UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PARMA FACOLTA' DI … · Alle superiori mi avvicinai anche all'atletica...
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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PARMA
FACOLTA' DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA
" L a n orm ativa sp ortiva n ella scu o la n ella secon d a m età d el '900"
Relatore:
Chiar.mo Prof. Giovanni Gonzi
Tesi di laurea di:
Damiano Baronchelli
Matricola 75598
Anno Accademico 2000-2001
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INDICE - Premessa: "Le ragioni di una scelta"………………………………… I
- Introduzione:
1-"L'educazione fisica nella scuola italiana dall'Unità
d'Italia alla fine della seconda guerra mondiale"……….. IV
2-"Lo sport nella scuola"……………………………………XIV
- Capitolo primo:
"LO SPORT FA IL PROPRIO INGRESSO UFFICIALE
NELLA SCUOLA"
1.1 Una difficile ripresa………………………………… 1
1.2 Si discute di sport………………………………….. 3
1.3 Lo sport entra nella scuola………………………… 6
1.4 Una voce fuori dal coro…………………………… 16
1.5 I nuovi programmi………………………………… 20
Note al cap. 1………………………………………. 23
- Capitolo secondo:
"LA SCUOLA COME LABORATORIO DELLA
ATTIVITA' SPORTIVA GIOVANILE"
2.1 Una legge organica……………………………… 25
2.2 I Gruppi Sportivi Scolastici……………………… 27
2.3 I Giochi della Gioventù………………………….. 38
2.4 La normativa sanitaria…………………………… 50
2.5 …e quella assicurativa…………………………… 54
2.5.1 La SPORTASS…………………………. 56
Note al cap. 2…………………………………. 59
- Capitolo terzo:
"CAMBIA LA FORMA, RIMANE LA SOSTANZA
(CON QUALCOSA IN MENO)"
3.1 Un'indagine conoscitiva…………………………… 62
3
3.2 I Decreti Delegati…………………………………. 65
3.3 Oltre l'orario scolastico…………………………… 72
3.4 L'organizzazione amministrativa…………………. 72
3.5 L'evoluzione dei programmi………………………. 76
3.5.1 La scuola elementare………… 76
3.5.2 La scuola media……………… 81
3.6 I Centri Olimpia…………………………………… 85
3.7 Il Concorso Esercito-Scuola………………………. 88
Note al cap. 3……………………………………… 89
- Capitolo quarto:
"ALLA RICERCA DI UN'IMPROBABILE INTESA"
4.1 Il primo Protocollo d'intesa……………..……………… 90
4.2 Il fallimento di uno sport per tutti………………..…….. 97
4.3 Si tenta una sperimentazione………………………….... 100
4.4 Quindicimila firme di protesta giungono al ministero…. 102
Note al cap. 4……………………………………….. 109
- Capitolo quinto:
"FINISCE UN SECOLO: LA SITUAZIONE E'
ANCORA APERTA"
5.1 L'Associazionismo sportivo scolastico……….… 110
5.1.1 Un fallimento che non sorprende……… 110
5.1.2 Una nuova sperimentazione…………… 114
5.1.3 Il Protocollo contestato……………….. 119
5.1.4 Il modello francese, l'unica strada
percorribile?…………………………. 121
5.2 Il progetto Perseus……………………………… 124
5.3 All'Università…………………………………… 135
5.3.1 Si laureano anche gli insegnanti di E. F 135
4
5.3.2 La sentenza della Consulta del 1990….. 138
5.3.3 La protesta degli studenti ISEF……….. 141
5.3.4 Lo sport universitario…………………... 145
5.3.4.1 Una continuità da valorizzare… 145
5.3.4.2 Excursus storico……………… 147
5.3.4.3 Il CUS Parma………………… 150
Note al cap. 5………………… 152
- Capitolo sesto:
"CONCLUSIONI E PROSPETTIVE"
6.1 Un triste bilancio………………………… 154
6.2 Un caso limite…………………………… 160
6.3 Quali prospettive?………………………. 162
Note al cap. 6………………………… 166
- Appendice:
INTERVISTA AL DOTT. ENZO GIFFONI……… 167
- Bibliografia:
LETTERATURA …………………………………. 177
FONTI NORMATIVE……………………………. 181
5
PREMESSA
LE RAGIONI DI UNA SCELTA
Lo sport, come atleta, come spettatore, come lettore e "scrittore", occupa la prima
posizione nella graduatoria dei miei interessi.
Sono stato avvicinato al basket (ma allora veniva chiamato "pallacanestro") a sei
anni; ora ne ho trentadue e l'amore per questa attività sportiva è rimasto immutato:
gioco ininterrottamente da ventisei anni e dal 1987 ne scrivo anche, su quotidiani,
riviste, periodici.
Durante gli anni delle scuole medie, inferiori e superiori, partecipai ai Giochi della
Gioventù ed ai Campionati Studenteschi come cestista, contribuendo a conquistare
sempre ottimi piazzamenti nella fase provinciale.
Alle superiori mi avvicinai anche all'atletica leggera: nella specialità del "lancio del
disco" ottenni buoni risultati, aggiudicandomi diverse gare fra cui il titolo di campione
provinciale studentesco nel 1984. Forse, anche a detta di alcuni tecnici, avrei potuto
fare di più in questa specialità, ma la passione per il gioco di squadra era troppo forte
per poter pensare di abbandonare definitivamente il gruppo, lo "spogliatoio", dover
rinunciare ad un'attività collettiva, aggregante, in cui i risultati si raggiungono
sudando, soffrendo e divertendosi insieme, a vantaggio di una disciplina individuale,
molto gratificante anch'essa, ma che ti lascia inesorabilmente solo con te stesso
durante gli allenamenti e, soprattutto, durante le competizioni.
Pratico anche il nuoto, non a livelli agonistici, ma come forma di allenamento nella
stagione estiva, quando i campionati sono sospesi. Possiedo il brevetto di "Bagnino di
Salvataggio" che, unitamente all'attività di pubblicista ed a quella di "addetto stampa"
di una società di basket di serie B d'Eccellenza, mi consente quel po' di autonomia
economica di cui necessita uno studente universitario.
Questa varietà d'impegni ha in qualche misura rallentato la mia carriera universitaria.
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L'amore per lo sport mi è stato, almeno in parte, trasmesso da mio padre. Grazie a
lui, forse il più "titolato" professore di Educazione Fisica della provincia di Brescia,
l'istituto nel quale insegnava, l'I.T.C. "Bazoli" di Desenzano del Garda, pur non
potendo competere con le altre scuole della provincia per numero di alunni, ha sempre
primeggiato, nel lungo periodo del suo servizio, nelle manifestazioni sportive
provinciali, partecipando in un paio di occasioni anche alle finali nazionali.
Lo sport è comunque un "male di famiglia": un fratello di mio padre fu campione
italiano nella specialità del salto con l'asta nel 1960, quando sfiorò la partecipazione
alle Olimpiadi romane. Un cugino, sempre da parte paterna - G.B. Baronchelli - a
cavallo fra gli anni '70 e '80 è stato ciclista professionista di buon livello, vantando
numerose vittorie ed i secondi posti al Giro d'Italia 1974 ed al Campionato del mondo
1980.
Non deve meravigliare, dunque, se una volta giunto in "dirittura d'arrivo" con gli
esami universitari, non ho avuto dubbi sulla scelta della materia in cui mi sarei voluto
laureare. Il mio vivo interesse per lo sport e il contatto costante con l'ambito scolastico
(oltre a mio padre anche mia madre e mia nonna sono state insegnanti) spiegano il
desiderio, da parte mia, di voler capire il più possibile a fondo il rapporto tra scuola e
sport, che è stato l'elemento centrale della mia vita fino ad oggi.
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INTRODUZIONE
1 - L'EDUCAZIONE FISICA NELLA SCUOLA ITALIANA DALL'UNITA'
D'ITALIA ALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
L'insegnamento e la pratica dell'educazione fisica, se rapportato agli altri Paesi
europei, ha, in Italia, radici relativamente recenti: precisamente con la L. n. 3725 del
13-11-1859, universalmente conosciuta come "Legge Casati", prima legge organica
della scuola italiana che introduce la "ginnastica" quale disciplina di insegnamento.
In precedenza, nel 1833, dietro proposta del ministero della Guerra del Regno di
Sardegna, il celebre ginnasta svizzero Rodolfo Obermann era stato incaricato
dell'insegnamento della ginnastica ai pontieri ed agli artiglieri di Torino. Siamo in
epoca preunitaria e, come si può notare, l'insegnamento della ginnastica in Italia ha
carattere militare e non pedagogico.
Lo stesso Obermann, ormai divenuto torinese d'adozione, nel 1844, unitamente al
conte Riccardi di Netro fondò la "Società Ginnastica" di Torino presso cui, tre anni più
tardi, venne organizzato il primo corso di ginnastica. A questa istituzione spetta il
grande merito di aver iniziato un tipo di ginnastica educativa e formativa ben diversa
da quella militare.
Bisogna però attendere il 1851 per vedere introdotto -obbligatoriamente- questo
insegnamento nelle scuole elementari superiori del municipio di Torino, con
l'istituzione di una direzione per la ginnastica nelle scuole comunali.
Si giunge così alla Legge Casati del 1859, quando il processo di unificazione
nazionale non era ancora stato completato; anche dopo l'Unità si verificò comunque
una situazione differenziata: a causa della mancata estensione della legge Casati a tutto
il Regno, per un certo periodo seguitarono ad applicarsi, in alcune province, le
normative degli Stati annessi.
L'art. 8 del Cap.1 della L. n. 3725 del 13-11-1859 precisa che: "La ginnastica e gli
esercizi militari saranno insegnati in tutti gli istituti di istruzione secondaria a
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qualunque grado e a qualunque classe appartengono. Il capo dell'istruzione pubblica
nominerà i maestri di ginnastica e l'istruttore militare".
La legge Casati determinò anche l'istituzione dei primi corsi magistrali di ginnastica
a Torino ed a Genova nel 1861, a Napoli nel 1864. Questi corsi erano rigorosamente
maschili; bisognava attendere il 1867 perché - sempre a Torino - venga istituito un
corso femminile, della durata di due mesi, riservato alle allieve in possesso di diploma
di maestra elementare. Si tratta delle prime iniziative per la formazione degli
insegnanti.
In seguito, con R.D. 29-6-1874, n. 2044, venne tenuto in Torino il primo corso della
"Scuola Normale di Ginnastica" al fine di preparare i docenti all'insegnamento di
questa materia. Nel 1877, un'analoga iniziativa venne istituita in Bologna presso la
Società Ginnastica Virtus.
Solo nel 1878 il ministro De Sanctis, con la L. n. 4442 del 7-7-1878, darà una
impostazione logica alle frammentarie disposizioni legislative sin allora emanate per
regolare ordinamento, mezzi, programmi ed insegnanti necessari per impartire un
regolare insegnamento della disciplina. Con questa legge, preceduta da un
tribolatissimo iter parlamentare, si rende finalmente obbligatorio l'insegnamento della
ginnastica "educativa" nelle scuole secondarie, normali, magistrali ed elementari.
Anche qui, come nella precedente legge Casati, si risente dell'impronta
"militareggiante" propria dei tempi; ma, a differenza del passato, questa legge prevede
una ginnastica caratterizzata da finalità altamente educative.
Purtroppo essa non sortì risultati concreti: nei bilanci non vennero infatti iscritti i
necessari stanziamenti per attuarla; inoltre era ancora molto radicato lo scetticismo nei
confronti dell'effettiva utilità di questo insegnamento e la mancanza delle strutture non
ne favorì certo l'attuazione. In ogni caso la legge De Sanctis ha il merito di essere la
prima legge dedicata esclusivamente all'insegnamento della ginnastica come materia
scolastica.
Il problema dell'insegnamento della ginnastica riemerge nel 1893, in seguito al
crearsi di quattro scuole di pensiero, "Come ben sintetizza Michele Di Donato, erano
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quattro le principali correnti: i cosiddetti "conservatori", che facevano capo ad Alberto
Gamba di Torino; i cosiddetti "riformatori", sostenitori di una "ginnastica naturale",
che avevano il maggior esponente in Emilio Baumann; i fautori dell'indirizzo sportivo
e cioè della sostituzione della ginnastica con i "giuochi inglesi", guidati da Angelo
Celli, docente di igiene all'Università di Roma, e soprattutto da Angelo Mosso; i
sostenitori della "ginnastica svedese", che facevano capo a Luigi Pagliani, docente di
igiene all'Università di Torino" (1).
Nello stesso anno il ministro della Pubblica Istruzione, Martini, nomina una
Commissione, presieduta dal sen. Todaro, per lo studio di un programma di
insegnamento dell'educazione fisica "corrispondente alle condizioni della scuola ed
all'indole della gioventù italiana". Questa Commissione si definisce "Commissione per
l'Educazione Fisica", a "significare più nettamente l'indole del proprio compito ed il
metodo dei suoi lavori"(2).
La vera innovazione stava nell'aver sostituito, per la prima volta in maniera
ufficiale, le parole "educazione fisica" al termine "ginnastica".
Poco dopo (1906), viene fondata la "Federazione scolastica di educazione fisica",
con lo scopo di associare le società ginnastiche scolastiche italiane (quelle preposte
alla preparazione dei futuri docenti) e di diffondere l'educazione fisica tra gli studenti.
Fu però con la L. 26-12-1909, n. 805, nota come "legge Daneo" (dal nome del
ministro della P.I.), che si giunse all'approvazione di un'altra legge organica
sull'educazione fisica in Italia. Essa fu autentica " pietra miliare nell'avanzamento
verso un ideale di educazione fisica da lungo tempo vagheggiato e divenuto maturo
negli spiriti degli educatori più eletti. E tale veramente fu: modello insuperato di
sapienza legislativa e pedagogica"(3). Con tale legge si stabilisce l'obbligatorietà, per
gli alunni, di uno specifico corso di educazione fisica in ogni scuola pubblica, primaria
o media, maschile o femminile. Le norme per l'attuazione di detta legge sono
approvate con R.D. 22-12-1910, n. 959, con ministro Credaro.
Per quanto concerne la preparazione dei docenti, dall'ottobre 1910 le Scuole normali
di ginnastica di Torino, Roma e Napoli sono trasformate in Istituti di magistero per
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l'abilitazione all'insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole medie. Il corso -
biennale - presuppone il possesso di licenza liceale o di un titolo di studio
equipollente.
La legge Daneo-Credaro regolerà l'insegnamento dell'educazione fisica sino alla
riforma Gentile del 1923. Essa fu in larga parte inattuata, ma ha senz'altro avuto il
merito di aver dischiuso nuovi orizzonti all'educazione fisica.
Gli anni immediatamente precedenti allo scoppio del primo conflitto mondiale
vedono l'istituzione (1913) di una "Commissione reale della educazione fisica",
composta prima da undici e poi da quindici membri, di cui fa parte anche un
rappresentante delle Federazioni sportive nazionali: è la prima forma di rapporto
ufficiale tra la scuola e le istituzioni sportive.
La guerra mondiale provoca una totale stasi per quanto concerne lo sviluppo e la
diffusione dell'educazione fisica.
A guerra conclusa si formano due diverse scuole di pensiero, in netta antitesi tra
loro: la prima tendente a distaccare dal ministero della P.I. l'educazione fisica per
formare un Ente parascolastico autonomo; l'altra - viceversa - voleva mantenere
l'educazione fisica nell'ambito del ministero.
Si giunge così al nuovo ordinamento attuato con la cosiddetta riforma Gentile,
istituita con i decreti legislativi emanati dal governo in virtù della delega conferitagli
dal Parlamento con L. 3-12-1922, n. 1601, che, forse per l'impostazione idealistica del
ministro che privilegiava l'attività dello spirito, fa propria la prima delle opzioni
suesposte attuando il distacco fra ministero ed educazione fisica (4).
Proprio per mano di Gentile, primo sostenitore dell'unità educativa, viene così
infranto il principio basilare dell'unità pedagogica. Con il R.D. 15-3-1923, n.684, è
istituito l'Ente nazionale per l'educazione fisica (ENEF) e viene disposto che "gli
alunni di tutte le scuole medie governative e pareggiate dipendenti dal Ministero della
Pubblica Istruzione compiranno la propria educazione fisica presso le società
ginnastiche e sportive all'uopo designate" dall' ENEF (art.3) (5). I tre Istituti di
magistero di educazione fisica (Torino, Roma, Napoli) vengono soppressi e, in
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maniera alquanto sbrigativa, gli insegnanti in servizio tutti licenziati. Questi ultimi,
quando non sono assunti dal nuovo Ente o riassunti dallo Stato in altri uffici od in altri
insegnamenti (avendone il titolo), vengono messi a riposo con i trattamenti allora in
vigore.
I compiti, propri dei tre Istituti di magistero di educazione fisica, furono assunti dalla
neonata Scuola Superiore di Educazione Fisica, creata nel 1925, con sede a Bologna,
aggregata alla facoltà di Medicina e Chirurgia. Questa istituzione funzionò per circa un
biennio. Venne a sua volta rimpiazzata, ma si dovette attendere il 1932, dalla "Regia
Accademia Fascista di educazione fisica e giovanile di Roma", avente personalità
giuridica ed autonomia amministrativa, didattica e disciplinare.
La riforma Gentile mostra però - almeno in questo settore- grandi deficienze, e
l'ENEF ebbe di conseguenza vita breve. Fu quindi pressoché automatico deciderne la
soppressione e destinare le competenze in materia di insegnamento dell'educazione
fisica all' Opera Nazionale Balilla (ONB), istituita nel 1926 "per l'assistenza e
l'educazione fisica e morale della gioventù"(6) ed "inquadrante" i giovani dagli 8 ai 18
anni. Questo passaggio di consegne fu decretato dal R.D.L. 20-11-1927, n. 2341.
L'ONB, dotata di notevoli mezzi finanziari, realizzò numerosi impianti sportivi su tutto
il territorio nazionale.
L'educazione fisica, anche in virtù di una rinnovata finalizzazione a scopi militari,
ricevette una maggiore spinta sportiva, che culminerà nell'organizzazione di
competizioni anche a carattere agonistico. Con l' ONB l'educazione fisica si diffonde
capillarmente nella scuola: sono previste due ore settimanali di lezione e mezza
giornata alla settimana per le esercitazioni all'aperto. Inoltre l'educazione fisica si
riavvicina alla scuola perché, con la trasformazione del ministero della P.I. in
ministero dell'Educazione Nazionale, con competenze pure in materia di educazione
fisica della gioventù, fu istituito, in seno ad esso, un segretariato di Stato per
l'Educazione Fisica e Giovanile.
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Ma pure questa organizzazione non fu particolarmente longeva: il R.D.L. 27-10-
1937, n. 1839, convertito in L. 23-12-1937, n. 2566, istituì la Gioventù Italiana del
Littorio (GIL), la quale assorbe l' ONB.
Con l'avvento della GIL venne nuovamente operato il netto distacco fra scuola ed
educazione fisica: soppresso il Sottosegretariato di Stato per l'Educazione Fisica e
Giovanile, tutto venne posto alle dirette dipendenze del Partito Nazionale Fascista, al
quale la GIL era sottoposta.
La GIL inquadra tutti i giovani di ambo i sessi dai 6 ai 21 anni e svolge compiti di
preparazione spirituale, sportiva e premilitare nonché l'insegnamento dell'educazione
fisica nelle scuole elementari e medie.
Il tormentato iter della legislazione scolastica fascista si conclude con la "Carta della
Scuola", emanata dal Gran Consiglio del Fascismo il 15 gennaio 1939 su iniziativa del
ministro Bottai.
In essa, la IV dichiarazione era dedicata all'insegnamento dell'educazione fisica e
sportiva, alla quale era dato il compito principale di favorire ed assecondare lo spirito
militare. L'educazione Fisica avrebbe dovuto essere impartita secondo "[…] le leggi
della crescenza e del consolidamento fisico, in uno col progresso psichico. La tecnica
degli esercizi tende ad ottenere armonia di sviluppo, validità d'addestramento,
elevazione morale, fiducia in sé, alto senso della disciplina e del dovere"(7).
Nell'ordine universitario, il compito di provvedere all'addestramento sportivo e
militare dei giovani è affidato ai Gruppi Universitari Fascisti (GUF).
Con la L. 22-5-1939, n. 866, viene soppressa la Regia Accademia Fascista di
educazione fisica e giovanile di Roma ed in sua vece vengono create l'Accademia della
GIL, con sede in Roma, e l'Accademia femminile della GIL con sede in Orvieto.
Queste Accademie hanno corsi di durata triennale e conferiscono agli allievi un
diploma che abilita all'insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado. "Gli
insegnanti di educazione fisica, pur rimanendo alla dipendenza tecnica, amministrativa
e disciplinare del comando Federale della GIL, sono subordinati al capo dell'Istituto
per l'attività che svolgono nella Scuola, e sono tenuti all'osservanza degli obblighi
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scolastici derivanti dal proprio insegnamento": in questi termini vennero regolati dalla
L. 14-11-41, n. 1361, i rapporti tra la GIL e la scuola (8).
Già nello stesso anno una Commissione del comando generale della GIL prese in
esame l'eventualità di portare a quattro gli anni di durata del corso dell'Accademia; la
guerra -però- bloccò ogni iniziativa.
Il rapporto tra le federazioni sportive e le istituzioni del regime preposte
all'educazione fisica non è comunque idilliaco: l'attività sportiva si è sviluppata in
modo notevole, ma va riscontrata una certa tendenza degli organi di regime ad
ostacolare questa crescita. E' sufficiente pensare agli impianti sportivi edificati dall'
ONB, volutamente con misure non conformi ai regolamenti sportivi, oppure alle tante
situazioni di attrito venutesi a creare a livello locale fra le società sportive e le
organizzazioni di regime che in esse vedevano lo sport pre-fascista.
La consacrazione del movimento sportivo, che si era sviluppato indipendentemente
dalle organizzazioni del regime fascista, si ha, dopo anni ed anni di contrasti e
dissapori, con la L. 16-2-1942, n. 426, concernente "Costituzione e ordinamento del
Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI)".
Il crollo del regime fascista, nel 1943, trascina con sé tutte le organizzazioni di
partito: i compiti demandati alla GIL furono così devoluti al ministero della Guerra
(poi ministero della Difesa) ed al ministero dell'Educazione Nazionale (poi ministero
della Pubblica Istruzione) in base alle rispettive competenze. Si attua così, dopo oltre
venti anni, il ritorno in seno al ministero della P.I. delle competenze riguardanti
l'insegnamento dell'educazione fisica.
I compiti della GIL non demandabili ad alcuno dei due anzidetti ministeri (es.
destinazione del patrimonio immobiliare) furono devoluti ad un Ente denominato
"Gioventù Italiana", il quale, in una posizione ed in regime provvisori (avrebbe dovuto
cessare le proprie funzioni entro il termine massimo del 31-3-1950) sopravvisse fino al
1975 quando, con la L. 18-11-1975, n. 764, venne soppresso ed i suoi compiti
trasferiti, su base territoriale, alle Regioni ed alle province autonome di Trento e
Bolzano.
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2 - LO SPORT NELLA SCUOLA
Di sport nella scuola si parla a partire dal 1946. Nel decreto 8-11-1946 n. 383, il
Capo provvisorio dello Stato, su iniziativa del ministro Gonella, approva i programmi
provvisori, a carattere sperimentale, di insegnamento dell'educazione fisica nelle
scuole primarie e secondarie.
Nel testo si legge: "La ginnastica deve anche tendere, nel quadro completo di una
educazione fisica sanamente intesa, alla formazione di abilità pratiche: il che si ottiene
specialmente con lo sport. Sarà bene, quindi, che esso abbia inizio nel periodo della
frequenza scolastica. Lo sport deve mirare ad offrire ad ogni ragazzo la possibilità di
trascorrere una parte del suo tempo nella palestra oppure nel campo all'aperto,
dedicandosi a quelle forme di attività spontanea che meglio rispondono alle sue
attitudini ed alle sue preferenze.
"A tale scopo, nel programma che si presenta, sono comprese esercitazioni, come
quelle di preatletica, che possono considerarsi anelli di congiunzione tra la ginnastica
educativa e lo sport.
"E' opportuno che la scuola, per la finalità di educazione integrale che intende
perseguire, curi essa medesima e controlli tali esercitazioni sportive, mediante la
creazione di suoi propri circoli ed associazioni.
"Promotori ed animatori di tali associazioni scolastiche dovrebbero essere Presidi e
Professori, ai quali spetterebbe il compito di collaborare strettamente con l'insegnante
di educazione fisica, con la loro illuminata azione educativa.
"E' peraltro da tener presente che, nella scuola secondaria, anche lo sport deve
uniformarsi a quella finalità di sviluppo armonico generale che è proprio della
ginnastica metodica, nel senso che non si deve cercare di favorire la formazione di
attitudini e mentalità di specialisti in agonistica, ma creare una disposizione generica,
fisica e mentale, che possa adattarsi alle più svariate forme di sports, instillando quei
principi morali che debbono informarne la pratica.
"Infine è da notare che, considerata l'alta finalità di diffondere l'amore per gli esercizi
fisici e l'abitudine di praticarli anche dopo il periodo della vita scolastica, cioè in tutto
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il corso dell'età giovanile, nell'età adulta, nella maturità e anche oltre, le dette
associazioni studentesche possono rappresentare il tramite tra la scuola e le federazioni
sportive, le quali si occupano precipuamente dell'attività dell'educazione fisica fuori
della scuola"(9).
Questo decreto ha il merito di porre le basi teoriche riguardanti il ruolo e le finalità
dello sport nella vita scolastica.
Chi voglia scrivere la storia della presenza dello sport nella scuola italiana,
nell'ultimo cinquantennio, non può ignorare la problematica teorica che il tema
implica: qual è la distinzione tra sport ed educazione fisica nella scuola? E' giusto che
l'attività sportiva scolastica si concretizzi in finalità di tipo competitivo-agonistico
parallele a quelle delle federazioni e delle società sportive? Quali debbono essere i
rapporti tra organi sportivi scolastici e il CONI?
La normativa emanata dall'ultimo dopoguerra ad oggi non sempre ci aiuta a capire
quale debba essere lo statuto dell'attività sportiva nell'ambito della scuola.
Questo lavoro, oltre ad illustrare l'evoluzione legislativa in proposito, vuole essere
un tentativo di rispondere a queste domande.
NOTE
(1) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, Ed. Le
Monnier, Firenze 1990, pag. 6.
(2) Ivi, pag. 6.
(3) L. D'Arconte, Stato dell'insegnamento dell'educazione fisica, in Annali della pubblica
istruzione, anno II n.3, Roma 1956.
(4) G. Gonzi, La scuola in Italia dalla riforma Gentile ai giorni nostri, Ed. Casanova, Parma
1991, pp. 8 ss.
(5) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit., pag.
12.
(6) Ivi., pag. 13.
(7) G. Gonzi, La scuola in Italia dalla riforma Gentile ai giorni nostri, cit. pag. 55.
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(8) L. Trevisi, Legislazione-regolamentazione-organizzazione dell'educazione fisica e
sportiva nella scuola italiana, volume secondo - parte prima, Ed. Centro studi per l'educazione fisica
di Bologna, Bologna 1961, pag.20.
(9) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit., pag.
22.
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CAPITOLO PRIMO:
"LO SPORT FA IL PROPRIO INGRESSO UFFICIALE NELLA SCUOLA"
1.1 UNA DIFFICILE RIPRESA
Non è stato facile - al termine della guerra - intraprendere il cammino della ripresa.
Anche la scuola ha avuto davanti a sé un duro e difficoltoso percorso. In modo
particolare, a causa di una avversione per tutto quanto era stato utilizzato e
strumentalizzato dal regime fascista, l'insegnamento dell'educazione fisica e sportiva
venne trattato con diffidenza. Questa realtà del passato, capace di influenzare
negativamente il primo dopoguerra, è stata evidenziata da Eugenio Enrile con queste
parole: "Noi italiani viviamo un po' di impressioni e quando ci siamo fatti un'idea,
anche superficiale su un argomento, ci riteniamo paghi e spesso rifuggiamo
dall'approfondimento. Pochi Governi hanno valorizzato l'educazione fisica come
quello fascista, però si è ecceduto in zelo. Come avviene in tutti i regimi politici in cui
le idee conduttrici portano alla centralizzazione dei poteri, alla attività fisica si era data
una finalità interessata, snaturandone e svisandone le peculiarità. Essa era divenuta un
mezzo, forse il più importante, di vitalizzazione nazionale, la condizionatrice di ogni
programma giovanile e la base ineliminabile di partenza per un cammino che aveva
evidenti colorazioni oltranziste.
Ciò poteva essere esatto allora, perché consono ai tempi, ma per la nostra abitudine
alle generalizzazioni il binomio educazione fisica - fascismo è sopravvissuto.
Nell'immediato dopoguerra, insegnare ginnastica significava, come altri argutamente
dice, «evocare i fantasmi! »" (1).
Ulteriori ragioni che contribuiscono ad emarginare questo insegnamento nel primo
dopoguerra vanno ricercate nella carenza di palestre e attrezzature, aggravata dalle
distruzioni dovute agli eventi bellici e dalla destinazione ad altri usi di molti degli
impianti sportivi superstiti.
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Il dott. Enzo Giffoni, già sovrintendente scolastico per la regione Lombardia, autore
- fra l'altro - di un celebre Manuale per il preside di Scuola media, ricorda di aver
visto, ancora negli anni '60, palestre adibite a magazzini comunali, a sala-prove per
bande musicali di paese e così via. Inoltre, la necessità di ricorrere ad orari scolastici
ridotti, la carenza di insegnanti e le difficoltà riguardanti la riorganizzazione in seno
all'amministrazione scolastica di un servizio dipendente dall'ex GIL contribuirono in
modo determinante alla stentata ripresa dell'attività fisica nella scuola. Gli stessi
insegnanti di educazione fisica non erano visti di buon occhio essendo stati, spesso, i
rappresentanti del partito fascista nei Consigli di classe.
Con decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato del 29 maggio 1947, n. 936,
viene istituito, alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione, un ruolo
transitorio degli insegnanti di educazione fisica in possesso del titolo abilitante. Un
ufficio speciale per l'E.F. fu poi creato in seno al Ministero, mentre presso ciascun
Provveditorato agli studi un insegnante assolveva la funzione di "coordinatore" dei
servizi scolastici di educazione fisica. Dopo quasi venticinque anni l'educazione fisica
italiana stava rientrando nella scuola, cioè nella sua vera sede.
Tutti coloro che per motivi politici, o a causa del servizio militare, non avevano
potuto completare il corso di studi presso le Accademie della GIL di Roma e Orvieto
ebbero la possibilità di terminare gli studi in base alla disposizione della L. 3 giugno
1950, n. 515 (Istituzione di due corsi speciali per il completamento degli studi seguiti
negli Istituti di educazione fisica).
1.2 SI DISCUTE DI SPORT
Lo "sport nella scuola" torna a far capolino nel 1948 quando, al secondo Congresso
Nazionale di educazione fisica svoltosi a Roma, si approvò la seguente mozione:
"L'Assemblea del 2° Congresso Nazionale di E.F., dopo un accurato e approfondito
esame dell'argomento riguardante l'attività fisico-sportiva nella Scuola, considerato:
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- che l'animo dei giovani indubbiamente è proteso verso una forma di
educazione fisica che non escluda dai suoi programmi l'attività sportiva;
- che gli insegnanti di educazione fisica non possono e non debbono
trascurare quelle che sono le manifestazioni più spontanee e naturali della psiche
giovanile;
- che ogni forma di attività sportiva praticata dai giovani della Scuola
deve essere mantenuta in limiti e forme puramente educativi e non contrastanti con le
leggi relative allo sviluppo fisico dei giovani;
- che solo la Scuola, per le sue intrinseche finalità tese ad una educazione
integrale ed armonica dei giovani, può dare alla attività sportiva nella scuola tale
aspetto e tale forma, anche perché ha negli insegnanti di educazione fisica i tecnici
all'uopo necessari;
esprime il parere che la Scuola avochi a sé la prerogativa di ogni iniziativa in tal senso.
[Esprime] tuttavia la volontà che la prestazione d'opera da parte degli insegnanti di
educazione fisica sia, sotto ogni forma, libera, e qualora siffatta attività avesse a
richiedere un numero di ore superiore all'orario d'obbligo previsto per l'insegnamento
scolastico della educazione fisica, sia adeguatamente retribuita" (2).
Lo sport -insomma- viene finalmente visto come una componente essenziale
dell'educazione dei giovani.
L'anno seguente, nella sua relazione letta, agli insegnanti di educazione fisica, al 3°
Congresso tenutosi a Firenze il 10 dicembre 1949, il prof. Italo Perotto affermava: "Lo
sport, concepito e praticato in esclusiva funzione educativa, operante nella sede
naturale dell'educazione, cioè la scuola, moderato e disciplinato dagli educatori fisici,
costituisce il necessario mezzo di potenziamento di tutte le facoltà fisiche degli alunni,
un valido fattore di formazione morale e il logico coronamento dell'educazione fisica
scolastica" (3). Si cerca, in questo modo, di stabilire una netta distinzione fra sport
educativo scolastico e sport extrascolastico, quest'ultimo accusato di tentativi di
intromissione, con fini spesso economici o politici, e poco propenso ad intendere la
vera essenza dello sport scolastico, attuato in funzione di un completo processo di
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educazione fisica e morale degli alunni. Da questa contrapposizione tra le due
concezioni che ispirano lo sport "comune" e lo sport scolastico nasce la convinzione
che l'insegnamento deve essere prerogativa esclusiva dell'insegnante di educazione
fisica, in possesso di quella attitudine professionale e capacità didattica derivata dagli
studi compiuti, e non da allenatori, tecnici, dirigenti o -peggio- organizzatori che si
curano solo del risultato tecnico e del prestigio delle Società. Nessun allenatore
sportivo, pur abile e competente, dovrebbe sostituirsi all'educatore fisico nell'ambito
dello sport scolastico, perché la preparazione pedagogica, la sensibilità educativa e
l'esperienza di insegnamento gli fanno difetto, e senza quelle la sua opera sarà nulla, se
non addirittura controproducente. Non basta essere fautori appassionati e convinti
dell'idea sportiva per volerla attuare sic et simpliciter negli ordinamenti scolastici.
Lo sport scolastico è una parte del "tutto" chiamato educazione fisica: quest'ultima
va intesa come "un processo di svolgimento e potenziamento delle facoltà corporali,
che si attua con un complesso di mezzi prescelti con criteri razionali, in vista di un fine
determinato, laddove lo sport rappresenta solo uno degli strumenti idonei al
conseguimento di quel fine, come del resto è per la ginnastica metodica, preventiva,
correttiva, per i giochi, per l'aero-idro-elioterapia, per il canto corale, per la pratica
dell'igiene, ecc." (4).
Anche l'agonismo, elemento essenziale dello sport inteso in senso generale, deve
essere riesaminato e deve conformarsi, adeguarsi alle finalità che lo sport si prefigge
all'interno della scuola. Esso deve essere applicato con oculatezza e considerato in
ordine ai risultati che può produrre nella didattica generale dell'insegnamento.
Nonostante il monito di questa corrente "purista", alla ripresa dell'insegnamento dell'
E.F. nella scuola dà un rilevante contributo l'organizzazione sportiva. Si ripropone così
il rischio che la logica della pura attività agonistica prenda nuovamente il sopravvento
nella scuola.
1.3 LO SPORT ENTRA NELLA SCUOLA
21
Nel triennio 1948-1950 il Ministero della Pubblica Istruzione, nell'ampio quadro
della riforma scolastica allora in elaborazione, guardò con particolare attenzione al
tema dello sport nella scuola, incoraggiando l'approfondimento del problema.
