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Università degli Studi di Palermo Facoltà di Scienze della Formazione Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria Indirizzo Scuola Primaria “I giochi logici: strategie risolutive in situazioni di multicultura” Tesi di Laurea di: Relatore Tarantino Anna Maria Prof. Spagnolo Filippo Anno Accademico 2005/2006

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Università degli Studi di Palermo

Facoltà di Scienze della Formazione

Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria

Indirizzo Scuola Primaria

“I giochi logici: strategie risolutive in situazioni di

multicultura”

Tesi di Laurea di: Relatore

Tarantino Anna Maria Prof. Spagnolo Filippo

Anno Accademico 2005/2006

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A mio marito Melchiorre Alle mie figlie Rosamaria e Lidia

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Tutto ciò che è oggetto di ragionamento e di intuizione

quando si dice il vero o il falso, viene o affermato o negato dal

pensiero, come risulta chiaramente dalla definizione stessa di vero e falso. Quando il pensiero unisce

in un dato modo, sia che affermi, sia che neghi, dice il vero, e

quando in un altro modo dice il falso.

Aristotele, Metafisica 7

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PREMESSA

Il mio lavoro sperimentale prende l’avvio dalla constatazione

della manifesta difficoltà degli alunni della V classe presso cui

ho svolto attività di tirocinio, di risolvere problemi matematici

attraverso strategie altre rispetto a quelle convenzionalmente

in uso.

Allo scopo di verificare se e come la logica possa favorire la

costituzione e l’esercizio di abilità astratte di ragionamento,

ho somministrato a 3 diverse classi con prevalenza di studenti

occidentali (2^ elementare Circolo didattico “G. Quinci” di

Ma zara del Vallo, 4^ elementare Istituto, Comprensivo “Don

Dilani” di Tusa, 5^ elementare Circolo didattico “G.

Ingrassia” di Palermo), un problema logico-linguistico

slegato da vincoli con principi risolutivi standardizzati.

Successivamente, ponendomi come obiettivo l’individuazione

di eventuali differenze tra le modalità di problem-solving

utilizzate dai soggetti già testati (occidentali) e quelle di

soggetti appartenenti a culture diverse da quella occidentale,

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ho esteso il campo di indagine della mia ricerca sottoponendo

ad analisi le strategie messe in atto da alunni extracomunitari

nella risoluzione del questionario inizialmente impiegato nella

1^ fase sperimentale.

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CAP. I

LA LOGICA MATEMATICA

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1.1 LOGICA

La logica è la scienza che tratta la validità e le articolazioni di un

discorso in termini di nessi inferenziali - in particolare deduttivi -

relativamente alle proposizioni che lo compongono. Si deve ad

Aristotele - che esaminò i concetti, le categorie, le proposizioni, i termini

ed i sillogismi - la prima formulazione della logica come scienza

propedeutica ad ogni possibile conoscenza.

Il contenuto degli oggetti e la loro origine sono stati approfonditi dalla

logica medievale. Con il Novum Organum Francesco Bacone cercò di

costruire una nuova metodologia basata sull'induzione impostando la

logica come strumento di indagine scientifica. Riprendendo questi temi

René Descartes cercò di stabilire se il rigore tipico di un discorso

matematico potesse essere alla base di qualsiasi sapere, compreso quello

filosofico.

Sempre sul calcolo matematico Thomas Hobbes pensò la logica come

una combinazione di segni e regole. Gottfried Leibniz ed i suoi seguaci

cercarono poi di unificare il complesso delle strutture logico/linguistiche

in un linguaggio scientifico universale, ossia la "logica simbolica e

combinatoria".

Nel ’700 il contributo delle correnti filosofiche non fu così importante

per lo sviluppo della logica moderna, ed Immanuel Kant nella sua

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Critica della ragion pura definì la logica trascendentale come quella

parte della logica generale che tratta della possibilità e delle modalità per

cui la conoscenza può riferirsi ai concetti empirici.

Sarà solo nella seconda metà del XIX secolo che la logica tornerà a

studiare gli aspetti formali del linguaggio, ovvero la logica formale, ed a

essere trattata con metodi naturalistici da Christoph Sigwart e Wilhelm

Wundt , portando conseguentemente allo sviluppo della logica

matematica.

1.2 LOGICA MATEMATICA

La Logica matematica è il settore della matematica che studia i sistemi

formali dal punto di vista del modo di codificare i concetti intuitivi della

dimostrazione e di computazione come parte dei fondamenti della

matematica.

Sebbene molti siano indotti a pensare che la logica matematica sia la

matematica della logica, è più giustificato affermare che essa è la logica

applicata alla matematica. Essa si occupa delle parti della logica che

possono essere modellate matematicamente.

Altri termini utilizzati spesso nel passato sono logica simbolica (termine

contrapposto a logica filosofica) e metamatematica, termine che ora si

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applica più specificamente a taluni aspetti della teoria della

dimostrazione.

Le aree principali della logica matematica includono la teoria dei

modelli, teoria della dimostrazione e la teoria della ricorsione. A queste

talora viene aggiunta anche la teoria assiomatica degli insiemi. Essa

possiede molte sovrapposizioni con l'informatica, fin dai lavori dei

pionieri di questa disciplina, come Alan Turing, i quali erano matematici

e logici.

1.3 STORIA

E’ Giuseppe Peano che assegna il nome di logica matematica a quella

che era nota anche come logica simbolica. In buona sostanza è ancora la

logica di Aristotele, ma si pone dal punto di vista che considera la

notazione con la quale viene scritta come branca dell'algebra astratta e

della combinatoria.

Dei tentativi di trattare le operazioni delle logica formale con modalità

simboliche o algebriche furono effettuati da alcuni dei matematici con

più spiccate attitudini filosofiche, come Gottfried Leibniz1 e Johann

Lambert; purtroppo però i loro sforzi rimasero quasi sconosciuti e isolati.

Furono George Boole e il suo continuatore Augustus De Morgan che,

1 G. W. Leibniz, Scritti di logica, a cura di F. Barone, 2 Voll, Laterza Bari, 1992.

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intorno alla metà del XIX secolo, proposero per il trattamento della

logica modalità matematiche sistematiche (naturalmente di natura non-

quantitativa). In tal modo la dottrina tradizionale, aristotelica, della

logica veniva riformata e completata; inoltre risultava sviluppato uno

strumento adeguato per l'indagine dei concetti fondamentali della

matematica. Lo sviluppo di questa 'nuova' logica ha condotto ad

affrontare problemi che sono sfociati in controversie fondazionali

ampiamente dibattute fra il 1900 e il 1925 e che sarebbe fuorviante

considerare ricomposte; in ogni caso la filosofia della matematica ha

ricevuto una profonda chiarificazione dalle acquisizioni della logica

matematica.

Mentre lo sviluppo tradizionale della logica (vedi elenco degli articoli di

logica) pone forte enfasi sulla forma delle argomentazioni,

l'atteggiamento della logica matematica dei nostri giorni potrebbe essere

riassunto con la frase studio combinatorio del contenuto. Questa

espressione copre sia i suoi atteggiamenti sintattici (ad es. individuare in

un linguaggio formale una stringa da inviare a un programma

compilatore perché la trascriva come una sequenza di istruzioni per il

computer), sia i suoi atteggiamenti semantici (costruire specifici modelli

o interi insiemi di stringhe, nella teoria dei modelli).

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Nella storia della logica matematica due sono i nomi cui tutti si

richiamano come autori che hanno segnato la svolta decisiva per la

nascita della disciplina: Boole e Frege. E, se vogliamo trovare un

progenitore comune, viene subito il richiamo alla figura di Leibniz, cui

entrambi fanno esplicito riferimento. Leibniz ha anticipato molti dei

risultati di Boole, anche se non si sa quanto Boole avesse letto di

Leibniz, e anche se molti scritti logici di Leibniz rimasero comunque

inediti fino a tempi successivi (e in parte sono inediti a tutt'oggi!).

Leibniz per primo però ebbe la chiara intuizione che si possono fare

calcoli non solo con numeri, ma in generale con simboli. Era il momento

della nascita di nuovi calcoli, dalla geometria analitica di Descartes che

si basava sugli sviluppi della notazione algebrica, al calcolo

infinitesimale, la cui scoperta, nella differenza di notazioni, Leibniz

condivideva con Newton. Tali calcoli non usavano solo numeri, ma

diversi tipi di simboli: lettere, nomi di funzioni, ecc. Leibniz allarga

l'ambito del calcolabile a qualsiasi tipo di simboli; di qui nasce il

riconoscimento che anche la logica tradizionale può essere trattata come

un vero e proprio calcolo, alla stregua del calcolo aritmetico o algebrico,

i cui elementi sono simboli che rappresentavano non numeri ma classi e

proposizioni. Le osservazioni di Leibniz passarono inosservate ai più, e

gli stessi suoi allievi, come ad es. Wolff, non compresero l'originalità

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della sua impostazione in logica. I manuali di logica su cui studiarono i

filosofi del '700 e degli inizi dell'800 rimasero così semplici

rielaborazioni della sillogistica aristotelica, con qualche cenno alla logica

proposizionale degli stoici. Kant, che aveva studiato sui manuali di

Wolff, riteneva - come asserisce esplicitamente nell'Introduzione della

Critica alla Ragion Pura - che la logica formale avesse avuto la sua

formulazione definitiva in Aristotele, e non fosse passibile di alcun

progresso.

1.4 Gli algebristi inglesi e L'analisi matematica della logica di Boole

Non è dunque dai filosofi e dall'ambiente filosofico che vengono

innovazioni nella logica, ma dall'ambiente dei matematici, e in

particolare degli algebristi inglesi della prima metà dell'800. Qui, in

reazione al dominio della notazione newtoniana del calcolo

infinitesimale, alcuni matematici (tra cui Babbage e Peacock) fondarono

nel 1812 la Cambridge Analytical Society, società il cui scopo era

favorire la diffusione della notazione leibniziana, e di fatto favorire lo

sviluppo dei metodi algebrici dei matematici continentali. Babbage

divenne famoso per i suoi progetti di macchine di calcolo automatiche.

Peakock, algebrista di Cambridge, sviluppò una concezione del calcolo

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come manipolazione puramente meccanica di simboli: l'attività

combinatoria è distinta dall'interpretazione dei risultati ottenuti. Peakock

è il primo a distinguere esplicitamente una "algebra aritmetica" e una

"algebra simbolica". Negli anni '30, insieme a queste nuove idee, si

sviluppò una grossa disputa tra il matematico Augustus De Morgan

(membro anch'egli della Analitical Society) e il filosofo William

Hamilton sulla priorità di alcune idee sul modo di trattare il sillogismo.

La disputa mostrava dopotutto, sia pur in negativo, un primo intrecciarsi

di interessi comuni tra filosofi e matematici, e portava l'attenzione del

mondo accademico sulla logica. Ma Hamilton in seguito, alla fine degli

anni '30, criticò aspramente l'irruzione della matematica nella logica,

insistendo sul primato della filosofia sulla matematica e sull'idea che la

logica è parte della filosofia e non della matematica.

Nel 1847 Boole entra nel vivo della discussione con L'analisi

matematica della logica, dove, contro Hamilton, sostiene che la logica

non deve associarsi alla metafisica, ma alla matematica. Boole reagisce

alle posizioni di Hamilton e alla sua visione della filosofia e della

matematica; ma questo non implica che Boole auspichi un divorzio tra

logica e filosofia, anzi egli ha molta più attenzione per la problematica

filosofica di quanta ne abbiano la maggior parte dei matematici a lui

contemporanei. Dopo i cenni critici alle idee di Hamilton date

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nell'introduzione, l'opera di Boole presenta per la prima volta una vera e

propria algebra della logica, un calcolo cioè interpretato sia come calcolo

delle classi (o logica dei termini aristotelica) sia come calcolo delle

proposizioni (o logica stoica). Non si deve cercare nel testo di Boole

l'esatto corrispondente di ciò che oggi si chiama con il nome di "algebra

di Boole" o di "operazioni booleane".

Le formulazioni originarie furono sottoposte ad analisi e revisione da

tutta una scuola di pensiero i cui principali rappresentanti sono forse

Schröder e Peirce. Ma, pur con i suoi difetti, L'analisi matematica della

logica, dà un esempio di cosa si può intendere quando si parla di logica

intesa come calcolo che non aveva pari tra gli scritti e gli accenni dei

matematici a lui contemporanei.

1.5 Logica dei termini nell' Analisi di Boole:

I principi generali del calcolo si possono riassumere nel modo seguente:

Dati: 1 il dominio di discorso

x la classe X

1-x la classe non-X (tutti i membri del dominio che non sono X)

xy la classe i cui membri sono sia X che Y

si hanno le quattro forme di proposizione categorica aristotelica:

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A Tutti gli X sono Y xy=x oppure x(1-y)= 0

E Nessun X è Y xy = 0

I Qualche X è Y xy = u (vi è una classe U non vuota, i cui membri sono

sia x che y)

O Qualche X non è Y x(1-y)=u (vi è una classe U non vuota, tra i cui

membri vi sono degli X, e qualcosa di ciò che non è Y).

