UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO - cicogneracconigi.it · preoccupante e costante perdita di...
Transcript of UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO - cicogneracconigi.it · preoccupante e costante perdita di...
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO
SCUOLA DI SCIENZE DELLA NATURA
Elaborato Finale di Laurea in Scienze Naturali
Classe di laurea N. L-32
Progetti di rinaturalizzazione di due aree umide piemontesi
Candidato:
Roberta Donato
Matricola: 731647
Anno Accademico 2012/2013
Relatore interno:
Prof. Enrico Caprio
Indice
1. Introduzione ................................................................................................................................... 1
1.1 Le aree umide ........................................................................................................................... 1
1.2 Cause di disturbo e di degrado ................................................................................................. 2
1.3 Le funzioni e i servizi ecosistemici .......................................................................................... 3
1.4 Valutazione dei servizi ecosistemici ........................................................................................ 5
1.4.1 Il caso studio dell'area umida di De Wieden, Olanda (Hein et al., 2006) ......................... 7
1.5 Cenni sulla normativa di riferimento ....................................................................................... 8
1.5.1 La Convenzione di Ramsar ............................................................................................... 8
1.5.2 La"Direttiva Uccelli"......................................................................................................... 9
1.5.3 La "Direttiva Habitat" ....................................................................................................... 9
1.6 Cenni sulla normativa delle acque ......................................................................................... 10
2. Lo scopo della tesi .................................................................................................................... 14
3. Le aree di studio ....................................................................................................................... 15
3.1 Racconigi ............................................................................................................................... 15
3.1.1 Il progetto di rinaturalizzazione ...................................................................................... 20
3.2 Asti ......................................................................................................................................... 23
3.2.1 Il progetto di rinaturalizzazione ...................................................................................... 28
3.3 Clima ...................................................................................................................................... 31
4. Monitoraggio ............................................................................................................................ 32
5. Risultati .................................................................................................................................... 33
6. Discussioni ............................................................................................................................... 40
6.1 Descrizione delle specie osservate ......................................................................................... 40
6.2 I servizi ecosistemici delle aree umide ................................................................................... 43
7. Conclusioni .................................................................................................................................. 51
8. Il Programma di Sviluppo Rurale ................................................................................................ 52
Bibliografia ...................................................................................................................................... 55
Desidero innanzitutto ringraziare il prof. Enrico Caprio, relatore della mia tesi, per l'aiuto, la
pazienza e il tempo che mi ha dedicato durante l'elaborazione e la stesura di questo lavoro.
Vorrei quindi esprimere la mia gratitudine al signor Bruno, a sua figlia Gabriella e a tutta la
famiglia Vaschetti, per la disponibilità e la simpatia dimostrate durante il periodo di stage presso il
Centro Cicogne di Racconigi e in occasione delle mie visite successive e per avermi fornito
indicazioni e materiali importanti ai fini di questo studio.
Inoltre ringrazio sentitamente il dott. Giorgio Baldizzone, responsabile dell’Oasi WWF Valmanera
di Asti, il dott. Marco Demaria, responsabile dell’Oasi Urbana WWF La Bula di Asti e il gruppo
WWF Sezione di Asti per l'amicizia accordata, l’interesse dimostrato e le preziose informazioni
relative al progetto e alla gestione dell'Oasi La Bula.
Un grazie di cuore ai miei genitori, ai miei familiari e ad Alessandro per il sostegno continuo che
mi hanno offerto durante il percorso di studi.
Non da ultimo, un ringraziamento affettuoso ai compagni di corso e agli amici con cui ho condiviso
i momenti più e meno belli dei tre anni appena trascorsi.
Grazie!
1
1. Introduzione
1.1 Le aree umide
Le aree umide sono “aree in cui l’acqua è il fattore primario che controlla l’ambiente e la
vita di piante ed animali ad esso associati” (Nierig, 1985). Le aree umide sono considerate
risorse, in quanto producono beni e svolgono funzioni fondamentali.
Per permettere studi e confronti a livello globale, è necessaria una definizione condivisa.
Quella proposta dalla Convenzione di Ramsar (1971) è piuttosto ampia: “si intendono per
zone umide le paludi e gli acquitrini, le torbiere oppure i bacini, naturali o artificiali,
permanenti o temporanei, con acqua stagnante o corrente, dolce, salmastra, o salata, ivi
comprese le distese di acqua marina la cui profondità, durante la bassa marea, non supera i
sei metri”.
L’ultimo aggiornamento del 2010, indica che circa 185 milioni di ettari di aree umide in
1889 siti in tutto il mondo sono stati designati “Aree umide di importanza internazionale”
ed inseriti nella lista istituita dalla Convenzione.
Le aree umide sono ecosistemi estremamente interessanti, essenziali per il mantenimento
degli equilibri naturali della biosfera e per la conservazione della biodiversità,
rappresentando così un tassello fondamentale per una rete ecologica integra ed efficiente.
Nonostante queste considerazioni, gli studi sull’argomento hanno evidenziato la
preoccupante e costante perdita di zone umide in tutto il mondo, principalmente a causa
delle attività antropiche. Solo in Asia, 5000 km2 di aree umide sono persi ogni anno a
causa dell’agricoltura, della costruzione di dighe e altri usi (McAllister et al., 2001). Una
stima sostiene che il 50% delle aree umide mondiali inizialmente presenti sul pianeta, sia
già andato perso in seguito all’attività dell'uomo (Organ. Econ. Co-op. Dev./World Conserv.
Union (IUCN), 1996). La maggior parte di questa perdita si è verificata nei Paesi
dell’emisfero settentrionale durante la prima metà del XX secolo, ma dagli anni ’50 si è
verificato un incremento di perdita di aree umide anche nelle zone tropicali e subtropicali
del Pianeta a causa delle conversioni di questi territori ad usi alternativi del suolo (Moser et
al., 1996). Si stima che al 1985, il 26% delle aree umide mondiali sia stato drenato per
l’agricoltura intensiva (specialmente in Europa e Nord America).
Le stime riguardanti l’estensione attuale delle aree umide a livello globale sono piuttosto
discordanti. La Convenzione di Ramsar indica un valore compreso tra 7,48 e 7,78 milioni
km2, escludendo dal conteggio acquitrini salati, bassifondi costieri, praterie marine e altri
habitat non considerati aree umide. Finlayson e colleghi (1999) propongono una stima di
2
12.8 milioni di km2. Questo valore, seppure sia maggiore di quello fornito dalla
Convenzione di Ramsar, rappresenta meno dell’8,6% della superficie delle terre emerse
globali.
1.2 Cause di disturbo e di degrado
Poiché le caratteristiche idrologiche sono il fattore maggiormente condizionante per l’area
umida e le comunità ad essa associate, ogni loro modificazione (naturale o artificiale)
minaccia l’area e la sua integrità, provocando alterazione e frammentazione degli habitat.
Allo stesso modo, anche la qualità dell’acqua condiziona l’area e il suo funzionamento. Le
minacce maggiori derivano dall’aumento dell’apporto di sostanze inquinanti e di nutrienti
(fenomeno dell’eutrofizzazione). Una conseguenza del problema è l’eccessivo sviluppo di
specie vegetali aggressive, che acquisiscono un vantaggio competitivo a discapito delle
specie autoctone. E’ stato osservato infatti come l’apporto di acque ricche in nutrienti
conduca al predominio di poche specie, in zone acquitrinose che presenterebbero altrimenti
ambienti dall’elevata ricchezza specifica. Sovraccarichi di azoto e fosforo possono causare
inoltre fioriture algali che oscurano il fondale, creano condizioni di ipossia e sono dannose
per gli altri organismi acquatici.
L’urbanizzazione e l’industria sono alla base del deterioramento delle aree umide e del loro
inquinamento. L’urbanizzazione è responsabile della perdita diretta di superfici
inizialmente occupate da zone umide, mentre i tipi di inquinamento più strettamente
associati a questo fenomeno sono apporto di sedimenti in sospensione, nutrienti, sali
(derivati dalle attività di spargimento sulle strade), idrocarburi, sostanze chimiche tossiche,
batteri e virus. Un ulteriore problema legato all’urbanizzazione è la continua creazione di
superfici impermeabilizzate che impediscono l’infiltrazione di acqua nel suolo ed alterano i
bilanci idrici ed i tempi di derivazione delle acque superficiali e degli acquiferi.
L’industria altera molto spesso i regimi idrologici delle aree umide, captando o scaricando
acqua (spesso a temperature superiori o salinità e pH diversi dall’acqua già presente nel
corpo idrico interessato). Le contaminazioni più frequenti riguardano idrocarburi (compresi
gli idrocarburi policiclici aromatici, estremamente tossici) e sostanze radioattive.
Il drenaggio è invece la causa principale di perdita di aree umide nelle regioni agricole.
Queste attività, oltre a provocare una perdita diretta delle superfici, innescano reazioni a
3
catena di impatti negativi, tra i quali decomposizione della torba con conseguente rilascio
di sostanze chimiche (solfuri e nitrati) e contaminazione dei corpi idrici circostanti,
disgregazione del substrato, subsidenza del terreno. L’agricoltura intensiva, inoltre, fa
enorme uso di nutrienti e di pesticidi chimici, i quali entrano inevitabilmente a far parte del
ciclo dell’acqua e degli elementi, causando avvelenamenti e scompensi. Le attività agricole
sono anche la causa dell'eccessivo prelievo e/o delle modificazioni del percorso naturale
dei corsi d’acqua, necessari per alimentare i sistemi di irrigazione.
Ulteriori attività umane dannose per le aree umide sono la silvicoltura e le attività
estrattive. Queste ultime possono interessare direttamente la torba, o prodotti non
strettamente associati alle aree umide e implicare azioni di disboscamento, drenaggio,
costruzione di strade oltre a provocare aumento di acidità delle acque e dei suoli e aumento
delle concentrazioni di sostanze tossiche e metalli pesanti (NCSU Water Quality Group).
Il Global warming ha invece ripercussioni negative sulle aree umide costiere, a causa
dell’innalzamento del livello dei mari che porterà inevitabilmente alla sommersione delle
zone depresse. Al contrario, altre aree umide come estuari, piane alluvionali e plaudi, sono
destinate a scomparire per l’eccessiva siccità.
Anche se un’area umida è sopravvissuta ad azioni di colmamento, drenaggio, deviazione,
non è detto che la sua integrità sia comunque preservata, né che sia al sicuro da futuro
degrado. Il primo effetto del degrado è la perdita di biodiversità, il cui tasso aumenta
quando le alterazioni si combinano tra loro. E’ chiaro che il degrado affligge anche le
funzioni svolte dalle aree umide, anche se non siamo ancora in grado di quantificare in
quale misura. La perdita di tali funzioni è almeno in parte sinonimo di perdita di servizi
ecosistemici forniti dalle aree umide all’uomo (Zedler e Kercher, 2005).
1.3 Le funzioni e i servizi ecosistemici
Per “funzioni ecosistemiche” si intendono generalmente le proprietà o i processi intrinseci
tipici che l'ecosistema svolge, in termini biologici, di habitat o di sistema.
Per “servizi ecosistemici” si intende invece l’insieme dei beni e dei servizi forniti
dall’ecosistema, molti dei quali sono di fondamentale importanza per la sopravvivenza, la
salute, il sostentamento ed il benessere dell’uomo. I servizi ecosistemici costituiscono la
base per la valutazione degli ecosistemi (Tab. 1).
4
Il Millenium Ecosystem Assessment, la "Valutazione degli Ecosistemi del Millennio"
(MA) è un progetto di ricerca lanciato nel 2001 con il supporto dell'ONU, che ha coinvolto
più di 1000 scienziati di fama mondiale, al fine di valutare i cambiamenti subiti dagli
ecosistemi terrestri, sviluppare scenari per il futuro e fornire indicazioni utili per coloro che
si occupano di decision-making. L'MA ha valutato 24 servizi ecosistemici, suddivisi in
quattro categorie:
- servizi di supporto alla vita, ovvero i servizi essenziali che permettono la vita sulla
Terra (acqua, produzione primaria, formazione del suolo...)
- sevizi di approvvigionamento, ovvero i beni e servizi prodotti dall'ecosistema (acqua,
cibo, legname, fibre, combustibili...)
- servizi di regolazione, derivanti dalla capacità degli ecosistemi di regolare una varietà di
processi biochimici (regolazione del clima, trattamento dei rifiuti, cicli dei nutrienti,
regolazione dei pericoli naturali...)
- servizi di valore culturale, di cui l'uomo può godere (estetici, spirituali, educativi,
ricreativi...).
Dei 24 servizi ecosistemici analizzati dal MA, è risultato che solo 4 di essi hanno mostrato
miglioramenti negli ultimi 50 anni, 15 sono in serio peggioramento e 5 sono considerati
tendenzialmente stabili, anche se sono minacciati in alcune parti del mondo.
Alcuni autori, basandosi sulla classificazione proposta da Groot et al. (2002), preferiscono
individuare solo tre categorie, escludendo quella di “servizi di supporto alla vita”. Questi
ultimi infatti rappresenterebbero dei processi ecologici che sono alla base del
funzionamento dell’ecosistema, il cui valore si riflette già all’interno delle altre tre
categorie (Hein et al., 2006).
Il degrado degli ecosistemi e la perdita di biodiversità minano il funzionamento e la
resilienza degli ecosistemi, compromettendo la loro capacità di fornire il flusso continuo di
servizi per le generazioni presenti e per quelle future.
5
Tab. 1. Esempi di servizi e funzioni ecosistemici. Costanza et al., 1997.
1.4 Valutazione dei servizi ecosistemici
Senza dubbio gli ecosistemi terrestri hanno per l'uomo un valore che possiamo considerare
inestimabile se non addirittura "infinito". Basti pensare per assurdo, ai costi che l'umanità
dovrebbe sostenere per rimpiazzare alcune funzioni ecosistemiche fondamentali
nell'ipotetico caso in cui queste cessassero improvvisamente di esistere. Può sembrare
quindi impossibile, o comunque estremamente complicato, voler quantificare in termini
economici il flusso di beni e servizi che gli ecosistemi ci forniscono costantemente (come
potremmo rispondere alla domanda "quanto vale l'atmosfera per l'uomo"?). Ciò che invece
è più appropriato valutare è in che misura i cambiamenti quantitativi o qualitativi (anche
6
minimi) nella fornitura di diverse tipologie di servizi ecosistemici o capitali naturali,
possano affliggere il benessere umano (Costanza et al., 1997). La questione è alla base di
tutte le decisioni che la società prende (o dovrebbe prendere) riguardo agli ecosistemi.
Poiché questi processi decisionali implicano sempre delle valutazioni, diventa necessario
riuscire ad esprimere il valore dei servizi fornitici dagli ecosistemi attraverso valute di
riferimento; in questo modo si disporrà di uno strumento essenziale per scambiare
informazioni, descrivere l'importanza relativa di ecosistemi e biodiversità ai policy makers
ed accrescere la loro consapevolezza in materia, per supportarli nel momento in cui questi
si trovino ad affrontare delle scelte o a dover fare raffronti tra realtà differenti, difficili da
paragonare. Si tratta quindi di fornire un aiuto fondamentale, finalizzato ad una gestione
più accorta ed efficiente dei fondi (spesso limitati), individuando le zone in cui protezione
e ripristino siano economicamente più importanti e vantaggiosi e dando indicazioni per
un'adeguata ripartizione delle risorse tra due o più progetti diversi in concorrenza tra loro.
