la richiesta del diritto di
voto per le donne attraverso un disegno di legge molto ampio, che non venne ammesso alle
lettura e non lasciò nessuna traccia nei documenti ufficiali.
Otto anni più tardi lo stesso Morelli presentò un nuovo disegno di legge per il diritto
elettorale amministrativo e politico delle donne, ma venne nuovamente ignorato. Due anni
dopo, nel 1877, Anna Maria Mozzoni, presentò in Parlamento la prima petizione per
rivendicare il diritto di voto delle donne partendo dal voto politico che, se concesso, avrebbe
comportato anche il voto amministrativo. La Mozzoni chiedeva di estendere il voto alle
donne, poiché anche esse dovevano essere considerate cittadine come gli uomini e dunque
dotate di capacità giuridica. Un importante ostacolo a questa parità consisteva nella tutela
della donna maritata, la cui abolizione avrebbe permesso loro di godere dei diritti civili e
politici. Anche la petizione della Mozzoni non ebbe seguito.
Nel 1888, nei giorni 22, 27 e 28 novembre, in presenza del Presidente del Consiglio e
Ministro degli interni Crispi,40 si svolse in Parlamento un importante dibattito sul diritto di
voto delle italiane per le elezioni amministrative, ma si concluse con un voto negativo
con cui chiedeva il mantenimento dello statuto. Nel 1859 capo del governo provvisorio toscano dopo la cacciata del granduca, ebbegran parte nell'annessione della Toscana al Regno d'Italia. Deputato (1860-90), poi senatore, fu ministro dei Lavori pubblici neigabinetti Cavour e Ricasoli (1861-62) e ministro dell'Interno nel gabinetto Farini-Minghetti (1862-64). Designata Firenze capitaled'Italia, si dedicò alla vita municipale e fu più volte, fino al 1878, sindaco della città.
39 Salvatore Morelli. – (Carovigno 1824 – Pozzuoli 1880). Nel 1840 si laureò nell'università di Napoli in giurisprudenza; Affiliato allaGiovine Italia di Giuseppe Mazzini, divenne presto pubblicista dedicandosi a una intensa attività giornalistica. Profondamente convintodell’uguaglianza tra i sessi che trovava fondamento nella comune personalità umana, Morelli pose l’accento sul ruolo pedagogico delledonne. Nel 1867, fu eletto deputato al Parlamento per la Sinistra nel collegio di Sessa Aurunca. Nel giugno del 1867 presentò allaCamera tre disegni di legge: per la riforma della pubblica istruzione, per la reintegrazione giuridica della donna e per circoscrivere ilculto cattolico nella Chiesa e sostituire ai campisanti il sistema della cremazione. Il progetto sulla reintegrazione giuridica della donna,che proponeva, primo in Europa, il riconoscimento dei diritti civili e politici, non fu neppure ammesso alla lettura. Rieletto deputato nelnovembre del 1870 e ancora nel 1874 e nel 1876, si impegnò per abolire il divieto per i militari di sposare ragazze prive di una doteadeguata e, nel 1872, per introdurre il voto amministrativo alle donne e l’indennità ai deputati; si batté inoltre per l’introduzione del ritodella cremazione dei cadaveri. Le precedenti proposte trovarono una più organica sintesi nei disegni di legge presentati nel 1875 volti adiffondere le Scuole Normali per le ragazze, l’introduzione della completa parità tra i coniugi all’interno della famiglia, il divorzio, latutela dei figli illegittimi, il diritto elettorale amministrativo e politico per le donne. Deputato per quattro legislature, dal 1867 al 1880,fu il primo sostenitore dell’uguaglianza giuridica tra i sessi,
40 Francesco Crispi. - Uomo politico italiano (Ribera, Agrigento 1818 - Napoli 1901). Avvocato e patriota, ebbe un ruolo decisivonel convincere Garibaldi a compiere la spedizione dei Mille. Proclamata l'Unità d'Italia, abbandonò le posizioni repubblicane, aderendoalla monarchia. Divenuto presidente del Consiglio (1887-91), fu fautore di una politica 'forte' all'interno e all'estero, sostenne la Triplicealleanza ( con Germania e Austria) in chiave antifrancese e promosse l'espansione coloniale. Tornò al governo nel 1893 e fronteggiòcon durezza la protesta sociale (Fasci siciliani, moti in Lunigiana). Fu travolto dal naufragio delle ambizioni coloniali nella sconfitta diAdua (1896).
19
sull'emendamento del senatore Clemente Corte che intendeva attribuire il voto
amministrativo solo alle donne contribuenti, escludendo però che potessero recarsi
personalmente alle urne e che fossero eleggibili. Il Senatore sosteneva che mentre aumentava
il numero degli uomini ai quali veniva esteso il voto politico, le donne rimanevano invece
escluse anche dal voto amministrativo perché la legge proclamava “l'assoluta, indefinita,
irrevocabile incompetenza e incapacità della donna a concorrere, anche indirettamente,
nella amministrazione”.41
Tra i pochi che appoggiavano l'emendamento Corte troviamo il Senatore Alessandro
Rossi42, sostenendo che rispetto ad altri Stati come l'Inghilterra, l'Austria ecc., dove la donna
aveva il diritto di voto a livello comunale e in certi casi risultava anche eleggibile, in Italia la
era considerata “immatura per poter votare alle elezioni amministrative”.43 Il Senatore Rossi
si mostrava indignato verso tutto ciò poiché “spetta alle donne insegnare lo statuto da cui in
un certo modo sono in parte escluse” e concludeva dicendo che “da noi quando la donna
arriva alle porte del Comune, bisogna che si arresti. La sua firma non vale”.44
Un altro dei pochi ad appoggiare il diritto della donna a votare nei Comuni fu il senatore
Moleseschott,45 sostenendo che “la donna completa l'uomo”.46 Per Moleschott era assurdo
che l'uomo italiano dicesse alla donna sulla porta del palazzo comunale “Tu non puoi entrare
neppure con il pensiero, neppure con un voto, non sei abbastanza preveggente per ciò”.47
Moleschott riconosceva nella donna una grande intelligenza ma allo stesso tempo
41 Atti parlamentari Senato del Regno. Legislatura XVI. Seconda Sessione 1887-88. Discussioni. Tornata del 27 novembre 1888, p.
2638 sono riportati da M. NATOLI, 1976, op. cit., p. 20 ss.
42Alessandro Rossi. - Industriale (Schio1819- Sant'Orso, Schio,1898), pioniere dell'industria laniera in Italia senatore del Regno(1870). Succeduto nel 1839 al padre alla direzione di un modesto opificio a Schio, ne promosse uno straordinario sviluppo,trasformando poi nel 1873 l'azienda in società anonima (il lanificio Rossi, divenuto nel 1954 Lanerossi e acquistato dalla Marzotto nel1987). S'interessò e contribuì alla realizzazione di numerose iniziative industriali e agricole, di scuole popolari, di società di mutuosoccorso tra operai e contadini. n Il figlio Giovanni(Schio 1850 – ivi 1935) ampliò l'attività e gli impianti dell'azienda. Cavaliere dellavoro (1902), senatore (1910).
43 E. Saragni, La donna italiana: Il lungo cammino verso i diritti 1861 – 1994,Pratiche Editrice,Parma,1995, p.84
44 Atti parlamentari Senato del Regno. Legislatura XVI. Seconda Sessione 1887-88. Discussioni. Tornata del 27 novembre 1888,
p.2640, sono riportati da M. Natoli, 1976, op. cit., p. 20 ss.
45 Moleschott Jacob. -Fisiologo (Boscoducale1822 - Roma 1893). Esercitò la professione medica a Utrecht insegnò poi a Heidelbergchimica fisiologica, anatomia comparata, fisiologia e antropologia inseguito Insegnò anche al politecnico di Zurigo; . Notevole fu lasua influenza in Italia, specie sulla scuola antropologica di C. Lombroso. Tra le sue opere: Physiologie des Stoffwechsels in Pflanzenund Thieren (1851); Dei limiti della natura umana (1864); L'unità della vita (1864); Für meine Freunde ,Lebens.
46 E. Sarogni, 1995, op,cit., p.86.
47 Atti parlamentari Senato del Regno. Legislatura XVI. Seconda Sessione 1887-88. Discussioni. Tornata del 27 novembre 1888,
20
precisava anche che essa, per una smisurata generosità, delle volte lasciava prevalere in lei il
sentimento alla razionalità; questo pensiero venne interpretato da Crispi come una debolezza
della logica femminile, ritenendole quindi incapaci di amministrare i propri beni.
Fu così che Francesco Crispi rifiutò integralmente il diritto di voto alle donne, ritenendo
che “ la donna è troppo sacra per gettarla nel fuoco della Pubblica Amministrazione: essa è
il tesoro della famiglia e perché tale, è bene che resti”.
Dieci anni dopo, con il decreto del 4 maggio n. 164 della legge comunale e provinciale,
nell'articolo 22 si ribadiva che “il diritto di voto è rifiutato totalmente agli analfabeti, agli
interdetti e inabilitati, ai condannati per gravi delitti all'ergastolo, a coloro che vivono
abitualmente di carità e alle donne”.48
Il diritto di voto verrà riproposto in Parlamento agli inizi del '900 ma senza esiti positivi.
Il 19 febbraio 1910 il deputato Carlo Gallini presentò alla Camera dei deputati una
proposta di legge sulla condizione giuridica della donna italiana, con la quale chiedeva
l'iscrizione nelle liste elettorali del Comune delle donne che avessero compiuto i 25 anni e
possedessero tutti i requisiti previsti dalla legge. Secondo Gallini bisognava procedere per
gradi, richiedendo per il momento solo il voto amministrativo e non quello politico.
Nel 1912 la Camera dei deputati presentò una relazione sulla proposta Gallini, da parte
del giurista siciliano Di Stefano. Di Stefano riprese il concetto di gradualismo pronunciandosi
favorevole al voto amministrativo delle donne e contrario a quello politico. Esso limitò però
la richiesta di Gallini, proponendo la partecipazione delle donne che avessero compiuto 25
anni e fossero proprietarie, possedessero un diploma o una laurea ecc. Nemmeno la relazione
presentata da Di Stefano portò alcun vantaggio alla donna italiana.
Sempre nel 1912 Giolitti, Presidente del Consiglio, pur avendo sempre sostenuto di
estendere il voto amministrativo alle donne in tempi più maturi, nell'articolo 22 del disegno di
legge n. 935 stabiliva che le donne non potevano essere iscritte nelle liste elettorali e non
erano eleggibili agli uffici indicati dal provvedimento. Inoltre escludeva tutte le donne dal
voto amministrativo ed estendeva tale diritto e introduzione del voto politico, a tutti i cittadini
p.2643. M. Natoli, 1976, op. cit., p. 20 ss.
48 E. Saragni, 1995, op.cit., pp. 89, 90.
21
che godessero dei diritti civili del Regno.49
Passarono ancora due anni e, nel 1915, il regio decreto 4 febbraio 1915 n.148 approvava
il nuovo testo unico della legge comunale e provinciale che riconfermava nell'articolo 24:“Le
donne non possono essere iscritte nelle liste elettorali amministrative e non sono eleggibili
agli uffici designati dalla presente legge”.50
1.5 Le donne tra illusione e delusione
Il 23 maggio del 1915, con l'intervento italiano nel primo conflitto mondiale, gli uomini
partirono in guerra per la difesa della patria. A questo punto molte dirigenti socialiste
collaborarono con lo Stato assistendo i soldati e le loro famiglie. Accanto alle socialiste,
anche le femministe con l'Unione delle Donne Cattoliche e tante altre associazioni si
impegnarono sia nella creazione di strutture in grado di coprire le carenze dello Stato, come
comitati organizzativi, ospedali, istituti di assistenza sia nel campo dell'equipaggiamento e
delle forniture militari. Accanto a questo tipo di mobilitazione femminile a carattere
volontario, un gran numero di donne cominciò a lavorare nelle fabbriche e nei campi,
occupando i posti che erano stati degli uomini.
Durante la guerra l'impiego della manodopera femminile era cresciuto in ogni settore
del lavoro e le donne erano arrivate in breve tempo a ricoprire la quasi totalità della
produzione agricola, industriale e soprattutto bellica, garantendo al Paese la sopravvivenza
economica.
Le condizioni lavorative femminili, pur riproponendo le solite discriminazioni, come il
fatto di essere sempre sottopagato rispetto a quello degli uomini, presentava allo stesso tempo
nuovi aspetti: il lavoro consegnava ora nelle mani femminili arnesi e macchinari di impiego
tradizionalmente “virile”, contribuendo a smontare il pregiudizio di una naturale idoneità
della donna a tutta una serie di occupazioni. Quindi il forte accesso delle donne ai mestieri
tradizionalmente reputati maschili si accompagnava ad una maggiore partecipazione delle
donne all'attività pubblica, anche perché nell'assenza degli uomini molte erano arrivate a
49 F.P. Bortolotti, 1987, op.cit., p.260.
50 E. Saragni, 1995, op.cit., p.96.
22
ricoprire posti di maggiore responsabilità.51
Alla conclusione del primo conflitto mondiale l'Italia si trovò ad affrontare forti
problemi sociali ed economici. Alle donne che durante la guerra erano state chiamate a
sostituire gli uomini fu chiesto esplicitamente di tornare alle mansioni domestiche e di
restituire il posto nelle fabbriche ai reduci.
Nell'intento di convincere le donne ad abbandonare il lavoro, venne organizzata una
spietata campagna denigratoria nei confronti delle lavoratrici in modo particolare delle
impiegate, accusate di non lavorare per necessità ma solo per comprarsi vestiti e profumi.52
Pertanto i movimenti femminili cercarono di difendere l'occupazione femminile che
minacciava in modo particolare le donne del ceto medio, ma i disoccupati ex combattenti si
battevano in tutti i modi per il licenziamento in massa delle donne.
Il problema della disoccupazione femminile si aggravava poiché molte delle licenziate,
a causa del gran numero dei caduti, era rimasta priva di sostentamento familiare e doveva non
solo mantenere se stessa ma anche il resto della famiglia.
Le donne furono sottoposte ad una campagna intimidatoria, che consisteva nel dare
un'immagine antipatriottica a tutte le donne che non si fossero adeguate al ripristino della
condizione femminile prima della guerra.
La violenza di tale campagna influenzò anche le socialiste che avevano sempre difeso il
diritto delle donne al lavoro, ma tuttavia si erano convinte che le donne non potevano
mantenere lo stesso livello di occupazione registrato durante la guerra poiché avrebbero
privato agli uomini di quei posti che spettavano loro di diritto.
La mancanza da parte delle socialiste di una posizione chiara comportò una forte
delusione da parte di tutte le donne che avevano confidato in loro. Di fronte alle proteste da
parte delle impiegate le socialiste, non riuscendo ad elaborare un adeguata risposta
all'offensiva antioperaia e antifemminista sostenuta dai cattolici, abbandonarono le
rivendicazioni a favore delle donne, rivalutando in un certo senso il lavoro domestico. Per
tutte le lavoratrici la perdita del lavoro non si traduceva in un tranquillo rientro a casa, ma
51 M. L. Odorisio, A. R. Doria, L. Scaraffia, 1986, op.cit., p.113.
52 A. Bravo, M. Pelaja, A. Pescarolo, L. Scaraffia, Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma – Bari, 2001, p. 60.
23
nella ricerca di qualsiasi altro impiego che permettesse loro di sopravvivere. Vista la
situazione, le lavoratrici pretesero un'indennità di licenziamento di tre mesi che ottennero
solo dopo uno grande sciopero.
Nell'agitato periodo che va dal 1919 al 1922, ai frequenti scioperi partecipano anche le
donne per vedere eguagliate le loro paghe e i loro diritti, al di là di ogni discriminazione
partecipando anche all'occupazione delle fabbriche.
Nel 1922 il socialista Modigliani53 presentava con altri deputati una semplice e chiara
proposta di legge, il cui articolo recitava “Le leggi vigenti sull’elettorato politico e
amministrativo sono estese alle donne nei limiti e nei modi del suffragio maschile"; ma
purtroppo il fascismo era alle porte e ogni discorso di civile progresso fu interrotto.
1.6 La donna tra Regime Fascista e Seconda Guerra Mondiale
Il 30 ottobre del 1922 con la nomina di Benito Mussolini54 a Primo Ministro, le energie
delle emancipazioniste italiane furono rivolte alla questione del suffragio.
Il 14 Maggio 1923 si tenne a Roma il IX Congresso dell'alleanza internazionale Pro-
Suffragio Femminile, dove Mussolini affermò che nonostante la questione fosse molto
complessa nessun partito italiano si sarebbe opposto. Fu così che il 9 giugno dello stesso anno
presentò alla Camera dei deputati il disegno di legge n. 2121 per la concessione alle donne
del solo voto elettorale amministrativo, in quanto Mussolini era convinto che si dovesse
procedere con cautela.
“L'elettorato era concesso alle donne non minori di venticinque anni, decorate per
merito di guerra o al valore civile, madri di caduti in guerra, investite di patria potestà,
fornite di licenza del corso elementare obbligatorio, che sapessero leggere e scrivere, e infine
53 Giuseppe Emanuele Modiglioni: avvocato, israelita,monarchico in gioventù, nacque a Livorno nel 1872. fu eletto nel 1913 a Budrio in ballottaggio contro l'uscente socialista Podrecca. Rieletto nel 1919 e nel 1921 in Toscana, si pronunciò alla Camera in favore del suffragio femminile. Fu tra i fondatori del Gruppo Socialista Unitario. Durante il fascismo espatriò, soprattutto per sfuggire alla persecuzione razziale. Fù deputato nelle legislature 24,25,26 e 27 del Regno.
54 Benito Mussolini. - Uomo politico (Dovia di Predappio 1883 - Giulino di Mezzegra, Dongo, 1945).Socialista, si andò staccando dalpartito, fino alla fondazione dei Fasci da combattimento (1919). Figura emergente nell’ambito del neoformato Partito nazionalefascista, subito dopo la “marcia su Roma” (1922) venne incaricato dal re della formazione del governo, instaurando nel giro di pochianni un regime dittatoriale. In politica internazionale M. affrontò l’esperienza coloniale in Etiopia, si fece coinvolgere dai buonirapporti con la Germania di Hitler nella persecuzione degli Ebrei, fino poi alla partecipazione al conflitto mondiale. I pessimi risultatibellici portarono il Gran Consiglio a votare la mozione Grandi presentata contro di lui (1943). Arrestato, fu liberato dai Tedeschi eassunse le cariche di capo dello Stato e del governo nella neonata Repubblica sociale. Alla fine della guerra fu catturato e fucilato daipartigiani per ordine del Comitato di liberazione nazionale. Dominò la storia italiana per oltre un ventennio, divenendo negli anni delsuo potere una delle figure centrali della politica mondiale e incarnando uno dei modelli dittatoriali fra le due guerre.
24
pagassero tasse per una somma inferiore alle quaranta lire.
Furono escluse dall'elettorato le numerose vedove di guerra, per l'impossibilità di
verificare lo stato vedovile e per le donne comuni erano negate le cariche di sindaco,
assessore, membro della deputazione, del consiglio e della giunta provinciale. Inoltre
l'iscrizione delle donne alle liste elettorali poteva avvenire solo su diretta domanda delle
interessate”.55
Quindi, in un primo momento promise il voto e successivamente propose un suffragio
ridotto che escludeva la maggior parte delle donne.
Il disegno di legge Mussolini decadde e fu ripresentato da Ferdanzoni56 nella legislatura
successiva con alcune modifiche: “vi rientravano le vedove dei combattenti, ad esclusione
delle separate, e il censo era aumentato dalle 40 alle 100 lire”.57
Dopo sessant'anni di battaglie, le italiane, con la legge 22 novembre 1925 n. 2125,
conquistarono formalmente il voto amministrativo.
Il 31 agosto del 1926, con l'instaurazione del regime podestarile58 venne abolito per tutti
gli italiani l'espletamento del voto amministrativo; successivamente il testo unico della legge
comunale e provinciale, con regio decreto 3 marzo 1934, n.383, stabiliva nell'articolo 269 che
“le donne sono escluse dagli uffici di podestà, vice-podestà, delegato del podestà, preside,
vicepreside, rettore, amministratore di consorzi, nonché componente della Giunta provinciale
amministrativa”.59
55 M. De Leo E F. Taricone “le donne in Italia: diritti civili e politici”, Liguori Editore 1992, Napoli, p.188.
56 Luigi Ferdanzoni nato a Bologna il 27 settembre 1878,fu eletto deputato di Roma,Lazio e Umbria dalla XXIV alla XXVIIlegislatura e nel 1928 venne nominato senatore. Alla Camera sedette a destra, contribuì alla fusione del partito nazionalista con ilpartito fascista. Sotto il fascismo Ferdenzoni fu Ministro delle Colonie e degli Interni e il 30 aprile 1929 succedette a Tittoni comePresidente del Senato.
57 V. De Grazia, “Le donne nel regime fascista”, Marsilio Editori, Venezia, 1993, p.64.
58 L’istituzione del Podestà al posto della tradizionale figura del sindaco venne introdotta con la Legge n. 237 del 4 febbraio 1926 e,
inizialmente, si applicò soltanto ai comuni con popolazione sino ai 5.000 abitanti. Qualche mese dopo, con il Regio Decreto Legge n.
1910 del 3 settembre 1926, la figura del Podestà venne estesa a tutti i comuni del Regno. La riforma podestarile voleva colpire,
secondo i dettami ideologici del regime, il “falso concetto dell’autonomia locale”, ovvero l’idea che il potere locale venisse rivolto
contro lo Stato. Tuttavia era evidente che questa novità colpiva direttamente la democrazia comunale e si configurò, secondo
l’interpretazione fornita da Di Nucci, come un “momento della costruzione dello Stato totalitario”. L. DI NUCCI, Il podestà fascista.
Un momento della costruzione dello stato totalitario, in “Ricerche di Storia Politica”, n. 1, 1998, pp. 12-21.
59 E. Sarogni, 1995, op.cit.,p.140.
25
Dopo il 1925 le donne organizzate non furono più considerate un interlocutore della
politica fascista. Nel 1925-26 le donne socialiste furono disperse con annullamento del PSI e
lo stesso accadde per le militanti del partito comunista. La dittatura fascista riconosceva solo
due movimenti femminili: le organizzazioni femminili fasciste e i gruppi cattolici, le prime
sostenute e le seconde tollerate.
Alla fine degli anni Venti il regime fascista operò per una ridefinizione delle identità
maschili e femminili in base ai modelli tradizionali, cercando di eliminare anche i più piccoli
segni di cambiamento avvenuti prima della guerra.
Nel 1927 lanciò per la prima volta una campagna demografica, che segnò l'inizio di una
spiacevole regressione, interessando in modo particolare le donne, costrette nuovamente nel
ruolo di sposa e madre. Infatti, quando nel giugno del 1926 Mussolini incontrò a Venezia un
gruppo di delegate delle organizzazioni femminili del partito, diede loro il compito di
“quando tornerete alle vostre città (….) dite alle donne (che) ho bisogno di nascite, molte
nascite”.60
Questa campagna era incentrata sul tema della virilità. Mussolini voleva creare una
nuova figura maschile da imporre all'italiano, “un uomo virile, sano, robusto, efficiente – che
si completava con un immagine della femminilità ridotta alla maternità fisica”.61
L'obiettivo del Duce, rappresentato dal suo slogan “la forza sta nel numero”, stava nel
trasformare l'Italia da un Paese di quaranta milioni di abitanti in uno di sessanta milioni entro
metà secolo.62
Il discorso sull'aumento delle nascite comportò una precisa svolta nella politica sessuale
nazionale delle donne; ogni illusione e immaginazione, di poter finalmente godere di un ruolo
attivo nella creazione del nuovo ordine politico si annientò completamente.
Le italiane non dovevano soltanto affrontare l'esclusione politica (in cui il loro diritto di
partecipare era stato formalmente riconosciuto con la concessione del voto amministrativo nel
1925), ma rischiavano l'allontanamento dalla sfera pubblica poiché i loro diritti sul lavoro, il
60 G. Fusco, Le rose del ventennio, Milano, Rizzoli, 1974, pp.29-30.
61 A. Bravo, M. Pelaja, A. Pescarolo, L. Scaraffia, 2001, op.cit., p.63.
62 E. Ludwing, Colloqui con Mussolini, Verona, Mondadori, 1932, pp.165-167.
26
contributo alla cultura e persino il volontariato erano messi in discussione dal messaggio
ufficiale che il loro dovere principale era quello di procurare figli alla nazione.
Negli anni Trenta i titoli onorifici che la dittatura appiccicava alle donne erano quelli di
“mogli e madri esemplari”, “ madri di pionieri e di soldati”, “una milizia civile al servizio
dello Stato”,63 ma dal Duce venne accettato anche il punto di vista del nazionalista Roberto
Forger Davanzanti, secondo il quale le donne sono “sufficienti per un 'ora di spasso, ma non
per un epoca di calmo ed equilibrato lavoro”64.
Sempre in quegli anni il tasso di natalità italiana diminuì tanto rispetto al passato; la
prima città a subire i rimproveri di Mussolini fu Bologna in quanto c'erano “più bare che
culle”.65
Il regime fascista non riusciva ad afferrare il motivo per cui la gente non era spinta a
fare figli e fu così che nel 1926, con il pieno sostegno della Chiesa cattolica, il controllo delle
nascite fu ufficialmente proibito e l'aborto e i contraccettivi vennero messi fuori legge. Per
quanto riguarda l'aborto, nonostante le pesanti pene previste dal codice penale del 1931 (da 2
a 5 anni per chi lo procurava o aiutava e da 1 a 4 per la donna che lo praticava da sola),
restava ampiamente diffuso nel Mezzogiorno.
L'obiettivo da parte del Duce di sostenere lo sviluppo demografico lo portò a introdurre
norme protettive per le donne lavoratrici e a tutelare la maternità, ma allo stesso tempo
cercava il più possibile di limitare l'assunzione femminile. Per quanto riguarda la maternità,
la legge del 22 marzo 1934 superò tutte le precedenti misure, aumentando i sussidi. Alle
donne spettavano due mesi di aspettativa retribuita e obbligatoria, uno prima e uno dopo il
parto. Se intendevano prendere un congedo più lungo e non pagato, avevano il diritto al
mantenimento del posto di lavoro dal sesto mese di gravidanza a sei settimane dopo la
nascita, o a tre mesi nel caso delle impiegate. L'assicurazione copriva un altro mese solo in
caso di malattia connessa al parto. Erano garantite pause sul lavoro per l'allattamento fino al
compimento del primo anno di vita del bambino, e la legge obbligava le fabbriche che
63 V. De Grazia, 1992, op.cit., p. 67.
64 S. Bartoloni, Il fascismo femminile e la sua stampa: “La Rassegna femminile italiana” 1925-1930, in “Nuova DWF” 21, 1982,
p.154.
65 G. Gattei, Per una storia del comportamento amoroso dei bolognesi. Le nascite dall'unità al fascismo,in “Società e storia”, 9, 1980,
pp. 627, 628.
27
occupavano più di cinquanta donne di allestire una stanza apposita per l'allattamento
all'interno dello stabilimento. Era prevista una somma di 150 lire come premio per la nascita,
oltre ai sussidi di mancato lavoro per un ammontare complessivo di circa 400 lire
(l'equivalente di due mesi di salario medio). Nel 1938 questi sussidi, che valevano
inizialmente per le impiegate delle imprese commerciali e degli stabilimenti industriali,
furono estesi anche alle dipendenti delle imprese agricole.66
In campo economico la situazione non era delle migliori: nel 1925, con il blocco delle
emigrazioni italiane all'estero e con il crollo dei prezzi agricoli, l'offerta di manodopera sia
maschile che femminile saturò il mercato. A questo punto gli industriali furono spinti a
introdurre metodi di lavoro razionalizzati che accrescevano la produzione con ridotto impiego
di forza lavoro.67
Per ridurre l'eccessiva offerta di lavoro, il regime scelse la strada meno costosa, prima di
tutto rispedire alle città di origine i disoccupati non residenti e successivamente, ridurre
l'occupazione femminile.
Quindi il regime promosse l'occupazione maschile a scapito di quella femminile.
Inizialmente non agì in maniera troppo evidente, in quanto promuoveva misure protettive
delle madri lavoratrici che nei fatti discriminavano le donne. In seguito, attraverso delle
norme legislative e contrattuali, eliminò la manodopera femminile dal mercato del lavoro.68
Le leggi Rocco del 1926, prevedevano rappresentanze dei lavoratori e degli
imprenditori organizzate in sindacati o consigli corporativi, dichiarando fuori legge gli
scioperi.
Il corporativismo fascista69 si rivelò piuttosto dannoso per le lavoratrici poiché.
consentendo agli imprenditori di ridurre la retribuzione degli uomini, le paghe delle donne,
66 M.V. Ballestrero, Dalla tutela alla parità. La legislazione italiana sul lavoro delle donne, Bologna, il Mulino, 1979, pp 64,72.
67 P. Sabbatucci Severini – A. Trento, Alcuni cenni sul mercato del lavoro durante il fascismo, in “Quaderni storici”, 29-30, maggio –
dicembre 1975, pp.550 -78.
68 M.V. Ballestrero, 1979, op.cit., pp.58-108.
69 Il corporativismo o Sistema corporativo è una dottrina politica che vuole la rappresentanza politica in base al ruolo lavorativo.
Deriva il suo nome dalle corporazioni delle Arti e dei Mestieri che controllavano la vita cittadine in molte istituzioni comunali
nell'Italia medievale. Esso fu messo in atto durante il ventennio fascista e indicava l'insieme dei principi fissati dal regime fascista nella
Carta del Lavoro del 1927, che hanno regolato la vita economica e sindacale per tutto il periodo dittatoriale.
28
essendo già inferiori da sempre, diminuivano ancor di più. Inoltre si riduceva l'incentivo a
sostituire gli uomini con le donne. La disponibilità a lavorare da parte degli uomini, vista la
disoccupazione, ridusse la spinta alla meccanizzazione e, infine, il sistema corporativo
politicizzò la contrattazione.
I contratti nazionali legalizzavano le differenze basate sul sesso, infatti l'inquadramento
professione e le differenze salariali erano fissati in modo da annullare le condizioni di
mercato più favorevoli per le donne; questo sistema impediva alle lavoratrici di essere
rappresentate in maniera adeguata.70 A differenza dei sindacati socialisti di integrare la
manodopera marginale nel mercato del lavoro, le organizzazioni fasciste favorivano i
lavoratori che godevano di situazioni migliori. I lavoratori che venivano considerati strategici
per la dittatura erano naturalmente uomini.
I sindacati fascisti difendevano gli interessi delle donne, ma solo nella misura necessaria
per difendere il loro potere; furono favorevoli alla legge 26 aprile 1934 n. 635, che escludeva
la manodopera femminile da tutte le lavorazioni riconosciute dannose o pericolose alle
donne. La legge inoltre vietava l'assunzione di donne al di sotto dei quindici anni in mansioni
pericolose, stabiliva norme per tutelare la donna gravida, il lavoro giornaliero non doveva
superare le undici ore, introduceva dei riposi intermedi e dettava provvedimenti per la tutela
della sicurezza e dell'igiene. La legge Mussolini del 1934 non si estendeva però al lavoro
nelle risaie, che rimase regolato dal testo unico del 1907.
Al di fuori del sostegno alla legislazione protettiva, le donne erano per lo più ignorate
dai sindacalisti. Infatti a differenza dei rappresentanti socialisti, dove alcuni dei quali si erano
interessati alle leghe femminili, ai sindacati fascisti non interessava la conquista della
manodopera femminile. Di fatto, la misura in cui le donne venivano coinvolte nel sistema
corporativo, non dipendeva dall'impegno da parte dei sindacati ma da un'altra rete di
organizzazioni come le massaie rurali, le SOLD71, che accettavano il ricorso delle donne al
lavoro extradomestico per necessità, ma la loro prima mansione doveva essere quella
familiare.
70 A. Maiello, I sindacati in Europa: storia, modelli, cultura a confronto,Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2002, p. 304.
71 Sezioni operaie e lavoranti a domicilio (SOLD): organizzazione aperta non soltanto alle operaie di fabbrica e alle lavoranti adomicilio, ma anche alle mogli degli operai e agli altri membri femminili della famiglia. La sua funzione principale stava nelpromuovere la propaganda fascista ed educativa presso le operaie, assecondando il miglioramento delle loro capacità professionali edomestiche)
29
Riflettendo sulla precedente situazione femminile, ci rendiamo conto che mentre “la
civiltà industriale e urbanistica sottrae la donna al focolare e ai figli, la ruralità fa della
donna, la regina della casa e della famiglia”.72 Ma le donne di campagna la pensavano
diversamente.
Negli anni Trenta la maggior parte delle donne lavorava in campagna, nonostante i
ripetuti sforzi da parte del fascismo nel contrastare il loro lavoro. Le donne contadine erano
soggette a pesanti obblighi di lavoro imposti dall'azienda familiare guidata dagli uomini,
un'azienda in difficoltà, che doveva far rendere una piccola proprietà in un periodo in cui i
pezzi agricoli erano in forte declino. Le operaie agricole che migravano nelle campagne,
inseguendo i lavori stagionali, costituivano una macchia per il regime, e siccome non era
possibile farle sparire giocando con i dati dei censimenti, attribuì loro un diverso significato
sociale.