Oltre a dare una "traduzione" delle proposizioni categoriche

aristoteliche secondo modalità logiche, Boole (i) definisce in termini

analoghi le regole di conversione tramandate tradizionalmente in tutta la

storia della logica da Aristotele in poi per questo tipo di proposizioni; (ii)

dà esempi di sillogismi e mostra come le premesse e le conclusioni del

sillogismo possono essere tradotte in termini di operazioni algebriche.

Diamo qui un esempio di sillogismo (di tipo bArbArA) trattato in

termini di algebra booleana; le due premesse del sillogismo riguardano

rispettivamente le classi X e Y, e Y e Z, e saranno tradotte in due

equazioni con i simboli x, y e z. Eliminando la y (interpretabile come il

termine medio del sillogismo) si ottiene una equazione che ha come

simboli x e z, che sarà interpretabile come la conclusione del sillogismo:

Tutti gli X sono Y . . x(1-y) = 0

Tutti gli Y sono Z . . y(1-z) = 0

Un modo di vedere il funzionamento del sillogismo è il seguente:

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Riscriviamo le due equazioni di cui sopra come:

(1) x = xy (tutti gli Xsono Y)

(2) y = yz (tutti gli Y sono Z)

moltiplichiamo ambo i membri di (2) per x e otteniamo

(3) xy = xyz

d'altra parte, per (1), possiamo sostituire in (3) xy con x e otteniamo:

(4) x = xz

che equivale a x(1-z) = 0 che è interpretabile come Tutti gli X sono Z.

1.6 La logica delle proposizioni in Boole

Dopo aver trattato la sillogistica, Boole fa un enorme passo in avanti: usa

gli stessi simboli algebrici (lettere e segni di operazione) per trattare le

proposizioni ipotetiche del tipo di quelle che si trovano nel sillogismo

condizionale ("se A è B allora C è D; Ma A è B dunque C è D). Ma

invece di trattare i termini del sillogismo, ritiene più utile trattare in

generale la verità di proposizioni, cioè formule del tipo:

se X è vera allora Y è vera

In questo caso X e Y rappresentano non più classi, ma proposizioni.

Occorre dunque dare ai simboli algebrici una interpretazione diversa da

quella del calcolo delle classi, e cioè, prima di tutto, il simbolo "1"

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assume un significato diverso dal significato che ha nella logica dei

termini, dove significa "dominio di discorso" (o insieme delle classi di

cui si parla). Il simbolo "1" in questo caso significherà l'universo, che

comprende tutti i casi e le congiunture di circostanze concepibili.

Se vi è una sola circostanza concepibile rappresentata da una sola

proposizione X, allora vi sono solo due possibili congiunture: che X sia

vera o X sia falsa; e Boole le esprime così:

x = la proposizione X è vera

1-x = la proposizione X è falsa

Se vi sono due circostanze concepibili rappresentate da due proposizioni

X e Y, allora vi sono quattro possibili congiunture così simbolizzate da

Boole:

X è vera Y è vera = xy

X è vera Y è falsa = x(1-y)

X è falsa Y è vera = (1-x)y

X è falsa Y è falsa = (1-x)(1-y)

E così via con l'aumentare del numero delle proposizioni. In ogni caso

l'insieme delle combinazioni (o congiunture) delle circostanze

concepibili sarà sempre uguale all'Universo, cioè ad 1. Qui si vede come

le operazioni algebriche elementari rispecchiano la validità

dell'interpretazione logica. Date queste premesse, Boole applica le

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operazioni algebriche ai sillogismi ipotetici e alle proposizioni ipotetiche

in generale.

1.7 La Indagine sulle leggi del pensiero di Boole (1854)

Dopo aver presentato l'ossatura della sua analisi matematica della logica,

Boole scrive un'opera di maggior respiro, densa di riflessioni filosofiche,

e in cui all'interpretazione logica dell'algebra si affianca una ampia

sezione dedicata alla teoria della probabilità, che avrà una grande

influenza. In questo nuovo e più ampio libro, intitolato Indagine sulle

leggi del pensiero, Boole presenta i risultati del lavoro precedente, con

alcuni cambiamenti, e soprattutto propone il suo lavoro come una ricerca

sulle leggi del pensiero, universali e valide per tutti, e soprattutto più

generali dei principi logici cui tradizionalmente si attribuiva la massima

universalità, come il principio di non contraddizione. Tali leggi generali

sono le proprietà di alcune operazioni tipiche dell'algebra e che sono

comuni anche alla logica, e cioè:

1. xy = yx Proprietà commutativa del prodotto

2. x+y=y+x Proprietà commutativa della addizione

3.z(x+y)=zx+zy Proprietà distributiva della moltiplicazione risp. all'add.

4.z(x-y)=zx-zy Proprietà distributiva della moltiplicazione risp. alla sottr.

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5 Sostitutività di elementi uguali rispetto a moltiplicazione, addizione e

sottrazione

se x=y allora: zx=zy , z+x=z+y , x-z=y-z

6.x2=x Legge degli indici.

(Cfr. Laws od Thoughts, cap.II,§§7-15). Nel primo capitolo dell'Analisi

matematica della logica Boole presentava solo le prime due leggi e la

sesta (sotto una forma parzialmente diversa, cioè xn=x). Queste leggi

rappresentano dunque per Boole proprietà universali delle operazioni del

pensiero. Di queste la più problematica è la sesta; Boole la spiega

ricordando che (i) essa vale in aritmetica binaria, se si accettano cioè

solo i numeri 1 e 0 che moltiplicati per se stessi seguono la legge; (ii)

vale in logica dei termini dove l'intersezione di una classe con sé stessa

non è altro che la classe medesima; (iii) vale in logica delle proposizioni

dove la congiunzione di una proposizione vera con sé stessa non cambia

per nulla il valore di verità della proposizione. "Piove e piove" è solo un

modo rafforzato per dire "piove".

La legge degli indici è particolarmente importante per la sua generalità,

anche perché da essa si ricava il principio di non contraddizione;

infatti da

x2=x si deriva x-x2 = 0, che si può anche riscrivere come: x (1-x) = 0

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Quest'ultima formulazione si può interpretare, ad es. nella logica dei

termini, nel seguente modo, dando al simbolo x, per aiutare la

comprensione, la particolare interpretazione di "uomini"; allora "1-x" è

interpretabile come la classe di tutto ciò che non è un uomo; quindi la

formula dice che l'intersezione degli uomini e dei non uomini è vuota,

cioè che non è possibile essere al tempo stesso uomo e non uomo. Più in

generale la formula rappresenta "l'impossibilità, per un essere, di

possedere e non possedere una medesima qualità nel medesimo tempo.

Ma questo è esattamente quel principio di contraddizione che Aristotele

ha descritto come l'assioma fondamentale di tutta la filosofia [segue

citazione di Met.III,3]. Quello che è stato comunemente ritenuto

l'assioma fondamentale della metafisica non è altro che la conseguenza

di una legge del pensiero, matematica quanto alla sua forma." (Laws of

Tought, cap.3,§15).

1.8 Boole e la fondazione della semiotica

Il progetto generale della logica di Boole si può dunque riassumere nella

visione di una scienza universale dell'uso dei simboli, che ha alla base (i)

il riconoscimento di alcune proprietà generali di certe operazioni; (ii) la

possibilità di interpretare tali operazioni, e i simboli ad esse connessi, in

modi diversi, secondo uno schema di questo genere:

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CALCOLO UNIVERSALE DEI SIMBOLI

LEGGI universali del pensiero

commutatività e associatività

SEGNI INTERPR. MATEMATICA INTERPRETAZIONE LOGICA LOG.TERMINI LOG. PROPOSIZIONIx, y, ... numeri classi proposizioni

+ addizione unione disgiunzione (OR) X moltiplicazione intersezione congiunzione (AND) 1 1 Dominio Vero 0 0 Classe Vuota Falso

Chi più di ogni altro ha sviluppato gli aspetti filosofici del progetto

booleano è probabilmente il filosofo americano Charles S. Peirce, che in

una serie di saggi orami famosi, ha insistito sulla necessità di elaborare

una scienza generale dei segni, una "semiotica" che dovrebbe porsi come

base e presupposto per ogni scienza. Ma mentre negli Stati Uniti Peirce

sviluppava la sua idea di semiotica che tanto ha avuto eco anche nella

nostra cultura filosofica, in Europa Gottlob Frege rifletteva su alcuni

problemi legati al progetto booleano e presentava alcune idee alternative

che condurranno alla nascita della logica matematica moderna.

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1.9 La Ideografia di Frege

Il problema di Frege con l'algebra di Boole è, a tutta prima, piuttosto

semplice: Frege è un matematico che cerca di eliminare dal

ragionamento matematico le approssimazioni, le vaghezze e l'arbitrarietà

che spesso nascono dal ricorso all'intuizione; vuole in una parola rendere

rigoroso il ragionamento matematico; ha dunque bisogno di uno

strumento formale, un linguaggio logico, per esprimere il ragionamento

matematico in termini rigorosi. Questo linguaggio non può essere però

l'algebra di Boole, perché in essa operazioni diverse sono rappresentate

dallo stesso segno, e si creerebbero continue ambiguità: quando il segno

"+" rappresenta la somma aritmetica, e quando la unione di classi o la

disgiunzione di proposizioni? Quando il segno "1" rappresenta un

numero e quando un dominio di discorso? In una parola, la possibilità di

usare gli stessi segni (con le stesse regole) con interpretazioni diverse,

che era il punto di forza dell'algebra di Boole, diviene, nell'ottica di

Frege, un segno di debolezza. Frege si richiama a Leibniz che voleva

unire a un calcolo una vera lingua universale in cui parlare di qualsiasi

scienza: il progetto leibniziano era unire una lingua, o "characteristica

universalis" a un "calculus ratiocinator": è a questo ideale che Frege si

richiama nel suo scritto del 1879, il cui titolo Begriffsschrift ("Scrittura

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concettuale" o "Ideografia"), richiama l'ideale leibniziano con lo stesso

termine suggerito da Trendelenburg, un filosofo tedesco che discuteva a

quei tempi il progetto leibniziano. Il limite di Boole, rispetto al progetto

di Leibniz, è che l'algebra della logica ci fornisce solo un calcolo; la

risposta di Frege è di accoppiare il calcolo a una lingua universale,

secondo uno schema che potremmo inquadrare, come si fa solitamente in

molti manuali di logica, nel modo seguente:

SISTEMA FORMALE

LINGUAGGIO CALCOLO (Apparato Deduttivo)

Vocabolario Assiomi Regole di Buona Formazione Regole di Trasformazione

Formule Ben Formate Teoremi

Con il richiamo alla necessità di unire linguaggio e calcolo, Frege

imposta una serie di rivoluzioni concettuali che differenziano il suo

approccio da quello di Boole. La originalità della sua notazione e la

stessa novità della sua impostazione non favorirono l'immediato

diffondersi delle sue idee, che anzi furono osteggiate da matematici e da

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filosofi. Frege commentò brevemente la sua sfortuna dicendo che i suoi

testi venivano accolti di solito con reazioni del tipo: "metaphisica sunt

non leguntur! Mathematica sunt non leguntur!". Senza perderci nei

dettagli storici della fortuna/sfortuna dei lavori di Frege vediamo i

principali risultati della sua opera del 1879, usando anche i commenti

dello stesso Frege scritti negli anni immediatamente successivi.

1.10 Frege e il linguaggio logico universale

In generale il capovolgimento proposto da Frege rispetto all'ottica

booleana è simile al capovolgimento proposto dagli stoici rispetto alla

logica aristotelica. Gli stoici distinguevano le proposizioni in semplici

(come "piove", "c'è il sole", ecc.) e complesse (come "se piove allora mi

bagno", "c'è il sole e non mi bagno", ecc.); le proposizioni che

formavano le premesse del sillogismo aristotelico come non sono

considerate proposizioni semplici dal contenuto complesso, ma

proposizioni complesse, costituite da due proposizioni connesse con un

condizionale, cioè:

Il lavoro di Frege (che peraltro non pare conoscesse queste idee della

logica stoica) consiste nel dare rigore e sistematizzare intuizioni di

questo genere; per Frege la "tutti gli uomini sono mortali" e la "se

qualcosa è un uomo, allora esso è mortale" sono enunciati con lo stesso

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contenuto concettuale, con lo stesso senso, ma la seconda formulazione è

da prediligere alla prima perché rende più chiara la connessione logica.

La critica di Frege a Boole tocca diversi aspetti del pensiero logico

tradizionale, a volte criticandoli, a volte assumendoli e dando loro rigore.

Vediamone alcuni.