Promosse riunioni di esperti della materia, chiamando in causa la scuola, il Comitato
Olimpico, gli enti sportivi, oltre che gli insegnanti di educazione fisica, i medici e i
giornalisti, al fine di favorire un'estesa discussione, che approdasse a relazioni, studi e
progetti, nella ricerca di punti d'accordo e di un programma soddisfacente.
Il CONI, nella persona del suo segretario generale Bruno Zauli, convinto assertore
degli alti valori morali dell'educazione fisica, e il ministro della Pubblica Istruzione
Guido Gonella, affiancato dal sottosegretario on. Carlo Vischia, posero le basi per una
collaborazione tra le due realtà, costrette in passato a vivere appartate, divise e a volte
in contrasto. Le trattative fra le due istituzioni si protrassero per circa due anni e
giunsero a conclusione con le circolari ministeriali del 19 ottobre 1950, che segnarono
una nuova fase nella storia dell'educazione fisica. Se la prima di queste due circolari
(la n. 154554) valorizza l'educazione fisica assegnandole dignità al pari degli altri
insegnamenti scolastici e attribuendole una funzione non trascurabile all'interno
dell'intero processo educativo, la seconda - la n. 154555 - detta anche "circolare
Vischia", emana norme specifiche per l'attività sportiva, che fa così il proprio ingresso
ufficiale nella scuola come attività integrativa dell'insegnamento dell'E.F. Essa prevede
che "parallelamente allo svolgimento integrale dei programmi in vigore per
l'insegnamento dell'educazione fisica" vengano disposte per tutti gli alunni (maschi)
due attività: la prima a carattere obbligatorio (esercitazioni di marcia e brevetti atletici
per tutti gli alunni delle scuole secondarie) e la seconda a carattere facoltativo (attività
agonistica d'istituto per i soli alunni delle scuole secondarie di secondo grado). Per
l'attività agonistica vengono istituiti i Gruppi Sportivi di Istituto ( la cui disciplina
organica verrà fissata con O. M. 22 novembre 1961, "Ordinamento dell'attività
sportiva scolastica").
22
La circolare ministeriale conclude così: "Questo Ministero, con le semplici e pratiche
iniziative sopra segnalate, conta di portare un soffio vivificatore nella vita della scuola
e di affrontare un problema che da lungo tempo attende la sua soluzione.
Il nuovo indirizzo si attua attraverso la pratica di una disciplina sportiva che è in
onore presso tutti i popoli: l'Atletica leggera, che è fatta dei più semplici e naturali
movimenti (marcia, corsa, salti, lanci), e che deve essere aperta a tutti i giovani,
fisicamente sani, nell'ambito della Scuola, la quale se non vuole venire meno al suo
compito della formazione unitaria della gioventù, deve evitare che i giovani cerchino
fuori di essa la soddisfazione delle loro naturali esigenze.
I Sigg. Provveditori, i Capi d'Istituto potranno bene operare nel campo di tali
direttive più di quanto non dica la presente circolare e quelle che ad essa seguiranno. E'
evidente che essi debbono richiamare l'attenzione dei Coordinatori di educazione fisica
e dei singoli insegnanti sullo spirito delle norme sopra esposte e soprattutto far notare
agli insegnanti di educazione fisica che lo sviluppo dei nuovi programmi e delle nuove
attività accresce il loro prestigio, migliora la loro posizione, sia dal punto di vista
morale che da quello materiale. Tutti, insomma, debbono avere piena coscienza come
la nuova attività sia fattore integrante della rinascita della Scuola"(5).
Appaiono espresse in modo eloquente, in queste prime disposizioni, le
preoccupazioni di prendere le distanze da precedenti esperienze che avevano segnato
l'attività motoria nel corso del ventennio fascista: riguardo le esercitazioni di marcia,
infatti, è detto testualmente: "sia allontanato ogni rigidismo di carattere militare". Ad
ogni modo, il testo non sempre riesce a dissimulare lo spirito dei redattori, che rimane
quello di chi si è formato culturalmente in un'altra epoca: ad esempio, quando si parla
di "comando della marcia", da affidare all'insegnante di educazione fisica, oppure
quando si afferma che si "deve fare tutto il possibile perché i chilometri di marcia
siano effettuati con animo lieto, in comunione con i propri insegnanti". Queste
imbarazzanti ascendenze vengono significativamente ed opportunamente eliminate
con una circolare dell'anno seguente: il "comando della marcia" si evolve in "direzione
della marcia" e non v'è più esortazione a "marciare con animo lieto". La circolare
23
"Vischia" evidenziava, ma è una significativa espressione dello spirito del tempo, due
concetti decisamente restrittivi: la limitazione della attività ai soli maschi, e la riserva
della pratica dei più semplici e naturali movimenti dell'atletica leggera ai soli giovani
"fisicamente sani". Il famoso "soffio vivificatore" -insomma- toccava solo i meglio
dotati. Già nell'anno successivo, però, si cercò di supplire a queste lacune,
estendendo le suddette attività anche alle alunne, sia pure con molte cautele e con
programmi differenziati. La circolare relativa del 15 ottobre 1951, n.9, si divide
appunto in due titoli, il primo dedicato agli alunni, il secondo - ecco la novità - alle
alunne. Questa seconda parte appare stilisticamente non curata, quasi scritta in fretta,
senza sufficiente riflessione, tanto che indirettamente può alimentare e rafforzare i
pregiudizi sull'educazione fisica come disciplina non culturale. Dopo una premessa
sulle "differenze costituzionali", che impongono una scelta di esercizi adatti alla
"naturale grazia e vivacità delle giovani", si evidenzia l'esigenza di "operare con molta
cura nel campo dell'educazione fisico-sportiva femminile, perché la necessità di un
equilibrio psico-fisico - sia pur regolato ad un livello minore - non è molto sentito
dalla donna". Non è ben chiaro a cosa ci si voglia esattamente riferire con queste
proposizioni: probabilmente è un avvertimento nei confronti dell'operatore scolastico
affinché proceda con ogni cautela su un terreno considerato minato. Questa
impostazione si riflette sul programma delle attività agonistiche che, per le alunne,
prevede solo tre gare individuali: corsa piana m. 50, salto in alto, lancio del peso di kg.
3; per gli alunni, oltre alle gare di cui sopra, ovviamente con distanze e pesi diversi,
sono pure previste le prove di corsa piana m. 1000, campestre, salto in lungo, staffetta
4X100.
Se le esercitazioni di marcia previste dalla circolare Vischia rimasero lettera morta,
al contrario i brevetti atletici - insieme all'attività agonistica d'istituto - furono ben
accolti nell'ambito scolastico. I brevetti prevedevano facili prove di corsa, salti e lanci
quale "collaudo di efficienza fisica", alle quali dovevano sottoporsi tutti gli alunni al
termine dei tre cicli scolastici di scuola secondaria, e cioè dopo tre, cinque, otto anni di
frequenza. La preparazione alle prove di brevetto andava effettuata durante la lezione
24
di educazione fisica. Al termine di ciascuno dei tre cicli, gli alunni che superavano le
prove erano riconosciuti con un attestato ("scheda di orientamento" per il primo ciclo,
"certificato di valutazione" per il secondo e "brevetto" per il terzo), e con qualifiche e
punteggi a seconda dei risultati conseguiti. L'attività dei brevetti si dimostrò valida dal
punto di vista formativo, ma andò esaurendosi fino a cessare del tutto nel giro di una
dozzina d'anni. Cause del declino furono le laboriose operazioni richieste per il rilascio
degli attestati (commissioni d'esame, giurie, compilazione "calligrafica" degli attestati
medesimi, ecc.) e la mancanza di nuove iniziative capaci di vivificarne i contenuti.
Dal canto proprio, la categoria degli insegnanti non era contraria ad un eventuale
allargamento dei programmi in senso sportivo, anzi, furono molti i professori che
allora si misero in evidenza in campo pratico, allestendo manifestazioni sportive
studentesche, istituendo circoli ricreativi, indicendo gare, allacciando rapporti con enti
e società sportive varie. Tuttavia una vasta schiera di insegnanti era rimasta ancora
gelosamente ferma ad una concezione statica della materia d'insegnamento.
In seguito alla diramazione delle circolari, il ministro Gonella commentò così le
importanti innovazioni: "La scuola non conosceva lo sport: da oggi deve non solo
conoscerlo, ma anche praticarlo. Come si fa a non rendersi conto dell'importanza
sociale ed individuale che ha lo sport nella vita moderna? Noi, uomini della scuola,
consideriamo l'aspetto pedagogico dello sport, voi dirigenti del CONI e della FIDAL
curate l'aspetto tecnico; ebbene dobbiamo stringerci la mano e lavorare insieme per un
interesse comune che è l'interesse della gioventù d'Italia.
Lo sport dev'essere una scuola, e la scuola deve comprendere lo sport. L'educazione
fisica scolastica è antiquata e non ha la debita importanza nella formazione della
personalità; la stessa GIL, che ha dato incremento all'educazione fisica, è stata un
organismo staccato dalla scuola per le esigenze del suo prestigio e del suo
esibizionismo propagandistico. Ora noi desideriamo lo sport nella scuola, ma non
qualsiasi sport, bensì lo sport adatto alla scuola.
L'atletica leggera è, ad un tempo, la base di una moderna educazione fisica e il
presupposto di ogni sport. Partendo da questa base comune dobbiamo fare un deciso
25
passo innanzi: dalla didattica dell'esercizio fisico alla didattica dell'agonismo. La prima
comune a tutti, la seconda riservata agli elementi capaci e selezionati. Questa
selezione, fatta attraverso la massa studentesca, oltre ad essere un bene in sé, sarà di
massimo giovamento all'incremento qualitativo di tutti gli sports.
I nostri programmi, più che essere mutati, devono essere integrati, con la stretta
cooperazione fra insegnanti di educazione fisica e tecnici dello sport, con la
collaborazione fra le autorità scolastiche, il CONI e la FIDAL. Ma ciò che soprattutto
mi preme di mettere in rilievo è come la nostra nuova concezione dell'educazione
fisica e sportiva vada anche a beneficio della scuola intesa come organo di formazione
intellettuale e morale. I gruppi sportivi degli istituti scolastici, da noi previsti,
stimoleranno l'amor proprio degli alunni, l'amore della loro scuola, contribuiranno a
far sempre più della scuola la famiglia dei giovani. Niente più della competizione
appassiona il giovane alle proprie istituzioni educative.
Rinnovo quindi il mio appello ai provveditori agli studi e ai presidi perché le recenti
disposizioni ministeriali abbiano rapida e concreta attuazione"(6).
Gli fece eco il Presidente del CONI, avv. Giulio Onesti, che nella relazione al
Consiglio Nazionale del CONI del 16 novembre 1950, non senza enfasi affermava
testualmente: "[…] intramezzato agli episodi agonistici c'è un avvenimento che tutto
sovrasta, una conquista che appartiene alla storia del progresso nazionale e che
consente di scrivere con lettere d'oro la data del 1950: è l'entrata ufficiale dello sport
nella scuola!
La vivida face che abbiamo visto brillare al colmo di tutti gli Stadi olimpici oggi
risplende altissima sotto l'azzurro cielo d'Italia per onorare nel segno dello Sport
l'eterna giovinezza.
Passano le vittorie; passano i records; si spengono nel grigio passato dei ricordi le
glorie effimere di un giorno o di un'ora; ma non passa l'eterna schiera dei giovani che,
di generazione in generazione, rinnova nella vicenda sportiva il giocondo miracolo di
una vita fisicamente e moralmente sana.
26
E' questo il significato più alto della fiaccola olimpica, è questa la nobile strada che
viene additata da quelle feste quadriennali, che chiamano a raccolta la gioventù di tutto
il mondo.
L'Italia ha visto nel provvedimento scolastico del 19 ottobre 1950 il trionfo di questo
principio, la soddisfazione di un'istanza che da anni e decenni gli sportivi ponevano
alla coscienza della nazione, affinché lo sport non fosse l'appannaggio di pochi
privilegiati, ma un pane giovanile di tutti i suoi figli.
Il provvedimento delle Autorità di Governo, a cui va tutta la nostra gratitudine, non è
che l'inizio di un felice cammino" (7).
In seguito, dalle colonne di "Italia Sportiva", è sempre Onesti che scrive: "Il pieno
successo con il quale si è conclusa la prima grande esperienza di attività sportiva nella
Scuola media italiana, non si riassume solo in una collana di cifre, di episodi concreti,
di conquiste ancorate alla base di una solida realtà. C'è di più. C'è la scomparsa di un
"fattore negativo", c'è il crollo di un vecchio e triste diaframma che per lunghi decenni
ha isolato la Scuola dalle più salubri e fertili espressioni della vita sportiva.
Un diaframma tutto intessuto di prevenzioni e preconcetti, una posizione aprioristica
e largamente diffusa contro lo sport, che invano offriva la gamma delle sue esperienze,
delle sue possibilità educative, delle risorse tecniche e scientifiche a chi - magari in
buona fede - non voleva sposarne la causa […].
Il famoso diaframma è crollato, in ogni suo artificioso elemento. Migliaia di ragazzi
hanno beneficiato di una lieta fatica, sono stati felici, e con essi le loro famiglie, sotto
il vigile sguardo dei loro Insegnanti, dei loro Presidi, dei loro Provveditori [...].
C'erano tante materiali difficoltà da superare e sono state superate: con slancio
unanime, con volontà concorde. Oggi è giorno di vittoria, di breve sosta avanti di
riprendere la fatica con rinnovata lena.
Il CONI è lieto di sottolineare questa vittoria per la quale ha dato ogni sua possibile
collaborazione, ogni sua migliore energia, nell'unico supremo intento di migliorare
fisicamente e moralmente la nostra gioventù, i figli d'Italia, l'avvenire e la speranza di
un popolo che sente il valore insopprimibile della sua antica civiltà"(8).
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Bruno Zauli, segretario generale del CONI, fra gli artefici di questa "rivoluzione
copernicana" che ha consentito allo sport di fare il proprio ingresso ufficiale all'interno
della scuola, insiste sul fatto che l'attività deve essere rivolta a tutti, ammonendo:
"Compito della scuola media non è quello di coltivare le specializzazioni sportive, ma
di formare dei buoni cittadini, bene educati nel fisico e nella mente: e per comprendere
l'attività sportiva della scuola media bisogna superare il piano necessariamente limitato
dello "Sport per lo Sport" ed elevarsi sul piano dell'educazione nazionale, dove il
metodo sportivo entra in gioco come mezzo inteso al miglioramento dei giovani. E non
di alcuni giovani particolarmente versati per una singola disciplina, ma di tutti i
giovani, di tutto il popolo, che ormai filtra al completo tra le maglie educative della
Scuola. [….] Gli intendimenti della Scuola vanno molto al di sopra del ristretto ambito
sportivo. Guardano all'Italia ed agli Italiani, cercano di renderli migliori per tutte le
possibilità della vita a venire. Gli uomini di sport debbono essere orgogliosi di aver
contribuito al bene della Nazione con il loro metodo razionalmente applicato. E lieti
debbono essere gli uomini di Governo e di Scuola di avere accolto ed incoraggiato la
grande opera per un supremo intento di bene"(9).
1.4 UNA VOCE FUORI DAL CORO
Nonostante l'ottimismo dei discorsi ufficiali, la realtà degli insegnanti di educazione
fisica non è affatto adeguata: sono numericamente insufficienti e presentano una
preparazione derivante da insegnamenti ormai rinnegati e non più in linea con le nuove
disposizioni. Così, il D.M. 18 settembre 1952 (ministro Segni), richiamando la L. 22
maggio 1939, n.866 (Sistemazione delle Accademie della GIL di Roma e di Orvieto) e
la L. 3 giugno 1950, n.515 (Istituzione di due corsi speciali per il completamento degli
studi seguiti negli Istituti di educazione fisica), dispone, considerandolo un
provvedimento urgente, di riattivare il normale corso di studi dell'ISEF di Roma, allo
scopo di provvedere all'adeguata preparazione culturale e tecnica dei giovani che
intendono dedicarsi all'insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole. A partire
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dall'anno accademico 1952-1953, sotto la direzione di Vincenzo Virno, direttore
dell'Istituto di anatomia umana normale dell'Università di Roma, hanno inizio i corsi
dell'Istituto superiore di educazione fisica, ai quali sarà poi riconosciuta, ad ogni
effetto, la validità dalla L. 7 febbraio 1958 n. 88 (art.27).
Non è tutto oro quel che luccica: è naturalmente impensabile che in pochi mesi
queste innovazioni riescano a radicarsi ed a funzionare perfettamente, c'è chi lamenta
gravi lacune all'interno del sistema. In un articolo apparso l'11 aprile 1953 su "Il
giornale d'Italia", dall'eloquente titolo Modernismo e vecchia mentalità, e raccolto
nell'antologia altrettanto eloquentemente intitolata Abolire l'educazione fisica,
Gualtiero Pacini constata come l'Italia sia l'unico Paese al mondo che affidi
l'educazione fisica scolastica a un "Ufficio speciale ministeriale" il quale, a sua volta,
emana da sette anni (siamo nel 1953) disposizioni anch'esse chiamate "speciali",
proprio come se non fosse possibile ed opportuno normalizzare un delicato servizio
preposto alla cultura fisica di milioni di giovani per i quali si spendono miliardi. Non
nega - Pacini - che grazie a provvedimenti recenti il settore vada trasformandosi, ma
sostiene che esso presenta pur sempre un miscuglio fatto di modernismo sposato a
vecchie mentalità, che continuano a prescrivere, per i futuri insegnanti, il "tirocinio di
comando" su tutto il programma che dovrà essere effettuato nella scuola elementare.
"Nel contempo, l'ufficio «speciale» ministeriale ha disposto che gli allievi della
scuola secondaria presentino agli esami lo strazio di una serie di «esercizi obbligatori».
Una specie di poesia a memoria fatta di movimenti prestabiliti, che l'allievo deve
pazientemente imparare prima degli esami: un qualcosa, cioè, come dei «versi
ginnastici»"(10). Rincara poi la dose chiamando in causa anche la situazione del
personale preposto all'insegnamento (sempre grazie a "speciali" ordinanze ministeriali)
nelle scuole secondarie. Afferma che quando si levarono proteste contro la didattica
del comando e l'avvilimento dei movimenti obbligatori, dalla commissione per i
programmi ministeriali si difesero così:
"Su 7000 insegnanti (di educazione fisica), 5000 sono incaricati con una
preparazione che va dal perfetto nulla ad un massimo di due mesi. Dei 2000 insegnanti
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di ruolo molti hanno sempre tenuto uffici nella organizzazione (ex gil) e dopo il 1945
sono venuti nella scuola dimentichi, o quasi, delle cose che insegnammo loro in
accademia"(11). Dopo aver accennato anche alla disastrosa situazione delle strutture e
delle attrezzature, il polemico studioso così termina:
"Ciononostante, anche di recente (ma il provvedimento non è così ingenuo come
potrebbe sembrare) si è continuato a immettere nelle graduatorie per gli incarichi
scolastici, certi capisquadra di una federazione sportiva che, dopo un corso irrisorio di
quindici giorni, sono stati legalmente riconosciuti idonei a sostituire il personale di
ruolo, equamente inquadrato nel gruppo A dei dipendenti statali. Eppure…si
osteggiano le moderne iniziative di famose università tendenti a una dignitosa
preparazione degli insegnanti; si continuano a ignorare le raccomandazioni d'affidare
l'insegnamento dell'educazione fisica ai laureati con particolari requisiti tecnici,
raccomandazioni approvate dalle conferenze internazionali dell'UNESCO (Racc. XXII
- Anno 1947); e - sempre in merito agli incarichi di educazione fisica - non si vuole
prendere in considerazione quanto fu stabilito o consigliato dalla nostra saggia
legislazione scolastica prefascista e che già si attua in altri Paesi, onde elevare il livello
medio culturale di tutta una categoria: i docenti incaricati dell'insegnamento della
educazione fisica debbono essere gente specializzata con la frequenza di corsi
universitari e, se è possibile, capaci di insegnare eventualmente un'altra disciplina. Il
quadro presentato da uno dei membri della Commissione ministeriale non potrebbe
essere più triste. Ed è questa l'epoca in cui, nel giro di pochi mesi, sono state assegnate
più medaglie d'oro di benemerenza "pro causa educazione fisica", che non in tutto il
rimanente periodo della storia d'Italia. In una simile situazione la questione dei
programmi con le loro "strofette" di movimenti obbligatori che offendono l'autonomia
didattica dell'insegnante e aggravano il lavoro mentale degli studenti, è solo un
dettaglio di un quadro meritevole di una più accurata osservazione della competente
autorità scolastica e degli stessi organi governativi già così comprensivi, in molte
occasioni, dei vari problemi dell'insegnamento dell'educazione fisica e dei suoi
30
docenti. Anche dal punto di vista politico, molte ombre di questo quadro meriterebbero
una più accurata osservazione e seria indagine"(12).
1.5 I NUOVI PROGRAMMI
Oltre che per la riapertura dell'ISEF, il 1952 è un anno importante anche per un altro
motivo: con D.P.R. 25 luglio 1952, n. 1226, vengono approvati i nuovi programmi di
insegnamento negli istituti di istruzione secondaria. Anche per l'educazione fisica vi
sono innovazioni rispetto alle precedenti disposizioni datate febbraio 1945 e integrate
dal D.L.C.P.S. 8 novembre 1946, n. 383, che, fra l'altro, aboliva gli esercizi
obbligatori. In una premessa generale in cui dapprima si rimarca l'importanza
dell'attività fisica nel contribuire ad una integrale formazione della persona, vengono
poi analizzati sinteticamente gli obiettivi che l'E. F. si prefigge nella scuola: in
particolare, interessa sapere che si vuole "Indirizzare i giovani dotati di particolari
attitudini e mezzi fisici alle attività sportive"(13).
Riguardo all'attività sportiva, nei programmi del 1952 viene affermato quanto segue:
"L'educazione fisica deve anche assecondare, nel quadro completo di un'educazione
sanamente intesa, la formazione di abilità individuali cui contribuisce in gran parte
l'attività sportiva.
E' bene pertanto che tale attività si effettui nel periodo della frequenza scolastica,
anche per offrire agli alunni ed alunne la possibilità di trascorrere una parte del loro
tempo nella palestra o nel campo all'aperto dedicandosi a quelle forme di attività che
meglio rispondono alle loro attitudini fisiche ed alle loro preferenze.
A tale scopo i presenti programmi comprendono anche esercitazioni di Atletica
Leggera e di giuochi pre-sportivi e sportivi che servono agli alunni di avviamento allo
sport.
E' opportuno che la scuola, per le finalità di educazione integrale che intende
perseguire, curi essa medesima e controlli sia tali esercitazioni sportive, sia le
conseguenti competizioni interscolastiche, e che alunni ed alunne, associati nei Gruppi
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Sportivi costituiti in seno alla propria Scuola secondo apposite disposizioni emanate
dal Ministero della Pubblica Istruzione, siano assistiti e guidati dagli insegnanti di
educazione fisica, con l'incoraggiamento dei Capi d'Istituto.
E' da tenere inoltre presente che nella Scuola secondaria anche le esercitazioni
sportive debbono uniformarsi a finalità di sviluppo armonico generale e creare una
disposizione generica fisica e mentale che possa adattarsi a varie ed adeguate forme di
sport instillando quei principi morali che debbono sempre presiedere la funzione
educativa della Scuola"(14).
Detti programmi sono stati in vigore fino al 1963 nella scuola media e fino al 1983
in quella secondaria superiore. Essi, in quest'ultima, rimangono dunque in vigore per
più di trent'anni.
La scuola elementare -invece- vede approvati i suoi programmi con il D.P.R. 14
giugno 1955, n. 503. Anche per quanto concerne le attività motorie si pratica la
distinzione fra primo e secondo ciclo. Per i più piccoli si prevede la pratica quotidiana
- possibilmente all'aperto - di giochi ed esercizi che, mentre favoriscono l'educazione
alla socievolezza, aiutino pure a sveltire, correggere e rendere più armoniosi i
movimenti. Il secondo ciclo elementare privilegia invece l'autodisciplina,
l'autocontrollo attraverso esercizi relativi all'ordine e alla marcia, alla corsa, ai saltelli e
ai salti. I giochi andranno visti non solo come svago, ma anche come forma di
educazione alla lealtà, alla gentilezza, all'armonia del gioco sportivo. E' noto che per le
scuole elementari non è previsto un insegnante di E.F. ad hoc, ma tali incombenze
devono essere assolte dai maestri. Anche in questo caso, i programmi resteranno in
vigore per oltre trent'anni; saranno sostituiti da quelli approvati con D.P.R. 12 febbraio
1985, n. 104.
Il D.P.R. 11 giugno 1958, n.584, disciplina gli "Orientamenti per l'attività educativa
della scuola materna"; l'educazione fisica, curata dalle educatrici, deve propendere alla
socializzazione, allo sviluppo armonico di corpo, sentimenti e forze morali,
all'autodisciplina e all'autordinamento attraverso giochi di movimento, liberi e tali da
non stancare né deprimere la vitalità infantile.
32
Il 6 marzo 1954, l' "Ufficio speciale per l'educazione fisica" del ministero della P.I.
assume la denominazione di "Servizio centrale per l'educazione fisica e sportiva".
Col D.M. 20 novembre 1956, n. 412, viene istituito un "Centro nazionale didattico
per l'educazione fisica e sportiva", dotato di personalità giuridica di diritto pubblico,
con sede in Roma, ed alla cui presidenza viene posto il segretario generale del CONI
dott. Bruno Zauli. Scopi di questo nuovo ente sono quelli di mantenere alto l'interesse
degli educatori nei confronti dell'educazione fisica e sportiva, sviluppare i rapporti fra
studiosi italiani e stranieri, promuovere convegni, pubblicazioni, corsi di
aggiornamento, viaggi di studio, e scambio di docenti e studiosi, incoraggiare la
diffusione della pratica sportiva quale mezzo per l'impiego del tempo libero, curare la
formazione del personale direttivo, tecnico e ausiliario. Il Centro avvierà una fervida
attività di studio da cui prenderanno le mosse nuovi fermenti, prima ideali e poi capaci
di tramutarsi in pratica, che sapranno influenzare le successive vicende dell'educazione
fisica e sportiva.
NOTE AL CAP.1
(1) E. Enrile, L'educazione fisica e sportiva nelle scuole elementari d'Europa, Ed. Le
Pleiadi, Massa 1959, pp. 115-116.
(2) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, Ed. Le
Monnier, Firenze 1990, pag. 23.
(3) I. Perotto, Lo sport educativo e la scuola, Relazione letta al 3° Congresso agli Insegnanti
di Educazione fisica, Società Tip. Mareggiani, Bologna 1950, pag. 2.
(4) Ivi, pag. 4.
(5) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit., pp.
24-25.
(6) Ivi, pag. 25.
(7) Ivi, Pag. 26.
(8) E. Carneroli, 100 anni di educazione fisica (1859-1959), Ed. Mediterranee, Roma 1959,
pag. 129.
(9) Ivi, pp. 129-130.
(10) G. Pacini, Abolire l'educazione fisica, Araglia Editore, Urbino 1965, pag. 61.
33
(11) Ivi, pag. 62.
(12) Ivi, pp. 62-63.
(13) D.P.R. 25 luglio 1952 n. 1226
(14) Ivi.
34
CAPITOLO SECONDO:
"LA SCUOLA COME LABORATORIO DELL'ATTIVITA' SPORTIVA
GIOVANILE"
2.1 UNA LEGGE ORGANICA
Nel primo capitolo sono state individuate le difficoltà che lo sport ha dovuto
affrontare per cercare di inserirsi nel mondo scolastico e le ottime intenzioni, talvolta
condite da una buona dose di retorica, con le quali i massimi responsabili delle
istituzioni scolastiche tennero a battesimo l'ingresso dello sport nell'ambito della
scuola. In realtà questo esperimento fu accolto con molta diffidenza dall'insieme del
corpo insegnante che rimase a lungo legato alla convinzione che lo sport fosse
estraneo al processo di formazione dei giovani. Questo equivoco di fondo, che
produrrà i suoi effetti almeno fino a tutti gli anni '70, veniva rafforzato dal fatto che la
disciplina sportiva era di pertinenza di un'istituzione - il CONI- avente fini diversi, se
non addirittura opposti, a quelli propri della scuola. La legge istitutiva del massimo
ente sportivo italiano, infatti, demandava proprio al CONI il coordinamento e la
disciplina dell'attività sportiva "comunque e da chiunque esercitata"(art.3).
Questo equivoco si ripresenta quando il legislatore, nella stesura della L. 7 febbraio
1958, n. 88, "Provvedimenti per l'educazione fisica" - ministro Aldo Moro - evita
accuratamente di utilizzare la parola "sport". La L. 88/58, non certo l'optimum che ci si
poteva attendere, ma la prima legge organica dopo la legge "Daneo" che risale a quasi
mezzo secolo prima, riveste un'importanza fondamentale, regolando in modo che si
sarebbe voluto completo ed esauriente l'educazione fisica e sportiva nella scuola
secondaria. Essa disciplina compiutamente l'organizzazione dell'insegnamento,
prevede gli impianti e le attrezzature ginnico-sportive necessarie, fissa l'organizzazione
dei servizi centrali e periferici, il ruolo organico degli insegnanti, la carriera degli
stessi, gli esami per le abilitazioni ed i concorsi, gli istituti competenti per il rilascio
dei diplomi riconosciuti per poter accedere all'insegnamento dell'educazione fisica e il
35
loro corso di studi, la durata dei corsi stessi. Solamente nell'articolo 13, intitolato
"Costituzione delle cattedre", si trova un veloce riferimento alle esercitazioni
complementari di avviamento alla pratica sportiva. Testualmente, il quarto comma di
quell'articolo riporta: "Per le esercitazioni complementari di avviamento alla pratica
sportiva, l'insegnante può assumere, in aggiunta all'orario d'obbligo, altre due ore nelle
scuole medie, nelle scuole di avviamento professionale o nelle scuole d'arte, e quattro
ore negli altri istituti o scuole"(1).
Tutto congiurava -quindi- ad alimentare la convinzione di non poter inserire lo sport
entro gli schemi istituzionali e pedagogici del processo educativo: in primo luogo
ancora il clima politico, sempre ispirato ad una radicale diffidenza verso tutto ciò che
in rapporto alle persone, alla categoria professionale ed alle attività era avvertito come
compromesso con il regime passato o addirittura, come nella fattispecie, ne fosse stato
oggetto di esaltazione e valorizzazione.
L'ingresso della pratica sportiva nella scuola è dalla porta di servizio, per lo più
attraverso provvedimenti amministrativi, segnata da quell'ambiguità che, come si
diceva, la caratterizzerà fino a buona parte degli anni '70. In buona sostanza, essa era
un ibrido poco classificabile, aggiunto ai programmi scolastici tradizionali, che
mutuava dall'attività federale caratteristiche e finalità. Più che espressione viva della
scuola, la pratica sportiva era dunque una tributaria del CONI, accidentalmente svolta
dalla scuola e nella scuola, senza però essere consustanziale all'attività educativa e
formativa. I dirigenti scolastici del tempo fecero quanto possibile: notevole era - lo
ribadiamo - il pedaggio da pagare ad una situazione di generale arretratezza culturale
nel settore.
2.2 I GRUPPI SPORTIVI SCOLASTICI
Una novità è determinata dalla creazione dei "Gruppi sportivi scolastici": già
previsti dalla circolare n. 154555 del 19 ottobre 1950, regolati in modo sommario
dall'O. M. del 18 novembre 1954 integrata dalla C. M. n. 9 del 20 ottobre 1955, essi
36
trovarono una propria esauriente disciplina nell'O. M. 22 novembre 1961,
"Ordinamento dell'attività sportiva scolastica". Il primo articolo di quest'ordinanza
recita testualmente: "L'attività sportiva scolastica ha il fine di interessare i giovani
all'esercizio fisico, come fonte di salute e di sana ricreazione; d'infondere, anche
mediante adeguate competizioni, la consapevolezza delle proprie possibilità, il senso
della lealtà e della cooperazione; di concorrere alla formazione del carattere e della
personalità dei giovani" (questo articolo funge da incipit all' Annuario dell'ispettorato
per l'educazione fisica e sportiva del 1968 (2)).
A differenza dell'attività dei brevetti di educazione fisica (analizzata nel capitolo
precedente), che si svolgeva durante le ore "curriculari" di insegnamento, "l'attività
sportiva si svolge nei giorni e nelle ore in cui gli alunni sono liberi dalle lezioni e
prosegue nelle vacanze, specialmente per la pratica di sport stagionali e di attività
all'aperto. Da essa sono esclusi, a giudizio dei Consigli di classe, gli alunni che
trascurino i loro doveri scolastici"(art. 3 Ord. cit.).
L'organizzazione e lo svolgimento dell'attività sono demandati ad un organo
esecutivo collegiale a carattere volontaristico, chiamato appunto Gruppo sportivo
scolastico, da costituirsi presso gli istituti secondari di secondo grado che ne fanno
esplicita domanda. I gruppi sono presieduti dal preside e composti da dirigenti
(insegnanti di materie "culturali"), tecnici (gli insegnanti di educazione fisica), soci ed
atleti (gli alunni dell'istituto). Il finanziamento del gruppo viene assicurato da modeste
quote associative richieste agli alunni (stabilite dal comitato direttivo in misura non
inferiore a L. 300 annue), integrate da contributi volontari di terzi e da sovvenzioni del
Ministero della Pubblica Istruzione. Il CONI, peraltro, incentiva la vita dei Gruppi sia
nel finanziamento delle attività (premi, medaglie, spese di organizzazione dei
campionati), sia nell'assistenza tecnica (giurie, aggiornamento sulle tecniche delle
varie discipline, ecc.). I gruppi sportivi scolastici fanno capo a Unioni provinciali dei
gruppi stessi, le quali sono presiedute dal provveditore agli studi e gestite dal
coordinatore di educazione fisica e da rappresentanti dei docenti e delle famiglie.
37
Queste istituzioni hanno il merito di aver affermato nella scuola la pratica sportiva in
misura finalmente apprezzabile, prevedendo, come coronamento dell'attività annuale,
l'organizzazione e la disputa di campionati scolastici a livello di istituto, provinciale e
nazionale.
Non pochi campioni che onorarono più tardi lo sport italiano hanno avuto le prime
esperienze ed hanno ottenuto le prime vittorie proprio nelle gare indette dai gruppi
sportivi scolastici: fra gli altri Giacinto Facchetti, Livio Berruti, Paola Pigni. Mi piace
ricordare anche il nome di mio zio, Angelo Baronchelli che, nel 1959, studente
dell'Istituto Tecnico per Geometri "Tartaglia" di Brescia, venne chiamato ad indossare
la maglia azzurra in incontri internazionali ufficiali della FIDAL nella specialità del
salto con l'asta.
Nel 1962 il CONI dà alle stampe un volume dal titolo Il CONI e le federazioni
sportive. Il capitolo II, L'avvio allo sport agonistico, presenta un primo paragrafo
intitolato Lo sport nella scuola. In esso si legge:
"Centri dell'attività scolastica sportiva sono i Gruppi Sportivi di Istituto, libere
associazioni di giovani presiedute dal preside o direttore. Con l'istituzione dei gruppi
sportivi, la scuola rimane l'unico organismo ordinatore e disciplinare di tutte le attività
dell'alunno. I ragazzi non sono più costretti a cercare fuori della propria sede educativa
la soddisfazione delle loro normali esigenze.
