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1 UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PARMA FACOLTA' DI GIURISPRUDENZA CORSO DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA "La normativa sportiva nella scuola nella seconda metà del '900" Relatore: Chiar.mo Prof. Giovanni Gonzi Tesi di laurea di: Damiano Baronchelli Matricola 75598 Anno Accademico 2000-2001

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PARMA

FACOLTA' DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA

" L a n orm ativa sp ortiva n ella scu o la n ella secon d a m età d el '900"

Relatore:

Chiar.mo Prof. Giovanni Gonzi

Tesi di laurea di:

Damiano Baronchelli

Matricola 75598

Anno Accademico 2000-2001

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INDICE - Premessa: "Le ragioni di una scelta"………………………………… I

- Introduzione:

1-"L'educazione fisica nella scuola italiana dall'Unità

d'Italia alla fine della seconda guerra mondiale"……….. IV

2-"Lo sport nella scuola"……………………………………XIV

- Capitolo primo:

"LO SPORT FA IL PROPRIO INGRESSO UFFICIALE

NELLA SCUOLA"

1.1 Una difficile ripresa………………………………… 1

1.2 Si discute di sport………………………………….. 3

1.3 Lo sport entra nella scuola………………………… 6

1.4 Una voce fuori dal coro…………………………… 16

1.5 I nuovi programmi………………………………… 20

Note al cap. 1………………………………………. 23

- Capitolo secondo:

"LA SCUOLA COME LABORATORIO DELLA

ATTIVITA' SPORTIVA GIOVANILE"

2.1 Una legge organica……………………………… 25

2.2 I Gruppi Sportivi Scolastici……………………… 27

2.3 I Giochi della Gioventù………………………….. 38

2.4 La normativa sanitaria…………………………… 50

2.5 …e quella assicurativa…………………………… 54

2.5.1 La SPORTASS…………………………. 56

Note al cap. 2…………………………………. 59

- Capitolo terzo:

"CAMBIA LA FORMA, RIMANE LA SOSTANZA

(CON QUALCOSA IN MENO)"

3.1 Un'indagine conoscitiva…………………………… 62

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3.2 I Decreti Delegati…………………………………. 65

3.3 Oltre l'orario scolastico…………………………… 72

3.4 L'organizzazione amministrativa…………………. 72

3.5 L'evoluzione dei programmi………………………. 76

3.5.1 La scuola elementare………… 76

3.5.2 La scuola media……………… 81

3.6 I Centri Olimpia…………………………………… 85

3.7 Il Concorso Esercito-Scuola………………………. 88

Note al cap. 3……………………………………… 89

- Capitolo quarto:

"ALLA RICERCA DI UN'IMPROBABILE INTESA"

4.1 Il primo Protocollo d'intesa……………..……………… 90

4.2 Il fallimento di uno sport per tutti………………..…….. 97

4.3 Si tenta una sperimentazione………………………….... 100

4.4 Quindicimila firme di protesta giungono al ministero…. 102

Note al cap. 4……………………………………….. 109

- Capitolo quinto:

"FINISCE UN SECOLO: LA SITUAZIONE E'

ANCORA APERTA"

5.1 L'Associazionismo sportivo scolastico……….… 110

5.1.1 Un fallimento che non sorprende……… 110

5.1.2 Una nuova sperimentazione…………… 114

5.1.3 Il Protocollo contestato……………….. 119

5.1.4 Il modello francese, l'unica strada

percorribile?…………………………. 121

5.2 Il progetto Perseus……………………………… 124

5.3 All'Università…………………………………… 135

5.3.1 Si laureano anche gli insegnanti di E. F 135

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5.3.2 La sentenza della Consulta del 1990….. 138

5.3.3 La protesta degli studenti ISEF……….. 141

5.3.4 Lo sport universitario…………………... 145

5.3.4.1 Una continuità da valorizzare… 145

5.3.4.2 Excursus storico……………… 147

5.3.4.3 Il CUS Parma………………… 150

Note al cap. 5………………… 152

- Capitolo sesto:

"CONCLUSIONI E PROSPETTIVE"

6.1 Un triste bilancio………………………… 154

6.2 Un caso limite…………………………… 160

6.3 Quali prospettive?………………………. 162

Note al cap. 6………………………… 166

- Appendice:

INTERVISTA AL DOTT. ENZO GIFFONI……… 167

- Bibliografia:

LETTERATURA …………………………………. 177

FONTI NORMATIVE……………………………. 181

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PREMESSA

LE RAGIONI DI UNA SCELTA

Lo sport, come atleta, come spettatore, come lettore e "scrittore", occupa la prima

posizione nella graduatoria dei miei interessi.

Sono stato avvicinato al basket (ma allora veniva chiamato "pallacanestro") a sei

anni; ora ne ho trentadue e l'amore per questa attività sportiva è rimasto immutato:

gioco ininterrottamente da ventisei anni e dal 1987 ne scrivo anche, su quotidiani,

riviste, periodici.

Durante gli anni delle scuole medie, inferiori e superiori, partecipai ai Giochi della

Gioventù ed ai Campionati Studenteschi come cestista, contribuendo a conquistare

sempre ottimi piazzamenti nella fase provinciale.

Alle superiori mi avvicinai anche all'atletica leggera: nella specialità del "lancio del

disco" ottenni buoni risultati, aggiudicandomi diverse gare fra cui il titolo di campione

provinciale studentesco nel 1984. Forse, anche a detta di alcuni tecnici, avrei potuto

fare di più in questa specialità, ma la passione per il gioco di squadra era troppo forte

per poter pensare di abbandonare definitivamente il gruppo, lo "spogliatoio", dover

rinunciare ad un'attività collettiva, aggregante, in cui i risultati si raggiungono

sudando, soffrendo e divertendosi insieme, a vantaggio di una disciplina individuale,

molto gratificante anch'essa, ma che ti lascia inesorabilmente solo con te stesso

durante gli allenamenti e, soprattutto, durante le competizioni.

Pratico anche il nuoto, non a livelli agonistici, ma come forma di allenamento nella

stagione estiva, quando i campionati sono sospesi. Possiedo il brevetto di "Bagnino di

Salvataggio" che, unitamente all'attività di pubblicista ed a quella di "addetto stampa"

di una società di basket di serie B d'Eccellenza, mi consente quel po' di autonomia

economica di cui necessita uno studente universitario.

Questa varietà d'impegni ha in qualche misura rallentato la mia carriera universitaria.

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L'amore per lo sport mi è stato, almeno in parte, trasmesso da mio padre. Grazie a

lui, forse il più "titolato" professore di Educazione Fisica della provincia di Brescia,

l'istituto nel quale insegnava, l'I.T.C. "Bazoli" di Desenzano del Garda, pur non

potendo competere con le altre scuole della provincia per numero di alunni, ha sempre

primeggiato, nel lungo periodo del suo servizio, nelle manifestazioni sportive

provinciali, partecipando in un paio di occasioni anche alle finali nazionali.

Lo sport è comunque un "male di famiglia": un fratello di mio padre fu campione

italiano nella specialità del salto con l'asta nel 1960, quando sfiorò la partecipazione

alle Olimpiadi romane. Un cugino, sempre da parte paterna - G.B. Baronchelli - a

cavallo fra gli anni '70 e '80 è stato ciclista professionista di buon livello, vantando

numerose vittorie ed i secondi posti al Giro d'Italia 1974 ed al Campionato del mondo

1980.

Non deve meravigliare, dunque, se una volta giunto in "dirittura d'arrivo" con gli

esami universitari, non ho avuto dubbi sulla scelta della materia in cui mi sarei voluto

laureare. Il mio vivo interesse per lo sport e il contatto costante con l'ambito scolastico

(oltre a mio padre anche mia madre e mia nonna sono state insegnanti) spiegano il

desiderio, da parte mia, di voler capire il più possibile a fondo il rapporto tra scuola e

sport, che è stato l'elemento centrale della mia vita fino ad oggi.

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INTRODUZIONE

1 - L'EDUCAZIONE FISICA NELLA SCUOLA ITALIANA DALL'UNITA'

D'ITALIA ALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

L'insegnamento e la pratica dell'educazione fisica, se rapportato agli altri Paesi

europei, ha, in Italia, radici relativamente recenti: precisamente con la L. n. 3725 del

13-11-1859, universalmente conosciuta come "Legge Casati", prima legge organica

della scuola italiana che introduce la "ginnastica" quale disciplina di insegnamento.

In precedenza, nel 1833, dietro proposta del ministero della Guerra del Regno di

Sardegna, il celebre ginnasta svizzero Rodolfo Obermann era stato incaricato

dell'insegnamento della ginnastica ai pontieri ed agli artiglieri di Torino. Siamo in

epoca preunitaria e, come si può notare, l'insegnamento della ginnastica in Italia ha

carattere militare e non pedagogico.

Lo stesso Obermann, ormai divenuto torinese d'adozione, nel 1844, unitamente al

conte Riccardi di Netro fondò la "Società Ginnastica" di Torino presso cui, tre anni più

tardi, venne organizzato il primo corso di ginnastica. A questa istituzione spetta il

grande merito di aver iniziato un tipo di ginnastica educativa e formativa ben diversa

da quella militare.

Bisogna però attendere il 1851 per vedere introdotto -obbligatoriamente- questo

insegnamento nelle scuole elementari superiori del municipio di Torino, con

l'istituzione di una direzione per la ginnastica nelle scuole comunali.

Si giunge così alla Legge Casati del 1859, quando il processo di unificazione

nazionale non era ancora stato completato; anche dopo l'Unità si verificò comunque

una situazione differenziata: a causa della mancata estensione della legge Casati a tutto

il Regno, per un certo periodo seguitarono ad applicarsi, in alcune province, le

normative degli Stati annessi.

L'art. 8 del Cap.1 della L. n. 3725 del 13-11-1859 precisa che: "La ginnastica e gli

esercizi militari saranno insegnati in tutti gli istituti di istruzione secondaria a

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qualunque grado e a qualunque classe appartengono. Il capo dell'istruzione pubblica

nominerà i maestri di ginnastica e l'istruttore militare".

La legge Casati determinò anche l'istituzione dei primi corsi magistrali di ginnastica

a Torino ed a Genova nel 1861, a Napoli nel 1864. Questi corsi erano rigorosamente

maschili; bisognava attendere il 1867 perché - sempre a Torino - venga istituito un

corso femminile, della durata di due mesi, riservato alle allieve in possesso di diploma

di maestra elementare. Si tratta delle prime iniziative per la formazione degli

insegnanti.

In seguito, con R.D. 29-6-1874, n. 2044, venne tenuto in Torino il primo corso della

"Scuola Normale di Ginnastica" al fine di preparare i docenti all'insegnamento di

questa materia. Nel 1877, un'analoga iniziativa venne istituita in Bologna presso la

Società Ginnastica Virtus.

Solo nel 1878 il ministro De Sanctis, con la L. n. 4442 del 7-7-1878, darà una

impostazione logica alle frammentarie disposizioni legislative sin allora emanate per

regolare ordinamento, mezzi, programmi ed insegnanti necessari per impartire un

regolare insegnamento della disciplina. Con questa legge, preceduta da un

tribolatissimo iter parlamentare, si rende finalmente obbligatorio l'insegnamento della

ginnastica "educativa" nelle scuole secondarie, normali, magistrali ed elementari.

Anche qui, come nella precedente legge Casati, si risente dell'impronta

"militareggiante" propria dei tempi; ma, a differenza del passato, questa legge prevede

una ginnastica caratterizzata da finalità altamente educative.

Purtroppo essa non sortì risultati concreti: nei bilanci non vennero infatti iscritti i

necessari stanziamenti per attuarla; inoltre era ancora molto radicato lo scetticismo nei

confronti dell'effettiva utilità di questo insegnamento e la mancanza delle strutture non

ne favorì certo l'attuazione. In ogni caso la legge De Sanctis ha il merito di essere la

prima legge dedicata esclusivamente all'insegnamento della ginnastica come materia

scolastica.

Il problema dell'insegnamento della ginnastica riemerge nel 1893, in seguito al

crearsi di quattro scuole di pensiero, "Come ben sintetizza Michele Di Donato, erano

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quattro le principali correnti: i cosiddetti "conservatori", che facevano capo ad Alberto

Gamba di Torino; i cosiddetti "riformatori", sostenitori di una "ginnastica naturale",

che avevano il maggior esponente in Emilio Baumann; i fautori dell'indirizzo sportivo

e cioè della sostituzione della ginnastica con i "giuochi inglesi", guidati da Angelo

Celli, docente di igiene all'Università di Roma, e soprattutto da Angelo Mosso; i

sostenitori della "ginnastica svedese", che facevano capo a Luigi Pagliani, docente di

igiene all'Università di Torino" (1).

Nello stesso anno il ministro della Pubblica Istruzione, Martini, nomina una

Commissione, presieduta dal sen. Todaro, per lo studio di un programma di

insegnamento dell'educazione fisica "corrispondente alle condizioni della scuola ed

all'indole della gioventù italiana". Questa Commissione si definisce "Commissione per

l'Educazione Fisica", a "significare più nettamente l'indole del proprio compito ed il

metodo dei suoi lavori"(2).

La vera innovazione stava nell'aver sostituito, per la prima volta in maniera

ufficiale, le parole "educazione fisica" al termine "ginnastica".

Poco dopo (1906), viene fondata la "Federazione scolastica di educazione fisica",

con lo scopo di associare le società ginnastiche scolastiche italiane (quelle preposte

alla preparazione dei futuri docenti) e di diffondere l'educazione fisica tra gli studenti.

Fu però con la L. 26-12-1909, n. 805, nota come "legge Daneo" (dal nome del

ministro della P.I.), che si giunse all'approvazione di un'altra legge organica

sull'educazione fisica in Italia. Essa fu autentica " pietra miliare nell'avanzamento

verso un ideale di educazione fisica da lungo tempo vagheggiato e divenuto maturo

negli spiriti degli educatori più eletti. E tale veramente fu: modello insuperato di

sapienza legislativa e pedagogica"(3). Con tale legge si stabilisce l'obbligatorietà, per

gli alunni, di uno specifico corso di educazione fisica in ogni scuola pubblica, primaria

o media, maschile o femminile. Le norme per l'attuazione di detta legge sono

approvate con R.D. 22-12-1910, n. 959, con ministro Credaro.

Per quanto concerne la preparazione dei docenti, dall'ottobre 1910 le Scuole normali

di ginnastica di Torino, Roma e Napoli sono trasformate in Istituti di magistero per

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l'abilitazione all'insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole medie. Il corso -

biennale - presuppone il possesso di licenza liceale o di un titolo di studio

equipollente.

La legge Daneo-Credaro regolerà l'insegnamento dell'educazione fisica sino alla

riforma Gentile del 1923. Essa fu in larga parte inattuata, ma ha senz'altro avuto il

merito di aver dischiuso nuovi orizzonti all'educazione fisica.

Gli anni immediatamente precedenti allo scoppio del primo conflitto mondiale

vedono l'istituzione (1913) di una "Commissione reale della educazione fisica",

composta prima da undici e poi da quindici membri, di cui fa parte anche un

rappresentante delle Federazioni sportive nazionali: è la prima forma di rapporto

ufficiale tra la scuola e le istituzioni sportive.

La guerra mondiale provoca una totale stasi per quanto concerne lo sviluppo e la

diffusione dell'educazione fisica.

A guerra conclusa si formano due diverse scuole di pensiero, in netta antitesi tra

loro: la prima tendente a distaccare dal ministero della P.I. l'educazione fisica per

formare un Ente parascolastico autonomo; l'altra - viceversa - voleva mantenere

l'educazione fisica nell'ambito del ministero.

Si giunge così al nuovo ordinamento attuato con la cosiddetta riforma Gentile,

istituita con i decreti legislativi emanati dal governo in virtù della delega conferitagli

dal Parlamento con L. 3-12-1922, n. 1601, che, forse per l'impostazione idealistica del

ministro che privilegiava l'attività dello spirito, fa propria la prima delle opzioni

suesposte attuando il distacco fra ministero ed educazione fisica (4).

Proprio per mano di Gentile, primo sostenitore dell'unità educativa, viene così

infranto il principio basilare dell'unità pedagogica. Con il R.D. 15-3-1923, n.684, è

istituito l'Ente nazionale per l'educazione fisica (ENEF) e viene disposto che "gli

alunni di tutte le scuole medie governative e pareggiate dipendenti dal Ministero della

Pubblica Istruzione compiranno la propria educazione fisica presso le società

ginnastiche e sportive all'uopo designate" dall' ENEF (art.3) (5). I tre Istituti di

magistero di educazione fisica (Torino, Roma, Napoli) vengono soppressi e, in

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maniera alquanto sbrigativa, gli insegnanti in servizio tutti licenziati. Questi ultimi,

quando non sono assunti dal nuovo Ente o riassunti dallo Stato in altri uffici od in altri

insegnamenti (avendone il titolo), vengono messi a riposo con i trattamenti allora in

vigore.

I compiti, propri dei tre Istituti di magistero di educazione fisica, furono assunti dalla

neonata Scuola Superiore di Educazione Fisica, creata nel 1925, con sede a Bologna,

aggregata alla facoltà di Medicina e Chirurgia. Questa istituzione funzionò per circa un

biennio. Venne a sua volta rimpiazzata, ma si dovette attendere il 1932, dalla "Regia

Accademia Fascista di educazione fisica e giovanile di Roma", avente personalità

giuridica ed autonomia amministrativa, didattica e disciplinare.

La riforma Gentile mostra però - almeno in questo settore- grandi deficienze, e

l'ENEF ebbe di conseguenza vita breve. Fu quindi pressoché automatico deciderne la

soppressione e destinare le competenze in materia di insegnamento dell'educazione

fisica all' Opera Nazionale Balilla (ONB), istituita nel 1926 "per l'assistenza e

l'educazione fisica e morale della gioventù"(6) ed "inquadrante" i giovani dagli 8 ai 18

anni. Questo passaggio di consegne fu decretato dal R.D.L. 20-11-1927, n. 2341.

L'ONB, dotata di notevoli mezzi finanziari, realizzò numerosi impianti sportivi su tutto

il territorio nazionale.

L'educazione fisica, anche in virtù di una rinnovata finalizzazione a scopi militari,

ricevette una maggiore spinta sportiva, che culminerà nell'organizzazione di

competizioni anche a carattere agonistico. Con l' ONB l'educazione fisica si diffonde

capillarmente nella scuola: sono previste due ore settimanali di lezione e mezza

giornata alla settimana per le esercitazioni all'aperto. Inoltre l'educazione fisica si

riavvicina alla scuola perché, con la trasformazione del ministero della P.I. in

ministero dell'Educazione Nazionale, con competenze pure in materia di educazione

fisica della gioventù, fu istituito, in seno ad esso, un segretariato di Stato per

l'Educazione Fisica e Giovanile.

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Ma pure questa organizzazione non fu particolarmente longeva: il R.D.L. 27-10-

1937, n. 1839, convertito in L. 23-12-1937, n. 2566, istituì la Gioventù Italiana del

Littorio (GIL), la quale assorbe l' ONB.

Con l'avvento della GIL venne nuovamente operato il netto distacco fra scuola ed

educazione fisica: soppresso il Sottosegretariato di Stato per l'Educazione Fisica e

Giovanile, tutto venne posto alle dirette dipendenze del Partito Nazionale Fascista, al

quale la GIL era sottoposta.

La GIL inquadra tutti i giovani di ambo i sessi dai 6 ai 21 anni e svolge compiti di

preparazione spirituale, sportiva e premilitare nonché l'insegnamento dell'educazione

fisica nelle scuole elementari e medie.

Il tormentato iter della legislazione scolastica fascista si conclude con la "Carta della

Scuola", emanata dal Gran Consiglio del Fascismo il 15 gennaio 1939 su iniziativa del

ministro Bottai.

In essa, la IV dichiarazione era dedicata all'insegnamento dell'educazione fisica e

sportiva, alla quale era dato il compito principale di favorire ed assecondare lo spirito

militare. L'educazione Fisica avrebbe dovuto essere impartita secondo "[…] le leggi

della crescenza e del consolidamento fisico, in uno col progresso psichico. La tecnica

degli esercizi tende ad ottenere armonia di sviluppo, validità d'addestramento,

elevazione morale, fiducia in sé, alto senso della disciplina e del dovere"(7).

Nell'ordine universitario, il compito di provvedere all'addestramento sportivo e

militare dei giovani è affidato ai Gruppi Universitari Fascisti (GUF).

Con la L. 22-5-1939, n. 866, viene soppressa la Regia Accademia Fascista di

educazione fisica e giovanile di Roma ed in sua vece vengono create l'Accademia della

GIL, con sede in Roma, e l'Accademia femminile della GIL con sede in Orvieto.

Queste Accademie hanno corsi di durata triennale e conferiscono agli allievi un

diploma che abilita all'insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado. "Gli

insegnanti di educazione fisica, pur rimanendo alla dipendenza tecnica, amministrativa

e disciplinare del comando Federale della GIL, sono subordinati al capo dell'Istituto

per l'attività che svolgono nella Scuola, e sono tenuti all'osservanza degli obblighi

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scolastici derivanti dal proprio insegnamento": in questi termini vennero regolati dalla

L. 14-11-41, n. 1361, i rapporti tra la GIL e la scuola (8).

Già nello stesso anno una Commissione del comando generale della GIL prese in

esame l'eventualità di portare a quattro gli anni di durata del corso dell'Accademia; la

guerra -però- bloccò ogni iniziativa.

Il rapporto tra le federazioni sportive e le istituzioni del regime preposte

all'educazione fisica non è comunque idilliaco: l'attività sportiva si è sviluppata in

modo notevole, ma va riscontrata una certa tendenza degli organi di regime ad

ostacolare questa crescita. E' sufficiente pensare agli impianti sportivi edificati dall'

ONB, volutamente con misure non conformi ai regolamenti sportivi, oppure alle tante

situazioni di attrito venutesi a creare a livello locale fra le società sportive e le

organizzazioni di regime che in esse vedevano lo sport pre-fascista.

La consacrazione del movimento sportivo, che si era sviluppato indipendentemente

dalle organizzazioni del regime fascista, si ha, dopo anni ed anni di contrasti e

dissapori, con la L. 16-2-1942, n. 426, concernente "Costituzione e ordinamento del

Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI)".

Il crollo del regime fascista, nel 1943, trascina con sé tutte le organizzazioni di

partito: i compiti demandati alla GIL furono così devoluti al ministero della Guerra

(poi ministero della Difesa) ed al ministero dell'Educazione Nazionale (poi ministero

della Pubblica Istruzione) in base alle rispettive competenze. Si attua così, dopo oltre

venti anni, il ritorno in seno al ministero della P.I. delle competenze riguardanti

l'insegnamento dell'educazione fisica.

I compiti della GIL non demandabili ad alcuno dei due anzidetti ministeri (es.

destinazione del patrimonio immobiliare) furono devoluti ad un Ente denominato

"Gioventù Italiana", il quale, in una posizione ed in regime provvisori (avrebbe dovuto

cessare le proprie funzioni entro il termine massimo del 31-3-1950) sopravvisse fino al

1975 quando, con la L. 18-11-1975, n. 764, venne soppresso ed i suoi compiti

trasferiti, su base territoriale, alle Regioni ed alle province autonome di Trento e

Bolzano.

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2 - LO SPORT NELLA SCUOLA

Di sport nella scuola si parla a partire dal 1946. Nel decreto 8-11-1946 n. 383, il

Capo provvisorio dello Stato, su iniziativa del ministro Gonella, approva i programmi

provvisori, a carattere sperimentale, di insegnamento dell'educazione fisica nelle

scuole primarie e secondarie.

Nel testo si legge: "La ginnastica deve anche tendere, nel quadro completo di una

educazione fisica sanamente intesa, alla formazione di abilità pratiche: il che si ottiene

specialmente con lo sport. Sarà bene, quindi, che esso abbia inizio nel periodo della

frequenza scolastica. Lo sport deve mirare ad offrire ad ogni ragazzo la possibilità di

trascorrere una parte del suo tempo nella palestra oppure nel campo all'aperto,

dedicandosi a quelle forme di attività spontanea che meglio rispondono alle sue

attitudini ed alle sue preferenze.

"A tale scopo, nel programma che si presenta, sono comprese esercitazioni, come

quelle di preatletica, che possono considerarsi anelli di congiunzione tra la ginnastica

educativa e lo sport.

"E' opportuno che la scuola, per la finalità di educazione integrale che intende

perseguire, curi essa medesima e controlli tali esercitazioni sportive, mediante la

creazione di suoi propri circoli ed associazioni.

"Promotori ed animatori di tali associazioni scolastiche dovrebbero essere Presidi e

Professori, ai quali spetterebbe il compito di collaborare strettamente con l'insegnante

di educazione fisica, con la loro illuminata azione educativa.

"E' peraltro da tener presente che, nella scuola secondaria, anche lo sport deve

uniformarsi a quella finalità di sviluppo armonico generale che è proprio della

ginnastica metodica, nel senso che non si deve cercare di favorire la formazione di

attitudini e mentalità di specialisti in agonistica, ma creare una disposizione generica,

fisica e mentale, che possa adattarsi alle più svariate forme di sports, instillando quei

principi morali che debbono informarne la pratica.

"Infine è da notare che, considerata l'alta finalità di diffondere l'amore per gli esercizi

fisici e l'abitudine di praticarli anche dopo il periodo della vita scolastica, cioè in tutto

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il corso dell'età giovanile, nell'età adulta, nella maturità e anche oltre, le dette

associazioni studentesche possono rappresentare il tramite tra la scuola e le federazioni

sportive, le quali si occupano precipuamente dell'attività dell'educazione fisica fuori

della scuola"(9).

Questo decreto ha il merito di porre le basi teoriche riguardanti il ruolo e le finalità

dello sport nella vita scolastica.

Chi voglia scrivere la storia della presenza dello sport nella scuola italiana,

nell'ultimo cinquantennio, non può ignorare la problematica teorica che il tema

implica: qual è la distinzione tra sport ed educazione fisica nella scuola? E' giusto che

l'attività sportiva scolastica si concretizzi in finalità di tipo competitivo-agonistico

parallele a quelle delle federazioni e delle società sportive? Quali debbono essere i

rapporti tra organi sportivi scolastici e il CONI?

La normativa emanata dall'ultimo dopoguerra ad oggi non sempre ci aiuta a capire

quale debba essere lo statuto dell'attività sportiva nell'ambito della scuola.

Questo lavoro, oltre ad illustrare l'evoluzione legislativa in proposito, vuole essere

un tentativo di rispondere a queste domande.

NOTE

(1) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, Ed. Le

Monnier, Firenze 1990, pag. 6.

(2) Ivi, pag. 6.

(3) L. D'Arconte, Stato dell'insegnamento dell'educazione fisica, in Annali della pubblica

istruzione, anno II n.3, Roma 1956.

(4) G. Gonzi, La scuola in Italia dalla riforma Gentile ai giorni nostri, Ed. Casanova, Parma

1991, pp. 8 ss.

(5) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit., pag.

12.

(6) Ivi., pag. 13.

(7) G. Gonzi, La scuola in Italia dalla riforma Gentile ai giorni nostri, cit. pag. 55.

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(8) L. Trevisi, Legislazione-regolamentazione-organizzazione dell'educazione fisica e

sportiva nella scuola italiana, volume secondo - parte prima, Ed. Centro studi per l'educazione fisica

di Bologna, Bologna 1961, pag.20.

(9) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit., pag.

22.

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CAPITOLO PRIMO:

"LO SPORT FA IL PROPRIO INGRESSO UFFICIALE NELLA SCUOLA"

1.1 UNA DIFFICILE RIPRESA

Non è stato facile - al termine della guerra - intraprendere il cammino della ripresa.

Anche la scuola ha avuto davanti a sé un duro e difficoltoso percorso. In modo

particolare, a causa di una avversione per tutto quanto era stato utilizzato e

strumentalizzato dal regime fascista, l'insegnamento dell'educazione fisica e sportiva

venne trattato con diffidenza. Questa realtà del passato, capace di influenzare

negativamente il primo dopoguerra, è stata evidenziata da Eugenio Enrile con queste

parole: "Noi italiani viviamo un po' di impressioni e quando ci siamo fatti un'idea,

anche superficiale su un argomento, ci riteniamo paghi e spesso rifuggiamo

dall'approfondimento. Pochi Governi hanno valorizzato l'educazione fisica come

quello fascista, però si è ecceduto in zelo. Come avviene in tutti i regimi politici in cui

le idee conduttrici portano alla centralizzazione dei poteri, alla attività fisica si era data

una finalità interessata, snaturandone e svisandone le peculiarità. Essa era divenuta un

mezzo, forse il più importante, di vitalizzazione nazionale, la condizionatrice di ogni

programma giovanile e la base ineliminabile di partenza per un cammino che aveva

evidenti colorazioni oltranziste.

Ciò poteva essere esatto allora, perché consono ai tempi, ma per la nostra abitudine

alle generalizzazioni il binomio educazione fisica - fascismo è sopravvissuto.

Nell'immediato dopoguerra, insegnare ginnastica significava, come altri argutamente

dice, «evocare i fantasmi! »" (1).

Ulteriori ragioni che contribuiscono ad emarginare questo insegnamento nel primo

dopoguerra vanno ricercate nella carenza di palestre e attrezzature, aggravata dalle

distruzioni dovute agli eventi bellici e dalla destinazione ad altri usi di molti degli

impianti sportivi superstiti.

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Il dott. Enzo Giffoni, già sovrintendente scolastico per la regione Lombardia, autore

- fra l'altro - di un celebre Manuale per il preside di Scuola media, ricorda di aver

visto, ancora negli anni '60, palestre adibite a magazzini comunali, a sala-prove per

bande musicali di paese e così via. Inoltre, la necessità di ricorrere ad orari scolastici

ridotti, la carenza di insegnanti e le difficoltà riguardanti la riorganizzazione in seno

all'amministrazione scolastica di un servizio dipendente dall'ex GIL contribuirono in

modo determinante alla stentata ripresa dell'attività fisica nella scuola. Gli stessi

insegnanti di educazione fisica non erano visti di buon occhio essendo stati, spesso, i

rappresentanti del partito fascista nei Consigli di classe.

Con decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato del 29 maggio 1947, n. 936,

viene istituito, alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione, un ruolo

transitorio degli insegnanti di educazione fisica in possesso del titolo abilitante. Un

ufficio speciale per l'E.F. fu poi creato in seno al Ministero, mentre presso ciascun

Provveditorato agli studi un insegnante assolveva la funzione di "coordinatore" dei

servizi scolastici di educazione fisica. Dopo quasi venticinque anni l'educazione fisica

italiana stava rientrando nella scuola, cioè nella sua vera sede.

Tutti coloro che per motivi politici, o a causa del servizio militare, non avevano

potuto completare il corso di studi presso le Accademie della GIL di Roma e Orvieto

ebbero la possibilità di terminare gli studi in base alla disposizione della L. 3 giugno

1950, n. 515 (Istituzione di due corsi speciali per il completamento degli studi seguiti

negli Istituti di educazione fisica).

1.2 SI DISCUTE DI SPORT

Lo "sport nella scuola" torna a far capolino nel 1948 quando, al secondo Congresso

Nazionale di educazione fisica svoltosi a Roma, si approvò la seguente mozione:

"L'Assemblea del 2° Congresso Nazionale di E.F., dopo un accurato e approfondito

esame dell'argomento riguardante l'attività fisico-sportiva nella Scuola, considerato:

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- che l'animo dei giovani indubbiamente è proteso verso una forma di

educazione fisica che non escluda dai suoi programmi l'attività sportiva;

- che gli insegnanti di educazione fisica non possono e non debbono

trascurare quelle che sono le manifestazioni più spontanee e naturali della psiche

giovanile;

- che ogni forma di attività sportiva praticata dai giovani della Scuola

deve essere mantenuta in limiti e forme puramente educativi e non contrastanti con le

leggi relative allo sviluppo fisico dei giovani;

- che solo la Scuola, per le sue intrinseche finalità tese ad una educazione

integrale ed armonica dei giovani, può dare alla attività sportiva nella scuola tale

aspetto e tale forma, anche perché ha negli insegnanti di educazione fisica i tecnici

all'uopo necessari;

esprime il parere che la Scuola avochi a sé la prerogativa di ogni iniziativa in tal senso.

[Esprime] tuttavia la volontà che la prestazione d'opera da parte degli insegnanti di

educazione fisica sia, sotto ogni forma, libera, e qualora siffatta attività avesse a

richiedere un numero di ore superiore all'orario d'obbligo previsto per l'insegnamento

scolastico della educazione fisica, sia adeguatamente retribuita" (2).

Lo sport -insomma- viene finalmente visto come una componente essenziale

dell'educazione dei giovani.

L'anno seguente, nella sua relazione letta, agli insegnanti di educazione fisica, al 3°

Congresso tenutosi a Firenze il 10 dicembre 1949, il prof. Italo Perotto affermava: "Lo

sport, concepito e praticato in esclusiva funzione educativa, operante nella sede

naturale dell'educazione, cioè la scuola, moderato e disciplinato dagli educatori fisici,

costituisce il necessario mezzo di potenziamento di tutte le facoltà fisiche degli alunni,

un valido fattore di formazione morale e il logico coronamento dell'educazione fisica

scolastica" (3). Si cerca, in questo modo, di stabilire una netta distinzione fra sport

educativo scolastico e sport extrascolastico, quest'ultimo accusato di tentativi di

intromissione, con fini spesso economici o politici, e poco propenso ad intendere la

vera essenza dello sport scolastico, attuato in funzione di un completo processo di

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educazione fisica e morale degli alunni. Da questa contrapposizione tra le due

concezioni che ispirano lo sport "comune" e lo sport scolastico nasce la convinzione

che l'insegnamento deve essere prerogativa esclusiva dell'insegnante di educazione

fisica, in possesso di quella attitudine professionale e capacità didattica derivata dagli

studi compiuti, e non da allenatori, tecnici, dirigenti o -peggio- organizzatori che si

curano solo del risultato tecnico e del prestigio delle Società. Nessun allenatore

sportivo, pur abile e competente, dovrebbe sostituirsi all'educatore fisico nell'ambito

dello sport scolastico, perché la preparazione pedagogica, la sensibilità educativa e

l'esperienza di insegnamento gli fanno difetto, e senza quelle la sua opera sarà nulla, se

non addirittura controproducente. Non basta essere fautori appassionati e convinti

dell'idea sportiva per volerla attuare sic et simpliciter negli ordinamenti scolastici.

Lo sport scolastico è una parte del "tutto" chiamato educazione fisica: quest'ultima

va intesa come "un processo di svolgimento e potenziamento delle facoltà corporali,

che si attua con un complesso di mezzi prescelti con criteri razionali, in vista di un fine

determinato, laddove lo sport rappresenta solo uno degli strumenti idonei al

conseguimento di quel fine, come del resto è per la ginnastica metodica, preventiva,

correttiva, per i giochi, per l'aero-idro-elioterapia, per il canto corale, per la pratica

dell'igiene, ecc." (4).

Anche l'agonismo, elemento essenziale dello sport inteso in senso generale, deve

essere riesaminato e deve conformarsi, adeguarsi alle finalità che lo sport si prefigge

all'interno della scuola. Esso deve essere applicato con oculatezza e considerato in

ordine ai risultati che può produrre nella didattica generale dell'insegnamento.

Nonostante il monito di questa corrente "purista", alla ripresa dell'insegnamento dell'

E.F. nella scuola dà un rilevante contributo l'organizzazione sportiva. Si ripropone così

il rischio che la logica della pura attività agonistica prenda nuovamente il sopravvento

nella scuola.