La figura pensata dal sistema corporativo fu quello della mondina della Val Padana e del
Delta del Po. Ogni anno, nella tarda primavera, duecento mila donne, un quarto delle quali
era sotto i ventuno anni, raggiungevano il navarese, il vercellese ecc. in camion o a piedi, per
la campagna del riso, che durava otto settimane. Si iniziava a maggio e si finiva a luglio; in
tre riprese le donne avanzavano faticosamente nel fango per seminare, trapiantare e estirpare
le erbacee.
Il sogno di molte donne di campagna era quello di trovare lavoro in fabbrica, ma
purtroppo in quegli anni diventava difficile a causa della meccanizzazione ma anche e
soprattutto per le leggi protettive che miravano a espellere le donne dal mercato del lavoro.
Rispetto al passato, infatti, nella seconda metà degli anni Trenta la sicurezza sociale delle
lavoratrici si era estesa (pensione, congedo per malattia, maternità tutelata) ma risultava
comunque una sorta di tranello.
I bassi salari, assieme alla legislazione protettiva, incoraggiavano le donne a lasciare il
lavoro alla nascita dei figli. In teoria le donne potevano stare a casa fino ai sei mesi dopo il
parto e poi rientrare, ma in molte aspettavano più a lungo. Nonostante la propaganda fascista
contro il lavoro extradomestico, cresceva sempre di più il numero delle donne che rientravano
a lavoro, ma purtroppo molte madri non tornavano al vecchio posto, perdendo così la
72 B., P., F., Wanrooij, “Mussolini, Italia rurale”,(8 dicembre 1936) in Cultura e Società negli anni del fascismo, Cordani, Milano,
1987, p.561.
30
pensione ed altre forme di previdenza.
Il cambiamento più significativo nell'occupazione femminile si ebbe nell'area del lavoro
non manuale. A partire dal 1928 il regime introdusse numerosi ostacoli sulla strada del lavoro
femminile, iniziando dai posti più elevati della pubblica amministrazione per scendere pian
piano nei livelli inferiori. Vennero fissate quote nelle assunzioni in modo da limitare
l'assunzione delle donne.
Le segretarie dovettero attendere il 1932 per il loro primo contratto di lavoro che
prevedeva: “una settimana lavorativa di quarantacinque ore, limitava gli straordinari a due
ore al giorno ( per un massimo di dodici settimanali) pagate con la maggiorazione del 15 %,
e garantiva un mese di ferie oltre alle festività natalizie. La paga mensile per le dattilografe,
centraliniste e commesse si aggirava intorno alle 300 lire”.73 Questa cifra non permetteva di
vivere decentemente, infatti molte donne esploravano il mercato dei lavori sessuali.
In seguito, la crescente burocratizzazione delle imprese industriali con lo sviluppo del
commercio aveva determinato per le donne un forte aumento dei posti di lavoro come
impiegate, dattilografe, commesse ecc. Si trattava di posti ambiti poiché erano meno faticosi
di quelli in fabbrica; le retribuzioni erano più alte e allo stesso tempo comportava uno status
sociale più alto. Si passò, quindi, dal 1921 dove le donne costituivano il 20,3 % del totale
degli addetti nel settore terziario al 27,3 % nel 1936.74
Nell'ambito della Pubblica Amministrazione particolare importanza ebbe la legge del 5
settembre 1938 n.1514 che imponeva una quota massima del 10% di donne nelle aziende
medio/grandi, pubbliche e private, escludendole completamente dagli uffici e dalle imprese
con meno di 10 addetti. Le donne già impiegate presso lo Stato, in posti in sovrannumero
venivano mandate in pensione con il minimo, mentre le donne delle aziende private, entro il
termine di tre anni, venivano sostituite da personale maschile.
L'anno dopo, il regio decreto 29 giugno 1939 n.898 stabiliva una tipologia di lavori
adatti alle donne, così da permettere l'assunzione femminile in impieghi pubblici e privati.
Nel settore pubblico erano adatti al lavoro femminile: i servizi di dattilografia, telefonia,
stenografia, statistica, stamperia , biblioteca ecc; per quanto riguarda quello privato erano
73 V. De Grazia, 1993, op.cit., pp. 263, 264.
74 Ivi, p.261.
31
adatti impieghi come, dattilografa, stenografa, annunciatrice nelle stazioni radiofoniche,
telefonista, cassiera nelle aziende con meno di dieci dipendenti.
I numerosi provvedimenti fascisti volti a limitare il lavoro extradomestico delle donne
ebbero effetto anche nel campo dell'insegnamento: molte donne, pur essendo in numero
superiore a possedere la laurea rispetto agli uomini, furono escluse dall'insegnamento nelle
superiori poiché mancava in loro una visione virile della vita e, inoltre, fu scoraggiata la loro
presenza nelle elementari dove costituivano la maggioranza del corpo insegnante. Nel regime
fascista le redini spettavano agli uomini, quindi venne imposta la figura del maestro.75 Inoltre,
per quanto riguarda la riforma scolastica, i regi decreti legge 6 maggio 1923 e 9 dicembre
1926 esclusero le donne dai concorsi per l'insegnamento nelle classi quarte e quinte degli
istituti tecnici e nelle classi del liceo, escludendole dai posti di preside.
Per tutto il ventennio fascista il lavoro esterno ed autonomo della donna era stato
fortemente penalizzato, ma l'ingresso dell'Italia nel secondo conflitto mondiale, il 10 giugno
1940, mandò all'aria l'attuazione delle leggi del '38 che escludevano le donne dal mercato del
lavoro e le riportava durante il conflitto a sostituire gli uomini nelle fabbriche e nelle
campagne per sopperire alle esigenze produttive.
1.7 Le donne italiane dalla resistenza all'emancipazione
Dal 1940 in poi il malcontento femminile cresceva sempre di più intorno ai nodi della
famiglia e del lavoro. Le operaie delle fabbriche, contadine e mondine, stanche e sofferenti
dalle condizioni a cui dovevano sottostare, si organizzarono e diventarono l'elemento
trainante dell'opposizione popolare al regime. Quindi, la partecipazione femminile alla
resistenza non avvenne soltanto da parte di una èlite intellettuale e culturale del Paese,
com’era avvenuto durante il Risorgimento, ma si trattò di un fatto diffuso, realmente di
massa.76 Queste donne sentivano che occorreva cominciare ad agire in prima persona, a
disobbedire. Volevano per una volta vivere da uomini77. La loro aspirazione di tipo
egualitario, “vivere da uomini”, coincideva con la volontà di lottare per la liberazione, come
75 A. Bravo, M. Pelaja, A. Pescarolo, L. Scaraffia,2001, op,cit., p.63.
76 La resistenza e le donne: la partecipazione femminile al movimento di Liberazione, Quinto volume,fonti di memoria, A cura della
Federazione Provinciale dei Democratici di Sinistra di Padova “Enrico Berlinguer”, p.5 Sito internet:
http://www.centrostudiluccini.it/attivita/resistenza/pdf/donne.pdf.
32
donne diverse da come le considerava il regime.
Le donne svolgevano ruoli di organizzazione e di supporto all’azione delle brigate
partigiane: si occupavano della stampa dei materiali di propaganda, attaccavano i manifesti e
distribuivano i volantini. Furono loro a raccogliere gli alimenti, trasportare e raccogliere armi,
munizioni, esplosivi, viveri, indumenti, medicinali. Svolgevano, inoltre, anche funzioni
infermieristiche, preparavano i rifugi e i nascondigli per i partigiani e rivestivano
un’essenziale ruolo di collegamento tra le brigate partigiane, organizzate in campagna, in
montagna e in città, curando il passaggio delle informazioni.78
Durante la resistenza furono molte le donne che si impegnarono nelle strutture
femminili. Tra queste strutture, un grande impegno nella lotta per la liberazione fu assicurato
dai Gruppi di difesa della donna e per l'assistenza ai combattenti della Libertà (GDD). I
gruppi si svilupparono nel 1943 per iniziativa del partito comunista, che aveva mostrato una
notevole attenzione alla condizione femminile. Ad essi aderivano donne di tutte le età,
esponenti di partiti ma anche donne che non erano politicamente inquadrate. Inizialmente la
propaganda dei gruppi si rivolgeva alle donne come madri di famiglia e alle miserabili
condizioni a cui dovevano sottostare, per poi assumere un valore politico nel momento in cui
coinvolgevano le lavoratrici per cercare di risolvere problematiche relative all'eguaglianza,
alla parità di salario ecc.
Questi gruppi organizzarono la resistenza antifascista in tutti i luoghi possibili: scuole,
fabbriche, uffici e sempre a loro si dovete l'organizzazione di molti scioperi nelle fabbriche
del nord dove erano occupate molte donne. Nei giorni che precedevano la liberazione, gli
appelli dei Gruppi si incentravano tutti sullo stesso concetto, ossia che le donne avevano
dimostrato la loro maturità contribuendo alla lotta in maniera non secondaria, e che di
conseguenza meritavano il riconoscimento politico.79
All'indomani della liberazione dell'Italia dal fascismo, il 25 aprile 1945, nelle donne era
maturata l'aspettativa di un riconoscimento, ma rimasero molto deluse in quanto vennero
77 G. Beltrami, La donna e la resistenza, in donna in cinquant'anni di lotte socialiste, 1924-1974, Partito Socialista Italiano, Circolo
De Amicis, 1974, pp.13, 20.
78 La resistenza e le donne:la partecipazione femminile al movimento di Liberazione,Quinto volume,fonti di memoria .p.6 Sito
internet: http://www.centrostudiluccini.it/attivita/resistenza/pdf/donne.pdf
79 M. Linda Odorisio, Anna Rossi Doria, Monica Turi, 1986, op.cit., p.155.
33
ricacciate negli spazi consueti del privato, dopo esser state protagoniste non secondarie della
lotta.
Mentre la guerra era ancora in corso, il decreto legislativo del 1° febbraio del 1945 n.
23, scaturito dall'accordo tra De Gasperi e Togliati, estendeva alle donne il suffragio
universale, alle stesse condizioni degli uomini. L'articolo 3 del decreto escludeva dal diritto di
voto le prostitute.80 L'esclusione delle prostitute dal diritto di voto comportava non il reale
riconoscimento tardivo di un loro fondamentale diritto, ma una discriminazione tra le donne
che erano degne del voto e donne che non lo erano. Inoltre non venne accordato alle donne
l'elettorato passivo, cioè il diritto di essere elette oltre che di votare, ma si ovvierà a questo
l'anno dopo con il D.L.L. 1 Marzo '46 n. 74, che riconosceva alle donne tale diritto.
Le italiane cominciarono ad esercitare il diritto di voto a partire dalle elezioni
amministrative che si tennero in tutta la Penisola fra marzo e aprile 1946. Il 2 giugno dello
stesso anno si recarono di nuovo alle urne per il referendum monarchia - repubblica e
l’elezione dell’Assemblea Costituente. Le donne elette furono 21 su 556 membri: 9
democristiane, 9 comuniste, 2 socialiste, 1 qualunquista.81
Fondamentali per la condizione femminile fu l'articolo 3 della Costituzione che
stabilisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso...” e gli articoli 29, 30, 31 che riconoscono “l'eguaglianza morale
e giuridica dei coniugi nella famiglia, società naturale fondata sul matrimoni”;
L'articolo 51 della Costituzione sancisce, inoltre “il diritto delle donne di accedere agli
uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti
dalla legge”.82
A continuare ad insistere sulla restaurazione della famiglia tradizionale e ad avere un
atteggiamento conservatore nei confronti della donna era la chiesa cattolica. Infatti il
pontefice Pio XII, in diversi appelli e discorsi fatti in quegli anni, pronunciava sempre le
80 M. R. Cutrufelli, E. Doni, P. Guaglianone, E. Giannini Belotti, R. Lama, L. Levi, L. Lilli, D. .Maraini, C. Ravaioli, L .Rotondo, M.
Saba, C. di San Marzano, M. Serri, S. Tagliaventi, G. Turnaturi, C. Valentini, 2001, op.cit., p.139.
81 F. Pieroni Bortolotti, 1987, op,cit, p.273.
82 E. Sarogni, 1995, op.cit., pp. 152, 155.
34
stesse parole, “che cos'è la donna, se non l'aiuto dell'uomo?”83
1.8 Dal secondo dopo guerra agli Anni '60
Il periodo che va dal dopoguerra agli anni sessanta non comportò grandi cambiamenti
rispetto al ventennio fascista per quel che riguarda il ruolo della donna. Il progressivo
aumento dei salari riportò la donna alla dedizione esclusiva della casa e la nuova tecnologia
le permise di ridurre la fatica, ma comunque ricadeva sempre su di lei la cura e l'educazione
dei figli.
I partiti di sinistra si impegnarono tanto per l'eguaglianza fra i sessi. Da ricordare la
legge 26 agosto 1950, n. 860 proposta da Teresa Noce84 sulla “Tutela fisica ed economica
delle lavoratrici madri” introduceva “il divieto di licenziamento dall’inizio della gestazione
fino al compimento del primo anno di età del bambino; il divieto di adibire le donne incinte
al trasporto e al sollevamento di pesi ed altri lavori pericolosi, faticosi o insalubri; il divieto
di adibire al lavoro le donne nei tre mesi precedenti il parto e nelle otto settimane successive
salvo possibili estensioni. Viene garantita l’assistenza medica al parto, periodi di riposo per
l’allattamento nonché il trattamento economico durante le assenze per maternità”.85
Sul piano lavorativo femminile vennero introdotte le leggi:
• 22 maggio 1956, n. 741 “Ratifica ed esecuzione delle Convenzioni numeri 100, 101 e
102 adottate a Ginevra dalla 34ª e dalla 35ª sessione della Conferenza generale
dell’Organizzazione internazionale del lavoro”. Legge sulla parità retributiva, che ha
reso esecutiva la convenzione O.I.L. n. 100 del 195186 ;
• 27 dicembre 1956, n. 1441 “Partecipazione delle donne all’amministrazione della
giustizia nelle Corti di assise e nei Tribunali per i minorenni”87;
83 M. R. Cutrufelli, E. Doni, P. Guaglianone, E. Giannini Belotti, R. Lama, L. Levi, L. Lilli, D. .Maraini, C. Ravaioli, L. Rotondo, M.
Saba, C. di San Marzano, M. Serri, S. Tagliaventi, G. Turnaturi, C. Valentini, 2001, op.cit., p.149.
84 Teresa Noce: partigina, politica e antifascista italiana.85 Le leggi delle donne che hanno cambiato l'Italia, Fondazione Nilde Iotti , p. 17. Tratto da sito
web:http://www.fondazionenildeiotti.it/docs/documento4338870.pdf
86 Ibidem.
87Ibidem.
35
• 3 marzo 1958, n. 264 “Tutela del lavoro a domicilio”88;
• 9 gennaio 1963, n. 7 “Divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di
matrimonio e modifiche alla legge 26 agosto 1950, n. 860: “Tutela fisica ed
economica delle lavoratrici madri”. Abolisce le “Clausole di nubilato”, vale a dire
qualsiasi genere di licenziamento delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio,
clausole che erano frequenti nei contratti di lavoro, prima dell’approvazione della
legge n. 789;
• 5 marzo 1963, n. 389 Pensione alle casalinghe90;
• 9 febbraio 1963, n. 66 che afferma “il diritto delle donne ad accedere a tutte le
cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli,
carriere e categorie senza limitazioni concernenti le mansioni o i percorsi di
carriera”91;
Tra gli anno '50 e '60 aumenta il numero delle studentesse negli istituti superiori e nelle
università e si allarga la possibilità di estendere gli incontri con l'altro sesso, fuori dal
controllo dei famigliari. La maggiore diffusione della cultura e della scolarizzazione tra le
donne diede un nuovo impulso alla lotta per l’emancipazione. Nel '68 scoppiarono le proteste
e tra i manifestanti erano presenti molte ragazze, molte di esse studiavano, altre facevano
carriera e questo era segno di una forte evoluzione per la condizione femminile. Le proteste
studentesche segnarono una svolta comportando un mutamento dei rapporti personali tra gli
individui, ma non cambiarono le relazioni tra i sessi. Le donne manifestarono la loro
indignazione nelle piazze verso una mentalità ancora sessista e retriva, esse intuirono che
qualcosa non funzionava a livello dell’identità sessuale femminile. I movimenti del '68
diedero importanti contributi a tutte le battaglie civili degli anni Settanta, un contributo
significativo, per esempio, nella conquista dello Statuto dei lavoratori, nella battaglia sul
divorzio e sull'aborto, ha prodotto, come effetto indotto, la nuova legislazione sulla scuola e
l'università.
88 Ibidem.
89 Ibidem.
90 Ibidem.
91 Ibidem.
36
1.9 Anni '70 ,'80 e '90
Anche negli anni Settanta continua ad aumentare l'accesso delle donne nelle scuole
secondarie e università, in misura relativamente maggiore che per gli uomini. Anche nel
lavoro la partecipazione femminile aumenta per tutte le classi di età. Nel corso di questi anni
si formava una generazione di donne che sperimentava condizioni di vita nettamente diverse
da quelle della generazione precedente: infatti, la “casalinga” che agli inizi degli anni Settanta
era ancora la figura femminile prevalente, con l'andar del tempo diventa una figura
minoritaria fra le donne giovani e adulte (entro i 40 anni). 92
Nella seconda metà degli anni Settanta si delineavano delle grandi trasformazioni. Si
iniziò a parlare di “doppia presenza femminile”, che indicava un intreccio continuo fra
esigenze lavorative e domestiche, e non più una separazione o meglio opposizione tra i due
concetti in base al sesso. Questo intreccio ha permesso alle donne di sfuggire alla figura
tradizionale di casalinga e madre e costruire in prima persona la propria immagine sociale
come donna emancipata. La prima conquista legislativa all'inizio degli anni '70 fu la legge 1°
dicembre 1970, n. 898, “Disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio” ha introdotto il
divorzio nella legislazione italiana. Prima dell'emanazione di questa legge, non erano previste
cause di scioglimento del matrimonio diverse dalla morte di uno dei coniugi.93
La mobilitazione del 6 dicembre 1975 segnò l'esplosione del femminismo a livello
nazionale, dove si definirono nuove realtà. Oltre alle donne lavoratrici che formarono
collettivi autogestiti nei luoghi di lavoro, si verificò anche una notevole immissione di
studentesse delle scuole medie superiori, la cui adesione inaugurava un nuovo periodo.
Da una parte c'erano le femministe storiche che si sentivano le uniche depositarie del
vero sapere femminista, chiedendo alle altre di uniformarsi al loro cammino, ai loro strumenti
e al loro giudizio. Dall'altro c'erano invece le giovani, che oscillavano tra il bisogno di avere
dei ruoli guida, che attribuivano appunto alle femministe storiche e il rifiuto di atteggiamenti
leaderistici, che sembravano prevaricarle. Questa incapacità da parte delle diverse
componenti di confrontarsi, impedì di lavorare e crescere sulle differenze.
92 A. Bravo, M. Pelaja, A. Pescarolo, L. Scaraffia, 2001, op.cit., p.73.
93 P. Alfieri, G.G. Ambrosini, 1975, op.cit., p.211.
37
Dal 1974 al 1978, il vero e proprio punto focale della mobilitazione femminista e il
principale momento di aggregazione fu la battaglia per la liberazione dell'aborto ottenuta con
la legge 22 maggio 1978, n. 194 “Norme per la tutela sociale della maternità e
sull’interruzione volontaria della gravidanza”.94
Dal punto di vista lavorativo, l'occupazione femminile aumentava nell'industria pur non
essendo estremamente rilevante. Ciò risultava un elemento contraddittorio rispetto
all'andamento sfavorevole della produzione e dell'occupazione industriale in questi anni
(circa 150 mila donne in più nel periodo 1973-76). 95
Alla fine degli anni '70 venne approvata una legge che produsse i suoi effetti nel
decennio successivo: fu la legge 903/1977 denominata Parità di trattamento tra uomini e
donne in materia di lavoro che vietava qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto
riguarda l’accesso al lavoro, la retribuzione e la carriera.96
Negli anni '80 si ha un'esplosiva emancipazione delle donne che avviene attraverso
l'imponente ingresso nel mondo del lavoro, che iniziò a configurarsi con un ingresso
duraturo, sempre meno condizionato dal matrimonio e dalla nascita del primo figlio. Si fa
strada un percorso di vita non più diviso nelle fasi: studio, lavoro, pensione, bensì
caratterizzato dall' intreccio di periodi di lavoro, periodi di non lavoro, tempi da dedicare alla
formazione, alla vita dei figli o agli impegni sociali. Quindi aumentava sia la domanda che
l'offerta di prestazioni parziali che si affiancavano a quelle a tempo pieno.97
Nel 1983, sul piano legislativo, la Corte costituzionale stabilì la parità tra padri e madri
circa i congedi dal lavoro per accudire i figli. La legge 29 dicembre 1987, n. 546 comportò
“L'indennità di maternità per le lavoratrici autonome”.98
Negli anni '90, a promuovere azioni positive99 per la realizzazione della parità donna -
94 M. R.Cutrufelli, E. Doni, P. Guaglianone, E. Giannini Belotti, R .Lama, L. Levi, L. Lilli, D. Maraini, L.Rotondo, M. Saba, C. diSan Marzano, M. Serri, S. Tagliaventi, G. Turnaturi, C. Valentini, 2001, op.cit., p.343.
95 R. Fontana, Il lavoro di genere, Carocci Editore, Roma, 2002, p.22.
96 Turco. L., Cicconi, E., Casareggio, T., Le leggi in ordine cronologico 1950-2011,Tratto da sito web:http://www.emmafattorini.it/donne.aspx.
97 Provincia autonoma di Trento- Agenzia del lavoro, Le caratteristiche della partecipazione femminile al mercato del lavoro e lecondizioni segreganti dell'occupazione, Trento, gennaio 1992, p.25.
98 Le leggi delle donne che hanno cambiato l'Italia, Fondazione Nilde Iotti , p. 17. Tratto da sito
web:http://www.fondazionenildeiotti.it/docs/documento4338870.pdf ,p. 18.
38
uomo nel mercato del lavoro, fu la legge 10 Aprile 1991 n.125.
Due anni dopo vennero introdotti degli incentivi per le donne imprenditrici con la legge
25 febbraio 1992 n. 215 con la quale si istituì presso il Ministero dell'Industria un fondo
nazionale per l'imprenditoria femminile.100
Con la legge 25 marzo 1993 n. 81 per la prima volta vennero introdotte le “quote rosa”
in merito alle elezioni dei rappresentanti degli enti locali,101 ma fu annullata dalla Corte
Costituzionale nel 1995.
In questi anni ci furono profondi cambiamenti nel rapporto tra donna e lavoro. Mentre
in passato le donne avevano minori aspirazioni, un livello di istruzione più basso rispetto a
quello degli uomini e il lavoro era vissuto per lo più come una esperienza transitoria, con
l'andar del tempo, le loro aspettative sono cresciute sempre di più con l’intenzione di non
abbandonare il lavoro prima di aver maturato la pensione. Per quanto riguarda i tassi di
attività delle donne aumentarono sistematicamente, mentre quelli degli uomini rimanevano
costanti. A favorire l'aumento dell'occupazione femminile in quegli anni, è stata la presenza
di forme di lavoro flessibile come il part-time.
La crescita dell'occupazione femminile aveva maturato nelle donne la capacità di essere
più ambiziose e di intraprendere una carriera perché iniziavano ad intravedere
quell'opportunità che non avevano mai visto prima. Le donne aspiravano quindi all'accesso a
professioni qualificate che richiedevano un elevato titolo di studio e una buona capacità
relazionale, in modo tale da ridurre lo svantaggio differenziale rispetto all'altro sesso.
Però, quando si parlava di carriera le donne non avevano le stesse opportunità degli
uomini, ma si cercava di affidarle o collocarle in ruoli e professioni con minore autorità e
prestigio, a cui generalmente veniva associato un basso reddito. Era come se dovessero
acquisire ancora quella fiducia che agli uomini attribuivano le aziende/organizzazioni, perché
già conoscevano le regole del gioco e risultavano per cultura e natura meno vincolati.
99 Le azioni positive riguardano la formazione scolastica e professionale, l'accesso al lavoro, la carriera,l'equilibrio tra responsabilitàprofessionali e familiari e la promozione dell'inserimento delle donne nelle professioni e nelle attività dove sonosottorappresentate , nei settori tecnologicamente avanzati e ai vari livelli di responsabilità.
100 Arpenti – Dello Russo – Nappi – Ponticelli, Impresa Donna si può?, CUEN, Napoli, 1992. p. 111.101 “Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale” La legge
stabilisce che il 30% dei candidati nelle liste per le elezioni amministrative siano donne.
39
1.10 Le donne del terzo millennio e carriera dirigenziale
Negli ultimi decenni l'occupazione femminile è cresciuta in maniera considerevole
rispetto a quella maschile e, inoltre, ci sono stati intensi mutamenti delle identità di genere.
Tale crescita è frutto di un mix di fattori, quali le congiunture economiche favorevoli, la
maggiore partecipazione delle donne ai tavoli dell'istruzione, l'aumento della domanda del
lavoro nel settore dei servizi. Inoltre l'avanzamento culturale ha permesso alle donne di essere
accettate legittimamente come forze attive nel mercato del lavoro, al di là della loro
essenziale funzione familiare. Dunque oggi le donne guadagnano spazio e visibilità nella vita
sociale, grazie in primo luogo alla capacità di produrre reddito in modo autonomo. Tutti
questi fattori positivi hanno comportato dei cambiamenti profondi: esse risultano sempre più
propense a conquistare ruoli crescenti nel mercato del lavoro, nonostante la piena
consapevolezza che la strada è in salita e non è priva di costi.
Sebbene oggi il numero delle donne laureate e altamente qualificate superi quello degli
uomini, esse hanno sempre maggiore difficoltà a ricoprire cariche di responsabilità in
azienda nel lungo periodo e vengono retribuite in maniera inferiore rispetto ai colleghi
maschi.102
Tra i principali interventi legislativi per la tutela delle donne nel lavoro si susseguono :
• Decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151 “Testo Unico delle disposizioni legislative in
materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della
legge 8 marzo 2000 n. 53”103;
• Legge costituzionale 30 maggio 2003 n. 1 “Modifica dell’art. 51 della Costituzione”.
L’art. 51 della Costituzione che recita «Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso
possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizione di
eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge» viene modificato, con l’aggiunta:
«A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità
tra donne e uomini».
• Decreto costituzionale 9 luglio 2003, n. 216 “Attuazione della direttiva 2000/78/CE
102 L. Aiello, M. Iannotta, Sviluppo&Organizzazione, Donne e Lavoro in Italia, Marzo/Aprile 2014.103 Testo Unico raccoglie le disposizioni contenute in oltre 25 norme ordinando tutta la materia a tutela della maternità e paternità.
Vengono sistematizzate le norme vigenti sulla salute della lavoratrice, sui congedi di maternità, paternità e parentali, sui riposi e permessi, sull’assistenza ai figli malati, sul lavoro stagionale e temporaneo, a domicilio e domestico, le norme di cui usufruiscono le lavoratrici autonome e le libere professioniste.
40
per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”104;
• Legge 17 ottobre 2007, n. 188 contro le dimissioni in bianco.105 Tale legge è stata
abrogata a pochi mesi dalla sua entrata in vigore dall’art. 39, comma 10, lettera E del
DL 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazione dalla legge 6 agosto 2008, n.
133 (Governo Berlusconi);
• La legge 22 dicembre 2011 n. 214 di istituzione del Fondo per il finanziamento di
interventi a favore dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione
giovanile e delle donne. Secondo tale disposizione, infatti, sono stati stanziati alcuni
incentivi per l'assunzione delle donne, potenziati successivamente dalla c.d. legge
Fornero (Legge del 28 giugno 2012 n.92).
Accanto all'intervento delle politiche, volte alla maggiore integrazione delle donne nella
vita economica e sociale del Paese, rimane ancora oggi il fatto che le culture aziendali a loro
volta portano l’impronta della dimensione di genere (oltre a subire l’influenza, ora più ora
meno marcata, degli stereotipi che al genere si richiamano). Le immagini delle donne
dirigenti che esse costruiscono, i modelli di riferimento che propongono al proprio
management, i valori che diffondono, continuano a indicare una primazia maschile al loro
interno. Quindi le donne dirigenti che definiscono la loro identità professionale nell’ambito di
culture profondamente segnate da tale dominanza, non possono che faticare doppiamente per
avere una rappresentazione di se in termini valorizzanti. A queste difficoltà si somma il
carattere problematico della pratica odierna della “doppia presenza”.
Grazie all’impegno delle On.li Lella Golfo e Alessia Mosca nel creare, un contesto più
favorevole per l'ascesa delle donne ai vertici aziendali, il 12 agosto 2011 è entrata in vigore
la legge 120/2011 sulle quote di genere nei consigli di amministrazione delle società
pubbliche e delle società quotate. Lo statuto prevede che “il riparto degli amministratori da
eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi. Il genere
meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti. Tale criterio di
riparto si applica per tre mandati consecutivi. Qualora la composizione del consiglio di
amministrazione risultante dall'elezione non rispetti il criterio di riparto previsto dal
104 Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216: Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia dioccupazione e di condizioni di lavoro, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2003,http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/03216dl.htm
105 http://www.parlamento.it/parlam/leggi/07188l.htm
41
presente comma, la Consob diffida la società interessata affinché si adegui a tale criterio
entro il termine massimo di quattro mesi dalla diffida. In caso di inottemperanza alla diffida,
la Consob applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100.000 a euro
1.000.000, secondo criteri e modalità stabiliti con proprio regolamento e fissa un nuovo
termine di tre mesi ad adempiere. In caso di ulteriore inottemperanza rispetto a tale nuova
diffida, i componenti eletti decadono dalla carica. Lo statuto provvede a disciplinare le
modalità di formazione delle liste ed i casi di sostituzione in corso di mandato al fine di
garantire il rispetto del criterio di riparto previsto dal presente comma..........Le disposizioni
del presente comma si applicano anche alle società organizzate secondo il sistema
monistico".106 Si tratta di una legge importante perché stabilisce che il 20% dei posti
disponibili negli organi di amministrazione e controllo (tipicamente consigli di
amministrazione e collegi sindacali) sia riservato al genere meno rappresentato, cioè sempre
quello femminile, permettendo così di equilibrare le rappresentanze di genere negli organi di
governo e di controllo – consigli di amministrazione e collegi sindacali – delle società quotate
(quindi poche –300 circa– ma grandi, rispetto alla quantità di micro, piccole e medie imprese
che costituiscono la maggioranza delle imprese italiane, a cui certo vanno aggiunte le circa
6.500 tra controllate e partecipate pubbliche).107 Le società dirette interessate saranno
chiamate ad allinearsi in occasione del primo rinnovo degli organi, in genere di durata
triennale. Dal 2015, invece, l’incidenza femminile dovrà salire a un terzo (anche in questo
caso si concede tempo fino alla scadenza degli organi) mentre nel 2022 la legge Golfo-Mosca
esaurirà la propria efficacia.108 La legge ha, dunque, una validità temporale di dieci anni,
entro i quali si cercherà di rimuovere gli ostacoli che sinora hanno limitato l’accesso delle
donne a ruoli di comando, favorendo un processo di rinnovamento culturale a supporto di una
maggiore meritocrazia e di opportunità di crescita.109
Al fine di potenziare l'accesso delle donne alle posizioni di vertice e di agevolare la
conciliazione tra famiglia e lavoro, viene introdotto, per la prima volta “il congedo di
paternità obbligatorio” (L’articolo 4, comma 24, lettera a, della legge 28 giugno 2012 n.92)
pari ad un solo giorno lavorativo da utilizzare entro i cinque mesi del figlio e un congedo
106 www.cittastudi.org/flex/cm/pages/...php/L/.../BLOB%3AID%3D4416 107 http://mainograz.com/2012/12/04/spazio-alle-donne-la-legge-golfo-mosca-legge-1202011/108 http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/12/quote-rosa-legge-golfomosca-aziende-quotate-pubbliche/324460/109 http://www.diritto24.ilsole24ore.com/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2012/03/la-legge-1202011-golfo-mosca-sulle-
quote-rosa-effetti-e-conseguenze.php
42
facoltativo di due giorni da usufruire in alternativa alla madre (a dispetto delle
raccomandazioni europee di istituire un congedo obbligatorio di circa quindici giorni).110
Il congedo di maternità obbligatorio111 in Italia, è più lungo rispetto agli altri paesi
europei, mentre il congedo parentale è più breve, meno retribuito e poco condiviso con i
padri; Inoltre per quanto riguarda il lavoro part - time in Italia, considerata la dimensione
mediamente piccola delle imprese, è ancora sottoutilizzato è determina alti costi
organizzativi; la disponibilità di posti negli asili nido per i bambini inferiori di tre anni è
poco più elevata del 10% contro il 33% dell'agenda di Lisbona.112
Mercoledì 3 dicembre, dal governo di Matteo Renzi, è stato approvato il Jobs Act, ossia
la legge delega per la riforma del lavoro. Il job act prevede: “varie disposizioni, volte ad
ampliare e rafforzare il diritto di precedenza delle donne in congedo di maternità per le
assunzioni da parte del datore di lavoro, nei 12 mesi successivi, in relazione alle medesime
mansioni oggetto del contratto a termine. A tale riguardo si prevede che ai fini
dell’integrazione del limite minimo di 6 mesi di durata del rapporto a termine (durata
minima che la normativa vigente richiede per il riconoscimento del diritto di precedenza)
devono computarsi anche i periodi di astensione obbligatoria per le lavoratrici in congedo di
maternità. Si prevede, altresì, che il diritto di precedenza valga non solo per le assunzioni
con contratti a tempo indeterminato (come già previsto dalla normativa vigente), ma anche
per le assunzioni a tempo determinato effettuate dal medesimo datore di lavoro. Infine, si
stabilisce che il datore di lavoro ha l’obbligo di richiamare espressamente il diritto di
precedenza del lavoratore nell’atto scritto con cui viene fissato il termine del contratto”.113
Dal quadro legislativo, emergono dei passi in avanti rispetto al passato per quanto riguarda la
condizione delle donne in ambito lavorativo; inoltre oggi le donne hanno molte possibilità di
scelta, sono attratte dalla carriera, dai mille stimoli che il mondo offre, sono molto più libere
di prima nel perseguire la loro realizzazione personale e professionale.114 Anche se il percorso
110 www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=5804111 Il congedo di maternità è il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice. La durata complessiva del congedo di
maternità è pari a 5 mesi e può essere fruito durante i due mesi precedenti la data presunta del parto;ove il parto avvenga oltre taledata, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; durante i tre mesi successivi al parto. Oppure:unmese precedente il parto; e quattro successivi (per poter lavorare fino all’ottavo mese completo di gestazione, la lavoratrice deveottenere un’attestazione medica dalla quale risulti che tale scelta non arrechi danno alla salute del nascituro e/o della gestante.Tratto dal sito web www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=5804 )
112 L. Aiello, M.. Iannotta, Sviluppo&Organizzazione, Marzo e Aprile 2014, p.36.113 http://www.camera.it/leg17/465?tema=1055&+D.L.+34%2F2014+-+Jobs+act114 P .Paoli, Donne che cambiano: carriera, famiglia, qualità della vita e storie vere, Franco Angeli, Milano, 2007, p. 21.