Le prime ricerche sui metodi di valutazione degli ecosistemi risalgono agli anni '60, ma è
solo con la pubblicazione di Costanza et al. (1997) che hanno ricevuto maggiore attenzione
e visibilità. La valutazione in unità monetarie è uno studio estremamente complesso, che
può riguardare una varietà di ecosistemi o di aspetti di essi (aree o risorse diverse,
differenti livelli di scala, di tempo, di complessità...) senza che attualmente vi sia una
definizione né un metodo di valutazione unico e universalmente condiviso.
Groot et al. (2012) presentano i risultati del loro studio di valutazione economica dei
servizi ecosistemici forniti da 10 tra i principali biomi terrestri. Per ogni bioma sono stati
considerati 22 servizi ecosistemici e i risultati ottenuti, in seguito ad una complessa attività
di ricerca basata su studi e database già esistenti, sono stati inseriti nell'ESVD (Ecosystem
Services Value Database), che rappresenta uno tra i più ricchi database in materia, con
oltre 1350 valutazioni. Per permettere l'accessibilità e la possibilità di confrontare i
risultati, i valori ottenuti sono stati tutti convertiti in un'unità di misura condivisa, i 2007
"International" $/ha/year.
L'esempio riportato presenta solo uno tra i tanti metodi di valutazione propositi negli studi
di questo tipo. La difficoltà maggiore della valutazione economica degli ecosistemi deriva
dal fatto che molti dei loro servizi non sono direttamente scambiati sui mercati o
producono beni dal carattere (semi) pubblico.
Costanza e colleghi (1997) propongono un esempio di stima del valore totale dei servizi
ecosistemici forniti dalla Terra, individuando 16 categorie di uso del territorio a livello
globale, suddivise in "ecosistemi terrestri" e "ecosistemi marini". Il risultato finale è un
7
valore di servizi ecosistemici globali compreso tra 16 e 54 trilioni di dollari (US$) all'anno,
con una media di 33 trilioni di dollari all'anno (corrispondente a 1.8 volte il GNP globale
dell'epoca). Ciò significa che se dovessimo rimpiazzare questi servizi, dovremmo investire
33 trilioni di US$ all’anno, solo per mantenere il nostro benessere al livello attuale, senza
essere in grado di aumentarlo. La maggior parte dei valori stimati si riferisce a servizi non
appartenenti al market system, come i servizi di regolazione dell’atmosfera (1.3
trilioni/anno), regolazione dei disturbi (1.8 trilioni/anno), trattamento dei rifiuti (2.3
trilioni/anno) e cicli dei nutrienti (17 trilioni/anno). Circa il 63% dei valori stimati proviene
da sistemi marini (20.9 trilioni/anno), molti dei quali da sistemi costieri (10.6
trilioni/anno). Circa il 38% del valore stimato deriva da sistemi terrestri, principalmente
dalle foreste (4.7 trilioni/anno) e dalle aree umide (4.9 trilioni/anno).
Lo studio sviluppato ha lo scopo di proporre un miglioramento nei sistemi di gestione della
contabilità nazionale, che dovrebbero tenere più in considerazione il valore dei servizi
ecosistemici e dei capitali naturali del loro territorio. Questi studi, al momento
sottovalutati, dovrebbero inoltre entrare concretamente a far parte dei processi di
valutazione e di decisione che precedono la realizzazione di vari progetti. La negligenza
attuale porta troppo spesso alla realizzazione di progetti con errori intrinseci, i cui costi
sociali superano di gran lunga i benefici ottenuti.
1.4.1 Il caso studio dell'area umida di De Wieden, Olanda (Hein et al., 2006)
Un esempio di questo tipo di valutazione riferito ad un'area umida è rappresentato dal caso
studio dell'area umida di De Wieden, in Olanda. Il lavoro è mirato a quantificare in termini
economici i beni e i servizi forniti dall'area e a determinare a quale livello di scala
appartengano gli stakeholders che ne sono interessati (intendendo per “stakeholders”
coloro che possono condizionare o essere condizionati direttamente dai servizi ecosistemici
in questione).
De Wieden è una delle torbiere più estese di tutto il nord Europa occidentale e include una
vasta gamma di corpi idrici di varie dimensioni (laghi, canali, acquitrini), oltre a canneti,
coltivi e foreste. Per lo studio è stata selezionata l'area centrale di De Wieden, che
comprende circa 5200 ettari e include quattro dei laghi più estesi, insieme al territorio
circostante.
Per questo studio sono stati selezionati quattro tipi di servizi ecosistemici: fornitura di
canne e di pesce (entrambi servizi di produzione), fornitura di possibilità per la ricreazione
8
dell'uomo e conservazione della natura (entrambi servizi culturali). Il valore monetario
combinato e approssimato dei quattro servizi insieme è nell'ordine di 4.500.000 € all'anno,
pari a 830 €/ha/anno.
De Wieden è inoltre un ottimo esempio per evidenziare come stakeholders a scale
differenti abbiano interessi diversi (e spesso contrastanti) tra loro. Ad esempio le attività di
taglio delle canne e di pesca interessano stakeholders a livello locale, poiché la limitatezza
delle aree che forniscono questo tipo di servizi produttivi fa sì che la quantità di canne e di
pesce prodotti a De Wieden non abbia alcuna rilevanza su scala nazionale. La fornitura di
servizi ricreativi, ma soprattutto di conservazione della biodiversità di De Wieden,
incontrano invece gli interessi di stakeholders a livello nazionale. Queste discordanze
portano inevitabilmente a punti di vista contrari riguardo le scelte gestionali dell'area. Il
piano di gestione ottimale deve costituire un equilibrio tra tutti gli interessi in gioco, senza
dimenticare che non si può considerare un unico livello di scala di interessi. Un elemento
indispensabile per il raggiungimento di questi obiettivi è senza dubbio la cooperazione tra
le parti.
1.5 Cenni sulla normativa di riferimento
L'ordinamento giuridico in materia di tutela delle aree umide fa riferimento a norme e
direttive internazionali, poi recepite in Italia a livello nazionale e regionale. La normativa
in materia nasce inizialmente come strumento di tutela di determinati habitat e specie, per
conquistare in tempi recenti una visione più ampia e interdisciplinare, che considera l'area
umida come un insieme di aspetti e funzioni interconnessi.
Di seguito sono riportate brevemente alcune tappe fondamentali della normativa di
riferimento.
1.5.1 La Convenzione di Ramsar
La già citata Convenzione di Ramsar è stata firmata il 2 febbraio 1971 a Ramsar (Iran) nel
corso della Conferenza Internazionale sulla Conservazione delle Zone Umide e sugli
Uccelli Acquatici e rappresenta una pietra miliare per la normativa di riferimento in
materia.
La Conferenza è stata promossa dall'International Waterfowl and Wetlands Research
Bureau (IWRB) con la collaborazione dell’International Union for the Nature Conservation
(IUCN) e dell’International Council for Bird Preservation (ICBP) e ha visto la
9
partecipazione di alcune organizzazioni internazionali quali la Food and Agriculture
Organisation (FAO), l’United Nations Educational Scientific and Cultural Organization
(UNESCO), il Conseil International de la Chasse (CIC) e il World Wildlife Foundation
(WWF).
La Convenzione riconosce "le funzioni fondamentali delle aree umide, quali regolatori dei
regimi idrici e quali habitat di supporto a flora e fauna tipiche, con particolare riferimento
agli uccelli acquatici", soprattutto durante il periodo della migrazione.
La Convenzione afferma inoltre che "le aree umide costituiscono una risorse di grande
valore economico, culturale, scientifico e ricreativo, la cui perdita sarebbe irrimediabile" e
auspica quindi che "la conservazione delle aree umide e della loro fauna e flora possa
essere assicurata combinando politiche lungimiranti a livello nazionale con azioni
coordinate internazionali".
1.5.2 La"Direttiva Uccelli"
La "Direttiva Uccelli" (Direttiva n. 79/409/CEE relativa alla conservazione degli uccelli
selvatici) è una direttiva approvata il 2 aprile 1979 dalla Commissione Europea, il cui
scopo è la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato
selvatico nel territorio europeo degli Stati membri, vietandone la cattura, l'uccisione, la
distruzione delle uova e dei nidi, la detenzione di esemplari vivi o morti, e il disturbo
ingiustificato ed eccessivo, pur riconoscendo la legittimità della caccia alle specie indicate
nell'Allegato II. La Direttiva richiede inoltre agli Stati membri di preservare, mantenere o
ripristinare i biotopi e gli habitat di questi uccelli, anche attraverso l'istituzione di Zone a
Protezione Speciale (ZPS), laddove sia riconosciuta la presenza di specie elencate
nell'Allegato I della Direttiva.
La "Direttiva Uccelli" è stata recepita in Italia dalla Legge 11 febbraio 1992, n°157. Norme
per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio.
1.5.3 La "Direttiva Habitat"
La Direttiva Habitat (Direttiva n. 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat
naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche) è una direttiva approvata il 21
maggio 1992 dalla Commissione Europea con lo scopo di “contribuire a salvaguardare la
biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della
flora e della fauna selvatiche” nel territorio comunitario. Gli habitat interessati da questa
Direttiva sono quelli che rischiano di scomparire dal territorio considerato, o che
10
costituiscono degli esempi notevoli poiché presentano caratteristiche tipiche di una delle
aree biogeografiche considerate dalla Direttiva.
Lo strumento di cui si avvale la Direttiva è la rete "Natura 2000", che costituisce un'unica
grande rete ecologica volta a garantire l'eventuale ripristino e il successivo mantenimento
degli habitat naturali e degli habitat delle specie interessate, in uno stato di conservazione
soddisfacente. Alla rete "Natura 2000" appartengono i Siti di Interesse Comunitario (SIC),
istituiti dalla stessa e le Zone a Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della "Direttiva
Uccelli". Ogni Stato membro ha il compito di individuare una serie di siti in cui si trovino
habitat con le caratteristiche indicate negli Allegati I e II della Direttiva. Dopo che la
Commissione Europea ha selezionato le zone idonee a diventare SIC, sarà compito degli
Stati membri designare, entro sei anni, tali aree come Zone Speciali di Conservazione
(ZSC) e dotarle quindi di uno specifico Piano di Gestione.
La Direttiva è stata recepita in Italia con il Decreto del Presidente della Repubblica 8
settembre 1997, n° 357. Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE
relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della
fauna selvatiche, integrato e modificato dal Decreto del Presidente della Repubblica 12
marzo 2003, n° 120. Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del
Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, concernente attuazione della
direttiva 92/43/CE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali,
nonché della flora e della fauna selvatiche.
1.6 Cenni sulla normativa delle acque
La Direttiva Quadro sulle Acque (The Water Framework Directive. Directive 2000/60/EC
of the European Parliament and of the Council of 23 October 2000 establishing a
framework for Community action in the field of water policy) rappresenta un quadro per
l’azione comunitaria in materia di acque, che pone tra i suoi obiettivi la prevenzione dal
deterioramento qualitativo e quantitativo delle acque, il miglioramento dello stato delle
acque e il loro uso sostenibile attraverso la protezione a lungo termine delle risorse idriche
disponibili.
Ogni Stato membro è responsabile dell'attuazione della Direttiva sulla porzione del
distretto idrografico (IRBD, International River Basin District, Fig. 1) di sua competenza,
analizzandone le caratteristiche, studiando gli impatti delle attività antropiche su acque
superficiali e sotterranee, effettuando un'analisi economica dell'utilizzo idrico e
11
coordinando le proprie azioni con gli altri Stati membri dello stesso distretto. La Direttiva
propone quindi un approccio innovativo per la gestione della risorsa acqua, introducendo
il concetto di bacino idrografico, considerato l'unità geografica e idrologica naturale e
ponendo delle specifiche scadenze entro le quali gli Stati membri devono mettere in pratica
delle misure per proteggere i loro ecosistemi acquatici. Lo strumento di programmazione
ed attuazione per il raggiungimento degli obiettivi della Direttiva è il Piano di Gestione,
che gli Stati membri devono predisporre per ogni bacino idrografico.
La Direttiva interessa le acque interne di superficie, le acque di transizione, le acque
costiere e le acque sotterranee. Tra gli obiettivi generali figurano:
- l'ampliamento della protezione delle acque superficiali e sotterranee
- il raggiungimento dello stato di "buono" entro il 31 dicembre 2015
- la gestione delle risorse idriche sulla base di bacini idrografici, indipendentemente dalle
strutture amministrative classiche
- la messa in atto di azioni che permettano in contemporanea il rispetto dei limiti di
emissione e il raggiungimento degli standard di qualità
- l'attribuzione del giusto prezzo ai servizi idrici, considerando il loro costo economico
reale
- la partecipazione del pubblico
12
Fig. 1. Mappa dei distretti idrografici nazionali e internazionali,
http://ec.europa.eu/environment/water/water-framework/facts_figures/index_en.htm
13
La direttiva 2000/60/CE è stata recepita in Italia attraverso il decreto legislativo 3 aprile
2006, n.152, che nell’art. 64 presenta la ripartizione del territorio nazionale in 8 distretti
idrografici (Fig. 2) e prevede per ogni distretto la redazione di un Piano di Gestione (art.
117), che spetta ai Comitati Istituzionali delle Autorità di bacino di rilievo nazionale,
integrati dai componenti designati dalle regioni il cui territorio ricade nel distretto a cui il
piano fa riferimento, in attesa della piena operatività delle Autorità di distretto idrografico.
Lo stesso Decreto Legislativo 152/2006, pone in capo alle Regioni l'obbligo della
redazione di un Piano di Tutela per il proprio
territorio, all'interno del quale si inserisce il
Piano di Tutela delle Acque (PTA) che tratta
aspetti quali lo stato dei corpi idrici e le
misure per la tutela qualitativa e quantitativa
delle acque, al fine di mantenere la capacità
naturale di autodepurazione dei corpi idrici,
nonché la capacità di sostenere comunità
animali e vegetali ampie e ben diversificate.
La Regione Piemonte persegue la protezione e
la valorizzazione del sistema idrico
piemontese nell'ambito del bacino di rilievo
nazionale del fiume Po.
Fig. 2. Mappa dei distretti idrografici italiani
http://www.direttivaacque.minambiente.it/recepi
mento_mappa.html
14
2. Lo scopo della tesi
Questa tesi si prefigge di valutare i risultati di due opere di rinaturalizzazione di aree umide
piemontesi, attraverso lo studio delle comunità ornitiche attualmente presenti nei due siti e
facendo considerazioni sui servizi ecosistemici forniti dalle aree umide dopo un'analisi
della bibliografia esistente.
Le aree oggetto di studio sono state interessate da due progetti di rinaturalizzazione diversi,
che condividono lo scopo comune di ricreare un ambiente prezioso e sempre più raro,
importante per la conservazione della biodiversità di fauna e flora legate alle aree umide,
utile anche ai fini della didattica e della sensibilizzazione del pubblico.