1.3 LO SPORT ENTRA NELLA SCUOLA

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Nel triennio 1948-1950 il Ministero della Pubblica Istruzione, nell'ampio quadro

della riforma scolastica allora in elaborazione, guardò con particolare attenzione al

tema dello sport nella scuola, incoraggiando l'approfondimento del problema.

Promosse riunioni di esperti della materia, chiamando in causa la scuola, il Comitato

Olimpico, gli enti sportivi, oltre che gli insegnanti di educazione fisica, i medici e i

giornalisti, al fine di favorire un'estesa discussione, che approdasse a relazioni, studi e

progetti, nella ricerca di punti d'accordo e di un programma soddisfacente.

Il CONI, nella persona del suo segretario generale Bruno Zauli, convinto assertore

degli alti valori morali dell'educazione fisica, e il ministro della Pubblica Istruzione

Guido Gonella, affiancato dal sottosegretario on. Carlo Vischia, posero le basi per una

collaborazione tra le due realtà, costrette in passato a vivere appartate, divise e a volte

in contrasto. Le trattative fra le due istituzioni si protrassero per circa due anni e

giunsero a conclusione con le circolari ministeriali del 19 ottobre 1950, che segnarono

una nuova fase nella storia dell'educazione fisica. Se la prima di queste due circolari

(la n. 154554) valorizza l'educazione fisica assegnandole dignità al pari degli altri

insegnamenti scolastici e attribuendole una funzione non trascurabile all'interno

dell'intero processo educativo, la seconda - la n. 154555 - detta anche "circolare

Vischia", emana norme specifiche per l'attività sportiva, che fa così il proprio ingresso

ufficiale nella scuola come attività integrativa dell'insegnamento dell'E.F. Essa prevede

che "parallelamente allo svolgimento integrale dei programmi in vigore per

l'insegnamento dell'educazione fisica" vengano disposte per tutti gli alunni (maschi)

due attività: la prima a carattere obbligatorio (esercitazioni di marcia e brevetti atletici

per tutti gli alunni delle scuole secondarie) e la seconda a carattere facoltativo (attività

agonistica d'istituto per i soli alunni delle scuole secondarie di secondo grado). Per

l'attività agonistica vengono istituiti i Gruppi Sportivi di Istituto ( la cui disciplina

organica verrà fissata con O. M. 22 novembre 1961, "Ordinamento dell'attività

sportiva scolastica").

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La circolare ministeriale conclude così: "Questo Ministero, con le semplici e pratiche

iniziative sopra segnalate, conta di portare un soffio vivificatore nella vita della scuola

e di affrontare un problema che da lungo tempo attende la sua soluzione.

Il nuovo indirizzo si attua attraverso la pratica di una disciplina sportiva che è in

onore presso tutti i popoli: l'Atletica leggera, che è fatta dei più semplici e naturali

movimenti (marcia, corsa, salti, lanci), e che deve essere aperta a tutti i giovani,

fisicamente sani, nell'ambito della Scuola, la quale se non vuole venire meno al suo

compito della formazione unitaria della gioventù, deve evitare che i giovani cerchino

fuori di essa la soddisfazione delle loro naturali esigenze.

I Sigg. Provveditori, i Capi d'Istituto potranno bene operare nel campo di tali

direttive più di quanto non dica la presente circolare e quelle che ad essa seguiranno. E'

evidente che essi debbono richiamare l'attenzione dei Coordinatori di educazione fisica

e dei singoli insegnanti sullo spirito delle norme sopra esposte e soprattutto far notare

agli insegnanti di educazione fisica che lo sviluppo dei nuovi programmi e delle nuove

attività accresce il loro prestigio, migliora la loro posizione, sia dal punto di vista

morale che da quello materiale. Tutti, insomma, debbono avere piena coscienza come

la nuova attività sia fattore integrante della rinascita della Scuola"(5).

Appaiono espresse in modo eloquente, in queste prime disposizioni, le

preoccupazioni di prendere le distanze da precedenti esperienze che avevano segnato

l'attività motoria nel corso del ventennio fascista: riguardo le esercitazioni di marcia,

infatti, è detto testualmente: "sia allontanato ogni rigidismo di carattere militare". Ad

ogni modo, il testo non sempre riesce a dissimulare lo spirito dei redattori, che rimane

quello di chi si è formato culturalmente in un'altra epoca: ad esempio, quando si parla

di "comando della marcia", da affidare all'insegnante di educazione fisica, oppure

quando si afferma che si "deve fare tutto il possibile perché i chilometri di marcia

siano effettuati con animo lieto, in comunione con i propri insegnanti". Queste

imbarazzanti ascendenze vengono significativamente ed opportunamente eliminate

con una circolare dell'anno seguente: il "comando della marcia" si evolve in "direzione

della marcia" e non v'è più esortazione a "marciare con animo lieto". La circolare

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"Vischia" evidenziava, ma è una significativa espressione dello spirito del tempo, due

concetti decisamente restrittivi: la limitazione della attività ai soli maschi, e la riserva

della pratica dei più semplici e naturali movimenti dell'atletica leggera ai soli giovani

"fisicamente sani". Il famoso "soffio vivificatore" -insomma- toccava solo i meglio

dotati. Già nell'anno successivo, però, si cercò di supplire a queste lacune,

estendendo le suddette attività anche alle alunne, sia pure con molte cautele e con

programmi differenziati. La circolare relativa del 15 ottobre 1951, n.9, si divide

appunto in due titoli, il primo dedicato agli alunni, il secondo - ecco la novità - alle

alunne. Questa seconda parte appare stilisticamente non curata, quasi scritta in fretta,

senza sufficiente riflessione, tanto che indirettamente può alimentare e rafforzare i

pregiudizi sull'educazione fisica come disciplina non culturale. Dopo una premessa

sulle "differenze costituzionali", che impongono una scelta di esercizi adatti alla

"naturale grazia e vivacità delle giovani", si evidenzia l'esigenza di "operare con molta

cura nel campo dell'educazione fisico-sportiva femminile, perché la necessità di un

equilibrio psico-fisico - sia pur regolato ad un livello minore - non è molto sentito

dalla donna". Non è ben chiaro a cosa ci si voglia esattamente riferire con queste

proposizioni: probabilmente è un avvertimento nei confronti dell'operatore scolastico

affinché proceda con ogni cautela su un terreno considerato minato. Questa

impostazione si riflette sul programma delle attività agonistiche che, per le alunne,

prevede solo tre gare individuali: corsa piana m. 50, salto in alto, lancio del peso di kg.

3; per gli alunni, oltre alle gare di cui sopra, ovviamente con distanze e pesi diversi,

sono pure previste le prove di corsa piana m. 1000, campestre, salto in lungo, staffetta

4X100.

Se le esercitazioni di marcia previste dalla circolare Vischia rimasero lettera morta,

al contrario i brevetti atletici - insieme all'attività agonistica d'istituto - furono ben

accolti nell'ambito scolastico. I brevetti prevedevano facili prove di corsa, salti e lanci

quale "collaudo di efficienza fisica", alle quali dovevano sottoporsi tutti gli alunni al

termine dei tre cicli scolastici di scuola secondaria, e cioè dopo tre, cinque, otto anni di

frequenza. La preparazione alle prove di brevetto andava effettuata durante la lezione

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di educazione fisica. Al termine di ciascuno dei tre cicli, gli alunni che superavano le

prove erano riconosciuti con un attestato ("scheda di orientamento" per il primo ciclo,

"certificato di valutazione" per il secondo e "brevetto" per il terzo), e con qualifiche e

punteggi a seconda dei risultati conseguiti. L'attività dei brevetti si dimostrò valida dal

punto di vista formativo, ma andò esaurendosi fino a cessare del tutto nel giro di una

dozzina d'anni. Cause del declino furono le laboriose operazioni richieste per il rilascio

degli attestati (commissioni d'esame, giurie, compilazione "calligrafica" degli attestati

medesimi, ecc.) e la mancanza di nuove iniziative capaci di vivificarne i contenuti.

Dal canto proprio, la categoria degli insegnanti non era contraria ad un eventuale

allargamento dei programmi in senso sportivo, anzi, furono molti i professori che

allora si misero in evidenza in campo pratico, allestendo manifestazioni sportive

studentesche, istituendo circoli ricreativi, indicendo gare, allacciando rapporti con enti

e società sportive varie. Tuttavia una vasta schiera di insegnanti era rimasta ancora

gelosamente ferma ad una concezione statica della materia d'insegnamento.

In seguito alla diramazione delle circolari, il ministro Gonella commentò così le

importanti innovazioni: "La scuola non conosceva lo sport: da oggi deve non solo

conoscerlo, ma anche praticarlo. Come si fa a non rendersi conto dell'importanza

sociale ed individuale che ha lo sport nella vita moderna? Noi, uomini della scuola,

consideriamo l'aspetto pedagogico dello sport, voi dirigenti del CONI e della FIDAL

curate l'aspetto tecnico; ebbene dobbiamo stringerci la mano e lavorare insieme per un

interesse comune che è l'interesse della gioventù d'Italia.

Lo sport dev'essere una scuola, e la scuola deve comprendere lo sport. L'educazione

fisica scolastica è antiquata e non ha la debita importanza nella formazione della

personalità; la stessa GIL, che ha dato incremento all'educazione fisica, è stata un

organismo staccato dalla scuola per le esigenze del suo prestigio e del suo

esibizionismo propagandistico. Ora noi desideriamo lo sport nella scuola, ma non

qualsiasi sport, bensì lo sport adatto alla scuola.

L'atletica leggera è, ad un tempo, la base di una moderna educazione fisica e il

presupposto di ogni sport. Partendo da questa base comune dobbiamo fare un deciso

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passo innanzi: dalla didattica dell'esercizio fisico alla didattica dell'agonismo. La prima

comune a tutti, la seconda riservata agli elementi capaci e selezionati. Questa

selezione, fatta attraverso la massa studentesca, oltre ad essere un bene in sé, sarà di

massimo giovamento all'incremento qualitativo di tutti gli sports.

I nostri programmi, più che essere mutati, devono essere integrati, con la stretta

cooperazione fra insegnanti di educazione fisica e tecnici dello sport, con la

collaborazione fra le autorità scolastiche, il CONI e la FIDAL. Ma ciò che soprattutto

mi preme di mettere in rilievo è come la nostra nuova concezione dell'educazione

fisica e sportiva vada anche a beneficio della scuola intesa come organo di formazione

intellettuale e morale. I gruppi sportivi degli istituti scolastici, da noi previsti,

stimoleranno l'amor proprio degli alunni, l'amore della loro scuola, contribuiranno a

far sempre più della scuola la famiglia dei giovani. Niente più della competizione

appassiona il giovane alle proprie istituzioni educative.

Rinnovo quindi il mio appello ai provveditori agli studi e ai presidi perché le recenti

disposizioni ministeriali abbiano rapida e concreta attuazione"(6).

Gli fece eco il Presidente del CONI, avv. Giulio Onesti, che nella relazione al

Consiglio Nazionale del CONI del 16 novembre 1950, non senza enfasi affermava

testualmente: "[…] intramezzato agli episodi agonistici c'è un avvenimento che tutto

sovrasta, una conquista che appartiene alla storia del progresso nazionale e che

consente di scrivere con lettere d'oro la data del 1950: è l'entrata ufficiale dello sport

nella scuola!

La vivida face che abbiamo visto brillare al colmo di tutti gli Stadi olimpici oggi

risplende altissima sotto l'azzurro cielo d'Italia per onorare nel segno dello Sport

l'eterna giovinezza.

Passano le vittorie; passano i records; si spengono nel grigio passato dei ricordi le

glorie effimere di un giorno o di un'ora; ma non passa l'eterna schiera dei giovani che,

di generazione in generazione, rinnova nella vicenda sportiva il giocondo miracolo di

una vita fisicamente e moralmente sana.

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E' questo il significato più alto della fiaccola olimpica, è questa la nobile strada che

viene additata da quelle feste quadriennali, che chiamano a raccolta la gioventù di tutto

il mondo.

L'Italia ha visto nel provvedimento scolastico del 19 ottobre 1950 il trionfo di questo

principio, la soddisfazione di un'istanza che da anni e decenni gli sportivi ponevano

alla coscienza della nazione, affinché lo sport non fosse l'appannaggio di pochi

privilegiati, ma un pane giovanile di tutti i suoi figli.

Il provvedimento delle Autorità di Governo, a cui va tutta la nostra gratitudine, non è

che l'inizio di un felice cammino" (7).

In seguito, dalle colonne di "Italia Sportiva", è sempre Onesti che scrive: "Il pieno

successo con il quale si è conclusa la prima grande esperienza di attività sportiva nella

Scuola media italiana, non si riassume solo in una collana di cifre, di episodi concreti,

di conquiste ancorate alla base di una solida realtà. C'è di più. C'è la scomparsa di un

"fattore negativo", c'è il crollo di un vecchio e triste diaframma che per lunghi decenni

ha isolato la Scuola dalle più salubri e fertili espressioni della vita sportiva.

Un diaframma tutto intessuto di prevenzioni e preconcetti, una posizione aprioristica

e largamente diffusa contro lo sport, che invano offriva la gamma delle sue esperienze,

delle sue possibilità educative, delle risorse tecniche e scientifiche a chi - magari in

buona fede - non voleva sposarne la causa […].

Il famoso diaframma è crollato, in ogni suo artificioso elemento. Migliaia di ragazzi

hanno beneficiato di una lieta fatica, sono stati felici, e con essi le loro famiglie, sotto

il vigile sguardo dei loro Insegnanti, dei loro Presidi, dei loro Provveditori [...].

C'erano tante materiali difficoltà da superare e sono state superate: con slancio

unanime, con volontà concorde. Oggi è giorno di vittoria, di breve sosta avanti di

riprendere la fatica con rinnovata lena.

Il CONI è lieto di sottolineare questa vittoria per la quale ha dato ogni sua possibile

collaborazione, ogni sua migliore energia, nell'unico supremo intento di migliorare

fisicamente e moralmente la nostra gioventù, i figli d'Italia, l'avvenire e la speranza di

un popolo che sente il valore insopprimibile della sua antica civiltà"(8).

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Bruno Zauli, segretario generale del CONI, fra gli artefici di questa "rivoluzione

copernicana" che ha consentito allo sport di fare il proprio ingresso ufficiale all'interno

della scuola, insiste sul fatto che l'attività deve essere rivolta a tutti, ammonendo:

"Compito della scuola media non è quello di coltivare le specializzazioni sportive, ma

di formare dei buoni cittadini, bene educati nel fisico e nella mente: e per comprendere

l'attività sportiva della scuola media bisogna superare il piano necessariamente limitato

dello "Sport per lo Sport" ed elevarsi sul piano dell'educazione nazionale, dove il

metodo sportivo entra in gioco come mezzo inteso al miglioramento dei giovani. E non

di alcuni giovani particolarmente versati per una singola disciplina, ma di tutti i

giovani, di tutto il popolo, che ormai filtra al completo tra le maglie educative della

Scuola. [….] Gli intendimenti della Scuola vanno molto al di sopra del ristretto ambito

sportivo. Guardano all'Italia ed agli Italiani, cercano di renderli migliori per tutte le

possibilità della vita a venire. Gli uomini di sport debbono essere orgogliosi di aver

contribuito al bene della Nazione con il loro metodo razionalmente applicato. E lieti

debbono essere gli uomini di Governo e di Scuola di avere accolto ed incoraggiato la

grande opera per un supremo intento di bene"(9).

1.4 UNA VOCE FUORI DAL CORO

Nonostante l'ottimismo dei discorsi ufficiali, la realtà degli insegnanti di educazione

fisica non è affatto adeguata: sono numericamente insufficienti e presentano una

preparazione derivante da insegnamenti ormai rinnegati e non più in linea con le nuove

disposizioni. Così, il D.M. 18 settembre 1952 (ministro Segni), richiamando la L. 22

maggio 1939, n.866 (Sistemazione delle Accademie della GIL di Roma e di Orvieto) e

la L. 3 giugno 1950, n.515 (Istituzione di due corsi speciali per il completamento degli

studi seguiti negli Istituti di educazione fisica), dispone, considerandolo un

provvedimento urgente, di riattivare il normale corso di studi dell'ISEF di Roma, allo

scopo di provvedere all'adeguata preparazione culturale e tecnica dei giovani che

intendono dedicarsi all'insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole. A partire

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dall'anno accademico 1952-1953, sotto la direzione di Vincenzo Virno, direttore

dell'Istituto di anatomia umana normale dell'Università di Roma, hanno inizio i corsi

dell'Istituto superiore di educazione fisica, ai quali sarà poi riconosciuta, ad ogni

effetto, la validità dalla L. 7 febbraio 1958 n. 88 (art.27).

Non è tutto oro quel che luccica: è naturalmente impensabile che in pochi mesi

queste innovazioni riescano a radicarsi ed a funzionare perfettamente, c'è chi lamenta

gravi lacune all'interno del sistema. In un articolo apparso l'11 aprile 1953 su "Il

giornale d'Italia", dall'eloquente titolo Modernismo e vecchia mentalità, e raccolto

nell'antologia altrettanto eloquentemente intitolata Abolire l'educazione fisica,

Gualtiero Pacini constata come l'Italia sia l'unico Paese al mondo che affidi

l'educazione fisica scolastica a un "Ufficio speciale ministeriale" il quale, a sua volta,

emana da sette anni (siamo nel 1953) disposizioni anch'esse chiamate "speciali",

proprio come se non fosse possibile ed opportuno normalizzare un delicato servizio

preposto alla cultura fisica di milioni di giovani per i quali si spendono miliardi. Non

nega - Pacini - che grazie a provvedimenti recenti il settore vada trasformandosi, ma

sostiene che esso presenta pur sempre un miscuglio fatto di modernismo sposato a

vecchie mentalità, che continuano a prescrivere, per i futuri insegnanti, il "tirocinio di

comando" su tutto il programma che dovrà essere effettuato nella scuola elementare.

"Nel contempo, l'ufficio «speciale» ministeriale ha disposto che gli allievi della

scuola secondaria presentino agli esami lo strazio di una serie di «esercizi obbligatori».

Una specie di poesia a memoria fatta di movimenti prestabiliti, che l'allievo deve

pazientemente imparare prima degli esami: un qualcosa, cioè, come dei «versi

ginnastici»"(10). Rincara poi la dose chiamando in causa anche la situazione del

personale preposto all'insegnamento (sempre grazie a "speciali" ordinanze ministeriali)

nelle scuole secondarie. Afferma che quando si levarono proteste contro la didattica

del comando e l'avvilimento dei movimenti obbligatori, dalla commissione per i

programmi ministeriali si difesero così:

"Su 7000 insegnanti (di educazione fisica), 5000 sono incaricati con una

preparazione che va dal perfetto nulla ad un massimo di due mesi. Dei 2000 insegnanti

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di ruolo molti hanno sempre tenuto uffici nella organizzazione (ex gil) e dopo il 1945

sono venuti nella scuola dimentichi, o quasi, delle cose che insegnammo loro in

accademia"(11). Dopo aver accennato anche alla disastrosa situazione delle strutture e

delle attrezzature, il polemico studioso così termina:

"Ciononostante, anche di recente (ma il provvedimento non è così ingenuo come

potrebbe sembrare) si è continuato a immettere nelle graduatorie per gli incarichi

scolastici, certi capisquadra di una federazione sportiva che, dopo un corso irrisorio di

quindici giorni, sono stati legalmente riconosciuti idonei a sostituire il personale di

ruolo, equamente inquadrato nel gruppo A dei dipendenti statali. Eppure…si

osteggiano le moderne iniziative di famose università tendenti a una dignitosa

preparazione degli insegnanti; si continuano a ignorare le raccomandazioni d'affidare

l'insegnamento dell'educazione fisica ai laureati con particolari requisiti tecnici,

raccomandazioni approvate dalle conferenze internazionali dell'UNESCO (Racc. XXII

- Anno 1947); e - sempre in merito agli incarichi di educazione fisica - non si vuole

prendere in considerazione quanto fu stabilito o consigliato dalla nostra saggia

legislazione scolastica prefascista e che già si attua in altri Paesi, onde elevare il livello

medio culturale di tutta una categoria: i docenti incaricati dell'insegnamento della

educazione fisica debbono essere gente specializzata con la frequenza di corsi

universitari e, se è possibile, capaci di insegnare eventualmente un'altra disciplina. Il

quadro presentato da uno dei membri della Commissione ministeriale non potrebbe

essere più triste. Ed è questa l'epoca in cui, nel giro di pochi mesi, sono state assegnate

più medaglie d'oro di benemerenza "pro causa educazione fisica", che non in tutto il

rimanente periodo della storia d'Italia. In una simile situazione la questione dei

programmi con le loro "strofette" di movimenti obbligatori che offendono l'autonomia

didattica dell'insegnante e aggravano il lavoro mentale degli studenti, è solo un

dettaglio di un quadro meritevole di una più accurata osservazione della competente

autorità scolastica e degli stessi organi governativi già così comprensivi, in molte

occasioni, dei vari problemi dell'insegnamento dell'educazione fisica e dei suoi

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docenti. Anche dal punto di vista politico, molte ombre di questo quadro meriterebbero

una più accurata osservazione e seria indagine"(12).

1.5 I NUOVI PROGRAMMI

Oltre che per la riapertura dell'ISEF, il 1952 è un anno importante anche per un altro

motivo: con D.P.R. 25 luglio 1952, n. 1226, vengono approvati i nuovi programmi di

insegnamento negli istituti di istruzione secondaria. Anche per l'educazione fisica vi

sono innovazioni rispetto alle precedenti disposizioni datate febbraio 1945 e integrate

dal D.L.C.P.S. 8 novembre 1946, n. 383, che, fra l'altro, aboliva gli esercizi

obbligatori. In una premessa generale in cui dapprima si rimarca l'importanza

dell'attività fisica nel contribuire ad una integrale formazione della persona, vengono

poi analizzati sinteticamente gli obiettivi che l'E. F. si prefigge nella scuola: in

particolare, interessa sapere che si vuole "Indirizzare i giovani dotati di particolari

attitudini e mezzi fisici alle attività sportive"(13).

Riguardo all'attività sportiva, nei programmi del 1952 viene affermato quanto segue:

"L'educazione fisica deve anche assecondare, nel quadro completo di un'educazione

sanamente intesa, la formazione di abilità individuali cui contribuisce in gran parte

l'attività sportiva.

E' bene pertanto che tale attività si effettui nel periodo della frequenza scolastica,

anche per offrire agli alunni ed alunne la possibilità di trascorrere una parte del loro

tempo nella palestra o nel campo all'aperto dedicandosi a quelle forme di attività che

meglio rispondono alle loro attitudini fisiche ed alle loro preferenze.

A tale scopo i presenti programmi comprendono anche esercitazioni di Atletica

Leggera e di giuochi pre-sportivi e sportivi che servono agli alunni di avviamento allo

sport.

E' opportuno che la scuola, per le finalità di educazione integrale che intende

perseguire, curi essa medesima e controlli sia tali esercitazioni sportive, sia le

conseguenti competizioni interscolastiche, e che alunni ed alunne, associati nei Gruppi

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Sportivi costituiti in seno alla propria Scuola secondo apposite disposizioni emanate

dal Ministero della Pubblica Istruzione, siano assistiti e guidati dagli insegnanti di

educazione fisica, con l'incoraggiamento dei Capi d'Istituto.

E' da tenere inoltre presente che nella Scuola secondaria anche le esercitazioni

sportive debbono uniformarsi a finalità di sviluppo armonico generale e creare una

disposizione generica fisica e mentale che possa adattarsi a varie ed adeguate forme di

sport instillando quei principi morali che debbono sempre presiedere la funzione

educativa della Scuola"(14).

Detti programmi sono stati in vigore fino al 1963 nella scuola media e fino al 1983

in quella secondaria superiore. Essi, in quest'ultima, rimangono dunque in vigore per

più di trent'anni.

La scuola elementare -invece- vede approvati i suoi programmi con il D.P.R. 14

giugno 1955, n. 503. Anche per quanto concerne le attività motorie si pratica la

distinzione fra primo e secondo ciclo. Per i più piccoli si prevede la pratica quotidiana

- possibilmente all'aperto - di giochi ed esercizi che, mentre favoriscono l'educazione

alla socievolezza, aiutino pure a sveltire, correggere e rendere più armoniosi i

movimenti. Il secondo ciclo elementare privilegia invece l'autodisciplina,

l'autocontrollo attraverso esercizi relativi all'ordine e alla marcia, alla corsa, ai saltelli e

ai salti. I giochi andranno visti non solo come svago, ma anche come forma di

educazione alla lealtà, alla gentilezza, all'armonia del gioco sportivo. E' noto che per le

scuole elementari non è previsto un insegnante di E.F. ad hoc, ma tali incombenze

devono essere assolte dai maestri. Anche in questo caso, i programmi resteranno in

vigore per oltre trent'anni; saranno sostituiti da quelli approvati con D.P.R. 12 febbraio

1985, n. 104.

Il D.P.R. 11 giugno 1958, n.584, disciplina gli "Orientamenti per l'attività educativa

della scuola materna"; l'educazione fisica, curata dalle educatrici, deve propendere alla

socializzazione, allo sviluppo armonico di corpo, sentimenti e forze morali,

all'autodisciplina e all'autordinamento attraverso giochi di movimento, liberi e tali da

non stancare né deprimere la vitalità infantile.

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Il 6 marzo 1954, l' "Ufficio speciale per l'educazione fisica" del ministero della P.I.

assume la denominazione di "Servizio centrale per l'educazione fisica e sportiva".

Col D.M. 20 novembre 1956, n. 412, viene istituito un "Centro nazionale didattico

per l'educazione fisica e sportiva", dotato di personalità giuridica di diritto pubblico,

con sede in Roma, ed alla cui presidenza viene posto il segretario generale del CONI

dott. Bruno Zauli. Scopi di questo nuovo ente sono quelli di mantenere alto l'interesse

degli educatori nei confronti dell'educazione fisica e sportiva, sviluppare i rapporti fra

studiosi italiani e stranieri, promuovere convegni, pubblicazioni, corsi di

aggiornamento, viaggi di studio, e scambio di docenti e studiosi, incoraggiare la

diffusione della pratica sportiva quale mezzo per l'impiego del tempo libero, curare la

formazione del personale direttivo, tecnico e ausiliario. Il Centro avvierà una fervida

attività di studio da cui prenderanno le mosse nuovi fermenti, prima ideali e poi capaci

di tramutarsi in pratica, che sapranno influenzare le successive vicende dell'educazione

fisica e sportiva.

NOTE AL CAP.1

(1) E. Enrile, L'educazione fisica e sportiva nelle scuole elementari d'Europa, Ed. Le

Pleiadi, Massa 1959, pp. 115-116.

(2) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, Ed. Le

Monnier, Firenze 1990, pag. 23.

(3) I. Perotto, Lo sport educativo e la scuola, Relazione letta al 3° Congresso agli Insegnanti

di Educazione fisica, Società Tip. Mareggiani, Bologna 1950, pag. 2.

(4) Ivi, pag. 4.

(5) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit., pp.

24-25.

(6) Ivi, pag. 25.

(7) Ivi, Pag. 26.

(8) E. Carneroli, 100 anni di educazione fisica (1859-1959), Ed. Mediterranee, Roma 1959,

pag. 129.

(9) Ivi, pp. 129-130.

(10) G. Pacini, Abolire l'educazione fisica, Araglia Editore, Urbino 1965, pag. 61.

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(11) Ivi, pag. 62.

(12) Ivi, pp. 62-63.

(13) D.P.R. 25 luglio 1952 n. 1226

(14) Ivi.

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CAPITOLO SECONDO:

"LA SCUOLA COME LABORATORIO DELL'ATTIVITA' SPORTIVA

GIOVANILE"

2.1 UNA LEGGE ORGANICA

Nel primo capitolo sono state individuate le difficoltà che lo sport ha dovuto

affrontare per cercare di inserirsi nel mondo scolastico e le ottime intenzioni, talvolta

condite da una buona dose di retorica, con le quali i massimi responsabili delle

istituzioni scolastiche tennero a battesimo l'ingresso dello sport nell'ambito della

scuola. In realtà questo esperimento fu accolto con molta diffidenza dall'insieme del

corpo insegnante che rimase a lungo legato alla convinzione che lo sport fosse

estraneo al processo di formazione dei giovani. Questo equivoco di fondo, che

produrrà i suoi effetti almeno fino a tutti gli anni '70, veniva rafforzato dal fatto che la

disciplina sportiva era di pertinenza di un'istituzione - il CONI- avente fini diversi, se

non addirittura opposti, a quelli propri della scuola. La legge istitutiva del massimo

ente sportivo italiano, infatti, demandava proprio al CONI il coordinamento e la

disciplina dell'attività sportiva "comunque e da chiunque esercitata"(art.3).

Questo equivoco si ripresenta quando il legislatore, nella stesura della L. 7 febbraio

1958, n. 88, "Provvedimenti per l'educazione fisica" - ministro Aldo Moro - evita

accuratamente di utilizzare la parola "sport". La L. 88/58, non certo l'optimum che ci si

poteva attendere, ma la prima legge organica dopo la legge "Daneo" che risale a quasi

mezzo secolo prima, riveste un'importanza fondamentale, regolando in modo che si

sarebbe voluto completo ed esauriente l'educazione fisica e sportiva nella scuola

secondaria. Essa disciplina compiutamente l'organizzazione dell'insegnamento,

prevede gli impianti e le attrezzature ginnico-sportive necessarie, fissa l'organizzazione

dei servizi centrali e periferici, il ruolo organico degli insegnanti, la carriera degli

stessi, gli esami per le abilitazioni ed i concorsi, gli istituti competenti per il rilascio

dei diplomi riconosciuti per poter accedere all'insegnamento dell'educazione fisica e il

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loro corso di studi, la durata dei corsi stessi. Solamente nell'articolo 13, intitolato

"Costituzione delle cattedre", si trova un veloce riferimento alle esercitazioni

complementari di avviamento alla pratica sportiva. Testualmente, il quarto comma di

quell'articolo riporta: "Per le esercitazioni complementari di avviamento alla pratica

sportiva, l'insegnante può assumere, in aggiunta all'orario d'obbligo, altre due ore nelle

scuole medie, nelle scuole di avviamento professionale o nelle scuole d'arte, e quattro

ore negli altri istituti o scuole"(1).

Tutto congiurava -quindi- ad alimentare la convinzione di non poter inserire lo sport

entro gli schemi istituzionali e pedagogici del processo educativo: in primo luogo

ancora il clima politico, sempre ispirato ad una radicale diffidenza verso tutto ciò che

in rapporto alle persone, alla categoria professionale ed alle attività era avvertito come

compromesso con il regime passato o addirittura, come nella fattispecie, ne fosse stato

oggetto di esaltazione e valorizzazione.

L'ingresso della pratica sportiva nella scuola è dalla porta di servizio, per lo più

attraverso provvedimenti amministrativi, segnata da quell'ambiguità che, come si

diceva, la caratterizzerà fino a buona parte degli anni '70. In buona sostanza, essa era

un ibrido poco classificabile, aggiunto ai programmi scolastici tradizionali, che

mutuava dall'attività federale caratteristiche e finalità. Più che espressione viva della

scuola, la pratica sportiva era dunque una tributaria del CONI, accidentalmente svolta

dalla scuola e nella scuola, senza però essere consustanziale all'attività educativa e

formativa. I dirigenti scolastici del tempo fecero quanto possibile: notevole era - lo

ribadiamo - il pedaggio da pagare ad una situazione di generale arretratezza culturale

nel settore.

2.2 I GRUPPI SPORTIVI SCOLASTICI

Una novità è determinata dalla creazione dei "Gruppi sportivi scolastici": già

previsti dalla circolare n. 154555 del 19 ottobre 1950, regolati in modo sommario

dall'O. M. del 18 novembre 1954 integrata dalla C. M. n. 9 del 20 ottobre 1955, essi

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trovarono una propria esauriente disciplina nell'O. M. 22 novembre 1961,

"Ordinamento dell'attività sportiva scolastica". Il primo articolo di quest'ordinanza

recita testualmente: "L'attività sportiva scolastica ha il fine di interessare i giovani

all'esercizio fisico, come fonte di salute e di sana ricreazione; d'infondere, anche

mediante adeguate competizioni, la consapevolezza delle proprie possibilità, il senso

della lealtà e della cooperazione; di concorrere alla formazione del carattere e della

personalità dei giovani" (questo articolo funge da incipit all' Annuario dell'ispettorato

per l'educazione fisica e sportiva del 1968 (2)).

A differenza dell'attività dei brevetti di educazione fisica (analizzata nel capitolo

precedente), che si svolgeva durante le ore "curriculari" di insegnamento, "l'attività

sportiva si svolge nei giorni e nelle ore in cui gli alunni sono liberi dalle lezioni e

prosegue nelle vacanze, specialmente per la pratica di sport stagionali e di attività

all'aperto. Da essa sono esclusi, a giudizio dei Consigli di classe, gli alunni che

trascurino i loro doveri scolastici"(art. 3 Ord. cit.).

L'organizzazione e lo svolgimento dell'attività sono demandati ad un organo

esecutivo collegiale a carattere volontaristico, chiamato appunto Gruppo sportivo

scolastico, da costituirsi presso gli istituti secondari di secondo grado che ne fanno

esplicita domanda. I gruppi sono presieduti dal preside e composti da dirigenti

(insegnanti di materie "culturali"), tecnici (gli insegnanti di educazione fisica), soci ed

atleti (gli alunni dell'istituto). Il finanziamento del gruppo viene assicurato da modeste

quote associative richieste agli alunni (stabilite dal comitato direttivo in misura non

inferiore a L. 300 annue), integrate da contributi volontari di terzi e da sovvenzioni del

Ministero della Pubblica Istruzione. Il CONI, peraltro, incentiva la vita dei Gruppi sia

nel finanziamento delle attività (premi, medaglie, spese di organizzazione dei

campionati), sia nell'assistenza tecnica (giurie, aggiornamento sulle tecniche delle

varie discipline, ecc.). I gruppi sportivi scolastici fanno capo a Unioni provinciali dei

gruppi stessi, le quali sono presiedute dal provveditore agli studi e gestite dal

coordinatore di educazione fisica e da rappresentanti dei docenti e delle famiglie.

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Queste istituzioni hanno il merito di aver affermato nella scuola la pratica sportiva in

misura finalmente apprezzabile, prevedendo, come coronamento dell'attività annuale,

l'organizzazione e la disputa di campionati scolastici a livello di istituto, provinciale e

nazionale.

Non pochi campioni che onorarono più tardi lo sport italiano hanno avuto le prime

esperienze ed hanno ottenuto le prime vittorie proprio nelle gare indette dai gruppi

sportivi scolastici: fra gli altri Giacinto Facchetti, Livio Berruti, Paola Pigni. Mi piace

ricordare anche il nome di mio zio, Angelo Baronchelli che, nel 1959, studente

dell'Istituto Tecnico per Geometri "Tartaglia" di Brescia, venne chiamato ad indossare

la maglia azzurra in incontri internazionali ufficiali della FIDAL nella specialità del

salto con l'asta.

Nel 1962 il CONI dà alle stampe un volume dal titolo Il CONI e le federazioni

sportive. Il capitolo II, L'avvio allo sport agonistico, presenta un primo paragrafo

intitolato Lo sport nella scuola. In esso si legge:

"Centri dell'attività scolastica sportiva sono i Gruppi Sportivi di Istituto, libere

associazioni di giovani presiedute dal preside o direttore. Con l'istituzione dei gruppi

sportivi, la scuola rimane l'unico organismo ordinatore e disciplinare di tutte le attività

dell'alunno. I ragazzi non sono più costretti a cercare fuori della propria sede educativa

la soddisfazione delle loro normali esigenze.