43
è ancora lungo e la fatica a sfondare il tetto di cristallo115 è ancora evidente, si è verificato
negli ultimi anni una maggiore considerazione nelle aziende della figura della manager
donna. Si ha la speranza che questi passi in avanti portino a formare le nuove generazioni,
alla parità praticata e non solo predicata, si attende quindi, un vero e proprio cambiamento
culturale della nostra società che sia susseguito da un cambiamento della cultura interna
all'azienda, in modo tale da“Garantire pari opportunità alle donne e agli uomini non solo
per una cosa giusta da fare, ma anche per una strategia economica vantaggiosa”.116
115 Barriera invisibile che impedisce alle donne e alle minoranze di accedere alle posizioni di responsabilità nelle organizzazioni nellequali lavorano. Secondo l’immagine del “soffitto di cristallo” le donne guardano in alto e non vedono ostacoli, perché l’atmosferaparitaria che sembra regnare nell’ambiente di lavoro appare ispirata a una competizione aperta.
116 Il Rapporto dell’ILO Global Employment Trends for Women 2012, http://www.rassegna.it/articoli/2012/12/11/95087/la-crisi-allontana-le-donne-dal-lavoro
44
CAPITOLO 2
DONNE MANAGER IN AZIENDA : CULTURA ORGANIZZATIVA E
DIFFERENZE DI GENERE
2.1 L'evoluzione della figura manageriale
Nel nostro Paese il manager tradizionale è l'amministratore o dirigente di un'azienda o
di un'impresa, generalmente uomo, che ordina, coordina, organizza e controlla i dipendenti in
modo che, attraverso comportamenti organizzativi spesso standardizzati e ripetuti, si possa
arrivare ai risultati operativi previsti dai programmi.117 Tutto questo è tipico di una struttura
gerarchico-autoritaria che impone un sistema organizzativo a piramide, stabilendo legami in
verticale tra il vertice e la base dell'organizzazione, progettati al fine di controllare la stessa. I
dipendenti dei livelli inferiori devono svolgere attività coerenti con gli obiettivi dei livelli
superiori e, pertanto, gli alti dirigenti devono essere a conoscenza delle attività e dei risultati
relativi ai loro dipendenti.118 Questi ultimi devono limitarsi ad eseguire senza discutere: ne
consegue che il morale è basso e la produttività risulta molto scarsa.119
Ancora oggi, nonostante viviamo in un'era di innovazione, alcuni manager, in
minoranza rispetto al passato, sono legati ad un modus operandi di tipo tradizionale (dirigono
allo stesso modo dei loro predecessori che a loro volta dirigevano) perché nella loro testa vige
ancora un vecchio stile di management, ossia quello a piramide che in meno di un secolo ha
arricchito il suo vocabolario con parole come profitto, gerarchia, superiori, subordinati, capo
(rappresentato sempre da un uomo), dipendenti ecc.120
Grazie a una ricerca condotta dal Centro di formazione management del terziario (Cfmt)
è stato dimostrato che, sebbene molte imprese ancora non siano pronte, qualcosa si sta
muovendo: è risultato infatti che il 70,8% delle aziende italiane è ancora strutturato secondo
un modello top down,121 mentre quasi il 30% si è evoluto organizzandosi diversamente.122
117 L. Marastoni, Essere Manager, Franco Angeli Editori, Milano, 2005, p. 83118 Richard L .Daft ,Organizzazione aziendale, Apogeo,Milano, 2010, p.81119 Ron Moss – Fraser Collard, Manager o Leader? TecnaEditrice, Roma, 2009, p.43120 T. Bialas, “L'Unboss è il Capo che comanda” rivista Dirigente n. 10,Novembre/2011,
http://www.cfmt.it/images/Contenuti/Materiali/Dirigente-Unboss.pdf121 Strategia gestionale che caratterizza modelli organizzativi di imprese o strutture tecnico- burocratiche, nelle quali il
flusso delle informazioni e delle decisioni si trasmette dal vertice alla base della gerarchia amministrativa.122 D. Autieri, “Il manager guida ma non comanda”, La Repubblica.it, 07/05/2012,
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/05/07/il-manager-guida-ma-non-comanda.html
45
Questo 30% è rappresentato da organizzazioni dove la piramide gerarchica è venuta meno,
poiché si sono rese conto, pur lentamente, che la loro produttività è di gran lunga maggiore
quando vi è collaborazione.
In queste aziende dove è presente un nuovo stile di management, il manager è
considerato come un realizzatore, ossia colui che mira al raggiungimento degli obiettivi
operativi che il sistema organizzativo richiede, attraverso la collaborazione, la condivisione,
l'apertura, l'interdipendenza e l'integrità, creando le condizioni affinché i suoi dipendenti
abbiano la possibilità di crescere. Quindi il manager contemporaneo, oltre a garantire un
certo livello di produzione e assicurare il lancio di un prodotto in base all'organizzazione in
cui opera attraverso la collaborazione di altre persone, è anche formatore, ossia deve mettere i
suoi collaboratori nelle condizioni, a prescindere dal sesso, di migliorare le proprie
competenze professionali per aspirare così ad un avanzamento di carriera. Questo è possibile
attraverso l'affiancamento, che prevede una prima fase di spiegazione, dove il
manager/formatore motiva gli allievi all'apprendimento, verifica il loro livello di conoscenze
e da un'idea del percorso operativo e delle fasi in cui si articola; una fase di dimostrazione,
ove viene mostrato agli allievi come va fatto il lavoro; infine l'esame finale con lo scopo di
permettere agli allievi/collaboratori di dimostrare quanto valgono e quali sono le loro
capacità. Il manager/formatore offre delle occasioni per far crescere i collaboratori, ad
esempio attraverso l'introduzione di nuove tecnologie, di nuovi meccanismi operativi,
l'inserimento di un nuovo collaboratore o il cambio di ruolo dei collaboratori per esigenze
organizzative, che richiedono nuovi e più elevati livelli di conoscenza, permettendo così alla
persona, attraverso la formazione, di crescere professionalmente. Da alcuni anni si sta infatti
assistendo, indipendentemente dal tipo di organizzazione, a un progressivo incremento della
“mobilità” dei manager attraverso settori completamente differenti; ad esempio un fenomeno
che in passato era esclusivo ai top executive delle grandi multinazionali, che passavano con
successo dal food, alla telefonia, all’abbigliamento ecc., oggi inizia a riguardare un po tutti.123
Per il manager/formatore, formare i suoi collaboratori per svolgere il più autonomamente
possibile le attività aziendali, significa prima di tutto considerare un possibile incremento
delle dimensioni aziendali, guardare al futuro incentivando la crescita dell'azienda e creando
una struttura organizzativa interna adatta a questo cambiamento.
123 Rivista DIRIGENTE, “Manager oggi:la parola ai protagonisti”, 7-8/2009, p.30http://www.manageritalia.it/content/download/Informazione/Giornale/Luglio_Agosto_2009/30.pdf
46
Protagonisti, nel bene o nel male, di questa nuova realtà sono i manager che hanno
capacità di leadership, ossia la capacità di influenzare i membri di una realtà organizzativa, al
fine di far conseguire loro un determinato obiettivo, spiegando gli scopi, fornendo i mezzi per
raggiungerli e facendo leva sulle motivazioni. Lo scopo della leadership è, dunque, quello di
massimizzare la disponibilità degli individui a perseguire gli scopi dell'organizzazione con
senso del dovere, della professionalità, ma anche con soddisfazione.124
Tra leader e manager c'è differenza: il leader può anche essere manager mentre un
semplice manager, anche se è un buon manager, può non riuscire ad essere leader125. Il leader,
dall'inglese to lead, è colui che sa guidare, condurre, valorizzare, motivare un gruppo di
persone verso il raggiungimento degli obiettivi, lavorando con i componenti dello stesso per
perseguirli126; ha una visione ampia del futuro e si muove verso di esso, si occupa del cosa e
del perché, pensa in termini di innovazione e di sviluppo, da fiducia ai collaboratori, apprezza
i loro sforzi, privilegia l'informalità. Il manager invece ha una visione focalizzata, si occupa
del come, punta al controllo, cerca la stabilità, chiede fiducia, pianifica eventi, privilegia il
formale e gestisce il presente. Il leader ha la vocazione e la forza di generare il cambiamento,
il manager ha la capacità e la disponibilità di gestire il contingente.127
Una caratteristica fondamentale che si sta riscontrando nei nuovi manager è la loro
capacità di riuscire a bilanciare, di volta in volta, in funzione del proprio ruolo specifico e del
livello gerarchico, la dose di leadership e la dose di managerialità. A tal proposito è inoltre
importante sottolineare quanto asserito da Manageritalia e Kilpratick a seguito di una ricerca
realizzata nel 2014, sul fatto che “le nuove generazioni di manager, i quarantenni di adesso,
hanno sicuramente una maggior apertura di coloro che hanno solo dieci anni di più”. Ne
consegue che il manager/leader è fortemente orientato agli obiettivi e alla missione del
progetto, pertanto l'insieme delle due cose deve diventare la sua visione. Considerato che è
orientato alla visione dei risultati e agli interessi di importanti gruppi (clienti, dipendenti,
azionisti), non abbandonerà mai la sua visione, soprattutto nei momenti critici in cui i suoi
collaboratori disperano di realizzare i risultati previsti. Affinché sia possibile fare questo, il
manager deve ascoltare prima di tutto i suoi collaboratori e comunicare la propria visione,
124 M. Giannini, Stili e tipologie di leadership, Seminario di leadership. Accademia Navale di Livorno, 26/09/2011, p.5125 Ron Moss – Fraser Collard, op.cit, p.10126 M. Giannini, op.cit, p.4127 R., M. L. Varvelli, “Tu sei leader o manager?”, rivista Management, giugno/2005, p.6
http://www.manageritalia.it/content/download/Informazione/Giornale/Giugno_2005/pag_16.pdf
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spronandoli ad adottarla per raggiungere gli obiettivi del progetto.
Pertanto, nonostante le funzioni del manager tradizionale quali controllare, pianificare,
coordinare, organizzare siano ancora oggi molto importanti per mandare avanti un'azienda, il
tempo e le trasformazioni intervenute ed in corso ne hanno reso più flessibili i contenuti,
necessitando così di aggiornare il vocabolario delle funzioni manageriali:
• il nuovo manager oggi gestisce i suoi collaboratori, creando un team affiatato di
persone competenti che collaborano tra di loro e con lui in prima persona, in modo da
raggiungere gli obiettivi della propria organizzazione. Affinché questo avvenga, tutti devono
possedere un alto livello di intelligenza sociale, ossia la capacità di interpretare e gestire le
relazioni interpersonali (Goleman, 2001). Nelle imprese moderne, infatti, qualsiasi risultato
viene raggiunto in modo collaborativo, non lasciando più posto ai geni solitari.128
• La funzione di controllo: tipica della cultura tradizionale dove il capo esercita il
controllo sulle attività da svolgere e sulle persone incaricate129. Oggi questa azione si è
trasformata da disciplina di comportamento a verifica che i risultati dell'impegno dei propri
collaboratori corrispondano agli obiettivi prefissati. È un'evoluzione che passa attraverso una
responsabilizzazione dei collaboratori, instaurando un clima di fiducia e incoraggiando il loro
spirito di iniziativa, coinvolgendoli nei processi decisionali che influenzano le loro
prestazioni e la loro crescita. Tutto questo implica un atteggiamento di supporto da parte del
manager nell'aiutare e comprendere (empatia) i collaboratori a orientare il loro impegno verso
l'ottimizzazione dei risultati.130
• La pianificazione: è un processo di natura deduttiva, mediante il quale il manager
tradizionale, dopo aver analizzato la situazione di partenza e della sua prevedibile evoluzione,
fissa determinati obiettivi, secondo criteri di priorità, di breve (pianificazione operativa, non
più di un anno), medio (pianificazione tattica, tra i tre e i cinque anni) o lungo termine
(pianificazione strategica), stabilisce le azioni da svolgere per poterli conseguire e predispone
i mezzi e le vie per poterli realizzare (le c.d. “strategie”).131 Il processo di pianificazione è
finalizzato a produrre risultati positivi ma non a un cambiamento. Oggi però, in un ambiente
economico dinamico, il manager contemporaneo cerca di far coincidere la funzione di
128 http://www.manageconsulting.it/default.asp?ID=328&ID2=0&L=1129 Cfr. M. Armstrong, Come dirigere le persone, Franco Angeli, London, 2013.130 L. Marastoni, op.cit., p.85131 http://www.businessplanvincente.com/2009/04/gli-strumenti-del-business-plan-la-pianificazione-e-la-programmazione.html
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pianificazione con la necessità di non farsi travolgere dagli eventi, cercando di integrarla con
la funzione di programmazione, che consiste nel tradurre le iniziative pianificate in
programmi da realizzare, articolando gli obiettivi, individuando le operazioni da svolgere,
prevedendo modalità e tempi di monitoraggio dei risultati parziali e di verifica dei risultati
finali.132 Dunque, in questo scenario di continuo cambiamento, l'inaspettato diviene spesso la
regola e quindi la pianificazione di lungo termine può diventare un'attività complicata.
Questo spiega perché molte aziende di successo limitano l'orizzonte temporale delle loro
attività di pianificazione e alcune di esse, in queste circostanze, non tengono conto nemmeno
della realizzazione di piani di emergenza (contingency planning), poiché non fornirebbero
quel chiaro senso di direzione di cui l'azienda ha bisogno, sottraendo tempo ad attività ben
più importanti. Oggi la pianificazione darebbe un eccellente contributo, se non sostitutiva
della definizione di una direzione strategica (processo più induttivo) ma complementare ad
essa. Un valido processo di pianificazione permetterebbe di verificare le attività di
determinazione della direzione strategica, allo stesso modo quest'ultima, fornirebbe il
parametro su cui fondare la pianificazione, aiutando a capire quale tipo di pianificazione è
essenziale e quale è irrilevante.
• L'organizzazione: è l'indispensabile anello di congiunzione tra l'ideazione e la
realizzazione e comporta la mobilitazione e la combinazione ottimale delle risorse per la
realizzazione di piani e programmi. Un ruolo cruciale per il manager è rappresentato dalle
cose da fare personalmente e quelle da delegare. I nuovi manager assegnano compiti e
relative responsabilità ai loro collaboratori, fornendo loro gli strumenti di cui
hanno bisogno per eseguirli, esigendo che rispondano dei risultati conseguiti. E’
da sottolineare che nel processo di delega i poteri possono essere conferiti dai
livelli superiori a quelli inferiori senza che questo diminuisca la responsabilità
dei manager, i quali devono comunque rispondere del proprio operato e di quello
dei propri dipendenti133. Il manager, delega i suoi collaboratori per aumentare in
loro la sicurezza e la competenza, responsabilizzandoli e creando i presupposti
per lo sviluppo di carriera; ottimizza le risorse a disposizione, combinando al
meglio le proprie competenze e quelle dei collaboratori al fine di ottenere
132 L. Marastoni, op.cit, p.83133 http://www.olympos.it/AR_articoli_dispense_letture_esercitazioni_test/articolo_delegare_con_effic
acia_ai_collaboratori.html
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risultati nella massima efficacia ed efficienza; ottimizza il suo tempo e quello dei
suoi collaboratori dedicando maggiore attenzione a funzioni creative e a funzioni
strategiche.134
• La comunicazione: nel vecchio stile di management vigeva una
comunicazione verticistica, apocalittica e formale che consisteva nel far partire tutte le
indicazioni direttive dall’alto verso il basso (approccio top-dow). In linea con questo
approccio, il manager deve essere quanto più preciso possibile nel momento in cui comunica
le attese, evitando il rischio di ambiguità. L’approccio top-down viene applicato da tempo
nella stragrande maggioranza delle organizzazioni, ma negli anni ha cominciato ad
evidenziare delle debolezze laddove si ambisce a creare ambienti di lavoro vibranti e imprese
di successo. Questo spiega perché molte organizzazioni comincino ad adottare alcuni aspetti
dell’approccio bottom-up, dal basso verso l'alto,135 che richiede l’intervento di un team nel
processo esecutivo di progetto. Dunque il manager come leader articola la sua visione in
modo chiaro e ripetuto, spiegando ai suoi collaboratori il suo piano di azione, chiedendo loro
sostegno e mostrando fiducia in un risultato positivo. Tiene vicino chi gli sta attorno,
fornendo informazioni che consentano loro di formulare una precisa valutazione di dove si
trovano, dei probabili elementi a loro sfavore e delle azioni che devono realizzare per
raggiungere l'obiettivo. Il manager come leader fa sentire i suoi collaboratori parte di un
circolo interno, ascoltandoli attentamente. In questo modo mostra rispetto verso di loro come
persone e per le loro capacità, stimolando la loro partecipazione attraverso l'invio ripetuto di
feedback, utili non solo se ha il fine di portare a un miglioramento (o alla correzione di un
errore), ma anche per incentivare il destinatario a mantenere un determinato comportamento
ritenuto corretto, senza spingerlo necessariamente a lavorare di più. Inoltre, l'invio di
comunicazioni regolari deve rappresentare un impegno ricorrente per il manager anche se la
gestione dei collaboratori avviene in modalità telematica.136
• Il coordinamento: è la tradizionale funzione di collegamento tra i diversi
ruoli che rientrano nella responsabilità del manager. Nel vecchio stile di
management, i responsabili dei diversi ruoli si rapportavano con il capo
134 L. Marastoni, op.cit, p.99135 http://www.pmi.it/impresa/business-e-project-management/articolo/3069/project-management-2-0-lapproccio-
bottom-up.html136 http://www.manageronline.it/articoli/vedi/9523/manager-limportanza-di-una-comunicazione-regolare/
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esclusivamente per ricevere ordini e informazioni. Oggi, con la necessità di
sviluppare collaborazione e integrazione anche in senso orizzontale, l'attenzione
del manager mira alla creazione di uno spirito di squadra, valorizzando le sinergie
di gruppo per ottimizzare i risultati operativi, ma anche per mettere i collaboratori
in condizione di trovare soddisfazione, socializzando tra loro. Quindi, la funzione
di coordinamento ha come scopo quello di creare un team, che richiede al
manager capacità di leadership, ma non solo. Sempre più si richiede ai membri del
team una visione sistemica, che superi i confini dell'unità organizzativa di
appartenenza per favorire la ricerca dei risultati complessivi
dell'organizzazione.137 Per ottenere sempre più un efficace coordinamento, il
manager/leader convoca delle riunioni periodiche , favorendo così la coesione del
gruppo, adottando strumenti di pianificazione e controllo così da permettere un
maggiore confronto e collaborazione tra i membri del team. Inoltre, presta
attenzione alle dinamiche del gruppo per segnali di precoce competizione,
intervenendo per contenerla attraverso un'attenta gestione dei rapporti.
Questa maggiore flessibilità e apertura nei contenuti delle funzioni manageriali e nelle
responsabilità di lavoro, non entra in contrasto con la rigidità delle leggi, tipica del modello a
piramide, in quanto le regole sono irrinunciabili se si vuole mantenere una certa disciplina.
Nel ultimo decennio il tasso degli scambi commerciali internazionali tra i diversi Paesi è
aumentato: l'integrazione economica globale è costantemente migliorata attraverso enti come
il NAFTA (North American Free Trade Agreement) e l'Unione Europea. Questa integrazione
globale richiede manager/leader competenti, che possano operare in diversi contesti culturali
e interagire con clienti, azionisti e collaboratori provenienti da diverse aree del mondo.138
Quindi i manager/leader che si troveranno ad operare all'estero, dovranno saper gestire le
differenze culturali, tenendo conto delle diverse aspettative dei clienti, dei loro diversi
approcci al business e del significato di comportamenti che evidenziano le diversità
culturali.139 La cultura ha una forte influenza sulla leadership: Hoppe140 sostiene che nei Paesi
come la Francia, l'Inghilterra, gli Stati Uniti e la Russia le persone tendono a ricordare i
137 L. Marastoni, op.cit, p.82138 Cfr. F. Lazzari, La prospettiva interculturale, Aracle Iluna, 2012139 http://www.comunicareinterculture.it/140 Hans-Hermann Hoppe è un economista tedesco, esponente della scuola austriaca e un filosofo politico anarco-
capitalista
51
leader militari con l'appellativo di macho, mentre in Paesi come Australia, Canada, Irlanda,
Paesi Bassi, Nuova Zelanda e le regioni tedesche della Svizzera,141 questo genere di
commemorazioni sono rare, in quanto si tratta di culture più egualitarie che danno meno
enfasi al ruolo di leader. La misura in cui la leadership è definita nelle diverse culture si
riflette molto spesso nella connotazione storico e politica che il termine leader porta: per
esempio nell'antica Cina, il termine chun-tzu descrive uno studioso o un amministratore
estremamente colto, che mediante una buona formazione in settori come la poesia, la morale,
la filosofia, la storia, la musica ecc, si guadagnava il privilegio di governare il Paese e le sue
istituzioni (questo termine non è usato nella Cina moderna). Un altro esempio di contesto
storico politico che ha influenzato le persone sulla percezione dei dirigenti è l'esperienza della
Germania di Hitler: il termine führer ha disonorato il termine leader della Germania di oggi.
Allo stesso modo, in America Latina il termine el padron (leader) connota una direttiva di
stile autoritario, mentre in Spagna questo appellativo descrive una persona che delega il
lavoro e crea raramente squadre. Secondo la ricerca GLOBE (2002) caratteristiche di
leadership riscontrate nell'influenzare positivamente la soddisfazione sul lavoro, sono state la
presenza di carisma, la comunicazione della visione e il desiderio di portare avanti il
cambiamento. Altri attributi accettati universalmente sono l'essere affidabile, onesto/a,
carismatico/a, visionario/a, positivo/a, motivazionale, costruttore di fiducia, ecc. Ci sono
anche una serie di caratteristiche di leader che sono universalmente respinte dai seguaci,
come l'essere un solitario, essere spietato, dittatoriale, mentre altre sono considerate
culturalmente contingenti, ad esempio lo spirito del rischio, l'ambizione, la sincerità,
sensibilità, auto – sacrificio ecc. Questi attributi possono essere considerati efficaci in alcune
culture, ma non in altre. Un presunto livello di diversità si riflette anche nel linguaggio: ad
esempio le persone che in Inghilterra posso essere indicate come subordinate, nei Paesi Bassi
sono generalmente indicate come collaboratori (medewerkers).
Partendo dal presupposto che ogni cultura è caratterizzata dai un'insieme di valori,
attitudini e comportamenti diversi142, il manager per operare a livello globale, deve uscire
dalla propria bolla culturale e guardare oltre. Perché?
141 s'intende la parte germanofona della Svizzera: si tratta di una divisione prettamente linguistica dato che non sempre iconfini linguistici coincidono con quelli amministrativi tra i cantoni. Cantoni: Argovia, Appenzello Esterno, Berna,Basilea Campagna, Basilea Città, Friburgo (parte orientale), Glarona, Lucerna, Nidvaldo, Grigioni (soprattutto la partenord occidentale), Obvaldo,San Gallo, Sciaffusa, Soletta,Svitto, Turgovia, Uri, Vallese, Zugo.
142 http://www.comunicareinterculture.it/
52
• per comunicare con altre culture: per poter fare questo deve conoscere le lingue,
condizione necessaria, ma non sufficiente. Oltre alle barriere linguistiche, infatti, il manager
deve badare alle barriere di tipo non verbale che possono creare problemi ben più grandi: la
postura, i gesti, il contatto visivo, le espressioni facciali e il contatto fisico cambiano
sostanzialmente da una cultura all’altra. Esistono alcune norme che riguardano anche lo
spazio e il contatto fisico durante una conversazione: ad esempio nei Paesi latini sarà normale
mantenere una distanza molto ravvicinata con il nostro interlocutore, mentre nei Paesi del
nord Europa si preferisce mantenere una certa distanza ed evitare ogni tipo di contatto fisico.
Partendo da questo presupposto è necessario stabilire quali siano gli obiettivi della
comunicazione, in quanto un obiettivo realistico in una cultura può non esserlo per un’altra: a
questo proposito esistono culture che credono che le persone possano controllare direttamente
gli eventi e altre invece che sono convinte che gli eventi siano predeterminati e
incontrollabili. Il manager globale dovrà spesso gestire risorse che hanno una visione del
lavoro estremamente diversa a seconda che appartengano ad una cultura o ad un’altra. A
questo proposito Hofstede143 individua culture individualistiche, come quelle anglofone, e
culture collettiviste, come quelle sud americane, a seconda che una cultura ponga l’enfasi sui
risultati dell’individuo o su quelli del gruppo.144
• deve saper comprendere culture e contesti differenti, in modo da valorizzarli e renderli
una risorsa per la qualità dei contenuti che gli vengono richiesti;
• deve adattare il proprio stile (anche di leadership) a culture differenti, in modo da
salvaguardare la possibilità di entrare davvero in comunicazione con la diversità, garantendo
così l'efficacia delle proprie azioni;
• deve gestire l'incertezza sua e dei suoi collaboratori in contesti di continuo
cambiamento; quindi deve bilanciare il globale con il locale: la globalità porta con se due
spinte differenti: da un lato quella della standardizzazione (contaminazione culturale,
omogeneizzazione, e a livello di strategie di mercato – esigenze di efficienza), dall'altro
quello della personalizzazione (diversità, differenziazione e dal punto di vista delle
organizzazioni, spinta verso l'efficacia). Il manager globale deve equilibrare queste due forze
143 Gerard Hendrik Hofstede, noto con il nome di Geert Hofstede, è un influente ricercatore olandese nell´ambito deglistudi delle organizzazioni e, più precisamente di organizzazioni culturali, ossia economia culturale e management.
144 http://www.spheragroup.it/blogosphera/i-manager-comunicazione-interculturale.html
53
che colpiscono tutte le aree di responsabilità;
• deve cogliere le opportunità di un mercato wordlwide, quindi la sua strategia deve
essere globale, anche nella risoluzione di problematiche precise, egli non deve mai
abbandonare questo punto di vista che gli consente di individuare le soluzioni diverse e
creative che il mondo globale offre; deve essere consapevole delle opportunità e dei limiti
della propria organizzazione a livello globale: lo stesso sguardo sistemico richiesto al leader
globale all'esterno, gli è richiesto all'interno.145
Per quanto riguarda la situazione Italiana attuale, uno studio di KPMG146 dichiara che
nelle maggiori società quotate mondiali, il “tasso di italianità” è alto per quanto riguarda il
management: dieci delle prime 51 società (escludendo ENI), hanno nei loro vertici massimi
almeno un manager nato in Italia. In alcuni casi come Vodafone, si tratta del capo mondiale. .
Rapportato alla popolazione italiana e soprattutto rapportato alla situazione economica del
nostro Paese, non è poco, in quanto come ha certificato l'ISTAT il 18 novembre 2014, da tre
anni il Pil (Prodotto interno lordo) è in regressione, essendo tornato ai livelli di 14 anni fa,
cioè del 2000. Gianluca Raisoni, consulente della società di executive search Spencer Stuart,
sostiene che la caratteristica principale dei manager italiani è “l'abilità ad affrontare le
difficoltà, essendo abituati a gestire complessità come il nostro sistema burocratico e
l'inefficienza del nostro sistema infrastrutturale”. Una ricerca realizzata da Manageritalia e
Kilpratick (2013), a cura di AstraRicerche, per quanto riguarda i manager italiani espatriati,
afferma che i nostri manager sono volontariamente andati a lavorare all’estero nel 93% dei
casi, perché ci sono possibilità professionali più stimolanti di quelle presenti in Italia, per
voglia di un’esperienza internazionale, ma soprattutto perché si lavora e si fa carriera per
merito; questo vale soprattutto, per le donne. Dai risultati della ricerca, le manager italiane a
essere arrivate ai vertici delle multinazionali sono quasi inesistenti.147
Si può dedurre che le nuove generazioni di manager italiani dovranno continuare a
confrontarsi con una serie di cambiamenti : la virtualizzazione delle relazioni (lavorative,
145 ISTUD, Diventare manager globali, Fondirigenti, pp. 34, 35, http://www.motusmentis.it/admin/files/global_manager.pdf
146 KPMG è un Network di servizi professionali alle imprese, specializzato nella revisione e organizzazione contabile,nella consulenza manageriale e nei servizi fiscali, legali e amministrativi. Sedi: Amsterdam, Olanda Settentrionale,Paesi Bassi.
147 http://www.corriere.it/economia/finanza_e_risparmio/notizie/manager-italiani-mappa-cervelli-aziendali-all-estero-d000b7de-6f07-11e4-a038-d659db30b64c.shtml
54
commerciali, di customer relationship), la crescente centralità di un'attitudine responsabile
(verso la società, l'ambiente, le persone), la necessità di sviluppare competenze (linguistiche,
giuridiche, economiche, culturali) adeguate ai processi di internazionalizzazione, la
complessità del marketing e della gestione dei brand in un'epoca di web interattivo,
l'innovazione. Queste dovranno essere patrimonio acquisito per tutti i manager insieme a
qualità come la flessibilità, l'apertura mentale e la capacità di valorizzare la diversity.148
Quest'era di innovazione ha aperto le porte a nuovi paradigmi e nuove pratiche, la cultura
aziendale burocratica sta cedendo il passo ad una cultura adattiva, inclusiva e di successo. Il
ruolo del manager, rispetto al passato, si è alleggerito di connotazioni tecniche legate
all'esercizio della propria funzione e inoltre sta iniziando a cambiare, seppure con molta più
lentezza, la figura manageriale in se, non rappresentata solo dall'uomo ma anche dalla donna.
2.2 Leadership “integrata” per una nuova cultura d'impresa
In Italia, nel settore dell'istruzione, le donne raggiungono risultati nettamente migliori
rispetto agli uomini. Il rapporto BES 2014 (sul Benessere equo e sostenibile), realizzato da
un'iniziativa congiunta del Cnel e dell'Istat, testimonia che le donne laureate tra i 30-34 anni
sono il 27,2% , contro appena il 17,7% dei loro coetanei maschi.149 Nonostante la crescente
presenza di donne competenti nelle diverse professioni, l'occupazione femminile in Italia è
ancora caratterizzata da un'elevata segregazione orizzontale150 e verticale.151 Le donne sono
concentrate per lo più nei settori a bassa retribuzione e nei settori aziendali meno strategici,
soffrendo così la presenza di ostacoli alla loro progressione di carriera. Un recente studio
condotto da Italia Lavoro152 dimostra, infatti, che le donne con qualifica di dirigente sono solo
148 Osservatori manageriale, “Il futuro del management in Italia: le prospettive per il periodo 2010-2013/2015”,Indagine Delphi 2010: I risultati, p.23,http://www.manageritalia.it/content/download/Informazione/Osservatorio_Manageriale/RAPPORTO_INDAGINE_DELPHI.pdf
149 Istruzione e Formazione, BES 2014 http://www.istat.it/it/files/2014/06/02_Istruzione-formazione-Bes2014-2.pdf150 Segregazione orizzontale è il fenomeno per cui alcuni settori produttivi e di servizi sono altamente femminilizzati (es.
servizi sociali , scuola, industria tessile, commercio, settori amministrativi) sulla base di stereotipi e pregiudizi digenere, che ritengono le donne più idonee ad alcuni mansioni (es. cura, esecutività) degli uomini.
151 Segregazione verticale è il fenomeno per cui nell'ambito di organizzazioni di natura pubblica o privata, le donne sonopresenti massicciamente nei livelli bassi e medi dell'inquadramento, salvo diradarsi per poi sparire nei livelli più alti enei ruoli dirigenti. Nella letteratura più recente si fa riferimento ad un’ulteriore distinzione: quella fra segregazioneverticale e segregazione gerarchica. Quest’ultima indica più specificamente l’accesso (o mancato accesso) ai gradi piùalti di una determinata carriera, qualsiasi essa sia – è il caso del cosiddetto “soffitto di cristallo”.