Le attività a carattere competitivo previste per tutti riguardano oltre ai brevetti
atletici, il campionato d'istituto e il campionato provinciale di corsa campestre
riservato ai soli maschi; il campionato di istituto e il campionato provinciale di atletica
leggera maschile e femminile.
Esistono anche competizioni per altri sports, ma sono limitate ad aree più ridotte. Sul
piano interprovinciale esistono un criterium di atletica leggera e di sci e in questi
ultimi quattro anni un criterium di scherma e di nuoto.
All'insegnamento secondario è stata altresì attivata una organizzazione tendente ad
assicurare il controllo sanitario nell'addestramento delle attività sportive scolastiche.
38
Nella primavera scorsa si sono svolti per la undicesima volta i campionati provinciali
di corsa campestre e di atletica leggera. Lo Sport nella scuola ha ormai undici anni di
vita.
Esistono attualmente 1.971 gruppi sportivi scolastici con un totale di 774.848
aderenti, di cui 498.290 maschi e 276.558 femmine.
Ogni anno oltre 60.000 alunni partecipano alle competizioni di corsa campestre e
circa 90.000 a quelle su pista.
Anche nel settore femminile l'attività dei gruppi sportivi è stata rilevante, tanto da
assurgere a manifestazioni di un effettivo "sport di massa". Ogni anno, infatti, 50.000
alunne, ben allenate ed addestrate, partecipano ai campionati di atletica leggera.
La mancanza di impianti sportivi nell'interno degli Istituti non permette per ora,
salvo rari casi, di raggiungere tutti quegli sviluppi che caratterizzano talune
organizzazioni straniere. Tuttavia lo Sport nella Scuola svolge ogni anno una ben
qualificata azione di reclutamento, che ha già dato pregevoli frutti allo Sport
Italiano"(3).
Ciò testimonia come il massimo organismo sportivo nazionale guardasse con occhio
di particolare riguardo all'attività sportiva scolastica, con la malcelata speranza di poter
contare su un formidabile serbatoio dal quale attingere i campioni del domani.
Il declino dei Gruppi - però - fu precoce: le principali ragioni della loro scomparsa
sono da ricercarsi nella debolezza delle strutture (sostenute - a ben vedere - solo da
disposizioni amministrative e dalla buona volontà degli interessati) e nella tendenza a
privilegiare sempre più gli aspetti selettivi ed agonistici dell'attività sportiva a scapito
dei fini educativi per i quali erano stati creati. Il colpo di grazia venne comunque dalla
Corte dei Conti, che nel 1974 bloccò tutti i mandati destinati al finanziamento dei
Gruppi sportivi scolastici e delle relative Unioni provinciali, ravvisando in tali
istituzioni ipotesi di gestioni fuori bilancio proibite dalla legge 25 novembre 1971, n.
1041. La loro fine, dopo l'ultima regolamentazione data dall'O. M. 18 febbraio 1969
sull' "Ordinamento dell'attività sportiva scolastica", avverrà con la C. M. 5 agosto
39
1975, n. 222 (Attuazione dei Decreti Delegati e attività sportiva - Norme tecnico-
amministrative per le Unioni Provinciali dei Gruppi Sportivi Scolastici).
E' indubbio, ad ogni modo, che lentamente ma inesorabilmente lo sport si avvia a
coinvolgere i giovani studenti, che hanno accolto con entusiasmo l'orientamento
sportivo, la pratica dell'atletica leggera e degli altri sport educativi come attività
complementari e facoltative dell'insegnamento stesso. Anche le famiglie dimostrano
comprensione e simpatia nei confronti di questa novità, capace fra l'altro di porsi come
rimedio alla scarsa utilizzazione delle energie fisiche personali che il progredire della
civiltà meccanica inevitabilmente comporta.
Una puntualizzazione merita la situazione delle alunne: i dati analizzati presentano
un incremento costante della loro partecipazione ai Gruppi sportivi (71.793 nel 1951,
746.353 nel 1974, (4)), ma ciò, se da un lato può offrire spunti per considerazioni di
carattere sociologico sulla progressiva evoluzione del costume e sulla crescente
emancipazione delle donne, resta tuttavia ben al di sotto della soglia di una diffusione
appena soddisfacente della pratica sportiva femminile, che conserva interamente il suo
carattere minoritario e rigidamente elitario.
Rispetto all'immediato dopoguerra, in ogni caso, lo sport nella scuola - almeno nelle
intenzioni - di strada ne ha fatta parecchia: "Contenere le naturali reazioni giovanili
nella sua sana pratica di sports appropriati e volgerle a quell'armonico sviluppo della
personalità che costituisce il fine proprio dell'educazione fisica, è compito che
l'educatore moderno, sensibile alle esigenze della vita, che mutano ed evolvono, non
può sottovalutare.
E' evidente che agli effetti di tale armonico sviluppo l'attività fisica, intesa nella sua
estensione sportiva, è non meno essenziale dell'attività intellettuale, promossa dallo
studio delle altre discipline.
L'educazione fisica e sportiva non può quindi e non deve avere nella Scuola una
funzione soltanto marginale. In un ordinato assetto, essa si pone, anzi, come parte
integrante di una attività essenzialmente unitaria di formazione della gioventù, nella
quale si realizza un importante aspetto della funzione sociale della Scuola"(5). Sulla
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carta risulta evidente lo sforzo fatto dal Ministero per cercare di trovare uno spazio
adeguato ed una sempre maggiore dignità allo sport nella scuola, anche in
considerazione del fatto che, rapportata alle realtà di altre nazioni, quella italiana è una
situazione in forte ritardo.
Il 14 giugno 1967, in una conversazione tenuta al Panathlon di Roma, l'allora
ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui si esprime così:
"Lo Sport nella scuola non è uno Sport ridotto alla essenzialità, talora anche
drammatica, del suo «momento» agonistico, non è uno Sport visto come una semplice
valvola di sicurezza che favorisca lo sfogo dell'iperaggressività, che talvolta
caratterizza certi slanci giovanili, ma è uno Sport concepito come elemento attivo del
processo educativo che troppe volte è unilateralizzato verso esclusive prospettive di
insegnamento teorico, anziché essere debitamente articolato nelle sue componenti
psichiche e fisiche.
In verità questa particolare profilatura dello Sport era la base dell'ordinanza
ministeriale del 22 novembre 1961 che precisava, appunto, che il fine dell'attività
sportiva scolastica era di interessare i giovani all'esercizio fisico, come fonte di salute
e di sana ricreazione; d'infondere, anche mediante adeguate competizioni, la
consapevolezza delle proprie possibilità, il senso della lealtà e della cooperazione; di
concorrere alla formazione del carattere e della personalità dei giovani.
Quando la mèta è così chiara, così moralmente intonata al rispetto dei valori perenni,
così ancorata ad una sana e realistica visione della necessità dell'oggi, non si possono
temere tralignamenti, scadimenti eversivi, degenerazioni atte a turbare la saldezza e la
serenità dell'opera educativa.
E' per questo che ho sempre visto di buon occhio l'incrementarsi, anche numerico,
dei Gruppi Sportivi Scolastici, nati nel 1950 da una felice intesa del Ministero della P.
I. con il CONI, ed oggi divenuti il vero motore dell'attività sportiva scolastica.
Il Gruppo Sportivo è l'unità di misura, l'elemento di base, la forza iniziale che
condiziona gli sviluppi delle diverse iniziative sia in fase locale sia in fase provinciale
sia, per certe specialità, in fase regionale e nazionale.
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[….] A completamento di quell'apprendimento generale che si attua attraverso le
normali esercitazioni previste dai programmi di educazione fisica e seguite, quindi, da
tutti gli alunni, si realizza una iniziazione sportiva effettiva, documentabile e tanto più
significativa perché mantiene intatte le sue caratteristiche vocazionali.
Lo Sport è sempre volontario: vorrei dire che lo Sport non è neppure concepibile se
non è volontario: Se perde, infatti, questa peculiare aggettivazione, esso deborda ipso
facto nel mondo del lavoro.
Ne tradiremmo la qualificazione etimologica se noi rinunziassimo alla sua
ricreatività, se lo trasferissimo dal cerchio magico dell'homo ludens all'ambito ben più
severo dell'homo faber.
Ciò non esclude, tuttavia, l'obbligo della Scuola di offrire le migliori condizioni per
lo svolgimento dell'attività sportiva e di assicurare, quindi, la disponibilità di mezzi per
disvelare ai giovani, da una parte, i valori dello Sport e per dare loro modo, dall'altra,
di praticare effettivamente l'attività sportiva nelle specialità per le quali ciascuno di
essi è più portato"(6).
La pratica agonistica si afferma nella scuola. La circolare ministeriale 10 dicembre
1954 afferma: " Non è superfluo rilevare in proposito che la competizione è insita
nella natura stessa degli sport e dei giochi in genere, come attività associate che si
intrecciano e si sviluppano fra parti contrapposte. In essa si afferma e si esalta lo
spirito di emulazione, che la Scuola deve promuovere e alimentare in tutti i campi ai
quali si estende la sua azione e che non potrebbe non trovare adeguate espressioni nel
settore in cui si manifesta con naturale spontaneità"(7). Questa spinta alla
competizione porterà, negli anni, molti insegnanti a svolgere un'attività rivolta nella
sostanza solo agli alunni più dotati che già praticano con successo lo sport nell'ambito
delle Federazioni Sportive Nazionali.
Il CONI, da parte sua, non cessa di stimolare ed aiutare, anche con notevoli mezzi
finanziari, l'attività sportiva nella scuola, ma essa non riesce ad entrarvi a pieno e -
quando ciò avviene- lo sport nelle istituzioni scolastiche è comunque un ospite
sopportato. Nonostante questo, il principale organismo sportivo italiano seguita a
42
collaborare; il suo massimo esponente, avv. Giulio Onesti, al convegno "Per una nuova
coscienza sportiva in Italia" tenutosi a Roma in Campidoglio alla presenza del Capo
dello Stato il 23 gennaio 1963, sottolinea la necessità di considerare "lo sport nella sua
giusta luce, poi che esso è ormai una componente essenziale nella formazione di una
migliore gioventù. […] Nel nostro Paese è stata purtroppo inventata una artificiosa
antitesi fra sport e cultura, che ha determinato la nascita di luoghi comuni orecchiabili,
ma ingiusti e dannosi.[…] Oggi in Italia si avverte, infatti, impetuosa e crescente, una
istanza sportiva. La gioventù italiana vuol fare dello sport e chiede alle autorità dello
Stato, delle Province, dei Comuni la possibilità di conoscere i benefici dello sport
praticato, e non soltanto più dello sport visto fare.[…] Noi, come sportivi, ed esponenti
di un gruppo piuttosto conosciuto per la vivacità e la irrequietezza che lo distinguono,
sentiamo il dovere di chiedere che anche l'istanza sportiva venga finalmente collocata
nella scala delle programmazioni. Riteniamo che sia giunta l'ora di considerare la
domanda posta da milioni di giovani agli organi dirigenti del Paese"(8). La mozione
con cui si chiude il convegno mette al primo posto il problema della scuola, chiedendo
"l'effettiva e costante pratica dello sport educativo nella scuola di ogni ordine e grado,
la preparazione scrupolosa ed adeguata di istruttori al livello universitario, la severa
osservazione della legge sull'edilizia scolastica, in merito alla obbligatorietà degli
impianti sportivi in ogni edificio scolastico di nuova costruzione e nella estensione di
tale obbligo agli edifici delle Università"(9).
Attraverso queste intenzioni il CONI anticipa le "raccomandazioni" del Consiglio
d'Europa per lo "sport per tutti" del 1966, 1970, 1975. In particolare, nel 1966 detto
organismo sollecita il bisogno di svolgere attività fisiche e sportive all'aria aperta per
controbilanciare gli effetti negativi dell'industrializzazione e dell'urbanesimo
generalizzati, ponendo anche l'accento su come la pratica sportiva dia all'individuo la
possibilità di manifestare le proprie attitudini, spronandolo ad assumere delle
responsabilità in una società democratica. Purtroppo queste ed altre raccomandazioni
non vengono recepite dal nostro governo.
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Sempre nel 1963, durante il XXI Consiglio nazionale del CONI, il presidente Onesti,
in relazione allo sport nella scuola afferma: "Abbiamo fatto oramai la nostra parte,
abbiamo incitato e diretto l'organizzazione dello sport scolastico. Ma d'ora in poi
dovremo ridurre la nostra azione nei limiti consentiti dal bilancio. Il Ministero della
Pubblica Istruzione, se riconosce valido l'esperimento, dovrà pur farlo proprio e
trasformarlo in sistema educativo. Comunque giova ricordare che nel decennio 1953 -
1963, per le sole attrezzature sportive scolastiche il CONI ha impegnato quattro
miliardi di lire […]"(10). Nonostante queste preoccupanti dichiarazioni, il Comitato
Olimpico continua nella propria opera di collaborazione e di sostegno economico. C'è
però - ormai radicata- la convinzione che per cambiare le cose non siano più sufficienti
un nuovo ordinamento e nuove norme per la scuola, se parallelamente non cresce e si
diffonde nella nazione la coscienza dell'importanza della pratica sportiva.
2.3 I GIOCHI DELLA GIOVENTU'
Con una felice intuizione e con la caparbietà che gli va riconosciuta, nel 1968 Onesti
si rendeva promotore di una originale istituzione, che voleva fare da apripista per un
nuovo e definitivo ingresso dello sport nella scuola: i "Giochi della Gioventù". Dopo la
chiusura dei Giochi Olimpici di Città del Messico (da cui -peraltro- l'Italia tornò con
uno scarno medagliere), il CONI organizzò un piano nazionale di avviamento sportivo
riservato ai giovanissimi, la cui sede di sviluppo naturale, fin da principio, era parsa la
scuola. I giochi non dovevano restare un puro fatto agonistico; anzi, le tematiche che
intendevano sviluppare erano del tutto diverse. Principalmente, essi avevano il
compito di allargare il senso civico dello sport, attirando su di esso le varie
componenti sociali. Quindi, oltre alla formazione di una coscienza sportiva, si
ripromettevano di favorire indirettamente l'ampliamento della dotazione nazionale di
impianti e la formazione di nuovi dirigenti e preparatori sportivi.
Se è vero che l'attività sportiva scolastica, d'ora innanzi, non si esaurirà né coinciderà
coi Giochi (ricordiamo che i Gruppi sportivi vivranno fino al 1975), si può tuttavia
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affermare con certezza che essi trovarono grande rispondenza nella scuola. Rilevante,
nell'economia generale di tali manifestazioni, fu la parte svolta dalla scuola stessa, sia
in termini organizzativi, sia di partecipazione (anche se, fattivamente, essa si impegnò
solo a partire dal 1974).
Pensati per la scuola, abbiamo detto, e non a caso, accanto alle semplici componenti
sportive, i Giochi avevano affiancato - nei loro programmi - una serie di iniziative
culturali (interessanti l'arte figurativa e la letteratura). I Giochi, se non erano "l'attività
sportiva scolastica" tout court, rappresentavano in ogni caso uno straordinario veicolo
promozionale per avvicinare i giovani scolari e studenti alla pratica dello sport.
Il 3 settembre 1968, il Consiglio nazionale del CONI approvava all'unanimità
l'istituzione dei Giochi della Gioventù, che dovevano segnare una tappa importante
non solo nella storia dello sport giovanile, ma anche in quella dell'educazione fisica e
sportiva in Italia. Il documento che il CONI trasmise ai propri organi periferici
riportava tra l'altro: "I Giochi della Gioventù hanno lo scopo di allargare in maniera
considerevole la base degli sportivi nel nostro Paese. Anche se lo sport italiano ha
infatti progredito notevolmente in quantità e qualità, esso non è ancora praticato dalla
massa della popolazione giovanile. Oggi circa due milioni di giovani fanno parte del
nostro movimento; ma ciò non basta. L'istanza sportiva si pone ormai come un diritto e
come un dovere. Oggi si afferma il diritto dei giovani allo sport, così come ieri si
asseriva il loro diritto all'istruzione. Oggi si dichiara che la classe dirigente ha il dovere
di creare le condizioni per lo sport, così come una volta le si imponeva la creazione di
scuole. […] Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, che ha documentato queste
nuove esigenze nel suo Libro Bianco dello Sport, ha deliberato di lanciare i Giochi
sportivi della Gioventù a partire dal 1969. Questi vogliono far conoscere la gioia ed i
vantaggi dello sport a coloro che non lo hanno ancora incontrato. Ecco perché tutte le
benemerite società sportive, le Federazioni sportive, gli enti di propaganda e tutte le
associazioni che hanno fini educativi e di guida della gioventù, verranno chiamati a
collaborare intensamente con il Comitato Olimpico. In piena collaborazione con il
governo, il CONI si rivolge soprattutto alla scuola, che è l'ambiente naturale di
45
formazione dei giovani e che da parecchi anni oramai ha compiuto una apertura
preziosa verso lo sport. La Scuola, con i suoi gruppi scolastici, con i suoi ottimi
insegnanti di educazione fisica, potrà confermare anche in questa occasione la sua
generosa disponibilità verso l'istanza sportiva […]"(11).
Il "manifesto", volto a propagandare i Giochi, era chiaro nell'affermare le ambizioni
del progetto e l'intento di indire una specie di leva di massa dello sport giovanile. Esso,
dopo un riferimento alla possibilità offerta di allargare le fondamenta dello sport,
insisteva sulla prospettiva di una manifestazione di vasta portata al cui servizio l'ente
poneva un grosso sforzo organizzativo. Non poteva mancare un chiaro invito alla
scuola a confermare la propria disponibilità nei riguardi della domanda sportiva. Si
trattava di richiesta di collaborazione indubbiamente informale, ma che aveva il
peccato originale di voler coinvolgere l'istituzione scolastica in un progetto alla cui
elaborazione essa era rimasta estranea, ed i cui programmi costituivano un dato non
modificabile, rispetto al quale l'unico atteggiamento possibile consisteva
nell'alternativa fra l'adesione o il rifiuto: quindi una richiesta di collaborazione che
avrebbe visto in ogni caso la scuola relegata ad una posizione subalterna, più ospite
che protagonista nell'ambito di una struttura organizzativa le cui finalità le erano a ben
vedere estranee. Nonostante ciò, all'indubbia rivoluzione messa in atto dai Giochi, la
scuola offriva subito - sulla carta - "la propria fattiva collaborazione affinché i Giochi
possano realizzarsi con il conseguimento degli scopi di alto valore educativo e sociale
che si propongono […]. I Giochi, che hanno particolare significato e valore in quanto
si rivolgono a tutti i giovanissimi, integrano e dilatano l'opera che la Scuola ha da
tempo iniziato, d'intesa col Comitato Olimpico […]."(12).
In seguito a questi propositi, si modificavano le direttive ministeriali sull'attività
sportiva scolastica: la C. M. 18 dicembre 1969, n. 422, a firma del ministro Sullo
provvedeva al riordinamento dell'attività sportiva scolastica, con la grande novità della
rivitalizzazione della medesima anche nella scuola media: "Lo sviluppo assunto
dall'attività sportiva nella Scuola ha indotto questo Ministero a riesaminare
l'organizzazione per adeguarla alle nuove esigenze manifestatesi e per renderla più
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aderente agli interessi giovanili, ormai nettamente orientati verso lo sport. Considerato,
poi, che lo sport scolastico proietta i suoi riflessi in modo sempre più concreto nella
vita sportiva nazionale, il Ministero della Pubblica Istruzione è giunto nella
determinazione di prendere in considerazione, d'intesa con il Comitato Olimpico
Nazionale Italiano, lo sport giovanile nella sua totalità, affinché sia raggiunta una utile
convergenza di intenti.
A tal fine, valutati il quadro generale della situazione ed i risultati fin qui raggiunti,
si è convenuto sull'opportunità che l'opera svolta dalla Scuola e dal CONI non sia la
proiezione di separate iniziative bensì la risultante di una fattiva azione volta a
diffondere in maniera sempre più efficace la pratica sportiva tra i giovani.
Si è ritenuto, quindi, necessario estendere e disciplinare in maniera più precisa
l'attività che si svolge nella scuola media, affinché gli alunni più giovani abbiano la
possibilità di iniziare tempestivamente il loro curriculum sportivo, anche competitivo,
in modo da essere in grado di assolvere, poi, avvalendosi di una migliore preparazione
tecnica, i loro impegni sportivi in seno alle scuole di istruzione secondaria e artistica di
secondo grado.
Di conseguenza, in rapporto al nuovo programma di attività nella Scuola Media, è
stata esaminata l'iniziativa del CONI relativa ai Giochi della Gioventù, che
interessano, in gran parte, ragazzi che, per la loro età, frequentano la Scuola
dell'obbligo.
La Scuola, che per la sua organizzazione è il veicolo ideale di una preparazione
sportiva di base, cioè non episodica od occasionale, ma estesa nel tempo e sostanziata
qualitativamente dalla competenza specifica dei suoi insegnanti, può assicurare
un'attività di addestramento atta a consentire il raggiungimento di adeguate condizioni
psicofisiche e tecniche per le prove competitive.
Una preparazione siffatta agevolerà ulteriormente la pratica sportiva che dal 1950
viene svolta nel settore della istruzione secondaria di secondo grado."(13).
Era evidente l'evoluzione sul piano culturale quando la medesima circolare
affermava che lo sport doveva essere accolto nella scuola come prezioso elemento
47
della formazione dei giovani: "Lo sport è ormai un fenomeno di tale portata sociale da
divenire un protagonista del nostro tempo.
La Scuola - che del tempo deve essere riflesso, ma, allo stesso momento, elemento
influenzante - deve prendere atto di tale realtà e, quindi, non disinteressarsi ad
un'attività che, per giunta, rientra tra i più vivi interessi giovanili.
Ciò che più importa, però, è l'alto valore educativo dello sport, che si esprime
particolarmente allorquando esso sia opportunamente indirizzato verso forme che
conducano alla conquista della padronanza motoria.
Non si può, infatti, disconoscere la validità di una concezione sportiva che miri alla
cura del fisico, al sollievo psichico come conseguenza di un argine posto alla tensione
tipica dei nostri giorni, all'arricchimento spirituale per mezzo di una sollecitazione
etica che lo sport può conferire se ben insegnato e condotto. E' una concezione che
rientra in modo pertinente nell'alveo più vasto dell'educazione fisica la quale, lungi dal
ridursi al culto della fisicità, cura il corpo - investendo l'uomo nell'interezza della sua
personalità - anche per fini di chiaro contenuto spirituale"(14).
Con questi provvedimenti la scuola voleva ampliare lo spazio da dedicare al
momento sportivo. Ciò che rivestiva - sempre dal punto di vista del mondo scolastico -
maggiore importanza, non era però l'estensione dell'attività, ma lo spirito con cui tutto
il personale, da quello direttivo a quello insegnante, doveva guardare allo sport, di cui
si volevano sottolineare i valori formativi più che le risultanze agonistiche. Lo sport
scolastico non doveva essere finalizzato alla specifica ricerca del risultato tecnico,
della prestazione, ma doveva essere concepito come insegnamento ad una più
approfondita conoscenza del proprio corpo e della propria "motricità".
Sotto un diverso punto di vista, la C. M. 19 aprile 1972, n.138, poneva in evidenza
quanto la partecipazione ai Giochi offriva "inoltre alla Scuola l'opportunità di
realizzare incontri con gli Enti locali e con le altre forze sportive, incontri che
favoriscono dialoghi chiarificatori dei rispettivi ruoli e delle possibilità di convergenze
efficaci nell'interesse dei giovani e dello sport"(15). I Giochi costituivano infatti
"un'opportuna occasione per sperimentare forme di collaborazione che siano in linea
48
con una concezione di scuola aperta e socializzata, espressione della comunità e ad
essa strettamente collegata, secondo gli indirizzi cui si ispirerà il nuovo ordinamento
scolastico"(16).
Nonostante tutti questi buoni propositi, sotto il punto di vista pratico la scuola non
profuse un grande impegno nell'iniziativa, lasciandone l'onere al CONI ed alle forze
sportive che, facendo leva sugli enti locali e sull'opinione pubblica, riuscirono
comunque a concretizzare il progetto. L'esito non fu particolarmente brillante: nel
1969 l'adesione risultava meno di 600.000 unità; negli anni successivi si registrerà
qualche incremento fino a toccare l'apice nel 1973, con 850.000 presenze. Già l'anno
seguente -però- questo numero si ridurrà di circa 40.000 unità. Ad ogni buon conto, in
questa iniziativa erano senza dubbio racchiusi dei valori di indiscutibile interesse per il
mondo della scuola.
Nel 1974 fu il Comitato Olimpico a compiere dei chiari passi verso la realtà
scolastica, mostrando una crescente attenzione rispetto a determinate esigenze di
carattere educativo, che culminarono in una sorta di decalogo che riportiamo
integralmente in quanto atto a testimoniare l'evoluzione avvenuta all'interno dell'ente
circa l'opportunità di un più corretto approccio al coinvolgimento dei giovani in una
manifestazione promozionale a carattere nazionale:
- "Nei Giochi, più che l'aspetto tecnico-agonistico, conta l'esperienza
sportiva, umana e sociale, che i giovani compiono;
- Nei Giochi il risultato è secondario rispetto all'attività e al modo festoso e
leale di parteciparvi;
- i Giochi puntano sulla quantità e non sulla qualità dei partecipanti;
- i Giochi non sono un campionato, perché esso necessariamente seleziona
ed emargina;
- i Giochi sono, per natura loro, aperti a tutti i ragazzi anche e soprattutto
ai meno dotati e ai più bisognosi di attività sportiva;
- i Giochi non sono un vivaio di campioni, ma un'occasione di formazione,
di esercizio fisico e di svago giovanile;
49
- i Giochi non sono uno spettacolo sportivo, ma una festa corale dello sport
che ha per protagonista la comunità locale nel suo insieme;
- i Giochi non possono ridursi a puro e semplice svolgimento di alcune
gare sportive una volta l'anno;
- i Giochi non sono di proprietà di nessuno: sono della comunità e, quindi,
devono essere comunitariamente gestiti;
- i Giochi durano tutto l'anno e non possono esaurirsi con lo svolgimento
di alcune gare sportive in un determinato periodo dell'anno"(17).
Dato questo nuovo punto di partenza, maturava nell'amministrazione della scuola la
consapevolezza dell'utilità di contatti ed intese con il massimo ente sportivo, anche per
la promozione di iniziative di comune interesse su basi di collaborazione paritaria. Le
principali considerazioni che venivano svolte riguardavano in primis l'opportunità di
non disperdere in iniziative diverse, parallele e concorrenti, le disponibilità finanziarie,
tecniche, organizzative e professionali del mondo della scuola e di quello sportivo;
secondariamente, vi era la convinzione che la perdurante situazione di separazione non
avrebbe giovato a nessuno, mentre viceversa ci poteva essere - e vi era - un vasto
ambito nel quale i due organismi avrebbero potuto cooperare proficuamente
nell'interesse dei giovani, traendo comunque positive esperienze da una collaborazione
impostata su basi chiare e nel rispetto dei ruoli di ciascuno. Da nessuna parte, infatti,
stava scritto che determinati valori propri del mondo sportivo non potessero essere di
utilità nel mondo della scuola e, inversamente, istanze educative di cui la scuola era
depositaria e portatrice, non potessero a loro volta influenzare la pratica e il costume
sportivo a vari livelli.
Durante il 1974 si intensificarono i contatti fra rappresentanti del ministero della P. I.
e del CONI al fine di porre le basi per un'intesa che soddisfacesse le esigenze di
entrambi. Venne individuato come ambito di interesse principale quello dei Giochi
della Gioventù e fu dato mandato ad una commissione paritetica di elaborare un
progetto capace di tener conto delle rispettive esigenze, e nel contempo fosse aperto al
contributo di organi istituzionali ed associazioni quali interlocutori naturali dei due
50
enti promotori per tutto ciò che atteneva alla pratica sportiva giovanile (enti locali,
regioni, associazioni di categoria, sindacati ed enti di promozione sportiva). Ne scaturì
un "progetto tecnico" che costituiva l'asse portante dei nuovi Giochi della Gioventù:
esso segnava la prima fase dell'ingresso dei Giochi nell'alveo della scuola, dopo sei
anni di attività, di esperienza e di limitata evoluzione. Detto progetto venne sottoscritto
il 29 ottobre 1974 dal ministro della pubblica istruzione, Malfatti, e dal presidente del
CONI, Onesti (può essere divertente rilevare che i lavori furono portati a termine il 28
ottobre: le parti convennero però sulla inopportunità di licenziare il documento con
quella data che, nel nostro Paese, non è annoverata fra i giorni fausti).
Il documento era sì espressione di un compromesso fra diverse esigenze, ma
ciascuna delle parti contraenti poteva ben riconoscersi nella sua generalità: la scuola, i
cui operatori trovavano nelle indicazioni ivi contenute il senso di una partecipazione
finalizzata al ruolo loro proprio di educatori; il CONI, che proprio attraverso
quest'intesa ufficiale poteva dar seguito, con ben altre prospettive di successo, al suo
disegno di forte ampliamento della pratica sportiva giovanile. Era comunque chiaro fin
dall'inizio che la collaborazione non sarebbe stata facile: il confronto diretto fra scuola
e sport avrebbe chiesto grande senso di responsabilità e misura da parte di tutti; era
sempre in agguato il rischio di interpretare erroneamente lo spirito della
manifestazione, di strumentalizzare l'evento - da una parte - e di esibire comportamenti
di esasperata suscettibilità o di comoda acquiescenza, dall'altra. Ad ogni buon conto, il
1974 segnava una svolta importante: per la prima volta i Giochi venivano indetti
congiuntamente dal ministero e dal CONI.
Nell'anno scolastico 1976-1977, i Giochi vennero estesi anche agli studenti delle
scuole secondarie superiori, rimasti senza attività sportiva ufficiale dopo la
soppressione dei Gruppi sportivi scolastici decretati con la C. M. 5 agosto 1975, n.
222. Inoltre la manifestazione venne aperta anche agli alunni del primo ciclo della
scuola elementare: così, dal 1977, la scuola partecipava ai Giochi con tutte le classi di
ogni ordine e grado. Successivamente ( a.s. 1983-1984), i Giochi vennero riservati alla
scuola elementare e alla scuola media; per gli studenti della scuola secondaria
51
superiore vennero indetti i campionati studenteschi. Un'amara considerazione che
balzava all'occhio era che per oltre trent'anni era stata trascurata l'educazione fisica e
sportiva dei bambini della scuola elementare. Proprio nel periodo in cui il corpo aveva
maggior bisogno di essere impostato, curato e "vitalizzato", l'esercizio fisico veniva
lasciato alla competenza (ed al buon cuore) dei maestri.
2.4 LA NORMATIVA SANITARIA…
Prima dell'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, avvenuta con la L. 23
dicembre 1978, n. 833, il servizio di medicina scolastica, a carattere prevalentemente
profilattico, era di competenza dei comuni e veniva espletato a mezzo di medici
generici e di medici scolastici specialisti.
Già con la circolare n. 8, del 1° ottobre 1955, il ministero della Pubblica Istruzione,
constatato che il servizio medico-scolastico era alquanto limitato per le scarse
disponibilità finanziarie dei comuni, autorizzava i provveditorati agli studi a ricorrere
all'istituzione di un servizio medico che meglio rispondesse ai bisogni della scuola. In
tutti gli edifici scolastici vennero così approntati locali per i servizi di medicina
scolastica, in cui appositi medici, nominati dal capo d'istituto, conducevano gli
accertamenti occorrenti ai fini dell'insegnamento di educazione fisica e dello
svolgimento di attività sportive. Il servizio, nonostante le naturali manchevolezze e le
difficoltà finanziarie, rispondeva alle esigenze più immediate della scuola, in
particolare dell'insegnamento di E. F. e della pratica sportiva.
Una radicale modifica dello status quo si è avuta con la L. 23 dicembre 1978, n. 833,
istitutiva del S. S. N., costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei
servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della
salute fisica e psichica di tutta la popolazione, in conformità col dettato dell'art. 32
della Costituzione per cui "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell'individuo e interesse della collettività".
52
Tale legge pone, tra le diverse finalità che il Servizio Sanitario Nazionale si prefigge,
anche la tutela sanitaria delle attività sportive; nell'art. 2 si dice: "[…] Il Servizio
Sanitario Nazionale nell'ambito delle sue competenze persegue: […] e) la tutela
sanitaria delle attività sportive […]"(18), mentre il successivo art. 14, che stabilisce i
compiti delle Unità Sanitarie Locali, afferma: "[…] Nell'ambito delle proprie
competenze, l'Unità Sanitaria Locale provvede in particolare: […] G) alla medicina
dello sport e alla tutela delle attività sportive;"(19).
Questa importante innovazione viene ripresa anche dalla L. 29 febbraio 1980, n. 33,
che esplicitamente include nella definizione di assistenza sanitaria quello di tutela
sanitaria delle attività sportive e demanda alle regioni il compito di stabilire le
modalità di esecuzione dei controlli.
Tali controlli per la partecipazione alle attività sportive vanno distinti in controlli -
iniziali e periodici - di idoneità specifica alla pratica agonistica di un determinato
sport, e accertamenti dello stato di buona salute e di assenza di controindicazioni alla
pratica di attività sportive non agonistiche.
Coloro che praticano attività sportive di tipo non agonistico ma ludico-ginnica,
devono quindi disporre di una idoneità generica, vedendosi tutelati dal decreto del
ministero della Sanità 28 febbraio 1983, che all'art. 1 dispone: "Ai fini della tutela
devono essere sottoposti a controllo sanitario per la pratica di attività sportive non
agonistiche:
a) gli alunni che svolgono attività fisico-sportive organizzate dagli organi
scolastici nell'ambito delle attività parascolastiche;
b) coloro che svolgono attività organizzate dal C.O.N.I., da società
sportive affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti di promozione sportiva
riconosciuti dal C.O.N.I. e che non siano considerati atleti professionisti ai sensi del
decreto ministeriale 18 febbraio 1982;
c) coloro che partecipano ai Giochi della Gioventù nelle fasi precedenti
quelle nazionali"(20).
Attendono a questo grado di tutela i medici di base ed i pediatri.
53
L'idoneità specifica, richiesta per chi svolge attività agonistica sia a livello
amatoriale sia da professionista, costituisce invece la fase successiva, ed è necessaria
anche per gli studenti-atleti che disputino le fasi nazionali dei Giochi della Gioventù e
dei Campionati studenteschi. Questa idoneità particolare è regolata da una legislazione
piuttosto composita, il cui primo momento può considerarsi la L. 26 ottobre 1971, n.
1099, che attribuisce alle - allora neonate - regioni l'onere del controllo sanitario sugli
atleti. Essa segue alla L. 1055/50, che demanda alle federazioni la tutela dei propri
atleti, ed è completata dal D. M. 5 agosto 1975, che regola l'accesso alle singole
attività sportive. Gli aggiornamenti successivi per l'attuazione di norme di tutela
dell'attività agonistica sono contenuti nel D. M. 18 febbraio 1982, integrato e
modificato dal già citato D. M. 28 febbraio 1983, che prevede appunto, per i
partecipanti alle fasi nazionali, l'obbligatorietà del controllo all'idoneità specifica allo
sport.
Merita di essere segnalata la circolare del ministero della Sanità del 31 gennaio
1983, n. 7, che chiarisce in modo inequivocabile il termine di attività sportiva
agonistica: "[…] Essa deve intendersi come quella forma di attività sportiva praticata
sistematicamente e/o continuativamente e soprattutto in forme organizzate dalle
Federazioni Sportive Nazionali, dagli Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal
CONI e dal Ministero della Pubblica Istruzione per quanto riguarda i Giochi della
Gioventù a livello nazionale per il conseguimento di prestazioni sportive di un certo
livello"(21).