Capovolgimento della teoria del giudizio: la teoria del concetto come

funzione

Nella logica tradizionale, cui Boole aderisce in pieno, è usuale

distinguere:

dottrina dei termini

dottrina delle proposizioni

dottrina del sillogismo

Usualmente inoltre tale suddivisione della logica andava unita a una

teoria della conoscenza che considerava le operazioni della mente in

modo coerente con la tripartizione della logica e cioè:

apprensione semplice di concetti o idee

giudizio

ragionamento

Si avrebbe cioè dapprima l'operazione di astrazione che dall'esperienza

trae i concetti (gli universali) e dalla unione e separazione di tali concetti

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ne forma altri nuovi; il giudizio consisterebbe nel porre in relazione tali

concetti dati; infine il ragionamento comporrebbe assieme diversi

giudizi. Ciò che Frege ritiene fuorviante in questa prospettiva è la

riduzione della formazione dei concetti al procedimento dell'astrazione;

se la formazione di nuovi concetti si riduce alla semplice combinazione

di concetti preesistenti, non si riesce mai a creare alcun concetto

effettivamente nuovo. Con una mossa che già Kant aveva abbozzato,

Frege capovolge l'ordine di priorità e pone i giudizi prima dei concetti: è

dai giudizi che traiamo i concetti e non viceversa.

Questa idea fregeana detta "tesi della priorità dei giudizi sui concetti", si

riflette nella strategia fregeana del "principio di estrazione delle

funzioni". Frege esemplifica questa mossa con un esempio elementare:

prendiamo un giudizio come

"Catone uccise Catone"

Da questo giudizio possiamo "estrarre" diverse funzioni o diversi

concetti, ad es. i tre concetti di "assassinato da Catone", "assassino di

Catone" e "suicida", che possiamo considerare come strutture o forme

comuni a più enunciati:

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(1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .(2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .(3)

Catone uccise (x) . . . . . . . . . .(x) uccise Catone . . . . . . . . . (x) uccise (x)

forma comune a: . . . . . . . . .forma comune a: . . . . . . . . .forma comune a:

Catone uccise Nerone .... Nerone uccise Catone . .. Catone uccise Catone

Catone uccise Seneca . . .Seneca uccise Catone . .. .Seneca uccise Seneca

La forma comune a tutte queste classi di enunciati è la forma (x) uccise

(y), e la (3) è ovviamente un caso particolare di quest'ultima. Si nota

subito che Frege qui equipara concetti e funzioni. In un articolo del 1891

ritorna su questa equiparazione in dettaglio mostrando come per lui un

concetto non è altro che un tipo particolare di funzione. Frege, cioè,

generalizza il concetto di funzione (che era stato fondamentale per gli

sviluppi del calcolo infinitesimale) al calcolo riguardante simboli in

generale, e in particolare le espressioni linguistiche. Il concetto di

"assassino di Catone" è cioè analogo a una funzione (x) uccise Catone

che ha un posto di argomento che quando viene saturato da

un'espressione dà come valore della funzione non un valore numerico

come per le normali funzioni matematiche, ma un "valore di verità".

Frege con questa mossa anticipa una distinzione oggi usuale: se

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pensiamo allo schema della funzione che si usa comunemente in

matematica,

f (x) = y

possiamo distinguere due tipi diversi di espressioni funzionali; da una

parte i funtori che sono espressioni che come valori danno oggetti di un

certo tipo (ad es.numeri) e dall'altra i predicati (cioè le espressioni

linguistiche che stanno per concetti o relazioni), che danno come valori

valori di verità. Questo risultato permette di unificare in un'unica

notazione concetti e relazioni (la cui differenza era particolarmente

rilevante nella discussione tradizionale sugli universali); semplicemente i

concetti saranno analoghi a funzioni con un argomento e le relazioni a

funzioni con più argomenti. Concetti come "pari", "dispari", "saggio",

ecc. verranno rappresentati come predicati monadici, o a un posto

d'argomento, del tipo P(x), D(x), S(x); relazioni come "maggiore di",

"ama", "odia", ecc. verranno rappresentati come predicati diadici,o a due

posti d'argomento, del tipo M(x,y), A(x,y), O(x,y). E così via. Tutte

queste espressioni sono analoghe a funzioni e hanno come valori valori

di verità.

Sulla base dell'analogia con la funzione quindi Frege definisce il

concetto come "una funzione che ha come valore un valore di verità".

Quello che Frege chiama "concetto" sarà chiamato da Russell "funzione

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proposizionale"; con questo nome Russell intende una funzione che,

quando saturata, dà luogo a una proposizione il cui valore è Vero o

Falso. Questi cenni sull'idea fregeana della formazione dei concetti

vanno letti sullo sfondo della sua invenzione dei quantificatori (vedi poi),

che è strettamente connessa a questa notazione funzionale; in questo

modo, mostra Frege, è possibile costruire concetti effettivamente nuovi

utilissimi per lo sviluppo della matematica, e che non si possono

ricondurre al procedimento di astrazione.

Definizione del condizionale verofunzionale

La definizione fregeana del condizionale è quasi identica a quella data a

suo tempo da Filone il megarico; date due proposizioni qualsiasi, A e B,

Frege ricorda che si hanno solo quattro possibilità di combinazione

(come già Boole; cfr. § 3 più sopra):

A vero B vero

A vero B falso

A falso B vero

A falso B falso

Asserire "se A allora B", in simboli "A -->B", significa che si esclude la

seconda di questa combinazioni. Perché questa scelta? Frege ritiene che

questo modo di usare il simbolo per "se...allora" sia particolarmente utile

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per la perspicuità della deduzione logica, in particolare per le

dimostrazioni per assurdo (ove si ritiene che il tutto sia falso se da una

premessa assunta come vera si deriva il falso). Non vuole con questo

catturare tutte le sfumature dell'espressione "se...allora" nel linguaggio

naturale, ma dare una convenzione precisa cui attenersi, precisare il

significato con cui si deve intendere il simbolo "--> " nel linguaggio

formale. Torneremo su questo nel § 9. Qui basta ricordare che anche il

segno "--> " è analogo a una funzione; in questo caso una funzione che

ha come argomenti (coppie di) valori di verità e come valori valori di

verità. Da Frege in poi si usa dunque chiamare i connettivi logici o le

proposizioni composte con essi anche "funzioni di verità".

Derivabilità dei connettivi

Definito il significato del simbolo "_ " Frege mostra che, dato che esso è

definito rigorosamente dai suoi valori di verità, può servire, come base

per definire altre forme di composizione di enunciati, cioè altri connettivi

come "e" ed "o". E' quanto Frege fa, dopo aver definito la negazione

"non" come una funzione con un posto di argomento. L'argomento è

elementare: un enunciato A può essere Vero o Falso (principio di

bivalenza). La sua negazione è una funzione che, se ha per argomento il

Vero dà come valore il Falso e viceversa.

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A . . .non A

-----------------

V . . . . .F

F . . . . .V

Componendo il condizionale ("--> ") con la negazione (" - ") Frege

ottiene le tavole di verità del VEL ("o" disgiuntivo), dell'AUT ("o"

alternativo) e dell'AND (anche se egli non le chiama così, e le esprime

con il suo simbolismo bidimensionale senza dare le tavole di verità nella

forma in cui si danno attualmente). Definisce cioè per la prima volta

nella logica ciò che si chiama una "base di connettivi", cioè i connettivi

sufficienti a definire tutti gli altri. Russell e Whithehead useranno per il

suo sistema, i Principia Mathematica, una base di connettivi che consiste

nella negazione e disgiunzione. Wittgenstein e Post nel 1921 useranno

un unico connettivo, chiamato "funtore di Sheffer"(oggi si chiamano

NAND e NOR).

Quantificatori

Frege è passato alla storia come l'inventore dei quantificatori; il

problema era da tempo nell'aria, ma nella scuola booleana non si

arrivava a una definizione esatta del problema. Frege la diede nel 1879.

Ed è quella che permette la fusione della logica proposizionale di

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tradizione stoica con la logica dei termini di tradizione aristotelica.

Abbiamo visto (inizio § 7) che gli stoici consideravano la proposizione

universale "tutti gli uomini sono mortali" come un insieme di due

proposizioni, cioè "se qualcosa è un uomo, allora esso è mortale". Ma

questo non permetteva di trattare correttamente il sillogismo aristotelico,

le cui regole erano organizzate per il primo modo di considerare la

proposizione. Il problema sta nella interpretazione dei termini che i

medioevali chiamavano "sincategorematici" (cioè tali da connettere

insieme diverse categorie), in particolare "tutti" e "qualche", che

chiameremo "espressioni di generalità". Per Frege tali termini possono

essere considerati come una specie di operatori, o funzioni di secondo

livello, come egli stesso diceva, che "vincolano" i posti di argomento

delle funzioni cui si riferiscono. L'idea fregeana si può cogliere meglio

tramite esempi (Frege usa un simbolismo speciale per la quantificazione

che nessun altro userà in seguito. Il simbolismo attuale e altri simbolismi

usati derivano dalle scritture di Peano e Peirce).:

(1) tutti gli uomini sono mortali si può riscrivere: ∀ x (Ux -->Mx)

che si può leggere: "per tutte le x, se x è un uomo, allora x è mortale"

(2) tutti i ragazzi amano qualche fanciulla si può riscrivere

∀ x∃ y (Rx &Fy -->Axy), che si può leggere:

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"per tutti gli x, esiste un y tali che, se x è un ragazzo e y una ragazza,

allora x ama y"

Si può notare l'uso del condizionale. Ai tempi di Frege, alcuni booleani

avevano suggerito l'uso del condizionale, ma limitatamente alla logica

enunciativa; nel 1883 inoltre Peirce introduceva un'analoga notazione

per i quantificatori, ma al di fuori del contesto di sistema formale che era

presente invece in Frege. La grandezza di Frege è la sua sintesi unitaria

in cui tutti gli spunti che stavano faticosamente chiarendosi nella scuola

booleana vengono alla luce in un sistema unitario in cui viene

definitivamente abbandonata la separazione tra logica proposizionale e

logica dei termini (che da Frege in poi viene considerata come una

sottoparte della logica o calcolo dei predicati). La logica proposizionale

diviene più fondamentale perché più generale; ma il modo in cui è

costruita permette la sua estensione naturale alla logica dei termini. Alla

fine del primo capitolo della Ideografia Frege presenta la tavola delle

opposizioni aristotelica con la sua scrittura:

(A) tutti gli F sono G . . . .(E) nessun F è G

∀x (Fx --> Gx) . . . . . . . .∀x (Fx --> - Gx)

Per tuttix,se x è F è G . . . . . . . .. Per tuttix,se x è F non è G

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(I) qualche F è G . . . . . . .(O) qualche F non è G

∃ x (Fx &Gx) . . . . . . . . . . .∃ x(Fx & - Gx)

Per qualche x, x è F ed è G . . . . . . . Per qualche x, x è F e non è G

Se solo questo fosse stato il risultato, sarebbe già abbastanza. Perché

Frege qui non si limita a ricostruire, come Boole, la logica dei termini di

Aristotele, ma la costruisce come estensione propria della logica

proposizionale: parte dagli stessi segni e le stesse regole della logica

proposizionale (i connettivi logici e le regole di composizione

verofunzionale) e aggiunge a questi la notazione dei quantificatori che si

integrano perfettamente nelle regole di composizionalità. Ma la

notazione della quantificazione permette anche qualcosa di più della

semplice traduzione del calcolo aristotelico dei termini; permette infatti

anche di esprimere in modo non ambiguo anche frasi in cui compare più

di una espressione di generalità, del tipo "tutti i ragazzi amano una

fanciulla"(il problema delle espressioni con generalità multipla era stato

molto discusso nel medioevo e nel rinascimento senza trovare adeguata

soluzione). La trovata di Frege sta nell'idea di ambito, da lui sviluppata

con chiarezza nei suoi Principi fondamentali dell'aritmetica (1893). La

frase (2) sopra riportata è infatti ambigua, potendo significare che: (a)

ciascun ragazzo ha una fanciulla da amare e (b) una qualche fanciulla è

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amata da ogni ragazzo. Per distinguere le due letture Frege cambia

l'ordine dei quantificatori, rispettivamente:

(2a) ∀ x (Rx --> ∃ y (Fy --> Axy)

(2b) ∀ y (Fy -->∃ x (Rx -->Axy)

(L'esempio di ragazzi e ragazze che si amano è di Peirce, non di Frege)

L'ordine dei quantificatori cioè determina l'ambito in cui essi funzionano,

costituisce cioè una specie di filtro: se il quantificatore universale

precede l'universale, si ha una lettura "distribuita"; se il quantificatore

particolare o esistenziale precede il quantificatore universale, cambia

l'interpretazione. Il quantificatore che precede viene detto avere "ambito"

o "raggio d'azione" più ampio" di quello che segue. Tramite l'uso

dell'ordine dei quantificatori Frege riesce a costruire concetti matematici

complessi che non possono essere ridotti a una mera relazione tra

concetti data con le regole booleane.

1.11 Frege e il calcolo logico (l'apparato deduttivo)

Distinzione assiomi-regole: il Modus Ponens

Per la prima volta nella storia della logica Frege fa una distinzione

esplicita che diverrà fondamentale nel XX secolo; quella tra assiomi

logici e regole logiche (tale distinzione è alla base del famoso apologo di

Achille e la Tartaruga di Lewis Carroll , scritto negli anni in cui Frege

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scriveva i Principi, e pubblicato nel 1893). Frege richiama la necessità di

regole per realizzare la deduzione; gli stoici e Aristotele ne avevano

tramandate diverse, a volte sotto forma di principi primi. Frege distingue

le regole dagli assiomi in modo netto, anche nella scrittura. Gli assiomi

sono asserti, punti di partenza del sistema logico; le regole non sono

asserti, ma strategie inferenziali. Ma dell'elenco di regole che si potevano

recuperare dalla tradizione Frege riconosce che una sola è sufficiente, la

regola del MODUS (ponendo) PONENS, o regola di separazione.

