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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea in Scienze della
comunicazione, editoria e giornalismo
Tesi di Laurea
Sport alternativi e per disabili: quale
lo spazio mediatico concesso loro dai mass media
RELATORE
Prof. Ferdinando MARCOLUNGO
CORRELATORE Prof. Adalberto SCEMMA
LAUREANDO Davide CALDELLI
ANNO ACCADEMICO 2008/2009
pag. 2
Capitolo 1
SPORT E MASS MEDIA
1.1 Carta stampata, radio e TV.
Parlando di sport e mezzi di comunicazione di massa occorre partire dalla considerazione
che questi godono nei confronti della gente. Ve ne sono alcuni (come il calcio) certamente
con alto impatto mediatico ed altri, come quelli cosidetti minori o perché rivolti a persone
disabili che dovrebbero, comunque, esser presi in giusta considerazione da tutti.
In Italia, purtroppo, l‟attività sportiva ha poca considerazione e questo, sicuramente, è
molto nocivo allo sviluppo di una cultura dello sport. Ciò che la stampa molte volte compie è
un lavoro de-costruttivo perché ne mostra i lati negativi. Per capire, però, a fondo la simbiosi
tra sport (alternativi o per disabili) e media esistono alcuni aspetti che non vanno mai
dimenticati:
1) in che modo i media cambiano lo sport;
2) in che modo lo sport influenza i media e
3) la simbiosi sport-media come catalizzatrice verso la società.
- In che modo i media cambiano lo sport. Certamente i media (siano essi TV, stampa, radio
giornale e ora il web) hanno fornito un notevole contributo nel processo di trasformazione
delle discipline sportive; un modo di vedere gli avvenimenti oltre il valore strettamente
agonistico. La presenza di organismi di comunicazione, infatti, pone maggiori accenti sullo
sport professionistico; questo, di sicuro, aumenta il valore raffigurativo dello stesso ma,
contemporaneamente, accentua il lato dominante della comunicazione la quale, ogni volta, si
realizza accrescendo l‟aspetto di notiziabilità dell‟evento. Aumentano sia momenti tecnici
(es. gli istanti che precedono una performance sportiva) che le tematiche di secondo piano
quali allenamenti, dieta alimentare o la vita privata degli atleti. In questo modo, perciò, si
viene a creare un evento nell‟evento che, in taluni casi, supera, in fatto di visibilità, l‟atto
agonistico in sé stesso. Il lavoro dei media, infatti, è talmente studiato ed organizzato da
suscitare nel pubblico interessi che vanno ben oltre la normale passione.
- In che modo lo sport influenza i media. Anche lo sport possiede un proprio ruolo. In
Italia, in particolar modo, si può affermare che, mediante le competizioni sportive (anche
quelle riferite a sport minori o per disabili) sia nato un certo modo di fare giornalismo
alquanto popolare. È stato certamente lo sport ad avvicinare i giornali alla gente comune. Una
modo di fare giornalismo espansosi anche a livello locale. Potremmo parlare di
“Democratizzazione della stampa” e questo grazie soprattutto ad un linguaggio semplice,
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accorto e aperto al pubblico; una concezione dello sport che rafforza i legami sociali e fa
sentire tutti uniti.
- La simbiosi sport-media come catalizzatrice verso la società. Già il titolo fa presagire
quale potrebbero essere le potenzialità di un binomio media-sport. La presenza di catalizzatori
mediatici come radio, TV, stampa o nel futuro il web sono sintomi di un principio di fondo
che tende a far diventare spettacolo ogni intrattenimento sportivo. Secondo le idee del
sociologo tedesco Norbert Elias sarebbe in atto un modo nuovo di concepire lo sport. Il valore
indiretto che i media svolgono, infatti, dovrebbe servire a mitigare la violenza insita nei
soggetti che assistono (in diretta) a manifestazioni sportive. Verrebbe meno il vis a vis, punto
cruciale degli scontri violenti (specie nel calcio). Si tratterebbe di un fattore legato al controllo
delle emozioni filtrato dai mezzi di informazione il cui compito è quello di allontanare,
gradualmente, i sentimenti di rabbia che sono intrinseci all‟uomo. Esprimendoci in questi
termini potremmo dunque dire che stiamo parlando di una peculiarità del mondo della
comunicazione sportiva che va sotto il nome di: capacità educativa dello sport.
Lo scopo finale di fare informazione sportiva deve perciò essere quello di evitare la
produzione di soggetti a rischio emarginazione, individui robotizzati ma anche sempre più
stereotipizzati. Il significato culturale dello sport trasmesso tramite i media deve, perciò,
creare nuove possibilità di legami sociali, aiutare ad integrarsi ma anche e soprattutto
integrare gli individui dentro a questo mondo ipertecnologico; integrazione, però, che vale
anche per coloro che sono disabili e che vogliono, attraverso lo sport e l‟informazione
sportiva, avere un giusto ed adeguato spazio mediatico.
Ci sono paesi, e tra questi l‟Italia, in cui la cultura sportiva fatica a divenire un “must”
poiché legati ad una tradizione culturale popolare molto approssimativa dove non esiste una
certezza in nulla. Al contrario la filosofia sportiva si occupa di cose certe essendo essa stessa
la scienza del risultato (o cultura dell‟esatto) che prende il posto dell‟incerto e del vago. Un
modo di affrontare non solo gli impegni sportivi ma anche la vita stessa. Il ruolo dei media è
perciò quello di propagandare questa cultura agendo come un fattore performante. Occorre
cambiare gli usi e i costumi non per dimenticare il vecchio ma per correre verso il futuro; un
corsa armonica e coerente intrisa dentro ad una visione che pone al centro le relazioni e le
competizioni (sane). Occorre, perciò, superare quel gioco mediatico perverso (del mondo
sportivo) che vede e trasmette solitamente le cose negative dello stesso. Si deve superare il
diktat imposto da certe classi intellettuali/economiche che hanno cercato di porre i loro
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interessi anche dentro al mondo sportivo inquinando quello che avrebbe dovuto essere solo un
momento di gioia per tutti.
I media hanno sempre visto lo sport come un mondo a sé stante, un‟isola felice; purtroppo
questo ha alimentato delle favole che lo hanno dipinto come un aspetto della vita umana da
mettere da parte, un‟esperienza di vita da tenere in secondo piano; un atteggiamento che è
stato tale sino all‟arrivo dei grandi sponsor: soggetti che hanno attratto anche i media e li
hanno costretti ad interessarsi di sport non come valore ludico bensì come una possibile fonte
di guadagno sia mediatico che economico oltre a giornalisti che si sono inventati nuovi stili e
linguaggi prendendo a prestito termini da altri campi del sapere umano.
Bisogna, sicuramente, riporre fiducia in ciò che leggiamo, ascoltiamo e vediamo quando si
parla di sport senza però essere troppo influenzati da chi dispensa notizie al fine di ribaltare il
vecchio concetto che suole dire: “Bad news, good news”. Il compito di tutti, a partire dagli
utenti, è di capire che le notizie vere sono quelle dei risultati, dell‟emozione che si prova
quando il proprio idolo sportivo vince una grande gara o quando la squadra del cuore compie
una impresa storica. Questo è il vero spirito dello sport che deve fare da traino a tutti gli
individui siano essi gente comune, sportivi oppure giornalisti. Quest‟ultimi, poi, hanno
l‟obbligo di dare sia un senso che una misura a ciò che trasmettono; i grandi eventi, allora,
non devono divenire per i media di turno solo un mezzo per vendere di più anche se,
oggigiorno, un evento è tale se riceve la giusta attenzione mediatica che funga da cassa di
risonanza: in questo modo sport che non hanno la giusta visibilità perché poco mediatici o
perché praticati da persone disabili a fatica riescono a uscire dalla propria nicchia.
Il calcio pigliatutto: la cosa che si deve sottolineare, specialmente in Italia, è l‟assoluta
disparità tra una disciplina come il calcio (molto seguito e sponsorizzato) ed altre che dai
mezzi d‟informazione ricevono ben poco. L‟azzardo è una dose eccessiva di esposizione
mediatica che potrebbe portare a conseguenze catastrofiche in molte altre discipline sportive.
La massiccia attenzione rivolta al football, infatti, rischia di mettere in secondo piano sport
già poco popolari ma che invece contribuiscono, in maniera determinante, a far crescere il
valore sano dell‟agonismo tra i giovani. Compito precipuo dei mezzi di informazione è di
propagandare, in modo equilibrato, tutti gli sport praticati (sia quelli poco noti che quelli per
disabili). Occorre invertire la rotta soprattutto per dare la possibilità a migliaia di giovani e
giovanissimi di conoscere realtà sportive diverse dal calcio. È necessario, perciò, che i media
si impegnino nel far conoscere sport che, pur essendo minori, sono fucina di grandi atleti quali
Valentina Vezzali nella scherma o i fratelli Abbagnale nel canottaggio; persone che molte
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volte combattono solamente per avere una luogo dove potersi allenare. Il compito dei media
deve essere quello di dare maggiore e migliore visibilità a questi sport oltre a creare concrete
possibilità per tanti giovani di usufruire di luoghi dove praticare la propria disciplina.
Un ulteriore approfondimento potrebbe cercare di indagare su quale sia il coinvolgimento
che gli italiani provano per i diversi sport magari attraverso una presa di coscienza che faccia
comprendere il differente grado di passione che determina, in modo quantitativo, la visibilità
che si attribuisce ai diversi atleti. Pertanto è solo la popolarità attribuita dal pubblico a fornire
lo zoccolo duro degli spettatori: punto da cui partire per cercare di comprendere come mai
parole come audience, share o numero di copie vendute ne diventino alla fine la naturale
conseguenza. Questo, però, è un fatto negativo perché non da la possibilità a sport definiti
alternativi o per disabili di emergere dalla palude in cui stanno affondando. Servirebbero,
perciò, sia giornalisti capaci di andare contro corrente che responsabili di palinsesti pronti a
fare delle scelte eroiche per evitare che sport poco propagandati quali quelli definiti alternativi
o per disabili sparissero del tutto da ogni tipo di scelta editoriale.
Siamo tutti consci che l‟evento sportivo per eccellenza sono i giochi olimpici; un evento
che i media (in particolare la televisione) hanno reso globali attraverso una esposizione
mediatica che oggigiorno, in campo sportivo, ha certamente pochi eguali. Oltre a questi
esistono però altre manifestazioni che caratterizzano la vita delle persone; si tratta tuttavia di
avvenimenti sportivi che, pur attirando grandi platee (reali e mediatiche), acquistano la loro
notorietà solo in base ad aree geografiche nelle quali sono maggiormente diffusi. È solamente
grazie allo sviluppo della tecnologia in campo mediatico che molte persone possono assistere
in diretta ad eventi che si trovano distanti migliaia di chilometri contribuendo, oltretutto, alla
conoscenza e diffusione di sport in passato sconosciuti un motivo, questo, che spiega come
l‟espansione degli eventi sia un fatto importante in quanto fornisce visibilità a sport poco noti
costringendoli ad adattarsi sempre più ai nuovi media. Numerosi sono i dati che forniscono il
quadro della notorietà degli eventi sportivi e per comprendere cosa determini la loro
popolarità due sono i fattori determinanti:
a. I valori di interesse e partecipazione
b. La “medianicità dell’evento”1
In questo nostro approfondimento è chiaro che lo sport maggiormente mediatico sia il
calcio anche se sport come Formula1 o il Giro d‟Italia di ciclismo non risultano tanto
inferiori. Prendendo ad esempio la gara ciclistica a tappe si intuisce l‟esistenza di un trend
1 Ricci Barbara e Ugliano Mimmo, “Campione farò di te un star”, Franco Angeli editore Milano, 2004, pag. 35
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positivo in continua ascesa grazie soprattutto all‟enorme visibilità fornita dai media. La
popolarità di uno sport così semplice è infatti testimoniata dalla passione che, in ogni tappa,
suscita nelle migliaia di aficionados che seguono con trepidazione le gesta dei loro beniamini.
Il numero crescente di campioni che percorrono le strade d‟Italia tuttavia non riesce ad
offuscare i miti del passato: grandi duelli come Coppi - Bartali o Moser – Saronni; anche
perché, a distanza di anni, l‟unico vero personaggio di cui si ha ancora un certo ricordo è
certamente Marco Pantani il quale, a diversi anni dalla sua tragica scomparsa, continua a far
parlare di sé e di quel mondo così semplice eppure così complicato. Sono gli stessi media che
da un lato esaltano le grandi imprese e dall‟altra affondano la loro penna nella piaga del
doping che il ciclismo a fatica riesce a debellare. Non vanno infine dimenticati eventi sportivi
che fanno della mediaticità il fulcro portante; parliamo delle varie nazionali cantanti, attori o
giornalisti. Eventi il cui impatto mediatico è fondamentale in quanto lo scopo è sostenere
campagne di solidarietà sociale e, tra queste, quella più famosa è quella della nazionale
cantanti di calcio la quale, ad ogni partita, riempie gli stadi dove gioca: un evento che parla di
altruismo e sport e che riesce ad attivare quel senso di solidarietà presente in ogni individuo.
Purtroppo viviamo in un mondo dove la delinquenza è cosa di tutti i giorni, uno stato di cose
spesso presente anche dentro allo sport per questo servono giornalisti professionalmente
validi, preparati e non semplici urlatori che scaldano le platee ed attizzano nuovi fuochi di
odio; occorre dire basta a trasmissioni sportive che reggono il loro share sulle urla di chi è
presente. Servirebbero, invece, molti programmi come “Sfide”, trasmissioni che sviluppano i
veri valori dello sport mettendo a confronto campioni del passato e del presente: format utili
sia per ampliare il numero di telespettatori ma anche per cercare di coinvolgerne di nuovi
come quello femminile e dei disabili.
Più tecnica, meno gossip: servirebbero trasmissioni dedicate allo sport e rivolte alle
scuole di ogni ordine e grado ma sviluppate in sintonia con l‟età dei fruitori. Il grosso
problema però è il rapporto che esiste (o meglio non esiste) tra sport alternativi o per disabili e
i media; discipline discriminate perché, a differenza altre, si dice forniscano tanto uno scarso
spettacolo quanto poca audience; parliamo, per ciò che attiene la televisione, di palinsesti che
possiedono programmi che privano di potere mediatico queste discipline. Certamente i
giornalisti compiono il loro dovere ma forse sarebbe il caso che lo facessero in modo migliore
cercando meno il gossip (soprattutto in TV) e dirigendosi, invece, più verso il fatto tecnico
legato alla notizia sportiva. I grandi titoli sparati a lettere cubitali, purtroppo, sono tanto forti
che, in alcuni casi, possono indurre all‟odio e alla violenza.
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È doveroso, comunque, sottolineare che molto si sta facendo per limitare questi fenomeni
che sono più di danno che di utilità al mondo dello sport. Stanno infatti aumentando i servizi
(di inchiesta e cronaca) pubblicati su giornali non prettamente sportivi al fine di svelare gli
aspetti più reconditi di un campione (vere e proprie biografie che purtroppo, a volte, puntano
solo sul gossip). Le potenzialità esistenti tra i mezzi di comunicazione di massa (specie la TV)
e lo sport sono molto elevate tant‟è che il connubio, se usato in maniera proficua, può dare
ottimi risultati e questo grazie sia alla versatilità del linguaggio umano che all‟importanza
degli ideali e dei valori che dovrebbero sottendere lo sport in generale sostenuti, oggigiorno,
dall‟avvento di sistemi comunicativi novi quali il satellite e il web che possono aumentare,
vertiginosamente, le possibilità di comunicare un evento in ogni parte del globo. Il mondo,
sotto questo aspetto, viene ristretto ad una sola dimensione. Il legame TV/web - sport diviene
un rapporto di tipo simbiotico dove ognuno riceve qualcosa dall‟altro. La paura, tuttavia, è
che la nuova frontiera mediatica possa svuotare i luoghi deputati al consumo degli eventi
sportivi anche se molti studiosi ritengono che ciò non sia fattibile in breve tempo anzi, questa
unione, viene vista come una possibilità per aumentare i guadagni economici legati ai diritti
televisivi; tutto questo, oltretutto, diviene un‟importante vetrina utile a propagandare nuove
discipline sportive.
