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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SIENA FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea in Fisioterapia TESI DI LAUREA Allungamento muscolare globale decompensato: trattamento del Low Back Pain cronico aspecifico” RELATORE STUDENTE Dott.ssa Lorenza Daolio Laura Ceccolini ANNO ACCADEMICO 2009/2010

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SIENA

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea in Fisioterapia

TESI DI LAUREA

“Allungamento muscolare globale decompensato:

trattamento del Low Back Pain cronico aspecifico”

RELATORE STUDENTE

Dott.ssa Lorenza Daolio Laura Ceccolini

ANNO ACCADEMICO 2009/2010

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INDICE

INTRODUZIONE ………………………………………………………. pag.5

CAPITOLO 1

LA COLONNA LOMBARE …………………………………………… pag.7

1.1 Anatomia e biomeccanica………………………………………. pag.7

1.2 Strutture muscolari responsabili……………………………… pag.10

1.2.1 Muscoli addominali ed estensori della colonna………. pag.10

1.2.2 L’ileopsoas…………………………………………………... pag.14

1.2.3 Il diaframma…………………………………………………. pag.16

1.2.4 Il sistema mio fasciale…………………………………...... pag.19

CAPITOLO 2

IL LBP CRONICO ASPECIFICO……………………………………. pag.26

2.1 Cause scatenanti……………………………………………....... pag.26

2.2 Strategie terapeutiche………………………………………...... pag.28

2.2.1 Metodiche di trattamento………………………………….. pag.29

CAPITOLO 3

IL METODO MEZIERES E LE CATENE MUSCOLARI………….. pag.31

CAPITOLO 4

METODO RAGGI E PANCAFIT……………………………………. pag.36

4.1 Come avvengono le modificazioni muscolari…………....... pag.38

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4.2 Importanza della respirazione diaframmatica…………….…. pag.41

CAPITOLO 5

MATERIALI E METODI………………………………………………… pag.44

5.1 Campionamento…………………………………………………… pag.45

5.2 Strumenti di valutazione utilizzati……………………………… pag.46

5.2.1 Scala VAS……………………………………………………... pag.47

5.2.2 Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire……. pag.49

5.2.3 Test di Schöber modificato……………………………….... pag.52

5.3 Attrezzatura utilizzata…………………………………………… pag.53

5.4 Casistica……………………………………………….…………… pag.55

5.5 Piano di trattamento……………………………………………… pag.57

5.6 Trattamento riabilitativo…………………………………………. pag.59

CAPITOLO 6

RISULTATI………………………………………………………………. pag.68

7.1 Risultati scala VAS……………………………………………….. pag.69

7.2 Risultati Oswestry low back pain disability questionnaire.. pag.73

7.3 Risultati test di Schöber modificato………………………….. pag.77

CAPITOLO 7

DISCUSSIONE DEI RISULTATI……………………………………... pag.80

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CAPITOLO 8

CONCLUSIONI……………………………………………………….. pag.82

BIBLIOGRAFIA……………………………………………………….. pag.86

SITOGRAFIA………………………………………………………….. pag.91

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INTRODUZIONE

Le algie vertebrali sono molto diffuse nella società odierna tanto da essere

definite “il male del secolo” o vere e proprie epidemie[1].

Gli studi affermano che durante la vita lavorativa l’80% degli individui,

soprattutto dei Paesi industrializzati, soffre di lombalgia con diversa

gravità[2,3]. Di questi solo il 20% circa presenta un trauma anatomo-

patologico oggettivamente diagnosticabile con esami radiografici da poter

giustificare la sintomatologia[4]. Perciò, nella stragrande maggioranza delle

persone che soffrono di dolore lombare cronico non si rileva nessun

danno apparente[5].

Queste lombalgie, dette funzionali o ideopatiche, sono legate ad un

possibile danno di tutte le strutture vertebrali come l’osso e il periostio, le

articolazioni e le capsule articolari, i muscoli, i tendini e i legamenti.

Spesso le lombalgie sono combinazione di vari processi fisiopatologici

locali e generali in cui il dolore non sempre è espressione di danno

anatomo-patologico. Ci sono molte persone che hanno un danno organico

senza dolore, altre hanno dolore senza un trauma, oppure l’intensità del

dolore è sproporzionata alla gravità della lesione.

Le cause che scatenano il dolore lombare sono multifattoriali dove

l’interazione di fattori biomeccanici, posturali, viscerali, neurologici,

psicologici ecc., non permette di ragionare in termini di causa-effetto o di

una reazione attribuita ad una causa specifica[6].

Le correnti linee guida per il trattamento del mal di schiena cronico

aspecifico propongono un approccio interdisciplinare e di una terapia

multifattoriale[7] al fine di ottimizzare la funzionalità spinale.

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Durante il mio tirocinio ho avuto modo di riscontrare che un metodo di

trattamento per il dolore lombare cronico era l’allungamento posturale

decompensato con l’utilizzo di Pancafit.

Incuriosita ho cercato sia in riviste scientifiche del settore riabilitativo, che

nelle banche dati più accreditate (Medline, Pedro, DARE, Chocrane) di

trovare informazioni e riscontri di tale approccio, ma la ricerca non ha

recuperato alcun articolo scientifico che ne documentasse la tecnica e

l’efficacia terapeutica.

A tal proposito, con la mia tesi mi sono prefissata lo scopo di

sperimentare, attraverso uno studio non randomizzato secondo la

modalità “pre e post test”[27] effettuato su un gruppo di 20 persone,

l’efficacia di questa metodica di esercizi, chiamata “allungamento

muscolare decompensato su Pancafit - Metodo Raggi” in casi di soggetti

affetti da lombalgia cronica disfunzionale aspecifica.

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CAPITOLO 1

LA COLONNA LOMBARE

1.1 ANATOMIA E BIOMECCANICA

La colonna lombare è composta da 5 vertebre localizzate tra bacino e

gabbia toracica. Le vertebre lombari sono tutte composte di un corpo

vertebrale, un processo spinoso, due processi trasversi e quattro apofisi

articolari. Tra i corpi vertebrali, uno sovrapposto all'altro, si trovano i dischi

intervertebrali. Questi ammortizzatori sono composti da due parti

funzionalmente opposte: il nucleo polposo che con ogni compressione

sviluppa una forza centrifuga, e dall'anello fibroso che lo circonda e che lo

contiene. Nell'immediata vicinanza dei dischi intervertebrali fuoriescono le

radici del plesso lombare attraverso i fori intervertebrali. La colonna

lombare, vista dal lato, forma una curvatura lordotica con convessità in

avanti che è fisiologica e naturale[8].

Fig.1 anatomia colonna

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Tutte le vertebre hanno la caratteristica di essere mobili, in diversi gradi in

base alla loro collocazione e quindi struttura, nelle varie direzioni dello

spazio. L'ampiezza dei movimenti elementari, scarsa a livello dei singoli

segmenti, diviene rilevante considerando il rachide nel suo insieme che

risulta così in continuo aggiustamento con movimenti di estensione,

flessione, rotazione, inclinazione e scivolamento. Esistono però lungo la

colonna vertebrale delle zone di rotazione sul piano trasverso privilegiate,

definite "cerniere di rotazione". Tali cerniere coincidono con i punti di

inversione delle curve fisiologiche della colonna vertebrale (lordosi

lombare, cifosi dorsale, lordosi cervicale) e con i segmenti a livello dei

quali i movimenti di rotazione dei tratti rachidei sottostanti e sovrastanti si

contrappongono. Le caratteristiche strutturali delle vertebre variano in

base alla curva rachidea di appartenenza e presentano, a livello delle

cerniere fisiologiche di passaggio fra esse, una vertebra "di transizione"

che somma le caratteristiche delle vertebre del gruppo superiore e

inferiore[14].

Le cerniere di rotazione a livello della colonna sono:

Cerniere cervicali C7-D1, C1-C2 (atlante-epistrofeo) , e occipite-

atlante.

Cerniera dorso-lombare D12-L1

La complessa attività della cerniera D12 –L1 consente la variazione

della posizione del tronco nello spazio.

La dodicesima vertebra dorsale (D12) rappresenta il fulcro immobile

della cerniera dorso-lombare, paragonata a una vera rotula

dell'asse rachideo (presenta un voluminoso corpo vertebrale, con

articolazioni superiori di tipo toracico e quelle inferiori di tipo

lombare, i principali muscoli spinali passano a ponte dietro il suo

arco vertebrale), poiché a questo livello vi è un cambio di capacità

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di rotazione e della curva fisiologica della colonna vertebrale (cifosi

dorsale, lordosi lombare). Durante la deambulazione, le vertebre al

di sopra di D12 e fino alla D7 permettono la rotazione del tronco

sufficiente a seguire l'arto inferiore che avanza. Le vertebre dorsali

superiori alla D7 invece ruotano in senso contrario seguendo il

bilanciamento dato dall'avanzamento dell'arto superiore

controlaterale all'arto inferiore; da cui l'importanza anche del cingolo

scapolo omerale nelle attività motorie. Al di sotto di D12 è effettuata

una rotazione relativa, poiché la cerniera lombo sacrale, come

visto, ruota al massimo di 5° e consente di rimanere stabili nel

proprio assetto verticale durante la rotazione.

Ogni segmento vertebrale dorsale ha stretti rapporti con le coste

corrispondenti le quali, formando la gabbia toracica, oppongono

resistenza limitando i movimenti. Per tale motivo il grado di

rotazione del tratto dorsale (35°, flessione 40°, estensione 30°,

inclinazione 20°) è massimo in corrispondenza D10-D11 in quanto

le ultime due coste sono fluttuanti ossia non si articolano con lo

sterno.

Cerniera lombo-sacrale L5-S1

Le rotazioni minime caratteristiche della colonna lombare (5°), che

presenta invece movimenti di flesso-estensione (50°-35°) e

inclinazione (flessione laterale 20°) analoghi agli altri livelli rachidei,

sono principalmente a carico della cerniera lombo-sacrale, e sono

di importanza fondamentale per bilanciamento corporeo durante la

deambulazione.

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1.2 LE STRUTTURE MUSCOLARI COINVOLTE

I muscoli deputati a trasformare la trave flessibile vertebrale in colonna di

sostegno sono detti "muscoli stabilizzatori vertebrali". A livello del tratto

lombare, essi possono essere classificati in:

Muscoli stabilizzatori principali:

anteriori: ileopsoas

laterali: quadrato dei lombi

posteriori: interspinosi, intertrasversari, trasverso-spinali.