152 Ente del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, che fornisce molti altri dati socio-economici interessanti sullasituazione delle donne in Italia (e li confronta col resto d’Europa).
55
il 12,9% e appena il 7% del gentil sesso fa parte dei consigli di amministrazione delle società
quotate.153 Questi dati spiegano il fatto che le donne manager sono considerate come
eccezioni rispetto a una norma, data appunto dal modello maschile. Anche se la parità è
ancora lontana dall'essere raggiunta, gli ultimi anni hanno segnato dei passi in avanti dal
punto di vista legislativo: basti pensare alla legge Golfo Mosca, che obbliga le aziende ad
avere negli organi sociali almeno un quinto del genere meno rappresentato. Lo confermano le
ricerche ma è anche convinzione comune che per ottenere un profondo cambiamento della
cultura d'impresa, è necessario un tipo di leadership integrata e un equo inserimento delle
donne ai consigli di amministrazione, così da guidare le persone a raggiungere risultati in
modi diversi, che finora magari non sono stati considerati. Negli ultimi decenni, con le rapide
trasformazioni che hanno investito l’economia, le organizzazioni e il management hanno
messo in luce una maggiore problematicità degli stili di direzione tradizionali, basati sul
comando-e-controllo. Si può fare riferimento, a tal proposito, al tema del total quality
management, con la sua enfasi sulla riduzione delle gerarchie e sulla partecipazione e
responsabilizzazione dei lavoratori, e a quello del knowledge management, anch’esso fondato
sull’idea che la produzione di ricchezza passi per una valorizzazione e uno scambio delle
conoscenze all’interno di reti di relazione, le cosiddette comunità di pratica, che solo
parzialmente ricalcano le gerarchie formali delle aziende. È così che le caratteristiche che,
secondo gli stereotipi, sono tipiche delle donne (come la tendenza a coinvolgersi
emotivamente nei problemi, la concretezza, la capacità di ascolto, l’egalitarismo), e che fino a
poco tempo fa venivano considerate poco adatte al management, sono divenute il punto di
forza per la trasformazione delle organizzazioni dai nuovi modelli gestionali.154 La leadership
al femminile è una leadership incentrata soprattutto sul lavorare con il cuore, pur svolgendo
funzioni normative e orientative. La leader funge da facilitatrice che lavora non per il gruppo,
ma con il gruppo stesso, valorizzando le risorse delle singole persone, promuovendo il
dialogo e l’interesse e stimolando la corresponsabilità nel raggiungere gli obiettivi personali e
comuni.155 Le caratteristiche che contraddistinguono la leadership al femminile sono le
seguenti:
153 http://blog.hivejobs.com/perche-assumere-piu-donne-migliorera-la-vostra-azienda-fatturato-incluso/154 ASDO, Commissione Europea DG Occupazione e Affari Sociali, Osservatorio europeo sulle buone prassi per
l’eliminazione del "tetto di vetro" Ricerca-azione su donne e leadership, Alessandra Cancedda, tratto da pagina web:http://pariopportunita.formez.it/sites/all/files/LFita.pdf
155 http://www.benessere4u.it/leadership-al-femminile/
56
• non si fa ingabbiare nello stereotipo maschile (ma nemmeno crea gabbie alternative),
ha il coraggio di essere se stessa;
• valorizza le differenze (non solo di genere) anziché tentare di appianarle o
nasconderle;
• è consapevole delle proprie caratteristiche, molte delle quali sono particolarmente
apprezzate nei leader nel nuovo millennio (es. capacità di ascoltare, collaborare, motivare e
mostrare empatia);
• è sicura del valore che può portare nelle organizzazioni, nelle professioni, nel governo
e nell’amministrazione della cosa pubblica come nella vita di tutti i giorni.156
A pari conoscenze tecniche e scientifiche con i colleghi maschi, con esse entrano in
azienda peculiarità femminili, che possono arricchire in maniera complementare quelle
maschili. Molti studi e ricerche hanno dimostrato che le donne hanno buone doti di: problem
solving ad esempio sono capaci di sintetizzare informazioni che vanno al di là dei semplici
dati; cercano di analizzare tutto ciò che si inserisce nel contesto della situazione come i
valori, la visione, la cultura e soprattutto le relazioni. Questo è un aspetto favorevole, in
quanto avere una visione completa dello scenario di mercato può agevolare e valutare rischi e
potenzialità che, un occhio meno attento come quello dell'uomo, potrebbe trascurare.157
Mentre i leader maschi mostrano discreti livelli di empatia, le donne leader raggiungono
punteggi significativamente più alti, consentendo così di evitare un approccio troppo freddo e
quantitativo; la leadership empatica infatti mette al centro il riconoscimento dei bisogni: in
un'azienda ciò significa riconoscere i bisogni specifici dei dipendenti e dei gruppi di lavoro ed
attivare di conseguenza le giuste leve motivazionali.158 Le donne sono più propense a
costruire una squadra, sono più disposte a condividere informazioni, ad ascoltare per poi
prendere la decisione migliore che, non deve essere necessariamente il loro punto di vista
iniziale; I leader di sesso maschile invece, hanno tendenza a partire dal loro punto di vista,
non sono così flessibili e disposti ad interagire con gli altri. Le donne sono più creative e
flessibili; flessibilità e creatività sono armi fondamentali per rispondere rapidamente ai
156 http://leadershipfemminile.com/le-donne/leadership-femminile/157 Counseling solitions professional blog, “Donne e lavoro: l'identikit della donna
manager”,http://www.professionalblog.counselingsolutions.it/donne-e-lavorol%E2%80%99identikit-della-donna-manager/
158 http://www.crescita-personale.it/leadership/3162/leadership-femminile/3435/a
57
cambiamenti imprevedibili che si presentano, e le donne leader sembrano accettarli con una
certa dose di umiltà. Infatti esse presentano una sorta di umiltà più innata rispetto agli uomini:
hanno la tendenza a chiedersi più di frequente se sono state all'altezza e cercano
continuamente di migliorarsi. Gli uomini invece, sono più rapidi a convincersi del proprio
successo e delle proprie capacità. Se da un lato quindi le donne devono acquistare maggiore
sicurezza, dall'altro la capacità che hanno nel risolvere i problemi e nel saper "influenzare" gli
altri in maniera positiva, risultano caratteristiche intrinseche utili nel far crescere un team di
successo.159 Le donne guardano il mondo da diverse angolazioni quando progettano il loro
successo, guardano alla carriera, alla famiglia, alla comunità e alla loro vita privata, utilizzano
lo stesso metodo per valutare tutto ciò che ruota intorno al business. Sono più persuasive nel
far cambiare punto di vista all'interlocutore, gli uomini invece tendono a convincere con la
forza delle proprie posizioni; il rischio di non investire tempo a persuadere, è che si ottiene
quello che si vuole, ma la persona non è convinta.160 Le donne hanno una maggiore capacità
di fare più cose insieme rispetto agli uomini, senza far scattare competizioni eccessive o fuori
luogo, sono considerate come delle tessitrici di rapporti, hanno meno testosterone nelle vene e
quindi una capacità di restare calme e non far scattare l'ormone in situazioni in cui se nasce
una contrapposizione, è più facile per una donna incassare un colpo che per un uomo.161 Sono
più comunicative ma hanno bisogno di controbilanciare le abilità verbali, con la capacità
numerica, imparare un po' il man spike, nel senso che nelle comunità tutte femminili, si
notano dei difetti comunicazionali, perché si parla troppo, ci si distrae, si pensa più alle
persone che agli obiettivi da raggiungere. Nelle comunità tutte maschili, c'è parecchio
testosterone più concentrazione sull'obiettivo, sul dato numerico ma si perdono alcune cose.162
Inoltre le donne sono anche più prudenti e “conservatrici” degli uomini nelle decisioni
gestionali e nelle scelte finanziarie, questo però non è sempre un vantaggio: ad esempio
tendono a raccogliere meno denaro sui mercati, ma poi lo gestiscono con maggiore efficienza.
Mentre la tendenza a riflettere di più prima di prendere una decisione gestionale evita qualche
passo falso, può rivelarsi un errore, quando bisogna muoversi rapidamente.163 Secondo molte
159 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-05-31/le-donne--ingegnere-e-leadership-femminile-081344.shtml?uuid=ABMbwdMB
160 L. D'Ambrosio Marri, M. Mallen, Effetto D, Franco Angeli, Milano, 2011, p.69161 F. Festuccia, L'Altra metà del Cda: Sfide e successi delle donne manager in Italia, LUIS University Press, Roma,
2013. p.18162 L. Pogliana, Donne senza guscio: percorsi femminili in azienda, Guerini e associati, Milano 2009, p.17163 http://27esimaora.corriere.it/articolo/donne-ai-vertici-con-gli-uominie-lazienda-e-piu-ricca/
58
ricerche le caratteristiche considerate femminili rispecchiano uno stile di leadership
trasformazionale164 mentre quello transazionale,165 sarebbe più affine agli uomini. Benché lo
stile trasformazionale viene considerato più efficace in contesti di rapido mutamento, non si
può parlare di uno stile migliore di un altro. Le teorie sulle leadership attuali, di fatto, sono
basate primariamente non solo su studi di entrambi i sessi, ma adoperano anche stereotipi su
donne e uomini, che potenzialmente, possono essere fuorvianti, in quanto modelli di pensiero
che possiamo descrivere come femminili e altri come maschili, possono appartenere,
variamente dosati, tanto all'uomo che alla donna.166 Quindi è necessario trarre il meglio da
entrambe le modalità di approccio, sostituendo la logica di contrapposizione e competizione
uomo-donna, con una visione nella quale manager maschi e femmine coniugano le loro
diverse qualità in modo da formare un nuovo approccio chiamato androgino.167 Varare
un'iniziativa di genere all'interno dell'azienda, rappresenta una decisione importante, che può
cambiare la radicata monocultura d'impresa burocratica maschilista, rendendola adattiva,
inclusiva (poiché coniugherebbe le diverse qualità femminili e maschili della leadership), ma
soprattutto innovativa, in quanto diversità e innovazione sono strettamente collegati. Il
sociologo americano Scott Page, sostiene che la diversità è “la molla dell’innovazione” in
quanto persone che pensano allo stesso modo, per quanto intelligenti, si bloccheranno sempre
nello stesso punto. È necessario dunque trovare soluzioni nuove e migliori, innovare e
richiedere pensieri differenti.168 La società di consulenza Gallup, dichiara che un’azienda,
164 Il leader trasformazionale va oltre lo scambio di ricompense e attiva una maggiore consapevolezza e un maggioreinteresse, all’interno dell’organizzazione, per una visione condivisa. Inoltre, favoriscono nei loro collaboratori unaumento di fiducia in se stessi, facendoli passare progressivamente dalle preoccupazioni per le esigenze personaliall’impegno per performance superiori e per la crescita dell’organizzazione, trascendendo in questo modo i propriinteressi particolari tratto da pag web: Commissione Europea DG Occupazione e Affari Sociali,Ricerca-azione sudonne e leadership,Alessandra Cancedda, Leadership femminile e azione sociale: implicazioni per la ricerca e per losviluppo delle carriere femminili, tratto da pag web http://pariopportunita.formez.it/sites/all/files/LFita.pdf
165 I leader transazionali ottengono collaborazione attraverso scambi e transazioni con i subordinati e controllando leloro prestazioni; Nella leadership transazionale, il leader è un ‘agente di negoziazione’, che tratta e scende acompromessi per massimizzare la propria posizione relativa, ovvero per ottenere sempre più potere decisionaleall’interno del gruppo. Per fare ciò, pone in essere azioni che permettono di influenzare e di convincere gli individuiche possono dare un significativo appoggio. Tratto da pag web: http://www.treccani.it/enciclopedia/leadership_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/
166 F. Romano, D. Bonetti, Leadership al femminile, Mondadori, 2014, p.16 167 Il termine androgino significa letteralmente uomo-donna e deriva dall’antica Grecia: la radice infatti andr- significa
uomo, mentre gin- significa donna. Il termine descrive la flessibilità del ruolo di genere. Un individuo androginointegra infatti sia gli aspetti maschili, sia quelli femminili. Essi sono così capaci di attivare il comportamento chesembra più appropriato in una data situazione. I loro comportamenti possono essere non coerenti con il lorotradizionale ruolo di genere. Per esempio, l’androgino uomo o, l’androgino donna possono essere entrambi assertivi eteneri. Essi sono quindi capaci di attingere dalla matrice femminile o dal comportamento maschile, basato non sullenorme del ruolo di genere, ma piuttosto su che cosa loro possono dare in una situazione specifica per renderla piùsoddisfacente e confortevole.
168 http://blog.hivejobs.com/perche-assumere-piu-donne-migliorera-la-vostra-azienda-fatturato-incluso/
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valorizzando la diversità sarà avvantaggiata sia in fase di recruiting sia in fase di retention: il
turnover per le aziende “miste” è più basso del 22% rispetto alle aziende a prevalenza
maschile. Un’indagine condotta qualche mese fa dal Credit Suisse Research Istitute, dimostra
come una maggiore presenza femminile nelle posizioni manageriali migliori le performance
aziendali. Nel fare il punto sulla situazione italiana attuale , Marisa Montegiove,169 evidenzia
come l'introduzione delle quote e il ricambio generazionale abbiano fatto registrare una
crescita dell'8,4% della presenza femminile nei consigli di amministrazione tra il 2010 e il
2013. In uno scenario di forte disoccupazione, soprattutto giovanile, è poi aumentato il
numero delle donne con un ruolo dirigenziale. Nel settore privato il numero della presenza
femminile, è cresciuto del 15,8%, nonostante la categoria dei dirigenti sia diminuita del
2,5%, mentre i colleghi uomini sono fermi al 5%. Il cambiamento si denota anche nel settore
pubblico, dove su 170 mila dirigenti, il 40% sono donne (68mila), e il 60% uomini (102mila).
In questo caso, lo spazio conquistato dalla dirigenza rosa, rilevata da una elaborazione Cida
su dati Istat 2008-2014 appena presentata alla Conferenza della Confederazione europea dei
dirigenti Promoting Women's Leadership, è il frutto della selezione delle posizioni apicali per
concorso, modalità che permette alle donne di concorrere alla pari.170 Pur essendo ancora
lontani dai valori raggiunti dagli altri paesi europei, tra i manager nelle fasce d'età più
giovani, le donne hanno oggi un peso vicino o superiore al 25% (25-29enni 23,6%; 30-34enni
26,9%). Ma la vera sorpresa, sintomo del cambiamento in corso, la si trova nel top
management, e in particolare tra gli under 34, fascia di età in cui le donne hanno superato gli
uomini: le manager sono infatti il 5,15% contro il 2,05% dei colleghi. Secondo uno studio
della Banca d'Italia un aumento dell'occupazione femminile, proposto dall'agenda di
Lisbona, genererebbe in Italia un potenziale di crescita economica, che porterebbe ad un
incremento del PIL del 7%.171
2.3 Maternità e organizzazione aziendale: un rapporto complesso
Un'indagine sui manager svolta da AstraRicerche per Manageritalia e Edwi HR il 19
maggio 2014, rivela che una delle maggiori cause ad interrompere la carriera delle donne in
169 Presidente Manageritalia Servizi, Pres.Gruppo Donne Manager at Manageritalia 170 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-07-04/donne-manager-crescita-+158percento-privato-sorpasso-uomini-
i-dirigenti-under-34--170925.shtml?uuid=ABJhJgXB171 L. Aiello, M. Iannotta, op.cit, p.36
60
azienda è la maternità, in quanto l’organizzazione aziendale ne viene sconvolta.172 I dati Istat
(2012) sono conferma che tra le madri, il 30% interrompe il lavoro per motivi familiari contro
il 3% dei padri. Circa 800 mila donne hanno dichiarato di esser state licenziate o di essere
state costrette a farlo (dimissioni in bianco o false dimissioni)173 a causa della loro
gravidanza.174 Quindi un corpo con potenzialità materne è spesso considerato negativamente
dai datori di lavoro in quanto, a causa dei vincoli familiari, sono considerate meno affidabili,
distratte, emotivamente instabili e non darebbero all'azienda certezza di continuità lavorativa
nel tempo.175 A ciò si aggiunge il fatto che la maternità, oltre a comportare dei costi diretti
che derivano dal congedo di maternità/paternità (obbligatorio) e dal congedo parentale
(facoltativo), impone all'azienda costi indiretti organizzativi. Prima dell’inizio del congedo di
maternità, è necessario assumere un altro lavoratore e addestrarlo. Una parte dei compiti della
dipendente assente è poi suddivisa fra i lavoratori più anziani che possiedono le competenze
necessarie e accettano, spesso malvolentieri l'aumento dei carichi di lavoro, ai quali vanno
però pagati gli straordinari. Riorganizzare il lavoro per un’assenza per maternità ha dunque
un costo per l’azienda, soprattutto per le competenze professionali che vengono a mancare.176
Secondo una prospettiva cognitivista, è l'assenza stessa per maternità a generare gli stereotipi
dei capi e dei colleghi nei confronti delle lavoratrici madri e a cambiare le abilità delle donne
rispetto al proprio lavoro, riducendone il commitment e la motivazione. Organizzazione e
lavoratrice, diventano così parti di uno scambio negoziale in cui la comune sopravvalutazione
del conflitto determina un'avversità nello scambio di informazioni e diffidenza rispetto ad una
potenziale cooperazione.177 Questa tipica impostazione del gioco negoziale impedisce la
valorizzazione dei risultati ottimali perseguibili soltanto attraverso il dialogo e la
collaborazione.
Per far si che la maternità non sia più considerata come una barriera per le donne in
carriera, è necessario che le politiche pubbliche avviino una rete articolata di servizi di cura e
172 Indagine AstraRicerche per Manageritalia e Edwi HR - 19 maggio 2014 - , Lavoro & Maternità: Da Problema aOpportunità per ridare competitività all'Italia,Tratto da sito web: http://annazavaritt.blog.ilsole24ore.com/wp-content/uploads/sites/54/2014/06/Rapporto-Lavoro-Maternit%C3%A0-Manageritalia-sintesi-giugno-2014.pdf
173 Per "dimissioni in bianco" si intende una pratica diffusa, consistente nel far firmare al lavoratore o alla lavoratrice leproprie dimissioni in anticipo, al momento dell'assunzione; da completare poi, riempiendo il foglio con la datadesiderata a fronte di una malattia, un infortunio, un comportamento sgradito, o - caso più diffuso - una gravidanza
174 L. Aiello, M. Iannotta, op.cit, p.38175 F. Zajczyk, B. Borlini, La sfida delle giovani donne, FrancoAngeli, Milano, 2011, p. 58176 http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/23/maternita-quanto-costa-alle-imprese/1036468/177 L. Aiello, M. Iannotta, op.cit, p.39
61
di custodia destinati all'infanzia e autosufficienza, la quale auspica anche un allungamento
dell'orario dei servizi pubblici (asili nido, ospedali, scuole d'infanzia), dei negozi e di tutti i
servizi offerti dai privati. L'economista Daniela Del Boca178 consiglia un prolungamento del
congedo parentale, agevolazioni per favorire l'utilizzo del part-time, un incremento del
numero dei nidi pubblici, incentivi per percorsi di qualificazione professionale più
remunerativi (es. donne ingegnere), un aumento del congedo obbligatorio per il padre e dei
congedi parentali part-time per entrambi i genitori e il mantenimento del tempo pieno nelle
scuole.179 Per completare questo quadro di interventi la Del Boca prende in considerazione
l'inserimento delle politiche family friendly180 attuate da parte delle aziende. In questo modo
le organizzazioni possono rendere effettivo:
– il work-life balance attraverso l'offerta ai propri dipendenti di servizi di cura in house o
attraverso strutture convenzionate;
–maggiore flessibilità di orari attraverso la promozione della banca delle ore, del
telelavoro, del part-time e di turni più elastici;
–servizi “salva tempo” come il maggiordomo aziendale, la lavanderia, la ristorazione, le
aree di allattamento per le madri lavoratrici e altre iniziative quali i vaucher per le baby sitter,
gli asili nido aziendali ecc.
Queste politiche, volte a gestire la diversità di genere e facilitare l'equilibrio vita lavoro,
possono costituire secondo Del Boca una componente fondamentale di un contratto
psicologico più vasto e completo, che l'organizzazione stabilisce con la propria forza lavoro
178 Ph.D. Università di Wisconsin-Madison, è Professore di Economia alla Università di Torino, Fellow del CollegioCarlo Alberto e dell’ IZA e Direttore del Centro di Economia della Famiglia (CHILD) Nel 2007 è stato Membro delComitato scientifico dell’Osservatorio sulla Famiglia del Ministero delle Politiche Sociali. Dal 2012 fa parte delConsiglio Generale della Compagnia di San Paolo.
179 L. Aiello, M. Iannotta, op.cit, p. 43 180 Family friendly sono le imprese attente ai bisogni delle donne nella conciliazione tra impegni professionali e
familiari: rappresentano un modello che offre opportunità non solo alle famiglie ma anche al sistema delle imprese. Leaziende family friendly possono essere una risposta al problema della conciliazione tra vita lavorativa e famigliare.L’investimento economico e organizzativo in misure per la conciliazione genera anche significativi vantaggi ebenefici. Tra questi, un rilevante senso di appartenenza all’azienda e un clima aziendale sereno che riducono il turnover e i conflitti interni. Inoltre, l’immagine di ‘azienda socialmente responsabile’ rende la struttura maggiormentecompetitiva nel suo settore.Tuttavia, tali modelli di imprese family friendly sono ancora poco diffusi tra le aziende, e a ciò si aggiunge la carenzadi informazione sulle agevolazioni a favore delle imprese che attuano interventi di conciliazione tra lavoro e famiglia:agevolazioni economiche previste dalla legge per chi attua politiche di responsabilità sociale (la legge 53/2000, peresempio, prevede 20 milioni di euro all’anno per progetti di flessibilità) con un elevato ritorno in termini difidelizzazione delle risorse; agevolazioni a favore delle aziende per incentivare l’inserimento delle donne negliorganici (legge 125/91); contributi per le aziende che promuovono azioni per favorire la conciliazione tra lavoro efamiglia.
62
femminile.181 Secondo la definizione di Rousseau i contratti psicologici sono un insieme di
credenze, circa gli obblighi reciproci che si instaurano tra il lavoratore e l’organizzazione.182
Dunque, se l'organizzazione soddisfa le loro aspettative implicite, a loro volta le donne
possono sentirsi più impegnate, coinvolte e si identificano nell'organizzazione per cui
lavorano.
Considerata la tesi iniziale, dove la maternità è un problema per le aziende, essa diventa
a cascata un problema per le donne e per la società. Per le donne perché implica delle
limitazioni alla crescita professionale, comportando inoltre un peggioramento dei rapporti con
i superiori e all’estremo portare all’abbandono del lavoro; infatti i dati Istat (2013),
evidenziano un numero crescente di casalinghe tra le donne più giovani e istruite una volta
divenute madri, solo un terzo di queste può considerarsi una “casalinga appagata”, soddisfatta
della propria scelta non dovuta a difficoltà riscontrate sul mondo del lavoro. Le altre si
dividono tra “casalinghe costrette” che subiscono l'inattività e “casalinghe temporanee”
ovvero giovani altamente qualificate respinte dal mercato del lavoro.183 Diventa anche un
problema per la società poiché mancano veri sostegni a supporto della maternità e dispositivi
di conciliazione famiglia/lavoro: infatti in Italia ostacoli all'occupazione femminile si
rinvengo soprattutto nei livelli delle infrastrutture presenti, oltre che nelle attitudini culturali
della società e nelle politiche pubbliche adottate.
La mancanza di veri servizi e un welfare aziendale italiano molto carente sono in parte
la causa di un aumento di donne senza figli. L’Istat del 2013, dichiara 514.308 nascite (il
valore più basso da quando si fanno le rilevazioni), circa 20 mila in meno rispetto all’anno
precedente e 62 mila in meno rispetto al 2008, anno che ha segnato l’avvio della crisi. Anche
la Dott.ssa Ketty Vaccaro,184 che si è occupata dell’indagine su fertilità e infertilità, intitolata
“Diventare genitori oggi”, è del parere che“Neppure durante le guerre c’è stata tanta
difficoltà nel progettare l’allargamento del nucleo familiare. Il paradosso è che i genitori
hanno desiderio di procreare ma non possono realizzarlo”. Infatti, il 60,7% dei suoi
intervistati ritiene che “Se migliorassero gli interventi pubblici, in grado di aiutare i genitori
181 Commissione istruttoria per le Politiche del lavoro e dei sistemi produttivi (II) Consulta per le pari opportunità digenere Seminario “Valorizzare le donne conviene” Tratto da sito web:file:///C:/Users/Notebook/Downloads/Pari_opportunita.pdf
182 http://www.psycologia.it/motivazioni-lavoro-contratto-psicologico/183 http://www.ingenere.it/articoli/indennita-di-maternita-paghi-direttamente-linps184 Direttore Welfare Fondazione Censis
63
su vari fronti (attraverso sussidi, disponibilità di asili nido, sgravi fiscali, borse di studio,
orari di lavoro più flessibili, possibilità di permessi per le esigenze familiari, ecc.), le coppie
sarebbero più propense ad avere figli”. Di ciò, sono particolarmente convinti gli intervistati
dai 35 ai 49 anni che con ogni probabilità sono quelli che in misura maggiore si trovano a
confrontarsi con la scelta o con le responsabilità genitoriali.185
Tutto ciò accade perché nel nostro Paese si guarda alla maternità come fatto
individualistico e non come valore fondante della società, e inoltre perché la famiglia e i suoi
carichi di lavoro sono ancora tutti sulle spalle delle donne.186
Al fine di agevolare la conciliazione tra famiglia e lavoro, la legge delega sul Jobs act
approvata mercoledì 3 dicembre 2014 dal governo di Matteo Renzi :
– riconferma il diritto al reintegro in caso di licenziamento illegittimo, l’introduzione
dell’indennità di maternità per tutte le donne lavoratrici e il diritto per le lavoratrici madri
parasubordinate (Co.Co.Co./Pro)187 all’assistenza anche in caso di mancato versamento dei
contributi da parte del datore di lavoro. Per agevolare la conciliazione lavoro-famiglia;188
–prevede il voucher per baby sitter già proposto in via sperimentale dalla Riforma del
Lavoro Fornero (Legge 92/2012), che però poneva vincoli troppo stretti perché
l’agevolazione potesse realmente essere fruita dalle lavoratrici madri. L’obiettivo del nuovo
Governo è di innalzare il contributo da 300 euro a 600 euro, di estenderlo anche alle
lavoratrici del pubblico impiego.189
– incentiva gli accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell'orario lavorativo e
dell'impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l'esercizio delle
responsabilità genitoriali e dell'assistenza alle persone non autosufficienti e l'attività
lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro;190
185 http://www.documentazione.info/linfertilita-e-gli-italiani-il-problema-e-economico186 Indagine AstraRicerche per Manageritalia e Edwi HR 19 maggio 2014, Lavoro & maternità: da problema a
opportunità per ridare competitività all'Italia, p.6 187 Il contratto co.co.pro. è nato dalla Legge Biaggi come sostituzione del contratto di collaborazione coordinata e
continuativa (altrimenti detto co.co.co.). Il co.co.pro. è stato introdotto per limitare le collaborazioni coordinate econtinuative, forme contrattuali che nascondevano dei rapporti di lavoro subordinato in cui il dipendente risultavaessere un costo ridotto per il datore di lavoro rispetto al lavoratore dipendente. La retribuzione co.co.pro. (contratto aprogetto) è legata, in tutto o in parte, al raggiungimento degli obiettivi fissati nel programma di lavoro. A volte laretribuzione co.co.pro non è calcolata in base al numero di ore spese nel rapporto di collaborazione.
188 http://www.internazionale.it/notizie/2014/12/25/i-decreti-del-jobs-act-approvati-dal-governo-italiano189 http://www.pensionioggi.it/notizie/lavoro/maternita-e-congedi-parentali-ecco-come-cambiano-con-la-riforma-renzi-
443908190 http://www.camera.it/leg17/465?tema=jobs_act
64
– riconosce compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali ed alle ferie annuali
retribuite, della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di
tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al contratto collettivo nazionale in
favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti
per le particolari condizioni di salute;191
– infine avvia una ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione per garantire una maggiore
flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche tenuto conto della funzionalità organizzativa
all'interno delle imprese.
Anche gli esiti della ricerca Delphi, Gender Diversity 2020, evidenziano che nel futuro
le politiche organizzative svolgeranno un ruolo fondamentale nel work-life balance,
accanto alle “forme di mutuo aiuto, alle reti d'impresa e alle strutture di welfare non statali”. I
risultati della ricerca risultano molto incoraggianti in quanto dichiarano che nel 2020
l'occupazione femminile eguaglierà quella degli uomini e la donna occuperà posizioni
rilevanti anche nei settori tipicamente maschili e nei più elevati ruoli decisionali. Dalla
ricerca emerge, inoltre, che nel capitalismo post industriale creatività, qualità della vita e
cultura dell'etica e dell'estetica si affermeranno come caratteristiche importanti per le
organizzazioni aziendali. La donna essendo portatrice di queste particolarità, è in grado di
valorizzare appieno questi aspetti.192
2.4 Donne manager in Italia : un confronto con l'Europa
La CIDA193 nel 2014 dichiara che le dirigenti italiane, nel settore privato sono
aumentate del 15,8%, a fronte degli uomini che hanno registrato un calo del 5%. Nel settore
pubblico, invece, l’alta presenza femminile (40%),194 è spiegata dal fatto che, in queste
posizioni apicali si accede tramite concorso, modalità che permette alle donne di correre alla
191 http://www.pensionioggi.it/notizie/lavoro/ferie-solidali-piu-vicine-con-il-jobs-act-ecco-cosa-cambia-554321192 S. Palumbo, Gender diversity nel lavoro e nelle organizzazioni: il valore della differenza, Guerini e Associati, 2013,
pp. 135, 136
193 CIDA - Manager e Alte Professionalità per l’Italia è la Confederazione sindacale che rappresenta unitariamente alivello istituzionale dirigenti, quadri e alte professionalità del pubblico e del privato
194 su un totale di 170.590 dirigenti, 68.156 sono donne e 102.434 sono uomini (60%)
65
pari.195 Nonostante questo, il nostro Paese arrossisce di fronte alle statistiche di genere e al
target europeo. A rivelarlo è stata una nuova ricerca condotta dal DAS.196 In relazione ai dati
europei della ricerca DAS, è la Gran Bretagna ad essere considerata il “regno” europeo dei
manager, dove risiede quasi un quarto (24%) dei manager attivi in Europa, molto più
numerosi che in Francia (15%) e Germania (16%). La Lettonia, invece, è il paese che offre
più spazio alle donne dirigenti, mentre l’Italia è solo quarta per numero assoluto di manager
(7%), dietro la Polonia (8%).
Mediamente nella UE solo un terzo dei manager (33%) è donna. Sopra la media si
collocano quasi tutti gli Stati dell’Est Europa. Su tutti spicca la Lettonia con il 46% di donne
ai vertici. Segue la Francia, l'Ungheria, la Lituania e la Slovenia, tutti al 39%. In un gradino
più in basso troviamo la Polonia (38%), che supera per tre punti percentuali la Bulgaria. A
chiudere i posti più alti nella classifica numerica di donne manager europee, è la Svezia
(Stato spesso associato alla parità dei sessi e delle opportunità) e il Portogallo con il 35% e
infine il Regno Unito con il 34% (anche se in aumento).197
In che posizione troviamo l'Italia?
Osservando la tabella 1, possiamo notare che l'Italia si colloca al quintultimo posto nella
classifica dei paesi europei, vantando solo un quarto di donne manager rispetto al totale (si
parla di 217 mila donne in posizioni dirigenziali).
195 http://www.cida.it/sites/default/files/CS_04-07-2014_CEC.pdf196 Compagnia del Gruppo Generali, volta a monitorare la situazione europea per quanto riguarda la presenza femminile
ai vertici delle società.197 Ricerca a cura di Donatella Boccali per Aspen Institute Italia, Donne nei ruoli di vertice, Tavola Rotonda
Intergenerazionale, 17 settembre 2014, p. 5
66
Tabella 1: dati percentuali sulle donne manager presenti nei Paesi dell'UE.
Fonte: Ricerca Italia, gennaio 2014 D.A.S.
Questo record negativo, è frutto principalmente della cultura maschilista, che
rappresenta ancora la donna come "l'angelo del focolare", e non come il capo da cui gli
uomini italiani sono disposti a ricevere disposizioni sul posto di lavoro.
Subito dopo l'Italia, si posiziona la Grecia, la Macedonia, il Lussemburgo e Cipro.
Anche la Danimarca e la Germania, pur avendo come primo ministro una donna, presentano
solo i 28% di manager rosa.198
Paolo Terranova,199 nella sua relazione al congresso, apertosi martedì 10 febbraio a
Bologna, ha sottolineato che “l’Italia è in assoluto il Paese d’Europa che perde il maggior
numero di professionals & managers: 220 mila posti di lavoro persi, tra il 2007 e il 2013. Ma
si distingue anche per altri due dati: il basso tasso di qualificazione (P&M/totale) e la classe
manageriale tra le più anziane d'Europa”.200 Vittorio Sangiorgio,201 a tal proposito, nel
presentare una ricerca sull'età media dei dirigenti italiani, ha espresso la preoccupazione che
“la disoccupazione dei giovani nel nostro Paese, incida fortemente sull’invecchiamento della
classe dirigente, indebolendo complessivamente la capacità dell'Italia di costruire un
adeguato futuro”. In effetti i dati della ricerca sull’età media della nostra classe dirigente
198 http://www.unadonna.it/lifestyle/donne-e-carriera-est-europa-ai-primi-posti-delle-classifiche/79879/199 Presidente di Agenquadri, associazione sindacale autonoma affiliata alla Cgil 200 http://www.rassegna.it/articoli/2015/02/11/118744/professionisti-e-manager-aumentano-in-europa-calano-in-italia201 Delegato nazionale dei giovani della Coldiretti
67
sono piuttosto sconfortanti: per i dirigenti delle banche l'età media è 67 anni, 63 anni per i
professori universitari, 61 per i manager delle aziende a partecipazione statale e “solo” 53
quelli delle aziende private.202
Tabella 2: Dirigenti privati in Italia per sesso e età.