Le attività a carattere competitivo previste per tutti riguardano oltre ai brevetti

atletici, il campionato d'istituto e il campionato provinciale di corsa campestre

riservato ai soli maschi; il campionato di istituto e il campionato provinciale di atletica

leggera maschile e femminile.

Esistono anche competizioni per altri sports, ma sono limitate ad aree più ridotte. Sul

piano interprovinciale esistono un criterium di atletica leggera e di sci e in questi

ultimi quattro anni un criterium di scherma e di nuoto.

All'insegnamento secondario è stata altresì attivata una organizzazione tendente ad

assicurare il controllo sanitario nell'addestramento delle attività sportive scolastiche.

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Nella primavera scorsa si sono svolti per la undicesima volta i campionati provinciali

di corsa campestre e di atletica leggera. Lo Sport nella scuola ha ormai undici anni di

vita.

Esistono attualmente 1.971 gruppi sportivi scolastici con un totale di 774.848

aderenti, di cui 498.290 maschi e 276.558 femmine.

Ogni anno oltre 60.000 alunni partecipano alle competizioni di corsa campestre e

circa 90.000 a quelle su pista.

Anche nel settore femminile l'attività dei gruppi sportivi è stata rilevante, tanto da

assurgere a manifestazioni di un effettivo "sport di massa". Ogni anno, infatti, 50.000

alunne, ben allenate ed addestrate, partecipano ai campionati di atletica leggera.

La mancanza di impianti sportivi nell'interno degli Istituti non permette per ora,

salvo rari casi, di raggiungere tutti quegli sviluppi che caratterizzano talune

organizzazioni straniere. Tuttavia lo Sport nella Scuola svolge ogni anno una ben

qualificata azione di reclutamento, che ha già dato pregevoli frutti allo Sport

Italiano"(3).

Ciò testimonia come il massimo organismo sportivo nazionale guardasse con occhio

di particolare riguardo all'attività sportiva scolastica, con la malcelata speranza di poter

contare su un formidabile serbatoio dal quale attingere i campioni del domani.

Il declino dei Gruppi - però - fu precoce: le principali ragioni della loro scomparsa

sono da ricercarsi nella debolezza delle strutture (sostenute - a ben vedere - solo da

disposizioni amministrative e dalla buona volontà degli interessati) e nella tendenza a

privilegiare sempre più gli aspetti selettivi ed agonistici dell'attività sportiva a scapito

dei fini educativi per i quali erano stati creati. Il colpo di grazia venne comunque dalla

Corte dei Conti, che nel 1974 bloccò tutti i mandati destinati al finanziamento dei

Gruppi sportivi scolastici e delle relative Unioni provinciali, ravvisando in tali

istituzioni ipotesi di gestioni fuori bilancio proibite dalla legge 25 novembre 1971, n.

1041. La loro fine, dopo l'ultima regolamentazione data dall'O. M. 18 febbraio 1969

sull' "Ordinamento dell'attività sportiva scolastica", avverrà con la C. M. 5 agosto

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1975, n. 222 (Attuazione dei Decreti Delegati e attività sportiva - Norme tecnico-

amministrative per le Unioni Provinciali dei Gruppi Sportivi Scolastici).

E' indubbio, ad ogni modo, che lentamente ma inesorabilmente lo sport si avvia a

coinvolgere i giovani studenti, che hanno accolto con entusiasmo l'orientamento

sportivo, la pratica dell'atletica leggera e degli altri sport educativi come attività

complementari e facoltative dell'insegnamento stesso. Anche le famiglie dimostrano

comprensione e simpatia nei confronti di questa novità, capace fra l'altro di porsi come

rimedio alla scarsa utilizzazione delle energie fisiche personali che il progredire della

civiltà meccanica inevitabilmente comporta.

Una puntualizzazione merita la situazione delle alunne: i dati analizzati presentano

un incremento costante della loro partecipazione ai Gruppi sportivi (71.793 nel 1951,

746.353 nel 1974, (4)), ma ciò, se da un lato può offrire spunti per considerazioni di

carattere sociologico sulla progressiva evoluzione del costume e sulla crescente

emancipazione delle donne, resta tuttavia ben al di sotto della soglia di una diffusione

appena soddisfacente della pratica sportiva femminile, che conserva interamente il suo

carattere minoritario e rigidamente elitario.

Rispetto all'immediato dopoguerra, in ogni caso, lo sport nella scuola - almeno nelle

intenzioni - di strada ne ha fatta parecchia: "Contenere le naturali reazioni giovanili

nella sua sana pratica di sports appropriati e volgerle a quell'armonico sviluppo della

personalità che costituisce il fine proprio dell'educazione fisica, è compito che

l'educatore moderno, sensibile alle esigenze della vita, che mutano ed evolvono, non

può sottovalutare.

E' evidente che agli effetti di tale armonico sviluppo l'attività fisica, intesa nella sua

estensione sportiva, è non meno essenziale dell'attività intellettuale, promossa dallo

studio delle altre discipline.

L'educazione fisica e sportiva non può quindi e non deve avere nella Scuola una

funzione soltanto marginale. In un ordinato assetto, essa si pone, anzi, come parte

integrante di una attività essenzialmente unitaria di formazione della gioventù, nella

quale si realizza un importante aspetto della funzione sociale della Scuola"(5). Sulla

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carta risulta evidente lo sforzo fatto dal Ministero per cercare di trovare uno spazio

adeguato ed una sempre maggiore dignità allo sport nella scuola, anche in

considerazione del fatto che, rapportata alle realtà di altre nazioni, quella italiana è una

situazione in forte ritardo.

Il 14 giugno 1967, in una conversazione tenuta al Panathlon di Roma, l'allora

ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui si esprime così:

"Lo Sport nella scuola non è uno Sport ridotto alla essenzialità, talora anche

drammatica, del suo «momento» agonistico, non è uno Sport visto come una semplice

valvola di sicurezza che favorisca lo sfogo dell'iperaggressività, che talvolta

caratterizza certi slanci giovanili, ma è uno Sport concepito come elemento attivo del

processo educativo che troppe volte è unilateralizzato verso esclusive prospettive di

insegnamento teorico, anziché essere debitamente articolato nelle sue componenti

psichiche e fisiche.

In verità questa particolare profilatura dello Sport era la base dell'ordinanza

ministeriale del 22 novembre 1961 che precisava, appunto, che il fine dell'attività

sportiva scolastica era di interessare i giovani all'esercizio fisico, come fonte di salute

e di sana ricreazione; d'infondere, anche mediante adeguate competizioni, la

consapevolezza delle proprie possibilità, il senso della lealtà e della cooperazione; di

concorrere alla formazione del carattere e della personalità dei giovani.

Quando la mèta è così chiara, così moralmente intonata al rispetto dei valori perenni,

così ancorata ad una sana e realistica visione della necessità dell'oggi, non si possono

temere tralignamenti, scadimenti eversivi, degenerazioni atte a turbare la saldezza e la

serenità dell'opera educativa.

E' per questo che ho sempre visto di buon occhio l'incrementarsi, anche numerico,

dei Gruppi Sportivi Scolastici, nati nel 1950 da una felice intesa del Ministero della P.

I. con il CONI, ed oggi divenuti il vero motore dell'attività sportiva scolastica.

Il Gruppo Sportivo è l'unità di misura, l'elemento di base, la forza iniziale che

condiziona gli sviluppi delle diverse iniziative sia in fase locale sia in fase provinciale

sia, per certe specialità, in fase regionale e nazionale.

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[….] A completamento di quell'apprendimento generale che si attua attraverso le

normali esercitazioni previste dai programmi di educazione fisica e seguite, quindi, da

tutti gli alunni, si realizza una iniziazione sportiva effettiva, documentabile e tanto più

significativa perché mantiene intatte le sue caratteristiche vocazionali.

Lo Sport è sempre volontario: vorrei dire che lo Sport non è neppure concepibile se

non è volontario: Se perde, infatti, questa peculiare aggettivazione, esso deborda ipso

facto nel mondo del lavoro.

Ne tradiremmo la qualificazione etimologica se noi rinunziassimo alla sua

ricreatività, se lo trasferissimo dal cerchio magico dell'homo ludens all'ambito ben più

severo dell'homo faber.

Ciò non esclude, tuttavia, l'obbligo della Scuola di offrire le migliori condizioni per

lo svolgimento dell'attività sportiva e di assicurare, quindi, la disponibilità di mezzi per

disvelare ai giovani, da una parte, i valori dello Sport e per dare loro modo, dall'altra,

di praticare effettivamente l'attività sportiva nelle specialità per le quali ciascuno di

essi è più portato"(6).

La pratica agonistica si afferma nella scuola. La circolare ministeriale 10 dicembre

1954 afferma: " Non è superfluo rilevare in proposito che la competizione è insita

nella natura stessa degli sport e dei giochi in genere, come attività associate che si

intrecciano e si sviluppano fra parti contrapposte. In essa si afferma e si esalta lo

spirito di emulazione, che la Scuola deve promuovere e alimentare in tutti i campi ai

quali si estende la sua azione e che non potrebbe non trovare adeguate espressioni nel

settore in cui si manifesta con naturale spontaneità"(7). Questa spinta alla

competizione porterà, negli anni, molti insegnanti a svolgere un'attività rivolta nella

sostanza solo agli alunni più dotati che già praticano con successo lo sport nell'ambito

delle Federazioni Sportive Nazionali.

Il CONI, da parte sua, non cessa di stimolare ed aiutare, anche con notevoli mezzi

finanziari, l'attività sportiva nella scuola, ma essa non riesce ad entrarvi a pieno e -

quando ciò avviene- lo sport nelle istituzioni scolastiche è comunque un ospite

sopportato. Nonostante questo, il principale organismo sportivo italiano seguita a

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collaborare; il suo massimo esponente, avv. Giulio Onesti, al convegno "Per una nuova

coscienza sportiva in Italia" tenutosi a Roma in Campidoglio alla presenza del Capo

dello Stato il 23 gennaio 1963, sottolinea la necessità di considerare "lo sport nella sua

giusta luce, poi che esso è ormai una componente essenziale nella formazione di una

migliore gioventù. […] Nel nostro Paese è stata purtroppo inventata una artificiosa

antitesi fra sport e cultura, che ha determinato la nascita di luoghi comuni orecchiabili,

ma ingiusti e dannosi.[…] Oggi in Italia si avverte, infatti, impetuosa e crescente, una

istanza sportiva. La gioventù italiana vuol fare dello sport e chiede alle autorità dello

Stato, delle Province, dei Comuni la possibilità di conoscere i benefici dello sport

praticato, e non soltanto più dello sport visto fare.[…] Noi, come sportivi, ed esponenti

di un gruppo piuttosto conosciuto per la vivacità e la irrequietezza che lo distinguono,

sentiamo il dovere di chiedere che anche l'istanza sportiva venga finalmente collocata

nella scala delle programmazioni. Riteniamo che sia giunta l'ora di considerare la

domanda posta da milioni di giovani agli organi dirigenti del Paese"(8). La mozione

con cui si chiude il convegno mette al primo posto il problema della scuola, chiedendo

"l'effettiva e costante pratica dello sport educativo nella scuola di ogni ordine e grado,

la preparazione scrupolosa ed adeguata di istruttori al livello universitario, la severa

osservazione della legge sull'edilizia scolastica, in merito alla obbligatorietà degli

impianti sportivi in ogni edificio scolastico di nuova costruzione e nella estensione di

tale obbligo agli edifici delle Università"(9).

Attraverso queste intenzioni il CONI anticipa le "raccomandazioni" del Consiglio

d'Europa per lo "sport per tutti" del 1966, 1970, 1975. In particolare, nel 1966 detto

organismo sollecita il bisogno di svolgere attività fisiche e sportive all'aria aperta per

controbilanciare gli effetti negativi dell'industrializzazione e dell'urbanesimo

generalizzati, ponendo anche l'accento su come la pratica sportiva dia all'individuo la

possibilità di manifestare le proprie attitudini, spronandolo ad assumere delle

responsabilità in una società democratica. Purtroppo queste ed altre raccomandazioni

non vengono recepite dal nostro governo.

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Sempre nel 1963, durante il XXI Consiglio nazionale del CONI, il presidente Onesti,

in relazione allo sport nella scuola afferma: "Abbiamo fatto oramai la nostra parte,

abbiamo incitato e diretto l'organizzazione dello sport scolastico. Ma d'ora in poi

dovremo ridurre la nostra azione nei limiti consentiti dal bilancio. Il Ministero della

Pubblica Istruzione, se riconosce valido l'esperimento, dovrà pur farlo proprio e

trasformarlo in sistema educativo. Comunque giova ricordare che nel decennio 1953 -

1963, per le sole attrezzature sportive scolastiche il CONI ha impegnato quattro

miliardi di lire […]"(10). Nonostante queste preoccupanti dichiarazioni, il Comitato

Olimpico continua nella propria opera di collaborazione e di sostegno economico. C'è

però - ormai radicata- la convinzione che per cambiare le cose non siano più sufficienti

un nuovo ordinamento e nuove norme per la scuola, se parallelamente non cresce e si

diffonde nella nazione la coscienza dell'importanza della pratica sportiva.

2.3 I GIOCHI DELLA GIOVENTU'

Con una felice intuizione e con la caparbietà che gli va riconosciuta, nel 1968 Onesti

si rendeva promotore di una originale istituzione, che voleva fare da apripista per un

nuovo e definitivo ingresso dello sport nella scuola: i "Giochi della Gioventù". Dopo la

chiusura dei Giochi Olimpici di Città del Messico (da cui -peraltro- l'Italia tornò con

uno scarno medagliere), il CONI organizzò un piano nazionale di avviamento sportivo

riservato ai giovanissimi, la cui sede di sviluppo naturale, fin da principio, era parsa la

scuola. I giochi non dovevano restare un puro fatto agonistico; anzi, le tematiche che

intendevano sviluppare erano del tutto diverse. Principalmente, essi avevano il

compito di allargare il senso civico dello sport, attirando su di esso le varie

componenti sociali. Quindi, oltre alla formazione di una coscienza sportiva, si

ripromettevano di favorire indirettamente l'ampliamento della dotazione nazionale di

impianti e la formazione di nuovi dirigenti e preparatori sportivi.

Se è vero che l'attività sportiva scolastica, d'ora innanzi, non si esaurirà né coinciderà

coi Giochi (ricordiamo che i Gruppi sportivi vivranno fino al 1975), si può tuttavia

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affermare con certezza che essi trovarono grande rispondenza nella scuola. Rilevante,

nell'economia generale di tali manifestazioni, fu la parte svolta dalla scuola stessa, sia

in termini organizzativi, sia di partecipazione (anche se, fattivamente, essa si impegnò

solo a partire dal 1974).

Pensati per la scuola, abbiamo detto, e non a caso, accanto alle semplici componenti

sportive, i Giochi avevano affiancato - nei loro programmi - una serie di iniziative

culturali (interessanti l'arte figurativa e la letteratura). I Giochi, se non erano "l'attività

sportiva scolastica" tout court, rappresentavano in ogni caso uno straordinario veicolo

promozionale per avvicinare i giovani scolari e studenti alla pratica dello sport.

Il 3 settembre 1968, il Consiglio nazionale del CONI approvava all'unanimità

l'istituzione dei Giochi della Gioventù, che dovevano segnare una tappa importante

non solo nella storia dello sport giovanile, ma anche in quella dell'educazione fisica e

sportiva in Italia. Il documento che il CONI trasmise ai propri organi periferici

riportava tra l'altro: "I Giochi della Gioventù hanno lo scopo di allargare in maniera

considerevole la base degli sportivi nel nostro Paese. Anche se lo sport italiano ha

infatti progredito notevolmente in quantità e qualità, esso non è ancora praticato dalla

massa della popolazione giovanile. Oggi circa due milioni di giovani fanno parte del

nostro movimento; ma ciò non basta. L'istanza sportiva si pone ormai come un diritto e

come un dovere. Oggi si afferma il diritto dei giovani allo sport, così come ieri si

asseriva il loro diritto all'istruzione. Oggi si dichiara che la classe dirigente ha il dovere

di creare le condizioni per lo sport, così come una volta le si imponeva la creazione di

scuole. […] Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, che ha documentato queste

nuove esigenze nel suo Libro Bianco dello Sport, ha deliberato di lanciare i Giochi

sportivi della Gioventù a partire dal 1969. Questi vogliono far conoscere la gioia ed i

vantaggi dello sport a coloro che non lo hanno ancora incontrato. Ecco perché tutte le

benemerite società sportive, le Federazioni sportive, gli enti di propaganda e tutte le

associazioni che hanno fini educativi e di guida della gioventù, verranno chiamati a

collaborare intensamente con il Comitato Olimpico. In piena collaborazione con il

governo, il CONI si rivolge soprattutto alla scuola, che è l'ambiente naturale di

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formazione dei giovani e che da parecchi anni oramai ha compiuto una apertura

preziosa verso lo sport. La Scuola, con i suoi gruppi scolastici, con i suoi ottimi

insegnanti di educazione fisica, potrà confermare anche in questa occasione la sua

generosa disponibilità verso l'istanza sportiva […]"(11).

Il "manifesto", volto a propagandare i Giochi, era chiaro nell'affermare le ambizioni

del progetto e l'intento di indire una specie di leva di massa dello sport giovanile. Esso,

dopo un riferimento alla possibilità offerta di allargare le fondamenta dello sport,

insisteva sulla prospettiva di una manifestazione di vasta portata al cui servizio l'ente

poneva un grosso sforzo organizzativo. Non poteva mancare un chiaro invito alla

scuola a confermare la propria disponibilità nei riguardi della domanda sportiva. Si

trattava di richiesta di collaborazione indubbiamente informale, ma che aveva il

peccato originale di voler coinvolgere l'istituzione scolastica in un progetto alla cui

elaborazione essa era rimasta estranea, ed i cui programmi costituivano un dato non

modificabile, rispetto al quale l'unico atteggiamento possibile consisteva

nell'alternativa fra l'adesione o il rifiuto: quindi una richiesta di collaborazione che

avrebbe visto in ogni caso la scuola relegata ad una posizione subalterna, più ospite

che protagonista nell'ambito di una struttura organizzativa le cui finalità le erano a ben

vedere estranee. Nonostante ciò, all'indubbia rivoluzione messa in atto dai Giochi, la

scuola offriva subito - sulla carta - "la propria fattiva collaborazione affinché i Giochi

possano realizzarsi con il conseguimento degli scopi di alto valore educativo e sociale

che si propongono […]. I Giochi, che hanno particolare significato e valore in quanto

si rivolgono a tutti i giovanissimi, integrano e dilatano l'opera che la Scuola ha da

tempo iniziato, d'intesa col Comitato Olimpico […]."(12).

In seguito a questi propositi, si modificavano le direttive ministeriali sull'attività

sportiva scolastica: la C. M. 18 dicembre 1969, n. 422, a firma del ministro Sullo

provvedeva al riordinamento dell'attività sportiva scolastica, con la grande novità della

rivitalizzazione della medesima anche nella scuola media: "Lo sviluppo assunto

dall'attività sportiva nella Scuola ha indotto questo Ministero a riesaminare

l'organizzazione per adeguarla alle nuove esigenze manifestatesi e per renderla più

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aderente agli interessi giovanili, ormai nettamente orientati verso lo sport. Considerato,

poi, che lo sport scolastico proietta i suoi riflessi in modo sempre più concreto nella

vita sportiva nazionale, il Ministero della Pubblica Istruzione è giunto nella

determinazione di prendere in considerazione, d'intesa con il Comitato Olimpico

Nazionale Italiano, lo sport giovanile nella sua totalità, affinché sia raggiunta una utile

convergenza di intenti.

A tal fine, valutati il quadro generale della situazione ed i risultati fin qui raggiunti,

si è convenuto sull'opportunità che l'opera svolta dalla Scuola e dal CONI non sia la

proiezione di separate iniziative bensì la risultante di una fattiva azione volta a

diffondere in maniera sempre più efficace la pratica sportiva tra i giovani.

Si è ritenuto, quindi, necessario estendere e disciplinare in maniera più precisa

l'attività che si svolge nella scuola media, affinché gli alunni più giovani abbiano la

possibilità di iniziare tempestivamente il loro curriculum sportivo, anche competitivo,

in modo da essere in grado di assolvere, poi, avvalendosi di una migliore preparazione

tecnica, i loro impegni sportivi in seno alle scuole di istruzione secondaria e artistica di

secondo grado.

Di conseguenza, in rapporto al nuovo programma di attività nella Scuola Media, è

stata esaminata l'iniziativa del CONI relativa ai Giochi della Gioventù, che

interessano, in gran parte, ragazzi che, per la loro età, frequentano la Scuola

dell'obbligo.

La Scuola, che per la sua organizzazione è il veicolo ideale di una preparazione

sportiva di base, cioè non episodica od occasionale, ma estesa nel tempo e sostanziata

qualitativamente dalla competenza specifica dei suoi insegnanti, può assicurare

un'attività di addestramento atta a consentire il raggiungimento di adeguate condizioni

psicofisiche e tecniche per le prove competitive.

Una preparazione siffatta agevolerà ulteriormente la pratica sportiva che dal 1950

viene svolta nel settore della istruzione secondaria di secondo grado."(13).

Era evidente l'evoluzione sul piano culturale quando la medesima circolare

affermava che lo sport doveva essere accolto nella scuola come prezioso elemento

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della formazione dei giovani: "Lo sport è ormai un fenomeno di tale portata sociale da

divenire un protagonista del nostro tempo.

La Scuola - che del tempo deve essere riflesso, ma, allo stesso momento, elemento

influenzante - deve prendere atto di tale realtà e, quindi, non disinteressarsi ad

un'attività che, per giunta, rientra tra i più vivi interessi giovanili.

Ciò che più importa, però, è l'alto valore educativo dello sport, che si esprime

particolarmente allorquando esso sia opportunamente indirizzato verso forme che

conducano alla conquista della padronanza motoria.

Non si può, infatti, disconoscere la validità di una concezione sportiva che miri alla

cura del fisico, al sollievo psichico come conseguenza di un argine posto alla tensione

tipica dei nostri giorni, all'arricchimento spirituale per mezzo di una sollecitazione

etica che lo sport può conferire se ben insegnato e condotto. E' una concezione che

rientra in modo pertinente nell'alveo più vasto dell'educazione fisica la quale, lungi dal

ridursi al culto della fisicità, cura il corpo - investendo l'uomo nell'interezza della sua

personalità - anche per fini di chiaro contenuto spirituale"(14).

Con questi provvedimenti la scuola voleva ampliare lo spazio da dedicare al

momento sportivo. Ciò che rivestiva - sempre dal punto di vista del mondo scolastico -

maggiore importanza, non era però l'estensione dell'attività, ma lo spirito con cui tutto

il personale, da quello direttivo a quello insegnante, doveva guardare allo sport, di cui

si volevano sottolineare i valori formativi più che le risultanze agonistiche. Lo sport

scolastico non doveva essere finalizzato alla specifica ricerca del risultato tecnico,

della prestazione, ma doveva essere concepito come insegnamento ad una più

approfondita conoscenza del proprio corpo e della propria "motricità".

Sotto un diverso punto di vista, la C. M. 19 aprile 1972, n.138, poneva in evidenza

quanto la partecipazione ai Giochi offriva "inoltre alla Scuola l'opportunità di

realizzare incontri con gli Enti locali e con le altre forze sportive, incontri che

favoriscono dialoghi chiarificatori dei rispettivi ruoli e delle possibilità di convergenze

efficaci nell'interesse dei giovani e dello sport"(15). I Giochi costituivano infatti

"un'opportuna occasione per sperimentare forme di collaborazione che siano in linea

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con una concezione di scuola aperta e socializzata, espressione della comunità e ad

essa strettamente collegata, secondo gli indirizzi cui si ispirerà il nuovo ordinamento

scolastico"(16).

Nonostante tutti questi buoni propositi, sotto il punto di vista pratico la scuola non

profuse un grande impegno nell'iniziativa, lasciandone l'onere al CONI ed alle forze

sportive che, facendo leva sugli enti locali e sull'opinione pubblica, riuscirono

comunque a concretizzare il progetto. L'esito non fu particolarmente brillante: nel

1969 l'adesione risultava meno di 600.000 unità; negli anni successivi si registrerà

qualche incremento fino a toccare l'apice nel 1973, con 850.000 presenze. Già l'anno

seguente -però- questo numero si ridurrà di circa 40.000 unità. Ad ogni buon conto, in

questa iniziativa erano senza dubbio racchiusi dei valori di indiscutibile interesse per il

mondo della scuola.

Nel 1974 fu il Comitato Olimpico a compiere dei chiari passi verso la realtà

scolastica, mostrando una crescente attenzione rispetto a determinate esigenze di

carattere educativo, che culminarono in una sorta di decalogo che riportiamo

integralmente in quanto atto a testimoniare l'evoluzione avvenuta all'interno dell'ente

circa l'opportunità di un più corretto approccio al coinvolgimento dei giovani in una

manifestazione promozionale a carattere nazionale:

- "Nei Giochi, più che l'aspetto tecnico-agonistico, conta l'esperienza

sportiva, umana e sociale, che i giovani compiono;

- Nei Giochi il risultato è secondario rispetto all'attività e al modo festoso e

leale di parteciparvi;

- i Giochi puntano sulla quantità e non sulla qualità dei partecipanti;

- i Giochi non sono un campionato, perché esso necessariamente seleziona

ed emargina;

- i Giochi sono, per natura loro, aperti a tutti i ragazzi anche e soprattutto

ai meno dotati e ai più bisognosi di attività sportiva;

- i Giochi non sono un vivaio di campioni, ma un'occasione di formazione,

di esercizio fisico e di svago giovanile;

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- i Giochi non sono uno spettacolo sportivo, ma una festa corale dello sport

che ha per protagonista la comunità locale nel suo insieme;

- i Giochi non possono ridursi a puro e semplice svolgimento di alcune

gare sportive una volta l'anno;

- i Giochi non sono di proprietà di nessuno: sono della comunità e, quindi,

devono essere comunitariamente gestiti;

- i Giochi durano tutto l'anno e non possono esaurirsi con lo svolgimento

di alcune gare sportive in un determinato periodo dell'anno"(17).

Dato questo nuovo punto di partenza, maturava nell'amministrazione della scuola la

consapevolezza dell'utilità di contatti ed intese con il massimo ente sportivo, anche per

la promozione di iniziative di comune interesse su basi di collaborazione paritaria. Le

principali considerazioni che venivano svolte riguardavano in primis l'opportunità di

non disperdere in iniziative diverse, parallele e concorrenti, le disponibilità finanziarie,

tecniche, organizzative e professionali del mondo della scuola e di quello sportivo;

secondariamente, vi era la convinzione che la perdurante situazione di separazione non

avrebbe giovato a nessuno, mentre viceversa ci poteva essere - e vi era - un vasto

ambito nel quale i due organismi avrebbero potuto cooperare proficuamente

nell'interesse dei giovani, traendo comunque positive esperienze da una collaborazione

impostata su basi chiare e nel rispetto dei ruoli di ciascuno. Da nessuna parte, infatti,

stava scritto che determinati valori propri del mondo sportivo non potessero essere di

utilità nel mondo della scuola e, inversamente, istanze educative di cui la scuola era

depositaria e portatrice, non potessero a loro volta influenzare la pratica e il costume

sportivo a vari livelli.

Durante il 1974 si intensificarono i contatti fra rappresentanti del ministero della P. I.

e del CONI al fine di porre le basi per un'intesa che soddisfacesse le esigenze di

entrambi. Venne individuato come ambito di interesse principale quello dei Giochi

della Gioventù e fu dato mandato ad una commissione paritetica di elaborare un

progetto capace di tener conto delle rispettive esigenze, e nel contempo fosse aperto al

contributo di organi istituzionali ed associazioni quali interlocutori naturali dei due

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enti promotori per tutto ciò che atteneva alla pratica sportiva giovanile (enti locali,

regioni, associazioni di categoria, sindacati ed enti di promozione sportiva). Ne scaturì

un "progetto tecnico" che costituiva l'asse portante dei nuovi Giochi della Gioventù:

esso segnava la prima fase dell'ingresso dei Giochi nell'alveo della scuola, dopo sei

anni di attività, di esperienza e di limitata evoluzione. Detto progetto venne sottoscritto

il 29 ottobre 1974 dal ministro della pubblica istruzione, Malfatti, e dal presidente del

CONI, Onesti (può essere divertente rilevare che i lavori furono portati a termine il 28

ottobre: le parti convennero però sulla inopportunità di licenziare il documento con

quella data che, nel nostro Paese, non è annoverata fra i giorni fausti).

Il documento era sì espressione di un compromesso fra diverse esigenze, ma

ciascuna delle parti contraenti poteva ben riconoscersi nella sua generalità: la scuola, i

cui operatori trovavano nelle indicazioni ivi contenute il senso di una partecipazione

finalizzata al ruolo loro proprio di educatori; il CONI, che proprio attraverso

quest'intesa ufficiale poteva dar seguito, con ben altre prospettive di successo, al suo

disegno di forte ampliamento della pratica sportiva giovanile. Era comunque chiaro fin

dall'inizio che la collaborazione non sarebbe stata facile: il confronto diretto fra scuola

e sport avrebbe chiesto grande senso di responsabilità e misura da parte di tutti; era

sempre in agguato il rischio di interpretare erroneamente lo spirito della

manifestazione, di strumentalizzare l'evento - da una parte - e di esibire comportamenti

di esasperata suscettibilità o di comoda acquiescenza, dall'altra. Ad ogni buon conto, il

1974 segnava una svolta importante: per la prima volta i Giochi venivano indetti

congiuntamente dal ministero e dal CONI.

Nell'anno scolastico 1976-1977, i Giochi vennero estesi anche agli studenti delle

scuole secondarie superiori, rimasti senza attività sportiva ufficiale dopo la

soppressione dei Gruppi sportivi scolastici decretati con la C. M. 5 agosto 1975, n.

222. Inoltre la manifestazione venne aperta anche agli alunni del primo ciclo della

scuola elementare: così, dal 1977, la scuola partecipava ai Giochi con tutte le classi di

ogni ordine e grado. Successivamente ( a.s. 1983-1984), i Giochi vennero riservati alla

scuola elementare e alla scuola media; per gli studenti della scuola secondaria

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superiore vennero indetti i campionati studenteschi. Un'amara considerazione che

balzava all'occhio era che per oltre trent'anni era stata trascurata l'educazione fisica e

sportiva dei bambini della scuola elementare. Proprio nel periodo in cui il corpo aveva

maggior bisogno di essere impostato, curato e "vitalizzato", l'esercizio fisico veniva

lasciato alla competenza (ed al buon cuore) dei maestri.

2.4 LA NORMATIVA SANITARIA…

Prima dell'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, avvenuta con la L. 23

dicembre 1978, n. 833, il servizio di medicina scolastica, a carattere prevalentemente

profilattico, era di competenza dei comuni e veniva espletato a mezzo di medici

generici e di medici scolastici specialisti.

Già con la circolare n. 8, del 1° ottobre 1955, il ministero della Pubblica Istruzione,

constatato che il servizio medico-scolastico era alquanto limitato per le scarse

disponibilità finanziarie dei comuni, autorizzava i provveditorati agli studi a ricorrere

all'istituzione di un servizio medico che meglio rispondesse ai bisogni della scuola. In

tutti gli edifici scolastici vennero così approntati locali per i servizi di medicina

scolastica, in cui appositi medici, nominati dal capo d'istituto, conducevano gli

accertamenti occorrenti ai fini dell'insegnamento di educazione fisica e dello

svolgimento di attività sportive. Il servizio, nonostante le naturali manchevolezze e le

difficoltà finanziarie, rispondeva alle esigenze più immediate della scuola, in

particolare dell'insegnamento di E. F. e della pratica sportiva.

Una radicale modifica dello status quo si è avuta con la L. 23 dicembre 1978, n. 833,

istitutiva del S. S. N., costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei

servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della

salute fisica e psichica di tutta la popolazione, in conformità col dettato dell'art. 32

della Costituzione per cui "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto

dell'individuo e interesse della collettività".

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Tale legge pone, tra le diverse finalità che il Servizio Sanitario Nazionale si prefigge,

anche la tutela sanitaria delle attività sportive; nell'art. 2 si dice: "[…] Il Servizio

Sanitario Nazionale nell'ambito delle sue competenze persegue: […] e) la tutela

sanitaria delle attività sportive […]"(18), mentre il successivo art. 14, che stabilisce i

compiti delle Unità Sanitarie Locali, afferma: "[…] Nell'ambito delle proprie

competenze, l'Unità Sanitaria Locale provvede in particolare: […] G) alla medicina

dello sport e alla tutela delle attività sportive;"(19).

Questa importante innovazione viene ripresa anche dalla L. 29 febbraio 1980, n. 33,

che esplicitamente include nella definizione di assistenza sanitaria quello di tutela

sanitaria delle attività sportive e demanda alle regioni il compito di stabilire le

modalità di esecuzione dei controlli.

Tali controlli per la partecipazione alle attività sportive vanno distinti in controlli -

iniziali e periodici - di idoneità specifica alla pratica agonistica di un determinato

sport, e accertamenti dello stato di buona salute e di assenza di controindicazioni alla

pratica di attività sportive non agonistiche.

Coloro che praticano attività sportive di tipo non agonistico ma ludico-ginnica,

devono quindi disporre di una idoneità generica, vedendosi tutelati dal decreto del

ministero della Sanità 28 febbraio 1983, che all'art. 1 dispone: "Ai fini della tutela

devono essere sottoposti a controllo sanitario per la pratica di attività sportive non

agonistiche:

a) gli alunni che svolgono attività fisico-sportive organizzate dagli organi

scolastici nell'ambito delle attività parascolastiche;

b) coloro che svolgono attività organizzate dal C.O.N.I., da società

sportive affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti di promozione sportiva

riconosciuti dal C.O.N.I. e che non siano considerati atleti professionisti ai sensi del

decreto ministeriale 18 febbraio 1982;

c) coloro che partecipano ai Giochi della Gioventù nelle fasi precedenti

quelle nazionali"(20).

Attendono a questo grado di tutela i medici di base ed i pediatri.

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L'idoneità specifica, richiesta per chi svolge attività agonistica sia a livello

amatoriale sia da professionista, costituisce invece la fase successiva, ed è necessaria

anche per gli studenti-atleti che disputino le fasi nazionali dei Giochi della Gioventù e

dei Campionati studenteschi. Questa idoneità particolare è regolata da una legislazione

piuttosto composita, il cui primo momento può considerarsi la L. 26 ottobre 1971, n.

1099, che attribuisce alle - allora neonate - regioni l'onere del controllo sanitario sugli

atleti. Essa segue alla L. 1055/50, che demanda alle federazioni la tutela dei propri

atleti, ed è completata dal D. M. 5 agosto 1975, che regola l'accesso alle singole

attività sportive. Gli aggiornamenti successivi per l'attuazione di norme di tutela

dell'attività agonistica sono contenuti nel D. M. 18 febbraio 1982, integrato e

modificato dal già citato D. M. 28 febbraio 1983, che prevede appunto, per i

partecipanti alle fasi nazionali, l'obbligatorietà del controllo all'idoneità specifica allo

sport.

Merita di essere segnalata la circolare del ministero della Sanità del 31 gennaio

1983, n. 7, che chiarisce in modo inequivocabile il termine di attività sportiva

agonistica: "[…] Essa deve intendersi come quella forma di attività sportiva praticata

sistematicamente e/o continuativamente e soprattutto in forme organizzate dalle

Federazioni Sportive Nazionali, dagli Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal

CONI e dal Ministero della Pubblica Istruzione per quanto riguarda i Giochi della

Gioventù a livello nazionale per il conseguimento di prestazioni sportive di un certo

livello"(21).