L‟inizio di questa felice matrimonio furono le Olimpiadi di Berlino del 1936 dove le gesta
di un fenomeno quale era Jesse Owen entrarono i molti luoghi della terra. Un avvenimento, a
parere di molti studiosi, che ha segnato l‟inizio della globalizzazione della comunicazione (in
particolare di quella sportiva). Davvero molti gli esempi di un certo modo di fare stampa che
si sono resi promotori di eventi sportivi; come quello della Gazzetta dello Sport che ha dato il
via al primo giro d‟Italia di ciclismo e che vede, ancora oggi, la maglia del vincitore (come
nella prima edizione) del colore del giornale milanese. Importante, ovviamente, il ruolo degli
sponsor. Questi, infatti, contribuiscono (a torto o ragione) a rendere un evento sportivo meno
figlio dei valori dilettantistici facendo, contemporaneamente, assurgere a protagonista il
fattore economico; un esempio abbastanza recente furono le Olimpiadi del 1996 che vennero
assegnate ad Atlanta (sede della Coca Cola) e non ad Atene (sarebbero state le olimpiadi del
centenario) perché l‟interesse economico venne prima dell‟aspetto più romantico e sognatore
che avrebbe legato Atene ad un passato storico lontano. Il rischio è che la logica mercantile
prevalga sugli ideali e sui valori dello sport2; anticamera, questa, di un concetto di attività
sportiva sempre più improntata sull‟agonismo esasperato e che vanifica ogni pensiero
2 Autori vari, Sport e mass media, Saggi tascabili Laterza, Bari 1990 pag. 24
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puramente idealistico; sono perciò necessarie delle solide basi che fungano da piedistallo al
rapporto tra media e sport; se da un lato la disciplina sportiva deve rimanere rispettosa dei
suoi principi dall‟altro l‟informazione deve fare attenzione a non stimolare nessun tipo di
agire che contravvenga l‟etica sportiva sia da parte degli atleti che del pubblico (evitare
dannose emulazioni). Porre miglior attenzione alla lettura degli avvenimenti sportivi senza
dare troppa enfasi alimentando rivalità che sfuggano al controllo mediatico. La televisione
deve perciò sottolineare gli aspetti aggregativi e sociali oltre all‟obbligo, mediante attente
analisi dei limiti sportivi di ognuno, di mettere in rilievo il valore dell‟impegno che ogni atleta
compie per raggiungere i propri risultati; pur sapendo che oggigiorno è certamente difficile se
non impossibile pensare ad un evento sportivo senza la presenza del mezzo televisivo; un
sistema che permette di annullare ogni distanza geografica per cui qualsiasi manifestazione
sportiva diviene tale solo se è ripresa dalle telecamere.
Gli indici di ascolto: il solo e possibile aspetto negativo è quello che lega ogni evento ad
un fattore economico: lo spazio televisivo dedicato, perciò, si evince, proporzionalmente, dal
numero dei supporter che lo seguono: si tratta della relazione tra evento e indice di ascolto che
relega sport poco noti e seguiti quasi sempre ai margini dell‟informazione. La televisione,
allora, deve divenire un elemento cardine e spiegare, per quanto possibile, i valori che stanno
dietro ad ogni risultato sportivo; parliamo dei sacrifici compiuti dagli atleti negli allenamenti,
la fatica nel giungere a certi traguardi e il sano agonismo che deve trasparire dal gesto atletico.
In quest‟ottica la TV deve lavorare sostanzialmente su due livelli:
1) deve essere mezzo d’informazione ma anche
2) strumento di formazione.
Nel primo caso ha il dovere di far conoscere sport molto spesso lasciati a margine o rivolti
a disabili al fine di aumentare la scelta per coloro che intendessero cimentarsi con gli stessi.
Nel secondo caso il ruolo è quello di mezzo atto a far crescere una cultura sportiva per far
divenire predominante un pensiero ed un atteggiamento diverso nei riguardi dello sport in
generale.
Un altro fattore di rilevante importanza è il rapporto esistente tra politica e media; è
fondamentale che lo Stato comprenda il ruolo svolto dalle leggi in fatto di regolamentazione
del sistema televisivo come é basilare che tanto il servizio pubblico quanto quello privato
definiscano, con norme chiare e certe, i ruoli e le funzioni del sistema informativo televisivo.
Questo è necessario soprattutto per evitare lunghe diatribe sui diritti televisivi che possono
degenerare in mercificazione sportiva. Un caso italiano eclatante è quello relativo ai diritti del
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campionato di Basket di A1 nelle mani di Sky; l‟assenza dalla RAI, in questo caso, ha avuto
risvolti negativi sia sul piano dell‟immagine che sul piano economico di coloro che decidono
di investire sul Basket portando l‟intero settore ad una crisi che sembra, al momento,
irreversibile; complici, in questo caso, anche le società sportive le quali, purtroppo, sono
sempre meno attente allo sviluppo dei settori giovanili. A tutto ciò è doveroso aggiungere
atleti super pagati e viziati che si trasformano sempre più in star della televisione; attori
protagonisti di questo enorme circo mediatico che li vede penosamente protagonisti. Forse
sarebbe il caso che i giornalisti stigmatizzassero di più questi atteggiamenti evidenziando
queste antipatiche storture per ridefinire i ruoli di ognuno dei partecipanti anche se è chiaro
che parte della colpa sia della televisione che ha sempre avuto (ed ha tuttora) il ruolo di cassa
di risonanza per un tipo di atteggiamento tipicamente divistico caratteristico di alcuni sportivi.
Il sudore e la fatica di discipline sportive minori o per disabili (poco mediatiche) ci mostrano,
invece, un diverso modo di considerare lo sport. Se pensiamo alle origini dello sport notiamo
che ciò che ora manca è l‟alone sacrale e magico, il rituale simbolico che gli antichi greci
manifestavano nelle olimpiadi antiche.
Le regole dello spettacolo: lo sport è diventato, perciò, un perfetto media event. Siamo
di fronte ad un gioco nuovo dove le regole (quelle dello spettacolo) dettano i tempi e i modi di
realizzazione dell‟avvenimento in sé stesso e dove lo spettatore diviene (suo malgrado)
complice di questa manifestazione. Unica cosa che rimane aleatoria e non si può
predeterminare (teoricamente, salvo l‟uso di sostanze vietate) è il risultato. Possiamo
affermare che se lo sport ha cambiato il modo di fare comunicazione (specie con la TV) anche
la comunicazione ha modificato il modo di fare sport. Non sono infatti rari i casi di
avvenimenti sportivi disputati in orari alquanto bizzarri al fine di trasmetterli in diretta in
determinati paesi; eventi posti dentro ad una fascia oraria tale da soddisfare la platea
televisiva solamente per interesse economico. Questo vuol dire, persino, interrompere grandi
eventi sportivi per trasmettere spot pubblicitari. Possiamo tranquillamente affermare che la Tv
ha variato il modo di fare sport adattandolo alle esigenze del mercato economico. È ovvio che
al binomio sport-televisione possiamo aggiungere il terzo incomodo: ovvero lo sponsor.
Nasce, allora, una continua e crescente ridefinizione del concetto di evento sportivo sempre
più legato ad interessi finanziari e sempre meno figlio del concetto decubertiano. Si parla di
sovraesposizione mediatica in quanto l‟interesse economico che sta dietro alla manifestazione
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è di enorme portata (es. mondiali di calcio, atletica, nuoto ecc..). si può dire che la TV ha reso
lo sport un affare3.
Possiamo parlare di mercificazione degli eventi sportivi per cui termini come diritti
televisivi diventano, dentro a questo logica, abbastanza frequenti e il loro crescente e continuo
aumento determina un‟impennata delle richieste da parte di coloro che sono i protagonisti di
questi eventi. Gli atleti non sono più semplicemente atleti, mutano; diventano animali
mediatici in cui molte volte la loro performance passa in secondo ordine rispetto ai giochi
miliardari che ruotano attorno alle multinazionali (sportive e non); queste, infatti, decidono di
investire il loro denaro non più nell‟atleta bensì nel personaggio che questi rappresenta. In
tutto questo un ruolo preciso viene svolto dai media, una funzione che si basa sia sull‟evento
sportivo ma molte volte anche su ciò che ruota attorno. Lo sport diventa sempre meno
un‟attività praticata con piacere e sempre più per piacere4. Si fa sport non per stare in forma
ma perché è uno status symbol e i mass media, in quest‟ottica sono i veri responsabili. È la
TV del fitness che pone quali testimoni i grandi campioni. È un modo di esprimersi che
inserisce lo sport dentro ad un linguaggio di tipo militare: lo sport come guerra dove la
competizione diviene un rito tribale. È una modalità di fare informazione contraddittoria; da
un lato si parla di lealtà, coraggio, valore sportivo mentre palesemente si mostra un modo di
agire che esalta il lato animalesco trasmettendo un io eroico5 che rende tutti (anche gli
spettatori) possibili gladiatori.
Il duello carta stampata – TV: parlando dell‟interazione sport - mass media occorre
porre una netta distinzione (soprattutto per la modalità di esplicazione mediatica) tra carta
stampata e televisione anche se, ai giorni nostri, sono comunque due diverse modalità di fare
giornalismo. Questo ha provocato, perciò, attriti o meglio una certa resistenza da parte dei
giornalisti della carta stampata nei confronti di chi fa giornalismo sportivo televisivo. Un
combattimento che parte impari in partenza in quanto vede i primi subire le risorse
tecnologiche che la televisione è in grado di mettere in campo; battaglie messe in atto dai
giornalisti televisivi per apparire meglio e di più con lo scopo di essere al centro del
riconoscimento sociale quale animali mediatici per eccellenza. Colui che invece si colloca
dentro un giornale diviene quasi un eroe mitologico; uno spettro ingessato dentro al suo ruolo
di eterno comprimario e che riesce ad andare avanti solo grazie alla propria forza. Egli ha
importanza solo perché altri hanno deciso che lui valga. Nascono polemiche su quale sia la
3 Autori vari, Sport e mass media, a cura di Andrea Borri - Saggi tascabili Laterza, Bari 1990 pag. 40
4 Autori vari, Sport e mass media, a cura di Andrea Borri - Saggi tascabili Laterza, Bari 1990 pag. 43
5 Autori vari, Sport e mass media, a cura di Andrea Borri - Saggi tascabili Laterza, Bari 1990 pag. 45
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migliore informazione e forse è proprio il giornalista del quotidiano che, almeno una volta,
vorrebbe poter dire in TV: “come ho scritto sul mio giornale…”6. Vedendo quanto accade
quotidianamente è difficile, da parte di chi scrive per un giornale, poter forgiare il pubblico
più concretamente di quanto già la televisione sia in grado di fare perché non è né una guida
spirituale e nemmeno un catalizzatore. Oggigiorno il ruolo della carta stampata ha un valore
secondario rispetto alla televisione perché quest‟ultima è l‟unica in grado di immergerci
completamente dentro alle notizie.
Sicuramente è la TV l‟attuale ultima frontiera; il mezzo che si ripropone quale fattore
accelerante nella vendita del proprio prodotto (come i diritti televisivi): l‟elemento trainante
nei confronti anche di altri mezzi di espressione mediatica. La poco utopica verità è che la
carta stampata rischia di divenire solo una mezzo per informarsi su quanto accade in TV, un
tramite per sapere quando, dove e come si realizzerà l‟evento che ognuno sta attendendo: un
mezzo che a volte è anche critico e ironico. Quasi certamente esistono imprese sportive che
nemmeno la televisione è in grado di raccontare ma questo non significa che la carta stampata
sia in grado di superarla perché le oggettive limitazioni di una e le potenzialità dell‟altra
rendono improbo tale scontro. Si tratta della netta e manifesta superiorità del mezzo televisivo
rispetto al giornale anche se la stampa potrebbe comunque diventare istigatrice d‟indagine, la
causa cercata e voluta del corto circuito giornalistico: fondamentale, perciò, il suo agire di
denuncia su quanto accade nella comunità affinché la televisione possa parlarne. Anche poche
righe scritte possono divenire dei macigni; suo compito è seguire gli accadimenti, capire quali
quelli che possono aver sbocco in TV e iniziare un approfondimento che venga ripreso anche
dalla televisione. Il giornalista della carta stampata diventa colui che sta sotto al fuoco, che
attizza le braci del sapere e osserva quanto il proprio lavoro possa essere sviluppato in
televisione.
Una lingua speciale: parlando di linguaggio sportivo lo si definisce come un modo di
esprimersi, alcune volte, bizzarro con termini mutuati da altri ambiti: una lingua speciale
come l‟ha definita nel lontano 1939 Giacomo Devoto. Un modo particolare di esprimersi
ricco di copiosi neologismi con un accentuato uso di metafore ed un tono molte volte colorito,
folkloristico: quasi un‟enfasi barocca della lingua. Un successo derivato dalla popolarità
dell‟argomento e dal suo concreto legame con la gente comune dato che si parla di tematiche
facenti parte degli individui (si tratta di avvenimenti legati allo sport); siamo, però, coscienti
6 Autori vari, Sport e mass media, a cura di Andrea Borri - Saggi tascabili Laterza, Bari 1990 pag. 117
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che questo modo di esprimersi sia poco aulico tanto che diventa necessario dividere ciò che
c‟è di buono da ciò che è spazzatura; nonostante questo termini come cannoniere, falciare,
andare in barca o mettere alle corde pur avendo, alcune volte, molteplici significati, in ambito
sportivo ne posseggono uno solo. È un modo di usare il linguaggio che si appropria di altri
linguaggi e li fa propri cercando però di fare attenzione evitando un modo di esprimersi che
inneggi alla violenza: un fatto assai deprecabile che va subito stigmatizzato.
Oggigiorno lo sport è sempre più un fatto sociale, un modus vivendi che rappresenta una
scelta di vita. L‟Italia, poi, è una nazione dove spopolano quotidiani, tv e radio. Le offerte
mediatiche che parlano di sport sono in continua ascesa divenendo sempre più variegate e
proponendo un ventaglio di informazione a 360°. Il risultato concreto è che le testate
giornalistiche che si occupano di sport sono permanentemente in crescita. Modi di fare
informazione che, negli ultimi decenni, si sono arricchiti anche di canali telematici: una via
ancora terza che promette, però, in un futuro non molto lontano, una offerta diversa, più
tematizzata e diretta a singole porzioni di mercato. Continue ricerche stanno a dimostrare il
crescente interesse che il web sta suscitando specialmente in una certa fascia d‟età che non
pone limiti alla propria ricerca di interessi. Questo ampio bagaglio di possibilità informative
perciò ha posto l‟accento su due aspetti che mettono in risalto l‟importanza dell‟informazione
anche in campo sportivo.
1) L’incremento dell’audience in fatto di eventi sportivi.
2) La continua modificazione dei canali ricettivi e del loro modo di attuarsi dentro ad ognuno
di noi.
Focalizzandoci, però, sul primo punto e riferendoci al caso italiano possiamo affermare che
sono le Olimpiadi di Roma il vero spartiacque di questo fenomeno. Da quel momento lo sport
cessa, in parte, di essere un evento fine a sé stesso, valido solo per gli atleti e gli addetti ai
lavori diventando, invece, un modo di interpretare la vita. È la TV che detta le regole
dell‟apparire ridefinendo mediaticamente il ruolo degli eventi sportivi. Gli atleti diventano,
loro malgrado, schiavi della propria immagine e il loro look diventa (esso stesso)
comunicativo al pari del gesto atletico. Le divise degli atleti, specialmente quelle da gara,
subiscono modificazioni per cui sportivi come Michael Jordan o Michael Johnson non
risultano più essere dei semplici atleti bensì testimonial di griffe sportive che portano il loro
nome.
L’uso della moviola: l‟evento, però, che scatena un vero e proprio terremoto mediatico è
stato l‟uso di una nuova tecnologia che si chiama moviola. Con questo nuovo mezzo il gesto
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atletico viene rallentato, accelerato, rivisto molte volte e analizzato nei suoi particolari: in
pratica vivisezionato. Un nuovo modo di concepire l‟informazione sportiva che diviene
spettacolo. L‟informazione inizia a porre la sua attenzione più a ciò che ruota attorno
all‟evento rispetto all‟evento in sé. S‟iniziano ad usare personaggi del mondo dello spettacolo
che fungono da catalizzatori nei confronti degli spettatori; i loro commenti (anche se qualche
volta banali) servono a dare fiato ad un‟informazione sempre più povera di contenuti. I due
canali (TV e Giornali) si dividono i compiti sul modo di fare comunicazione sportiva; la
prima punta sulla spettacolarità dell‟evento attraverso le immagini i secondi si focalizzano
sull‟aspetto dei risultati degli eventi. Un aspetto che però deve essere sottolineato, e che va a
vantaggio di chi fa informazione, è che il boom di queste notizie ha posto l‟accento
sull‟importanza che lo sport può avere sul benessere fisico di ognuno cercando, per quanto
possibile, di modificare gli stili di vita di molti individui spesso fortemente sedentari.