Il censimento delle comunità ornitiche rappresenta un ottimo strumento per valutare lo
stato di salute e l’integrità di un ecosistema, dedicando particolare riguardo alle specie
nidificanti.
La prima area umida interessata dallo studio è situata all’interno del Centro Cicogne e
Anatidi di Racconigi (CN) ed è frutto di attività di ricostruzione di habitat naturali iniziate
nel 1995, su terreni precedentemente adibiti alla coltivazione intensiva del mais. Gli scavi
effettuati hanno permesso la creazione di aree umide, che ad oggi coprono
complessivamente una superficie di circa 17 ettari, caratterizzati da acque basse
(5 – 20 cm), che favoriscono la presenza di Caradriformi.
Il secondo sito di studio è l’Oasi urbana “la Bula” di Asti, nata grazie ad un’opera di
rinaturalizzazione di una cava di inerti dismessa, in un’area in cui le attività estrattive sono
numerose e in parte, ancora in funzione. Il progetto di ingegneria naturalistica messo in
atto, ha permesso la creazione di un ambiente semi-naturale con specchi d’acqua profondi
anche 2 metri, che attirano specialmente Ardeidi, Rallidi e Anatidi tuffatori.
15
3. Le aree di studio
3.1 Racconigi Una parte dell’attività di studio si è svolta presso l’Associazione Centro Cicogne e Anatidi
di Racconigi (CN).
Il territorio della provincia di Cuneo (Fig. 3) si estende su un’area di circa 6900 km2 ed è
stretto tra i rilievi delle Alpi Cozie e Marittime ad ovest, delle Alpi Liguri a sud e delle
colline di Langhe e Monferrato ad est. All’interno di questo semicerchio di rilievi si
sviluppa la pianura alluvionale che si estende tra Cuneo e Torino, interessata da due bacini
idrografici principali: l’alto bacino del Po (con affluenti di destra quali Varaita, Maira e
Grana) e gran parte di quello del Tanaro (al quale affluiscono, tra gli altri, Stura di
Demonte e Gesso).
La particolare morfologia dell’area è causa del suo clima sostanzialmente continentale
(caratterizzato da inverni piuttosto rigidi ed estati molto calde), che non risente
dell’influenza mitigatrice del Mar Ligure, schermata dalla conformazione a U dei rilievi
prima descritti.
Fig. 3. Il territorio della Provincia di Cuneo. Google Maps.
16
Il comune di Racconigi è situato al limite settentrionale della provincia, ad un’altezza
media di 260 m s.l.m. Il suo territorio è destinato principalmente alla coltivazione intensiva
di prodotti cerealicoli, che sfrutta la particolare fertilità e le numerose risorgive di questi
terreni. Il continuo ampliamento delle superfici coltivate rappresenta una crescente
minaccia per la conservazione di boschi e prati. Un relitto dell’originaria foresta planiziale
padana si conserva solo all’interno del Parco del Castello Reale di Racconigi, classificato
come cenosi di querco-carpineti.
Il territorio di Racconigi è attraversato dal torrente Maira (e dal suo tributario Mellea), che
poco più a nord confluisce nel Po, all’interno del territorio del comune di Lombriasco. Il
carattere torrentizio di tipo alpino del Maira è causa delle sue piene primaverili e delle
fortissime magre estive. Nel complesso, la portata media annuale è di 13,5 m3/s. Le sponde
del torrente sono di fondamentale importanza, poiché ospitano cenosi di boschi misti ripari
e di saliceti di salice bianco (Salix alba). Ben sviluppata è anche la rete
di canali irrigui.
L’area oggetto di studio è parte del SIC “Parco di Racconigi e boschi
lungo il torrente Maira” (IT1160011, Fig. 8), una superficie di 334
ettari individuata in seguito al recepimento in Italia della direttiva
“Habitat” (Direttiva n. 92/43/CEE relativa alla conservazione degli
habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche).
Il Centro Cicogne e Anatidi (Fig. 4 e 5) è situato in Via Stramiano 30, a nord del centro
cittadino, ed è aperto ai visitatori durante tutto l’anno. Si tratta di un centro federato
L.I.P.U., nato nel dicembre 1985 per volere dell’ornitologo Bruno Vaschetti, con l’intento
principale di attuare un progetto di
reintroduzione della Cicogna bianca
(Ciconia ciconia), non più nidificante
in Italia dal Settecento. Il 1989 ha
visto la nascita del progetto Anatidi,
finalizzato alla protezione di specie
rare di anatre, oche e cigni. Si
inserisce in questo contesto anche il
progetto L.I.P.U. per la reintroduzione
Fig. 4. Il logo
dell’Associazione
Fig. 5. Immagine satellitare del Centro Cicogne e Anatidi
di Racconigi. Google maps.
17
del Gobbo rugginoso (Oxyura leucocephala). Dal 1995, il Centro ha messo in atto alcuni
interventi di ripristino di aree umide, dedicandovi inizialmente due ettari di territorio, che
rappresentano un supporto essenziale per gli uccelli durante la migrazione.
Successivamente il ripristino ha interessato 15 ulteriori ettari di territorio. Il 9 giugno 2011
è stato quindi inaugurato il nuovo osservatorio sulla palude, che rende la nuova area
fruibile al pubblico per il birdwatching degli uccelli selvatici. La struttura è in legno e si
sviluppa in pianta per una superficie pari a 84 mq al piano terra più una balconata interna
al piano superiore, per permettere una visuale privilegiata anche sulle sezioni più lontane
della palude. Le osservazioni per i censimenti riportati in questo studio si sono svolte
proprio dal nuovo osservatorio (Fig. 6).
L’affaccio sulla palude è permesso inoltre da due piccoli capanni costruiti ai lati del
corridoio d’accesso all’osservatorio, in corrispondenza dei due argini artificiali eretti per
limitare il disturbo procurato dal passaggio delle persone. Queste strutture si aggiungono a
quelle già presenti precedentemente all’interno del Centro che, insieme ad un percorso in
cemento, permettono la fruizione dell’area da parte dei visitatori.
Fig. 6. Mappa del Centro Cicogne e Anatidi di Racconigi. In evidenza l’ubicazione del nuovo
osservatorio.
L’acqua necessaria alle paludi proviene dal vicino torrente Maira, ma è anche presente un
pozzo per fronteggiare la scarsità d’acqua nel periodo estivo, dovuta in gran parte alla forte
captazione per l’irrigazione dei campi circostanti.
18
Nelle zone umide del Centro Cicogne, il livello idrico oscilla tra un minimo di 2-5 cm nel
periodo primaverile-estivo ed un massimo di 20 cm circa in autunno e inverno. Il controllo
artificiale del livello dell’acqua permette attività quali il controllo dello sviluppo della
vegetazione acquatica, o il parziale disseccamento o allagamento di determinate aree in
particolari periodi dell’anno.
La palude che ospita il nuovo osservatorio (Fig. 7) si compone di tre vasche di diversa
profondità, con un’isola centrale in ghiaia che emerge di circa 60 cm dall’acqua.
La palude e la zona prato circostante sono delimitate da un canale che assicura la costante
fornitura di acqua e l’arrivo di ittiofauna dal torrente Maira.
Il nuovo scavo ha preservato la copertura arborea preesistente (soprattutto salici, Salix sp.),
poi implementata attraverso opere di rimboschimento con la creazione di una siepe mista
di alberi (salici, pioppi, ontani, farnie, carpini) e cespugli (sambuco nero, biancospino, rosa
canina, rovo). Gli isolotti sono stati colonizzati da erbe spontanee. La vegetazione
acquatica e ripariale (soprattutto Typha e Phragmites) è controllata, al fine di mantenere
libertà di accesso all’area ed evitarne il veloce riempimento.
Nel sito si rileva la presenza di nutrie (Myocastor coypus).
Fig. 7. La palude oggetto delle osservazioni. (Foto di Roberta Donato)
19
Fig. 8. SIC Parco di Racconigi e boschi lungo il torrente Maira. (Regione Piemonte).
In blu è evidenziato il Centro Cicogne e Anatidi.
20
3.1.1 Il progetto di rinaturalizzazione
La palude oggetto di studio, interessata da un intervento di rinaturalizzazione nel 2012, è
collocata all'interno del Centro Cicogne e Anatidi di Racconigi (Fig.9) e rappresenta la
continuazione e l'ampliamento del progetto nato nel 1985, volto a favorire la conservazione
della natura anche attraverso la creazione e la gestione di aree umide. L'intervento di
recupero ambientale dell'area è stato attuato dal Parco del Po Cuneese e dall'Associazione
Centro Cicogne e Anatidi di Racconigi, nella persona di Bruno Vaschetti.
L'area di scavo si compone di tre vasche, con una profondità variabile compresa tra 0,1 e
1 m, al fine di favorire la presenza di limicoli e anatre tuffatrici, ma anche di contenere la
diffusione di Thypa e Phragmites che altrimenti occuperebbero ben presto tutta l'area della
palude.
Nella zona in questione è stato favorito direttamente o indirettamente l'attecchimento di
vegetazione palustre sommersa, natante in superficie (Lemna minor), emergente (Typha
latifolia, Phragmites australis) e sui bordi (Lythrum salicaria). La scelta delle essenze da
reintrodurre è stata guidata dalla volontà di fornire vegetazione di cui gli Anatidi potessero
nutrirsi (Lemna e Potamogeton) o che potesse ospitare vertebrati acquatici (Myriophyllum,
Ceratophyllum, Utricularia) o ancora che potesse fornire un ambiente adatto per la
nidificazione di alcuni uccelli (Phragmites è essenziale per la nidificazione dei Silvidi).
Gli alberi cresciuti spontaneamente nell'area sono stati mantenuti e il progetto ha inoltre
previsto la costituzione di una fascia attorno alla zona umida di nuova formazione formata
prevalentemente da Salice bianco (Salix alba) e Pioppo nero (Populus nigra), la creazione
di un ontaneto allagato e il rimboschimento con essenze caratteristiche del querco-
carpineto.
Il progetto ha anche previsto la presenza di un'isola centrale, elemento che rende l'ambiente
più eterogeneo e diversificato e che permette la nidificazione di Caradriformi e la sosta di
Anatidi e Ardeidi.
Un canale perimetrale all'area garantisce il continuo apporto d'acqua, oltre che l'arrivo di
pesci ed altri organismi acquatici dal torrente Maria, al fine di permettere il naturale
ripopolamento della palude. Per questo motivo si è deciso di non intervenire direttamente
con l'inserimento di ittiofauna.
21
Il controllo idrico artificiale può svolgere una duplice funzione. Da una parte è
fondamentale al fine di evitare l'eccessivo sviluppo della vegetazione acquatica, che in
breve tempo ostruirebbe tutta l'area. Dall'altra, si può agire direttamente sul livello
dell'acqua per creare nella palude le condizioni favorevoli per determinate specie di uccelli
nei vari periodi dell'anno. Ad esempio, il parziale disseccamento di alcuni settori è utile
alla presenza di Ciconiformi e Caradriformi, mentre il momentaneo allagamento di zone
inerbite o con vegetazione arborea crea le condizioni ideali per la pastura di molti
Anseriformi.
Per la fruizione del pubblico sono stati costruiti due nuovi capanni in legno che permettono
l'affaccio sui due rami laterali della palude, mentre in posizione centrale è stato eretto
l'osservatorio, una struttura di due piani, realizzata interamente in legno, che si sviluppa in
pianta per 84 mq. La struttura ha la forma di un semi ottagono per fornire un'ampia visuale
da est ad ovest su tutta l'area umida; all'interno, l'osservatorio è attrezzato con sedute,
mentre le feritoie permettono l'osservazione e l'ingresso di luce, senza che le persone siano
visibili dall'esterno.
Il cammino di avvicinamento all'osservatorio è schermato da due alti argini che limitano il
disturbo procurato dal passaggio delle persone.
In questo periodo sono in atto i lavori per l'erezione della recinzione dell'area, la quale era
prevista dal progetto, ma non era ancora stata realizzata. La recinzione permetterà di
escludere dalla zona vari elementi di disturbo sia umani che naturali, come ad esempio
l'ingresso di predatori quali la volpe (Vulpes vulpes), che al momento hanno libero accesso
all'area.
22
Fig. 9. Planimetria dell'area.
23
3.2 Asti
La seconda parte delle attività di studio si è svolta presso l’Oasi urbana WWF “La Bula” di
Asti (loc. Boana).
Il territorio astigiano (Fig. 10) copre una superficie di circa 1500 km2 e comprende al suo
interno parte del Monferrato, delle Colline del Po, delle Langhe e dell’Appennino Ligure.
Diverse sono le analogie con il territorio dell’adiacente provincia di Cuneo, con cui confina
ad ovest. Anche in questo caso l’agricoltura è l’attività principale della zona, dedicata
principalmente alla produzione cerealicola e vitivinicola.
Come accade per la provincia di Cuneo, anche il territorio della provincia di Asti non
risente delle influenze climatiche mediterranee né di quelle atlantiche, a causa dell’effetto
schermante dei rilievi. Il clima è quindi considerato continentale, caratterizzato da estati
calde e afose ed inverni rigidi, con temperature minime sotto la media regionale.
I principali corsi d’acqua che attraversano la provincia sono i fiumi Tanaro e Bormida,
insieme a diversi torrenti quali Banna e Stura (tributari del Po), Belbo, Tiglione, Borbore e
Versa (tributari del Tanaro).
Fig. 10. Il territorio della Provincia di Asti. Google Maps.
24
L’Oasi della Bula è inserita nel SIC “Stagni di Belangero” (IT1170003, Fig. 13), un’area di
573 ettari tra i comuni di Asti, Isola d’Asti e Revigliasco d’Asti, su parte della pianura
alluvionale in destra orografica del fiume Tanaro. Più di metà della superficie interessata è
occupata da pioppeti e seminativi, pertanto gli spazi semi-naturali risultano ridotti e
individuabili in una fascia di greto ed una zona di boscaglie riparie (nuclei a ontano nero,
Alnus glutinosa e a salice bianco, Salix alba) impoveriti dall’avvento di vegetazione
alloctona e/o banale.
Gli Stagni di Belangero sono specchi d’acqua nati in seguito alla cessazione di attività
estrattive diffuse nella zona, che hanno lasciato scavi (spesso sotto falda) poi parzialmente
colmatisi d’acqua e rinaturalizzati dalla vegetazione, risultando quindi in aree umide dalla
discreta biodiversità animale e vegetale. L’Oasi della Bula non fa eccezione (Fig. 11 e 12).