Fonte: elaborazione Manageritalia su dati Inps (Rapporto donne 2014 – Società
italiana l’evoluzione rosa)
Osservando la tabella 2, è chiaro che nel ricambio generazionale in atto nel mondo del
lavoro e ancor più nelle posizioni di vertice, le donne che escono sono pochissime, mentre
aumentano tra i nuovi entranti. Tra i dirigenti , infatti, nelle fasce d’età più giovani le donne
hanno già oggi un peso vicino o superiore al 25% (25-29enni 23,6%; 30-34enni 26,9%).
Inoltre, un divario rilevante che rischia di deprimere sempre più la nostra competitività
economica, ma anche sociale, è data dalla formazione universitaria. L’Italia si posiziona
(UE27) all’ultimo posto per tasso di formazione universitaria tra gli uomini e al terzultimo tra
le donne. In Italia sono laureati il 21,7% delle donne e il 17,2% degli uomini, mentre la media
europea è di 35,8% per le prime e del 31,6% dei secondi.203
Un altro fattore di disuguaglianza sul mercato del lavoro, è rappresentato, dal divario
retributivo di genere.204 Nell’Unione europea le donne in media guadagnano circa il 16% in
meno degli uomini. Come mostrato nel grafico 1, questa forbice varia a seconda dei Paesi: è
inferiore al 10% in Slovenia, Malta, Polonia, Italia, Lussemburgo e Romania, sfora il 20% in
202 http://www.treccani.it/magazine/piazza_enciclopedia_magazine/societa/L_Italia_e_un_Paese_vecchio.html203 Ricerca a cura di Donatella Boccali per Aspen Institute Italia, Donne nei ruoli di vertice, Tavola Rotonda
Intergenerazionale, 17 settembre 2014, p.15204 Divario retributivo di genere o gender pay gap, è la differenza tra il salario orario medio lordo di uomini e donne
espresso come percentuale del salario orario maschile
68
Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania, Austria e Estonia. Per quanto si siano
ridotte globalmente negli ultimi dieci anni, le asimmetrie salariali tra donne e uomini vanno
accentuandosi in alcuni paesi (Ungheria, Portogallo).205
Grafico 1: Divario retributivo di genere nei Paesi europei.
Fonte: dati Aspen Institute Italia 2014.
Quali sono i fattori imputabili a questo divario?
Innanzi tutto esso è una conseguenza delle discriminazioni sul posto di lavoro, non solo
di quelle dirette206 ma anche di una serie di fattori culturali e politici che, di fatto se non
nell’intento, finiscono per produrre disparità salariali.
Le donne sono maggiormente presenti nei contratti di lavoro atipici (lavori a tempo
determinato, part-time, collaboratori e lavoratori a progetto); questi contratti permettono una
maggiore conciliazione lavoro-famiglia, ma allo stesso tempo si associano a livelli retributivi
più bassi e scarse possibilità di carriera.
Mincer e Polacheck, sostengono, che il divario retributivo di genere, sia dovuto in parte
a differenze di produttività: i più elevati tassi di assenteismo e di turnover delle donne, a
causa della cura dei figli, è associato ad una produttività inferiore rispetto ai loro colleghi
maschi.207
Altra fondamentale causa, la possiamo imputare al fatto che le donne e gli uomini
205 Commissione Europea, Colmare il divario retributivo di genere nell’Unione europea, Giustizia, Unione europea,2014, p. 2 http://ec.europa.eu/justice/gender-equality/files/gender_pay_gap/140319_gpg_it.pdf
206 Discriminazione diretta: si riferisce a casi in cui una disposizione, un criterio o una prassi è palesemente a sfavore diuna persona (o un gruppo di lavoratori) in base al sesso (e/o gruppo etnico, religione, età, ecc.). Un esempio didiscriminazione diretta è il licenziamento di una lavoratrice perché incinta; oppure, la mancata promozione di unalavoratrice perché donna. La discriminazione diretta è illegale, quindi nel mondo reale è limitata ad un numerocircoscritto di casi.
207 L. Aiello, M. Iannotta, op.cit, p.37.
69
trovano spesso lavoro in settori diversi e svolgono mansioni differenti. Questo che cosa
implica?
Una disomogenea distribuzione di uomini e donne nel mondo del lavoro: le donne sono
prevalentemente occupate come segretarie, impiegate, insegnanti, ecc.; gli uomini invece,
sono occupati come tecnici, informatici, ingegneri, ecc.. Queste differenze sono il risultato
del processo di allocazione nel mercato del lavoro che si manifesta in termini di
“segregazione orizzontale” (per settore di attività e per occupazione). Alla segregazione
orizzontale si aggiunge il problema della segregazione verticale: le posizioni apicali, ovvero
quelle meglio retribuite, sono prevalentemente occupate da uomini. In altri termini, è molto
più difficile per le donne fare carriera, e quindi vedere riconosciute anche nel livello
retributivo le proprie capacità professionali.208
La maggior parte dei paesi registra un divario retributivo di genere più ampio nel settore
privato rispetto al settore pubblico, ad eccezione della Bulgaria, Lettonia ed Ungheria. Il
divario retributivo più elevato nel settore pubblico è stato riportato in Ungheria (24%).209
Il gender gap tra i salari pubblici e privati, dipende da logiche diverse cui risponde il
settore privato ma anche da dinamiche di reclutamento meno soggette a vincoli e meno
obiettive.210
Tabella 3: divario retributivo di genere in Europa, settore pubblico e privato.
Fonte: Eurostat 2012
208 P. Villa, Differenziali retributivi di genere, Ministero del Lavoro e dalla Provincia Autonoma di Bolzano, 2010, pp 20-21
209 Dr Jane Pillinger, Negoziare la parità, Confederazione europea dei sindacati 2014, p.8,http://www.unife.it/progetto/equality-and-diversity/documentazione/allegati/negoziare-la-parita
210 http://www.ingenere.it/articoli/il-gender-pay-gap-tra-pubblico-e-privato
70
2.5 Le cause e le conseguenze della difficile conciliazione famiglia e carriera in
Italia: un confronto con l'Europa.
Come già affermato in precedenza, una delle maggiori cause di interruzione della
carriera delle donne italiane in azienda è la maternità. Infatti, nelle aspiranti manager cresce
sempre di più la consapevolezza che diventare madre possa compromettere ogni possibilità di
realizzazione nel mondo del lavoro. Come dimostrato dai dati Istat del 2012, l’Italia, nel
contesto europeo, si colloca tra i Paesi a bassa fecondità, risultando nella graduatoria
internazionale al 19° posto (1,3 figli per donna nel 2012). L’Irlanda e la Francia assumono
una posizione di eccezione, essendo gli unici Paesi che presentano valori prossimi alla soglia
che garantirebbe il ricambio generazionale (entrambi 2,01 figli in media per donna nel 2012).
Nella parte alta della graduatoria del tasso di fecondità totale si trovano, inoltre, i Paesi
Scandinavi e il Regno Unito, noti nel panorama europeo per le politiche a sostegno della
natalità e della famiglia. Se si considera l’età media al parto, invece, l’Italia si trova al 3°
posto, superata solo da Spagna e Irlanda che presentano l’età più avanzata (rispettivamente
31,6 e 31,5 anni).211
Oggi, nel nostro Paese, avere figli non è più un dato scontato e il non averne è diventata
quasi una scelta obbligata per le donne che vogliono fare carriera. Perché accade questo?
Principalmente perché le condizioni e la qualità dei servizi per la famiglia (asilo nido,
scuole materne, scuola, sostegno all'istruzione e all'emancipazione dei giovani della famiglia)
si sono stabilizzate su livelli tutt'altro che incoraggianti rispetto alla media europea,
nonostante l'Italia si collochi al terzo posto, dopo Austria e Olanda, per il “tasso di
generosità” delle tutele poste a supporto della maternità.212
Stando agli ultimi dati, resi disponibili dal 7°Rapporto su "I diritti dell'infanzia e
dell'adolescenza”, in Italia (numero di bambini in età 0-3 anni) in media la copertura del
servizio è del 6,5% (percentuale che sale all’13,3% se consideriamo solo i capoluoghi di
provincia) con un massimo del 15,2% in Emilia Romagna ed un minimo dell’1% scarso in
Calabria e Campania.213
211 Dati statistici Selezione di statistiche su alcuni aspetti economici, sociali e demografici dell’Italia a confronto con gli altri Paesi dell’Unione Europea Fonte: Istat – Eurostat 2014 p.6 http://www.aclifai.it/userfiles/Statistiche_IT.pdf
212 L. Aiello, M. Iannotta, op.cit, p.36213 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-06-17/rapporto-crc-italia-non-e-paese-bambini-pochi-servizi-e-risorse-
71
Questo dato conferma non solo quanto l’Italia sia lontana dall’obiettivo comunitario che fissa
al 33% la copertura del servizio, ma anche dal resto dei Paesi europei: Danimarca, Svezia e
Islanda si contraddistinguono per il più alto tasso di diffusione dei servizi per la prima
infanzia (con una copertura del 50% dei bambini di età inferiore ai tre anni), seguiti da
Finlandia, Paesi Bassi, Francia, Slovenia, Belgio, Regno Unito e Portogallo (con valori tra il
50% e il 25%). Percentuali comprese tra 25 e 10% si registrano, oltre che nel nostro Paese, in
Lituania, Spagna, Irlanda, Austria, Ungheria e Germania.214
Da quanto emerge dall'analisi realizzata nell'ambito del progetto “Welfare, Italia
Laboratorio per le nuove politiche sociali” di Censis e Unipol Gruppo Finanziario, un altro
tasto dolente nel nostro Paese, riguarda la flessibilità dell'orario di lavoro, per favorire la
conciliazione con i tempi della famiglia. Solo il 49% delle nostre imprese adotta forme
flessibili degli orari di lavoro, a fronte del 51% in Francia, il 55% in Spagna, il 58% in
Germania, il 70% in Danimarca e Regno Unito, l'83% in Finlandia. Solo Portogallo (48%) e
Grecia (34%) mostrano valori più bassi di quelli italiani. In Italia il 59% dei lavoratori deve
rispettare un orario stabilito rigidamente dalla propria azienda, percentuale più alta che in
Germania (55%), ma soprattutto rispetto a Finlandia (45%), Olanda e Svezia (40%). Anche le
imprese italiane che permettono di utilizzare le ore di straordinario accumulate per usufruire
di giorni di ferie sono solo il 15%, a fronte del 28% di quelle francesi e britanniche, del 43%
delle tedesche, del 53% delle danesi, del 66% delle finlandesi.
Le donne italiane in part-time sono il 31,1% delle lavoratrici rispetto a una media
europea del 32,6% e percentuali che arrivano al 43,3% in Gran Bretagna, 45,6% in Germania,
60,9% in Svizzera, 77% in Olanda.
Anche il telelavoro è scarsamente diffuso: riguarda il 3% degli occupati italiani maschi
e il 5% delle donne, valori tra i più bassi in Europa. Considerando i lavoratori maschi,
soltanto la Turchia presenta una percentuale inferiore a quella dell'Italia (2,3%). I valori sono
superiori in Germania (7,4%), Spagna (8,4%), Francia (9,9%) e Gran Bretagna (11,8%). E il
nostro Paese rimane agli ultimi posti anche per quanto riguarda la diffusione del telelavoro tra
le donne, lontano da Francia (7,3%), Germania (7,6%), Svezia (8,2%), Spagna (9,5%) e
082851.shtml?uuid=AB1puuRB214 http://www.cittadinanzattiva.it/comunicati/consumatori/asili-nido/4211-cittadinanzattiva-indagine-2012-sugli-asili-
nido-comunali.html
72
Olanda (9,7%).215
Dal punto di vista legislativo, affinché le mamme manager possano conciliare con più
facilità famiglia e lavoro, oltre al congedo di maternità, ha una notevole importanza il
congedo di paternità, riservato esclusivamente ai neo-papà quando nasce un figlio.
Il congedo di paternità è attualmente presente in quasi tutti i Paesi europei ma con
durata e indennità prevista molto diverse a seconda degli stati.
In Italia fino al 2012 i padri non avevano diritto ad un congedo specifico legato alla
nascita di un figlio. Fino a quel momento essi avevano il diritto di usufruire, in particolari
circostanze, dei benefici derivanti dai congedi di maternità al posto della madre.
A partire dal 1 gennaio 2013, con la Legge n. 92 del 28 giugno 2012 è stato introdotto,
in forma sperimentale per il triennio 2013-2015, un giorno di congedo obbligatorio per il
padre lavoratore dipendente, spettante indipendentemente dal diritto della madre al congedo
obbligatorio, da richiedere entro i primi 5 mesi dalla nascita del figlio. Al padre lavoratore,
inoltre, spetta il diritto di richiedere ulteriori due giorni di congedo, sempre entro i 5 mesi.
Questi 2 giorni aggiuntivi, tuttavia, sono presi in sostituzione della madre durante il periodo
di astensione obbligatorio che le spetta. Questo diritto, va detto, spetta sia per i figli naturali,
che quelli adottivi o in affidamento.
Per quanto riguarda il trattamento economico, il padre ha diritto, per i giorni di congedo
spettanti, ad un’indennità giornaliera a carico dell’INPS pari al 100% della retribuzione.
Quali sono i padri europei più tutelati?
In Norvegia, il congedo paternità obbligatorio è di 15 giorni. E’ tuttavia molto comune
che i papà, usufruendo del successivo congedo parentale, prolunghino questo periodo per
stare qualche mese a casa con i figli.
In Norvegia esiste un congedo parentale straordinario: La possibilità per i genitori di
dividersi 46 settimane indennizzate al 100% della retribuzione oppure 56 settimane all’80%
di cui 10 sono concesse esclusivamente ai padri.
In Svezia, primo Paese al mondo ad avere istituito il congedo parentale nel 1974, il
padre ha diritto a 10 giorni di congedo paternità dal giorno della nascita del figlio (20 giorni
215 http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=120919
73
nel caso di gemelli) in contemporanea con la madre. Oltre a questo, i genitori possono
usufruire di 480 giorni di congedo parentale da dividersi, di cui 60 giorni assegnati
esclusivamente a ciascuno di loro. Questo congedo, inoltre, è molto ben retribuito. Per 390
giorni l’indennità giornaliera può raggiungere al massimo SEK946 (105€). Per i restanti 90
giorni l’indennità diventa di SEK 180 (20€).
In Finlandia, il congedo paternità è di 54 giorni lavorativi. L’indennità è calcolata sulla
base della dichiarazione dei redditi dell’anno precedente. Ad ogni modo non può essere
inferiore a 23,77€.
In Slovenia è previsto un congedo paternità di 90 giorni, di cui solo 15 sono retribuiti al
100%. I restanti 75 giorni, pagati al 70%, possono essere presi in qualsiasi momento fino ai 3
anni del figlio.
La Polonia ha istituito dal 2012 un congedo paternità di 2 settimane.
In Danimarca i padri hanno diritto a due settimane di congedo paternità dopo la nascita
di un figlio.
Nel Regno Unito, invece, i papà beneficiano di un congedo paternità fino a due
settimane con un’indennità pari al 90% della retribuzione media.
In Spagna, oltre al congedo da prendere il giorno del parto e il giorno successivo, i padri
hanno diritto a 13 giorni di congedo paternità da prendere entro i 9 mesi dalla nascita.
In Danimarca possono usufruire di 2 settimane di congedo paternità.
In Belgio i padri hanno diritto ad un congedo paternità di 10 giorni da prendere entro il
quarto mese a decorrere dalla nascita del figlio. Per i primi 3 giorni l’indennità è del 100% ed
è pagata dal datore di lavoro. Per i restanti 7 giorni un’ indennità è erogata dall’assicurazione
obbligatoria.
Un’eccezione riguarda la Germania che non prevede un congedo paternità stricto sensu
ma dove esiste un congedo parentale estremamente favorevole per entrambi i genitori. La
durata del congedo parentale è di 3 anni che possono essere utilizzati dalla madre o dal padre
entro gli 8 anni del bambino. Il datore di lavoro non può rifiutarsi di concederlo salvo che per
gravi motivazioni. Il genitore che usufruisce del congedo percepisce il 67% del suo stipendio
74
entro il limite di 1800 euro al mese.216
216 http://www.ilcosmopolitacurioso.eu/2014/il-congedo-paternita-in-europa/
75
CAPITOLO 3
CASO STUDIO: L'AFFERMAZIONE DELLA FIGURA MANAGERIALE
FEMMINILE NELL 'AZIENDA AEROPORTUALE DI PISA (SAT) E
NELL'ASSOCIAZIONE CULTURALE ERACLITO 2000.
3.1 Intervista alla Dott.ssa Gina Giani, Amministratore delegato e Direttore generale
SAT PISA.
Gina Giani nasce a Pontedera (Pisa) l’8 ottobre del 1955, cresce con la passione per lo
studio e per la musica, si diploma al liceo classico con il massimo dei voti e s'iscrive
all'Università di Pisa dove nel 1990 si laurea in Lettere, indirizzo Storia dell'Arte.
Il suo percorso professionale nell'aeroporto di Pisa Galileo Galilei (SAT)217, inizia nel
1987 quando era studentessa. Fece una selezione per le mansioni di assistente di scalo,
assistente al servizio passeggeri che richiedeva una buona conoscenza della lingua inglese. In
possesso di questo requisito, venne assunta con un contratto stagionale.
Gina Giani sale tutti i gradini della carriera: dal 1987 al 1990 Le viene affidata la carica
di responsabile delle Relazioni Esterne e addetto stampa, dal 1990 al 1995 viene nominata
Capo Servizio Relazioni Esterne e Marcketing.
Il momento più esaltante per la sua carriera fu nel 1995, quando l'ingegner Ballini, il suo
mentore, all'epoca amministratore delegato della SAT, Le affidò la direzione commerciale e
marketing, dicendole: “Ha tre mesi di tempo per dimostrarmi quello che sa fare”. Fu un gran
salto dalle parole ai numeri per la Giani che proveniva dall'ufficio stampa.
La fiducia del vertice aziendale Lei se l'è guadagnata, giorno per giorno con il massimo
impegno accompagnato dalla volontà di imparare. Per la Giani, l'ingegner Ballini è stato un
vero e proprio mentore, una persona che in maniera disinteressata l'ha formata per un
217 SAT, gestisce l'Aeroporto di Pisa e ad essa è affidata la gestione totale dello scalo, nonché la programmazione e il finanziamento dello sviluppo globale dell’aeroporto, sia per quanto concerne il traffico aereo che le infrastrutture e i servizi per i passeggeri.http://www.pisa-airport.com/aeroporto_di_pisa_19.html
76
incarico, che non era tanto quello che stava svolgendo ma era interessato a valorizzare le sue
potenzialità. Questo grande atto di generosità, sostiene la Giani, era ricambiato da tutta la sua
energia e disponibilità. Non esistevano da parte sua risposte del tipo «io non ti faccio questo
perché non ho tempo, oppure se ti faccio questo mi aumenti lo stipendio». La Giani, infatti,
nel suo percorso non ha mai chiesto aumenti di stipendio bensì corsi di formazione di alto
livello, che facevano comodo non solo a Lei ma anche all'azienda.
Frequentò nel 1993 il “Master for airport executives on airport planning and desing” a
Cambridge, Mass negli Stati Uniti al celebre Mit; nel 1996 “Seminar for aviation strategists:
Demand analysis and capacity management” alla Westminster University di Londra; nel
1997 “Basic Finance” alla Bocconi di Milano e nel 2008 a Stresa frequentò “General
Management Executive Development Program”.
L'ambiente dell'aeronautica non è mai stato molto favorevole alle donne, infatti la Giani
ricorda che nel trasporto aereo negli anni '70, le donne eravamo considerate poco più che
piante decorative, nel senso che dovevano esclusivamente assistere il passeggero e sorridere.
Per quanto riguarda gli incarichi tecnici tipo piano carico dell'aereo mobile, la gestione della
spedizione merci ecc, erano considerate mansioni maschili, e si riteneva che la donna, in
quanto tale, non ne avesse le capacità. In buona sostanza era un ambiente molto duro per la
donna, pieno di discriminazioni. Quindi, cose che oggi sono perseguite dalla legge prima
erano all'ordine del giorno.
Nonostante ciò, la Giani ritiene di non aver mai subito discriminazioni, ma ricorda il
supporto e la grande generosità da parte dei suoi colleghi, soprattutto di genere maschile. Di
fronte alle sue domande come «spiegami, vorrei capire questo», sostiene di non aver mai
trovato una chiusura a riccio con risposte del tipo «non mi fare perdere tempo ecc.». È
sempre stata consapevole che nei rapporti di lavoro, soprattutto quando si parla di aziende che
lavorano per il perseguimento di obiettivi economici, ci debba essere un do ut des. Quindi se
qualcuno concede un po' del suo tempo per insegnare, spiegare, o consigliare qualcosa, è
necessario mostrare la massima disponibilità nei suoi confronti. La Giani, per esempio,
essendo piuttosto brava in italiano aiutava qualche collega o superiore a fare meglio le sue
relazioni, restando la sera fino all'ora di cena, in modo tale che lì, anche Lei poteva
raccontare le cose e avere degli input.
77
La Giani anche se ha avuto fortuna ad avere colleghi o superiori che l'hanno supportata,
Lei non ha figli, e sostiene di non aver mai avuto una vocazione alla maternità, quindi la sua
massima disponibilità è stata garantita anche da questo fattore. Si è sposata a cinquantasei
anni e ritiene di non immaginare nemmeno come avrebbe fatto a conciliare lavoro/famiglia
essendo mamma. È consapevole allo stesso tempo che il problema della famiglia, dura un
numero x di anni e una volta che i bambini hanno dieci anni e diventano indipendenti, il
problema non sussiste più come prima.
Nonostante questo suo pensiero iniziale, essa è d'accordo con l'imprenditrice
statunitense Sheryl Sandberg quando dice «il problema del marito te lo devi porre quando ti
viene e non prima di averlo».
La Giani racconta oggi di avere dei collaboratori giovani che fanno i babbi in una
maniera diversa dagli uomini della sua generazione, ad esempio portano i bambini dal medico
ecc. L'aiuto del partner è fondamentale per una donna in carriera, poiché le consente con più
facilità di conciliare la famiglia con il lavoro. All'epoca dei suoi nonni invece i ruoli maschili
e femminili racconta la Giani erano abbastanza chiari: “l'uomo lavora e la donna sta in casa”.
Dunque, c'era un' equilibrio discutibile, ma c'era.
Oggi questo non accade perché l'uomo vuole che la donna lavori, che concorra alla
famiglia, quando la vuole lasciare la lascia ecc. C'è da aggiungere anche che in Italia c'è una
mentalità latina, e indubbiamente la mentalità latina affossa la donna in due modi, da una
parte c'è il maschilismo e dall'altra c'è una mentalità cattolica che richiede che la donna sia un
essere impuro.
La donna, infatti nel nostro Paese ha difficoltà ad aspirare a stipendi importanti perché
di fatto, non riesce a dare quella disponibilità temporale che ci vuole per poter aspirare a
raggiungere determinati incarichi. Anche in questo particolare essa si rivede nel pensiero
della Sandberg, quando consiglia alle nuove generazioni di cercarsi un compagno più adatto e
che sin dall'inizio sia pronto a condividere la famiglia al 100%.
Il suo consiglio alle giovani donne, è di credere in una carriera professionale, che
avviene solo se si da tanto poiché che c'è molta competizione. Anche se nella scuola bisogna
studiare molto per ottenere risultati eccellenti, un professore non è limitato a quanti nove,
dieci, ottimi può dare. Il lavoro invece è “più cattivo”, pretende molto di più. Quindi tra tre,
78
quattro candidati per una determinata posizione, alla fine se ne deve scegliere soltanto uno.
Un aspetto che lei ritiene fondamentale quando vengono fatti dei colloqui di lavoro è il
realismo, ossia una persona si deve presentare per quella che è. A tal proposito, ricorda
ancora il colloquio che fece alla sua attuale direttrice commerciale, quando era una stagista e
la Giani era al suo posto. Alla domanda “ma lo sa che con me si lavora fino a tardi, lei come
si vede?”. La risposta della stagista fù : “Dottorè, io sono figlia di un carabiniere, ho fatto
l'università, mi sono laureata in Marketing con 110 e lode a Pisa e nel frattempo lavoravo la
notte in pizzeria. Per fare le nove di sera non c'è bisogno di fare la manager, basta fare la
commessa”.
Dunque, è vero che le aziende vogliono tanta disponibilità dalle persone in carriera
perché è un mondo difficile, pieno di emergenze, la velocità del business ecc, però spiega la
Giani, oggi esistono condizioni che prima non si presentavano, si pensi alla spesa via
internet, farsi portare a casa la roba dal supermercato, oppure nell'azienda aeroportuale c'è la
lavanderia, la parrucchiera, ecc. Tutto ciò permette alla persona nell'ora di pausa di fare
determinate cose. Inoltre La Società Aeroporto Toscano (SAT), che gestisce il Galilei, ha dato
il via al progetto per la realizzazione di un nuovo asilo nido privato aziendale convenzionato
con il Comune di Pisa. La struttura sorgerà nella zona di Pisa Ovest nei pressi di via San
Giusto, facilmente raggiungibile sia dall'Aurelia sia dal centro città. Il nuovo asilo nido
accoglierà bambini nella fascia d'età compresa tra i 12 e i 36 mesi, ma è prevista anche la
presenza di uno spazio ludico per i bambini dai 3 ai 10 anni (lo spazio ludico potrà essere
usufruito anche dai non iscritti al nido). I vantaggi che offrirà sono legati, oltre alla posizione
strategica, anche agli orari di apertura: dal lunedì al venerdì con orario continuato dalle 7.30
alle 18.30, in totale 11 ore contro le otto generalmente offerte dagli asili presenti sul territorio.
Per la realizzazione del nuovo asilo nido si prevede un investimento a carico di Sat di oltre un
milione di euro. La Giani spiega: «Il 65% dei nostri dipendenti ha un'età compresa tra i 25 e
i 45 anni. Questo asilo aziendale sarà una risposta concreta ai bisogni dei tanti padri e
madri di Sat che hanno la necessità di lasciare i figli in una struttura sicura, comoda e che
venga il più possibile incontro agli orari lavorativi dei genitori».218
La Giani è convinta anche del fatto che tutto non si può avere, ad esempio alcune
ragazze che avevano iniziato la carriera con lei e in seguito hanno preso strade diverse, oggi
218 http://iltirreno.gelocal.it/pisa/cronaca/2010/12/19/news/sat-investe-un-milione-nell-asilo-nido-1.2231455
79
sono nonne giovani e hanno cose che lei non ha e viceversa. Con questo ci fa capire che gli
obiettivi della vita non sono sempre gli stessi, poiché quello che può capitare nel percorso di
ogni persona, è sempre un incrocio tra quello che vogliamo, e le opportunità o le criticità che
bisogna superare. Quindi a suo avviso, ognuno deve cercare il proprio equilibrio, poiché non
c'è una regola che vale per tutti.
Per quanto riguarda le opportunità e le criticità che si possono presentare, è del parere
che ad un certo punto, bisogna avere la volontà di prendere in mano il proprio destino, ed
essere consapevoli che ci sono cose che possono dipendere da noi, mentre altre no.
Racconta di aver conosciuto persone che si rifiutavano di avere un occhio oggettivo
sulla propria vita, ad esempio: donne che quando gli andavano male i rapporti amorosi si
sfogavano sul lavoro, lamentandosi che il lavoro non gli piaceva più ecc. A tal proposito,
suggerisce a queste donne che, invece di far scattare i meccanismi di autocommiserazione, di
depressione ecc, devono concentrarsi sul lavoro e capire che in ogni criticità c'è un
cambiamento e quindi un'opportunità che non va mai persa, perché di treni non ne passano
tanti, ma soprattutto c'è una forte concorrenza per le parti della fetta migliore.
Lei si ritiene inoltre fortunata in quanto ha potuto fare carriera lentamente, rispetto a
persone giovani che ereditano da un momento all'altro l'azienda del babbo, che pur essendo
specialisti esperti non riuscivano a reggere certe angosce perché non erano preparati.
Nel marzo 2009, alla scomparsa del direttore generale e amministratore delegato Pier
Giorgio Ballini, il Consiglio di Amministrazione all'unanimità nominò Gina Giani direttore
generale e due mesi dopo le conferì anche la carica di amministratore delegato. In questa
circostanza la Giani si chiese: “ora ho il sistema nervoso adatto?”
Lei è diventata amministratore delegato dell'aeroporto di Pisa nei cinque anni della più
grave crisi economica del dopoguerra e il suo obiettivo principale è stato quello che gli
azionisti, i dipendenti e il territorio non soffrissero. Ma nonostante la crisi, la Giani ce l'ha
fatta e l'aeroporto ha continuato a svilupparsi con successo.
Spiega inoltre di aver visto persone avere burnout perché non sono riuscite a reggere
certi livelli di responsabilità. Queste sono cose, sostiene la Giani, che ogni persona deve ben
capire di se. Ci sono persone per esempio che amano esercitare la loro leadership, come i
grandi insegnanti, i grandi medici, capendo l'individuo e cercando di valorizzarlo; ci sono
80
persone che invece amano perseguire degli obiettivi e per raggiungerli sono disposti a tutto,
ce ne sono altre che richiedono una buona dose di creatività per agire in modo diverso,
altrimenti si annoiano, ecc. Quindi la società umana ha bisogno di tutto, però ognuno deve
capire cosa desidera di più poiché alla fine la ricerca di tutto è la felicità.
Secondo la Giani una persona che esprime felicità è leader di natura, e tutti saranno
curiosi di sapere come fa ad essere così serena, forte, centrata e positiva. Mentre la persona
angosciata, irascibile, e infelice non attirerà mai nessuno, e non sarà mai considerata come
quella che aiuterà il gruppo a risolvere un problema.
La Giani è una donna che lavora e ha sempre lavorato con passione. Si sveglia alle sei e
mezzo del mattino e scarica giornali su internet. Alle 8.45 si reca in ufficio dedicando la
mattinata alle pratiche difficili. Normalmente sostiene di sbrigarsela in dieci ore di lavoro,
saltando la pausa pranzo. Il pomeriggio e la sera li dedica invece a incarichi di rappresentanza
oppure telefonate con gli Stati Uniti o con l'Argentina.
Tra le sue doti manageriali si percepisce un costante impegno, volontà, armonia
determinazione, talento e molta tenacia. A confermare questo, non sono soltanto io, mediante
l'intervista, ma soprattutto i numerosi attestati219 ricevuti che evidenziano le qualità di una
manager donna di grande spessore.
La Giani si ritiene una femminista e suggerisce alle nuove generazioni di difendere
questa dialettica a 360 gradi, perché nella storia si sono visti momenti in cui le donne
contavano di più seguiti da momenti di arretramento ecc. È fortemente convinta che sia
necessario un modello di leadership diverso da quello maschile, poiché, nonostante lei stessa
riconosce di aver avuto un grande amministratore delegato, allo stesso tempo, si rende conto
che se si fosse comportata come lui sarebbe stato estremamente buffo. Quindi per la Giani,
ognuno la leadership se la deve calare nella propria personalità.
Le caratteristiche che contraddistinguono la sua leadership sono: prima di tutto non
perdere mai l'autenticità, perché secondo lei non si avrà mai successo se non si è autentici;
punto secondo rivendicare il diritto di essere ambiziosa; punto terzo rivendicare il diritto di
guadagnare un bello stipendio; punto quarto rivendicare il diritto di farsi valere come quella
persona che ha l'ultima decisione dopo aver ascoltato gli altri e valutato bene le loro
219 http://www.guerrieropisano.it/edizione_2011/giani.pdf
81
proposte .
Non crede nelle monoculture aziendali tutto maschio o tutto femmina ma è fortemente
convinta che un buon mix maschile-femminile nelle organizzazioni umane è vincente, non a
caso , sostiene la Giani, la coppia per arrivare ai figli è fatta dal maschio e dalla femmina.
Riconosce, senza cadere negli stereotipi, dei comportamenti vincenti tipicamente
femminili come ad esempio la capacità di costruire una squadra. Una maggiore capacità di
fare più cose insieme rispetto agli uomini, senza far scattare competizioni eccessive, perché a
volte gli uomini tendono ad essere competitivi per natura. Le donne, inoltre, sono delle
tessitrici di rapporti, hanno meno testosterone nelle vene e quindi una capacità di restare
calme e non far scattare l'ormone in situazioni in cui se nasce una contrapposizione, è più
facile per una donna incassare un colpo che per un uomo. Sono più comunicative ma hanno
bisogno di controbilanciare le abilità verbali, con la capacità numerica, imparare un po' il man
spike, nel senso che nelle comunità tutte femminili, si notano dei difetti comunicazionali,
perché si parla troppo, ci si distrae, si pensa più alle persone che agli obiettivi da raggiungere.