Il fatto negativo, almeno nel nostro paese, è stato il ritardo dello Stato nel mettere a
disposizione i mezzi necessari per raccogliere gli stimoli che l‟informazione stava fornendo e
i possibili fruitori sono rimasti soli davanti a problematiche come quelle legate alla scarsa
presenza di strutture adeguate per lo sport di massa. Da non trascurare, comunque, nemmeno
gli aspetti negativi connessi alla ricerca spasmodica del risultato che rischiano di relegare a
comprimarie tematiche che inquadrano lo sport quale veicolo di salute; il voler apparire
fisicamente prestanti elimina, perciò, il valore culturale del detto latino: mens sana in corpore
sano.
Tutto ciò naturalmente giunge in qualche modo ad inquinare anche lo sport
vissuto nella sua accezione amatoriale ed educativa7.
Sport e mass media sono da tempo inquadrati entro un cerchio di biunivoca collaborazione
nonostante agli inizi del „900 l‟attività sportiva fosse poco considerata. È con l‟avvento della
radio che gli eventi sportivi diventano, gradualmente, parte delle famiglie. Questo percorso
informativo è la prima tappa di un cammino che prima vede la nascita di magazine dedicati
allo sport in genere e poi alle singole discipline sportive. Il giornalismo sportivo diviene
quindi un evento mediatico con un elevato valore simbolico e socio culturale aumentando, in
modo costante, il proprio spazio dentro la società civile. È il frutto di una differente posizione
da parte di tutti gli addetti del settore i quali, resisi conto della continua richiesta di sapere
sportivo da parte della gente, hanno deciso di allargare i propri orizzonti ampliando le ricerche
7 Autori vari, Sport e mass media, a cura di Andrea Borri -Saggi tascabili Laterza, Bari 1990 pag. 130
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sia a sport meno noti che per disabili poiché hanno compreso come l‟attività sportiva fosse un
fenomeno sociale, un attività dell‟uomo con un alto valore civile e seguita, in modo
trasversale, da molte persone (non esiste, in questo caso, nessuna distinzione sociale). Si è
compreso quanto fosse importante il linguaggio usato; un modo di esprimersi molto speciale
ma che ha aiutato diverse persone a superare barriere sociali: prima tra tutti l‟analfabetismo.
Alcuni soggetti, tuttavia, hanno visto, in questo modo di fare informazione, segnali
inquietanti che la rendono una specie di mostro mediatico soprattutto a causa del suo modo di
porsi al pubblico (titoli cubitali spesso frutto di un lessico surreale) e che rischia di
condizionare i propri lettori al limite diseducandoli. Questo punto di vista, anche se
apparentemente valido, in realtà non risulta vero poiché di tale male si dovrebbe allora
incolpare tutto l‟apparato informativo; tuttavia esiste un punto in cui questo modo di fare
informazione è debole: un neo che lo rende parziale; parliamo del fatto di essere poco attento
a discipline definite minori o per disabili, termini usati in modo negativo ma che danno
l‟esatto atteggiamento quando si parla di attività sportive di massa che coinvolgono poco o
nulla i mezzi di informazione di massa. Sport lasciati all‟ombra del loro destino ma che pure
hanno il merito di generare campioni affermati a livello mondiale e che, se sufficientemente
pubblicizzati, potrebbero allargare la schiera degli appassionati.
In questo excursus, tuttavia, non abbiamo tenuto conto di un fattore fondamentale quale
l‟aspetto economico il quale è strettamente legato alle vendite e che quindi è corresponsabile
dell‟emarginazione sia degli sport minori che per disabili. Consci degli errori che si stanno
compiendo sarebbe perciò auspicabile un‟informazione a 360° per poter, da un lato tenere
legati a sé i lettori fedeli e dall‟altro acquistarne di nuovi. Quello che qui ha importanza è
l‟abilità di chi scrive di sport, la coscienza che ogni giornalista sportivo dovrebbe rispettare al
fine di educare i propri lettori al rispetto di sport che molte volte rimangono segregati dentro
ad un pericoloso anonimato ed è per questo che servono molti più giornalisti e molti meno
“giornalai”: soggetti cioè che restituiscano dignità a discipline sportive spesso trascurate.
Il coinvolgimento della stampa locale: occorre denunciare un sistema sbagliato di fare
informazione coinvolgendo, in misura crescente, la stampa locale. Dare maggior risalto e
visibilità a pratiche sportive a volte sconosciute con lo scopo di fare attività di promozione
sportiva soprattutto a livello giovanile. Gli sport minori e per disabili, infatti, hanno difficoltà
nell‟avere risalto a livello nazionale ma possono costituire, in questo ambito, un forte
catalizzatore sociale agendo proprio dentro alla comunità dove essi si sviluppano. Partendo da
questi presupposti capiamo la centralità dei media locali; si tratta di sopperire alle mancanze
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che l‟informazione nazionale non può gestire in quanto servirebbe uno sforzo notevole per
integrarsi nel tessuto comunitario indigeno nel quale andrebbe ad operare.
È necessario che la stampa del luogo fornisca il più ampio spazio possibile a sport
solitamente poco visibili. Occorre “marcare stretto” sia sport considerati “minori” che quelli
destinati ai “disabili” e che potrebbero forse avere rilevanza anche a livello nazionale; oltre,
ovviamente, a sport diffusi localmente ma che hanno diritto alla loro giusta collocazione
dentro al panorama informativo. Il merito (o demerito) di certa stampa è, secondo questo
punto di vista, riuscire a collocare queste discipline all‟interno di un vissuto sociale nel quale
le stesse operano. Bisognerebbe creare opportunità che aiutino i giovani a seguire (e scegliere)
il proprio sport poiché si tratta di trasmettere i valori giusti per cui vale la pena fare sport.
Queste analisi ci permettono, allora, di valutare l‟importanza sia del giornalismo sportivo
ma anche della qualità di alcune firme prestigiose quali Carosio, Martellini o Brera; un modo
di informare che ha preso sempre più spazio ritagliandosi un posto all‟interno della società e
diventando sia un fatto di costume che un modo di intendere l‟informazione sportiva che è
stato confermato (in misura crescente) dagli spazi che gli eventi sportivi hanno avuto anche in
quotidiani non sportivi. Sbagliato considerare l‟informazione sportiva come una perversione
perché, così facendo, si rischia di colpire solo questo settore. L‟unico torto è il trascurare sport
che hanno contribuito a fornire un grande prestigio a tutta la nazione; parliamo di atleti come
Zoeggeler che da oltre 10 anni domina le gare mondiali e olimpiche di slittino. Si parla di
atleti che molte volte mancano di strutture adeguate per allenarsi; soggetti che con i loro
sacrifici e la loro voglia di riuscire hanno compiuto e compiono tuttora imprese titaniche
nonostante i modesti investimenti che il CONI compie nel metter a loro disposizione impianti
adeguati.
La stampa, in questo caso, dovrebbe essere il motore propulsivo per dare maggior risalto a
discipline dimenticate che tornano all‟onore delle cronache (attraverso i propri successi)
durante le olimpiadi o i campionati mondiali ma che, quotidianamente, non ricevono
un‟adeguata attenzione mediatica. Questi sono i limiti e le colpe della stampa sportiva che
però vanno di pari passo alla scarsa attenzione dedicata. Alcuni addetti del settore, infatti,
sostengono che se l‟informazione sportiva desse maggior risalto a questi sport ciò non
pregiudicherebbe la popolarità tra i suoi lettori anzi si acquisterebbe un nuovo bacino
d‟utenza, un nuovo pubblico che ne aumenterebbe tanto il prestigio quanto la popolarità. Si
tratta di dare pari dignità ai differenti sport specialmente se i risultati conseguiti sono di
importanza internazionale. Pochi (o forse nessuno) sa quanti campioni l‟Italia ha sfornato nel
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pattinaggio a rotelle eppure tutti guardano le squadre calcistiche di club le quali, da diversi
anni, non vincono quasi nulla nelle competizioni europee. In questo nostro lavoro, però, non
bisogna tuttavia dimenticare l‟importanza che ha avuto la radio la quale, nel tempo, ha dovuto
adeguarsi al sistema che cambiava ma che ancora oggi conserva un certo fascino specialmente
per il mistero delle voci che raccontano gli eventi quasi fossero in un altro luogo e tempo
(celebre la frase di Carosio cari sportivi vicini e lontani) e nonostante sia stata la tv la vera
rivoluzione mediatica dello sport; prova ne sono gli indici di ascolto in crescita specie se
legati ad avvenimenti sportivi internazionali.
L’accordo Rai – Coni: parlando di sport e informazione è doveroso ricordare come il
1984 sia un anno davvero cruciale per il settore dell‟informazione perché è quello che vede la
nascita del primo accordo tra la RAI e il CONI per consentire una più equilibrata
progettazione all‟interno del palinsesto sportivo dell‟informazione pubblica; è la giusta
collaborazione che serve per fornire adeguata visibilità a discipline spesso lasciate in ombra
nonostante ci sia qualcuno che insorge, pur bonariamente, criticando lo scarso interesse che i
media concedono alla cultura sportiva. L‟accordo stipulato in quell‟anno infatti prevedeva,
all‟interno del palinsesto, alcuni spazi dedicati tanto ai ragazzi quanto agli insegnanti di
educazione fisica includendo, inoltre, trasmissioni rivolte ad attività sportive dilettantistiche
(specialmente terapeutiche). Questi progetti ed intenti, purtroppo, sono rimasti un miraggio:
suggerimenti lasciati nel dimenticatoio privilegiando, invece, scelte che hanno premiato
politiche aziendali che hanno favorito solo eventi che garantissero una grande audience
tralasciando (volutamente o no) eventi di massa (la trasmissione della maratona di New York
può, se gestita in maniera adeguata, trovare rispondenza anche nel pubblico che assiste da
casa). Queste riflessioni, allora, pongono dei seri quesiti sul futuro dello sport: in tv, sui
giornali, alla radio e perché no sul web; domande alla quali i giornalisti sono chiamati a
rispondere a causa della voglia di sport che ognuno possiede; una brama sportiva integrata da
una corretta, sana ed equilibrata informazione.
Un aspetto, però, di cui tenere conto è il mutato rapporto tra sport e organi di informazione
a causa, soprattutto, del crescente sviluppo di diversi fenomeni sportivi che hanno condotto
ogni evento sempre più verso il suo lato popolare e di spettacolo. L‟incremento delle richieste
da parte di diversi soggetti di fare pratica sportiva unito all‟aumento di interesse verso i più
disparati avvenimenti sportivi ha perciò provocato: da un lato un‟accentuazione del numero di
magazine sportivi e dall‟altro un maggiore numero di ore dedicate a questo fenomeno da parte
della televisione. Questo, purtroppo, ha inquadrato lo sport sia come attività da bar (sport
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chiacchierato) ma anche come argomento da salotto sostituendo, di fatto, lo sport praticato per
cercare di porre maggior attenzione su quanto accade prima e dopo ogni manifestazione
sportiva. Il vecchio giornale sportivo, che un tempo aveva l‟esclusivo compito di trasmettere
notizie riguardanti le manifestazioni sportive raccontandone la cronistoria, ora è divenuto un
fatto di cronaca rosa: gossip. Il pubblico, ora, inizia ad avere esigenze diverse e lo sport
assomiglia sempre più ad un accadimento mondano, un fatto sociale e culturale per cui
diventa importante poter (e dover) accontentare un target di lettori sempre più eterogeneo.
Questo modo di concepire l‟informazione ha creato dei fenomeni legati alla pratica
sportiva (mode legate a specifici sport) oltre a contribuire a differenziare il modo di porre le
notizie sportive: titoli sempre più grossi, linguaggio aggressivo e un racconto quasi esasperato
di quanto accade dietro le quinte. In questo mutare dei tempi si è inoltre accentuato l‟interesse
verso discipline sportive rivolte al mondo femminile e questo grazie soprattutto ai numerosi
ed eccellenti risultati ottenuti dalle atlete italiane: sportive come la Pennetta nel tennis o la
Pellegrini e la Filippi nel nuoto queste ultime, durante i recenti mondiali, hanno tenuto
davvero alto il colore azzurro divenendo, esse stesse, delle icone dello sport italiano in
generale. Non mancano, tuttavia, autentici fenomeni sportivi (tutti al femminile); stiamo
parlando di un‟atleta qual‟è Valentina Vezzali che, da circa dieci anni, è la sola ed autentica
icona della scherma internazionale.
L’avvento degli opinionisti: tutto questo si deve, in gran parte, all‟immagine che lo
sport ha assunto tramite la televisione; un mezzo così rivoluzionario che ha creato un eco
mediatico di proporzioni intercontinentali specialmente quando si tratta di grossi avvenimenti
come i mondiali di calcio o ancor più le Olimpiadi. Nascono nuove figure professionali quali
gli opinionisti (soggetti non sempre legati a filo diretto con lo sport che però di questo
discutono). Gli studi televisivi si infittiscono di dibattiti che parlano (e spesso straparlano)
cercando di scavare nei retroscena degli atleti arrivando, molte volte, a parlare di cose che con
lo sport nulla c‟entrano. Il quotidiano ormai è diventato l‟alter ego dell‟uomo della strada; uno
spazio aperto di discussione non più confinato nel bar ma discusso in altri luoghi (anche
istituzionali) non certamente adibiti a tale funzione. Si tratta di un modo nuovo di fare
giornalismo che può arrivare, secondo alcuni esperti, a fomentare un certo tipo di violenza sia
verbale che fisica producendo bassa cultura non solo nello sport ma anche nell‟agire
quotidiano della vita. Altri studiosi, invece, vogliono porre il linguaggio sportivo su un piano
diverso e più alto rispetto a quello dei quotidiani dì informazione classici. Poche persone,
infatti, riescono a cogliere appieno il significato di un articolo o di un dibattito televisivo che
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abbia natura politica o culturale mentre sono molti di più quelli che intendono quanto è
riportato in un articolo sportivo; forse l‟unico aspetto negativo nasce dal riscontro oggettivo
che nel nostro paese si legge poco come altrettanto poco ci si interessa di fatti quotidiani
legati all‟attualità.
Il modo di porsi dello sport e il suo linguaggio immediato intriso di vocaboli ed espressioni
mutuate da altri campi dell‟agire umano lo rendono davvero unico; un modo di vivere gli
eventi con passione che genera sia emozioni ma anche sentimenti che possono però dare il via
ad episodi degenerativi come la violenza dei tifosi. L‟istantaneità della notizia, inoltre, facilità
il modo in cui questa viene letta, analizzata e compresa: si tratta della caratteristica tipica del
linguaggio usato che rende sempre e comunque unico il fatto sportivo in sé stesso. Molto
importante, sotto questo punto di vista, tanto l‟aspettativa che si crea quanto la convinzione
che un risultato ci sarà; quasi che dietro a tutto questo ci fosse il più abile regista di gialli.
Importante, poi, il modo in cui si guarda alla notizia, la sua accessibilità che pone ogni evento,
lontano geograficamente, immediatamente godibile a molti. Si crea una sorta di linguaggio
planetario che accomuna tutti i fruitori di sport.
In Italia lo sport e l‟informazione sportiva vivono un momento particolare. Il calcio,
motore dell‟informazione sportiva, infatti, fagocita molto dello spazio che i mass media
riservano alle notizie sportive sebbene questi cerchino di equilibrare la propria offerta
dedicando maggior spazio ad attività sportive pur in relazione ad esigenze di natura
economica e nonostante altri sport quali basket, Formula 1, tennis o sci inizio a ritagliarsi
considerevoli fette di attenzione mediatica. Interessi di natura, quasi sempre, televisiva che
relegano tanti sport ai margini dell‟informazione; è l‟Auditel che detta (spietatamente) le sue
regole e impone agli spettatori gli sport che possono avere un maggior spazio televisivo.
Ultimamente il fare informazione sportiva significa aprire il proprio sguardo e andare oltre la
personale visione che tende a limitare quelli che hanno il diritto di comparire in tv (sui
giornali o alla radio); si è iniziato a parlare sia di etica sportiva che di moralizzazione in
campo sportivo puntando ad un concetto di sport come fenomeno aggregante ricco di valori
sociali e culturali. Lo scopo è quello di ridare credibilità ad un mondo spesso al centro di
scandali di diversa natura come quelli legati al doping di stato della ex DDR o quelli scoppiati
in seguito alle inchieste sul calcio scommesse. Lo sport è un fenomeno di massa che non deve
essere trascurato perché, sin dall‟inizio del „900, ha caratterizzato una parte della vita degli
esseri umani come fecero i Giochi Olimpici del 1896 quelli che diedero il via ad una nuova
era e che posero, all‟attenzione di tutti, un modo differente di vivere la vita. Gli aspetti
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fondamentali di questa notorietà furono essenzialmente due: 1) il suo alto grado di
spettacolarità che coinvolgeva atleti e pubblico e che sono stati messi in risalto dalla
presenza dei mass media che ne hanno incrementato la popolarità e 2) l’alto numero di
individui che, stimolati dai mezzi di informazione, hanno aderito al progetto universale di
cimentarsi nello sport dando sfogo ai propri istinti umani sul voler competere con gli altri e
con sé stessi.