Si dovrebbe comunque evitare questa illogica discriminazione, insita nel fatto che,
mentre si esige, e giustamente, un controllo dell'idoneità specifica nell'accesso alla fase
nazionale, ci si accontenta, per le fasi precedenti, comportanti sostanzialmente pari
prestazioni e impegno fisico-energetico, di un controllo meno rigoroso, qual è quello
previsto per la pratica di attività sportive non agonistiche.
Va segnalato infine il nuovo contratto dei medici pediatri di base, regolato dal D. P.
R. 28 luglio 2000, n. 272, che evidenzia la necessità di una riorganizzazione generale
del settore sportivo scolastico sotto l'aspetto della tutela sanitaria (22).
54
2.5 …E QUELLA ASSICURATIVA
Nello svolgimento delle attività di educazione fisica e sportiva può
malauguratamente verificarsi un infortunio dovuto ad una causa fortuita, violenta ed
esterna, che produca lesioni corporali o che arrechi danni a terzi, per cui può sorgere la
responsabilità civile che comporta l'obbligo del risarcimento del danno. L'art. 2043 del
Codice civile dispone testualmente: "Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad
altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno".
L'art. 2048 C. C., secondo e terzo comma, stabilisce che: "I precettori e coloro che
insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito
dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza" e che "sono
liberati dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto";
inoltre, ai sensi dell'art. 2047 C. C., gli insegnanti sono responsabili, in solido con la
scuola, per i danni cagionati dagli incapaci".
Appare chiara, allora, l'esigenza di dare alle attività di educazione fisica e sportiva
una maggiore sicurezza, intesa anche come copertura assicurativa degli infortuni e dei
danni arrecati.
Tutti gli alunni e gli operatori scolastici possono essere assicurati in ordine ai rischi
connessi all'attività di educazione fisica e sportiva nella scuola: il premio relativo è a
loro carico, ma l'adesione alla proposta di polizza è assolutamente facoltativa da parte
delle scuole. Per la verità (e purtroppo), non è mai stata radicata - in presidi e manager
scolastici - l'abitudine di assicurare il proprio istituto, quindi, nelle numerosissime
scuole che non aderiscono all'assicurazione degli alunni, gli insegnanti di educazione
fisica e gli altri operatori scolastici possono individualmente garantirsi sia contro i
propri infortuni, sia per la responsabilità civile. L'assicurazione viene stipulata dal
ministero della Pubblica Istruzione con una compagnia assicurativa scelta in base ad
indagine di mercato atta a valutare le condizioni migliori.
55
Per quanto riguarda la nostra ricerca, "La garanzia assicurativa copre gli infortuni
degli alunni che si verificano durante ed in occasione:
- dell'intervallo che precede o segue le lezioni di educazione fisica;
- delle lezioni di educazione fisica e dell'insegnamento complementare di
avviamento alla pratica sportiva di cui all'art. 13 della L. 7 febbraio 1958, n. 88;
- di tutte le attività ricreative di carattere ginnico-sportivo che si svolgono
in prescuola, interscuola e doposcuola, comprese le attività complementari aventi
carattere integrativo ed extra curricolare;
- della preparazione, degli allenamenti e delle gare dei Giochi della
Gioventù e dei Campionati studenteschi, delle manifestazioni sportive scolastiche
internazionali indette dalla Federazione internazionale dello sport scolastico, di ogni
altra attività sportiva deliberata conformemente alla lettera f) dell'art. 6 del D. P. R. 31
maggio 1974, n. 416"(23).
Una importante forma di intervento è stata attuata da alcune regioni che hanno
adottato provvedimenti volti ad assicurare gli alunni ed il personale insegnante contro i
rischi da infortuni, e per la copertura della responsabilità civile degli insegnanti;
ricordiamo, fra queste, la regione a statuto speciale Friuli - Venezia Giulia, la regione
Lombardia e la provincia autonoma di Bolzano.
2.5.1 LA SPORTASS
Senza dubbio la principale e più diffusa forma di assicurazione per gli sportivi in
Italia è la SPORTASS. Nel maggio del 1934, il CONI, consapevole delle peculiarità
presenti nel rischio da attività sportiva e della necessità di provvedere ad una adeguata
copertura assicurativa, ha costituito la "Cassa di Previdenza per l'Assicurazione degli
Sportivi", con l'iniziale denominazione di "Cassa Interna di Previdenza del CONI".
Merito del massimo organismo sportivo nazionale è stato di aver creato la prima
organizzazione del genere in campo internazionale.
56
Con R. D. 16 ottobre 1934, n. 2047, la Cassa fu eretta in ente morale e ne fu
approvato lo statuto, che all'art. 1 precisava i compiti: "Il CONI, nell'intento di lenire
le conseguenze degli infortuni connessi con l'esercizio delle attività sportive che esso
promuove e disciplina per l'elevamento fisico e morale della gioventù italiana, delibera
di istituire la Cassa Interna di Previdenza alla quale apparterranno di diritto tutti gli
iscritti all'atto stesso del loro tesseramento. La Cassa ha per scopo di provvedere
all'indennizzo, su di una base minima comune a tutti i tesserati, delle conseguenze
degli infortuni anzidetti mediante polizze di assicurazione con compagnie autorizzate
ai sensi del R. D. L. 29 aprile 1923, n. 966, e ad eventuali prestazioni mediche e
farmaceutiche nei casi e dentro i limiti indicati in apposito Regolamento da
considerarsi parte integrante del presente Statuto"(24).
Dopo alcuni anni di attività svolta per il tramite di compagnie assicurative, nel 1938
la Cassa venne autorizzata all'esercizio diretto dell'assicurazione contro gli infortuni
degli atleti federati e di quelli iscritti ad altre federazioni sportive aderenti.
Nel 1972 la SPORTASS ha ampliato notevolmente le proprie finalità, così
sintetizzate nell'art. 1 del nuovo statuto: " La SPORTASS - Cassa di Previdenza per
l'Assicurazione degli Sportivi - nell'intento di favorire la formazione e l'elevazione
fisica e morale della gioventù ed altresì lo sviluppo ed il perfezionamento delle attività
sportive in Italia, ha come scopo fondamentale quello di fornire senza finalità di lucro
prestazioni assicurative, assistenziali e previdenziali le cui esigenze emanino
dall'esercizio, dall'organizzazione e dallo svolgimento delle discipline sportive
inquadrate nell'ambito del CONI"(25).
La Cassa gestisce l'assicurazione contro gli infortuni personali dei tesserati delle
federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI, dei partecipanti ai Giochi della
Gioventù, Centri di avviamento allo sport, Centri Olimpia e ad altre attività giovanili e
degli iscritti agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI.
Per quanto concerne i Giochi della Gioventù (ma ciò vale pure per i Campionati
studenteschi), i giovani partecipanti a queste manifestazioni sono assicurati presso la
SPORTASS contro gli infortuni personali derivanti dalla loro partecipazione alle gare
57
costituenti il programma dei Giochi stessi nelle fasi comunali, provinciali, regionali e
nazionali, e dallo svolgimento dei relativi allenamenti autorizzati e controllati.
"L'assicurazione riguarda gli infortuni avvenuti:
a) durante lo svolgimento delle gare in programma per le varie fasi dei
Giochi e durante le gare organizzate dalle Federazioni Sportive Nazionali nel quadro
dei «Giochi della Gioventù»;
b) durante gli allenamenti ufficialmente autorizzati e controllati;
c) durante le indispensabili azioni preliminari e finali di ogni gara od
allenamento ufficiale controllato, purché il fatto sia avvenuto sui campi, terreni, piste,
percorsi o nelle palestre, piscine e luoghi in genere stabiliti per lo svolgimento delle
singole attività sportive;
d) durante i viaggi, limitatamente agli spostamenti collettivi dei
partecipanti alle gare od allenamenti ufficiali di cui ai punti a) e b) svolti sotto il
controllo della Organizzazione periferica o centrale del CONI, ed effettuati con mezzi
pubblici o con mezzi appositamente noleggiati"(26).
La copertura assicurativa riguarda inoltre i rischi di responsabilità civile verso terzi
derivanti dall'organizzazione e dallo svolgimento dell'attività sportiva svolta dagli
iscritti ai Giochi della Gioventù, ai Centri di avviamento allo sport ed ai Centri
Olimpia.
NOTE AL CAP. 2
(1) Legge 7 febbraio 1958 n.88, Provvedimenti per l'educazione fisica, art. 13, comma IV.
(2) Ministero della Pubblica Istruzione, Attività sportiva scolastica 1968, Annuario
dell'ispettorato per l'educazione fisica e sportiva, Roma 1969, pag.12.
(3) Donato Martucci (a cura di), Il CONI e le federazioni sportive, Comitato Olimpico
Nazionale Italiano, Roma 1962.
(4) Studi e documenti degli Annali della pubblica istruzione, n. 25, L'educazione fisica e
lo sport nella scuola, Roma 1983.
(5) C. M. 10 dicembre 1954: Norme per il conseguimento dei Brevetti.
58
(6) Luigi Gui - Ministro della P. I. - Conversazione tenuta il 14 giugno 1967 al Panathlon
di Roma, in: Ministero della Pubblica Istruzione, Attività sportiva scolastica 1967, Annuario
dell'ispettorato per l'educazione fisica e sportiva, Roma 1968, pp.6-7.
(7) C. M. 10 dicembre 1954, ivi.
(8) Tonino De Juliis - Mario Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana,
cit., pp. 35-36.
(9) Ivi, pag.36.
(10) Ivi, pag.37.
(11) Ivi, pp.38-39.
(12) C. M. 8 febbraio 1969 n.51 prot.954, Giochi della gioventù.
(13) C. M. 18 dicembre 1969: Norme esplicative dell'Ordinanza Ministeriale numero 422.
(14) Ivi.
(15) C. M. 19 aprile 1972, n.138: Giochi della Gioventù anno scolastico 1972-1973.
(16) Ivi.
(17) Studi e documenti degli Annali della pubblica istruzione, n.25, cit., pp.164-165.
(18) L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 2.
(19) Ivi, art. 14.
(20) D. M. 28 febbraio 1983, art. 1.
(21) D. M. 31 gennaio 1983, n. 7.
(22) D.P.R. 28 luglio 2000, n. 272.
(23) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit.,
pag. 374.
(24) R. D. 16 ottobre 1934, n. 2047, art. 1.
(25) D. P. R. 14 novembre 1972, n. 1126, art. 1.
(26) Ivi.
59
CAPITOLO TERZO:
"CAMBIA LA FORMA, RIMANE LA SOSTANZA (CON QUALCOSA IN
MENO)".
3.1. UN'INDAGINE CONOSCITIVA
Nella VI legislatura la Camera dei deputati (Commissione interni, presieduta dall'on.
Cariglia) svolse, dal 29 marzo 1973 al 13 novembre 1974, una "Indagine conoscitiva
sulla situazione e le prospettive dello sport in Italia", al fine di acquisire tutti gli
elementi utili da mettere a disposizione di forze politiche, parlamentari e governo,
nell'eventualità di intervenire legislativamente a favore della deficitaria situazione
dello sport italiano. Per quanto riguarda la scuola, la commissione prese in esame i
seguenti problemi:
- la scuola come punto di partenza per la pratica e lo sviluppo dell'esercizio
sportivo;
- i programmi di educazione fisica e gli orari scolastici;
- le attrezzature sportive scolastiche;
- gli insegnanti, gli istruttori, i tecnici dello sport;
- i servizi di assistenza sanitaria nelle attività sportive scolastiche.
Gli interventi da parte dei rappresentanti della scuola riuscirono ad offrire un
panorama esauriente e completo. Il documento conclusivo pose l'accento in particolare
su alcune delle principali questioni da affrontare, esprimendosi così: "Allo stato
attuale, la scuola italiana affronta i problemi dello sport con l'insegnamento
dell'educazione fisica nella scuola media inferiore e superiore e con una modesta
partecipazione all'attività sportiva vera e propria. Nella scuola materna tale
insegnamento non è previsto; in quella elementare è affidato al maestro che nella
maggior parte dei casi lo sottovaluta o addirittura lo trascura; in quella media esso è
obbligatorio per tutti gli studenti (due ore settimanali), mentre l'attività sportiva è del
tutto facoltativa. «L'espansione scolastica, con la conseguente istituzione di nuove
60
scuole di ogni ordine e grado, ha creato nel settore problemi particolarmente seri, ed ha
dato luogo a situazioni di notevole disagio» (Billini, provveditore agli studi di Livorno,
"provincia campione"). Unanime è stata la richiesta di rinvigorire l'insegnamento
dell'educazione fisica nella scuola elementare e a tal riguardo sono state avanzate varie
proposte. Partendo dalla constatazione che oltre il 60-70 per cento degli alunni di tale
scuola è affetto da paramorfismo, se ne deduce che l'insegnamento dell'educazione
fisica deve essere attuato con grande serietà fin dai primi anni dell'attività scolastica
del bambino; e la maggior parte degli interpellati ha proposto di sottrarre tale
insegnamento al maestro elementare per affidarlo ad un docente di educazione fisica, il
quale, operando al fianco dello stesso maestro, potrebbe curare 10-15 classi; altri
hanno proposto un docente di plesso, altri ancora un coordinatore dell'attività sportiva
di direzione didattica, qualche altro, infine, la qualificazione degli insegnanti
elementari della scuola a tempo pieno o la utilizzazione di maestri soprannumerari
all'uopo qualificati. […] I programmi d'insegnamento sono ancora quelli della L. 7
febbraio 1958, n. 88, «e da allora ad oggi molte cose sono cambiate» (Ricciardi, capo
dell'ispettorato per l'educazione fisica e sportiva del ministero della Pubblica
Istruzione). Almeno un aggiornamento di essi si impone in maniera categorica; e tale
aggiornamento deve riguardare sia un diverso rapporto tra educazione fisica ed
educazione sportiva, sia anche una diversa considerazione del fatto sportivo
nell'ambito dell'orario scolastico. I nuovi programmi dovrebbero « tener maggiormente
presenti le esigenze personali di ogni allievo: il criterio del piano didattico soggettivo
adottato per la scuola media dovrebbe essere esteso anche ai programmi di educazione
fisica» (Cappetti, insegnante di educazione fisica presso il liceo artistico "Firenze 2" di
Firenze)"(1).
Sempre nella stessa sede, si sostenne che: "Alla struttura ed al funzionamento degli
ISEF sono state mosse molte critiche. […] Le critiche più radicali sono venute dal
professor Enrile, docente dell'ISEF di Roma (il quale ha affermato di ritenere «che gli
ISEF attuali sono anacronistici, perché basati sulla edificazione di una educazione
fisica che non è più l'educazione del nostro tempo» e perché «tutti gli 11 istituti che
61
esistono sono basati su uno statuto il quale finisce per falsare la vita moderna
dell'ISEF») […]. La durata del corso e la sua conclusione con il rilascio di un diploma
ha richiamato l'attenzione di molti degli interpellanti: si è d'accordo nell'aumentare la
durata del corso da tre a quattro anni e nel trasformare il diploma conclusivo in laurea,
inserendo la trasformazione dell'ISEF nell'ambito dell'auspicata riforma
universitaria"(2). A fronte di tante buone idee e tanti bei propositi, l' "indagine
conoscitiva" non condusse a nessuna modifica concreta sul piano legislativo.
Sintomatica la situazione degli ISEF: la loro trasformazione, della quale - come visto -
si parlava già nel 1974, troverà la propria attuazione alla fine del secondo millennio,
con l'istituzione del corso di laurea in "Scienze motorie".
3.2 I DECRETI DELEGATI
Nel 1974 una nuova realtà si propose nel panorama della normativa in campo
scolastico: i Decreti delegati emanati in attuazione della legge 30 luglio 1973, n. 477
("Delega al governo per l'emanazione di norma sullo stato giuridico del personale
direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria
e artistica dello Stato").
Per la prima volta, nel campo della legislazione inerente la scuola in Italia, si trattava
delle attività sportive degli alunni e se ne sollecitava lo sviluppo ad opera dei nuovi
organi collegiali della scuola. Di questo consistente corpus, interessa in particolar
modo, ai fini dell'argomento qui preso in considerazione, il D. P. R. 31 maggio 1974,
n.416 ("Istituzione e riordinamento di organi collegiali della scuola materna,
elementare, secondaria ed artistica"). Con esso venne assicurata la piena cittadinanza
all'interno degli ordinamenti giuridici della scuola alle attività sportive, attraverso
l'assegnazione di competenze specifiche agli organi collegiali d'istituto. In questo
modo l'attività sportiva scolastica diventava parte integrante della programmazione
educativa della scuola. Gli artt. 6 e 12 del D. P. R. 416 fanno esplicito riferimento alle
"attività sportive destinate agli alunni"(3), attribuendo ai Consigli di circolo e d'istituto
62
specifiche competenze in materia, sia per l'aspetto organizzativo, sia per le modalità di
gestione dei fondi da parte delle singole scuole. Non solo, quindi, si era inserita
l'attività sportiva all'interno degli ordinamenti scolastici, ma ciò è stato fatto
prevedendo un'autonomia, anche gestionale, che ne favorisse la diffusione in tutte le
scuole, comprese quelle in cui fino ad allora l'attività era rimasta un buon proposito e
nulla più a causa dell'assenza del Gruppo sportivo scolastico. Di conseguenza, la piena
assunzione delle funzioni loro assegnate, da parte degli organi scolastici collegiali, ha
evidenziato l'esigenza di riconsiderare l'assetto organizzativo dello sport nella scuola,
fino ad allora basato sui Gruppi sportivi scolastici e sulle relative Unioni provinciali.
Il riordino della materia secondo i nuovi principi impartiti dai decreti delegati è
avvenuto con la circolare ministeriale 5 agosto 1975, n.222. Abbiamo già avuto
modo di occuparci di questo provvedimento nel capitolo precedente, quando si è
trattato della scomparsa dei Gruppi sportivi. In effetti questo documento ha soppresso
tali istituzioni, ritenute non più congruenti coi nuovi assetti organizzativi, affidando la
gestione dell'attività sportiva ai singoli istituti, secondo direttive stabilite dai rispettivi
organi collegiali e con l'ausilio e la consulenza di comitati tecnici, nei quali è
assicurata la presenza di docenti di educazione fisica.
Alcuni autori hanno tacciato il legislatore di eccessiva fretta e scarsa attenzione nei
confronti dei Gruppi sportivi: una soppressione forse poco oculata, giunta proprio nel
momento in cui lo sport studentesco trovava riconoscimento negli assetti istituzionali
della scuola. Un adeguamento dei Gruppi alla nuova realtà che si era venuta a creare
sarebbe stato possibile, anzi, forse si poteva addirittura prevedere uno sviluppo degli
stessi in virtù dei nuovi poteri decisionali dei Consigli d'istituto (4).
La circolare n. 222 riporta, aggiornandoli in modo opportuno alla mutata realtà dei
tempi e delle situazioni, i principi di fondo delle più valide esperienze nel campo dello
sport scolastico, non mancando - e in questo sta la vera novità - di tracciare una linea
strategica d'azione volta non solo a cercare di superare pregresse situazioni
d'immobilismo, ma anche a suscitare e sostenere nuove iniziative, nonché a porre le
63
condizioni affinché il problema dell'attività motoria cominci a trovare all'interno della
scuola le risposte richieste dai giovani e dalle famiglie.
La scelta delle attività sportive da praticarsi nel quadro della programmazione
extrascolastica spetta ai Consigli d'istituto. Viene inoltre introdotta la possibilità di
svolgere le attività in corsi ad hoc, articolati per discipline e specialità sportive e
comprendenti alunni di classi diverse. Il raccordo tra le iniziative delle varie scuole
continua a trovare - a livello provinciale - il referente naturale nel provveditorato agli
studi. Sempre la circolare n. 222, riguardo la gestione e l'organizzazione dell'attività
sportiva scolastica, suggerisce ai Consigli d'istituto la costituzione di un "Comitato
tecnico-sportivo", nel quale sia assicurata - ovviamente - la presenza di docenti di
educazione fisica e sportiva.
In seguito, la C. M. 19 ottobre 1984, n. 310, sottolineava, "ai fini di un più forte
radicamento del comitato tecnico-sportivo nella realtà delle singole scuole,
l'opportunità che detto comitato, soprattutto nella scuola secondaria superiore, possa
coinvolgere rappresentanze di alunni e di tutte le altre componenti presenti nella scuola
che abbiano effettivo interesse ad impegnarsi in un'incisiva opera promozionale e di
gestione in favore dello sport scolastico. […] L'attività sportiva scolastica - quali che
siano le modalità operative in cui si realizza - è parte integrante della programmazione
educativa della scuola e come tale deve essere finalizzata al coinvolgimento della
generalità degli alunni. Nella materia, pertanto, vale quanto precisato nell'art. 4, lettera
a), del D. P. R. 31 maggio 1974, n. 416, circa il potere deliberante e le responsabilità
del Collegio dei docenti. Restano naturalmente ferme le competenze dei Consigli di
Istituto in merito all'adesione degli Istituti interessati ad attività sportive
interscolastiche, ai sensi dell'art.6 del D. P. R. n. 416 sopracitato, quali ad esempio i
Giochi della Gioventù, i Campionati studenteschi, il Concorso Esercito - Scuola, o
iniziative più circoscritte indette a livello provinciale o regionale"(5).
Con i Decreti delegati, il legislatore ha attribuito precise competenze sia ai Consigli
d'istituto, sia ai Consigli distrettuali e provinciali. In particolare, ai primi ha delegato le
materie riguardanti le modalità per il funzionamento e l'utilizzo delle attrezzature
64
sportive (in futuro, con l'art. 12 della L. 4 agosto 1977, n. 517, la delega riguarderà
anche la possibilità di destinare ad altre istituzioni l'uso delle attrezzature - quindi
anche di quelle sportive - della scuola), oltre che l'organizzazione dell'attività sportiva
all'interno dell'istituto.
I Consigli scolastici distrettuali anche per il settore sportivo hanno solo compiti
propositivi e non decisionali, volti al potenziamento delle attività sportive destinate
agli alunni e riguardanti l'organizzazione e lo sviluppo dei servizi e delle strutture
connesse. Il Consiglio scolastico provinciale, infine, assolve, fra gli altri, l'impegno di
determinare l'utilizzo delle strutture della scuola (perciò anche di palestre ed impianti
sportivi) al di fuori dell'orario scolastico.
In sintesi, il D. P. R. 31 maggio 1974, n. 416, (art. 6) contempla la possibilità di
svolgimento nelle scuole di una vasta gamma di attività, fra cui quelle sportive, intese
a completare e rendere più efficace l'azione educativa, in relazione alle esigenze
avvertite e interpretate dagli organi collegiali, forti della loro autonomia.
Sulla base di questa nuova normativa sono maturate iniziative di promozione dello
sport scolastico, la più nota delle quali, come abbiamo avuto modo di vedere, è stata
l'ingresso - nel 1975 - della scuola nei Giochi della Gioventù. Da allora, all'inizio di
ogni anno scolastico, il Ministero emana una circolare sull'attività sportiva scolastica,
con la quale viene trasmesso ed illustrato il progetto tecnico dei Giochi, vengono
fornite disposizioni in merito alla partecipazione delle scuole alle manifestazioni, al
finanziamento delle attività, all'intervento a favore delle scuole elementari, al controllo
delle attività da parte dei capi d'istituto e dei provveditori agli studi.
Come detto, la scelta delle attività sportive nelle singole scuole spetta ai Consigli
d'istituto, anche in relazione alla disponibilità di attrezzature, impianti e preparazione
dei docenti. Alla scelta può essere dato un indirizzo tradizionale, orientandola verso le
specialità corrispondenti alle discipline olimpiche (ovviamente con i dovuti ed
opportuni adattamenti), oppure maggiormente rispettoso di tradizioni sportive o
folcloristiche locali. Chiaramente i Consigli d'istituto possono tenere presenti, come
termine di riferimento, le specialità comprese nel programma dei Giochi della
65
Gioventù, anche in vista della partecipazione degli alunni alla stessa manifestazione.
In ogni caso, è indicato che nella scelta delle attività sportive da svolgere è opportuno
dare la preferenza a quelle "di base", che sono le più utili ed indicate per un completo
ed armonico sviluppo dei giovani e che costituiscono il presupposto di tutte le
specialità sportive. Altrettanto, sono da incentivare quelle discipline che, in relazione
alla disponibilità finanziaria ed alla possibilità di reperimento di impianti idonei,
consentano la partecipazione del maggior numero possibile di giovani. Le attività
deliberate si possono anche svolgere in corsi articolati per specialità, comprendenti
alunni di classi diverse. In determinati casi, si possono accogliere pure alunni di altra
scuola, quando vi sia l'accordo dei rispettivi organi direttivi (questa situazione si
presenta nel caso di attività che, poco diffuse nella scuola, difficilmente possono
svolgersi ed esaurirsi nell'ambito del singolo istituto). Dopo averne valutato
l'opportunità, i Consigli d'istituto possono deliberare anche la costituzione di corsi
misti maschili e femminili per quelle attività nelle quali le metodiche di preparazione e
le forme di svolgimento sono simili per l'uno e per l'altro sesso.
Oltre alle attività sportive "tipiche", assumono un certo rilievo e un interesse
crescente anche le attività di campeggio: queste, infatti, hanno trovato un elemento di
valorizzazione nei nuovi programmi di educazione fisica, sia come vasto settore
dell'attività motoria in cui la scuola si relaziona alla vita (rinnovando il rapporto uomo-
natura), sia come occasione completa di rapporto interdisciplinare, nel quadro di una
attenta programmazione educativa e didattica. Il campeggio, espressione tipica della
vita in ambiente naturale, offre ai giovani, provenienti da luoghi ed esperienze diversi,
la possibilità di incontrarsi e conoscersi, con una esperienza di vita che li accomuna
attraverso la scoperta di ambienti naturali e l'organizzazione - spesso autogestita - di
appropriate attività di carattere sportivo, ricreativo e culturale. Gli aspetti organizzativi
delle attività in questione sono curati dai provveditorati agli studi, d'intesa con gli enti
locali, i quali provvedono anche ad apprestare le infrastrutture ed i servizi necessari.
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3.3 OLTRE L'ORARIO SCOLASTICO
I Decreti delegati sono stati la base di partenza per altre novità: fra tutte vanno
segnalate - a partire dal 1976 - l'autorizzazione data ai docenti delle scuole impegnate
nei Giochi della Gioventù, di poter svolgere fino a sei ore settimanali oltre l'orario di
cattedra (le cosiddette ore extracurricolari), come ore di insegnamento complementare
di avviamento alla pratica sportiva: ore retribuite agli insegnanti come lavoro
straordinario. In secondo luogo, viene concessa alle scuole la possibilità di organizzare
attività sportiva scolastica nei mesi estivi e di prolungare, sempre in questo periodo, la
preparazione dei giovani in vista della partecipazione ai Giochi della Gioventù.
3.4 L'ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
Sotto il punto di vista amministrativo, si è visto che nell'ambito del Ministero le
competenze relative allo svolgimento dell'attività fisico-sportiva nella scuola
secondaria fanno capo all'Ispettorato per l'educazione fisica e sportiva (per la scuola
elementare, invece, la competenza è della Direzione generale dell'istruzione
elementare). Tale Ispettorato, contemplato dall'art. 2 della L. 7 dicembre 1971, n.1264,
fra gli uffici centrali alle dirette dipendenze del ministro, costituisce la trasformazione
del Servizio centrale per l'educazione fisica e sportiva, creato con O. M. 6 marzo 1954
ma istituito formalmente dall'art. 7 della legge 88/58. Questo era a sua volta stato
preceduto da un Ufficio speciale per l'educazione fisica, sorto nel 1947 col compito di
provvedere all'ordinamento dell'educazione fisica e all'inquadramento del personale
insegnante nel ruolo transitorio statale istituito in quell'anno.
Gli artt. 39 e 119 del D. P. R. 31 maggio 1974, n. 417 ("Norme sullo stato giuridico
del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare,
secondaria ed artistica dello Stato"), contemplano le qualifiche di ispettori tecnici
centrali e periferici incaricati di provvedere ai servizi ispettivi tecnici. Un ulteriore
aggiornamento, contenuto nell'art.5 del D. L. 6 novembre 1989, n. 357, convertito con
67
modificazioni in L. 27 dicembre 1989, n.417, sopprimerà il ruolo degli ispettori
tecnici centrali e periferici, istituendo il ruolo unico degli ispettori tecnici.
In ambito provinciale, invece, il coordinamento dei servizi attinenti all'educazione
fisica e sportiva spetta al provveditore agli studi, il quale può avvalersi della
collaborazione di un preside o di un professore di ruolo di educazione fisica;
quest'ultimo può essere dispensato in tutto o in parte dall'insegnamento. Si vuole così
dare ai provveditori la possibilità di avere un collaboratore di fiducia, con specifica
competenza in un settore nel quale essi generalmente non possiedono conoscenze
tecniche approfondite. Il coordinatore di educazione fisica, con la sua preparazione,
sarà così la longa manus del provveditore nello svolgimento delle attività di
promozione dello sport scolastico, di collegamento con gli enti e con le forze sportive,
di consulenza alle istituzioni scolastiche, di ispezione. I compiti dei coordinatori sono
stati oggetto di diversi provvedimenti amministrativi, ma l'unica disposizione
legislativa sull'organizzazione e il coordinamento periferico del servizio in esame resta
quella contenuta nelle brevi enunciazioni dell'art. 9 della L. 88/58.
Il coordinatore, quindi, allo stato attuale della legislazione, svolge essenzialmente
una funzione di proposta, parere, consulenza nei riguardi del provveditore, nelle
materie di sua competenza. L'ampiezza di queste, e le esigenze organizzative
dell'ufficio, possono tuttavia suggerire l'affidamento in via ordinaria al coordinatore,
attraverso atti di delega, della trattazione di questioni particolari, ferma restando al
provveditore la definitiva competenza decisionale e la adozione dei conseguenti atti
formali.
I Decreti delegati disciplinano alcune delle materie nelle quali il coordinatore può
agire in via ordinaria; esse sono:
- esame sotto il profilo tecnico dei programmi formulati dai distretti per il
potenziamento delle attività sportive destinate agli alunni, ai sensi appunto dell'art. 12
del D. P. R. 31 maggio 1974, n. 416;
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- accertamenti relativi allo svolgimento dell'insegnamento dell'educazione
fisica mediante visita alle scuole, secondo quanto è previsto nell'ultimo comma dell'art.
119 del D. P. R. 31 maggio 1974, n. 417;
- vigilanza sull'effettivo svolgimento delle ore complementari di
avviamento alla pratica sportiva;
- organizzazione delle attività e delle manifestazioni sportive
interscolastiche nell'ambito provinciale;
- assistenza e collaborazione, ove richieste dagli organi collegiali della
scuola, nelle attività di aggiornamento sull'educazione fisica e sportiva del personale
direttivo e docente, salve le competenze proprie degli ispettori tecnici.
L'incarico al coordinatore, non indicando la legge il termine di durata della nomina,
deve intendersi a tempo indeterminato, e cioè fino a quando non intervenga, da parte
del provveditore, un atto formale -motivato- che sollevi la persona dall'incarico stesso.
Per converso, anche le eventuali dimissioni del coordinatore diverranno esecutive solo
dopo l'accettazione da parte del provveditore.
3.5 L'EVOLUZIONE DEI PROGRAMMI
3.5.1 LA SCUOLA ELEMENTARE
Un'altra importante novità introdotta dai Decreti delegati è la facoltà, conferita ai
docenti, di utilizzare le sei ore extracurricolari già menzionate, per svolgere attività di
consulenza nei circoli didattici, in vista di convogliare ogni possibile risorsa materiale
e personale per assicurare uno sviluppo adeguato delle attività motorie nella scuola
elementare. Quello dell'insegnamento dell'educazione fisica e sportiva nella scuola
primaria è un grave problema, al quale ancora oggi non si è riusciti a dare una
soluzione dignitosa. Essa è stata trascurata e bistrattata fin dai programmi provvisori
del 1945, nei quali l'educazione fisica veniva vista come strumento di altre forme
educative quali l'educazione morale e civile. Si trattava di sudditanza, che veniva
continuamente ribadita ed accentuata con proposizioni come queste: "L'educazione
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fisica è stata considerata uno degli aspetti e modi di educazione morale e quindi
compresa in questo insegnamento. Il corpo che noi vogliamo irrobustire, rendere agile
e pronto, è sempre uno strumento dell'animo. La forza fisica deve essere posta al
servizio di una volontà diretta ad operare secondo le leggi morali"(6).
I contenuti dell'attività educativa indicati nei programmi erano molto generici, e
proponevano lo svolgimento di esercizi e giochi, lasciando all'insegnante ed agli stessi
alunni la massima possibilità di scelta. Ad esempio, si affermava che le attività
dovevano essere proporzionate alla forza fisica degli scolari ed adeguate alle
possibilità del luogo. Veniva in pratica posto un problema relativo all'esistenza o meno
di strutture scolastiche idonee, e l'unico parametro preso in considerazione per stabilire
la validità dell'esercizio, del gioco o dell'attività pre-sportiva era quello della resistenza
del fanciullo alla fatica: una valutazione superficiale, a ben vedere, che prescindeva da
tutte le condizioni di carattere organico e funzionale che dovrebbero essere considerate
nel valutare l'idoneità di certe attività in rapporto al processo di maturazione biologico
e psicologico dell'alunno della scuola elementare. Per il primo ciclo, comprendente le
prime tre classi, si menzionavano, ad esempio, "facili giochi ed esercizi diretti a
sveltire e correggere i movimenti"(7), esercizi di respirazione, e tre tipi di attività che
corrispondono ad altrettanti schemi motori: marciare - cioè camminare secondo un
ritmo - correre e saltare.
Il secondo ciclo (classi quarta e quinta) prevedeva "giochi più complessi di quelli
praticati nelle classi precedenti, e giochi sportivi"(8), senza fornire indicazioni ulteriori
su quali fossero i giochi più adatti a questa età. Erano poi previsti, per entrambi i cicli,
passeggiate ed escursioni all'aperto.
L'eccessiva genericità dei programmi del 1945 indusse il Ministero a formularne di
nuovi e più specifici. Col D. L. C. P. S. n. 383, dell'8 novembre 1946, furono
approvati i programmi di insegnamento dell'educazione fisica per gli alunni delle
scuole elementari (e secondarie). I contenuti si orientavano in tre direzioni particolari:
ginnastica metodica e preventivo-correttiva, giochi, ginnastica tra i banchi. Vennero
stabilite due lezioni settimanali di trenta minuti ciascuna per le prime tre classi, e
70
quattro lezioni - sempre a settimana e della medesima durata - per la quarta e la quinta.
Anche questi programmi non costituirono un avanzamento rispetto a quelli dell'anno
precedente, risultando sempre troppo generici e lacunosi. I maestri poi ci misero del
loro per disattendere all'insegnamento dell'educazione fisica: ciò avvenne soprattutto
nell'immediato dopoguerra, per una sorta di paura di apparire nostalgici nei confronti
del passato regime. Essi erano ulteriormente giustificati dal fatto di disporre
unicamente di una cultura dell'educazione fisica che aveva alimentato la loro
formazione professionale nei due decenni precedenti, né erano in grado di realizzare
una vera e propria riconversione culturale sulla base delle linee quanto mai generiche
che emergevano dai nuovi programmi ministeriali. Diverse circolari ministeriali di
quegli anni lamentavano come in moltissime scuole gli alunni delle elementari non
ricevessero l'insegnamento dell'educazione fisica; un insegnamento che, se non era
stato del tutto trascurato, non aveva avuto lo sviluppo necessario.