Muscoli stabilizzatori accessori:

muscoli del torchio addominale: diaframma, addominali

trasversi ed obliqui, muscoli perineali

muscoli equilibratori del bacino: grande gluteo e muscoli retti

dell’addome

apparato ausiliario estensore: muscoli ischiatici e sacro

spinali

1.2.1 I MUSCOLI ADDOMINALI E GLI ESTENSORI DELLA COLONNA

Per mantenerci eretti, contrastando la forza di gravità, abbiamo bisogno di

muscoli robusti. La colonna vertebrale è dotata di piccole fasce muscolari

che si estendono da una vertebra a quella contigua o alla successiva.

Sono muscoli situati vicino alle vertebre e sono capaci di agire in modo

molto preciso, tenendo le vertebre in posizione le une sulle altre. Sono

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quindi i muscoli che con la loro azione ci permettono di mantenere

l'impilamento vertebrale. A questi muscoli di piccole dimensioni si

sovrappongono i lunghi muscoli dorsali che si estendono ai lati della

colonna vertebrale e si possono paragonare alla velatura di una nave,

nella quale l'albero è rappresentato dalla colonna vertebrale. Soprattutto

nel tratto cervicale e in quello lombare, i muscoli dorsali hanno una

struttura particolarmente robusta. Questi muscoli sono azionati soprattutto

per i movimenti di forza o di grande ampiezza. Poi vengono i muscoli

addominali retti e obliqui, che funzionano come un efficace corsetto che

contiene la massa addominale. Più la muscolatura dorsale e addominale è

forte, maggiore è il vantaggio acquisito dalla colonna vertebrale dal punto

di vista della forma e della stabilità. Se la parete posteriore dell'addome è

troppo rilassata, accade che gli organi interni prolassano in avanti. In

questo modo la colonna lombare si inarca ancora di più, fino a

raggiungere una lordosi patologica.

Il muscolo sacrospinale (o erettore della colonna vertebrale) è un

lungo muscolo che occupa le docce vertebrali per tutta la lunghezza della

colonna vertebrale, dalla regione nucale a quella sacrale. Fa parte dei

muscoli delle docce vertebrali del piano superficiale.

Nel muscolo sacrospinale si possono considerare tre parti:

- Laterale, il muscolo ileocostale.

- Intermedia, il muscolo lunghissimo.

- Mediale, il muscolo spinale.

Il muscolo ileocostale è innervato dai rami posteriori dei nervi toracici e

del 1° lombare; contraendosi, estende la colonna vertebrale e la inclina dal

proprio lato; può anche elevare ed abbassare le coste.

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Il muscolo lunghissimo è innervato dai rami posteriori dei nervi spinali,

dal 1° cervicale al 5° lombare; con la sua azione estende ed inclina dal

proprio lato la testa e la colonna vertebrale.

Il muscolo spinale è innervato dai rami posteriori dei nervi spinali dal 3°

cervicale al 12° toracico; contraendosi, estende la colonna vertebrale.

Forma la parte mediale del muscolo sacrospinale e si trova tra il muscolo

lunghissimo e i processi spinosi. Le sue origini e le sue inserzioni si

effettuano tutte sui processi spinosi [9].

Fig.2 veduta posteriore

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Fig 3. Veduta anteriore

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1.2.2 L’ILEOPSOAS

Il muscolo grande psoas si divide in una parte superficiale e una parte

profonda. La parte superficiale origina dalle superfici laterali dei corpi della

XII vertebra toracica e della I – IV vertebra lombare e dai dischi

intervetebrali interposti. La parte profonda origina dai processi costi formi

della I-V vertebra lombare.

Il muscolo grande psoas si unisce al muscolo iliaco a formare il muscolo

ileopsoas, il quale, circondato dalla fascia iliaca, attraversa la lacuna

musculorum per inserirsi al piccolo trocantere. Tra i due strati del muscolo

grande psoas si trova il plesso lombare.

Il muscolo grande psoas è un muscolo multiarticolare che permette la

flessione della coscia sul bacino; il muscolo iliaco, con cui si unisce per

formare il muscolo ileopsoas, è un muscolo flessore e completa l’effetto

dello psoas. Ambedue poi collaborano, in posizione sdraiata, al

sollevamento della metà superiore o inferiore del corpo. Inoltre lo psoas

può collaborare in modo modesto ad inclinare di lato la colonna vertebrale.

Come variazioni si può trovare un muscolo piccolo psoas in meno del 50%

dei soggetti. Ha origine dalla XII vertebra toracica e dalla I lombare e si

irradia sulla fascia iliaca inserendosi nell’eminenza ileo pubica. Ha effetto

nella tensione della fascia.

La fascia del muscolo ileopsoas nella porzione che ricopre il grande psoas

si estende dall’arco lombo costale mediale fino alla coscia. Cosi processi

suppurativi della colonna vertebrale possono invadere la coscia

decorrendo all’interno della fascia.

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Fig. 4 origine e inserzione ileo psoas

Come vediamo dalle immagini (Fig.4) le zone di origine del muscolo psoas

(porzione vertebrale dell’ileopsoas) sono sia anteriori sui corpi vertebrali

che laterali sulle apofisi trasverse delle vertebre. Questa grande area di

contatto fa si che esso sia fortemente condizionante la mobilità vertebrale

nel momento in cui si trovi in accorciamento/tensione.

Il muscolo ileopsoas partecipa quindi al mantenimento dell'equilibrio

fisiologico del bacino, aumentando, con la sua contrazione, la lordosi

lombare.

Favorisce dunque l'antiversione del bacino, e un suo ipertono può causare

fastidiose lombalgie [10,11].

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1.2.3 IL DIAFRAMMA

Il diaframma è il principale muscolo inspiratorio. Anatomicamente è una

lamina muscolo tendinea che divide la cavità toracica da quella

addominale. Si inarca superiormente nella cavità toracica formando una

cupola destra e una sinistra. La cupola destra, essendo in rapporto

inferiore con il fegato è spostata superiormente rispetto alla sinistra sotto

cui si trovano fegato e milza.

È costituito da una parte tendinea centrale, il centro frenico o tendineo.

Il diaframma può essere suddiviso, in base ai punti di inserzione dei

muscoli che si dipartono dal centro frenico in tre porzioni:

- Sternale

- Costale

- Lombare

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- La parte sternale ha origine dalla superficie interna del processo

xifoideo: è costituita dalle fibre muscolari più chiare rispetto alle

altre zone e si continua nel centro tendineo.

- La parte costale origina dalla faccia interna delle coste 7°-12° con

alcune digitazioni, che si ingranano con le digitazioni del muscolo

trasverso dell’addome.

- La parte lombare possiede da ambedue i lati, un pilastro mediale e

un pilastro laterale e, talvolta, un pilastro intermedio, separato dal

pilastro mediale. Il pilastro mediale destro ha origine dai corpi della

I-IV vertebra lombare, il pilastro mediale sinistro dai corpi della I-III

vertebra lombare. Il pilastro laterale origina da due arcate fibrose,

l’arcata lombo costale mediale, formata dall’arcata del muscolo

psoas e l’arcata lombo costale laterale formata dall’arcata del

muscolo quadrato dei lombi. L’arcata dello psoas si estende dal lato

del corpo della I vertebra lombare fino al processo costiforme della I

vertebra lombare. L’arcata del muscolo quadrato dei lombi si

estende da questo processo fino all’apice della XII costa.

Sotto la rispettiva arcata tendinea decorrono il muscolo grande psoas e il

muscolo quadrato dei lombi [12].

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Fig. 5 anatomia diaframma

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1.2.4 IL SISTEMA MIOFASCIALE

Il tessuto connettivo, definito anche fascia connettivale, è in realtà un vero

e proprio sistema, questa volta fibroso, che connette tutte le varie parti del

nostro organismo. Esso forma una rete ubiquitaria, che avvolge, sostiene

e collega tutte le unità funzionali del corpo, partecipando in maniera

importante al metabolismo generale. L'importanza fisiologica di questo

tessuto è in realtà maggiore di quanto si supponga normalmente. Esso

prende parte alla regolazione dell'equilibrio acido-base, del metabolismo

idrosalino, dell'equilibrio elettrico e osmotico, della circolazione sanguinea

e della conduzione nervosa (riveste e forma la struttura portante dei nervi).

È sede di numerosissimi recettori sensoriali, inclusi gli esterocettori e i

propriocettori nervosi e struttura i muscoli, anatomicamente e

funzionalmente, in catene miofasciali, assumendo pertanto un ruolo

fondamentale all'interno del sistema dell'equilibrio e della postura; è nella

rete connettivale che registriamo postura e pattern di movimento tramite la

comunicazione meccanica connettivale, la quale incide in ciò più dei

meccanismi riflessi dei fusi neuromuscolari e degli organi tendinei del

Golgi (organi di senso propriocettivi attraverso cui il sistema nervoso si

informa su ciò che accade nella rete miofasciale). Il sistema connettivale

funge da barriera all'invasione di batteri e particelle inerti, presenta cellule

del sistema immunitario (leucociti, mastociti, macrofagi, plasmacellule) ed

è frequentemente il luogo di svolgimento dei processi infiammatori. Esso

inoltre possiede grandi capacità riparative delle zone danneggiate da

infiammazioni e/o traumi riempiendone, se necessario, gli spazi. Nel

tessuto adiposo, che costituisce un tipo di tessuto connettivo, si

accumulano i lipidi, importanti riserve nutritizie mentre nel tessuto

connettivo lasso si conserva acqua ed elettroliti (grazie al suo alto

contenuto di mucopolissacaridi acidi) e circa 1/3 delle proteine

plasmatiche totali sono nel compartimento intercellulare del tessuto

connettivo.

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Ma non solo, oggi sappiamo che, tramite delle specifiche proteine di

membrana (integrine), il sistema connettivo è in grado di interagire con i

meccanismi cellulari.

Ci troviamo di fronte a una vera e propria rete sopramolecolare continua e

dinamica che si estende in ogni angolo e spazio corporeo composta da

una matrice nucleare interna a una matrice cellulare immersa in una

matrice extracellulare. A differenza delle reti formate dal sistema nervoso,

da quello endocrino e da quello immunitario, il sistema connettivo

presenta un metodo forse apparentemente più arcaico ma non certo meno

importante di comunicazione: quella meccanica. Esso "semplicemente"

tira e spinge comunicando così da fibra a fibra, da cellula a cellula e da

ambiente interno ed esterno alla cellula e viceversa, tramite la trama

fibrosa, la sostanza fondamentale e sofisticati sistemi di trasduzione del

segnale meccanico. In questa struttura le parti in compressione (le ossa)

spingono in fuori contro le parti in trazione (miofascia) che spingono verso

l'interno. Questo tipo di strutture presentano una stabilità più elastica

rispetto a quelle a compressione continua e diventano tanto più stabili

quanto più vengono caricate. Tutti gli elementi interconnessi di una

struttura a come questa si ridispongono in risposta a una tensione locale.