Gli sportivi agonisti da un lato e la massa dei dilettanti dall‟altro hanno contribuito a
generare il mito dello sport oltre a accentuarne la sua fortuna. I mass media, invece, con il
loro ruolo, ne hanno amplificato la portata. Il valore agonistico, di certo, non deve essere
l‟aspetto che conta di più; se così fosse verrebbe meno l‟accento sociale che lo sport deve
propagandare e, di conseguenza, si creerebbero masse di spettatori passivi, privi di interesse i
quali non si cimenterebbero più negli sport solo per puro spirito di sano agonismo perdendo,
in questo modo, l‟occasione per rinvigorire, secondo l‟antico spirito decubertiano, quei valori
sociali tipici di una nazione civile.
1.2 SPORTWEEK: un modo diverso di fare di stampa sportiva.
Numerosi esempi ci parlano della simbiosi che esiste tra i media e lo sport. Esistono,
tuttavia, modelli editoriali che rappresentano un modo nuovo e diverso di concepire
l‟informazione sportiva come i magazine: obiettivi giornalistici che talvolta hanno dato vita a
veri e propri cult dell‟informazione. Un esempio, in questo senso, e che riguarda la stampa
italiana, è rappresentato da Sportweek, il supplemento del sabato della Gazzetta dello Sport.
Questo, nel suo genere, costituisce un fenomeno molto importante sia per gli addetti ai lavori
che per i lettori. La sua scelta stilistica e la sua particolare impronta sono visibili sin dalla
copertina dove, ciò che appare, sono il primo piano di uno sportivo ed un titolo (quello
principale). L‟atleta di turno diviene icona del settimanale dando ogni volta un impronta
diversa e perciò nuova al magazine. In questo caso la stampa ha compiuto un‟attenta
valutazione commerciale isolando il campione dal suo sport di riferimento (anche se
fotografato con i suoi indumenti da gara) rendendolo un‟icona al fine di porlo all‟attenzione
del pubblico più come una persona. Si tratta di una scelta precisa per smitizzare l‟atleta e farlo
avvicinare alla gente comune; anche il linguaggio, pur ricco di termini tecnici, tende a
divenire meno formale per inquadrarsi dentro ad un‟ottica più popolare ma nello stesso tempo
elegante (una ricerca effettuata dell‟Audipress ha stabilito che su 1.6000.000 lettori verificati
della Gazzetta almeno il 70% risultano essere esclusivi del suo magazine perciò non tanto
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acquirenti del quotidiano quanto estimatori del suo supplemento8). Un modo nuovo di fare
informazione sportiva che ha raccolto consensi da parte degli sponsor i quali hanno
apprezzato tanto la nuova veste grafica quanto la singolare impronta fornita da chi ha pensato
questo nuovo magazine. La pubblicazione, perciò, si è attestata su un target di lettori medio
alto sconvolgendo, in questo suo progetto, la visione statica e tradizionalista delle
pubblicazioni sportive. Molti, ed è facile verificarlo, sono gli advertising che non fanno parte
del mondo dello sport, ditte e aziende che hanno capito l‟importanza ed il taglio fornito dalla
rivista alle notizie. Il supplemento, in quest‟ottica, ha preso a prestito alcune caratteristiche
delle riviste femminili investendo in un progetto che credesse in un pubblico maggiormente
eterogeneo di quello a cui ci si rivolge normalmente quando si parla di sport. I testimonial
scelti sono stati distribuiti in modo quasi equivalente nonostante la presenza di calciatori in
copertina sia sempre stata non inferiore al 40% della totalità per evitare, da un lato di essere
un replica di altre testate solo di stampo calcistico e, dall‟altro, per sfuggire l‟emarginazione
dei cosiddetti sport minori che non sempre trovano spazio adeguato dentro a format quasi
esclusivamente calcistico. Per quanto riguarda i professionisti del pallone si è cercato di
fornire, sin dall‟inizio, un‟immagine lontana dagli stereotipi fino ad allora eccessivamente
abusati (stile figurine Panini) presentandoli in forma imparziale onde evitare le diatribe
originate dalla fede calcistica per una squadra. Anche la scelta di quali giocatori ha
evidenziato un criterio alquanto oggettivo premiando grossi club nazionali come Juventus,
Inter o Roma, squadre internazionali come Real Madrid, Barcellona o Manchester United ma
senza disdegnare incursioni in piccole realtà calcistiche nazionali come Chievo, Atalanta o
Parma. In questo particolare progetto la redazione ha sempre trovato ampia collaborazione da
parte sia dei club che dei procuratori dei calciatori i quali hanno compreso quale fosse
l‟importanza mediatica che veniva promossa dalla rivista.
Fuori dall’ombra: diversa, invece, la copertura informativa per i campioni di altri
discipline sportive (eccezion fatta per il motociclismo o la Formula1); in questo caso si è
instaurata, quasi immediatamente, una simpatia da parte di coloro che leggono le pagine di
Sportweek perché il personaggio sportivo in questione ha sempre posto in essere una natura,
la propria, che non era quella del calciatore. Il vivere all‟ombra di sport blasonati come il
calcio o il Basket colloca sotto una luce diversa coloro che praticano sport definiti alternativi.
In quest‟ottica il magazine della Gazzetta ha sicuramente colto nel segno; la sua politica di
dare visibilità sia a discipline sportive quasi sconosciute che ai loro protagonisti ha
8 Ricci Barbara e Ugliano Mimmo, “Campione farò di te un star”, Franco Angeli editore Milano, 2004, pag. 70
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determinato il successo di questa rivista. Gli stessi press agent9 degli atleti sono stati coloro
che hanno spinto, sin dall‟inizio, affinché il loro assistito ottenesse delle copertine; manager
che hanno dato la loro massima collaborazione per realizzare i servizi di cui l‟atleta sarebbe
stato il protagonista. In questo percorso, tuttavia, non dobbiamo però dimenticare le aziende
sponsor degli atleti le quali, sempre di più, hanno puntato alla valorizzazione mediatica del
loro testimonial. La scelta, poi, di quali atleti intervistare è ricaduta, purtroppo,quasi sempre,
su quelli affermati; volti noti grazie alle imprese che compiono ma che in questo gioco
mediatico sono individuati dalla massa del pubblico più come soggetti da spettacolo che non
per le loro performance sportive. Considerate perciò le tipologie di campioni che Sportweek
ha usato per le proprie copertine si è compreso che la maggior parte degli atleti intervistati
pratica sport che possiedono un alto impatto mediatico.
Il valore aggiunto che perciò un magazine come quello
della Gazzetta (nella foto a fianco la copertina dedicata alle
atlete donne con la foto della Pellegrini) possiede è
certamente frutto di anni di lavoro nei quali la redazione ha
contribuito e non poco a determinarne il successo. Il lettore,
perciò, qualora si trovasse nella condizione di non essere in
grado di riconoscere lo sportivo in copertina, sarebbe lui a
sentirsi a disagio causa la propria ignoranza in materia di
personaggi sportivi tanto che delegherebbe allo stesso
magazine, nello specifico, il compito di indottrinarlo.
9 Ricci Barbara e Ugliano Mimmo, “Campione farò di te un star”, Franco Angeli editore Milano, 2004, pag. 71:
pag. 22
Capitolo 2
GLI SPORT ALTERNATIVI
2.1 KATANGO.IT: una scelta editoriale sul web.
Lo sport, come tutti sanno, è un insieme di discipline di natura motoria tanto ampio quanto
variopinto ed è perciò naturale che esistano attività sportive (a livello agonistico e
competitivo) presenti nel tessuto sociale da diversi secoli e che, nel corso del tempo, si sono
modificate subendo dei perfezionamenti nel campo della tecnica, dei codici e negli acquisiti
riconoscimenti da parte della società civile tanto che la loro evoluzione è diventata ordinaria
al punto tale che è divenuta, in questo modo, attività motoria.
Altri sport, invece, si sono formati o sono stati creati dalle costole degli sport principali
oppure sono state delle evoluzioni derivanti dalle stesse tecniche sportive che, combinate tra
loro, hanno dato luogo, a loro volta, a discipline diverse (basti pensare allo Snowkite ad
esempio, nato da una costola dello snowboard e da una del kitesurf). Molti degli sport nuovi
infatti, vengono definiti alternativi soprattutto perché di nicchia dato che spesso nascono
contemporaneamente all‟introduzione di strumenti/attrezzi sportivi nuovi o sperimentali quali
nuove tavole o vele specifiche. Per cercare quindi di darne una definizione è necessario
iniziare esattamente dal presupposto che pone questi sport sotto una luce diversa; molte di
queste discipline nuove o neo-nate che si sono diffuse e praticate tra una cerchia ristretta di
persone si possono certamente definire alternative: tutto questo però non è sufficiente. La
categoria degli sport alternativi, infatti, trova un ampio riferimento anche in determinate
discipline estreme o poco praticate a causa soprattutto di fattori preponderanti quali:
pericolosità, rischio, fattibilità e filosofia di vita. Gli sport che infatti differiscono dalle
discipline agonistiche d‟ampio raggio ovvero quelle che vengono inserite di consuetudine
all‟interno dei circuiti olimpici e simili, possono essere dette alternative.
Un altro fattore che però non deve essere tralasciato nel definire uno sport come
“alternativo” è il contributo che allo stesso viene concesso dai media; infatti gli sport che
godono di poca popolarità, che non sono quindi di massa, sono tali in quanto solitamente
connessi da vicino a mode e filosofie ben riconoscibili tanto da essere definiti (appunto)
anch‟essi alternativi. Molto spesso per i costi, la praticabilità o il rischio questi vengono
praticati da un numero ristretto di persone se non addirittura a livello individuale e perciò non
si possono inquadrare all‟interno delle cosiddette discipline di squadra o team.
Per tutti questi fattori i media non sono incentivati ad investire molto del loro spazio
mediatico su questo tipo di attività sportive eccetto quando il rientro e la diffusione siano tali
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da allargare la propria influenza anche in ambiti diversi come il fine commerciale o la moda
(trend) del momento. Negli ultimi anni i media hanno trattato di sport come lo skate, lo
snowboard o il Parkour, prescindendo spesso dal concetto sportivo in sé e soffermandosi,
spesso, solo sul messaggio sociale o modaiolo che scaturisce da queste discipline (parlare di
skateboarder o di skater acrobati fa fico!). Riassumendo: il termine alternativo viene
automaticamente affibbiato alle discipline che differiscono dalla “norma”, ovvero quelle note
e radicate (vedi il Calcio, il Basket, la Pallavolo o quant‟altro).
Quindi rientrano nel concetto di sport alternativo quelli che:
1. Ricevono poca attenzione dai mass media quanto poche informazioni (tv, radio, giornali,
web);
2. Le attività quasi sempre individuali;
3. Le attività di nicchia;
4. Le discipline nuove e poco praticabili se non addirittura sperimentali;
5. Abbisognano di materiali ed attrezzature costose e spesso poco reperibili o che
necessitano di luoghi difficili dove poter essere praticati (es. surf solo in paesi con onde
alte);
6. Considerati di per sé stessi pericolosi, estremi o di difficile praticabilità;
7. E siano infine sicuramente poco commerciali e di conseguenza non vendibili alle masse.
Continuando quanto detto sopra si può aggiungere che i mass media, perché rivolti alle
masse, tendono a privilegiare le tipologie sportive più radicate nel sociale. Quindi calcio in
primis e a seguire gli sport di squadra e gli olimpici. I media, certamente, vengono influenzati
moltissimo dalle mode del momento, razzolando in tutta la quotidianità a cominciare dal
sociale per giungere alla moda, al mondo della musica ed infine al web.
È infatti di questi ultimi anni il grande salto di qualità compiuto da alcuni sport alternativi;
basti pensare a discipline come il Parkour o addirittura il Freerunning (quest‟ultimo balzato
recentemente all‟attenzione dei media e che si è notevolmente diffuso subito dopo alcuni
videoclip di Madonna in cui c‟erano atleti lo praticavano). Da qui il cammino verso la
notorietà è molto breve tant‟è vero che grossi marchi come Nike e Puma hanno dato rilievo a
tali discipline nelle loro campagne pubblicitarie accaparrandosi quella parte degli alternativi
che erano legati, sino ad allora, solo a fiere o a piccoli marchi.
Per quanto concerne il discorso cartaceo è doveroso dire che sono davvero molti
coloro che, sin dai primi anni ‟70, hanno indirizzato i propri interessi verso pratiche sportive
alternative: skateboard, Kitesurf, vela ecc. anche se ciò è accaduto soprattutto all‟estero. Il
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discorso sui media Italiani merita, invece, un discorso a parte in quanto legato alle scelte
culturali di un paese dove il calcio è il padrone assoluto delle notizie sportive e dove
(ovviamente) gli altri sport (alternativi o per disabili) stentano ad istituzionalizzarsi o a farsi
ben apprezzare. Infatti alcuni gruppi editoriali come Katango, utilizzato dal sottoscritto per
comprendere questo mondo sportivo alternativo, hanno cercato e voluto scommettere su
soggetti (quasi tutti appassionati) che non trovavano voce presso i media nazionali e dovevano
fare sempre riferimento a riviste specifiche o a siti web stranieri essendo consci che alla base
del successo di tali attività stava sempre la vendibilità di queste stesse discipline.
Più uno sport è vendibile economicamente e più avrà risonanza mediatica. Sport di nicchia
o troppo costosi avranno, di conseguenza, sempre un pubblico minore ma non per questo poco
numeroso. L‟interesse che però ruota attorno a questo nuovo modo di pensare fuori dal coro
esiste e, negli anni, lo si è notato soprattutto nella crescita di alcuni marchi specializzati quali
ad esempio Roxy e Vans; questi hanno deciso, infatti, di investire e legarsi ad individui che
sono soprattutto degli ottimi professionisti nel campo degli sport alternativi facendoli
diventare, sotto questo punto di vista, delle vere e proprie icone (es. il celebre motociclista
americano Travis Pastrana).
I nuovi canali mediatici: La tappa seguente, certamente di rilevante importanza, è il
diffondersi di queste discipline sui nuovi canali mediatici quali il web con la consapevolezza
che occorra ricercare quelli giusti e con i riferimenti più adeguati. Il dare voce a queste
discipline significa soprattutto porre una particolare attenzione che metta in risalto l‟impegno,
la dedizione e la bravura di alcuni sportivi che risultano davvero speciali proprio perché
decidono di praticare sport particolari,estremi ed alternativi.
Questo tipo di scelta giornalistica risiede non solo nella sfida di confrontarsi su un terreno
poco esplorato ma anche nella voglia di diventare un canale di scambio per i praticanti e per
gli amanti di questi gruppi editoriali. È grazie a riviste come Katango che questa nuova
filosofia ha potuto prendere piede. Si tratta, essenzialmente, di non frazionare in modo
ulteriore la cerchia degli sport alternativi e di coloro che a questi si interessano bensì di
riunirli in un unico contesto con lo scopo di ingrandire il valore di queste discipline poco
pubblicizzate. La scelta di non dividersi in riviste specializzate e isolate ma di creare
magazine che curino realtà più ampie, online e gratuite per favorire la diffusione e la crescita
di interesse è stata certamente la base del successo di questi magazine. I motivi per i quali non
esistono molte realtà mediatiche che si occupano di questo tipo di sport, specialmente in
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Italia, è perché gli investitori tendono a privilegiare sport che potremmo definire,
parafrasando un celebre film del passato: “I soliti noti”.
Questo atteggiamento risulta perciò lesivo nei confronti di tutte quelle persone (i praticanti
questi tipi di sport) che cercano e vogliono informarsi, leggere e conoscere dell‟altro.
Community on-line come quella di Katango sono luoghi dove trovare tutte le informazioni
necessarie per restare in contatto con un mondo sportivo alternativo; spazi informatici dove è
possibile leggere interviste di campioni o apprendere di eventi direttamente dal web in modo
gratuito: un modo nuovo e diverso di concepire il concetto di sport che stimola ed entusiasma
i diversi utenti che ne sono appassionati.