Si tratta di un’area di circa 20 ettari alla periferia meridionale della città di Asti, lungo la
sponda destra del Tanaro, istituita nel 1990 e gestita e tutelata dal WWF, grazie ad una
convenzione d’uso gratuito pluriennale tra lo stesso WWF e i proprietari dei terreni. Un
tempo era un’area degradata, usata come cava per inerti (ghiaia e sabbia) e in seguito anche
come discarica abusiva. Un avanzato progetto di ingegneria naturalistica ha però permesso
di ripristinare gli ecosistemi naturali, degradati o cancellati dalle passate attività
antropiche. Ora l’Oasi si compone di un mosaico di specchi d’acqua, isolotti, lanche e
canneti in cui, in seguito a vari interventi e scavi
aggiuntivi sotto falda, è stato reso possibile lo
scambio idrico continuo tra gli stagni, la falda e il
fiume. Gli scavi sono stati eseguiti ad una
profondità media di 5 m, localizzando la quota di
fondo bacino ad una profondità di circa 2 m dal
piano della falda. Il livello dell’acqua è molto
variabile, in base agli eventi meteorici che
inevitabilmente fanno variare la falda di valori
dell'ordine del metro o più. Il progetto originario prevedeva che la profondità massima
degli stagni non superasse in 2 metri in condizioni “normali” (ovvero non subito dopo un
periodo di abbondanti precipitazioni e neppure in piena siccità estiva). Bisogna evidenziare
che l'alluvione del novembre 1994 ha apportato del sedimento quantificabile in almeno
30-40 cm (variabile a seconda delle zone). Inoltre, con il passare del tempo, il naturale
Fig. 11. L’ingresso dell’Oasi. (Foto di
Roberta Donato)
25
apporto di sostanza organica che cade all’interno degli specchi d’acqua porta
inevitabilmente alla diminuzione della profondità. In conclusione, la profondità dell’acqua
in condizioni climatiche normali è indicativamente compresa tra 0,5 e 1,5 m nelle varie
zone degli stagni.
Per la fruizione al pubblico sono stati disposti due capanni di osservazione in legno; uno di
questi è anche raggiunto da un tratto di percorso in cemento. E’ importante però precisare
che al momento l’Oasi non è costantemente aperta alle visite, le quali vengono organizzate
solo in occasioni particolari e si svolgono sempre in presenza di un accompagnatore.
La vegetazione arborea attuale è rappresentata principalmente da salici (Salix sp.), pioppi
(Populus sp.), ontani neri (Alnus glutinosa). Le sponde sono invece caratterizzate da canna
di palude (Phragmites australis) e giunco (Juncus sp.). L’intero perimetro dell’Oasi è stato
recintato e parzialmente isolato otticamente e acusticamente per mezzo di alberi e arbusti
autoctoni, al fine di limitare il disturbo delle attività umane circostanti, tra le quali si
inseriscono Corso Savona, la ferrovia Asti-Castagnole delle Lanze, la strada statale SS231
e l’autostrada A33 Asti-Cuneo.
Fig. 12. Foto aerea dell’Oasi La Bula di Asti.
26
L’area rappresenta oggi una fondamentale opportunità di sosta e nidificazione per gli
uccelli che si muovono tra Alba ed Asti lungo l’asse del Tanaro. Nel sito sono state censite
più di 100 specie di uccelli, molte delle quali sono anche nidificanti (soprattutto Ardeidi e
Rallidi). Tra gli Anatidi nidificanti si annovera anche il Fistione turco (Netta rufina).
Inoltre, è da sottolineare per la sua importanza la presenza del raro Pelobate fosco
(Pelobates fuscus insubricus). E’ infatti proprio la presenza di questo anfibio che ha
motivato e permesso la nascita del SIC in questione. Anche altri anfibi e rettili hanno
ripopolato l’Oasi, come la rana verde (Pelophylax sp.), il tritone crestato (Triturus
cristatus), il biacco (Hierophis viridiflavus) e la natrice dal collare (Natrix natrix).
Nel sito si rileva inoltre la presenza di specie animali alloctone, quali silvilago (Sylvilagus
floridanus), nutria (Myocastor coypus) e testuggine dalle guance rosse (Trachemys scripta
elegans). Sarebbero interessanti successive attività di studio per sviluppare il tema delle
specie alloctone e valutare il loro impatto sull’area.
Attualmente il responsabile dell’Oasi è il dott. Marco Demaria, biologo.
27
Fig. 13. SIC Stagni di Belangero. (Regione Piemonte). In blu è evidenziata l’Oasi WWF La
Bula.
28
3.2.1 Il progetto di rinaturalizzazione
Il progetto di rinaturalizzazione che ha interessato l'Oasi urbana La Bula di Asti, si
inserisce in un progetto più ampio di rinaturalizzazione del biotopo relativo all'area degli
Stagni di Belangero. L'Oasi La Bula è localizzata nel settore nord-est del biotopo, con
un'estensione di circa 20 ettari (Fig. 15). La zona è stata oggetto di un progetto pilota
piuttosto complesso, mirato, come già spiegato, a ricreare un ambiente (l'area umida) che
un tempo era molto diffuso lungo l'asse dei fiumi, ma che le attività dell'uomo hanno quasi
completamente eliminato. Il progetto è stato elaborato dal WWF, Sezione di Asti e ha
coinvolto l'Amministrazione Regionale, il Comune di Asti, i proprietari dei fondi e le ditte
estrattrici che operavano sull'area, oltre ad un gruppo di figure professionali diverse, quali
architetti, ingegneri, naturalisti, dottori forestali. Grazie ad un complesso di convenzioni
stipulato tra proprietari terrieri, imprenditori e WWF Italia (nella persona del suo
Presidente della Delegazione Regionale per il Piemonte e la Valle d'Aosta, dott. Giorgio
Baldizzone), il WWF ha ottenuto l'area in comodato gratuito, rinnovabile ogni 10 anni.
Il progetto in questione si proponeva di unire due esigenze diverse. La prima, di carattere
prettamente ambientalista, derivava dalla volontà di ricreare un ambiente naturale da
offrire alla fauna e alla flora locali, che acquisisse una certa rilevanza sul piano ambientale
nelle aree limitrofe e nei confronti della stessa città di Asti. Non meno importante era
l'esigenza di conciliare le attività estrattrici operanti nei terreni oggetto del progetto con un
corretto uso del territorio, che non permettesse l'abbandono di un territorio degradato una
volta terminate le operazioni.
L'innovativo progetto di rinaturalizzazione ha previsto che fossero le stesse ditte operanti
sui terreni in questione a realizzare la varie attività di scavo e rimodellamento,
collaborando tra loro per la realizzazione di un progetto che, relativamente alla
classificazione catastale, interessava più lotti diversi. Inoltre, si veniva a invertire la scala
di priorità che normalmente si instaura durante le operazioni di scavo, che in questo caso
poneva come obiettivo principale la qualità del risultato finale di cui lo scavo rappresenta
solo un mezzo, quando invece di norma le attività di scavo privilegiano la pianificazione
delle operazioni senza occuparsi della sistemazione finale. Infine, è stata di fondamentale
importanza la partecipazione del WWF sin dalla fase preparatoria dell'operazione, in
quanto l'associazione era già riconosciuta come futura responsabile della gestione dell'area.
29
Il progetto degli interventi si è articolato in due momenti principali e distinti. Il primo è
stato dedicato alle attività di scavo vere e proprie, con asportazione e accantonamento dello
strato superficiale (poi reimpiegato in loco per il rimodellamento) e asportazione e
trasporto agli impianti di frantumazione dello strato sottostante, ad una profondità di circa
2 m sotto il piano di falda, nella sua localizzazione media. La seconda fase ha poi
interessato il rimodellamento spondale dei bacini artificiali utilizzando il materiale rimosso
in precedenza. La conformazione delle sponde è varia ed eterogenea, al fine di favorire la
presenza di più specie diverse (Fig. 14).
Fig. 14. Schema di sistemazione delle sponde. Da ACER, 4/2002.
Il progetto ha quindi previsto la creazione di fasce di vegetazione palustre emergente (con
priorità alla Cannuccia di palude, Phragmites australis), sommersa e natante in superficie
(Lemna minor). La rivegetazione delle sponde è avvenuta con essenze autoctone, in primo
luogo Salice bianco (Salix alba) e Ontano nero (Alnus glutinosa) in prossimità dell'acqua e
secondariamente Pioppo nero (Populus nigra) in zone di pendio o su terroni sabbiosi e
ciottolosi. Gli spazi aperti sono stati inerbiti con specie rustiche.
Il progetto non ha previsto l'introduzione di pesci per vari motivi, primo tra i quali
l'incompatibilità della presenza di pesci con quella del raro Pelobate fosco (Pelobates
fuscus insubricus). I pesci hanno comunque modo di raggiungere l'Oasi tramite uova che
rimangano attaccate alle zampe degli uccelli che frequentano le rive del Tanaro, oltre al
fatto che in alcune occasioni sono stati artificialmente introdotti da pescatori.
I percorsi disposti per la fruizione al pubblico sono stati mascherati da vegetazione o dossi
del terreno e l'osservazione degli stagni è permessa da alcuni affacci oltre che da due
capanni in legno.
30
Fig. 15. Planimetria dell'area.
31
3.3 Clima
La relazione meteo-climatica della primavera 2013 fornita dell’Arpa Piemonte rileva che la
primavera 2013 è stata la seconda più umida degli ultimi 56 anni in Piemonte, dopo quella
del 1977. Di fondamentale importanza sono state le precipitazioni, sia liquide che solide,
che hanno interessato la regione nel periodo analizzato. La precipitazione media cumulata
sul Piemonte alla fine della primavera 2013 era pari a quella che in un anno normale si
sarebbe registrata a fine luglio. Le precipitazioni hanno fatto registrare un saldo positivo
del 65 % rispetto alla norma 1971-2000. Nello specifico, la stagione si è aperta con un
marzo piovoso, anche se non eccezionale (+30%), mentre i mesi di aprile e maggio hanno
portato anomalie percentuali medie positive di oltre il 75% rispetto alla norma e a partire
dalla terza decade di aprile, i giorni piovosi sono stati 3 su 4. In quest’ultima parte si sono
verificati anche due intensi eventi pluviometrici (il primo tra il 27 aprile ed il 1° maggio ed
il secondo tra il 15 ed il 19 maggio), i quali hanno dato luogo a locali situazioni di criticità
idrogeologica.
Per quel che riguarda le temperature, l’anomalia negativa registrata è di 0.3°C, che pone la
primavera 2013 al 16° posto tra le più fredde degli ultimi 56 anni. Il contributo più
rilevante è arrivato dai mesi di marzo (-1,2°C) e maggio (-1,2°C), mentre aprile ha fatto
registrare un’anomalia positiva di 1,5°C. L’anomalia negativa più pronunciata è stata
registrata essenzialmente nelle zone pianeggianti e collinari (soprattutto Monferrato e
basso Vercellese). In totale, considerando anche il periodo freddo a cavallo tra marzo ed
aprile, circa la metà dei giorni della primavera 2013 hanno fatto registrare un’anomalia di
temperatura media al di sotto della norma 1971-2000, con due periodi particolarmente
freddi, a cavallo tra marzo ed aprile e nella seconda metà del mese di maggio.
32
4. Monitoraggio
Le osservazioni si sono svolte da metà aprile a inizio giugno 2013 e hanno interessato
alternativamente i due siti di studio, dedicando 6 giornate di monitoraggio ad ognuno. Le
12 sessioni complessive di osservazione hanno avuto luogo in mattinata o nel primo
pomeriggio, con una durata di 2-3 ore ciascuna. Questa distribuzione temporale del lavoro
ha permesso di ottenere un quadro generale dell’avifauna presente a Racconigi e ad Asti
lungo tutto il periodo del monitoraggio. Le osservazioni si sono volutamente svolte in
primavera, al fine di includere nello studio il periodo della riproduzione di alcune delle
specie censite.
Durante le osservazioni sono stati utilizzati un binocolo, una macchina fotografica e la
guida ornitologica “Collins Bird Guide” (2nd
Edition) di L. Svensson, K. Mullarney e D.
Zetterström, come strumento di aiuto e conferma nel riconoscimento delle specie avvistate.
Come già specificato, i dati provenienti dal Centro Cicogne di Racconigi sono stati raccolti
unicamente dal nuovo osservatorio sulla palude.
Per quanto riguarda l’Oasi la Bula di Asti, i dati sono stati raccolti attraverso osservazioni
svoltesi dai due capanni presenti all’interno dell’area, i quali permettono l’affaccio sui due
rami dello stagno principale. Per chiarezza e semplicità, le due serie di dati sono state poi
incorporate, al fine di indicare in tabella (Tab. 3) un valore unico di individui censiti per
ogni specie all’interno dello stagno.
Inoltre, è importante sottolineare che i censimenti relativi alle colonie di Ardeidi e
Cormorani di Asti, nidificanti sull’isolotto centrale dello stagno principale, sono stati
possibili solo nelle prime due giornate di studio, in quanto con l'avanzare della stagione
vegetativa delle piante della garzaia risulta difficoltoso osservare e contare i nidi. E’ stato
quindi possibile censire gli adulti inizialmente presenti, ma non i giovani dell’anno.
Più della metà dei giorni di osservazione sono stati interessati da pioggia intermittente o
comunque nuvolosità ed umidità. Per i dati climatici della stagione si rimanda al capitolo
precedente.
33
5. Risultati
I dati raccolti sono stati inseriti in due tabelle a doppia entrata (Tab. 2 e 3) che riportano il
numero di individui censiti nei giorni di monitoraggio indicati. I dati indicati non fanno
distinzione tra adulti e pulli, ma forniscono il valore totale di individui osservati della data
specie.
La classificazione delle specie ornitiche è basata sulla Lista CISO-COI degli Uccelli
Italiani – liste A, B e C, del 10 settembre 2009.
Il simbolo / indica che non sono stati avvistati individui nel dato giorno per la data specie.
Il simbolo è utilizzato per i nidificanti che, come specificato in precedenza, sono stati
censiti fintanto che gli alberi erano spogli e permettevano le osservazioni. Il simbolo indica
quindi la presenza delle specie in questione, di cui non è più stato possibile il conteggio
diretto (Fig. 16).
Fig. 16. Oasi WWF La Bula, Asti. Le foglie impediscono il censimento di Ardeidi e Cormorani. (Foto di
Roberta Donato, 29 aprile 2013).