Si dovrebbe comunque evitare questa illogica discriminazione, insita nel fatto che,

mentre si esige, e giustamente, un controllo dell'idoneità specifica nell'accesso alla fase

nazionale, ci si accontenta, per le fasi precedenti, comportanti sostanzialmente pari

prestazioni e impegno fisico-energetico, di un controllo meno rigoroso, qual è quello

previsto per la pratica di attività sportive non agonistiche.

Va segnalato infine il nuovo contratto dei medici pediatri di base, regolato dal D. P.

R. 28 luglio 2000, n. 272, che evidenzia la necessità di una riorganizzazione generale

del settore sportivo scolastico sotto l'aspetto della tutela sanitaria (22).

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2.5 …E QUELLA ASSICURATIVA

Nello svolgimento delle attività di educazione fisica e sportiva può

malauguratamente verificarsi un infortunio dovuto ad una causa fortuita, violenta ed

esterna, che produca lesioni corporali o che arrechi danni a terzi, per cui può sorgere la

responsabilità civile che comporta l'obbligo del risarcimento del danno. L'art. 2043 del

Codice civile dispone testualmente: "Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad

altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno".

L'art. 2048 C. C., secondo e terzo comma, stabilisce che: "I precettori e coloro che

insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito

dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza" e che "sono

liberati dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto";

inoltre, ai sensi dell'art. 2047 C. C., gli insegnanti sono responsabili, in solido con la

scuola, per i danni cagionati dagli incapaci".

Appare chiara, allora, l'esigenza di dare alle attività di educazione fisica e sportiva

una maggiore sicurezza, intesa anche come copertura assicurativa degli infortuni e dei

danni arrecati.

Tutti gli alunni e gli operatori scolastici possono essere assicurati in ordine ai rischi

connessi all'attività di educazione fisica e sportiva nella scuola: il premio relativo è a

loro carico, ma l'adesione alla proposta di polizza è assolutamente facoltativa da parte

delle scuole. Per la verità (e purtroppo), non è mai stata radicata - in presidi e manager

scolastici - l'abitudine di assicurare il proprio istituto, quindi, nelle numerosissime

scuole che non aderiscono all'assicurazione degli alunni, gli insegnanti di educazione

fisica e gli altri operatori scolastici possono individualmente garantirsi sia contro i

propri infortuni, sia per la responsabilità civile. L'assicurazione viene stipulata dal

ministero della Pubblica Istruzione con una compagnia assicurativa scelta in base ad

indagine di mercato atta a valutare le condizioni migliori.

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Per quanto riguarda la nostra ricerca, "La garanzia assicurativa copre gli infortuni

degli alunni che si verificano durante ed in occasione:

- dell'intervallo che precede o segue le lezioni di educazione fisica;

- delle lezioni di educazione fisica e dell'insegnamento complementare di

avviamento alla pratica sportiva di cui all'art. 13 della L. 7 febbraio 1958, n. 88;

- di tutte le attività ricreative di carattere ginnico-sportivo che si svolgono

in prescuola, interscuola e doposcuola, comprese le attività complementari aventi

carattere integrativo ed extra curricolare;

- della preparazione, degli allenamenti e delle gare dei Giochi della

Gioventù e dei Campionati studenteschi, delle manifestazioni sportive scolastiche

internazionali indette dalla Federazione internazionale dello sport scolastico, di ogni

altra attività sportiva deliberata conformemente alla lettera f) dell'art. 6 del D. P. R. 31

maggio 1974, n. 416"(23).

Una importante forma di intervento è stata attuata da alcune regioni che hanno

adottato provvedimenti volti ad assicurare gli alunni ed il personale insegnante contro i

rischi da infortuni, e per la copertura della responsabilità civile degli insegnanti;

ricordiamo, fra queste, la regione a statuto speciale Friuli - Venezia Giulia, la regione

Lombardia e la provincia autonoma di Bolzano.

2.5.1 LA SPORTASS

Senza dubbio la principale e più diffusa forma di assicurazione per gli sportivi in

Italia è la SPORTASS. Nel maggio del 1934, il CONI, consapevole delle peculiarità

presenti nel rischio da attività sportiva e della necessità di provvedere ad una adeguata

copertura assicurativa, ha costituito la "Cassa di Previdenza per l'Assicurazione degli

Sportivi", con l'iniziale denominazione di "Cassa Interna di Previdenza del CONI".

Merito del massimo organismo sportivo nazionale è stato di aver creato la prima

organizzazione del genere in campo internazionale.

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Con R. D. 16 ottobre 1934, n. 2047, la Cassa fu eretta in ente morale e ne fu

approvato lo statuto, che all'art. 1 precisava i compiti: "Il CONI, nell'intento di lenire

le conseguenze degli infortuni connessi con l'esercizio delle attività sportive che esso

promuove e disciplina per l'elevamento fisico e morale della gioventù italiana, delibera

di istituire la Cassa Interna di Previdenza alla quale apparterranno di diritto tutti gli

iscritti all'atto stesso del loro tesseramento. La Cassa ha per scopo di provvedere

all'indennizzo, su di una base minima comune a tutti i tesserati, delle conseguenze

degli infortuni anzidetti mediante polizze di assicurazione con compagnie autorizzate

ai sensi del R. D. L. 29 aprile 1923, n. 966, e ad eventuali prestazioni mediche e

farmaceutiche nei casi e dentro i limiti indicati in apposito Regolamento da

considerarsi parte integrante del presente Statuto"(24).

Dopo alcuni anni di attività svolta per il tramite di compagnie assicurative, nel 1938

la Cassa venne autorizzata all'esercizio diretto dell'assicurazione contro gli infortuni

degli atleti federati e di quelli iscritti ad altre federazioni sportive aderenti.

Nel 1972 la SPORTASS ha ampliato notevolmente le proprie finalità, così

sintetizzate nell'art. 1 del nuovo statuto: " La SPORTASS - Cassa di Previdenza per

l'Assicurazione degli Sportivi - nell'intento di favorire la formazione e l'elevazione

fisica e morale della gioventù ed altresì lo sviluppo ed il perfezionamento delle attività

sportive in Italia, ha come scopo fondamentale quello di fornire senza finalità di lucro

prestazioni assicurative, assistenziali e previdenziali le cui esigenze emanino

dall'esercizio, dall'organizzazione e dallo svolgimento delle discipline sportive

inquadrate nell'ambito del CONI"(25).

La Cassa gestisce l'assicurazione contro gli infortuni personali dei tesserati delle

federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI, dei partecipanti ai Giochi della

Gioventù, Centri di avviamento allo sport, Centri Olimpia e ad altre attività giovanili e

degli iscritti agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI.

Per quanto concerne i Giochi della Gioventù (ma ciò vale pure per i Campionati

studenteschi), i giovani partecipanti a queste manifestazioni sono assicurati presso la

SPORTASS contro gli infortuni personali derivanti dalla loro partecipazione alle gare

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costituenti il programma dei Giochi stessi nelle fasi comunali, provinciali, regionali e

nazionali, e dallo svolgimento dei relativi allenamenti autorizzati e controllati.

"L'assicurazione riguarda gli infortuni avvenuti:

a) durante lo svolgimento delle gare in programma per le varie fasi dei

Giochi e durante le gare organizzate dalle Federazioni Sportive Nazionali nel quadro

dei «Giochi della Gioventù»;

b) durante gli allenamenti ufficialmente autorizzati e controllati;

c) durante le indispensabili azioni preliminari e finali di ogni gara od

allenamento ufficiale controllato, purché il fatto sia avvenuto sui campi, terreni, piste,

percorsi o nelle palestre, piscine e luoghi in genere stabiliti per lo svolgimento delle

singole attività sportive;

d) durante i viaggi, limitatamente agli spostamenti collettivi dei

partecipanti alle gare od allenamenti ufficiali di cui ai punti a) e b) svolti sotto il

controllo della Organizzazione periferica o centrale del CONI, ed effettuati con mezzi

pubblici o con mezzi appositamente noleggiati"(26).

La copertura assicurativa riguarda inoltre i rischi di responsabilità civile verso terzi

derivanti dall'organizzazione e dallo svolgimento dell'attività sportiva svolta dagli

iscritti ai Giochi della Gioventù, ai Centri di avviamento allo sport ed ai Centri

Olimpia.

NOTE AL CAP. 2

(1) Legge 7 febbraio 1958 n.88, Provvedimenti per l'educazione fisica, art. 13, comma IV.

(2) Ministero della Pubblica Istruzione, Attività sportiva scolastica 1968, Annuario

dell'ispettorato per l'educazione fisica e sportiva, Roma 1969, pag.12.

(3) Donato Martucci (a cura di), Il CONI e le federazioni sportive, Comitato Olimpico

Nazionale Italiano, Roma 1962.

(4) Studi e documenti degli Annali della pubblica istruzione, n. 25, L'educazione fisica e

lo sport nella scuola, Roma 1983.

(5) C. M. 10 dicembre 1954: Norme per il conseguimento dei Brevetti.

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(6) Luigi Gui - Ministro della P. I. - Conversazione tenuta il 14 giugno 1967 al Panathlon

di Roma, in: Ministero della Pubblica Istruzione, Attività sportiva scolastica 1967, Annuario

dell'ispettorato per l'educazione fisica e sportiva, Roma 1968, pp.6-7.

(7) C. M. 10 dicembre 1954, ivi.

(8) Tonino De Juliis - Mario Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana,

cit., pp. 35-36.

(9) Ivi, pag.36.

(10) Ivi, pag.37.

(11) Ivi, pp.38-39.

(12) C. M. 8 febbraio 1969 n.51 prot.954, Giochi della gioventù.

(13) C. M. 18 dicembre 1969: Norme esplicative dell'Ordinanza Ministeriale numero 422.

(14) Ivi.

(15) C. M. 19 aprile 1972, n.138: Giochi della Gioventù anno scolastico 1972-1973.

(16) Ivi.

(17) Studi e documenti degli Annali della pubblica istruzione, n.25, cit., pp.164-165.

(18) L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 2.

(19) Ivi, art. 14.

(20) D. M. 28 febbraio 1983, art. 1.

(21) D. M. 31 gennaio 1983, n. 7.

(22) D.P.R. 28 luglio 2000, n. 272.

(23) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit.,

pag. 374.

(24) R. D. 16 ottobre 1934, n. 2047, art. 1.

(25) D. P. R. 14 novembre 1972, n. 1126, art. 1.

(26) Ivi.

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CAPITOLO TERZO:

"CAMBIA LA FORMA, RIMANE LA SOSTANZA (CON QUALCOSA IN

MENO)".

3.1. UN'INDAGINE CONOSCITIVA

Nella VI legislatura la Camera dei deputati (Commissione interni, presieduta dall'on.

Cariglia) svolse, dal 29 marzo 1973 al 13 novembre 1974, una "Indagine conoscitiva

sulla situazione e le prospettive dello sport in Italia", al fine di acquisire tutti gli

elementi utili da mettere a disposizione di forze politiche, parlamentari e governo,

nell'eventualità di intervenire legislativamente a favore della deficitaria situazione

dello sport italiano. Per quanto riguarda la scuola, la commissione prese in esame i

seguenti problemi:

- la scuola come punto di partenza per la pratica e lo sviluppo dell'esercizio

sportivo;

- i programmi di educazione fisica e gli orari scolastici;

- le attrezzature sportive scolastiche;

- gli insegnanti, gli istruttori, i tecnici dello sport;

- i servizi di assistenza sanitaria nelle attività sportive scolastiche.

Gli interventi da parte dei rappresentanti della scuola riuscirono ad offrire un

panorama esauriente e completo. Il documento conclusivo pose l'accento in particolare

su alcune delle principali questioni da affrontare, esprimendosi così: "Allo stato

attuale, la scuola italiana affronta i problemi dello sport con l'insegnamento

dell'educazione fisica nella scuola media inferiore e superiore e con una modesta

partecipazione all'attività sportiva vera e propria. Nella scuola materna tale

insegnamento non è previsto; in quella elementare è affidato al maestro che nella

maggior parte dei casi lo sottovaluta o addirittura lo trascura; in quella media esso è

obbligatorio per tutti gli studenti (due ore settimanali), mentre l'attività sportiva è del

tutto facoltativa. «L'espansione scolastica, con la conseguente istituzione di nuove

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scuole di ogni ordine e grado, ha creato nel settore problemi particolarmente seri, ed ha

dato luogo a situazioni di notevole disagio» (Billini, provveditore agli studi di Livorno,

"provincia campione"). Unanime è stata la richiesta di rinvigorire l'insegnamento

dell'educazione fisica nella scuola elementare e a tal riguardo sono state avanzate varie

proposte. Partendo dalla constatazione che oltre il 60-70 per cento degli alunni di tale

scuola è affetto da paramorfismo, se ne deduce che l'insegnamento dell'educazione

fisica deve essere attuato con grande serietà fin dai primi anni dell'attività scolastica

del bambino; e la maggior parte degli interpellati ha proposto di sottrarre tale

insegnamento al maestro elementare per affidarlo ad un docente di educazione fisica, il

quale, operando al fianco dello stesso maestro, potrebbe curare 10-15 classi; altri

hanno proposto un docente di plesso, altri ancora un coordinatore dell'attività sportiva

di direzione didattica, qualche altro, infine, la qualificazione degli insegnanti

elementari della scuola a tempo pieno o la utilizzazione di maestri soprannumerari

all'uopo qualificati. […] I programmi d'insegnamento sono ancora quelli della L. 7

febbraio 1958, n. 88, «e da allora ad oggi molte cose sono cambiate» (Ricciardi, capo

dell'ispettorato per l'educazione fisica e sportiva del ministero della Pubblica

Istruzione). Almeno un aggiornamento di essi si impone in maniera categorica; e tale

aggiornamento deve riguardare sia un diverso rapporto tra educazione fisica ed

educazione sportiva, sia anche una diversa considerazione del fatto sportivo

nell'ambito dell'orario scolastico. I nuovi programmi dovrebbero « tener maggiormente

presenti le esigenze personali di ogni allievo: il criterio del piano didattico soggettivo

adottato per la scuola media dovrebbe essere esteso anche ai programmi di educazione

fisica» (Cappetti, insegnante di educazione fisica presso il liceo artistico "Firenze 2" di

Firenze)"(1).

Sempre nella stessa sede, si sostenne che: "Alla struttura ed al funzionamento degli

ISEF sono state mosse molte critiche. […] Le critiche più radicali sono venute dal

professor Enrile, docente dell'ISEF di Roma (il quale ha affermato di ritenere «che gli

ISEF attuali sono anacronistici, perché basati sulla edificazione di una educazione

fisica che non è più l'educazione del nostro tempo» e perché «tutti gli 11 istituti che

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esistono sono basati su uno statuto il quale finisce per falsare la vita moderna

dell'ISEF») […]. La durata del corso e la sua conclusione con il rilascio di un diploma

ha richiamato l'attenzione di molti degli interpellanti: si è d'accordo nell'aumentare la

durata del corso da tre a quattro anni e nel trasformare il diploma conclusivo in laurea,

inserendo la trasformazione dell'ISEF nell'ambito dell'auspicata riforma

universitaria"(2). A fronte di tante buone idee e tanti bei propositi, l' "indagine

conoscitiva" non condusse a nessuna modifica concreta sul piano legislativo.

Sintomatica la situazione degli ISEF: la loro trasformazione, della quale - come visto -

si parlava già nel 1974, troverà la propria attuazione alla fine del secondo millennio,

con l'istituzione del corso di laurea in "Scienze motorie".

3.2 I DECRETI DELEGATI

Nel 1974 una nuova realtà si propose nel panorama della normativa in campo

scolastico: i Decreti delegati emanati in attuazione della legge 30 luglio 1973, n. 477

("Delega al governo per l'emanazione di norma sullo stato giuridico del personale

direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria

e artistica dello Stato").

Per la prima volta, nel campo della legislazione inerente la scuola in Italia, si trattava

delle attività sportive degli alunni e se ne sollecitava lo sviluppo ad opera dei nuovi

organi collegiali della scuola. Di questo consistente corpus, interessa in particolar

modo, ai fini dell'argomento qui preso in considerazione, il D. P. R. 31 maggio 1974,

n.416 ("Istituzione e riordinamento di organi collegiali della scuola materna,

elementare, secondaria ed artistica"). Con esso venne assicurata la piena cittadinanza

all'interno degli ordinamenti giuridici della scuola alle attività sportive, attraverso

l'assegnazione di competenze specifiche agli organi collegiali d'istituto. In questo

modo l'attività sportiva scolastica diventava parte integrante della programmazione

educativa della scuola. Gli artt. 6 e 12 del D. P. R. 416 fanno esplicito riferimento alle

"attività sportive destinate agli alunni"(3), attribuendo ai Consigli di circolo e d'istituto

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specifiche competenze in materia, sia per l'aspetto organizzativo, sia per le modalità di

gestione dei fondi da parte delle singole scuole. Non solo, quindi, si era inserita

l'attività sportiva all'interno degli ordinamenti scolastici, ma ciò è stato fatto

prevedendo un'autonomia, anche gestionale, che ne favorisse la diffusione in tutte le

scuole, comprese quelle in cui fino ad allora l'attività era rimasta un buon proposito e

nulla più a causa dell'assenza del Gruppo sportivo scolastico. Di conseguenza, la piena

assunzione delle funzioni loro assegnate, da parte degli organi scolastici collegiali, ha

evidenziato l'esigenza di riconsiderare l'assetto organizzativo dello sport nella scuola,

fino ad allora basato sui Gruppi sportivi scolastici e sulle relative Unioni provinciali.

Il riordino della materia secondo i nuovi principi impartiti dai decreti delegati è

avvenuto con la circolare ministeriale 5 agosto 1975, n.222. Abbiamo già avuto

modo di occuparci di questo provvedimento nel capitolo precedente, quando si è

trattato della scomparsa dei Gruppi sportivi. In effetti questo documento ha soppresso

tali istituzioni, ritenute non più congruenti coi nuovi assetti organizzativi, affidando la

gestione dell'attività sportiva ai singoli istituti, secondo direttive stabilite dai rispettivi

organi collegiali e con l'ausilio e la consulenza di comitati tecnici, nei quali è

assicurata la presenza di docenti di educazione fisica.

Alcuni autori hanno tacciato il legislatore di eccessiva fretta e scarsa attenzione nei

confronti dei Gruppi sportivi: una soppressione forse poco oculata, giunta proprio nel

momento in cui lo sport studentesco trovava riconoscimento negli assetti istituzionali

della scuola. Un adeguamento dei Gruppi alla nuova realtà che si era venuta a creare

sarebbe stato possibile, anzi, forse si poteva addirittura prevedere uno sviluppo degli

stessi in virtù dei nuovi poteri decisionali dei Consigli d'istituto (4).

La circolare n. 222 riporta, aggiornandoli in modo opportuno alla mutata realtà dei

tempi e delle situazioni, i principi di fondo delle più valide esperienze nel campo dello

sport scolastico, non mancando - e in questo sta la vera novità - di tracciare una linea

strategica d'azione volta non solo a cercare di superare pregresse situazioni

d'immobilismo, ma anche a suscitare e sostenere nuove iniziative, nonché a porre le

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condizioni affinché il problema dell'attività motoria cominci a trovare all'interno della

scuola le risposte richieste dai giovani e dalle famiglie.

La scelta delle attività sportive da praticarsi nel quadro della programmazione

extrascolastica spetta ai Consigli d'istituto. Viene inoltre introdotta la possibilità di

svolgere le attività in corsi ad hoc, articolati per discipline e specialità sportive e

comprendenti alunni di classi diverse. Il raccordo tra le iniziative delle varie scuole

continua a trovare - a livello provinciale - il referente naturale nel provveditorato agli

studi. Sempre la circolare n. 222, riguardo la gestione e l'organizzazione dell'attività

sportiva scolastica, suggerisce ai Consigli d'istituto la costituzione di un "Comitato

tecnico-sportivo", nel quale sia assicurata - ovviamente - la presenza di docenti di

educazione fisica e sportiva.

In seguito, la C. M. 19 ottobre 1984, n. 310, sottolineava, "ai fini di un più forte

radicamento del comitato tecnico-sportivo nella realtà delle singole scuole,

l'opportunità che detto comitato, soprattutto nella scuola secondaria superiore, possa

coinvolgere rappresentanze di alunni e di tutte le altre componenti presenti nella scuola

che abbiano effettivo interesse ad impegnarsi in un'incisiva opera promozionale e di

gestione in favore dello sport scolastico. […] L'attività sportiva scolastica - quali che

siano le modalità operative in cui si realizza - è parte integrante della programmazione

educativa della scuola e come tale deve essere finalizzata al coinvolgimento della

generalità degli alunni. Nella materia, pertanto, vale quanto precisato nell'art. 4, lettera

a), del D. P. R. 31 maggio 1974, n. 416, circa il potere deliberante e le responsabilità

del Collegio dei docenti. Restano naturalmente ferme le competenze dei Consigli di

Istituto in merito all'adesione degli Istituti interessati ad attività sportive

interscolastiche, ai sensi dell'art.6 del D. P. R. n. 416 sopracitato, quali ad esempio i

Giochi della Gioventù, i Campionati studenteschi, il Concorso Esercito - Scuola, o

iniziative più circoscritte indette a livello provinciale o regionale"(5).

Con i Decreti delegati, il legislatore ha attribuito precise competenze sia ai Consigli

d'istituto, sia ai Consigli distrettuali e provinciali. In particolare, ai primi ha delegato le

materie riguardanti le modalità per il funzionamento e l'utilizzo delle attrezzature

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sportive (in futuro, con l'art. 12 della L. 4 agosto 1977, n. 517, la delega riguarderà

anche la possibilità di destinare ad altre istituzioni l'uso delle attrezzature - quindi

anche di quelle sportive - della scuola), oltre che l'organizzazione dell'attività sportiva

all'interno dell'istituto.

I Consigli scolastici distrettuali anche per il settore sportivo hanno solo compiti

propositivi e non decisionali, volti al potenziamento delle attività sportive destinate

agli alunni e riguardanti l'organizzazione e lo sviluppo dei servizi e delle strutture

connesse. Il Consiglio scolastico provinciale, infine, assolve, fra gli altri, l'impegno di

determinare l'utilizzo delle strutture della scuola (perciò anche di palestre ed impianti

sportivi) al di fuori dell'orario scolastico.

In sintesi, il D. P. R. 31 maggio 1974, n. 416, (art. 6) contempla la possibilità di

svolgimento nelle scuole di una vasta gamma di attività, fra cui quelle sportive, intese

a completare e rendere più efficace l'azione educativa, in relazione alle esigenze

avvertite e interpretate dagli organi collegiali, forti della loro autonomia.

Sulla base di questa nuova normativa sono maturate iniziative di promozione dello

sport scolastico, la più nota delle quali, come abbiamo avuto modo di vedere, è stata

l'ingresso - nel 1975 - della scuola nei Giochi della Gioventù. Da allora, all'inizio di

ogni anno scolastico, il Ministero emana una circolare sull'attività sportiva scolastica,

con la quale viene trasmesso ed illustrato il progetto tecnico dei Giochi, vengono

fornite disposizioni in merito alla partecipazione delle scuole alle manifestazioni, al

finanziamento delle attività, all'intervento a favore delle scuole elementari, al controllo

delle attività da parte dei capi d'istituto e dei provveditori agli studi.

Come detto, la scelta delle attività sportive nelle singole scuole spetta ai Consigli

d'istituto, anche in relazione alla disponibilità di attrezzature, impianti e preparazione

dei docenti. Alla scelta può essere dato un indirizzo tradizionale, orientandola verso le

specialità corrispondenti alle discipline olimpiche (ovviamente con i dovuti ed

opportuni adattamenti), oppure maggiormente rispettoso di tradizioni sportive o

folcloristiche locali. Chiaramente i Consigli d'istituto possono tenere presenti, come

termine di riferimento, le specialità comprese nel programma dei Giochi della

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Gioventù, anche in vista della partecipazione degli alunni alla stessa manifestazione.

In ogni caso, è indicato che nella scelta delle attività sportive da svolgere è opportuno

dare la preferenza a quelle "di base", che sono le più utili ed indicate per un completo

ed armonico sviluppo dei giovani e che costituiscono il presupposto di tutte le

specialità sportive. Altrettanto, sono da incentivare quelle discipline che, in relazione

alla disponibilità finanziaria ed alla possibilità di reperimento di impianti idonei,

consentano la partecipazione del maggior numero possibile di giovani. Le attività

deliberate si possono anche svolgere in corsi articolati per specialità, comprendenti

alunni di classi diverse. In determinati casi, si possono accogliere pure alunni di altra

scuola, quando vi sia l'accordo dei rispettivi organi direttivi (questa situazione si

presenta nel caso di attività che, poco diffuse nella scuola, difficilmente possono

svolgersi ed esaurirsi nell'ambito del singolo istituto). Dopo averne valutato

l'opportunità, i Consigli d'istituto possono deliberare anche la costituzione di corsi

misti maschili e femminili per quelle attività nelle quali le metodiche di preparazione e

le forme di svolgimento sono simili per l'uno e per l'altro sesso.

Oltre alle attività sportive "tipiche", assumono un certo rilievo e un interesse

crescente anche le attività di campeggio: queste, infatti, hanno trovato un elemento di

valorizzazione nei nuovi programmi di educazione fisica, sia come vasto settore

dell'attività motoria in cui la scuola si relaziona alla vita (rinnovando il rapporto uomo-

natura), sia come occasione completa di rapporto interdisciplinare, nel quadro di una

attenta programmazione educativa e didattica. Il campeggio, espressione tipica della

vita in ambiente naturale, offre ai giovani, provenienti da luoghi ed esperienze diversi,

la possibilità di incontrarsi e conoscersi, con una esperienza di vita che li accomuna

attraverso la scoperta di ambienti naturali e l'organizzazione - spesso autogestita - di

appropriate attività di carattere sportivo, ricreativo e culturale. Gli aspetti organizzativi

delle attività in questione sono curati dai provveditorati agli studi, d'intesa con gli enti

locali, i quali provvedono anche ad apprestare le infrastrutture ed i servizi necessari.

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3.3 OLTRE L'ORARIO SCOLASTICO

I Decreti delegati sono stati la base di partenza per altre novità: fra tutte vanno

segnalate - a partire dal 1976 - l'autorizzazione data ai docenti delle scuole impegnate

nei Giochi della Gioventù, di poter svolgere fino a sei ore settimanali oltre l'orario di

cattedra (le cosiddette ore extracurricolari), come ore di insegnamento complementare

di avviamento alla pratica sportiva: ore retribuite agli insegnanti come lavoro

straordinario. In secondo luogo, viene concessa alle scuole la possibilità di organizzare

attività sportiva scolastica nei mesi estivi e di prolungare, sempre in questo periodo, la

preparazione dei giovani in vista della partecipazione ai Giochi della Gioventù.

3.4 L'ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA

Sotto il punto di vista amministrativo, si è visto che nell'ambito del Ministero le

competenze relative allo svolgimento dell'attività fisico-sportiva nella scuola

secondaria fanno capo all'Ispettorato per l'educazione fisica e sportiva (per la scuola

elementare, invece, la competenza è della Direzione generale dell'istruzione

elementare). Tale Ispettorato, contemplato dall'art. 2 della L. 7 dicembre 1971, n.1264,

fra gli uffici centrali alle dirette dipendenze del ministro, costituisce la trasformazione

del Servizio centrale per l'educazione fisica e sportiva, creato con O. M. 6 marzo 1954

ma istituito formalmente dall'art. 7 della legge 88/58. Questo era a sua volta stato

preceduto da un Ufficio speciale per l'educazione fisica, sorto nel 1947 col compito di

provvedere all'ordinamento dell'educazione fisica e all'inquadramento del personale

insegnante nel ruolo transitorio statale istituito in quell'anno.

Gli artt. 39 e 119 del D. P. R. 31 maggio 1974, n. 417 ("Norme sullo stato giuridico

del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare,

secondaria ed artistica dello Stato"), contemplano le qualifiche di ispettori tecnici

centrali e periferici incaricati di provvedere ai servizi ispettivi tecnici. Un ulteriore

aggiornamento, contenuto nell'art.5 del D. L. 6 novembre 1989, n. 357, convertito con

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modificazioni in L. 27 dicembre 1989, n.417, sopprimerà il ruolo degli ispettori

tecnici centrali e periferici, istituendo il ruolo unico degli ispettori tecnici.

In ambito provinciale, invece, il coordinamento dei servizi attinenti all'educazione

fisica e sportiva spetta al provveditore agli studi, il quale può avvalersi della

collaborazione di un preside o di un professore di ruolo di educazione fisica;

quest'ultimo può essere dispensato in tutto o in parte dall'insegnamento. Si vuole così

dare ai provveditori la possibilità di avere un collaboratore di fiducia, con specifica

competenza in un settore nel quale essi generalmente non possiedono conoscenze

tecniche approfondite. Il coordinatore di educazione fisica, con la sua preparazione,

sarà così la longa manus del provveditore nello svolgimento delle attività di

promozione dello sport scolastico, di collegamento con gli enti e con le forze sportive,

di consulenza alle istituzioni scolastiche, di ispezione. I compiti dei coordinatori sono

stati oggetto di diversi provvedimenti amministrativi, ma l'unica disposizione

legislativa sull'organizzazione e il coordinamento periferico del servizio in esame resta

quella contenuta nelle brevi enunciazioni dell'art. 9 della L. 88/58.

Il coordinatore, quindi, allo stato attuale della legislazione, svolge essenzialmente

una funzione di proposta, parere, consulenza nei riguardi del provveditore, nelle

materie di sua competenza. L'ampiezza di queste, e le esigenze organizzative

dell'ufficio, possono tuttavia suggerire l'affidamento in via ordinaria al coordinatore,

attraverso atti di delega, della trattazione di questioni particolari, ferma restando al

provveditore la definitiva competenza decisionale e la adozione dei conseguenti atti

formali.

I Decreti delegati disciplinano alcune delle materie nelle quali il coordinatore può

agire in via ordinaria; esse sono:

- esame sotto il profilo tecnico dei programmi formulati dai distretti per il

potenziamento delle attività sportive destinate agli alunni, ai sensi appunto dell'art. 12

del D. P. R. 31 maggio 1974, n. 416;

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- accertamenti relativi allo svolgimento dell'insegnamento dell'educazione

fisica mediante visita alle scuole, secondo quanto è previsto nell'ultimo comma dell'art.

119 del D. P. R. 31 maggio 1974, n. 417;

- vigilanza sull'effettivo svolgimento delle ore complementari di

avviamento alla pratica sportiva;

- organizzazione delle attività e delle manifestazioni sportive

interscolastiche nell'ambito provinciale;

- assistenza e collaborazione, ove richieste dagli organi collegiali della

scuola, nelle attività di aggiornamento sull'educazione fisica e sportiva del personale

direttivo e docente, salve le competenze proprie degli ispettori tecnici.

L'incarico al coordinatore, non indicando la legge il termine di durata della nomina,

deve intendersi a tempo indeterminato, e cioè fino a quando non intervenga, da parte

del provveditore, un atto formale -motivato- che sollevi la persona dall'incarico stesso.

Per converso, anche le eventuali dimissioni del coordinatore diverranno esecutive solo

dopo l'accettazione da parte del provveditore.

3.5 L'EVOLUZIONE DEI PROGRAMMI

3.5.1 LA SCUOLA ELEMENTARE

Un'altra importante novità introdotta dai Decreti delegati è la facoltà, conferita ai

docenti, di utilizzare le sei ore extracurricolari già menzionate, per svolgere attività di

consulenza nei circoli didattici, in vista di convogliare ogni possibile risorsa materiale

e personale per assicurare uno sviluppo adeguato delle attività motorie nella scuola

elementare. Quello dell'insegnamento dell'educazione fisica e sportiva nella scuola

primaria è un grave problema, al quale ancora oggi non si è riusciti a dare una

soluzione dignitosa. Essa è stata trascurata e bistrattata fin dai programmi provvisori

del 1945, nei quali l'educazione fisica veniva vista come strumento di altre forme

educative quali l'educazione morale e civile. Si trattava di sudditanza, che veniva

continuamente ribadita ed accentuata con proposizioni come queste: "L'educazione

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fisica è stata considerata uno degli aspetti e modi di educazione morale e quindi

compresa in questo insegnamento. Il corpo che noi vogliamo irrobustire, rendere agile

e pronto, è sempre uno strumento dell'animo. La forza fisica deve essere posta al

servizio di una volontà diretta ad operare secondo le leggi morali"(6).

I contenuti dell'attività educativa indicati nei programmi erano molto generici, e

proponevano lo svolgimento di esercizi e giochi, lasciando all'insegnante ed agli stessi

alunni la massima possibilità di scelta. Ad esempio, si affermava che le attività

dovevano essere proporzionate alla forza fisica degli scolari ed adeguate alle

possibilità del luogo. Veniva in pratica posto un problema relativo all'esistenza o meno

di strutture scolastiche idonee, e l'unico parametro preso in considerazione per stabilire

la validità dell'esercizio, del gioco o dell'attività pre-sportiva era quello della resistenza

del fanciullo alla fatica: una valutazione superficiale, a ben vedere, che prescindeva da

tutte le condizioni di carattere organico e funzionale che dovrebbero essere considerate

nel valutare l'idoneità di certe attività in rapporto al processo di maturazione biologico

e psicologico dell'alunno della scuola elementare. Per il primo ciclo, comprendente le

prime tre classi, si menzionavano, ad esempio, "facili giochi ed esercizi diretti a

sveltire e correggere i movimenti"(7), esercizi di respirazione, e tre tipi di attività che

corrispondono ad altrettanti schemi motori: marciare - cioè camminare secondo un

ritmo - correre e saltare.

Il secondo ciclo (classi quarta e quinta) prevedeva "giochi più complessi di quelli

praticati nelle classi precedenti, e giochi sportivi"(8), senza fornire indicazioni ulteriori

su quali fossero i giochi più adatti a questa età. Erano poi previsti, per entrambi i cicli,

passeggiate ed escursioni all'aperto.

L'eccessiva genericità dei programmi del 1945 indusse il Ministero a formularne di

nuovi e più specifici. Col D. L. C. P. S. n. 383, dell'8 novembre 1946, furono

approvati i programmi di insegnamento dell'educazione fisica per gli alunni delle

scuole elementari (e secondarie). I contenuti si orientavano in tre direzioni particolari:

ginnastica metodica e preventivo-correttiva, giochi, ginnastica tra i banchi. Vennero

stabilite due lezioni settimanali di trenta minuti ciascuna per le prime tre classi, e

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quattro lezioni - sempre a settimana e della medesima durata - per la quarta e la quinta.

Anche questi programmi non costituirono un avanzamento rispetto a quelli dell'anno

precedente, risultando sempre troppo generici e lacunosi. I maestri poi ci misero del

loro per disattendere all'insegnamento dell'educazione fisica: ciò avvenne soprattutto

nell'immediato dopoguerra, per una sorta di paura di apparire nostalgici nei confronti

del passato regime. Essi erano ulteriormente giustificati dal fatto di disporre

unicamente di una cultura dell'educazione fisica che aveva alimentato la loro

formazione professionale nei due decenni precedenti, né erano in grado di realizzare

una vera e propria riconversione culturale sulla base delle linee quanto mai generiche

che emergevano dai nuovi programmi ministeriali. Diverse circolari ministeriali di

quegli anni lamentavano come in moltissime scuole gli alunni delle elementari non

ricevessero l'insegnamento dell'educazione fisica; un insegnamento che, se non era

stato del tutto trascurato, non aveva avuto lo sviluppo necessario.