Il D. P. R. 19 giugno 1955, n. 530, dava alla scuola elementare dei nuovi programmi,
destinati a rimanere in vigore per quasi trent'anni. Chi si fosse aspettato miglioramenti
ed un maggiore spazio dedicato all'attività fisica e sportiva sarebbe rimasto presto
deluso: non v'era l'ombra di un rinnovamento rispetto alle disposizioni
precedentemente in vigore. Il programma di educazione motoria riferito alla prima e
alla seconda elementare si commenta da sé: "In ogni giornata scolastica trovino
adeguato ed opportuno posto, possibilmente all'aperto, giochi ed esercizi che, mentre
giovino ai fini dell'educazione alla socievolezza, valgano a sveltire e a correggere i
movimenti e consentano agli alunni di esprimersi gioiosamente in canti e ritmi rivolti
all'armonico sviluppo delle attitudini fisiche e morali"(9). I contenuti, dunque,
rimanevano quelli dei giochi e degli esercizi già indicati nel programma del 1945.
Le carenze dell'insegnamento dell'educazione fisica nella scuola elementare hanno
continuato a manifestarsi fino agli anni '70, quando un contributo al risveglio
dell'interesse sull'argomento venne dato dalla pubblicistica pedagogica, psicologica e
didattica francese, ampiamente tradotta in Italia. Fu ancora il CONI a sollecitare un
maggiore approfondimento culturale e didattico e un più profondo impegno nella
71
pratica educativa in questo settore. Questa attività di sensibilizzazione sfociò nelle
disposizioni contenute nella circolare n. 2, del 3 gennaio 1974 (ministro Malfatti): il
documento evidenziava la rilevanza della richiesta sociale di educazione fisica in quel
tempo, caratterizzato dai fenomeni dell'inurbamento e dello sviluppo tecnologico. Esso
affermava la necessità che la scuola elementare realizzasse, anche nell'attività motoria,
una sorta di continuum educativo con la scuola materna (in cui gli Orientamenti
insistevano prevalentemente sul "gioco") e la scuola media. Sulla scorta degli indirizzi
di tale circolare veniva attuato, fra l'altro, un piano di collaborazione fra ministero
della P. I. e CONI per l'aggiornamento dei docenti nelle scuole elementari e per
sperimentare nuove forme di attività ludica-presportiva.
Un'altra circolare ministeriale, la n. 104, del 16 aprile 1975, forniva "Indicazioni
orientative per lo svolgimento delle attività di educazione fisica nella scuola
elementare"(10). Tali indicazioni dovevano costituire uno spunto di riflessione per i
docenti, ed un possibile argomento di discussione dei Collegi dei docenti nella
programmazione dell'azione educativa, ai sensi dell'art. 4, lettera a), del D. P. R. 31
maggio 1974, n. 416.
Un particolare impegno nei confronti della scuola elementare deriverà anche dal
protocollo d'intesa del 1980 tra ministero della Pubblica Istruzione e CONI, in
particolare circa le iniziative volte alla qualificazione degli insegnanti elementari.
I nuovi programmi per questo ordine di scuole sono stati emanati con D. P. R. 12
febbraio 1985, n.104. Essi sono entrati in vigore nelle classi prime dell'anno scolastico
1987-1988 e nelle classi successive negli anni scolastici seguenti, per la necessità di un
graduale processo preparatorio, completato nell'anno scolastico 1991-1992. A parte
alcuni riferimenti a favore delle attività motorie e di gioco-sport, anche in essi non v'è
alcun cenno all'attività sportiva.
3.5.2 LA SCUOLA MEDIA
72
Se la situazione dello sport nella scuola elementare può definirsi assai carente, le
cose non vanno molto meglio per la scuola media, soprattutto per quella inferiore. I
primi programmi post-bellici provvisori di educazione fisica furono emanati con D. L.
C. P. S. 8 novembre 1946, n.383, in un momento in cui l'intero ordinamento della
materia era in fase di assestamento. Ancora non erano stati risolti i problemi relativi al
reinserimento dell'E. F. nell'apparato scolastico, una volta chiusa la lunga parentesi che
dal 1923 aveva portato tale disciplina fuori dalla scuola, affidandola dapprima all'Ente
nazionale per l'educazione fisica, poi all'Opera nazionale balilla, infine alla Gioventù
italiana littorio. L'urgenza di avere dei programmi, e la contemporanea incapacità di
liberarsi da molti vincoli del passato, furono la causa di una loro caratterizzazione
particolare ed anacronistica. Nella premessa, il compilatore segnala la loro
provvisorietà, passando poi ad una critica dei contenuti, delle finalità e delle
metodologie dell'educazione fisica del passato, auspicando un recupero della
dimensione fisiologica della materia e un ritorno alla originaria natura
dell'insegnamento. Contrariamente ai propositi della premessa, i programmi si
sostanziavano poi in una dettagliata e minuziosa serie di esercizi ricalcati, senza nulla
di nuovo aggiungere, su quelli presenti in passato.
Essi furono rinnovati con D. P. R. 25 luglio 1952, n. 1226, ("Programmi di
insegnamento di educazione fisica per le scuole di ogni ordine e grado della
Repubblica", elementari escluse); neppure questi apportarono sostanziali innovazioni.
Si operò la distinzione fra attività da svolgere nel triennio (medie inferiori) e quelle
degli anni successivi, ma per il resto si ritrovava la sequela dei rigidi esercizi del 1946.
Brevi accenni vennero fatti alla dimensione sportiva: si individuarono due categorie di
attività - atletica e giochi - con una netta differenziazione di impegno fra maschi e
femmine. Tali programmi, rigidi e vincolanti, nati già obsoleti e superati, rimasero in
vigore, per la scuola secondaria di secondo grado, fino all'anno scolastico 1983-84,
quando vennero sostituiti da quelli emanati, dopo un lunghissimo iter, con D. P. R. 1
ottobre 1982, n.908.
73
La legge 31 dicembre 1962, n. 1859, sancì la trasformazione dell'ordinamento
dell'istruzione secondaria di primo grado, rinnovando la scuola media e dotandola di
un'originale impostazione didattica ed educativa. Si attuò così l'articolo 34, comma
2, della Carta costituzionale, che dice: "L'istruzione inferiore, impartita per almeno
otto anni, è obbligatoria e gratuita". Il risultato fu una scuola ottennale obbligatoria,
che voleva rispondere al principio di elevare il livello di istruzione e di educazione
personale di ciascun cittadino, e quello di tutto il popolo italiano.
I programmi della scuola media vennero emanati dal ministro Gui con D. M. 24
aprile 1963 (Orari e programmi d'insegnamento della scuola media statale). Riguardo
l'educazione fisica, il programma era finalizzato allo sviluppo armonico del corpo e
delle funzioni vitali, anche in vista di un migliore adattamento sociale. Questo
insegnamento non andava visto come semplice sfogo di energia fisica a
compensazione dell'attività sedentaria, ma anche come mezzo educativo, del fisico e
del comportamento. Erano previsti esercizi di preatletica generale, che preludessero
alle esercitazioni di atletica leggera vera e propria. Al fine di educare lo spirito di
emulazione, ed un leale comportamento agonistico, potevano essere organizzate
piccole gare e semplici competizioni. Come visto in precedenza, l'attività sportiva tout
court sfociava nelle manifestazioni dei gruppi sportivi e dei Giochi della Gioventù.
A seguito della L. 16 giugno 1977, n.348, che modificò alcune norme della l. 31
dicembre 1962, n.1859, sulla istituzione e l'ordinamento della scuola media statale,
con il D. M. 9 febbraio 1979 vennero formulati nuovi programmi d'insegnamento nella
scuola media inferiore, in sostituzione di quelli del 1963. Nel 1978 l'allora ministro
Malfatti nominò una folta commissione con l'incarico di elaborare e proporre un nuovo
testo. Questa commissione lavorò diversi mesi senza mai trovare un'intesa fra i suoi
membri in nessuna delle varie aree disciplinari, educazione fisica compresa, che
purtroppo dovette rinunciare alla dicitura completa, con l'auspicabile aggiunta di un "e
sportiva". L'innovazione più importante, ma nello stesso tempo la più discussa, stava
comunque nell'aver inserito nel programma l' "avviamento alla pratica sportiva".
L'educazione fisica veniva intesa quale componente di un'educazione unitaria, e gli
74
obiettivi e le indicazioni programmatiche erano profondamente innovative. Veniva
così previsto l'avviamento allo sport (che si inseriva con armonia nel contesto
dell'azione educativa), allo scopo di contribuire alla formazione della personalità degli
alunni e di porre le basi per una consuetudine di sport attivo. Con il rispetto, che si
deve sempre pretendere, delle regole del gioco, si tendeva ad una consuetudine di
lealtà e di civiltà che doveva andare oltre l'ambito delle ore di lezione. Gli sport e i
giochi di squadra dovevano, inoltre, mirare a introdurre e consolidare abitudini di
collaborazione reciproca. L'avviamento allo sport comportava naturalmente forme di
competizione fra gli alunni. Ciò induceva a chiarire che l'agonismo, inteso come il
dare il meglio di se stessi nel confronto con gli altri, rientrava nella logica
dell'educazione, e perciò della scuola.
L'agonismo, tema spesso dibattuto e sovente demonizzato anche per mascherare
posizioni di comodo o volontà di disimpegno da parte degli insegnanti, non è - in sé -
un valore negativo. Esso fa parte della natura stessa dell'essere umano e rappresenta
una forza interiore che può manifestarsi attraverso forme di comportamento positive o
negative a seconda di come siamo stati abituati ed educati a dominarle e dirigerle.
Compito della scuola era anche quello di far comprendere agli studenti che la spinta
agonistica deve svolgersi nel senso della ricerca metodica del miglioramento delle
proprie qualità ed abilità, e che la vittoria o la sconfitta sul campo di gara devono
essere soprattutto occasione di riflessione sul rapporto esistente tra qualità e quantità
del lavoro svolto e risultato ottenuto.
Per quanto concerne l'esame di licenza media, l'art.3 della citata legge n. 348 del 16
giugno 1977 sopprimeva la prova pratica di educazione fisica (prevista invece nei
programmi del 1963), inserendo la materia nell'ambito del colloquio pluridisciplinare.
3.6 I CENTRI OLIMPIA
Fra le varie formule possibili attraverso cui realizzare la promozione sportiva dei
giovanissimi, agli inizi degli anni '70 prese piede quella denominata "Centri Olimpia".
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In quegli anni il CONI, insieme ai Giochi della Gioventù, lanciò la proposta dei centri
Olimpia, da realizzarsi da parte delle associazioni e istituzioni interessate, con il
sostegno organizzativo e finanziario del Comitato stesso. Mediante questa proposta, il
massimo organismo sportivo nazionale cercò di riunire gli sforzi di più componenti
(Enti di promozione sportiva quali C.S.I., U.I.S.P., A.C.L.I.; Federazioni sportive; il
CONI stesso) al fine di sviluppare un'azione ad ampio raggio, più produttiva e meglio
garantita sotto l'aspetto programmatico e metodologico. Il primo invito a promuovere e
coordinare unitariamente l'attività dei centri Olimpia fu rivolto agli enti di promozione
sportiva, tradizionalmente impegnati nella diffusione della pratica sportiva per tutti, a
fianco ed in collaborazione col CONI stesso e le federazioni sportive nazionali. In un
secondo momento furono invitati a partecipare all'impegno anche la scuola e gli enti
locali.
L'esperienza dei centri Olimpia ha prodotto importanti risultati sul piano
promozionale, facendo moltiplicare in tutta Italia il numero dei centri e dei
giovanissimi avviati allo sport, ed è stata molto significativa sul piano sportivo, sociale
e politico perché ha cercato di stimolare lo spirito di collaborazione e corresponsabilità
tra forze diverse, favorendo il costante progresso tecnico e metodologico attraverso la
ricerca e le sperimentazione, i sussidi tecnico-didattici e la formazione degli operatori.
Finalità precipua dei centri Olimpia è quella di contribuire alla formazione umana e
sociale dei giovanissimi, impegnandosi per il loro sano ed armonico sviluppo
psicofisico mediante attività motorie e sportive ludiche e polivalenti. I centri sono
riservati ai ragazzi di ambo i sessi dai 5 ai 14 anni, e interessano pertanto tutto il ciclo
della scuola dell'obbligo. Viene praticata una suddivisione in fasce di età, secondo le
indicazioni della pedagogia moderna: la prima va dai 5 ai 7 anni, e si conclude con il
primo ciclo della scuola elementare; qui l'accento è posto esclusivamente sul gioco. La
seconda comprende il secondo ciclo della scuola elementare e va dagli 8 ai 10 anni; le
attività, sempre essenzialmente ludiche, si fanno più complesse ed impegnative e
comprendono anche i giochi presportivi. L'ultima fascia riguarda gli alunni dagli 11 ai
14 anni, coincidendo quindi col triennio delle scuole medie inferiori; viene assunta una
76
caratterizzazione più dichiaratamente sportiva, ma sempre orientata a diverse
discipline, evitando ogni forma di specializzazione precoce. Solo nell'ultima fase del
ciclo si potranno orientare i ragazzi verso la pratica di una specifica disciplina sportiva,
tenendo conto delle tendenze e delle attitudini di ciascuno. Nel periodo conclusivo di
ciascun ciclo gli alunni parteciperanno ai Giochi della Gioventù, avendo così
l'occasione ideale per esprimere le capacità maturate attraverso una corretta
preparazione.
I criteri fondamentali ai quali si ispirano i centri sono:
- "formazione fisica di base, attraverso una attività motoria globale,
centrata sugli schemi motori fondamentali;
- polivalenza, cioè perseguimento delle finalità motorio-sportive attraverso
attività che contengano i gesti basilari di più sport e attraverso tecniche espressive di
varia natura, anche a carattere interdisciplinare, che offrano ai ragazzi ampie e
concrete possibilità di sviluppo culturale e di partecipazione;
- polisportività, cioè graduale iniziazione a varie discipline
contemporaneamente, allo scopo di arricchire il patrimonio motorio-sportivo degli
allievi, consentendo ad ognuno di orientarsi e di scegliere autonomamente e
criticamente la futura attività sportiva specifica;
- non selezione degli allievi, a prescindere cioè dalle loro caratteristiche
psico-fisiche o dalle loro doti tecnico-agonistiche;
- autosufficienza economica e non perseguimento di scopo di lucro, quindi
mantenimento delle quote a livelli popolari, tenendo anche conto delle zone
geografiche e dell'ambiente sociale in cui i Centri sorgono"(11).
Mentre i centri Olimpia si pongono come obiettivo prioritario lo sviluppo completo e
armonico delle qualità psicofisiche dei soggetti, i Centri CONI di Avviamento allo
sport si prefiggono più espressamente l'avvio all'attività agonistica, attraverso una
preparazione fisica generale di base cui fa seguito un addestramento tecnico specifico.
Essi sono stati istituiti dal Consiglio Nazionale del CONI il 4 aprile 1978, in concerto
77
con le federazioni sportive nazionali e con le società ad esse affiliate. Questi, però, non
hanno mai intessuto rapporti ufficiali con il mondo della scuola.
3.7. IL CONCORSO ESERCITO-SCUOLA
Una manifestazione creata, alla metà degli anni '70, in collaborazione tra lo Stato
Maggiore dell'Esercito e la Federazione italiana di atletica leggera, d'intesa con il
ministero della Pubblica Istruzione, è il "Concorso Esercito-Scuola": esso ha inteso
offrire agli studenti della scuola media le condizioni ideali per la partecipazione a gare
di corsa campestre. Il programma tecnico era differenziato per fasce di età e per
maschi e femmine (si andava dai 1500 ai 4500 metri). Erano previste una fase
provinciale, una regionale ed una finale nazionale. Ufficialmente il concorso non ha
mai cessato di esistere, ma, di fatto, i cambiamenti strutturali che stanno interessando
l'Esercito Italiano, hanno interrotto lo svolgimento della manifestazione.
NOTE AL TERZO CAPITOLO
(1) Camera dei Deputati - Segretariato generale, Situazione e prospettive dello sport in
Italia - Indagine conoscitiva della II commissione permanente (Affari interni), Servizio commissioni
parlamentari, Roma 1973, pp. 243-244.
(2) Ivi, pag. 246.
(3) D. P. R. 31 maggio 1974, n. 416, artt. 6 e 12.
(4) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit., pag.
43.
(5) C. M. 19 ottobre 1984, n.310.
(6) Studi e documenti degli Annali della pubblica istruzione, n°25, L'educazione fisica e lo
sport nella scuola, Roma 1983, pp. 23-24.
(7) Ivi, pag. 25.
(8) Ivi, pag. 25.
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(9) Ivi, pp. 29-30.
(10) C. M. 16 aprile 1975, n. 104.
(11) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit., pag.
304.
79
CAPITOLO QUARTO:
"ALLA RICERCA DI UN'IMPROBABILE INTESA".
4.1 IL PRIMO PROTOCOLLO D'INTESA
La nuova formula dei Giochi della Gioventù diede risultati confortanti dal punto di
vista della partecipazione e fece nascere nel mondo sportivo il desiderio di definire e
formalizzare una nuova e più ampia intesa con la scuola. Nel 1979 i vertici del CONI
presero contatti col ministro della P. I. in carica, on. Pedini, proponendo uno schema di
Protocollo d'intesa che, però, non giunse in porto per le sopravvenute dimissioni del
governo. Un successivo tentativo venne fatto con l'on. Spadolini, nuovo ministro, ma
anche questo governo dovette abdicare dopo soli cinque mesi. Finalmente si giunse a
qualcosa di concreto con il ministro Valitutti, succeduto a sua volta all'on. Spadolini.
Nel mondo della scuola le notizie trapelate avevano fatto sorgere la preoccupazione
che la nuova, eventuale intesa avrebbe potuto accrescere eccessivamente l'influenza
del CONI negli affari dello sport scolastico. Il nuovo ministro volle quindi che i
termini dell'accordo venissero redatti sulla base di apposito parere del Consiglio
nazionale della pubblica istruzione, garante naturale e custode dell'autonomia della
scuola e della sua funzione educante. Il parere venne reso nel gennaio del 1980, e il 4
febbraio dello stesso anno, il ministro Valitutti ed il presidente del CONI, Carraro,
posero le loro firme in calce al protocollo. Il documento comportava un'autentica
svolta nella collaborazione fra il massimo organismo sportivo italiano e la scuola: una
collaborazione iniziata nel 1950 e vissuta, come abbiamo avuto modo di vedere in
precedenza, fra alti e bassi, fra momenti di intenso feeling ed altri in cui spesso
l'organismo scolastico (non senza ragione) lamentava un'ingerenza troppo
ingombrante da parte del CONI nella propria sfera. Ad ogni modo, si trattava di
documento importante, che ha saputo definire un rapporto tra istituzioni, assicurando
una più stretta e proficua collaborazione in favore dello sviluppo dell'educazione
fisico-sportiva e delle attività sportive scolastiche.
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Due erano le importanti premesse contenute nel protocollo: la prima affermava che
l'accordo di collaborazione faceva salve le funzioni e le competenze proprie delle due
parti; la seconda riconosceva che la soluzione organica dei problemi attinenti allo
sviluppo dello sport nella scuola sarebbe dovuta avvenire con provvedimenti
legislativi, e cioè nella sede politica di valutazione e composizione delle istanze
sociali. I temi definiti di rilevanza prioritaria riguardavano:
1) "lo sviluppo delle attività motorie nella scuola materna ed elementare,
facendo leva soprattutto su iniziative di qualificazione degli insegnanti;
2) lo sviluppo dell'attività sportiva nella scuola secondaria mediante
iniziative che tengano conto nel modo più appropriato: delle finalità educative dello
sport scolastico; dei caratteri dei diversi gradi di scuola; dell'orientamento delle
preferenze degli alunni; dei livelli di preparazione dei docenti; dello stato degli
impianti; della economicità della spesa in relazione ai risultati quantitativi e qualitativi
della partecipazione;
3) l'aggiornamento dei docenti della scuola materna, elementare e
secondaria, mediante iniziative promosse e gestite dal ministero della pubblica
istruzione, con apporti tecnici del mondo sportivo segnatamente nei campi della
medicina sportiva e dell'utilizzazione degli spazi, e con la messa a disposizione di
impianti e servizi;
4) lo sviluppo dei Giochi della Gioventù, orientato al fine di valorizzarne
ulteriormente la funzione di promozione dello sport giovanile;
5) lo svolgimento di studi e ricerche sugli impianti sportivi scolastici,
attinenti particolarmente ai temi della tipologia, delle tecnologie, della gestione e dei
rapporti col territorio;
6) la diffusione nella scuola dei Centri Olimpia e dei Centri di avviamento
allo sport, coi programmi concordati fra le parti;
7) l'approfondimento della ricerca e le iniziative di specializzazione in
materia sportiva, anche attraverso la concessione, da parte del CONI, di contributi
specifici agli ISEF per il finanziamento di progetti determinati e per l'attivazione di
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corsi di specializzazione con indirizzo sportivo, nonché attraverso l'assegnazione di
borse di studio da conferire mediante concorso a diplomati e studenti;
8) la adozione, da parte del ministero, di ogni possibile misura dello sport
italiano, muovendo dalla attenta considerazione delle esigenze dei docenti di
educazione fisica che siano atleti o tecnici di interesse nazionale" (1).
In relazione ai temi anzidetti, il protocollo formulava i principi sui quali si doveva
sviluppare la collaborazione. Affinché quest'ultima producesse i risultati migliori, ogni
anno veniva predisposto un dettagliato programma di interventi nelle aree di comune
interesse. Grazie a quest'intesa, sono state realizzate molteplici iniziative: in particolar
modo vanno evidenziate quelle volte alla qualificazione e all'aggiornamento degli
insegnanti, i corsi di specializzazione dei docenti di educazione fisica in tecniche
sportive, il potenziamento delle attività, ma soprattutto lo sviluppo della pratica
motoria nella scuola elementare e le iniziative di ricerca e sperimentazione.
Il CONI, col suo contributo tecnico e finanziario, ha permesso di avviare e sostenere
iniziative per lo sviluppo dell'educazione fisica e sportiva, in un periodo nel quale, alla
crescente domanda di sport da parte degli alunni e delle famiglie, si opponevano le
note difficoltà della finanza statale.
Anche il Ministero ha cercato di onorare gli impegni assunti nei confronti del mondo
sportivo; ne sono esempi le misure adottate in via amministrativa per agevolare la
partecipazione di numerosi nostri campioni alle Olimpiadi di "Mosca '80" ed ai
successivi campionati mondiali o europei nelle varie specialità sportive, oltre che la
presentazione e il sostegno in Parlamento dell'iniziativa che doveva portare
all'approvazione della L. 13 agosto 1980, n. 464 (Svolgimento di attività sportive degli
insegnanti di educazione fisica atleti o tecnici di livello nazionale). Questa
disposizione normativa prevedeva la possibilità, per il ministero della P. I., di mettere
a disposizione del massimo organismo sportivo nazionale docenti di educazione fisica
per curare la preparazione e la partecipazione ai Giochi olimpici, ai campionati del
mondo ovvero a manifestazioni internazionali ad essi assimilabili.
82
Con D. P. R. 1 ottobre 1982, n.908, vennero emanati i nuovi programmi di
insegnamento dell'educazione fisica negli istituti di istruzione secondaria superiore, nei
licei artistici e negli istituti d'arte. Essi entreranno in vigore a decorrere dall'anno
scolastico 1983-1984, sostituendo quelli di cui al D. P. R. 25 luglio 1952, n.1226,
vigenti quindi da più di trent'anni e ormai largamente superati in quanto davano scarso
rilievo alla pratica delle attività sportive. I nuovi programmi di E.F. intendono
costituire un continuum con l'insegnamento svolto nella scuola media. Sotto l'aspetto
che più ci interessa, gli obiettivi fondamentali che la nuova programmazione auspica
sono la conoscenza e la pratica dello sport, anche in vista dell'acquisizione e del
consolidamento di abitudini permanenti di vita.
Il decennio 1980-1990 non ha riservato alcuna novità dal punto di vista dello sport
nella scuola; dopo la sottoscrizione del protocollo l'attività sportiva continuò sui binari
disegnati in precedenza: Giochi della gioventù per alunni delle scuole elementari e
medie inferiori, Campionati studenteschi per quelli delle superiori. Fiorirono, in questi
anni, per volontà di amministratori locali in concerto con insegnanti di educazione
fisica e capi d'istituto, numerosi meetings di atletica leggera rivolti agli studenti delle
scuole superiori. Un esempio: a Montichiari, provincia di Brescia, dal 1980 al 1996,
nella prima settimana di maggio (spesso come prova generale dei Campionati
studenteschi provinciali di atletica leggera), la locale amministrazione comunale ha
organizzato il "Trofeo S. Pancrazio", intitolato alla memoria del prof. Alessandro
Calvesi (forse il migliore tecnico che l'Italia abbia mai avuto nelle specialità dei 110 e
400 metri ad ostacoli). Si è trattato di una manifestazione sempre molto partecipata
nella quale, sulle quattro vecchie corsie in terra battuta dello stadio "Romeo Menti", si
sono spesso registrati risultati tecnici di tutto rilievo.
Alla Conferenza nazionale della scuola (Roma, 30 gennaio - 3 febbraio 1990), il
presidente del CONI, avv. Arrigo Gattai, tentò un bilancio dei 10 anni di
collaborazione scuola-CONI seguiti al protocollo d'intesa del 1980. Dopo aver esordito
chiarendo che il massimo ente sportivo nazionale si rivolgeva alla scuola non con
l'intento di "sportivizzarla" o per creare dei campioni, ma per sostenerla nella ricerca
83
della propria identità, anche attraverso l'educazione motoria, fisica e sportiva, valutava
positivamente l'esperienza svolta mettendo a fuoco alcuni punti fondamentali:
- "è cresciuto il costume, c'è ora una maggiore cultura del motorio, del
fisico, dello sport. La gente lo chiede, le famiglie lo reclamano, gli educatori ne
sottolineano l'esigenza imprescindibile;
- la Scuola ha colto questa nuova cultura e, rinnovando i programmi
didattici, nelle scuole di ogni ordine e grado, ha dato un posto, un ruolo, un'evidenza a
questa area disciplinare del motorio, del fisico e dello sportivo che fino a pochi anni
prima poteva sembrare impensabile;
- c'è ora nella Scuola una nuova attenzione a questi problemi, e si chiedono
migliori professionalità per gli educatori e la fruizione, e semmai la gestione, di un più
preciso aggiornamento;
- sono cresciuti anche gli impianti sportivi, ma questo settore evidenzia
carenze difficilmente recuperabili e ritardi cronici;
- si nota una notevole disponibilità degli insegnanti ad approfondire i
problemi, ad operare con sempre maggiore coscienza, a sperimentare strade diverse e a
cercare l'innovazione metodologica e didattica;
- si sono visti dirigenti ed operatori scolastici aprirsi e chiedere
collaborazioni, aiuti, contributi di cultura e di esperienza;
- si è notata, anno dopo anno, una migliore collaborazione tra Scuola e
sport, tra gli uomini, gli operatori, che un tempo venivano considerati di sfere diverse,
forse opposte, forse inconciliabili.
Questa collaborazione deve fondarsi, ancora e sempre, sull' «autonomia» in tutti i
sensi della Scuola. Ma noi sappiamo che autonomia non significa, per la Scuola,
chiudersi a riccio, monade senza porte né finestre. Un eventuale concetto di autonomia
che significhi isolamento è contrario a tutti gli indirizzi che la Scuola ha avuto dal
Parlamento ed essa stessa si è data nelle sue realizzazioni dal 1974 ad oggi, dai decreti
delegati in poi. Autonomia è stata allora la capacità di aprirsi al mondo, alle sue realtà,
al territorio, alle culture, alle autonomie, ai gruppi: in una parola, alla società.
84
Autonomia non è dunque autarchia, ma è cogliere e misurarsi, confrontarsi e dialogare,
semmai soffrire e collaborare, scegliere e rimettere tutto in discussione"(2).
4.2 IL FALLIMENTO DI UNO SPORT PER TUTTI
Per iniziativa del ministero del Turismo e Spettacolo (la cui competenza comprende
anche la materia sportiva), in collaborazione col ministero della Pubblica Istruzione e
col CONI, dal 10 al 13 novembre 1982 si tenne a Roma la "Conferenza nazionale dello
sport", al fine di promuovere un momento di riflessione sulla - per certi versi -
contraddittoria realtà dello sport nel nostro Paese. Da molti anni ai vertici delle
graduatorie internazionali relative ai grandi avvenimenti agonistici, l'Italia restava
nelle retrovie, rispetto a tanti altri Paesi ad essa assimilabili per livelli culturali e
sviluppo economico, in quel che concerneva la diffusione della pratica sportiva
amatoriale e la valorizzazione dello sport quale mezzo educativo e quale risorsa per il
miglioramento della qualità di vita. L'intento della Conferenza era quello di studiare
gli strumenti idonei a consentire, da una parte, il mantenimento delle posizioni di
vertice raggiunte dallo sport nazionale nelle manifestazioni internazionali, e a
realizzare dall'altra le condizioni per lo sviluppo di uno sport alla portata di tutti. Una
commissione ad hoc venne creata per affrontare il tema dello sport nella scuola.
Pressoché unanime fu la convinzione che un autentico processo di sviluppo dello sport
poteva attuarsi solamente col concorso insostituibile della scuola, sia perché essa era
l'istituzione attraverso la quale, per almeno otto anni, transitava la generalità dei
giovani, sia perché poteva, meglio di chiunque altro ente, individuare le potenzialità
formative dello sport. L'attenzione posta sul ruolo della scuola mise in evidenza la sua
complessa realtà, ivi comprese le debolezze strutturali dell'insegnamento
dell'educazione fisica e sportiva, e le iniziative intraprese per superare lacune che si
trascinavano da decenni.
Le conclusioni della Conferenza nazionale dello sport, tratte dal ministro del
Turismo e Spettacolo, sen. Nicola Signorello, insistevano sul ruolo della scuola: "Alla
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Scuola spetta un ruolo di primaria importanza ai fini della creazione nel Paese di una
vera coscienza sportiva. Istituzionalmente la Scuola, nelle sue finalità generali,
persegue l'obiettivo dell'educazione della persona umana nella sua dimensione
individuale e sociale e, pertanto, nella sua azione complessiva deve inserire
pienamente l'educazione fisico-sportiva che contribuisce allo sviluppo armonico dei
bambini, dei ragazzi e dei giovani. E' ormai da tutti riconosciuta l'urgente necessità
sia della realizzazione effettiva, nelle scuole di ogni ordine e grado, delle attività
motorie e sportive, sia della considerazione di tali attività come parte integrante
dell'educazione, non più relegate in posizione subalterna. Le attività motorie e sportive
nella Scuola, quindi, devono inserirsi armonicamente nel contesto dell'azione
educativa, con lo scopo di contribuire alla formazione e alla maturazione della
personalità degli alunni.
L'attività nella Scuola deve svilupparsi attraverso tre fasi strettamente correlate ma
differenziate nei diversi livelli scolastici in relazione all'età e alla preparazione degli
allievi, dando alla stessa il carattere:
- di attività ludico-motoria e di gioco-sport nella Scuola materna ed
elementare;
- di avviamento alla pratica sportiva nella Scuola media;
- di consolidamento dell'abitudine all'esercizio sportivo e di
assecondamento dell'attitudine alla pratica dei vari sport nella Scuola secondaria
superiore.
Il processo di rinnovamento della Scuola in materia di educazione fisico-sportiva
investe una molteplicità di grosse problematiche che possono trovare soluzioni
attraverso:
- il completamento della riforma dei programmi d'insegnamento, con
particolare attenzione a quello della Scuola elementare;
- nuove forme di organizzazione dell'insegnamento con l'introduzione in
via istituzionale della pratica sportiva;
- riconoscimento di un associazionismo sportivo studentesco;
86
- ristrutturazione degli ISEF intesa ad assicurare agli studi dell'educazione
fisica e lo sport cittadinanza piena nell'ordinamento universitario;
- revisione delle norme sull'edilizia sportiva scolastica congiunta ad un più
profondo impegno per la piena utilizzazione degli impianti stessi anche da parte delle
società sportive e della comunità nel territorio;
- incremento degli impianti sportivi nelle Università e potenziamento
dell'attività sportiva universitaria, sviluppando anche le interrelazioni tra la Scuola e
l'Università nel più ampio contesto della comunità locale.
In questo quadro una funzione essenziale spetta all'Università come sede naturale
della ricerca volta al progresso della scienza in tutti i settori che attengono
all'educazione fisica e allo sport"(3).
Come troppo spesso avviene nel nostro Paese, anche in quell'occasione sopravvenne
una crisi di governo proprio nei giorni della Conferenza. Le difficoltà nelle quali si
trovò il Gabinetto successivo e il conseguente scioglimento anticipato delle Camere
imposero l'ennesima battuta d'arresto alla legittimazione dello sport nella scuola.
4.3 SI TENTA UNA SPERIMENTAZIONE
Nel 1989, il ministero della Pubblica Istruzione ed il CONI stesero un "programma
di interventi" nell'ambito del protocollo d'intesa del 1980. Sottoscritto dal ministro e
dal presidente del CONI il 21 luglio dello stesso anno, esso prevedeva un punto
specifico inerente le attività motorie e sportive destinate agli alunni, nel quale
venivano considerati essenziali la revisione e l'aggiornamento della formula di
partecipazione dei Giochi della gioventù e dei Campionati Studenteschi, con l'intento
di svilupparne ulteriormente gli aspetti educativi, favorendone anche la funzione di
promozione dello sport scolastico. Ciò condusse alla stesura di un "Progetto tecnico
1990" il quale, in attesa del rinnovamento dei programmi che doveva essere deciso
congiuntamente dal CONI e dal ministero della P. I., regolava lo svolgimento di queste
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manifestazioni sportive studentesche. Il documento, ancora una volta, non apportò
tuttavia sostanziali innovazioni al precedente modello.
Sulla scorta del "Programma di interventi", il ministero della P. I. avviò una nuova
"indagine conoscitiva" e nel frattempo richiamò l'attenzione delle autorità scolastiche
sulle finalità dell'attività sportiva scolastica con la C. M. n. 304, del 13 settembre
1989:
"L'attività sportiva scolastica, come è stato più volte ribadito, è parte integrante della
programmazione didattica ed educativa di cui all'art. 4, lett. a), del D. P. R. n. 416 del
31 maggio 1974; in quanto tale essa è tendenzialmente rivolta alla generalità degli
alunni, in piena e logica coerenza rispetto ai programmi curricolari. Sono pertanto
privilegiate quelle attività più facilmente praticabili in ambito scolastico con
particolare riferimento alle strutture disponibili.
Lo sport scolastico ha carattere formativo e promozionale. Esso trova il suo naturale
punto di riferimento nell'attività interna d'Istituto; conseguentemente le fasi selettive di
manifestazioni quali i Giochi e i Campionati rappresentano un momento di sintesi e di
verifica dell'attività di base, ma in nessun caso esse possono assumere carattere
sostitutivo rispetto a questa.
Al di là degli esiti di partecipazione a manifestazioni extrascolastiche, che
costituiscono solo un fatto episodico riservato a pochi tecnicamente più preparati, le
attività di avviamento e di pratica sportiva devono necessariamente avere carattere
continuativo con l'effettivo coinvolgimento degli alunni dall'inizio alla fine dell'anno
scolastico"(4).