L‟interesse c‟è ed è certamente crescente; per questo si può ben dire che saranno solo gli
investitori intelligenti e il dilagare dell‟informazione sul web a decretarne ulteriormente la
fama contribuendo ad aumentare il successo di tali realtà.
2.2 POINT BREAK: un magazine per gli operatori del settore.
Tra le diverse e nuove idee informative sbocciate nel settore degli sport alternativi una è
rappresentata dalla nascita di una nuova rivista: Pointbreak Magazine. Un nuovo periodico a
tiratura mensile uscito ufficialmente nel mese di ottobre del 2009 che prevede 11 numeri
l‟anno. Si tratta di una rivista che si occupa di boardsport10
dedicata, in via esclusiva, a
operatori del settore quali aziende, distributori, importatori, negozi specializzati e non, scuole,
club e associazioni.
Questo nuovo magazine viene distribuito in forma postale gratuita
e il suo intento è fornire degli spunti di riflessione, analisi, valutazioni,
competenza e discussione in questo mercato in movimento e in
continua evoluzione pur cercando sempre di privilegiare la trasparenza
dei contenuti: una rivista che include anche rubriche che rendono il
giornale un utile strumento di lavoro per gli operatori del settore
boardsport.
La meta che questo magazine si è imposto e che vuole raggiungere è quella di diventare il
miglior strumento e quindi quello privilegiato per conoscere i prodotti, i dati e le statistiche
del mercato ma anche, per quanto possibile, cercare di anticipare le tendenze. La sua veste
editoriale vuole offrire al lettore la possibilità di approfondire tanto le dinamiche legate alla
propria attività di business quanto l‟aggiornamento relativo alle offerte che possono diventare
10
Sport dove la tavola è l‟attrezzo principale con il quale dare sfogo alla propria creatività con acrobazie, salti e
percorsi.
pag. 26
oggetti da rendere commerciali. La grafica, sostanziale e fruibile da tutti, ne accompagna
perciò facilmente la lettura. Non manca, però, una particolare attenzione agli inserzionisti
pubblicitari ai quali sono riservati formati e spazi totalmente adattabili e innovativi. Tutto ciò
è reso possibile grazie al formato utilizzato (tabloid A3) che tende a potenziare l‟informazione
anche mixandola in modo organico proprio con la comunicazione pubblicitaria. Pointbreak
Magazine vuole essere, perciò, un giornale che vive il mercato italiano per dare voce a tutti
coloro che ne sono protagonisti senza però rinunciare a fare informazione in modo tagliente,
vicino e diretto; si tratta di indagini, approfondimenti, interviste, analisi e ragionamenti che
sono di notevole interesse per gli operatori delle rivendite, della distribuzione e dell‟industria.
Questo nuovo magazine si è impegnato a fare informazione vera perché ha coinvolto tutti gli
interpreti della catena del valore del mercato italiano.
2.3 URBAN SPORT: Parkour, Freerunning e Art du Deplacement.
Il Parkour è una disciplina praticata nelle città il cui obiettivo principale è quello di
raggiungere la padronanza del corpo e della mente per superare gli ostacoli che ci circondano
tracciando un percorso che vada da un punto A ad un punto B nella maniera più fluida
possibile. Molto spesso, all‟interno dei percorsi, vengono inseriti elementi di Freerunning,
ovvero viene inserita una variante che risulta essere più creativa che efficiente. A riguardo,
però, bisogna dire che ci sono correnti di pensiero molto differenti tra loro alcune delle quali
molto più puriste e che tendono a differenziare in maniera molto più netta le due discipline.
L‟importante è comprendere che il Parkour non è una gara a chi fa il salto più alto o più bello
bensì un percorso senza alcuna forma di competizione fra i praticanti.
In questo tipo di disciplina la competizione è essenzialmente con sé stesso in quanto il fine
ultimo è quello di innalzare il proprio limite dopo aver preso coscienza delle personali
possibilità. I praticanti, chiamati traceurs, ovvero “creatori di percorsi” aspirano a superare in
modo creativo, fluido, atletico ed esteticamente valido le barriere naturali o artificiali che si
trovano sulla loro strada e per riuscirci utilizzano corse, salti, volteggi, cadute e arrampicate.
Il Parkour, tuttavia, non è solamente un puro esercizio fisico perché il confronto con gli
ostacoli materiali spinge il traceur alla scoperta dei suoi limiti e quindi del suo essere
all‟interno dell‟ambiente che lo circonda perché, affrontando la paura, spesso ci si accorge che
le nostre potenzialità vanno oltre i confini che diamo per scontati. Per questo il Parkour è sia
uno sport che una filosofia di vita quotidiana. Il padre riconosciuto di questa disciplina è il
francese David Belle che già alla fine degli anni „80 iniziò a praticarla in un ambiente urbano
pag. 27
quale era Lisse (un sobborgo di Parigi) usando, in questo suo sport, le tecniche apprese
giocando da bambino nei boschi della campagna francese.
Associato al Parkour (vedi foto a lato),
come abbiamo detto, c‟è anche il
Freerunning, una disciplina sportiva che
basa le proprie origini e i propri movimenti
sul Parkour; il concetto chiave di questo
urban sport, però, sta nella capacità e
nell‟arte di sapersi spostare in ambienti
urbani e rurali, in modo da creare
spettacolo, valorizzando, perciò, la bellezza
dei movimenti.
Questo diverso approccio è sicuramente la principale differenza con il Parkour, dove ogni
movimento, invece, deve tendere alla massima efficienza. Nel Freerunning, poiché ciò che
conta è l‟estetica e non la potenza, il fattore rilevante diviene quello di unire i movimenti
propri del Parkour con gesti atletici che non sono né efficienti (ma spettacolari) e che
vengono, a loro volta, estrapolati da altre discipline soprattutto dalla ginnastica acrobatica.
Non è quindi insolito vedere praticanti effettuare salti mortali o altre acrobazie di vario
genere. A questi due possiamo aggiungere L’art Du Deplacement (A.D.D.), un arte di vita
secondo Yann Hnautra, Chau Belle Dinh, Williams Belle e Laurent Piemontesi ovvero i
fondatori del gruppo Yamakasi. Vent‟anni fa gli Yamakasi iniziarono a sviluppare una pratica
underground che oggi è divenuta una disciplina riconosciuta e praticata a livello
internazionale. L‟Art Du Deplacement (da questo momento A.D.D.) è una disciplina artistica
e sportiva completa il cui obiettivo è superare ostacoli camminando, correndo lungo un
percorso predefinito o non ma sempre utilizzando le tre forme di motricità fondamentale
(c.a.s), ovvero:
Correre
Arrampicare
Saltare
In questa disciplina risulta perciò basilare non solo un intenso lavoro sulla motricità ma
anche una ricerca puramente tecnica indirizzata a sviluppare il potenziale creativo di ogni
individuo. L‟apprendimento, ludico e rigoroso, avviene sia attraverso le tre forme di motricità
sia attraverso la ricerca tecnica che si sviluppa mediante tre tappe:
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Familiarizzazione
Assimilazione
Restituzione
Il praticante, seguendo un preciso percorso, evolve principalmente in un ambiente urbano
adattandosi alla sua architettura. Questa disciplina, tuttavia, non esclude la creazione “ad hoc”
di ambienti favorevoli alla propria espressione artistica e all‟inquadramento pedagogico di
chiunque voglia praticarla. L‟A.D.D. è una disciplina artistica e sportiva che si appella, in
maniera determinante, alla forza mentale il cui fulcro sta in valori sani ed ancestrali come:
RISPETTO Di sé stessi, degli altri, dell’ambiente ecc.;
FORZA Intesa come fiducia e stima di sé stessi;
CORAGGIO Inteso come possibilità di poter imparare a superare ostacoli fisici o mentali.
Una bella metafora per la vita quotidiana che potremmo riassumere dentro ai principi
dell‟insegnamento ADD che sono:
Priorità del formatore è di preservare l’integrità fisica del praticante.
Permettere al praticante di sviluppare al massimo le proprie capacità.
Guidare il praticante nella ricerca continua del miglioramento personale, non attraverso
la competizione con gli altri, ma mediante una “battaglia” con sé stessi.
Insegnare a “vincere e perdere” comprendendone i motivi.
Aiutare a raggiungere benessere fisico e serenità.
L‟A.D.D., infatti, sviluppa determinazione, tenacia, perseveranza ecc e può essere praticata
da persone con un‟età che oscilla tra i 5 ed 77 anni. Gli obiettivi dei praticanti di questa
disciplina sono differenti tanto che si possono suddividere usando quale discriminate l‟età
anagrafica degli stessi soggetti ripartendoli in tre fasce:
Piccoli (5-14 anni): scoperta del corpo e dei suoi movimenti.
Giovani (14-26 anni): sviluppo potenziali fisici e apprendimento attitudine sportiva
dell’A.D.D.
Adulti ed anziani (26-77): alto mantenimento del corpo e dello spirito.
In ogni caso, a prescindere dall‟età, il praticante può scegliere di avvicinarsi a questa
disciplina ricercando delle personali performance oppure solamente per spirito di Loisir (puro
divertimento). I diktat che gli Yamakasi hanno messo in pratica sono stati usati anche in
pag. 29
attività di coaching per Le Cirque du Soleil11
, formando diversi atleti che ora lavorano
stabilmente per la più grande industria artistica del mondo. Oggi, gli stessi, continuano
quest‟attività insegnando la disciplina tanto in ambienti di formazione artistica, presso
accademie sportive. (Parigi, Copenaghen, Londra, Las Vegas,) e anche in ambiti associativi.
La mission dell’editoria alternativa: occorre sottolineare che la mission di chi fa
editoria sportiva occupandosi di sport alternativi è creare dei magazine che possano parlare in
modo trasversale di un insieme di sport che godono di minore popolarità mediatica. I libri,
purtroppo, sono davvero esigui (almeno in Italia) perciò, in questo ambito, sono più numerose
le biografie di personaggi che praticano, con notevole successo, queste discipline. Per ciò che
riguarda la riviste che si occupano di questi sport le prime sono comparse a partire dagli anni
‟70 (es. riviste o siti di skateboarder di derivazione statunitense come www.issuu.com )
Due aspetti importanti che vanno poi sottolineati (oltre ai costi) sono il ruolo delle strutture
e degli spazi. La diffusione di queste discipline, infatti, deve tenere conto della presenza di
un‟impiantistica adatta; basti pensare (se vogliamo rimanere in Italia) agli snowpark o agli
skatepark o addirittura ai laghi attrezzati per gare di kite, sci d’acqua ecc., senza contare
luoghi naturali dove, per praticare alcune discipline come il kitesurf o lo stesso surf sono
necessari componenti naturali come vento, mare e morfologia del litorale. Molti sport, però,
necessitano di struttura adeguate che spesso vengono affittate perché altrimenti troppo costose
(specialmente per principianti). Per questo motivo sarebbe utile ma soprattutto necessario
realizzare strutture informative che aiutino concretamente a far conoscere queste discipline.
Per essere consapevoli del perché alcune persone decidano di praticare questi sport sarebbe
bene leggerne le biografie da dove emergono quali siano i fattori preponderanti che li portano
a scegliere di praticare uno sport piuttosto che un altro:
il luogo, dove vi sia la presenza di strutture adeguate a praticare questo tipo di discipline;
la spinta familiare, non di rado sono i genitori che portano i figli a scegliere sport diversi
da quelli di massa spesso per il fascino che questi esercitano;
il caso, non sono nemmeno rari i soggetti che si avvicinano perché trovatisi in gruppi che
praticano questi sport dopo aver visto tali attività tramite video specie su canali mediatici
(es youtube) o tramite videogiochi (Tony Hawk, Travis Pastrana, Shaun White).
11
Gruppo di artisti di strada di fama mondiale nato nel 1982 in Quebec: hanno dato vita un nuovo modo di
concepire il concetto di saltimbanco; ottimi atleti e bravissimi danzatori hanno creato una diversa e nuova forma
di arte di strada che si rifà all‟antico concetto del circo.
pag. 30
Come si vede la componente informazione-media in questo caso è poco influente; qui il
lavoro maggiore viene svolto da grossi marchi commerciali, su tutti la Red Bull con fatturati
davvero astronomici. Siamo di fronte ad un colosso mondiale che si fa promotore di
competizioni a livello nazionale ed internazionale (motocross, cliff diving ecc.) contribuendo
alla crescita di discipline che sono spesso ignorate dalla stampa ufficiale. Dello stesso stampo
sono società come la Roxy, molto dedita al mondo femminile delle snowboarder, delle surfer
ecc.; abbiamo poi la presenza di marchi come DC, VANS ecc. fautori e promulgatori
dell‟Urban sport (skateboard su tutti). Qui l‟informazione si lega, in modo indissolubile, al
marketing. Al pari della pubblicità risultano fondamentali (parlando di media) le web tv:
piattaforme dedicate alle discipline alternative molto utili in quanto contenitori di video,
utilities ed informazioni per appassionati e curiosi. Altro elemento di nota sono i canali tv
privati specializzati: su Sky (ad esempio) si può fruire ampiamente di sport estremi ed
alternativi 24 su 24. Certamente web e New Tv hanno giovato molto e continuano a farlo per
tali discipline anche se è importante tenere il passo con la realtà e passare dalla pratica ai fatti.
Tra le componenti fondamentali per la diffusione di queste discipline potremmo citare:
a. L’immagine (i grandi campioni di skater, surfer ecc attirano con il loro stile di vita)
b. I linguaggi e i codici che stanno dietro talune discipline (il vestiario e la filosofia di vita di
alcuni praticanti che fanno parte di crew, di nicchie ecc).
È necessario, però, fuggire dalla superficialità e passare alla pratica, alla diffusione e
all‟informazione agevolata per non rimanere ad un grado di popolarità legata solo
all‟immagine. In Italia, purtroppo, siamo ancora molto indietro mentre negli USA la
diffusione è diversa vuoi per cultura o mesh up razziale, basti pensare agli X-Games, grandi
giochi alternativi di successo. Infine non si deve tralasciare il fatto che gran parte del fascino
che questi sport possiedono è dovuto al fatto che i media ne parlano poco e tutto quello che
rimane nascosto spesso si carica di un aura speciale di fascino e magnetismo per i fruitori.
2.4 STEFANO BIZZOTTO: hockey su ghiaccio, da sempre una passione.
Per capire cosa significhi praticare uno sport che poco a che fare con i grandi numeri sono
andato ad intervistare il dott. Stefano Bizzotto del pool sportivo della Rai che lavora nella
sede di Bolzano. Lui, che vive nella città altoatesina, ha una passione per questo sport e per
questo è stato ben gentile di rilasciare un‟intervista su un mondo come quello dell‟hockey che
di certo non gode di molta mediaticità. Ecco le sue parole, ecco quanto ha detto ai microfoni
quando gli è stato chiesto perché mai avesse scelto uno sport decisamente poco popolare:
“Qui siamo a Bolzano e in queste zone lo sport principe è proprio l’hockey. Io,
pag. 31
personalmente, ho iniziato da piccolo andando al palazzetto di Bolzano con mio padre; basti
pensare che la squadra della città è un po’ la Juventus di questo sport in quanto è quella che
ha vinto il maggior numero di scudetti. C’è una grande tradizione e una grande passione
oltre ad un impianto davvero all’avanguardia (forse l’unico in Italia che possa paragonarsi
ai palazzetti del Nord Europa) tant’è che l’hockey è nel DNA dei ragazzi di queste vallate;
qui, infatti, durante gli inverni freddi, i ragazzi vanno sui laghetti ghiacciati improvvisando
proprio delle partite di hockey.
Io, poi, pur avendo trascorso molto tempo lontano dalla mia terra e dopo molto tempo
passato a parlare di calcio sono tornato a Bolzano ed ho cominciato a occuparmi di hochey
più per passione che per un esigenza professionale; passato in carico a Rai sport, vuoi per le
mie origini o per le mie lontane frequentazioni di palazzetti del ghiaccio l’azienda
radiotelevisiva di Stato ha deciso di affidarmi questa disciplina sportiva. Nel frattempo sono
cominciate le trasmissione sul satellite e in seguito sul digitale. La lega hochey, poi, cercando
di dare un maggiore impulso all’attività, ha firmato un contratto con la Rai per la
trasmissione delle partite in diretta del campionato italiano, delle coppe europee e delle
partite della nazionale maggiore riprendendo, in questo modo, una tradizione hockeistica di
molti anni addietro. Si tratta di uno sport praticato da pochi dato che le squadre che militano
in serie A1 sono solo nove tutte concentrate nel nord Italia e tra queste una sola è capoluogo
di provincia (Bolzano); il resto dei team sono società che rappresentano paesi di1000/2000
abitanti. Dimensionalmente parlando potremmo dire che si tratta di incontri in cui si respira
un clima quasi da sagra paesana.