Il D. P. R. 19 giugno 1955, n. 530, dava alla scuola elementare dei nuovi programmi,

destinati a rimanere in vigore per quasi trent'anni. Chi si fosse aspettato miglioramenti

ed un maggiore spazio dedicato all'attività fisica e sportiva sarebbe rimasto presto

deluso: non v'era l'ombra di un rinnovamento rispetto alle disposizioni

precedentemente in vigore. Il programma di educazione motoria riferito alla prima e

alla seconda elementare si commenta da sé: "In ogni giornata scolastica trovino

adeguato ed opportuno posto, possibilmente all'aperto, giochi ed esercizi che, mentre

giovino ai fini dell'educazione alla socievolezza, valgano a sveltire e a correggere i

movimenti e consentano agli alunni di esprimersi gioiosamente in canti e ritmi rivolti

all'armonico sviluppo delle attitudini fisiche e morali"(9). I contenuti, dunque,

rimanevano quelli dei giochi e degli esercizi già indicati nel programma del 1945.

Le carenze dell'insegnamento dell'educazione fisica nella scuola elementare hanno

continuato a manifestarsi fino agli anni '70, quando un contributo al risveglio

dell'interesse sull'argomento venne dato dalla pubblicistica pedagogica, psicologica e

didattica francese, ampiamente tradotta in Italia. Fu ancora il CONI a sollecitare un

maggiore approfondimento culturale e didattico e un più profondo impegno nella

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pratica educativa in questo settore. Questa attività di sensibilizzazione sfociò nelle

disposizioni contenute nella circolare n. 2, del 3 gennaio 1974 (ministro Malfatti): il

documento evidenziava la rilevanza della richiesta sociale di educazione fisica in quel

tempo, caratterizzato dai fenomeni dell'inurbamento e dello sviluppo tecnologico. Esso

affermava la necessità che la scuola elementare realizzasse, anche nell'attività motoria,

una sorta di continuum educativo con la scuola materna (in cui gli Orientamenti

insistevano prevalentemente sul "gioco") e la scuola media. Sulla scorta degli indirizzi

di tale circolare veniva attuato, fra l'altro, un piano di collaborazione fra ministero

della P. I. e CONI per l'aggiornamento dei docenti nelle scuole elementari e per

sperimentare nuove forme di attività ludica-presportiva.

Un'altra circolare ministeriale, la n. 104, del 16 aprile 1975, forniva "Indicazioni

orientative per lo svolgimento delle attività di educazione fisica nella scuola

elementare"(10). Tali indicazioni dovevano costituire uno spunto di riflessione per i

docenti, ed un possibile argomento di discussione dei Collegi dei docenti nella

programmazione dell'azione educativa, ai sensi dell'art. 4, lettera a), del D. P. R. 31

maggio 1974, n. 416.

Un particolare impegno nei confronti della scuola elementare deriverà anche dal

protocollo d'intesa del 1980 tra ministero della Pubblica Istruzione e CONI, in

particolare circa le iniziative volte alla qualificazione degli insegnanti elementari.

I nuovi programmi per questo ordine di scuole sono stati emanati con D. P. R. 12

febbraio 1985, n.104. Essi sono entrati in vigore nelle classi prime dell'anno scolastico

1987-1988 e nelle classi successive negli anni scolastici seguenti, per la necessità di un

graduale processo preparatorio, completato nell'anno scolastico 1991-1992. A parte

alcuni riferimenti a favore delle attività motorie e di gioco-sport, anche in essi non v'è

alcun cenno all'attività sportiva.

3.5.2 LA SCUOLA MEDIA

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Se la situazione dello sport nella scuola elementare può definirsi assai carente, le

cose non vanno molto meglio per la scuola media, soprattutto per quella inferiore. I

primi programmi post-bellici provvisori di educazione fisica furono emanati con D. L.

C. P. S. 8 novembre 1946, n.383, in un momento in cui l'intero ordinamento della

materia era in fase di assestamento. Ancora non erano stati risolti i problemi relativi al

reinserimento dell'E. F. nell'apparato scolastico, una volta chiusa la lunga parentesi che

dal 1923 aveva portato tale disciplina fuori dalla scuola, affidandola dapprima all'Ente

nazionale per l'educazione fisica, poi all'Opera nazionale balilla, infine alla Gioventù

italiana littorio. L'urgenza di avere dei programmi, e la contemporanea incapacità di

liberarsi da molti vincoli del passato, furono la causa di una loro caratterizzazione

particolare ed anacronistica. Nella premessa, il compilatore segnala la loro

provvisorietà, passando poi ad una critica dei contenuti, delle finalità e delle

metodologie dell'educazione fisica del passato, auspicando un recupero della

dimensione fisiologica della materia e un ritorno alla originaria natura

dell'insegnamento. Contrariamente ai propositi della premessa, i programmi si

sostanziavano poi in una dettagliata e minuziosa serie di esercizi ricalcati, senza nulla

di nuovo aggiungere, su quelli presenti in passato.

Essi furono rinnovati con D. P. R. 25 luglio 1952, n. 1226, ("Programmi di

insegnamento di educazione fisica per le scuole di ogni ordine e grado della

Repubblica", elementari escluse); neppure questi apportarono sostanziali innovazioni.

Si operò la distinzione fra attività da svolgere nel triennio (medie inferiori) e quelle

degli anni successivi, ma per il resto si ritrovava la sequela dei rigidi esercizi del 1946.

Brevi accenni vennero fatti alla dimensione sportiva: si individuarono due categorie di

attività - atletica e giochi - con una netta differenziazione di impegno fra maschi e

femmine. Tali programmi, rigidi e vincolanti, nati già obsoleti e superati, rimasero in

vigore, per la scuola secondaria di secondo grado, fino all'anno scolastico 1983-84,

quando vennero sostituiti da quelli emanati, dopo un lunghissimo iter, con D. P. R. 1

ottobre 1982, n.908.

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La legge 31 dicembre 1962, n. 1859, sancì la trasformazione dell'ordinamento

dell'istruzione secondaria di primo grado, rinnovando la scuola media e dotandola di

un'originale impostazione didattica ed educativa. Si attuò così l'articolo 34, comma

2, della Carta costituzionale, che dice: "L'istruzione inferiore, impartita per almeno

otto anni, è obbligatoria e gratuita". Il risultato fu una scuola ottennale obbligatoria,

che voleva rispondere al principio di elevare il livello di istruzione e di educazione

personale di ciascun cittadino, e quello di tutto il popolo italiano.

I programmi della scuola media vennero emanati dal ministro Gui con D. M. 24

aprile 1963 (Orari e programmi d'insegnamento della scuola media statale). Riguardo

l'educazione fisica, il programma era finalizzato allo sviluppo armonico del corpo e

delle funzioni vitali, anche in vista di un migliore adattamento sociale. Questo

insegnamento non andava visto come semplice sfogo di energia fisica a

compensazione dell'attività sedentaria, ma anche come mezzo educativo, del fisico e

del comportamento. Erano previsti esercizi di preatletica generale, che preludessero

alle esercitazioni di atletica leggera vera e propria. Al fine di educare lo spirito di

emulazione, ed un leale comportamento agonistico, potevano essere organizzate

piccole gare e semplici competizioni. Come visto in precedenza, l'attività sportiva tout

court sfociava nelle manifestazioni dei gruppi sportivi e dei Giochi della Gioventù.

A seguito della L. 16 giugno 1977, n.348, che modificò alcune norme della l. 31

dicembre 1962, n.1859, sulla istituzione e l'ordinamento della scuola media statale,

con il D. M. 9 febbraio 1979 vennero formulati nuovi programmi d'insegnamento nella

scuola media inferiore, in sostituzione di quelli del 1963. Nel 1978 l'allora ministro

Malfatti nominò una folta commissione con l'incarico di elaborare e proporre un nuovo

testo. Questa commissione lavorò diversi mesi senza mai trovare un'intesa fra i suoi

membri in nessuna delle varie aree disciplinari, educazione fisica compresa, che

purtroppo dovette rinunciare alla dicitura completa, con l'auspicabile aggiunta di un "e

sportiva". L'innovazione più importante, ma nello stesso tempo la più discussa, stava

comunque nell'aver inserito nel programma l' "avviamento alla pratica sportiva".

L'educazione fisica veniva intesa quale componente di un'educazione unitaria, e gli

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obiettivi e le indicazioni programmatiche erano profondamente innovative. Veniva

così previsto l'avviamento allo sport (che si inseriva con armonia nel contesto

dell'azione educativa), allo scopo di contribuire alla formazione della personalità degli

alunni e di porre le basi per una consuetudine di sport attivo. Con il rispetto, che si

deve sempre pretendere, delle regole del gioco, si tendeva ad una consuetudine di

lealtà e di civiltà che doveva andare oltre l'ambito delle ore di lezione. Gli sport e i

giochi di squadra dovevano, inoltre, mirare a introdurre e consolidare abitudini di

collaborazione reciproca. L'avviamento allo sport comportava naturalmente forme di

competizione fra gli alunni. Ciò induceva a chiarire che l'agonismo, inteso come il

dare il meglio di se stessi nel confronto con gli altri, rientrava nella logica

dell'educazione, e perciò della scuola.

L'agonismo, tema spesso dibattuto e sovente demonizzato anche per mascherare

posizioni di comodo o volontà di disimpegno da parte degli insegnanti, non è - in sé -

un valore negativo. Esso fa parte della natura stessa dell'essere umano e rappresenta

una forza interiore che può manifestarsi attraverso forme di comportamento positive o

negative a seconda di come siamo stati abituati ed educati a dominarle e dirigerle.

Compito della scuola era anche quello di far comprendere agli studenti che la spinta

agonistica deve svolgersi nel senso della ricerca metodica del miglioramento delle

proprie qualità ed abilità, e che la vittoria o la sconfitta sul campo di gara devono

essere soprattutto occasione di riflessione sul rapporto esistente tra qualità e quantità

del lavoro svolto e risultato ottenuto.

Per quanto concerne l'esame di licenza media, l'art.3 della citata legge n. 348 del 16

giugno 1977 sopprimeva la prova pratica di educazione fisica (prevista invece nei

programmi del 1963), inserendo la materia nell'ambito del colloquio pluridisciplinare.

3.6 I CENTRI OLIMPIA

Fra le varie formule possibili attraverso cui realizzare la promozione sportiva dei

giovanissimi, agli inizi degli anni '70 prese piede quella denominata "Centri Olimpia".

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In quegli anni il CONI, insieme ai Giochi della Gioventù, lanciò la proposta dei centri

Olimpia, da realizzarsi da parte delle associazioni e istituzioni interessate, con il

sostegno organizzativo e finanziario del Comitato stesso. Mediante questa proposta, il

massimo organismo sportivo nazionale cercò di riunire gli sforzi di più componenti

(Enti di promozione sportiva quali C.S.I., U.I.S.P., A.C.L.I.; Federazioni sportive; il

CONI stesso) al fine di sviluppare un'azione ad ampio raggio, più produttiva e meglio

garantita sotto l'aspetto programmatico e metodologico. Il primo invito a promuovere e

coordinare unitariamente l'attività dei centri Olimpia fu rivolto agli enti di promozione

sportiva, tradizionalmente impegnati nella diffusione della pratica sportiva per tutti, a

fianco ed in collaborazione col CONI stesso e le federazioni sportive nazionali. In un

secondo momento furono invitati a partecipare all'impegno anche la scuola e gli enti

locali.

L'esperienza dei centri Olimpia ha prodotto importanti risultati sul piano

promozionale, facendo moltiplicare in tutta Italia il numero dei centri e dei

giovanissimi avviati allo sport, ed è stata molto significativa sul piano sportivo, sociale

e politico perché ha cercato di stimolare lo spirito di collaborazione e corresponsabilità

tra forze diverse, favorendo il costante progresso tecnico e metodologico attraverso la

ricerca e le sperimentazione, i sussidi tecnico-didattici e la formazione degli operatori.

Finalità precipua dei centri Olimpia è quella di contribuire alla formazione umana e

sociale dei giovanissimi, impegnandosi per il loro sano ed armonico sviluppo

psicofisico mediante attività motorie e sportive ludiche e polivalenti. I centri sono

riservati ai ragazzi di ambo i sessi dai 5 ai 14 anni, e interessano pertanto tutto il ciclo

della scuola dell'obbligo. Viene praticata una suddivisione in fasce di età, secondo le

indicazioni della pedagogia moderna: la prima va dai 5 ai 7 anni, e si conclude con il

primo ciclo della scuola elementare; qui l'accento è posto esclusivamente sul gioco. La

seconda comprende il secondo ciclo della scuola elementare e va dagli 8 ai 10 anni; le

attività, sempre essenzialmente ludiche, si fanno più complesse ed impegnative e

comprendono anche i giochi presportivi. L'ultima fascia riguarda gli alunni dagli 11 ai

14 anni, coincidendo quindi col triennio delle scuole medie inferiori; viene assunta una

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caratterizzazione più dichiaratamente sportiva, ma sempre orientata a diverse

discipline, evitando ogni forma di specializzazione precoce. Solo nell'ultima fase del

ciclo si potranno orientare i ragazzi verso la pratica di una specifica disciplina sportiva,

tenendo conto delle tendenze e delle attitudini di ciascuno. Nel periodo conclusivo di

ciascun ciclo gli alunni parteciperanno ai Giochi della Gioventù, avendo così

l'occasione ideale per esprimere le capacità maturate attraverso una corretta

preparazione.

I criteri fondamentali ai quali si ispirano i centri sono:

- "formazione fisica di base, attraverso una attività motoria globale,

centrata sugli schemi motori fondamentali;

- polivalenza, cioè perseguimento delle finalità motorio-sportive attraverso

attività che contengano i gesti basilari di più sport e attraverso tecniche espressive di

varia natura, anche a carattere interdisciplinare, che offrano ai ragazzi ampie e

concrete possibilità di sviluppo culturale e di partecipazione;

- polisportività, cioè graduale iniziazione a varie discipline

contemporaneamente, allo scopo di arricchire il patrimonio motorio-sportivo degli

allievi, consentendo ad ognuno di orientarsi e di scegliere autonomamente e

criticamente la futura attività sportiva specifica;

- non selezione degli allievi, a prescindere cioè dalle loro caratteristiche

psico-fisiche o dalle loro doti tecnico-agonistiche;

- autosufficienza economica e non perseguimento di scopo di lucro, quindi

mantenimento delle quote a livelli popolari, tenendo anche conto delle zone

geografiche e dell'ambiente sociale in cui i Centri sorgono"(11).

Mentre i centri Olimpia si pongono come obiettivo prioritario lo sviluppo completo e

armonico delle qualità psicofisiche dei soggetti, i Centri CONI di Avviamento allo

sport si prefiggono più espressamente l'avvio all'attività agonistica, attraverso una

preparazione fisica generale di base cui fa seguito un addestramento tecnico specifico.

Essi sono stati istituiti dal Consiglio Nazionale del CONI il 4 aprile 1978, in concerto

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con le federazioni sportive nazionali e con le società ad esse affiliate. Questi, però, non

hanno mai intessuto rapporti ufficiali con il mondo della scuola.

3.7. IL CONCORSO ESERCITO-SCUOLA

Una manifestazione creata, alla metà degli anni '70, in collaborazione tra lo Stato

Maggiore dell'Esercito e la Federazione italiana di atletica leggera, d'intesa con il

ministero della Pubblica Istruzione, è il "Concorso Esercito-Scuola": esso ha inteso

offrire agli studenti della scuola media le condizioni ideali per la partecipazione a gare

di corsa campestre. Il programma tecnico era differenziato per fasce di età e per

maschi e femmine (si andava dai 1500 ai 4500 metri). Erano previste una fase

provinciale, una regionale ed una finale nazionale. Ufficialmente il concorso non ha

mai cessato di esistere, ma, di fatto, i cambiamenti strutturali che stanno interessando

l'Esercito Italiano, hanno interrotto lo svolgimento della manifestazione.

NOTE AL TERZO CAPITOLO

(1) Camera dei Deputati - Segretariato generale, Situazione e prospettive dello sport in

Italia - Indagine conoscitiva della II commissione permanente (Affari interni), Servizio commissioni

parlamentari, Roma 1973, pp. 243-244.

(2) Ivi, pag. 246.

(3) D. P. R. 31 maggio 1974, n. 416, artt. 6 e 12.

(4) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit., pag.

43.

(5) C. M. 19 ottobre 1984, n.310.

(6) Studi e documenti degli Annali della pubblica istruzione, n°25, L'educazione fisica e lo

sport nella scuola, Roma 1983, pp. 23-24.

(7) Ivi, pag. 25.

(8) Ivi, pag. 25.

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(9) Ivi, pp. 29-30.

(10) C. M. 16 aprile 1975, n. 104.

(11) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit., pag.

304.

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CAPITOLO QUARTO:

"ALLA RICERCA DI UN'IMPROBABILE INTESA".

4.1 IL PRIMO PROTOCOLLO D'INTESA

La nuova formula dei Giochi della Gioventù diede risultati confortanti dal punto di

vista della partecipazione e fece nascere nel mondo sportivo il desiderio di definire e

formalizzare una nuova e più ampia intesa con la scuola. Nel 1979 i vertici del CONI

presero contatti col ministro della P. I. in carica, on. Pedini, proponendo uno schema di

Protocollo d'intesa che, però, non giunse in porto per le sopravvenute dimissioni del

governo. Un successivo tentativo venne fatto con l'on. Spadolini, nuovo ministro, ma

anche questo governo dovette abdicare dopo soli cinque mesi. Finalmente si giunse a

qualcosa di concreto con il ministro Valitutti, succeduto a sua volta all'on. Spadolini.

Nel mondo della scuola le notizie trapelate avevano fatto sorgere la preoccupazione

che la nuova, eventuale intesa avrebbe potuto accrescere eccessivamente l'influenza

del CONI negli affari dello sport scolastico. Il nuovo ministro volle quindi che i

termini dell'accordo venissero redatti sulla base di apposito parere del Consiglio

nazionale della pubblica istruzione, garante naturale e custode dell'autonomia della

scuola e della sua funzione educante. Il parere venne reso nel gennaio del 1980, e il 4

febbraio dello stesso anno, il ministro Valitutti ed il presidente del CONI, Carraro,

posero le loro firme in calce al protocollo. Il documento comportava un'autentica

svolta nella collaborazione fra il massimo organismo sportivo italiano e la scuola: una

collaborazione iniziata nel 1950 e vissuta, come abbiamo avuto modo di vedere in

precedenza, fra alti e bassi, fra momenti di intenso feeling ed altri in cui spesso

l'organismo scolastico (non senza ragione) lamentava un'ingerenza troppo

ingombrante da parte del CONI nella propria sfera. Ad ogni modo, si trattava di

documento importante, che ha saputo definire un rapporto tra istituzioni, assicurando

una più stretta e proficua collaborazione in favore dello sviluppo dell'educazione

fisico-sportiva e delle attività sportive scolastiche.

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Due erano le importanti premesse contenute nel protocollo: la prima affermava che

l'accordo di collaborazione faceva salve le funzioni e le competenze proprie delle due

parti; la seconda riconosceva che la soluzione organica dei problemi attinenti allo

sviluppo dello sport nella scuola sarebbe dovuta avvenire con provvedimenti

legislativi, e cioè nella sede politica di valutazione e composizione delle istanze

sociali. I temi definiti di rilevanza prioritaria riguardavano:

1) "lo sviluppo delle attività motorie nella scuola materna ed elementare,

facendo leva soprattutto su iniziative di qualificazione degli insegnanti;

2) lo sviluppo dell'attività sportiva nella scuola secondaria mediante

iniziative che tengano conto nel modo più appropriato: delle finalità educative dello

sport scolastico; dei caratteri dei diversi gradi di scuola; dell'orientamento delle

preferenze degli alunni; dei livelli di preparazione dei docenti; dello stato degli

impianti; della economicità della spesa in relazione ai risultati quantitativi e qualitativi

della partecipazione;

3) l'aggiornamento dei docenti della scuola materna, elementare e

secondaria, mediante iniziative promosse e gestite dal ministero della pubblica

istruzione, con apporti tecnici del mondo sportivo segnatamente nei campi della

medicina sportiva e dell'utilizzazione degli spazi, e con la messa a disposizione di

impianti e servizi;

4) lo sviluppo dei Giochi della Gioventù, orientato al fine di valorizzarne

ulteriormente la funzione di promozione dello sport giovanile;

5) lo svolgimento di studi e ricerche sugli impianti sportivi scolastici,

attinenti particolarmente ai temi della tipologia, delle tecnologie, della gestione e dei

rapporti col territorio;

6) la diffusione nella scuola dei Centri Olimpia e dei Centri di avviamento

allo sport, coi programmi concordati fra le parti;

7) l'approfondimento della ricerca e le iniziative di specializzazione in

materia sportiva, anche attraverso la concessione, da parte del CONI, di contributi

specifici agli ISEF per il finanziamento di progetti determinati e per l'attivazione di

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corsi di specializzazione con indirizzo sportivo, nonché attraverso l'assegnazione di

borse di studio da conferire mediante concorso a diplomati e studenti;

8) la adozione, da parte del ministero, di ogni possibile misura dello sport

italiano, muovendo dalla attenta considerazione delle esigenze dei docenti di

educazione fisica che siano atleti o tecnici di interesse nazionale" (1).

In relazione ai temi anzidetti, il protocollo formulava i principi sui quali si doveva

sviluppare la collaborazione. Affinché quest'ultima producesse i risultati migliori, ogni

anno veniva predisposto un dettagliato programma di interventi nelle aree di comune

interesse. Grazie a quest'intesa, sono state realizzate molteplici iniziative: in particolar

modo vanno evidenziate quelle volte alla qualificazione e all'aggiornamento degli

insegnanti, i corsi di specializzazione dei docenti di educazione fisica in tecniche

sportive, il potenziamento delle attività, ma soprattutto lo sviluppo della pratica

motoria nella scuola elementare e le iniziative di ricerca e sperimentazione.

Il CONI, col suo contributo tecnico e finanziario, ha permesso di avviare e sostenere

iniziative per lo sviluppo dell'educazione fisica e sportiva, in un periodo nel quale, alla

crescente domanda di sport da parte degli alunni e delle famiglie, si opponevano le

note difficoltà della finanza statale.

Anche il Ministero ha cercato di onorare gli impegni assunti nei confronti del mondo

sportivo; ne sono esempi le misure adottate in via amministrativa per agevolare la

partecipazione di numerosi nostri campioni alle Olimpiadi di "Mosca '80" ed ai

successivi campionati mondiali o europei nelle varie specialità sportive, oltre che la

presentazione e il sostegno in Parlamento dell'iniziativa che doveva portare

all'approvazione della L. 13 agosto 1980, n. 464 (Svolgimento di attività sportive degli

insegnanti di educazione fisica atleti o tecnici di livello nazionale). Questa

disposizione normativa prevedeva la possibilità, per il ministero della P. I., di mettere

a disposizione del massimo organismo sportivo nazionale docenti di educazione fisica

per curare la preparazione e la partecipazione ai Giochi olimpici, ai campionati del

mondo ovvero a manifestazioni internazionali ad essi assimilabili.

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Con D. P. R. 1 ottobre 1982, n.908, vennero emanati i nuovi programmi di

insegnamento dell'educazione fisica negli istituti di istruzione secondaria superiore, nei

licei artistici e negli istituti d'arte. Essi entreranno in vigore a decorrere dall'anno

scolastico 1983-1984, sostituendo quelli di cui al D. P. R. 25 luglio 1952, n.1226,

vigenti quindi da più di trent'anni e ormai largamente superati in quanto davano scarso

rilievo alla pratica delle attività sportive. I nuovi programmi di E.F. intendono

costituire un continuum con l'insegnamento svolto nella scuola media. Sotto l'aspetto

che più ci interessa, gli obiettivi fondamentali che la nuova programmazione auspica

sono la conoscenza e la pratica dello sport, anche in vista dell'acquisizione e del

consolidamento di abitudini permanenti di vita.

Il decennio 1980-1990 non ha riservato alcuna novità dal punto di vista dello sport

nella scuola; dopo la sottoscrizione del protocollo l'attività sportiva continuò sui binari

disegnati in precedenza: Giochi della gioventù per alunni delle scuole elementari e

medie inferiori, Campionati studenteschi per quelli delle superiori. Fiorirono, in questi

anni, per volontà di amministratori locali in concerto con insegnanti di educazione

fisica e capi d'istituto, numerosi meetings di atletica leggera rivolti agli studenti delle

scuole superiori. Un esempio: a Montichiari, provincia di Brescia, dal 1980 al 1996,

nella prima settimana di maggio (spesso come prova generale dei Campionati

studenteschi provinciali di atletica leggera), la locale amministrazione comunale ha

organizzato il "Trofeo S. Pancrazio", intitolato alla memoria del prof. Alessandro

Calvesi (forse il migliore tecnico che l'Italia abbia mai avuto nelle specialità dei 110 e

400 metri ad ostacoli). Si è trattato di una manifestazione sempre molto partecipata

nella quale, sulle quattro vecchie corsie in terra battuta dello stadio "Romeo Menti", si

sono spesso registrati risultati tecnici di tutto rilievo.

Alla Conferenza nazionale della scuola (Roma, 30 gennaio - 3 febbraio 1990), il

presidente del CONI, avv. Arrigo Gattai, tentò un bilancio dei 10 anni di

collaborazione scuola-CONI seguiti al protocollo d'intesa del 1980. Dopo aver esordito

chiarendo che il massimo ente sportivo nazionale si rivolgeva alla scuola non con

l'intento di "sportivizzarla" o per creare dei campioni, ma per sostenerla nella ricerca

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della propria identità, anche attraverso l'educazione motoria, fisica e sportiva, valutava

positivamente l'esperienza svolta mettendo a fuoco alcuni punti fondamentali:

- "è cresciuto il costume, c'è ora una maggiore cultura del motorio, del

fisico, dello sport. La gente lo chiede, le famiglie lo reclamano, gli educatori ne

sottolineano l'esigenza imprescindibile;

- la Scuola ha colto questa nuova cultura e, rinnovando i programmi

didattici, nelle scuole di ogni ordine e grado, ha dato un posto, un ruolo, un'evidenza a

questa area disciplinare del motorio, del fisico e dello sportivo che fino a pochi anni

prima poteva sembrare impensabile;

- c'è ora nella Scuola una nuova attenzione a questi problemi, e si chiedono

migliori professionalità per gli educatori e la fruizione, e semmai la gestione, di un più

preciso aggiornamento;

- sono cresciuti anche gli impianti sportivi, ma questo settore evidenzia

carenze difficilmente recuperabili e ritardi cronici;

- si nota una notevole disponibilità degli insegnanti ad approfondire i

problemi, ad operare con sempre maggiore coscienza, a sperimentare strade diverse e a

cercare l'innovazione metodologica e didattica;

- si sono visti dirigenti ed operatori scolastici aprirsi e chiedere

collaborazioni, aiuti, contributi di cultura e di esperienza;

- si è notata, anno dopo anno, una migliore collaborazione tra Scuola e

sport, tra gli uomini, gli operatori, che un tempo venivano considerati di sfere diverse,

forse opposte, forse inconciliabili.

Questa collaborazione deve fondarsi, ancora e sempre, sull' «autonomia» in tutti i

sensi della Scuola. Ma noi sappiamo che autonomia non significa, per la Scuola,

chiudersi a riccio, monade senza porte né finestre. Un eventuale concetto di autonomia

che significhi isolamento è contrario a tutti gli indirizzi che la Scuola ha avuto dal

Parlamento ed essa stessa si è data nelle sue realizzazioni dal 1974 ad oggi, dai decreti

delegati in poi. Autonomia è stata allora la capacità di aprirsi al mondo, alle sue realtà,

al territorio, alle culture, alle autonomie, ai gruppi: in una parola, alla società.

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Autonomia non è dunque autarchia, ma è cogliere e misurarsi, confrontarsi e dialogare,

semmai soffrire e collaborare, scegliere e rimettere tutto in discussione"(2).

4.2 IL FALLIMENTO DI UNO SPORT PER TUTTI

Per iniziativa del ministero del Turismo e Spettacolo (la cui competenza comprende

anche la materia sportiva), in collaborazione col ministero della Pubblica Istruzione e

col CONI, dal 10 al 13 novembre 1982 si tenne a Roma la "Conferenza nazionale dello

sport", al fine di promuovere un momento di riflessione sulla - per certi versi -

contraddittoria realtà dello sport nel nostro Paese. Da molti anni ai vertici delle

graduatorie internazionali relative ai grandi avvenimenti agonistici, l'Italia restava

nelle retrovie, rispetto a tanti altri Paesi ad essa assimilabili per livelli culturali e

sviluppo economico, in quel che concerneva la diffusione della pratica sportiva

amatoriale e la valorizzazione dello sport quale mezzo educativo e quale risorsa per il

miglioramento della qualità di vita. L'intento della Conferenza era quello di studiare

gli strumenti idonei a consentire, da una parte, il mantenimento delle posizioni di

vertice raggiunte dallo sport nazionale nelle manifestazioni internazionali, e a

realizzare dall'altra le condizioni per lo sviluppo di uno sport alla portata di tutti. Una

commissione ad hoc venne creata per affrontare il tema dello sport nella scuola.

Pressoché unanime fu la convinzione che un autentico processo di sviluppo dello sport

poteva attuarsi solamente col concorso insostituibile della scuola, sia perché essa era

l'istituzione attraverso la quale, per almeno otto anni, transitava la generalità dei

giovani, sia perché poteva, meglio di chiunque altro ente, individuare le potenzialità

formative dello sport. L'attenzione posta sul ruolo della scuola mise in evidenza la sua

complessa realtà, ivi comprese le debolezze strutturali dell'insegnamento

dell'educazione fisica e sportiva, e le iniziative intraprese per superare lacune che si

trascinavano da decenni.

Le conclusioni della Conferenza nazionale dello sport, tratte dal ministro del

Turismo e Spettacolo, sen. Nicola Signorello, insistevano sul ruolo della scuola: "Alla

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Scuola spetta un ruolo di primaria importanza ai fini della creazione nel Paese di una

vera coscienza sportiva. Istituzionalmente la Scuola, nelle sue finalità generali,

persegue l'obiettivo dell'educazione della persona umana nella sua dimensione

individuale e sociale e, pertanto, nella sua azione complessiva deve inserire

pienamente l'educazione fisico-sportiva che contribuisce allo sviluppo armonico dei

bambini, dei ragazzi e dei giovani. E' ormai da tutti riconosciuta l'urgente necessità

sia della realizzazione effettiva, nelle scuole di ogni ordine e grado, delle attività

motorie e sportive, sia della considerazione di tali attività come parte integrante

dell'educazione, non più relegate in posizione subalterna. Le attività motorie e sportive

nella Scuola, quindi, devono inserirsi armonicamente nel contesto dell'azione

educativa, con lo scopo di contribuire alla formazione e alla maturazione della

personalità degli alunni.

L'attività nella Scuola deve svilupparsi attraverso tre fasi strettamente correlate ma

differenziate nei diversi livelli scolastici in relazione all'età e alla preparazione degli

allievi, dando alla stessa il carattere:

- di attività ludico-motoria e di gioco-sport nella Scuola materna ed

elementare;

- di avviamento alla pratica sportiva nella Scuola media;

- di consolidamento dell'abitudine all'esercizio sportivo e di

assecondamento dell'attitudine alla pratica dei vari sport nella Scuola secondaria

superiore.

Il processo di rinnovamento della Scuola in materia di educazione fisico-sportiva

investe una molteplicità di grosse problematiche che possono trovare soluzioni

attraverso:

- il completamento della riforma dei programmi d'insegnamento, con

particolare attenzione a quello della Scuola elementare;

- nuove forme di organizzazione dell'insegnamento con l'introduzione in

via istituzionale della pratica sportiva;

- riconoscimento di un associazionismo sportivo studentesco;

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- ristrutturazione degli ISEF intesa ad assicurare agli studi dell'educazione

fisica e lo sport cittadinanza piena nell'ordinamento universitario;

- revisione delle norme sull'edilizia sportiva scolastica congiunta ad un più

profondo impegno per la piena utilizzazione degli impianti stessi anche da parte delle

società sportive e della comunità nel territorio;

- incremento degli impianti sportivi nelle Università e potenziamento

dell'attività sportiva universitaria, sviluppando anche le interrelazioni tra la Scuola e

l'Università nel più ampio contesto della comunità locale.

In questo quadro una funzione essenziale spetta all'Università come sede naturale

della ricerca volta al progresso della scienza in tutti i settori che attengono

all'educazione fisica e allo sport"(3).

Come troppo spesso avviene nel nostro Paese, anche in quell'occasione sopravvenne

una crisi di governo proprio nei giorni della Conferenza. Le difficoltà nelle quali si

trovò il Gabinetto successivo e il conseguente scioglimento anticipato delle Camere

imposero l'ennesima battuta d'arresto alla legittimazione dello sport nella scuola.

4.3 SI TENTA UNA SPERIMENTAZIONE

Nel 1989, il ministero della Pubblica Istruzione ed il CONI stesero un "programma

di interventi" nell'ambito del protocollo d'intesa del 1980. Sottoscritto dal ministro e

dal presidente del CONI il 21 luglio dello stesso anno, esso prevedeva un punto

specifico inerente le attività motorie e sportive destinate agli alunni, nel quale

venivano considerati essenziali la revisione e l'aggiornamento della formula di

partecipazione dei Giochi della gioventù e dei Campionati Studenteschi, con l'intento

di svilupparne ulteriormente gli aspetti educativi, favorendone anche la funzione di

promozione dello sport scolastico. Ciò condusse alla stesura di un "Progetto tecnico

1990" il quale, in attesa del rinnovamento dei programmi che doveva essere deciso

congiuntamente dal CONI e dal ministero della P. I., regolava lo svolgimento di queste

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manifestazioni sportive studentesche. Il documento, ancora una volta, non apportò

tuttavia sostanziali innovazioni al precedente modello.

Sulla scorta del "Programma di interventi", il ministero della P. I. avviò una nuova

"indagine conoscitiva" e nel frattempo richiamò l'attenzione delle autorità scolastiche

sulle finalità dell'attività sportiva scolastica con la C. M. n. 304, del 13 settembre

1989:

"L'attività sportiva scolastica, come è stato più volte ribadito, è parte integrante della

programmazione didattica ed educativa di cui all'art. 4, lett. a), del D. P. R. n. 416 del

31 maggio 1974; in quanto tale essa è tendenzialmente rivolta alla generalità degli

alunni, in piena e logica coerenza rispetto ai programmi curricolari. Sono pertanto

privilegiate quelle attività più facilmente praticabili in ambito scolastico con

particolare riferimento alle strutture disponibili.

Lo sport scolastico ha carattere formativo e promozionale. Esso trova il suo naturale

punto di riferimento nell'attività interna d'Istituto; conseguentemente le fasi selettive di

manifestazioni quali i Giochi e i Campionati rappresentano un momento di sintesi e di

verifica dell'attività di base, ma in nessun caso esse possono assumere carattere

sostitutivo rispetto a questa.

Al di là degli esiti di partecipazione a manifestazioni extrascolastiche, che

costituiscono solo un fatto episodico riservato a pochi tecnicamente più preparati, le

attività di avviamento e di pratica sportiva devono necessariamente avere carattere

continuativo con l'effettivo coinvolgimento degli alunni dall'inizio alla fine dell'anno

scolastico"(4).