Il programma d'interventi contribuì anche ad aprire le porte alla sperimentazione:
grazie ad esso vennero avviate iniziative che consentirono di ampliare le opportunità di
svolgimento di attività motorie e sportive anche in orario extrascolastico. Dall'anno
scolastico 1989-1990 si istituirono in via sperimentale, in ogni provincia, centri
"pilota" di gioco-sport per le scuole elementari, e centri di avviamento alla pratica
sportiva per le scuole medie.
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4.4 QUINDICIMILA FIRME DI PROTESTA GIUNGONO AL
MINISTERO
L'ultimo protocollo d'intesa tra ministero della P.I. e Comitato olimpico doveva,
negli intendimenti dei contraenti, rilanciare completamente lo sport scolastico. Dopo
decenni in cui esso era stato il grande assente della scuola italiana, nuove prospettive
sono state aperte con l'introduzione del principio dell'autonomia, che consente ad ogni
istituto di sviluppare propri programmi, ed anche, ai fini della loro realizzazione, di
appoggiarsi alle realtà associative presenti sul territorio.
Annunciato per il 24 gennaio 1997 e poi rinviato a data da destinarsi, esso venne
firmato il 12 marzo dello stesso anno. Per dare il massimo risalto a questo protocollo,
contrariamente al passato, esso non venne sottoscritto solamente dal ministro della
P.I., Berlinguer e dal presidente nazionale del CONI, Pescante, ma vi fu il suggello
della stessa presidenza del Consiglio. Infatti il vice presidente del Consiglio con delega
alla vigilanza sullo sport, on. Veltroni, siglò insieme al ministro e al presidente del
CONI questo nuovo documento.
La principale finalità del protocollo era di incrementare, in ambito scolastico, lo
svolgimento di attività motorie e sportive attraverso un percorso di carattere educativo,
e prestando (una necessaria novità, questa) particolare attenzione agli alunni disabili .
Si voleva - inoltre - intervenire sull'annoso problema dell'aggiornamento dei docenti,
da troppi, ormai, sentito come non più rinviabile. Si cercava, ancora, la collaborazione
degli enti e degli organismi che a vario titolo operavano nel mondo dello sport: questo
in uno spirito di apertura al territorio, in vista della attivazione dei Servizi scolastici di
tipo sportivo che la scuola, nel pieno esercizio dell'autonomia, voleva realizzare in
riferimento al D. P. R. n. 567/1996, il quale disciplinava le iniziative complementari e
integrative oggetto di una direttiva, a sua volta individuante l'esigenza di strutturare
per la scuola percorsi formativi idonei al cambiamento storico sociale (5).
Il protocollo, in realtà, poco o niente stabiliva, rinviando linee generali e dettagli
applicativi ad un progetto nazionale di attività motorie, fisiche e sportive, da elaborarsi
89
a cura di un'apposita commissione paritetica scuola-CONI. Questa commissione,
menzionata dal punto "C" del protocollo, era composta da tre componenti per parte e
presieduta dal sottosegretario di Stato competente per delega. La commissione doveva
effettuare, inoltre, almeno con cadenza biennale, la verifica e la valutazione delle
iniziative adottate e degli eventuali interventi integrativi da realizzare.
La circolare 31 luglio 1997, n. 466 "Linee attuative del Protocollo d'intesa M.P.I.-
C.O.N.I.: Progetto «Sport a Scuola»", doveva rendere operativo il protocollo attraverso
un progetto, denominato appunto "Sport a Scuola", elaborato dalla commissione mista
paritetica.
Tale progetto era composto da cinque parti:
A. "quadro di riferimento: definizione delle linee di intervento per la
promozione dello sport, con il coinvolgimento di tutti gli alunni e la diffusione della
cultura motoria, fisica e sportiva nella scuola;
B. Piano annuale MPI-CONI;
C. «Giochi sportivi studenteschi»: definizione di un nuovo modello dei
Giochi della gioventù e dei Campionati studenteschi;
D. sostegno all'associazionismo sportivo scolastico;
E. Comitato misto MPI-CONI"(6).
In particolare, il punto "B" del progetto, dopo aver previsto lo svolgimento di
iniziative che prevedevano la partecipazione di tutti gli allievi nelle ore curricolari,
disponeva in merito alle attività sportive vere e proprie, da svolgersi in orario
extracurricolare secondo le seguenti caratteristiche:
- "valenza educativa;
- coinvolgimento di tutti gli alunni che ne facciano richiesta;
- realizzazione delle attività da parte dei docenti di educazione fisica, della
stessa o di altre scuole;
- compatibilità tra progetto e fattibilità relativa all'impiantistica sportiva ed
alle risorse tecniche disponibili;
- diffusione di materiale tecnico ed informativo;
90
- impegno sul territorio nazionale per la formazione di tecnici, giudici ed
arbitri individuati nell'ambito dei docenti, degli studenti e dei genitori"(7).
La circolare proseguiva autorizzando le scuole ad organizzare iniziative coerenti col
progetto, qualora esse non avessero aderito a quelle previste dal piano annuale, nel
pieno rispetto delle propria autonomia.
Molti, fin dall'inizio, furono i dubbi che si insinuarono fra gli addetti ai lavori: si
temeva che anche questa volta le scelte di fondo privilegiassero il mondo sportivo, a
scapito di quello scolastico-educativo. Il rischio era che si anteponesse la ricerca dei
campioni del domani ad una attività per tutti, che doveva essere invece il fine precipuo
della scuola.
Nel protocollo venne inserito un passaggio in cui si affermava che il CONI avrebbe
fornito operatori che - in particolar modo nella scuola elementare - affiancassero i
maestri durante le ore di insegnamento della pratica ludico-motoria. In realtà frasi di
questo genere erano già presenti in altre precedenti intese; ma una serie di spiegazioni
poco esaurienti e per nulla chiare, a cui diedero ampia eco gli organi di stampa
specializzata, fecero insorgere l'intera categoria degli insegnanti di educazione fisica,
e almeno 15.000 firme di protesta raggiunsero la presidenza del Consiglio, la
presidenza del CONI e soprattutto il ministero della Pubblica Istruzione. Partì un
boicottaggio immediato e assoluto dell'attività sportiva perché si sosteneva - da parte
degli insegnanti di E. F. - che non era possibile che un "esterno" senza alcun titolo
specifico potesse inserirsi di diritto nella scuola, elargendo prestazioni professionali,
soprattutto verso gli alunni della scuola elementare, che necessitano di insegnanti
attenti e con una preparazione specifica.
Peraltro, in alcune regioni a statuto speciale e in qualche provincia questa
disposizione era stata accolta, creando di conseguenza uno scontro che si concluse
comunque con la totale disapplicazione del protocollo.
In esso, al punto "D", era inoltre detto che organismi analoghi alla commissione
paritetica citata sarebbero stati istituiti in ogni provveditorato, con compiti di raccordo
tra le due istituzioni, di programmazione, di indirizzo, impulso e sostegno al progetto
91
nazionale ed a quelli rispondenti alle esigenze locali. I presidenti provinciali del CONI
avrebbero poi a loro volta provveduto ad inserire, nelle giunte provinciali del massimo
organismo sportivo, il coordinatore di educazione fisica del rispettivo provveditorato:
ma ciò non accadde. Come detto, si parlò anche di aggiornamenti, di collaborazione
con le diverse federazioni, ma pure questo rimase lettera morta.
In realtà, oltre alla protesta dei docenti vi fu, come elemento determinante del
fallimento del protocollo, la crisi economica che il Comitato olimpico stava subendo.
Il calo delle entrate del Totocalcio, la fine del concorso "Enalotto" dal quale nacque
poi il "Superenalotto", inizialmente gestito dal CONI, che poi non lo ritenne
economicamente utile e quindi lo abbandonò, portarono ad una decisa tensione tra il
ministero della P.I. ed il massimo organismo sportivo nazionale, al punto che nel
gennaio del 1999 il CONI comunicava al ministero della P.I. che non avrebbe più
provveduto ad alcuna collaborazione economica nei confronti delle finali nazionali
studentesche. Ed infatti le edizioni dei giochi sportivi studenteschi di Gubbio e Massa-
Carrara del 1999, e quelle di Brescia e Cagliari del 2000 vennero organizzate e
disputate con il totale carico di spesa del ministero della P.I.
In verità non si trattò di spese gravosissime, perché in entrambi i casi le finali
nazionali ebbero un costo di circa due miliardi (comprensivi di sport individuali e
sport di squadra), contro i preventivi delle edizioni precedenti che andavano dai sette
ai diciassette miliardi.
A quel punto nacquero però una serie di accordi, che si ispiravano per grandi linee al
documento sottoscritto dal ministro Berlinguer e dal presidente Pescante, e che non
consideravano più il Comitato olimpico al centro dell'universo sportivo, e quindi quale
unico referente nei rapporti con la scuola: essi furono veri e propri protocolli d'intesa
fra il mondo scolastico e le singole federazioni sportive nazionali. L'ispettorato di E. F.
creò una sorta di protocollo standard, che venne poi sottoscritto da non meno di una
trentina di associazioni. Ma è ovvio che quando i protocolli d'intesa vengono duplicati
quasi in fotocopia, cambiando solo la sigla della federazione contraente, non possono
risultare attenti e scrupolosi nel determinare i termini dell'accordo.
92
In sostanza oggi l'intesa tra il mondo sportivo e il Comitato olimpico è di un livello
estremamente basso. Essa si concretizza soltanto in una generica collaborazione
attraverso il "Campus", una sorta di raduno annuale, per pochi giorni, dei migliori
talenti scolastici che intendano misurarsi con i coetanei di altre regioni, mentre la
gestione dei campionati nazionali in termini di finali e di fasi provinciali comprese
sono quasi esclusivamente a carico dei provveditorati agli studi, i quali - peraltro -
nell'ultimo anno, si sono visti ridurre di almeno il 60% il potere di spesa rispetto a
quello precedente.
NOTE AL CAPITOLO QUARTO
(1) Riportata in: Studi e documenti degli Annali della pubblica istruzione, n°25,
L'educazione fisica e lo sport nella scuola, Roma 1983, pp.181-182.
(2) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit., pp.
57-58.
(3) Atti della Conferenza Nazionale dello Sport, (Roma 10-13 novembre 1982), Roma
1982, vol. I, pp.135-136.
(4) C. M. 13 settembre 1989, n.304.
(5) Direttiva 3 aprile 1996, n. 113, Gestione locali studenti per iniziative complementari e
integrative.
(6) C. M. 31 luglio 1997, n.466, Linee attuative del Protocollo d'intesa MPI-CONI:
progetto sport a scuola.
(7) Ivi.
93
CAPITOLO QUINTO:
"FINISCE UN SECOLO E LA SITUAZIONE E' ANCORA APERTA".
5.1 L'ASSOCIAZIONISMO SPORTIVO SCOLASTICO
5.1.1 UN FALLIMENTO CHE NON SORPRENDE
Nel 1982, durante i lavori della già menzionata Conferenza nazionale dello sport, si
ebbero i primi accenni all'Associazionismo sportivo scolastico. In quella sede il CONI
richiamò una risoluzione del Consiglio d'Europa del 24 settembre 1966, relativa
all'educazione fisica, allo sport e alle attività svolte in ambiente naturale, nella quale
veniva sottolineata l'importanza che i giovani potessero dare libero corso al proprio
spirito d'iniziativa, assumendosi delle responsabilità nell'ambito dell'organizzazione
delle attività svolte in seno ai loro gruppi sportivi. Sulla base di tale direttiva, il CONI
propose la costituzione di "Associazioni sportive scolastiche".
Proprio in quei giorni, dopo essere stato approvato dalla Camera dei deputati, era in
esame al Senato il progetto di legge sul nuovo ordinamento della scuola secondaria
superiore. L'articolo 8 del disegno, riguardante l'educazione fisica e la pratica sportiva,
garantiva il diritto degli studenti di associarsi liberamente a tal fine. Ciò diede
un'ulteriore spinta ai rappresentanti del massimo organismo sportivo nazionale verso la
realizzazione di queste nuove realtà: "Il discorso dell'associazionismo sportivo,
autonomo e libero, all'interno delle strutture scolastiche, costituisce un fatto di
particolare rilievo nel momento in cui, per la crisi di disagio sociale che attraversa
profondamente il Paese, una valida trama associativa a livello giovanile la si trova
ancora nel settore dello sport. Unire a questo dato di fatto la forza coesiva della scuola,
congiuntamente al carattere comunque educativo delle sue espressioni, non potrà non
dare risultati positivi per tutta la comunità. Dare la possibilità agli studenti di associarsi
liberamente vuol dire creare per loro una forte e significativa possibilità di educazione
e di autonoma crescita formativa. Vivere in gruppo secondo interessi nati
94
spontaneamente, realizzare le condizioni per un'esperienza autogestita, aggregarsi e
creativamente organizzarsi sono fatti importanti per una scuola che intende affrancarsi
da alcuni schematismi, che tende, in consonanza con la grande riforma del 1974, a far
partecipare tutte le componenti in un progetto educativo vissuto comunitariamente"(1).
Il problema, in sede di Conferenza, fu molto dibattuto; se da una parte vi fu un
riconoscimento generale del diritto all'associazionismo sportivo nella scuola e anche
un riconoscimento dell'importanza del suo significato, dall'altra emersero problemi
relativi ai collegamenti interni alle organizzazioni sorte nelle diverse scuole e al
rapporto con le altre istituzioni sportive, e soprattutto con gli enti di promozione
sportiva.
Il tema venne ovviamente ripreso dal ministro della Pubblica Istruzione, on. Bodrato,
in sede di conclusione della Conferenza:" Un problema di particolare importanza è
quello affrontato dall'art. 8 del disegno di legge sul «nuovo ordinamento della Scuola
secondaria superiore». Questo articolo contiene tre fondamentali indicazioni:
a) l'educazione fisica e sportiva è materia dell' «area comune» e partecipa
quindi alla funzione di formazione generale dei giovani, intesa a dare, con metodo
critico, un inserimento consapevole nella moderna società civile;
b) nelle scuole può costituirsi un associazionismo studentesco, capace di
suscitare un interesse attivo di alunni e docenti, chiamati ad essere protagonisti di
un'attività sportiva, autonoma rispetto alle esigenze federali, ma non separata dal
mondo sportivo e dalla società;
c) la Scuola può stipulare convenzioni con il CONI, gli Enti promozionali e
le istituzioni sportive e gli Enti locali per l'uso di tutti gli impianti esistenti nel
territorio. Si completa, in tal modo, il sistema avviato dalle leggi che hanno aperto gli
impianti sportivi all'uso della Comunità"(2).
Nel prosieguo del proprio intervento il ministro aggiunse:"[…] il punto che nella
Conferenza ha sollevato una importante discussione, è quello relativo al «diritto degli
studenti di associarsi liberamente» per svolgere attività sportive nella Scuola. E'
importante non generare, specie in una fase così delicata per l'iter della riforma,
95
equivoci sul significato di questa norma, di questa iniziativa. Essa afferma che si tratta
di un libero - e sottolineo libero - associarsi di studenti, nella concezione di una Scuola
aperta alla necessaria collaborazione tecnica ed organizzativa con gli Enti locali, con le
associazioni sportive, con il CONI. Non si deve quindi immaginare, o temere, un
processo di burocratizzazione che porterebbe ad un carrozzone ministeriale non
corrispondente alle indicazioni della legge; né si debbono immaginare organizzazioni
che, in diverso modo, si sovrappongono dall'esterno ad una pratica sportiva che si
svolge nell'ambito della Scuola e che si aggiunge al programma di educazione fisica.
Dobbiamo essere infatti preoccupati di garantire da un lato l'autonomia della Scuola - e
di quante, associazioni o federazioni, si potrebbero gradualmente costituire nella
Scuola a questo fine - e dall'altro lato di contrastare ogni tendenza a fare della Scuola
un'istituzione chiusa o totalizzante, che si porrebbe come un'organizzazione sportiva
simile e parallela a quelle esistenti. E' quindi evidente che i termini «associazione» e
«federazione» sono usati in questo caso con un significato particolare e non possono
spingere ad una troppo stretta analogia con i termini di uso corrente nel mondo dello
sport. La pratica sportiva può inoltre diventare un punto di aggregazione comunitaria
tra gli studenti ed un'importante occasione di esperienza associativa; e quindi anche
per questo aspetto emerge la sua rilevanza educativa, la sua particolare caratteristica,
anche per vincere ogni paura di dipendenza passiva a fenomeni gravi che colpiscono i
giovani"(3).
Per l'ennesima volta, le buone intenzioni verranno però vanificate dalla sempre
inaffidabile situazione politica e di governo italiana: la riforma della scuola secondaria
superiore non sarà approvata né in quella né nella successiva legislatura, trascinando
con sé anche il progetto di associazionismo sportivo scolastico.
Pochi anni prima, anche l'UNESCO, nell'ambito della "I Conferenza internazionale
dei ministri e alti funzionari responsabili dell'educazione fisica e dello sport", tenutasi
a Parigi dal 5 al 10 aprile 1976, che trattava quello che doveva essere Il ruolo
dell'educazione fisica e dello sport nella formazione della gioventù nella prospettiva
dell'educazione permanente, aveva richiesto agli stati membri, nella
96
"Raccomandazione N.4", che si incentivasse "lo sviluppo dell'attitudine dei giovani ad
organizzare loro stessi la propria educazione sportiva"(4).
5.1.2 UNA NUOVA SPERIMENTAZIONE
La circolare ministeriale n. 274, del 3 ottobre 1985, stante la non ancora approvata
riforma della scuola secondaria superiore, evidenziava che: "Quanto è più forte la
domanda di attività sportiva da parte degli alunni e quanto più elevata è la
partecipazione alle attività deliberate, tanto più essenziale si rivela la previsione di una
struttura organizzativa interna alla Scuola adeguata a farvi fronte e dotata degli
opportuni requisiti di funzionalità ed efficienza; in tal senso, e in attesa che si
chiariscano gli approdi del dibattito sull'associazionismo scolastico, soluzioni
organizzatorie in via sperimentale, come la costituzione di associazioni sportive
d'Istituto, possono costituire utile momento di esperienza, anche per questo
Ministero"(5).
Questo provvedimento normativo sottolineava l'importanza dello associazionismo
sportivo, autonomo e libero, all'interno delle strutture scolastiche, attribuendogli un
rilievo particolare nel momento in cui, di fronte ad un diffuso malessere giovanile, il
settore dello sport poteva ancora rappresentare una valida trama associativa. C'era la
consapevolezza che unire a questo dato di fatto la forza coesiva della scuola,
congiuntamente al carattere comunque educativo delle sue espressioni, non poteva non
dare risultati positivi per tutta la comunità. Dare la possibilità agli studenti di associarsi
liberamente voleva dire creare per loro una forte e significativa occasione di
educazione e di autonoma crescita formativa. Vivere in gruppo secondo interessi nati
spontaneamente, realizzare le condizioni per un'esperienza autogestita, aggregarsi e
creativamente organizzarsi, erano - e sono - fatti importanti per una scuola che
intendeva liberarsi da impacci burocratici e che voleva, in consonanza con la riforma
apportata dai decreti delegati, far partecipare tutte le componenti ad un progetto
educativo vissuto comunitariamente. In aggiunta a ciò, la suddetta circolare suggeriva,
97
riguardo all'effettivo significato dell'attività sportiva scolastica, che essa doveva:
"avere come momento di riferimento essenziale l'attività di Istituto, alla quale deve
essere rivolta, in maggiore misura rispetto al passato, la massima attenzione degli
operatori scolastici; correlativa a tale esigenza è quella di una continuità d'impegno da
parte dei docenti per l'intero anno scolastico. In tal senso l'attività competitiva e la
partecipazione a manifestazioni quali i Giochi della gioventù, i Campionati
studenteschi o altre iniziative a carattere necessariamente selettivo, dovranno costituire
solo un momento di sintesi e di verifica, per quanto rilevante, delle attività di base
programmate dall'Istituto. Qualora infatti la partecipazione della scuola con le proprie
rappresentative ai Giochi della Gioventù o ai Campionati studenteschi dovesse
comportare una diminuzione d'attenzione da parte degli organi scolastici verso le
attività promozionali, sarebbero vanificati e disattesi proprio gli obiettivi di fondo
dello sport scolastico"(6).
Ma per avere nuovamente notizie - in Italia - dell'associazionismo sportivo
scolastico, bisognò attendere il 1990, quando, con la circolare ministeriale n.184, del 9
luglio, si considerarono "Iniziative di collaborazione scuola-extra scuola in materia di
attività sportiva"(7). Lo spunto venne dato dalle numerose richieste di federazioni
sportive intese a realizzare forme di collaborazione con le istituzioni scolastiche per
una più vasta diffusione della pratica sportiva. Il ministero considerò con favore le
varie occasioni formative che potevano nascere dalle intese con le varie federazioni,
con gli enti di promozione sportiva e con gli enti locali, a patto che "il loro
coinvolgimento sia idoneo ad arricchire il ventaglio delle opzioni possibili per il
conseguimento degli obiettivi educativi, qualora inserito in un quadro di puntuale
programmazione e di attiva integrazione di interventi nel rispetto dei compiti e delle
finalità proprie di ciascuna istituzione"(8).
La circolare richiamava l'intesa col CONI, consacrata nel Protocollo del 1980, e le
linee enunciate dai decreti delegati, ponendosi come naturale evoluzione - in campo
sportivo - di quegli stessi indirizzi, sempre però ritenendo imprescindibili gli obiettivi
98
propri e prioritari della scuola, volti al coinvolgimento della generalità degli studenti,
compresi quelli fisicamente più svantaggiati.
Il proliferare delle richieste di collaborazione impose di effettuare delle scelte, in
base alle offerte ed alla compatibilità. Furono quindi definiti dei limiti, in relazione
all'ordinamento vigente:" Sotto tale profilo appare di tutta evidenza che qualsiasi
iniziativa di collaborazione tra scuola e enti interessati non può non fare rigorosamente
salvi i punti che seguono:
1 La pratica di discipline sportive potrà configurarsi solo come esperienza
originale di svolgimento dei vigenti programmi di insegnamento o trovare spazi utili di
estrinsecazione nell'ambito delle attività integrative eventualmente deliberate. In
nessun caso potrà risolversi, come è persino superfluo rilevare, in un'attività a qualsiasi
titolo sostitutiva dell'insegnamento curricolare;
2 L'eventuale coinvolgimento di esperti sarà istituzionalmente limitato ad
un'opera di consulenza e di supporto per la parte squisitamente tecnica, fermo restando
il diritto-dovere e la responsabilità degli insegnanti nell'assolvimento della funzione
docente;
3 Dovrà essere fatta salva, tranne che in casi eccezionalissimi, da rimettere
alla prudente e attenta valutazione da parte dei competenti organi della Scuola,
l'obbligatorietà della scansione bisettimanale delle lezioni;
4 Qualsiasi iniziativa in materia sarà oggetto di preventiva esplicita
determinazione da parte del collegio dei docenti e costituirà parte integrante - ove se
ne ravvisino i presupposti di merito e di metodo - della programmazione educativa. A
tal fine saranno da evitare forme episodiche, o disorganiche di esperienze di pratica
sportiva che non trovino il necessario raccordo da una parte con quanto deliberato ad
inizio dell'anno nell'ambito della stessa programmazione educativa, dall'altra con gli
obiettivi dei vigenti programmi d'insegnamento"(9).
Il documento considerava anche la necessità di un coordinamento a livello
provinciale che si prendesse cura di modalità, procedure e linee di progettazione; un
coordinamento che coinvolgesse il presidente provinciale del CONI, in virtù del suo
99
ruolo istituzionale di direzione delle iniziative federali periferiche in base agli indirizzi
enunciati dal Comitato olimpico, ed anche gli organi regionali competenti e gli enti
locali interessati per ciò che atteneva alla messa a disposizione degli impianti sportivi,
dei mezzi di trasporto e quant'altro potesse agevolare le iniziative programmate.
Si doveva chiaramente tener conto delle diverse realtà sociali, territoriali ed
ambientali, cercando, sulla scorta di esse, di preferire quelle discipline praticabili in
modo continuativo per l'esistenza di strutture idonee e senza eccessivi aggravi di
tempo o costi aggiuntivi per gli alunni e le loro famiglie. Ove vi fosse inadeguatezza o
carenza di infrastrutture sportive scolastiche, gli enti proprietari potevano mettere a
disposizione i propri impianti, in risposta ad uno spirito di collaborazione.
Fra le varie federazioni che, attraverso il superamento delle dicotomie fra il mondo
sportivo e quello scolastico operato dalla circolare n.184, aderirono alla costituzione di
società sportive scolastiche, ricordiamo la Federazione italiana tamburello, la
Federazione italiana tennis, la Federazione italiana nuoto e la Federazione italiana
sport orientamento, ideatrice - quest'ultima - di un progetto denominato Natura e sport
chiamano scuola, che dal 1995 sta riscuotendo ampi consensi all'interno del mondo
sportivo scolastico.
5.1.3 IL PROTOCOLLO CONTESTATO
Sulla scorta del nuovo Protocollo d'intesa del 1997, la circolare n. 466, del 31 luglio
1997 che doveva attuarlo, prevedeva, al punto quarto del progetto nazionale
denominato "Sport a Scuola", il sostegno all'associazionismo sportivo scolastico: "Al
fine di favorire la pratica sportiva e gli effetti di socializzazione ad essa correlati, in
ogni scuola si possono costituire associazioni sportive scolastiche, alle quali potranno
aderire anche alunni di scuole limitrofe.
Allo scopo di garantire la partecipazione delle diverse componenti del mondo della
scuola agli organismi direttivi dell'Associazione, essi saranno costituiti da:
100
- nelle scuole secondarie di II grado i rappresentanti dei docenti e del
personale ATA, dei comitati degli studenti e dei genitori;
- nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, gli alunni, genitori,
docenti e personale ATA.
Le scuole metteranno a disposizione delle associazioni, quale direttore tecnico, un
docente di educazione fisica con contratto a tempo indeterminato scelto
prioritariamente fra quelli della stessa scuola.
Le associazioni, di cui al 1° comma del presente punto, nel rispetto delle norme
vigenti, di concerto con gli organi collegiali e sulla base di intese con le
amministrazioni locali, si occuperanno della pratica sportiva e dell'orientamento
sportivo degli alunni.
Esse potranno costituire il gruppo sportivo della scuola e proporre ai competenti
organi collegiali l'adozione dei progetti per le attività extra curricolari"(10).
Come abbiamo avuto modo di vedere al capitolo precedente, il Protocollo d'intesa
CONI - ministero della P. I. del 1997 non venne applicato, in seguito alla protesta dei
docenti di educazione fisica. Anche queste indicazioni sull'associazionismo sportivo
scolastico ne seguirono la sorte.
5.1.4 IL MODELLO FRANCESE, L'UNICA STRADA
PERCORRIBILE?
L'associazionismo scolastico, così come viene inteso in alcuni dei Paesi europei
molto più progrediti del nostro - sotto questo punto di vista - per esempio in Francia e
in Germania, è una forma di aggregazione e di organizzazione dello sport studentesco
che non è molto dissimile dai vecchi Gruppi sportivi scolastici diffusi in Italia fino al
1975.
In Francia, per ogni circolo, per ogni distretto, per ogni grosso agglomerato urbano
studentesco, gli studenti hanno diritto ad avere almeno una società sportiva che
101
promuova ed organizzi una delle discipline praticabili sul territorio, coinvolgendo gli
interessati indipendentemente dalla scuola di appartenenza.
Pertanto, mentre in Italia non è possibile (a causa dell'inapplicato Protocollo d'intesa
del 1997) che uno studente del liceo frequenti il gruppo sportivo dell'istituto tecnico o
dell'istituto magistrale, in Francia questo "scambio" studentesco, per quanto riguarda
l'avviamento allo sport, diventa possibile ed è - anzi - la regola. Ciò consente, inoltre,
alle scuole dotate di particolari attrezzature di utilizzarle a tempo pieno, e nello stesso
tempo permette una diffusione sportiva assolutamente capillare.
Il vero "segreto" dell'associazionismo scolastico francese risiede nel fatto che un
pomeriggio alla settimana viene riservato esclusivamente alle manifestazioni sportive:
canonicamente questo giorno dedicato alle competizioni è il mercoledì.
Siano esse gare di atletica leggera, siano manifestazioni di sport di squadra, in
nessuna scuola francese, in questo pomeriggio, si tengono lezioni, per cui qualsiasi
istituto può organizzare, insieme alle altre scuole della zona, l'attività sportiva.
Vi sono tre livelli di associazionismo: il primo si realizza nell'associazionismo di
istituto, o di quartiere: una fase che in Italia potremmo definire come manifestazione di
tipo comunale o distrettuale. Un secondo livello, territorialmente più ampio, viene ad
interessare comprensori di tipo provinciale o regionale: provinciale per le province con
oltre un milione di abitanti, regionale per le regioni meno popolate. Un terzo livello -
infine - opera su scala nazionale.
In pratica ogni istituto, in base alle capacità tecniche dei propri studenti ed in base
anche alle proprie disponibilità economiche, compete con gli altri, attraverso una
formula che prevede promozioni al livello superiore (fino a raggiungere quello
nazionale), o retrocessioni in quello inferiore (col limite della fase di istituto).
Un altro aspetto particolare dell'associazionismo francese è che ogni squadra,
composta da "X" atleti, deve mettere a disposizione un arbitro, un giudice, e degli
addetti che prestino la loro opera durante le manifestazioni. Questo comporta che ogni
istituto si faccia carico anche delle incombenze organizzativo-amministrative della
manifestazione sportiva.
102
Un istituto deve essere in grado di organizzare tutti gli aspetti di tipo burocratico e di
tipo tecnico, venendo così a formare non soltanto dei quadri sportivi, ma anche dei
quadri dirigenti.
Questo dei quadri dirigenti è stato forse - in Italia - l'aspetto più innovativo del
progetto Perseus che ipotizzava, quando venne proposto, nel 1999, la nascita
dell'associazionismo scolastico anche nel nostro Paese.
Perché diversi ministri della Pubblica istruzione hanno trattato l'argomento
dell'associazionismo sportivo scolastico, senza però mai giungere ad un progetto
esauriente tradotto poi in realtà?
La ragione deve principalmente ricercarsi nel fatto che, nonostante la proposta
avanzata alla Conferenza nazionale dello sport del 1982, da parte del Comitato
Olimpico Nazionale Italiano è sempre stata operata una decisa opposizione a questo
nuovo modo di intendere lo sport nella scuola, quasi per timore che alcune discipline,
che hanno praticanti particolarmente giovani (come, ad esempio, la ginnastica
artistica), vedessero calare gli iscritti in seno alle rispettive Federazioni Sportive
Nazionali.
In realtà, quello dell'associazionismo scolastico pare essere l'unico futuro possibile
per lo sport nella scuola, qualora lo Stato italiano voglia garantire davvero un dignitoso
livello di servizio sportivo per tutti gli studenti della Repubblica.
Sicuramente, per avere oggi un associazionismo scolastico che possa portare
qualcosa di nuovo all'interno del nostro mondo educativo, e finalmente elevare almeno
a quello delle altre nazioni europee (in questo campo gli U.S.A. appartengono davvero
ad un altro pianeta) il livello dello sport nella scuola, si dovrà prima attendere e
stabilizzare l'intero sistema del riordino dei cicli.
5.2 IL PROGETTO "PERSEUS"
Nell'attesa del definitivo riordino dei cicli, nel 1999 il ministero della Pubblica
Istruzione ha dato vita al "Programma Perseus", Intervento triennale per la
103
valorizzazione dell'educazione motoria, fisica e sportiva nella scuola dell'autonomia.
Nella chiusura della nota sull'eponimo del programma si afferma che: "Non riuscirà
certo il programma Perseus a seguire le orme del suo eroe eponimo, a rifondare
l'educazione fisica nella scuola e ad aver ragione delle vecchissime Graie, che, come
malattie croniche, affliggono la scuola: la dispersione scolastica, il disagio giovanile,
la carenza di orientamento formativo, e nemmeno delle Gorgoni che affliggono lo
sport: la violenza di Stheno, la spettacolarizzazione in tutto il mondo di Euryale e
l'influenza del potere, in particolare di quello economico e della logica del profitto, di
Medusa; ma con l'aiuto di cultura, scienze ed arti, dei docenti e degli operatori
scolastici, potrà forse contribuire a difendere la scuola dai loro attacchi"(11).
Senza dubbio i propositi sono ambiziosi, soprattutto se si tiene conto che per la
prima volta un ministro della P. I. , dai tempi di Francesco de Sanctis, si pone come
obiettivo strategico un intervento pluriennale per la valorizzazione dell'educazione
motoria, fisica e sportiva nella scuola. Deve ritenersi fondamentale lo stretto legame
intercorrente tra educazione motoria, fisica e sportiva, gioco e sport, nel senso di una
chiara continuità delle attività motorie in tutto il curricolo scolastico.
L'educazione motoria, fisica e sportiva, nel quadro della nuova istruzione da
produrre nella riforma del riordino dei cicli deve soddisfare l'esigenza - ormai
universalmente riconosciuta - di abituare ad un apprendimento che dovrà durare
durante tutto l'arco della vita attiva e comprendere l'acquisizione di abiti
comportamentali radicati sulle attività motorie con intersezioni e sinergie con
l'educazione alla salute, l'educazione ambientale, l'educazione alla legalità e così via.
Tutto ciò senza portare all'azzeramento dell'interesse della scuola per il fenomeno
sportivo stricto sensu, comprensivo della dimensione più strettamente agonistica, bensì
partendo dalla "costruzione" di attività sportive scolastiche che siano integralmente
attività di sviluppo e maturazione del giovane atleta. E' necessario che lo sport
mantenga cioè forti matrici culturali e consenta una continua e necessaria formazione
di base, in modo da inserirsi nel progetto complessivo di crescita dello studente.
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La scuola deve fare i conti con un concetto di pratica sportiva non più vista come
esperienza di libertà e creatività, ma come un'ossessione, come una esasperata corsa
all'agonismo inteso nel suo significato più deteriore, e al profitto. La volontà del
mondo educativo è quella di opporsi con fermezza alle richieste di duro allenamento
sportivo e di precoce avviamento allo sport che vengono dalle varie federazioni.
L'attività sportiva scolastica vuole essere idonea ad affermare valori che non
appartengono esclusivamente al mondo sportivo e rappresenta uno strumento per
restituire allo sport il posto ad esso spettante nella società.
Inoltre, all'interno del programma, sono inserite diverse iniziative intese come
impegno pubblico complementare alla spesa tradizionale per la giustizia e la sicurezza:
risulta ormai acquisito, infatti, il concetto che l'investimento nell'istruzione può ridurre
il conflitto esistente tra valori presenti nella società e mezzi offerti per raggiungerli, e
con ciò contenere le tendenze di carattere trasgeressivo-penale ed il successo della
criminalità organizzata nel reclutamento di manovalanza tra i giovani.
Il Programma Perseus è a sua volta suddiviso in altri sottoprogrammi: partendo dalla
considerazione che nella scuola materna ed elementare non si dà ancora il giusto
risalto al "motorio", il sottoprogramma Hermes intende sviluppare l'insegnamento
dell'educazione motoria, dandole finalmente dignità uguale a quella delle altre materie.
Ciò viene fatto con l'inserimento nelle scuole materne, di un consulente di educazione
motoria, fisica e sportiva (un diplomato ISEF già abilitato) che realizzi il
coordinamento didattico per le sezioni di scuola materna, e garantisca assistenza
organizzativa alla programmazione delle attività curricolari e sostegno nella
formazione degli insegnanti.