Frege la presenta così: dato |- (A --> B) e dato |- A si può derivare |-B, o,

in colonna:

|- (A--> B)

|- A

--------------

|- B

Si noti il segno " |- " che non corrisponde esattamente al segno di

derivazione oggi usuale, ma è un segno speciale usato da Frege e

chiamato "segno di asserzione". Serve a ricordare che nella prima riga

non si asserisce né A né B ma solo la verità del condizionale A --> B. Si

asserisce cioè che dei quattro casi possibili si esclude il secondo:

1. A vero B vero

2. A vero B falso

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3. A falso B vero

4. A falso B falso

Restano dunque validi gli altri tre casi. Se si asserisce la verità di A si

escludono a loro volta gli ultimi due casi. Resta dunque solo il caso 1. E

in questo caso B è Vero. Dunque la conclusione è confermata.

Diversi sistemi di assiomi?

Una volta definita la distinzione assiomi-regole Frege passa presentare il

suo calcolo formale elencando gli assiomi. Frege riconosce che questi

assiomi non sono gli unici possibili; altri assiomi possono essere dati in

modo tale da derivare le stesse leggi del pensiero; il sistema di Assiomi

dell'Ideografia di Frege consiste dei seguenti assiomi:

1. p -> (q ->p)

2. p -> (q ->r) -> ((p ->q) -> (p-> r)

3. (p -> (q -> r)) -> (q -> (p -> r)) (scambio dell'antecedente)

4. (p ->q) -> (- q -> - p) (contrapposizione)

5. - - p -> p

6. -> - - p

7. (x = y) -> (Px -> Py)

8. x = x

9. ∀ x Px -> Py

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Si può notare l'assioma 8, il principio di identità; il principio di non

contraddizione è invece un teorema derivabile. E' da notare anche che

Frege usa 6 assiomi per il calcolo proposizionale; il sistema di Russell

dei Principia Mathematica usa 5 assiomi; nel 1921 il logico polacco

Lukasievicz mostra che il sistema di assiomi di Frege è equivalente (ha

la stessa capacità di generare teoremi) di un sistema con tre soli assiomi:

i primi due di Frege e un terzo che viene così formulato

(- p -> - q) -> (q -> p)

Una formulazione di un sistema assiomatico moderno, il Bell-Machover

(manuale pubblicato nel 1977), usa i seguenti tre schemi di assiomi:

1. p -> (q -> p)

2. p -> (q -> r) -> ((p -> q) -> (p - > r)

3. (- p -> q) -> (( - p -> - q) -> p).

Come si può notare esso ha come primi due assiomi gli assiomi del

sistema fregeano, il primo sistema assiomatico del calcolo

proposizionale e predicativo della storia della logica.

Gli assiomi dei Principi del 1893 e la contraddizione di Russell

L'opera maggiore di Frege venne pubblicata nel 1893. Essa presentava

un sistema di assiomi con assiomi specifici per la aritmetica; era il primo

sistema assiomatico di logica "applicata". Ma non era esente da

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problemi; Russell individuò infatti nel sistema fregeano la possibilità di

derivare non solo teoremi, ma una contraddizione. E, dato che secondo

un famoso principio detto dello "pseudo-Scoto" (dimostrabile anche nel

sistema di Frege), da una contraddizione si può derivare qualsiasi cosa

("ex falso quodlibet), il sistema veniva minacciato di "banalità". Frege

reagì con grande compostezza e ammirazione per la critica di Russell:

pubblicò il secondo volume del suo lavoro insieme alla lettera in cui

Russell presentava la contraddizione e un suo tentativo di soluzione.

Abbandonò poi ogni tentativo di soluzione (forse si rese conto che il suo

tentativo non funzionava, come dimostrò più tardi Lukasiewicz) e dedicò

gli ultimi anni della sua vita a riflettere sui problemi filosofici più

generali connessi alla definizione di cos’è la logica (il problema della

negazione, della riducibilità dei connettivi, del significato degli

enunciati, ecc.).

Data la eco che ha avuto nella storia della logica, vale la pena presentare

una versione semplificata della contraddizione di Russell. Il sistema di

Frege assume il principio, chiamato Principio di Comprensione, per cui,

data una proprietà, si può assumere l'esistenza di un insieme ben

determinato che corrisponde a questa proprietà. Russell mostra che non è

detto che, dato un concetto o una proprietà, si possa sempre definire un

insieme ad esso corrispondente, senza cadere in contraddizioni.

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L'argomentazione base di Russell è un'argomentazione per assurdo:

assumiamo che a qualsiasi proprietà corrisponda un insieme. Prendiamo

come proprietà quella definita come "non appartenere a se stessi", cioé x

∉x. Vi sarà, per il principio di comprensione, una classe definita da

questa proprietà, cioè la classe di tutte le classi che hanno la proprietà di

non appartenere a se stesse. Nomineremo questa classe R per ricordarci il

nome del suo inventore. La domanda di Russell è la seguente: la classe R

appartiene a sé stessa o no? Gode cioè essa stessa della proprietà che la

definisce? Vi sono due casi possibili:

1) la classe R appartiene a sé stessa (R ∈ R); quindi gode della proprietà

che caratterizza la classe R (la classe delle classi che non appartengono a

se stesse) e quindi non appartiene a se stessa:

R ∈ R ∅ R ∉ R

2) la classe R non appartiene a se stessa (R ∉ R); quindi gode della

proprietà sopra definita, quindi fa parte delle classi che appartengono alla

classe R, costituita per definizione da tutte le classi che non

appartengono a se stesse; in simboli:

R ∉ R ∅ R∈ R.

Da cui R∈ R × R ∉ R che è una palese contraddizione.

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(Una scorciatoia è definire la classe R così: "x appartiene a R se e solo se

x non appartiene a se stesso": cioé X∈ R × X ∉X. Sostituendo X con R

si ha immediatamente la contraddizione voluta:R ∈ R × R ∉ R ).

La risposta di Russell e della maggior parte dei logici successivi a questa

contraddizione è che occorre porre restrizioni al principio di

comprensione. Frege ritenne la teoria degli insiemi responsabile della

confusione che si era creata (e Wittgenstein seguì Frege su questo punto)

e giunse, negli ultimi anni della sua produzione scientifica, a sostenere -

contro le sue idee originarie su cui aveva fondato il suo progetto di

ideografia - che non si può fondare l'aritmetica sulla sola logica, perché

tramite la logica sola non abbiamo la certezza che ci venga dato alcun

oggetto. Il dibattito sui fondamenti della matematica seguì la strada di

Russell, anche se a tutt'oggi la discussione è ancora viva.

1.12 Filosofia e teoria del significato: cos'è il significato di un

enunciato?

Negli ultimi anni della sua produzione Frege si dedicò al chiarimento

dei fondamenti teorici delle sue scoperte; nel frattempo le sue idee si

erano diffuse, specie tramite i Principia Mathematica di Russell e

Whitehead, pubblicati nel 1910, che presentavano, con la notazione di

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Peano, alcune delle idee fondamentali del pensiero di Frege, cui entro

una certa misura erano giunti indipendentemente. Vi erano anche molti

disaccordi con Frege, ma l'idea di fondo di un sistema assiomatico

formale costituito da un linguaggio e da un calcolo era ormai

consolidato; nel 1928 Hilbert e Ackerman presentano un sistema formale

che, richiamandosi anche ai risultati di Frege e Russell, costituisce il

prototipo dei sistemi assiomatici moderni. Finisce con questi lavori l'età

eroica della logica, e inizia una nuova fase, in cui i logici si interrogano

sul significato e sui fondamenti dei formalismi da loro inventati: a partire

dagli anni '30 si sviluppa cioè la metalogica, lo studio delle proprietà dei

sistemi logici: correttezza, coerenza, completezza. I primi risultati

fondamentali, che riprendono lavori di logici precedenti, saranno dati dai

lavori di Gödel sulla correttezza e completezza del calcolo dei predicati

del primo ordine e sulla incompletezza del calcolo dei predicati di ordine

superiore.

Un altro aspetto peculiare caratterizza lo sviluppo della logica dagli anni

'30 in poi: due grandi correnti si affiancano nello sviluppo degli studi

logici: la semantica modellistica, ossia lo studio della interpretazione

semantica dei sistemi logici, sviluppata a partire dai lavori pionieristici di

Tarski, e la teoria della dimostrazione, ossia lo studio delle strutture

dimostrative a partire dai lavori di Hilbert e di Gentzen.

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Questi lavori si intrecciano a una riflessione filosofica su cosa si intende

per "significato", riflessione che Frege per primo aveva inaugurato con la

distinzione tra "senso" (Sinn) e "riferimento" (Bedeutung). Carnap per

primo cercò di definire in modo del tutto formale una differenza tra due

aspetti delle espressioni del sistema formale, dando una explicatum dei

concetti fregeani di senso e riferimento con i concetti di intensione ed

estensione. Anche Quine contribuì a distinguere una teoria del senso da

una teoria del riferimento. Una teoria del riferimento (o una teoria

dell'estensione) è una teoria che, a ogni categoria semantica del sistema

formale, fa corrispondere un determinato tipo di oggetti (ai termini

singolari individui del dominio, a predicati classi, a enunciati valori di

verità). Parlare di teoria del riferimento è in pratica parlare di semantica

modellistica. Una teoria del senso (o dell'intensione) dovrebbe invece

definire per ogni categoria semantica il suo senso. Dire in cosa consiste il

senso di ogni espressione logico-linguistica è materia di dibattito attuale.

Dal punto di vista storico sono però da ricordare due alternative ormai

"classiche" che si sono differenziate per il modo di intendere il senso

degli enunciati del nostro linguaggio (o il senso dei connettivi logici). Su

questa contrapposizione sarà dunque utile fare alcuni cenni prima di

lasciare spazio alla riflessione metalogica che rappresenta il contributo

più cospicuo e decisivo della logica contemporanea.

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Il significato come condizioni di verità: il Tractatus di Wittgenstein -

Tra i principi fondamentali del lavoro di Frege vi è il principio di

composizionalità (oggi detto "principio di Frege"): il senso di ogni

espressione linguistica è funzione del senso delle parti; in particolare il

senso di un enunciato è funzione del senso delle sue parti; e il senso di

un enunciato complesso è funzione del senso degli enunciati

componenti. Forse la enunciazione storicamente più famosa del principio

di composizionalità per gli enunciati complessi (o principio di

funzionalità) è data da Wittgenstein nel Tractatus Logico-Philosophicus

del 1921, quasi trent'anni dopo la pubblicazione del primo volume dei

Principi di Frege dove questo principio, pur non enunciato in modo così

esplicito come nel Tractatus, era il motore che faceva funzionare il

sistema. Il principio appariva comunque già negli scritti precedenti di

Frege, e in particolare nell'articolo "Senso e Significato" del 1892. Nel

Tractatus Wittgenstein definisce le tavole di verità come sono oggi

usualmente intese, come una combinatoria formale di possibilità di

verità/falsità di enunciati. Dati n enunciati vi sono 2 2n possibilità di

combinazione dei loro valori di verità. Dati 2 enunciati vi sono 22 2

possibilità di combinazione, cioè 16. Wittgenstein elenca queste 16

possibilità e mostra come ciascuna di queste possibilità combinazioni di

verità/falsità può essere intesa come il significato delle costanti logiche

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(o degli enunciati composti con esse). Si capovolge l'impostazione

intuitiva che viene spesso presentata nei testi introduttivi ala logica:

invece che partire dal significato intuitivo dei connettivi "e", "o",

"se...allora", si parte dalle tavole di verità decidendo che esse sono il

significato del connettivo; il significato di "se...allora" sarà dunque

identificato con la tavola di verità del condizionale, che è semplicemente

una delle sedici possibili combinazioni di due proposizioni atomiche:

p q . . . . p ∅ q

V V . . . . .V

V F . . . . . F

F V . . . . .V

F F . . . . .V

Il significato di un enunciato (in questo caso l'enunciato "p ∅ q) è

perfettamente determinato quando è determinata la sua tavola di verità;

questa esprime le condizioni a cui l'enunciato è vero o è falso. Dire che il

significato di un enunciato sono le sue condizioni di verità è

intuitivamente molto accattivante: pare infatti ovvio che conosco il

significato di un enunciato quando so a quali condizioni esso è vero,

anche se non ne conosco il valore di verità. Il valore di verità viene

considerato il riferimento, o estensione, dell'enunciato; le condizioni di

verità vengono considerate il suo senso o intensione (in semantica

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modellistica più precisamente l'intenzione di un enunciato sarà una

funzione da mondi possibili a estensioni, una funzione cioè che

determina a quali condizioni un enunciato è vero a seconda di certi

mondi possibili).