Il programma d'interventi contribuì anche ad aprire le porte alla sperimentazione:

grazie ad esso vennero avviate iniziative che consentirono di ampliare le opportunità di

svolgimento di attività motorie e sportive anche in orario extrascolastico. Dall'anno

scolastico 1989-1990 si istituirono in via sperimentale, in ogni provincia, centri

"pilota" di gioco-sport per le scuole elementari, e centri di avviamento alla pratica

sportiva per le scuole medie.

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4.4 QUINDICIMILA FIRME DI PROTESTA GIUNGONO AL

MINISTERO

L'ultimo protocollo d'intesa tra ministero della P.I. e Comitato olimpico doveva,

negli intendimenti dei contraenti, rilanciare completamente lo sport scolastico. Dopo

decenni in cui esso era stato il grande assente della scuola italiana, nuove prospettive

sono state aperte con l'introduzione del principio dell'autonomia, che consente ad ogni

istituto di sviluppare propri programmi, ed anche, ai fini della loro realizzazione, di

appoggiarsi alle realtà associative presenti sul territorio.

Annunciato per il 24 gennaio 1997 e poi rinviato a data da destinarsi, esso venne

firmato il 12 marzo dello stesso anno. Per dare il massimo risalto a questo protocollo,

contrariamente al passato, esso non venne sottoscritto solamente dal ministro della

P.I., Berlinguer e dal presidente nazionale del CONI, Pescante, ma vi fu il suggello

della stessa presidenza del Consiglio. Infatti il vice presidente del Consiglio con delega

alla vigilanza sullo sport, on. Veltroni, siglò insieme al ministro e al presidente del

CONI questo nuovo documento.

La principale finalità del protocollo era di incrementare, in ambito scolastico, lo

svolgimento di attività motorie e sportive attraverso un percorso di carattere educativo,

e prestando (una necessaria novità, questa) particolare attenzione agli alunni disabili .

Si voleva - inoltre - intervenire sull'annoso problema dell'aggiornamento dei docenti,

da troppi, ormai, sentito come non più rinviabile. Si cercava, ancora, la collaborazione

degli enti e degli organismi che a vario titolo operavano nel mondo dello sport: questo

in uno spirito di apertura al territorio, in vista della attivazione dei Servizi scolastici di

tipo sportivo che la scuola, nel pieno esercizio dell'autonomia, voleva realizzare in

riferimento al D. P. R. n. 567/1996, il quale disciplinava le iniziative complementari e

integrative oggetto di una direttiva, a sua volta individuante l'esigenza di strutturare

per la scuola percorsi formativi idonei al cambiamento storico sociale (5).

Il protocollo, in realtà, poco o niente stabiliva, rinviando linee generali e dettagli

applicativi ad un progetto nazionale di attività motorie, fisiche e sportive, da elaborarsi

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a cura di un'apposita commissione paritetica scuola-CONI. Questa commissione,

menzionata dal punto "C" del protocollo, era composta da tre componenti per parte e

presieduta dal sottosegretario di Stato competente per delega. La commissione doveva

effettuare, inoltre, almeno con cadenza biennale, la verifica e la valutazione delle

iniziative adottate e degli eventuali interventi integrativi da realizzare.

La circolare 31 luglio 1997, n. 466 "Linee attuative del Protocollo d'intesa M.P.I.-

C.O.N.I.: Progetto «Sport a Scuola»", doveva rendere operativo il protocollo attraverso

un progetto, denominato appunto "Sport a Scuola", elaborato dalla commissione mista

paritetica.

Tale progetto era composto da cinque parti:

A. "quadro di riferimento: definizione delle linee di intervento per la

promozione dello sport, con il coinvolgimento di tutti gli alunni e la diffusione della

cultura motoria, fisica e sportiva nella scuola;

B. Piano annuale MPI-CONI;

C. «Giochi sportivi studenteschi»: definizione di un nuovo modello dei

Giochi della gioventù e dei Campionati studenteschi;

D. sostegno all'associazionismo sportivo scolastico;

E. Comitato misto MPI-CONI"(6).

In particolare, il punto "B" del progetto, dopo aver previsto lo svolgimento di

iniziative che prevedevano la partecipazione di tutti gli allievi nelle ore curricolari,

disponeva in merito alle attività sportive vere e proprie, da svolgersi in orario

extracurricolare secondo le seguenti caratteristiche:

- "valenza educativa;

- coinvolgimento di tutti gli alunni che ne facciano richiesta;

- realizzazione delle attività da parte dei docenti di educazione fisica, della

stessa o di altre scuole;

- compatibilità tra progetto e fattibilità relativa all'impiantistica sportiva ed

alle risorse tecniche disponibili;

- diffusione di materiale tecnico ed informativo;

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- impegno sul territorio nazionale per la formazione di tecnici, giudici ed

arbitri individuati nell'ambito dei docenti, degli studenti e dei genitori"(7).

La circolare proseguiva autorizzando le scuole ad organizzare iniziative coerenti col

progetto, qualora esse non avessero aderito a quelle previste dal piano annuale, nel

pieno rispetto delle propria autonomia.

Molti, fin dall'inizio, furono i dubbi che si insinuarono fra gli addetti ai lavori: si

temeva che anche questa volta le scelte di fondo privilegiassero il mondo sportivo, a

scapito di quello scolastico-educativo. Il rischio era che si anteponesse la ricerca dei

campioni del domani ad una attività per tutti, che doveva essere invece il fine precipuo

della scuola.

Nel protocollo venne inserito un passaggio in cui si affermava che il CONI avrebbe

fornito operatori che - in particolar modo nella scuola elementare - affiancassero i

maestri durante le ore di insegnamento della pratica ludico-motoria. In realtà frasi di

questo genere erano già presenti in altre precedenti intese; ma una serie di spiegazioni

poco esaurienti e per nulla chiare, a cui diedero ampia eco gli organi di stampa

specializzata, fecero insorgere l'intera categoria degli insegnanti di educazione fisica,

e almeno 15.000 firme di protesta raggiunsero la presidenza del Consiglio, la

presidenza del CONI e soprattutto il ministero della Pubblica Istruzione. Partì un

boicottaggio immediato e assoluto dell'attività sportiva perché si sosteneva - da parte

degli insegnanti di E. F. - che non era possibile che un "esterno" senza alcun titolo

specifico potesse inserirsi di diritto nella scuola, elargendo prestazioni professionali,

soprattutto verso gli alunni della scuola elementare, che necessitano di insegnanti

attenti e con una preparazione specifica.

Peraltro, in alcune regioni a statuto speciale e in qualche provincia questa

disposizione era stata accolta, creando di conseguenza uno scontro che si concluse

comunque con la totale disapplicazione del protocollo.

In esso, al punto "D", era inoltre detto che organismi analoghi alla commissione

paritetica citata sarebbero stati istituiti in ogni provveditorato, con compiti di raccordo

tra le due istituzioni, di programmazione, di indirizzo, impulso e sostegno al progetto

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nazionale ed a quelli rispondenti alle esigenze locali. I presidenti provinciali del CONI

avrebbero poi a loro volta provveduto ad inserire, nelle giunte provinciali del massimo

organismo sportivo, il coordinatore di educazione fisica del rispettivo provveditorato:

ma ciò non accadde. Come detto, si parlò anche di aggiornamenti, di collaborazione

con le diverse federazioni, ma pure questo rimase lettera morta.

In realtà, oltre alla protesta dei docenti vi fu, come elemento determinante del

fallimento del protocollo, la crisi economica che il Comitato olimpico stava subendo.

Il calo delle entrate del Totocalcio, la fine del concorso "Enalotto" dal quale nacque

poi il "Superenalotto", inizialmente gestito dal CONI, che poi non lo ritenne

economicamente utile e quindi lo abbandonò, portarono ad una decisa tensione tra il

ministero della P.I. ed il massimo organismo sportivo nazionale, al punto che nel

gennaio del 1999 il CONI comunicava al ministero della P.I. che non avrebbe più

provveduto ad alcuna collaborazione economica nei confronti delle finali nazionali

studentesche. Ed infatti le edizioni dei giochi sportivi studenteschi di Gubbio e Massa-

Carrara del 1999, e quelle di Brescia e Cagliari del 2000 vennero organizzate e

disputate con il totale carico di spesa del ministero della P.I.

In verità non si trattò di spese gravosissime, perché in entrambi i casi le finali

nazionali ebbero un costo di circa due miliardi (comprensivi di sport individuali e

sport di squadra), contro i preventivi delle edizioni precedenti che andavano dai sette

ai diciassette miliardi.

A quel punto nacquero però una serie di accordi, che si ispiravano per grandi linee al

documento sottoscritto dal ministro Berlinguer e dal presidente Pescante, e che non

consideravano più il Comitato olimpico al centro dell'universo sportivo, e quindi quale

unico referente nei rapporti con la scuola: essi furono veri e propri protocolli d'intesa

fra il mondo scolastico e le singole federazioni sportive nazionali. L'ispettorato di E. F.

creò una sorta di protocollo standard, che venne poi sottoscritto da non meno di una

trentina di associazioni. Ma è ovvio che quando i protocolli d'intesa vengono duplicati

quasi in fotocopia, cambiando solo la sigla della federazione contraente, non possono

risultare attenti e scrupolosi nel determinare i termini dell'accordo.

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In sostanza oggi l'intesa tra il mondo sportivo e il Comitato olimpico è di un livello

estremamente basso. Essa si concretizza soltanto in una generica collaborazione

attraverso il "Campus", una sorta di raduno annuale, per pochi giorni, dei migliori

talenti scolastici che intendano misurarsi con i coetanei di altre regioni, mentre la

gestione dei campionati nazionali in termini di finali e di fasi provinciali comprese

sono quasi esclusivamente a carico dei provveditorati agli studi, i quali - peraltro -

nell'ultimo anno, si sono visti ridurre di almeno il 60% il potere di spesa rispetto a

quello precedente.

NOTE AL CAPITOLO QUARTO

(1) Riportata in: Studi e documenti degli Annali della pubblica istruzione, n°25,

L'educazione fisica e lo sport nella scuola, Roma 1983, pp.181-182.

(2) T. De Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit., pp.

57-58.

(3) Atti della Conferenza Nazionale dello Sport, (Roma 10-13 novembre 1982), Roma

1982, vol. I, pp.135-136.

(4) C. M. 13 settembre 1989, n.304.

(5) Direttiva 3 aprile 1996, n. 113, Gestione locali studenti per iniziative complementari e

integrative.

(6) C. M. 31 luglio 1997, n.466, Linee attuative del Protocollo d'intesa MPI-CONI:

progetto sport a scuola.

(7) Ivi.

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CAPITOLO QUINTO:

"FINISCE UN SECOLO E LA SITUAZIONE E' ANCORA APERTA".

5.1 L'ASSOCIAZIONISMO SPORTIVO SCOLASTICO

5.1.1 UN FALLIMENTO CHE NON SORPRENDE

Nel 1982, durante i lavori della già menzionata Conferenza nazionale dello sport, si

ebbero i primi accenni all'Associazionismo sportivo scolastico. In quella sede il CONI

richiamò una risoluzione del Consiglio d'Europa del 24 settembre 1966, relativa

all'educazione fisica, allo sport e alle attività svolte in ambiente naturale, nella quale

veniva sottolineata l'importanza che i giovani potessero dare libero corso al proprio

spirito d'iniziativa, assumendosi delle responsabilità nell'ambito dell'organizzazione

delle attività svolte in seno ai loro gruppi sportivi. Sulla base di tale direttiva, il CONI

propose la costituzione di "Associazioni sportive scolastiche".

Proprio in quei giorni, dopo essere stato approvato dalla Camera dei deputati, era in

esame al Senato il progetto di legge sul nuovo ordinamento della scuola secondaria

superiore. L'articolo 8 del disegno, riguardante l'educazione fisica e la pratica sportiva,

garantiva il diritto degli studenti di associarsi liberamente a tal fine. Ciò diede

un'ulteriore spinta ai rappresentanti del massimo organismo sportivo nazionale verso la

realizzazione di queste nuove realtà: "Il discorso dell'associazionismo sportivo,

autonomo e libero, all'interno delle strutture scolastiche, costituisce un fatto di

particolare rilievo nel momento in cui, per la crisi di disagio sociale che attraversa

profondamente il Paese, una valida trama associativa a livello giovanile la si trova

ancora nel settore dello sport. Unire a questo dato di fatto la forza coesiva della scuola,

congiuntamente al carattere comunque educativo delle sue espressioni, non potrà non

dare risultati positivi per tutta la comunità. Dare la possibilità agli studenti di associarsi

liberamente vuol dire creare per loro una forte e significativa possibilità di educazione

e di autonoma crescita formativa. Vivere in gruppo secondo interessi nati

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spontaneamente, realizzare le condizioni per un'esperienza autogestita, aggregarsi e

creativamente organizzarsi sono fatti importanti per una scuola che intende affrancarsi

da alcuni schematismi, che tende, in consonanza con la grande riforma del 1974, a far

partecipare tutte le componenti in un progetto educativo vissuto comunitariamente"(1).

Il problema, in sede di Conferenza, fu molto dibattuto; se da una parte vi fu un

riconoscimento generale del diritto all'associazionismo sportivo nella scuola e anche

un riconoscimento dell'importanza del suo significato, dall'altra emersero problemi

relativi ai collegamenti interni alle organizzazioni sorte nelle diverse scuole e al

rapporto con le altre istituzioni sportive, e soprattutto con gli enti di promozione

sportiva.

Il tema venne ovviamente ripreso dal ministro della Pubblica Istruzione, on. Bodrato,

in sede di conclusione della Conferenza:" Un problema di particolare importanza è

quello affrontato dall'art. 8 del disegno di legge sul «nuovo ordinamento della Scuola

secondaria superiore». Questo articolo contiene tre fondamentali indicazioni:

a) l'educazione fisica e sportiva è materia dell' «area comune» e partecipa

quindi alla funzione di formazione generale dei giovani, intesa a dare, con metodo

critico, un inserimento consapevole nella moderna società civile;

b) nelle scuole può costituirsi un associazionismo studentesco, capace di

suscitare un interesse attivo di alunni e docenti, chiamati ad essere protagonisti di

un'attività sportiva, autonoma rispetto alle esigenze federali, ma non separata dal

mondo sportivo e dalla società;

c) la Scuola può stipulare convenzioni con il CONI, gli Enti promozionali e

le istituzioni sportive e gli Enti locali per l'uso di tutti gli impianti esistenti nel

territorio. Si completa, in tal modo, il sistema avviato dalle leggi che hanno aperto gli

impianti sportivi all'uso della Comunità"(2).

Nel prosieguo del proprio intervento il ministro aggiunse:"[…] il punto che nella

Conferenza ha sollevato una importante discussione, è quello relativo al «diritto degli

studenti di associarsi liberamente» per svolgere attività sportive nella Scuola. E'

importante non generare, specie in una fase così delicata per l'iter della riforma,

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equivoci sul significato di questa norma, di questa iniziativa. Essa afferma che si tratta

di un libero - e sottolineo libero - associarsi di studenti, nella concezione di una Scuola

aperta alla necessaria collaborazione tecnica ed organizzativa con gli Enti locali, con le

associazioni sportive, con il CONI. Non si deve quindi immaginare, o temere, un

processo di burocratizzazione che porterebbe ad un carrozzone ministeriale non

corrispondente alle indicazioni della legge; né si debbono immaginare organizzazioni

che, in diverso modo, si sovrappongono dall'esterno ad una pratica sportiva che si

svolge nell'ambito della Scuola e che si aggiunge al programma di educazione fisica.

Dobbiamo essere infatti preoccupati di garantire da un lato l'autonomia della Scuola - e

di quante, associazioni o federazioni, si potrebbero gradualmente costituire nella

Scuola a questo fine - e dall'altro lato di contrastare ogni tendenza a fare della Scuola

un'istituzione chiusa o totalizzante, che si porrebbe come un'organizzazione sportiva

simile e parallela a quelle esistenti. E' quindi evidente che i termini «associazione» e

«federazione» sono usati in questo caso con un significato particolare e non possono

spingere ad una troppo stretta analogia con i termini di uso corrente nel mondo dello

sport. La pratica sportiva può inoltre diventare un punto di aggregazione comunitaria

tra gli studenti ed un'importante occasione di esperienza associativa; e quindi anche

per questo aspetto emerge la sua rilevanza educativa, la sua particolare caratteristica,

anche per vincere ogni paura di dipendenza passiva a fenomeni gravi che colpiscono i

giovani"(3).

Per l'ennesima volta, le buone intenzioni verranno però vanificate dalla sempre

inaffidabile situazione politica e di governo italiana: la riforma della scuola secondaria

superiore non sarà approvata né in quella né nella successiva legislatura, trascinando

con sé anche il progetto di associazionismo sportivo scolastico.

Pochi anni prima, anche l'UNESCO, nell'ambito della "I Conferenza internazionale

dei ministri e alti funzionari responsabili dell'educazione fisica e dello sport", tenutasi

a Parigi dal 5 al 10 aprile 1976, che trattava quello che doveva essere Il ruolo

dell'educazione fisica e dello sport nella formazione della gioventù nella prospettiva

dell'educazione permanente, aveva richiesto agli stati membri, nella

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"Raccomandazione N.4", che si incentivasse "lo sviluppo dell'attitudine dei giovani ad

organizzare loro stessi la propria educazione sportiva"(4).

5.1.2 UNA NUOVA SPERIMENTAZIONE

La circolare ministeriale n. 274, del 3 ottobre 1985, stante la non ancora approvata

riforma della scuola secondaria superiore, evidenziava che: "Quanto è più forte la

domanda di attività sportiva da parte degli alunni e quanto più elevata è la

partecipazione alle attività deliberate, tanto più essenziale si rivela la previsione di una

struttura organizzativa interna alla Scuola adeguata a farvi fronte e dotata degli

opportuni requisiti di funzionalità ed efficienza; in tal senso, e in attesa che si

chiariscano gli approdi del dibattito sull'associazionismo scolastico, soluzioni

organizzatorie in via sperimentale, come la costituzione di associazioni sportive

d'Istituto, possono costituire utile momento di esperienza, anche per questo

Ministero"(5).

Questo provvedimento normativo sottolineava l'importanza dello associazionismo

sportivo, autonomo e libero, all'interno delle strutture scolastiche, attribuendogli un

rilievo particolare nel momento in cui, di fronte ad un diffuso malessere giovanile, il

settore dello sport poteva ancora rappresentare una valida trama associativa. C'era la

consapevolezza che unire a questo dato di fatto la forza coesiva della scuola,

congiuntamente al carattere comunque educativo delle sue espressioni, non poteva non

dare risultati positivi per tutta la comunità. Dare la possibilità agli studenti di associarsi

liberamente voleva dire creare per loro una forte e significativa occasione di

educazione e di autonoma crescita formativa. Vivere in gruppo secondo interessi nati

spontaneamente, realizzare le condizioni per un'esperienza autogestita, aggregarsi e

creativamente organizzarsi, erano - e sono - fatti importanti per una scuola che

intendeva liberarsi da impacci burocratici e che voleva, in consonanza con la riforma

apportata dai decreti delegati, far partecipare tutte le componenti ad un progetto

educativo vissuto comunitariamente. In aggiunta a ciò, la suddetta circolare suggeriva,

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riguardo all'effettivo significato dell'attività sportiva scolastica, che essa doveva:

"avere come momento di riferimento essenziale l'attività di Istituto, alla quale deve

essere rivolta, in maggiore misura rispetto al passato, la massima attenzione degli

operatori scolastici; correlativa a tale esigenza è quella di una continuità d'impegno da

parte dei docenti per l'intero anno scolastico. In tal senso l'attività competitiva e la

partecipazione a manifestazioni quali i Giochi della gioventù, i Campionati

studenteschi o altre iniziative a carattere necessariamente selettivo, dovranno costituire

solo un momento di sintesi e di verifica, per quanto rilevante, delle attività di base

programmate dall'Istituto. Qualora infatti la partecipazione della scuola con le proprie

rappresentative ai Giochi della Gioventù o ai Campionati studenteschi dovesse

comportare una diminuzione d'attenzione da parte degli organi scolastici verso le

attività promozionali, sarebbero vanificati e disattesi proprio gli obiettivi di fondo

dello sport scolastico"(6).

Ma per avere nuovamente notizie - in Italia - dell'associazionismo sportivo

scolastico, bisognò attendere il 1990, quando, con la circolare ministeriale n.184, del 9

luglio, si considerarono "Iniziative di collaborazione scuola-extra scuola in materia di

attività sportiva"(7). Lo spunto venne dato dalle numerose richieste di federazioni

sportive intese a realizzare forme di collaborazione con le istituzioni scolastiche per

una più vasta diffusione della pratica sportiva. Il ministero considerò con favore le

varie occasioni formative che potevano nascere dalle intese con le varie federazioni,

con gli enti di promozione sportiva e con gli enti locali, a patto che "il loro

coinvolgimento sia idoneo ad arricchire il ventaglio delle opzioni possibili per il

conseguimento degli obiettivi educativi, qualora inserito in un quadro di puntuale

programmazione e di attiva integrazione di interventi nel rispetto dei compiti e delle

finalità proprie di ciascuna istituzione"(8).

La circolare richiamava l'intesa col CONI, consacrata nel Protocollo del 1980, e le

linee enunciate dai decreti delegati, ponendosi come naturale evoluzione - in campo

sportivo - di quegli stessi indirizzi, sempre però ritenendo imprescindibili gli obiettivi

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propri e prioritari della scuola, volti al coinvolgimento della generalità degli studenti,

compresi quelli fisicamente più svantaggiati.

Il proliferare delle richieste di collaborazione impose di effettuare delle scelte, in

base alle offerte ed alla compatibilità. Furono quindi definiti dei limiti, in relazione

all'ordinamento vigente:" Sotto tale profilo appare di tutta evidenza che qualsiasi

iniziativa di collaborazione tra scuola e enti interessati non può non fare rigorosamente

salvi i punti che seguono:

1 La pratica di discipline sportive potrà configurarsi solo come esperienza

originale di svolgimento dei vigenti programmi di insegnamento o trovare spazi utili di

estrinsecazione nell'ambito delle attività integrative eventualmente deliberate. In

nessun caso potrà risolversi, come è persino superfluo rilevare, in un'attività a qualsiasi

titolo sostitutiva dell'insegnamento curricolare;

2 L'eventuale coinvolgimento di esperti sarà istituzionalmente limitato ad

un'opera di consulenza e di supporto per la parte squisitamente tecnica, fermo restando

il diritto-dovere e la responsabilità degli insegnanti nell'assolvimento della funzione

docente;

3 Dovrà essere fatta salva, tranne che in casi eccezionalissimi, da rimettere

alla prudente e attenta valutazione da parte dei competenti organi della Scuola,

l'obbligatorietà della scansione bisettimanale delle lezioni;

4 Qualsiasi iniziativa in materia sarà oggetto di preventiva esplicita

determinazione da parte del collegio dei docenti e costituirà parte integrante - ove se

ne ravvisino i presupposti di merito e di metodo - della programmazione educativa. A

tal fine saranno da evitare forme episodiche, o disorganiche di esperienze di pratica

sportiva che non trovino il necessario raccordo da una parte con quanto deliberato ad

inizio dell'anno nell'ambito della stessa programmazione educativa, dall'altra con gli

obiettivi dei vigenti programmi d'insegnamento"(9).

Il documento considerava anche la necessità di un coordinamento a livello

provinciale che si prendesse cura di modalità, procedure e linee di progettazione; un

coordinamento che coinvolgesse il presidente provinciale del CONI, in virtù del suo

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ruolo istituzionale di direzione delle iniziative federali periferiche in base agli indirizzi

enunciati dal Comitato olimpico, ed anche gli organi regionali competenti e gli enti

locali interessati per ciò che atteneva alla messa a disposizione degli impianti sportivi,

dei mezzi di trasporto e quant'altro potesse agevolare le iniziative programmate.

Si doveva chiaramente tener conto delle diverse realtà sociali, territoriali ed

ambientali, cercando, sulla scorta di esse, di preferire quelle discipline praticabili in

modo continuativo per l'esistenza di strutture idonee e senza eccessivi aggravi di

tempo o costi aggiuntivi per gli alunni e le loro famiglie. Ove vi fosse inadeguatezza o

carenza di infrastrutture sportive scolastiche, gli enti proprietari potevano mettere a

disposizione i propri impianti, in risposta ad uno spirito di collaborazione.

Fra le varie federazioni che, attraverso il superamento delle dicotomie fra il mondo

sportivo e quello scolastico operato dalla circolare n.184, aderirono alla costituzione di

società sportive scolastiche, ricordiamo la Federazione italiana tamburello, la

Federazione italiana tennis, la Federazione italiana nuoto e la Federazione italiana

sport orientamento, ideatrice - quest'ultima - di un progetto denominato Natura e sport

chiamano scuola, che dal 1995 sta riscuotendo ampi consensi all'interno del mondo

sportivo scolastico.

5.1.3 IL PROTOCOLLO CONTESTATO

Sulla scorta del nuovo Protocollo d'intesa del 1997, la circolare n. 466, del 31 luglio

1997 che doveva attuarlo, prevedeva, al punto quarto del progetto nazionale

denominato "Sport a Scuola", il sostegno all'associazionismo sportivo scolastico: "Al

fine di favorire la pratica sportiva e gli effetti di socializzazione ad essa correlati, in

ogni scuola si possono costituire associazioni sportive scolastiche, alle quali potranno

aderire anche alunni di scuole limitrofe.

Allo scopo di garantire la partecipazione delle diverse componenti del mondo della

scuola agli organismi direttivi dell'Associazione, essi saranno costituiti da:

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- nelle scuole secondarie di II grado i rappresentanti dei docenti e del

personale ATA, dei comitati degli studenti e dei genitori;

- nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, gli alunni, genitori,

docenti e personale ATA.

Le scuole metteranno a disposizione delle associazioni, quale direttore tecnico, un

docente di educazione fisica con contratto a tempo indeterminato scelto

prioritariamente fra quelli della stessa scuola.

Le associazioni, di cui al 1° comma del presente punto, nel rispetto delle norme

vigenti, di concerto con gli organi collegiali e sulla base di intese con le

amministrazioni locali, si occuperanno della pratica sportiva e dell'orientamento

sportivo degli alunni.

Esse potranno costituire il gruppo sportivo della scuola e proporre ai competenti

organi collegiali l'adozione dei progetti per le attività extra curricolari"(10).

Come abbiamo avuto modo di vedere al capitolo precedente, il Protocollo d'intesa

CONI - ministero della P. I. del 1997 non venne applicato, in seguito alla protesta dei

docenti di educazione fisica. Anche queste indicazioni sull'associazionismo sportivo

scolastico ne seguirono la sorte.

5.1.4 IL MODELLO FRANCESE, L'UNICA STRADA

PERCORRIBILE?

L'associazionismo scolastico, così come viene inteso in alcuni dei Paesi europei

molto più progrediti del nostro - sotto questo punto di vista - per esempio in Francia e

in Germania, è una forma di aggregazione e di organizzazione dello sport studentesco

che non è molto dissimile dai vecchi Gruppi sportivi scolastici diffusi in Italia fino al

1975.

In Francia, per ogni circolo, per ogni distretto, per ogni grosso agglomerato urbano

studentesco, gli studenti hanno diritto ad avere almeno una società sportiva che

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promuova ed organizzi una delle discipline praticabili sul territorio, coinvolgendo gli

interessati indipendentemente dalla scuola di appartenenza.

Pertanto, mentre in Italia non è possibile (a causa dell'inapplicato Protocollo d'intesa

del 1997) che uno studente del liceo frequenti il gruppo sportivo dell'istituto tecnico o

dell'istituto magistrale, in Francia questo "scambio" studentesco, per quanto riguarda

l'avviamento allo sport, diventa possibile ed è - anzi - la regola. Ciò consente, inoltre,

alle scuole dotate di particolari attrezzature di utilizzarle a tempo pieno, e nello stesso

tempo permette una diffusione sportiva assolutamente capillare.

Il vero "segreto" dell'associazionismo scolastico francese risiede nel fatto che un

pomeriggio alla settimana viene riservato esclusivamente alle manifestazioni sportive:

canonicamente questo giorno dedicato alle competizioni è il mercoledì.

Siano esse gare di atletica leggera, siano manifestazioni di sport di squadra, in

nessuna scuola francese, in questo pomeriggio, si tengono lezioni, per cui qualsiasi

istituto può organizzare, insieme alle altre scuole della zona, l'attività sportiva.

Vi sono tre livelli di associazionismo: il primo si realizza nell'associazionismo di

istituto, o di quartiere: una fase che in Italia potremmo definire come manifestazione di

tipo comunale o distrettuale. Un secondo livello, territorialmente più ampio, viene ad

interessare comprensori di tipo provinciale o regionale: provinciale per le province con

oltre un milione di abitanti, regionale per le regioni meno popolate. Un terzo livello -

infine - opera su scala nazionale.

In pratica ogni istituto, in base alle capacità tecniche dei propri studenti ed in base

anche alle proprie disponibilità economiche, compete con gli altri, attraverso una

formula che prevede promozioni al livello superiore (fino a raggiungere quello

nazionale), o retrocessioni in quello inferiore (col limite della fase di istituto).

Un altro aspetto particolare dell'associazionismo francese è che ogni squadra,

composta da "X" atleti, deve mettere a disposizione un arbitro, un giudice, e degli

addetti che prestino la loro opera durante le manifestazioni. Questo comporta che ogni

istituto si faccia carico anche delle incombenze organizzativo-amministrative della

manifestazione sportiva.

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Un istituto deve essere in grado di organizzare tutti gli aspetti di tipo burocratico e di

tipo tecnico, venendo così a formare non soltanto dei quadri sportivi, ma anche dei

quadri dirigenti.

Questo dei quadri dirigenti è stato forse - in Italia - l'aspetto più innovativo del

progetto Perseus che ipotizzava, quando venne proposto, nel 1999, la nascita

dell'associazionismo scolastico anche nel nostro Paese.

Perché diversi ministri della Pubblica istruzione hanno trattato l'argomento

dell'associazionismo sportivo scolastico, senza però mai giungere ad un progetto

esauriente tradotto poi in realtà?

La ragione deve principalmente ricercarsi nel fatto che, nonostante la proposta

avanzata alla Conferenza nazionale dello sport del 1982, da parte del Comitato

Olimpico Nazionale Italiano è sempre stata operata una decisa opposizione a questo

nuovo modo di intendere lo sport nella scuola, quasi per timore che alcune discipline,

che hanno praticanti particolarmente giovani (come, ad esempio, la ginnastica

artistica), vedessero calare gli iscritti in seno alle rispettive Federazioni Sportive

Nazionali.

In realtà, quello dell'associazionismo scolastico pare essere l'unico futuro possibile

per lo sport nella scuola, qualora lo Stato italiano voglia garantire davvero un dignitoso

livello di servizio sportivo per tutti gli studenti della Repubblica.

Sicuramente, per avere oggi un associazionismo scolastico che possa portare

qualcosa di nuovo all'interno del nostro mondo educativo, e finalmente elevare almeno

a quello delle altre nazioni europee (in questo campo gli U.S.A. appartengono davvero

ad un altro pianeta) il livello dello sport nella scuola, si dovrà prima attendere e

stabilizzare l'intero sistema del riordino dei cicli.

5.2 IL PROGETTO "PERSEUS"

Nell'attesa del definitivo riordino dei cicli, nel 1999 il ministero della Pubblica

Istruzione ha dato vita al "Programma Perseus", Intervento triennale per la

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valorizzazione dell'educazione motoria, fisica e sportiva nella scuola dell'autonomia.

Nella chiusura della nota sull'eponimo del programma si afferma che: "Non riuscirà

certo il programma Perseus a seguire le orme del suo eroe eponimo, a rifondare

l'educazione fisica nella scuola e ad aver ragione delle vecchissime Graie, che, come

malattie croniche, affliggono la scuola: la dispersione scolastica, il disagio giovanile,

la carenza di orientamento formativo, e nemmeno delle Gorgoni che affliggono lo

sport: la violenza di Stheno, la spettacolarizzazione in tutto il mondo di Euryale e

l'influenza del potere, in particolare di quello economico e della logica del profitto, di

Medusa; ma con l'aiuto di cultura, scienze ed arti, dei docenti e degli operatori

scolastici, potrà forse contribuire a difendere la scuola dai loro attacchi"(11).

Senza dubbio i propositi sono ambiziosi, soprattutto se si tiene conto che per la

prima volta un ministro della P. I. , dai tempi di Francesco de Sanctis, si pone come

obiettivo strategico un intervento pluriennale per la valorizzazione dell'educazione

motoria, fisica e sportiva nella scuola. Deve ritenersi fondamentale lo stretto legame

intercorrente tra educazione motoria, fisica e sportiva, gioco e sport, nel senso di una

chiara continuità delle attività motorie in tutto il curricolo scolastico.

L'educazione motoria, fisica e sportiva, nel quadro della nuova istruzione da

produrre nella riforma del riordino dei cicli deve soddisfare l'esigenza - ormai

universalmente riconosciuta - di abituare ad un apprendimento che dovrà durare

durante tutto l'arco della vita attiva e comprendere l'acquisizione di abiti

comportamentali radicati sulle attività motorie con intersezioni e sinergie con

l'educazione alla salute, l'educazione ambientale, l'educazione alla legalità e così via.

Tutto ciò senza portare all'azzeramento dell'interesse della scuola per il fenomeno

sportivo stricto sensu, comprensivo della dimensione più strettamente agonistica, bensì

partendo dalla "costruzione" di attività sportive scolastiche che siano integralmente

attività di sviluppo e maturazione del giovane atleta. E' necessario che lo sport

mantenga cioè forti matrici culturali e consenta una continua e necessaria formazione

di base, in modo da inserirsi nel progetto complessivo di crescita dello studente.

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La scuola deve fare i conti con un concetto di pratica sportiva non più vista come

esperienza di libertà e creatività, ma come un'ossessione, come una esasperata corsa

all'agonismo inteso nel suo significato più deteriore, e al profitto. La volontà del

mondo educativo è quella di opporsi con fermezza alle richieste di duro allenamento

sportivo e di precoce avviamento allo sport che vengono dalle varie federazioni.

L'attività sportiva scolastica vuole essere idonea ad affermare valori che non

appartengono esclusivamente al mondo sportivo e rappresenta uno strumento per

restituire allo sport il posto ad esso spettante nella società.

Inoltre, all'interno del programma, sono inserite diverse iniziative intese come

impegno pubblico complementare alla spesa tradizionale per la giustizia e la sicurezza:

risulta ormai acquisito, infatti, il concetto che l'investimento nell'istruzione può ridurre

il conflitto esistente tra valori presenti nella società e mezzi offerti per raggiungerli, e

con ciò contenere le tendenze di carattere trasgeressivo-penale ed il successo della

criminalità organizzata nel reclutamento di manovalanza tra i giovani.

Il Programma Perseus è a sua volta suddiviso in altri sottoprogrammi: partendo dalla

considerazione che nella scuola materna ed elementare non si dà ancora il giusto

risalto al "motorio", il sottoprogramma Hermes intende sviluppare l'insegnamento

dell'educazione motoria, dandole finalmente dignità uguale a quella delle altre materie.

Ciò viene fatto con l'inserimento nelle scuole materne, di un consulente di educazione

motoria, fisica e sportiva (un diplomato ISEF già abilitato) che realizzi il

coordinamento didattico per le sezioni di scuola materna, e garantisca assistenza

organizzativa alla programmazione delle attività curricolari e sostegno nella

formazione degli insegnanti.