"Blocchi" locali, come le aderenze fasciali, possono derivare da sforzi

eccessivi o mancanza di esercizio, traumi ecc. L'eliminazione di tali

impedimenti e quindi il ripristino della corretto flusso consente alle cellule

interessate di passare da un metabolismo di sopravvivenza a quello

fisiologico specifico. Nel sistema miofasciale (muscolo-fasciale) del nostro

corpo, ciascun muscolo è tenuto in sede tramite lamine connettivali

(aponeurosi o aponevrosi) ed è racchiuso nelle fasce come la polpa di

un'arancia lo è nelle pareti cellulari che la suddividono (perimisio ed

endomisio). Tramite la fascia connettivale i muscoli si strutturano e

funzionano come catene muscolari o meglio miofasciali che si connettono

e interscambiano in tutto il corpo;

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Thomas Myers, nel libro "Meridiani Miofasciali", le definisce "Anatomy

Trains”[13].

Fig 6. catena superficiale posteriore

La catena miofasciale posteriore è la più estesa, influisce su postura e

movimento sul piano sagittale ed è formata da tutti i muscoli profondi e

superficiali che vanno dalla linea occipitale alla punta delle dita dei piedi:

trapezio, gran dorsale, romboidei, elevatore della scapola, dentato,

erettore della colonna, trasverso spinoso, interspinosi e intertrasversi,

semimembranoso, semitendinoso, gracile, bicipite femorale, adduttori,

plantare, popliteo, gemelli (grastrocnemio), soleo, tibiale posteriore,

flessori lunghi delle dita e plantari del piede.

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Fig 7. catena miofasciale superficiale frontale

La catena miofasciale superficiale frontale bilancia la catena

superficiale posteriore riguardo postura e movimento sul piano sagittale e

protegge gli organi addominali.

Fig 8. catena miofasciale profonda frontale

La catena miofasciale profonda frontale assume un ruolo prioritario nel

supporto di postura e movimento.

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Fig 9. catena laterale

La catena laterale influenza postura e movimento sul piano frontale (es.

sbilanciamenti laterali in flessione).

Fig 10. catena miofasciale a spirale

La catena miofasciale a spirale (dx e sx) contribuisce a influenza

postura e movimento su tutti i piani.

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Fig 11. catene miofasciali degli arti superiori

Le catene miofasciali degli arti superiori dato il loro peso (sono appesi

al cingolo scapolo omerale) e le loro molteplici attività influenzano postura

e movimento

Fig 12. catene miofasciali funzionali

Le catene miofasciali funzionali sono perlopiù superficiali e stabilizzano

posture non di riposo e movimenti complessi (es. gesti sportivi).

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In un corpo sano, le fasce profonde consentono alle strutture adiacenti di

scivolare una sull'altra. Tuttavia, in seguito a malattie infiammatorie, come

ad esempio nei casi di contratture muscolari croniche, o a lesioni

traumatiche, si ha la formazione di cicatrici aderenziali nei diversi strati,

che aumentano l'attrito interno durante la contrazione muscolare e

contrastano i movimenti e l'allungamento del muscolo (formazione di

muscolo retratto). Se non ci si oppone abbastanza contro le retrazioni

cicatriziali (tramite stretching, mobilizzazioni articolari, massaggi ecc.),

esse si trasformano in fibrosità capaci di rendere difficilmente reversibili

posture anomale e movimenti limitati. Le retrazioni connettivali inoltre

riducono anche la circolazione del sangue e dei liquidi interstiziali e la

conduzione nervosa, interessando quindi anche il tono muscolare (grado

residuo di leggera contrazione del muscolo a riposo) e la salute globale

dell'individuo concorrendo così all'affaticamento e alle tensioni generali.

È quindi nel cristallo del sistema connettivo che viene determinato e

registrato il nostro stato globale. Pertanto, metodologie (manuali, del

movimento, ergonomiche ecc.), basate sul concetto di riarmonizzazione

del sistema connettivale in accordo con gli altri sistemi, possono avere

importanti effetti oltre che immediati anche a lunga durata sulla salute

generale dell'organismo [13].

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CAPITOLO 2

DEFINIZIONE LBP CRONICO ASPECIFICO

La maggior parte delle persone avrà, nel corso della propria vita,

esperienza di almeno un episodio di dolore lombare, che è il principale, se

non l’unico, sintomo della grande maggioranza dei disturbi vertebrali.

Si parla di lombalgia specifica nel caso in cui ci sia una patologia ben

precisa a monte (neoplasia, stenosi del canale vertebrale, infezione ecc.),

mentre per lombalgia aspecifica si intende una sintomatologia senza

specifica causa, ovvero dolore lombare di origine sconosciuta[14]. In questo

gruppo rientrano tutte le sindromi disfunzionali legate al sistema muscolo

tendineo e capsulo legamentoso.

All’incirca il 90% di tutti i pazienti con dolore lombare hanno una lombalgia

aspecifica, che è sostanzialmente una diagnosi basata sull’esclusione di

una patologia specifica. A fronte delle diverse nomenclature impiegate

dalle differenti figure sanitarie, non esiste al momento attuale una

classificazione generalmente valida per il dolore lombare aspecifico; esso

viene solitamente classificato in funzione della durata del sintomo: acuto

se dura meno di sette giorni, subacuto se dura tra una settimana e tre

mesi e cronico se dura più di tre mesi [15,16].

2.1 CAUSE SCATENANTI

Le cause eziologiche del dolore localizzato alla regione lombare sono

numerosissime.

Esistono dei fattori di rischio ben conosciuti che hanno un ruolo assai

importante nello sviluppo della sintomatologia dolorosa a livello lombare;

questi possono essere divisi in costituzionali (età, sesso, patrimonio

genetico), legati allo stile di vita (fumo, sovrappeso e sedentarietà,

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esercizio fisico, fattori psicopatologici) e occupazionali (posture,

movimentazione dei carichi, ecc) [17].

Fattori di rischio costituzionali:

ETA’: secondo alcuni studi l’incidenza della lombalgia aumenta

gradualmente a partire dai 16 anni, raggiungendo il picco massimo

intorno ai 40 e diminuendo progressivamente intorno ai 60.

SESSO: alcuni ricercatori sostengono che la prevalenza sia

leggermente più alta nel sesso maschile.

FATTORI GENETICI: anormalità ereditarie della struttura della

colonna vertebrale o dello spessore dei dischi intervertebrali.

Fattori di rischio legati allo stile di vita:

FUMO: alcuni studi hanno chiaramente dimostrato nei fumatori un

incremento del rischio di avere lombalgia di 1,5 - 2,5 volte rispetto

ai non fumatori.

SEDENTARIETA’ E SOVRAPPESO: le persone che non svolgono

regolare attività fisica, seppur minima, incrementano il loro rischio di

andare incontro ad episodi di lombalgia, soprattutto nel periodo in

cui di dedicano ad attività manuali stressanti non abituali.

ATTIVITA’ SPORTIVE: l’esercizio fisico praticato a livello agonistico

dagli atleti, soprattutto in sport ad alto impatto delle strutture

vertebrali quali lo scii, il basket, il calcio, il golf, il tennis, richiedono

un elevato stress per la colonna che si trova a dover assorbire

continue pressioni, torsioni e rotazioni.

FATTORI PSICOSOCIALI: svolgono un ruolo importante soprattutto

come fattori predittivi di cronicizzazione della lombalgia e della

disabilità che ne può derivare.

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Fattori di rischio occupazionali:

POSTURA DA SEDUTI: è il più importante dei fattori predisponesti.

Secondo alcuni autori[6,16] la postura da seduti, mediante la

flessione completa del rachide, può produrre il LBP in sé, senza

l’intervento di ulteriori fattori. Sedere rilassati per un qualsiasi lasso

di tempo, pone la colonna in posizione di stiramento completo.

Questa posizione, se mantenuta per un periodo prolungato,

diventerà dolorosa.

FREQUENZA DELLA FLESSIONE: questo fattore è facilmente

intuibile quando si esamina lo stile di vita delle culture occidentali

nel ventesimo secolo. E’ proprio dalle azioni quotidiane orientate

sempre nella flessione della schiena che l’uomo sta perdendo la

sua abilità di estendere liberamente la colonna.

LA MOVIMENTAZIONE DEI CARICHI E FREQUENTI

SOLLEVAMENTI: particolarmente se in flessione e rotazione

POSTURA ERETTA PROTATTA

2.2 LE STRATEGIE TERAPEUTICHE

Il LBP cronico non rappresenta un’entità o una diagnosi a sé, quanto un

sintomo in pazienti con stadi molto diversi di danno, disabilità e cronicità,

pertanto in questi casi è raccomandata la valutazione di diversi fattori

prognostici. Devono essere presi in considerazione i fattori correlati

all’attività lavorativa, lo stress psico-sociale, le aspettative e i sintomi più

recenti riferiti dal paziente[16].

In caso di LBP a bassa disabilità possono essere sufficienti terapie

semplici basate sull’evidenza di efficacia: l’esercizio fisico riduce il dolore

e migliora lo stato funzionale rispetto all’assistenza standard, pertanto

deve essere raccomandato; sono consigliati l’approccio cognitivo-

comportamentale, nonché brevi interventi educazionali.

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È indicata terapia farmacologia orale con FANS per brevi periodi o

analgesici.

Quando ha fallito il trattamento mono-disciplinare è raccomandata la presa

in carico da parte di un team multidisciplinare: un programma

multidisciplinare di riabilitazione fisica e psico-sociale riduce il dolore e

migliora lo stato funzionale rispetto a trattamenti non multidisciplinari.

Mancano lavori controllati e randomizzati sulle terapie fisiche

(applicazione di calore o ghiaccio, trazioni, laser, ultrasuoni, massaggi,

corsetti e TENS) [18,19].

Gli obiettivi da raggiungere con il trattamento fisioterapico sono:

1. Insegnare una corretta gestione della colonna.

2. Ottenere un buon allenamento funzionale per svolgere le attività

domestiche e lavorative.

3. Mantenere una buona condizione fisica generale atta a prevenire le

recidive ed in grado di garantire una buona qualità di vita.

4. Sensibilizzare il paziente verso l'autogestione del proprio problema.

5. Ridurre l'importanza dei fattori di rischio individuali

2.2.1 Metodiche di trattamento

1. La Back School: fornisce informazioni utili per il paziente, per un

corretto utilizzo della sua colonna, infonde l'autostima e la fiducia in se

stessi, insegnando l'autogestione del proprio problema

2. McKenzie: usa il concetto di centralizzazione del sintomo, considerando

un miglioramento la localizzazione lombare del dolore ed un

peggioramento l'irradiarsi a distanza nel gluteo e nell'arto inferiore.