Tautologie e contraddizioni -

Tra le condizioni di verità elencate in ogni combinatoria possibile (anche

nella combinatoria di sedici possibili tavole di verità per due

proposizioni) vi sono, nota Wittgenstein, due casi estremi: quando la

tavola di verità ha sempre valore "vero" e quando ha sempre valore

"falso". Wittgenstein, con una innovazione terminologica che si è ormai

depositata nel linguaggio filosofico contemporaneo, chiama le

proposizioni logicamente vere "tautologie" e quelle logicamente false

"contraddizioni". Esempi classici sono, rispettivamente:

tautologia: p v - p

contraddizione p & - p

La logica consiste di questo tipo di proposizioni: i teoremi della logica

sono proposizioni sempre vere; in questi casi non si può però

propriamente parlare di "senso"; infatti non ho delle particolari

condizioni a cui la proposizione è vera o falsa; essa è sempre vera o

sempre falsa a prescindere da qualsiasi condizione, a prescindere da

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qualsiasi stato del mondo; le proposizioni della logica sono cioè

indipendenti dall'esperienza; esse formano l'impalcatura della nostra

descrizione del mondo (per questi motivi Wittgenstein chiame tali

proposizioni "prive di senso").

Il significato come metodo di verifica -

L'idea del significato di un enunciato come condizioni di verità si è

imposta di fatto al mondo logico-filosofico come del tutto intuitiva e

accettabile. Da Frege a Montague essa resta un paradigma di filosofia.

Ma lo stesso Wittgenstein, intorno agli anni '30, iniziò a dubitare della

validità universale di questa definizione, insistendo sul fatto che il

significato di un enunciato deve essere identificato con il metodo della

sua verifica o della sua giustificazione. Generalizzando queste idee

giunse infine al famoso slogan "il significato è l'uso". Si è molto discusso

su come interpretare queste riflessioni di Wittgenstein. Alcuni autori le

mettono accanto alle riflessioni che Gentzen andava svolgendo negli

anni '30 sulla deduzione naturale e sulla logica intuizionista, anche se

non vi è un collegamento effettivo tra i due autori (si può forse parlare di

"spirito del tempo").

Normalmente si contrappone la deduzione naturale di Gentzen al metodo

delle tavole di verità: Gentzen infatti sosteneva che la definizione (e noi

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potremmo anche dire il "significato") delle costanti logiche era dato dal

loro uso effettivo, che si rispecchiava ne modo in cui le costanti logiche

vengono introdotte o eliminate in una argomentazione. Se ho una

giustificazione indipendente di A e di B posso introdurre la loro

congiunzione; se ho asserito "A e B" posso eliminare la "e" e asserire

ogni congiunto indipendentemente, secondo schemi di questo tipo:

regola di introduzione della "&" regola dieliminazione della "& "

A . . . . . . .B . . . . . . . . . . . . .A&B . . . . . . . . .A& B

---------------- . . . . .. . . . . . . .-------- . . . . . . . --------

A& B . . . . . . . . . . . . . . . .. . . A . . . . . . . . . . . B

Si può dire che questo è un modo perspicuo per mostrare cosa si intende

dicendo che il significato è l'uso: il significato di "A e B" è definito

quando si chiarisce come viene usato il connettivo "e" (o "& "), cioè

come viene introdotto e come viene eliminato nel corso di una

argomentazione. Fin qui però abbiamo una visione del tutto

corrispondente alla visione classica data con le tavole di verità. Gentzen

trova però particolarmente utile il suo calcolo della deduzione naturale

per la logica intuizionista, ove i connettivi della negazione e del

condizionale hanno un significato del tutto particolare: negare un

enunciato vuol dire che si può dimostrare che da esso segue un assurdo;

analogamente asserire "p -> q" vuole dire che si ha una procedura che

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permette di passare da una dimostrazione di p a una dimostrazione di q.

Nella interpretazione intuizionista in particolare "p o non p" vuole dire

qualcosa come "p è dimostrabile o p non è dimostrabile (giustificabile,

verificabile, asseribile)". Questo ovviamente non vale in assoluto, dato

che - come la matematica e la logica insegnano - vi sono casi di

enunciati indecidibili, che non si possono né dimostrare né refutare.

Quindi il principio del terzo escluso non viene assunto tra i principi

logici fondamentali della logica intuizionista. Ma questo è un principio

fondamentale della logica classica; questo mostra come la logica classica

sia strettamente legata all'idea del significato come condizioni di verità:

infatti in logica classica non si ha alcun interesse a quali giustificazioni o

dimostrazioni si possano dare di un enunciato: si ha una combinatoria di

possibili verità e falsità e il senso di un enunciato è la condizione a cui è

vero, a prescindere dal fatto che siamo in grado di venire a sapere se

l'enunciato sarà mai vero. Ma se le condizioni di verità sono del tutto al

di fuori della nostra capacità cognitiva, in cosa consiste conoscere il

senso, conoscere le condizioni di verità? Una risposta che segue le idee

del secondo Wittgenstein è la seguente: conosco il significato di un

enunciato non quando conosco le sue condizioni di verità, ma quando ho

un metodo per determinare qual'è la sua verità, quando ho un metodo di

verifica o di giustificazione della verità di tale enunciato. Un enunciato

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di cui non ho alcun metodo di verifica è insensato, non deve far parte di

un linguaggio scientifico rigoroso. Conosco il significato di un enunciato

indecidibile non se conosco le sue condizioni di verità (infatti non è vero

a nessuna condizione), ma se ho un metodo per la sua dimostrazione (che

mi dimostra, appunto che non è né asseribile né refutabile).

Logica e filosofia –

Da sempre logica e filosofia sono state strettamente intrecciate. Con la

nascita della nuova forma in cui si è sviluppata la logica, cioè la logica

matematica, questo legame ha continuato ad approfondirsi in diversi

modi. Per usare uno schema ancora oggi valido didatticamente possiamo

prendere come punto di riferimento il lavoro di Wittgenstein:

Il Tractatus Logico-philosophicus

Esso è stato il primo lavoro di filosofia del linguaggio ispirato alla svolta

logica di Frege. Esso ha avuto una grande influenza sullo sviluppo del

neopositivismo e del neoempirismo: la distinzione delle proposizioni in

logiche (tautologie e contraddizioni), empiriche e metafisiche e in

particolare il problema della demarcazione tra enunciati sensati, e

insensati è stato l’inizio di una discussione che ha ripercussioni ancora

oggi in filosofia della scienza. Il neopositivismo ha irrigidito la

distinzione analitico/sintetico (proposizioni logico-matematiche e

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proposizioni empiriche), dando però ad essa un ruolo fondamentale nella

discussione successiva, dalla critica di Quine, alla discussione di Carnap

e ai più recenti dibattiti sulla difficoltà di distinguere tra dizionari ed

enciclopedie. La visione del significato di un enunciato come condizioni

di verità come definito nel Tractatus è inoltre uno dei paradigmi classici

presenti in logica e filosofia.

La filosofia del "secondo" Wittgenstein ha influenzato prima di tutto

ancora una volta il movimento neopositivista e neoempirista sul tema del

significato di un enunciato come metodo della sua verifica. Il

"verificazionismo" sviluppato in questo contesto, pur dando adito a

molte critiche (tra le prime quelle di Popper) è stato il punto di origine di

un dibattito estremamente fecondo, specialmente nell’analisi del

linguaggio scientifico. Ma dal verificazionismo neoempirista si deve

distinguere quella che si può chiamare "teoria verificazionista del

significato", o anche "teoria antirealista" del significato, che nasce da

una fusione dei temi wittgensteiniani con le problematiche della logica

intuizionista e che è stata sviluppata da alcuni autori, tra cui prima di

tutto Michael Dummett. Ne è nata una discussione su cosa si deve

intendere per "realismo" oggi, e su come il dibattito metafisico deve

impegnarsi in una discussione di cosa si intenda per "significato". Questo

è solo un esempio. Altri temi si sono sviluppati, come ad es. il dibattito

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sull'essenzialismo aristotelico nato con la discussione della

interpretazione semantica delle logiche modali data da Kripke, la

discussione sugli atti linguistici e gli aspetti pragmatici del linguaggio, il

ruolo dei nuovi formalismi informatici nello sviluppo della nostra

visione della mente e della conoscenza, ecc. Dopo la svolta imposta dai

lavori pionieristici di Boole e Frege, la logica e i suoi problemi tornano

oggi ad avere un ruolo centrale nel dibattito attuale in filosofia.

1.13 Logica Fuzzy

La fuzzy logic o logica sfumata o logica sfocata è una logica

polivalente e pertanto un'estensione della logica booleana in cui si può

attribuire a ciascuna proposizione un grado di verità compreso tra 0 e 1.

È fortemente legata alla teoria degli insiemi sfocati e, già intuita da

Cartesio, Bertrand Russell, Albert Einstein, Werner Heisenberg, Jan

Lukasiewicz e Max Black, venne concretizzata da Lotfi Zadeh.

Quando parliamo di grado di verità o valore di appartenenza, per dirla

con un'esemplificazione, intendiamo che una proprietà può essere oltre

che vera (= a valore 1) o falsa (= a valore 0) come nella logica classica,

anche di valori intermedi. In logica fuzzy si può ad esempio dire che un

bambino appena nato è giovane di valore 1, un diciottenne è giovane 0,8,

ed un sessantacinquenne è giovane di valore 0,15. Solitamente il valore

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di appartenza si indica con µ; per il valore di appartenenza ad un insieme

fuzzy F di un predicato p, si indicherà con µF(p)

1.14 Storia

Nei primi anni sessanta, Lotfi A. Zadeh, professore all'Università della

California di Berkeley, molto noto per i suoi contributi alla teoria dei

sistemi, cominciò ad avvertire che le tecniche tradizionali di analisi dei

sistemi erano eccessivamente ed inutilmente accurate per molti dei

problemi tipici del mondo reale. L'idea di grado d'appartenenza, il

concetto divenuto poi la spina dorsale della teoria degli insiemi sfumati,

fu da lui introdotta nel 1964, e ciò portò in seguito, nel 1965, alla

pubblicazione di un primo articolo, ed alla nascita della logica sfumata.

Il concetto di insieme sfumato, e di logica sfumata, attirò le aspre

critiche della comunità accademica; nonostante ciò, studiosi e scienziati

di tutto il mondo – dei campi più diversi, dalla psicologia alla sociologia,

dalla filosofia all'economia, dalle scienze naturali all'ingegneria –

divennero seguaci di Zadeh.

In Giappone la ricerca sulla logica sfumata cominciò con due piccoli

gruppi universitari fondati sul finire degli anni '70: il primo era guidato,

a Tokio, da T. Terano e H. Shibata, mentre l'altro si stabilì a Kanasai

sotto la guida di K. Tanaka e K. Asai. Al pari dei ricercatori americani,

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questi studiosi si scontrarono, nei primi tempi, con un'atmosfera

fortemente avversa alla logica fuzzy. E tuttavia, la loro tenacia e il duro

lavoro si sarebbero dimostrati estremamente fruttuosi già dopo un

decennio: i ricercatori giapponesi, i loro studenti, e gli studenti di questi

ultimi produssero molti importanti contributi sia alla teoria che alle

applicazioni della logica fuzzy.

Nel 1974, Seto Assilian ed Ebrahim H. Mamdani svilupparono, in Gran

Bretagna, il primo sistema di controllo di un generatore di vapore, basato

sulla logica fuzzy. Nel 1976, la Blue Circle Cement e il SIRA idearono

la prima applicazione industriale della logica fuzzy, per il controllo di

una fornace per la produzione di cemento. Il sistema divenne operativo

nel 1982.

1.15 Fuzzy logic: concetti fondamentali

Nel 1994 Zadeh scriveva: "Il termine logica fuzzy viene in realtà usato in

due significati diversi. In senso stretto è un sistema logico, estensione

della logica a valori multipli, che dovrebbe servire come logica del

ragionamento approssimato. Ma in senso più ampio logica fuzzy è più o

meno sinonimo di teoria degli insiemi fuzzy cioè una teoria di classi con

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contorni indistinti. Ciò che è importante riconoscere è che oggi il termine

logica fuzzy è usato principalmente in questo significato più vasto".

La teoria degli insiemi fuzzy costituisce un'estensione della teoria

classica degli insiemi poiché per essa non valgono i principi aristotelici

di non-contraddizione e del terzo escluso (o del Tertium non datur). Si

ricorda che, dati due insiemi A e !A (non-A), il principio di non-

contraddizione stabilisce che ogni elemento appartenente all'insieme A

non può contemporaneamente appartenere anche a non-A; secondo il

principio del terzo escluso, d'altro canto, l'unione di un insieme A e del

suo complemento non-A costituisce l'universo del discorso.

In altri termini, se un qualunque elemento non appartiene all'insieme A,

esso necessariamente deve appartenere al suo complemento non-A.