Nella scuola elementare, invece, l'intervento del consulente deve mettere in risalto la
centralità delle finalità formative, sociali, espressive e di autorealizzazione derivanti
dall'integrazione dell'educazione motoria con le altre educazioni. Il sottoprogramma
Hermes rientra nella fase sperimentale di Perseus: per ogni consulente, la cui attività è
regolata da un contratto d'opera, la retribuzione si sostanzia in 1.200.000 lire lorde per
9 mesi.
105
Purtroppo le scarse finanze di cui il ministero poteva (e può) disporre non hanno
permesso a Hermes di concretizzarsi nella sua totalità. Ad esempio, nell'anno
scolastico 1999-2000, e in quello 2000-2001, il provveditorato agli studi di Brescia ha
ottenuto - in via sperimentale - tre soli consulenti per un totale di 18 ore settimanali.
Altri sottoprogrammi sono: Mycenae, per l'acquisto di materiale didattico e
attrezzature sportive; Athena, per l'autoformazione dei consulenti e dei docenti di
educazione fisica (la vera novità - qui - sta nel fatto che per la prima volta sono degli
operatori, quindi degli addetti ai lavori, e non degli "esperti" a sviluppare il lavoro);
Pegasus, per svolgere ricerche sul ruolo dell'educazione fisica nello sviluppo dello
studente.
Ma il più importante, almeno ai fini della nostra ricerca, è Danae, finalizzato alle
attività scolastiche legate ai giochi sportivi studenteschi e alle attività connesse alla
valorizzazione dell'espressione corporea. "La relazione tra sport e scuola è sempre
stata conflittuale: il mondo dello sport ha lamentato da un lato l'assenza di un piano
moderno di educazione motoria e sportiva nella scuola, dall'altro (e soprattutto)
l'indisponibilità sostanziale della scuola a cooperare alla selezione dei talenti ed al
precoce avviamento allo sport.
Da parte sua, la scuola ha contestato sia il contenuto educativo di questa posizione,
sia la sua qualità/professionalità: ma l'alternativa di un «progetto educativo»
qualificato e moderno è rimasta, sino ad ora, inattuabile, per la debolezza della
riflessione degli operatori, per l'arretratezza dei programmi, le condizioni di autentica
sottovalutazione dei docenti di educazione fisica, gli storici pregiudizi contro le attività
motorie e sportive che nella scuola italiana sono state svalutate come componente
culturale"(12).
Con questa premessa, che riesce a sintetizzare brillantemente la situazione dello
sport nella scuola negli ultimi 50 anni, il ministero pone le basi del sottoprogramma
Danae, il cui presupposto fondamentale sta nella centralità della scuola verso una
proposta di educazione motoria e sportiva integrata e condivisa con altre agenzie
formative.
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Oltre all'attività sportiva vera e propria che, nella scuola dell'autonomia, si deve
realizzare autonomamente da parte delle singole scuole, viene ritenuta fondamentale la
sperimentazione di progetti di collegamento tra le diverse educazioni. I docenti devono
ricercare un equilibrio nell'attività didattica tra la proposizione di contenuti tipici
dell'educazione fisica e l'offerta di proposte di pratica sportiva. "L'educazione sportiva
dev'essere rivolta al massimo coinvolgimento possibile degli alunni. In questa ottica
assumono grande rilevanza pedagogica le attività scolastiche svolte dai singoli istituti,
che costituiscono l'unico strumento utile per la diffusione capillare della pratica
sportiva. Il gruppo ribadisce che occorre privilegiare i confronti fra le classi con il
coinvolgimento sistematico anche degli alunni portatori di handicap e di studenti che
hanno conseguito al di fuori della scuola un elevato grado di competenze sportive, che
non possono essere disperse in quanto costituiscono un patrimonio di risorse umane e
di esperienze che devono essere messe a disposizione della comunità scolastica. Le
iniziative rivolte a tutti gli alunni devono diventare strumento significativo di
aggregazione sociale nonché luogo privilegiato di esperienze formative e
consolidamento di civismo e solidarietà, contro i pericoli dell'isolamento,
dell'emarginazione sociale, delle devianze giovanili ed a sostegno della lotta alla
dispersione scolastica"(13).
Chiaramente non è proponibile praticare una sorta di cesura con il mondo sportivo,
ma i contributi e le collaborazioni tecniche e culturali di organismi esterni alla scuola
devono essere coerenti con i principi e le finalità che la scuola persegue, e in ogni caso
non si possono sostituire ai progetti che ogni insegnante è tenuto a realizzare sulla base
- tra l'altro - delle precise e specifiche conoscenze di ogni allievo.
Anche l'agonismo deve essere analizzato ed inteso come "canalizzazione
dell'aggressività", bandendone la sua esasperazione in ambito scolastico perché è
spesso all'origine di successive devianze comportamentali.
Grazie a Danae, una vera rivoluzione è stata attuata sotto il punto di vista
dell'organizzazione dell'attività sportiva scolastica. Si è ritenuto che l'impianto
verticistico di svolgimento delle manifestazioni sportive non fosse più corrispondente
107
alle esigenze ed alle necessità della scuola, anche per la difficoltà di programmazione
dell'attività, causata dalla limitata durata delle manifestazioni, dall'aleatorietà
dell'eliminazione diretta e dal gigantismo delle manifestazioni finali.
Il sottoprogramma Danae ha cercato di rispondere a queste esigenze curando e
gestendo direttamente (quindi indipendentemente e senza fare affidamento su un
eventuale contributo del CONI) i giochi sportivi studenteschi al fine di garantire il
diritto degli studenti ad avere una propria rassegna sportiva nazionale, ma
privilegiando l'aspetto educativo rispetto agli aspetti che più interessano eventuali
partners quali enti locali o federazioni sportive.
Con Danae si vuole dare una nuova struttura allo sport scolastico: l'attività sportiva
viene organizzata attraverso l'associazionismo studentesco, e le intenzioni sono quelle
di ricalcare il modello francese (preso in esame al paragrafo 5.1.4), con un pomeriggio
alla settimana dedicato alla pratica ed alle competizioni sportive, ed una formula che
prevede quattro livelli di territorialità: di istituto, comunali-distrettuali, provinciali-
regionali, nazionali, con un meccanismo di promozione e retrocessione analogo a
quello transalpino.
Il coronamento dell'attività a livello nazionale è previsto con il Campus, una
manifestazione della durata di non meno di cinque giorni, che ha una duplice finalità:
privilegiare l'aspetto tecnico-sportivo e quello di socializzazione, il confronto e lo
scambio culturale. Si intende così dare vita ad un sistema sportivo che garantisca sia la
preparazione sia la partecipazione allo sport in maniera non episodica.
Anche il nuovo esame di Stato, orfano della riforma della scuola secondaria
superiore ed entrato in vigore a partire dall'anno scolastico 1998-1999, attribuisce allo
sport una certa rilevanza. Su un punteggio espresso in centesimi, un massimo di venti
punti giungono dal "credito scolastico" e dal "credito formativo": il primo è dato dalla
valutazione che fa il Consiglio di classe del rendimento dello studente nell'ambito
scolastico, compresa l'attività sportiva di cui vengono valutati la frequenza, il
rendimento, le attitudini, i risultati ottenuti nelle competizioni studentesche; al "credito
formativo", invece (che può alzare il bonus da uno a tre punti), concorrono tutte le
108
attività extrascolastiche che possono riguardare iniziative culturali, artistiche e
ricreative, il volontariato, la solidarietà, la cooperazione, la formazione professionale e
lo sport, che deve essere attestato dalla federazione o dall'ente sportivo per cui si
gareggia e che non darà punti soltanto in base al risultato, ma anche al ruolo all'interno
della squadra.
Franco Arturi, una delle migliori "penne" della "Gazzetta dello Sport" dei nostri
anni, scrive in merito: "Intanto però, fra i passi avanti di una maturità che tenta di
tenere dietro alla crescita di una società civile, spunta finalmente anche una
conquistata dignità dello sport. Sì, sport: non più e non solo educazione fisica. Anche
la terminologia si svecchia. L'attività agonistica all'interno della scuola per la prima
volta entra a pieno titolo a formare quel pacchetto di voti (da 1 a 20) che esprime in
sostanza il rendimento scolastico. Non solo: nell'ambito del cosiddetto «credito
formativo» altri 3 punti-voti sono a disposizione degli studenti che s'impegnino con
profitto-risultati, in modo documentabile, in campo sportivo (come naturalmente in
quelli culturale, del volontariato, etc.).
Non è un terremoto, ma comunque un segno dei tempi che cambiano. E un
riconoscimento che va accolto con favore e simpatia in un Paese, come il nostro, in cui
la parola sport non figura ancora nella Costituzione. Abbiamo decenni, e forse secoli,
di un'assurda separazione muscolo-cultura da ricomporre. Cominciamo forse a capire
che si corre anche con la testa e si pensa anche col sudore. Era ora."(14).
In contemporanea all'istituzione dei nuovi Giochi studenteschi è sorto un dibattito
che ha per oggetto la partecipazione a queste manifestazioni degli studenti tesserati da
società sportive. I Giochi hanno finito per essere - in passato - una sorta di duplicato
dei campionati federali, a cui partecipavano i migliori atleti delle varie scuole, quasi
sempre tesserati.
Ora, le nuove direttive del mondo scolastico vogliono favorire la pratica sportiva da
parte di tutta la popolazione studentesca, ed hanno cercato di porre dei limiti alla
presenza di atleti tesserati nelle varie discipline sportive. Un limite massimo che varia
da uno a tre tesserati a seconda delle discipline sportive, e comunque i tesserati non
109
possono essere presenti in misura superiore ad un terzo dei componenti la squadra (se
di sport di squadra si tratta).
Le Federazioni sportive nazionali si sono subito trovate in disaccordo con questi
limiti, cercando di porre l'accento più sull'aspetto agonistico, sulla ricerca del talento e
del risultato di rilievo. I pro e i contro di questa diatriba sono stati ben analizzati da un
articolo apparso su "La Gazzetta dello Sport" in data 11 novembre 2000, a firma
Maurizio Galdi.
"A favore dei tesserati:
- i tesserati sono un esempio e, soprattutto negli sport di squadra, possono
rivelarsi il vero motore della formazione nelle scuole;
- si tratta di una discriminazione che scoraggerà il tesseramento dei più
piccoli alle federazioni nazionali;
- il tesseramento ad una società sportiva fa parte delle libertà di scelta
individuali. Questa disposizione viola dei diritti costituzionali;
- l'attività sportiva nelle scuole prevede il diritto al cosiddetto «credito
formativo», ovvero punteggi che valgono ai fini del giudizio finale di fine corso. In
questo modo i tesserati più impegnati risultano penalizzati.
Contro i tesserati:
- gli Studenteschi devono valorizzare il patrimonio di potenzialità e
attitudini sviluppate nella scuola;
- la scuola, per non tradire la sua vocazione educativa, deve assicurare delle
prove da cui nessuno esca mortificato e garantire anche a chi non ha grandi doti
naturali di trovare quello spazio che le società sportive, a caccia della «prestazione»,
negano;
- la scuola dovrebbe assicurare uguali condizioni di partecipazione e
partenza;
- i ragazzi che giocano con chi fa attività sportiva fuori dalla scuola
perdono sempre perché non giocano ad armi pari;
110
- aprendo la partecipazione degli Studenteschi ai tesserati si rischia di
replicare i campionati federali o societari;
- soluzione: sdoppiare le classifiche"(15).
5.3 ALL'UNIVERSITA'
5.3.1 SI LAUREANO ANCHE GLI INSEGNANTI DI E. F.
Sono trascorsi più di quarant'anni dalla legge n. 88 del 7 febbraio 1958 intitolata
Provvedimenti per l'educazione fisica, e la tanto agognata riforma degli ISEF, a lungo
attesa, da molte parti reclamata, ed oggetto di proposta parlamentare in diverse
legislature, è ora divenuta realtà, in seguito all'emanazione del decreto legislativo 8
maggio 1998, n.178, Trasformazione degli Istituti superiori di educazione fisica e
istituzione di facoltà e corsi di laurea e diploma in scienze motorie, a norma
dell'articolo 17, comma 115, della legge 15 maggio 1997, n. 127.
La legge n. 88/58, per quanto concerneva il personale insegnante di educazione
fisica, istituiva il ruolo organico dei professori di educazione fisica nelle scuole e
istituti di istruzione secondaria e artistica, collocandoli nell'allora ruolo B (art. 12).
Veniva disciplinata la costituzione delle cattedre e venivano poste le norme relative
all'abilitazione all'insegnamento e ai concorsi.
Riguardo agli ISEF, era previsto che l'Istituto superiore di educazione fisica con sede
a Roma, e gli altri istituti superiori statali che dovessero essere istituiti con appositi
provvedimenti legislativi, nonché gli ISEF pareggiati, promuovessero il progresso
delle scienze applicate all'educazione fisica, e fornissero la cultura scientifica e tecnica
111
necessaria alla preparazione e al perfezionamento di coloro che intendevano dedicarsi
all'insegnamento dell' E. F. e agli impiegati tecnici nel campo sportivo.
Gli Istituti erano di grado universitario, dotati di autonomia amministrativa, didattica
e disciplinare nei limiti delle norme del Testo Unico delle leggi sull'istruzione
superiore, ed erano sottoposti alla vigilanza del ministero della P. I. (art.22). Lo statuto
dell'ISEF era approvato con D. P. R. (art.23); il corso di studi era triennale (art.24).
"L'Istituto superiore di educazione fisica, con sede in Roma, sostituisce le Accademie
di Roma e di Orvieto di cui alla legge 22 maggio 1939, n.866"(art.25)(16).
Già nel 1963, dopo soli cinque anni, il segretario generale del CONI, Bruno Zauli,
invocava la modifica della legge n.88/58 esprimendosi così: "Se dopo quattro anni o
poco più si è sentito il bisogno di riformare l'ordinamento in atto, ciò significa che la
legge del 1958 non ha soddisfatto, non ha risposto alle istanze per le quali era stata
promossa. […] La mia vecchia tesi è di portare l'intero corso degli ISEF a quattro anni,
in due bienni con sbarramento e diploma abilitante sul primo e con titolo maggiore e
più completo sul secondo"(17).
Di nuovo (come già visto al capitolo terzo, paragrafo 3.1), nel 1973, in sede di
Indagine conoscitiva sulla situazione e le prospettive dello sport in Italia, Eugenio
Enrile - qui in veste di professore dell'ISEF di Roma - mosse pesanti critiche riguardo
all'anacronismo di queste istituzioni, e alla necessità di svecchiarle.
Durante la IX legislatura, nell'ottobre del 1986, un Comitato ristretto della
Commissione istruzione del Senato (presidente Valitutti, relatore Accili) elaborò un
testo unificato del disegno di legge del governo (ministro Falcucci) e delle proposte di
legge. Tale testo, concernente l' "Ordinamento degli studi di educazione fisica e
sportiva presso le università", prevedeva l'istituzione dei dipartimenti di educazione
fisica e sportiva, i quali organizzavano il corso di laurea della durata di quattro anni e
ordinato in due indirizzi:
- pedagogico sportivo per l'insegnamento dell'educazione fisica e sportiva;
- per l'educazione fisica differenziata e la rieducazione motoria-funzionale.
112
Il progetto prevedeva l'istituzione del dipartimento presso la seconda università di
Roma, alla quale sarebbe stato trasferito il patrimonio dell'ISEF statale. Tutto il lavoro
venne reso vano dalla fine anticipata della legislatura con lo scioglimento delle
Camere.
Doveva essere lo stesso Comitato ristretto della Commissione istruzione del Senato
(presidente Spitella, relatore Mezzapesa) ad occuparsi, questa volta nel corso della X
legislatura, di elaborare un progetto di testo unificato dei disegni di legge presentati
dalle varie forze politiche, che prevedeva l'istituzione della "facoltà" di Scienze
dell'educazione fisica e delle attività motorie. Per il momento quella previsione rimase
lettera morta.
5.3.2 LA SENTENZA DELLA CONSULTA DEL 1990
La riforma degli ISEF era comunque indilazionabile: a dare un ulteriore impulso in
questo senso è stata la sentenza n.225 del 3 maggio 1990 della Corte Costituzionale,
che modificava l'art.13 della legge 88/58 il quale, al secondo comma, diceva: "La
cattedra di ruolo, maschile o femminile, si istituisce in ogni scuola e istituto, anche
quando ciascuno di essi abbia un minor numero di ore di lezione, solo nel caso in cui
sia possibile il completamento dell'orario presso altre scuole o istituti della stessa
sede". L'educazione fisica veniva insegnata per squadre, maschili o femminili, e i
docenti dovevano essere del medesimo sesso degli alunni ai quali insegnavano.
Un ricorso proposto dal TAR per la Puglia ritenne incostituzionale questa norma:
considerando che il titolo - per maschi e femmine - era il medesimo, poteva accadere
(ed accadeva non di rado) che in determinate scuole vi fossero insegnanti di
educazione fisica - maschi o femmine - che venivano assunti nonostante un punteggio
più basso rispetto ad altri - di sesso opposto - i quali, non essendoci un sufficiente
numero di alunni per costituire una cattedra, non venivano assunti pur avendo un
maggior punteggio. Il TAR per la Puglia, insomma, dubitava della legittimità
costituzionale della legge 88/58 nella parte in cui essa prevedeva la differenziazione
113
delle cattedre per l'insegnamento dell'educazione fisica a seconda del sesso degli
alunni e la conseguente possibilità per i docenti di sesso maschile di insegnare solo a
squadre di alunni e per le docenti di sesso femminile solo a squadre di alunne, in
violazione del diritto al lavoro di tutti i cittadini senza distinzione di sesso.
L'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del presidente del Consiglio
dei ministri, si difese rilevando che: "La normativa in questione - relativa solo agli
insegnamenti impartiti nelle scuole medie ed in quelle superiori, e non anche nelle
elementari - è giustificata dall'esigenza di evitare turbamenti sessuali in alunni e alunne
che per l'età puberale ed adolescenziale che attraversano, sono particolarmente
sensibili a impulsi che inevitabilmente sarebbero indotti da movenze, dimostrazioni,
posizioni assunte da docenti di sesso diverso da quello degli alunni o delle alunne, il
cui contatto fisico con gli insegnanti è talora inevitabile"(18).
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 225/90 ritenne fondata la questione posta
dal TAR per la Puglia, in quanto sussisteva una palese discriminazione tra i docenti in
base al sesso, violando così l'articolo 37 della Costituzione che statuisce la parità di
diritti della donna lavoratrice rispetto all'uomo, considerato anche il fatto che gli
insegnanti di educazione fisica, siano essi maschi o femmine, sono in possesso di un
identico titolo di studio e della stessa abilitazione all'insegnamento.
Grazie a questa sentenza vennero eliminate tali distinzioni, e fu possibile istituire
un'unica graduatoria comprendente docenti maschi e femmine. Le eventuali
differenziazioni, quindi, si sarebbero verificate solo in base al punteggio e non più in
base al sesso.
Il passo successivo, verso una totale uniformità di insegnamento dell'educazione
fisica, fu determinato dalla possibilità di svolgere lezioni per classi e non per squadre.
In casi particolari, dato il basso numero di studenti, con particolari deroghe (le prime
firmate di proprio pugno dal ministro) si consentivano squadre di ginnastica "miste"; la
prima scuola che ebbe questa autorizzazione in Lombardia, e probabilmente una delle
primissime in Italia, fu l'istituto polivalente di Idro (BS), dove, con 8 alunni ed 8
114
alunne in tutto (l'istituto era al suo primo anno di vita), era impossibile formare due
squadre distinte.
In seguito le deroghe si fecero sempre più numerose fino a quando, nel 1997, si
stabilì che ogni istituto, dietro delibera del Collegio docenti, sentiti gli insegnanti di E.
F. e sentito il parere del Consiglio d'istituto, poteva decidere se svolgere le ore di
educazione fisica per squadre maschili e femminili, per classi o, addirittura, con un
sistema misto.
Con ogni probabilità il riordino dei cicli in fieri regolerà con certezza lo svolgimento
delle ore di educazione fisica.
5.3.3 LA PROTESTA DEGLI STUDENTI ISEF
Nessun fatto concreto era ancora avvenuto, sul fronte della riforma degli ISEF
quando, il 20 marzo 1997, riuniti in assemblea nazionale a Perugia, i rappresentanti
degli studenti degli Istituti Superiori di Educazione Fisica inviarono al ministro della
P. I., Berlinguer, ed al presidente del CONI, Pescante, una lettera in cui esternavano le
conclusioni cui erano giunti in assemblea:
1 "RIFORMA I.S.E.F.: I rappresentanti degli I.S.E.F. d'Italia concordano
sulla necessità di riformare l'attuale ordinamento. Si ritiene infatti fondamentale
l'istituzione legalmente riconosciuta di un corso di studi universitario con il
conseguimento della laurea in scienze motorie e sportive. Si appoggiano in generale le
direttive dell'art. 13 del disegno di legge Bassanini. Si è inoltre espressa l'esigenza di
equipararsi maggiormente ad una organizzazione e programmazione didattica di tipo
universitario;
2 ACCORDO C.O.N.I.-GOVERNO: Si è venuto a conoscenza che pochi
giorni fa è stato stipulato un accordo C.O.N.I.-Governo che gli I.S.E.F. d'Italia non
115
approvano perché si autorizza personale «non competente» ad operare nelle scuole
elementari e medie quando esiste una folta schiera di diplomati I.S.E.F. di gran lunga
più competenti e responsabili nel graduale processo educativo della psicomotricità.
Inoltre crea stupore il fatto che il Governo, rappresentato dall'Ill.mo Ministro Luigi
Berlinguer, possa autorizzare operatori specializzati alla formazione di piccoli
agonisti, venendo meno al principio pedagogico della formazione totalitaria della
personalità dell'individuo. Con la presente quindi desideriamo evidenziare al C.O.N.I.
e al Governo che gli I.S.E.F. d'Italia propongono l'inserimento legalmente riconosciuto
dal Governo di soli diplomati I.S.E.F. all'interno del processo educativo scolastico
elementare-medio-superiore, mantenendo saldi i principi pedagogici;
3 FORMAZIONE ALBO PROFESSIONALE: Si ritiene ormai opportuno
tutelare la professionalità dei diplomati I.S.E.F. tramite un albo professionale atto ad
eliminare lo scorretto inserimento del personale «non competente» nei processi
formativi motori-sportivi con il solo attestato rilasciato dalla Federazione
C.O.N.I."(19).
Finalmente, anche grazie alle continue pressioni che giungevano da più parti, la tanto
agognata trasformazione degli ISEF divenne realtà con il già menzionato decreto
legislativo 8 maggio 1998, n.178.
Ma la fiducia, da tanti (soprattutto dalla categoria degli insegnanti di educazione
fisica, dagli studenti del nuovo corso di laurea e da chi aveva a cuore le sorti di questo
insegnamento all'interno della scuola) riposta nel cambiamento, che avrebbe dovuto
uniformare la formazione in ambito motorio a quella degli altri Paesi europei, garantire
il riconoscimento a livello universitario delle esperienze culturali, didattiche e di
ricerca portate avanti dagli ISEF in quarant'anni di attività e consentire, finalmente, la
possibilità di attivare in modo ampio e significativo la ricerca scientifica sui diversi
aspetti della motricità, venne subito vanificata, essendosi rivelata chiara la tendenza
all'annullamento di gran parte delle esperienze pregresse e di ogni riconoscimento
della specificità culturale legata all'ambito motorio.
116
La laurea in scienze motorie "nasce", in quasi tutti gli atenei italiani, in seno alle
facoltà di medicina, e quando così non è, risulta sempre almeno una "convenzione"
con questa facoltà. Tale soluzione non è ben accettata dagli insegnanti: "Le categorie
dei medici e dei cattedratici universitari in genere, con metodi pirateschi hanno
occupato tutte le cattedre possibili, anche quelle che avrebbero dovuto essere assegnate
agli insegnanti di Educazione Fisica, non preoccupandosi di non avere alcuna
preparazione in ambito motorio. I piani di studio sono stati definiti inserendo materie
che nulla hanno a che vedere con la nostra professione, snaturando così miseramente le
caratteristiche della laurea"(20).
Anche gli studenti iscritti al primo anno del nuovo corso di laurea non erano
particolarmente soddisfatti: in alcune università non era presente nessuna disciplina
legata in modo specifico alla motricità, facendoli dubitare quindi della effettiva
professionalizzazione che la laurea in scienze motorie avrebbe dovuto garantire loro.
I timori si dovevano ritenere fondati: il decreto ministeriale 23 dicembre 1999,
Rideterminazione dei settori scientifico-disciplinari, stravolse completamente quanto
previsto dal decreto n.178/98, annullando di fatto la specificità della cultura motoria,
inserendo discipline dell'ambito bio-medico ed eliminando, da tutte le denominazioni
degli insegnamenti il termine "teoria", facendo mancare quindi ogni riferimento alle
indispensabili basi teoriche tipiche di ogni tecnica e didattica.
In alcune università l'autonomia didattica permise di valorizzare maggiormente il
ruolo dei docenti di educazione fisica, ma il panorama generale difficilmente lasciava
tracce di ottimismo. Ad esempio, all'università di Napoli, già nell'anno 1999-2000,
l'incarico delle due discipline motorie venne assegnato a due docenti universitari:
l'insegnamento di "Teoria, tecnica e didattica degli sport di squadra" venne affidato ad
un docente di pedagogia, ed agli insegnanti di educazione fisica (già docenti ISEF) si
conferì la "funzione didattica di sostegno all'insegnamento"(21).
Pare quindi che la trasformazione degli ISEF, da tanto tempo attesa, si stia
risolvendo in un processo di fagocitosi da parte di altre facoltà. Le discipline motorie e
117
sportive ne escono fortemente penalizzate, lasciando spazio ad una cultura spesso
parcellizzata e frammentaria dove è difficile individuare chiare linee di sviluppo.
Era dunque il caso di attendere così tanto tempo, di invocare e proporre per tanti anni
(nel 1971, ai campionati italiani di atletica, a Roma, gli atleti studenti ISEF
gareggiarono con la maglietta che recava la scritta "ISEF università") la necessaria
riforma degli Istituti Superiori di Educazione Fisica, per giungere a risultati di questa
portata che rischiano (insieme alle novità che secondo le "voci di corridoio" verranno
attuate dalla riforma dei cicli) di porre la pietra tombale sull'insegnamento e la pratica
dell'educazione fisica e sportiva nella scuola?
5.3.4 LO SPORT UNIVERSITARIO
5.3.4.1 UNA CONTINUITA' DA VALORIZZARE
A prima vista, la materia dello sport universitario potrebbe sembrare estranea alla
trattazione specifica della presente ricerca. Così non è, per vari motivi. Principalmente
si deve ricordare che esiste una stretta interrelazione tra lo sport scolastico e lo sport
universitario, perché quest'ultimo è la logica continuazione e il naturale risultato di
quello intrapreso dagli studenti nella scuola. Non si deve poi dimenticare che gli allievi
degli ISEF (ora facoltà di Scienze motorie), cioè i futuri docenti di educazione fisica,
sono spesso i protagonisti dello sport universitario.
In Italia - però - questo sport ha avuto uno sviluppo limitato rispetto alla grande
maggioranza degli altri Paesi "civili"; basti pensare agli Stati Uniti, dove i college e le
università producono campioni in serie, o all' ex Unione Sovietica, dove gli studenti
universitari devono svolgere quattro ore settimanali obbligatorie di sport. All'estero lo
sport universitario è la continuazione e il risultato dell'educazione fisico-sportiva della
scuola primaria e secondaria e, pertanto, è un modo di essere, un costume di vita.
Negli atenei italiani la situazione è ben differente, e molteplici sono le cause del
limitato sviluppo dell'attività sportiva universitaria nel nostro Paese.
118
In primo luogo la diffidenza determinatasi nei primi anni del secondo dopoguerra a
causa della strumentalizzazione fatta dal regime fascista dell'attività sportiva degli
studenti universitari riuniti nei Gruppi universitari fascisti (GUF).
Poi la sudditanza di fatto - per molti anni - delle attività sportive nei confronti di
quelle assistenziali delle "Opere universitarie", le cui funzioni, i beni e il personale
sono stati trasferiti alle Regioni, con le competenze in materia di assistenza scolastica a
favore degli studenti universitari, soltanto dal 1° novembre 1979, per effetto dell'art.
44 del D. P. R. 24 luglio 1977, n. 616 (in attuazione della L. 22 luglio 1975, n. 382) e
del D. L. 31 ottobre 1979, n. 536, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre
1979, n. 642.
Inoltre l'università non può non risentire della situazione della scuola italiana, nella
quale, come abbiamo visto, l'attività motoria e sportiva è stata per lungo tempo (e se le
cose, col riordino dei cicli, andassero peggiorando?) considerata come ospite
sopportato, anziché come elemento prezioso del processo di formazione del giovane.
Se l'educazione fisico-sportiva non è parte integrante dell'educazione e talvolta è
addirittura relegata nella scuola ai margini di una seria ed efficace programmazione
didattico-pedagogica, non si può di certo pretendere una svolta miracolosa nell'ambito
universitario.
Non si deve poi dimenticare che nella cultura solo oggi l'educazione fisica e sportiva
sta finalmente e giustamente arrivando alla considerazione di essere fatto importante e
fondamentale nel processo di maturazione della persona umana.
Infine, bisogna poi tenere conto del fatto che gli atenei italiani, nonostante gli sforzi
fatti nel settore, sono ancora privi di quel complesso di impianti che negli altri Paesi
sono giudicati indispensabili, alla stessa stregua delle aule di studio, delle biblioteche e
dei laboratori di ricerca.
5.3.4.2 EXCURSUS STORICO
119
Durante il ventennio fascista, anche nelle università lo sport ha vissuto vicende
analoghe a quelle della scuola: totalmente soggiogato dal regime che ne voleva fare il
fiore all'occhiello della propria politica educativa. Con la costituzione dei GUF veniva
regolamentata la pratica sportiva degli studenti universitari. Più che ad una ragione di
preparazione militare, si deve al motivo della formazione della classe dirigente del
Paese l'impulso dato dal fascismo allo sport universitario: "Nella iconografia del
regime non poteva mancare l'immagine di una classe dirigente fatta «di cervello e
muscoli». Se ciò era valido per i gerarchi - costretti a dare il buon esempio anche nel
campo dello sport - lo era ancora di più per coloro che dovevano essere la classe
dirigente del futuro. Per coloro che dovevano rappresentare - più di tutti - la volontà
del fascismo di curare un uomo nuovo, dove ogni aspetto della vita, quello culturale
come quello fisico, fosse adeguatamente stimolato"(22).
Al termine della guerra, il 22 marzo 1946 a Padova, venne fondato il Centro
Universitario Sportivo Italiano (CUSI), con la finalità di riprendere l'attività agonistica
degli studenti universitari (sotto il regime, Ludi lictoriales, poi più semplicemente
"Littoriali", in auge dal 1932) sospesa nel 1941 a causa degli eventi bellici. Così, a
sette anni dagli ultimi "Littoriali", si svolgeva, a Bologna nel 1947, la prima edizione
dei Campionati nazionali universitari, divenuti poi una consuetudine che si è protratta
fino ai giorni nostri.
Sempre nel 1947 ha avuto luogo la prima partecipazione del CUSI ad una
manifestazione internazionale, precisamente ai Giochi Mondiali Universitari, in
quell'anno disputatisi a Parigi. Quella manifestazione, troppo carica di significati
politici, diede luogo ad una frattura tra i Paesi dell'est e quelli occidentali; il CUSI
colse l'occasione per dare vita ad una più estesa fratellanza sportiva mondiale, creando
a Merano nel 1948, insieme alle associazioni universitarie di Germania, Lussemburgo
e Svizzera, la Fédération Internationale du Sport Universitaire (FISU).
Nel 1959, risoltosi il problema della riunificazione est-ovest dello sport universitario
mondiale, il CUSI ha avuto l'onore di organizzare, a Torino, i Giochi Mondiali dello
120
Sport Universitario, ai quali è stata attribuita l'indovinata definizione di Universiade,
adottata poi definitivamente dalla FISU.
Il 22 agosto 1960, alla vigilia dei Giochi Olimpici di Roma, il Comitato
Internazionale Olimpico (CIO) decise di assegnare al CUSI la Coppa olimpica "Pierre
de Coubertin" per i servizi eminenti resi alla causa dello sport universitario e per la
perfetta organizzazione e il successo riportato un anno prima a Torino dalla prima
Universiade.
Con D. P. R. 30 aprile 1968, n. 770, il CUSI ha ottenuto il riconoscimento della
personalità giuridica, e con deliberazione del 22 febbraio 1979, il Consiglio Nazionale
del CONI ne ratificava il riconoscimento quale ente di promozione sportiva.
Il CUSI si articola nei CUS (uno per ciascuna città sede di uno o più Istituti
dell'ordine universitario). Hanno diritto di iscriversi al CUS tutti gli studenti che
praticano attività sportive e, indipendentemente da ciò, tutti gli immatricolati hanno la
facoltà di fruire delle attrezzature e dei servizi del CUS.
A differenza degli ordini scolastici sottostanti, nelle università non viene impartito
un insegnamento istituzionale di educazione fisica e sportiva: per sopperire a tale
lacuna, il CUSI ha chiesto la costituzione del Comitato per lo sport universitario. In tal
modo l'attività del CUSI e dei CUS ha travalicato la pratica dell'agonismo e si è estesa
al più vasto settore dell'educazione fisico-sportiva sotto il controllo del suddetto
Comitato, presieduto, in ciascuna sede, dal rettore e composto dal direttore
amministrativo, da due studenti eletti e da due membri designati dal CUSI.
Il Comitato per lo sport universitario è stato costituito dalla legge 28 giugno 1977, n.
394, sul "Potenziamento dell'attività sportiva universitaria". Suo scopo è quello di
potenziare l'attività sportiva universitaria, fino ad allora affidata alla spontanea
iniziativa del CUSI, cioè di un'associazione privata ancorché munita di personalità
giuridica, sovraintendendo "agli indirizzi di gestione degli impianti sportivi ed ai
programmi di sviluppo delle relative attività"(23). Il regolamento per il funzionamento
del Comitato è stato emanato con decreto del ministro della P. I. del 18 settembre
1977.
121
5.3.4.3 IL CUS PARMA
Nell'ambito dello sport universitario, Parma deve considerarsi un'isola felice, capace
di mettere a disposizione degli studenti un contesto di impianti ed attrezzature che ha
pochi eguali in Italia ed in Europa, impianti voluti dall'università e quasi tutti
concentrati nell'area del "Campus", autentico gioiello del nostro ateneo.
Il Cus Parma, nato per soddisfare la voglia di sport degli universitari, ha saputo dar
vita anche ad una componente sportiva più spiccatamente agonistica. Negli ultimi 50
anni il Cus è stato grande protagonista nello sport di vertice della città. Tanti sono gli
atleti del Cus Parma che hanno indossato la maglia azzurra delle varie nazionali
italiane. I tre momenti fondamentali di
questa lunga storia sportiva sono: la conquista del titolo italiano della pallavolo
femminile nel 1971; i grandi meetings di atletica leggera, con la presenza di atleti di
caratura mondiale; la conquista dello scudetto tricolore nel 1997, bissata da due Coppe
dei Campioni (1998-1999) da parte della squadra di baseball.
NOTE AL CAPITOLO QUINTO
(1) Il CONI e le Federazioni Sportive alla Conferenza Nazionale dello Sport, CONI, Roma
1982, pp. 37-38.
(2) Atti della Conferenza Nazionale dello Sport, Roma 10-13 novembre 1982, 3 volumi,
vol. 1, pag. 131.
(3) Ivi, pag. 131.