3. Meziéres: usa esercizi di allungamento praticati mantenendo una

postura più corretta possibile, in particolare in statica, sensibilizzando il

paziente a percepire profondamente il suo corpo.

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4. Souchard o Rieducazione Posturale Globale, derivato dal metodo

Meziéres e basato sul trattamento delle catene cinetiche.

5. Rieducazione Propriocettiva: infonde un migliore controllo posturale

tramite un potenziamento massimale delle afferenze propriocettive,

attraverso esperienze personali ed individuali del paziente.

6. Riprogrammazione Senso-Motoria: ripristina un corretto atto motorio,

mediante una sua elaborazione cognitiva e percettiva ed una conseguente

normalizzazione degli automatismi statici e dinamici.

7. Stabilizzazione della Colonna Lombare: si basa sul concetto del

mantenimento della colonna lombare in posizione indolore il più al lungo

possibile durante qualsiasi attività della vita quotidiana. Si svolge

all'interno delle Back School.

8. Work Hardening: un programma sistematico di attività progressive,

correlate al lavoro realizzato con meccanismi corporei perfetti, che

ricondiziona i sistemi muscolo-scheletrico, cardio-respiratorio e

psicomotorio della persona per prepararla al ritorno al lavoro.

9. Allungamento muscolare globale decompensato: riprende dal metodo

Mezieres usando esercizi di allungamento delle catene muscolari tramite

l’utilizzo di Pancafit.

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CAPITOLO 3

IL METODO MEZIERES e LE CATENE MUSCOLARI

“Il corpo è schiacciato dalla propria forza-peso, vale a dire dalla propria forza

muscolare, dalle ipertonie, dagli stati di tensione e contrazione, dalle perdite di

elasticità”(F. Mézières).

Secondo Françoise Mézières, creatrice e studiosa del Metodo, esiste una

“forma” normale del corpo alla quale rifarsi e da confrontare con tutte le

altre. Essa è quella che rispetta le proporzioni del “numero aureo”, usato

dagli antichi greci nella scultura del periodo classico, molto caro a

Leonardo da Vinci e considerato dalla ideatrice stessa “legge di armonia

universale”.

Secondo la Mézières è infatti la forma a governare la funzione e non il

contrario; attraverso un costante miglioramento della forma, della quale la

“statua greca” è il canone, ci si avvicina alla forma perfetta.

A partire da questi presupposti tale Metodo ha lo scopo di “curare” la

persona cercando di ripristinare la simmetria delle parti con un lavoro di

rieducazione di tipo posturale attraverso esercizi che favoriscono

l’allungamento dei muscoli privi di elasticità.

I numerosi muscoli, specialmente quelli posteriori del corpo e dorsali, si

comportano come un unico grande e potente muscolo in grado di deviare

la corretta posizione di vertebre e capi articolari su cui hanno inserzione.

Questo comportamento venne analizzato dalla Mézières attraverso uno

studio minuzioso dell’anatomia e della cinesiologia muscolare, per arrivare

a sostenere che ogni muscolo del corpo è collegato all’altro e sovrapposto

come “tegole” di un tetto andando a costituire diverse catene

muscolari[20]:

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Catena posteriore

Catena antero-inferiore

Catena brachiale anteriore

Catena anteriore del collo.

La Catena Posteriore è la più estesa, è costituita da tutti quei muscoli

profondi e superficiali che vanno dalla linea occipitale alla punta delle dita

dei piedi. Comprende sul piano superficiale: il trapezio e il gran dorsale;

sul piano medio: i romboidei, l'elevatore della scapola e i dentati postero-

superiori e postero-inferiori; sul piano profondo può essere suddiviso a

sua volta in tre piani :

a) il piano superficiale costituito dall'erettore della colonna;

b) il piano intermedio rappresentato dal trasverso spinoso;

c) il piano profondo comprendente i muscoli interspinosi e i muscoli

intertrasversi.

Sulla regione posteriore dell'arto inferiore troviamo invece il

semimembranoso, il semitendinoso, il bicipite femorale, gli adduttori, il

popliteo, i gemelli, il soleo, il plantare gracile il tibiale posteriore, i flessori

lunghi delle dita ed i flessori plantari sulla regione posteriore del piede.

Rappresenta la catena posturale della statica e ci mantiene eretti contro la

gravità.

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La Catena Antero-Inferiore è costituita dagli scaleni, dal diaframma,

dall'ileopsoas e dalla fascia iliaca. Questa catena è fondamentale nella

respirazione. La sua retrazione trascina la testa in avanti, cifotizza il dorso

e antepone le spalle.

La Catena Anteriore del Braccio è costituita dal coraco-brachiale, dal

bicipite, dal brachiale, dal brachio-radiale, dal lungo supinatore, da tutti i

flessori e pronatori dell'avambraccio compresi i muscoli dell'eminenza

tenar e ipotenar. Questa catena è molto soggetta a fenomeni di retrazione

e l'accorciamento cronico di questa catena determina una marcata

anteposizione delle spalle, una flessione del gomito e una pronazione

eccessiva dell'avambraccio alla quale si somma un' intrarotazione di tutto

l'arto superiore.

Catena anteriore del braccio

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La Catena Anteriore del Collo è costituita dal piccolo e grande retto, dal

lungo del collo e dal tendine centrale che collega il rachide cervicale al

diaframma e all'asse viscerale. Il piccolo retto va dalla massa laterale

dell'atlante all'apofisi basilare dell'occipite, il grande retto va dalle apofisi

trasverse di C3-C6 all'apofisi basilare dell'occipite. Il lungo del collo è

composto da tre parti: da fibre oblique discendenti, fibre oblique

ascendenti e da fibre longitudinali che collegano l'atlante a D1,D2,D3. Si

estende quindi dall'apofisi basilare dell'occipite al corpo della terza

vertebra dorsale. I muscoli della catena anteriore del collo accorciandosi

aumentano la lordosi posteriore.

Catena anteriore del collo

Ciascuna seduta del Metodo Mézières inizia con l'osservazione del

paziente. Considerato che il recupero della forza e dell'elasticità e la

riduzione del dolore dipendono dal ripristino della buona morfologia, il

bilancio sarà essenzialmente morfologico. Si comincia in piedi, poi piegati

in avanti e infine sdraiati supini per terra. Grazie all'osservazione, rapida e

precisa, il terapeuta ha già una visione sintetica delle asimmetrie del

paziente e delle difficoltà che potrà incontrare. Ha inizio così il trattamento:

una successione di posture, proposte dal terapeuta e mantenute dal

paziente. Lo scopo delle posture è di allungare le catene muscolari

facendo riferimento alla forma perfetta. Lo stiramento dei muscoli provoca

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però un certo disagio e quindi il corpo, in maniera del tutto incosciente,

mette in atto tutta una serie di "compensazioni" per evitare l'allungamento

che spesso si esprime in una sensazione di dolore. Si tratta di un dolore

da stiramento muscolare che i pazienti descrivono come "un dolore che si

sente che fa bene".

Le diverse posture che vengono proposte al paziente vengono indicate a

seconda delle deformazioni del soggetto e delle modalità di

compensazione che egli stesso utilizza per proteggerle. Non esistono

quindi delle posizioni standard. Non esiste nessuna ricetta, solo alcuni

principi di base. In effetti ogni patologia ha una modalità di espressione

simile: i sintomi della sciatalgia, ad esempio, sono riconoscibili come il

dolore forte al gluteo, nella parte posteriore della coscia, laterale della

gamba ecc.. L'accorciamento che provoca il dolore, però, si manifesta

spesso in maniera diversa, perciò, due persone, con lo stesso dolore, ma

con deviazioni dalla “forma” normale differenti, avranno bisogno di due

sedute diverse. In ogni seduta il terapeuta deve inventare, creare su

misura una sequenza organizzata di esercizi posturali in funzione della

situazione che si presenta.

Fig 13. Le tre squadre di Mezieres

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CAPITOLO 4

METODO RAGGI E PANCAFIT

Il Metodo Raggi è un particolare tipo di stretching ad approccio “globale”,

che sfrutta i principi del metodo Mezieres nel concetto di globalità del

corpo.

Ideato dal Dottor Daniele Raggi, questo metodo prende in esame la

persona nel suo insieme, osservandone attentamente la postura ed ogni

segnale che il corpo evidenzia o nasconde in modo intelligente o

“subdolo”.

L’obiettivo è quello di risalire alla causa primaria, cioè a quell’episodio o

trauma che col tempo ha dato vita all’adattamento posturale.

Attraverso una attenta anamnesi si ricerca la possibile causa primaria che

ha determinato l’adattamento: i traumi fisici passati, le cicatrici, gli

interventi chirurgici, i modi scorretti di usare il corpo, le situazioni emotive

che hanno lasciato un segno profondo, le componenti genetiche,le

malocclusioni, le interazioni di carattere biochimico-alimentare, l’aspetto

culturale, sono solo alcuni esempi di “spine irritative” che possono alterare

il Sistema Tonico Posturale (STP).

Il metodo Raggi prevede l’utilizzo di Pancafit, un attrezzo che permette

l’Allungamento muscolare globale decompensato.

Nell’Allungamento muscolare Globale Decompensato la “messa in

tensione” delle catene muscolari è molto graduale e progressiva; non si

tratta di una trazione ma di una tensione fisiologica che cerca di

raggiungere il limite dell’elasticità del tessuto muscolare senza però

superarlo. In questo modo il tessuto muscolare che tende a ritornare al

suo punto neutro di tensione, è obbligato a vincere le barriere che

impediscono questo ritorno.

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Questa tensione fisiologica permette di esercitare un’azione globale di

allungamento su tutta la catena muscolare-fasciale-connettivale posteriore

(e di conseguenza anche quella anteriore e quella trasversa).

Più in particolare, questa tensione fisiologica in postura decompensata

agisce su distretti muscolari retratti, riuscendo a modificare stabilmente la

condizione di chiusura permanente dei sarcomeri rimasti imprigionati dal

tessuto connettivo in una posizione concentrica, ed impossibilitati a

recuperare la posizione primaria in modo naturale e spontaneo.

Quando anche un solo muscolo per qualche ragione si accorcia (traumi,

tensioni, stress, dolore, posture scorrette, etc.), provoca un'azione

sull’intera catena muscolare, la quale disturberà inevitabilmente tutta la

struttura muscolo-articolare. Il dolore o l’infiammazione comparirà nel

punto più critico, più “debole” della struttura; oppure nel punto dove c’è

maggiore compressione articolare, rigidità o tensione [21].

Ogni qual volta si cerca di recuperare la lunghezza di un muscolo

attraverso un allungamento muscolare inadeguato, il sistema innesca un

meccanismo di compenso (antalgico) e si accorcia in altre parti della

catena a nostra insaputa.