Molto importante anche l’aria che traspare all’esterno; qui, a differenza del calcio,
posso contattare direttamente i giocatori senza dover passare attraverso nessun procuratore
o ufficio stampa come avviene nel calcio. Nell’Hochey perciò tutto è diverso, una disciplina
sportiva difficile da capire perché molto veloce nell’esecuzione; già nel riconoscere chi sta
in campo ci vuole davvero una profonda conoscenza dato che una formazione può cambiare
ogni 50 secondi e la velocità del dischetto è davvero notevole. Posso inoltre affermare che
sono gli stessi giocatori quelli che dalla televisione desiderano essere sia seguiti che
coccolati. Basti pensare che sino a 3 anni fa il campionato era seguito da Sky la quale
trasmetteva gli incontri in differita anche dopo tre giorni dal loro svolgimento denotando una
mancanza di rispetto verso coloro che giocavano; forse, in questo caso, il motivo principale
è che per il colosso informativo australiano l’hochey italiano non rappresentava una bacino
d’utenza significativa: si trattava, perciò, di una scelta editoriale ben precisa. Ora, con la
Rai, si è deciso di trasmettere una diretta il giovedì sera e questo ha creato un gradimento da
pag. 32
parte di coloro che seguono questo sport pur rimanendo, questa, una disciplina sempre e
comunque di nicchia. Il mio rammarico è la mancanza di squadre di grosse città come
Milano o Varese entrambe in serie A2 dopo che tutte e due (in tempi non remoti) hanno
giocato e vinto scudetti. Parlando di hockey e del fatto che questo è uno sport ancora poco
mediatico mi viene in mente un’ intervista fatta al più grande giocatore italiano degli ultimi
trent’anni: Lucio Topatigh di Asiago; costui lavora come panificatore per cui si alza alle 3
del mattino per fare il pane quindi porta i figli a scuola e poi, dopo un breve pisolino, torna
ad allenarsi e, al termine degli allenamenti,di nuovo in panificio; se poi c’erano delle partite
ci andava tranquillamente ma, se quando ritornava, era molto tardi si faceva lasciare
direttamente al panificio per ricominciare un’altra giornata: questo è l’hockey; come è
hockey la partita tra Pontebba (vicino a Tarvisio) e Torre Pellice (sulla strada del Sestriere),
due località che distano tra loro 720 chilometri. Coloro che fanno hochey, perciò, sono
giocatori che praticano questo sport quasi fosse una filosofia. Da qui si capisce come sia
difficile avere una nazionale composta solo da indigeni in quanto anche i più forti giocatori a
livello giovanile, giunti alle soglie della nazionale maggiore molte volte devono trovare un
lavoro che li possa sostenere economicamente e questo significa trascurare gli allenamenti.
Per fortuna o sfortuna abbiamo molti giocatori nella nazionale che sono oriundi e
questo grazie soprattutto a dei regolamenti federali che permettono il loro utilizzo dopo due
anni di militanza nel campionato di serie A1 con passaporto italiano (oggi sono circa il 40%
del totale dei giocatori).
A questo nostro discorso possiamo aggiungere anche il caso dell’attaccante
Oberrauch del Brunico Val Pusteria (attuale capolista in campionato) di professione
l’insegnante; il migliore attaccante del campionato ma che purtroppo non può rispondere ai
raduni collegiali della nazionale perché il suo preside non gli concede i permessi in quanto
insegnante di sostegno. Ora, però, mi ha detto che lui sta trattando con la scuola dove lavora
per avere i giorni necessari per partecipare ai campionati mondiali che quest’anno si
terranno in Germania (per lui una grande possibilità di mettersi in mostra).
Nonostante tutto questo è uno sport duro con una filosofia di gioco che si avvicina al
rugby per quanto riguarda il fair play. Il problema è cercare gli sponsor che decidano di
investire su una disciplina sportiva poco mediatica tanto che i dirigenti quando vanno da
un’azienda per cercare di essere sponsorizzati la prima domanda che si sentono rivolgere è
quale sia lo spazio che la televisione ha concesso loro nella stagione precedente.
pag. 33
Altri problemi, poi, sono legati agli impianti di gioco che spesso
sono illuminati male o non hanno addirittura una postazione
dedicata alla troupe televisiva (a fianco il giornalista Bizzotto) per
cui siamo costretti a posizionarci molto spesso tra il pubblico con
non pochi disagi di natura tecnica (la colpa è di palazzetti vecchi,
desueti: non certo all’altezza in quanto costruiti anche 50 anni fa
quando la televisione non era quella di adesso).
Nonostante questo coloro che compongono queste troupe sono molto professionali e
questo rende il mio lavoro più facile. Se poi parliamo di cultura sportiva mi viene in mente il
palinsesto della televisione pubblica tedesca che il sabato (nel periodo invernale) trasmette
sport invernali dalle 9 del mattino alle 18 della sera. Non è poi inusuale che queste televisioni
interrompano trasmissione dedicate al calcio per seguire, per esempio, gare di equitazione o
partite di biliardo. Questo in Italia non succede; ricordo, ad esempio che durante le olimpiadi
di Torino 2006 chiesi la linea alla trasmissione Quelli che il calcio per mandare in onda la
terza e quarta manche dello slittino che vedeva impegnato Armin Zoeggeler (la stessa diretta,
però, non fu concessa per la finale dell’hochey).
Ciò che manca è perciò una cultura dello sport; in Italia (per sfortuna o fortuna) abbiamo
un modo di fare sport che va avanti grazie soprattutto ai corpi militari perché in questi è
possibile praticare la propria disciplina cercando di ottenere i risultati necessari per aspirare
a traguardi più alti.
pag. 34
Capitolo 3
DISABILITÀ, SPORT E MASS MEDIA
PREMESSA: cosa significa essere disabili? Forse non sapere se si avrà un futuro, quanti i
sacrifici che si fanno e le lotte da combattere per porre in essere solamente il diritto di vivere
una vita dignitosa. Parliamo di persone consce di avere un debito con la fortuna in quanto
soggetti a cui il destino ha riservato una vita differente. L‟aspetto più importante è saper
accettare la propria condizione senza angoscia cercando di vivere al meglio una condizione di
vita che il destino ha riservato ad ognuno. Sono persone che, con il loro modo di comportarsi,
fanno sembrare la loro vita assolutamente normale anche se il dolore che portano dentro di sé
non è trascurabile. È anche vero che la maggior parte dell‟editoria che parla di disabilità molte
volte riguarda libri scritti da personaggi rimasti disabili sia per motivi legati ad una malattia
che per un tragico incidente. Di seguito verranno forniti alcuni esempi cercando di far
comprendere quale sia il messaggio alla base di queste opere letterarie che parlano sì di
disabilità e sport ma che vogliono essere soprattutto messaggi di speranza rivolti sia a coloro
che sono le vittime della disabilità ma anche alla società affinché sia dato maggior risalto alle
problematiche che si innescano su questo tipo di difficoltà. Parliamo, in sostanza, di uomini e
donne che, senza lasciarsi andare, hanno reagito alla loro condizione facendo sì che la
disabilità non fosse un’arma spuntata e ponendosi come obiettivo la sensibilizzazione
dell‟opinione pubblica al fine di combattere sia la diffidenza generale ma anche le barriere
che possono ostacolare il ritorno ad una vita “normale”.
3.1 GIOCHIAMO INSIEME: il progetto della Provincia di Genova.
Il progetto Giochiamo Insieme, che vede impegnati diversi soggetti nasce all‟indomani
delle Paralimpiadi di Pechino. Una scommessa vincente che, nel corso degli anni, ha visto
crescere nel capoluogo ligure l‟interesse verso lo sport per i disabili. La Provincia di Genova
in collaborazione con il Centro Sportivo Pala Don Bosco e con il patrocinio del CIP
(Comitato Italiano Paralimpico) ha iniziato a proporre una settimana di sport dedicata a
soggetti disabili. Diverse le località della provincia di Genova che sono state coinvolte tra le
quali Sampierdarena, Pontedecimo e Chiavari. Molti gli operatori impegnati che hanno
assicurato all‟intera manifestazione, sin dai suoi esordi, un alto grado professionalità.
In questo progetto non si parla solo di sport; infatti, oltre a gareggiare, esistono diversi
momenti di discussione e dibattito dove poter approfondire, insieme a delle realtà che
lavorano sul territorio, i problemi legati a mondo della disabilità Il lavoro più importante, a
detta del dott. Carmagnani (responsabile del settore marketing della manifestazione), è stato
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creare una struttura organizzativa che contribuisse a far conoscere ed espandere il progetto.
Fruttuose, all‟uopo, le collaborazioni avute con diversi organi o associazione come il CONI, il
Panathlon di Genova Levante, l‟USSI Liguria, lo Special Olympics – Team Liguria il CSI e i
Lyons Club Genova. Un lavoro certosino il cui scopo è stato, sin dalle prime edizione, di
ottenere la giusta visibilità mediatica.
Il lavoro svolto dall‟equipe di persone addette alla promozione dell‟evento ha avuto
delle tappe obbligate. È stato necessario affrontare, in modo non dilettantistico, la propaganda
dell‟evento essendo coscienti di quanto fosse determinante un buon approccio mediatico per
ottenere la giusta visibilità. Punto di partenza è stato di pensare subito in grande: si è
considerato di gestire ogni tassello legato all‟evento come si fosse l‟ufficio stampa di una
grosso club calcistico quale il Milan o, per restare in terra ligure, la Sampdoria. Si è reso
necessario un lavoro mirato, sin dall‟inizio, a tutti i particolari. Ipotizzare di essere i
responsabili di un avvenimento che non fosse il solito progettato da associazioni di
volontariato ed è per questo che sono stati fatti degli studi di settore per indirizzare gli sforzi
in un‟unica direzione. La provincia di Genova, che ha voluto a tutti costi la manifestazione, ha
perciò compreso che solamente una grossa realtà organizzativa avrebbe potuto sostenere
l‟intero progetto ed è per questo che si è rivolta all‟associazione Pala Don Bosco.
3.2 SPORTABILIA: una finestra sul mondo dello sport per disabili.
La singolarità di questo programma risiede nel fatto di essere una trasmissione davvero
innovativa per il servizio pubblico. Il suo ideatore, curatore e conduttore Lorenzo Roata ha
potuto dire vinta la sua battaglia nei confronti di chi ha sempre relegato lo sport per disabili in
secondo piano rispetto alla normale programmazione sportiva televisiva. L‟errore che molti
compiono, infatti, è di affrontare queste tematiche in modo del tutto sbagliato seguendo una
logica che porta o a considerarle con pregiudizio o addirittura con un approccio di tipo
compassionevole. Molti sono coloro che pensano lo sport per disabili non come una vera
attività sportiva. Si tratta di un modo di ragionare errato che ha visto coinvolti, molte volte,
anche gli stessi giornalisti. Basti pensare che il presidente del CIP ha da sempre compreso
quale sia l‟importanza di vendere e vendere bene il proprio prodotto. Egli stesso, durante le
Paralimpiadi invernali di Salt Lake City, disse quanto fosse difficile superare i pregiudizi che
da sempre attanagliavano i responsabili delle varie televisioni che seguivano questo tipo di
manifestazioni adducendo, quale scusante, l‟impossibilità di vendere quel prodotto agli
spettatori. Si riteneva political correct evitare di trasmettere immagini che potessero offendere
gli sguardi perbenisti dei telespettatori. Oggi i tempi sono molto diversi tanto che si può
pag. 36
affermare che da Seul ‟88 sia cominciata una nuova era anche per coloro che fanno
informazione nel campo della disabilità sportiva. Questo ha permesso ai due comitati, CIO e
CIP, di ricevere pari dignità in campo informativo anche se lo spazio dedicato, guardando il
numero di ore destinate ai disabili, risulta ancora molto carente. È fuori discussione che la
simbiosi CIP/CIO, unita ad un meticoloso lavoro sul piano del marketing, abbia fornito la
spinta necessaria per dare maggiore visibilità agli sport per disabili senza dimenticare che
purtroppo il nostro paese, in questo settore, è ancora molto indietro. Ancora una volta sono
altri i paesi più avanzati; nazioni culturalmente e socialmente impegnate a fare da traino ad un
settore come quello dell‟informazione riguardante i disabili (non solo in ambito sportivo);
parliamo dei paesi di origine anglosassone, di quelli della Scandinavia (prima fra tutti la
Svezia) ma anche di nazioni dell‟Europa continentale come Francia e Germania e di un paese
mediterraneo come la Spagna. Stati che hanno affrontato con adeguato impegno la difficile
realtà della scarsa diffusione mediatica dello sport all‟interno del mondo dei disabili. Tutte
queste nazioni hanno influenzato e non poco anche il nostro paese che, per evitare di rimanere
indietro, ha cercato di colmare il gap che l‟aveva segnato sino ad allora. Questo è stato il
momento buono per dare inizio alle sperimentazioni; si è trattato di tracciare una nuova strada
che fungesse da apripista per un nuovo modo di concepire lo sport rivolto ai disabili. Come ha
ricordato il nostro ospite, durante un‟intervista rilasciata all‟assessorato alle politiche sociali
della regione Veneto: si trattava semplicemente di raccontare fatti e storie nella gioia della
vittoria o nel dolore della sconfitta, quintessenza dello sport12
.
Dopo questi primi esperimenti e visto il loro successo la Rai e la propria redazione sportiva
decisero di dar vita ad una rubrica informativa quotidiana che trasmetteva da Salt Lake City le
immagini delle Paralimpiadi. Grazie alle vittorie degli atleti azzurri il pubblico si innamorò di
questo nuovo modo di fare sport e la televisione vinse quella sua scommessa che sembrava
una sfida quasi impossibile da affrontare. Si capì che questo avrebbe potuto in futuro attirare
molti sponsor ed è per questo che si decise di seguire le orme già tracciate dai paesi che da
tempo cavalcavano l‟onda di questo modo nuovo di fare informazione sportiva.
Era l‟abbozzo di un‟idea che si sarebbe concretizzata, di li a poco, nel progetto presentato
ai vertici della TV di Stato dal nostro interlocutore. Sportabilia sarebbe divenuto, in breve
tempo, la rubrica cardine della Rai sul mondo dello sport per disabili. Un format prodotto
inizialmente in 4 puntate (su Rai2 in seconda serata) e poi trasformato in un appuntamento
quindicinale trasmesso su Rai3 il sabato pomeriggio. Il giusto approccio e la semplicità della
12
Regione del Veneto – Corecom, Disabilità e informazione in Veneto – Cierre edizioni, 2003 Verona pag. 57
pag. 37
trasmissione uniti alla professionalità dello staff ha permesso a questa trasmissione di vincere
non soltanto la sfida sulla sua tenuta in fatto di audience ma ha contribuito a renderla così
importante tanto che nel 2003, anno dedicato alla disabilità, la trasmissione ha avuto il
patrocinio del Segretariato Sociale Rai rappresentando un progetto pilota nel suo genere al
Prix Italia13
. Per meglio capire lo spirito che sta alla base di questo programma Roata ha
ricordato un aneddoto accaduto durante una gara che vide come protagonista la velocista
disabile Francesca Porcellato la quale, in un meeting di atletica leggera di notevole
importanza, dopo aver vinto in maniera abbastanza netta la gara degli 800 metri, si vide
premiare ex aequo con la seconda arrivata con la scusa che in una gara per disabili ciò che
contava non era la vittoria bensì lo spirito che stava alla base dello sport. L‟atleta, non
gradendo l‟epilogo e furibonda all‟inverosimile, decise di disertare la cerimonia di
premiazione ribadendo in modo netto e preciso con grida ed urla che anche nelle gare sportive
per disabili ci doveva essere una classifica perché, in caso contrario, a nulla sarebbero valsi gli
sforzi che lei (e altri come lei) compievano negli allenamenti. Che significato aveva allenarsi?
Aveva senso sudare e sputare sangue durante i periodi che intercorrevano tra una gara ed
un‟altra? La verità come sostenne la Porcellato (e molti altri la pensano alla sua stessa
maniera) è che nessuno gareggia per perdere e il fatto di essere un disabile non cambia
minimamente le cose.