Nella scuola elementare, invece, l'intervento del consulente deve mettere in risalto la

centralità delle finalità formative, sociali, espressive e di autorealizzazione derivanti

dall'integrazione dell'educazione motoria con le altre educazioni. Il sottoprogramma

Hermes rientra nella fase sperimentale di Perseus: per ogni consulente, la cui attività è

regolata da un contratto d'opera, la retribuzione si sostanzia in 1.200.000 lire lorde per

9 mesi.

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Purtroppo le scarse finanze di cui il ministero poteva (e può) disporre non hanno

permesso a Hermes di concretizzarsi nella sua totalità. Ad esempio, nell'anno

scolastico 1999-2000, e in quello 2000-2001, il provveditorato agli studi di Brescia ha

ottenuto - in via sperimentale - tre soli consulenti per un totale di 18 ore settimanali.

Altri sottoprogrammi sono: Mycenae, per l'acquisto di materiale didattico e

attrezzature sportive; Athena, per l'autoformazione dei consulenti e dei docenti di

educazione fisica (la vera novità - qui - sta nel fatto che per la prima volta sono degli

operatori, quindi degli addetti ai lavori, e non degli "esperti" a sviluppare il lavoro);

Pegasus, per svolgere ricerche sul ruolo dell'educazione fisica nello sviluppo dello

studente.

Ma il più importante, almeno ai fini della nostra ricerca, è Danae, finalizzato alle

attività scolastiche legate ai giochi sportivi studenteschi e alle attività connesse alla

valorizzazione dell'espressione corporea. "La relazione tra sport e scuola è sempre

stata conflittuale: il mondo dello sport ha lamentato da un lato l'assenza di un piano

moderno di educazione motoria e sportiva nella scuola, dall'altro (e soprattutto)

l'indisponibilità sostanziale della scuola a cooperare alla selezione dei talenti ed al

precoce avviamento allo sport.

Da parte sua, la scuola ha contestato sia il contenuto educativo di questa posizione,

sia la sua qualità/professionalità: ma l'alternativa di un «progetto educativo»

qualificato e moderno è rimasta, sino ad ora, inattuabile, per la debolezza della

riflessione degli operatori, per l'arretratezza dei programmi, le condizioni di autentica

sottovalutazione dei docenti di educazione fisica, gli storici pregiudizi contro le attività

motorie e sportive che nella scuola italiana sono state svalutate come componente

culturale"(12).

Con questa premessa, che riesce a sintetizzare brillantemente la situazione dello

sport nella scuola negli ultimi 50 anni, il ministero pone le basi del sottoprogramma

Danae, il cui presupposto fondamentale sta nella centralità della scuola verso una

proposta di educazione motoria e sportiva integrata e condivisa con altre agenzie

formative.

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Oltre all'attività sportiva vera e propria che, nella scuola dell'autonomia, si deve

realizzare autonomamente da parte delle singole scuole, viene ritenuta fondamentale la

sperimentazione di progetti di collegamento tra le diverse educazioni. I docenti devono

ricercare un equilibrio nell'attività didattica tra la proposizione di contenuti tipici

dell'educazione fisica e l'offerta di proposte di pratica sportiva. "L'educazione sportiva

dev'essere rivolta al massimo coinvolgimento possibile degli alunni. In questa ottica

assumono grande rilevanza pedagogica le attività scolastiche svolte dai singoli istituti,

che costituiscono l'unico strumento utile per la diffusione capillare della pratica

sportiva. Il gruppo ribadisce che occorre privilegiare i confronti fra le classi con il

coinvolgimento sistematico anche degli alunni portatori di handicap e di studenti che

hanno conseguito al di fuori della scuola un elevato grado di competenze sportive, che

non possono essere disperse in quanto costituiscono un patrimonio di risorse umane e

di esperienze che devono essere messe a disposizione della comunità scolastica. Le

iniziative rivolte a tutti gli alunni devono diventare strumento significativo di

aggregazione sociale nonché luogo privilegiato di esperienze formative e

consolidamento di civismo e solidarietà, contro i pericoli dell'isolamento,

dell'emarginazione sociale, delle devianze giovanili ed a sostegno della lotta alla

dispersione scolastica"(13).

Chiaramente non è proponibile praticare una sorta di cesura con il mondo sportivo,

ma i contributi e le collaborazioni tecniche e culturali di organismi esterni alla scuola

devono essere coerenti con i principi e le finalità che la scuola persegue, e in ogni caso

non si possono sostituire ai progetti che ogni insegnante è tenuto a realizzare sulla base

- tra l'altro - delle precise e specifiche conoscenze di ogni allievo.

Anche l'agonismo deve essere analizzato ed inteso come "canalizzazione

dell'aggressività", bandendone la sua esasperazione in ambito scolastico perché è

spesso all'origine di successive devianze comportamentali.

Grazie a Danae, una vera rivoluzione è stata attuata sotto il punto di vista

dell'organizzazione dell'attività sportiva scolastica. Si è ritenuto che l'impianto

verticistico di svolgimento delle manifestazioni sportive non fosse più corrispondente

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alle esigenze ed alle necessità della scuola, anche per la difficoltà di programmazione

dell'attività, causata dalla limitata durata delle manifestazioni, dall'aleatorietà

dell'eliminazione diretta e dal gigantismo delle manifestazioni finali.

Il sottoprogramma Danae ha cercato di rispondere a queste esigenze curando e

gestendo direttamente (quindi indipendentemente e senza fare affidamento su un

eventuale contributo del CONI) i giochi sportivi studenteschi al fine di garantire il

diritto degli studenti ad avere una propria rassegna sportiva nazionale, ma

privilegiando l'aspetto educativo rispetto agli aspetti che più interessano eventuali

partners quali enti locali o federazioni sportive.

Con Danae si vuole dare una nuova struttura allo sport scolastico: l'attività sportiva

viene organizzata attraverso l'associazionismo studentesco, e le intenzioni sono quelle

di ricalcare il modello francese (preso in esame al paragrafo 5.1.4), con un pomeriggio

alla settimana dedicato alla pratica ed alle competizioni sportive, ed una formula che

prevede quattro livelli di territorialità: di istituto, comunali-distrettuali, provinciali-

regionali, nazionali, con un meccanismo di promozione e retrocessione analogo a

quello transalpino.

Il coronamento dell'attività a livello nazionale è previsto con il Campus, una

manifestazione della durata di non meno di cinque giorni, che ha una duplice finalità:

privilegiare l'aspetto tecnico-sportivo e quello di socializzazione, il confronto e lo

scambio culturale. Si intende così dare vita ad un sistema sportivo che garantisca sia la

preparazione sia la partecipazione allo sport in maniera non episodica.

Anche il nuovo esame di Stato, orfano della riforma della scuola secondaria

superiore ed entrato in vigore a partire dall'anno scolastico 1998-1999, attribuisce allo

sport una certa rilevanza. Su un punteggio espresso in centesimi, un massimo di venti

punti giungono dal "credito scolastico" e dal "credito formativo": il primo è dato dalla

valutazione che fa il Consiglio di classe del rendimento dello studente nell'ambito

scolastico, compresa l'attività sportiva di cui vengono valutati la frequenza, il

rendimento, le attitudini, i risultati ottenuti nelle competizioni studentesche; al "credito

formativo", invece (che può alzare il bonus da uno a tre punti), concorrono tutte le

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attività extrascolastiche che possono riguardare iniziative culturali, artistiche e

ricreative, il volontariato, la solidarietà, la cooperazione, la formazione professionale e

lo sport, che deve essere attestato dalla federazione o dall'ente sportivo per cui si

gareggia e che non darà punti soltanto in base al risultato, ma anche al ruolo all'interno

della squadra.

Franco Arturi, una delle migliori "penne" della "Gazzetta dello Sport" dei nostri

anni, scrive in merito: "Intanto però, fra i passi avanti di una maturità che tenta di

tenere dietro alla crescita di una società civile, spunta finalmente anche una

conquistata dignità dello sport. Sì, sport: non più e non solo educazione fisica. Anche

la terminologia si svecchia. L'attività agonistica all'interno della scuola per la prima

volta entra a pieno titolo a formare quel pacchetto di voti (da 1 a 20) che esprime in

sostanza il rendimento scolastico. Non solo: nell'ambito del cosiddetto «credito

formativo» altri 3 punti-voti sono a disposizione degli studenti che s'impegnino con

profitto-risultati, in modo documentabile, in campo sportivo (come naturalmente in

quelli culturale, del volontariato, etc.).

Non è un terremoto, ma comunque un segno dei tempi che cambiano. E un

riconoscimento che va accolto con favore e simpatia in un Paese, come il nostro, in cui

la parola sport non figura ancora nella Costituzione. Abbiamo decenni, e forse secoli,

di un'assurda separazione muscolo-cultura da ricomporre. Cominciamo forse a capire

che si corre anche con la testa e si pensa anche col sudore. Era ora."(14).

In contemporanea all'istituzione dei nuovi Giochi studenteschi è sorto un dibattito

che ha per oggetto la partecipazione a queste manifestazioni degli studenti tesserati da

società sportive. I Giochi hanno finito per essere - in passato - una sorta di duplicato

dei campionati federali, a cui partecipavano i migliori atleti delle varie scuole, quasi

sempre tesserati.

Ora, le nuove direttive del mondo scolastico vogliono favorire la pratica sportiva da

parte di tutta la popolazione studentesca, ed hanno cercato di porre dei limiti alla

presenza di atleti tesserati nelle varie discipline sportive. Un limite massimo che varia

da uno a tre tesserati a seconda delle discipline sportive, e comunque i tesserati non

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possono essere presenti in misura superiore ad un terzo dei componenti la squadra (se

di sport di squadra si tratta).

Le Federazioni sportive nazionali si sono subito trovate in disaccordo con questi

limiti, cercando di porre l'accento più sull'aspetto agonistico, sulla ricerca del talento e

del risultato di rilievo. I pro e i contro di questa diatriba sono stati ben analizzati da un

articolo apparso su "La Gazzetta dello Sport" in data 11 novembre 2000, a firma

Maurizio Galdi.

"A favore dei tesserati:

- i tesserati sono un esempio e, soprattutto negli sport di squadra, possono

rivelarsi il vero motore della formazione nelle scuole;

- si tratta di una discriminazione che scoraggerà il tesseramento dei più

piccoli alle federazioni nazionali;

- il tesseramento ad una società sportiva fa parte delle libertà di scelta

individuali. Questa disposizione viola dei diritti costituzionali;

- l'attività sportiva nelle scuole prevede il diritto al cosiddetto «credito

formativo», ovvero punteggi che valgono ai fini del giudizio finale di fine corso. In

questo modo i tesserati più impegnati risultano penalizzati.

Contro i tesserati:

- gli Studenteschi devono valorizzare il patrimonio di potenzialità e

attitudini sviluppate nella scuola;

- la scuola, per non tradire la sua vocazione educativa, deve assicurare delle

prove da cui nessuno esca mortificato e garantire anche a chi non ha grandi doti

naturali di trovare quello spazio che le società sportive, a caccia della «prestazione»,

negano;

- la scuola dovrebbe assicurare uguali condizioni di partecipazione e

partenza;

- i ragazzi che giocano con chi fa attività sportiva fuori dalla scuola

perdono sempre perché non giocano ad armi pari;

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- aprendo la partecipazione degli Studenteschi ai tesserati si rischia di

replicare i campionati federali o societari;

- soluzione: sdoppiare le classifiche"(15).

5.3 ALL'UNIVERSITA'

5.3.1 SI LAUREANO ANCHE GLI INSEGNANTI DI E. F.

Sono trascorsi più di quarant'anni dalla legge n. 88 del 7 febbraio 1958 intitolata

Provvedimenti per l'educazione fisica, e la tanto agognata riforma degli ISEF, a lungo

attesa, da molte parti reclamata, ed oggetto di proposta parlamentare in diverse

legislature, è ora divenuta realtà, in seguito all'emanazione del decreto legislativo 8

maggio 1998, n.178, Trasformazione degli Istituti superiori di educazione fisica e

istituzione di facoltà e corsi di laurea e diploma in scienze motorie, a norma

dell'articolo 17, comma 115, della legge 15 maggio 1997, n. 127.

La legge n. 88/58, per quanto concerneva il personale insegnante di educazione

fisica, istituiva il ruolo organico dei professori di educazione fisica nelle scuole e

istituti di istruzione secondaria e artistica, collocandoli nell'allora ruolo B (art. 12).

Veniva disciplinata la costituzione delle cattedre e venivano poste le norme relative

all'abilitazione all'insegnamento e ai concorsi.

Riguardo agli ISEF, era previsto che l'Istituto superiore di educazione fisica con sede

a Roma, e gli altri istituti superiori statali che dovessero essere istituiti con appositi

provvedimenti legislativi, nonché gli ISEF pareggiati, promuovessero il progresso

delle scienze applicate all'educazione fisica, e fornissero la cultura scientifica e tecnica

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necessaria alla preparazione e al perfezionamento di coloro che intendevano dedicarsi

all'insegnamento dell' E. F. e agli impiegati tecnici nel campo sportivo.

Gli Istituti erano di grado universitario, dotati di autonomia amministrativa, didattica

e disciplinare nei limiti delle norme del Testo Unico delle leggi sull'istruzione

superiore, ed erano sottoposti alla vigilanza del ministero della P. I. (art.22). Lo statuto

dell'ISEF era approvato con D. P. R. (art.23); il corso di studi era triennale (art.24).

"L'Istituto superiore di educazione fisica, con sede in Roma, sostituisce le Accademie

di Roma e di Orvieto di cui alla legge 22 maggio 1939, n.866"(art.25)(16).

Già nel 1963, dopo soli cinque anni, il segretario generale del CONI, Bruno Zauli,

invocava la modifica della legge n.88/58 esprimendosi così: "Se dopo quattro anni o

poco più si è sentito il bisogno di riformare l'ordinamento in atto, ciò significa che la

legge del 1958 non ha soddisfatto, non ha risposto alle istanze per le quali era stata

promossa. […] La mia vecchia tesi è di portare l'intero corso degli ISEF a quattro anni,

in due bienni con sbarramento e diploma abilitante sul primo e con titolo maggiore e

più completo sul secondo"(17).

Di nuovo (come già visto al capitolo terzo, paragrafo 3.1), nel 1973, in sede di

Indagine conoscitiva sulla situazione e le prospettive dello sport in Italia, Eugenio

Enrile - qui in veste di professore dell'ISEF di Roma - mosse pesanti critiche riguardo

all'anacronismo di queste istituzioni, e alla necessità di svecchiarle.

Durante la IX legislatura, nell'ottobre del 1986, un Comitato ristretto della

Commissione istruzione del Senato (presidente Valitutti, relatore Accili) elaborò un

testo unificato del disegno di legge del governo (ministro Falcucci) e delle proposte di

legge. Tale testo, concernente l' "Ordinamento degli studi di educazione fisica e

sportiva presso le università", prevedeva l'istituzione dei dipartimenti di educazione

fisica e sportiva, i quali organizzavano il corso di laurea della durata di quattro anni e

ordinato in due indirizzi:

- pedagogico sportivo per l'insegnamento dell'educazione fisica e sportiva;

- per l'educazione fisica differenziata e la rieducazione motoria-funzionale.

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Il progetto prevedeva l'istituzione del dipartimento presso la seconda università di

Roma, alla quale sarebbe stato trasferito il patrimonio dell'ISEF statale. Tutto il lavoro

venne reso vano dalla fine anticipata della legislatura con lo scioglimento delle

Camere.

Doveva essere lo stesso Comitato ristretto della Commissione istruzione del Senato

(presidente Spitella, relatore Mezzapesa) ad occuparsi, questa volta nel corso della X

legislatura, di elaborare un progetto di testo unificato dei disegni di legge presentati

dalle varie forze politiche, che prevedeva l'istituzione della "facoltà" di Scienze

dell'educazione fisica e delle attività motorie. Per il momento quella previsione rimase

lettera morta.

5.3.2 LA SENTENZA DELLA CONSULTA DEL 1990

La riforma degli ISEF era comunque indilazionabile: a dare un ulteriore impulso in

questo senso è stata la sentenza n.225 del 3 maggio 1990 della Corte Costituzionale,

che modificava l'art.13 della legge 88/58 il quale, al secondo comma, diceva: "La

cattedra di ruolo, maschile o femminile, si istituisce in ogni scuola e istituto, anche

quando ciascuno di essi abbia un minor numero di ore di lezione, solo nel caso in cui

sia possibile il completamento dell'orario presso altre scuole o istituti della stessa

sede". L'educazione fisica veniva insegnata per squadre, maschili o femminili, e i

docenti dovevano essere del medesimo sesso degli alunni ai quali insegnavano.

Un ricorso proposto dal TAR per la Puglia ritenne incostituzionale questa norma:

considerando che il titolo - per maschi e femmine - era il medesimo, poteva accadere

(ed accadeva non di rado) che in determinate scuole vi fossero insegnanti di

educazione fisica - maschi o femmine - che venivano assunti nonostante un punteggio

più basso rispetto ad altri - di sesso opposto - i quali, non essendoci un sufficiente

numero di alunni per costituire una cattedra, non venivano assunti pur avendo un

maggior punteggio. Il TAR per la Puglia, insomma, dubitava della legittimità

costituzionale della legge 88/58 nella parte in cui essa prevedeva la differenziazione

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delle cattedre per l'insegnamento dell'educazione fisica a seconda del sesso degli

alunni e la conseguente possibilità per i docenti di sesso maschile di insegnare solo a

squadre di alunni e per le docenti di sesso femminile solo a squadre di alunne, in

violazione del diritto al lavoro di tutti i cittadini senza distinzione di sesso.

L'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del presidente del Consiglio

dei ministri, si difese rilevando che: "La normativa in questione - relativa solo agli

insegnamenti impartiti nelle scuole medie ed in quelle superiori, e non anche nelle

elementari - è giustificata dall'esigenza di evitare turbamenti sessuali in alunni e alunne

che per l'età puberale ed adolescenziale che attraversano, sono particolarmente

sensibili a impulsi che inevitabilmente sarebbero indotti da movenze, dimostrazioni,

posizioni assunte da docenti di sesso diverso da quello degli alunni o delle alunne, il

cui contatto fisico con gli insegnanti è talora inevitabile"(18).

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 225/90 ritenne fondata la questione posta

dal TAR per la Puglia, in quanto sussisteva una palese discriminazione tra i docenti in

base al sesso, violando così l'articolo 37 della Costituzione che statuisce la parità di

diritti della donna lavoratrice rispetto all'uomo, considerato anche il fatto che gli

insegnanti di educazione fisica, siano essi maschi o femmine, sono in possesso di un

identico titolo di studio e della stessa abilitazione all'insegnamento.

Grazie a questa sentenza vennero eliminate tali distinzioni, e fu possibile istituire

un'unica graduatoria comprendente docenti maschi e femmine. Le eventuali

differenziazioni, quindi, si sarebbero verificate solo in base al punteggio e non più in

base al sesso.

Il passo successivo, verso una totale uniformità di insegnamento dell'educazione

fisica, fu determinato dalla possibilità di svolgere lezioni per classi e non per squadre.

In casi particolari, dato il basso numero di studenti, con particolari deroghe (le prime

firmate di proprio pugno dal ministro) si consentivano squadre di ginnastica "miste"; la

prima scuola che ebbe questa autorizzazione in Lombardia, e probabilmente una delle

primissime in Italia, fu l'istituto polivalente di Idro (BS), dove, con 8 alunni ed 8

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alunne in tutto (l'istituto era al suo primo anno di vita), era impossibile formare due

squadre distinte.

In seguito le deroghe si fecero sempre più numerose fino a quando, nel 1997, si

stabilì che ogni istituto, dietro delibera del Collegio docenti, sentiti gli insegnanti di E.

F. e sentito il parere del Consiglio d'istituto, poteva decidere se svolgere le ore di

educazione fisica per squadre maschili e femminili, per classi o, addirittura, con un

sistema misto.

Con ogni probabilità il riordino dei cicli in fieri regolerà con certezza lo svolgimento

delle ore di educazione fisica.

5.3.3 LA PROTESTA DEGLI STUDENTI ISEF

Nessun fatto concreto era ancora avvenuto, sul fronte della riforma degli ISEF

quando, il 20 marzo 1997, riuniti in assemblea nazionale a Perugia, i rappresentanti

degli studenti degli Istituti Superiori di Educazione Fisica inviarono al ministro della

P. I., Berlinguer, ed al presidente del CONI, Pescante, una lettera in cui esternavano le

conclusioni cui erano giunti in assemblea:

1 "RIFORMA I.S.E.F.: I rappresentanti degli I.S.E.F. d'Italia concordano

sulla necessità di riformare l'attuale ordinamento. Si ritiene infatti fondamentale

l'istituzione legalmente riconosciuta di un corso di studi universitario con il

conseguimento della laurea in scienze motorie e sportive. Si appoggiano in generale le

direttive dell'art. 13 del disegno di legge Bassanini. Si è inoltre espressa l'esigenza di

equipararsi maggiormente ad una organizzazione e programmazione didattica di tipo

universitario;

2 ACCORDO C.O.N.I.-GOVERNO: Si è venuto a conoscenza che pochi

giorni fa è stato stipulato un accordo C.O.N.I.-Governo che gli I.S.E.F. d'Italia non

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approvano perché si autorizza personale «non competente» ad operare nelle scuole

elementari e medie quando esiste una folta schiera di diplomati I.S.E.F. di gran lunga

più competenti e responsabili nel graduale processo educativo della psicomotricità.

Inoltre crea stupore il fatto che il Governo, rappresentato dall'Ill.mo Ministro Luigi

Berlinguer, possa autorizzare operatori specializzati alla formazione di piccoli

agonisti, venendo meno al principio pedagogico della formazione totalitaria della

personalità dell'individuo. Con la presente quindi desideriamo evidenziare al C.O.N.I.

e al Governo che gli I.S.E.F. d'Italia propongono l'inserimento legalmente riconosciuto

dal Governo di soli diplomati I.S.E.F. all'interno del processo educativo scolastico

elementare-medio-superiore, mantenendo saldi i principi pedagogici;

3 FORMAZIONE ALBO PROFESSIONALE: Si ritiene ormai opportuno

tutelare la professionalità dei diplomati I.S.E.F. tramite un albo professionale atto ad

eliminare lo scorretto inserimento del personale «non competente» nei processi

formativi motori-sportivi con il solo attestato rilasciato dalla Federazione

C.O.N.I."(19).

Finalmente, anche grazie alle continue pressioni che giungevano da più parti, la tanto

agognata trasformazione degli ISEF divenne realtà con il già menzionato decreto

legislativo 8 maggio 1998, n.178.

Ma la fiducia, da tanti (soprattutto dalla categoria degli insegnanti di educazione

fisica, dagli studenti del nuovo corso di laurea e da chi aveva a cuore le sorti di questo

insegnamento all'interno della scuola) riposta nel cambiamento, che avrebbe dovuto

uniformare la formazione in ambito motorio a quella degli altri Paesi europei, garantire

il riconoscimento a livello universitario delle esperienze culturali, didattiche e di

ricerca portate avanti dagli ISEF in quarant'anni di attività e consentire, finalmente, la

possibilità di attivare in modo ampio e significativo la ricerca scientifica sui diversi

aspetti della motricità, venne subito vanificata, essendosi rivelata chiara la tendenza

all'annullamento di gran parte delle esperienze pregresse e di ogni riconoscimento

della specificità culturale legata all'ambito motorio.

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La laurea in scienze motorie "nasce", in quasi tutti gli atenei italiani, in seno alle

facoltà di medicina, e quando così non è, risulta sempre almeno una "convenzione"

con questa facoltà. Tale soluzione non è ben accettata dagli insegnanti: "Le categorie

dei medici e dei cattedratici universitari in genere, con metodi pirateschi hanno

occupato tutte le cattedre possibili, anche quelle che avrebbero dovuto essere assegnate

agli insegnanti di Educazione Fisica, non preoccupandosi di non avere alcuna

preparazione in ambito motorio. I piani di studio sono stati definiti inserendo materie

che nulla hanno a che vedere con la nostra professione, snaturando così miseramente le

caratteristiche della laurea"(20).

Anche gli studenti iscritti al primo anno del nuovo corso di laurea non erano

particolarmente soddisfatti: in alcune università non era presente nessuna disciplina

legata in modo specifico alla motricità, facendoli dubitare quindi della effettiva

professionalizzazione che la laurea in scienze motorie avrebbe dovuto garantire loro.

I timori si dovevano ritenere fondati: il decreto ministeriale 23 dicembre 1999,

Rideterminazione dei settori scientifico-disciplinari, stravolse completamente quanto

previsto dal decreto n.178/98, annullando di fatto la specificità della cultura motoria,

inserendo discipline dell'ambito bio-medico ed eliminando, da tutte le denominazioni

degli insegnamenti il termine "teoria", facendo mancare quindi ogni riferimento alle

indispensabili basi teoriche tipiche di ogni tecnica e didattica.

In alcune università l'autonomia didattica permise di valorizzare maggiormente il

ruolo dei docenti di educazione fisica, ma il panorama generale difficilmente lasciava

tracce di ottimismo. Ad esempio, all'università di Napoli, già nell'anno 1999-2000,

l'incarico delle due discipline motorie venne assegnato a due docenti universitari:

l'insegnamento di "Teoria, tecnica e didattica degli sport di squadra" venne affidato ad

un docente di pedagogia, ed agli insegnanti di educazione fisica (già docenti ISEF) si

conferì la "funzione didattica di sostegno all'insegnamento"(21).

Pare quindi che la trasformazione degli ISEF, da tanto tempo attesa, si stia

risolvendo in un processo di fagocitosi da parte di altre facoltà. Le discipline motorie e

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sportive ne escono fortemente penalizzate, lasciando spazio ad una cultura spesso

parcellizzata e frammentaria dove è difficile individuare chiare linee di sviluppo.

Era dunque il caso di attendere così tanto tempo, di invocare e proporre per tanti anni

(nel 1971, ai campionati italiani di atletica, a Roma, gli atleti studenti ISEF

gareggiarono con la maglietta che recava la scritta "ISEF università") la necessaria

riforma degli Istituti Superiori di Educazione Fisica, per giungere a risultati di questa

portata che rischiano (insieme alle novità che secondo le "voci di corridoio" verranno

attuate dalla riforma dei cicli) di porre la pietra tombale sull'insegnamento e la pratica

dell'educazione fisica e sportiva nella scuola?

5.3.4 LO SPORT UNIVERSITARIO

5.3.4.1 UNA CONTINUITA' DA VALORIZZARE

A prima vista, la materia dello sport universitario potrebbe sembrare estranea alla

trattazione specifica della presente ricerca. Così non è, per vari motivi. Principalmente

si deve ricordare che esiste una stretta interrelazione tra lo sport scolastico e lo sport

universitario, perché quest'ultimo è la logica continuazione e il naturale risultato di

quello intrapreso dagli studenti nella scuola. Non si deve poi dimenticare che gli allievi

degli ISEF (ora facoltà di Scienze motorie), cioè i futuri docenti di educazione fisica,

sono spesso i protagonisti dello sport universitario.

In Italia - però - questo sport ha avuto uno sviluppo limitato rispetto alla grande

maggioranza degli altri Paesi "civili"; basti pensare agli Stati Uniti, dove i college e le

università producono campioni in serie, o all' ex Unione Sovietica, dove gli studenti

universitari devono svolgere quattro ore settimanali obbligatorie di sport. All'estero lo

sport universitario è la continuazione e il risultato dell'educazione fisico-sportiva della

scuola primaria e secondaria e, pertanto, è un modo di essere, un costume di vita.

Negli atenei italiani la situazione è ben differente, e molteplici sono le cause del

limitato sviluppo dell'attività sportiva universitaria nel nostro Paese.

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In primo luogo la diffidenza determinatasi nei primi anni del secondo dopoguerra a

causa della strumentalizzazione fatta dal regime fascista dell'attività sportiva degli

studenti universitari riuniti nei Gruppi universitari fascisti (GUF).

Poi la sudditanza di fatto - per molti anni - delle attività sportive nei confronti di

quelle assistenziali delle "Opere universitarie", le cui funzioni, i beni e il personale

sono stati trasferiti alle Regioni, con le competenze in materia di assistenza scolastica a

favore degli studenti universitari, soltanto dal 1° novembre 1979, per effetto dell'art.

44 del D. P. R. 24 luglio 1977, n. 616 (in attuazione della L. 22 luglio 1975, n. 382) e

del D. L. 31 ottobre 1979, n. 536, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre

1979, n. 642.

Inoltre l'università non può non risentire della situazione della scuola italiana, nella

quale, come abbiamo visto, l'attività motoria e sportiva è stata per lungo tempo (e se le

cose, col riordino dei cicli, andassero peggiorando?) considerata come ospite

sopportato, anziché come elemento prezioso del processo di formazione del giovane.

Se l'educazione fisico-sportiva non è parte integrante dell'educazione e talvolta è

addirittura relegata nella scuola ai margini di una seria ed efficace programmazione

didattico-pedagogica, non si può di certo pretendere una svolta miracolosa nell'ambito

universitario.

Non si deve poi dimenticare che nella cultura solo oggi l'educazione fisica e sportiva

sta finalmente e giustamente arrivando alla considerazione di essere fatto importante e

fondamentale nel processo di maturazione della persona umana.

Infine, bisogna poi tenere conto del fatto che gli atenei italiani, nonostante gli sforzi

fatti nel settore, sono ancora privi di quel complesso di impianti che negli altri Paesi

sono giudicati indispensabili, alla stessa stregua delle aule di studio, delle biblioteche e

dei laboratori di ricerca.

5.3.4.2 EXCURSUS STORICO

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Durante il ventennio fascista, anche nelle università lo sport ha vissuto vicende

analoghe a quelle della scuola: totalmente soggiogato dal regime che ne voleva fare il

fiore all'occhiello della propria politica educativa. Con la costituzione dei GUF veniva

regolamentata la pratica sportiva degli studenti universitari. Più che ad una ragione di

preparazione militare, si deve al motivo della formazione della classe dirigente del

Paese l'impulso dato dal fascismo allo sport universitario: "Nella iconografia del

regime non poteva mancare l'immagine di una classe dirigente fatta «di cervello e

muscoli». Se ciò era valido per i gerarchi - costretti a dare il buon esempio anche nel

campo dello sport - lo era ancora di più per coloro che dovevano essere la classe

dirigente del futuro. Per coloro che dovevano rappresentare - più di tutti - la volontà

del fascismo di curare un uomo nuovo, dove ogni aspetto della vita, quello culturale

come quello fisico, fosse adeguatamente stimolato"(22).

Al termine della guerra, il 22 marzo 1946 a Padova, venne fondato il Centro

Universitario Sportivo Italiano (CUSI), con la finalità di riprendere l'attività agonistica

degli studenti universitari (sotto il regime, Ludi lictoriales, poi più semplicemente

"Littoriali", in auge dal 1932) sospesa nel 1941 a causa degli eventi bellici. Così, a

sette anni dagli ultimi "Littoriali", si svolgeva, a Bologna nel 1947, la prima edizione

dei Campionati nazionali universitari, divenuti poi una consuetudine che si è protratta

fino ai giorni nostri.

Sempre nel 1947 ha avuto luogo la prima partecipazione del CUSI ad una

manifestazione internazionale, precisamente ai Giochi Mondiali Universitari, in

quell'anno disputatisi a Parigi. Quella manifestazione, troppo carica di significati

politici, diede luogo ad una frattura tra i Paesi dell'est e quelli occidentali; il CUSI

colse l'occasione per dare vita ad una più estesa fratellanza sportiva mondiale, creando

a Merano nel 1948, insieme alle associazioni universitarie di Germania, Lussemburgo

e Svizzera, la Fédération Internationale du Sport Universitaire (FISU).

Nel 1959, risoltosi il problema della riunificazione est-ovest dello sport universitario

mondiale, il CUSI ha avuto l'onore di organizzare, a Torino, i Giochi Mondiali dello

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Sport Universitario, ai quali è stata attribuita l'indovinata definizione di Universiade,

adottata poi definitivamente dalla FISU.

Il 22 agosto 1960, alla vigilia dei Giochi Olimpici di Roma, il Comitato

Internazionale Olimpico (CIO) decise di assegnare al CUSI la Coppa olimpica "Pierre

de Coubertin" per i servizi eminenti resi alla causa dello sport universitario e per la

perfetta organizzazione e il successo riportato un anno prima a Torino dalla prima

Universiade.

Con D. P. R. 30 aprile 1968, n. 770, il CUSI ha ottenuto il riconoscimento della

personalità giuridica, e con deliberazione del 22 febbraio 1979, il Consiglio Nazionale

del CONI ne ratificava il riconoscimento quale ente di promozione sportiva.

Il CUSI si articola nei CUS (uno per ciascuna città sede di uno o più Istituti

dell'ordine universitario). Hanno diritto di iscriversi al CUS tutti gli studenti che

praticano attività sportive e, indipendentemente da ciò, tutti gli immatricolati hanno la

facoltà di fruire delle attrezzature e dei servizi del CUS.

A differenza degli ordini scolastici sottostanti, nelle università non viene impartito

un insegnamento istituzionale di educazione fisica e sportiva: per sopperire a tale

lacuna, il CUSI ha chiesto la costituzione del Comitato per lo sport universitario. In tal

modo l'attività del CUSI e dei CUS ha travalicato la pratica dell'agonismo e si è estesa

al più vasto settore dell'educazione fisico-sportiva sotto il controllo del suddetto

Comitato, presieduto, in ciascuna sede, dal rettore e composto dal direttore

amministrativo, da due studenti eletti e da due membri designati dal CUSI.

Il Comitato per lo sport universitario è stato costituito dalla legge 28 giugno 1977, n.

394, sul "Potenziamento dell'attività sportiva universitaria". Suo scopo è quello di

potenziare l'attività sportiva universitaria, fino ad allora affidata alla spontanea

iniziativa del CUSI, cioè di un'associazione privata ancorché munita di personalità

giuridica, sovraintendendo "agli indirizzi di gestione degli impianti sportivi ed ai

programmi di sviluppo delle relative attività"(23). Il regolamento per il funzionamento

del Comitato è stato emanato con decreto del ministro della P. I. del 18 settembre

1977.

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5.3.4.3 IL CUS PARMA

Nell'ambito dello sport universitario, Parma deve considerarsi un'isola felice, capace

di mettere a disposizione degli studenti un contesto di impianti ed attrezzature che ha

pochi eguali in Italia ed in Europa, impianti voluti dall'università e quasi tutti

concentrati nell'area del "Campus", autentico gioiello del nostro ateneo.

Il Cus Parma, nato per soddisfare la voglia di sport degli universitari, ha saputo dar

vita anche ad una componente sportiva più spiccatamente agonistica. Negli ultimi 50

anni il Cus è stato grande protagonista nello sport di vertice della città. Tanti sono gli

atleti del Cus Parma che hanno indossato la maglia azzurra delle varie nazionali

italiane. I tre momenti fondamentali di

questa lunga storia sportiva sono: la conquista del titolo italiano della pallavolo

femminile nel 1971; i grandi meetings di atletica leggera, con la presenza di atleti di

caratura mondiale; la conquista dello scudetto tricolore nel 1997, bissata da due Coppe

dei Campioni (1998-1999) da parte della squadra di baseball.

NOTE AL CAPITOLO QUINTO

(1) Il CONI e le Federazioni Sportive alla Conferenza Nazionale dello Sport, CONI, Roma

1982, pp. 37-38.

(2) Atti della Conferenza Nazionale dello Sport, Roma 10-13 novembre 1982, 3 volumi,

vol. 1, pag. 131.

(3) Ivi, pag. 131.