I diversi angoli di lavoro imposti da Pancafit, permettono di ottenere un

allungamento muscolare decompensato, adeguato a qualsiasi situazione

individuale.

Lo scopo di questa metodica di trattamento è quella di eliminare o ridurre i

compensi posturali attuati dal corpo per sfuggire ad un dolore e far

emergere la causa nascosta di questo disagio. Si andrà quindi a lavorare

non sul muscolo dolorante (effetto di un trauma), ma sulla regione retratta

(causa), diventata ipofunzionante per la legge dei compensi: il corpo non

vuole sentire dolore, quindi cerca di bilanciare un deficit iperutilizzando

altri muscoli.

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L’obbiettivo di questo metodo è dunque quello di restituire la dovuta

lunghezza ed elasticità muscolare, di migliorare la capacità di percepire il

proprio corpo, migliorare la coordinazione neuromuscolare e dunque le

sinergie.

Con l’utilizzo della Pancafit è possibile eseguire molteplici esercizi, che

agiscono in modo globale sull’intera struttura muscolare e non a livello

locale o settoriale come avviene nello stretching tradizionale.

Il nostro lavoro tiene inevitabilmente conto anche della respirazione poiché

il diaframma, muscolo principale della respirazione, è intimamente

connesso con l’intera colonna e con tutti gli organi interni. Un altro aspetto

importante nel lavoro con Pancafit è l’acquisizione di uno stato sufficiente

di rilassamento muscolare, tale da permettere di eseguire i semplici

movimenti che gli esercizi richiedono.

Si può quindi raggiungere, grazie ad uno sblocco diaframmatico:

- un miglioramento della respirazione (non pesando più sui muscoli

accessori come: dentato, scaleni, pettorali, sternocleidomastoideo,

dorsale);

- una migliore propriocettività del proprio schema corporeo, cioè una

migliore capacità di sentire i cambiamenti che avvengono nel corpo sia per

ragioni fisiche che emotive;

- un miglioramento della postura e della coordinazione neuromuscolare.

4.1 COME AVVENGONO LE MODIFICAZIONI MUSCOLARI

Si può valutare il comportamento meccanico di un materiale, tenendo

conto dei seguenti criteri:

- la forza applicata

- la tensione

- il tempo

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esistono due tipi di deformazione:

- la deformazione elastica, che è temporanea e scompare alla cessazione

della forza applicata

- la deformazione permanente.

Nel caso di una deformazione elastica, le particelle, sia che si tratti di

atomi, ioni, molecole, cristalli, aggregati molecolari, si dispongono in modo

da essere in rapporto le une con le altre e, grazie alla loro forza di

attrazione, tendono ad una nuova riorganizzazione.

Un muscolo si avvicina come comportamento meccanico, di più ad un

materiale di tipo viscoso elastico.

Un corpo sottoposto a forza, per un lungo periodo di tempo, e che vede

tale forza decrescere ed annullarsi mentre lo stesso si deforma, ha subito

il fenomeno del rilassamento.

Tale tipo di deformazioni lente, ottenute con l’intervento di forze

notevolmente inferiori alla soglia di deformazione, sono dette deformazioni

a freddo. Se un corpo è idealmente elastico non c’è rilassamento.

Più un corpo è elastico, più la tensione dovrà essere forte per arrivare alla

soglia di deformazione.

Al di là di questa soglia, avviene il contrario e, a una debole tensione,

corrisponderà una considerevole deformazione[22].

Applicata all’attività fisica, questa formula prova la supremazia delle

posture sulle alternanze per l’influenza diretta del tempo sulla

deformazione. Le posture permettono, inoltre di disporre rigorosamente i

segmenti che subiscono la trazione, e di evitare la deformazione a caldo

che, per essere brusca, fa correre al muscolo il pericolo di rottura.

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Bisogna capire, innanzitutto, che la soglia di deformazione non è facile da

raggiungere e che, essendo qualsiasi forma di allungamento muscolare

disgregabile, il soggetto tende a sottrarvisi, con involontari sotterfugi.

D’altra parte, se non è stirato il solo muscolo ma tutto il segmento dell’arto,

tutti i muscoli che lo compongono saranno sollecitati, a livello della loro

“perfetta elasticità”, prima di giungere alla soglia di deformazione del

muscolo che risulta meno elastico.

Bisognerà quindi esercitare una sufficiente tensione per raggiungere

questa soglia.

Essendo i gruppi muscolari meno elastici e possedendo quindi una soglia

di deformazione più bassa, si deformeranno per primi.

La deformazione primaria e il ritorno sono fenomeni che dipendono

essenzialmente dal tempo; per esempio, più il tempo dopo lo scarico è

lungo, più il ritorno sarà considerevole.

Questo permette di considerare che, nel caso di una seduta, esiste un

ritmo ideale fra i successivi stiramenti di uno stesso segmento.

Sarà uguale per la frequenza delle sedute: troppo distanziate,

permetteranno un notevole ritorno allo stato precedente; troppo vicine non

saranno tollerate.

Ricordiamo che il muscolo retratto ha meno sarcomeri del muscolo

normale e quelli che possiede sono allungati.

Si sa che il connettivo si è retratto ed è verosimilmente aumentato

secondo la regola che costringe una struttura mobile come la fibra

muscolare, a degenerare in tessuto fibroso[23].

La forza di trazione è aumentata e la resistenza del muscolo alla

distensione è elevata. Bisogna, nello stesso tempo, ricordare che la

semplice posizione di comodità posturale nella stazione eretta, unitamente

alla componente di compressione e alla ripetuta contrazione concentrica

dei muscoli della statica, più fibrosi dei muscoli anteriori, provoca un

accorciamento dei primi.

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È necessario, pertanto, per tornare alla normalità, ammorbidire il muscolo

a livello connettivo, senza coinvolgere i residui sarcomeri, che tendono già

ad essere troppo allungati ( rischio rottura ), e quindi tentare di formare i

sarcomeri mancanti [24,25].

4.2 IMPORTANZA DELLA RESPIRAZIONE DIAFRAMMATICA

Durante la respirazione fisiologica, in stato di riposo (circa 15 atti

respiratori al minuto), è solo nella fase inspiratoria che si utilizza la

muscolatura, mentre l’espirazione avviene passivamente.

Il diaframma, quale principale muscolo inspiratorio, dovrebbe svolgere

almeno i 2/3 del lavoro respiratorio, con il restante 1/3 svolto dagli altri

muscoli respiratori principali, ossia gli intercostali, ottenendo cosi la

respirazione addominale o diaframmatica.

In pausa respiratoria le fibre muscolari diaframmatiche decorrono quasi

perpendicolarmente verso la sua zona centrale (centro frenico o tendineo),

durante l’inspirazione le fibre muscolari si contraggono abbassando la

lamina tendinea, appiattendolo e quindi aumentando il volume polmonare

(elevazione delle coste, in particolare inferiori).

La discesa del centro frenico, che varia da 1 cm nella respirazione

normale fino a 10 cm in quella forzata, viene frenata dal sistema

sospensore del pericardio, oltre che dalla pressione dei visceri addominali.

Man mano che lo sforzo fisico aumenta, cresce fisiologicamente l’attività

dei muscoli respiratori accessori che hanno il compito di innalzare la

gabbia toracica aumentandone il volume (respirazione costale).

In primo luogo vengono coinvolti i muscoli scaleni (che originano dalle

apofisi trasverse delle vertebre cervicali e si inseriscono sulla prima e

seconda costa) innervati dal plesso brachiale ed in seguito i romboidi, il

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gran dentato e il piccolo e grande pettorale, man mano che l’inspirazione

diventa sempre più forzata.

Sapendo quindi che alcuni dei più importanti muscoli accessori, hanno

origine sulle vertebre cervicali e si inseriscono sulle coste, si capisce bene

che carico deve subire la zona cervicale che dovrà eseguire un lavoro che

non gli compete sempre, se non nella respirazione forzata, questo porterà

stress continuo determinerà problemi posturali oltre che un carico

compressivo a livello delle vertebre cervicali.

Il diaframma esprime la sua funzione in modo corretto a condizione che la

sua forma sia altrettanto corretta ed il tessuto muscolare permanga

elastico e con la lunghezza funzionale. Un diaframma sempre teso

perderà progressivamente la capacità di muoversi con movimenti ampi e

completi, diverrà sempre più basso, più piatto, retratto, perdendo

progressivamente parte della propria funzione e creando vari disagi in vari

organi e distretti.

Quindi per effetto del diaframma prima e degli accessori respiratori poi, le

coste e dunque il torace si sollevano per aprirsi e far entrare più aria. I

muscoli accessori naturalmente intervengono nella stessa proporzione in

cui il diaframma perde la sua capacità di essere sufficiente.

Anche i muscoli accessori respiratori, tenderanno a fissarsi

progressivamente in posizione raccorciata e impediranno proprio per

questa ragione al torace di scendere, così da determinare l’impossibilità di

far uscire l’aria per un ricambio. In altre parole il torace continuerà a

essere sollecitato in apertura per immettere aria che manca, per una

ormai impossibilità da parte del soggetto di svuotare il torace. Ogni

muscolo accessorio che svolga un lavoro con un ruolo primario subirà e

creerà inevitabilmente problemi.

Per esempio, i muscoli accessori di origine nucale disturberanno la zona

cervicale, i muscoli accessori di origine scapolare creeranno problemi di

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blocco o rigidità alle spalle, e quelli di origine dorsale creeranno

coattazioni e problemi lungo la colonna [26].

Da tutto quello che si è detto finora si capisce bene perché una corretta

respirazione diaframmatica sia importante e fondamentale per la riuscita

della seduta di allungamento muscolare globale decompensato con

Pancafit.

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44

CAPITOLO 5

MATERIALI E METODI

Il lavoro che ho svolto riguarda un’indagine semisperimentale “pre-

test/post-test” in un gruppo di 20 utenti non randomizzati[27].

I pazienti verranno valutati all’inizio del trattamento, dopo 10 sedute della

durata di circa 40 min ognuna in cui verranno effettuati 5 esercizi su

Pancafit comuni per ognuno di loro, e dopo 2 mesi dalla fine del

trattamento. Gli strumenti di misurazione utilizzati per ogni utente sono tre:

due sono soggettivi (VAS per il dolore e Oswestry Low Back Pain

Disability Questionnaire per la disabilità) e uno oggettivo (test di Schober

modificato per misurare l’ampiezza della flessione del tratto lombare del

rachide).

L’obiettivo della tesi quindi è quello di studiare la dimensione dell’effetto

del trattamento.

Il problema maggiore è la difficoltà di garantire che il cambiamento nelle

rilevazioni o misure sia effettivamente un effetto del trattamento, poiché

altri fattori possono essere cambiati nello stesso intervallo di tempo[28].