34
Ord
ine
Fam
iglia
Spe
cie
Au
tore
Cat
. AER
C1
5/0
42
2/0
40
1/0
51
0/0
5
23
/05
05
/06
An
seri
form
esA
na
tid
ae
An
ser
an
ser,
oca
sel
vati
ca(L
inn
aeu
s, 1
75
8)
AC
11
/1
//
//
An
seri
form
esA
na
tid
ae
Tad
orn
a f
erru
gin
ea, c
asa
rca
(Pa
lla
s 1
76
4)
AD
E23
//
1/
//
An
seri
form
esA
na
tid
ae
Tad
orn
a t
ad
orn
a, v
olp
oca
(Lin
na
eus,
17
58
)A
C1
1/
21
//
/
An
seri
form
esA
na
tid
ae
An
as
stre
per
a, c
an
ap
igli
aLi
nn
aeu
s, 1
75
8A
11
//
//
2/
An
seri
form
esA
na
tid
ae
An
as
crec
ca, a
lza
vola
Lin
na
eus,
17
58
A1
1/
/1
2/
2
An
seri
form
esA
na
tid
ae
An
as
pla
tyrh
ynch
os
, ger
ma
no
rea
leLi
nn
aeu
s, 1
75
8A
C1
1/
/3
32
72
65
3
An
seri
form
esA
na
tid
ae
An
as
qu
erq
ued
ula
, ma
rza
iola
Lin
na
eus,
17
58
A1
1/
/2
11
1
An
seri
form
esA
na
tid
ae
Ma
rma
ron
etta
an
gu
stir
ost
ris
, a
na
tra
ma
rmo
rizz
ata
(Mén
étri
es, 1
83
2)
AE3
3/
//
/6
/
Pel
eca
nif
orm
esP
ha
lacr
oco
raci
da
eP
ha
lacr
oco
rax
carb
o, c
orm
ora
no
(Lin
neu
s, 1
75
8)
A1
1/
1/
//
/
Cic
on
iifo
rmes
Ard
eid
ae
Ixo
bry
chu
s m
inu
tus
, ta
rab
usi
no
(Lin
na
eus,
17
66
)A
11
//
//
1/
Cic
on
iifo
rmes
Ard
eid
ae
Bu
bu
lcu
s ib
is,
air
on
e gu
ard
ab
uo
i(L
inn
aeu
s, 1
75
8)
A1
1/
//
//
1
Cic
on
iifo
rmes
Ard
eid
ae
Egre
tta
ga
rzet
ta, g
arz
etta
(Lin
neu
s, 1
76
6)
A1
1/
12
14
Cic
on
iifo
rmes
Ard
eid
ae
Ca
smer
od
ius
alb
us
, air
on
e b
ian
co m
agg
iore
(Lin
na
eus,
17
58
)A
11
//
//
1/
Cic
on
iifo
rmes
Ard
eid
ae
Ard
ea c
iner
ea,
air
on
e ce
ner
ino
Lin
na
eus,
17
58
A1
11
/2
4/
2
Cic
on
iifo
rmes
Cic
on
iid
ae
Cic
on
ia c
ico
nia
, cic
ogn
a b
ian
ca(L
inn
aeu
s, 1
75
8)
AC
11
32
11
//
/
Falc
on
ifo
rmes
Acc
ipit
rid
ae
Cir
cus
aer
ug
ino
sus
, fa
lco
di
pa
lud
e(L
inn
eus,
17
58
)A
11
/1
/1
/1
Gru
ifo
rmes
Ra
llid
ae
Ra
llus
aq
ua
ticu
s, p
orc
igli
on
eLi
nn
aeu
s, 1
75
8A
11
//
/4
11
Gru
ifo
rmes
Ra
llid
ae
Po
rza
na
pa
rva
, sc
hir
ibil
la(S
cop
oli
, 17
69
)A
12
//
//
/1
Gru
ifo
rmes
Ra
llid
ae
Ga
llin
ula
ch
loro
pu
s, g
all
inel
la d
'acq
ua
(Lin
na
eus,
17
58
)A
11
25
45
42
23
Gru
ifo
rmes
Ra
llid
ae
Fulic
a a
tra
, fo
laga
Lin
na
eus,
17
58
A1
15
14
88
58
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Rec
urv
iro
stri
da
eH
ima
nto
pu
s h
ima
nto
pu
s, c
ava
lier
e d
'Ita
lia
(Lin
na
eus,
17
58
)A
11
65
cir
ca5
0 c
irca
15
80
cir
ca1
67
0 c
irca
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Ch
ara
dri
ida
eC
ha
rad
riu
s d
ub
ius
, co
rrie
re p
icco
loSc
op
oli
, 17
86
A1
15
//
4/
1
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Ch
ara
dri
ida
eC
ha
rad
riu
s h
iati
cula
, co
rrie
re g
ross
oLi
nn
aeu
s, 1
75
8A
10
//
1/
//
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Ch
ara
dri
ida
eV
an
ellu
s va
nel
lus
, pa
von
cell
a(L
inn
aeu
s, 1
75
8)
A1
14
1/
15
/1
2
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Sco
lop
aci
da
eP
hilo
ma
chu
s p
ug
na
x, c
om
ba
tten
te(L
inn
aeu
s, 1
75
8)
A1
06
6/
8/
6
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Sco
lop
aci
da
eA
ctit
is h
ypo
leu
cos,
pir
o p
iro
pic
colo
(Lin
na
eus,
17
58
)A
11
6/
//
//
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Sco
lop
aci
da
eTr
ing
a o
chro
pu
s, p
iro
pir
o c
ulb
ian
coLi
nn
aeu
s, 1
75
8A
10
6/
43
12
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Sco
lop
aci
da
eTr
ing
a e
ryth
rop
us
, to
tan
o m
oro
(Pa
lla
s, 1
76
4)
A1
0/
42
4/
2
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Sco
lop
aci
da
eTr
ing
a n
ebu
lari
a,
pa
nta
na
(Gu
nn
eru
s, 1
76
7)
A1
01
10
/2
/1
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Sco
lop
aci
da
eTr
ing
a g
lare
ola
, p
iro
pir
o b
osc
her
ecci
oLi
nn
aeu
s, 1
75
8A
10
/2
83
46
/4
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Sco
lop
aci
da
eTr
ing
a t
ota
nu
s, p
ette
gola
(Lin
na
eus,
17
58
)A
11
1/
//
//
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Lari
da
eLa
rus
mic
ha
hel
lis, g
ab
bia
no
rea
leN
au
ma
nn
, 18
40
A1
1/
13
//
/
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Ster
nid
ae
Ch
lido
nia
s h
ybri
da
, m
ign
att
ino
pio
mb
ato
(Pa
lla
s, 1
81
1)
A1
1/
//
//
1
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Ster
nid
ae
Ster
na
hir
un
do
, st
ern
a c
om
un
eLi
nn
aeu
s, 1
75
8A
11
//
//
/1
Co
lum
bif
orm
esC
olu
mb
ida
eC
olu
mb
a p
alu
mb
us
, co
lom
ba
ccio
Lin
na
eus,
17
58
A1
1/
//
/2
/
Pa
sser
ifo
rmes
Hir
un
din
ida
eH
iru
nd
o r
ust
ica
, ro
nd
ine
Lin
na
eus,
17
58
A1
1/
20
cir
ca2
0 c
irca
//
/
Pa
sser
ifo
rmes
Sylv
iid
eA
cro
cep
ha
lus
aru
nd
ina
ceu
s, c
an
na
recc
ion
e(L
inn
aeu
s, 1
75
8)
A1
1/
//
/1
/
Tab. 2. Checklist delle specie osservate presso il Centro Cicogne di Racconigi.
35
Ord
ine
Fam
iglia
Spe
cie
Au
tore
Cat
. AER
C1
2/0
42
0/0
42
9/0
40
5/0
51
9/0
50
4/0
6
An
seri
form
esA
na
tid
ae
An
as
pla
tyrh
ynch
os,
ger
ma
no
rea
leLi
nn
aeu
s, 1
75
8A
C1
1/
41
89
20
35
An
seri
form
esA
na
tid
ae
An
as
clyp
eata
, m
esto
lon
eLi
nn
aeu
s, 1
75
8A
11
7/
//
//
An
seri
form
esA
na
tid
ae
Net
ta r
ufi
na
, fi
stio
ne
turc
o(P
all
as,
17
73
)A
11
71
28
13
15
18
An
seri
form
esA
na
tid
ae
Ayt
hya
fer
ina
, m
ori
glio
ne
(Lin
na
eus,
17
58
)A
11
//
4/
//
An
seri
form
esA
na
tid
ae
Ayt
hya
fu
ligu
la,
mo
rett
a(L
inn
aeu
s, 1
75
8)
A1
12
//
//
/
Pel
eca
nif
orm
esP
ha
lacr
oco
raci
da
eP
ha
lacr
oco
rax
carb
o, c
orm
ora
no
(Lin
na
eus,
17
58
)A
11
10
0 c
irca
10
0 c
irca
Cic
on
iifo
rmes
Ard
eid
ae
Nyc
tico
rax
nyc
tico
rax,
nit
tico
ra(L
inn
aeu
s, 1
75
8)
A1
11
52
0 c
irca
Cic
on
iifo
rmes
Ard
eid
ae
Egre
tta
ga
rzet
ta,
garz
etta
(Lin
na
eus,
17
66
)A
11
/1
2 c
irca
Cic
on
iifo
rmes
Ard
eid
ae
Ard
ea c
iner
ea,
air
on
e ce
ner
ino
Lin
na
eus,
17
58
A1
11
62
0 c
irca
Po
dic
iped
ifo
rmes
Po
dic
iped
ida
eTa
chyb
ap
tus
rufi
colli
s, t
uff
etto
(Pa
lla
s, 1
76
4)
A1
11
5 c
irca
29
51
03
Po
dic
iped
ifo
rmes
Po
dic
iped
ida
eP
od
icep
s cr
ista
tus,
sva
sso
ma
ggio
re(L
inn
aeu
s, 1
75
8)
A1
12
42
31
08
Falc
on
ifo
rmes
Acc
ipit
rid
ae
Acc
ipit
er n
isu
s, s
pa
rvie
re(L
inn
aeu
s, 1
75
8)
A1
1/
1/
//
/
Falc
on
ifo
rmes
Falc
on
ida
eFa
lco
su
bb
ute
o,
lod
ola
ioLi
nn
aeu
s, 1
75
8A
11
/1
2/
//
Gru
ifo
rmes
Ra
llid
ae
Ga
llin
ula
ch
loro
pu
s, g
all
inel
la d
'acq
ua
(Lin
na
eus,
17
58
)A
11
10
cir
ca1
3/
//
Gru
ifo
rmes
Ra
llid
ae
Fulic
a a
tra
, fo
laga
Lin
na
eus,
17
58
A1
11
02
0 c
irca
20
cir
ca2
0 c
irca
35
33
Ch
ara
dri
ifo
rmes
Ster
nid
ae
Ster
na
hir
un
do
, st
ern
a c
om
un
eLi
nn
aeu
s, 1
75
8A
11
/6
//
/2
Co
lum
bif
orm
esC
olu
mb
ida
eC
olu
mb
a p
alu
mb
us,
co
lom
ba
ccio
Lin
na
eus,
17
58
A1
13
21
//
/
Ap
od
ifo
rmes
Ap
od
ida
eA
pu
s a
pu
s, r
on
do
ne
com
un
e(L
inn
aeu
s, 1
75
8)
A1
1/
/4
0 c
irca
//
/
Pic
ifo
rmes
Pic
ida
eP
icu
s vi
rid
is,
pic
chio
ver
de
Lin
na
eus,
17
58
A1
1/
//
11
/
Pa
sser
ifo
rmes
Hir
un
din
ida
eR
ipa
ria
rip
ari
a,
top
ino
(Lin
na
eus,
17
58
)A
11
//
15
cir
ca/
//
Pa
sser
ifo
rmes
Hir
un
din
ida
eH
iru
nd
o r
ust
ica
, ro
nd
ine
Lin
na
eus,
17
58
A1
1sì
50
-70
20
0 c
irca
/2
0 c
irca
/
Pa
sser
ifo
rmes
Co
rvid
ae
Ga
rru
lus
gla
nd
ari
us,
gh
ian
da
ia(L
inn
aeu
s, 1
75
8)
A1
14
21
//
/
Tab. 3. Checklist delle specie osservate presso l’Oasi WWF La Bula di Asti
36
Presso il Centro Cicogne di Racconigi sono state avvistate 37 specie (Tab. 2).
I dati raccolti presso il Centro Cicogne di Racconigi rilevano, come prevedibile,
un’importante presenza di Caradriformi.
I Caradriformi senza dubbio più numerosi a Racconigi durante il periodo di monitoraggio
sono i Cavalieri d’Italia (Himantopus himantopus). I Cavalieri d’Italia sono nidificanti
all’interno del Centro Cicogne, con numeri importanti: il 10 maggio sono stati censiti circa
65 adulti e 18 pulli (Fig. 17).
Un’altra importante presenza è rappresentata da vari Scolopacidi. Tra i più numerosi
citiamo Piro piro boschereccio (Tringa glareola) con 34 individui osservati il 01/05 e
secondariamente Combattente (Philomachus pugnax, 8 individui il 10/05), Piro piro
culbianco (Tringa ochropus, 6 individui il 15/04), Pantana (Tringa nebularia, 10 individui
il 22/04), Totano moro (Tringa erythropus, 4 individui il 22/04 e il 10/05).
Tra gli Anatidi che frequentano la palude, spiccano per numerosità i Germani reali (Anas
platyrhynchos), con 53 individui osservati il 05/06.
Gli altri Anatidi osservati sono molto meno numerosi rispetto al Germano reale. Tra loro
citiamo la Marzaiola (Anas querquedula, 2 individui il 01/05), l’Alzavola (Anas crecca, 2
individui il 10/05 e il 05/06 ) e la Canapiglia (Anas strepera, 2 individui il 23/05).
Tra i Rallidi più numerosi si annoverano le Folaghe (Fulica atra), con 14 individui
osservati il 22/04 e le Gallinelle d’acqua (Gallinula chloropus), con 54 individui osservati
il 10/05. Si evidenzia anche la presenza della Schiribilla (Porzana parva) e del Porciglione
(Rallus aquaticus) (Fig. 18). Quest’ultimo è nidificante presso il Centro Cicogne e il 10
maggio è stato possibile osservare un adulto con 3 pulli.
La palude è inoltre frequentata da Ardeidi, quali Aironi cenerini (Ardea cinerea), Aironi
bianchi maggiori (Casmerodius albus) e Garzette (Egretta garzetta), alla ricerca di pesci,
anfibi e insetti. Visitatori abituali della palude sono anche le Cicogne bianche (Ciconia
ciconia), nidificanti sia nel centro Cicogne che al di fuori, su vari edifici del paese, tra i
quali il Castello Reale.
37
All’Oasi la Bula di Asti, sono state avvistate 22 specie. La presenza numericamente più
importante è costituita dai Cormorani (Phalacrocorax carbo), con un centinaio di individui
e 46 nidi censiti. Si tratta di grandi Pelecaniformi, nidificanti sull’isolotto centrale
all’interno dello stagno principale dell’Oasi. I nidi dei Cormorani sono strettamente
associati alla garzaia sull’isolotto (Fig. 23), che ospita Aironi cenerini (Ardea cinerea,
circa 20), Garzette (Egretta garzetta, circa 12) e Nitticore (Nycticorax nycticorax, circa
20).
Per quel che riguarda i Podicipedidi, due sono le specie censite. I primi sono gli Svassi
maggiori (Podiceps cristatus), osservati durante tutto il periodo del monitoraggio e con 10
individui avvistati il 19/05; la specie è nidificante all’interno dell’Oasi la Bula ed il
Fig. 18. Porciglione. (Foto di Marco Petrino)
Fig. 17. Cavaliere d’Italia con pulli. (Foto di Roberta Donato)
38
5 maggio è stato possibile assistere al rituale di corteggiamento di una coppia (Fig. 19).
Altro Podicipedide osservato è il Tuffetto (Tachybaptus ruficollis, Fig. 20), un pescatore di
piccole dimensioni (23-29 cm di lunghezza), con circa 15 individui censiti il 12/04.
I Rallidi sono principalmente rappresentati dalle Folaghe (Fulica atra), numerose e
nidificanti all’interno dell’Oasi. I tre nidi osservati sono stati edificati allo scoperto
nell’acqua e consistono in un cumulo di rami e vegetazione ripariale (Fig. 22). Il 19
maggio sono stati censiti 21 adulti e 14 giovani.