(4) Archivio didattico, pubblicazioni dei centri didattici nazionali - I Conferenza

internazionale dei ministri e alti funzionari responsabili dell'educazione fisica e dello sport,

organizzata dall'UNESCO con la cooperazione del CIEPS, Il ruolo dell'educazione fisica e dello sport

nella formazione della gioventù, nella prospettiva dell'educazione permanente, - rapporto finale -

Casa dell'UNESCO 5-10 aprile 1976, serie VIII - educazione fisica e sportiva - N.13, pag 21.

(5) C. M. 3 ottobre 1985, n. 274.

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(6) Ivi.

(7) C. M. 9 luglio 1990, n. 184, " Iniziative di collaborazione scuola - extra scuola in

materia di attività sportiva".

(8) Ivi.

(9) Ivi.

(10) C. M. 31 luglio 1997, n. 466, cit.

(11) Ministero della Pubblica Istruzione - Ispettorato per l'Educazione Fisica e Sportiva -

Coordinamento attività per gli studenti, Programma Perseus - Intervento triennale per la

valorizzazione dell'educazione motoria, fisica e sportiva nella scuola dell'autonomia - 1999-2002,

Roma 1999, pag. 3.

(12) Ivi, pag. 13.

(13) Ivi, pp. 14-15.

(14) F. Arturi, Toh, finalmente anche lo sport fa maturità, in "La Gazzetta dello Sport", 11

giugno 1999, pag.1.

(15) M. Galdi, Giusti i limiti ai tesserati?, in "La Gazzetta dello Sport", 11 novembre 2000,

pag. 31.

(16) Legge 7 ottobre 1958, n.88, cit., artt. 22,23,24,25.

(17) T. de Juliis - M. Pescante, L'educazione fisica e lo sport nella scuola italiana, cit.

pp.53-54.

(18) Sentenza Corte Costituzionale n. 225, del 3 maggio 1990.

(19) Lettera inviata al Ministro della P. I., Berlinguer ed al Presidente del CONI, Pescante

il 20 marzo 1997 dai rappresentanti degli studenti ISEF riuniti in assemblea nazionale a Perugia,

Montichiari, archivio privato.

(20) B. Mantovani, Editoriale, in "Motricità e ricerca", rivista trimestrale della CAPDI,

giugno 2000, pag. 3.

(21) L. Bortoli, La laurea in scienze motorie tra speranze e realtà, in "Motricità e ricerca",

cit, pag. 11.

(22) AA. VV., Atleti in camicia nera, Editore Volpe, Roma 1983, pag. 103.

(23) Legge 28 giugno 1977, n. 394, "Potenziamento delle attività sportive universitarie".

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CAPITOLO SESTO:

"CONCLUSIONI E PROSPETTIVE"

6.1 UN TRISTE BILANCIO

Nel corso di questa ricerca, si è cercato di analizzare la travagliata presenza dello

sport nella scuola in questi ultimi 50 anni.

Non è stata una coesistenza facile, tutt'altro: inizialmente lo sport, quale "parente

stretto" dell'educazione fisica scolastica, ha dovuto patire tutti gli ostracismi e le

diffidenze di chi lo continuava a vedere come una pratica troppo compromessa con il

regime fascista per potersi ancora permettere di avere una dignità; la possibilità di

essere considerato nella propria essenza, come disciplina fondamentale nella crescita

dei giovani, era obnubilata dal ricordo del passato, quando lo sport nella scuola era

direttamente controllato dalle organizzazioni del regime e gli stessi insegnanti e

coordinatori di educazione fisica erano i rappresentanti del PNF in seno agli organi

scolastici.

Questa visione distorta si è protratta per decenni, lasciando educazione fisica e sport

scolastici in un limbo che si è iniziato a superare solo negli anni '70, e che ha

determinato un grave ritardo rispetto alle altre nazioni civilizzate.

A partire dal secondo dopoguerra il Comitato Olimpico Nazionale Italiano ha iniziato

ad offrire il proprio aiuto alla scuola attraverso la costruzione di impianti, mediante

l'organizzazione di manifestazioni sportive e con incentivi anche finanziari. Al CONI,

però, le istituzioni sportive scolastiche hanno dovuto pagare un tributo evidenziato

dalle linee di politica generale che in quegli anni sono state seguite: invece di curare la

pratica dello sport per tutti e nei confronti di tutta la popolazione studentesca -

ricordiamo che si sta sempre parlando di sport nella scuola - si è privilegiata la cultura

della ricerca dei talenti, delle promesse, dei campioni del domani, a scapito di tutte

quelle centinaia di migliaia di alunni cui spettava di diritto una sana, educativa e non

esasperata pratica sportiva.

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Intorno alla metà degli anni '90, vuoi per i problemi interni che il massimo

organismo sportivo nazionale si trovava ad affrontare, vuoi per la sua non più florida

situazione finanziaria, una presa di coscienza della categoria degli insegnanti di

educazione fisica, accolta dal ministero, ha "raffreddato" i rapporti scuola-CONI senza

provocare in quest'ultimo particolari reazioni.

L'avvento della scuola dell'autonomia, lo sviluppo del programma Perseus, ed una

maggior libertà d'azione degli organi sportivi della scuola, finalmente affrancati dalla

longa manus federale, parevano essere le basi per una nuova stagione - povera

(finanziariamente) ma libera - dello sport nella realtà educativa italiana.

Invece, con la circolare del 3 agosto 2000, Prot. n. 3578/A1 riguardante l'attività

sportiva scolastica per l'anno 2000-2001, la sigla del Comitato Olimpico è tornata a far

compagnia, in una situazione di totale pariteticità, a quella del ministero della Pubblica

Istruzione, facendo compiere un lungo passo all'indietro alla volontà di autonomia dal

CONI nella gestione dello sport scolastico. Questa circolare ha, ancora una volta,

suscitato il disappunto della categoria degli insegnanti di educazione fisica e degli

operatori della scuola, che vedono in questa nuova collaborazione col Comitato

Olimpico il rischio di una pericolosa vanificazione di tutto quanto si era cercato di fare

per rendere effettivamente educativo e "per tutti" l'insegnamento motorio nella scuola.

Il presidente della Confederazione Associazioni Provinciali Diplomati Isef, prof.

Mantovani, in una lettera inviata al ministro della Pubblica Istruzione, prof. De Mauro,

lamentava il grave ritorno al passato messo in atto dalla circolare summenzionata: "Le

proposte del progetto Perseus, la nuova impostazione delle gare studentesche, la nuova

impostazione dei compiti degli uffici di Educazione fisica, l'organizzazione autonoma

delle finali nazionali, la graduale trasformazione dell'attività motoria, sempre più a

misura di allievo e di scuola, rappresentavano conquiste in ambito scolastico, con

importantissime ripercussioni sul piano sociale, che si pensava non dover più

discutere.

Sembrava, dalle parole espresse nelle circolari firmate dal ministro e dalle

comunicazioni del capo dell'ispettorato di educazione fisica, che l'autonomia della

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scuola dal CONI fosse cosa fatta, e che si potesse lavorare per migliorare e correggere

l'attività sportiva scolastica, per farle raggiungere finalmente il livello di quella

realizzata negli altri stati europei, nei quali quanto chiediamo è già attuato da decenni.

Tutto ciò, al contrario, viene di nuovo messo in discussione diventando nuovamente

oggetto di contrattazione con il CONI. […] Mi spiace moltissimo dichiarare che questa

soluzione è l'esatto opposto delle tesi previste dal progetto Perseus.

Probabilmente le pressioni del CONI hanno condizionato la stesura del documento

facendo prevalere una maggiore selettività, competizione e agonismo, e hanno portato

a una inaccettabile proposta.

E' un vero peccato che invece di far proprie le esperienze precedenti e migliorarle, si

modifichi in modo illogico un progetto che stava sensibilizzando e avvicinando gli

insegnanti a questo tipo di competizione"(1).

Inoltre, sempre lo stesso presidente della CAPDI poneva in evidenza una situazione,

riguardante i finanziamenti in parte provenienti nuovamente dal CONI, che non esitava

a definire sconvolgente: "Da una parte il Governo versa al CONI 500 miliardi, come è

stato ampiamente divulgato da stampa e telegiornali, per affrontare i suoi impegni - è

in difficoltà addirittura a pagare gli stipendi, visto anche l'indegno sperpero di denaro

pubblico provato nel recente passato dalle numerosissime inquisizioni e dai fortissimi

richiami della Corte dei Conti - e poi lo stesso Governo attraverso il M. P. I. chiede

l'elemosina al CONI per gestire parte dell'attività sportiva scolastica facendosi

condizionare dal CONI stesso in scelte che non possono essere educative"(2).

Lo sport a scuola costituisce - dunque - ormai da decenni un argomento di dibattito

costante, sia in ambito scolastico, sia in quello sportivo. Le due linee di pensiero che si

sono affrontate all'interno di questa diatriba si possono così sintetizzare:

- una guarda allo sport soprattutto come mezzo per una formazione

integrale coerente con i valori e gli obiettivi formativi propri della scuola;

- l'altra - viceversa - interpreta lo sport come fine, ponendo in primo piano

l'esclusivo prevalere, come squadra o individualmente, sugli altri concorrenti in base a

punti, misure, tempi.

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A nostro modesto parere, il fine dello sport nella scuola dovrebbe essere quello

espresso dalla prima di queste due tesi, che vede in esso un mezzo, in concerto con le

altre discipline scolastiche, per contribuire alla formazione completa dell'alunno.

La scuola, che cercava di darsi anche da questo punto di vista un progetto culturale e

formativo, non può contrattare con un ente, non istituzionalmente formativo, finalità,

obiettivi, contenuti e metodi di un'attività che nasce e si sviluppa all'interno di essa. In

questo modo lo sport scolastico - così come delineato nell'attuale programma -

difficilmente riuscirà ad esprimere un articolato e motivato modello di sport formativo,

che sappia coniugare finalità ed obiettivi propri dell'istituzione scolastica con quelli

delle singole agenzie sportive.

Riguardo al riordino dei cicli scolastici, la Conferenza nazionale dei responsabili

delle facoltà e corsi di laurea in scienze motorie, per voce del proprio presidente, prof.

Stocchi, nel mese di aprile 2001 manifestava la propria perplessità e preoccupazione in

ordine al ruolo che il "motorio" verrebbe ad avere nella riorganizzazione scolastica. In

particolare si prende in esame la funzione dell'educazione fisica e dello sport nella

scuola superiore, e si sottolinea che: "Nel momento in cui si discute sulla prevenzione

e sul disagio giovanile, sull'eccessiva sedentarietà dei nostri giovani a causa dello

sviluppo dei videogiochi e comunque dell'uso generalizzato della televisione e dei

mezzi di locomozione, sull'aumento dell'obesità e delle sue conseguenze negative sulla

crescita e sulla salute, ecc., escludere l'educazione fisica dal curriculum obbligatorio

degli ultimi tre anni, significa non tener conto del contributo che essa dà al

conseguimento di un corretto equilibrio psico-fisico.

Per quanto riguarda lo sport scolastico, la notevole riduzione del budget previsto con

l'invito alla ricerca di casuali «mecenati» e all'ingresso nella scuola di «esperti» non

meglio qualificati, appare penalizzante e pericoloso proprio in relazione alla situazione

degli altri paesi della Comunità dove l'attività sportiva scolastica è interamente

sostenuta dallo Stato.

Pertanto si chiede:

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- nessuna esclusione dal curriculum obbligatorio dell'educazione fisica per

l'intero ciclo della scuola superiore;

- attenta riflessione sul ruolo dello sport nella scuola e sulle competenze

pedagogiche e didattiche necessarie per una corretta fruizione del concetto di

sport"(3).

6.2 UN CASO LIMITE

Ciò che nell'ambito della nostra ricerca, e delle conclusioni che si vengono traendo,

potrebbe apparire un caso limite, è quello del liceo scientifico-sportivo che dovrebbe

prendere avvio a partire dal mese di settembre 2001 presso l'Istituto don Bosco di

Genova. In realtà non si tratta di una provocazione, di una sportivizzazione

esponenziale, pilotata dal CONI o dalle federazioni sportive, bensì di una scuola creata

per studenti-atleti tesserati.

L'idea è venuta al prof. Ottonello, già preside dell'ISEF di Genova ed ora supervisore

tecnico della facoltà di Scienze Motorie dell'ateneo ligure: presa coscienza di quanto

sia difficile conciliare lo sport ad alto livello con gli impegni scolastici, egli ha creato,

in sintonia con i Padri Salesiani dell'Istituto don Bosco, il liceo scientifico-sportivo

"Pierre de Coubertin", riservato ad atleti tesserati per una federazione nazionale

riconosciuta dal CONI, a patto che svolgano regolare attività agonistica certificata dal

Comitato Olimpico provinciale tramite le rispettive società di appartenenza.

La finalità primaria del liceo scientifico-sportivo sarà di rispondere alle esigenze

formative e agonistiche degli atleti con strutture sportive e scolastiche adeguate e un

personale docente in sintonia con gli obiettivi del corso di studi, che vuole concorrere

alla formazione integrale dei giovani atleti in un clima culturale ed educativo

stimolante.

Sara Simeoni, ex primatista mondiale di salto in alto, madrina del liceo "de

Coubertin", ha detto: "Nella mia opera di promozione dell'attività sportiva per conto

della Fidal mi viene domandato spesso come sia possibile conciliare gli impegni

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scolastici con quelli sportivi. Credo che una risposta esauriente venga proprio da

questa scuola, poiché anche l'attività sportiva è cultura. Il Giubileo degli sportivi ci ha

fatto ripensare a tante cose: prima fra tutte, che lo scopo dello sport non è solo ottenere

risultati, ma anche formare il carattere"(4).

I giovani atleti potranno, in virtù di un orario flessibile (la settimana, ipotizzando un

weekend impegnato fuori sede per l'attività agonistica, si aprirà il lunedì mattina alle

10.00 e si chiuderà il venerdì alle 13.30), mantenendo comunque invariato il numero

delle ore di lezione, fare slittare gli impegni scolastici ad orari diversi della giornata

rispetto ai tradizionali, ad esempio posticipando le lezioni al pomeriggio in caso di

impegni sportivi al mattino. Ogni allievo, inoltre, sarà in collegamento via Internet con

la società sportiva di appartenenza e avrà accesso alle strutture sportive dell'istituto per

seguire un programma di allenamento ottimale a seconda della disciplina praticata.

Accanto alle materie tradizionali, o nell'ambito di esse, saranno trattate tematiche

legate allo sport, dalla fisiologia all'antidoping, dall'anatomia ai valori dell'olimpismo

ai rudimenti di pronto soccorso.

6.3 QUALI PROSPETTIVE?

In questi giorni nei quali il riordino dei cicli scolastici e la conseguente

organizzazione dello sport scolastico sono ancora cronaca o - addirittura - momento di

analisi politica relativa ad una recentissima campagna elettorale, diviene davvero

problematico anche il solo cercare di prevedere quale sarà il futuro dello sport nella

scuola.

Certo, è possibile affermare che le ipotesi di ridimensionare l'educazione fisica e lo

sport scolastico, o addirittura di far divenire questa materia come opzionale, ha giocato

decisamente a sfavore del governo uscente: 12000 firme, raccolte solo tra i docenti di

educazione fisica, contrari non al riordino dei cicli, ma alla ridotta considerazione della

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materia, significano che lo scontento è stato abbastanza generalizzato. Per cui si

possono azzardare - oggi - solo alcuni scenari possibili in base alle scelte che verranno

attuate dal nuovo parlamento d'intesa con il Comitato Olimpico riformato:

a) riprendere la linea del ministero D'Onofrio (del governo Berlusconi 1994), che

stava ipotizzando l'associazionismo sportivo scolastico, simile, per certi aspetti,

almeno tra i modelli europei, al sistema francese;

b) continuare con l'attuale organizzazione, e quindi scivolare lentamente verso

l'opzionalità dell'insegnamento della materia, in particolar modo nelle ultime tre classi

della futura scuola superiore.

E' ovvio che l'ipotesi migliore non può che essere quella di una organizzazione

sportiva scolastica capillare sul territorio, parallela e quindi non in opposizione con lo

sport giovanile federale, finanziata con gli interventi sia dello Stato, sia degli enti

locali, in grado di soddisfare la promozione di base ma anche una sana educazione

all'agonismo.

In questi ultimi tre anni, nonostante l'andamento ondivago dei ministeri Berlinguer e

De Mauro, alcuni esperimenti sono stati effettuati (specialmente col programma

Perseus) e i risultati, almeno a livello locale, sono stati più che soddisfacenti. Le

scuole non si sono limitate a formare, a "produrre" qualche atleta, ma hanno anche

dato vita a vari nuclei di studenti-giudici, di studenti-arbitri.

Gli uffici di coordinamento hanno diffuso l'abitudine alla responsabilizzazione

collettiva delle scuole fino al punto che i campionati nazionali di Brescia - Desenzano

del Garda hanno visto schierati molti studenti con compiti di giuria ed arbitraggio.

Questo significa che lo sport non è più fatto solo per i contendenti, ma lo sport

scolastico serve anche a formare quadri dirigenti. E proprio in questo starà la

scommessa dell'organizzazione dello sport scolastico. Il ruolo del CONI potrebbe

essere - il condizionale è d'obbligo, visto che si tratta di un apparato rinnovato, grazie

alla nuova presenza nel consiglio nazionale e nella giunta, di atleti e di tecnici - quello

di supporto e di collaborazione organizzativa.

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Ma per poter lanciare un associazionismo sportivo scolastico, diventa necessario

modificare in parte l'attuale normativa. Stabilito che lo sport scolastico, all'interno

della sua complessiva finalità educativa, può avere anche un aspetto agonistico, si

rende necessario un sistema che non esaurisca tutte le sue forze nell'arco di un anno,

ma che consenta la disputa di campionati di livello successivi, in base a classifiche di

merito: campionato d'istituto o distrettuale, campionato regionale, campionato

nazionale, come di fatto accade nel sistema francese e parzialmente in quello tedesco.

In questa struttura organizzativa, l'alunno potrà avvicinarsi allo sport come atleta,

come giudice o come dirigente. Sarà poi necessario provvedere a regolamentare le

modalità di pagamento delle ore di avviamento all'attività sportiva.

La soluzione alternativa (ipotesi b) è quella di mantenere un'organizzazione come

quella attuale, che esaurisca tutte le sue fasi nel giro di una stagione, e che quindi

diventi semplicemente occasionale e dipendente dalla volontà degli insegnanti, sotto

l'aspetto della promozione sportiva, o dall'aleatorietà dei risultati, sotto l'aspetto della

prosecuzione dell'esperienza all'interno di una stagione. Questo metodo ha ormai fatto

il suo tempo, è molto costoso, necessita di organizzazioni centrali nazionali che

tuttavia, spesso, non riescono a coordinarsi in tempo reale con la periferia. Esso è stato

sicuramente utile, dalla nascita dei Giochi della gioventù fino al 1985 circa, per la

diffusione del messaggio sportivo, ma oggi appare arretrato rispetto all'organizzazione

sociale, agli strumenti di comunicazione di massa, e soprattutto ai desiderata degli

studenti.

E' necessario - secondo noi - che agli studenti vengano date molte occasioni di

avvicinamento allo sport, sia per quanto riguarda le attività di squadra, sia per gli sport

individuali, mediante formule agili, veloci, e che non impegnino ore e ore gli studenti,

come attualmente fanno le formule dei Giochi della gioventù: non dimentichiamo

infatti che lo studente - oggi - vive con la frenesia di conoscere tutto, e in pochissimo

tempo, e quindi si trova ad abbandonare precocemente le esperienze che non lo

soddisfino.

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Bisogna, a tal fine, che la scuola si dia una forte organizzazione, investa risorse, e

non preveda soltanto la figura del coordinatore di educazione fisica ma, nel riordino

dell'amministrazione, delle équipe numericamente adeguate, non solo alla popolazione

scolastica, ma anche al movimento sportivo; bisogna inoltre che da parte delle

federazioni sportive nazionali non si consideri l'evoluzione dello sport scolastico come

una sorta di "esproprio" dei tesserati, ma che invece si guardi alla scuola come all'ente

educativo con il più alto numero di operatori d'Italia, e quindi come a un grande alleato

per la diffusione dello sport, fatto salvo che poi sarà in ogni caso lo studente - e non

potrebbe essere che così - a scegliere se fare sport o se dedicarsi ad altri hobby.

In Italia ogni organizzazione, ogni gruppo, ogni sistema di interessi, chiede alla

scuola la diffusione del proprio messaggio. Ma in realtà la scuola può soltanto

proporre, e non è pensabile che da sola possa anche aggregare intorno a sé tutte le

istanze sportive, musicali, teatrali, turistiche ecc. di una nazione.

Lo sport scolastico può - tuttavia - essere un utilissimo mezzo per combattere le

distorsioni di una vita spesso ipertecnologica e vorticosa come quella che ci aspetta nel

terzo millennio. Per la sua promozione, la scuola deve seguire delle regole, perché lo

sport è - in fondo - la quintessenza delle regole.

L'universalità dell'attività sportiva sta tutta in un semplicissimo postulato: lo sport è

uguale in tutto il mondo e rende uguali i cittadini di tutto il mondo, perché le regole

sono le stesse. Ecco, la scuola può, attraverso lo sport, collaborare a creare anche in

Italia cittadini del mondo.

NOTE AL CAP. 6

(1) B. Mantovani, Lettera del presidente della CAPDI al ministro della Pubblica

Istruzione, in "Motricità & Ricerca", trimestrale della Confederazione Associazioni Provinciali

Diplomati Isef, Anno VIII, n. 2/2000, dicembre 2000, pag. 8.

(2) Ivi, pag. 9.

(3) http://www.geocities.com/CollegePark/Library/4150/sto.html

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(4) F. Grimaldi, Genova lancia la scuola di sport, in "La Gazzetta Sportiva", 12 novembre

2000, pag. 31.

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APPENDICE

INTERVISTA AL DOTT. ENZO GIFFONI (Brescia, venerdì 11 maggio 2001)

Il dott. Giffoni, cultore di legislazione scolastica, autore di numerose pubblicazioni, è

stato provveditore agli studi a Varese, a Brescia, a Bergamo, a Milano, sovrintendente

scolastico regionale per la Lombardia. Si è sempre interessato - dalla sua visuale - ai

problemi dell'educazione fisica e sportiva.

1) D. - Da quanto è emerso nella mia ricerca, lo sport nella scuola ( e l'E.F.

più in generale) nella seconda metà del '900, ha sempre sofferto un complesso di

emarginazione, è sempre stato guardato con diffidenza per i suoi trascorsi, per il suo

essere stato strettamente legato al fascismo e alla sua ideologia. E' vero? Ancora oggi

ne risente?

R. - In misura molto limitata - secondo me - è vero. Educazione fisica e sport erano

stati esaltati dal fascismo: l'E.F. è praticata da chi deve allestire eserciti per sostenere il

regime. Questo spiega una certa diffidenza nei confronti dello sport nella scuola

nell'immediato ultimo dopoguerra.

Oggi l'idea dello sport è maturata attraverso il "sociale", sono aumentate le adesioni

e si è diffusa la pratica dello sport in tutti i ceti sociali, dimostrando l'importanza fisica

e culturale tout court di questo insegnamento. In sintesi, mi sembra di escludere che

permangano ancora condizionamenti di quel tipo.

2) D. - La difficile vita dello sport nella scuola è causa, effetto od entrambe

le cose della deficitaria situazione di impianti e attrezzature?

R. - Allo stato attuale, non possiamo dire che gli impianti e le attrezzature sportive

siano deficitari su vasta scala. Ci sono stati molti interventi, anche da parte degli enti

locali, per cui di palestre ed impianti ce ne sono.

Dando uno sguardo al passato, per quello che ho potuto vedere io, soprattutto quando

andavamo cercando i locali per la nuova scuola media agli inizi degli anni '60, anche

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quelle palestre che erano state costruite per le scuole elementari dal fascismo, spesso

non erano utilizzate. Ho visto alcune palestre, non molto ampie, adibite a deposito

attrezzi, e ne ricordo una riservata - in parte - ad una scuola di taglio e cucito.

Certamente, le palestre esistenti negli anni '60 non erano nel modo più assoluto

sufficienti per garantire uno sviluppo all'educazione fisica e sportiva.

In provincia di Brescia - invece - vuoi per la sollecitazione che veniva

dall'amministrazione scolastica, vuoi per il grande interesse manifestato da insegnanti,

presidi, personale del provveditorato, sono stati creati degli impianti, proprio negli

anni in cui c'è stato lo sviluppo della scuola media, parlo del 1963-1964, o si è cercato

di procurare dei locali che quanto meno potessero favorire un insegnamento anche

pratico dell'educazione fisica e sportiva.

3) D. - Era possibile fare qualcosa in più per garantire maggiore dignità

all'E.F. e soprattutto allo sport nella scuola? Come si sarebbe potuto - o dovuto -

operare per garantire maggior credito e più spazio a queste discipline?

R. - E' facile rispondere che si poteva sempre fare qualcosa di più, soprattutto favorire

un'incidenza più vasta di questo insegnamento. Non bisogna però dimenticare che le

attrezzature e gli impianti - come detto prima - erano carenti (parlo sempre degli anni

'60 e di buona parte degli anni '70). Inoltre, la stessa categoria dei docenti di

educazione fisica non aveva avuto un retroterra di adeguata preparazione: molti

insegnanti di educazione fisica, negli anni 50' e '60, erano stati un po' "rabberciati", gli

stessi diplomati dell'ISEF erano ancora quelli delle accademie di Roma e Orvieto; la

maggioranza degli insegnanti non era professionalmente qualificata e viveva anche

una situazione di soggezione, che non sempre era fondata, rispetto agli altri insegnanti

forniti di laurea. In più, cosa molto importante, nei processi educativi, che nella nuova

scuola media cominciavano ad essere elaborati con maggiore completezza e con

maggiore - diciamolo pure - cultura, con un respiro sempre più ampio, la scarsa

preparazione dei docenti di educazione fisica impediva loro di inserirsi a pieno titolo

nella programmazione didattica. Quindi, un po' per l'atipicità della disciplina, da

sempre considerata come eminentemente pratica, e un poco per questa difficoltà da

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parte dei docenti di educazione fisica di inserirsi, farsi coinvolgere e coinvolgere nel

discorso complessivo degli organi collegiali, la situazione dell'insegnamento di questa

materia era sicuramente perfezionabile.

Per garantire maggior credito e più spazio a questa disciplina - secondo me - l'unica

cosa che si poteva fare era di potenziare e perfezionare il corso di studi degli ISEF,

dando la possibilità ai futuri insegnanti di educazione fisica di rafforzare la propria

preparazione ed essere parte integrante nel contesto della programmazione scolastica.

4) D. - Il rapporto scuola - CONI, ha portato più benefici o più danni allo

sviluppo dello sport (nel senso pedagogico-scolastico) nella scuola? Il CONI era (ed è

ancora) davvero alla esclusiva ricerca dei talenti, delle «promesse»?

R. - La risposta è che sicuramente ha portato più benefici. Poi non dobbiamo escludere

che a livello locale, a livello periferico magari per distorsioni, fraintendimenti, si siano

verificate delle incomprensioni, questo è accaduto. Ma, per il resto, il CONI deve

perseguire evidentemente le proprie finalità istituzionali, e non ci dobbiamo stupire

che esso vada alla ricerca di promesse. Su questo non c'è dubbio. Soprattutto negli

ultimi 25 anni è indubbio che il CONI abbia prestato una grande attenzione alla

diffusione e al tipo di diffusione delle pratiche sportive nelle scuole, nel senso che essa

si è ingigantita ed ha portato ad un miglioramento complessivo dei benefici aspetti

dello sport per ciò che riguarda l'individuo e le classi studentesche. Attraverso

quest'azione, direttamente o indirettamente, coloro che già avevano delle particolari

capacità, hanno avuto maggiori possibilità di emergere, di mettersi in mostra e di

essere quindi adocchiati dalle società sportive e dal CONI.

In conclusione, avendo la scuola potenziato, migliorato, anche scientificamente,

l'insegnamento dell'educazione fisica e sportiva, e avendo anche promosso iniziative

che favorivano competizioni, gare, trofei, è chiaro che s'è data anche l'occasione al

CONI di poter individuare gli elementi della gioventù studentesca che potevano

ottenere i risultati più apprezzabili.

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5) D. - Quanto ha pesato - e quanto continua a pesare - sull'attività sportiva

nella scuola l'art. 3, punto 2, dell'ordinamento del CONI, quando afferma che «[il

CONI] coordina e disciplina l'attività sportiva comunque e da chiunque esercitata»?

R. - Questa domanda può sembrare un tantino polemica, nel senso che può far pensare

ad una prevaricazione del CONI a danno dell'autonomia dell'istituzione scolastica. Se

il CONI istituzionalmente deve coordinare e disciplinare l'attività sportiva comunque e

da chiunque esercitata, dobbiamo vedere quali remore, quali condizionamenti crea

questa disposizione nei confronti della normativa sulla scuola.

Andiamo con ordine: nella scuola abbiamo un insegnamento - educazione fisica e

sportiva - che possiamo esercitare bene, benissimo, o male, malissimo, con tutti gli

effetti positivi e negativi che ne derivano. Tale insegnamento risulterà tanto più

positivo quanto più sarà inserito nel contesto della programmazione con tutti gli altri

insegnamenti, il cosiddetto "piano dell'offerta formativa", e considerato per gli effetti

che esso può dare per la crescita dell'uomo, del cittadino democratico e lavoratore.

Nulla vieta poi che la scuola, soddisfatti i propri compiti educativi anche attraverso

l'educazione fisica, ponga in essere delle attività che possano servire anche per fini

diversi: ad esempio, i Giochi della Gioventù, promossi dal CONI e dalla scuola, che

miravano anche a fare emergere, fuori dalla realtà scolastica, quelle figure di studenti-

atleti capaci di prestazioni di notevole valore. Se, in questa ottica specifica, il CONI

collaborava a gestire l'organizzazione sportiva, non mi pare che si ponesse in alcun

modo in contrasto con l'azione educativa della scuola. Tanto più che molti giovani,

prescindendo dalle iniziative della scuola, frequentano anche delle società sportive, per

hobby, per passione, o perché poco a poco vi si trovano coinvolti.

Purtroppo, non tutti i dirigenti del CONI e della scuola avevano ben chiari i termini

della questione, per cui sono nate polemiche ed incomprensioni nel senso che, da una

parte, si accusava la scuola di non valorizzare gli atleti, gli studenti dotati di specifiche

capacità sportive, e dall'altra si replicava che la scuola - giustamente - non doveva

preoccuparsi di evidenziare gli atleti, ma doveva fornire un'educazione sportiva a tutti

gli alunni. Se poi emergeva - nell'ambito scolastico - un atleta, tanto meglio.

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Con questi chiarimenti noi possiamo affermare che l'articolo 3, punto 2,

dell'ordinamento del CONI non poteva che avere effetti positivi anche nell'ambito

scolastico. Se non li ha sempre avuti, ciò è dipeso dalla visione miope che qualche

volta può aver condizionato l'azione degli operatori dell'una e dell'altra parte.

6) D. - Dal dopoguerra ad oggi, nella politica seguita dal legislatore, è

ravvisabile una linea coerente di intervento - con un senso preciso - oppure vi è stata

una normativa disorganica e contraddittoria?

R. - Si possono dire due cose: in generale, i funzionari responsabili avevano le idee

chiare, a livello teorico, nello stabilire gli interventi necessari; ma nel momento in cui

tali interventi venivano recepiti dalla realtà concreta, potevano dar luogo ad infinite

polemiche e contestazioni. Così, ad esempio, il principio di aprire le palestre

scolastiche alle società sportive poteva provocare la reazione dei bidelli, che si

rifiutavano di pulire i locali in seguito ad attività extrascolastiche, o che lamentavano

danni prodotti alle attrezzature.

Ad ogni modo, possiamo dire che, almeno a partire dagli anni '60 - e questa è la

seconda osservazione - la linea legislativa è sempre stata coerente e molto disponibile:

molto è stato fatto per favorire la pratica sportiva nella scuola, anche se non sempre si

è potuto realizzare ciò che si voleva. Va poi detto che questa linea coerente si è

scontrata, in anni successivi, con altre difficoltà, quando la scuola è stata caricata di

tante cose, nel periodo della contestazione, della crisi, delle incertezze, dei

cambiamenti che hanno in parte distratto il mondo educativo da tale linea.

7) D. - Il legislatore si è anche preoccupato di utilizzare lo sviluppo

dell'organizzazione e della pratica sportiva nella scuola come antidoto al disagio

giovanile (droga, estremismo politico, ecc.)?

R. - Più che una preoccupazione del legislatore, era proprio la comunità scolastica nel

suo insieme che doveva utilizzare anche la pratica sportiva come antidoto al disagio

giovanile. Abbiamo sentito dire tante volte che chi praticava lo sport non pensava alla

droga, all'estremismo politico, ecc. Per la verità non si può pensare che questo fosse

l'unico rimedio. Anche la società nel suo insieme, la famiglia, tutte le strutture sociali,

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la vita della collettività dovevano far fronte al problema del disagio giovanile, ma non

vi erano idee chiare sulla condotta da tenere. Probabilmente - anzi sicuramente - la

pratica sportiva ha contribuito ad alleviare il disagio giovanile, ma non vi sono

formule, rimedi che il legislatore potesse usare contro di esso, perché il disagio

giovanile è frutto di una situazione molto più ampia, molto più complessa, che

coinvolge tutti ed anche sicuramente l'istituzione-scuola, ma non solo. Non si deve

perciò pensare che la pratica sportiva abbia una priorità o una specifica responsabilità

nella lotta contro il disagio giovanile. Si può invece aggiungere che oggi gli insegnanti

e i docenti di educazione fisica possono offrire un più efficace contributo perché sono

più preparati, sono più consapevoli, sono meglio inseriti nella problematica

complessiva, e certamente, siccome la pratica sportiva costituisce una grande attrattiva

per il mondo giovanile, dobbiamo presumere che essa possa portare a un maggiore

vantaggio per risolvere anche problematiche come quelle del disagio giovanile. C'è in

ballo tutto il problema di quello che la scuola fa e di come la scuola lo fa sotto il punto

di vista dell'educazione.

8) D. - Come vede, alla luce della prossima riforma dei cicli, il ruolo dello

sport nella scuola dell'autonomia?

R. - Per come sono stati disegnati e presentati, e per le reazioni che ne sono seguite, io

non credo che la riforma dei cicli possa incidere negativamente - o anche in senso

positivo - in ordine al ruolo dello sport nella scuola: i cicli hanno una fisionomia ben

definita come momento organizzativo dell'ordinamento.

Ma quello che è importante è il contesto di innovazione che sta per verificarsi

all'interno della scuola, grazie al processo di autonomia in atto. In certe scuole, dove la

sensibilità sportiva dei docenti è più forte, grazie all'autonomia, noi dovremmo avere

una maggiore attenzione per i problemi dello sport. E anche una maggiore apertura

della comunità scolastica nei confronti delle comunità sportive e del mondo sportivo.

Ogni scuola potrà aprirsi al mondo esterno in base alle caratteristiche territoriali e

alle discipline maggiormente presenti sul territorio.

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Il discorso sui cicli d'istruzione è relativo: come si comporteranno - con o senza cicli

- i consigli di classe? Sapranno veramente essi interpretare le esigenze, capire, magari

anche anticipatamente i pericoli cui vanno incontro determinate classi? Sapranno

veramente realizzare un piano dell'offerta formativa della scuola non dimenticando che

esso non è un cliché duplicabile in serie, ma che deve aggiornarsi anno per anno,

differenziarsi in relazione alle caratteristiche delle classi che arrivano nella scuola, al

contesto territoriale, familiare ecc.?

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