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45

5.1 CAMPIONAMENTO

Si tratta di un gruppo di 20 persone campionate in modo non

randomizzato.

Criteri di inclusione: età superiore ai 28 anni, sia di sesso maschile che

femminile, impegnati o non in lavori vari (impiegati, professionisti,

casalinghe, pensionati), che non pratichino sport a livello agonistico e con

uno stile di vita sedentario, con sintomi e diagnosi clinica di lombalgia

cronica aspecifica, con durata superiore ai 3 mesi, diagnosticata dal

medico curante o dallo specialista.

Criteri di esclusione: età inferiore ai 28 anni, presenza di tumori o

metastasi vertebrali, fratture vertebrali, osteoporosi grave, TBC ossea,

infezioni o infiammazioni in fase acuta, patologie con interessamento del

sistema nervoso centrale, asma bronchiale grave, malattie autoimmuni in

fase attiva, malattie reumatiche in fase acuta, ernie discali espulse sia

lombari che cervicali, donne in gravidanza, soggetti con scoliosi strutturata

con oltre 30° Cobb, dolore insorto da meno di 3 mesi.

Questi soggetti sono stati seguiti durante il ciclo di trattamento della durata

di 10 sedute nell’ istituto di riabilitazione “Beato Gregorio X” ad Arezzo.

Tutti hanno dato il consenso per il trattamento dei dati relativi all’indagine.

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5.2 STRUMENTI DI VALUTAZIONE UTILIZZATI

Tutti i pazienti sono stati valutati al momento di accesso al servizio di

riabilitazione, alla fine delle 10 sedute di trattamento e dopo 2 mesi

dall’ultimo incontro.

Gli strumenti valutativi utilizzati sono stati[29]:

- VAS ( Visual Analogic Scale)

- Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire

- Test di Schöber modificato

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5.2.1 Scala VAS

Il dolore è un fenomeno soggettivo ed è diverso per ogni individuo.

Per questo motivo è molto difficile valutare l’estensione delle esperienze

psicologiche ed emotive di un’altra persona.

Il dolore infatti è un’esperienza complessa e coinvolge più dimensioni;

viene condizionato da variabili soggettive quali: l’attenzione, gli stimoli

emotivi, le esperienze passate e lo stato d’animo.

L’intensità del dolore può comunque essere misurata mediante l’uso di

una scala di valutazione descrittiva, numerica o analogico visiva.

Si è quindi scelto di utilizzare la scala VAS (Visual Analogic Scale) proprio

per quantizzare questo dolore all’inizio e alla fine del trattamento e quindi

valutare se ci sono stati o meno miglioramenti.

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Essa consiste nel far individuare al paziente, su una linea di 10 cm, il

punto che meglio rappresenta il suo dolore, dove 0 corrisponde

all’assenza di dolore e 10 al massimo dolore possibile.

La distanza tra il segno lasciato dal paziente e lo 0 (assenza di dolore)

viene misurato in centimetri e diventa un valore registrabile e confrontabile

nel corso delle sedute[30,31].

Se la scala ha modo di essere usata correttamente, essa si dimostra

valida, sensibile e riporta correttamente la misura del dolore del paziente

secondo la sua esperienza[30].

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5.2.3 Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire

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51

DESCRIZIONE

La Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire rappresenta un

sistema di misura della disabilità da lombalgia assai noto e

frequentemente utilizzato negli studi clinici.

È costituito da dieci sezioni riguardanti le attività della vita quotidiana che

possono essere condizionate dalla lombalgia: la prima permette una

descrizione specifica del dolore, tutte le altre riguardano le limitazioni

dovute alla lombalgia nella vita quotidiana.

Le sezioni sono state selezionate come le più significative da una serie di

questionari sperimentali indirizzati a valutare le limitazioni delle diverse

attività della vita quotidiana provate da pazienti lombalgici che

effettuavano terapie riabilitative.

Ogni sezione prevede sei affermazioni relative a gradi diversi di

limitazione nello stesso tipo di attività (punteggio da 0 a 5 andando verso

la maggiore disabilità).

Le risposte delle singole sezioni vengono sommate a dare il punteggio

finale che prevede pertanto un valore massimo di 50 punti.

Tale valore viene moltiplicato per 2 a dare un valore percentuale

(percentuale di disabilità)[29].

RIPRODUCIBILITA’

Gli autori hanno dimostrato una riproducibilità molto alta quando la misura

è ripetuta lo stesso giorno (0.99) [32].

VALIDITA’

Buona correlazione con la mobilità del tronco e l’attività muscolare in

pazienti con lombalgia[33] e con il Waddell Disability Index. Sensibilità alta

al miglioramento spontaneo previsto in pazienti dopo un primo episodio di

lombalgia (p<0.005) [34].

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52

5.2.2 Test di Schöber modificato

Con il paziente in posizione eretta con i piedi ad una distanza pari a quella

delle spalle, si segna il punto mediano della linea che unisce le due spine

iliache postero-superiori, al di sopra del processo spinoso di S2 e un punto

posto verticalmente 10 cm più in alto, e si invita il paziente a flettersi in

avanti senza piegare le ginocchia.

Vengono quindi eseguite due misurazioni: una in posizione di partenza e

l’altra in posizione finale.

La differenza tra i valori delle due misurazioni rappresenta l’ampiezza

articolare del movimento di flessione della colonna lombare.

Solitamente in caso di ridotta motilità vertebrale la distanza tra i due punti,

dopo che il paziente si è flesso in avanti, sarà inferiore a 15 cm[35,36,37].

Fig. 14 posizione di partenza e posizione finale del rachide lombare per test di

Schober modificato

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5.3 ATTREZZATURA

Fig 15. Pancafit

Questo attrezzo ha una struttura abbastanza semplice ed è composta da

una base in ferro che quando l’attrezzo è aperto aderisce interamente al

pavimento. A questa struttura sono articolate due tavole di legno vincolate

al centro della base metallica ma libere di inclinarsi dal lato opposto

formando insieme una struttura a V più o meno aperta con vari gradini di

difficoltà a seconda delle esigenze di lavoro che l’operatore proposto al

servizio intenderà soddisfare.

L’unico punto in cui ci si deve sedere è al centro (nell’angolo), fra i due

schienali. È proibito sedersi in altre parti degli schienali o spingere con il

dorso e con le gambe contro i rispettivi piani di appoggio, giacché questi

servono solo come piani di riferimento, dunque solo come delicato

appoggio e guida agli esercizi.

Insieme a Pancafit vengono poi utilizzati numerosi accessori (star balls,

cuscinetti di varie dimensioni, cinghie blocca gambe, etc.) per

intensificare, migliorare e personalizzare la posizione del paziente e fargli

ottenere in questo modo il massimo benessere.

Le star balls sono un set di palline usate su Pancafit per decontrarre e

massaggiare i muscoli della colonna.

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54

È fondamentale che la pallina sia posta in modo simmetrico e

perpendicolare alla colonna andando cosi ad agire sui muscoli

paravertebrali.

Qualora una volta sdraiati su Pancafit, la testa fosse troppo reclinata

indietro è consigliato mettere un cuscinetto sotto la testa.

Fig. 16 Star balls e loro applicazione

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5.4 CASISTICA

Lo studio, durato 5 mesi (da giugno a ottobre 2010) ha riguardato in totale

20 soggetti affetti da Low Back Pain cronico aspecifico, di cui 7 donne e

13 uomini di età compresa tra i 28 e i 67 anni e la maggior parte con

un’attività lavorativa più o meno sedentaria.

PAZIENTI NOME SESSO ETA’

1 B.S F 54

2 B.A M 28

3 C.A M 52

4 C.C.G. M 36

5 F.F M 30

6 G.A M 42

7 G.F M 48

8 G.B M 67

9 G.I F 58

10 G.N M 52

11 P.I. M 67

12 P.S M 44

13 P.S F 67

14 E.A F 46

15 P.F F 50

16 R.A M 35

17 R.A F 28

18 S.G M 49

19 U.P M 49

20 S.P F 59

Grafico 1. Tabella dei pz

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56

Grafico 2. Distribuzione del sesso sul totale dei pz

Grafico 3. Frequenza dell’età

65%

35%

sesso

uomini donne

0

1

2

3

4

5

6

28-37 38-47 48-57 58-67

Età

maschi

femmine

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57

Grafico 4. Attività lavorativa dei pazienti

5.5 PIANO DI TRATTAMENTO

Dopo aver effettuato la valutazione iniziale ad ogni paziente abbiamo

stilato un programma di esercizi, della durata totale di circa 40 minuti, da

effettuare su Pancafit, comuni per ognuno di loro.

In totale sono 5 tipi di esercizi di allungamento della durata di circa 6-7

minuti l’uno con brevi pause tra un esercizio e l’altro.

Verranno effettuate 10 sedute distribuite in 2 o 3 volte a settimana. Alla

fine delle 10 sedute verrà effettuata la valutazione finale.

I pazienti inoltre verranno rivalutati per il follow up dopo 2 mesi dalla fine

del trattamento.

10%

25%

55%

10%

Attività lavorativa

pensionato

casaliga

impiegato

manuale

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58

COME SI INIZIA AD USARE PANCAFIT

Dopo aver predisposto la panca con un’apertura centrale abbastanza

ampia (ben oltre 90°) si fa sedere il paziente al centro, col dorso sullo

schienale più corto e le gambe tese dall’altro lato, tale da poter restare

seduti senza difficoltà o forti tensioni muscolari. In questo modo si può

scoprire il grado di elasticità o rigidità muscolo articolare del soggetto: in

condizioni ideali dovrebbe poter star seduto su Pancafit aperta a 90°

senza accusare tensioni o fastidi.

Usando Pancafit è necessario che la testa, il dorso, il bacino, i glutei, le

cosce e i polpacci siano sempre ben a contatto con la panca ed in asse

perfetto, ossia posizionati sempre ben diritti.

Se ci sono troppe tensioni alle gambe o alla schiena tali per cui il sedere si

allontana dall’angolo della panca, allora è bene aprire un po’ di più

l’angolo di lavoro.

Se per stare seduti sulla panca senza tensioni si deve aprire l’angolo di

gran lunga superiore a 90°, significa che la muscolatura è divenuta troppo

rigida e retratta e che non vengono fatti da troppo tempo esercizi per

mantenere una struttura elastica e funzionale.

Per alzarsi dalla panca, portare a terra entrambi i piedi, uno per lato;

aspettare un istante che la pressione sanguigna si ristabilizzi, poi portare

una gamba vicino all’altra e quindi mettersi in ginocchio a lato della panca

stessa. Quindi si invita il paziente ad alzarsi lentamente.

È importante subito dopo aver stirato la muscolatura, non fare esercizi o

lavori pesanti, affinché i muscoli e i centri nervosi superiori memorizzino la

nuova condizione.