3.3 LORENZO ROATA: un giornalista con la passione dello sport.
Sportabilia: una trasmissione che è riuscita nel tempo a diventare un punto fermo della
redazione sportiva della RAI. Per poter tuttavia dare un‟esatta collocazione a questo tipo di
informazione ho pensato di intervistare l‟ideatore, curatore e conduttore di questo importante
programma: Lorenzo Roata, e così mi sono recato negli studi della Rai di Milano dove ho
potuto comprendere quale sia lo spirito che anima questa bellissima trasmissione:
“Parlando di disabilità occorre dire che non esiste l’espressione diversamente abili, non
la voglio sentire, mi da fastidio. Mi da i brividi, un sorriso sardonico e amaro come quello
delle maschere che i Fenici si mettevano in Sardegna. Così non va bene, smettiamo di
pronunciare quella frase perché è una aberrazione, uno scrupolo italiano che nasconde il
malcostume di non sapere cosa sia la disabilità; meglio disabili, anche perché siamo o
potremmo essere tutti disabili; è sufficiente pensare a quando portiamo un gesso dopo un
infortunio. Non esiste la parola diversamente abili, io quando parlo di disabilità mi riferisco
a persone e atleti, a gente di sport: cioè del mio mondo (quintessenza dello sport).
13
Rassegna internazionale dei prodotti televisivi.
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Pronunciando la parola diversamente abili non ci si rende conto che si dicono le cose a metà.
Colui che per primo ho coniato questo termine è un filosofo dei nostri giorni, lui disabile,
gravemente disabile ma meravigliosamente normale; lui che ha iniziato a contare e parlare
attraverso dei movimenti della lingue e del naso (smorfie), lui che si è allenato indicando
alla propria segretaria cosa dovesse scrivere su delle lavagnette; tutto in tempo reale: il
pensiero che si fa tempo (a fianco il giornalista Roata).
Di per sé egli è normale; una persona che risponde, in
tempo reale, peccato che chi da la risposta (in questo
caso) sia un soggetto spastico tetraplegico; purtroppo
esisteranno sempre dei soggetti che useranno il lessico
sbagliato. Si tratta di usare una parola che nel gergo
quotidiano diventa poi idea.
È anche una questione di stile dato che fa molto figo usare un certo tipo di terminologia;
purtroppo la gente lo continua ad usare e, a mio parere, sbaglia; e poiché io amo troppo il
mondo della disabilità mi rifiuto di parlare con questo tipo di persone.
Non prendo nemmeno in considerazione individui che usano la parola diversamente abili:
è sbagliato. Sono solo termini che molti usano pensando di usare un termine più bello mentre
non sanno che tra i termini che potremmo usare questo è sicuramente il peggiore forse perché
le persone non sanno quale sia stata l’origine del termine. È una questione di porsi, un po’
come quando si parcheggia nei posti riservati ai disabili. Sono fatti che accadono, purtroppo,
solo in Italia; agendo così ognuno pensa di farsi bello ma andando a scavare nel profondo
troviamo un rimorso per tutto quello che non si fa per cercare di garantire una corretta
integrazione. Servirebbe una società senza barriere a partire da coloro che sono i
responsabili: geometri e architetti che invece di costruire edifici senza barriere pensano a
fare soldi. I disabili sono infatti uomini liberi e come liberi devono vivere e questo senza
usare neologismi che servono solo a riempirsi la bocca. Ci sono diversi giornalisti disabili
ma, nonostante la menomazione, il loro lavoro non ne risente.
Dopo questo piccolo sfogo però è giusto parlare di Sportabilia; in questo programma
parliamo di un tipo particolare di disabilità, quella fisica che differisce da quella mentale. Si
parla di sport per disabili è vero ma le emozioni che si provano sono le stesse degli sport per
normodotati: dove vi è gioia per una vittoria e dolore per una sconfitta. Non bisogna, però,
confondere dolore con compassione la quale ha valenza peggiore del dolore; si rischia di
finire dentro al vicolo cieco del pregiudizio. Nel programma sono narrate solo notizie di
pag. 39
sport; si parla di gare, allenamenti, di cronometri, di fatica durante gli allenamenti ma anche
della gioia di una vittoria quale premio per gli sforzi sostenuti: forse mi ripeterò ma io sono
innamorato dello sport, mi fanno impazzire questo tipo di gare che sono, a mio parere,
metafora della vita per cui chi se lo merita vince mentre chi non è preparato deve rinunciarci
e comunque senza cercare scappatoie per riuscire là dove altri riescono grazie agli
allenamenti. Personalmente mi piace raccontare della gente che pratica sport: io comunico
semplicemente cose di sport, parlo di regolamenti, di disabilità e vorrei che anche altri
organi di informazione si comportassero in modo uguale visto che anch’io rimango
affascinato davanti ad un qualsiasi gesto tecnico eseguito con maestria.
È compito del giornalista dare anima al gesto, qui sta la sensibilità di chi scrive di notizie;
spesso assistiamo a dei delitti compiuti dagli organi di stampa (anche regionali): parliamo
sia di direttori che di caporedattori i quali dovrebbero, con il loro lavoro, costruirsi un
rispetto ed un onore che deriva dal loro modo di fare informazione. Purtroppo spesso non è
così che vanno le cose; troppe volte si palesa scarsa attenzione; sono giornalisti che parlano
solo di calcio e mai, ad esempio, di basket senza sapere che emozione si prova quando un
giocatore marcato dal suo avversario riesce a scoccare un tiro dall’angolo del parquet; sono
immagini che diventano sostanzialmente degli spot per il movimento. Le scelte redazionali,
tuttavia, sono di derivazione editoriale perciò devono tenere conto del lato economico e
questo fa si che si debbano fare delle scelte che non sempre sono le più felici. Se poi uno
assiste ad una partita di basket in carrozzina scopre un mondo davvero nuovo ma anche un
modo di giocare non privo di agonismo e se si trattasse della finale di qualche torneo nessuno
si risparmierebbe pur di vincere. Accadono cose incredibili, botte da orbi ma poi, al termine,
tutto ha un fine: questo è lo sport. La cosa importante è che sia uno scontro leale. Per quanto
riguarda questo mio progetto di tempo ne è passato parecchio; tutto è partito da Sidney
2000: prima con delle puntate pilota e poi come rubrica quindicinale, unica trasmissione nel
suo genere in Italia. Un programma che informa dando sia un senso che una continuità;
ricordo bene che al tempo delle olimpiadi di Torino 2006 il direttore della Stampa disse che
sul suo giornale non sarebbero mai mancate notizie riguardanti gli sport per disabili. Fu un
grande bluff perché non appena le Paralimpiadi finirono le notizie cominciarono a
scarseggiare fino a sparire del tutto. Io, poi, sono anche del parere che occorra un
bilanciamento nella esposizione mediatica per educare chi deve usufruire dello sport. Io
stesso adoro il calcio ma sono convinto che un certa equità sia necessaria. In altri paesi
europei il calcio non ha la stessa esposizione dell’Italia: una nazione che, riguardo alla
disabilità, è molto indietro. Bisogna perciò parlare della disabilità usando tutti i canali
pag. 40
informativi possibili: radio, televisioni, giornali e dibattiti cercando di insegnare come si
comunica con un disabile (qui gli Usa sono davvero avanti).
È il nord Europa la nostra guida; parliamo di nazioni molto avanti in campo sociale e che
promuovono costantemente i giusti modi di porsi per giungere alla completa integrazione.
Mio motto è: città, stadi e palazzetti senza barriere. Ricordo, oggi come allora, il momento
nel quale si pensò a questa trasmissione: un sogno, un’idea che avrebbe sconvolto il mondo
dell’informazione quale è quella dei disabili. Non più un’informazione basata sul linguaggio
dei segni (era troppo limitativa); occorreva, infatti, qualcosa di nuovo per propagandare un
mondo così straordinario quale quello dello sport per disabili. Serviva un miglior lavoro di
marketing per cercare di coinvolgere un numero crescente di sponsor; difficile poter arrivare
ai budget del calcio ma sognare non costava poi molto. Per questo ho creato un prodotto che
potesse vendersi bene, che attirasse lo sguardo incuriosito di chi aveva voglia di investire
anche se all’inizio gli sponsor furono pochi. Sarebbe stato sufficiente trovare aziende che
producevano materiale per disabili come carrozzine o protesi anche se, oggi come allora,
sono convinto che in Italia manchino leggi precise, norme che aiutino i disabili nella lotta
quotidiana.
Occorre togliere dalla bocca e dalla testa della gente quel sorriso di compassione che
spesso accompagna gli sguardi quando siamo in presenza di persone disabili. Abbiamo
certamente fatto enormi passi in avanti anche se ci sono ancora alcuni colleghi della carta
stampata e non che predicano bene ma che poi agiscono concretamente in modo contrario
(sono barriere mentali e pratiche nei confronti di chi non è come noi). Questo è un grande
pregiudizio. Io stesso ho molti amici disabili, gente a cui voglio bene e dai quali mi sento
protetto per il loro modo di porsi nei confronti della vita. Persone che mi danno un senso di
felicità che molte volte altri individui non mi trasmettono. Come “Carlo”, io lo chiamo così;
è l’allenatore della squadra di basket in carrozzina del Santa Lucia Roma che milita in serie
A e che nella scorsa stagione è riuscita nella storica impresa di vincere campionato, coppa
Italia, supercoppa ed Eurocup; ecco.. lui per me è mio fratello. Molte volte mi guardo dentro
e mi pare di essere eternamente arrabbiato, di essere sempre sul punto di scoppiare d’ira;
vivo ormai da tanto tempo nel mondo dei disabili che forse la gente normale la osservo e la
scruto in modo differente. Terminando questa chiacchierata credo che tu abbia capito quale
sia il mio pensiero e perché io ami così tanto il mondo della disabilità. Si tratta di un modo di
concepire la vita che trascende le persone; non si tratta né di diversa abilità ne di handicap,
due termini che odio profondamente perché non spiegano nulla. Occorre essenzialmente il
pag. 41
rispetto quando ci rivolgiamo a persone con problemi di disabilità etichettandoli come
diversamente abili o handicappati: questo è sinonimo di grande maleducazione ma anche di
mancanza di rispetto. In fondo ciò che in realtà si dovrebbe dire è che tutti possediamo
diverse abilità alludendo al fatto che ognuno è capace più di altri in alcuni ambiti: mi
riferisco, perciò, ad un concetto positivo dell’espressione, mentre se questa è usata per
indicare persone disabili la ritengo un’offesa poiché la stessa sta a significare una ridotta
capacità fisica di chi viene apostrofato in tal modo e questo a me non sta bene”.
3.4 LA RAI nel VENETO: la sfida del servizio pubblico.
Spesso il servizio pubblico della nostra regione si è interrogato su quale potesse essere il
proprio ruolo in qualità di vettore informativo e formativo. Si tratta di tematiche importanti
come quelle della disabilità che spesso sottendono storie di persone normali, vite rese difficili
solo da problemi di natura fisica ma che nulla hanno da invidiare a coloro che sono ritenuti
normodotati. Ciò che l‟informazione vuole fare è allontanarsi dagli stereotipi in cui la società
di oggi l‟ha relegata cercando di dare un‟informazione il più continua possibile ma soprattutto
interessante: vendere cioè un prodotto a cui si devono applicare tutte le conoscenze in fatto di
marketing. Occorre, per questo, un buon grado di preparazione di chi fa informazione perché
comunicare di argomenti di cui si ignora la natura o dei quali poco si sa oltre ad essere indice
di scarsa professionalità porta a risultati poco lusinghieri se non addirittura negativi. In tutto
questo, però, c‟è un limite che rende il lavoro, per chi fa informazione, davvero arduo;
parliamo di ciò che potremmo definire come “gabbie del telegiornale”14
; una situazione che si
nota tanto nel telegiornale quanto sulla carta stampata; parliamo dell‟oggettiva difficoltà
dell’inquadrare le notizie entro un contenitore sia esso televisivo, radiofonico o carta
stampata tanto per la rigidità oggettiva dei programmi quanto per l‟impaginazione dei giornali
che si affiancano, a loro volta, a problematiche legate al fattore tempo.
La problematica dell’audience: oggigiorno, spesso e volentieri, c‟è difficoltà nel
parlare di disabilità in quanto sono incalzanti notizie riguardanti la cronaca, la politica, notizie
di costume al punto che anche ad una sfera come la cultura molte volte tocca una sorte non
molto differente. Unico rimedio che la regione Veneto ha per cambiare questo stato di cose è
ribellarsi, si tratta di creare un modo nuovo e migliore di fare notizia; un‟opera che parte
molto spesso già dai redattori e che cerca di ribaltare la desueta classificazione delle notizie.
Occorre superare la problematica legata all‟audience, evitare i tranelli disseminati ovunque da
14
Regione del Veneto – Corecom, Disabilità e informazione in Veneto – Cierre edizioni, 2003 Verona pag. 39
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agenzie che hanno il compito di rilevare solo le preferenze dei telespettatori o dei lettori.
Bisogna dare risalto, principalmente, alle notizie in quanto tali e inquadrarle come dei mezzi il
cui compito principale è comunicare qualcosa di importante. Per questo è necessario, parlando
di disabilità, porre a fondamento notizie che possano far riflettere su questo tipo di
problematicità e allo stesso tempo inducano, in chi legge o guarda, dei sentimenti che lo
portino a comprendere che solamente con dei gesti concreti si può veramente cambiare la
mentalità della società civile.
Per quanto riguarda la problematica legata all‟elemento tempo ci riferiamo sia alla
lunghezza massima dei servizi televisivi i quali (per motivi di attenzione degli utenti) non
possono mai superare i due minuti sia al numero di righe che un articolo di giornale può
contenere. Possiamo quindi affermare che sia necessario, per una corretta un‟informazione,
rompere queste prigioni che sono soprattutto mentali. Tenere a mente che la Rai è un servizio
pubblico il cui obbligo, almeno morale, è di trasmettere notizie di pubblica utilità dato che la
stessa dovrebbe porre, a base del proprio operato, un tipo di informazione che deve
raggiungere milioni di utenti. Ben consci che il servizio radiotelevisivo sia sempre al centro di
lottizzazioni politiche non dobbiamo però nemmeno dimenticare che l‟esistenza di un canone
le imporrebbe almeno uno stile informativo il più obbiettivo possibile anche e soprattutto nel
campo della disabilità. Il valore aggiunto15
dovrebbe essere quello di un‟informazione più
libera e che punta alla sua utilità strizzando certamente l‟occhio all‟audience non però per
esserne condizionata rischiando di fornire un servizio misero e qualitativamente mediocre.
È ovvio che se la disabilità è considerata dal servizio radiotelevisivo pubblico un valore su
cui porre le basi di un‟informazione libera e plurale bisogna che questa sia trattata in modo da
creare degli atteggiamenti positivi di chi legge o ascolta senza tuttavia cadere nel buonismo o
addirittura nel pietismo.
Nel campo dell‟informazione radiotelevisiva pubblica diviene fondamentale la modalità
con cui trasmettiamo questo tipo di notizie tenendo, però, ben presente il modo nel quale
l‟utenza le percepisce. Per questo la Rai del Veneto ha deciso di abbandonare un modo di fare
informazione che porta ad una TV del dolore cosicché la redazione giornalistica, inclusa
quella sportiva, ha deciso di dare maggior spazio ad un tipo di informazione differente
facendo autocritica. Si è iniziato ad operare in modo da progettare programmi che aiutassero
la società civile a mettersi sempre in gioco e iniziando, dopo alcuni colloqui informativi, a
collaborare anche con l‟assessorato regionale alle politiche sociali. Questo è sicuramente un
15
Regione del Veneto – Corecom, Disabilità e informazione in Veneto – Cierre edizioni, 2003 Verona pag. 40
pag. 43
progetto ambizioso e le risorse talvolta non sono sufficienti a sostenere le molte idee che il
servizio informativo pubblico del Veneto vorrebbe realizzare. Tempo, spazio e possibilità
economiche purtroppo non sempre collimano tra loro per cui sembrano inevitabili selezioni
di natura editoriale che portano a fare delle scelte su cosa trasmettere; considerazioni che
hanno connotazioni politiche e che conducono, troppo spesso, a valutazioni editoriali molte
volte sofferte.
I mezzi (economici o che riguardano il personale) sono a volte molto risicati e questo
richiede, a livello redazionale, un notevole sforzo per cercare di ottimizzare il lavoro di
elaborazione; parliamo del notevole impegno dei giornalisti i quali, attraverso una personale
flessibilità nei turni di lavoro, hanno garantito un‟alta professionalità al lavoro svolto
migliorando il risultato informativo. Molti i servizi trasmessi: storie che hanno raccontato da
dentro, grazie ad un lavoro sul territorio, realtà a volte poco conosciute; storie di disabilità che
hanno posto l‟accento sui valori positivi dandone una diversa e nuova visione.