Tali principi logici conferiscono un carattere di rigida bivalenza all'intera

costruzione aristotelica, carattere che ritroviamo, sostanzialmente

immutato ed indiscusso, sino alla prima metà del XX secolo, quando

l'opera di alcuni precursori di Zadeh (in primis Max Black e Jan

Lukasiewicz) permette di dissolvere la lunga serie di paradossi cui la

bivalenza della logica classica aveva dato luogo e che essa non era in

grado di chiarire.

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Il più antico e forse celebre di tali paradossi è quello attribuito ad

Eubulide di Mileto (IV secolo a.C.), noto anche come paradosso del

mentitore, il quale, nella sua forma più semplice, recita:

"Il cretese Epimenide afferma che il cretese è bugiardo"

In tale forma, suggerita dalla logica proposizionale, ogni affermazione

esprime una descrizione di tipo dicotomico. Al contrario, nella logica

predicativa ogni proposizione esprime un insieme di descrizioni simili o

di fatti atomici, come nella frase tutti i cretesi sono bugiardi. Si noti che,

a rigor di logica (bivalente), una formulazione del paradosso contenente

tale frase è falsa, in quanto è vera la sua negazione: la negazione di tutti

non è nessuno, ma non tutti, quindi non tutti i cretesi sono bugiardi,

Eubulide è un bugiardo, ed essendo vera la sua negazione, l'affermazione

di Eubulide risulterebbe falsa.

Ad ogni modo, il paradosso del mentitore nella sua forma proposizionale

appartiene alla classe dei paradossi di autoriferimento. Ogni membro di

questa classe presenta una struttura del tipo:

"La frase seguente è vera

La frase precedente è falsa"

o in maniera più sintetica:

"Questa frase è falsa"

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Orbene, la logica aristotelica si dimostra incapace di stabilire se queste

proposizioni siano vere o false. Essa è strutturalmente incapace di dare

una risposta proprio in quanto bivalente, cioè proprio perché ammette

due soli valori di verità: vero o falso, bianco o nero, tutto o niente; ma

giacché il paradosso contiene un riferimento a sè stesse, non può

assumere un valore che ben definito (o vero o falso) senza

autocontraddirsi: ciò implica che ogni tentativo di risolvere la questione

posta si traduce in un'oscillazione senza fine tra due estremi opposti. Il

vero implica il falso, e viceversa.

Secondo Bart Kosko, uno dei più brillanti allievi di Zadeh, infatti, se

quanto afferma Epimenide è vero, allora il cretese mente: pertanto,

poiché Epimenide è cretese, quindi mente, dobbiamo concludere che egli

dice il vero. Viceversa, se l’affermazione di Epimenide è falsa, allora il

cretese Epimenide non mente, e pertanto si deduce che egli mente. In

termini simbolici, indicato con V l’enunciato del paradosso di Eubulide,

e con v = 0/1 il suo valore di verità binario, si ha, analizzando

separatamente i due casi possibili:

1. 2.

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e tenendo presente che, come mostrato in precedenza, il valore di verità

di V coincide con quello della sua negazione !V, vale a dire: v=!v, si

perviene all’equazione logica che esprime tale contraddizione:

v = 1 − v

la cui soluzione è banalmente data da:

v = 1 / 2

Da ciò si deduce finalmente che l'enunciato del paradosso non è né vero

né falso, ma è semplicemente una mezza verità o, in maniera

equivalente, una mezza falsità. Le due possibili conclusioni del

paradosso si presentano nella forma contraddittoria A e non-A, e questa

sola contraddizione è sufficiente ad inficiare la logica bivalente. Ciò al

contrario non pone alcun problema alla logica fuzzy, poiché, quando il

cretese mente e non mente allo stesso tempo, lo fa solo al 50%. Quanto

esposto conferma la sua validità in tutti i paradossi di autoriferimento.

È interessante notare come, ammettendo esplicitamente l'esistenza di una

contraddizione, la condizione che la traduce venga poi impiegata per

determinare l'unica soluzione contraddittoria tra le infinite possibili

(sfumate, cioè a valori di verità frazionari) per la questione posta: ciò

conferma l'insussistenza dei principi di non contraddizione e del terzo

escluso.

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Infatti, nella logica fuzzy l'esistenza di circostanze paradossali, vale a

dire di situazioni in cui un certo enunciato è contemporaneamente vero e

falso allo stesso grado , è evidenziata da ciascuno dei punti

d'intersezione tra una generica funzione d'appartenenza e il suo

complemento, avendo necessariamente tali punti ordinata pari a ½. Ciò

in quanto il valore di verità della proposizione in questione coincide con

il valore di verità della sua negazione.

Gli operatori logici AND, OR, e NOT della logica booleana sono definiti

di solito, nell'ambito della fuzzy logic, come operatori di minimo,

massimo e complemento; in questo caso, sono anche detti operatori di

Zadeh, in quanto introdotti per la prima volta nei lavori originali dello

stesso Zadeh. Pertanto, per le variabili fuzzy x e y si ha, ad esempio:

Si è detto che la teoria degli insiemi sfumati generalizza la teoria

convenzionale degli insiemi; pertanto, anche le sue basi assiomatiche

sono inevitabilmente diverse. A causa del fatto che il principio del terzo

escluso non costituisce un assioma della teoria degli insiemi fuzzy, non

tutte le espressioni e le identità, logicamente equivalenti, dell’algebra

booleana mantengono la loro validità anche nell’ambito della logica

fuzzy.

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La logica sfumata si inquadra nel contesto più ampio delle metodologie

che hanno consentito, in tempi recenti, un marcato rinnovamento

dell'intelligenza artificiale classica, dando vita al cosiddetto soft

computing, cha ha tra i suoi costituenti principali le reti neurali artificiali

e gli algoritmi genetici.

Fuzzy e probabilità

Per capire la differenza tra logica fuzzy e teoria della probabilità,

facciamo questo esempio: un lotto di 100 bottiglie d'acqua ne contiene 5

di veleno. Diremo allora che la probabilità di prendere una bottiglia di

acqua potabile è 0,95. Tuttavia una volta presa una bottiglia, o è potabile,

o non lo è: le probabilità collassano a 0 od 1. Se invece prendiamo una

bottiglia b contenente una miscela di acqua e veleno, al 95% di acqua,

allora avremo µPOTABILE(b) = 0,95.

I valori fuzzy possono variare da 0 ad 1 (come le probabilità) ma,

diversamente da queste, descrivono eventi che si verificano in una certa

misura mentre non si applicano ad eventi casuali bivalenti (che si

verificano oppure no, senza valori intermedi).

I rapporti tra logica sfumata e teoria della probabilità sono estremamente

controversi e hanno dato luogo a polemiche aspre e spesso non

costruttive tra i seguaci di ambedue gli orientamenti. Da una parte,

infatti, i probabilisti, forti di una tradizione secolare e di una posizione

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consolidata, hanno tentato di difendere il monopolio storicamente

detenuto in materia di casualità ed incertezza, asserendo che la logica

sfumata è null'altro che una probabilità sotto mentite spoglie, sostenuti in

tale convinzione dalla circostanza, da ritenersi puramente accidentale,

che le misure di probabilità, al pari dei gradi d'appartenenza agli insiemi

fuzzy, sono espresse da valori numerici inclusi nell'intervallo reale [0, 1].

Gli studiosi di parte fuzzy, al contrario, hanno mostrato che anche la

teoria probabilistica, nelle sue varie formulazioni (basate, secondo i casi,

sugli assiomi di Kolmogorov, su osservazioni concernenti la frequenza

relativa d'accadimento di determinati eventi, oppure sulla concezione

bayesiana soggettivista, secondo cui la probabilità è la traduzione, in

forma numerica, di uno stato di conoscenza contingente), è in definitiva

una teoria del caso ancora saldamente ancorata ad una Weltanschauung

dicotomica e bivalente.

A questo proposito, Bart Kosko si è spinto fino a ridiscutere il concetto

di probabilità così come emerso finora nel corso dell’evoluzione storica,

sottolineando la mancanza di solidità di tutti i tentativi intesi a fondare la

teoria della probabilità su basi diverse da quelle puramente assiomatiche,

empiriche o soggettive, e ritenendola un puro stato mentale, una

raffigurazione artificiosa destinata a compensare l’ignoranza delle cause

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reali di un evento: la probabilità sarebbe in realtà mero istinto di

probabilità.

Al contrario, secondo la suggestiva e penetrante interpretazione dello

stesso Kosko, la probabilità è l'intero nella parte, ossia la misura di

quanto la parte contiene l'intero. La parte può, in effetti, contenere

l'intero nella misura in cui la sua estensione può sovrapporsi a quella

dell'insieme universale. Questa concezione comporta un'affermazione

apparentemente singolare, quella per cui la parte può contenere l'intero,

non soltanto nel caso banale in cui la parte coincide con l'intero; infatti,

l'operatore di contenimento non è più bivalente, ma è esso stesso fuzzy e

può pertanto assumere un qualunque valore reale compreso tra 0 (non

contenimento) e 1 (contenimento completo o, al limite, coincidenza).

Su questa base, egli può finalmente concludere che la teoria degli

insiemi sfumati contiene e comprende quella della probabilità come suo

caso particolare; la realtà sarebbe pertanto deterministica, ma sfumata: la

teoria del caos ne ha evidenziato la componente determinista, mentre la

teoria fuzzy ha mostrato l'importanza del principio dell'homo mensura

già espresso da Protagora.

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CAPITOLO II

LA LOGICA E I PROBLEMI

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2.1 LA LOGICA E I PROBLEMI

I programmi del 1985 riservano al tema della logica un ruolo formativo

che non punta tanto all’insegnamento di nozioni specifiche relative al

settore, ma piuttosto si avvale di concetti e strumenti per guidare e

strutturare l’esperienza del bambino2. La teoria degli insiemi fornisce in

questo contesto un linguaggio e un ambiente che suggeriscono

un’organizzazione del percorso formativo secondo attività ispirate alla

teoria stessa e motivate dalla sua attinenza ai fondamenti della

matematica.

Le attività tradizionali che prevedono «manipolazione, classificazione,

seriazione, ecc. di oggetti, figure, numeri»3 si svolgono in situazioni

«problematiche concrete», ma è comunque raro che il problema in

quanto tale compaia esplicitamente tra gli strumenti di questa fase

didattica. La risoluzione di problemi viene considerata un obiettivo

specifico e codificato, da affrontare più tardi e limitatamente a contesti

aritmetici, tanto che anche l’attenzione della psicologia si è soffermata

per lo più a considerare il meccanismo cognitivo sotteso alla risoluzione

2 L’educazione logica, più che oggetto di un insegnamento esplicito e formalizzato, deve essere argomento di riflessione e di cura continua dell’insegnante, a cui spetta il compito di favorire e stimolare lo sviluppo cognitivo del fanciullo, scoprendo tempestivamente eventuali difficoltà e carenze. 3 L’insegnante proporrà fin dall’inizio, sul piano dell’esperienza e della manipolazione concreta, attività ricche di potenzialità logica, quali: classificazioni mediante attributi, inclusioni, seriazioni ecc. Con gradualità potrà introdurre qualche rappresentazione logico-insiemistica (si potranno usare i diagrammi di Eulero-Venn, i grafi, ecc.) che sarà impiegata per l’aritmetica, la geometria, per le scienze, per la lingua.

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di problemi aritmetici che ad analizzare le reazioni del bambino di fronte

a situazioni problematiche di tipo generale. Questo modo di procedere

costituisce di fatto una limitazione, che può essere rimossa introducendo

l’attività di risoluzione di problemi già nel primo approccio del bambino

ai concetti logico-matematici.

Il problema di logica può svolgere un ruolo formativo importate: il

controllo dei processi cognitivi e la consapevolezza di ciò che si

compie.4

Le parole chiave dei più recenti programmi ministeriali (riforma

Moratti), intorno alle quali ruotano le attività relative alla logica - e che

devono guidare la formulazione di problemi e la loro articolazione in un

percorso didattico per il primo ciclo – riguardano anzitutto le sequenze

(ritmi, seriazioni, ordinamenti, ecc.), gli insiemi (classificazioni, attributi,

diagrammi, operazioni logiche, ecc.), poi, a un livello successivo, il

concetto di relazione (frecce, coppie, diagrammi cartesiani, situazioni

combinatorie, ecc.). L’esperienza che il bambino acquista nel corso di

queste attività costituisce la base su cui fondare il concetto di numero e i

primi passi in direzione dell’aritmetica.

4 Nella scuola primaria non si potrà parlare, in generale, di dimostrazioni razionali. Sarà tuttavia cura dell’insegnante sollecitare sempre gli alunni affinché siano in grado di giustificare con argomenti razionali ogni loro affermazione riguardante enunciati di proprietà matematiche. L’abitudine in tal modo indotta dalle attività svolte nell’ambito della matematica, avrà l’effetto di produrre negli alunni un abito mentale che renderà loro più spontaneo e naturale il rendere ragione di ogni affermazione, conclusione, decisione, in ogni campo di attività, anche ben al di fuori della matematica. ( Riforma Moratti, Raccomandazioni).