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5.6 TRATTAMENTO RIABILITATIVO

I 5 esercizi da svolgere sempre in progressione sono:

a) Esercizio di stiramento consigliato per braccia, spalle, zona lombare,

dorsale, cervicale e gambe.

b) Esercizio per stirare i glutei

c) Esercizio per adduttori, anche e ginocchia

d) Esercizio per gli adduttori e la rigidità delle anche

e) Esercizio per mobilizzare le caviglie e stirare i muscoli posteriori degli

arti inferiori

Durante lo svolgimento degli esercizi, la respirazione dovrà essere fatta in

modo del tutto rilassato, l’aria deve uscire liberamente attraverso la bocca

ben aperta, come se si dovesse fare il classico respiro di sollievo o uno

sbadiglio. Se la respirazione sarà tesa (labbra semichiuse, aria che esce

tra i denti o dal naso oppure sbuffando o soffiando, anziché espirando)

anche il diaframma sarà teso, quindi la colonna non potrà essere nella

condizione ideale per raggiungere gli obiettivi prefissati.

È frequente negli esercizi avere la tendenza a respirare contraendo la

pancia. Questo è un meccanismo di aiuto e difesa che il corpo adotta in

modo automatico per ovviare alle tensioni che altrimenti si

evidenzierebbero.

Ogni volta quindi che per espirare si contraggono gli addominali, occorre

applicare la respirazione paradossa. Tale respirazione si chiama cosi

perché richiede un movimento opposto a ciò che avviene in modo naturale

e automatico. Si tratta infatti di far uscire la pancia rilassata mentre si fa

uscire l’aria durante l’espirazione senza però contrarre la schiena e

l’addome.

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a) Esercizio di stiramento consigliato per braccia, spalle, zona lombare,

dorsale, cervicale e gambe.

Fig. 17 Fase iniziale

Fig. 18 Fase dell’allungamento in espirazione

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Lo schienale della panca dev’essere ad un’angolazione di circa 40°

rispetto al terreno, mentre la parte dove poggiano le gambe è regolata in

base alle esigenze del paziente.

Le maniglie vanno impugnate come nella figura 17 e le braccia vanno

distese verso l’alto. Se c’è difficoltà a estendere completamente le braccia

le maniglie si possono anche tenere in modo che i gomiti siamo piegati,

aperti in fuori o chiusi in dentro. Le mani però dovranno sempre lavorare in

modo simmetrico.

Occorre rimanere in posizione distesa il più a lungo possibile e mentre si

respira si lascia scendere il torace con la schiena che torna a toccare lo

schienale. Ad ogni espirazione devono essere allungate sia le braccia che

il collo e per rendere il lavoro ancora più completo, sempre durante

l’espirazione si portano i piedi verso di se in modo da completare

l’allungamento della muscolatura posteriore degli arti inferiori.

Va prestata attenzione a non tirare indietro le dita quando si portano i piedi

verso di se, ma tenerle diritte e rilassate, in asse con tutto il piede.

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b) Esercizio per stirare i glutei

Fig. 19 secondo esercizio

Con lo schienale nello stesso livello del primo esercizio, si deve trovare

un’apertura adeguata per ogni persona di modo che senta tirare ma che

questo non sia cosi eccessivo da provocare dolore.

Una volta trovata l’apertura adatta si fa accavallare una gamba sopra

l’altra e facciamo prendere al paziente con le mani il ginocchio che sta

sotto trazionando verso il petto. In questo modo il gluteo opposto va in

tensione. Rimanere nella posizione almeno 2-3 minuti respirando e poi

cambiare gamba.

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c) Esercizio per adduttori, anca e ginocchia

Fig. 20 Terzo esercizio

La posizione di partenza è come quella degli esercizi precedenti. Si

piegano le gambe “a farfalla”, portando i piedi pianta contro pianta, il più in

basso possibile con le ginocchia ben divaricate. Si chiede al paziente di

spingere verso il basso le ginocchia durante la fase di espirazione e nello

stesso tempo di allungare il collo spingendo il mento verso il basso. Si

ripete una serie di 10/15 respirazioni per 3/4 volte.

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d) Esercizio per gli adduttori e la rigidità delle anche

Fig. 21 Quarto esercizio

Lo schienale è in posizione verticale, perpendicolare al terreno mentre la

parte dove poggiano le gambe è orizzontale a contatto col suolo. Le

gambe vanno divaricate al massimo, con i piedi verticali e a 90°. Mentre si

mantiene la posizione si effettua l’auto-allungamento della colonna, la

quale dovrà rimanere aderente allo schienale e sempre durante la fase di

espirazione si chiede al paziente di portare di dorsiflettere le caviglie.

Vanno fatte almeno 20 respirazioni ripetute per 2 o 3 volte. È importante la

posizione della colonna, del collo e dei piedi e in questa posizione, dove è

difficile far aderire la colonna allo schienale e può essere utile applicare la

respirazione paradossa.

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e) Esercizio per mobilizzare le caviglie e stirare i muscoli posteriori degli

arti inferiori

Fig.22 Quinto esercizio

Fig. 23 fase di ulteriore allungamento durante l’espirazione

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Questo esercizio si svolge in posizione eretta. Lo schienale della panca

dev’essere abbassato al terreno e la parte dei piedi dev’essere al primo,

secondo o terzo gradino di difficoltà in base alla capacità del soggetto. I

piedi sono ben appoggiati sulla panca e il paziente inizia a flettere il

tronco, “arrotolandosi” ,partendo a flettere dalla testa per poi scendere fino

a toccare se ci riesce la panca con le mani, cercando però di mantenere le

ginocchia estese.

Mantenere la posizione per 15 respirazioni per 3 o 4 volte. Quando si

risale va fatto lo stesso procedimento che è stato effettuato per flettersi in

avanti, ma al contrario.

Per creare tensioni diverse si può fare l’esercizio spostando le mani in vari

punti del piano di appoggio. Si può ad esempio portare le mani il più

lontano possibile dai piedi durante l’espirazione sempre cercando di non

flettere le ginocchia (Fig.23).

Ci sono alcune regole basilari da eseguire per poter trarre il massimo

beneficio dall’utilizzo della panca:

- Quando il paziente è sdraiato su Pancafit è importante che testa,

tronco, zona lombare, sacrale, cosce e piedi siano aderenti alla

panca e ben allineati ed uniti. Durante il lavoro tanto più si riesce a

far aderire i punti menzionati senza sforzo, tanto più si riuscirà a

mettere in tensione da allungamento la catena muscolare

posteriore. Qualora le gambe non riuscissero a stare facilmente

unite, con le caviglie che si toccano, potrete fissarle legandole con

un asciugamano a livello delle cosce, in prossimità delle ginocchia.

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- La respirazione deve essere fatta bocca ben aperta e rilassata per

ridurre tutta la resistenza e permettere al diaframma di lasciare che

la colonna aderisca perfettamente alla panca.

- L’autoallungamento che si chiede di fare per ottenere il massimo

risultato su Pancafit, consiste nell’abbinare alla respirazione un

allungamento della colonna. Occorre quindi allungarsi senza sforzo

e senza spingere né con la schiena, né con le gambe durante la

fase di espirazione.

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CAPITOLO 6

RISULTATI

In base ai punteggi ottenuti dai pazienti nelle varie scale di misurazione

sono stati formulati dei grafici riassuntivi per ogni valutazione effettuata

all’inizio del trattamento (T0), alla fine delle 10 sedute (T1) e dopo due

mesi dall’ultimo incontro (T2).

Sono state analizzate le frequenze di ogni misurazione ed infine valutate

le percentuali di miglioramento dei soggetti per ogni scala di valutazione in

relazione al tempo.

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6.1 RISULTATI SCALA VAS

Di seguito viene riportata una griglia riassuntiva con tutti i risultati ottenuti

dalla somministrazione della scala VAS ad ogni singolo paziente.

T0 = inizio del trattamento

T1 = dopo 10 sedute

T2 = controllo dopo 2 mesi

Pazienti T0 T1 T2

1 8 2 2

2 9 0 0

3 9 1 3

4 9 3 3

5 7 1 0

6 8 5 3

7 8 2 2

8 9 1 0

9 10 2 3

10 8 0 0

11 8 0 0

12 8 1 1

13 7 1 0

14 9 2 5

15 9 1 2

16 10 3 4

17 9 0 0

18 7 0 2

19 9 2 0

20 10 2 3 Grafico 5. Tabella risultati scala VAS

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Nei grafici che seguono sono stati riportati tutti i valori della scala VAS per

il dolore per evidenziare le differenze tra la prima, la seconda e l’ultima

valutazione.

Grafico 6. Istogramma punteggi VAS

Grafico 7. Grafico a linee punteggi VAS

0

2

4

6

8

10

12

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

pu

nte

ggio

VA

S

Pazienti

Scala VAS

T0

T1

T2

0

2

4

6

8

10

12

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

pu

nte

ggio

Pazienti

T0

T1

T2

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Per visualizzare meglio questi risultati si è creato un istogramma di

frequenza.

Grafico 8. Istogramma di frequenza

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Fre

qu

en

ze

Risultati

Scala VAS

T0

T1

T2

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Ad ogni intervallo di tempo vengono poi valutate le percentuali di

miglioramento o peggioramento del gruppo.

Grafico 9. Percentuali miglioramento da T0 a T1

Grafico 10. Percentuali miglioramento da T1 a T2

100%

0%0%

Risultati passaggio da T0 a T1

migliorati

invariati

peggiorati

25%

40%

35%

Risultati passaggio da T1 a T2

migliorati

invariati

peggiorati

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73

6.3 RISULTATI OSWESTRY LOW BACK PAIN DISABILITY

QUESTIONNAIRE

Di seguito viene riportata una griglia riassuntiva con tutti i risultati ottenuti

dalla somministrazione dell’Oswestry Low Back Pain Disability

Questionnaire ad ogni singolo paziente.

T0 = inizio del trattamento

T1 = dopo 10 sedute

T2 = controllo dopo 2 mesi

I dati sono espressi in percentuale di disabilità percepita dal paziente.

Pazienti T0 T1 T2

1 48% 10% 8%

2 52% 4% 0%

3 72% 6% 12%

4 66% 8% 14%

5 54% 4% 0%

6 70% 10% 12%

7 80% 8% 4%

8 80% 6% 4%

9 84% 20% 22%

10 60% 4% 4%

11 52% 6% 2%

12 48% 4% 6%

13 40% 8% 8%

14 40% 6% 12%

15 62% 8% 18%

16 74% 14% 20%

17 38% 4% 2%

18 62% 2% 14%

19 56% 8% 2%

20 22% 2% 6% Grafico 16. Tabella dei risultati

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Nei grafici che seguono sono stati riportati tutti i valori dell’Oswestry low

back pain disability questionnaire per evidenziare le differenze tra la

prima, la seconda e l’ultima valutazione.