Nelle comunità tutte maschili, c'è parecchio testosterone più concentrazione sull'obiettivo, sul
dato numerico ma si perdono alcune cose. Quindi l'interazione tra i sessi per la Giani fa bene
anche alla donna poiché le permette di correggersi su certi aspetti e la arricchisce in altri.
Sostiene infatti che in aeroporto, lei e i suoi collaboratori, hanno fatto dei corsi alle giovani
manager proprio su questo, in quanto si erano accorti che si tendeva nella squadra a pensarla
come un gruppo di persone, di cui alcune erano simpatiche e altre no, anziché unirsi a
prescindere dalla simpatia, per il raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Lei è fermamente convinta che ogni persona, a prescindere dai pregi e difetti, debba
essere formata, e si debba attuare anche con loro una strategia finalizzata al raggiungimento
dell'obiettivo, che nel caso di queste persone era quello di mandare via l'aereo in orario con
tutti i servizi fatti bene.
La Giani, inoltre, sostiene che per la classe dirigente maschile, le donne possono essere
considerate una minaccia, perché i posti di potere sono pochi e le donne sono tante, ma
soprattutto sono molto competenti. Quindi, se vengono incluse anche le donne qualche uomo
si deve alzare, e loro tutto vogliono meno che alzarsi.
Lei si è battuta, intervenendo anche sul Sole 24 ore per l'inserimento delle donne nei
82
consigli di amministrazione. È favorevole alle “quote rosa” perché a suo parere, servono a
rompere una monocultura negativa e pensa anche che andrebbero introdotte ovunque si
prendano decisioni, che si tratti di asili nido o di consigli di amministrazione aziendali.220
Per quanto riguarda l'aeroporto però, sostiene che vale il discorso opposto, ad esempio
nel collegio di sindaci revisori sono tutte donne tranne un uomo, tra cui la Presidente che è
un altissimo dirigente dello Stato del Ministero del Tesoro. Quindi la cosa migliore per la
Giani, sarebbe un mixaggio dei generi.
Nel Cda dell'aeroporto come osserviamo nella tabella è composto, a parte la Giani, da
altre due donne tra cui l'avvocato Schirinian e da Angela Nobile che è direttore generale del
Comune di Pisa, considerate dalla Giani donne molto qualificate e competenti.
Tabella 4: composizione del Consiglio di Amministrazione in carica.
Fonte: sito ufficiale Pisa International Airport
La figura della donna nell'aeroporto, è molto valorizzata. Infatti il 60% del personale è
femminile. Il 50% dei Capi sono donne, il 20% del top management è donna.
La missione principale per SAT Società Aeroporto Toscano Galileo Galilei S.p.A. è la
220 http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2010-10-23/gina-giani-introdurre-ovunque-113812.shtml?uuid=AYOUrJdC
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creazione di valore per gli azionisti, attraverso lo svolgimento di attività aeronautiche - e cioè
di gestione e sviluppo delle infrastrutture aeroportuali nonché di gestione dei servizi di
assistenza a terra - e non aeronautiche, che consistono nello sfruttamento delle potenzialità
immobiliari e commerciali dell’Aeroporto.
Per quanto riguarda la cultura aziendale, l'aeroporto si avvale di una carta dei valori che
è stata elaborata dal management ed è impostata sul servizio al cliente, sull'eticità e sulla
professionalità. Quindi, sostiene la Giani non è una carta dei valori come quella di Nike,
basata per esempio sulla competizione, “fra due io devo essere il primo”. Ma è una carta dei
valori abbastanza inclusiva che vale per il management ma anche per l'ultimo fattorino,
perché per la Giani in azienda tutti sono importanti.
Le linee guida e le norme comportamentali della carta, mirano a promuovere:
• conformità alle leggi e ai regolamenti interni, anche della Società;
• correttezza, cortesia e rispetto nei rapporti tra colleghi;
• rispetto degli interessi di ogni altro interlocutore (clienti, partner commerciali, autorità
governative e comunità pubblica);
• rispetto delle regole della concorrenza; professionalità e diligenza nello svolgimento
dei propri compiti.221
Gli standard etici di riferimento di SAT sono le seguenti:
• CONFORMITÀ ALLE LEGGI
SAT opera nel rispetto delle leggi vigenti, dell’etica professionale e dei regolamenti interni
esterni e di quelli associativi. Il perseguimento del proprio interesse non può mai giustificare
una condotta contraria ai principi di onestà, correttezza, legittimità, trasparenza; vanno evitate
tutte le situazioni che hanno il fine esclusivo di influire sulla indipendenza di giudizio e di
condotta delle parti coinvolte.
• IMPARZIALITÀ
Nelle relazioni con tutti i propri stakeholders, (la scelta dei clienti, i rapporti con gli azionisti,
la gestione del personale, o l’organizzazione del lavoro, la selezione e gestione dei fornitori, i
221 SAT Società Aeroporto Toscano Galileo Galilei, Codice di Comportamento25 febbraio 2014 , p.3 http://www.pisa-airport.com/aeroporto_di_pisa_272.html
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rapporti con le istituzioni) SAT evita ogni discriminazione basata sull’età, l’origine razziale
ed etnica, la nazionalità, le opinioni politiche, le credenze religiose, il sesso, la sessualità o lo
stato di salute dei suoi interlocutori.
• PROFESSIONALITÀ E VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE UMANE
SAT garantisce un adeguato grado di professionalità nell’esecuzione dei compiti assegnati ai
propri collaboratori. A tal fine, la società è impegnata a valorizzare ed accrescere le
competenze delle proprie risorse umane, mettendo a disposizione delle medesime idonei
strumenti di formazione, di aggiornamento professionale e di sviluppo.
• RISERVATEZZA
SAT garantisce, in conformità alle disposizioni di legge, la riservatezza delle informazioni in
proprio possesso. Ai collaboratori della società è fatto divieto di utilizzare informazioni
riservate per scopi non connessi all’esercizio della propria attività professionale e comunque
nei limiti previsti dalla normativa vigente ed ai regolamenti interni, con particolare
riferimento a quelli relativi alle informazioni privilegiate e rilevanti. 3.5. CORRETTEZZA IN
CASO DI CONFLITTI DI INTERESSE
• Nello svolgimento di ogni attività, SAT opera per evitare di incorrere in situazioni di
conflitto di interesse, reale o anche soltanto potenziale. Fra le ipotesi di “conflitto di
interesse”, oltre a quelle definite dalla legge, si intende anche il caso in cui un collaboratore
operi per il soddisfacimento di un interesse diverso da quello dell’impresa e dei suoi azionisti
per trarne un vantaggio di natura personale.
• VALORIZZAZIONE DELL'INVESTIMENTO AZIONARIO
SAT si adopera affinché le performance economico/finanziarie siano tali da salvaguardare ed
accrescere il valore dell'impresa, al fine di remunerare adeguatamente il rischio che gli
azionisti assumono con l'investimento dei propri capitali.
• CONCORRENZA LIBERA E LEALE
SAT riconosce la libera concorrenza in un’economia di mercato quale fattore decisivo di
crescita e costante miglioramento aziendale. SAT intende tutelare il valore della concorrenza
leale astenendosi da comportamenti collusivi, predatori e di abuso di posizione dominante.
• EQUITÀ DELL'AUTORITÀ
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Nella sottoscrizione e gestione dei rapporti contrattuali che implicano l'instaurarsi sia di
relazioni gerarchiche sia di rapporti con i collaboratori dipendenti e non, SAT si impegna a
fare in modo che l'autorità venga esercitata con equità e correttezza evitandone ogni abuso. In
particolare garantisce che l'autorità non si trasformi in esercizio del potere lesivo della dignità
e autonomia dei dipendenti e degli altri collaboratori e che le scelte di organizzazione del
lavoro saranno rispettose dei valori dei collaboratori.
• DILIGENZA E ACCURATEZZA NELL'ESECUZIONE DEI COMPITI E DEI
CONTRATTI
I contratti e gli incarichi di lavoro devono essere eseguiti secondo quanto stabilito
consapevolmente dalle parti. SAT si impegna a non sfruttare a proprio vantaggio eventuali
lacune contrattuali o eventi imprevisti al fine di rinegoziare un contratto abusando
dell’eventuale ignoranza o debolezza della controparte.
• TRASPARENZA E COMPLETEZZA DELL’INFORMAZIONE
Le informazioni che vengono diffuse da SAT sono complete, trasparenti, comprensibili ed
accurate, in modo da permettere ai destinatari di assumere decisioni consapevoli in merito
alle relazioni da intrattenere con essa.
• PROTEZIONE DELLA SALUTE E DELL’INTEGRITÀ DELLA PERSONA
Ai collaboratori, la cui l'integrità fisica e morale è considerata valore primario della Società,
vengono garantite condizioni di lavoro rispettose della dignità individuale, in ambienti di
lavoro sicuri e salubri conformi a quanto previsto dalla normativa vigente in materia.
• TUTELA AMBIENTALE
SAT ritiene che l’ambiente sia un bene primario da salvaguardare, per cui tutta la sua attività
è improntata alla ricerca di un giusto equilibrio tra le imprescindibili esigenze ambientali e la
valenza economica; in particolare essa tiene presente tale principio rispetto alla propria
attività di sviluppo delle infrastrutture aeroportuali e di gestione del traffico di merci, persone
e aeromobili.
• CORRUZIONE
La Società Aeroporto Toscano S.A.T. S.p.A. proibisce la corruzione senza alcuna eccezione,
nel dettaglio vieta di:
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- offrire, promettere, dare, pagare, autorizzare qualcuno a dare o pagare, direttamente o
indirettamente, un vantaggio economico o altra utilità a un Pubblico Ufficiale o un privato
(corruzione attiva); - accettare la richiesta da, o sollecitazioni da, o autorizzare qualcuno ad
accettare o sollecitare, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico o altra utilità
da un Pubblico Ufficiale o un privato (corruzione passiva);
• quanto l’intenzione sia:
• - indurre un Pubblico Ufficiale o un privato, a svolgere in maniera impropria qualsiasi
funzione di natura pubblica, o qualsiasi attività associata a un business o ricompensarlo per
averla svolta; - influenzare un atto ufficiale (o un’omissione) da parte di un Pubblico Ufficiale
o qualsiasi decisione in violazione di un dovere d’ufficio; - al fine di ottenere, assicurarsi o
mantenere un business o un ingiusto vantaggio in relazione alle attività d’impresa; o - in ogni
caso, violare le leggi applicabili.
3.2 Intervista alla Dott.ssa Diana Pardini, Direttrice dell'Associazione Eraclito 2000
e del MASTER CIBA.
Diana Pardini è nata a Livorno il 22 gennaio del 1959. Figlia di avvocato, decide di
iscriversi nella facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Pisa dove nel 1985 consegue
l'esame di laurea, perfezionandosi in seguito in Filosofia del diritto.
Subito dopo la laurea ha svolto un periodo di praticantato, rendendosi conto sin da
subito che, pur essendo interessata al rapporto con il cliente, l'ambiente forense non era
assolutamente consono alla sua persona. Nonostante ciò, è del parere che la sua esperienza
giuridica sia un bagaglio fondamentale che le torna utile continuamente anche quando scrive
una lettera, permettendole di ponderare il significato di ogni parola non soltanto nella lingua
italiana ma anche dal punto di vista giuridico.
È una donna molto competente, molto umile, con tanta pratica alle spalle nei rapporti
umani, non solo a livello professionale ma anche nel volontariato e nell'associazionismo.
Dopo il periodo di praticantato, ha insegnato per 8 anni discipline giuridiche ed economiche
nella Media Superiore, conseguendo nel contempo l’Abilitazione all’insegnamento e la
seconda laurea in Scienze della Formazione.
87
Il suo percorso professionale nell'Associazione Eraclito 2000 è iniziato nel 1992.
Eraclito 2000 è un’associazione culturale che coltiva due aspetti essenziali per la crescita
umana: Cultura e Formazione. L’evento più forte che organizza è il Master Intensivo in CIBA
che nel 2013 ha compiuto 20 anni: 600 allievi, ai 50 docenti che vi insegnano con passione,
alle numerose aziende ed enti che credono nel mix vincente di cultura e formazione.222 La
Pardini ha iniziato a lavorare in questa associazione, come volontaria in un gruppo di studio,
il cui intento era quello di occuparsi di cultura e formazione. In un primo tempo, il suo
impegno era basato sulla cura e valutazione dei profili didattici, per esempio valutazione dei
curricula dei ragazzi, valutazione dei materiali che venivano offerti durante i vari corsi
organizzati ecc. Contemporaneamente all’incarico presso l’associazione, ha insegnato nel
Corso para-universitario di Educatore Professionale a Livorno il Diritto della Famiglia e
Legislazione minorile. Come Cultore della materia, ha tenuto corsi sulla Filiazione presso la
cattedra di Diritto della Famiglia dell’Università di Pisa.
Nel 1997 lo Staff affida alla Pardini la direzione di Eraclito 2000, ed è l'unica persona
che lavora a tempo pieno per l'associazione.
Si occupa sia delle attività culturali in quanto vengono organizzate mostre scultoree, di
pittura, presentazione dei libri, concerti, sia di eventi formativi, tra cui il più importante è il
Master CIBA.
Nell'associazione non ritiene di aver subito nessun tipo di discriminazione per l'essere
donna, ma ricorda benissimo che le persone che ha sempre contattato per il sostegno alle
varie attività, come dirigenti di banche, di assicurazioni erano con qualche eccezione,
prevalentemente uomini.
Il suo percorso professionale lo ha maturato passo passo, accompagnato da un chiaro
interesse per l'insegnamento. Insegnamento però, inteso dalla Pardini non nel concetto
classico dell'insegnante accademico, ma l'insegnare nel senso di trasferire, lasciando così un
segno alla persona, in modo tale che questa un indomani ne tragga valore.
A supportarla nel suo percorso, sostiene la Pardini, è stato il marito. Essa lo descrive
non solo come un marito, ma come un amico, un compagno, come quella persona che ha
sempre creduto in lei, nei suoi valori e nelle scelte di fondo. Essendo mamma di due figlie,
222 http://www.eraclito2000.it/index.php.
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non nega la tanta fatica nel conciliare la famiglia con il lavoro, soprattutto quando erano
piccole. Ma nonostante ciò, non ha mai rinunciato alla sua vita privata.
Per alcuni anni per poter conciliare le due cose, ha dovuto assumere una baby sitter,
avvalendosi inoltre dell'aiuto della madre. Ricorda di esser stata fortunata sia per quanto
riguarda la scuola materna frequentata dalle figlie, poiché prevedeva degli orari abbastanza
flessibili, sia nella scuola elementare dove le bambine facevano il tempo pieno.
Per poter conciliare la vita privata con il lavoro, ha dovuto rinunciare, a questioni
professionali interessati. Però allo stesso tempo è convinta che la non rinuncia a queste
questioni, sicuramente, le avrebbero dato soddisfazione personale e soprattutto professionale,
ma poi non la avrebbero soddisfatta come donna, come mamma e come moglie, quindi ha
cercato di contemperare.
In passato, si riteneva una femminista, oggi invece considera questo concetto obsoleto e
sostiene che nemmeno le figlie lo capirebbero, in quanto nella sua famiglia nessuno si è mai
posto stereotipi e le decisioni sono sempre state condivise. Infatti, racconta, che il marito
molte volte sparecchia la tavola, cucina, se c'è da mettere la lavatrice la mette ecc. .
La Pardini si alza abbastanza presto, accudisce tutti i suoi animali gatti, cani ecc,
prepara la colazione alle figlie mentre suo marito prepara il caffè.
La mattina la dedica ad appuntamenti per colloqui, orientamento ecc. Nel pomeriggio
lavora in studio, risponde a mail, scrive progetti.
Inoltre sono tanti gli articoli da lei pubblicati, sia a contenuto giuridico, culturale e
formativo, sia in testi che in riviste di settore. Numerose risultano anche le pubblicazioni on
line su portali e siti specializzati. Un'oretta al giorno, la dedica a se, cercando di studiare
qualcosa di nuovo, stimolata da interventi che le vengono richiesti da lezioni che deve tenere
o da varie situazioni che si presentano. Essendo una grande camminatrice, se riesce la sera si
concede una passeggiata rigenerante al mare.
Il consiglio che offre alle giovani donne per vivere con equilibrio il ruolo di
manager/mamme e di tener d'occhio la propria persona. È rimasta colpita da un corso
organizzato da una terapeuta delle relazioni, nonché sua carissima amica e docente
dell'associazione Eraclito 2000, quando ha parlato di “ricordarsi di se”. Infatti sostiene la
Pardini che il ricordarsi di se è fondamentale e talvolta per un atteggiamento femminile di
89
retaggio nel dare, si da troppo, dimenticandosi del fatto che tutti abbiamo bisogno di ricarica,
di riposo, di riflessione e soprattutto di silenzio.
La convinzione più forte che le ha permesso di intraprendere questa strada è dovuta alla
grandissima passione per i giovani. Questa passione le ha permesso di valorizzare, aiutare, di
scoprire e di far scoprire poi ai ragazzi che sono un grande valore, che ognuno di loro ha la
sua strada e che non bisogna assolutamente perdersi d'animo. Per la Pardini l'incoraggiamento
nella persona è infatti fondamentale, ed è convinta che con tanta fatica e fiducia tutti possono
raggiungere i loro obiettivi, perché tutti valgono.
È d'accordo con un nuovo modello di leadership, anzi lo ha sempre desiderato.
Per Lei è necessaria una leadership che coinvolga sia gli uomini che le donne poiché
l'integrazione delle qualità maschili e femminili portano alla produttività e ad una maggiore
creatività in azienda. La produttività si ottiene per la Pardini se si collabora, in modo tale che
ognuno vada ad implementare l'altro. Non crede negli stereotipi perché non rivelano
veramente le qualità individuali delle persone, ad esempio non è d'accordo ad affermazioni
del tipo “l'uomo è più capace nel profilo decisionale”, quando poi esiste l'uomo indeciso,
oppure “l'uomo ha capacità personali ed emozionali ridotte” quando poi esistono uomini
ricchi di queste qualità. Lo stesso discorso vale per le donne. Lei è del parere che ci possono
essere dei comportamenti tipicamente femminili quali la capacità di mettere in rete persone,
enti, aziende; l'ascolto, perché la donna a suo parere è fisiologicamente interna, inoltre la
donna è multi- task, sa fare tante cose insieme. Anche a Lei, infatti, capita spessissimo di fare
qualcosa di manuale come cucinare e pensare intellettualmente ad un progetto, ma allo stesso
tempo non nega che questi comportamenti possano essere riscontrati anche in alcuni uomini.
È del parere , quindi, che bisogna uscire dagli stereotipi maschili e femminili e parlare di
persone; la cosa fondamentale per la Pardini è che ogni persona venga valorizzata,
ritenendola importante e unica.
A suo avviso per delineare un vocabolario di un leader efficace, è necessario prima di
tutto saper ascoltare, altra cosa fondamentale il silenzio, infatti spiega che un leader che non
ha dei momenti in cui si ferma e fa silenzio è un leader che va avanti a vista senza riflessione;
altro aspetto fondante per Lei è la generosità, ossia la capacità di dare senza necessariamente
volere un corrispettivo.
Dall'intervista, ho percepito nella Pardini, una vera leader, un'esploratrice, una persona
90
che non vuole essere al centro in maniera egoica, infatti alla mia domanda: “Cosa significa
per Lei rivestire un ruolo di primo piano? La sua risposta è stata: “Non lo vivo così,
secondo me è un ruolo che va condiviso e che da molta soddisfazione. Ad esempio anche
stasera ho fatto una riunione, ho incontrato tante persone e probabilmente ho trovato
qualche soluzione professionale per qualcuno. Trovo importante favorire e far circolare
buone cose”.
Essa mira a formare una squadra che porti avanti valori e obiettivi. A suo avviso non
bisogna mai scindere i valori dagli obiettivi ma piuttosto, cercare l'integrazione tra i due.
La leadership che lei pratica da oltre 20 anni è poco applicata in quanto è un tipo di
leadership mite, che non impone e non vuole ottenere un corrispettivo. È orientata
maggiormente su un modello riflessivo, rispondente a quella del manager Andrea Vitullo, che
consente alle persone di fiorire, offrendo opportunità di crescita e non di imporsi in maniera
autoritaria e unilaterale.
Le caratteristiche che contraddistinguono il suo modello di leadership sono:
• prima di tutto essere una promotrice di buone relazioni, in modo tale da permettere la
crescita delle persone;
• coltivare un clima di fiducia e di autenticità, infatti, come sostiene la Pardini “una
buona comunicazione non può che fondarsi sulla verità”. È convinta inoltre che se una
persona si scinde usando una maschera all'esterno e non coltivando nulla dentro di se, alla
lunga si distrugge.
• individuare e valorizzare il tesoro dell'altro, in quanto l'obiettivo della Pardini, è quello
di formare e far crescere una classe dirigente che abbia assolutamente una visione diversa da
quella che abbiamo visto dominare fino ad oggi.
Lei racconta che nell'associazione c'è una didattica molto variegata. I focus sono: lavorare
sulla persona, sulle potenzialità di ogni ragazzo, il saper lavorare in gruppo e dal gruppo
passare al team. Quindi si parte dalla selezione fino ai vari monitoraggi come colloqui o
inserimento dei ragazzi in stage presso le aziende ecc.
Gli strumenti adoperati sono diversi e molto interessanti, ad esempio, per il lavoro sulla
singola persona hanno istituito da qualche anno lo strumento del silenzio. Racconta che ogni
mattina fanno una mezz'ora di silenzio, talvolta animata da musica, da lettura di brani che
aiutano a vivere il silenzio in maniera seconda e produttiva.
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Altro strumento che viene somministrato ai ragazzi è il focusing per la centratura della
persona. Nell'associazione, infatti, è presente la Terapeuta delle relazioni Lidia Rinaldi.
La casida uno strumento che ha il suo fondamento nel concetto di resilienza, viene utilizzato
per lavorare sulle risorse della persona per affrontare le difficoltà che di volta in volta si
presentano. Altrettanto importante è il lavoro in team proposto per progettare un’impresa.
In questi ultimi anni una nuova proposta nell'associazione Eraclito: è il team building
attraverso il coro. Infatti i ragazzi la sera dopo cena si ritrovano con un direttore di corale, il
maestro Fabio Casini e fanno un'esperienza di team building cioè costruzione della squadra
attraverso il coro.
• stimolare un pensiero costruttivo, progettuale così da infondere speranza.
• La Pardini in quanto leader pur mantenendo la responsabilità del tutto, delega alcune
attività ai suoi collaboratori, spiegando infatti, che un progetto così grande, come quello che
stanno conducendo, non lo potrebbe portare a termine soltanto una persona. Questo anche
perché oggi l'expertise è molto alta e una persona dovrebbe avere una conoscenza molto
ampia. Lei ad esempio, avendo un livello informatico da semplice utente, si avvale di tecnici,
programmatori,ecc. Ricorda invece che nel '85 , appena laureata, era molto più semplice poter
dire “ beh so fare tante cose” o “copro un 85% dell'expertise che serve per affrontare il
mondo del lavoro”. Oggi sostiene che paradossalmente la sua expertise è sempre più bassa
pur accumulando tanta esperienza, poiché ci sono una serie di competenze che sfuggono .
Quindi per la Pardini avere accanto persone qualificate, preparate che si colmano a vicenda
su determinati argomenti, rende la squadra vincente.
La prima linea guida che si è imposta nel suo ruolo da dirigente è quella di fare squadra
con le persone con cui lavora, di ascoltare sempre gli altri e di valorizzare tantissimo poiché,
è del parere che ogni persona è un capitale inespresso che va necessariamente esplorato. A
sintetizzare infatti il suo ruolo manageriale è la frase di Goethe “ho tanto dentro di me”che
applica su se stessa e agli altri con cui entra in relazione. .
È una persona che ha molto rispetto verso tutti i suoi collaboratori, che sia l'inserviente
che fa il suo lavoro benissimo e che ha cura di ogni particolare o il direttore generale delle
migliori banche che sostengono un suo progetto. Per Lei le persone sono tutte uguali.
Se osserviamo lo Staff dell'associazione Eralito 2000, è composto da nove componenti
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tra cui quattro sono donne.
Tabella 5: Staff direzionale Associazione Eraclito 2000
Prof. Marco Agujari Presidente dell'Associazione Eraclito 2000
Prof.ssa Diana Pardini Direttrice di Eraclito 2000 e del Master CIBA.
Dott. Daniele Ciani Funzionario di Banca d'Italia con esperienza
pluriennale come addetto finanziario presso UE e come
membro del Segretariato del Comitato Economico e
Finanziario a Bruxelles. Autore di numerose
pubblicazioni in materia finanziaria
Dott. Fabio Massimo Rocchi Fondatore dell'Agenzia di servizi WebMarketing
Proclic.it e dei marchi commerciali Auto On e Toscana
che Produce si occupa dal 2005 di visibilità online.
Avv.to Roberto Cavani Responsabile dei Seminari giuridici e dei
Progetti innovativi di impresa di Eraclito 2000. Libero
professionista, docente di Diritto internazionale e di
diritto dell’Unione Europea presso la Scuola Superiore
di Mediatori Linguistici di Pisa.
Dott.ssa Sonia Bernicchi Export manager della Pieretti S.p.A., esperta in
didattica delle lingue, ha fondato e dirige il Laboratorio
Linguistico per la lingua francese e spagnola di Eraclito
2000.
Dott.ssa Elisa Biegi Consulente Imprese Artigian Credito Toscano,
co-direttrice Master CIBA e responsabile degli stages
per Eraclito 2000.
Ing. Maurizio Simoni Esperto di sistemi informatici e multimediali, ha
perfezionato la sua esperienza presso l'AGUSTA S.p.A.
di Varese.
Dott.ssa Cecilia Taddei CRM Vodafone Business, responsabile rapporto
con le aziende per Eraclito 2000.
Fonte: sito ufficiale Eraclito 2000 http://www.eraclito2000.it/index.php
La Pardini valorizza molto la presenza femminile nell'associazione, e sostiene che le
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donne che ne fanno parte ricoprono ruoli molto importanti.
Nell'Associazione Eraclito prevale una cultura prima di tutto inclusiva, solidale, rivolta
all'apertura all'altro, fondata sul rispetto alla persona e sulla convinzione che la persona abbia
un valore in se.
Lei in quanto direttrice non tende a proteggere le proprie decisioni ma le confronta con
quelle del gruppo, creando così un clima sereno caratterizzato dal coinvolgimento e dalla
collaborazione.
Il traguardo personale che la Pardini ha raggiunto con molta soddisfazione, sono i
ventidue anni di formazione culturale alle spalle conquistata sul campo, poiché l'associazione
Eraclito è un ente privato no profit, con buonissimi rapporti con le istituzioni quali comuni,
provincia, università ecc ma di fatto è un'associazione libera. Un altro suo grande successo,
non solo suo ma dell'intera associazione è stato quello di essersi affermati in un territorio
privilegiato com'è la città di Pisa.
La Pardini è una donna che è sempre stata abituata alla percezione fisica con gli altri,
lavorando con i giovani in aula, ascoltandoli a lezione, interagendo continuamente con loro.
Oggi la sua sfida riguarda qualcosa di nuovo. Sta lavorando con il suo gruppo su un progetto
molto interessante riguardo la formazione online. L'obiettivo è quello di creare un portale
dedicato all'orientamento al lavoro che entri in empatia con l'interlocutore, così da riuscire a
offrire un servizio utile e a rispondere ai fabbisogni formativi.
Per un maggiore coinvolgimento della donna nelle posizioni apicali è d'accordo con le
“quote rosa”, anche se secondo Lei sarebbe stato meglio includere le donne non con l'utilizzo
di uno strumento, ma con una maggiore sensibilità sociale e culturale.
Per quanto riguarda la conciliazione famiglia-lavoro è del parere che la disciplina sul
congedo di paternità obbligatoria sia un passo in avanti, poiché permette ai genitori di essere
intercambiabili e allo stesso tempo permette di superare la mentalità dove l'uomo fa carriera e
la donna si ritira.
Per la Pardini la donna deve continuare a lottare per i propri diritti, ed è del parere che
molti diritti sono sanciti ma il problema è l'attuazione poiché ancora molta della nostra
cultura politica, giuridica e sociale è permeata di maschilismo. La nostra società necessita di
un cambiamento capace di toccare il cuore della famiglia, del lavoro, dei vari ambienti sociali
nei quali ci muoviamo. Per La Pardini tutto ciò può avvenire primariamente lavorando
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sull'educazione e sulla formazione dei giovani.
Consiglia alle giovani donne che vogliono intraprendere una carriera di prepararsi molto
bene, il doppio, il triplo dei loro colleghi uomini. Continuare a studiare e approfondire anche
una volta raggiunti certi obiettivi, essere molto disponibile con collaboratori, colleghi ma
soprattutto creare una squadra vincente. Avere una mentalità di team, per la Pardini, permette
di risolvere tante cose poiché una persona può essere anche bravissima, competentissima, ma
questa competenza arriva sempre ad un livello.
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CONCLUSIONI
Sulla base di quanto precedentemente esposto, possiamo trarre le nostre conclusioni.
Come ampiamente ribadito, la donna per potersi affermare prima nella società,
attraverso la lunga battaglia per la conquista dei diritti civili e politici, e poi ai vertici delle
organizzazioni aziendali, ha dovuto superare una serie di difficoltà e discriminazioni.
Da anni nel nostro Paese vige una monocultura d'impresa burocratica maschilista, che
ha sempre penalizzato la donna nel fare carriera, a causa del suo corpo materno,
segregandola, a tal proposito, sia orizzontalmente che verticalmente in posizioni poco
retribuite, così da non consentirne la loro affermazione ai vertici e nascondere le qualità
professionali da donna manager.
Oggi, le rapide trasformazioni che hanno investito l'economia, le organizzazioni e il
management hanno messo in luce una maggiore problematicità degli stili di direzione
tradizionali, sottolineando il fatto che, nonostante le funzioni del manager tradizionale quali
controllare, pianificare, coordinare, organizzare siano ancora oggi molto importanti per
mandare avanti un'azienda, il tempo e le trasformazioni intervenute ed in corso ne hanno reso
più flessibili i contenuti, necessitando così di aggiornare il vocabolario delle funzioni
manageriali.
Grazie a una ricerca condotta dal Centro di formazione management del terziario (Cfmt)
è stato dimostrato che, sebbene molte imprese ancora non siano pronte, qualcosa si sta
muovendo: è risultato infatti che il 70,8% delle aziende italiane è ancora strutturato secondo
un modello top down, mentre quasi il 30% si è evoluto organizzandosi diversamente. Questo
30% è rappresentato da organizzazioni dove la piramide gerarchica si è ridotta, poiché si sono
rese conto, pur lentamente, che la loro produttività è di gran lunga maggiore quando vi è
collaborazione. In queste aziende dove è presente un nuovo stile di management, il manager è
considerato come un realizzatore, formatore e leader ossia colui che mira al raggiungimento
degli obiettivi operativi che il sistema organizzativo richiede, attraverso la collaborazione, la
condivisione, l'apertura, l'interdipendenza e l'integrità, creando le condizioni affinché i suoi
dipendenti abbiano la possibilità di crescere.
Dopo aver spiegato dettagliatamente le caratteristiche che contraddistinguono il
manager dal leader, siamo giunti alla conclusione, che un elemento importante che si sta
riscontrando nei nuovi manager per gestire con successo un'azienda, è la capacità di riuscire
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a bilanciare, di volta in volta, in funzione del proprio ruolo specifico e del livello gerarchico,
la dose di leadership e la dose di managerialità. Inoltre, in quest'era di innovazione, il nuovo
manager oltre ad essere considerato realizzatore, formatore e leader deve completarsi con
capacità interculturali in modo tale da poter interagire con clienti, azionisti e collaboratori
provenienti da diverse aree del mondo.
A seguire, un altro importante ingrediente è dato dalla diversità manageriale,
considerata come la molla dell'innovazione, che ha permesso di aprire le porte alle donne, in
modo tale da far entrare in azienda peculiarità femminili che possano arricchire in maniera
complementare quelle maschili, comportando così, lo sviluppo di una leadership integrata e la
creazione di una cultura aziendale adattiva, inclusiva e di successo.
Nonostante buona parte delle aziende nel nostro Paese si siano rese conto che
l'inclusione femminile all'interno delle organizzazioni possa essere produttiva e vincente, tra
esse e l'organizzazione aziendale si crea un rapporto complesso a causa della maternità,
purtroppo non sufficientemente tutelata nel nostro Paese per la carenza di infrastrutture e
politiche aziendali che permettano alla donna di poter conciliare la famiglia con la carriera,
senza essere costrette nel fare una scelta.
Un paragone dettagliato con gli altri Paesi dell'Unione Europea, ci fa capire che per le
donne italiane non basta l'ambizione, la competenza e le grande doti manageriali per occupare
le posizioni apicali. Infatti, nonostante i passi in avanti dal punto di vista legislativo, l'Italia
“arrossisce” di fronte alle statistiche di genere e al target europeo, collocandosi al quintultimo
posto nella classifica dei paesi europei, vantando solo un quarto di donne manager rispetto al
totale.
Con l'intento di non limitarci ad una mera trattazione teorica, abbiamo considerato
necessaria l'analisi di due casi studio.