Per quanto riguarda gli Anatidi, si evidenzia la presenza del Fistione turco (Netta rufina),
nidificante nell’Oasi. (Fig. 21) Il 4 giugno sono stati osservati 13 adulti e 5 giovani.
Gli altri Anatidi osservati comprendono numerosi Germani reali (Anas platyrhynchos) e
alcuni Mestoloni (Anas clypeata), Moriglioni (Aythya ferina) e Morette (Aythya fuligula).
Fig. 19. Corteggiamento di Svassi
maggiori. (Foto di Roberta Donato)
Fig. 20. Tuffetto. (Foto di Roberta Donato)
Fig. 21. Fistione turco maschio. (Foto di Roberta Donato)
39
Fig. 22. Nidi di Folaga, adulti e pulli. Oasi La Bula, Asti. (Foto di Roberta Donato)
Fig. 23. Garzaia. Oasi La Bula, Asti. (Foto di Roberta Donato)
40
6. Discussioni
6.1 Descrizione delle specie osservate
I Caradriformi sono un Ordine molto numeroso, che comprende una grande varietà di
uccelli caratterizzati da lunghe zampe, che vivono generalmente in ambienti umidi quali
rive e paludi. Solo alcune specie sono ben adattate ad ambienti più secchi. La dieta dei
Caradriformi si compone principalmente di insetti, vermi, molluschi, crostacei e più
raramente di vegetali o piccoli pesci. Spesso il nido è una semplice conca poco profonda
nel terreno e il genitore in cova si avvale di un piumaggio mimetico per non attirare
l’attenzione dei predatori.
La stragrande maggioranza dei dati relativi alle osservazioni di Caradriformi proviene dal
Centro Cicogne di Racconigi; all’Oasi la Bula di Asti, infatti, sono state osservate solo
Sterne comuni (Sterna hirundo), appartenenti alla Famiglia degli Sternidi.
I Cavalieri d’Italia (Himanthopus himanthopus) appartengono alla famiglia dei
Recurvirostridi. Sono trampolieri migratori trans-sahariani, presenti solo localmente
nell’Europa circum-mediterranea, che abitano zone di acqua bassa ricche d’insetti. Il loro
nido è a terra e può consistere in poche “raspate” su terreno asciutto o in accumulo di
detriti vegetali in ambienti umidi. In Italia è nidificante, migratore e svernante regolare e
irregolare.
Gli Scolopacidi osservati sono rappresentati da Piro piro piccolo (Actitis hypoleucos),
Combattente (Philomachus pugnax), Totano moro (Tringa erythropus), Piro piro
boschereccio (Tringa glareola), Pantana (Tringa nebularia), Piro piro culbianco (Tringa
ochropus) e Pettegola (Tringa totanus). Questi uccelli sono di ripasso in primavera alle
nostre latitudini, oltre a essere presenti come svernanti, in quanto il loro areale riproduttivo
è in linea generale rappresentato dal Centro e dal Nord Europa. Le zone umide come quella
all’interno del Centro Cicogne di Racconigi offrono un’importante occasione di sosta
durante la migrazione verso nord.
I Caradridi osservati sono Corriere piccolo (Charadrius dubius), Corriere grosso
(Charadrius hiaticula) e Pavoncella (Vanellus vanellus). I Corrieri sono piccoli migratori,
regolarmente osservabili in Italia, ma nidificanti e svernanti irregolari sul nostro territorio.
Anche la Pavoncella è una specie essenzialmente migratrice; i suoi quartieri di
41
svernamento sono rappresentati da Europa occidentale, Nord Africa e bacino del
Mediterraneo. In Italia è nidificante nella Pianura Padana.
Per quanto riguarda gli Anatidi, i più comuni e numerosi sia presso il centro Cicogne di
Racconigi che all’interno dell’Oasi la Bula di Asti, sono i Germani reali (Anas
platyrhynchos). Si tratta di anatre gregarie, dalla dieta variegata, abituate alla presenza
umana e molto comuni in tutto il continente europeo. Benché si tratti di uccelli migratori,
la maggior parte degli individui presenti in Piemonte è da considerarsi sedentaria. In
entrambi i siti di studio i Germani reali sono nidificanti.
Anatre come la Marzaiola (Anas querquedula), l’Alzavola (Anas crecca) o la Canapiglia
(Anas strepera) sono solo di passaggio nella nostra regione, in quanto i loro siti di
riproduzione sono situati in Europa centro-orientale. Solo alcune rare e localizzate coppie
nidificano in Piemonte.
All’interno dell’Oasi La Bula di Asti si segnala la presenza e la nidificazione del Fistione
turco (Netta rufina). Si tratta di uccelli diffusi localmente in tutta l’Europa occidentale. Il
maschio adulto durante la stagione riproduttiva è inconfondibile, in quanto presenta un
capo arrotondato coperto da piumaggio arancione, mentre la femmina è meno appariscente.
La loro dieta consiste prevalentemente di piante acquatiche. Il nido è sempre ben nascosto,
spesso situato alla fine di un tunnel formato dalla vegetazione. Per quanto riguarda l’Italia,
il Fistione turco nidifica in Sardegna e in zone umide residue della Pianura Padana.
I Rallidi sono ben rappresentati da Gallinelle d’acqua (Gallinula chloropus) e Folaghe
(Fulica atra), sia presso il Centro Cicogne che all’Oasi La Bula. Entrambe le specie hanno
un vasto areale di distribuzione a livello mondiale; per quanto riguarda l’Europa, sono da
considerarsi migratrici solo le popolazioni delle regioni settentrionali. In Italia sono
nidificanti sedentarie, migratrici regolari e svernanti.
Il Porciglione, osservato presso il Centro Cicogne di Racconigi, è un Rallide piuttosto
schivo, di difficile osservazione, che ama ambienti paludosi circondati da una fitta
vegetazione in cui può nascondersi e nidificare. In Italia il Porciglione è nidificante
sedentario, migratore regolare e svernante.
Gli Ardeidi sono facilmente osservabili in entrambi i siti di studio. I più comuni e numerosi
sono gli Aironi cenerini (Ardea cinerea), specie che comprende sia popolazioni migratrici
che sedentarie. Le popolazioni europee migratrici svernano nei Paesi che si affacciano sul
42
Mediterraneo e in Africa possono raggiungere anche il Sahel, mentre in Europa occidentale
l’Airone cenerino è osservabile durante tutto l’arco dell’anno.
Le popolazioni europee di Garzetta (Egretta garzetta) nidificano nelle regioni centro-
meridionali del continente e svernano nell’Africa sub-sahariana o restano in parte
nell’Europa mediterranea. Si tratta di uccelli gregari, dalle abitudini esclusivamente diurne
e la nidificazione avviene tipicamente in numerose colonie insieme ad altri Ardeidi
coloniali, in particolare Nitticore.
La Nitticora (Nycticorax nycticorax) è stata osservata principalmente all’Oasi La Bula di
Asti. La Nitticora è un uccello attivo prevalentemente di notte, ma durante l’allevamento
della prole va alla ricerca di cibo anche durante il giorno. Si tratta di una specie migratrice.
Le zone di riproduzione delle popolazioni europee sono frammentate nelle regioni centro-
meridionali, mentre l’areale di svernamento si estende nella regione sub-sahariana
dell’Africa occidentale fino all’Equatore. In Italia la Nitticora è migratrice regolare e
nidificante.
Il Cormorano è un grande Phalacrocoracide dalle abitudini gregarie, nidificante all’interno
dell’Oasi La Bula di Asti in stretta associazione con gli Ardeidi (Fig. 24). La specie è
caratterizzata da popolazioni migratrici e parzialmente migratrici. In Italia è sedentario e
nidificante, migratore regolare e svernante.
Fig. 24. Cormorani nidificanti presso l’Oasi La Bula di Asti. (Foto di
Roberta Donato)
43
Due sono i Podicipedidi osservati alla Bula di Asti. Lo Svasso maggiore (Podiceps
cristatus) è un uccello elegante, diffuso in tutta l’Europa occidentale, caratterizzato dai
ciuffi auricolari che porta sul capo durante il periodo riproduttivo. Il nido consiste in un
cumulo di fusti di cannuccia e detriti vegetali ed viene costruito nella fascia di vegetazione
palustre bordante le rive o, più raramente, allo scoperto. In Italia lo Svasso maggiore è
nidificante residente, migratore e svernante.
Il Tuffetto (Tachybaptus ruficollis) è un uccello dalle abitudini prettamente acquatiche,
dalle ottime qualità nel nuoto e nell’immersione. Le popolazioni nidificanti nell’Europa
occidentale e meridionale sono parzialmente residenti, mentre quelle dell’Europa centro-
orientale sono migratrici e svernano nei paesi del bacino del Mediterraneo. In Italia è
nidificante estivo e residente, migratore e svernante.
6.2 I servizi ecosistemici delle aree umide
Le aree umide sono ecosistemi molto produttivi e dal grande valore e pregio naturalistico,
di fondamentale importanza nel mantenimento degli equilibri naturali che regolano la
biosfera e nella conservazione della biodiversità (Le Zone Umide del Piemonte, 2011). Le
aree umide sono altresì ecosistemi estremamente vulnerabili e delicati, soggetti
specialmente alle variazioni degli apporti idrici che possono causare l’irreversibile perdita
di specie animali e vegetali perfettamente adattate al loro ambiente e pertanto molto
sensibili ai cambiamenti. Infatti, l’alta produttività biologica di questo tipo di ecosistemi e
le pressioni selettive imposte dalla vita in ambiente acquatico hanno creato un ricco biota
in relazione esclusiva con le aree umide (Gibbs, 1995). Inoltre, le aree umide sono spesso
frammentate in patches individuali, immerse in una matrice di altri habitat, cosicché la
maggior parte delle popolazioni locali di specie legate alle zone umide, sono piccole,
isolate e quindi molto vulnerabili ed esposte al rischio di estinzione (Møller e Rørdam,
1985; Dodd, 1990; Sjögren, 1991). Molti organismi dipendenti dalle aree umide vivono in
tante piccole popolazioni locali la cui sopravvivenza è permessa da migrazioni occasionali;
si tratta quindi di metapopolazioni (Hanski e Gilpin, 1991; Semlitsch, 1998).
Le aree umide sono costituite da un insieme di componenti fisiche, biologiche e chimiche,
quali suolo, acqua, specie animali e vegetali, nutrienti. E’ l’interazione tra queste
componenti che permettono all’area di svolgere determinate funzioni.
I beni e i servizi che le aree umide forniscono all’uomo sono riferibili alle categorie di
servizi ecosistemici già descritte, ma possono variare in base al tipo di ecosistema in
44
questione. Per questo, Brander e colleghi (2006) propongono una classificazione in cinque
diverse tipologie di area umida: mangrovie, sedimento non vegetato, acquitrino salato o
salmastro, acquitrino d’acqua dolce e boschi umidi d’acqua dolce. Come già detto, i servizi
forniti dalle aree umide derivano, ma non vanno confusi, con le loro funzioni fisiche ed
ecologiche.
Parte dei servizi forniti dipende da processi geofisici diretti (quali ritenzione dei sedimenti
o fornitura di aree-tampone in caso di piena), per estendersi poi a funzioni più generali, di
carattere climatico, biologico e socio-culturale, come impatti sul cambiamento climatico
locale e globale ed effetti di regolazione e stabilizzazione, conservazione della biodiversità
e fornitura di ambienti naturali per la ricreazione. Non meno importante è la capacità delle
aree umide di permettere all’uomo, attraverso processi ecologici, l’estrazione di beni e
servizi da risorse naturali, quali acqua, pesci ed altri animali edibili, legname, energia.
Più in dettaglio, i servizi ecosistemici forniti dalle aree umide sono:
- Servizi di approvvigionamento
Cibo: produzione di pesce, invertebrati, selvaggina, alghe, frutta, semi.
Acqua dolce: stoccaggio e ritenzione idrica; fornitura di acqua potabile e
per l’irrigazione.
Fibre e combustibili: produzione di legname, legna da ardere, torba,
materiali inerti.
Prodotti biochimici: estrazione di materiali dal biota.
Materiale genetico: sostanze medicinali; geni di resistenza contro patogeni
delle piante, specie ornamentali.
- Servizi di regolazione
Climatici: regolazione di gas serra, temperature, precipitazioni e altri
processi climatici; composizione chimica dell’atmosfera.
Biologici: regolazione delle interazioni tra livelli trofici; salvaguardia della
diversità funzionale.
Regimi idrologici: flussi d’acqua sotterranei; stoccaggio di acqua per
l’agricoltura e l’industria.
Controllo degli inquinanti e disintossicazione: ritenzione, recupero e
rimozione di nutrienti in eccesso e inquinanti.
45
Protezione dall’erosione: ritenzione dei suoli e prevenzione di
cambiamenti strutturali.
Rischi naturali: controllo delle alluvioni; regolazione delle tempeste.
- Servizi culturali
Spirituali e ispiratori: sentimenti personali e benessere; importanza
religiosa.
Ricreazionali: opportunità di turismo e attività ricreative.
Estetici: apprezzamento per i diversi aspetti della natura.
Educativi: opportunità per attività di didattica e formazione formali e non.
- Servizi di supporto
Alla biodiversità: habitat per specie stanziali o di passaggio.
Alla formazione del suolo: ritenzione del sedimento e possibilità di
accumulo di materiale organico.
Al ciclo dei nutrienti: stoccaggio, riciclo, trattamento ed acquisizione dei
nutrienti.
All’impollinazione: supporto per gli impollinatori.
(Adattato dal Ramsar Technical Report No. 3, 2006)
In seguito alla distruzione di un’area umida, si perdono anche tutte le funzioni che essa
conteneva (il che comporta anche considerevoli costi annuali per ripristinarle). In
particolare, quattro di queste funzioni emergono per la loro importanza a livello globale ed
il loro valore come servizi ecosistemici: supporto alla biodiversità, miglioramento della
qualità delle acque, riduzione delle alluvioni e regolazione del carbonio (Greeson et al.,
1979).
Proprietà come la presenza di acqua e l’importante produzione primaria di questi habitat
attraggono un gran numero di individui e di specie animali, molti dei quali dipendono
interamente dalle aree umide. La maggior parte degli sforzi messi in atto per limitare la
perdita di aree umide deriva dall’interesse nel salvaguardarne la biodiversità, con
particolare riguardo per uccelli acquatici, crostacei e molluschi, pesci e piante rare. I
risultati di censimenti annuali dell’avifauna acquatica nidificante possono essere messi in
relazione con le condizioni dell’area umida mentre altri animali come crostacei ed anfibi
46
d’acqua dolce sono considerati degli ottimi indicatori relativamente alla perdita e al
degrado delle aree umide, a causa della loro particolare sensibilità alle variazioni della
quantità e della qualità dell’acqua. Inoltre le zone umide fungono da luogo di sosta per
molte specie durante la migrazione primaverile ed autunnale.
Il ruscellamento delle acque da aree agricole e urbane trasporta tipicamente grandi quantità
di nitrati e fosforo, nutrienti che stimolano la crescita delle alghe nei corpi idrici.