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I problemi relativi alle sequenze mirano a sviluppare un’esperienza

significativa nell’ambito di strutture ordinate, favorendo la maturazione

di capacità di analisi e di attenzione, oltre che precisione di linguaggio,

ma soprattutto permettono di elaborare i concetti che attengono al

carattere ordinale del numero, ossia alla struttura del sistema numerico in

quanto dotato di ordinamento, ordinamento che è alla base della

cosiddetta « assiomatizzazione di Peano » che fornisce un modello del

sistema numerico a partire da una formalizzazione rigorosa della

struttura di una sequenza.

Per ciò che riguarda le attività e i problemi ispirati alla teoria degli

insiemi e al concetto di relazione, l’obiettivo principale consiste nel

promuovere l’esercizio di funzioni che favoriscano ulteriormente lo

sviluppo di un linguaggio preciso e della capacità di controllo di

operazioni logiche anche nel loro stretto legame con la struttura delle

proposizioni. Dal punto di vista dei concetti relativi al sistema dei

numeri, tali attività forniscono un’esperienza parallela a quella

sviluppata con le sequenze, che attiene invece all’assiomatizzazione del

sistema numerico secondo il procedimento di Cantor, fondato sulla

cardinalità di un insieme. Perché queste attività siano significative,

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occorre che l’insegnante le guidi senza formalismi, ma con

consapevolezza e rigore, tenendone presenti obiettivi e rischi.5

2.2 PSICOLOGIA E PROBLEMI

Secondo la letteratura psicologica, per la quale l’abilità di risoluzione dei

problemi è una delle principali competenze che caratterizzano il nostro

sistema cognitivo, i problemi di matematica presentati a scula rientrano

nella tipologia caratteristica dei mathematical word problem solving,

cioè problemi che attraverso un testo verbale, per lo più di tipo narrativo,

presentano un compito risolvibile tramite strategie, procedure e algoritmi

di tipo matematico (es. «Marco ha 5 penne più di Andrea, che ne ha metà

delle 8 di Luigi. Quante penne sono nell’astuccio di Marco? »).

La capacità di soluzione di tali compiti sembra richiedere abilità

cognitive e matacognitive identificabili in alcune componenti principali:

• la comprensione della situazione problema attraverso l’identifica-

zione e l’integrazione delle informazioni verbali e aritmetiche;

• la rappresentazione dello schema matematico;

• la categorizzazione della struttura del problema;

• la pianificazione delle procedure e delle operazioni;

• il monitoraggio e la valutazione finale.

5 Cfr.: A. Scimone, F. Spagnolo “Argomentare e Congetturare”, Ed. Palombo.

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2.3 LE ABILITA’ DI COMPRENSIONE

Riguardo ai processi di comprensione dei problemi matematici, le

ricerche hanno evidenziato che in tale competenza rientrano abilità più

generali di comprensione dei testi verbali e abilità più specifiche di

comprensione dello schema matematico vero e proprio.

In particolare, la comprensione verbale risulta essere una condizione

necessaria ma non sufficiente a spiegare la comprensione dei problemi

così formulati.6

Ne è infatti una condizione necessaria perché, qualora il bambino abbia

difficoltà di comprensione dei testi verbali, tale difficoltà ricade anche

sulla comprensione dei testi matematici, ma non ne è una condizione

sufficiente, perché da sola non sembra garantire la comprensione delle

informazioni matematiche e dello schema del problema stesso.

Un’articolata letteratura sui disturbi dell’apprendimento, e dunque sulle

difficoltà di apprendimento specifico, ha mostrato infatti che bambini

con difficoltà di comprensione verbale hanno spesso anche difficoltà di

comprensione dei problemi matematici non necessariamente hanno una

comprensione inadeguata dei testi verbali.7

In particolare, secondo il modello classico proposto da Mayer (1981), la

comprensione dei problemi matematici dipende da più abilità: 6 Mayer, Larkn e Kadone, 1984; Cummins, 1991; Mayer 1992. 7 Tressoldi e Lucangeli, 1999.

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• dall’individuazione delle informazioni chiave;

• dalla rappresentazione cognitiva di ciascuna di esse (encoding);

• dalla integrazione di tali informazioni in una vera e propria

rappresentazione unitaria (compretension),

Secondo Muth (1984) le capacità risolutorie dei bambini sono messe a

dura prova dalle informazioni irrilevanti contenute nel testo. Anche

Mosconi (1980) è convinto che la complessità o difficoltà dell’algoritmo

di calcolo necessario alla soluzione non siano la causa effettiva della

difficoltà di un problema, mentre lo possono essere soprattutto la sua

confezione discorsiva e le caratteristiche del messaggio verbale che lo

trasmettono.

Dal punto di vista delle abilità cognitive di base, tale difficoltà sembra

dipendere anche da meccanismi generali, trasversali a diverse

competenze, come soprattutto quelle di WORKING MEMORY e di

attenzione.

2.4 LE ABILITA’ DI RAPPRESENTAZIONE

Perché comprensione ci sia, ciascuna informazione, semplice o

complessa (cioè a propria volta costituita da più informazioni), deve

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essere messa in relazione con tutte le altre, così da ottenere una

rappresentazione cognitiva dell’intera «situazione problema».8

Tale capacità di integrazione/rappresentazione sembra cruciale per

guidare la scelta della soluzione corretta. Ha infatti una sua evidenza,

anche intuitiva, il fatto che una rappresentazione parziale, ovvero solo di

alcune informazioni, può condurre a una pianificazione altrettanto

parziale o addirittura errata delle operazioni da compiere per la

soluzione.9

Se la letteratura è concorde nel riconoscere il ruolo fondamentale di tale

abilità di rappresentazione per la competenza nella soluzione dei

problemi matematici, più frammentari sono invece i risultati delle

ricerche relativamente alla natura della rappresentazione stessa.

Se cioè si tratti solo di una rappresentazione interna, cognitiva, o se

questa possa ricevere aiuto ad essere educate da supporti esterni, quale la

rappresentazione figurale o schematica delle informazioni stesse, cosa

che la didattica della matematica ha per lo più proposto. Le ricerche

finalizzate a training educativi e di recupero sembrano infatti dimostrare

la significativa efficacia dell’intervento basato sull’uso di supporti

didattici, si tratti di rappresentazioni figurali per i bambini più piccoli o

di schemi e sistemi simbolici per i livelli più avanzati. 8 Mayer, 1981. 9 Hegarty, Mayer e Monk, 1995.

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2.5 LE ABILITA’ DI CATEGORIZZAZIONE

La capacità di rappresentazione è particolarmente collegata a un’altra

componente cruciale dell’abilità di soluzione di problemi matematici,

cioè alla categorizzazione.

Così in letteratura è infatti definita la capacità che, attraverso il

riconoscimento delle somiglianze e delle differenze tra schemi di

soluzione, consente di individuare come simili i problemi che si

risolvono allo stesso modo e dunque di riconoscerli come appartenenti

alla stessa «categoria».10

Dal punto di vista dell’apprendimento, Rudmitsky, Etheredge, Freeman e

Gilbert (1995) hanno dimostrato che tale abilità si può istruire, che essa

migliora significativamente le prestazioni delle capacità di soluzione,

anche in alunni già grandi, e che tale vantaggio si mantiene nel tempo.

2.6 LE ABILITA’ DI PIANIFICAZIONE

Se le abilità di encoding, di integrazione/rappresentazione e di

categorizzazione sembrano più impropriamente riferirsi alla capacità di

comprensione die problemi, le abilità che caratterizzano la scelta di

strategie di soluzione, e dunque la produzione stessa, sembrano

10 Lucangeli e Tressoldi, 1999.

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identificarsi in competenze di pianificazione e di controllo strategico e

metacognitivo.

In particolare, la pianificazione, è la capacità che si rende necessaria, una

volta compresi il problema e la struttura, per elaborare un vero piano

d’azione, traducibile in operazioni concrete e di calcolo, nella corretta

sequenza solutoria.

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CAP. III

ARGOMENTARE E CONGETTURARE ATTRAVERSO

UNA PROPOSTA DIDATTICA LOGICO-LINGUISTICA: PRIMA FASE SPERIMENTALE

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PREMESSA

Nel seguente capitolo vengono presentate le ipotesi sperimentali,

verificate sul campo; le soluzioni sottese ad un determinato

ragionamento e le strategie messe in atto dagli alunni delle classi 2^

elementare Circolo Didattico “G. Quinci” di Mazara del Vallo, 4^

elementare Istituto Comprensivo “Don dilani” di Tusa (Me), 5^

elementare Circolo Didattico “G. Ingrassia” di Palermo, relative al

questionario proposto; la metodologia utilizzata per la prima fase

sperimentale; l’analisi a priori dei comportamenti attesi.

3.1 IPOTESI SPERIMENTALE

L’ipotesi generale da cui sono partita è rappresentata dalla possibilità di

rilevare, attraverso la somministrazione di un questionario, l’esistenza

teorica ed operativa di un pensiero strategico attraverso cui chiudere il

cerchio che va dalla realtà alla teoria e dalla teoria alla realtà.

L’ipotesi alternativa si fonda sull’esistenza di concessioni errate

riguardanti i problemi di logica, che non consentirebbe agli alunni di

rispondere ed attivare i loro processi di ragionamento.

L’ipotesi nulla è l’inesistenza di un pensiero strategico che non

consentirebbe agli alunni l’esecuzione del questionario.

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Quindi, la prima sperimentazione ha come obiettivo generale quello di

scoprire le concezioni degli alunni rispetto ai problemi di logica

attraverso la somministrazione di un questionario e, come obiettivo

specifico quello di rilevare le strategie e i diversi schemi di ragionamento

che gli alunni mettono in atto durante l’esecuzione delle consegne date.

3.2 CAMPIONE DELLA PRIMA FASE SPERIMENTALE

L’indagine è stata rivolta in un primo momento a 20 alunni del primo

biennio della scuola primaria (2^ elementare C. Didattico “G. Quinci”),

successivamente a 50 alunni del secondo biennio (4^ elementare Istituo

Comprensivo “Don Dilani” di Tusa, 5^ elementare C. Didattico “G.

Ingrassia” di Palermo), nel periodo compreso tra aprile e maggio 2006.

Il campione esaminato appartiene ad un contesto socio-culturale medio-

basso e ha dimostrato di possedere un buon bagaglio conoscitivo e

spiccata propensione verso le materie scientifiche.

Volutamente, le classi interessate alla sperimentazione non sono state

preparate alla somministrazione del questionario con attività volte a

favorire la comprensione del meccanismo di problem-solving dei

problemi logici, né da parte mia, né da parte dell’insegnante:

accorgimento finalizzato ad evitare condizionamenti non favorevoli

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all’emergere di concezioni spontanee relativamente all’argomento

trattato.

3.3 LA METODOLOGIA

Ogni sperimentazione trova nel metodo utilizzato per la sua

realizzazione, uno dei suoi importanti perni.

Premesso che un apprendimento è la risultante della contemporanea

interazione con un ambiente fisico, con un contesto sociale e con

l’ambito individuale, i bambini sono stati invitati, in un primo momento,

a lavorare individualmente e, successivamente, a verbalizzare le risposte

date al questionario, rendendo possibile per ciascun alunno, la

socializzazione con il gruppo classe del proprio punto di vista.

3.4 GLI STUMENTI UTILIZZATI

Ai fini della ricerca, la scelta degli strumenti rappresenta una conditio

sine qua non per consentire l’osservazione oggettiva dei fenomeni e la

loro misurazione adeguata.

E’ indispensabile che l’utilizzo di un determinato strumento sia

preceduto dalla valutazione non solo della sua intrinseca efficacia, ma

anche della possibilità e dell’opportunità del suo impiego rispetto a ciò

che si vuole osservare.

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Validità e fedeltà devono essere le condizioni distintive degli strumenti

che si intende utilizzare, per questo la scelta si è indirizzata verso il

questionario aperto e l’analisi a-priori.

Il questionario permette realmente di raccogliere informazioni, perché

interroga gli alunni sui concetti portanti dell’argomento che si intende

verificare, ponendo altresì risposte in forma scritta. La funzionalità di un

questionario alla ricerca sperimentale, prevede che esso risponda agli

obiettivi che ci siamo prefissati; condizione indispensabile perché esso

possa confermare o smentire l’ipotesi di partenza.

Il questionario costruito è coerente con il target di riferimento: le

condizioni socio-culturali di provenienza degli alunni e le loro capacità

attentive generali.

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PROBLEMA

C’era una volta un contadino di nome Sasà che doveva portare al

mercato della città un lupo, una capra e un cavolo. Sasà, per arrivare a

destinazione, doveva attraversare un fiume con una barchetta che oltre

lui poteva portare solo uno dei tre. Come farà Sasà a portare lupo, capra

e cavolo al mercato dal momento che in sua assenza il lupo può

mangiare la capra e la capra può mangiare il cavolo?

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STRATEGIE IPOTIZZABILI

S1: Il contadino decide di non andare più al mercato

S2: Il contadino gira e fa un’altra strada

S3: Il contadino va al mercato di un’altra città dove il fiume non c’è

S4: Il lupo e la capra sanno nuotare, così il contadino può andare

sulla barca con il cavolo e così arrivano tutti dall’altra parte

S5: Il contadino il cavolo lo lascia e porta il lupo e la capra

S6: Al mercato il lupo non lo vogliono, tutti mangiano solo i cavoli e

le capre, allora il contadino non deve portare il lupo

S7: La capra può aspettare e mangiare l’erba mentre il contadino

porta il lupo e il cavolo al mercato.