(4) Archivio didattico, pubblicazioni dei centri didattici nazionali - I Conferenza
internazionale dei ministri e alti funzionari responsabili dell'educazione fisica e dello sport,
organizzata dall'UNESCO con la cooperazione del CIEPS, Il ruolo dell'educazione fisica e dello sport
nella formazione della gioventù, nella prospettiva dell'educazione permanente, - rapporto finale -
Casa dell'UNESCO 5-10 aprile 1976, serie VIII - educazione fisica e sportiva - N.13, pag 21.
(5) C. M. 3 ottobre 1985, n. 274.
122
(6) Ivi.
(7) C. M. 9 luglio 1990, n. 184, " Iniziative di collaborazione scuola - extra scuola in
materia di attività sportiva".
(8) Ivi.
(9) Ivi.
(10) C. M. 31 luglio 1997, n. 466, cit.
(11) Ministero della Pubblica Istruzione - Ispettorato per l'Educazione Fisica e Sportiva -
Coordinamento attività per gli studenti, Programma Perseus - Intervento triennale per la
valorizzazione dell'educazione motoria, fisica e sportiva nella scuola dell'autonomia - 1999-2002,
Roma 1999, pag. 3.
(12) Ivi, pag. 13.
(13) Ivi, pp. 14-15.
(14) F. Arturi, Toh, finalmente anche lo sport fa maturità, in "La Gazzetta dello Sport", 11
giugno 1999, pag.1.
(15) M. Galdi, Giusti i limiti ai tesserati?, in "La Gazzetta dello Sport", 11 novembre 2000,
pag. 31.
(16) Legge 7 ottobre 1958, n.88, cit., artt. 22,23,24,25.
(17) T. de Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit.
pp.53-54.
(18) Sentenza Corte Costituzionale n. 225, del 3 maggio 1990.
(19) Lettera inviata al Ministro della P. I., Berlinguer ed al Presidente del CONI, Pescante
il 20 marzo 1997 dai rappresentanti degli studenti ISEF riuniti in assemblea nazionale a Perugia,
Montichiari, archivio privato.
(20) B. Mantovani, Editoriale, in "Motricità e ricerca", rivista trimestrale della CAPDI,
giugno 2000, pag. 3.
(21) L. Bortoli, La laurea in scienze motorie tra speranze e realtà, in "Motricità e ricerca",
cit, pag. 11.
(22) AA. VV., Atleti in camicia nera, Editore Volpe, Roma 1983, pag. 103.
(23) Legge 28 giugno 1977, n. 394, "Potenziamento delle attività sportive universitarie".
123
CAPITOLO SESTO:
"CONCLUSIONI E PROSPETTIVE"
6.1 UN TRISTE BILANCIO
Nel corso di questa ricerca, si è cercato di analizzare la travagliata presenza dello
sport nella scuola in questi ultimi 50 anni.
Non è stata una coesistenza facile, tutt'altro: inizialmente lo sport, quale "parente
stretto" dell'educazione fisica scolastica, ha dovuto patire tutti gli ostracismi e le
diffidenze di chi lo continuava a vedere come una pratica troppo compromessa con il
regime fascista per potersi ancora permettere di avere una dignità; la possibilità di
essere considerato nella propria essenza, come disciplina fondamentale nella crescita
dei giovani, era obnubilata dal ricordo del passato, quando lo sport nella scuola era
direttamente controllato dalle organizzazioni del regime e gli stessi insegnanti e
coordinatori di educazione fisica erano i rappresentanti del PNF in seno agli organi
scolastici.
Questa visione distorta si è protratta per decenni, lasciando educazione fisica e sport
scolastici in un limbo che si è iniziato a superare solo negli anni '70, e che ha
determinato un grave ritardo rispetto alle altre nazioni civilizzate.
A partire dal secondo dopoguerra il Comitato Olimpico Nazionale Italiano ha iniziato
ad offrire il proprio aiuto alla scuola attraverso la costruzione di impianti, mediante
l'organizzazione di manifestazioni sportive e con incentivi anche finanziari. Al CONI,
però, le istituzioni sportive scolastiche hanno dovuto pagare un tributo evidenziato
dalle linee di politica generale che in quegli anni sono state seguite: invece di curare la
pratica dello sport per tutti e nei confronti di tutta la popolazione studentesca -
ricordiamo che si sta sempre parlando di sport nella scuola - si è privilegiata la cultura
della ricerca dei talenti, delle promesse, dei campioni del domani, a scapito di tutte
quelle centinaia di migliaia di alunni cui spettava di diritto una sana, educativa e non
esasperata pratica sportiva.
124
Intorno alla metà degli anni '90, vuoi per i problemi interni che il massimo
organismo sportivo nazionale si trovava ad affrontare, vuoi per la sua non più florida
situazione finanziaria, una presa di coscienza della categoria degli insegnanti di
educazione fisica, accolta dal ministero, ha "raffreddato" i rapporti scuola-CONI senza
provocare in quest'ultimo particolari reazioni.
L'avvento della scuola dell'autonomia, lo sviluppo del programma Perseus, ed una
maggior libertà d'azione degli organi sportivi della scuola, finalmente affrancati dalla
longa manus federale, parevano essere le basi per una nuova stagione - povera
(finanziariamente) ma libera - dello sport nella realtà educativa italiana.
Invece, con la circolare del 3 agosto 2000, Prot. n. 3578/A1 riguardante l'attività
sportiva scolastica per l'anno 2000-2001, la sigla del Comitato Olimpico è tornata a far
compagnia, in una situazione di totale pariteticità, a quella del ministero della Pubblica
Istruzione, facendo compiere un lungo passo all'indietro alla volontà di autonomia dal
CONI nella gestione dello sport scolastico. Questa circolare ha, ancora una volta,
suscitato il disappunto della categoria degli insegnanti di educazione fisica e degli
operatori della scuola, che vedono in questa nuova collaborazione col Comitato
Olimpico il rischio di una pericolosa vanificazione di tutto quanto si era cercato di fare
per rendere effettivamente educativo e "per tutti" l'insegnamento motorio nella scuola.
Il presidente della Confederazione Associazioni Provinciali Diplomati Isef, prof.
Mantovani, in una lettera inviata al ministro della Pubblica Istruzione, prof. De Mauro,
lamentava il grave ritorno al passato messo in atto dalla circolare summenzionata: "Le
proposte del progetto Perseus, la nuova impostazione delle gare studentesche, la nuova
impostazione dei compiti degli uffici di Educazione fisica, l'organizzazione autonoma
delle finali nazionali, la graduale trasformazione dell'attività motoria, sempre più a
misura di allievo e di scuola, rappresentavano conquiste in ambito scolastico, con
importantissime ripercussioni sul piano sociale, che si pensava non dover più
discutere.
Sembrava, dalle parole espresse nelle circolari firmate dal ministro e dalle
comunicazioni del capo dell'ispettorato di educazione fisica, che l'autonomia della
125
scuola dal CONI fosse cosa fatta, e che si potesse lavorare per migliorare e correggere
l'attività sportiva scolastica, per farle raggiungere finalmente il livello di quella
realizzata negli altri stati europei, nei quali quanto chiediamo è già attuato da decenni.
Tutto ciò, al contrario, viene di nuovo messo in discussione diventando nuovamente
oggetto di contrattazione con il CONI. […] Mi spiace moltissimo dichiarare che questa
soluzione è l'esatto opposto delle tesi previste dal progetto Perseus.
Probabilmente le pressioni del CONI hanno condizionato la stesura del documento
facendo prevalere una maggiore selettività, competizione e agonismo, e hanno portato
a una inaccettabile proposta.
E' un vero peccato che invece di far proprie le esperienze precedenti e migliorarle, si
modifichi in modo illogico un progetto che stava sensibilizzando e avvicinando gli
insegnanti a questo tipo di competizione"(1).
Inoltre, sempre lo stesso presidente della CAPDI poneva in evidenza una situazione,
riguardante i finanziamenti in parte provenienti nuovamente dal CONI, che non esitava
a definire sconvolgente: "Da una parte il Governo versa al CONI 500 miliardi, come è
stato ampiamente divulgato da stampa e telegiornali, per affrontare i suoi impegni - è
in difficoltà addirittura a pagare gli stipendi, visto anche l'indegno sperpero di denaro
pubblico provato nel recente passato dalle numerosissime inquisizioni e dai fortissimi
richiami della Corte dei Conti - e poi lo stesso Governo attraverso il M. P. I. chiede
l'elemosina al CONI per gestire parte dell'attività sportiva scolastica facendosi
condizionare dal CONI stesso in scelte che non possono essere educative"(2).
Lo sport a scuola costituisce - dunque - ormai da decenni un argomento di dibattito
costante, sia in ambito scolastico, sia in quello sportivo. Le due linee di pensiero che si
sono affrontate all'interno di questa diatriba si possono così sintetizzare:
- una guarda allo sport soprattutto come mezzo per una formazione
integrale coerente con i valori e gli obiettivi formativi propri della scuola;
- l'altra - viceversa - interpreta lo sport come fine, ponendo in primo piano
l'esclusivo prevalere, come squadra o individualmente, sugli altri concorrenti in base a
punti, misure, tempi.
126
A nostro modesto parere, il fine dello sport nella scuola dovrebbe essere quello
espresso dalla prima di queste due tesi, che vede in esso un mezzo, in concerto con le
altre discipline scolastiche, per contribuire alla formazione completa dell'alunno.
La scuola, che cercava di darsi anche da questo punto di vista un progetto culturale e
formativo, non può contrattare con un ente, non istituzionalmente formativo, finalità,
obiettivi, contenuti e metodi di un'attività che nasce e si sviluppa all'interno di essa. In
questo modo lo sport scolastico - così come delineato nell'attuale programma -
difficilmente riuscirà ad esprimere un articolato e motivato modello di sport formativo,
che sappia coniugare finalità ed obiettivi propri dell'istituzione scolastica con quelli
delle singole agenzie sportive.
Riguardo al riordino dei cicli scolastici, la Conferenza nazionale dei responsabili
delle facoltà e corsi di laurea in scienze motorie, per voce del proprio presidente, prof.
Stocchi, nel mese di aprile 2001 manifestava la propria perplessità e preoccupazione in
ordine al ruolo che il "motorio" verrebbe ad avere nella riorganizzazione scolastica. In
particolare si prende in esame la funzione dell'educazione fisica e dello sport nella
scuola superiore, e si sottolinea che: "Nel momento in cui si discute sulla prevenzione
e sul disagio giovanile, sull'eccessiva sedentarietà dei nostri giovani a causa dello
sviluppo dei videogiochi e comunque dell'uso generalizzato della televisione e dei
mezzi di locomozione, sull'aumento dell'obesità e delle sue conseguenze negative sulla
crescita e sulla salute, ecc., escludere l'educazione fisica dal curriculum obbligatorio
degli ultimi tre anni, significa non tener conto del contributo che essa dà al
conseguimento di un corretto equilibrio psico-fisico.
Per quanto riguarda lo sport scolastico, la notevole riduzione del budget previsto con
l'invito alla ricerca di casuali «mecenati» e all'ingresso nella scuola di «esperti» non
meglio qualificati, appare penalizzante e pericoloso proprio in relazione alla situazione
degli altri paesi della Comunità dove l'attività sportiva scolastica è interamente
sostenuta dallo Stato.
Pertanto si chiede:
127
- nessuna esclusione dal curriculum obbligatorio dell'educazione fisica per
l'intero ciclo della scuola superiore;
- attenta riflessione sul ruolo dello sport nella scuola e sulle competenze
pedagogiche e didattiche necessarie per una corretta fruizione del concetto di
sport"(3).
6.2 UN CASO LIMITE
Ciò che nell'ambito della nostra ricerca, e delle conclusioni che si vengono traendo,
potrebbe apparire un caso limite, è quello del liceo scientifico-sportivo che dovrebbe
prendere avvio a partire dal mese di settembre 2001 presso l'Istituto don Bosco di
Genova. In realtà non si tratta di una provocazione, di una sportivizzazione
esponenziale, pilotata dal CONI o dalle federazioni sportive, bensì di una scuola creata
per studenti-atleti tesserati.
L'idea è venuta al prof. Ottonello, già preside dell'ISEF di Genova ed ora supervisore
tecnico della facoltà di Scienze Motorie dell'ateneo ligure: presa coscienza di quanto
sia difficile conciliare lo sport ad alto livello con gli impegni scolastici, egli ha creato,
in sintonia con i Padri Salesiani dell'Istituto don Bosco, il liceo scientifico-sportivo
"Pierre de Coubertin", riservato ad atleti tesserati per una federazione nazionale
riconosciuta dal CONI, a patto che svolgano regolare attività agonistica certificata dal
Comitato Olimpico provinciale tramite le rispettive società di appartenenza.
La finalità primaria del liceo scientifico-sportivo sarà di rispondere alle esigenze
formative e agonistiche degli atleti con strutture sportive e scolastiche adeguate e un
personale docente in sintonia con gli obiettivi del corso di studi, che vuole concorrere
alla formazione integrale dei giovani atleti in un clima culturale ed educativo
stimolante.
Sara Simeoni, ex primatista mondiale di salto in alto, madrina del liceo "de
Coubertin", ha detto: "Nella mia opera di promozione dell'attività sportiva per conto
della Fidal mi viene domandato spesso come sia possibile conciliare gli impegni
128
scolastici con quelli sportivi. Credo che una risposta esauriente venga proprio da
questa scuola, poiché anche l'attività sportiva è cultura. Il Giubileo degli sportivi ci ha
fatto ripensare a tante cose: prima fra tutte, che lo scopo dello sport non è solo ottenere
risultati, ma anche formare il carattere"(4).
I giovani atleti potranno, in virtù di un orario flessibile (la settimana, ipotizzando un
weekend impegnato fuori sede per l'attività agonistica, si aprirà il lunedì mattina alle
10.00 e si chiuderà il venerdì alle 13.30), mantenendo comunque invariato il numero
delle ore di lezione, fare slittare gli impegni scolastici ad orari diversi della giornata
rispetto ai tradizionali, ad esempio posticipando le lezioni al pomeriggio in caso di
impegni sportivi al mattino. Ogni allievo, inoltre, sarà in collegamento via Internet con
la società sportiva di appartenenza e avrà accesso alle strutture sportive dell'istituto per
seguire un programma di allenamento ottimale a seconda della disciplina praticata.
Accanto alle materie tradizionali, o nell'ambito di esse, saranno trattate tematiche
legate allo sport, dalla fisiologia all'antidoping, dall'anatomia ai valori dell'olimpismo
ai rudimenti di pronto soccorso.
6.3 QUALI PROSPETTIVE?
In questi giorni nei quali il riordino dei cicli scolastici e la conseguente
organizzazione dello sport scolastico sono ancora cronaca o - addirittura - momento di
analisi politica relativa ad una recentissima campagna elettorale, diviene davvero
problematico anche il solo cercare di prevedere quale sarà il futuro dello sport nella
scuola.
Certo, è possibile affermare che le ipotesi di ridimensionare l'educazione fisica e lo
sport scolastico, o addirittura di far divenire questa materia come opzionale, ha giocato
decisamente a sfavore del governo uscente: 12000 firme, raccolte solo tra i docenti di
educazione fisica, contrari non al riordino dei cicli, ma alla ridotta considerazione della
129
materia, significano che lo scontento è stato abbastanza generalizzato. Per cui si
possono azzardare - oggi - solo alcuni scenari possibili in base alle scelte che verranno
attuate dal nuovo parlamento d'intesa con il Comitato Olimpico riformato:
a) riprendere la linea del ministero D'Onofrio (del governo Berlusconi 1994), che
stava ipotizzando l'associazionismo sportivo scolastico, simile, per certi aspetti,
almeno tra i modelli europei, al sistema francese;
b) continuare con l'attuale organizzazione, e quindi scivolare lentamente verso
l'opzionalità dell'insegnamento della materia, in particolar modo nelle ultime tre classi
della futura scuola superiore.
E' ovvio che l'ipotesi migliore non può che essere quella di una organizzazione
sportiva scolastica capillare sul territorio, parallela e quindi non in opposizione con lo
sport giovanile federale, finanziata con gli interventi sia dello Stato, sia degli enti
locali, in grado di soddisfare la promozione di base ma anche una sana educazione
all'agonismo.
In questi ultimi tre anni, nonostante l'andamento ondivago dei ministeri Berlinguer e
De Mauro, alcuni esperimenti sono stati effettuati (specialmente col programma
Perseus) e i risultati, almeno a livello locale, sono stati più che soddisfacenti. Le
scuole non si sono limitate a formare, a "produrre" qualche atleta, ma hanno anche
dato vita a vari nuclei di studenti-giudici, di studenti-arbitri.
Gli uffici di coordinamento hanno diffuso l'abitudine alla responsabilizzazione
collettiva delle scuole fino al punto che i campionati nazionali di Brescia - Desenzano
del Garda hanno visto schierati molti studenti con compiti di giuria ed arbitraggio.
Questo significa che lo sport non è più fatto solo per i contendenti, ma lo sport
scolastico serve anche a formare quadri dirigenti. E proprio in questo starà la
scommessa dell'organizzazione dello sport scolastico. Il ruolo del CONI potrebbe
essere - il condizionale è d'obbligo, visto che si tratta di un apparato rinnovato, grazie
alla nuova presenza nel consiglio nazionale e nella giunta, di atleti e di tecnici - quello
di supporto e di collaborazione organizzativa.
130
Ma per poter lanciare un associazionismo sportivo scolastico, diventa necessario
modificare in parte l'attuale normativa. Stabilito che lo sport scolastico, all'interno
della sua complessiva finalità educativa, può avere anche un aspetto agonistico, si
rende necessario un sistema che non esaurisca tutte le sue forze nell'arco di un anno,
ma che consenta la disputa di campionati di livello successivi, in base a classifiche di
merito: campionato d'istituto o distrettuale, campionato regionale, campionato
nazionale, come di fatto accade nel sistema francese e parzialmente in quello tedesco.
In questa struttura organizzativa, l'alunno potrà avvicinarsi allo sport come atleta,
come giudice o come dirigente. Sarà poi necessario provvedere a regolamentare le
modalità di pagamento delle ore di avviamento all'attività sportiva.
La soluzione alternativa (ipotesi b) è quella di mantenere un'organizzazione come
quella attuale, che esaurisca tutte le sue fasi nel giro di una stagione, e che quindi
diventi semplicemente occasionale e dipendente dalla volontà degli insegnanti, sotto
l'aspetto della promozione sportiva, o dall'aleatorietà dei risultati, sotto l'aspetto della
prosecuzione dell'esperienza all'interno di una stagione. Questo metodo ha ormai fatto
il suo tempo, è molto costoso, necessita di organizzazioni centrali nazionali che
tuttavia, spesso, non riescono a coordinarsi in tempo reale con la periferia. Esso è stato
sicuramente utile, dalla nascita dei Giochi della gioventù fino al 1985 circa, per la
diffusione del messaggio sportivo, ma oggi appare arretrato rispetto all'organizzazione
sociale, agli strumenti di comunicazione di massa, e soprattutto ai desiderata degli
studenti.
E' necessario - secondo noi - che agli studenti vengano date molte occasioni di
avvicinamento allo sport, sia per quanto riguarda le attività di squadra, sia per gli sport
individuali, mediante formule agili, veloci, e che non impegnino ore e ore gli studenti,
come attualmente fanno le formule dei Giochi della gioventù: non dimentichiamo
infatti che lo studente - oggi - vive con la frenesia di conoscere tutto, e in pochissimo
tempo, e quindi si trova ad abbandonare precocemente le esperienze che non lo
soddisfino.
131
Bisogna, a tal fine, che la scuola si dia una forte organizzazione, investa risorse, e
non preveda soltanto la figura del coordinatore di educazione fisica ma, nel riordino
dell'amministrazione, delle équipe numericamente adeguate, non solo alla popolazione
scolastica, ma anche al movimento sportivo; bisogna inoltre che da parte delle
federazioni sportive nazionali non si consideri l'evoluzione dello sport scolastico come
una sorta di "esproprio" dei tesserati, ma che invece si guardi alla scuola come all'ente
educativo con il più alto numero di operatori d'Italia, e quindi come a un grande alleato
per la diffusione dello sport, fatto salvo che poi sarà in ogni caso lo studente - e non
potrebbe essere che così - a scegliere se fare sport o se dedicarsi ad altri hobby.
In Italia ogni organizzazione, ogni gruppo, ogni sistema di interessi, chiede alla
scuola la diffusione del proprio messaggio. Ma in realtà la scuola può soltanto
proporre, e non è pensabile che da sola possa anche aggregare intorno a sé tutte le
istanze sportive, musicali, teatrali, turistiche ecc. di una nazione.
Lo sport scolastico può - tuttavia - essere un utilissimo mezzo per combattere le
distorsioni di una vita spesso ipertecnologica e vorticosa come quella che ci aspetta nel
terzo millennio. Per la sua promozione, la scuola deve seguire delle regole, perché lo
sport è - in fondo - la quintessenza delle regole.
L'universalità dell'attività sportiva sta tutta in un semplicissimo postulato: lo sport è
uguale in tutto il mondo e rende uguali i cittadini di tutto il mondo, perché le regole
sono le stesse. Ecco, la scuola può, attraverso lo sport, collaborare a creare anche in
Italia cittadini del mondo.
NOTE AL CAP. 6
(1) B. Mantovani, Lettera del presidente della CAPDI al ministro della Pubblica
Istruzione, in "Motricità & Ricerca", trimestrale della Confederazione Associazioni Provinciali
Diplomati Isef, Anno VIII, n. 2/2000, dicembre 2000, pag. 8.
(2) Ivi, pag. 9.
(3) http://www.geocities.com/CollegePark/Library/4150/sto.html
132
(4) F. Grimaldi, Genova lancia la scuola di sport, in "La Gazzetta Sportiva", 12 novembre
2000, pag. 31.
133
APPENDICE
INTERVISTA AL DOTT. ENZO GIFFONI (Brescia, venerdì 11 maggio 2001)
Il dott. Giffoni, cultore di legislazione scolastica, autore di numerose pubblicazioni, è
stato provveditore agli studi a Varese, a Brescia, a Bergamo, a Milano, sovrintendente
scolastico regionale per la Lombardia. Si è sempre interessato - dalla sua visuale - ai
problemi dell'educazione fisica e sportiva.
1) D. - Da quanto è emerso nella mia ricerca, lo sport nella scuola ( e l'E.F.
più in generale) nella seconda metà del '900, ha sempre sofferto un complesso di
emarginazione, è sempre stato guardato con diffidenza per i suoi trascorsi, per il suo
essere stato strettamente legato al fascismo e alla sua ideologia. E' vero? Ancora oggi
ne risente?
R. - In misura molto limitata - secondo me - è vero. Educazione fisica e sport erano
stati esaltati dal fascismo: l'E.F. è praticata da chi deve allestire eserciti per sostenere il
regime. Questo spiega una certa diffidenza nei confronti dello sport nella scuola
nell'immediato ultimo dopoguerra.
Oggi l'idea dello sport è maturata attraverso il "sociale", sono aumentate le adesioni
e si è diffusa la pratica dello sport in tutti i ceti sociali, dimostrando l'importanza fisica
e culturale tout court di questo insegnamento. In sintesi, mi sembra di escludere che
permangano ancora condizionamenti di quel tipo.
2) D. - La difficile vita dello sport nella scuola è causa, effetto od entrambe
le cose della deficitaria situazione di impianti e attrezzature?
R. - Allo stato attuale, non possiamo dire che gli impianti e le attrezzature sportive
siano deficitari su vasta scala. Ci sono stati molti interventi, anche da parte degli enti
locali, per cui di palestre ed impianti ce ne sono.
Dando uno sguardo al passato, per quello che ho potuto vedere io, soprattutto quando
andavamo cercando i locali per la nuova scuola media agli inizi degli anni '60, anche
134
quelle palestre che erano state costruite per le scuole elementari dal fascismo, spesso
non erano utilizzate. Ho visto alcune palestre, non molto ampie, adibite a deposito
attrezzi, e ne ricordo una riservata - in parte - ad una scuola di taglio e cucito.
Certamente, le palestre esistenti negli anni '60 non erano nel modo più assoluto
sufficienti per garantire uno sviluppo all'educazione fisica e sportiva.
In provincia di Brescia - invece - vuoi per la sollecitazione che veniva
dall'amministrazione scolastica, vuoi per il grande interesse manifestato da insegnanti,
presidi, personale del provveditorato, sono stati creati degli impianti, proprio negli
anni in cui c'è stato lo sviluppo della scuola media, parlo del 1963-1964, o si è cercato
di procurare dei locali che quanto meno potessero favorire un insegnamento anche
pratico dell'educazione fisica e sportiva.
3) D. - Era possibile fare qualcosa in più per garantire maggiore dignità
all'E.F. e soprattutto allo sport nella scuola? Come si sarebbe potuto - o dovuto -
operare per garantire maggior credito e più spazio a queste discipline?
R. - E' facile rispondere che si poteva sempre fare qualcosa di più, soprattutto favorire
un'incidenza più vasta di questo insegnamento. Non bisogna però dimenticare che le
attrezzature e gli impianti - come detto prima - erano carenti (parlo sempre degli anni
'60 e di buona parte degli anni '70). Inoltre, la stessa categoria dei docenti di
educazione fisica non aveva avuto un retroterra di adeguata preparazione: molti
insegnanti di educazione fisica, negli anni 50' e '60, erano stati un po' "rabberciati", gli
stessi diplomati dell'ISEF erano ancora quelli delle accademie di Roma e Orvieto; la
maggioranza degli insegnanti non era professionalmente qualificata e viveva anche
una situazione di soggezione, che non sempre era fondata, rispetto agli altri insegnanti
forniti di laurea. In più, cosa molto importante, nei processi educativi, che nella nuova
scuola media cominciavano ad essere elaborati con maggiore completezza e con
maggiore - diciamolo pure - cultura, con un respiro sempre più ampio, la scarsa
preparazione dei docenti di educazione fisica impediva loro di inserirsi a pieno titolo
nella programmazione didattica. Quindi, un po' per l'atipicità della disciplina, da
sempre considerata come eminentemente pratica, e un poco per questa difficoltà da
135
parte dei docenti di educazione fisica di inserirsi, farsi coinvolgere e coinvolgere nel
discorso complessivo degli organi collegiali, la situazione dell'insegnamento di questa
materia era sicuramente perfezionabile.
Per garantire maggior credito e più spazio a questa disciplina - secondo me - l'unica
cosa che si poteva fare era di potenziare e perfezionare il corso di studi degli ISEF,
dando la possibilità ai futuri insegnanti di educazione fisica di rafforzare la propria
preparazione ed essere parte integrante nel contesto della programmazione scolastica.
4) D. - Il rapporto scuola - CONI, ha portato più benefici o più danni allo
sviluppo dello sport (nel senso pedagogico-scolastico) nella scuola? Il CONI era (ed è
ancora) davvero alla esclusiva ricerca dei talenti, delle «promesse»?
R. - La risposta è che sicuramente ha portato più benefici. Poi non dobbiamo escludere
che a livello locale, a livello periferico magari per distorsioni, fraintendimenti, si siano
verificate delle incomprensioni, questo è accaduto. Ma, per il resto, il CONI deve
perseguire evidentemente le proprie finalità istituzionali, e non ci dobbiamo stupire
che esso vada alla ricerca di promesse. Su questo non c'è dubbio. Soprattutto negli
ultimi 25 anni è indubbio che il CONI abbia prestato una grande attenzione alla
diffusione e al tipo di diffusione delle pratiche sportive nelle scuole, nel senso che essa
si è ingigantita ed ha portato ad un miglioramento complessivo dei benefici aspetti
dello sport per ciò che riguarda l'individuo e le classi studentesche. Attraverso
quest'azione, direttamente o indirettamente, coloro che già avevano delle particolari
capacità, hanno avuto maggiori possibilità di emergere, di mettersi in mostra e di
essere quindi adocchiati dalle società sportive e dal CONI.
In conclusione, avendo la scuola potenziato, migliorato, anche scientificamente,
l'insegnamento dell'educazione fisica e sportiva, e avendo anche promosso iniziative
che favorivano competizioni, gare, trofei, è chiaro che s'è data anche l'occasione al
CONI di poter individuare gli elementi della gioventù studentesca che potevano
ottenere i risultati più apprezzabili.
136
5) D. - Quanto ha pesato - e quanto continua a pesare - sull'attività sportiva
nella scuola l'art. 3, punto 2, dell'ordinamento del CONI, quando afferma che «[il
CONI] coordina e disciplina l'attività sportiva comunque e da chiunque esercitata»?
R. - Questa domanda può sembrare un tantino polemica, nel senso che può far pensare
ad una prevaricazione del CONI a danno dell'autonomia dell'istituzione scolastica. Se
il CONI istituzionalmente deve coordinare e disciplinare l'attività sportiva comunque e
da chiunque esercitata, dobbiamo vedere quali remore, quali condizionamenti crea
questa disposizione nei confronti della normativa sulla scuola.
Andiamo con ordine: nella scuola abbiamo un insegnamento - educazione fisica e
sportiva - che possiamo esercitare bene, benissimo, o male, malissimo, con tutti gli
effetti positivi e negativi che ne derivano. Tale insegnamento risulterà tanto più
positivo quanto più sarà inserito nel contesto della programmazione con tutti gli altri
insegnamenti, il cosiddetto "piano dell'offerta formativa", e considerato per gli effetti
che esso può dare per la crescita dell'uomo, del cittadino democratico e lavoratore.
Nulla vieta poi che la scuola, soddisfatti i propri compiti educativi anche attraverso
l'educazione fisica, ponga in essere delle attività che possano servire anche per fini
diversi: ad esempio, i Giochi della Gioventù, promossi dal CONI e dalla scuola, che
miravano anche a fare emergere, fuori dalla realtà scolastica, quelle figure di studenti-
atleti capaci di prestazioni di notevole valore. Se, in questa ottica specifica, il CONI
collaborava a gestire l'organizzazione sportiva, non mi pare che si ponesse in alcun
modo in contrasto con l'azione educativa della scuola. Tanto più che molti giovani,
prescindendo dalle iniziative della scuola, frequentano anche delle società sportive, per
hobby, per passione, o perché poco a poco vi si trovano coinvolti.
Purtroppo, non tutti i dirigenti del CONI e della scuola avevano ben chiari i termini
della questione, per cui sono nate polemiche ed incomprensioni nel senso che, da una
parte, si accusava la scuola di non valorizzare gli atleti, gli studenti dotati di specifiche
capacità sportive, e dall'altra si replicava che la scuola - giustamente - non doveva
preoccuparsi di evidenziare gli atleti, ma doveva fornire un'educazione sportiva a tutti
gli alunni. Se poi emergeva - nell'ambito scolastico - un atleta, tanto meglio.
137
Con questi chiarimenti noi possiamo affermare che l'articolo 3, punto 2,
dell'ordinamento del CONI non poteva che avere effetti positivi anche nell'ambito
scolastico. Se non li ha sempre avuti, ciò è dipeso dalla visione miope che qualche
volta può aver condizionato l'azione degli operatori dell'una e dell'altra parte.
6) D. - Dal dopoguerra ad oggi, nella politica seguita dal legislatore, è
ravvisabile una linea coerente di intervento - con un senso preciso - oppure vi è stata
una normativa disorganica e contraddittoria?
R. - Si possono dire due cose: in generale, i funzionari responsabili avevano le idee
chiare, a livello teorico, nello stabilire gli interventi necessari; ma nel momento in cui
tali interventi venivano recepiti dalla realtà concreta, potevano dar luogo ad infinite
polemiche e contestazioni. Così, ad esempio, il principio di aprire le palestre
scolastiche alle società sportive poteva provocare la reazione dei bidelli, che si
rifiutavano di pulire i locali in seguito ad attività extrascolastiche, o che lamentavano
danni prodotti alle attrezzature.
Ad ogni modo, possiamo dire che, almeno a partire dagli anni '60 - e questa è la
seconda osservazione - la linea legislativa è sempre stata coerente e molto disponibile:
molto è stato fatto per favorire la pratica sportiva nella scuola, anche se non sempre si
è potuto realizzare ciò che si voleva. Va poi detto che questa linea coerente si è
scontrata, in anni successivi, con altre difficoltà, quando la scuola è stata caricata di
tante cose, nel periodo della contestazione, della crisi, delle incertezze, dei
cambiamenti che hanno in parte distratto il mondo educativo da tale linea.
7) D. - Il legislatore si è anche preoccupato di utilizzare lo sviluppo
dell'organizzazione e della pratica sportiva nella scuola come antidoto al disagio
giovanile (droga, estremismo politico, ecc.)?
R. - Più che una preoccupazione del legislatore, era proprio la comunità scolastica nel
suo insieme che doveva utilizzare anche la pratica sportiva come antidoto al disagio
giovanile. Abbiamo sentito dire tante volte che chi praticava lo sport non pensava alla
droga, all'estremismo politico, ecc. Per la verità non si può pensare che questo fosse
l'unico rimedio. Anche la società nel suo insieme, la famiglia, tutte le strutture sociali,
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la vita della collettività dovevano far fronte al problema del disagio giovanile, ma non
vi erano idee chiare sulla condotta da tenere. Probabilmente - anzi sicuramente - la
pratica sportiva ha contribuito ad alleviare il disagio giovanile, ma non vi sono
formule, rimedi che il legislatore potesse usare contro di esso, perché il disagio
giovanile è frutto di una situazione molto più ampia, molto più complessa, che
coinvolge tutti ed anche sicuramente l'istituzione-scuola, ma non solo. Non si deve
perciò pensare che la pratica sportiva abbia una priorità o una specifica responsabilità
nella lotta contro il disagio giovanile. Si può invece aggiungere che oggi gli insegnanti
e i docenti di educazione fisica possono offrire un più efficace contributo perché sono
più preparati, sono più consapevoli, sono meglio inseriti nella problematica
complessiva, e certamente, siccome la pratica sportiva costituisce una grande attrattiva
per il mondo giovanile, dobbiamo presumere che essa possa portare a un maggiore
vantaggio per risolvere anche problematiche come quelle del disagio giovanile. C'è in
ballo tutto il problema di quello che la scuola fa e di come la scuola lo fa sotto il punto
di vista dell'educazione.
8) D. - Come vede, alla luce della prossima riforma dei cicli, il ruolo dello
sport nella scuola dell'autonomia?
R. - Per come sono stati disegnati e presentati, e per le reazioni che ne sono seguite, io
non credo che la riforma dei cicli possa incidere negativamente - o anche in senso
positivo - in ordine al ruolo dello sport nella scuola: i cicli hanno una fisionomia ben
definita come momento organizzativo dell'ordinamento.
Ma quello che è importante è il contesto di innovazione che sta per verificarsi
all'interno della scuola, grazie al processo di autonomia in atto. In certe scuole, dove la
sensibilità sportiva dei docenti è più forte, grazie all'autonomia, noi dovremmo avere
una maggiore attenzione per i problemi dello sport. E anche una maggiore apertura
della comunità scolastica nei confronti delle comunità sportive e del mondo sportivo.
Ogni scuola potrà aprirsi al mondo esterno in base alle caratteristiche territoriali e
alle discipline maggiormente presenti sul territorio.
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Il discorso sui cicli d'istruzione è relativo: come si comporteranno - con o senza cicli
- i consigli di classe? Sapranno veramente essi interpretare le esigenze, capire, magari
anche anticipatamente i pericoli cui vanno incontro determinate classi? Sapranno
veramente realizzare un piano dell'offerta formativa della scuola non dimenticando che
esso non è un cliché duplicabile in serie, ma che deve aggiornarsi anno per anno,
differenziarsi in relazione alle caratteristiche delle classi che arrivano nella scuola, al
contesto territoriale, familiare ecc.?
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