L’eutrofizzazione e la presenza di alghe (con loro conseguente decomposizione)
diminuiscono la concentrazione di ossigeno disciolto in acqua, causando spesso morie di
pesci e distruzione della catena alimentare acquatica. Queste condizioni possono risultare
sgradevoli e addirittura tossiche anche per gli esseri umani.
Una migliore gestione dell’uso dei nutrienti nelle aziende agricole e nelle città,
permetterebbe alle aree umide di ottimizzare il loro ruolo nella riduzione dei problemi
legati al surplus di questi nutrienti . E’ infatti riconosciuta la capacità delle aree umide di
rimuovere sedimenti, nutrienti e altri contaminanti delle acque, tutte funzioni che hanno
portato ad un diffuso sfruttamento delle aree umide per il trattamento delle acque reflue
(Kadlec e Knight, 1996). Le aree umide con acque poco profonde sono efficaci nella
rimozione di nitrati dalle acque correnti; infatti, la denitrificazione è un doppio processo, in
cui i nitrati (presenti in acque ossigenate) vengono ridotti ad azoto gassoso dall’azione di
batteri anaerobi (i quali si trovano in suoli anossici).
Il fosforo ha invece la tendenza a legarsi alle particelle del suolo, pertanto la miglior
strategia per la sua rimozione consiste nell’intrappolare le acque ricche di sedimenti e
lasciarle decantare per permettere alle particelle di depositarsi. Inoltre, un’alta
concentrazione di alluminio e ferro aumenta la capacità di legare il fosforo e, di
conseguenza, la sua rimozione (Smil, 2000).
L’individuazione di aree da preservare o ripristinare, al fine di migliorare la qualità delle
acque di un bacino idrografico, richiede indagini e ricerche considerevoli. Su scala di
singoli siti, risulta che anche strette fasce di vegetazione (di 4 m di spessore) adiacenti ai
flussi d’acqua, possono rimuovere dall’85 al 90% di nitrati, fosforo e sedimenti in
sospensione trasportati (Evans et al., 1996).
I costi economici globali derivanti dai danni causati dalle piene sono considerevolmente
aumentati negli ultimi 100 anni. Questo è in gran parte imputabile all’aumentato utilizzo
delle piane alluvionali per attività agricole ed insediamenti urbani. Le aree umide sono
particolarmente apprezzate per la loro capacità di immagazzinare e rallentare i flussi di
47
piena. Le aree umide considerate più utili per questi scopi sono quelle che si collocano a
monte rispetto a siti in cui gli eventi alluvionali possono causare gravi conseguenze, come
le aree urbane e i campi coltivati. Mitsch e Gosselink (2000), stimano che aree pari al 4%-
7% della superficie totale di un bacino idrografico in zone temperate, dovrebbero essere
mantenute come aree umide per permettere un adeguato controllo degli eventi alluvionali e
al tempo stesso migliorare la qualità delle acque. In quest’ottica si può notare come l’Oasi
La Bula di Asti veda snaturata questa funzione. Infatti, in seguito all’alluvione del 1994, è
stato progettato e costruito un argine che corre tra il fiume e l’Oasi, impedendo allo
specchio d’acqua di essere interessato da eventi alluvionali.
Le aree umide sono anche riconosciute come importanti regolatori del clima, con specifico
riferimento alla loro capacità di sequestrare il carbonio sul lungo termine, specialmente nei
suoli e secondariamente nella vegetazione. A livello mondiale, le aree umide rappresentano
il maggiore componente del pool di stoccaggio del carbonio biologico terrestre (fino al
44%-71%), immagazzinando 535 Gt (gigatonnellate) di carbonio (Mitra et al., 2005). E’
pur vero che in determinate condizioni le aree umide possono essere a loro volta fonte di
anidride carbonica (CO2) e gas metano (CH4). Smith e colleghi (2003) sostengono che la
CO2 rilasciata dal suolo aumenta esponenzialmente con l’aumentare della temperatura e
diminuisce in seguito a saturazione del suolo o siccità.
Il drenaggio artificiale di aree umide naturali per la coltivazione o l’estrazione della torba,
fa sì che grandi quantità di carbonio organico precedentemente immagazzinato vengano
rilasciate in atmosfera sottoforma di CO2.
Il metano è un potente gas serra che si forma in suoli a basso potenziale redox in
condizioni di anaerobiosi, che si creano in seguito a prolungati allagamenti di aree umide
naturali e artificiali, quali sedimenti lacustri o risaie (Smith et al., 2003). Ciò nonostante,
Mitra e colleghi segnalano che la distruzione di un’area umida “intatta” provocherebbe
emissioni di C organico (derivanti dalla decomposizione del suolo e della vegetazione)
superiori rispetto alle emissioni di CH4 altrimenti rilasciate dall’area umida intatta in
175-500 anni. Se a queste considerazioni si aggiunge poi il potenziale di sequestro futuro
del carbonio da parte dell’area umida, ne risulta che la distruzione di quest’area causerebbe
più emissioni di C rispetto alle emissioni nette di gas serra che sarebbero rilasciate da parte
dell’area umida originaria in diverse migliaia di anni.
Studi empirici in California e Florida suggeriscono che le aree umide costiere offrono un
ottimo potenziale per il sequestro del carbonio, che viene accumulato sul lungo termine a
48
tassi più elevati rispetto ad altri ecosistemi, probabilmente in seguito al continuo apporto e
seppellimento di sedimenti ricchi in nutrienti (Brevik e Homburg, 2004; Choi e Wang,
2004). Chmura e colleghi (2003) riportano anche che, al contrario delle torbiere, le paludi
salate e le mangrovie rilasciano quantità trascurabili di gas serra e immagazzinano più
carbonio per unità d’area (a livello mondiale circa 44,6 x 109 kg C anno
-1, valore
sottostimato a causa della carenza di dati relativi a Cina e Sud America).
Poiché le aree umide costiere sono tra gli ecosistemi che più velocemente scompaiono,
solo uno sviluppo costiero attentamente controllato potrà pervenire perdite future.
Anche le aree umide vegetate sequestrano efficacemente carbonio e il ripristino di vaste
aree di piane alluvionali che sono state convertite all’agricoltura potrebbero essere di
particolare beneficio. In Nord America e Europa il 90% delle originarie piane alluvionali è
ora adibito alla coltivazione (Tockner e Stanford, 2002). Il ripristino di parte dell’idrologia
e delle aree umide vegetate di queste superfici sarebbe un importante contribuito per il
sequestro del carbonio, il supporto alla biodiversità, il miglioramento della qualità delle
acque e il controllo degli eventi alluvionali.
Zedler e Kercher (2005) giungono ad alcune importanti conclusioni a proposito delle
potenzialità degli interventi di ripristino delle zone umide.
Innanzitutto, le opere di ripristino possono fermare il degrado e in parte ridurlo, ma molti
danni sono purtroppo irreversibili. La perdita e il degrado di aree umide hanno
conseguenze gravi e durature, prima tra tutte la cessazione della fornitura di servizi
ecosistemici. I fattori abiotici che causano degrado degli ecosistemi sono legati a
cambiamenti irreversibili a livello di paesaggio e di bacino idrografico. Spesso i problemi
derivano dall’introduzione di un fattore di disturbo, come l’eutrofizzazione o l’aumentato
apporto di acque superficiali provenienti dalla città; per questo tipo di problemi è
necessario agire a scala di paesaggio, il che spesso è molto complesso. Anche danni su
scala minore molte volte sono irreversibili, se li si considera in relazione alla durata media
dei progetti di ripristino (stimata generalmente di 3-5 anni, a volte di 10-20 anni, raramente
di 50 anni).
Anche i fattori biotici possono limitare la riuscita delle opere di ripristino. Ad esempio, in
seguito a interventi di disboscamento, la vegetazione delle aree umide boschive impiega
decenni per maturare nuovamente (Mitsch e Wilson, 1996). Anche le torbiere impiegano
molto tempo per ristabilirsi dopo attività di estrazione, in quanto la materia organica che le
costituisce è rappresentata da sfagni dalla crescita molto lenta (Gorham e Rochefort, 2003).
49
Nelle aree umide originariamente molto ricche in specie, difficilmente si riuscirà a
ripristinare la biodiversità iniziale; questo perché nonostante gli interventi di reinserimento
o piantumazione, i siti interessati da ripristino favoriscono le specie aggressive rispetto a
quelle con bisogni e richieste più specifici. Proprio la diffusione di specie invasive può
rendere incompleto, se non addirittura impossibile, gli interventi di ripristino delle aree
umide. Inoltre le zone umide che rappresentano dei sink a causa della morfologia del
paesaggio, sono soggetti a tutti gli effetti diretti e indiretti provocati dai disturbi che si
verificano all’interno del loro bacino idrografico (Zedler e Kercher, 2004). Infatti, le acque
in eccesso, i nutrienti, i sedimenti e i propaguli si spostano verso valle per raccogliersi
nelle zone umide.
Nonostante tutto, è importante sottolineare che le tecniche di ripristino delle zone umide
stanno migliorando e sempre più di frequente vi sono progetti che conciliano lo
sfruttamento di attività economiche come l'attività estrattiva a finalità di conservazione e
ripristino di aree umide, come è avvenuto per La Bula di Asti e come avviene da anni
presso il Parco del Po Alessandrino. E’ oggi possibile agire a livello idrologico,
topografico, di suolo, di flora, fauna e microrganismi.
Laddove le condizioni idrologiche iniziali siano alterate e in casi in cui gli insediamenti
urbani possano subire allagamenti dopo interventi di ripristino del livello dell’acqua
originario, è necessario agire cercando di riprodurre accuratamente le caratteristiche chiave
di quelli che sono complessi schemi idrologici temporali.
Quando invece la topografia del territorio sia stata artificialmente livellata, è necessario
ripristinarne l’ondulazione e l’eterogeneità originarie. Micro altipiani, depressioni o
piccole discese sono tutti elementi che hanno il loro particolare ruolo nel permettere
all’ecosistema di ricominciare a svolgere le sue funzioni.
Se il suolo è alterato è necessario apportare misure correttive per contrastare il danno.
Laddove il suolo è carente di materiale organico o nutrienti, si può intervenire con l’uso di
ammendanti (Callaway, 2001); al contrario, suoli con eccesso di nutrienti possono essere
defertilizzati attraverso la rimozione di materiale organico per permettere ai microrganismi
di trattare l’azoto (Perry et al., 2004). Siti che hanno subito la perdita di suolo in seguito ad
attività estrattive possono invece beneficiare dell’apporto di particellato fine.
50
Quando la copertura vegetazionale è stata distrutta, le piante possono ricolonizzare l’area
da sole, oppure no (Parker, 1997). Specie particolari possono essere incoraggiate a
rioccupare il sito, oppure essere deliberatamente inserite. Alcune specie vegetali sono
considerate “ingegneri dell’ecosistema” (Jones et al., 1994), perciò gli interventi di
rinaturalizzazione dovrebbero individuare e concentrarsi su queste specie chiave.
Per permettere alla fauna originaria di ricolonizzare un’area, è necessario ripristinare il
paesaggio originario, considerando attentamente tutti i suoi vari aspetti (comprese le
dimensioni, le distanze, le proporzioni).
Se, al contrario, specie animali e vegetali presenti sono indesiderate perché invasive, è
possibile considerare dei metodi di gestione per ridurne l’abbondanza.
Il problema maggiore relativo agli interventi di ripristino e rinaturalizzazione delle aree
umide è rappresentato dal fatto che ogni situazione è unica e ha caratteristiche proprie, e
risulta pertanto difficile fornire un quadro di lavoro condivisibile ed efficace.
51
7. Conclusioni
I dati raccolti e i risultati ottenuti da questo studio sono soddisfacenti e incoraggianti.
Entrambi i siti oggetto di studio rilevano la presenza di numerose specie di uccelli
acquatici che frequentano le aree umide descritte per mangiare, nidificare o sostare durante
la migrazione. I due siti, grazie ai progetti di rinaturalizzazione messi in atto, rappresentano
ora un importante supporto per la biodiversità animale e vegetale, inseriti all’interno di un
territorio degradato e privato della sua eterogeneità dalle varie attività antropiche.
Il Centro Cicogne di Racconigi è un prezioso sito che per le sue caratteristiche favorisce la
presenza di Caradriformi e Anatidi, oltre ovviamente alle Cicogne bianche che grazie al
progetto avviato nel 1985, sono ora numerose e facilmente osservabili.
Il Centro Cicogne, studiato e attrezzato per la fruizione del pubblico, concilia il disturbo
che la presenza dei visitatori può arrecare alla fauna, con il suo fondamentale ruolo
didattico. Grazie al Centro Cicogne, infatti, i visitatori possono comodamente osservare
durante tutto l’arco dell’anno, le paludi e la vita della fauna selvatica che le frequenta,
fornendo così un’opportunità unica inserita in un contesto territoriale omogeneizzato e
impoverito dall’agricoltura intensiva.
L’Oasi urbana La Bula di Asti costituisce un riuscito recupero di un’area che altrimenti
sarebbe ancora degradata e inquinata come è stata nel passato. L’eterogeneità delle sponde
e la relativa profondità dell’acqua dei diversi stagni, rappresentano un ambiente adatto
specialmente alla presenza di Anatidi e Ardeidi che, muovendosi lungo l’asse del Tanaro,
incontrano una delle rare zone naturali in cui poter sostare o nidificare, in un territorio
profondamente modificato dalla mano dell’uomo e che seppure inserito in Sito di Interesse
Comunitario mostra ampi segni di degrado causati da inquinamento e da spargimento di
rifiuti di ogni genere. Gli animali, grazie all'Oasi, vivono per gran parte del tempo
indisturbati (fatto salvo per alcune “incursioni” di persone non autorizzate), mentre in
alcune occasioni l’Oasi viene aperta al pubblico che può così fruire di un’area
rinaturalizzata a pochi passi dalla città.
Entrambe le aree oggetto di studio sono quindi da considerarsi due buoni esempi di
rinaturalizzazione, che forniscono elementi di naturalità al territorio, valore aggiunto alle
aree limitrofe e svolgono le varie funzioni che ne derivano, come precedentemente trattato
in questo studio.
52
8. Il Programma di Sviluppo Rurale
Il Programma di Sviluppo Rurale (PSR) è un documento strategico di programmazione
per l’agricoltura regionale disposto dalla Regione Piemonte sulla base di specifici
regolamenti comunitari, che traccia le linee guida per favorire lo sviluppo del contesto
rurale in seguito ad una sua accurata analisi socioeconomica. Il documento attuale interessa
il periodo 2007-2013 ed è composto da 31 “misure” (tipologie d’intervento), suddivise in
azioni, atte a garantire lo sviluppo sostenibile dell’agricoltura in termini ambientali,
inserite in quattro assi d’intervento: competitività, sostenibilità, qualità della vita delle aree
rurali e programmazione integrata.
Alcune misure del PSR incoraggiano la creazione o il ripristino di elementi naturaliformi,
stanziando fondi e fornendo indicazioni sulle caratteristiche degli interventi da mettere in
atto, ponendo così l’accento sull’importanza ecologica di questi elementi che è
fondamentale ricreare laddove siano andati persi.