S8: Il lupo ritorna a casa sua nel bosco e quindi il contadino non ha

problemi.

S9: il contadino fabbrica un ponte.

S10: Il mercato è chiuso e quindi nessuno ci va.

S11: Il contadino va al mercato del suo paese così non deve

viaggiare.

S12: Il contadino la capra la lascia nella fattoria con le pecore perché

sta male.

S13: Non lo so.

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S14: Si fa dare una barca più grande.

S15: Al mercato ci va anche la moglie del contadino che gli può

tenere la capra e il cavolo.

S16: Il contadino ha la febbre e al mercato non ci può andare.

S17: Il contadino porta prima il lupo, poi il cavolo e poi la capra.

S18: Il contadino si arrabbia perché il lupo e la capra litigano allora

al mercato non ci porta nessuno.

S19: Il fiume ha poca acqua e passano camminando, non usano la

barca.

S20: Il contadino aveva il camion e mette tutti là, non passa

attraverso il fiume.

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STRATEGIE NON PREVISTE

S21: Il contadino può portare soltanto il lupo. Il cavolo e la capra

stanno: il cavolo nella capanna e la capra nel recinto.

S22: Può portare per prima la capra, poi torna indietro, prende il

lupo e infine prende il cavolo.

S23: Il contadino può portare prima la capra al fiume e al mercato

porta il lupo e il cavolo.

S24: Come S22.

S25: Se il contadino porta il lupo, la capra mangia il cavolo.

S26: Prima il contadino prende il cavolo e lo mette in bocca e se ne

va e lo lascia e dopo prende il lupo, infine la capra.

S27: Come S22.

S28: Come S22.

S29: Prima il contadino porta al mercato il cavolo e poi torna a

prendere il lupo e la capra: (non ha ben chiara la consegna).

S30: Prima sale il cavolo dopo il lupo e dopo la capra.

S31: Il contadino può trasportare la capra, peché il lupo se ha fame

può mangiare un altro animale, il cavolo sta a casa.

S32: Allora il contadino le mette tutte e tre rinchiusi in una gabbia e

li mette tra loro molto lontani. Allora il contadino prima si porta

il lupo, dopo la capra e in ultimo il cavolo.

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S33: Prima porta la capra, dopo porta il cavolo e riporta la capra

indietro, poi porta il lupo e infine porta la capra.

S34: La capra mangia il cavolo, il lupo mangia la capra.

S35: Prima porta la capra e la va a posare al mercato, poi il lupo e lo

posa, poi il cavolo e lo posa.

S36: Il contadino per prima porta la capra e lascia il lupo e il cavolo,

ritorna indietro e prende il lupo e lascia la capra, ritorna

indietro e porta la capra.

S37: Che li porta a uno a uno.

S38: Come S35.

S39: Come S36.

S40: Come S34.

S41: Come S34.

S42: Come S34.

S43: Il contadino ammazza il lupo e la capra.

S44: Che la capra mangia il cavolo e poi il lupo mangia sia la capra

sia il cavolo.

S45: Il contadino può legare il lupo ad un albero e la capra ad un altro; si

porta il cavolo con sé a prendere altre due barche e una corda; e così

il contadino, si metterà insieme al cavolo in una barca, il lupo in

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un’altra e la capra in un’altra ancora. Così il contadino potrà portare

gli animali è il cavolo sani e salvi al mercato.

Oppure: il contadino potrà farsi aiutare da 2 suoi amici con le loro 2

barche. Così il contadino si porterà il cavolo, uno dei due suoi amici

la capra e l’altro suo amico si porterà il lupo.

Oppure: il contadino abbatterà un albero e ci passeranno sopra e

così arriveranno al mercato.

S46: Il contadino si porta la capra, in mano il cavolo, e anche il lupo.

S47: Il fiume non è molto largo e così il contadino lancia il cavolo

nell’altra sponda.

S48: Il contadino porta la capra con lui e lascia il lupo e il cavolo

perché il lupo non mangia il cavolo ma mangia la capra.

S49: Il contadino “piglia” 3 barche che contengono: una il lupo,

un’altra la capra e l’ultima il cavolo e così passano.

S50: Il contadino potrà portare solo la capra così nessuno (riporta

altre 2 soluzioni) si mangerà a vicenda.

S51: Il contadino rinchiude la capra e si porta il lupo nella barca.

S52: Il contadino non vede più il cavolo, il lupo se l’era mangiato in un

boccone.

S53: Come S47.

S54: Come S46. Oppure: il contadino può fare che si tiene il

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cavolo in mano perché è leggero e gli mette anche il

lupo. Oppure: il contadino può fare che mette la capra

nel fiume, la capra nuota e nella barca mette il lupo e il

cavolo.

S55: Come S46. Oppure: che il contadino si porta tutte e tre così

vede che non si mangiano tra loro.

S56: Può chiamare un signore che resta in una sponda del fiume. Il

contadino passa in un’altra sponda e con una corda li fa passare

a uno a uno.

S57: Come S47.

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00,5

11,5

22,5

33,5

4

Frequenza Motivazioni

S22S34S35S36S47

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CONCLUSIONI RELATIVE ALLA FASE INIZIALE DELLA

SPERIMENTAZIONE

Il momento iniziale della sperimentazione ci ha consentito di acquisire

una serie di informazioni utili a definire il comportamento e la capacità

dei bambini di fronte a delle situazioni problematiche, di individuare i

diversi stili operativi che caratterizzano il modo di pensare di ognuno.

Sono stati evidenziati anche i ragionamenti errati, conseguenza,

probabilmente di una mancata comprensione della consegna. In

particolare è stato rilevato che i bambini di V elementare, rispetto a

quelli di 2^ e 4^, hanno prodotto un maggior numero di soluzioni

alternative, facendo intervenire all’occorrenza personaggi o cose

estranei alla situazione problema presentato.

Ora, dall’analisi dei dati sperimentali relativi alla situazione problema

nasce la mia ipotesi di ricerca:

SE attraverso una situazione a-didattica11 fornisco al bambino

degli input che lo aiutino ad acquisire sia un pensiero

strategico che un linguaggio matematico, ALLORA

ragionamento e i suoi principi saranno resi più espliciti,

11 Cfr.: A Sciamone, F. Spagnolo, “Argomentare e congetturare”, Palumbo, Palermo, 2005, pag. 17: «Per situazione a-didattica si intende quella situazione in cui non sussiste più tra insegnante e l’allievo il controllo di dipendenza del tipo “io conosco un dato sapere e te lo voglio insegnare”, per cui sono in ballo solo gli studenti e la conoscenza, mentre l’insegnante non ne fa più parte. Non vi sono obblighi didattici, per cui quello che gli allievi fanno non è legato a spinte da parte dell’insegnante, come avviene invece nel normale contratto didattico».

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favorendo un coerente e corretto sviluppo del pensiero e del

processo di astrazione.

Per falsificare l’ipotesi generale sono state previste le seguenti

attività:

1) Somministrazione di un questionario composto da 3 domande

a risposta aperta ad un campione casuale di alunni

frequentanti la classe V, con l’obiettivo di rilevare le strategie

risolutive e le argomentazioni ricorrenti in allievi di 9-10

anni, rispetto alle domande.

2) Somministrazione di un questionario composto da 3 domande

a risposta aperta a un gruppo sperimentale e uno di controllo.

3) Introduzione nel primo gruppo del fattore sperimentale

composto da una situazione a-didattica.

4) Risomministrazione, a entrambi i gruppi, del questionario per

rilevare gli effetti prodotti dal fattore sperimentale

• I FASE:

Mettiamo i bambini a lavorare in coppie e proponiamo loro

queste situazioni:

Tempo di consegna: 30 minuti

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1) La nonna Bricio – Lina ha un barattolo pieno di bottoni: ce

ne sono 30! La metà dei bottoni ha 4 buchi e i rimanenti sono

rossi o blu o verdi. I rossi sono 7, mentre quelli verdi sono

tanti quanti i blu.

Quanti sono i bottoni verdi o blu non con 4 buchi?

• Risolvete il problema e spiegate il vostro ragionamento.

Osserva attentamente questa piramide di numeri, scopri la sua

regola e spiega come hai fatto.

Completa la piramide.

.…. 8 …..

3 5 ….. 1 2 3 …..

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I bambini della scuola di Occhiobello hanno preparato un cartello

per invitare la gente a visitare la loro mostra di matematica. Ma che

confusione! Correggi gli orari ricordando che il sabato e la

domenica la mostra chiude un’ora prima.

Si formano le coppie e si distribuisce a ciascun alunno una copia dei

quesiti, che vengono presentati dapprima attraverso la lettura

espressiva ed esplicativa dell’insegnante e, successivamente, viene

letto individualmente dagli alunni, silenziosamente e in modo

attento ed accurato.

A questo punto ciascun componente della coppia formula e

trascrive tutte le soluzioni possibili reali, quindi ogni membro

confronta le scelte effettuate e spiega le proprie ipotesi.

ORARIO DI VISITA PIACERE, SIGNORA

MATEMATICA! Dal lunedì al venerdì

Mattino 12,30 – 15,30 Pomeriggio 19,00 – 9,00

Il sabato e la domenica

Mattino 15,30 – 9,00 Pomeriggio 18,00 – 11,30

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• Durante questa I fase gli alunni hanno messo a disposizione

notevoli capacità di problem-solving. L’ansia e il timore

mostrati all’inizio dell’attività da parte di alcuni bambini, per

un lavoro con diverso approccio metodologico, sono stati

superati brillantemente.

SITUAZIONE A-DIDATTICA

“Quanti pesci … ci sono nel mare?”

CONSEGNA

FASE D’AZIONE

FASE DI FORMULAZIONE

FASE DI VALIDAZIONE

CONSEGNA

L’insegnante divide la classe in due squadre eterogenee e legge loro

un problema. Successivamente spiega le regole del gioco che si

articola in tre fasi:

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1) Risoluzione del problema letto dall’insegnante (fase

d’azione)

2) Risoluzione del problema “quanti pesci … ci sono nel mare”

(fase di formulazione)

3) Socializzazione/contestazione delle strategie (fase di

validazione)

Vince la squadra che totalizza il maggior numero di punti.

FASE D’AZIONE

• In questa fase ogni squadra, dopo avere designato il proprio

portavoce, può già cominciare ad accumulare punti attraverso

la risoluzione del seguente problema:

FUSO ORARIO

Un aereo impiega un’ora e venticinque minuti per volare da Milano a

Palermo, lo stesso aereo, per il percorso inverso Palermo – Milano,

impiega 85 minuti. Perché?

La squadra che per prima esegue la consegna guadagna due punti!

FASE DI FORMULAZIONE

L’insegnante legge alla classe una filastrocca di G. Rodari:

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Quanti pesci … ci sono nel mare

Tre pescatori di Livorno

Disputarono un anno e un giorno

Per stabilire e sentenziare

Quanti pesci ci sono nel mare.

Disse il primo: “Ce n’è più di sette,

Senza contare le acciughette”.

Disse il secondo: “Ce n’è più di mille,

Senza contare scampi e anguille”.

Il terzo disse: “Più di un milione!”

E tutti e tre avevano ragione.

Secondo voi è vero che avevano ragione tutte e tre? Giustificate le vostre

risposte.

Ciascuna squadra riceve dall’insegnante una copia della filastrocca ed ha

a disposizione 30 minuti per formulare una strategia comune che, al

termine del tempo stabilito, dovrà essere messa su carta con il maggior

numero di motivazioni possibili.

FASE DI VALIDAZIONE

Le due squadre eletti i loro rappresentanti, si dispongono in assetto di

piccolo gruppo (2 gruppi di 4 alunni per squadra).

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Gli alunni socializzano, comunicano fra loro le strategie individuate e

cercano di convincere gli altri sulla validità della propria strategia.

Le due squadre si chiudono nella comunicazione per non fare trapelare

all’altra squadra le strategie elaborate.

Ha inizio la competizione: i capisquadra e i capigruppo illustrano

alternativamente alla lavagna le strategie, mentre la squadra avversaria

cerca dei contro esempi per confutarle.

Tutti gli alunni sono interessati, perché sanno che vincerà la squadra che

quantizzerà più punti. Viene assegnato 1 punto per ogni strategia valida,

mentre sono assegnati 3 punti per ogni strategia dimostrata come non

valida dalla squadra avversaria.

Quando una squadra riesce a convincere tutti con la sua teoria, allora

quella diventerà il teorema della classe.

Le due squadre concludono in parità, quantizzando 6 punti ciascuna.

Gruppo A Gruppo B

6 6

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RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Gli alunni si sono sentiti soddisfatti ed entusiasti per una esperienza che

li ha visti protagonisti, partecipi del loro percorso formativo.

Il clima motivazionale positivo, creatosi nel gruppo-classe rispetto alla

proposta didattica si è espresso nella richiesta generale di continuare con

questa metodologia.