Grafico 17. Istogramma risultati

Grafico 18. Grafico a linee risultati

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

risu

ltat

i

pazienti

Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire

T0

T1

T2

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

risu

ltat

i

pazienti

T0

T1

T2

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75

Per visualizzare meglio questi risultati si è creato un istogramma di

frequenza.

Grafico 19. Istogramma di frequenza

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

Fre

qu

en

ze

Risultati

Oswestry low back pain disability questionnaire

T0

T1

T2

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Ad ogni intervallo di tempo vengono poi valutate le percentuali di

miglioramento o peggioramento del gruppo.

Grafico 20. Percentuali miglioramento da T0 a T1

Grafico 21. Percentuali miglioramento da T1 a T2

100%

0%0%

Risultati passaggio da T0 a T1

migliorati

invariati

peggiorati

40%

10%

50%

Risultati passaggio da T1 a T2

migliorati

invariati

peggiorati

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77

6.2 RISULTATI TEST DI SCHOBER MODIFICATO

Di seguito viene riportata una griglia riassuntiva con tutti i risultati ottenuti

dalla somministrazione del test di Schober modificato ad ogni singolo

paziente.

T0 = inizio del trattamento

T1 = dopo 10 sedute

T2 = controllo dopo 2 mesi

I risultati sono espressi in centimetri.

Pazienti T0 T1 T2

1 3,5 5 5

2 4 6 5

3 2,2 4 3,4

4 2,5 5 3

5 3 7 6,2

6 3,5 5,3 4

7 3 4,5 4,5

8 2,3 5 3,5

9 3,5 6 4,5

10 4 5,5 4,3

11 3,8 6 5

12 3,3 5,5 4

13 4 6,2 5,2

14 3,5 6,7 5,3

15 3 5,5 5

16 2,5 5,2 3,7

17 4,2 7 7

18 2,5 4,6 3,5

19 3,2 4,5 4,5

20 4 6,6 5,4 Grafico 11. Tabella risultati

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Nei grafici che seguono sono stati riportati tutti i valori del test di Schober

per evidenziare le differenze tra la prima, la seconda e l’ultima

valutazione.

Grafico 12. Istogramma risultati

Grafico 13. Grafico a linee risultati

0

1

2

3

4

5

6

7

8

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

cm m

ob

ilità

rac

hid

e lo

mb

are

pazienti

Test di Schober modificato

T0

T1

T2

0

1

2

3

4

5

6

7

8

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

cm m

ob

ilità

rac

hid

e lo

mb

are

pazienti

T0

T1

T2

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Ad ogni intervallo di tempo vengono poi valutate le percentuali di

miglioramento o peggioramento del gruppo.

Grafico 14. Percentuali miglioramento da T0 a T1

Grafico 15. Percentuali miglioramento da T1 a T2

100%

0%0%

Risultati passaggio da T0 a T1

migliorati

invariati

peggiorati

0%

20%

80%

Risultati passaggio da T1 a T2

migliorati

invariati

peggiorati

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CAPITOLO 7

DISCUSSIONE DEI RISULTATI

Lo scopo di questo studio era di valutare l’efficacia del trattamento della

lombalgia cronica aspecifica tramite l’allungamento muscolare globale

decompensato su Pancafit in un gruppo di 20 persone campionate in

modo non randomizzato.

Per quel che riguarda i risultati del mio studio, il parametro che riguarda il

dolore, è stato valutato somministrando una scala soggettiva, la VAS.

Dai dati ottenuti emerge che dopo le 10 sedute, i pazienti hanno un

notevole calo del dolore percepito, infatti abbiamo un miglioramento del

sintomo sul 100% dei soggetti.

Dopo due mesi dall’ultimo incontro invece i dati dimostrano che nel 40%

dei pazienti il sintomo è rimasto invariato rispetto all’ultima seduta, nel

35% è peggiorato, mentre solamente il 25% è ulteriormente migliorato.

Riguardo alla disabilità percepita dal paziente a causa della lombalgia

cronica è stata somministrata una scala di misura soggettiva: l’Oswestry

low back pain disability quesionnaire.

Dai dati riportati emerge, alla fine delle 10 sedute, un miglioramento della

totalità dei pazienti che percepiscono una notevole riduzione della propria

disabilità.

Al follow up dopo 2 mesi il 40% dei soggetti riferisce un ulteriore

miglioramento, il 10% è rimasto invariato rispetto all’ultimo incontro mentre

il 50% dei pazienti è lievemente peggiorato, senza però tornare al livello di

disabilità percepito all’inizio del trattamento.

Anche dal test di Schober, che valuta oggettivamente l’ampiezza articolare

del movimento di flessione della colonna lombare, emerge che la mobilità

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del rachide lombare è aumentata nella totalità dei pazienti alla fine delle

10 sedute, ma nel riscontro dopo 2 mesi soltanto nel 20% dei soggetti il

risultato rimane invariato, mentre il restante 80% dimostra una riduzione

della mobilità lombare che però non è tornata a livelli dell’inizio del

trattamento.

In tutte le valutazioni quindi emerge un miglioramento della totalità dei

pazienti, rispetto alla prima seduta, che permane nel tempo, ma questi

risultati tendono a regredire nel riscontro al follow up dopo 2 mesi in

quanto una grande percentuale dei soggetti dimostra un peggioramento

riferito a mobilità del rachide lombare, disabilità e dolore rispetto ai valori

raggiunti al termine delle 10 sedute di trattamento.

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82

CAPITOLO 8

CONCLUSIONI

È generalmente riconosciuto che un buon risultato per trattare e

soprattutto prevenire la lombalgia dipenda da diversi fattori[38].

In primo luogo occorre una buona prevenzione, tramite la corretta

informazione del paziente sull’ergonomia posturale da tenere sia a casa

che sul posto di lavoro. Poi per ogni paziente deve essere fatto un

programma di esercizi personalizzato in base al problema e alle sue

capacità.

Ho voluto quindi provare, come modalità di trattamento, l’allungamento

muscolare globale decompensato su Pancafit per valutarne o meno

l’efficacia anche se il campione su cui ho lavorato era ristretto ad un

gruppo di 20 persone senza gruppo di controllo e non randomizzato.

I risultati di questa ricerca dimostrano come il Metodo Raggi, tramite gli

esercizi di allungamento muscolare globale decompensato, può divenire

una delle terapie utili a quei soggetti adulti affetti di lombalgie croniche

aspecifiche e da rigidità muscolari.

Gli esercizi di allungamento muscolare globale decompensato su Pancafit

hanno infatti raggiunto i seguenti obiettivi:

-diminuire o eliminare le componenti di tensione che inducono allo stato

doloroso;

-migliorare dell’elasticità delle catene muscolari statiche posteriori e

anteriori del corpo;

-recupero della funzione respiratoria del diaframma.

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83

Grazie a questo tipo di lavoro, i soggetti sottoposti agli esercizi di

allungamento muscolare globale hanno appreso:

1. ad eseguire l’esercizio terapeutico in modo diverso prendendo la

conoscenza e coscienza del gesto, eliminando tensioni muscolare,

blocchi articolari e respiratori.

2. ad evitare i compensi che il corpo mette in atto per sfuggire alle tensioni

date da allungamenti muscolari.

3. a percepire se stessi più attivi nell’affrontare gli impegni e le attività

della vita quotidiana.

È da riscontrare però, come riportano i dati, che a medio termine i

pazienti, se non esortati a continuare le attività di allungamento a

domicilio, tendono a regredire rispetto alla fine del trattamento, anche se

riescono a mantenere comunque i miglioramenti ottenuti.

Il peggioramento si riscontra soprattutto per quel che riguarda l’ampiezza

della flessione del rachide lombare, che diminuisce in ben 80% dei

pazienti rispetto all’ultima seduta, anche se rimane comunque maggiore

rispetto all’inizio della riabilitazione. Questo sta a dimostrare che gli

esercizi di allungamento non vanno interrotti a lungo per mantenere dei

buoni risultati, ma il paziente deve essere cosciente del suo corpo e far si

che metta in pratica anche a casa le informazioni raccolte durante il

periodo di trattamento[39].

Visti i risultati del follow up, si può giungere alle conclusioni riportate

anche nelle linee guida toscane dove affermano che è probabile che gli

stessi esercizi specifici non siano così importanti come la generale filosofia

di incoraggiamento per i normali movimenti senza stressare

eccessivamente la schiena[40].

Anche McKenzie crede che la dipendenza dal trattamento non sia

desiderabile e debba essere evitata, quando possibile[41]. Quindi, oltre ad

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eseguire i trattamenti necessari per alleviare i sintomi presenti, si deve

insegnare al paziente a fare affidamento su se stesso, per renderlo

indipendente dal terapeuta nella gestione delle terapie future.

Per ottenere infatti un buon allenamento funzionale e mantenere i risultati

ottenuti si deve:

- Svolgere costantemente gli esercizi, anche a domicilio;

- Correggere le posture errate nel lavoro e nell’ambiente domestico;

- Adottare quando possibile posizioni di scarico vertebrale;

- Sensibilizzare il paziente verso l’autogestione del proprio problema.

Anche se il tipo di studio e la numerosità del campione non permettono di

trarre delle conclusioni generalizzate e certe e in letteratura ancora non ci

sia ancora nessuno studio che affermi l’efficacia di questa metodica,

posso comunque dire, in base ai dati che ho raccolto, che questo tipo di

trattamento ha dato dei buoni risultati a breve termine e quindi può essere

una delle tecniche di riabilitazione da poter utilizzare in caso di pazienti

con mal di schiena cronico aspecifico.

Siccome i fattori che entrano in gioco sulla cura delle lombalgie sono

molteplici e le statistiche evidenziano l’alta percentuale di popolazione che

ne soffre almeno una volta nella propria vita[42], sottolineo l’importanza di

approfondire le ricerche riguardo questa problematica che ci investe

globalmente.

Sarebbe necessario infatti proporre uno studio che rispetti le

caratteristiche di un trial clinico controllato e randomizzato con uno

sviluppo temporale del progetto di ricerca superiore ai 5 mesi, che

permetterebbe un follow up a lungo termine ed il confronto con gruppi di

controllo trattati o con tecniche sovrapponibili a tale metodica (es. Back

School o Metodo Mezieres) o con trattamenti tradizionali.

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Ritengo comunque, cosi come riportano alcuni autori[7,43], che sia

necessario che da parte dei medici e dei terapisti si affronti la patologia

con una collaborazione multidisciplinare atta a indirizzare il malato al

migliore processo terapeutico di guarigione.

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