Nello specifico, si fa riferimento alla misura 216 (Investimenti Non Produttivi), azione
216.1. L’azione richiede che siano realizzati o ripristinati uno o più elementi
dell’ecosistema agrario a prevalente funzione ecologica e paesaggistica, ovvero:
- Formazioni arbustive e/o arboree
- Zone umide
Il PSR indica inoltre che questi due elementi possono essere affiancati, al fine di creare
biotopi atti a fornire alla fauna selvatica nutrimento e siti di sosta e riproduzione, ampliare i
corridoi ecologici e costituire tratti di connessione ecologica.
La condizione fondamentale imposta dal PSR per avere accesso ai fondi stanziati è che gli
elementi sopra citati siano contigui o nelle immediate vicinanze di appezzamenti coltivati,
in modo da poter essere considerati parte dell’agroecosistema.
Gli elementi realizzati con la misura 216 dovranno poi essere correttamente conservati e
gestiti, non utilizzando prodotti fitoiatrici (se non quelli ammessi dall’agricoltura
biologica) e diserbanti chimici, mantenendo le aree libere da rifiuti di qualsiasi genere,
rimpiazzando le piante non attecchite, mantenendo una fascia di rispetto inerbita di 1-2 m
di larghezza e non eliminando siepi, filari e aree umide aziendali preesistenti (fatto salvo
per motivi fitosanitari o di sicurezza).
Le formazioni arbustive o arboree create o ripristinate dovranno rappresentare zone di
rifugio inframmezzate alle coltivazioni, fasce tampone lungo fossi, scoline, corsi d’acqua e
53
migliorare il paesaggio anche grazie all’azione di schermatura di elementi estranei al
paesaggio agrario tradizionale.
Il PSR elenca le specie vegetali ammesse nei progetti (tutte autoctone o storicamente
presenti nel territorio interessato) e specifica che le formazioni vegetali create, una volta
raggiunto il pieno sviluppo, non dovranno rientrare nella definizione di “bosco” (art. 3
della l.r. n. 4/2009).
Le formazioni interessate dall’azione 216.1 sono:
- Siepi campestri, arbustive e/o arboree, ad andamento lineare, su una o più file
parallele, con larghezza media < 20 m e costituiti da almeno 4 specie diverse.
- Filari, lineari e regolari, lunghi almeno 25 m, mono o plurispecifici, formati da
specie arboree governate ad alto fusto.
- Boschetti, modeste formazioni areali a prevalenza di specie arboree, con
un’estensione inferiore a 2.000 mq e/o una larghezza media inferiore a 20 m,
costituiti da almeno 4 specie diverse.
- Alberi isolati.
L’intervento relativo alla creazione o al ripristino di aree umide deve invece interessare
elementi quali laghetti, stagni, fontanili, maceri ecc. tenendo anche in considerazione il
ruolo di questi ecosistemi quali filtri in corrispondenza di scarichi puntuali.
Gli interventi oggetto dell’azione comprendono operazioni di scavo, rimodellamento,
canalizzazione, insieme alla costituzione di formazioni erbacee caratteristiche delle zone
umide, sia all’interno della zona allagata che al margine di essa. Per gli interventi,
specialmente quelli di creazione dell’area umida e di canalizzazione dell’acqua, si
raccomanda l’applicazione di tecniche di ingegneria naturalistica. E’ inoltre importante
sottolineare che nella aree risistemate, non dovranno essere permesse attività di
acquacoltura o pesca sportiva.
Le tipologie di area umide considerate dall’azione 216.1 sono:
- Fontanili: zone umide originariamente costituite a fini irrigui, basate sulla
captazione dell’acqua da falde freatiche superficiali prossime al piano di campagna
attraverso la posa di tubi. All’interno di tali aree si instaurano ecosistemi artificiali,
simili a quelli tipici delle risorgive; il principale problema che affligge i fontanili è
54
l’interramento causato dal deposito di sedimenti e materiale organico che rendono
spesso necessari interventi di recupero e manutenzione.
- Altre zone umide (stagni, paludi, maceri ecc…), siano esse ripristinate o costituite
ex novo. Per poter essere oggetto dell’intervento, almeno il 75% delle aree umide
interessate, dovranno essere allagate per almeno 6 mesi l’anno. Lo scavo del bacino
dovrà, se possibile, modellare il profilo del terreno a gradini, fino a raggiungere una
profondità massima di 2 m, al fine di favorire l’insediamento di una varietà di
specie vegetali. L’azione 216.1 fornisce due modelli orientativi riguardo la
profondità dell’acqua. Il primo è definito “zona umida ad acque basse”,
caratterizzata da una profondità non superiore a 30/35 cm, modello cui fanno
riferimento le paludi del Centro Cicogne di Racconigi. Il secondo è definito “zone
umide ad acque più profonde”, le quali possono presentare più settori a profondità
variabile, dai 20-70 cm fino ai 2 m, modello a cui fa riferimento l’intervento di
rinaturalizzazione attuato presso l’Oasi La Bula di Asti.
Il flusso dell’acqua che alimenta l’area umida deve poter essere controllato,
regolato e, se necessario, rallentato.
E’ necessario prestare particolare attenzione alle sponde dell’area umida, che
rappresentano un elemento fondamentale dell’ecosistema. Le sponde dovranno
presentare un andamento irregolare e sinuoso, in modo da avere un aspetto quanto
più possibile naturale e fornire insenature ed anfratti per il rifugio e la nidificazione
degli animali e massimizzare al tempo stesso la funzione di filtro naturale o
l’estensione dei canneti. Le sponde inoltre non dovranno essere troppo ripide.
Anche le isole sono un elemento essenziale per la vita degli animali, oltre a
svolgere funzioni quali rallentare la corrente, intercettare il vento e schermare
l’insolazione eccessiva.
Ulteriori interventi possono essere volti alla creazione di un’arginatura perimetrale
al fine di evitare le esondazioni o di canali perimetrali che costituiscano una riserva
idrica nei periodi di scarsa disponibilità d’acqua.
55
Bibliografia
Arpa Piemonte, Sistemi previsionali, giugno 2013, Il Clima in Piemonte nella Primavera 2013
Brander L.M., Florax R., Vermaat J.E. 2006, The Empirics of Wetland Valuation: A Comprehensive
Summary and a Meta-Analysis of the Literature, Environmental & Resource Economics 33: 223–250
Brevik E.C., Homburg J.A. 2004, A 5000 year record of carbon sequestration from a coastal lagoon and
wetland complex, southern California, USA. Catena 57:221–32
Callaway J.C. 2001, Hydrology and substrate, in Handbook for Restoring Tidal Wetlands, ed. J.B. Zedler,
pp. 89–118. Boca Raton, FL: CRC Press
Chmura G.L., Anisfeld S.C., Cahoon D.R., Lynch J.C. 2003, Global carbon sequestration in tidal, saline
wetland soils. Glob. Biogeochem. Cycles 17: Article 11
Choi Y.H., Wang Y. 2004, Dynamics of carbon sequestration in a coastal wetland using radiocarbon
measurements. Glob. Biogeochem. Cycles 18: Article GB4016
Costanza R., d’Arge R., de Groot R., Farberk S., Grasso M., Hannon B., Limburg K., Naeem S., O’Neill R.
V., Paruelo J., Raskin R.G., Suttonkk P., van den Belt M. 1997, The value of the world’s ecosystem services
and natural capital, Nature, Volume 387
De Groot R., Brander L., Ploeg S., Costanza R., Bernard F., Braat L., Christie M., Crossman N., Ghermandi
A., Hein L., Hussain S., Kumar k P., McVittie A., Portela R., Rodriguez L. C., Brinkm P., vanBeukering P.
2012 Global estimates of the value of ecosystems and their services in monetary units, Ecosystem Services
1, 50–61
De Groot R., Wilson M.A., Bouman R.M.J. 2002, A typology for the classification, description and
valuation of ecosystem services, goods and services, Ecological Economics 41, 393– 408
De Groot R., Stuip M.A.M., Finlayson C.M., Davidson N.C. 2006, Valuing wetlands Guidance for valuing
the benefits derived from wetland ecosystem services, Ramsar Technical Report No. 3,CBD Technical Series
No. 27
Dodd C.K. 1990, Effects of habitat fragmentation on a stream-dwelling species, the flattened mask turtle
Sternotherus depressus, Biological Conservation 45:33-45.
Evans R., Gilliam J.W., Lilly J.P. 1996, Wetlands and water quality, North Carolina Coop. Ext. Serv. Pub.
AG 473–7.
Farber S.C., Costanza R., Wilson M.A. 2002, Economic and ecological concepts for valuing ecosystem
Service, Ecological Economics 41: 375-392
Finlayson C.M., Davidson N.C., Spiers A.G., Stevenson N.J. 1999, Global wetland inventory—current
status and future priorities, Mar. Freshw. Res. 50:717–27
Gibbs J.P. 2000, Wetland loss and Biodiversity Conservation. Conservation Biology, Volume 14, No. 1
Gibbs J.P. 1995, Hydrologic needs of wetland animals, Encyclopedia of environmental biology, Volume 2,
Academic Press, New York.
Gorham E., Rochefort L. 2003, Peatland restoration: a brief assessment with special reference to Sphagnum
bogs. Wetlands Ecol. Manag. 11:109–19
Greeson P.E., Clark J.R., Clark J.E. 1979, Wetland Functions and Values: The State of Our Understanding.
Minneapolis, MN: Am. Water Resour. Assoc.
Gruppo di Lavoro sulle Zone Umide del Piemonte, 2011, Le Zone Umide del Piemonte. Regione Piemonte,
Torino.
56
Hanski I., Gilpin M.E. 1991, Metapopulation dynamics: brief history and conceptual domain. Biological
Journal of the Linnean Society 42:3-16.
Harrison C. 1988, Nidi, uova e nidiacei degli uccelli d’Europa. Guida al riconoscimento, Franco Muzzio Ed.
Hein L., van Koppen K., de Groot R., van Ierland E. 2006, Spatial scales, stakeholders and the valuation of
ecosystem services, Ecological Economics 57, 209– 228
Jones C. G., Lawton J.H., Shachak M. 1994, Organisms as ecosystem engineers, Oikos 69:373–86
Kadlec R., Knight R. 1996, Treatment Wetlands, Boca Raton, FL: CRC Press
La lista CISO-COI degli Uccelli italiani – liste A, B e C, 2009, Avocetta vol. 33 n. 1
McAllister D.E., Craig J.F., Davidson N., Delany S., Seddon M. 2001, Biodiversity impacts of large dam,.
Int. Union Conserv.Nat. Natural Resour./UN Environ.Programme Rep.
Millennium Ecosystem Assessment 2003, Ecosystems and Human Well-Being: A Framework for
Assessment, Report of the Conceptual Framework Working Group of the Millennium Ecosystem
Assessment, Island Press, Washington, 245 pp.
Mingozzi T., Boano G., Pulcher C. 1988, Atlante degli uccelli nidificanti in Piemonte e Val d’Aosta 1980-
1984, Museo Regionale di Scienze Naturali, Torino
Mitra S., Wassman R., Vlek P.L.G. 2005, An appraisal of global wetland area and its organic carbon stock.
Curr. Sci. 88:25–35
Mitsch W.J., Gosselink J.G. 2000, The value of wetlands: importance of scale and landscape setting. Ecol.
Econ. 35:25–33
Mitsch W.J., Wilson R.F. 1996, Improving the success of wetland creation and restoration with know-how,
time and self-design. Ecol. Appl. 6:77–83
Møller T.R., Rørdam C.P. 1985, Species numbers of vascular plants in relation to area, isolation, and age of
pond in Denmark, Oikos 45:8-16.
Moser M., Prentice C., Frazier S. 1996, A global overview of wetland loss and degradation
Mussa P.P., Pulcher C. 1992, L’avifauna nidificante in Piemonte, Regione Piemonte, Ed. EDA, Torino
NCSU Water Quality Group, WATERSHEDSS, Wetland Loss and Degradation
Niering W. 1985. Wetlands. New York: Knopf
Organ. Econ. Co-op. Dev./World Conserv. Union (IUCN) 1996, Guidelines for Aid Agencies for Improved
Conservation and Sustainable Use of Tropical and Sub-Tropical Wetlands, Paris: Organ. Econ. Co-op. Dev.
outcomes. Crit. Rev. Plant Sci. 23:431–52
Parker T.P. 1997, The scale of successional models and restoration objectives, Restor. Ecol. 5:301–6
Perry L., Galatowitsch S.M., Rosen C.J. 2004, Competitive control of invasive vegetation: a native wetland
sedge suppresses Phalaris arundinacea in carbonenriched soil, J. Appl. Ecol. 41:151–62
Ramsar, 1982, The Convention on Wetlands text.
Semlitch R.D., Bodie J.R. 1998, Are small, isolated wetlands expendable? Conservation Biology 12: 1129-
1133.
57
Sindaco R., Savoldelli P., Selvaggi A. 2008, La Rete Natura 2000 in Piemonte - I Siti di Importanza
Comunitaria, Regione Piemonte.
Sjögren P. 1991, Extinction and isolation gradients in metapopulations: the case of the pool frog (Rana
lessonae), Biological Journal of the Linnean Society 42:135-147.
Smil V. 2000, Phosphorus in the environment: Natural flows and human interferences. Annu. Rev. Energy
Environ. 25:53–88
Smith K.A., Ball T., Conen F., Dobbie K.E., Massheder J., Rey A. 2003, Exchange of greenhouse gases
between soil and atmosphere: interactions of soil physical factors and biological processes, Eur. J. Soil Sci.
54:779–91
Tockner K., Stanford J.A. 2002, Riverine flood plains: present state and future trend, Environ. Conserv.
29:308–30
Zedler J.B., Kercher S. 2004, Causes and consequences of invasive plants in wetlands: opportunities,
opportunists, and outcomes, Critical Reviews in Plant Sciences, 23(5):431–452, Taylor and Francis
Zedler J.B., Kercher S. 2005, Wetland resources. Status, Trends, Ecosystem Services, and Restorability,
Annu. Rev. Environ. Resour.
Zetterstrom D., Mullarney K., Grant P. J., Svensson L. 2009, Collins Bird Guide, 2nd
Edition
Progetti Intervento di recupero ambientale, La zona umida, Scheda di Progetto 2012, Regione Piemonte, Provincia di
Cuneo, Comune di Racconigi, Parco del Po Cuneese
Allegati tecnici alla richiesta di autorizzazione ai sensi della L. R. n°69 del 22.11.1978 "Coltivazione di cave
e torbiere", Progetto di recupero ambientale 1992, Comune di Asti, Loc. Boana
Relazione descrittiva dello studio di fattibilità, Bula - Ac, Regione Piemonte, Provincia di Asti, Ente
Gestione Parchi e Riserve Astigiani
Sitografia
Associazione Centro Cicogne e Anatidi: http://www.cicogneracconigi.it/
Associazione Ekoclub International: http://www.ekoclubinternational.it/
European Commission: http://ec.europa.eu/index_en.htm
Ministero dell'Ambiente: http://www.minambiente.it/
Regione Piemonte: http://www.regione.piemonte.it/
Wikipedia: http://it.wikipedia.org
WWF Sezione locale di Asti: http://www.promotus.it/wwf-asti/bula.htm