Riferendoci in modo particolare al mondo sportivo dei disabili la prima domanda che la
redazione sportiva della rai veneta si è posta è stata: che spazio dare allo sport giocato dagli
atleti disabili16
? Forse potrebbe tornare utile chiedere alle società sportive che ogni anno
sborsano milioni di euro in ingaggi o sponsorizzazioni se non fosse più favorevole investire in
attività sportive legate al mondo della disabilità non per essere i benefattori di turno bensì
perché è doveroso credere in un mondo nuovo e migliore in cui anche i grandi personaggi
sportivi lo siano sino in fondo; sarebbe necessario che queste iniziassero soprattutto a
cambiare rotta per dare la possibilità a tutti di mettersi in gioco: anche chi è disabile e pratica
sport ha voglia di allenarsi, gareggiare e vincere tanto quanto un atleta normodotato. Parliamo
di realtà troppo spesso lasciate sole, di atleti la cui disabilità è fonte di imbarazzo e i cui
risultati poco contano in quanto eventi poco notiziabili.
Come dei novelli Diogene non dovremmo girare con il lanternino per scovare ciò che
invece abbiamo molte volte sotto gli occhi. In questo lavoro di scavo e ricognizione la Rai nel
Veneto ha deciso di invertire la rotta, con i suoi servizi e inchieste ha potuto compiere un
lavoro che ha generato, come un effetto domino, delle storie che cominciavano dove altre
finivano. A volte sono stati gli stessi cittadini, attraverso delle segnalazioni telefoniche, a
mettere sotto i riflettori storie che tanti davano per scontate. In tutto questo non è sufficiente
parlare della regione Veneto come quella in cui il volontariato sociale è una enorme ricchezza
se poi non esiste un servizio informativo adeguato che supporti questa grande solidarietà. Non
16
Regione del Veneto – Corecom, Disabilità e informazione in Veneto – Cierre edizioni, 2003 Verona pag. 42
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si tratta più di un lavoro dilettantistico ma di un compito che la stessa Rai si è posta come
meta; un impegno, una mission che non si deve fermare a fornire solo una fotografia di quanto
sta accadendo nella società civile. Il servizio pubblico deve invece essere il punto di
intermediazione tra un mondo, quello dei disabili, in continua crescita ed una società civile
che deve abbandonare il proprio ruolo ghettizzante; il solo scopo che conta, infatti, è quello di
iniziare un progetto nuovo in cui il mondo della disabilità sia riconosciuto come parte della
stessa società e non come una realtà parallela.
3.5 ANDREA STELLA: Due ruote sull’Oceano.
Andrea Stella, un nome che forse a più dice veramente poco ma che la stampa che si
occupa di sport e disabilità ha delineato come un icona. La stampa ha parlato a lungo della
vita di questo giovane da quando un terribile incidente lo ha relegato su una sedia a rotelle.
Lui, grazie all‟apporto del padre, ha progettato e realizzato (insieme ad una ditta Comasca del
settore) un catamarano a misura di sedia a rotelle. Lo Spirito di Stella, così si chiama
l‟imbarcazione, è divenuto il simbolo, assieme al suo proprietario, di un modo diverso di
concepire lo sport connesso ai disabili. L‟aspetto fondamentale che egli vuol far comprendere
alla gente comune tramite i mass media è che molte volte, parlando di disabilità, si mettono in
atto tutta una serie di atteggiamenti quasi a voler evitare tutti coloro che risultano affetti da
una qualsiasi menomazione: sia essa congenita o meno. Il messaggio che invece si vuole
veicolare e che è alla base del suo pensiero è che la disabilità la maggior parte della volte sta
dentro sia alle nostre teste che nella nostra non–cultura. Riprendendo una frase dello stesso
Stella “l’Handicap in sé non esiste”. In questo suo progetto librario è stato seguito, con cura e
passione, da Candido Cannavò, già Direttore della Gazzetta dello Sport, che ha deciso di
scrivere un articolo che parlasse sia di quanto era accaduto ma anche di quanto il nostro
protagonista stava facendo.
Obbiettivo di Andrea era portare un nuovo messaggio nel mondo della disabilità e in
questa sua lotta gli era accanto il maggior quotidiano sportivo italiano. I media, nello
specifico la Gazzetta, divennero la cassa di risonanza di un messaggio di speranza tanto da
porre quasi in secondo piano ciò che era accaduto in Florida nell‟estate del 2000. Il terrore,
racconta il protagonista al direttore, si era materializzato a Fort Lauderdale, meta delle
vacanze premio dopo la laurea il 29 agosto 2000: il giorno nel quale alcuni malviventi,
cercando di rubargli l‟auto a noleggio, gli spararono rendendolo disabile. La fine di una vita e
l‟inizio di un‟altra. Un incubo che spezzava ogni legame con il suo futuro ma che dava inizio
a quel progetto di aiutare coloro che si trovano nelle stesse sue condizioni. In questo
messaggio di speranza è proprio Cannavò che raccoglie le parole di Stella. Sono i media che
pag. 45
danno risalto a quanto sta facendo questo giovane laureato vicentino che con il suo sogno
vuole dare un senso alla propria vita e a quella di molti altri. La valenza mediatica genera un
continuo tam tam e il suo sogno diventa realtà tant‟è che la sua barca diviene l‟icona di colui
che non ha mai smesso di credere nello sport trascinando, in questo suo progetto, i media che,
a loro volta, diventano suoi complici; i porti che lo vedono approdare sono seguiti
incessantemente dalla stampa che fornisce un accurato resoconto su quanto sta realizzando
questo nuovo eroe; ed è sempre la stampa che, con un attento lavoro mediatico, da voce alla
speranza: personaggi storici della vela italiana come Soldini, Scarpa o i due Pelaschier
divengono i protagonisti, insieme ai media, di un sogno che si realizza. Sono questi gli istanti
in cui la valenza mediatica assume una grande importanza, sono le immagini della televisione
che rendono appieno il valore di quanto Stella ha realizzato ma anche di quanto avrebbe
rappresentato, da quel momento, per coloro che ritenevano la disabilità un sconfitta della vita.
Il diario di bordo del primo viaggio il “Back to Florida” diviene il racconto di un gruppo di
amici che hanno deciso di sconfiggere l‟indifferenza e il ritardo strutturale nell‟affrontare il
problema della disabilità. Cannavò e la Gazzetta diventano testimonial di una vittoria, di
un‟affermazione della vita sulla morte, della rinascita dopo la malattia e del trionfo dopo la
sofferenza; lo stereo suona siamo solo noi del Blasco, Natale è alle porte e la festa prova a
cancellare il passato.
Ci troviamo ora sul viaggio di ritorno, la Florida è lontana e anche il ricordo di quanto era
accaduto sta sbiadendo. Andrea sembra il bimbo appena battezzato nell‟istante in cui il
sacerdote lo conduce ad una vita nuova. Lo Spirito di Stella inizia a navigare e i media
cominciano a seguire le sue imprese. Inizia una nuova missione nella quale il quotidiano rosa
intraprende la propria battaglia per portare avanti la lotta contra coloro che continuano ad
ostacolare queste persone; una lotta contro le barriere che mostrano la barca come un
messaggio di speranza. L‟importanza dei canali mediatici è perciò rilevante, sono essi che
pongono all‟attenzione della gente comune i problemi, sono i media a dare voce a coloro che
voce non hanno. Lo Spirito di Andrea arriva sino a Valencia durante le regate pre Coppa
America ed insieme al Re di Spagna danno vita ad un progetto sul territorio iberico chiamato
“Un mar sin barerras”17
.
Questa esperienza diviene, perciò, un grande progetto che si avvale di una notevole eco
mediatica. L‟idea di non abbandonare i propri sogni fanno diventare Stella un soggetto alla
continua ricerca di opportunità per parlare di sport e disabilità e, grazie all‟aiuto di media,
17
Un mare senza barriere.
pag. 46
sponsor e celebri personaggi del mare comincia a propagandare la propria idea: è l‟inizio di
una nuova vita e sono gli a tu per tu con i grandi personaggi altamente mediatici come
Giovanni Soldini che permettono al suo sogno di realizzarsi. Per questo motivo nell‟Ottobre
del 2003 nasce l‟associazione onlus “Lo Spirito di Stella” il cui scopo è promuovere una
serie di attività rivolte ai disabili. Nascono in tutta Italia e anche all‟estero (Spagna) scuole
gratuite di vela per disabili.
Legate al mondo della vela e della disabilità nascono diverse collaborazioni tra cui quelle
messe in piedi con alcune facoltà specialmente nel campo dell‟ingegneria, dell‟architettura e
del design industriale; fine ultimo di questi progetti è organizzare dei work shop o seminari
dove si parla di studiare un nuovo modo di fare ingegneria o architettura rivolta ai disabili al
fine di progettare un mondo accessibile a coloro che spesso ne vengono esclusi. Tutto questo
viene svolto dentro ad un progetto comunicativo nuovo nel quale la Onlus Lo Spirito di Stella
è divenuta gestore della parte mediatica coordinando, attivamente, ogni attività in modo
altamente professionale. L‟associazione, oggigiorno, può contare sia su un sito internet che su
una serie di eventi a cui Andrea partecipa in prima persona. Sul sito, poi, si trovano tutta una
serie di notizie che riguardano sia l‟imbarcazione ma anche tutti gli eventi mediatici a cui il
nostro protagonista partecipa e che raccontano come la promozione sia televisiva che sulla
carta stampata sono utili per far luce sulle problematiche che riguardano il mondo dei disabili
in campo sportivo.
3.5.1 L’INTERVISTA AD ANDREA STELLA.
Poiché il personaggio di cui abbiamo parlato è un‟icona della disabilità che cerca di
trasmettere le proprie idee e convinzioni mi è parso utile intervistarlo in quanto ho cercato di
capire cosa significasse essere disabile, oltre ad approfondire il rapporto tra stampa e
disabilità. Lasciamo, perciò, a lui la parola e sentiamo il suo pensiero: lui grande appassionato
di vela, passione che ora vuole trasmettere a individui disabili in giro per il mondo:
“Io oggi vivo una vita normale e felice anche se mi sento disabile quando l'ambiente che
mi circonda mi impedisce, a causa di barriere architettoniche e culturali, di muovermi
liberamente; il gradino che non serve, la porta troppo stretta che non mi permette di entrare
oltre all'ignoranza di alcune commissioni mediche che non rilasciano la patente nautica ad
una persona disabile quando invece una legge da poco promulgata lo permette; le difficoltà
che una persona con disabilità incontra sono purtroppo quelle legate a queste barriere che
rendono di difficile fruizione molte cose che dovrebbero essere assolutamente normali come
prendere un autobus o andare al ristorante;” ho chiesto perciò ad Andrea cose fosse il senso
pag. 47
della vita per un disabile dentro ad una società che esalta il gusto del bello e la sua risposta è
stata alquanto disarmante: “Perché un disabile non può essere bello?”. La sua passione per la
vita e lo sport lo hanno reso più forte per cui è importante che lui abbia detto che per lui “lo
sport è passione, energia, è benessere. Ti fa star bene fisicamente e psicologicamente perché
ti allena a combattere con entusiasmo e lealtà”. Fare sport per Andrea è importante per
questo ha voluto sottolineare che l‟attività sportiva è “Importantissima come per tutte le
persone ma per i disabili lo è ancor di più; per me riprendere con lo sport ha significato
riprendere a comandare e dirigere la mia vita. Prima dell’incidente sciavo, facevo gare,
amavo quella sensazione di velocità unita alla lamina che taglia la neve; oggi queste
sensazioni le ritrovo tutte con lo speciale monosci che mi permette di sciare insieme ai miei
soliti amici”. Allora ho chiesto quale potesse essere l‟importanza dell‟informazione e la
risposta è stata tanto forte quanto semplice: “L'informazione riveste un ruolo fondamentale
soprattutto oggi che usiamo internet e televisione! Ricordo poi che un tempo, mi racconta chi
ha qualche anno più di me, si stava in piazza tutti insieme belli e brutti, ricchi e poveri, e tra
questi c'erano anche il cieco, lo zoppo, il ritardato, erano chiamati magari con nomi poco
political correct ma erano accolti ed era normale vederli insieme a tutti. Oggi che la piazza
non riveste più questo ruolo, oggi che i bambini non giocano più in strada ma stanno chiusi
nelle loro stanze attaccati ad un computer è necessario un’informazione che aiuti ad uscire
tutti dai propri gusci e che questo sia uno sprono per ognuno perché anche questo è un
dovere che tutti debbono provare a risolvere”.
La stampa, secondo Andrea (foto a
fianco), ha il potere di creare delle
icone e lui ha le sue: “Pistorius e
Zanardi sono due esempi eccezionali,
un vero messaggio di speranza per
tutti! Ma ci sono tantissimi sportivi
per nulla conosciuti, capaci di grandi
gesta e di grandi emozioni, basta
vedere una partita di basket in
carrozzina o di tennis ad altissimi
livelli.
Tutto questo, per il nostro protagonista, è fondamentale ma secondo lui occorre dell‟altro,
oggi le aziende dovrebbero destinare alcune risorse alla cosiddetta responsabilità sociale
pag. 48
aziendale; è una pratica ancora poco in voga e legata, purtroppo, ad un’idea sbagliata di
buonismo, tuttavia se queste azioni vengono valorizzate possono essere un eccellente
strumento di marketing aziendale, non per farsi belli ma per creare una cultura che permetta
ad determinate iniziative di proceder affinché i loro messaggi permeino la società.
Bisogna infatti ricordare poi che lo sport per persone con disabilità motoria è spesso
molto costoso perché richiede l'utilizzo di un ausilio speciale: un bambino “normale” con
una palla e un canestro gioca a pallacanestro per un bambino disabile serve una carrozzina
speciale che costa 3.000 euro. Io credo nello sport perché sono certo che possa insegnare
molto alla società civile, è sufficiente pensare come ad ogni olimpiade segua, un mese dopo,
la manifestazione paraolimpica. Questa, concretamente, porta a ripensare alla città, ai suoi
servizi e alle sue barriere che devono essere eliminate per ospitare gli atleti disabili: la città
migliora diventando quindi a misura di tutti. Le grandi gesta dello sport disabile, in fondo,
sono alte e permettono di capire che i limiti sono spesso solo nella nostra testa! Per questo
spero che l’informazione riservata al mondo dei disabili possa crescere sempre più
auspicando che riesca a strappare uno spazio sempre maggiore al calcio e al suo
monopolio”.
pag. 49
Bibliografia
Arrigoni Claudio, Paralimpici, Ulrico Hoepli editore, Milano 2006.
AA.VV., Sport e mass media, (a cura di Andrea Borri) Gius Laterza e
figli, Bari 1990.
Corecom – Regione Veneto, Disabilità e informazione nel Veneto,
Cierre edizioni, Sommacampagna (VR) 2003.
Elias Norbert e Dunning Eric, Sport e Aggressività, Il Mulino, Bologna
2001.
Panathlon International, Sport. Etiche. Culture., Fair Play Sponsor
Doping, azienda grafica Brusco Rapallo 2003/4.
Ricci Barbara e Ugliano Mimmo, Campione farò di te un star, Franco
Angeli editore, Milano 2004.
http://www.katango.it/
pag. 50
INDICE
Capitolo 1
Sport e Mass Media …………………………………………… pag 3
1.1 Carta stampata, radio, televisione e internet ………..………… “ 3
1.2 Sportweek: un modo diverso di fare stampa sportiva ………. “ 20
Capitolo 2
Gli sport alternativi …………………………………………… pag 23
2.1 Katango.it: una scelta editoriale sul web …………….……... “ 23
2.2 Point Break: un magazine per gli operatori del settore ….…. “ 26
2.3 Urban Sport: Parkour, Freerunning e Art du Deplacement ....... “ 27
2.4 Stefano Bizzotto: hockey su ghiaccio, una passione ………… “ 31
Capitolo 3
Disabilità, Sport e Mass Media ………………………………... pag 35
Premessa ………………………………………………………… “ 35
3.1 Giochiamo Insieme: il progetto della Provincia di Genova …. “ 35
3.2 Sportabilia: una finestra sul mondo dello sport per disabili ..... “ 36
3.3 Lorenzo Roata: un giornalista con la passione per lo sport ….. “ 38
3.4 La Rai nel Veneto: la sfida del servizio pubblico ………….… “ 42
3.5 Andrea Stella: due ruote sull‟oceano ………………………… “ 45
3.5.1. L‟intervista ad Andrea Stella ………………………….. “ 47
Bibliografia ……………………………………………………… pag 50