È stata da noi prescelta la figura manageriale dell'Azienda aeroportuale di Pisa e
dall'Associazione culturale Eraclito 2000, rispettivamente guidate dalla Dott.ssa Gina Giani e
dalla Dott.ssa Diana Pardini.
Attraverso una lunga intervista alla Dott.ssa Gina Giani, Direttore Generale e
amministratore delegato dell'aeroporto Galileo Galilei di Pisa siamo giunti alle seguenti
conclusioni:
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Nonostante l'ambiente dell'aeronautica non sia mai stato favorevole alle donne, la Giani,
nel suo percorso di carriera, non ha mai subito discriminazioni ma ha avuto un grande
supporto e generosità da parte dei suoi superiori e colleghi, soprattutto di genere maschile.
La fiducia del vertice aziendale, se l'è guadagnata mostrando il massimo impegno ma
soprattutto disponibilità anche per il fatto che non ha figli e non ha mai avuto uno spirito
materno, quindi nel suo caso non si riscontra una difficoltà nel conciliare la carriera con la
famiglia. Ma nonostante ciò, essendo una manager di grande spessore e di larghe vedute, nel
2010, considerando che il 65% dei suoi dipendenti ha un'età compresa tra i 25 e i 45 anni, ha
dato il via al progetto per la realizzazione di un nuovo asilo nido privato aziendale che
accoglierà bambini nella fascia d'età compresa tra i 12 e i 36 mesi. I vantaggi che offrirà la
struttura sono legati, oltre alla posizione strategica, anche agli orari di apertura raggiungendo
un totale di 11 ore contro le otto generalmente offerte dagli asili presenti sul territorio.
Questo asilo aziendale sarà una risposta concreta ai bisogni dei tanti padri e madri di Sat che
hanno la necessità di lasciare i figli in una struttura sicura, comoda e che venga il più
possibile incontro agli orari lavorativi dei genitori. Inoltre nell'azienda aeroportuale c'è la
lavanderia, la parrucchieria, ecc. Tutto ciò consente al dipendente, nell'ora di pausa, di
poterne usufruire.
La presenza femminile è molto valorizzata nella sua azienda, infatti il 70% del
personale è donna. Il 50% dei Capi sono donne, il 20% del top management è donna. Per
quanto riguarda il Consiglio di amministrazione in carica, composto da undici componenti,
tre sono donne. Non crede nelle monoculture aziendali tutto maschio o tutto femmina ma è
fortemente convinta che un buon mix di qualità sia maschili che femminili nelle
organizzazioni umane sia vincente. Quindi l'interazione tra i sessi per la Giani fa bene anche
alla donna poiché le permette di correggersi su certi aspetti e la arricchisce in altri.
Per quanto riguarda la cultura aziendale, l'aeroporto si avvale di una carta dei valori che
è stata elaborata dal management ed è impostata sul servizio al cliente, sull'eticità e sulla
professionalità. È una carta dei valori abbastanza inclusiva che vale per il management ma
anche per l'ultimo fattorino perché per la Giani in azienda sono tutti importanti.
La Giani rispecchia tutte le caratteristiche che un nuovo manager deve possedere, ossia
permette di far crescere i suoi collaboratori a prescindere dal sesso attraverso corsi di
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formazione, ha delle buone capacità di leadership in quanto ascolta attentamente le proposte
dei suoi collaboratori prima di prendere una decisione, ma soprattutto è una persona autentica
che con costante impegno, volontà, armonia e determinazione è riuscita ad arrivare ai vertici
aziendali, ricoprendo la carica di amministratore delegato dell'aeroporto di Pisa nei cinque
anni della più grave crisi economica del dopoguerra. Il suo obiettivo principale è stato quello
che gli azionisti, i dipendenti e il territorio non soffrissero. Ma nonostante la crisi, la Giani ce
l'ha fatta e l'aeroporto ha continuato a svilupparsi con successo.
Attraverso una l'intervista alla Dott.ssa Diana Pardini, direttrice dell'Associazione
Eraclito 2000 e Master Ciba è possibile trarre le seguenti conclusioni:
Nonostante essa sia madre di due figlie è riuscita nonostante la grande fatica a fare
carriera e a riuscire a conciliare famiglia e lavoro, grazie al supporto da parte del marito,della
madre ma anche avvalendosi, quando le figlie erano piccole, di baby sitter e asili nidi
pubblici con orari abbastanza flessibili.
In quanto donna nel suo percorso verso il vertice non ha mai subito nessun tipo di
discriminazioni.
La Pardini rispecchia tutte le caratteristiche di una manager innovativa con grandissime
capacità di leadership. Infatti nell'Associazione da lei gestita vige una didattica molto
variegata, che attraverso l'uso di strumenti operativi permette di formare una nuova classe
dirigenziale che abbia assolutamente una visione diversa da quella che abbiamo visto
dominare fino ad oggi.
I valori culturali da Lei impartiti sono prima di tutto inclusione, solidarietà, il rispetto
alla persona e soprattutto la convinzione che la persona abbia un valore in se. Valorizza
molto la presenza femminile nell'associazione: infatti, osservando lo Staff, su nove
componenti, quattro sono donne, in quanto per Lei è necessaria una leadership che coinvolga
sia gli uomini che le donne, poiché è del parere che l'integrazione delle qualità maschili e
femminili portano alla produttività e ad una maggiore creatività in azienda.
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ALLEGATO 1: INTERVISTA ALLA DOTT.SSA GINA GIANI
Quando è iniziato il suo percorso professionale nell'Azienda aeroportuale?
“Il mio percorso professionale nell'aeroporto di Pisa è iniziato nel 1987 come assistente di
scalo, assistente al servizio passeggeri stagionale. Avevo fatto una selezione dove era
richiesto di parlare bene l'inglese ed io sapevo farlo, quindi ho cominciato così, come
precaria”.
È laureata?
“Io mi sono laureata da grande, a trent'anni, in Storia del Teatro e dello Spettacolo, Storia
dell'Arte qui a Pisa”.
Come donna ha incontrato delle difficoltà nel suo percorso verso il vertice?
“Beh, all'inizio, nel trasporto aereo negli anni 70, noi donne eravamo poco più che piante
decorative, nel senso che si doveva assistere il passeggero e sorridere. Ma, per quanto
riguarda gli incarichi tecnici tipo piano carico dell'aereo mobile, la gestione della spedizione
merci e tutte queste cose qui, si riteneva che la donna, non si sa come mai, non poteva
parlare con un comandante per chiedergli, per esempio, quanto carburante voleva fare. In
buona sostanza era un ambiente difficile per la donna, pieno di discriminazioni. Quindi, cose
che oggi sono perseguite dalla legge prima erano all'ordine del giorno. Era sicuramente un
ambiente duro.
Io discriminazioni vere e proprie non ritengo di averne avute, però il clima dell'aeronautica
non era favorevole alle donne. Infatti, anche tutt'ora, di donne dirigenti con posizioni apicali
nel trasporto aereo, compagnie aeree e aeroporti ce ne sono molte meno che in altri settori.
Poi tutto originava nell'aviazione civile e in molti casi, all'epoca, erano dirigenti che
uscivano dall'aviazione militare, quindi era un'area che sicuramente non era favorevole alle
donne. È stata però anche un'area che mi ha insegnato a pensarmi cittadino del mondo e a
non rapportarmi unicamente al mio piccolo mondo, pur lavorando in un aeroporto piccolo
come era allora l'aeroporto di Pisa. Già ero cambiata dagli studi in Inghilterra, perché
indubbiamente quando ti metti a studiare seriamente una lingua straniera gli orizzonti si
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allargano molto, e questo è un settore come altri dove sopravvivono e vanno avanti le
aziende che guadagnano, quindi è un settore con le sue specificità ma anche come tutti gli
altri settori economici. L'aeroporto poi, alla fine, è un'azienda di servizi che però deve fare
investimenti infrastrutturali e svilupparsi nel tempo secondo il piano di sviluppo concordato
con lo Stato”.
Ha fatto dei corsi di formazione?
“ Io li ho fatti perché nella mia storia è stato più facile, anche per le condizioni che c'erano,
chiedere di fare dei corsi piuttosto che chiedere un aumento, e devo dire che ho avuto fortuna
perché i vertici aziendali, che sono cambiati nel tempo, mi hanno sempre detto con
entusiasmo «si si, vai, fai». Questo forse è un suggerimento, perché quando a volte non è il
momento di chiedere un aumento, perché è chiaro che se viene dato un aumento a te poi ci
sono anche le altre persone che lo possono richiedere, invece per un corso, un master, una
cosa di questo genere, se fatta bene e seriamente, l'azienda ti può dire di sì perché fa comodo
anche a lei”.
Ci sono state delle persone che l'hanno supportata in questo suo percorso?
“Beh, molte direi, molte e di genere maschile, per cui a loro favore va detto che io ho sempre
avuto facilità chiedendo ad un uomo «mi spieghi come si svolge questo?». In genere ho
trovato grande generosità di fronte a mie domande come «spiegami, vorrei capire questo»,
non ho mai trovato una chiusura a riccio con risposte del tipo «non mi fare perdere tempo».
È chiaro che nei rapporti di lavoro c'è un do ut des che, che se è quello di natura sessuale,
come purtroppo avviene, e dico senza moralismo, perché le relazioni nelle aziende possono
esistere visto che siamo esseri umani e quando si entra in un'azienda ci si porta tutto noi
stessi, purtroppo però se avviene con superiori, può essere in un certo momento un
ascensore. Però, se dopo l'ascensore casca, ad un certo punto c'è una caduta brusca e
quindi, senza falsi moralismi, non lo consiglierei. Detto questo, però, se tu hai un rapporto
con qualcuno più simile a te che ti può insegnare, ti può spiegare, ti può consigliare
qualcosa, devi essere disponibile ad aiutarlo per fare il suo lavoro. Io, per esempio, ero
piuttosto brava in italiano e lo aiutavo a fare meglio le sue relazioni, però, magari, in
contraccambio si restava la sera fino all'ora di cena e lì potevo anch'io raccontare le cose e
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avere degli input. È chiaro che tutto questo avviene se tu, quando entri in azienda, non hai
l'orologio in mano perché questo è importante. Io non ho figli ed è chiaro che, anche se ho
avuto fortuna ad avere colleghi o superiori che mi hanno aiutata, poi ho avuto come mentore
l'amministratore delegato di SAT, l'ingegner Ballini, che mi ha preceduto e che poi è morto, e
dopo il consiglio di amministrazione ha incaricato me. Lui è stato veramente un mentore,
cioè una persona che in maniera disinteressata ti forma per un incarico che non è tanto
quello che stai svolgendo ma è interessato a valorizzare le tue potenzialità. È un atto di
generosità essere interessati a sviluppare le potenzialità di un altro, è un atto di generosità
che però deve avere dei ritorni in termini di energia di disponibilità del giovane, che non ti
dice «io non ti faccio questo perché non ho tempo, oppure se ti faccio questo mi aumenti lo
stipendio», ci deve essere un rapporto di consapevolezza per cui anche al mentore qualcosa
deve tornargli indietro, perché le aziende sono gruppi di persone che lavorano per il
perseguimento di obiettivi economici, non sono no profit oppure associazioni benefiche.
Quello che a volte vedo oggi è che i giovani vorrebbero un mentore però non sono disposti a
dare, e questo non esiste. Certi ragazzi dicono «ah, il mio professore ha fatto questo, ha fatto
quello, io gli ho dovuto fare questo», sì, ma guardalo dall'altro punto di vista, ti ha dato
l'opportunità di fare degli approfondimenti che altri non faranno mai perché si fermeranno al
programma d'esame, non avranno un minimo di visibilità. Certo, è chiaro che quando lavori
per un altro lo fai per lui quindi la visibilità se la prende lui, però tutta la vita è così. Quindi,
questo aspetto nel caso delle donne è delicato perché viviamo in una cultura latina un po
maschilista, dove la donna giovane può avere l'impressione di avere le strade rapidamente
aperte. Sì, le può avere però deve stare attenta perché certe cose possono funzionare da
boomerang, invece, secondo me, un rapporto professionale corretto, magari un pochino più
lungo e più basato sulla disponibilità a dare e non solo a ricevere, basato però sul piano
puramente professionale, è molto più solido. Forse fai meno passi super veloci, però quelli lì
sono costruiti sulla roccia”.
Secondo Lei, nell'ambito lavorativo, fa differenza per una donna avere famiglia o meno?
“Molta, molta. Questo, per quanto mi riguarda, è un problema che non ho risolto. Mi sono
sposata a cinquantasei anni e non ho figli. In sostanza, ho fatto la ragazza tutta la vita”
102
Quindi Lei ha rinunciato alla sua vita privata?
“Beh, rinunciato alla vita privata è una parola un po forte. Certo, non ho mai capito come si
faccia nel momento in cui c'è un consiglio d'amministrazione e tu hai direttamente dei
problemi oppure li ha il tuo capo, e tu sei a sua disposizione. Perché se hai un bimbo con la
febbre e non sai cos'ha, aspetti il dottore e c'è la tua mamma col dottore, ed è lì che io non ho
capito come si fa a gestire le due cose. È chiaro che sono abbastanza d'accordo con la
Sandberg quando dice che il problema del marito te lo devi porre quando ti viene e non
prima di averlo. E poi c'è un altro aspetto, cioè che il problema della famiglia dura un
numero x di anni, perché quando i bambini hanno dieci anni e sono indipendenti mentre tu ne
hai quaranta, è vero che ti di devi sacrificare tantissimo in quel decennio. Però, dopo, se hai
un lavoro che ti piace, la mezza età la affronti meglio, mentre, se ti giochi tutto in quel
periodo e dopo ti ritrovi casalinga, con i figli che ormai giustamente escono dal nido anche
se stanno in casa ma comunque vogliono la loro vita la loro indipendenza, le relazioni
amorose con mariti o con conviventi che oggi come oggi nessuno sa quanto durano, tutto
sommato una carriera professionale gratificante può essere un bel passaporto per un periodo
di vita molto lungo. Quando si è giovani si pensa solo alla giovinezza, poi si dice “mamma
mia quando avrò quarant'anni sarò vecchia, ma che me ne importa”, ma non funziona così.
In realtà, quando arrivi ai quaranta ti senti giovane come a venti e sai che hai altri
quarant'anni di vita, quindi come limbo è lungo. Perciò, io alle nuove generazioni
consiglierei prima di tutto di credere in una carriera professionale, che avviene solo se dai
molto visto che c'è molta competizione. Se nella scuola devi dare tanto per avere risultati
eccellenti, nel lavoro devi dar di più, perché nella scuola un professore non è limitato a
quanti nove, dieci, ottimi può dare, ma sul lavoro tra tre, quattro candidati, alla fine deve
sceglierne uno; quindi il lavoro è “più cattivo”, chiede di più. Detto questo penso che anche
lì abbia ragione la Sandberg che dice alle nuove generazioni di cercarsi un compagno più
adatto e che sin dall'inizio sia pronto a condividere la famiglia al 100%. Io ho dei
collaboratori giovani e vedo che portano i bambini da dottore, fanno i babbi in una maniera
diversa dagli uomini della mia generazione. Ecco, questo per una donna è molto importante.
Anche questo lo dice la Sandberg, che è più giovane di me e quindi ha una visibilità su una
generazione che io non conosco da dentro. Io ho risolto felicemente questo problema perché
non avevo una vocazione alla maternità e quindi è stato semplice, però capisco che questa è
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una mia peculiarità personale, ma tante volte ho pensato “come avrei fatto se in questo
frangente”, “come avrei fatto se”.
Che consiglio darebbe a chi vuole imparare a vivere con equilibrio il proprio percorso di
crescita personale e i differenti ruoli di figlia, madre e moglie lavoratrice?
“Io darei due consigli. Tutto non si può avere, nel senso che ragazze che hanno cominciato la
carriera insieme a me e magari ora hanno dei nipotini sono nonne giovani, hanno altre cose
che io non ho e io ne ho altre, quindi bisogna capire bene cosa una persona desidera. Però
penso che siccome l'uomo propone e Dio dispone, in realtà quello che ci capita nella vita è
sempre un incrocio tra quello che vogliamo e le opportunità o le criticità che dobbiamo
superare. Sono anche in questo caso d'accordo con la Sandberg, prima di tutto perché gli
obiettivi della vita non sono sempre gli stessi, quindi uno dice “io ora mi do l'obiettivo, mi
sono laureata e mi voglio concentrare su questo”, se poi nel frattempo incontri l'uomo della
tua vita capisci che è bene che ci si trasferisca in Australia perché lui ha una grande quantità
di pecore, fa l'allevatore e io cambio tutto il mio stile di vita. Questa è una cosa legata a
vivere, non ci si può autocastrare prima”.
È vero che quando si fanno dei colloqui lavorativi, la prima cosa che viene chiesta è se
c'è l'interesse nel fare famiglia e avere figli?
“Le racconto un colloquio che ho fatto io con la mia direttrice commerciale. Quando lei era
stagista ed io ero al suo posto, le chiesi “ma lo sa che con me si lavora fino a tardi, lei come
si vede?”. Lei era fidanzata, quindi le chiesi “ come si vede in un futuro?” e mi rispose :
“Dottorè, io sono figlia di un carabiniere, ho fatto l'università, mi sono laureata in
Marketing con 110 e lode a Pisa e nel frattempo lavoravo la notte in pizzeria. Per fare le
nove di sera non c'è bisogno di fare la manager, basta fare la commessa”. Quindi ci vuole un
po' di realismo. Uno, in un colloquio di lavoro, si deve dare per quello che è. È chiaro che
l'azienda vuole tanta disponibilità dalle persone in carriera perché è un mondo difficile,
pieno di emergenze, la velocità del business, il fatto che prima ti scrivevi le lettere. Io l'ho
conosciuto quel tempo, poi è arrivato il fax, ora le mail, la gente vuole la risposta subito, e
via discorrendo. Quindi queste disponibilità le aziende la vogliono, però esistono anche
condizioni o situazioni che prima non si presentavano, si pensi alla spesa via internet, farsi
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portare a casa la roba dal supermercato, oppure qui abbiamo la lavanderia in aeroporto, la
parrucchiera, e la persona quindi nell'ora di pausa può fare determinate cose”.
Certo, è vero che tutto non si può avere, ognuno deve cercare il proprio equilibrio, non c'è la
regola che vale bene per tutti, però ognuno deve sapere il proprio punto di equilibrio, per
esempio con la leadership al femminile io mi ritengo fortunata perché ho potuto fare carriera
lentamente e fare una specie di body building mentale, rispetto allo stress di reggere certe
decisioni e certe angosce o certe ansie, che sono inevitabili quando sei un capo azienda. Io
ho visto a volte persone giovani che hanno ereditato l'azienda del babbo, che magari è morto
di colpo, ecco, mi sono chiesta “povero come fa?”, perché a trent'anni puoi essere un
grandissimo specialista esperto, però, reggere i rapporti in un consiglio di amministrazione o
reggere determinate angosce, non è facile se non sei preparato, questo vale per l'uomo come
per la donna. Quando a me hanno nominato amministratore delegato, io mi sono
domandata: “ora ho il sistema nervoso adatto?”, perché se la notte dormi è già qualcosa
perché il giorno dopo sei riposata e i problemi poi, sono problemi degli uomini che gli
affrontano gli uomini, nel senso gli esseri umani; però se la notte non dormi perché vai sotto
stress, e io ho visto persone avere burnout per questo tipo di problemi, maschi, femmine,
perché certe persone reggono certi livelli di responsabilità e oltre il livello nervoso non ce la
fa, queste sono cose che uno, una di se deve capire. Ci sono persone per esempio che amano
esercitare la loro leadership, pensiamo ai grandi insegnanti, ai grandi medici, capendo
l'individuo e valorizzando quell'individuo, ci sono persone che invece amano invece
perseguire degli obiettivi e per raggiungerli sono disposti a tutto, ci sono persone che,
invece hanno bisogno della creatività per fare le cose sempre in maniera diversa perché
sennò si annoiano, ce ne sono altre che hanno bisogno di procedure perché sennò si
angosciano e quindi sono bravissimi nel calcolare i numeri con cinque decimali,
nell'applicare con precisione procedure, introdurre piccole variazioni; quindi la società
umana ha bisogno di tutto, però ognuno deve un po' capire qual'è la cosa prevalente di se
stesso poiché alla fine la ricerca di tutto è la felicità, non il biglietto da visita dove c'è scritto
amministratore delegato. Tra l'altro una persona che esprime felicità è leader di natura, e
tutti voglio sapere come fa ad essere serena, forte e centrata e positiva, mentre la persona
angosciata, irritata, irascibile, infelice non attira nessuno, quindi non è mai vista come la
persona che aiuterà il gruppo ad andare oltre e a risolvere un problema, perché la leadership
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è quella. Quindi che sia un gruppo di lavoro dentro un'azienda, che sia un gruppo di studio,
un seminario dentro all'università, che sia una persona dentro ad un'associazione, quella che
diventa leader è quella persona che dagli altri è percepita come la persona da cui si va se c'è
un problema. Se invece questa persona qui è tutta accartocciata su se stessa, esprime
depressione, infelicità, chi ci va?. Secondo me, a questo punto, bisogna capire bene la
propria natura e qual'è il posto in cui la persona può esprimere la propria leadership. Lei
pensi ad una bravissima infermiera, e bravissima infermiera non solo nella condizione
tecnica, o pensi cosa può essere una parrucchiera, come una psicologa, nel senso che per
esprimere la leadership non bisogna essere per forza grandi”.
Secondo Lei i comportamenti premianti sono innati o s'imparano?
“Tutti e due, perché a volte vedi le persone che si avvitano in scelte negative una sull'altra, è
chiaro che se tu sei depresso vedi solo le criticità e non vedi le opportunità, quindi non le
cogli poiché le criticità ti vengono addosso e dici “guarda come sono sfortunata!” e queste
si moltiplicano all'infinito. Quindi bisogna avere la volontà, ad un certo punto, di prendere in
mano il proprio destino e dire “il mio destino dipende da me”, consapevoli che poi ci sono
cose che non dipendono da noi, nel senso che se piove non dipende da me; ho preso
l'influenza e in parte può dipendere da me, quindi la prossima volta mi metto la maglietta.
Però vedo che le persone a volte si avviluppano in scelte che non portano a niente, sono
persone che rifiutano di avere un occhio oggettivo sulla propria vita, le faccio un esempio:
spesso ho visto donne che quando gli vanno male i rapporti amorosi si sfogano sul lavoro e
cominciano a dire che il lavoro non gli piace, il lavoro non va bene ecc., e invece no, bisogna
concentrarsi sul lavoro. È il lavoro che ti deve far star bene e, nei momenti in cui i rapporti
amorosi ti vanno male, ti deve far stare serena, tanto prima o poi le relazioni si sa che si
chiudono, poi si aprono e via dicendo. Quindi ci vuole disponibilità a capire che non bisogna
perdere le opportunità perché nel mondo siamo in tanti, c'è concorrenza per le parti della
fetta migliore e ci possono essere opportunità e criticità, ma la cosa peggiore quando
attraversi una criticità è che perdi quella lucidità di vedere quelle opportunità che ti
consentiranno di uscire da lì. Questo è un lavoro che se tu sei consapevole, ti siedi e dici “mi
fai vedere in questa criticità che opportunità c'è?”, perché in ogni criticità, in ogni
cambiamento, se si guarda l'esimo della parola crisis, c'è un'opportunità, perché c'è un
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cambiamento, però io mi devo fermare e la devo vedere, se invece mi scattano tutti i
meccanismi di autocommiserazione, di depressione ecc. sicuramente non la vedo, e siccome
di treni non ne passano tanti per la maggior parte delle persone, se quando passano tu non li
vedi, poi c'è da aspettare parecchio”.
Ci sono comportamenti vincenti tipicamente femminili?
“Alcuni direi di sì, senza cadere negli stereotipi perché a volte ce li hanno anche gli uomini.
Prima di tutto, direi la capacità di costruire una squadra senza far scattare il testosterone o
competizioni eccessive o fuori luogo, perché a volte gli uomini tendono ad essere competitivi
per natura. Una donna può essere una tessitrice di rapporti, abbiamo meno testosterone
nelle vene e quindi una capacità di restare calme e non far scattare l'ormone in situazioni,
dove, se nasce una contrapposizione con potenzialità distruttive, è più facile per una donna
incassare un colpo che per un uomo. Nell'uomo c'è l'orgoglio maschile, il rischio che si
vedano fuori e fanno a cazzotti, come donna questo c'è meno e quindi questi possono essere
dei vantaggi. C'è una capacità, nella donna, di fare più cose insieme mentre è famoso che gli
uomini fanno una cosa alla volta; noi siamo più multitask. Noi donne però abbiamo bisogno
di controbilanciare le abilità verbali e comunicative con la capacità numerica, imparare un
po il man spike, nel senso che nelle comunità tutte femminili ci sono dei difetti
comunicazionali perché si parla troppo, ci si distrae, si pensa più alle persone piuttosto che
agli obiettivi da raggiungere. Nelle comunità tutte maschili c'è parecchio testosterone e più
concentrazione sull'obiettivo, sul dato numerico, ma si perdono alcune cose. Per cui,
secondo me, il mix maschile-femminile nelle organizzazioni umane è vincente, non a caso la
coppia per arrivare ai figli è fatta dal maschio e dalla femmina. Se la natura ha impostato
così un motivo c'è, io personalmente non sono una scienziata o una biologa però ne sono
convinta. Quindi l'interazione tra i sessi fa bene anche alla donna poiché le permette di
correggersi su certi aspetti e la arricchisce in altri. In aeroporto, per esempio, abbiamo fatto
dei corsi alle nostre giovani Capi proprio su questo, perché c'eravamo accorti che si tendeva,
nella squadra, a pensarla come un gruppo di persone di cui alcune erano simpatiche e altre
no, anziché unirsi a prescindere dalla simpatia, per il raggiungimento degli obiettivi
aziendali. Quindi non si deve fare gruppo per prendere il tè con le amiche, il tè si prende da
un'altra parte. Invece la persona, anche quella che ti piace meno, la devi formare, devi avere
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una strategia anche con lei finalizzata a raggiungere l'obiettivo, che nel caso di queste
persone era quello di mandare via l'aereo in orario con tutti i servizi fatti bene”.
Le donne aumentano la produttività e la creatività in azienda?
“Più che le donne penso un buon mix fra maschio e femmina”.
La donna è una risorsa importante per la crescita dell'azienda?
“Sì, nei termini che ho detto prima. Non credo che le monoculture tutto maschio o tutto
femmina siano produttive”.
Le donne sono più capaci nelle situazioni di crisi se hanno un potere decisionale
autonomo dagli uomini?
“Secondo me vale la capacità di lavorare in un team, punto per punto.... Magari poi esiste
l'uomo che ha una grande capacità di capire gli altri esseri umani ed esiste la donna che è
un grande ingegnere. Non voglio fare le discriminazioni al contrario”.
Secondo Lei, da parte della classe dirigente maschile, le donne posso essere viste come
una minaccia?
“Eh sì, perché i posti di potere sono quelli e le donne sono tante. Io mi son battuta,
intervenendo anche sul Sole 24 ore per le donne nei consigli di amministrazione, perché i
consigli di amministrazione sono a numero fisso, lo fissa lo statuto dell'azienda. Quindi, se ci
devi infilare delle donne qualche uomo si deve alzare e loro non si vogliono alzare, tutto
vogliono meno che alzarsi. C'è molta competizione, ma è chiaro perché siamo tante e siamo
anche brave, quindi rappresentiamo un incremento della concorrenza. Estremizzo il concetto
poiché prima le donne nel mondo del lavoro non c'erano, c'era la metà della popolazione che
non entrava in concorrenza nel mondo del lavoro”.
Ritiene che le quote rose in Italia possano essere utili per le figure apicali?
“Secondo me ora si, perché è un Paese dove ci sono delle cristalizzazioni di potere su poche
persone, persone che stanno in tanti consigli di amministrazione, in troppi. Si creano così
conflitti di interesse con la conseguente creazione di gruppi di potere extra istituzionali”.
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Le quote rosa possono costituire la strada per creare un equilibrio di genere?
“Possono essere considerate la strada per aprire delle porte che sono state chiuse. Esse
portano ad un equilibrio di genere. Però qui vale il discorso opposto, ad esempio in
aeroporto abbiamo un collegio di sindaci revisori dove sono tutte donne tranne un uomo,
quindi secondo me ritorno al concetto del mixaggio dei generi. Poi viene un momento dove le
quote rosa diventano inutili nella misura in cui si sa che ci sono persone di vario sesso che
occupano quelle posizioni. Io, per esempio, non sarei mai capace di fare il pilota di un aereo,
a mala pena parcheggio l'auto, quindi è inutile che diciamo “ma tu anche se sei donna devi
saper fare la pilota”. No, perché le donne che faranno le pilota dovranno essere le donne che
hanno delle capacità di fare le pilota. Certo che finché l'esercito e l'aeronautica erano chiusi
alle donne, di donne non ce n'erano”.
Come mai nel nord Europa la presenza femminile nell'imprenditoria e nel management
aziendale è maggiore rispetto all'Italia?
“Perché sono cinquant'anni in avanti rispetto a noi, infatti certe cose che da noi sono
arrivate ora, lì sono arrivate prima. Non a caso il movimento delle suffragette è nato in
Inghilterra nell'Ottocento. Dunque sono più avanti”.
Secondo Lei in Italia ci potranno essere dei margini di miglioramento per superare
questa disparità di genere?
“Secondo me poi ci allineeremo agli altri Stati europei. Vede, l'Inghilterra ha avuto la regina
Elisabetta prima fra il '400 e il '500, ha avuto la regina Vittoria nell'Ottocento, la regina
Elisabetta II° ora, poi ha avuto Margaret Thatcher. Quindi, di donne leader che fanno da
modello non ne sono mancate. C'era anche una legge salica diversa che le donne potevano
diventare regine, cosa che per esempio in Italia i Savoia non avevano e quindi c'è una
mentalità diversa. In Italia c'è una mentalità latina, e indubbiamente la mentalità latina
affossa la donna in due modi, da una parte c'è il maschilismo e dall'altra c'è una mentalità
cattolica che richiede che la donna sia un essere impuro; ci girino quanto li pare, ma noi
siamo impure e non si può toccare l'ostia come non si può diventare sacerdoti perché siamo
impure ed è cultura giudaico cristiana, quindi dobbiamo dedicarci al sacrificio perché la
donna che è ambiziosa, la donna che vuole guadagnare tanti soldi, è vista male. Ma io dico,
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perché devo essere vista male se lavoro? Se produco valore, una parte di questo valore
voglio che venga in tasca a me, voglio guadagnare tanto e voglio comprare una
Lamborghini. No invece, dovresti essere una Madre Teresa di Calcutta che lavora tanto e poi
si sacrifica perché secondo loro la donna è dedicata al sacrificio. Ma chi l'ha detto? La
donna è dedicata a star bene, poi se quella per stare bene si deve sacrificare, faccia pure.
Quindi c'è questa mentalità cattolica e poi ci sono i maschi che fino ad oggi non si sono fatti
carico della famiglia. All'epoca dei suoi bisnonni e dei miei nonni i ruoli maschili e femminili
erano chiari: io penso all'esterno e tu pensi all'interno, c'era un' equilibrio discutibile ma
c'era, oggi no, perché l'uomo vuole che la donna lavori, che concorra alla famiglia, quando
la vuole lasciare la lascia, tanto lei deve essere in grado di provvedere a se stessa e ai figli.
Però la donna non può aspirare a stipendi importanti perché di fatto non riesce a dare quella
disponibilità temporale che ci vuole per poter aspirare a raggiungere determinati incarichi”.
Lei si ritiene una femminista?
“Si, io sono anche storicamente una donna. Ero giovane negli anni '70 e credo anche che,
siccome questa dialettica c'è, le nuove generazioni la devono difendere perché nella storia si
son visti momenti in cui le donne contavano di più, momenti di arretramento, e non è detto
che quello che ha conquistato la nostra generazione sia per voi una cosa che dura se voi
non ve la difendete”.
Secondo Lei quali sono i campi dove la donna deve ancora lottare per i propri diritti?
“Secondo me deve difendere a 360 gradi il suo diritto alla felicità. Non è che esiste un
campo. Sì, c'è il lavoro, ma c'è il diritto alla salute. Poi sai, le cose che dico io sono punte
molto avanzate perché ora si parla di donne in ruoli apicali nelle aziende, ma poi ci sono
tutte le ragazze che nascono nelle famiglie mussulmane......cosa si fa per loro? Se una di loro
vuole scappare da queste famiglie, che rete di difesa gli facciamo? E loro sono ai diritti
basilari, quindi ci sono dei grandi diritti interrogativi”.
Secondo Lei cosa possono fare le istituzioni per aiutare le donne nel rilancio
occupazionale in questo momento di crisi nella nostra società?
“Secondo me le cose sono molte e vanno segmentate. Per chi è stata fortunata di fare
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l'università e poter avere una certa impostazione sono validi i temi discussi fino ad ora, ma
c'è tanto da fare per tutta la parte bassa. Indubbiamente va creata la possibilità, per tutte
queste persone, di potersi creare una vita e potersi difendere, anche spesso, dall'ingerenza
delle famiglie e dei compagni attraverso certe strutture tipo le case della donna, centri di
aiuto, centri di ascolto e centri di formazione professionale. Non si può pensare solo alla
parte delle donne che è la più fortunata, bisogna anche guardarsi indietro e guardare tutta la
parte bassa dove però c'è la società, c'è la maggior parte delle persone”.
Quale consiglio darebbe ad una giovane donna che ritiene di poter fare carriera da
dirigente? Cosa fare e cosa non fare mai?
“Beh, io gli direi intanto di lavorare per aziende in cui crede, perché se sa che quell'azienda
inquina e ruba deve andare via anche se è duro. Non paga mai stare in aziende dove c'è un
comportamento non buono”.
Quale è stata la convinzione più forte che le ha permesso di intraprendere questa
strada?
“Io non ho lavorato pensando di diventare amministratore delegato. Ho lavorato con
passione a lavori che mi piacevano. La carriera me l'hanno fatta fare gli altri”.
Cosa significa per una donna rivestire un ruolo di primo piano in un'azienda così
importante?
“Mah, intanto quando diventi amministratore delegato sei capo di tante persone. Io ho dieci
capi perché ho un consiglio di amministrazione di undici, quindi in realtà tu porti le tue
proposte di decisione e chi controlla il tuo lavoro sono dieci persone più te stessa, che sei
consigliera anche tu.
Quindi, indubbiamente, c'è un senso di responsabilità. Poi io sono diventata amministratore
delegato di un'azienda di successo nei cinque anni della più grave crisi economica del
dopoguerra, quindi il mio impegno è stato quello che gli azionisti non soffrissero, i
dipendenti non soffrissero, il territorio non soffrisse. Ci sono riuscita perché l'aeroporto,
nonostante la crisi, ha continuato a fare il proprio lavoro, a svilupparsi. Poi indubbiamente è
un compito pesante perché io ho avuto una bella carica, ma l'ho avuta in un momento molto
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faticoso. Perciò, questo non me lo sarei aspettato. Ogni anno di gestione, quando più o meno
anche quest'anno arrivi verso settembre, conti i numeri, vedi l'andamento e dici “va beh,
anche quest'anno ce l'abbiamo fatta, è un pezzo tuo, è molto pesante”.
Secondo Lei serve un modello di leadership diverso da quello maschile?
“Sì, serve. Io ho avuto un grande amministratore delegato, ma se mi fossi comportata come
lui sarebbe stato estremamente buffo, perché ognuno lo deve trovare dentro se stesso. In
questo senso anche maschile e femminile è discutibile perché ognuno ha la propria
leadership e la deve calare nella propria personalità, non ci sono due personalità uguali”.
Quali sono le caratteristiche che connotano la leadership femminile. Lei in quali si
rivede?
“Beh, io le dico su cosa ho dovuto combattere: punto primo rivendicare il diritto di essere
ambiziosa, punto secondo rivendicare il diritto di guadagnare un bello stipendio, punto terzo
rivendicare il diritto di farmi valere come quella persona che comanda, che ha l'ultima
decisione. Quindi, su questo io vi ascolto tutti però poi alla fine si fa come dico io, punto.
Questi sono tre punti dove da un punto di vista femminile siamo educate a vergognarci
dell'ambizione, a vergognarci di voler guadagnare bene, a vergognarci di avere una bella
macchina, a vergognarci di dire “no, ti ho ascoltato, ho valutato attentamente ma ora si fa
così punto”.
Quando si parla di come avere successo molto spesso ci si focalizza sui comportamenti
da attuare per raggiungere degli obiettivi, rischiando però di perdere la propria
autenticità. Secondo Lei si può avere successo senza incorrere in questo rischio?
“No, non va mai persa l'autenticità. Secondo me non si ha successo se non siamo autentici,
perché la gente è disponibile a perdonare molto anche ai collaboratori. Pensiamo da studenti
a professori, da lavoratori a capo. Perdoni molto se vedi che lui o lei è se stesso, ma se vedi
che lui o lei portano una maschera strumentale a qualcos'altro non gli perdoni niente”.
Qual'è la sua giornata tipo?
“Io mi sveglio alle sei e mezzo, scarico giornali su internet, in genere mi porto una pratica
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difficile da vedere la mattina presto, poi entro un quarto alle nove in ufficio e normalmente
cerco di sbrigarmela in dieci ore di lavoro, saltando magari la pausa pranzo perché continuo
a lavorare, tanto alla mia età c'è bisogno di mangiare poco. Poi abbastanza spesso, nel
pomeriggio tardi o alla sera, ho degli incarichi un po più di rappresentanza oppure
telefonate con gli Stati Uniti. Ora abbiamo un socio argentino e quindi mi tengo in contatto
anche con l'Argentina. Quindi, la mia è una giornata un po lunga”.
Quale traguardo personale ha raggiunto e quali saranno le sue prossime sfide?
“Mah, fino ad ora è stato quello di continuare lo sviluppo dell'azienda secondo le linee che
avevamo già fissato con il mio predecessore superando la crisi, e questa resilienza direi che è
dimostrata dai numeri. Ora la sfida è quella di creare il sistema aeroportuale toscano:
abbiamo iniziato ora, vediamo”.
Secondo Lei le reti relazionali delle donne in ambito lavorativo sono più ampie o più
ristrette rispetto a quelle degli uomini?
“Dipende...”.
Cosa è necessario fare per incidere su un sano cambiamento culturale in azienda?
“Noi facciamo del lavoro di formazione dei quadri e anche di formazione di quadri femminili
su certe specificità”.
Che tipo di cultura prevale nell'azienda e quali sono i valori da Lei trasmessi?
“I valori trasmessi dalla SAT non sono valori trasmessi da me. Noi abbiamo una carta dei
valori che è stata elaborata dal management, che è impostata sul servizio al cliente, sulla
eticità e sulla professionalità. Quindi, non è una carta dei valori come quella di Nike, basata
per esempio sulla competizione, su “fra due io devo essere il primo”. È una carta dei valori
abbastanza inclusiva che vale per il management ma anche per l'ultimo fattorino, e questa
credo che sia una carta dei valori utile perché in un'azienda siamo tutti importanti,
specialmente noi che con il cliente abbiamo un rapporto diretto. Ognuno è rappresentante
dell'azienda, se io dico “ ho una bella azienda”, “la mia azienda ha questo obiettivo”, ma
poi al chek-in il cliente viene trattato male, tutta la mia presentacion di amministratore
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delegato è rinnegata dal comportamento”.
In quanto leader tende a proteggere le proprie decisioni o mira al coinvolgimento e alla
collaborazione ?
“Io miro al coinvolgimento e alla collaborazione però voglio obbedienza. Le aziende non
sono democrazia”.
Di quante donne è composto il CDA dell'aeroporto?
“Ci sono io, c'è l'avvocato Schirinian e poi c'è Angela Nobile che è direttore generale del
Comune di Pisa, donne molto qualificate. Poi c'è il gruppo dei sindaci revisori dove sono
tutte donne, eccetto un uomo, tra cui la Presidente che è un altissimo dirigente dello Stato del
Ministero del Tesoro”.
Come viene valorizzata la figura della donna nell'azienda?
“Noi abbiamo il 60% del personale femminile. Il 50% dei Capi sono donne, il 20% del top
management è donna. È chiaro, però, che questo 50-60 % di Capi giovani donne noi le
formiamo, ma da lì, visto che non c'è buonismo, è necessario che loro dimostrino di poter
far carriera”.
Com'è il clima organizzativo dell'azienda?
“Mah, io non ho scioperi da tanto tempo quindi un clima abbastanza sereno”.
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ALLEGATO 2: INTERVISTA ALLA DOTT.SSA DIANA PARDINI
Quando e come è iniziato il suo percorso professionale nell'associazione Eraclito?
“Sono laureata in giurisprudenza e perfezionata in filosofia del diritto. Subito dopo la laurea
ho svolto un periodo di praticantato, ma sin da subito, mi sono resa conto che pur essendo
interessata al rapporto con il cliente, l'ambiente forense non era assolutamente consono alla mia
persona. Nonostante questo, l'esperienza giuridica è un bagaglio fondamentale che mi torna utile
anche quando scrivo una lettera.
Dopo il periodo di praticantato, ho insegnato per otto anni nella scuola media superiore,
insegnando discipline giuridiche ed economiche, e ho conseguito nel contempo l’Abilitazione
all’insegnamento e la seconda laurea in Scienze della Formazione. Mi sono occupata di giovani dai
16 a 21 anni per la AGESCI, che è l'associazione degli scout italiana, quindi ho sempre avuto
questo amore ed è quello che mi ha sempre colpito.
Per quanto riguarda Eraclito, facevo parte di quest'associazione ma non con ruoli particolari.
Il mio percorso professionale nell'Associazione, è iniziato nel 1992 come volontaria in un gruppo di
studio, il cui intento era quello di occuparmi di cultura e formazione. In un primo tempo, il mio
impegno era basato sulla cura e valutazione dei profili didattici, per esempio valutazione dei
curricula dei ragazzi, valutazione dei materiali che venivano offerti durante i vari corsi organizzati
ecc. Contemporaneamente all’incarico presso l’associazione, ho insegnato nel Corso para-
universitario di Educatore Professionale a Livorno il Diritto della Famiglia e Legislazione minorile.
Come Cultore della materia, ho tenuto corsi sulla Filiazione presso la cattedra di Diritto della
Famiglia dell’Università di Pisa. Nel 1997 mi è stata affidata la direzione di Eraclito e sono l'unica
persona che è a tempo pieno per l'associazione. Mi occupo a tempo pieno di attività culturali, perché
organizziamo mostre scultoree, di pittura, presentazione dei libri, concerti quindi varie attività
culturali però anche eventi formativi, il prossimo ad esempio che organizzeremo insieme alla
Camera di commercio è sulla “legalità e l'etica d'impresa”. Tra gli eventi più importanti c'è il
master CIBA, che ha una grande esperienza , pensi che la prossima è la 22° edizione. Quindi è dal
'97 che conduco queste attività, sia culturali che formative”.
Quando è nata l'associazione Eraclito?
“Nel 1992 aveva un altro nome: Study Group Socrate. Nel '97 '98 ha avuto un'evoluzione e il
nome è cambiato in Eraclito. Eraclito, è un'associazione culturale con attività non profit ma anche
profit con rispettiva fatturazione”.
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Gli obiettivi dell'associazione mirano alla qualità o alla quantità?
“Assolutamente alla qualità”.
Come donna ha incontrato delle difficoltà e subito discriminazioni nel suo percorso verso
il vertice?
“Più che vertice direi verso le responsabilità. Nell'associazione non ho subito nessun tipo di
discriminazione, ma ricordo benissimo che le persone che ho sempre contattato per il sostegno alle
varie attività: quindi ho contattato dirigenti di banche, di assicurazioni tutti prevalentemente uomini,
con qualche eccezione ma per la maggior parte uomini, un mondo di uomini. Però nel nostro team
oltre a figure maschili ci sono figure forti femminili e chiaramente anche volute dalla sottoscritta”.
Ci sono state delle persone che l'hanno supportata in questo percorso?
“Certo, io direi assolutamente mio marito. Mio marito per me è anche un amico, un
compagno, la persona che mi ha sostenuto sempre, ha sempre creduto in me, in certi valori, in certe
scelte di fondo, quindi abbiamo poi condiviso anche la famiglia.
Sono riuscita a conciliare bene famiglia e il lavoro ma non nego la fatica. Per alcuni anni ho
dovuto assumere una baby sitter, poi mi ha aiutata molto mia madre. Sono stata fortunata anche per
quanto riguarda la sia scuola materna, poiché prevedeva degli orari abbastanza flessibili, sia nella
scuola elementare dove le bambine facevano il tempo pieno. Ma comunque è sto molto faticoso”.
Secondo Lei servirebbe un modello di leadership diverso da quello maschile?
“Allora, per anni abbiamo creduto che la leadership, fosse la leadership autoritaria, quella del
leader battistrada “si fa così perché lo deciso io, comando io”, d'altra parte leader vuol dire
guidare, può essere una linea che ha tradizioni classiche e tradizioni moderne. È necessaria una
leadership che coinvolga sia gli uomini che le donne, poiché l'integrazione delle qualità maschili e
femminili portano alla produttività e ad una maggiore creatività in azienda. La produttività si ottiene
se si collabora, in modo tale che ognuno vada ad implementare l'altro. Non ho mai creduto negli
stereotipi perché non rivelano veramente le qualità individuali delle persone, ad esempio non sono
d'accordo ad affermazioni del tipo “l'uomo è più capace nel profilo decisionale”, quando poi esiste
l'uomo indeciso, oppure “l'uomo ha capacità personali ed emozionali ridotte” quando poi esistono
uomini ricchi di queste qualità. Lo stesso discorso vale per le donne.
Se invece vogliamo ridisegnare la leadership con concetti diversi, ed io l'ho sempre
desiderato, allora parliamo di leadership condivisa, di leadership collaborativa, fondata
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sull'apertura, sull'ascolto. Quindi se vogliamo delineare un vocabolario di un leader, a mio avviso
efficace partirei da: prima cosa l'ascolto, altra cosa fondamentale il silenzio poiché un leader che
non ha dei momenti in cui si ferma e fa silenzio è un leader che va avanti a vista senza riflessione;
altro aspetto fondante della leadership è la generosità, la capacità di dare senza necessariamente
volere un corrispettivo. Quindi il dare è importante nella leadership, la capacità di dare e di
valorizzare i talenti vicino a noi.
Io considero il leader come un esploratore, un ricercatore, uno che non vuole essere al centro
in maniera eroica, ma vuole formare una squadra che porti avanti valori e obiettivi. Non scinderei
però i valori dagli obiettivi, perché questo comune porta ad una schizofrenia e ad una problematica
di fondo, che noi poi vediamo risaltare anche in maniera macroscopica nelle istituzioni, in certe
aziende diventando veramente problematico. A mio parere è necessaria dunque l'integrazione tra il
valore e l'obiettivo”.
I comportamenti premianti sono innati o si imparano?
“Tutto si impara, poi è chiaro che c'è una base sempre di indole, è tutto molto soggettivo.
Per quanto riguarda il genere, ho conosciuto questo imprenditore intellettuale che è Sergio
Casella che ha scritto un libro sulla leadership, così interessante, così rispondente alla nostra
leadership condivisa ed aperta alla valorizzazione dell'altro da anni. Noi come formazione facciamo
questo ragionamento come formatori, trovarlo a livello imprenditoriale questo concetto mi ha fatto
molto piacere. Penso veramente sia un modello da esportare, da divulgare al massimo soprattutto tra
i giovani, tra i ragazzi , perché dobbiamo crescere una classe dirigente che abbia assolutamente una
visione diversa da quella che abbiamo visto dominare fino ad oggi, non mi sembra che i risultati
siano stati positivi, quindi bisogna cambiare modello”.
Eraclito è un'associazione profit o no profit?
“È un'associazione culturale, può anche svolgere attività commerciale. È chiaro che se
organizziamo un corso che ha un costo, noi emettiamo fattura come un qualsiasi ente che gestisce
formazioni”.
Ci sono comportamenti vincenti tipicamente femminili?
“Ci possono essere dei comportamenti tipicamente femminili come, sicuramente l'ascolto,
perché la donna è fisiologicamente è interna, poi la capacità di mettere in rete persone, enti,
aziende; inoltre la donna è multi- task, sa fare tante cose insieme. Anche a me, infatti, capita
spessissimo di fare qualcosa di manuale come cucinare e pensare intellettualmente ad un progetto,
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ma allo stesso tempo non nego che questi comportamenti possano essere riscontrati anche in alcuni
uomini. Quindi, bisogna uscire dagli stereotipi maschili e femminili e parlare di persone, la cosa
fondamentale per la me è che ogni persona venga valorizzata, rendendola importante e unica”.
Quali sono le regole che si è imposta o meglio tecniche di sopravvivenza come dirigente?
“La prima regola è quella di fare squadra con le persone con cui lavoro, ascoltare quello che
l'altro a da dire e valorizzare sempre tantissimo, perché se tu riesci, ogni persona è un capitale
inespresso, non sappiamo neanche tutto quello che abbiamo dentro. Io ad esempio sono una donna
di 55 anni, non sono una ragazza giovane come lei, però non so quante capacità inespresse sono
ancora dentro di me, che non ho esplorato, che non ho avuto occasione di vedere, in una ragazza
come lei si apre un mondo. A mio avviso quindi, se parti da questa visione è molto facile intuire, è
una regola chiave, io parlerei nel mio caso più di linee guida, “l'altro chi è l'altro?” è sempre una
persona e io ho sempre molto rispetto, considero sempre la persona, che sia l'inserviente che fa il
suo lavoro benissimo e che ha cura di ogni particolare, che sia il direttore generale delle migliori
banche che sostengono il progetto. Quindi per me le persone sono tutte uguali, non tutte uguali nei
diritti ma fondamentalmente diverse, lei è lei, l'altra persona e l'altra persona”.
Qual'è stata la convinzione più forte che le ha permesso di intraprendere questa strada?
“Io ho una grandissima, grandissima passione per i giovani. Credo che i giovani siano il
futuro, lo so, lo è, ovvio che siano il futuro, questa è una mia credenza, ma se lo credessimo più al
largo raggio sarebbe meglio. Comunque la mia convinzione è stata quella di valorizzare, aiutare, di
scoprire e di far scoprire ai ragazzi che sono un grande valore, che ognuno di loro ha la sua strada,
che non bisogna assolutamente perdersi d'animo e che con molta fatica ma anche con molta fiduccia
si riesce. Manca forse l'incoraggiamento, io ci credo tanto”.
Cosa significa per una donna rivestire un ruolo di primo piano?
“Non lo vivo così, certo oggettivamente lo è. Secondo me è un ruolo da condividere, è un ruolo
molto soddisfacente, molto entusiasmante, ad esempio anche stasera ho fatto una riunione, ho
incontrato tante persone e probabilmente ho trovato qualche soluzione professionale per qualcuno,
Questo ruolo mi da molto piacere perché trovo importante favorire e far circolare buone cose”.
Quali sono le caratteristiche che connotano la leadership femminile oggi e Lei in quali si
rivede?
“Allora io mi rivedo in questo concetto: secondo me il leader è un generatore, un promotore di
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buone relazioni, che permette la crescita delle persone, coltiva un clima di fiducia e di autenticità,
individua e valorizza il tesoro dell'altro, stimola un pensiero costruttivo, progettuale e infonde
speranza”. Nell'associazione ad esempio, per formare una classe dirigente diversa da quella che tutti
conosciamo e per infondere una leadership efficace, abbiamo una didattica molto variegata. I focus
sono: lavorare sulla persona, sulle potenzialità di ogni ragazzo, il saper lavorare in gruppo e dal
gruppo passare al team. Quindi si parte dalla selezione fino ai vari monitoraggi come colloqui o
inserimento dei ragazzi in stage presso le aziende ecc.
Gli strumenti che adoperiamo sono diversi e molto interessanti, ad esempio, per il lavoro sulla
singola persona hanno istituito da qualche anno lo strumento del silenzio. Quindi ogni mattina
facciamo una mezz'ora di silenzio, talvolta animata da musica, da lettura di brani che aiutano a
vivere il silenzio in maniera seconda e produttiva.
Altro strumento che viene somministrato ai ragazzi è il focusing per la centratura della persona.
Nell'associazione, infatti, è presente la Terapeuta delle relazioni Lidia Rinaldi.
Poi, la casida uno strumento che ha il suo fondamento nel concetto di resilienza, viene utilizzato per
lavorare sulle risorse della persona per affrontare le difficoltà che di volta in volta si presentano.
Altrettanto importante è il lavoro in team proposto per progettare un’impresa.
In questi ultimi anni una nuova proposta nell'associazione Eraclito: è il team building
attraverso il coro. Infatti i ragazzi la sera dopo cena si ritrovano con un direttore di corale, il
maestro Fabio Casini e fanno un'esperienza di team building cioè costruzione della squadra
attraverso il coro”.
A proposito di autenticità...quando si parla di come avere successo, molto spesso ci si
focalizza sui comportamenti da attuare per raggiungere degli obiettivi, rischiando però di
perdere la propria autenticità . Secondo Lei si può avere successo senza incorrere in questo
rischio?
“Secondo me se, e quando accade questo si perde molto di credibilità, perché secondo un
direttore d'orchestra che è un grande leader, e uno di questi diceva che “una buona comunicazione
non può che fondarsi sulla verità”, perché la credibilità e il fare cose che rispondano veramente a
me stessa è sicuramente vincente.
Io che vivo una vita organica, serena, in armonia con il mio sentire, la penso così, sennò
diventerebbe veramente schizofrenico, ed è un problema oggi, infatti molte persone che fanno uso di
ansiolitici, antidepressivi ecc, «per cosa?». Io penso che se una persona si scinde e si divide, ha una
faccia e una maschera all'esterno e dentro di se non coltiva nulla, poi chiaramente alla lunga si
distrugge”.
119
Qual'è la sua giornata tipo?
“Mi alzo abbastanza presto, accudisco a tutti i miei animali in prima battuta perché si fanno
sentire, gatti, cani ecc, poi preparo la colazione per mie figlie, mio marito ha invece già preparato il
caffè, io arrivo un pochino dopo.
La mattina lavoro, in genere ho appuntamenti per colloqui, orientamento, poi lavoro in studio,
rispondo a mail, scrivo progetti, scrivo testi, faccio il mio lavoro più di studio ecco e di
approfondimento perché continuo a studiare; un'oretta al giorno io cerco di studiare qualcosa di
nuovo, anche stimolata da interventi che mi vengono richiesti, da lezioni che devo tenere o da varie
situazioni che mi si presentano però in genere la giornata è questa. Se riesco, faccio una passeggiata
al mare, poiché sto molto vicina al mare e questo mi rigenera moltissimo, sono una grande
camminatrice”.
Qual'è la frase che sintetizza la sua personalità e il suo ruolo manageriale?
“Le direi questa frase di Goethe che mi piace moltissimo..“ho tanto dentro di me”.
Quale traguardo personale ha raggiunto in questi anno e quali sono le sue prossime sfide?
“Allora per quanto riguarda il traguardo, è quello di aver più di ventidue anni di formazione
culturale alle spalle, tra l'altro conquistata sul campo perché noi siamo un ente privato, quindi con
buonissimi rapporti con le istituzioni quali: comune, provincia, università, però di fatto è
un'associazione libera. Non siamo università, in un luogo dove l'università ha una grandissima
importanza, ed è una grande università con scuole prestigiose. Il mio successo, ma non solo mio ma
anche anche quello dell'associazione è quello di essersi affermati in un territorio privilegiato com'è
la città di Pisa.
Per quanto riguarda le sfide, stasera abbiamo fatto una terza fase di un progetto molto
interessante sulla formazione online, io che ho sempre lavorato con le persone, in aula sentendole
anche a lezione, interagendo continuamente, avendo anche la percezione fisica degli altri. Beh
proveremo questo schermo, proveremo se è possibile bucarlo questo schermo”.
Secondo Lei le reti relazionali delle donne sono più ampie o più ristrette rispetto a quelle
degli uomini in ambito lavorativo?
“Sicuramente più ampie, noi veniamo dalla relazione, la relazione prima è quella materna e la
parola relazione ha un bellissimo significato. “Rĕfĕro” al participio passato è “relatum” vuol dire:
portare dentro qualcosa. Quindi quando tu ti relazioni, come noi ora, io porto me e lei porta se,
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quindi noi ci incontriamo e questa è una relazione”.
Le donne sono più capaci nelle situazioni di crisi se hanno un potere decisionale autonomo
da quello degli uomini?
“Beh dipende molto dall'uomo che hai accanto, non faccio distinzioni uomo/donna”.
Secondo Lei in cosa le donne sono più brave degli uomini quando siedono ai posti di
guida?
“Sicuramente la donna sa fare tante cose insieme, capita spessissimo di fare qualcosa di
manuale e pensare intellettualmente ad un progetto ad una cosa. Anche io faccio cose pratiche,
cucino e penso , perché abbiamo questa abitudine, anche l'aspetto organizzativo è molto facile nella
donna ed è piuttosto spontaneo perché abbiamo questi secoli di lavoro domestico”.
Secondo Lei da parte della classe dirigente maschile le donne sono percepite come una
minaccia?
“Penso proprio di si”.
La presenza femminile ad alti livelli manageriali quali contributi può portare
all'associazione rispetto al tipico approccio maschile?
“Sicuramente la capacità di mettere in rete persone ma anche enti, aziende”.
Le donne aumentano la produttività e la creatività a lavoro?
“Si ma dipende che tipo di persone sono, non è detto assolutamente, ma può essere. Io penso
piuttosto che sia la collaborazione di entrambe i sessi ad aumentare la creatività in azienda”.
Come mai nel nord Europa la presenza femminile nell'imprenditoria e nel management
aziendale è maggiore rispetto all'Italia?
“Sono semplicemente più evoluti di noi socialmente, questo perché non hanno una certa
tradizione maschilista. Le direi che in questo caso ha radici nella storia e nell'ordinamento
giuridico, proprio perché la nostra storia politico, giuridico, sociale trasuda di maschilismo. Le
faccio un esempio: la prima volta che le donne hanno votato in Italia è stato il 2 giugno del 1946,
quando è stata scelta la forma monarchica – repubblicana del nostro Stato, quindi la prima volta , a
me sembra ora. Abbiamo dovuto attendere il 1975, in particolare la riforma del diritto di famiglia,
per vedere abrogata la potestà d'istituto dalla potestà maritale, non so se ci rendiamo conto di
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questa cosa, è da brivido! Abbiamo dovuto attendere il '75 per eliminare un altro istituto ossia la
patria potestà sui figli per passare la potestà ai genitori. Quindi è tutto legato alla storia e al
diritto”.
A suo avviso ci potranno essere in Italia dei margini di miglioramento per superare questa
disparità?
“Si ci sono già, questi margini li vediamo nelle istituzioni. Se cambiano le istituzioni, a mio
avviso, cambia la società. Questi sono segnali e ci sono sicuramente”.
Ritiene che le quote rosa in Italia possano essere utili per le figure apicali?
“Beh non possiamo fare altrimenti. Certo sarebbe stato più carino esserci arrivati con la
sensibilità sociale e culturale, non ce l'abbiamo fatta, e allora utilizziamo uno strumento se siamo
costretti”.
Si ritiene una femminista?
“Prima avrei risposto si. Oggi mi sembra desueto questo termine, è un termine storicamente
superato. Io se ne parlo con le mie figlie mi dicono: «ma di cosa stiamo parlando?». A diciannove e
venti tre anni, in una famiglia dove il ruolo del babbo e della mamma è vissuto in maniera serena,
certo che il babbo è il babbo e la mamma è la mamma, però hanno sempre visto il babbo che
sparecchia la tavola, cucina se c'è da mettere la lavatrice la mette, non ci sono problemi, nessuno si
è mai posto quelli stereotipi. Le decisioni sono sempre condivise”.
Secondo Lei in ambito lavorativo, fa differenza per una donna avere famiglia o meno?
“Eh certo si si fa differenza, bisogna fare delle scelte”.
Lei ha rinunciato alla sua vita privata?
“No alla vita privata no assolutamente”.
Quindi Lei è riuscita a conciliare famiglia e lavoro?
“Non ho rinunciato alla vita privata. Ho messo prima la famiglia e ancora oggi è al primo
posto , diciamo che ho cercato di coordinare lavoro e famiglia. Molti trovano delle difficoltà ma al
livello che ricopro io ci sono riuscita, poi onestamente le dico che ci sono stati periodi, quando le
bimbe erano piccole che è stato veramente difficile conciliare le cose, ma poi le bimbe crescono
quindi è più semplice. Ci sono dei momenti in cui io non mi sono sentita di fare scelte per me, magari
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per la mia soddisfazione personale ma che poi non mi avrebbero soddisfatto come donna, come
mamma, come moglie. Diciamo che ho cercato di contemperare, comunque le rinunce ci sono state,
anche su cose molto interessanti”.
Nel nord Europa per quanto riguarda la maternità, Stato, famiglia e impresa uniscono le
forze per un'effettiva conciliazione tra famiglia e lavoro. Come mai in Italia non prevale questa
funzione collettiva?
“Lei parla del modello che il Dott. Casella parla nel suo testo. Purtroppo è un modello che in
un questo paese non è riuscito a radicarsi, perché è prevalsa questa mentalità autoritaria,
maschilista che ce la portiamo dietro non c'è nulla da fare, è un retaggio. Io ho molta fiducia che le
cose cambino”.
Pensa che la disciplina sul congedo di paternità obbligatoria sia un passo in avanti o
necessita delle revisioni?
“Si si ottima cosa, i genitori devono essere intercambiabili nei limiti del tutto. Necessita
sicuramente delle revisioni, bisognerebbe superare la mentalità dove l'uomo fa carriera e la donna si
ritira, ma bene venga se ci saranno dei cambiamenti.....speriamo!”.
Che consiglio darebbe a chi vuole imparare a vivere con equilibrio il proprio percorso di
crescita personale e i differenti ruoli di figlia, madre e moglie lavoratrice?
“Un aspetto fondamentale e riservarsi sempre nella giornata e tener d'occhio la propria
persona, quindi non dimenticarsi mai di noi stessi. Una mia carissima amica che lavora qui, tra
l'altro è docente del nostro gruppo, è Terapeuta delle relazioni. In un suo corso, nel quale ho
partecipato, ha parlato di “ricordarsi di se”, a me è rimasto molto molto impresso, perché talvolta
questo per un atteggiamento femminile di retaggio di dare, dai troppo in cui tu e ti dimentichi invece
che esisti e che anche tu hai bisogno di ricarica, di riposo, di riflessione, di silenzio”.
Quale consiglio si sente di dare ad una giovane donna che ritiene di poter fare carriera da
dirigente, cosa fare e cosa non fare mai?
“Mah io direi, cosa fare: prepararsi molto bene, il doppio, il triplo dei suoi colleghi uomini,
studiare, approfondire, continuare a studiare anche una volta raggiunti certi obiettivi, non fermarsi e
di essere molto molto generosa con chi è vicino a lei, che siano collaboratori, colleghi. Essere quindi
molto disponibile e soprattutto creare una squadra vincente, avere una mentalità di team che
permette di risolvere tante cose. Di fatto una persona, può essere anche bravissima, competentissima
ma la tua competenza arriva sempre ad un livello, quindi da questo livello in su questo livello
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diminuisce. Oggi tecnicamente se non mi avvalgo di persone che conoscono per esempio tutto il
settore informatico mi troverei in difficoltà. Io utilizzo i sistemi informatici ma a un livello bassissimo
da semplice utente, non ne capisco niente di tante cose, e se non ho accanto persone qualificate,
preparate che colmano le mie carenze, sarebbe difficile. Io ho sempre delegato anche i miei
collaboratori anche su determinati argomenti dove non ho molte conoscenze, questo appoggiarsi è
per me molto importante”.
Come potrebbero secondo Lei le istituzioni aiutare le donne nel rilancio occupazionale in
questo momento di crisi che sta vivendo la nostra società?
“Le istituzioni innanzitutto si stanno muovendo con programmi di formazione, bisogna pensare
strategicamente ad una pianificazione che dia opportunità alle donne di accedere a ruoli
dirigenziali. questo è un po' il tema delle “quote rosa” e tanti altri, in determinati consigli di
amministrazione e anche ai vertici delle società che siano presenti le donne. Ma in questo senso mi
sembra che sia già già stato approntato qualcosa”.
Quali sono i campi in cui la donna deve ancora lottare per i propri diritti?
“Sono tanti, i diritti sono sanciti il problema è l'attuazione dei diritti. Allora qui è un problema
di natura culturale che deve permeare nella società, ci vuole un cambiamento e il cambiamento deve
avvenire attraverso l'educazione. È un lavoro forte che si sta facendo anche nelle scuole e su tute le
problematiche di genere, è un lavoro che è talmente capillare che tocca proprio il cuore della
società, della famiglia, del lavoro, dei vari ambienti sociali nei quali ci muoviamo. È complessa la
questione”.
Cosa è necessario fare per incidere su un sano cambiamento culturale nell'associazione?
“L'associazione Eraclito in questi anni si è formata, è cresciuta perché c'è stata molta
riflessione all'interno, perché tutti noi ci siamo educati e auto educati, attraverso il contributo di
intellettuali, di studi fatti ad hoc nell'associazione. Quindi gli strumenti in questo senso sono stati
molteplici, tanto confronto, dialogo, apertura”.
Che tipo di cultura prevale nell'associazione e quali sono i valori da Lei trasmessi?
“Una cultura solidale, una cultura rivolta all'apertura all'altro, una cultura fondata sul
rispetto alla persona e la convinzione che la persona abbia un valore in se”.
Come viene valorizzata la figura della donna all'interno dell'associazione?
124
“Nei ruoli che vengono ricoperti. Sono ruoli molto importanti perché le dico: il presidente è il
Dott. Agujari , io sono il direttore, la co – direttrice è la Dott.ssa Elisa Biegi , la Dott.ssa Cecilia
Taddei si occupa dei rapporti con le aziende (5 donne e 4 uomini nello staff ci fa capire che c'è un
equilibrio)”.
Com'è il clima organizzativo all'interno dell'associazione?
“Un clima collaborativo”.
Lei in quanto leader tende a proteggere le proprie decisioni o mira al coinvolgimento e
alla collaborazione?
“Le mie decisioni vengono messe a confronto con quelle del gruppo”.
Nell'associazione prevale la disponibilità da parte sua e da parte degli altri membri dello
Staff ad accettare il cambiamento e a cogliere la sfida legata all'introduzione di nuove
strategie?
“Certo certo assolutamente! A partire dal nome dell'associazione che è molto interessante,
perché abbiamo sempre ritenuto che se riusciamo a cogliere il cambiamento allora possiamo essere
presenti in qualche modo nella realtà formativa, culturale, sociale, se non lo cogliamo allora
restiamo fuori per cui”.
125
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